ANNO XVIII -N. 1 GENNAIO -FEBBRAIO 1966 Fascicolo unico in attesa di autorizzazione RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ' Pubblicazione bimestrale di servizio ROMA ISTITUTO POLIGRAFICO DELLO STATO l 9 6 6 ABBONAMENTI ANNO L. 5.000 UN NUMERO SEPARATO . . . . . . . . . . . . . . . . . . 900 Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: LIBRERIA DELLO STATO -PIAZZA G. VERDI, 10 -ROMA e/e postale 1/40500 Stampato in Italia -Printed in ItaLy (5211801) Roma, 1966 -Istituto Poligrafico dello Stato P. V. Con questo numero la direzione di questa pubblicazione periodica viene assunta dal collega Avv.. UGO GARGIULO, che per due anni ha; gi partecipato al coordinamento apportandovi un contributo attivissimo e molto apprezzato. La cura delle sezioni seconda e quinta viene assunta rispettivamente dai colleghi Avv. BENEDETTO BACCARI e MARIO FANELLI, mentre i colleghi Avv. LUIGI MAzzELLA e ARTURO MARZANO cureranno la rassegna di dottrina e legislazione. Ai colleghi che lasciano l'incarico lodevolmente espletato, Avv. LEONIDA CoRREALE e GIORGIO ZAGARI e, particolarmente, al collega Avv. ARISTIDE SALVATORI che, per molti anni ha curato il coordinamento della pubblicazione, va il pi vivo ringraz~amento per la proficua attivit svolta, nella certezza che essi continueranno a dare, anche in avvenire, al periodico la loro migliore collaborazione. Ai colleghi che continuano nell'incarico va il pi sentito apprezzamento per l'opera fin qui svolta. A tutti, gli auguri migliori di buon lavoro. LA RASSEGNA INDICE Parte prima: GIURISPRUDENZA Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTltTU:Z!l.ONALE 1E INTERNA ZIONALE pag. Sezione seconda: GIURISP1RU DENZA su QUESTIONI DI GIUR,ISDI ZIONE 32 Sezione terza: Gl60, n. 1201, e successive), e straordinari sono qualificati i contributi versati all'A.N.A.S., negli stati di previsione dell'entrata e della spesa di questa Azienda allegati ai ricordati stati di previsione della spesa del Ministero dei LL. PP. (Contributo straordinario per l'attuazione del programma di sistemazione, miglioramento e adeguamento delle strade statali rientranti fra gli itinerari internazionali e le arterie di grande circolazione -art. 1 legge 13 agosto 1959, n. 904). 3. -Pertanto la questione di costituzionalit, che la Corte deve esaminare, si pu dire sia soltanto quella che sorge dall'asserito contrasto delle norme contenute nei due articoli della legge 13 agosto 195,9, n. 904, con la norma del quarto comma dell'art. 81, che dispone lo obbligo del legislatore di indicare i mezzi per far fronte a nuove o maggiori spese. Si sa che l'interpretazione di questa norma ha dato luogo a discussioni e contrasti che non si possono dire, non gi conclusi, ma nemmeno sopiti: sostenendosi da molti con vigore che l'obbligo di L'Avvocatura aveva dedotto, per sostenere la legittimit costituzionale della legge denunciata, che essa non importava n spese nuove n spese maggiori , e quindi era del tutto fuori della previsione dell'art. 81 Cost. Infatti, poich l'ANAS ha il compito istituzionale sia di gestire le strade e le autostrade appartenenti allo Stato, curandone la manutenzione ordinaria o straordinaria, sia di realizzare il progressivo miglioramento delle strade statali e delle nuove autostrade (d. I. Pres. 27 giugno 1946, n. 38, leggi n. 59 del 1961 e n. 181 del 1962), la spesa prevista dalla legge in esame non poteva essere considerata nuova, trattandosi evidentemente di spesa diretta al raggiungimento di uno scopo gi considerato espressamente dalla legislazione preesistente, nella quale veniva appunto a trovare il suo fondamento quale titolo di spesa. 4 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO indicare i mezzi per far fronte a nuove o maggiori spese riguardi esclusivamente le leggi che, promulgate dopo l'approvazione del bilancio preventivo, ne alterino l'equilibrio, e sostenendo altri che, viceversa, tale obbligo abbia riferimento e debba essere osservato nei confronti di qualsiasi altra legge che immuti in materia di spese non gi di fronte alla legge di bilancio, o non soltanto di fronte a questa, ma di fronte alla legislazione preesistente. Nel primo caso si fa riferimento a un documento contabile quale anche (seppure non soltanto), il bilancio annuale; nel secondo caso, viceversa, si tiene di vista l'insieme della vita finanziaria dello Stato, che, si sostiene, non pu essere artificiosamente spezzata in termini annuali, ma va, viceversa, considerata nel suo insieme e nella sua continuit temporale, segnatamente in un tempo, come il presente, nel quale gli interventi statali sempre pi penetranti nella vita economica e sociale del Paese, i traguardi che, attraverso la rappresentanza parlamentare, la comunit nazionale assegna a se stessa, impongono previsioni che vanno oltre il ristretto limite di un anno e rendono palese la necessit di coordinare i mezzi e le energie disponibili per un pi equilibrato sviluppo settoriale e territoriale dell'intera collettivit. 4. -Non si pu dire che la prassi legislativa si sia ormai affatto consolidata nel senso sostenuto da coloro i quali difendono quella che ormai usa definire l'interpretazione restrittiva e rigorosa della norma dell'art. 81, sulla quale verte il presente giudizio. Vero che sono assai frequenti i casi nei quali le spese nuove o maggiori vengono deliberate senza riferimento ai mezzi di copertura, mediante il rinvio alla iscrizione loro nei successivi stati di previsione della spesa. E vero altrettanto che non meno frequenti sono gli altri casi, nei quali, indicati i mezzi di copertura per l'esercizio in corso -il pi delle volte per una parte minima se non addirittura simbolica delle nuove o maggiori spese -, si tralascia affatto di esaminare e risolvere il problema dei mezzi che devono fronteggiare la spesa negli Che, poi, potessero dirsi maggiori rispetto agli esercizi futuri le spese previste dalla legge denunciata, diretta alla realizzazione, in un predeterminato periodo di tempo, del progressivo miglioramento di certe strade statali, era parimenti da escludere, nell'ambito del bilancio statale, dove alla normale espansione della spesa pubblica, in relazione alla illimitatezza dei fini statali, si fa fronte con il normale incremento delle entrate. La Corte ha ritenuto di poter superare questa impostazione facendo leva sul carattere straordLnario della spesa prevista nella legge de nunciata. Ma -a parte il riUevo che tale qualifica non pu trovare pi riscontro nella legislazione, dopo che la legge 1 marzo 1964, n. 62 ha modificato la legge di contabilit di Stato sopprimendo la distinzione fra spese ordi narie e spese straordinarie, e distinguendo, invece, i titoli di spesa in titoli di parte corrente (o di funzionamento e mantenimento) e titoli in conto capitale (o di investimento) -non detto che una spesa straordinaria (o di investimento) esuli dalla attivit istituzionale dell'Amministrazione che chiamata, per legge, ad intervenire, in maniera esclusiva e globale, in un determinato settore. II , ... . .? :: b w .~ ' . ' PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 5 esercizi successivi a quello in corso. Ma non mancano tuttavia casi per i quali, viceversa, la legge reca l'indicazione dei mezzi per fronteggiare la nuova o maggiore spesa anche per gli esercizi futuri si tratti di spesa continuativa, si tratti di spesa straordinaria ripartita in un determinato numero di esercizi (cfr., ad esempio, legge 5 giugno 1954, n. 380; legge 9 agosto 19'54, n. 632; legge 2;0 dicembre 1954, n. 1181). Mette conto di riferire in questa sede la legge 18 dicembre 1962, n. 1748, la quale modific parzialmente la legge impugnata, incrementando inoltre di 15 miliardi la spesa di 200 miliardi gi stanziata e si preoccup di assicurare la copertura della maggiore spesa non soltanto per l'esercizio in corso (196.2-63), ma anche per lo esercizio successivo (1963-64), autorizzando la riduzione del capitolo n. 52 dello stato di previsione. dell'A.N.A.S. di 10 miliardi nel primo e di 5 nel secondo dei due esercizi considerati. Non si pu perci sostenere che la prassi parlamentare sia stata costante ed univoca; e lo stesso si pu dire dei dibattiti, degli studi e delle relazioni che si sono avute finora in sede parlamentare, che non sono giunti a conclusioni unanimemente condivise, n hanno sfociato, sul punto che qui interessa, in provvedimenti legislativi chiarificatori. Ed forse da dire che in parte a questa situazione possono essere attribuite le divergenze dottrinali sull'argomento. 5. -La Corte ritiene che l'interpretazione cosiddetta estensiva dell'obbligo imposto dall'ultimo comma dell'art. 81 sia quella conforme alla lettera e allo spirito della Costituzione. Che la limitazione dell'obbligo della copertura al solo esercizio in corso si riduca in una vanificazione dell'obbligo stesso di tutta evidenza ed dimostrata dalla prassi sopra ricordata e dall'esempio della legge impugnata, nei confronti della quale il problema fu dibattuto in sede parlamentare e risolto spostando il termine a quo di efficacia della norma autorizzativa della spesa dall'esercizio in corso all'esercizio successivo. N vale richiamare contro questa interpretazione le vicende legislative della norma costituzionale. Il fatto che si prevedesse come sua sede l'articolo che regola l'iniziativa legislativa (ora art. 71 Cost.) e che successivamente, invece, si trovasse opportuno inserirla nell'arti- Per cui sempre valida la negazione della novit o dell'. aumento in tali spese, rispetto ad un complesso di interventi che spaziano dal campo meramente manutentivo a quello, di pi ampio respiro, della costruzione e rammodernamento di importanti reti viarie. Quanto, poi, ai mezzi finanziari coi quali la copertura deve essere assicurata, la Corte non ha potuto trascurare l'esigenza di salvaguardaregli interventi programmatici dello Stato -cosi come era stato prospettatodall'Avvocatura -esplicati necessariamente non nel limitato arco di un bilancio annuale, ma in pi esercizi successivi, che trovano il naturale corrispettivo nella cosiddetta finanza ciclica. In questo ordine di idee, la Corte ha precisato la esigenza di una rigida copertura coi mezzi classici (nuove imposte, riduzione di spese, prestiti pubblici, ecc.) per quanto concerne l'esercizio corrente; ma ha riconosciuto la possibilit di una copertura pivariata con riferimento agli esercizi futuri. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO colo che prevede e regola le competenze in materia di formulazione di bilanci e di consuntivi e di approvazione di essi, non pu comportare una riduzione dell'ambito della sua sfera di applicazione, che svincolato dall'annualit del bilancio, pur proclamata nel primo comma di quest'articolo. Vero che il quarto comma, che al centro del presente giudizio, segue immediatamente un terzo nel quale disposto che con la legge di approvazione del bilancio non si possono statuire nuovi tributi e nuove spese , ma il legame tra i due commi, che stato sottolineato in numerosi sentenze di questa Corte, non vuole significare che il quarto comma si ponga esclusivamente in relazione col bilancio in corso, ma soltanto questo: che una nuova o maggiore spesa per la quale la legge, che l'autorizza, non indichi i mezzi per farvi fronte, non pu trovare la sua copertura mediante la iscrizione negli stati di previsione della spesa, siano quelli gi approvati e in corso di attuazione, siano quelli ancora da predisporre dal Governo e da approvare dalle Camere. Il significato del termine adoperato dal quarto comma: ogni altra legge , non tale che possa essere ricondotto, com' stato sostenuto, ad ogni legge successiva al bilancio in corso e modificatrice in peius dell'equilibrio contabile di esso, ma, viceversa, attiene ad ogni altra legge che non sia la legge di bilanci, senza alcuna connessione cronologica con questa. Nemmeno vale richiamare in proposito le norme della legge sulla contabilit di Stato e del relativo regolamento (art. 27 del r.d. 18 novembre 192~, n. 2440, che considera le spese straordinarie ripartite in pi esercizi, e art. 142 del regolamento approvato con r.d. 23 maggio l9i24, n. 847, che stabilisce i modi di copertura di codeste spese straordinarie; art. 156 del medesimo regolamento, che d la definizione di spese nuove e di spese maggiori), non soltanto per l'ovvia considerazione che esse dovrebbero, se necessario, cedere di fronte alla norma gerarchicamente sopraordinata della Costituzione, e nemmeno per l'argomento testuale, che pure ha la sua importanza (quale si ricava dal confronto tra l'articolo 43 di quella legge e il quarto comma dell'art. 81, dal quale scomparsa la frase dopo l'approvazione del bilancio ), ma soprat- Per questi, infatti, mancando uno strumento rigido e definitivo come la legge di bilancio, il parallelismo fra nuova o maggiore spesa e la corrispondente copertura non deve necessariamente risolversi in appostazioni di carattere formale, ma pu trovare riscontro anche in una previsione ragionevole del Governo, nella sua valutazione discrezionale della situazione economica del Paese e del suo programma di sviluppo. Affiora, a questo proposito, l'insegnamento dello EINAUDI (Princpi di scienza della finanza, Torino, 1945, pag. 337 segg.), il quale ravvisava una prima specie di imposte straordinarie nella pi severa esazione delle imposte vigenti; lo stesso potrebbe dirsi, com' ovvio, anche del maggiore introito tributario dovuto all'aumento della base imponibile, collegato con l'incremento del tasso di sviluppo del reddito nazionale. La precisazione ora detta a proposito di copertura di spesa nell'esercizio corrente e di quella negli esercizi futuri, e la motivazione logico-sistematica che ne alla base, danno ragione, poi, deWappMcabilit del principio alle sole leg.gi statali, e non pur.e a .quelle regionali, per le quali manca quella visione organica della situazione generale del Paese, che compito esclu PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 7 tutto per l'argomento, decisivo, che, laddove quelle norme attengono all'aspetto formale dei bilanci e dei consuntivi, ai modi e forme della contabilizzazione delle entrate e delle spese, il precetto costituzionale attiene ai limiti sostanziali che il legislatore ordinario tenuto ad osservare nella sua politica di spesa, che deve essere contrassegnata non gi dall'automatico pareggio del bilancio, ma dal tendenziale conseguimento dell'equilibrio tra le entrate e la spesa. 6. -A questa interpretazione stata mossa da pi parti la critica che essa ricondurrebbe a forme arcaiche di gestione della spesa pubblica e che, assegnando a ciascun ufficio pubblico una fonte di finanziamento. colpirebbe a morte il fondamentale principio dell'unit del bilancio, sostituendosi a un unico documento in cui spese ed entrate si fronteggiano nella loro interezza, per effetto di leggi susseguentisi l'una l'altra nel tempo, una fitta serie di minuti bilanci nei quali a ciascuna spesa sarebbe perpetuamente legata un'entrata, ponendosi a fronte puntualmente l'una con l'altra. Ma la critica senza fondamento, perch muove dall'errato presupposto che la norma contenuta nel quarto comma dell'art. 81 includa una precisa appropriazione di un'entrata ad una spesa, laddove, invece, l'indicazione dei mezzi che essa richiede per fronteggiare spese nuove o maggiori, si riduce a determinare e individuare un incremento dell'entrata che, in una visione globale del bilancio, nel quale tutte le spese si confrontano con tutte le entrate (effettive, straordinarie o per movimento di capitali che siano), assicuri il mantenimento dell'equilibrio complessivo del bilancio presente e di quelli futuri, senza pretendere di spezzarne l'unit. Non pu essere revocato in dubbio che il precetto costituzionale non ha inteso punto abrogare l'art. 39 della citata legge contenente Norme sull'amministrazione del patrimonio e sulla contabilit generale dello Stato, giusta il quale Ǐ vietata l'assegnazione di qualsiasi provento per spese ed erogazioni speciali, rimanendo soppressa ogni destinazione gi stabilita da particolari disposizioni. 7. -Nemmeno si pu dire che la Corte abbia con la sua giurisprudenza risolto in termini la questione che ora le viene sottoposta. Tuttavia l'interpretazione che in vari casi essa ha dato del terzo e sivo del Governo nazionale. Il che basta anche a dimostrare la non fondatezza di taluni rilievi mossi all'Avvocatura per la posizione assunta, nella soggetta materia, rispetto a leggi regionali (La voce repubbiicana, L'art. 81 nel giudizio della Corte, 13 gennaio 1966), La diversa posizione dello Stato e delle Regioni rispetto alle previsioni globali interessanti l'intera nazione rende coerente una diversit di prospettazione e di interpretazione costituzionale rispetto alla produzione legislativa dell'uno e delle altre. Del resto, ci sembre confermato dalle stesse precedenti sentenze d~la Corte, citate nella motivazione, sull'art. 81 Cost., pronunciate su leggi regionali (sent. 19 dicembrre 1959, n. 66, Giur. it., 1960, I, 225; sent. 18 maggio 1959, n. 30, ivi, 1959, I, 1, 904; sent. 9 giugno 1961, n. 31 e sent. 24 giugno 1961, n. 36, ivi, 1961, I, 1, 853 e 1030). 8 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO quarto comma dell'art. 81 , come del resto stato visto dalla dot trina, nel senso che il precetto costituzionale riguardi anche gli esercizi successivi a quello nel quale ha iniziato una spesa che si pro tragga nel tempo (cfr. sentenza n. 66 del 16 dicembre 1959; n. 31 del 6 giugno 1961 e n. 36 del 20 giugno dello stesso anno). Anzi, in una sentenza del 30 aprile 1959, n. 30, pur toccando ihcidentalmente la questione, che non rientrava nell'ambito di quel giudizio, non nascose il suo pensiero favorevole all'interpretazione del precetto costituzionale nel senso sopraindicato. N vale addurre in contrario, come fa l'Avvocatura dello Stato, la sentenza n. 33 del 12 maggio 1964, la quale non si propose il problema se la copertura, prevista dagli artt. 11 e 21 della legge 26 ottobre 1957, n. 1047, fosse conforme alla Costituzione, ma si limit ad affermare che, non avendo la legge previsto o autorizzato la spesa per l'assistenza sanitaria a talune categorie di pensionati, non era tenuta, per conseguenza, a indicare i mezzi per far fronte a una spesa, n nuova, n maggiore, ma inesistente. 8. -Si deve pertanto affermare, meglio precisando l'ora citata giurisprudenza, che l'obbligo della copertura deve essere osservato dal legislatore ordinario anche nei confronti di spese nuove o maggiori che la legge preveda siano inserite negli stati di previsione della spesa di esercizi futuri. evidente che l'obbligo va osservato con puntualit rigorosa nei confronti di spese, che incidano sopra un esercizio in corso, per il quale stato consacrato con l'approvazione del Parlamento un equilibrio (che non esclude ovviamente l'ipotesi di un disavanzo), tra entrate e spese, nell'ambito di una visione generale dello sviluppo economico del Paese e della situazione finanziaria dello Stato. altres evidente che una puntualit altrettanto rigorosa per la natura stessa delle cose non richiesta dalla ratio della norma per gli esercizi futuri. Rispetto a questi, del resto, la legge di spesa si pone come autorizzazione al Governo, che la esercita non senza discrezionalit, nel senso della predisposizione nel bilancio, le spese possono essere ridotte o addirittura non iscritte nei capitoli degli stati di previsione della spesa, salvi sempre l'approvazione en giudizio politico del Parlamento, quante volte In dottrina, in generale, per l'interpretazione dell'art. 81 Cost. cfr. MACCANICo, L'art. 81 nel sistema delle garanzie, ecc., Studi sulla Costituzione, Giuffr, 1958, II, 510 segg.; CIANI, L'art. 81 Costituzione, Riv. Pol. Ec. 1959, n. 786, segg.; PETRILLI e PARATORE, Relazione dei Presidenti delle Commissioni Finanze e Tesoro del Senato e della Camera sulla interpretazione deH'art. 81 della Costituzione, in Rass. Parl. 1959, V. 4; SICA, Osservazioni sulla legge di bilancio, Rass. Dir. Pubbl., 1960, 1, 6, segg.; RosINI, Riv. Fin.~ 1961, 70; INGROSSO, L'art. 81 u. c. Cost. e le spese pluriennali, Rass. Fin. Pubbl., 1960, 1, 267; BENTIVEGNA, Elementi di contabilit di Stato, Giuffr, 1955, 152; BuscEMA, Copertura e costituzionalit delle leggi, Riv. Dir. Fin., 1955, 1, !l7; GIANNINI A., Sulla legge di bilancio, Cons. Stato, 1954, II, 67; BuscEMA, Sugli stanziamenti di spesa non sorretti da norme sostanziali, Giur. Cost., 1961, 655; GARGIULO, Sulla costituzionalit delle leggi che auto~: rizzano spese destinate a gravare sugli esercizi fututri, Giust. civ., 1955, I fil I, 849. ,, ..,..., ....~~~:%~:-~::~:.:~~:::=~~-~~~=:;:::::=.::.:::~~-'.::~'.:: PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 9 l'esigenza dell'equilibrio finanziario e dello sviluppo economico-sociale consiglino una diversa impostazione globale del bilancio e la configurazione di un diverso equilibrio. Si deve pertanto ammettere la possibilit di ricorrere, nei confronti della copertura di spese future, oltre che ai mezzi consueti, quali nuovi tributi o l'inasprimento di tributi .esistenti, la riduzione di spese gi autorizzate, l'accertamento formale di nuove entrate, l'emissione di prestiti e via enumerando, anche alla previsione di maggiori entrate tutte le volte che essa si dimostri sufficientemente sicura, non arbitraria o irrazionale, in un equilibrato rapporto con la spesa che s'intende effettuare negli esercizi futuri, e non in contraddizione con le previsioni del medesimo Governo, quali risultano dalla relazione sulla situazione economica del Paese e dal programma di sviluppo del Paese; sui quali punti la Corte potr portare il suo esame nei limiti della sua competenza. 9. -Niente di tutto questo dato ritrovare nella legge impugnata, la quale, senza alcuna indicazione dei mezzi di copertura, si limitata ad autorizzare l'iscrizione di una spesa di 200 miliardi, ripartita in dieci rate di 20 miliardi ciascuna, in dieci esercizi successivi con inizio dall'esercizio 1960-61, ritenendo ci sufficiente per sfuggire al precetto -0.ell'art. 81. evidente, pertanto, al lume delle sovraesposte considerazioni, la illegittimit costituzionale delle norme impugnate. (Omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 10 gennaio 1966, n. 2 -Pres. Ambrosini - Rel. Benedetti -Gestione Case per Lavoratori (Sost. Avv. Gen. Stato Albisinni). Espropriazione per pubblica utilit -Giunta speciale per le espropria zioni nella citt di Napoli -Estensione anche alle espropriazioni nella provincia di Napoli -Illegittimit costituzionale. (Cost., art. 77, comma primo; r. d. 11 aprile 1926, n. 752, art. 2, comma secondo; 1. 24 dicembre 1925, n. 2299; d. 1. 1. 27 febbraio 1919, n. 219, art. 17). costituzionalmente illegittima, per eccesso dai limiti della delega legislativa stabilita dalla legge 24 dicembre 1925, n. 222.9, la disposizione dell'art. 2 secondo comma, r.d. 11 aprile 1926, n. 752, nella parte in .cui estende anche alla Provincia di Napoli la competenza della Giunta per le espropriazioni della citt di Napoli, stabilita con l'art. 17 del d.l.l. 27 febbraio 1919, n. 219 (1). (1) La questione ha tratto origine dalla ordinanza 26 novembre 1963 -della Corte di Appello di Napoli (Gazzetta Ufficiale 29 agosto 1964, n. 212). Non si costituito nel giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri. L'Avvocatura, peraltro, intervenuta a sostegno delle ragioni della GESCAL, 10 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (Omissis). 2. -La Giunta speciale delle espropriazioni presso la Corte di appello di Napoli -istituita in virt dell'art. 17 del decreto legge luogotenenziale 2'7 febbraio 1019, n. 219, concernente Provvedimenti a favore della citt di Napoli convertito nella legge 24 agosto 1921, n 1920 aveva, in origine, una potest giurisdizionale territorialmente limitata al solo Comune di Napoli. In deroga alle disposizioni della legge generale sulle espropriazioni per pubblica utilit, la citata norma attribuisce, infatti, alla Giunta -anzich al giudice ordinario -la determinazione in via contenziosa, delle indennit per le espropriazioni relative a beni immobili siti nel Comune di Napoli per le quali siano applicabili le d,isposizioni di cui agli artt. 12 e 13 della legge 15 gennaio 1885, n. 2.892, sul risanamento di Napoli. L'ambito territoriale di questa speciale giurisdizione sub, per, una estensione per effetto del r.d. 11 aprile 1926, n. 752, contenente Poteri dell'Alto Commissariato per la citt e la provincia di Napoli rn in materia di espropriazioni di pubblica utilit. L'art. 2. di tale decreto, infatti, nell'attribuire all'Alto Commissariato la facolt di dichiarare indifferibili ed urgenti le opere di pubblica utilit da eseguirsi nella citt e nella provincia di Napoli, richiama, nel secondo comma, l'art. 17 I del d.11.. 219 del 1919 riguardante la Giunta speciale, s che dal coordii:; . namento tra le citate disposizioni dato chiaramente inferire l'esten l sione della giurisdizione della Giunta alle procedure espropriative ese' guite nella Provincia di Napoli. 3. -Ci premesso, venendo all'esame di merito della questione prospettata, per giudicare circa la sussistenza o meno del dedotto eccesso di delega occorre accertare, attraverso un processo di raffronto tra la norma delegata e quella delegante, se vi sia conformit o divergenza tra le due norme; se cio rientri nella legge di delegazione il potere del Governo in ordine alla operata estensione della competenza terriritoriale della Gaunta. Il quesito trova facile risposta, in senso negativo, nel titolo e ancor pi nel testo letterale della legge di delega 24 dicembre 1925, n. 2299. la quale aveva -rettamente, secondo la decisione in rassegna -adito il giudice ordinario_ e non la Giunta speciale, trattandosi di controversia rela tiva ad espropriazione di beni siti in provincia, e non nella citt di Napoli. In merito a tale discriminazione di competenza territoriale, si pu osservare che -stante la pacifica interpretazione delle norme sulla giunta speciale, nel senso che esse dovevano riferirsi anche alle espropriazioni nella Provincia di Napoli, fossern o meno precedute da dichiarazioni di urgenza ed indifferibilit (cfr. su ci Rel'azione Avv. Gen. Stato per gli anni 1956-60, vol. III, 383) -l'unica alternativa a tale interpretazione era data, sul piano della validit costituzionale delle norme delegate, dalla riscontrabile sussistenza di u.n eccesso dai limiti della legge di delegazione. Il che si verificato nella fattispecie. PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 11 Con essa il legislatore dell'epoca, nell'intento di adottare provvedimenti sull'organizzazione degli uffici per l'esecuzione di opere pubbliche nel mezzogiorno e nelle isole, autorizzava il Governo (art. 1) ad emanare disposizioni aventi vigore di legge per regolare... mediante modificazioni agli ordinamenti attuali il decentramento e l'unificazione delle funzioni ora esercitate dai diversi ministeri per l'esecuzione delle opere pubbliche nonch per l'adozione di tutte le provvidenze comunque dirette al miglioramento delle condizioni economiche, igieniche e sociali delle provincie meridionali . Trattavasi, com' evidente, di un delega per la realizzazione di un largo decentramento e contemporanea unificazione di funzioni esclusivamente amministrative che il Governo intendeva attuare al fine di avviare a concreta soluzione l'annoso e grave problema del Mezzogiorno. La natura e l'estensione dei poteri delegati risultano, peraltro, evidenti al lume dei lavori preparatori della legge in esame in cui si parla di decentrare i poteri amministrativi, per modo che la deliberazione sia pi vicina alla realt di decentramento limitato ad un campo amministrativo perfettamente identificato e determinato , di creazione di nuovi istituti nei quali dovranno essere concentrate le facolt che in materia di lavori pubblici e di interventi statali... sono adesso distribuite tra le varie branche dell'Amministrazione centrale e precisamente del Ministero dei lavori pubblici, della Economia nazionale, dell'Interno e della Pubblica Istruzione . Non poteva quindi il Governo, nell'attuazione di una delega riguardante esclusivamente gli ordinamenti amministrativi, dettare norme in materia di giurisdizione estendendo al territorio della Provincia di Napoli la competenza della Giunta speciale che l'art. 17 del d.1.1. 219 del 19'19 aveva previsto solo per la citt di Napoli. Cos operando il legislatore ha esorbitato dai poteri conferitigli e, pertanto, l'art. 2, comma secondo, del r. d. n. 752 del 1926 va dichiarato costituzionalmente illegittimo in relazione al disposto dell'art. 77, comma primo, della Costituzione, secondo il quale il Governo non pu, senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria. (Omissis). Con la decisione di cui sopra, pertanto, resta ridimensionata la competenza della Giunta speciale per le espropriazioni per la citt di Napoli, la quale limitata alle sole vertenze interessanti beni siti nell'ambito comunale. De iure condendo ., tuttavia, sembra auspicabile una revisione anche di questa residua competenza, che non si vede quale pratica ragione abbia di sussistere, ora che gli interventi dello Stato, con l'istituzione e la proroga della Cassa per il Mezzogiorno, e le altre provvidenze a favore delle zone depresse del Centro-Nord, hanno assunto natura generale e programmatica, e lo stesso criterio della legge di Napoli per la determinazione delle indennit di esproprio sta assurgendo a parametro di carattere generale (cfr. Relazione, cit., vol. III, 331). 12 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE COSTITUZIONALE, 13 gennaio 1966, n. 3 -Pres. Ambrosini Rei. Sandulli -Zona (n. c.). Reato -Reato e pena -Pene accessorie conseguenti all'interdizione dai pubblici uffici -Privazione degli stipendi, pensioni ed assegni, a carico dello Stato o di altro ente pubblico -Illegittimit costituzionale. (Cost., artt. 3, 36; c. p., art. 28, secondo comma, n. 5). costituzionalmente iUegittima, per violazione sia del diritto alta retribuzione stabilito aU'art. 36 Cost., sia deU'uguaglianza dei cittadini, sancita neU'art. 3 Cost., la norma deU'art. 28, secondo comma, n. 5 del c. p., la quale, all'interdizione dai pubblici uffici, fa seguire la 'perdli;ta degli stipendi, della pensione o di altri assegni dovuti al condannato da parte dello Stato o di altro Ente pubblico (1). (Omissis). Entro i riferiti limiti la Corte ritiene fondata la questione, ai sensi degli artt. 36 e 3 della Costituzione. Con riferimento all'art. 36, da osservare che la retribuzione dei lavoratori -tanto quella corrisposta nel corso del rapporto di lavoro, quanto quella differita, a fini previdenziali, alla cessazione di tale rapporto, e corrisposta, sotto forma di trattamento di liquidazione o di quiescenza, a seconda dei casi, allo stesso lavoratore o ai suoi aventi causa -rappresenta, nel vigente ordine costituzionale (che, tra l'altro, l'art. 1 della Costituzione definisce fondato sul lavoro), una entit fatta oggetto, sul piano morale e su quello patrimoniale, di particolare (1) La questione era stata sollevata dal Tribunale di Varese ,con ordinanza 6 maggio 1965 (Gazzetta Ufficiale 3 luglio 1965 n. 163). Non essendovi stata costituzione in giudizio di alcuna parte, essa veniva decisa con procedimento in camera di Consiglio. In conformit al disposto dell'art. 27 legge 11 marzo 1953 n. 87, la Corte ha poi, nel dispositivo, dichiarato l'illegittimit costituzionale di norme analoghe o dipendenti da quella denunciata, e precisamente: 1) l'airt. 28, terzo comma cod. pen., nei limiti in cui i diritti del condannato traggono origine dal rapporto di lavoro; 2) l'art. 183, primo comma, lett. a) e terzo comma, del t. u. 21 febbraio 1895 n. 70, sulle pensioni civili e militari; 3) l'art. 29, primo comma, lett. a) e quarto comma, r.d.1. 31 dicembre 1925 n. 2383 sul trattamento di quiescenza dei salariati statali; 4) 'l'airt. 43 primo comma, n 1, e quarto comma, del r.d.1. 3 marzo 1938 n. 680, sulla Cassa di previdenza degli impiegati di Enti statali; 5) l'art. 42, primo comma, n. 1, comma secondo, e l'art. 43 della legge 25 luglio 1941 n..934 sulla Cassa di previdenza Salariati Enti locali; PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 13 protezione. L'art. 36 garantisce espressamente il diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantit e qualit del lavoro prestato ed in ogni caso sufficiente ad assicurare al lavoratore e alla famiglia una esistenza libera e dignitosa. E non appare compatibile con i principi ispiratori di questo precetto costituzionale collegare indiscriminatamente (come fa l'art. 28, n. 5, c. p., integrato dall'art. 29), per il personale degli enti pubblici e i loro aventi causa, la perdita di tale diritto al fatto che il titolare di esso abbia riportato la condanna a una certa pena detentiva. La Corte non intende escludere in via assoluta la possibilit di misure del genere di quella in esame a carico di trattamenti economici traenti titolo da un rapporto di lavoro. Non pu ritenersi conforme alla Costituzione per che una sanzione siffatta venga collegata puramente e semplicemente all'entit della pena detentiva inflitta, cos come attualmente dispone l'art. 29 del c. p. da aggiungere poi, con riferimento all'art. 3 della Costituzione, che la disposizione denunciata non appare conciliabile col fatto che il trattamento retributivo avente titolo in un rapporto di lavoro riveste carattere non dissimile, nella sostanza, -e anche a tale riguardo ha decisiva importanza l'art. 36 :-. a seconda che sia posto a carico di una pubblica amministrazione o di un soggetto privato. In tale situazione, la disparit fatta dall'art. 28, n. 5, del c. p. correlato con l'art.. 29, in danno delle persone retribuite a carico di enti pubblici e dei loro aventi causa, ai fini della automatica e indiscriminata perdita, in conseguenza della interdizione dai pubblici uffici per qualsiasi causa, del trattamento economico collegato al rapporto di lavoro, non appare ispirata a ragioni sufficienti a giustificarla, n poggiata su idonea base. Ritiene perci la Corte che, con riferimento ai diritti collegantisi a un rapporto di lavoro, la norma n. 5 dell'art. 28 del c. p. sia, nella attuale formulazione, costituzionalmente illegittima. (Omissis). 6) l'art. 36, primo comma, e l'art. 37, primo comma, deUa legeg6 luglio 1939 n. 1035 sulla Cassa pensione ai sanitari. La giurisprudenza ormai consolidata nel senso della precettivitdell'art. 36 Cost. C:fu'. Cass. 11 marzo 1963, n. 1164, Foro it., Rep. 1964, voce Lavoro (rapp.), n. 300; 18 luglio 1961, n. 1745, Foro it., 1962, I, 530; 18 febbraio 1960, n. 280, id. 1961, I, 677, con ampi richiami di P. SANDULLI. Per la dottrina, oltre gli AA. richiamati nella nota cit., si vedano, per il carattere programmatico di detta norma costituzionale, PETRACCONE, Su alcuni probl'emi fondamentali dell'art. 36 della Cost., Riv. dir. lav., 1963, I, 89; DEL GIUDICE, La giurisprudenza arrischiata sull'art. 36, Boll. se. perf., TS, 1963, 52; SANTORO PASSARELLI, Nuove prospettive della giurisprudenza sulla retribuzione sufficiente, Riv. dir. comm., 1961, II, 211, PROSPERETTI, n principio della retribuzione sufficiente, Riv. dir. lav., 1956, I, 173; MAssAi:tr,: L'art. 36 della Cost. principio programmatico e non norma precettiva, Mass. giur. lav., 1953, 65. 14 I RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE COSTITUZIONALE, 13 gennaio 19616, n. 4 -Pres. Ambrosini Rei. Branca -Fresidente Regione Siciliana (avv. Crisafulli, Sorren ' tino) C. Presidente Consiglio dei Ministri (Sost. Avv. Gen. Stato Guglielmi). Sicilia -Potere generale di annullamento del Governo -Conflitto di attribuzioni per violazione dello Statuto regionale -Infondatezza. (Stat. reg. sic. art. 21; r. d. 3 marzo 19.34, n. 383, art. 6). L'annuilamento di ufficio di atti amministrativi i comuni e pll'ovince della Regione Siciliana non materia che interessi la Regione nel senso pll'evisto dall'art. 21 del suo Statuto, [trattandosi deU'esercizio di un potere i aita amministrazione, di spettanza el Governo derte, per dichiarare non fondata la questione, ha scelto la via della interpretazioneadeguatrice, facendo proprio l'elaborato della d<>ttrina e della giurisprudenza prevalenti in tema di discriminazione tra le ipotesi di concorso forrmale di reati (art. 81, primo comma) e quelle del reato continuato (art. 81, secondo comma). Mentre una interpretazione meramente letterale e formalistica delle citate disposizioni potrebbe indurre a ritenere sussistente il reato conti -~ ' ' . . . IIl ~ i' I li PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 21 'Con l'art. 3 della Costituzione, che sancise l'eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge. La disparit di trattamento non sarebbe, in :tal caso, dettata da una situazione particolare di fronte alla quale il legislatore possa ragionevolmente disporre una diversa disciplina. La questione non fondata. L'ordinanza riconosce che nella giurisprudenza prevalente l'opinione che il trattamento del reato continuato (art. 81, secondo comma, del c.p.) debba estendersi anche alla ipotesi in cui, con una unica azione ad effetto siano prodotte pi violazioni simultanee della stessa disposizione di legge. Secondo questa interpretazione, il fondamento e la ragione della disposizione che, con una fi,ctio juris, considera come reato unico (continuato) questa pluralit di reati, risiedono nella unicit del disegno criminoso, che attenua la responsabilit penale. Identica unit di disegno criminoso da riconoscersi per la ipotesi in cui una sola sia l'azione od omissione, alla quale consegua una pluralit di beni violati e quindi una pluralit di infrazioni giuridiche. Nell'affermare inoltre che il reato continuato pu essere commesso anche con una sola azione od omissione, si aggiunge che l'art. 81 parla di pi azioni od omissioni, non nel senso che esse debbano necessariamente essere plurime, ma piuttosto nel senso che possano essere anche pi di una. Con siffatta interpretazione, le due ipotesi vengono equiparate sotto il riflesso che, sussistendo una violazione plurima della stessa disposizione di legge, non ha rilevanza -agli effetti dell'art. 81 c.p. -che una o pi siano le azioni o le omissioni. E le due ipotesi vengono entrambe assunte sotto la disciplina del reato continuato, in quanto nell'uno e nell'altro caso sussiste quella unicit di disegno criminoso che nuato, punito con la pena meno grave indicata nel terzo comma dell'art. 81 c. p., solo in presenza di una pluralitd di azioni od omissioni violatrici della stessa disposizione di legge, una pi razionale e sostanzialistica interpretazione ritiene assoggettabile al medesimo regime giuridieo anche reati che hanno origine da una sola azione od omissione. Non si vede, infatti, perch dovrebbe essere punito in maniera pi grave chi, ad esempio, in presenza di pi persone riunite, pronunciasse un'ingiuria collettiva nei loro confronti, rispetto a colui che ingiuriasse -eparatamente le stesse persone. Per ovviare a questa sperequazione, la dottrina e giurisprudenza, come detto, hanno adottato una interpretazione pi lata del reato continuato, mdo leva non tanto sull'elemento materiale ed estrinseco dell'unit o del uralit delle azioni od omissioni, quanto sull'elemento psicotogico del ..dlit del disegno criminoso (cfr. LEONE, Reato abituale, continuato e per mamente, Napoli, 1933, 218; MoRo, Unitd e pluralitd di reati, Padova, 1954, 208; Cass. 6 novembre 1961, Ricci, Giust. pen., 1962, II, 606; Cass. 26 giugno 1961, rie. Scelsi, ivi, 1963, II, 871; Cass. 15 maggio 1962 rie. P. M., ivi, 1963, II, 425). Tale orientamento non , per, assoluto, essendosi tornati, in qual che sentenza, alla tesi pi rigorosa (Cass. 6 marzo 1964, rie. Benito, Giusfl. pen., 1964, II, 803). augurabile che queste punte interpretative delle norme in esame si adeguino e rientrino in quella che la loro interpretazione corrente, fatta propria anche dalla Corte Costituzionale con la decisione in rassegna; in diversa ipotesi, apparirebbe difficile, per le ragioni gi dette, contestare la sperequazione nella punizione di fattispecie legali sostanzialmente identiche. 22 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ha indotto il legislatore a considerare i vari reati legati fra di loro, fino ad esere puniti come se fossero unico reato. Orbene, la prevalente interpretazione, alla quale questa Corte ritiene di aderire, esclude la differenza di trattamento lamentata dall'ordinanza e raggiunge altres l'effetto di un armonico rapporto di proporzione fra il reato commesso e la misura della pena. (Omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 8 febbraio 1966, n. 10 -Pres. Ambrosini - Rel. Fragali. Procedimento penale -Tribunale per i minorenni -Esclusione di com petenza allorch vi siano coimputati maggiori di anni 18 -Con trasto col principio di eguaglianza Esclusione. (Cost. art. 3; r. d. I. 20 luglio 1934, n. 1404, art. 9, secondo comma). Non contrasta col principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione la disposizione contenuta nell'art. 9, secondo comma, del r.d.l. 20 luglio 1934, n. 1404, istitutivo del Tribunale dei minorenni, la quale esclude la competenza di detto T1ibunale anche per i minori allorch con questi siano imputati maggiori degli anni 18, dato che la diversit di trattamento che in tale ipotesi il minore riceve rispetto ad altri minori, dipende, sia quanto alla competenza, sia quanto al procedimento, da diversit sostanziale di situazioni (1). (Omissis). La sentenza di questa Corte del 4 luglio 1963, n. 130, ha deciso che non contrasta con l'art. 2,5 della Costituzione la deroga alla competenza generale del Tribunale dei minorenni, quando siano coimputati maggiori e minori dei diciotto anni; e ci sotto il riflesso che essa ispirata alla necessit del simultaneus processus per ogni caso di connessione, che alla base di uno dei criteri fondamentali di attribuzione della competenza giurisdizionale. (1) Questione sollevata dal Pretore di Iseo con ordinanza 12 gennaio 1965 (Gazzetta Ufficiale 27 febbraio 1965, n. 52), e decisa con procedimento in Camera di Consiglio non essendovi stata costituzione di akuna parte. Con la precedente sentenza 13 luglio 1963 n. 130 (Giust. pen. 1963, I, 278), citata varie volte in motivazione, la Corte aveva dichiarato l'illegittimit costituzionale della stessa norma, nella parte in cui facultizzava discrezionalmente il Procuratore Generale a disporre lo strali.do del procedimento a carico dei coimputati maggiori degli anni 18. La violazione costituzionale era ravvisata con riferimento all'art. 25 Cost., sulla competenza del Giudice naturale (su di che cfr. PxzzoRusso, La competenza del giudice come materia coperta da riserva di legge, Giur. it., 1963, I, 1, 1313; SOMMA, La competenza del Tribunale per i minorenni e l'attuazione del principio di eguaglianza, Riv. it. dir. e pro,c. pen., 1963, 975). PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 23 Questa deroga non contraddice nemmeno alla norma dell'art. 3 della Costituzione, come ora invece dubita il Pretore di Iseo. Non vi contraddice perch la circostanza che il minore degli anni diciotto sia imputato in concorso con persone di et maggiore, causa una situazione diversa da quella in cui imputati siano soltanto minori, e rende inevitabile una normativa particolare. L'unicit del procedimento , in questo caso, giustificata dalla esigenza di uniformit nel giudizio sull'accertamento del fatto e sulla sua valutazione; che una regola razionale di scelta legislativa, a preferenza dell'altra implicante la separazione dei procedimenti, la quale crea rischio di incoerenza o di contrasti di decisioni, oppure soltanto di incompletezza nell'esame dei fatti. Presupposta la necessit di precostituire la competenza di uno solo di quegli organi giurisdizionali che ne avrebbero potuto avere l'attribuzione, la legge ha ritenuto opportuno attrarre il minore nella competenza del giudice precostituito per il maggiore degli anni diciotto, anzich portare quest'ultimo innanzi al giudice dei minorenni, sulla base di una valutazione della concreta idoneit dei due organi all'esplicazione della rispettiva funzione nel procedimento unico. Questa Corte, nella citata sentenza del 4 luglio 1963, n. 130, ha avvertito che la scelta compiuta dalla legge non pu formare oggetto di sindacato di legittimit costituzionale; e il giudizio cos espresso deve ora essere confermato, sia perch il simultaneus processus potrebbe talora essere imposto proprio da una esigenza di uguaglianza fra i coimputati ove si consideri il pericolo gi accennato di difformit di giudizio sulle medesime ipotesi di fatto, sia perch la legge istitutiva del Tribunale dei minorenni d la possibilit della separazione dei processi ove l'unico processo non fosse ritenuto indispensabile. La norma che permette tale divisione fu dichiarata illegittima con la suddetta sentenza 4 luglio 1963, soltanto nella parte in cui affidava al Procuratore generale della Corte di appello ogni decisione sull'opportunit dello spostamento di competenza, e gli dava poteri espressamente qualificati come esenti da qualsiasi sindacato. La stessa sentenza salva una nuova disciplina della materia ; ma la mancanza attuale di questa nuova normativa n include l'illegittimit costituzionale del principio di separabilit dei procedimenti, n travolge nell'illegittimit costituzonale la regola che unifica il processo innanzi all'organo ordinario, ove debba essere ritenuto inscindibile. Potrebbe, se mai, imporre di intendere il sistema nella sua completezza, per decidere se esso, quando, nella singola fat- La sentenza in rassegna, invece, considera l'art. 9 sotto il diverso profilo visuale prospettato dall'ordinanza di remissione, quello della sperequazione di trattamento riservato ai minori soli rispetto a quelli coimputati con maggiori, specie con riferimento alle garanzie tecniche del giudice specializzato. Ma (la Corte ha espressamente fatto prevalere il ,principiodella connessione su quello della specializzazione, data la generalit della sua applicazione. Sui problemi della competenza del Tribunale dei minorenni nella ipotesi di connessione cfr. in dottrina BAVIERA, Diritto minorile, Milano, 1957, 23, segg,; CoNso, Prospettive in ordine alla legittimitd all'art. 9 legge minorile, Riv. it. dir. e proc. pen., 1963, 251. 24 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO tispecie, l'unione non si giustifichi, solleciti l'ordinaria competenza del giudice a pronunciare sulla necessit della scissione, per meglio realizzare la volont della legge istitutiva del Tribunale dei minorenni. Non si vede pertanto come il principio di uguaglianza resti compromesso dalla norma denunciata, che contiene in s un temperamento al rigore della regola di connessione. Quando questo temperamento non risulta attuabile, la diversit di trattamento che il minore riceve rispetto ad altri minori dipende, sia quanto alla competenza sia quanto al procedimento e quindi alla specializzazione della difesa (sulla quale particolarmente si sofferma l'ordinanza di rimessione), da una diversit sostanziale della situazione che si determina quando sono coimputati maggiori e minori di diciotto anni rispetto a quella che si concreta quando gli imputati hanno tutti una et minore dei diciotto anni. Questa diversit va considerata anche se implica il sottrarre competenza ad un giudice specializzato, perch i principi della connessione non concernono soltanto problemi di ripartizione di competenza tra giudici ordinari, come invece ritiene il Pretore di Iseo (arg. art. 49 c.p.p.). (Omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 12 febbraio 1966, n. 11 -Pres. Ambrosini -Rel. Bonifacio -Pres. Regione Trentino-Alto Adige (avv. Guarino) c. Presidente Consiglio dei Ministri (Sost. Avv. Gen. dello Stato Tracanna). Trentino-Alto Adige -Case economiche e popolari -Poteri decisori in materia di impiego del Fondo per l'incremento edilizio -Trasferimento alla Regione -Esclusione. (St. reg. Trentino-Alto Adige, art. 11, n. 11; D. P. R. 26 gennaio 1959, n. 28, art. 3; I. 10 agosto 1950, n. 715, artt. 12 e segg.). Trentino-Alto Adige -Fondo per l'incremento edilizio -Illegittimit costituzionale delle relative norme e delle norme di attuazione Insussistenza. (St. Reg. Trentino-Alto Adige art. 11, nn. 11, 13, 59; D. P. R. 26 gennaio 1959, n. 28; I. 10 agosto 1950, n. 715). Appartengono agii organi dello Stato, e non a queUi deUe Provincie detia Regione Trentino-Atto Adige, i poteri decisori circa lo impiego del Fondo incremento edilizio di cui alla legge 10 agosto 1950, n. 715, e l'ammissione dei richiedenti alle provvidenze finanziarie ivi previste, dato che agli organi periferici sono state attribuite solo le competenze per l'accertamento dei requisiti richiesti dalla legge, con l-:~ t ' ' . .>ARTE I, SEZ. I, G!URIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE esta deroga non contraddice nemmeno alla norma dell'art. 3 ostituzione, come ora invece dubita il Pretore di Iseo. in vi contraddice perch la circostanza che il minore degli anni :> sia imputato in concorso con persone di et maggiore, causa tuazione diversa da quella in cui imputati siano soltanto minori, le inevitabile una normativa particolare. L'unicit del procedi' , in questo caso, giustificata dalla esigenza di uniformit nel do sull'accertamento del fatto e sulla sua valutazione; che :egola razionale di scelta legislativa, a preferenza dell'altra impli: la separazione dei procedimenti, la quale crea rischio di incoea o di contrasti di decisioni, oppure soltanto di incompletezza nelme dei fatti. Presupposta la necessit di precostituire la competenza mo solo di quegli organi giurisdizionali che ne avrebbero potuto re l'attribuzione, la legge ha ritenuto opportuno attrarre il minore la competenza del giudice precostituito per il maggiore degli anni iotto, anzich portare quest'ultimo innanzi al giudice dei minorenni, la base di una valutazione della concreta idoneit dei due organi .'esplicazione della rispettiva funzione nel procedimento unico. Questa >rte, nella citata sentenza del 4 luglio 1963, n. 130, ha avvertito che scelta compiuta dalla legge non pu formare oggetto d sindacato l legittimit costituzionale; e il giudizio cos espresso deve ora essere onfermato, sia perch il simultaneus processus potrebbe talora essere mposto proprio da una esigenza di uguaglianza fra i coimputati ove li consideri il pericolo gi accennato di difformit di giudizio sulle medesime ipotesi di fatto, sia perch la legge istitutiva del Tribunale dei minorenni d la possibilit della separazione dei processi ove l'unico processo non fosse ritenuto indispensabile. La norma che permette tale divisione :fu dichiarata illegittima con la suddetta sentenza 4 luglio 1963, soltanto nella parte in cui affidava al Procuratore generale della Corte di appello ogni decisione sull'opportunit dello spostamento di competenza, e gli dava poteri espressamente qualificati come esenti da qualsiasi sindacato. La stessa sentenza salva una nuova disciplina della materia ; ma la mancanza attuale d questa nuova normativa n include l'illegittimit costituzionale del principio di separabilit dei procedimenti, n travolge nell'illegittimit costituzonale la regola che unifica il processo innanzi all'organo ordinario, ove debba essere ritenuto inscindibile. Potrebbe, se mai, imporre di intendere il sistema nella sua completezza, per decidere se esso, quando, nella singola fat- La sentenza in rassegna, invece, considera l'art. 9 sotto il diverso profilo visuale prospettato dall'ordinanza di remissione, quello della sperequazione di trattamento riservato ai minori soli rispetto a quelli coimputati con maggiori, specie con riferimento alle garanzie tecniche del giudice specializzato. Ma (I.a Corte ha espressamente fatto prevalere il principiodella connessione su quello della specializzazione, data la generalit della sua appUcazione. Sui problemi della competenza del Tribunale dei minorenni nella ipotesi di connessione cfr. in dottrina BAVIERA, Diritto minorile, Milano, 1957, 23, segg.; CoNso, Prospettive in ordine alla legittimit aU'art. 9 legge minorile, Riv. it. dir. e proc. pen., 1963, 251. 26 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO si deve infatti disattendere, perch non fondata su alcun valido argomento, la tesi subordinatamente sostenuta dalla ricorrente, secondo la quale, in virt delle norme costituzionali dettate per la tutela delle autonomie locali, le attribuzioni trasferite dalle norme di attuazione debbano assumere una sfera pi ampia rispetto a quella propria degli organi statali periferici. Ci posto, da osservare che nel sistema della legge 10 agosto 1950, n. 715, tutti i poteri decisori circa l'impiego del fondo e la ammissione dei richiedenti alle provvidenze finanziarie sono inequivocabilmente riservati alla Commissione statale istituita dall'art. 12 (i provvedimenti della quale sono resi esecutivi con decreto del Ministro dei lavori pubblici), sicch agli uffici periferici del Genio civile, come la Corte ebbe gi ad osservare nella sentenza n. 71 del 1962, non sono riservati che poteri istruttori e di riscontro delle opere finanziate. Il che puntualmente confermato dall'art. 6 della legge, il quale, interpretato nella sua necessaria connessione con l'art. 13 relativo alle funzioni demandate alla Commissione, non pu non intendersi nel senso che l'accertamento della possibilit di eventuale accoglimento delle domande, devoluto al Genio civile nella fase preparatoria di sua com IIpetenza, riguarda esclusivamente la sussistenza dei requisiti richiesti dalla legge e non comporta affatto il potere di operare una compa:~ .;. razione o una graduatoria fra i vari richiedenti, destinata a vincolare .< le determinazioni riservate alla Commissione. La provincia, invece, chiaramente rivendica poteri ampiamente discrezionali e sostanzialmente decisori, come emerge dalla circostanza che anche la pretesa alla previa conoscenza dell'entit della somma annualmente destinata ai finanziamenti sul suo territorio vien fondata sulla sua assunta competenza ad operare una scelta fra le varie domande presentate nel corso dell'anno e sulla conseguente necessit di elaborare, sia pure di intesa con lo Stato, criteri idonei a regolare tale selezione, in primo luogo tenendo conto dell'opportunit di un'equa ripartizione dei fondi fra gli appartenenti a distinti gruppi linguistici. Con il che, come espressamente si afferma nell'atto introduttivo e si ribadisce nella memoria, la provincia intende condizionare attraverso la sua attivit quella della Commissione statale: ma ci non trova alcuna giustificazione nel sistema della legge. Da queste considerazioni, che assorbono tutte le altre osservazioni prospettate dalla Regione, emerge la non fondatezza del ricorso. E va aggiunto che sulla decisione non possono aver affatto incidenza n la circostanza, a puro titolo di informazione resa nota dalla difesa della ricorrente, che nelle more del presente giudizio la Giunta di Bolzano ha stabilito vari criteri ai quali il Comitato urbanistico provinciale deve prestare osservanza, n l'atteggiamento che di fronte a tale atto possa aver assunto lo Stato. 26 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO si deve infatti disattendere, perch non fondata su alcun valido argo mento, la tesi subordinatamente sostenuta dalla ricorrente, secondo la quale, in virt delle norme costituzionali dettate per la tutela delle autonomie locali, le attribuzioni trasferite dalle norme di attuazione debbano assumere una sfera pi ampia rispetto a quella propria degli organi statali periferici. Ci posto, da osservare che nel sistema della legge 10 agosto 1950, n. 715, tutti i poteri decisori circa l'impiego del fondo e la ammissione dei richiedenti alle provvidenze finanziarie sono inequi- vocabilmente riservati alla Commissione statale istituita dall'art. 12 (i provvedimenti della quale sono resi esecutivi con decreto del Ministro dei lavori pubblici), sicch agli uffici periferici del Genio civile, come la Corte ebbe gi ad osservare nella sentenza n. 71 del 1962, non sono riservati che poteri istruttori e di riscontro delle opere finanziate. Il che puntualmente confermato dall'art. 6 della legge, il quale, interpretato nella sua necessaria connessione con l'art. 13 relativo alle funzioni demandate alla Commissione, non pu non intendersi nel senso che l'accertamento della possibilit di eventuale accoglimento delle domande, devoluto al Genio civile nella fase preparatoria di sua competenza, riguarda esclusivamente la sussistenza dei requisiti richiesti I dalla legge e non comporta affatto il potere di operare una comparazione o una graduatoria fra i vari richiedenti, destinata a vincolare le determinazioni riservate alla Commissione. La provincia, invece, chiaramente rivendica poteri ampiamente discrezionali e sostanzial Imente decisori, come emerge dalla circostanza che anche la pretesa alla previa conoscenza dell'entit della somma annualmente destinata II ai finanziamenti sul suo territorio vien fondata sulla sua assunta competenza ad operare una scelta fra le varie domande presentate nel corso dell'anno e sulla conseguente necessit di elaborare, sia pure di intesa con lo Stato, criteri idonei a regolare tale selezione, in primo luogo tenendo conto dell'opportunit di un'equa ripartizione dei fondi fra gli appartenenti a distinti gruppi linguistici. Con il che, come espressamente si afferma nell'atto introduttivo e si ribadisce nella memoria, la provincia intende condizionare attraverso la sua attivit quella della. Commissione statale: ma ci non trova alcuna giustificazione nel sistema della legge. Da queste considerazioni, che assorbono tutte le altre osservazioni prospettate dalla Regione, emerge la non fondatezza del ricorso. E va aggiunto che sulla decisione non possono aver affatto incidenza n la circostanza, a puro titolo di informazione resa nota dalla difesa della ricorrente, che nelle more del presente giudizio la Giunta di Bolzano ha stabilito vari criteri ai quali il Comitato urbanistico provinciale deve prestare osservanza, n l'atteggiamento che di fronte a tale atto possa aver assunto lo Stato. .\RTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 23 --... sta deroga non contraddice nemmeno alla norma dell'art. 3 >stituzione, come ora invece dubita il Pretore di Iseo. a vi contraddice perch la circostanza che il minore degli anni prosini , sia imputato in concorso con persone di et maggiore, causa fi~istri .nazione diversa da quella in cui imputati siano soltanto minori, le inevitabile una normativa particolare. L'unicit del procedi- , in questo caso, giustificata dlla esigenza di uniformit nel :io sull'accertamento del fatto e sulla sua valutazione; che egola razionale di scelta legislativa, a preferenza dell'altra impli' la separazione dei procedimenti, la quale crea rischio di incoea. o di contrasti di decisioni, oppure soltanto di incompletezza nelme dei fatti. Presupposta la necessit di precostituire la competenza mo solo di quegli organi giurisdizionali che ne avrebbero potuto re l'attribuzione, la legge ha ritenuto opportuno attrarre il minore la competenza del giudice precostituito per il maggiore degli anni :iotto, anzich portare quest'ultimo innanzi al giudice dei minorenni, ila base di una valutazione della concreta idoneit dei due organi l'esplicazione della rispettiva funzione nel procedimento unico. Questa orte, nella citata sentenza del 4 luglio 1963, n. 130, ha avvertito che a scelta compiuta dalla legge non pu formare oggetto di sindacato Li legittimit costituzionale; e il giudizio cosi espresso deve ora essere ~onfermato, sia perch il simultaneus processus potrebbe talora essere imposto proprio da una esigenza di uguaglianza fra i coimputati ove si consideri il pericolo gi accennato di difformit di giudizio sulle medesime ipotesi d :fatto, sia perch la legge istitutiva del Tribunale dei minorenni d la possibilit della separazione dei processi ove l'unico processo non fosse ritenuto indispensabile. La norma che permette tale divisione fu dichiarata illegittima con la suddetta sentenza 4 luglio 1963, soltanto nella parte in cui affidava al Procuratore generale della Corte di appello ogni decisione sull'opportunit dello spostamento di competenza, e gli dava poteri espressamente qualificati come esenti da qualsiasi sindacato. La stessa sentenza salva una nuova disciplina della materia; ma la mancanza attuale di questa nuova normativa n include l'illegittimit costituzionale del principio di separabilit dei procedimenti, n travolge nell'illegittimit costituzonale la regola che unifica il processo innanzi all'organo ordinario, ove debba essere ritenuto inscindibile. Potrebbe, se mai, imporre di intendere il sistema nella sua completezza, per decidere se esso, quando, nella singola fat- La sentenza in rassegna, invece, considera l'art. 9 sotto il diverso profilo visuale prospettato dall'ordinanza di remissione, quello della sperequazione di trattamento riservato ai minori soli rispetto a quelli coimputati con maggiori, specie con riferimento alle garanzie tecniche del giudice specializzato. Ma Ila Corte ha espressamente fatto prevalere il principiodella connessione su quello della specializzazione, data la generalit della sua applicazione. Sui problemi della competenza del Tribunale dei minorenni nella ipotesi di connessione cfr. in dottrina BAVIERA, Diritto minorile, Milano, 1957, 23, segg.; CoNso, Prospettive in ordine alla legittimit aU'art. 9 legge minorile, Riv. it. dir. e proc. pen., 1963, 251. PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 29 sizione, il legislatore ha inteso soltanto segnare dei limiti, mirando essenzialmente ad impedire che l'affiittivit superi il punto oltre il quale si pone in contrasto col senso di umanit. Rimane in tal modo stabilita anche la vera portata del principio rieducativo, il quale, dovendo agire in concorso delle altre funzioni della pena, non pu essere inteso in senso esclusivo ed assoluto. Rieducazione del condannato, dunque, ma nell'ambito della pena, umanamente intesa ed applicata. Del resto la portata e i limiti della funzione rieducativa voluta dalla Costituzione appaiono manifesti nei termini stessi del precetto. Il quale stabilisce che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato: espressione che, nel suo significato letterale e logico, sta ad indicare unicamente l'obbligo per il legislatore di tenere costantemente di mira, nel sistema penale, la finalit rieducativa e di disporre tutti i mezzi idonei a realizzarla. Ci, naturalmente, l dove la pena, per la sua natura ed entit, si presti a tal fine. D'altra parte non nemmeno da escludere che la pena pecuniaria possa, di per s, per l'altro verso, adempiere a una funzione rieducativa. Di un diverso, e radicalmente diverso, indirizzo del legislatore ostituente, tale cio da dover alterare il sistema penale sino al punto da escluderne le pene pecuniarie, e con esse, in definitiva, quante altre fossero in analogo rapporto con la possibilit della funzione rieducativa, non v' indizio alcuno nei lavori preparatori della Costituzione. Ch anzi da tali lavori, considerati nel loro insieme e nelle dichiarazioni -non contrastate -di singoli commissari, risulta chiaramente che il legislatore costituente, pur segnando i limiti e le finalit di cui all'art. 27 terzo comma, non intese prendere posizione sul problema generale della funzione della pena, n, tanto meno, pronunciarsi per l'uno o per l'altro dei vari orientamenti della dottrina; ma volle anzi proprio evitare che ci avvenisse, sino al punto che ebbe perfino a manifestarsi la preoccupazione che formule imprecise potessero dare la apparenza del contrario. In conclusione, con la invocata norma della Costituzione si volle che il principio della rieducazione del condannato, per il suo alto significato sociale e morale, fosse elevato al rango di precetto costituzionale, ma senza con ci negare la esistenza e la legittimit della pena l dove essa non contenga, o contenga minimamente, le condizioni idonee a realizzare tale finalit. E ci, evidentemente, in considerazione delle altre funzioni della pena che, al di l della prospettiva del miglioramento del reo, sono essenziali alla tutela dei cittadini e dell'ordine giuridico contro la delinquenza, e da cui dipende la esistenza stessa della vita sociale. (Omissis). fondata la questione relativa alla conversione della pena pecuniaria in pena. detentiva. In dottrina, sulla funzione della pena, VASSALLI, Funzioni ed insujJcienza della pena, Riv. it. dir. e proc. pen., 1961, 297. 30 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE COSTITUZIONALE, 12 febbraio 1966, n. 13 -Pres. Ambrosini Est. Verz -Giansoldati (n. c.) c. Presidente del Consiglio dei Ministri (Vice Avv. Gen. Stato Foligno). Corte Costituzionale -Questione di le~ittimit costituzionale sollevata in via incidentale -Necessit di un ~iudizio -Questione sollevata dal Presidente del Tribunale -Inammissibilit. (Cost. art. 136, 1. cost. 9 febbraio 1948 n. 1, art. 1; 1. 11 marzo 1953 n. 87, art. 23; c. p. c. art. 645; disp. attuaz. art. 43; 1. 25 febbraio 1963 n. 289, art. 3 e 4). inammissibile la questione di legittimit costituzionale degli artt. 3 e 4 della legge 25 febbraio 1963, n. 289, recante modifiche alla Cassa previdenza e assistenza a favore degli avvocati e dei procuratori, sollevata dal Presidente del Tribunale in sede di opposizione ad un atto ingiuntivo per il recupero delle spese di giustizia, dato che il Presidente non autorizzato a prendere alcun provvedimento di natura decisoria sull'opposizione stessa (1). (Omissis). L'eccezione di inammissibilit deve essere accolta perch la questione di legittimit costituzionale non stata sollevata nel corso di un giudizio. Il principio ;fondamentale, secondo il quale la questione di costituzionalit in via incidentale pu essere sollevata soltanto nel corso di un giudizio, stato affermato dalla legge costituzionale 9 febbraio (1) La questione era stata sollevata dal Presidente del Tribunale di Aosta con ordinanza 9 marzo 1965 (Gazzetta Ufficiale 30 aprile 1965, n. 47). La sentenza esattissima nel dispositivo e nella motivazione, costituisce una riconferma' della progressiva evoluzione della giurisprudenza della Corte verso un criterio di rigida interpretazione delle norme che disciplinano l'introduzione del giudizio di legittimit costituzionale in via incidentale. Si ricorder, infatti, che, con la fondamentale sentenza pronunciata sulla materia, la Corte aveva ammesso la proponibilit della questione anche se sollevata in un procedimento di volontaria giurisdizione, facendo leva, pi che sulla qualificazione strutturale dell'organo dal quale la questione veniva proposta, sulla sua funzione di attuare la legge nel caso concreto> (sent. 12 dicembre 1957, n. 129, Giur. it., 1958, I, 1, 1). Il che non aveva mancato di sollevare le riserve dell'Avvocatura (Relazione per gli anni 1956-60, vol. I, I giudizi di costituzionalit pag. 113) col rilievo che anche l'autorit amministrativa chiamata ad applicare la legge, senza che possa ribellarvisi contestandone la legittimit costituzionale. L'orientamento della Corte, con motivazione pressoch analoga, veniva comunque riconfermato con la successiva sentenza 11 marzo 1958, n. 24 (Giur. it., 1958, I, 1, 533), pronunciata su questione sollevata dal Giudice dell'intavolazione di una Pretura del Trentino. Con le successive sentenze, tuttavia, del 20 dicembre 1962, n. 109 e 9 aprile 1963, n. 44 (entrambe in Giur. it., 1963, I, 1, 708 e 938) la Corte escludeva che il Giudice istruttore nel processo civile fosse legittimato a pro PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 31 1948, n. 1, e dall'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87. Il carattere incidentale del giudizio di costituzionalit ancora ribadito da due specifici obblighi imposti dallo stesso art. 23 del giudice a quo: quello di esaminare se il procedimento principale non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimit costituzionale, e quello di sospendere il giudizio in corso . La sussistenza dunque di un procedimento principale condiziona il promovimento del giudizio di costituzionalit davanti a questa Corte. Nella fattispecie, non sussiste tale condizione. Un esposto diretto al Presidente del Tribunale, definito nel contesto come ricorso e contenente la dichiarazione di proporre opposizione ad un atto ingiuntivo per il pagamento di spese di giudizio, fra le quali compreso anche il contributo dovuto alla Cassa di previdenza per gli avvocati e procuratori, non atto idoneo ad instaurare un giudizio e dare quindi luogo allo svolgimento di un procedimento. Infatti, a termini dell'art. 645 del Codice di procedura civile richiamato dall'art. 42 delle relative norme di attuazione, l'opposizione alla ingiunzione di pagamento di spese di giustizia si propone mediante atto di citazione davanti all'ufficio giudiziario al quale appartiene il giudice che ha emesso il decreto ; decreto che nel caso in esame quello che ha reso esecutiva la parcella delle spese redatta dal Cancelliere. Per di pi, il Presidente del Tribunale -al quale era diretto quell'esposto -non era autorizzato a prendere alcun provvedimento al riguardo e non era comunque legittimato a sollevare la questione di legittimit costituzionale per difetto di ogni potere decisorio. (Omissis). porre questioni di legittimit costituzionale in via incidentale. L'esclusione era motivata dal fatto, questa volta, che -bench anche il G.I. sia chiamato ad applicare la legge, ed in particolare le norme di carattere fiscale nel processo, come nell'ipotesi della seconda sentenza -ogni potere decisorio spetta solo ed esclusivamente al Collegio. Questa puntualizzazione del parallelismo fra titolarit del potere decisorio e legittimazione a proporre la questione (gi ammesso dalla dottrina: BARALDI, La questione di legittimit costituzionale e i provvedimenti del giudice nel processo civile, Giur. it, 1958, IV, 1; ABBAMONTE, n processo costituzionale italiano, Napoli, 1957, 31; CAPPELLETTI, La pregiudizialit costituzionale nel processo civile, Milano, 1957, 100) chiaramente ravvisabile anche nella decisione in rassegna. Il Presidente del Tribunale, invero, ex se non ha poteri diversi, nella materia della liquidazione delle spese giudiziali, indicate nell'art. 43 disp. attuaz. cod. proc. civ., da quelli del Capo del Collegio competente per l'opposizione ad un normale decreto monitorio. Anche ammessa, dunque, l'equivalenza della forma del ricorso a quella della citazione prescritta dalla legge, il Presidente del Tribunale avrebbe, al pi, potuto assumere la figura di Giudice istruttore nel giudizio, sfornito di ogni potere decisorio rispetto alla questione di merito nella quale la questione di legittimit costituzionale veniva ad innestarsi. E questa considerazione giustifica pienamente, in conformit coi precedenti citati, la decisione di inammissibilit adottata dalla Corte. 5 SEZIONE SECONDA GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un, 30 aprile 1965, n. 787 -Pres. Lonardo -Est. Cesaroni -P. M. Tavolaro (conf.) -A.C.E.A. (avv. Toscano) c. Muzi (avv. Agostini) e c. Ministero Tesoro (avv. Stato Del Greco). Impiego pubblico -Commissione di epurazione -Parere in ordine alla riassunzione di dipendenti licenziati per motivi politici -Carattere vincolante anche in ordine all'implicito accertamento della dipendenza dell'interessato dall'Azienda o dall'Ente -Trasformazione dell'interesse in diritto soggettivo del dipendente alla riassunzione. (r. d. 1. 28 dicembre 1943, n. 29/B, art. 3; r. d. 1. 6 gennaio 1944, n. 9, art. 2). Impiego pubblico -Ente pubblico economico -Assunzione dell'obbligo di riconoscere ad un dipendente anzianit retrodatata -Recesso unilaterale -Inammissibilit. (c. c. artt. 2118 e 2119; r. d. 1. 13 novembre 1924, n. 1825 artt. 9 e 10). Impiego pubblico -Ente pubblico economico -Delibera di riassunzione di un dipendente licenziato per motivi politici -Errore circa la portata delle disposizioni concernenti la riassunzione -Sussistenza Apprezzamento di fatto -Sindacabilit in Cassazione -Esclusione. (c. c. art. 1427; c. p. c., art. 360). La valutazione, da parte delle Commissioni provinciali di cui allo art. 3, lett. b, r.d.l. 28 dicembre 1943, n. 29/B, della sussistenza delle condizioni per la riassunzione in servizio delle persone dispensate o licenziate per motivi politici, implica l'accertamento anche della dipendenza dell'interessato dall'Azienda o dall'Ente, costituente necessario presupposto della valutazione riguardante il motivo del licenziamento. Qualora il parere non sia impugnato avanti alla Commissione di secondo grado e divenga definitivo, esso vincola l'ente o l'azienda, essendo idoneo a trasformare l'interesse del dipendente in diritto sog gettivo alla riassunzione (1). (1) Non si rinvengono precedenti specifici circa la portata della valutazione compiuta dalle Commissioni di epurazione con riferimento non soltanto all'accertamento dell'esistenza del motivo ,politico, ma anche all'accertamento della preesistenza del rapporto di impiego. Circa l'efficacia PARTE I, SEZ. II, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 33 L'A.C.E.A., una volta riassunto il dipendente con attribuzione di anzianit retrodatata, non pu liberarsi unilateralmente da tale obbligo, attesa la sua qualit di ente pubblico economico e la conseguente applicazione al rapporto di lavoro delle norme di diritto privato (2). L'esame sulla sussistenza e sui requisiti dell'errore -ai fini dell'annullamento dell'atto di assunzione -si risolve in un apprezzamento di fatto riservato al Giudice di merito onde la relativa questione sfugge al sindacato di legittimit della Corte di Cassazione (3). (Omissis). Con il primo mezzo si denunciano i vizi di violazione di legge e di difetto di motivazione su punto decisivo della controversia, in quanto la Corte, nel ritenere vincolante il parere della Commissione di epurazione, non avrebbe considerato che, per l'art. 3 del r.d.l. 6 gennaio 1944, n. 9, alla detta Commissione era demandata solo la valutazione della sussistenza o meno del motivo di licenziamento, restando all'Amministrazione la potest di valutare la sussistenza di tutte le altre condizioni richieste per la riassunzione in servizio dell'ex dipendente. Nella specie, quindi, mancando al Muzi il requisito base per essere riammesso in servizio non essendo mai stato un dipendente dell'Acea, nessun valore vincolate poteva attribuirsi, sotto questo aspetto, al parere della commissione di epurazione, basato, a sua volta, sul falso presupposto che il decreto del 1'944 potesse applicarsi anche a coloro che non erano stati assunti in servizio per motivi politici. II motivo infondato. L'art. 2 della citata legge n. 9 del 1944 prevede la riassunzione in servizio di coloro che possono dimostrare che la loro dispensa dal servizio o il loro licenziamento sia dovuto a motivi politici . vincolante dell'accertamento della Commissione e la conseguente trasformazione dell'interesse legittimo dell'ex dipendente in diritto soggettivo alla riassunzione, conforme Oass., 18 marzo 1955, n. 823, Giust. civ., 1955, I, 1324 (F. Battistoni). (2) La Corte di Cassazione ha costantemente affermato che i rapporti di lavoro con enti pubblici economici sono da ritenere disciplinati dalle norme di diritto privato, deducendo da tale principio la devoluzione alla Autorit giudiziaria delle relative controversie. Cfr. Cass., Sez. Un., 19 febbraio 1964, n. 362, Foro It., 1964, I, 666; Sez. Un., 12 ottobre 1962, n. 2966, Giust. civ., 1963, I. 561 .e, da ultimo, Sez. Un. 7 giugno 1965, n. 1120 e 25 maggio 1965, n. 1025 in questa Rassegna, 1965, I, 659 ed ivi A. FRENI, Osservazioni sulle controversie relative ai rapporti di impiego dei dipendenti della pubblica economia. Al riguardo, tuttavia da notare che il Consiglio di Stato ha invece ritenuto che le contro:versie concernenti il rapporto d'impiego con enti pubblici ed economici rientrino nella giurisdizione amministrativa (Consiglio di Stato, Sez. VI, 19 dicembre 1964, n. 991, Il Consiglio di Stato, 1964, I, 2273; Sez. V, 31 gennaio 1964, n. 141, Foro it. Rep., 1964, voce Impiegato dello Stato, n. 659 (F.B.). (3) Massima pacifica:. Cfr. Cassazione, 16 dicembre 1960, n. 1177; 23 luglio 1959, n. 2378, Sett. Cass. 1959, 470, 11 maggio 1955, n. 1349 (F.B.). 34 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Il successivo art. 3 dispone, inoltre, che la valutazione delle condizioni di cui al precedente articolo demandata, per i dipendenti delle Aziende esercenti pubblici servizi, alle Commissioni provinciali di cui alla lett. b) dell'art. 3 r.d.l. 28 dicembre 19i43, n. 29/b. Le dette norme, adunque, contengono ad un tempo un richiamo alle condizioni di fatto necessarie per farsi luogo alla riassunzione (fra cui, in primo luogo, che il lavoratore sia stato alle dipendenze dell'ente o dell'azienda alla quale chiede la riassunzione) e la determinazione dell'organo competente a valutare le predette condizioni, mediante un accertamento che non pu quindi, limitarsi al solo motivo del licenziamento. Ci risponde all'interpretazione letterale di dette norme ma la interpretazione logica e quella sistematica convengono, in realt, nello stesso senso, giacch l'accertamento del motivo politico non pu avvenire che rispetto a un determinato licenziamento e all'azienda che lo ha disposto, cio al fatto specificamente posto a base della domanda di riassunzione. Ed in rapporto a tale situazione non , evidentemente, configurabile un giudizio sulla causa determinante di un fatto senza la prova, accertata o presunta, che il fatto si sia verificato. Da queste premesse discende che il giudizio della Commissione di epurazione, involgendo una valutazione di ordine amministrativo, oltre che politico, deve ritenersi vincolante su tutta la indagine di fatto, e, quindi, anche su quella che riguarda il requisito della dipendenza dell'interessato dall'ente o dall'azienda, il che, del resto, trova ulterior conferma nell'art. 1 della legge, ove si richiede come unica condizione per il successivo provvedimento d1 ammissione, 11 possesso lei requisiti necessari ai sensi della legge e del regolamento, per la permanenza in servizio: condizione questa, necessariamente rimessa alla valutazione dell'Ente tenuto a riassumere l'ex dipendente licenziato. E poich I'A.C.E.A., come giustamente ha osservato la Corte di merito, non impugn il detto parere, davanti alla Commissione provinciale di II grado, ed anzi vi diede esecuzione con la delibera 9 dicembre 1946, non poteva successivamente annullare l'atto di assunzione del Muzi, per pretesa inapplicabilit della legge n. 9 del 1944, atteso il carattere vincolante di quel parere, atto a trasformare l'interesse dell'ex dipendente in un vero e proprio diritto soggettivo alla riassunzione in servizio (Cass. 18 marzo 195151, n. 823). E se cosi . deve ugualmente disattendersi anche l'altra censura contenuta nel mezzo, rivolta a negare la validit del parere emesso dalla Commissione provinciale, in quanto fondato, si dice, sull'erroneo presupposto che la legge del 1944 potesse applicarsi anche a coloro che, come il Muzi, anzich licenziato non erano stati assunti per motivi politici. La definitivit del provvedimento emesso dalla Commissione copre, evidentemente, anche la eccezione relativa alla violazione di legge, dovendo anhe essa proporsi nell'ambito delle impugnative all'uopo I . previste. . Ma, a parte questo rilievo, per s decisivo, l'eccezione deve ritenersi, in ogni caso, infondata, non potendosi prescindere da una cir- I;:,~ ' I rwtt&r111tmz~w-m1,_11twaffllfillfifil11 - t RJMY"',.. ~-~p;g :wwdmwr&=r'Wm'=,;-ww.-AmNP'1Wf.iffe~'===M=i=={' .. .. '' ,,@.%{{,,.AV.fW4fa.,..w.tlJi&f,Z.4&(,.if~.lf~Jf-*.~::\:lrl PARTE I, SEZ. II, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 35 costanza peculiare alla specie, sulla quale si essenzialmente fondata l'impugnata decisione, e cio che la Commissione di epurazione (la quale in un primo tempo aveva espresso parere contrario alla riassunzione in servizio del Muzi) con delibera del 12 luglio 1946, sulla scorta di nuovi elementi prodotti, espresse parere favorevole alla riassunzione, avendo ritenuto che il licenziamento era stato determinato da motivi politici. Il che dimostra che la Commissione non manc, in realt, di esaminare la posizione anteatta del Muzi nei confronti dell'A.C.E.A., ritenendo che ricorrese il requisito della dipendenza da detta azienda. E, se cos , non pu fondatamente sostenersi che la Commissione sia incorsa in errore nel ritenere applicabile, alla fattispecie, la legge del 1944. Rigettandosi, per tali considerazioni, il primo motivo del ricorso, ne consegue l'assorbimento del secondo, in quanto proposto contro l'altro argomento addotto dalla Corte di Appello a base della sua decisione, e, cio, che l'Azienda, avendo assunto nei confronti del Muzi, con la delibera del 1946, l'obbligo di riconoscergli l'anzianit retrodatata al 1 luglio 1922, non poteva, con atto unilaterale, liberarsi da siffatto obbligo, attesa la sua qualit di ente di natura economica e l'applicabilit delle norme di diritto privato, che regolano il contratto di lavoro. Col terzo mezzo si ripropongono, sotto altro profilo, le stesse doglianze esposte con il primo. Rilevato che il decreto del 1944 era applicabile solo a favore di coloro che erano stati dispensati dal servizio o licenziati per motivi politici dopo la instaurazione del regime fascista, si sostiene che il Muzi mai avrebbe potuto beneficiare della ricostruzione della carriera con effetto anteriore al 28 ottobre 1922. Donde, si rileva, la illegittimit della delibera con la quale l'A.C.E.A., applicando erroneamente le disposizioni di legge, aveva concesso al Muzi l'anzianit di servizio con effetto dal 10 luglio 1922,_ Ma anche tale motivo deve ritenersi assorbito dal carattere vincolante del parere espresso dalla Commissione di epurazione, e, comunque, sussisterebbe sempre il vincolo contrattuale assunto dalla A.C.E.A. con la delibera del 12 luglio 1946, vincolo che, come esattamente rilevato dalla Corte di merito, non poteva essere risolto senza il consenso del Muzi. N, al riguardo, la ricorrente pu invocare, ai fini dell'annullamento dell'atto di assunzione, l'errore in cui essa sarebbe incorsa, circa la portata e i limiti di applicabilit del decreto del 1944, avendo la Corte ritenuto che l'A.e.E.A. non aveva, in alcun modo, fornita la prova che l'errore fosse rilevabile dal Muzi. E poich il giudizio sulla sussistenza o meno dell'errore e dei suoi requisiti si risolve in un apprezzamento di fatto, la relativa questione sfugge al sindacato di questa Corte Suprema. La ricorrente cerca, invero, di superare l'ostacolo, sostenendo in questa sede che l'errore sarebbe stato comune alle due parti, per cui 36 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO non sarebbe richiesto, nella specie, il requisito della riconoscibilit. Ma a parte l'inammissibilit del motivo implicante un nuovo esame del fatto, che non pu essere compiuto dalla Corte Suprema, baster rilevare che il Muzi, nell'invocare la legge del 1944, come appare delle delibere n. 1175 del 9 dicembre 1946 e n. 161 del 16 febbraio 1951 dell'A.C.E.A., si era limitato a chiedere la riassunzione in servizio, senza formuJ.are alcuna specifica richiesta in ordine all'anzianit che gli sarebbe spettata in base alla legge stessa. Non si vede, pertanto, come si possa affermare che fosse anche il Muzi in errore, nel pretendere l'anzianit retroattiva al 10 luglio 1922, che, in realt, non aveva chiesto. (Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 18 maggio 1965, n. 964 -Pres. Torrente -Est. Giannattasio -P. M. Criscuoli (conf.) -Comitato dei ministri per le opere straordinarie dell'Italia settentrionale e centrale (avv. Stato Agr) c. Comuni di Fucecchio, Santa Croce sull'Arno, Santa Maria a Monte, San Miniato, Montopoli Valdarno (avv. Barile e Clarizia) e c. Comune di Castelfranco. Competenza e giurisdizione -Giustizia amministrativa -Decisione del Consiglio di Stato -Contestazione dell'esistenza di interesse legittimo -Ricorso per Cassazione -Ammissibilit. (COl!t., art. 111; c. p. c., art. 362). Comune -Dichiarazione di Comune come localit economicamente depressa ex legge n. 365del1957 -Comuni viciniori -Interesse legittimo all'impugnazione del provvedimento -Sussistenza. (L. 29 luglio 1957, n. 635, art. 8). Quando si contesta l'esistenza di interesse legittimo abiLitante alla impugnazione del provvedimento amministrativo, interesse legittimo ritenuto sussistente dal Consiglio di Stato, si denuncia la violazione, da parte del Supremo Collegio amministrativo, dei limiti posti dalla legge alle sue attribuzioni, cio un tipico vizio attinente alla giurisdizione, come tale suscettibile del sindacato della Corte di Cassazione (1). I Comuni limitrofi ad altro Comune, dichiarato locaLit economicamente depressa, sono titolari di un interesse legittimo che li abilita (1) Sui limiti del sindacato delle Sezioni Unite riflettente le pronunce del Consiglio di Stato, cfr. da ultimo, in senso conforme, Cass. Sez., 30 settembre 1965, n. 2070; 2 lugli'O 1965, n. 1372, Foro it. 1965, I, 1423; 22 settembre 1964, n. 2952; 28 luglio 1964, n. 2124, Giust. civ. 1964, I, 1946. Un lontano precedente contrario si inviene in Cass., Sez. Un., 12 dicembre 1953, n. 3701, Riv. Corte dei conti, 1954, IV, 163, secondo la quale il giu- I , ' ' I f: 1 I I PARTE I, SEZ. II, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 37 a ricorrere avverso ii provvedimento emanato in dedotta violazione delle norme dettate dalla legge n. 635 del 1957, giacch essi si trovano in situazione tale da subire un danno ove la dichiarazione sia stata illegittimamente emanata (2). (Omissis). Con l'unico motivo, il Comitato dei Ministri per le opere straordinarie nell'Italia settentrionale e centrale censura la decisione del Consiglio di Stato per difetto assoluto di giurisdizione, e ci per avere ritenuto che i comuni limitrofi ad altro comune, dichiarato localit economicamente depressa ai sensi dell'art. 8 della I. 28 luglio 1957, n. 635, sono portatori di un interesse legittimo che li abilita a chiedere l'annullamento del provvedimento ~mministrativo di attribuzione della qualifica, adottato nei confronti del loro vicino. Il ricorrente premette che, per sostenere che l'interesse I.fatto valere dai Comuni sia un interesse legittimo, gravitante nell'orbita dell'art. 26 del t.u. delle leggi sul Consiglio ,di Stato, si adducono, nella decisione impugnata, tre argomenti: a) la titolarit di un interesse legittimo in chi, pur essendo terzo rispetto ad un atto amministrativo, che amplia la sfera dei diritti di un altro soggetto, si trovi in situazione tale da subire un danno, ove l'atto sia stato emanato in difformit della legge; b) la vicinanza quale elemento di differenziazione tra l'interesse legittimo e quello semplice; c) il mantenimento dello status quo fiscale (e di riflesso delle rispettive situazioni sul piano delle possibilit produttive) quale interesse legittimo. Si obietta dal ricorrente che dei tre argomenti cos riassunti, quello sub a) vale a definire un interesse alla legittimit dell'atto e non vero e proprio interesse legittimo. Quando si parla di interesse legittimo si definisce una posizione giuridica soggettiva di vantaggio; fra l'interesse di fatto e le norme di azione che regolano l'operato della P. A., deve sussistere un collegamento giuridico, protezione occasionalmente accordata dalla legge per la considerazione che essa abbia del soggetto portatore di una certa pretesa; in altri termini, l'argomentazione concerne non la qualificazione dell'interesse come legittimo, bens l'interesse a ricorrere. Relativamente all'argomento di cui alla lett. b) il ricorrente assume che si confonde nuovamente un elemento processuale con un elemento sostanziale: l'essere vicini all'attivit molesta illegalmente autorizzata pu valere ai fini dell'interesse a ricorrere, non vale invece a creare un nesso giuridico tra interesse di fatto e norma di azione, n a far trovare nella legge il requisito della protedizio relativo alla qualificazione di un interesse come interesse legittimo ovvero come interesse semplice non atterrebbe alla giurisdizione poich l'eventuale errore si risolverebbe in semplice vi-olazione di legge (F. Battistoni). (2) La sentenza .sembra riferirsi ad una nozione di interesse legittimo particolarmente ampia, poich considera tale la posizione di coloro che si 38 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO zione dell'interesse. Solo nell'argomento sub c) si dicono cose pertinenti, ma errate. Nella legge la possibile situazione di concorrenza tra comune e comune non contemplata, e non viene lasciato il minimo spazio ad opposizione di terzi soggetti i cui interessi restano nell'ambito del mero fatto. Soggiunge il ricorrente che non soltanto non esiste un interesse legittimo, ma, sotto le apparenze di un sindacato di legittimit, il Consiglio di Stato ha compiuto un giudizio di merito, giudicando come se tutte le attivit economiche siano del tipo c.d. primario, e dimenticando l'esistenza di altre attivit secondarie e terziarie (infrastrutture, servizi, ecc.), importanti una serie di impulsi economici che non si esauriscono nell'ambito territoriale del comune. Tuttavia l'esatta considerazione al riguardo non pu essere compiuta nell'ambito di un giudizio di mera legittimit. Il contrasto di interessi d luogo esclusivamente ad una questione di merito. Se viene ad essere creato in sede giurisdizionale quel collegamento fra la norma e l'asserito interesse di fatto che non nella legge, il giudizio dal piano della legittimit strar}pa nel merito e questo straripamento determina, fra l'altro, una situazione quanto meno d'arbitrio nella identificazione dei presupposti processuali. I Comuni resistenti eccepiscono, preliminarmente, l'inammissibilit del ricorso, a norma degli artt. 362 c.p.c. e 111 della Costituzione, percb non sussisterebbe una ipotesi di difetto di giurisdizione, da farsi valere come motivo di ricorso per cassazione avverso la decisione del giudice amministrativo, ma l'eccezione infondata. Secondo il disposto degli artt. 48 t.u. 26 giugno 1924, n. 1054, 360 n. 1 e 362 primo comma c.p.c., e 111 comma terzo della Costituzione, le decisioni del Consiglio di Stato sono impugnabili in Cassazione solo per motivi inerenti alla giurisdizione, in quanto l'attivit giurisdizionale del Consiglio di Stato (come, del resto, quella della Corte dei Conti), incide sull'atto amministrativo e quindi sul potere discrezionale che ne costituisce il motivo ispiratore. Il sindacato della Corte di Cassazione , quindi, configurabile allorquando il Consiglio di Stato abbia giudicato fuori dei limiti che la legge pone alle sue specifiche attribuzioni, e va individuato in concreto con riferimento alla natura della controversia sottoposta all'esame del Consiglio ed alcontenuto della pronuncia stessa. Pertanto la impugnazione ammissibile nei senguenti casi: a) il cosidetto eccesso di potere giurisdizionale, per avere il Consiglio invaso il campo riservato alla libera discrezionalit della pubblica amministrazione; b) la invasione della sfera della altrui giurisdizione, sia essa propria di altri poteri dello Stato, ovvero di un giudice ordinario o speciale; c) l'esplicazione di un sindacato di merito, allorquando la potestas iudicandi limita l'indagine trovino in condizioni di subire danno in conseguenza dell'emanazione del provv.edimento amministrativo senza darsi cura di valutare se la .posizione stessa fruisca di una protezione accordata dall'ordinamento, .sia pure in maniera indiretta o riflessa. L'interesse legittimo viene ridotto, in tal modo, alla nozione di interesse di fatto differenziato, e non anche qualificato dall'ordinamento, in ultima PARTE I, SEZ. II, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 39 esclusivamente alla leggittimit dell'atto amministrativo; d) il rifiuto di giurisdizione sull'erroneo presupposto che la materia non possa essere oggetto di funzione giurisdizionale; e) la irregolare costituzione del collegio giudicante, in quanto la mancanza dei presupposti costitutivi essenziali dell'organo si inquadra anch'essa nel difetto di giurisdizione. Al di fuori delle ipotesi anzidette, restano escluse dalla impugnazione le violazioni di legge dipendenti, comunque, da erronea e falsa applicazione di norme giudiche, da vizio del processo logico della decisione, da manchevole valutazione delle prove e da inosservanza delle disposizioni che regolano lo svolgimento del processo (Corte Cass., Sez. Un., 2.S luglio 1964, n. 2124; 30 dicembre 1963, n. 3246; 29 marzo 1963, n. 791). Precisato, in tal modo, l'ambito del sindacato della Corte di Cassazione sulle decisioni pronunciate in sede giurisdizionale dal Con siglio di Stato, si osserva che allorquando si contesti l'esistenza di un interesse legittimo, che abiliti a chiedere l'annullamento del provve dimento amministrativo, interesse ritenuto invece sussistente dal Con siglio di Stato, si denuncia che il supremo organo di giustizia am ministrativa avrebbe giudicato fuori dei limiti posti dalla legge alle sue attribuzioni, cio un tipico vizio attinente alla giurisdizione, come tale suscettibile del sindacato della Corte di Cassazione a sezioni unite, che chiamata a riconoscere, in base alle posizioni soggettive dedotte in giudizio, se, nella fattispecie sottoposta all'esame di quell'organo giurisdizionale, siano stati osservati o meno i limiti esterni della giurisdizione, e ad individuare la materia che la legge assegna al l'esame dell'organo e le controversie di cui esso pu conoscere, nonch il contenuto finale dell'atto che definisce il procedimento giurisdi zionale amministrativo, atto finale predeterminato dalla legge, secondo che in relazione alla natura della controversia sia attribuita al Con siglio di Stato giurisdizione di semplice legittimit ovvero anche di merito. Ma se il ricorso ammissibile, esso , peraltro, da rigettare. In vero, la tesi, secondo la quale titolare di un interesse legittimo anche colui che, terzo rispetto ad un atto amministrativo, che allarga la .sfera dei diritti di un altro soggetto, s trovi in una tale situazione da subire un danno, ove l'.atto sia stato emanato in diffo:c;mit della legge, non merita alcuna censura e tanto meno pu essere scalfita dall'adombrata distinzione tra interesse alla legittimit e interesse legittimo, di cui si rinvengono traccie in letteratura, ma che non mai stata accolta dal1a giurisprudenza. Questa ha sempre individuato analisi ad una posizione soggettiva a natura schiettamente processuale. Si considerino, al riguardo, le osservazioni di A. M. SANDULLI, Repressione di abusi edilizi ed interessi dei terzi, Giust. civ., 1963, II, 38 e segg. e di F. AGR, Ancora sulla distinzione fra interesse legittimo e interesse a ricorrere, in questa Rassegna, 1964, I, 44. Non sembra, invero, che la posizione dei C:omuni limitrofi a quello dichiarato zona depressa sia qualificata dall'ordinamento in maniera di 40 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO nella giurisdizione amministrativa la garanzia alla legittimit degli atti amministrativi, non gi mediante la protezione di un supposto interesse astratto alla legittimit, ma mediante la protezione di interessi individuali che trovano salvaguardia e soddisfazione nell'emanazione di atti legittimi. In realt, non pu seriamente contestarsi che sia titolare di un interesse occasionalmente protetto, e quindi di un interesse legittimo colui che, pur essendo nella posizione giuridica di terzo rispetto ad un atto amministrativo che amplia la sfera dei diritti appartenenti ad una persona fisica o giuridica, si trovi in una situazione tale da subire un danno, ove l'atto medesimo sia stato emanato in difformit dell'interesse pubblico perseguito da una norma di legge. In tal caso -com' stato osservato -l'interesse del terzo coincide con l'interesse pubblico alla osservanza di detta norma e, pertanto, trova nella norma stessa una protezione occasionale o riflessa, differenziandosi dall'interesse generico di tutti i cittadini al buon andamento della pubblica amministrazione. N esatto che la situazione di vicinanza possa valere bens ai fini dell'interesse a ricorrere, ma non giustifichi la protezione dell'interesse. Lo specifico interesse del terzo, coincidente, sia pure indirettamente, con l'interesse pubblico protetto dalla norma, ad impugnare il comportamento dell'Amministrazione, nel caso che esso violi il precetto di legge, e produca al terzo, di riflesso, una diminuzione giuridica, pu avere origine proprio dalla particolare situazione di vicinanza, perch questa che, in presenza di una norma che prescriva all'Amministrazione un dato comportamento, pu far sorgere nel terzo la situazione di vantaggio, qualificata e differenziata da quella di tutti gli altri cittadini. La decisione impugnata cita, ad esempio, l'ipotesi di colui che abita vicino ad un opificio industriale, dal quale sono emesse esalazioni nocive alla salute, a proposito del quale non si mai dubitato che abbia un interesse legittimo di cui possa lamentare la lesione, ove l'impianto dell'opificio stesso sia stato autorizzato ad una distanza inferiore a quella stabilita dalla legge. Pu aggiungersi l'ipotesi dell'interesse che stato riconosciuto ad un istituto di credito a rilevare i vizi de~provvedimento amministrativo che autorizza l'apertura di nuovi sportelli bancari, nella localit ove esso svolge la sua attivit. N pu sostenersi che, sotto le apparenze di un sindacato di legittimit, il Consiglio di Stato abbia compiuto un giudizio di merito per giungere all'affermazione della violazione dell'art. a. della legge 27 luglio 1957, n. 635, con la quale sono state emanate disposizioni integrative della legge 10 agosto 1950, n. 647, per l'esecuzione di opere straordinarie di pubblico interesse nell'Italia settentrionale e versa, per esempio, dalle posizioni dei singoli che esercitano in tali Comuni industrie concorrenziali con quelle agevolate sul piano fiscale nelle zone depresse. Cfr., al riguado, le considerazioni di S. D'ALBERGO, Stato, enti pubblici, zone depresse e pianifi,cazi()l)t.e, Foro it., 1964, V, 25 e segg., specialmente, 30 e 31 CF. B.). PARTE I, SEZ. II, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 41 centrale. Com' noto, la competenza di merito quella competenza in cui il Consiglio di Stato dispone come avrebbe dovuto disporre lAmministrazione attiva, sostituendosi ad essa nell'uso del potere discrezionale. Il giudice amministrativo, in sede di merito, giudica, cio, non solo della legalit, ma anche dell'opportunit amministrativa e dell'equit. Questo non ha assolutamente fatto il Consiglio di Stato nel caso in esame, perch se anche ha esaminato la fattispecie concreta, l'ha fatto sempre per riscontrare la legittimit dell'atto vincolato. In altri termini, il supremo organo di giudisdizione amministrativa ha ricostruiti i presupposti necessari per l'emanazione del provvedimento amministrativo, non gi in base a criteri politici, ma sulla scorta dei lavori preparatori della legge di incentivazione, di cui si discute, lavori i quali, seppur non costituiscono interpretazione autentica, forniscono sempre autorevoli elementi di interpretazione della legge (Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 15 luglio 1965, n. rn.20 -Pres. Lonardo -Est. Salemi -P.M. Criscuoli (conf.) -Cucchiara Guercio ed altri (avv. Fornario, Maniscalco Sangiorgio, Maniscalco Basile) c. Barone ed altri (avv. Ruffini e Casales) nonch c. Commissione elettorale mandamentale di Partinico (avv. Stato Foligno). Competenza e giurisdizione -Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana -Commissione elettorale mandamentale -Natura -Ricorso per cassazione avverso la pronuncia resa dal Consiglio di giustizia amministrativa in ordine a delibera di detta Commissione -Inammissibilit. (c. p. c., art. 362; d. I. 6 maggio 1948, n. 654, art. 5). La competenza del Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana di unico grado nei riguardi dei provvedimenti definitivi degli organi amministrativi della regione e degli enti aventi $ede nel territorio di questa, esclusi quelli strumentali dello Stato; di primo grado nei riguardi dei provvedimenti definitivi degli organi statali o regionali, ma nell'esercizio di funzioni statali, aventi sede nel territorio della regione; di secondo grado nei riguardi delle controversie spettanti in primo grado alla competenza delle Giunte provinciali amministrative: pertanto, poich la Commissione elettoTale mandamentale organo statale, non di autorit regionale, come si desume dalle sue funzioni (di interesse statale) dalla sua composizione (presieduta da un magistrato e composta da commissari designati dal Prefetto e dalla Giunta provinciale) dalle modalit di costituzione (decreto del primo presidente della Corte di appello), e poich il criterio per la determinazione della natura regionale o statale dei provvedimenti impugnati davanti al Consiglio di giustizia am 42 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA PELLO STATO ministrativa determinato non daita natura dell'atto impugnato, bens dan'organo che lo ha emesso, la decisione resa in primo grado dal Consiglio di giustizia amministrativa in ordine a delibera di detta Commissione appellabiLe all'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, ma non ricorribite in cassazione ai sensi dell'art. 362 cod. proc. civ. come per le decisioni emanate in grado di appello o in unico grado (1). (Omissis). Si sostiene, dall'Avvocatura dello Stato, che, avendo il Consiglio di giustizia amministrativa, con la decisione investita col presente ricorso, pronunciato in primo (non in unico) grado, in giudizio di impugnazione di un atto emesso da organo dello Stato (qual' appunto la Commissione elettorale mandamentale), la decisione medesima poteva essere impugnata soltanto con ricorso all'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato. L'eccezione fondata e va accolta. Com' noto, il C.G.A. per la Regione siciliana ha un triplice ordine di competenza, in quanto decide in unico grado, in primo grado ed in grado di appello. La competenza in unico grado comprende le attribuzioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, nei riguardi dei provvedimenti definitivi degli organi amministrativi della Regione e degli enti aventi la propria sede nel territorio di questa, esclusi gli enti strumentali dello (1) Conforme Cass., Sez. Un., 11 maggio 1964, n. 1120, nel senso che il Prefetto, pur quando opera nelle province facenti parte di regioni a statuto speciale in genere, non organo regionale ma organo dello Stato, onde i provvedimenti da lui emessi nell'esercizio della competenza spettantegli pure in materia deferita alla regione per ragione di decentramento sono atti di natura amministrativa .statale e non regionale, impugnabili davanti all'Adunanza plenaria del C1onsiglio di Stato dopo la pronuncia del Consiglio di giustizia amministrativa (fattispecie in materia di espropriazione disposta dalla regione siciliana). Nella stessa sentenza si precisa che le decisioni pronJUnciate dal Consiglio di giustizia amministativa presso la regione siciliana (in unico grado o in secondo grado) possono essere impugnate dinanzi alla Corte di Cassazione solo per difetto di giurisdizione e non per motivi di merito . Nel senso che il C:onsiglio di giustizia amministrativa esercita le fun zioni devolute dalla legge al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale nei riguardi degli atti e provvedimenti definitivi dell'amministrazione regionale e delle altre autorit amministrative aventi sede nel territorio della regione in genere, onde in un ricorso propostogli contro uno degli atti indicati il Consiglio di Stato deve dichiarare la propria incompetenza, v. Cons. di Stato, Sez. V, 26 settembre 1964, n. 1059, Il Consiglio di Stato, 1964, I, 1462 (m), e d anche per quanto attiene ai ricorsi per esecuzione del giudicato dipen:diente da decisioni del Consiglio di giustizia amministrativa (Cons. di Stato, Sez. V, 13 marzo 1964, n. 367, Il Consiglio d1. Stato, 1964, I, 495). In materia, cfr. altres le decisioni dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 2 maggio 1960, n. 5, Il Consiglio di Stato, 1960, I, 818 (particolarmente sull'appello avverso le decisioni del Consiglio di giustizia amministrativa), 19 maggio 1960, n. 10, Il Consiglio di Stato, 1960, I, 840 (parti PARTE I, SEZ. II, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 43 Stato; la competenza di primo grado comprende le attribuzioni giurisdizionali nei riguardi dei provvedimenti definitivi degli organi amministrativi statali aventi sede nel territorio della Regione. Nella competenza di secondo (ed ultimo) grado, infine, rientrano i casi spettanti in primo grado alla competenza delle Giunte provinciali amministrative. Ai sensi dell'art. 5 -terzo comma -del citato decreto n. 654 del 1948, qualora si tratti di decisioni adottate dal C.G.A. in sede di impugnativa di afti e provvedimenti delle autorit amministrative dello Stato, ammesso appello ali'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, mentre siffatto appello non concesso allorch le decisioni del C.G.A. siano state adottate in sede di impugnativa di atti e provvedimenti di autorit regionali. Deve aggiungersi_ che la giurisprudenza (vedi, ad es., Cass. sent. n. 1601 dell'anno 195,8) ha interpretato la norma citata nel senso che l'appello al Consiglio di Stato in Adunanza plenaria ammesso anche quando l'atto amministrativo sia stato adottato da un organo della Regione siciliana nell'eserdzio di funzioni statali. Orbene, nella specie, il provvedimento impugnato davanti al C.G.A. (deliberazione della Commissione elettorale mandamentale, relativa all'ammissione di liste, adottato ai sensi dell'art. 18 del t.u. delle leggi per le elezioni dei Consigli comunali nella Regione siciliana, approvato con D.P.R.S. 20 agosto 1960, n. 3) certamente atto di autorit amministrativa dello Stato. colarmente sulla competenza del Consiglio di giustizia amministrativa e sugli effetti del ricorso enroneamente proposto, al Consiglio di giustizia amministrativa: declaratoria di inammissibilit, salva la facolt di ripro porre il ricorso al Giudice ,competente, che potr eventualmente riconoscere l'errore scusabile), e 28 novembre 1960, n. 19, Il Consiglio di Stato, 1960, I, 1977 (particolarmente suil.la inammissibilit del ricorso all'Adunanza ple naria delle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato avverso decisioni del Consiglio di giustizia amministrativa che ha pronunciato sull'impu gnativa di un atto riferibile soggettivamente ed oggettivamente ad una autorit della regione e non dello Stato nonch sul conflitto di competenza tra il Consiglio di giustizia amministrativa 1e le sezioni giurisdizionali del ConsigHo di Stato). Sulla natura del Consiglio di giustizia ammin~strativa e sull'ammis sibilit dell'appello all'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato contro le decisioni del Consiglio di giustizia amministrativa pronunciate in primo grado sull'impugnativa di atti e provvedimenti di autorit statali nonch di atti e provvedimenti per la ,cui ,emanazione le autorit regionali sicHiane abbiano agito in veste cli autorit statali, v. pure Cass., Sez. Un., 17 mag gio 1958, n. 1601 in Giur. it. 1958, I, 1, 1223. In dottrina, oltre a S. DE FINA, Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana, Enciclopedia del diritto, voi. IX, Milano, 1961, 227, ed a C. BozzI, Consiglio di giustizia amministrativa, Novissimo Digesto itaL'iano, voi. IV, T'orino, 1959, 142, nonch alla bibliografia richiamata dai due Autori, v. C. MoRTATI, Sull'incostituzionalit dell'art. 23, ultimo comma, Statuto Regione Siciliana, Giur. cost., 1960, 327, e F. TERESI, Appunti in tema di conflitti di competenza tra C.G.A. e sezioni giurisdizionali del Con siglio di Stato, Giur. sic., 1962, 285. In argomento, cfr. Relazione Avvocatura Stato, 1956-1960, voi. II, 127. 44 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Per negare siffatta qualifica, cio per sostenere che si tratterebbe sostanzialmente di un provvedimento di autorit regionale (per cui non sarebbe ammesso appello all'Adunanza plenaria), non vale obiettare che la materia dell'elettorato comunale rientra nella potest normativa della Regione siciliana. Questo Supremo Collegio ha gi avuto occasione di esaminare, con recente decisione (sent. n. 1120 dell'anno 1964), la questione del criterio per la determinazione della natura regionale o statale dei provvedimenti impugnati davanti al C.G.A., affermando il principio che, per la qualificazione dell'atto, deve aversi riguardo, non alla natura di esso, bens all'organo che lo ha emesso. Relativamente alla Commissione elettorale mandamentale, qualora si considerino le sue funzioni (di interesse indubbiamente statale), la sua composizione (presieduta da un magistrato e composta da commissari designati dal prefetto e dalla giunta provinciale), le modalit di costituzione (decreto del Primo Presidente della Corte d'Appello), non sembra potersi dubitare che si tratti di organo statale, non di autorit regionale. Pertanto, deve ritenersi che il presente ricorso investe decisione del C.G.A. pronunciata in primo grado, senza che sia stato previamente proposto appello all'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, com' previsto dall'art..5. -terzo comma -citato, cio di decisione di giudice speciale non ricorribile direttamente in Cassazione, ai sensi dell'art. 3621 cod. proc. civ., per cui occorre decisione emanata in grado di appello o in unico grado. (Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un. 11 ottobre 1965, n. 2113 -Pres. Torrente -Est. D'Armiento -P. M. Di Majo (concl. conf.) -De Gennaro Musti (avv. M. S. Giannini) c. Ministero Sanit (avv. Stato Lancia). Competenza e giurisdizione -Giurisdizione ordinaria ed amministrativa -Farmacie -Controversie per la determinazione indennit di avviamento -Farmacie di nuova istituzione -Difetto di giurisdizione dell'A.G.O (t. u. 27 luglio 1934, n. 1265, art. 110). Ai sensi deU'art. 110 del T.U. delle leggi sanitarie 27 luglio 1934, n. 1265, per aversi un diritto soggettivo perfetto, azionabile, come tale, avanti al Giudice ordinario, diretto a conseguire dal nuovo concessionario il rilievo degli arredi, provviste e dotazioni attinenti all'esercizio i[ farmaceutico ed il pagamento di un'indennit di avviamento per la successione dell'esercizio stesso, occone che si tratti di farmacia non PARTE I, SEZ. II, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 45 di nuova istituzione, -Difetta tale presupposto e difetta, di conseguenza, la giurisdizione dell'A.G.O., ove la apertura della farmacia sia stata autorizzata in base a graduatoria di concorso, dichiarata poi nulla (e per tanto, con effetto ex tunc) dal Consiglio di Stato ed il vincitore del concorso annullato agisca nei confronti di colui cui stata poi regolarmente assegnata la farmacia per ottenere di esse1e rilevato degli arredi e dell'indennit suindicata (1). (1) Nel caso di specie -nel quale M concessionario di una farmacia di nuova istituzione assegnatagli in base a concorso annullato dal Consiglio di Stato agisca per il riconoscimento, nei confronti del nuovo concessionario della stessa farmacia nominato a seguito di nuovo concorso, della propria pretesa ad essere irilevato degli arredi ecc. ed ail pagamento dell'indennit di avviamento ex art. 110 del t. u. 27 luglio 1934, n. 1265 -il s. C. ha dichiarato il difetto di giurisdizione dell'A.G.O. non perch, in astratto, alla pretesa azionata dovesse negarsi la natura di diritto subbiettivo perfetto, bens sul. rilievo della .insussistenza in concreto del diritto stesso, trattandosi di farmacia di nuova istituzione, la cui apertura era stata autorizzata in base a graduatoria di concorso dichiarata nulla, sicch l'attore non ne era mai stato legittimo titolare. Che la pretesa del f'R["lllacista verso il nuovo concessionario dello esercizio per essere rilevato degli arredi ecc. nonch per ottenere il pagamento dell'indennit di avviamento non debba qualificarsi come interesse legirttimo, sibbene quaile diritto subbiettivo di natutra patrimoniale, pu dirsi ormai questione pacifica, atteso il costante orientamento in tal senso della giurisprudenza ordinaria ed amministrativa: cfr., infatti, in tal senso, Cass. 23 giugno 1964, n. 1646 e 12 maggio 1962, n. 983, Giust. civ., 1962, I, 1913; App. Bologna 16 luglio 1960, Giur. it., 1960, I, 2, 794; Cons. Stato 18 marzo 1960, n. 272, Foro amm., 1960, I, 113; id., 26 novembre 1952, n. 914, Racc. Cons. Stato, 1952, 1513; id., 4 aprile 1951, Foro amm., 1951, I, 271, ecc. , poi, affermazione di indiscutibile e anche ovvia esattezza -fondata sul chiaro tenore dell'art. 110 del t. u. n. 1265 del 1934 sulle leggi sanitarie quella che in tanto pu insorgere il rapporto obbligatorio tra il precedente ed il nuovo titolare della faa.-macta, avente per oggetto il cosiddetto rilievo degli arredi ed il pagamento del cOil"J:"ispettivo e dell'indennit in esame, in quanto si tratti di farmacta non di nuova istituzione e cio gi in esercizio: cfr., in tal senso, conformemente alla sentenza in rassegna, Trib. Roma 3 maggio 1961, Riv. giur. umbro-abruzzese, 1961, 329. Per la suddetta ragione, la prescrizione di un bando di concorso farmaceutico che esclude per le farmacie di nuova istituzione il diritto ad indennit di avviamento pienamente [egittima (Cons. Stato 19 aprile 1961, n. 217, Il Consiglio di Stato, 1961, I, 663). stato ancora ritenuto che precedente titolare agli effetti dell'art. 110 in esame, non pu qualificarsi il gestore provvisorio, nominato dal Prefetto ai sensi del!l'art. 61 del ireg. 30 settembire 1938, n. 1760, sicch a tale gestore non compete l'indennit di avviamento di cui al cit. art. 110 del t. u. n. 1265 del 1934 (Cass. 9 gennaio 1961, n. 22, Giust. Civ., 1961, I, 629; contra Apip. L'Aquila 31 gerunaio 1959, Giust. Civ. Mass. app., 1959, 418). Nel caso di specie, stato escluso -facendo coriretta applicazione del principio della retroattivit dell'annullamento degli atti amministrativi iUegittimi, dai qua[i non possono mai sorgere diritti quesiti (cfr., tra le innumerevoli. decisioni, Cass. Sez. Un. 4 luglio 1962, n. 1714, Foro amm., 1963, II, 36) -che il vincitore di un concorso per l'apertura e l'esercizio di una farmacia di poi annulJlato, possa essere considerato quale legittimo titolM'e del>la farmacia stessa che devesi, pertanto, continuare a qualificare come di nuova istituzione. RASSEGNA DE,LL'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 30 dicembre 1965, n. 248'2 -Pres. Tavolaro -Est. Iannelli -P. M. Di Maio (conf.) -Ministero LL. PP. (avv. Stato Cafara) c. Comune di Granaglione (avv. Regard e Beorchia Nigris) e Marconi (avv. Becca e Valenza). Responsabilit civile -Responsabilit della p. a. per fatto illecito -Responsabilit della p. a. per attivit lecita -Caratteristiche delle rispettive azioni -Concorso alternativo delle medesime. (c. c., art. 2043, I. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 46). Responsabilit civile -Discrezionalit della p. a. -Insindacabilit da parte del G. O. Limiti -Scelta del mezzo tecnico -Rientra nella discrezionalit tecnica -Sindacabilit da parte del G. O. -Ricostruzione di strade con doppia inclinazione del piano stradale Deflusso delle acque contro un edificio privato -Responsabilit della p. a. per fatto illecito e non per ristoro di sacrifici le~ittlmamente arrecati. (c. c., art. 2043, I. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 46). Le azioni ex art. 46 della legge 25 giugno 1865, n. 2359, sulla espro I priazione per pubblica utilit ed ex art. 2043 e.e., se possono in astratto ~ concorrere, vanno tuttavia tenute distinte per la sostanziale diversit :~ dei loro presupposti, giacch esse si differenziano sia per il loro petitum, che nell'azione di risarcimento per fatto illecito si estende a tutto il pregiudizio economico derivato all'altrui sfera patrimoniale, mentre nell'azione ex art. 46 della legge . governato dalle regole tecniche, essendo consentito al giudice ordinario la ricei'Ca di eventuali elementi di colpa nel comportamento dell'Amministrazione, configurabile una vera e propria responsabilit deHa p. a. per illecito extra contrattuale. Costituisce, infatti, principio pi volte affermato tanto in dottrina (tra gli altri, ALESSI, La responsabilit della pubblica amministrazione, Milano 1955, 85 e segg.), quanto in giurisprudenza (da ultime> Cass. Sez. Un. 4 maggio 1964 n. 1061, Giust. civ., 964, I, 2314; Cass. Sez. Un. 29 aprile 1964 n. 1039, dn .questa Rassegna 1964, I, 713) quello secondo il quale il sindacato del giudice ordinario non pu estendersi alla sfera della discrezionalit amministrativa, intesa Come la facolt della p. a. di libero apprezzamento degli interessi pubblici e di libera scelta dei mezzi ritenuti idonei per soddisfarre detti interessi, a differenza, invece, di quanto accada laddove si faccia questione di discrezionalit tecnica in relazione alla quale I si ritiene consentito al giudice ordinario di valutare se l'Amministrazione, I ::;:::,,:,~J,;:;;'.",~.':"%X~;,:;,f.;,:w0::;,,:,:;;':w.::x;;;%;w.;;::,:;;,;;;;,-,;,:w.,-,;_._w.;_.W/._:;;_._///..,:~,~~... ~ PARTE I, SEZ. II, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 49 la illogicit e contraddittoriet della motivazione, in relazione all'art. 360 nn. 1, 3 e 5 c.p.c. Premesso che la Corte di Appello ha basato, di fatto, la responsabilit della pubblica amministrazione sul disposto della norma sopra citata, per essere l'opera stata eseguita senza l'osservanza di quei criteri che la tecnica e la comune prudenza avrebbero imposto, i ricorrenti lamentano che, malgrado la Corte avesse esattamente riconosciuto che al giudice ordinario non consentito di sindacare la discrezionalit in forza della quale la pubblica amministrazione pu, nella costruzione o manutenzione di un'opera pubblica, adottare, a sua scelta, i criteri che crede per il soddisfacimento dell'interesse collettivo, abbia, poi, ritenuto di potere indagare se, nella specie, la pubblica amministrazione fosse in colpa, per il modo come la strada era stata riattata e quindi mantenuta, sul presupposto che ci rientrasse nell'ambito della discrezionalit puramente tecnca, suscettibile di sindacato da parte del giudice ordinario. Osservano, al riguardo, che la Corte avrebbe, in tal modo, fatto mal governo dei principi che, nella soggetta materia, sono ormai convalidati da un'autorevole dottrina e dalla consolidata giurisprudenza di questo Supremo Collegio, incorrendo, per giunta, in una palese contraddizione, avendo prima escluso ogni sindacato da parte del giudice ordinario sulla natura e sulle caratteristiche di un'opera realizzata dalla pubblica amministrazione e destinata ai bisogni della collettivit ed essendosi, poi, attribuita la potest di giudicare, relativamente al caso nella fase della tecnica esecutiva, cio della concreta messa in opera del mezzo tecnico liberamente prescelto, abbia osservato i criteri tecnici che governano H funzionamento del mezzo stesso e le comuni norme di pru denza e diligenza la cui violazione comporta responsabilit per fatto illecito. noto, d'altra parte, che soltanto impropriamente si parla di .discre zionalit tecnica (si vedano VmGA, Appunti sulla discrezionalit tecnica, Jus, h157, 95, MoRTATI, Discrezionalit, Nov. Dig. It., voi. V, 1099), giacch quando vengono in considerazione accertamenti e valutazioni di carattere squisitamente tecnico, non pu sussistere alcuna sfera di libero apprezza mento, cio di discrezionalit nell'azione, per il vincolo che opera in rela zione al !I'ispetto delle regole tecniche le quali non sono suscettibili di valutazione discrezionale. corretto, quindi, parlare di discrezionalit tecnka con riferimento ad una duplica fase di intervento della p. a.: in un primo momento la discrezionalit opera nella valutazione del grado di pubblicit dell'interesse da soddisfare e nella scelta del mezzo ritenuto pi opportuno ed efficace per soddisfare detto interesse, sicch in tale fase l'agire della Amministrazione caratterizzato dalla libert di apprezza mento e cio da vera e propria discrezionalit amministrativa, mentre in un secondo momento, quando stata effettuata la scelta del mezzo, si esaurisce il potere discrezionale e subentra la fase attinente alla tecnica esecutiva la quale vincolata all'esigenza del rispetto delle regole fisse ed immutabili Che governano la messa in opera del mezzo prescelto ed il 1suo concreto funzionamento. L'ibrida espressione discrezionalit tecnica sorta per il riferimento contemporaneo ad entrambe le fasi, le quali per sul piano strutturale debbono essere tenute nettamente distinte, giacch sono regolate da prin cipi profondamente diversi. 3, -La distinzione tra l'attivit discrezionale in senso proprio dell'Am ministrazione e quella attinente alla tecnica esecutiva, la quale, come si 50 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO de quo, se la natura e le caratteristiche della strada fossero rispondenti ai criteri della tecnica e della comune prudenza: tanto da avere finito col rimproverare alla pubblica amministrazione che il rifacimento della strada con doppia incliinazione, ossia con la c.d. baulatura del piano stradale, qual'era stato operato, non fosse conforme ai suddetti criteri, in quanto avrebbe dovuto farsi in differente modo e precisamente col dare alla strada una sola inclinazione. Dalla censura cosi formulata il Ministero dei LL. PP. trae, infine, argomento per sostenere che l'annullamento della sentenza non definitiva, sul punto in parola, importi, come conseguenza, la mancanza di ogni obbligo dello Stato di rivalere il Comune, dato che questo ente, per essere il proprietario della strada, sarebbe l'unico responsabile, non dei danni per un'attivit pretesamente illecita, bens dell'indennizzo, ex art. 46 della legge sulle espropriazioni. La doglianza non ha fondamento. Per vero la Corte del merito, come dai ricorrenti, del resto, si riconosce, ha esattamente enunciati i principi di diritto relativi alla discrezionalit della pubblica amministrazione, avendo inteso tale discrezionalit come il potere di apprezzare liberamente l'interesse pubblico e la idoneit dei mezzi per il suo soddisfacimento, entro il cui ambito al giudice ordinario , pertanto, precluso di svolgere alcuna indagine per la ricerca di una colpa, ossia di sindacare se la pubblica amministrazione abbia convenientemente apprezzato l'interesse ed i bisogni accennato, comporta accertamenti e valutazioni non libere, ma vincolate al Tispetto di criteri tecnici fissi, implica una differente valutazione del comportamento della p. a. particolarmente nell'esecuzione di opere pubbliche, nel senso che, laddove sussiste esercizio di vero e proprio potere discrezionale, ivi configurabile al pi una eventuale responsabilit conseguente ad attivit lecita Sotto il profilo del ristoro di sacrifici legittimamente arrecati (art. 46 della legge sull'espropriazione); mentre la responsabilit per fatto illecito, fondandosi sull'accertamento della colpa nel comportamento della p. a., pu sorgere soltanto quando si tratti di valutare la conformit dell'attivit di messa in opera del mezzo tecnico, nella fase esecutiva, alle norme generali di Comune prudenza e diligenza, ovvero a quelle SPeciali attinenti al particolare funzionamento del mezzo prescelto. La Suprema Corte, con la sentenza n. 1039 del 29 aprile 1964 (in questa Rassegna, 1964, I, 713) ha esattamente ritenuto che il giudice ordinario non pu svolgere alcuna indagine per la rkerca di elementi di colpa quando si tratti dell'apprezzamento di bisogni della collettivit e della scelta dei mezzi ritenuti idonei a soddisfarli; ha ritenuto, per, che allorquando siano stati rispettati tali limiti, Consentito al giudice ordinario di indagare se i mezzi prescelti siano stati adeguatamente messi in opera ed abbiano funzionato in modo normale, ovvero se, per negligenza o imperizia, il loro funzionamento sia stato difettoso o anormale. In tal modo appare evidente, a nostro avviso, che la possibilit di qualificare con le categorie del lecito e dell'illecito il comportamtnto del1a p. a. discende dall'esatto inquadramento dell'attivit svolta nella sfera della discrezionalit pura ovvero in quella della tecnica esecutiva. Per ci che concerne, in particolare, il settoce delle opere pubbliche, siffatte osservazioni comportano che la fattispecie della responsabilit da atto lecito ex art. 46 della legge sulla eSPropriazione, sempre che ne sussistano gli altri elementi costitutivi, trova ingresso allorch l'attivit am PARTE I, SEZ. II, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 51 della collettivit e scelti i mezzi idonei per soddisfarli. Da ci essa, poi, ha argomentato, non meno correttamente, che tutte le volte in cui non sono in gioco l'interesse e le esigenze della generalit, per il modo come un'opera pubblica deve essere realizzata, la pubblica amministrazione non pu non incontrare dei limiti nella scelta dei criteri meramente tecnici per la esecuzione dell'opera. Infine, con riguardo al riattamento della strada in questione, dopo avere rilevato che il modo come questo era stato praticato non era in funzione del soddisfacimento di un interesse della collettivit, e la pubblica amministrazione, come era risultato chiaramente dalla consulenza di ufficio, aveva seguito un criterio tecnico errato, non avendo mantenuto la preesistente inclinazione a valle e ~on avendo costruito le apposite cunette, che avrebbero eliminato le conseguenze dannose dell'anomala costruzione della sagomatura, ha ritenuto che ci costituiva un comportamento colposo, lesivo di un diritto del privato; talch la pubblica amministrazione non poteva sottrarsi all'obbligo del risarcimento dei danni, in base al principio del neminem iaedere, in forza del quale il potere discrezionale spettante alla pubblica amministrazione circa la costruzione e la manutenzione di una strada, non esime l'amministrazione stessa dal dovere di adottare le ordinarie misure e cautele atte a non mettere in pericolo l'incolumit ed i beni del cittadino. Non sussiste, pertanto, alcuna contraddittoriet, nella motivazione della denunciata sentenza, tra le premesse in diritto e l'indagine, che la Corte ritenne giustamente non esserle preclusa in fatto, relativamente alle caratteristiche della strada, riconducibili alle modalit di ministrativa concerne la fase discrezionale dell'attivit diretta al soddisfa cimento del pubblico interesse, anche quando la scelta del mezzo tecnico ritenuto pi idoneo al fine da conseguire richieda l'applicazione di criteri tecnici e la comparazione tra pi soluzioni tecniche possibili, mentre in fase di tecnica esecutiva, allorch si tratta soltanto di dare attuazione concreta al mezzo prescelto, senza che necessiti alcuna ulterime attivit valutativa, viene a mancare il profilo della discrezionalit, sicch pu sorgere la fattispecie dell'illecito. In fase esecutiva, infatti, il carattere vincolato dall'azione deriva dal fatto che l'applicazione delle regole tecniche non lascia alcun margine di scelta all'agente, ma obbliga gli esecutori ad una attivit il cui contenuto appare rigorosamente predeterminato. Qualche dubbio pu affacciarsi in ordine all'elemento della scelta del mezzo tecnko, nel senso di stabilire se essa appartenga alla tecnica esecu tiva, e quindi sia sindacabile dall'A.G.0. ovvero se attenga sempre alla fase dell'apprezzamento discrezionale del pubblico interesse che si intende soddisfare e del modo ritenuto al riguardo pi opportuno. Non sembra che sussistano valide ragioni per l'abbandono del criterio distintivo tra la fase caratterizzata della discrezionalit amministrativa e quella appartenente alla tecnica esecutiva che dato, sul piano cronolo gico, della messa in opera del mezzo. Tutto ci che precede tale momento e che va dalla ponderazione comparativa dei vari interessi, al fine della valutazione dell'opportunit di procedere all'opera pubbUca, sino alla scelta del mezzo tecnico, ritenuto idoneo a soddisfare il bisogno collettivo, tra le diverse soluzioni astrattamente possibili, rientra nell'ambito dell'attivit discrezionale che come tale insindacabile da parte del giudke ordinario; mentre dal momento della messa in opera del mezzo prescelto, e per tutto ci che concerne il suo funzionamento, si nella fase della esecuzione 52 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO esecuzione dell'opera, ossia all'inclinazione del piano stradale anche verso il fabbricato Marconi ed alla mancata costruzione delle cunette per il convogliamento delle acque piovane, trattandosi, in realt, di . un'indagine tecnica, alla quale era estranea ogni discrezionalit ammi. nistrativa, nel senso gi detto, e che non comportava un sindacato del Il l'uso del potere discrezionale della pubblica amministrazione, ma soltanto la conoscenza degli effetti del comportamento colposo di essa. L'affermazione dei ricorrenti che nella scelta indiscriminata delle caratteristiche dell'opera, si doveva far rientrare quella della sagoma I tura, ossia della c.d. baulatura della strada, in tanto avrebbe potuto essere condivisa, in quanto si fosse dimostrato che la detta modalit di esecuzione dell'opera era collegata al soddisfacimento di un pubblico interesse. Ma, a parte che tale dimostrazione non stata neanche tentata dai ricorrenti, non si tenuto conto, da parte dei medesimi, che la Corte del merito ha configurato la colpa della pubblica amministrazione non soltanto nel modo come la strada stata rifatta (a sezione convessa con un anormale displuvio), ma anche nell'omissione di quegli accorgimenti (mancanza di apposite cunette), volti ad impedire che le acque piovane, defluendo dal piano stradale, andassero a ristagnare contro il fabbricato Marconi, con conseguente danno per l'immobile. Secondo la denunciata sentenza, infatti, in qualunque sia modo la pubblica amministrazione avesse deciso di ricostruire la strada, saarebbe bastato l'apprestamento delle cunette ad ostacolare l'irregolare deflussa I; . tecnica nella quale possono essere ricercati, da parte del giudice ordinario, . I elementi di colpa nel comportamento della p. a. sotto il profilo dell'even., tuale difetto nella costruzione dell'opera o dell'anormalit nel funziona=~ mento del mezzo tecnico. Va, peraltro, osservato che talvolta in fase esecu tiva possono verificarsi fatti che comportano nuove scelte da parte del 1'A:mrrninistrazione; in tali ipotesi, limitatamente alle nuove scelte, torna ad opere il criterio della discrezionalit cui consegue l'insindacabilit, da parte del giudice oo:dinario, del comportamento della p. a. 4. -Non sembra, quindi, che possa condividersi la .sentenza annotata nella parte in cui ha ritenuto di poter ricavare elementi di .colpa nel comportamento dell'Amministrazione in relazione al fatto che si era proceduto alla ricostruzione della strada mediante una doppia inclinazione del piano stradale (displuvio duplice) rispetto ad una precedente unica inclinazione da monte verso valle (displuvio unico). Ci sembra, cio, che la scelta dell'una anzich dell'altra soluzione tecnica del problema non atteneva alla fase della messa in opera del mezzo e quindi alla tecnica esecutiva, per la quale consentito il sindacato del giudice ordinario, ma alla fase discrezionale della scelta del criterio ritenuto pi idoneo al soddisfacimento del pubblico interesse relativo alla ricostruzione della strada. L'insorgenza di un danno patrimoniale di natura permanente per la contigua propriet privata era, quindi, da inquadrare nell'ambito della responsabilit per attivit lecita ex art. 46 della legge sull'espropriazione anzich in quello dell'illecito ex art. 2043 c. c., giacch il danno non derivava da un vizio della .costruzione o da errori commessi dai tecnici dell; Amministrazione nell'esecuzione dell'opera, bensl dalla scelta del criterio tecnico di ricostruzione della strada ritenuto idoneo dall'Amministrazione. A. QUARANTA PARTE I, SEZ. II, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 53 PARTE I, SEZ. II, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 53 delle acque, produttivo dei rilevati inconvenienti, di guisa che, ai fini della sussistenza della colpa della pubblica amministrazione e quindi, della responsabilit della medesima, ai sensi dell'art. 2043 e.e., doveva ritenersi sufficiente la sola omissione della costruzione delle cunette. Ed in proposito non sembra superfluo sottolineare che questo punto della decisione, malgrado la sua notevole rilevanza, non risulta affatto confutato da parte dei ricorrenti. Dall'infondatezza della censura, test esaminata, rimane, ovviamente, assorbito l'argomento di cui all'ultima parte del mezzo di ricorso del Ministero dei LL. PP., diretto a far ricadere esclsivamente sul Comune la responsabilit non dei danni ma dell'indennizzo ex art. 46 della legge sulle espropriazioni. (Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 30 dicembre 1965, n. 2490 -Pres. Scarpello -Est. Pratillo -P. M. di Majo (conf.) -Ministero Finanze (avv. Stato Coronas) c. Mazzanti (n.c.). Competenza e giurisdizione -Danni di guerra -Indennizzo -Contributo di ricostruzione -Pretesa del privato alla concessione ed alla misura -Interesse legittimo -Giurisdizione del Consiglio di Stato. (I. 27 dicembre 1963 n. 968, artt. 17, 25, 28). Ai sensi della vigente legislazione sui danni di guerra, come peraltro di quella precedente (l. 26 ottobre 1940, n. 1543), il privato in nessun caso pu vantare diritti soggettivi nei confronti della pubblica amministrazione, sia riguardo alla concessione che alla misura dell'indennizzo o del contributo di ricostruzione, sibbene soltanto interessi legittimi, tutelabili esclusivamente in sede amministrativa e davanti al Consiglio di Stato, sicch in materia non concessa al privato azione davanti all'autorit giudiziaria ordinaria; le disposizioni di cui agli artt. 25 e 28 della l. 27 dicembre 1953, n. 968, che stabiliscono rispettivamente la base per la commisurazione dell'indennizzo riguardo a determinati beni indicati nell'art. 4 e i vari limiti entro cui l'indennizzo, per i beni medesimi, deve essere contenuto, sono certamente norme vincolanti per la pubblica amministrazione, ma, essendo inserite nel procedimento amministrativo di liquidazione dell'indennizzo, costituiscono norme d'azione e non di relazione, sicch l'interesse del privato non assurge a diritto soggettivo, non essendo oggetto di tutela immediata e diretta (1). (Omissis). Ritenne la Corte del merito, che, contro il decreto dell'Intendente di Finanza, che stabilisce se l'indennizzo per danni di guerra sia do (1) In materia, oltre alla Relazione dell'Avvocatura dello Stato, 19561960, III, 812, v. da ultimo, Cass., Sez. Un., 3 febbraio 1964, in questa Rassegna, 1964, I, 497 e Cass., Sez. Un., 12 gennaio 1965, n. 63, ivi, 1965, I, 290, nonch gli ampi richiami contenuti nelle relative note redazionali. 54 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO vuto o no, e che ne determina, nel primo caso, l'ammontare, dato ricorso al Ministro del Tesoro e, quindi, al Consiglio di Stato ex art. 17 della 1. n. 968 del 27 dicembre 1953. Ritenne la Corte essere, per, norme non di azione ma di relazione, vincolanti per la P.A., quelle contenute negli artt. 25 e 28 della legge stessa, stabilenti i criteri e le misure con cui si deve operare l'accertamento del quantum dell'indennizzo, cosicch la loro violazione legittima il privato ad adire il giudice ordinario. Obietta l'Amministrazione ricorrente, nel denunciare la violazione dell'art. 2 della legge n. 2248 all. E del 20 marzo 1865 in rapporto agli artt. 17, 25 e 28 della 1. n. 968 del 1953 e 360, n. 1, del c.p.c., che tutte le norme disciplinanti l'indennizzo dei danni di guerra -anche quelle che stabiliscono i criteri in base ai quali deve essere liquidato l'indennizzo -sarebbero norme d'azione e, pertanto, non esisterebbero mai, in materia, a favore del privato, diritti soggettivi, sibbene soltanto interessi legittimi e, in conseguenza, sarebbe costantemente esclusa nella materia stessa la giurisdizione del giudice ordinario. L'Amministrazione rileva, altresl, che la Corte del merito avrebbe errato nel ritenere che l'ammontare dell'indennizzo determinato dall'Intendente di Finanza (art. 17 della 1. n. 968 del 1953) non s'identificherebbe con quello liquidato eseguendo i calcoli di commisurazione nei limiti fissati dagli artt. 25 e 28 della legge medesima. Il ricorso fondato. Il Mazzanti ha chiesto all'Autorit giudiziaria ordinaria che gli fosse liquidato, a carico dell'Amministrazione Finanziaria, un indennizzo per danni di guerra superiore a quello concessogli dall'Intendente di Finanza di Milano, assumendo che i limiti dell'indennizzo stesso, stabiliti dall'art. 28 della I. n. 968 del 27 dicembre 1953 per gli immobili adibiti, quale il suo, all'esercizio di attivit industriali (art. 4 lett. b della legge), andavano applicati sull'entit del danno, valutato ai prezzi vigenti al 30 giugno 1943, prima che questo fosse moltiplicato per il coefficiente cinque (art. 25); non dopo, come aveva operato l'Intendente di Finanza. Ora con ripetute decisioni, anche a Sezioni Unite (cfr. n. 491 del 22 febbraio 1954; n. 1954, del 26 giugno 1959; n. 1293 del 29 maggio 1962; n. 63 del 12 gennaio 1965), Questo Supremo Collegio da tempo ha fissato e mantenuto il principio che, ai sensi della vigente legislazione sui danni di guerra (1. n. 968 del 27 dicembre 1953) -come, peraltro, di quella precedente (1. n. 1543 del 26 ottobre 1940) -il privato in nessun caso pu vantare diritti soggettivi nei confronti della P .A., sia riguardo la concessione che la misura dell'indennizzo o del contributo di ricostruzione, sibbene soltanto interessi legittimi, tutelabili esclusivamente in sede amministrativa e avanti il Consiglio di Stato, sicch non concessa al privato mai, in materia, azione avanti 1 'Autorit Giudiziaria ordinaria. , tuttavia, ovvio -come peraltro stato anche precisato in altre sentenze da questa Suprema Corte (n. 4399 del 15 novembre 1957, n. 397 del 29 febbraio 1960, n. 1179 del 13 maggio 1963} -che il principio suddetto vale soltanto per il privato il quale chieda al giudice ordinario nei confronti della P.A. l'accertamento del suo di PARTE I, SEZ. II, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 55 ritto all'indennizzo o al contributo di ricostruzione per danni di guerra negatogli dall'Amministrazione stessa; ovvero, se concesso, la liquidazione in misura diversa o superiore a quella accordatagli. Quando, invece, la controversia sia tra privati, legati da un rapporto contrattuale questo, anche se in relazione mediata o immediata con l'indennizzo o il contributo suddetto disciplinato dal diritto civile. Invero, data la totale indipendenza tra il rapporto intercorrente tra soggetti privati e l'altro tra uno dei privati e la P.A. una volta esaurita la procedura amministrativa diretta ad accertare se ricorrano le condizioni per la concessione dell'indennizzo o del contributo e, in caso positivo, dopo che se ne sia definitivamente determinato l'ammontare, i soggetti privati ben possono far valere i diritti e gli oh\>lighi reciproci, relativi all'indennizzo o al contributo, innanzi il giudice ordinario, avendo essi natura di diritti soggettivi e non di interessi legittimi, dato che, in tale ipotesi, il giudice ordinario non affatto chiamato a decidere sull'an o a determinare il quantum dell'indennizzo o del contributo preteso dal privato nei confronti della P.A. Nella specie, come si visto, non ricorreva, per, tale seconda ipotesi e la causa petendi posta a giustificazione della pretesa del Mazzanti, pur da questi prospettata come lesione d'un diritto soggettivo, in realt data la intrinseca natura dell'interesse dedotto in giudizio, e la effettiva protezione accordata dalla legislazione speciale sui danni di guerra alla posizione del privato nei confronti della P.A. convenuta attingeva la sua esatta ragione giuridica soltanto nell'eventuale lesione d'un interesse legittimo. Evidente , poi l'errore di diritto in cui, per giustificare la propria pronuncia, incorsa la Corte del merito qualificando come norme di relazione e non d'azione quelle contenute negli artt. 25 e 28 della 1. n. 968 del 1953 : errore tanto pi palese in quanto la motivazione contraddice apertamente sul punto, con un'esatta affermazione che la precede. Invero la Corte, richiamandosi all'art. 17 della legge suddetta, dapprima ed esattamente, ha affermato che, contro il decreto dell'Intendente di Finanza che stabilisce se l'indennizzo o il contributo sia dovuto o non e che, nel primo caso, ne determina lo ammontare , dato ricorso al Ministero del Tesoro il cui provvedimento, essendo definitivo, impugnabile innanzi il Consiglio di Stato. Non ha, per, considerato la Corte stessa che l'art. 25 della legge -il quale stabilisce la base per la commisurazione dell'indennizzo riguardo i beni indicati dall'art. 46 lett. b -e l'art. 28 -il quale stabilisce i vari limiti entro cui l'indennizzo, per i beni medesimi, deve essere contenuto ove si superino determinate somme -fissano i criteri ed i limiti che l'Intendente di Finanza deve osservare, e i calcoli che deve eseguire per la liquidazione dell'indennizzo, cio per determinare proprio quell'ammontare (l'unico previsto dalla legge) che dovr essere specificamente indicato, acquistando cosi rilevanza esterna, nel decreto che l'Intendente stesso emette ai sensi dell'art. 17 della legge. Trattasi, pertanto, di norme, certo vincolanti per la P.A., ma intimamente inserite -formando cosi un unicum con le altre -nel procedimento amministrativo di liquidazione 56 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dell'indennizzo previsto dalla legge, vale a dire di norme dirette a regolare, in materia, i modi, i tempi e i limiti dell'attivit della P .A. e, quindi il corretto esercizio del suo potere in vista del perseguimento del pubblico interesse relativo alle provvidenze .da concedere a chi abbia subito danni dalla guerra, cio di norme d'azione e non di relazione di fronte alle quali l'interesse del privato non assurge mai a diritto 'soggettivo, non essendo oggetto di tutela immediata e diretta (cfr. Cass. sent. n. 762 del 15 marzo 1962, n. 657 del 12 aprile 1965). Ed infatti nella specie, il procedimento amministrativo di liquidazione si perfeziona e si conclude con il decreto dell'Intendente di Finanza, quel provvedimento terminale che il privato esplicitamente, ma anche esclusivamente, legittimato a impugnare nel modi previsti dall'art. 17 della 1. n. 968 del 1953, a difesa, come si visto, di un suo interesse legittimo anche se, come nel caso concreto, lamenti la violazione di norme vincolanti per la P.A. circa i criteri, i calcoli e i limiti in base ai quali deve essere determinato l'ammontare dell'indennizzo. Il ricorso deve essere, pertanto accolto e, negandosi in conseguenza la giurisdizione dell'autorit giudiziaria ordinaria a decidere della lite, la sentenza della Corte di Appello di Milano va cassata senza rinvio. (Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 12 gennaio 1966, n. 207 -Pres. Scarpello -Est. Tamburrino -P. M. Criscuoli (diff.) -Ministero Finanze e Azienda Autonoma dei Monopoli dello Stato (avv. Stato Carafa) c. Soc. Agricola Industriale Meridionale (avv. Resta). Competenza e giurisdizione -Improponibilit della domanda -Improponibilit assoluta nei confronti della p. a. -Indagine sulla ipotizzabilit in astratto di un diritto o interesse provvisto di azione o difesa giurisdizionale. Competenza e giurisdizione -Contratto di acquisto di tabacco estero da parte dell'Amministrazione dei Monopoli -Domanda di adempimento formulata dal privato -Responsabilit -Indagine sul se il contratto sia stato stipulato in Italia o all'estero -Non necessaria. Competenza e giurisdizione -Contratti sottoposti ad approvazione Configurabilit di diritti soggettivi -Esclusione. Competenza e giurisdizione -Contratti stipulati dal Ministro -Necessit dell'approvazione ai fini della giurisdizione dell'a.g.o. -Esclusione. L'eccezione di improponibilit assoluta della domanda nei confronti della pubblica Amministrazione comporta la necessit di effettuare una preliminare indagine diretta a stabilire se, nei termini di fatto e di di PARTE I, SEZ. II, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 57 ritto proposti dall'attore, sia ipotizzabile in astratto un diritto o un interesse provvisto di azione o di difesa giurisdizionale (1). proponibile una domanda che pretenda di fondarsi su un contratto di acquisto, da parte dell'Amministrazione dei Monopoli, di tabacco estero, senza che occorra indagare se l'asserito contratto sia stato stipulato in Italia o all'estero (2). Non sono configurabili diritti soggettivi perfetti nascenti da un contratto con la pubblica Amministrazione ove non sia intervenuto il prescritto decreto di approvazione (3). La necessit del decreto di approvazione, ai fini dell'affermazione della giurisdizione del giudice ordinario, viene meno ove il contratto sia stato stipulato dal Ministro (4). (1-4) In tema di improponibilit assoluta della domanda. 1. -I fatti di causa solo largamente noti. Nel 1962 il Ministro delle Finanze dell'epoca e due Societ titolari di -concessioni per la coltivazione di tabacco addivennero ad un accordo, in base al quale le Societ si impegnavano a consegnare annualmente al Monopolio una certa quantit di tabacco estero per un prezzo da liquidare in base alle tariffe vigenti per i tabacchi nazionali. Questo accordo, che aveva assunto la veste di uno scambio di corrispondenza fra il Ministro ed i rappresentanti delle Societ, ebbe esecuzione per un certo tempo, finch, nel 1964, riesaminata attentamente la consistenza giuridica della convenzione e constatata la sua assoluta inammissibilit, il Ministero decise di non darle pi esecuzione in alcuna forma. Le Societ reagirono impugnando dinanzi al Consiglio di Stato questo provvedimento e, contemporaneamente, citando dinanzi al giudice ordinario l'Amministrazione finanziaria per sentir dichiarare la piena validit ed efficaca dell'accordo del 1962. In questa situazione, evidentemente, si imponeva il regolamento preventivo di giurisdizione. L'Avvocatura sostenne, in linea principale, l'improponibilit assoluta delle domande delle Societ e, in linea subordinata, la giurisdizione del Consiglio di Stato. La legge, che riserva a monopolio dello Stato la coltivazione, preparazione, introduzione e vendita dei tabacchi e dei prodotti derivati (art. 45 legge 17 luglio 1942, n. 907), non consente in nessun caso l'introduzione da parte di privati di tabacco grezzo prodotto all'estero. Solo all'Amministrazione spetta, infatti, il potere di acquistare direttamente il tabacco estero nei luoghi di produzione e nei principali mercati stranieri (art. 10 r.d. 18 novembre 1923, n. 2440). Si sostenne, perci, che un rapporto contrattuale quale quello che le Societ pretendevano di dedurre in giudizio non assolutamente configurabile nel nostro ordinamento e che, quindi, la domanda non era proponibile. In ogni caso, poi, si dedusse che, non essendo mai intervenuto il decreto di approvazione del preteso contratto, la posizione giuridica delle Societ non avrebbe potuto qualificarsi come diritto soggettivo perfetto, ma, semmai, solo come interesse legittimo, tutelabile dinanzi al giudice amministrativo di legittimit. Le Sezioni Unite hanno respinto ambedue le tesi, affermando la giurisdizione del giudice ordinario. La decisione non appare pienamente convincente. Essa ha il merito di aver chiaramente riaffermato alcuni fondamentali principi in tema di limiti della giurisdizione nei confronti della pubblica RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (Omissis). Il regolamento di giurisdizione proposto dalle Amministrazioni ri = correnti si fonda su due ordini di considerazioni e di motivi ben distinti, l'uno anzi subordinato all'altro, in quanto si sostiene in primo luogo l'improponibilit assoluta delle domande avanzate dalla Societ attualmente resistente e cio la carenza assoluta di giurisdizione su di esse sia da parte sia del giudice ordinario che di quello amministrativo, mentre in secondo luogo, e subordinatamente, si afferma che, ave non si potesse addivenire a quella improponibilit assoluta, sussisterebbe esclusivamente la giurisdizione del giudice amministrativo e non mai quella del giudice ordinario. Entrambe le proposizioni, sebbene abilmente prospettate e sorrette, non possono, dopo un attento esame, essere accolte. Anzitutto, fermando l'attenzione sul primo dei suddetti due motivi, non pu in alcun modo parlarsi di improponibilit assoluta, di carenza assoluta di giurisdizione in ordine alle domande di cui trattasi. L'eccezione di improponibilit assoluta della domanda importa certamente la preliminare indagine diretta a vedere se una determinata domanda sia in astratto configurabile nei termini di fatto e di diritto proposti dall'attore, sia cio, sempre tenuto conto non della mera prospettazione soggettiva, sibbene del cosidetto petitum sostanziale, della necessaria connessione tra petitum e causa petendi, onde dedurne la effettiva consi- Amministrazione, ma non sembra che da tali principi abbia tratto tutte le necessarie conseguenze rispetto al caso di specie. In particolare: stato giustamente riconosciuto che ogni domanda giudiziale nei confronti della pubblica Amministrazione deve formare oggetto di una preliminare indagine (sempre necessaria, anche se, il pi delle volte, resta nell'ombra) diretta a stabilire se, nei termini di fatto e di diritto proposti dall'attore, sia ipotizzabile in astratto un diritto o un interesse provvisto di azione o di difesa giurisdizionale; ma, poi, nell'effettuare in concreto tale indagine rispetto alla domanda di cui si trattava, sono stati assegnati al giudizio sulla proponibilit confini che ci sembrano eccessivamente ristretti rispetto al giudizio sul merito. E, ancora: stato riaffermato il principio, ormai pacifico, per cui la mancanza dell'approvazione dei contratti stipulati con la pubblica Amministrazione esclude la configurabilit di un diritto soggettivo perfetto in capo al contraente privato; ma si poi ritenuto che l'approvazione non occorra, al fine di ritenere la giurisdizione del giudice ordinario, quando l'autorit stipulante (Ministro) sia quella stessa alla quale competerebbe l'atto di approvazione. Il che non appare coerente col principio, generale e assoluto, confermato dalla stessa sentenza. Su questi punti, non ci sembra, perci, superflua qualche breve osservazione. 2. -Com' noto, le questioni relative al giudizio sulla proponibilit della domanda nei confronti della pubblica amministrazione, inteso come giudizio sui limiti del potere giurisdizionale, hanno formato oggetto, in passato, di una notevole elaborazione giurisprudenziale, che pervenuta a fissare chiari principi, ricavati da un'esatta interpretazione degli artt. 2 e 4 della legge abolitiva del contenzioso amministrativo e delle norme della legge 31 marzo 1877, n. 3761, poi trasfuse nel vigente codice di procedura civile (1). In tempi pi recenti e, in particolare, dopo l'entrata in vigore della Costitu( 1) Cfr., in proposito, l'ampia trattazione contenuta nella Relazione della R. Avvocatura Erariale per gli anni 1926-1929, Roma, 1930, pag. 15 e segg. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 59 stenza dell'intrinseco interesse dedotto in lite, ipotizzabile in astratto un diritto o un interesse provvisto di azione o di difesa giurisdizionale, salvo poi, all'esito positivo di questa prima indagine, passare alla seconda e vedere la natura di quell'interesse eventualmente sussistente e determinare, sempre sulla base del criterio del petitum sostanziale, se esso possa configurarsi come un vero diritto subbiettivo, azionabile innanzi il giudice ordinario, ovvero come un interesse legittimo deducibile innanzi il giudice amministrativo: la unicit del criterio secondo cui vanno condotte le due indagini (petitum sostanziale) pu portare anche ad una commistione di argomentazioni, nel senso che le stesse argomentazioni, possono essere utili per risolvere entrambe, ma resta sempre la loro differenziazione sul piano logico e giuridico. Ora, ponendo mente alle domande fatte valere dalla societ resistente ed alla sostanza delle stesse, nonch alle ragioni giuridiche poste a fondamento di esse, appar chiaro, indipendentemente dalle parole ed espressioni, talora improprie, usate, che si dalla stessa dedotto un rapporto di natura convenzionale interceduto tra essa societ e l'Amministrazione dello Stato per l'acquisto da parte di quest'ultima di tabacco estero. Convenzione che sarebbe stata consacrata dall'atto del Ministro delle Finanze e dalla successiva piena accettazione del privato, il primo del 10 gennaio 1962, la seconda dell'll gennaio dell'anno; convenzione in base alla quale la societ avrebbe dovuto completare la sua produzione di tabacco in Italia con analoga produzione di tabacco all'estero ed avrebbe dovuto consegnare tale tabacco estero ali'Amministrazione italiana che lo avrebbe acquistato secondo precise condizioni zione, non risulta che le questioni stesse abbiano avuto occasione di essere riesaminate dalla Suprema Corte (2). La sentenza in esame assume, perci, notevole importanza per aver nettamente ribadito i risultati raggiunti dalla precedente elaborazione giurisprudenziale, riconoscendone la validit anche sotto il vigore della nuova Carta costituzionale. Tanto pi che qualche pronuncia non molto recente (ad es.: Cass., S.U., 16 ottobre 1954, n. 3753, in Foro it., 1955,1, 493) poteva sembrare indirizzata nel senso di attribuire all'art. 113 Cost. una portata che esso, invece, certamente non ha, quasi che (2) Va rilevato che, fin dal 1951 (a partire dalla sentenza S. U. 29 maggio 1951, in Foro it., 1952, I, 701), si andato consolidando un indirizzo volto ad assoggettare alla disciplina dell'improponibilit assoluta domande attinenti a rapporti tra privati privi di qualunque tutela giuridica (cfr. tra le altre: Cass. S. U., 27 gennaio 1959 n. 221, in Foro it., 1959, I, 216; 6 giugno 1960, n. 1484, ivi 1960, I, 906; 8 luglio 1960, n. 1814, in Giust. civ., 1961, I, 109). Tale indirizzo (accolto con pareri discordi dalla dottrina: cfr., da un lato, ANDRIOLI, in Giur. compl. Cass. civ., 1952, I, 13; LIEBMAN, in Riv. dir. proc., 1953, Il, 35; e, dall'altro, SATTA, Commentario ai cod. proc. civ., Libro I, Milano 1959, pag. 164) non interessa direttamente il nostro tema. Va considerato, tuttavia, che alcuni principi affermati da questa recente giurisprudenza (e cosi, in particolare, quello per cui l'indagine sulla proponibilit dovrebbe essere condotta solo prima facie) possono comportare il pericolo di indebiti ritorni a concezioni del tutto superate ove dell'improponibilit si discuta nel campo che certamente suo proprio: quello dei rapporti fra potere giurisdizionale e pubblica Amministrazione. Non da escludere che la sentenza in esame sia stata indotta a restringere eccessivamente l'ambito del giudizio sulla proponibilit (che, invece, com' pacifico, suppone una piena cognizione dell'oggetto della controversia) proprio per l'influenza dell'indirizzo seguito dalla recente giurisprudenza in tema di domande tra privati. 60 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO e prezzi. Non quindi concessione-contratto, come pure adombrato, ma contratto stipulato tra un soggetto privato e la Pubblica Amministrazione, sottoposto, come tutte le parti in definitiva sono d'accordo, oltre che alle norme sul monopolio dei tabacchi, a quelle generali della legge sulla contabilit generale dello Stato in ordine ai contratti riflettenti rapporti patrimoniali tra Amministrazione e privati. Questa la convenzione dedotta in giudizio, della quale si chiede la piena declaratoria di validit e di cui si chiede, con il risarcimento dei danni, la esecuzione. Petitm adunque la domanda di esecuzione della convenzione, con il risarcimento dei danni per la sua inesecuzione ad opera della Amministrazione, causa petendi la sussistenza del rapporto convenzionale tra la societ privata e l'Amministrazione pubblica. E ben determinate sono anche le norme giuridiche concernenti la fattispecie astratta nella quale, secondo la domanda della societ, dovrebbe rientrare il caso concreto. Invero, le norme sul Monopolio in materia di tabacchi (ed in ispecie quelle della legge 17 luglio 1942, n. 907 e successive modificazioni e quelle del R.D. 29 dicembre 1927, n. 2452) distinguono nettamente la coltivazione e produzione di tabacco in Italia che sono soggette, quando non effettuate direttamente dall'Amministrazione, ad un regime di concessioni a privati, dallo acquisto di tabacco all'estero, acquisto cui abilitata direttamente I'Amministrazione attraverso una attivit a caratttere patrimoniale, avente ad oggetto l'acquisto del tabacco estero: la legge generale sulla contabilit dello Stato, che, l'azione amministrativa dovesse ormai ritenersi sempre soggetta al controllo giurisdizionale e la domanda contro la pubblica Amministrazione I fosse, quindi, sempre proponibile. chiaro, invece, che nell'art. 113 Cost. l'esercizio del potere giurisdizionale nei confronti deUa Pubblica Amministrazione concepito (conformemente ai principi tradizionali) in funzione della tutela dei diritti Ie degli interessi legittimi dei privati ( Contro gli atti della pubblica Amministrazione sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o ammi I nistrativa ). L'assoggettamento dell'azione amministrativa al controllo giu@ risdizionale incontra, quindi, un preciso limite funzionale: esso ammissibile soltanto ove sia coordinato al fine di attuare la garanzia giurisdizionale di quella sfera di interessi dei privati ai quali la legge sostanziale attribui I sce la dignit di diritti soggettivi o di interessi legittimi. Si pone, in tal modo, il problema di identificare esattamente la sfera dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi ai quali costituzionalmente as Isicurata la tutela giurisdizionale. In concreto, sul piano processuale, ci si [ traduce nell'obbligo del giudice di stabilire preliminarmente se la pretesa dedotta in giudizio corrisponda ad un diritto o ad un interesse legittimo ipo~ tizzabile nei confronti della pubblica Amministrazione, e cio di accertare se essa rientri nella sfera degli interessi privati giuridicamente protetti. L'esito negativo di tale indagine comporta il riconoscimento del difetto assoluto di giurisdizione e, quindi, dell'improponibilit della domanda. Posto, infatti, che la potest giurisdizionale nei confronti della Pubblica Amministrazione trova il suo limite invalicabile nella funzione esclusiva di garanzia dei diritti ~ degli interessi dei privati, ove non sia ipotizzabile in astratto alcuna posizione giuridica tutelata di fronte all'azione amministrativa, il giudice (qualunque giudice) deve ritenersi privo di ogni potere rispetto al merito della controversia. La violazione di questo principio as PARTE I, SEZ. II, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 61 come noto, regola la attivit contrattuale patrimoniale della Pubblica Amministrazione, chiama esplicitamente, nell'art. 10, convenzioni siffatti atti diretti all'acquisto di tabacco all'estero. Onde anche indi viduata la fattispecie astratta entro cui, secondo la domanda fatta valere dalla societ, dovrebbe inquadrarsi la fattispecie concreta. Da cui deriva, come ulteriore conseguenza, la piena configurabilit in astratto di un diritto protetto. A questo punto le Amministrazioni ricorrenti immediatamente deducono che le norme citate prevedono si la possibilit e la concepi bilit di convenzioni stipulate dalla Pubblica Amministrazione per l'ac quisto di tabacco estero, ma esse limitano tali convenzioni alla ipotesi in cui il tabacco sia coltivato e prodotto all'estero e la convenzione avvenga all'estero direttamente tra produttore estero e Amministra zione, nel senso che cio il potere di acquistare tabacco all'estero sareb be ,subordinato alla ricorrenza di una duplice condizione, l'una integrata da un criterio di collegamento territoriale del genere da acquistare con il luogo in cui si trova, l'altra integrata da una attivit diretta dell'Amministrazione a tale acquisto; laddove nella specie manchereb bero entrambe le condizioni, essendo stata la convenzione assunta stipulata in Italia con una societ italiana che avrebbe dovuto acqui stare all'estero il tabacco e rivenderlo al Monopolio italiano. Qui si pone subito una precisazione che sempre queste Sezioni Unite sono costrette a fare, allorch si discute in tema di proponibilit della do manda e di carenza di giurisdizione. La precisazione che non occorre in alcun modo confondere il problema della proponibilit astratta che sumerebbe il valore di un eccesso di potere giurisdizionale e di un'invasione della sfera costituzionalmente riservata al potere esecutivo (conflitto di attribuzione, deferito alla Corte Costituzionale a norma dell'art. 134 Cost. (1) ). La valutazione giuridica di una pretesa dedotta in giudizio contro l'Amministrazione, va, quindi, sempre effettuata in due distinti momenti. Anzitutto, si pone un problema di configurabilit in astratto di una posizione giuridica tutelata come fondamento della pretesa. La soluzione positiva di tale problema apre, quindi, l'adito al giudizio di merito (spettante al giudice individuato in base alla qualificazione -diritto soggettivo o interesse legittimo -attribuita alla posizione giuridica riconosciuta in astratto configurabile): giudizio rivolto all'accertamento della spettanza in concreto del diritto o dell'interesse legittimo all'attore e della sua eventuale lesione da parte della pubblica Amministrazione. Il primo giudizio attiene all'accertamento dell'esistenza del potere giurisdizionale; il secondo, all'esercizio in concreto del potere riconosciuto esistente. 3. -La distinzione fra giudizio sulla proponibilit della domanda e giudizio di merito , quindi, in linea di principio, nettissima. Si comprende, tuttavia, come in concreto possa in qualche caso non apparire del tutto chiara la linea di separazione fra ci che appartiene al primo giudizio e ci che appartiene al secondo. La distinzione non , infatti, nell'oggetto dell'indagine giudiziale (che sempre la pretesa fatta valere (1) V., per tutti, GuGLIELMI, I conflitti di attribuzione tra i poteri detto Stato, in La Corte Costituzionale (Raccolta di studi), Roma 1958, pag. 397, e segg. 62 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO l'unico che interessa in tema di giurisdizione ed il problema della proponibilit e fondamento in concreto della domanda che problema di merito, da esaminarsi dal giudice competente. Il primo problema si limita alla determinazione della sussistenza di una fattispecie astratta entro la quale possa in astratto rientrare la fattispecie concreta fatta valere sicch sia, sempre in astratto, ipotizzabile un diritto o un interesse tutelato, nonch alla qualificazione astratta di questo diritto od interesse, in relazione alla fattispecie astratta invocata ed alla fattispecie concreta fatta valere. Se si ritiene, sulla interpretazione della domanda con il criterio innanzi indicato, che sussista una siffatta fattispecie astratta invocata, una previsione legislativa, in cui possa in astratto ricomprendersi la fattispecie concreta, la domanda sar proponibile e si tratter allora di qualificare sempre in astratto l'interesse fatto valere, se cio si sia in presenza di un interesse obbiettivamente ed effettivamente configurabile in astratto in virt di una protezione diretta ed immediata (diritto subbiettivo azionabile innanzi al giudice ordinario) ovvero in presenza di un interesse protetto solo occasionalmente in relazione alla tutela di un interesse pubblico e dell'uso di poteri discrezionali da parte della Pubblica Amministrazione (interesse legittimo tutelabile innanzi il giudice amministrativo). Tutto il resto, in giudizio), ma nella prospettiva, o, se si vuole, nel punto di vista, trattandosi, in un caso, di accertare se la pretesa possa astrattamente ricondursi alla sfera dei diritti e degli interessi legittimi tutelati dalla legge nei confronti dell'azione amministrativa, e, nell'altro, di accertare se la pretesa trovi in concreto fondamento in un diritto o in un interesse legittimo leso dall'Amministrazione. Si avverte, quindi, la necessit di un chiaro criterio di discriminazione fra i due giudizi. Sul punto, la sentenza in esame, premesso che non occorre in alcun modo confondere il problema della proponibilit astratta, che l'unico che interessa in tema di giurisdizione, ed il problema della proponibilit e fondamento in concreto della domanda, che problema di merito, da esaminarsi dal giudice compentente., precisa che il primo problema si limita alla determinazione della sussistenza di una fattispecie astratta entro la quale possa, in astratto, rientrare la fattispecie concreta fatta valere, sicch sia, sempre in astratto, ipotizzabile un diritto o un interesse tutelato, nonch alla qualificazione astratta di questo diritto od interesse, in relazione alla fattispecie astratta invocata ed alla fattispecie concreta fatta valere.... Tutto il resto, quando dalla proponibilit astratta si passa a quella concreta, quando dalla configurabilit astratta si passa alla configurazione concreta, fuoriesce dal problema di giurisdizione e diventa problema di merito . In linea di principio, si pu ben consentire con questa impostazione. La discriminazione dell'ambito del giudizio sulla proponibilit e di quello del giudizio di merito sta tutta nella contrapposizione astratto-concreto. Il giudizio sulla proponibilit riguarda la configurabilit in astratto di una posizione giuridica tutelata del privato nei confronti della pubblica Amministrazione (trattandosi, appunto, di accertare se vi sia materia per l'esercizio della potest giurisdizionale, che esiste solo in funzione della garanzia di posizioni 1giuridiche siffatte). Il giudizio sul merito riguarda, invece, la concreta esistenza, in capo all'attore, della posizione giuridica gi ritenuta, in astratto, configurabile. Ma chiaro che la semplice caratterizzazione dei due giudizi in termini di astrattezza e concretezza ben lungi dall'essere idonea, da sola, a PARTE I, SEZ. II, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 63 quando dalla proponibilit astratta si passa a quella concreta, quando dalla configurabilit astratta si passa alla configurazione concreta, fuoriesce dal problema di giurisdizione e diventa problema di merito. In base a siffatti principi sufficiente stabilire nel caso in esame che stata dedotta dalla societ privata una convenzione, da essa stipulata con la Pubblica Amministrazione, e cio un contratto regolabile nelle norme sulla contabilit generale dello Stato, relativo all'acquisto di tabacco estero e del quale si chiede dal privato la esecuzione. Sussiste la fattispecie astratta in cui si chiede che sia inquadrata quella concreta e sussiste la configurabilit astratta dell'interesse della societ ad ottenere la protezione della sua posizione contrattuale da parte dell'ordinamento giuridico. Ci basta perch si debba concludere essersi in presenza di una domanda proponibile e di una domanda concernente un diritto subbiettivo della societ in relazione ad un rapporto contrattuale con la Pubblica Amministrazione relativo ad acquisto di tabacco estero. Tutto il resto merito. Cos il dire che il preteso contratto non poteva essere stipulato dalla Amministrazione con una societ italiana in Italia, perch la legge prevede solo la possibilit di contratti all'estero con soggetti stranieri significa porre il problema del fonda mento concreto della domanda proposta, cio dell'inquadramento concreto e preciso della fattispecie concreta nella fattispecie astratta invocata, il che spetta al giudice del merito stabilire. Vale a dire il giudice della giurisdizione deve limitarsi alla affermazione della sussistenza risolvere il problema. Essendo l'astrattezza un concetto eminentemente relativo e potendosene dare varie gradazioni, si tratta, in definitiva, di vedere da quali elementi esattamente si debba fare astrazione per giudicare sulla proponibilit della domanda. Seguendo l'impostazione della sentenza in esame, sia il giudizio sulla proponibilit che quello sul merito possono ricondursi al classico sillogismo giudiziale: sussunzione della fattispecie concreta nella fattispecie legale. Si tratta, cio, sempre di stabilire se i fatti materiali dedotti in giudizio corrispondano ad una ipotesi legislativa alla quale sia collegato il sorgere di un diritto o di un interesse legittimo. Nel caso, per, del giudizio sulla proponibilit, questa indagine deve condursi solo in astratto. Non sembra dubbio che ci null'altro pu significare che il giudizio sulla proponibilit della domanda deve limitarsi alla verifica della ricorrenza, nella fattispecie concreta, di alcuni soltanto degli elementi di una fattispecie legale idonea a far sorgere un diritto o un interesse legittimo, facendosi astrazione dagli elementi ulteriori. In termini pi rigorosi, ci equivale a dire che la fattispecie legale alla quale collegata l'attribuzione al giudice della potest giurisdizionale rispetto ad un rapporto fra privati e pubblica Amministrazione costituisce una sezione della stessa fattispecie contemplata dalla norma sostanziale che regola il rapporto e che attribuisce al privato un diritto soggettivo o un interesse legittimo nei confronti dell'Amministrazione. Alcuni elementi della fattispecie contemplata dalla norma sostanziale, mentre, da un lato, concorrono con gli altri 'alla produzione dell'effetto giuridico consistente nella proteziQne dell'interesse del privato, compongono, dall'altro, una distinta fattispecie alla quale collegato il sorgere della potest giurisdizionale rispetto al rapporto di cui si tratta. Individuare l'ambito del giudizio sulla proponibilit della domanda significa, quindi, individuare, fra gli elementi di fatto presi in considera 7 64 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO e configurabilit in astratto di un diritto subbiettivo relativo ad una fattispecie concreta inquadrabile in una determinata fattispecie astratta, mentre spetta al giudice del merito interpretare la norma e determinare ;)i requisiti e gli elementi della fattispecie astratta, nonch fissare gli elementi di quella concreta e decidere se la seconda sia inquadrabile ' nella prima e se il diritto subbiettivo, astrattamente configurabile, esi' I . sta effettivamente. Se sar accertato che effettivamente la norma non consente un valido contratto in Italia con soggetto privato italiano circa l'acquisto e la produzione di tabacco estero con le condizioni nella specie fissate, si avr invalidit, nullit, contrasto con le norme di legge, della convenzione e quindi rigetto nel merito delle domande attrici. Ma ci non concerne il problema di giurisdizione. Anzi un giudice vi ha pur da essere, che decida sulla validit di quella convenzione e sulla applicabilit alla stessa della norma invocata e tale non pu essere che il giudice ordinario, dacch fatto valere un diritto subbiettivo astrattamente configurabile come discendente da un rapporto contrattuale posto in essere dalla Amministrazione con il privato. Si dice dalle ricorrenti che potrebbe ammettersi la esistenza di un giudice della controversia , ma non mai di un giudice del contratto . Ma, se si in presenza di un rapporto tra privato e Amministrazione in ordine al quale potrebbe in astratto configurarsi o una tutela diretta ed intima della posizione del privato ovvero una tutela indiretta an zione dalla norma che disciplina il rapporto di cui si tratta, quegli elementi che non condizionano tanto l'attribuzione in concreto al privato di una posizione giuridica tutelata, quando la stessa possibilit di una tutela siffatta e, quindi, l'esistenza della potest giurisdizionale rispetto al merito della controversia. E poich la possibilit di una tutela dell'interesse del privato dipende dal modo in cui si atteggiano, nella materia di cui si tratta, i poteri della pubblica Amministrazione, appare chiaro che gli elementi rilevanti per il giudizio sulla proponibilit della domanda sono appunto quelli (e tutti quelli) che, sul piano sostanziale, rilevano ai fini del concreto atteggiarsi dei poteri dell'Amministrazione rispetto al rapporto in contestazione. Se la legge sostanziale, in presenza di certi presupposti di fatto, attribuisce all'Amministrazione una potest di azione tale da escludere che nel suo svolgimento possano configurarsi limiti segnati da posizioni giuridiche attribuite a privati, mentre, in presenza di altri presupposti, pone dei vincoli al potere dell'Amministrazione a garanzia (immediata o mediata) di interessi privati, il giudizio sulla proponibilit di un'eventuale domanda nei confronti dell'Amministrazione deve rivolgersi, com' evidente, proprio all'accertamento della ricorrenza, in concreto, dell'uno o dell'altro ordine di presupposti di fatto. E, ugualmente, se la legge fa dipendere dall'esistenza di certi elementi di fatto l'esistenza o l'inesistenza del potere dell'Amministrazione di porre in essere un'attivit giuridica idonea .a far sorgere, essa stessa, una posizione giuridica tutelata del privato, l'accertamento in concreto di questi elementi di fatto non pu non competere al giudizio sulla proponibilit della do manda. In una classificazione schematica, gli elementi rilevanti per il giudizio sulla proponibilit della domanda possono, quindi, distinguersi in due i gruppi:1) elementi dai gual"1 d"1pende l'es1s tenza o l'"ines1s tenza d"1 l"1m1"t"1, ne1 l'interesse privato all'azione amministrativa; l~ , . ' II ~ W/,/W///////////////,W///,W///////_.JJJffti..xw,;w~~~X.,..//,,@/~:X..XW.,..////iiY~~... PARTE I, SEZ. II, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 65 corata a quella dell'interesse piubblico, sorge la questione della determinazione astratta di quella tutela, sorge quindi la questione della determinazione del giudice della controversia , con la conseguenza che se la questione risolta nel primo senso (tutela diretta ed immediata della posizione contrattuale del privato) il giudice della controversia ' sar il giudice del contratto ., investito anche del potere di decisione sulla sua validit ed efficacia. Queste conclusioni non sono toccate dalle considerazioni svolte dalle ricorrenti nel secondo motivo. Questo proposto sulla base di una ormai costante giurisprudenza di questo Supremo Collegio secondo cui, nei contratti stipulati tra il privato e la Pubblica Amministrazione, la mancanza della richiesta approvazione esclude la titolarit da parte del privato di un diritto subiettivo perfetto verso la Amministrazione e l'azionabilit di una valida pretesa di esecuzione o di risarcimento contro l'Amministrazione medesima (da ultimo sent. n. 932 del 1961 di queste Sezioni Unite). Il che importa che il giudice della giurisdizione, nel suo potere di determinazione del giudice della controversia, deve stabilire se il contratto invocato sia soggetto all'approvazione di cui alla legge della contabilit generale dello Stato e nell'affermativa se esso stato o meno approvato. Contrariamente a quanto opina la difesa della societ resistente (d'accordo peraltro con una recentissima corrente dottrinale) questo esame non impinge nel merito in relazione 2) elementi dai quali dipende l'esistenza o l'inesistenza di un potere dell'Amministrazione di porre in essere l'attivit giuridica costitutiva della posizione giuridica affermata dall'attore. L'accertamento di questi elementi di fatto dev'essere effettuato, ovviamente, anche ai fini del giudizio sulla proponibilit, in concreto e con pienezza di cognizione. chiaro, quindi, in che senso pu parlarsi, a proposito del giudizio sulla proponibilit della domanda, di accertamento della configurabilit in astratto di una posizione giuridica tutelata del privato nei confronti del!' Amministrazione: si tratta, invero, di accertare l'esistenza (ovviamente in concreto) di alcuni soltanto dei presupposti di fatto da cui discende l'attribuzione di un diritto o di un interesse legittimo all'attore; e precisamente di quei presupposti che, essendo rilevanti ai fini dell'atteggiarsi dei poteri dell'Amministrazione nel rapporto di cui si tratta, condizionano in generale, rispetto a chiunque e non solo rispetto all'attore, la possibilit di una tutela giuridica degli interessi dei privati. 4. -Applicando i principi esposti, che rappresentano il logico svolgimento dei postulati riaffermati anche dalla sentenza in esame, diversa -ci sembra -doveva essere la decisione nel caso di specie. Le Societ attrici pretendevano di fondare le loro domande su un rapporto contrattuale avente ad oggetto la fornitura di tabacco estero all'Amministrazione. La configurabilit in astratto di una posizione giuridica tutelata delle Societ nei confronti dell'Amministrazione dipendeva, quindi, dalla configurabilit, sempre in astratto, del preteso contratto. E, quindi, dipendeva dall'accertamento dell'esistenza del potere dell'Amministrazione di porre in essere l'attivit costitutiva del contratto stesso. Non occorre qui esaminare se l'attivit di diritto privato della pubblica Amministrazione debba trovare sempre il proprio presupposto in un potere espressamente riconosciuto dalla legge in relazione a figure contrattuali nominate, o se, invece, possa riconoscersi anche alla pubblica Amministra 66 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ad una delle condizioni di efficacia del contratto, ma, secondo la richiamata giurisprudenza, l'approvazione una delle condizioni e degli elementi che incide sulla qualificazione astratta della natura della posizione del privato e della sua tutela, vale a dire della qualificazione ' astratta di tale posizione come di diritto subbiettivo o di mero interesse legittimo. Ci posto, la discussione sul punto pacifico che nella specie manca un atto formale separato di approvazione del contratto posto in essere con le manifestazioni di volont del 10 e dell'll gennaio 1962, dalle parti concentrata sulla interpretazione ed applicazione dell'art. 10 della legge sulla contabilit generale, la quale esclude la necessit di approvazione per le convenzioni relative all'acquisto di tabacco estero cui l'Amministrazione provveda direttamente nei luoghi di produzione e nei principali mercati stranieri . Secondo le Amministrazioni ricorrenti, tale deroga al principio generale che i contratti tutti tra privati e Pubblica Amministrazione devono essere approvati nelle forme di legge, presuppone la stipula della convenzione riguardante il tabacco estero nel luogo di produzione o nel mercato straniero e non si estenderebbe alla convenzione stipulata in Italia con una societ o soggetto privato italiano, sia pure avente ad oggetto acquisto di tabacco zione una generale capacit in ordine agli atti di diritto privato. Anche se si segue quest'ultima opinione, non vi pu esser dubbio che nel nostro ordinamento si rinvengono limiti peculiari alla libert contrattuale della pubblica Amministrazione, sempre vincolata ad agire per il conseguimento dei fini che la legge le assegna e nei modi che la legge consente. Esiste, cio, indubbiamente una serie pi o meno ampia di rapporti contrattuali che l'Amministrazione non ha il potere di porre in essere e che, quindi, non sono assolutamente configurabili come rapporti interessanti l'Amministrazione. L'attivit di un funzionario tendente a porre in essere un rapporto di questo tipo non potrebbe mai essere giuridicamente valutata come attivit contrattuale riferibile all'Amministrazione. Di fronte ad una domanda che pretenda di fondarsi su un contratto stipulato con la pubblica Amministrazione non si pone, perci, soltanto il priblema (di merito) relativo illla validit del contratto invocato, ma si pone, pregiudizialmente, il problema (di giurisdizione) relativo all'ammissibilit, in generale, di un contratto di quel tipo fra privati e pubblica Amministrazione. S'e si tratta di un contratto (es. donazione) che la legge 11011 consente in nessun caso all'Amministrazione di porre in essere, la dichiarazione dell'improponibilit assoluta della domanda si impone con tutta evidenza. Se si tratta, invece, di un contratto che l'Amministrazione pu porre in essere solo in presenza di determinati presupposti di fatto, il giudizio sulla propo:. nibilit della domanda si risolve necessariamente nell'indagine sulla sussistenza in concreto di tali presupposti. Non basta cio, come implicitamente hanno ritenuto le Sezioni Unite, accertare l'esistenza nell'ordinamento di una figura contrattuale interessante la pubblica Amministrazione, genericamente corrispondente a quella invocata dall'attore. Se la legge subordina a determinati presupposti il potere dell'Amministrazione di porre in essere il contratto di cui si tratta, il giudice non pu esimersi dal dovere di verificare, ai fini del giudizio sulla proponibilit della domanda, la sussistenza di tali presupposti. Fra l'ipotesi di un contratto sempre inammissibile fra privati e pubblica Amministrazione e l'ipotesi di un contratto inammissibile in determi PARTE I, SEZ. II, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 67 estero, in quanto in quest'ultimo caso mancherebbe la ratio della deroga, costituita dalla impossibilit ed inopportunit di una approvazione di convenzione stipulata all'estero. Oppone la societ resistente che tale deroga non pu interpretarsi in senso cos restrittivo e deve estendersi a tutte le convenzioni relative all'acquisto di tabacco estero, cio prodotto all'estero e venduto nei principati mercati stranieri, anche se la convenzione stessa formalmente stipulata in Italia, risiedendo la ratio della norma nell'oggetto della convenzione e nella circostanza che l'attivit del Monopolio di Stato soggetto a controlli generali preventivi e successivi. Ma, ad avviso di questa Suprema Corte, la risoluzione della questione non ha reale carattere decisivo: anche ad accettare la tesi ristretta e rigorosa, nella specie non potrebbesi giungere alle conclusioni volute dalle ricorrenti, per una considerazione diversa, questa di carattere decisivo. All'uopo necessario fermarsi, sempre ai fini preliminari della , questione di giurisdizione, cio ai fini della determinazione della necessariet dell'approvazione separata come elemento condizionante della qualificazione astratta di diritto subbiettivo, su taluni aspetti peculiari della fattispecie concreta posti in essere tra le parti e risultanti dagli atti. In particolare, dato rilevare: nate circostanze non sussiste, infatti, alcuna differenza che possa giustificare la diversit di trattamento. Sia nell'un caso che nell'altro, l'inesistenza del potere dell'Amministrazione di porre in essere l'attivit costitutiva del contratto esclude ogni possibilit di configurare posizioni giuridiche tutelate del preteso contraente privato: esclude, cio, in assoluto, la proponibilit di una sua domanda giudiziale che sul contratto pretendesse di fondarsi. Altro , infatti, un contratto invalido ed altro un contratto giuridicamente impossibile come contratto della pubblica Amministrazione. E la mancanza dei presupposti di fatto che condizionano il potere dell'Amministrazione di porre in essere l'attivit costitutiva del contratto non ha per conseguenza la semplice invalidit, ma esclude proprio la stessa possibilit di configurare un rapporto contrattuale in cui l'Amministrazione sia impegnata. La situazione, cio, perfettamente identica a quella che si verifica allorch la legge esclude sempre il potere dell'Amministrazione di concludere un contratto di un certo tipo. La circostanza che, in presenza di presupposti di fatto diversi da quelli sottoposti al giudice, il potere dell'Amministrazione possa sussistere non vale, infatti, certamente a stabilire alcuna differenza: l'accertamento della mancanza di un potere dell'Amministrazione di concludere il contratto invocato dall'attore deve sempre condurre alla stessa conclusione (dichiarazione dell'improponibilit assoluta d,ella domanda), a nulla rilevando, evidentemente, che, in qualche ipotesi diversa da quella oggetto del giudizio, il potere dell'Amministrazione possa eventualmente sussistere. . Appare, quindi, arbitrario restringere l'ambito del giudizio sulla proponibilit della domanda, ove si tratti di rapporti contrattuali con la pubblica Amministrazione, al semplice accertamento dell'esistenza del potere dell'Amministrazione di porre in essere, in qualche caso, contratti del tipo di quello invocato dall'attore. Accertare se nella fattispecie concreta dedotta in giudizio ricorra appunto uno di quei casi in cui il contratto ammissibile non pu non appartenere allo stesso giudizio sulla proponibilit, dato che, incontestabilmente, il fine di questo non consiste nell'effettuare semplicemente una prima, sommaria delibazione del merito, ma nel verificare la sussistenza di tutti i presupposti di fatto che, condizionando la possibilit di 68 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO a) che la domanda delle societ private, tra cui la resistente, per la effettuazione della complessa operazione relativa al tabacco estero, fu inoltrata direttamente al Ministro delle Finanze dell'epoca; b) che, dopo contatti interni con l'Amministrazione dei Monopoli di Stato, la quale prima espresse parere contrario alla operazione, poi parere eventualmente favorevole subordinato a condizioni di carattere tecnico ed economico, il Ministro, avendo intenzione di accogliere le dette domande, propose uno schema di convenzione che sottopose al consiglio di Amministrazione della Azienda dei Monopoli di Stato; c) che il detto Consiglio di Amministrazione esamin le domande delle societ interessate e lo schema predisposto dal Ministro sotto il profilo essenzialmente tecnico, ritenendo le questioni di crattere giuridico avocate a s dal Ministro medesimo, e formul nuove condizioni di carattere tecnico cui il Ministro avrebbe dovuto adeguarsi nello stipulare la convenzione con le societ richiedenti; d) che successivamente il Ministro, con la lettera di proposta del. 10 gennaio e con la accettazione delle societ del giorno successivo 11 gennaio 1962, stipul la convenzione in oggetto. Ne consegue che nella specie si in presenza della rilevante peculiarit che la deliberazione a contrattare fu data non nei confronti di un funzionario o configurare posizioni giuridiche tutelate nei confronti dell'Amministrazione, condizionano, al contempo, la stessa estistenza del potere giurisdizionale rispetto alla controversia dedotta, in giudizio. 5. -La sentenza in esame incorsa proprio in questo errore, ritenendo, in sostanza, la proponibilit della domanda sulla base della considerazione che un contratto di acquisto di tabacco estero da parte dell'Amministrazione contemplato nel nostro ordinamento. Ogni questione relativa ai limiti entro i quali un tale contratto ammesso dovrebbe qualificarsi come questione attinente alla validit del contratto e sarebbe, quindi, rimessa al giudice di merito. Va premesso che la legislazione in materia di tabacchi distingue nettamente il regime della coltivazione e produzione del tabacco in Italia e il regime dell'introduzione nello Stato del tabacco prodotto all'estero. La coltivazione del tabacco in Italia pu essere effettuata o direttamente da parte dell'Amministrazione dei Monopoli ovvero a mezzo di concessionari (art. 49, 1. 17 luglio 1942, n. 907). Rispetto al tabacco prodotto in Italia nessun rapporto contrattuale di diritto privato fra l'Amministrazione e privati fornitori , quindi, possibile: la materia interamente soggetta ad una rigorosa disciplina pubblicistica. Il tabacco grezzo prodotto all'estero pu essere introdotto in Italia esclusivamente dall'Amministrazione, la quale, per approvvigionarsene, abilitata a concludere contratti di acquisto nei luoghi di produzione e nei principali mercati esteri (art. 10 r.d. 18 novembre 1923, n. 2440; art. 12, n. 2, r.d. 29 dicembre 1927, n. 2452). Un contratto di acquisto da parte dell'Amministrazione di tabacco grezzo prodotto in Italia , quindi, assolutamente escluso. Un contratto di acquisto di tabacco prodotto all'estero , invece, ammesso a condizione che sia stipulato all'estero direttamente dal Monopolio. Trattandosi, evidentemente, di un sistema chiuso, non potrebbe ammettersi alcun'altra fattispecie contrattuale in questa materia. Cos, senz'altro da escludere che l'Amministrazione abbia il potere di acquistare tabacco estero in Italia, ossia di pattuire l'introduzione del tabacco nello Stato da parte di privati. L'attivit esecutiva di un simile contratto integrerebbe, PARTE I, SEZ. II, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 69 del rappresentante della Azienda autonoma dei Monopoli, ma nei confronti del Ministro delle Finanze e che il contratto fu effettivamente stipulato per la Pubblica Amministrazione dal Ministro delle Finanze: il che vuol dire che, conformemente alla deliberazione a contrattare; la convenzione fu posta in essere da quello stesso organo cui compete per legge la funzione di approvare le convenzioni medesime; Ora, quale che sia la esatta definizione giuridica della approvazione ministeriale dei contratti e delle convenzioni stipulate da una Pubblica Amministrazione con un privato, evidente, dal punto di vista sostanziale, che essa si concretizza in un controllo di merito dell'operato contrattuale dell'Amministrazione: sia essa un atto di volont dell'Amministrazione attiva necessario per la completa formazione dell'iter contrattuale, sia un atto di volont del Ministro come organo di controllo ponente una condicio juris per la efficacia del contratto, evidente che essa si sostanzia in un esame della legittimit ed opportunit del contratto, che non pu non essere emanazione, come atto separato, di organo diverso da quello che manifesta la volont oggetto del controllo e del riesame. Tutta la legislazione e tutte le decisioni giurisprudenziali che concernono la approvazione come atto separato riguardano e presuppongono la circostanza normale che l'approvazione provenga da organo diverso da quello che ha stipulato il contratto. Ed invero non possibile infatti, gli estremi del delitto di contrabbando (art. 65, 1. 17 luglio 1942, n. 907), n la legge attribuisce in alcun caso all'Amministrazione il potere di legittimare, per mezzo di un contratto, l'attivit stessa. chiaro, perci, che un rapporto contrattuale avente ad oggetto l'acquisto di tabacco da parte della Amministrazione configurabile soltanto ove ricorrano i seguenti presupposti di fatto: che si tratti di tabacco estero e che l'acquisto abbia luogo all'estero direttamente da parte dell'Amministrazione. Mancando tali presupposti, viene a mancare radicalmente il potere dell'Amministrazione di porre in essere l'attivit contrattuale e, quindi, in tal caso, la domanda del preteso contraente privato deve ritenersi assolutamente improponibile. La sentenza in esame, si , invece, fermata all'accertamento che, nella specie, si trattasse di acquisto di tabacco estero, omettendo di prendere in considerazione la circostanza che l'acquisto fosse stato stipulato in Italia o all'estero, ossia che l'attivit esecutiva del preteso contratto comportasse o meno l'introduzione nello Stato del tabacco estero da parte del contraente privato. E ci perch la sola circostanza della produzione all'estero del tabacco acquistato condizionerebbe la possibilit di inquadrare in astratto la fattispecie concreta nella fattispecie contrattuale prevista dalla legge e, quindi, la configurabilit di una posizione giuridica tutelata delle Societ attrici: tutto il resto riguarderebbe, invece, il problema della validit del preteso contratto. Ma tale distinzione non pu reggersi. La legge condiziona il potere dell'Amministrazione di acquistare tabacco mediante contratti di diritto privato non solo alla circostanza che si tratti di tabacco estero, ma anche a quella che l'acquisto avvenga all'estero. Ambedue le condizioni sono perfettamente sullo stesso piano e non pu giustificarsi che dalla mancanza della prima si faccia derivare il difetto di giurisdizione rispetto alla pretesa convenzione (assolutamente non configurabile come contratto interessante la pubblica Amministrazione), mentre dalla mancanza della seconda si faccia derivare soltanto l'invalidit del contratto. 70 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO concepire un'approvazione separata autonoma data a se stesso dallo organo medesimo che stipula la convenzione; non possibile concepire un riesame della situazione di diritto e di fatto da parte dello stesso organo che nel decidere la stipulazione, nell'approvare la delibera a contrattare e nell'effettuare materialmente la stipulazione medesima ha gi compiuto quello esame e l'ha risolto in un certo senso: viene meno la ratio dell'istituto dell'approvazione in materia contrattuale che appunto la possibilit di riesame da parte di diverso organo della situazione di fatto e di diritto gi risolta in un certo senso dall'organo che ha stipulato il contratto. Siffatta difficolt e siffatte ragioni non sono state disconosciute dall'abile difesa delle ricorrenti, la quale ripiega su un'altra costruzione giuridica, secondo la quale la approvazione sarebbe stata pur sempre necessaria e soltanto il fatto che nella specie il Ministro approva se stesso potrebbe portare al vizio della approvazione data dal Ministro ad un atto stipulato con se stesso. Di guisa che anche secondo la difesa delle ricorrenti non pu concepirsi una autonoma approvazione da parte dello stesso organo stipulante, il che risulta anche dall'art. 103 del I regolamento per la contabilit generale dello Stato che vieta, nei casi I I ffi in cui ammessa delega, di delegare lo stesso funzionario che ha Come abbiamo detto, la mancanza, nella fattispecie dedotta in giudizio dei presupposti di fatto che condizionano il potere dell'Amministrazione di stipulare un contratto di un certo tipo va equiparata, ai fini che qui interessano, alla radicale mancanza di potere rispetto allo stesso tipo contrattuale. Tanto pi, poi, deve escludersi, nel caso in esame, la possibilit di co I struire un tipo contrattuale acquisto di tabacco estero ., rispetto al , I . quale l'Amministrazione sarebbe fornita di potere, escludendo arbitrariamente dagli elementi rilevanti per la costruzione del tipo quelli che attengono al luogo della stipulazione. I Se si ritiene, infatti, che la natura dell'oggetto valga ad individuare una ben' distinta fattispecie contrattuale, non si vede proprio perch la stessa rilevanza non dovrebbe attribuirsi al luogo della stipulazione (che, del resto, condiziona la stessa configurazione dell'attivit dedotta in contratto). . L'arbitrio non pu evitarsi che partendo dal principio che nessuna di, stinzione consentita fra gli elementi di fatto cui la legge subordina l'esistenza del potere dell'Amministrazione di porTe in essere un rapporto contrattuale con i privati. La mancanza di uno qualunque di tali presupposti (e, cosi, nella specie, la mancanza del presupposto della stipulazione del contratto all'estero), escludendo ogni possibilit di configurare un vincolo contrattuale dell'Amministrazione, non pu non escludere in assoluto la proponibilit della domanda eventualmente avanzata dal preteso contraente privato. 6. -Ritenuta la proponibilit della domanda, le Sezioni Unite hanno affermato la competenza giurisdizionale del giudice ordinario, respingendo la tesi subordinata dell'Amministrazione, che si fondava sulla mancanza dell'atto di approvazione del contratto e, quindi, sull'impossibilit di configurare, nella specie, diritti soggettivi perfetti in capo al contra.ente privato. stata ritenuta decisiva, in proposito, la circostanza che la convenzione era stata posta in essere dal Ministro, ossia da quello stesso organo cui compete per legge l'emanazione dell'atto di approvazione. Mancherebbe, nella specie, la ratio dell'istituto dell'approvazione in materia contrattuale, che appunto la possibilit di riesame da parte di diverso organo PARTE I, SEZ. II, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 71 emesso l'atto e che ha stipulato il contratto ad approvare separatamente il contratto stesso: ma questa inconcepibilit importa non un mero vizio formale della approvazione sibbene una sua sostanziale inutilit come atto separato. Nel senso che deve ritenersi come nel caso, certamente anomalo, in cui, in vista della assunta gravit del contratto o di altra ragione, l'organo deliberante dia una deliberazione a contrattare, debitamente approvata dal Ministro, in cui si demandi allo stesso Ministro di stipulare il contratto, non sia necessaria una ulteriore approvazione autonoma da parte dello stesso Ministro a se stesso, essendo essa implicita gi nell'esame fatto a proposito dell'approvazione della deliberazione e della stipulazione effettiva, tanto pi nel caso in cui l'attivit del Ministro si inserisca in quella di una azienda, sottoposta a generali controlli preventivi e successivi. Ci ai fini del sorgere astratto del diritto subiettivo, ch certamente questa situazione anomala potrebbe anche ripercuotersi sulla validit non del semplice e mero atto di approvazione ma di tutto il contratto stipulato da quell'organo ed in base a quella deliberazione, ma siffatte ripercussioni riguardano il merito, riguardano l'iter precontrattuale, la validit della deliberazione a contrattare e la legittimazione a stipulare, nonch la sostanza della stipulazione stessa, punti tutti sui quali pu decidere solo il giudice della situazione di fatto e di diritto gi risolta in un certo senso dall'organo che ha stipulato il contratto . Inutile, quindi, sarebbe stata un'approvazione data con atto separato essendo essa implicita gi nell'esame fatto a proposito dall'approvazione della deliberazione (a contrarre) e della stipulazione effettiva . Non ci sembra che tale soluzione sia coerente con i principi. La configurabilit di un diritto contrattuale nei confronti della pubblica Amministrazione dipende dal perfezionamento dell'iter formativo del vincolo, che, come noto, nella generalit dei casi comprende e la stipulazione del contratto e l'emanazione del decreto di approvazione. Prima dell'approvazione non esiste alcun vincolo operante e, quindi, non pu esistere alcun diritto del contraente privato. Di fronte a questa rigorosa disciplina evidente che le particolarit di singole fattispecie concrete non possono assumere alcuna rilevanza. Accertata l'esistenza di un contratto stipulato dalla pubblica Amministrazione, soggetto per s ad approvazione, la decisione sulla giurisdizione del giudice ordinario o amministrativo non pu che dipendere esclusivamente dall'esistenza o meno di un formale decreto di approvazione. Le modalit particolari della stipulazione non possono in nessun caso eliminare l'esigenza, posta tassativamente dalla legge, che il contratto sia approvato perch diventi obbligatorio per l'Amministrazione (art. 19 1. cont.). N potrebbe ammettersi alcun equipollente, trattandosi di un atto eminentemente formale (decreto: art. 103 regolam. cont.), minutamente disciplinato anche nel contenuto (art. 110). In presenza di un contratto stipulato dal Ministro non pu, quindi, affermarsi n che l'approvazione inutile n che essa deve ritenersi implicita nella stessa stipulazione. La configurabilit di una approvazione implicita va senz'altro esclusa per la semplice considerazione che, com' ben noto, non pu ammettersi manifestazione implicita o tacita di una volont che, per assumere rilevanza giuridica, deve necessariamente esprimersi in una forma stabilita dalla legge. 72 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO competente che nella specie non pu non essere, per le considerazioni gi fatte, il giudice ordinario. Aggiungasi che eventualmente le anomalie suddette potrebbero anche configurarsi come violazione delle norme che regolano l'iter precontrattuale dei contratti con la Pubblica Amministrazione nonch dei principi della buona fede e della correttezza contrattuale sia del privato che della Pubblica Amministrazione, principi che vanno applicati anche nei contratti tra privati e Pubblica amministrazione, quei contratti che la pi recente dottrina chiama contratti privati con evidenza pubblica: questo Supremo Collegio ha gi ritenuto che l'esame della posizione precontrattuale sia del privato sia dell'Amministrazione e l'osservanza tanto delle norme specifiche quanto dei principi generali spetta al giudice ordinario (sent. n. 21 e 1675 del 1961). Il che conferma che si in presenza, in astratto, di diritti subbiettivi, cosa che basta -ripetesi -nell'attuale disamina. Anzi la citata decisione n. 21 del 1961 esplicitamente consente al giudice ordinario di esaminare se la mancata esplicazione dell'attivit di controllo sia dovuta a dolo o colpa dell'Amministrazione: ne consegue che nella specie sar compito del giudice ordinario esaminare se quella approvazione implicita da parte dello stesso organo che ha stipulato il contratto incida sulla validit col contratto stesso e sull'iter Quanto, poi, alla pretesa inutilit dell'approvazione di un contratto stipulato dal Ministro, facile obiettare che, se la legge richiede incondizionatamente l'emanazione del decreto di approvazione per il completamento della fattispecie produttiva del vincolo contrattuale dell'Amministrazione, assolutamente arbitrario ritenere che, quando l'altro elemento costitutivo della fattispecie (la stipulazione del contratto) si atteggi in un certo modo, esso possa acquistare l'idoneit a produrre da solo l'effetto giuridico. E, invero, se la stipulazione del contratto da parte del Ministro dovesse ritenersi ammessa dalla legge, il fatto che tale ipotesi no:n ,sia affatto presa in considerazione, ai fini di un trattamento diverso, dalle norme sull'approvazione, escluderebbe senz'altro che questa possa diventare superflua, ossia che la fattispecie produttiva del vincolo contrattuale dell'Amministrazione possa atteggiarsi in modo diverso dalla regola. Se, invece, dovesse ritenersi che la legge esclude che il Ministro possa procedere alla stipulazione del contratto, chiaro che la violazione di questa norma e la conseguente invalidit del contratto non potrebbero mai valere a conferire al contratto stesso un'efficacia che esso, da solo, non pu mai conseguire neppure quando perfettamente valido. In nessun caso, quindi, pu ritenersi che ad un contratto stipulato dal Ministro non si applichi la norma generale sulla necessit dell'atto, formale ed autonomo, di approvazione ai fini dell'efficacia per l'Amministrazione. N vale la considerazione che in tal caso, trattandosi di approvare un'attivit propria, verrebbe meno la ratio dell'istituto dell'approvazione. Il decreto di approvazione, infatti, mentre, da un lato, esplicazione di un potere di controllo sul contratto, costituisce, dall'altro, oggetto dei successivi necessari controlli di legittimit (art. 19, 3 comma, 1. contabilit). Ed chiaro che, rispetto a questo secondo, essenziale aspetto della funzione del decreto di approvazione, nessuna rilevanza potrebbe mai assumere l'identit dell'organo che ha stipulato il contratto: l'approvazione sempre necessaria come presupposto dei successivi controlli. M. CONTI I I I ::! ~ ~ --~1r&rttr.xtrt1mr1fl -~.,,~~11111~ PARTE I, SEZ. II, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE precontrattuale nonch sulla posizione reciproca delle parti in esso. Da ultimo, per confortare maggiormente la tesi della necessit dell'approvazione separata, le Amministrazioni ricorrenti si richiamano al successivo atto del 1964 del Ministro, che esse tendono a definire rifiuto dell'approvazione . Ma tale definizione urta contro le stesse difficolt accennate, in quanto esso proviene sempre dal medesimo organo che, sulla base della delibera del Consiglio di Amministrazione, ha stipulato, come organo attivo dell'Amministrazione, la convenzione, onde anche qui si avrebbe quella medesima contraddizione, avvertita pure dalle ricorrenti, del Ministro che controlla se stesso. E non si vede perch questa contraddizione inciderebbe sull'atto positivo di controllo viziandolo e non sull'atto negativo che pure manifestazione della medesima potest di controllo. Il vero che l'atto del 1964 deve qualificarsi giuridicamente come una manifestazione di volont dello stesso organo stipulante ed influente sulla stipulazione medesima; poich da questa scaturita una posizione individuale astrattamente configurabile come diritto subbiettivo sar il giudice del merito a decidere sulla validit ed efficacia dell'atto e del comportamento contrattuale successivo, come egli sar a decidere sulla validit ed efficacia dell'originaria stipulazione o del comportamento tenuto in quel momento. In conclusione, tutta l'intera vicenda sorta dalla convenzione del 1962, conformemente alle domande svolte dalla societ oggi resistente, va sottoposta al giudice ordinario, che la esaminer nei limiti e nello ambito a lui attribuiti dalla legge sull'abolizione del contenzioso Amministrativo, quando davanti a lui si discute su posizione individuale astrattamente configurabile come diritto subbiettivo. (Omissis). ~ SEZIONE TERZA GIURISPRUDENZA CIVILE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Ili, 25 maggio 1965, n. 1005 -Pres. Boccia -Est. Bartolomei -P. M. Silocchi (conf.) -Fea (avv. Durandi) e Universit degli Studi di Torino (avv. Stato Albisinni) c. Ribet (avv.ti Nebbia e Gianogli). Popriet -Unione e commistione -Cose inseparabili accessoriet -Proprietario della cosa principale propriet esclusiva del tutto -Obblighi. (c. c., art. 939). -Rapporto di Acquisto della I ~ Obbligazioni e contratti -Transazione -Interpretazione -Apprezzamento incensurabile del giudice di merito. I (c. c., artt. 1362, 1965). i l l r. Procedimento civile -Prove -Interrogatorio formale -Rilevanza -Apprezzamento incensurabile del giudice di merito. (c. p. c., artt. 116, 230). , , : Ai sensi dell'art. 939 e.e., quando pi cose, appartenenti a proprietari diversi, siano state unite, in guisa da formare un sol tutto, e non siano separabili senza notevole deterioramento, il proprietario della cosa principale o molto superiore per valore acquista la propriet del tutto, pur avendo l'obbligo di pagare all'altro, in applicazione del principio che vieta l'indebito arricchimento, le somme previste dalla citata norma (1). (1) La massima riproduce pressocch alla lettera la disposizione dell'art. 939 c. c., di non frequente applicazione. Tale norma, nell'ipotesi di unione o commistione di cose appartenenti a proprietari diversi, distingue a ,seconda che le cose siano o non separabili senza notevole deterioramento, e, quando le cose non siano separabili, a PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 75 L'interpretazione del giudice di merito, immune da erro'ri logici e giuridici, circa l'ambito obiettivo di una transazione, incensurabile in Cassazione (2). L'apprezzamento del giudice di merito circa l'ultroneit e la genericit dell'interrogatorio formale dedotto da una delle parti incensurabile in Cassazione (3). seconda che le cose ,si trovino o meno in rapporto di accessorio a principale. Se le cose sono separabili, il regime giuridico preesistente rimane immutato: ciascun proprietario conserva la propriet della cosa sua e ha diritto di ottenerne la separazione. L'inseparabilit determina invece una modificazione del regime preesistente, al quale subentra o il regime della comunione della res nova, o, quando sussista un rapporto di accessoriet tra una cosa e l'altra, quello della propriet esclusiva del tutto in favore del proprietario della cosa principale o superiore per valore. In ,argomento, cfr. BRANCA, voce Accessione, in Enciclopedia del diritto, I, 27, Milano, 1958; PIGA, voce Commistione, ivi, VII, 910 e segg., Milano, 1960; PuGLIATTI, voce Cosa (teoria generale), ivi, XI, 59 e segg, e 69, Milano, 1960; MAIORCA, voce Commistione, in Novissimo Digesto Italiano, III, 656 e segg., Torino, 1959; DE MARTINO, Della Propriet,, sub art. 939, in Commentario del codice civile a cura di A. Scialoja e G. Branca, 424 e segg., Bologna, 1954; ALBANO, Della Propriet,, in Commentario del codice civile cit., III/1, 492 segg., Torino, 1958; BARASSI, I diritti reali nel nuovo codice civile, 50 e segg., Milano, 1943; BRUGI, Della Propriet, II, 317 e segg., Torino, 1923. In dottrina si osserva che nell'art. 939 stato eliminato qualsiasi riferimento alla distinzione concettuale romanistica tra commistio ex valutate dominorum e mescolanza contro la volont dei proprietari . Ma ci -si precisa - perch evidente che, nel primo caso, il rapporto sar disciplinato esclusivamente dalla volont delle parti e, quindi, le parti ben potranno derogare allo stesso regime della comunione o della propriet esclusiva (cfr. PIGA, op. loc. cit.). Nel senso che l'accessione presupponga unioni, specificazioni, mescolanze di cose senza il consenso dei loro proprietari, cfr. BRUGI, op. cit., 347; conf. BARASSI, op. cit. 317. (2) Giurisprudenza costante. E' infatti ius receptum che l'interpretazione dei contratti si sottrae al sindacato di legittimit della Cassazione, semprech non risulti viziata da inosservanza dei canoni ermeneutici legali e sia sorretta da congrua motivazione. In tal senso, da ultimo, Cass., 28 febbraio 1964, n. 444; 15 giugno 1964, n. 1512; 16 giugno 1964, n. 1531: Foro it., Mass., 1964, 107, 393, 398. In termini, con riferimento all'interpretazione della transazione: Cass. 1 dicembre 1962, n. 3252, ivi, 1962, 910. (3) Nel senso che l'apprezzamento del giudice di merito sulla influenza e pertinenza dell'interrogatorio costituisce giudizio di fatto, come tale incensurabile in Cassazione, semprech sia sowetto da adeguata motivazione, cfr., da ultimo, Cass., 9 gennaio 1957, n. 34; 13 marzo 1957, n. 521: Foro it., Mass., 1957, 9, 102. A. FRENI 76 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE DI CASSAZIONE, Sez. III, 25 ottobre 1965, n. 2248 -Pres. Cannizzaro -Est. Speziale -P. M. Gentile (diff.). -Ministeri Interni e Difesa-Esercito (avv. Stato Azzariti Giorgio) c. Imparato (avv. Schir) e Sartori (avv. Magrone). Responsabilit civile -Responsabilit della pubblica Amministrazione Danno subto in servizio da dipendente statale - Compensatio lucri cum damno -Pensione privilegiata -Indetraibilit dall'ammontare del risarcimento dovuto al dipendente del valore capitale della pensione privilegiata -Sussiste. (c. c. artt. 1223, 1226, 1227, 2056; reg. 5 settembre 1895, n.603). n principio della compensatio lucri cum damno pu valere solo quando il vantaggio, cos come il danno, sia conseguenza diretta ed immediata dell'illecito, quando cio il vantaggio ed il danno si presentino come effetti contrapposti di un medesimo fatto, avente in s l'idoneit a determinare, oltre al danno, anche l'effetto vantaggioso. Non pu essere invocato il siiddetto principio e non pu quindi operarsi la detrazione dal.t'ammontare del risarcimento dovuto daLla p.a. ai proprio dipendente rimasto infortunato in servizio del valore capitale della pensione privilegiata spettante ai medesimo, appunto perch tale attribuzione patrimoniale -che, del resto, si ricollega ad un sacrificio economico sopportato dal dipendente, per le detrazioni operate sui suoi emolumenti -non conseguenza diretta ed immediata del fatto illecito (1). (Omissis). Col primo mezzo i Ministeri ricorrenti, denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 2056, 1223, 1226 e 1227 cod. civ., si dolgono che la Corte di Appello abbia .ritenuto non doversi tener conto, nella liquidazione del danno subto dall'Imparato, della pensione pri (1) Cumulabilit del risarcimento del danno e della pensione privilegiata. I. -Confermando una giurisprudenza ormai costante (Cass., 29 luglio 1955, n. 2442, Giust. civ., 1956, I, 68 e Foro it., 1956, I, 28, con nota favorevole di DE CuP1s, Risarcimento del danno e diritto a pensione; 8 aprile 1959, n. 1041, Giust. civ., Mass., 1959, 349; 8 settembre 1960, n. 2442, id., 1960, 918; 7 ottobre 1964, n. 2530, id., 1964, 1178; contra: Cass., 7 luglio 1954, n. 2369, Giust. civ., 1954, 1620 e Giust. pen., 1955, III, 215, con nota favorevole di A. VENDITTI. Ancora a proposito della compensatio lucri cum damno . In dottrina, in senso favorevole all'indirizzo anche ora confermato dalla Cassazione, v. MoNTEL, Sulla non riducibilit del risarcimento dei danni conseguenti ad uccisione per la coesistenza di un diritto a pensione da parte dei superstiti, Resp. civ., prev., 1956, 25 e, in senso critiro, ancora VENDITTI, Dei limiti di applicazione della compensatio rucri cum damno., Giust. civ., 1956, I, 560), la sentenza in rassegna nega la detraibilit, dall'ammontare del risarcimento del danno da corrispondersi dallo Stato, del rJ ' valore capitale della pensione privilegiata costituita a favore del dipen, dente statale danneggiato per causa di servizio, a tal fine richiamandosi , . II ,_._ if[_..:..~:-~,~..:..,,...-:*.~......._.~:;::-.:::..._,.....~:::..:=:.-::.1rr1~~ PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 77 vilegiata concessa allo stesso per l'invalidit derivante da causa di servizio, conseguente all'infortunio de quo . La doglianza infondata. Invero i giudici di merito si sono attenuti ad un principio gi pi volte affermato da questa Suprema Corte (v. Cass. n. 2442 del 1955, n. 1041 del 1959, n. 2442 del 1960); e, riesaminata la questione, questa Corte ritiene di non dovere pervenire a conclusioni diverse. E' ben vero che nella determinazione del danno derivante da colpa, sia contrattuale che extra-contrattuale, si deve tener presente l'eventuale vantaggio che l'inadempimento o il fatto illecito abbia procurato al danneggiato, non potendo il risarcimento risolversi in un lucro indebito; ma questo principio ( compensatio lucri cum damno ) pu valere solo quando il vantaggio, cosi come il danno, sia conseguenza immediata e diretta dell'inadempienza o dell'illecito; quando, cio, il vantaggio e il danno si presentino come effetti contrapposti di un medesimo fatto, avente in s l'idoneit a determinare, oltre il danno, anche l'effetto vantaggioso. Tale situazione non si verifica quando la persona offesa o i congiunti superstiti, in caso di morte della stessa, percepiscano una pensione, poich questa ripete la sua fonte e la sua ragione giuridica da un titolo diverso e indipendente dal fatto illecito, il quale pone in essere solo la condizione perch quel titolo spieghi la sua efficacia. Ora il porre in essere la condizione per il verificarsi di una conseguenza giuridica non significa averla determinata, mancando, per ci solo, il rapporto di causalit efficiente. I ricorrenti assumono che, se questo pu valere per la pensione ordinaria, non vale, invece, per la pensione privilegiata, stante il pi ai principi della compensatio lucri cum damno ed escludendone l'appli cabilit nella fattispecie, per un duplice ordine di ragioni, ciascuno suffi ciente a precludere la prospettata detraibilit. Sotto un primo profilo, il vantaggio rappresentato dal conseguimento della pensione non pu considerarsi -secondo la sentenza che si com menta -quale conseguenza diretta ed immediata del fatto illecito, traendo il relativo diritto fonte e ragione giuridica da un titolo diverso e indipen dente da quel fatto, il quale realizza esclusivamente l'occasione perch quel titolo possa esplicare la sua efficacia: sicch la relativa conseguenza giuridica (conseguimento del diritto a pensione privilegiata) non potrebbe dirsi determinata, cio legata da un rapporto di causalit efficiente, con il fatto illecito. Sotto altro profilo, da negarsi in radice -sempre secondo il S. C. la validit del richiamo ai principi della compensatio lucri cum damno, perch il vantaggio rappresentato dalla pensione privilegiata non costi tuisce lucro in senso stretto, e cio un gratuito incremento patrimo niale, quale conseguenza dello stesso fatto illecito: il diritto a pensione trova, invero, la sua giustificazione in un correlativo, precedente sacrificio patrimoniale sopportato dal pubblico dipendente e rappresentato dalle de trazioni a fini pensionistici operate mensilmente sui suoi emolumenti. II. -Appare opportuno dire subito che il primo ordine di ragioni nonostante l'autorit di ripetuti giudicati -non convince, mentre la seconda serie di considerazioni pu dar luogo a qualche perplessit: ci segna 78 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO intimo legame, che esiste tra il fatto illecito e la invalidit o la morte, che danno diritto (rispettivamente alla persona offesa o ai congiunti & superstiti) alla pensione privilegiata. ~ L'assunto non pu essere atteso, poich la pensione privilegiata 9 1 non viene attribuita per il fatto che la persona offesa stata vittima 1" di un fatto illecito, imputabile alla Pubblica Amministrazione o ad ~ un terzo, ma solo perch, sussistendo le condizioni di legge (morte o invalidit per causa di servizio), l'offeso o i superstiti hanno diritto a quel determinato tipo di pensione. Neanche in questo caso, dunque, il fatto illecito assurge a causa dell'attribuzione patrimoniale in cui la pensione consiste, poich il diritto sorge indipendentemente dalla esistenza di un fatto illecito che abbia dato luogo alla morte o alla invalidit, essendo sufficiente che la morte o l'invalidit siano derivate da causa di servizio, cio -secondo la nozione che della causa di servizio data dalle norme sulle pensioni civili e militari dello Stato da un qualunque fatto richiesto dal servizio, avente in s il pericolo della lesione o infermit riportata (v. artt. 40 e 41 del Regolamento 5 settembre 1895, n. 603). La situazione non affatto uguale (sia detto per incidens ) a quella che si verifica in presenza di un'assicurazione (volontaria od obbligatoria) contro i danni alla persona, ove il diritto alla prestazione assicurativa (versamento di una somma di denaro o attribuzione di una pensione) non pu sorgere, se non per il verificarsi di un infortunio alla persona: cosicch, quando un infortunio si verifica, il rapporto causale si profila ben diversamente. i llimite della adesione che pu essere data al princ1p10 enunciato dalla sentenza in esame e della validit del medesimo nei vari casi di pensione privilegiata corrisposta ai dipendenti statali, rimasti danneggiati per fatto colposo attribuibile allo Stato. Sembra che, per la soluzione del problema che interessa, non abbia decisiva rilevanza la legge 6 marzo 1950, n. 104, abrogratrice del d.1. 21 ottobre 1915, n. 1558 e del r.d.l. 6 febbraio 1936, n. 313: tale provvedimento, invero, si limitato a togliere di mezzo la limitazfone del diritto del dipendente pubblico alla richiesta del solo trattamento pensionistico, ma non risolve la questione -da affrontare alla luce delle norme generali del diritto civile -se ed in che limiti la pensione privilegiata possa computarsi in detrazione dall'ammontare della somma dovuta dallo Stato a titolo di risarcimento del danno subito dal proprio dipendente. Come si accennato, per escludere il rapporto causale tra il fatto illecito e la pensione privilegiata, la S. C. rileva che tale fatto la semplice condizione od occasione dell'attribuzione del diritto a pensione, mentre la sua causa. risiederebbe in un titolo diverso ed indipendente dall'illecito, essendo sufficiente che la morte o l'inabilit siano derivate da una causa di servizio, condizione di legge per l'insorgere del relativo diritto a pensione. Ora, nessuno contesta che la morte o invalidit per causa di servizio, fonte del diritto a pensione privilegiata, siano dalla legislazione pensionistica considerate indipendentemente dalla illiceit che abbia causato l'evento lesivo: tale dato incontestabile , peraltro, ininfluente a risolvere il problema che interessa e che consiste nell'accertare, in base ai principi generali sulla causalit giuridica, se -nell'ipotesi in cui il detto evento lesivo verificatosi per causa di servizio sia da ricollegarsi ad un PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 79 D'altra parte il diritto alla pensione dei pubblici dipendenti si ricollega ad un sacrificio economico, rappresentato dai contributi versati mensilmente dai dipendenti ai fini della corresponsione della pensione e quindi non costituisce un lucro nel senso proprio di questo termine. Affinch, nell'ambito della responsabilit, si produca una riduzione del danno risarcibile, necessario che col danno prodotto dall'illecito concorra un gratuito vantaggio economico prodotto dallo stesso illecito: in tale caso giusto che questo vantaggio, arrecato, insieme col danno, ad un soggetto, sia computato nella determinazione del risarcimento, che gli spetta. Ma, quando il fatto illecito fa semplicemente scattare il diritto ad una attribuzione patrimoniale, che trova la propria giustificazione in un correlativo, precedente sacrificio, non si riscontra quel lucro, cio quel gratuito vantaggio, che pu compensare il danno e ridurre la responsabilit. Non si vede, infatti, perch l'altrui responsabilit debba essere limitata, per il sorgere, a favore del danneggiato, di un diritto, che trova alimento in un precedente sacrificio dello stesso danneggiato. Quanto s' detto vale sia per la pensione ordinaria che per quella privilegiata, poich il pubblico dipendente, per questa sua qualit, fatto illecito riconducibile allo stesso Stato -il vantaggio economico conseguito, con la pensione, dal pubblico dipendente, pur trovando immediatamente il suo titolo nel distinto rapporto di pensione, sia da qualificarsi come una conseguenza, legata da un nesso di causalit, anche indiretto (giurisprudenza costante: cfr., tra le altre, Cass., 9 luglio 1960, n. 1843, Giust. civ., Mass., 1960, 686; 9 febbraio 1962, n. 274, id., 1962, 129; 30 ottobre 1963, n. 2909, Giust. civ., 1963, I, 2511: rispetto alle conseguenze dannose del fatto; ma, evidentemente, come, del resto, riconosce la sentenza in esame, identico principio deve valere per le conseguenze vantaggiose) allo stesso fatto illecito. nozione, accettata anche dalla prevalente dottrina (cfr. DE CuPIS, Il danno, Milano 1954, 116 e segg., in particolare 120 segg.), nonch dalla giurisprudenza (cfr., da ultimo, Cass., 23 giugno 1964, n. 1629, Giur. it., Mass., 1964, 534), quella, secondo cui, in tanto un evento pu dirsi causato e cio legato da un nesso di causalit con un dato antecedente, in quanto esso costituisca effetto tipico o regolare del medesimo, sicch non pu imputarsi al comportamento di un soggetto solo quell'effetto, che si presenta, rispetto alla sua azione, come anomalo e atipico. Applicando la teorica della regolarit causale alla ipotesi che interessa, si osserva che, non solo il fatto illecito, origine dell'evento lesivo, in concreto la condizione sine qua non dell'insorgere del didtto a pensione privilegiata, ma anche che il vantaggio cos conseguito dal dipendente non pu dirsi effetto atipico od irregolare del fatto dannoso (in questo senso, cfr. Cass., 7 luglio 1954, n. 2369 cit. e VENDITTI, locc. citt.), non essendo affatto eccezionale che -essendosi verificato l'effetto lesivo originato da causa di servizio -lo stesS'O dipendente abbia diritto a ricevere, a titolo di pensione, il pagamento di una somma determinata (veggasi in tal senso per la ipotesi di preesistente contratto di assicurazione, che non sembra differire -sotto il profilo della causalit -dalla fattispecie in esame, contrariamente a quanto indimostratamente afferma La sentenza in rassegna, DE CuPis, op. cit., 163). Se -per le considerazioni suesposte -non si possono fin qui condi videre le considerazioni della sentenza, per escludere il richiamo ai prin cipi della compensatio lucri cum damno, di maggior peso appare, invece, 8 80 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ed in correlazione con le detrazioni operate sui suoi emolumenti, acquista, al verificarsi delle condizioni di legge, il diritto a percepire la pensione, che sar ordinaria o privilegiata a seconda che si veri~ fichino le condizioni relative all'uno o all'altro tipo di pensione. Ne segue che anche la corresponsione della pensione privilegiata va ricollegata al sacrificio economico sopportato dal dipendente, che pu essere anche minimo, se il servizio prestato sia di breve durata; ma a tal fine occorre tener presente che l'aggravio eventualmente derivante allo Stato, per la sproporzione tra i contributi percepiti e le somme da erogare, pu trovare il suo compenso nei casi in cui i contributi vengano versati per un lungo periodo di tempo e la pensione venga goduta per breve tempo o non venga goduta affatto. Non v' ragione di distinguere, ai fini della cumulabilit della pensione (ordinaria o privilegiata) con il diritto al risarcimento, a seconda che i corrispondenti obblighi sorgano in capo a soggetti diversi ovvero in capo ad uno stesso soggetto, poich trattasi, in ogni caso, di titoli diversi. Quindi, se un Ente pubblico tenuto a rispondere di un evento lesivo, che ha colpito un suo dipendente, al quale spetta anche una pensione, l'Ente tenuto, senza possibilit di compensazione o riduzione, a risarcire il danno e a corrispondere la pensione. il rilievo (avente, del resto, carattere assorbente), che di lucro non pu parlarsi in relazione alla pensione privilegiata, in quanto essa trova la sua giustificazione nella precedente corresponsione dei contributi, effettuata, ad opera del pubblico dipendente, proprio in vista dell'eventuale conseguimento della pensione stessa, mediante le detrazioni operate mensilmente sul suo stipendio. Il rilievo indubbiamente esatto se riferito alla pensione ordinaria. In tal caso la ritenuta -che rappresenta la compensazione legale di una parte della somma dovuta all'impiegato con quella da lui dovuta all'Erario per fondo pensioni (cfr. ZANOBINI, Corso di dir. amm., vol. III, Milano, 1958, 335) -costituisce il presupposto per il riconoscimento del diritto a pensione, sicch non vi ragione perch la responsabilit dell'autore dell'illecito (anche se questi sia lo stesso Stato che corrisponde la pensione) possa essere limitata, per la esistenza, in capo al danneggiato, di un diritto ricollegandosi ad un precedente sacrificio economico sopportato dallo stesso danneggiato. Esatta appare, poi, l'ulteriore osservazione della sentenza circa l'irri levanza della misura del contributo effettivamente corrisposto (a mezzo ritenute) dal pubblico dipendente infortunato, essendo tale misura fissata dalla legge (sia pure in misura modesta e non certo rapportata al rischio dell'evento che viene assunto dallo Stato) e non potendosi non conside rare quel margine di aleatoriet che ha il rapporto di pensione, essendo eventuale lo stesso verificarsi (oltrech il1 momento del verificarsi) del l'evento dal quale sorge il diritto a pensione. L'applicazione delle argomentazioni ora esposte alla pensione privi legiata o, meglio, alla differenza fra l'ammontare di questa e della pen sione ordinaria eventualmente spettante al dipendente infortunato pu dare luogo, come si accennato, a qualche perplessit dovuta al fatto che la dottrina (cfr. VICARIO, La Corte dei Conti in Italia, 1913, 348; PErROZZIELLO, Il Rapporto di Pubblico impiego, 327, 385 e 386; .AI.ESSI, Responsabilit deHa Pubblica Amministrazione, 1951, 306; AMORTH, Foro PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 81 Una diversit di trattamento esisteva in passato, in base alle disposizioni del decreto luogotenenziale 21 ottobre 1915, n. 1558 e del r.d.l. 6 febbraio 1936, n. 313, che limitavano i diritti spettanti verso lo Stato ai pubblici dipendenti ed ai superstiti aventi diritto, in relazione ad eventi lesivi della loro persona verificatisi nell'esercizio o in occasione delle loro funzioni, al solo trattamento previsto dalla legislazione sulle pensioni. Ma le menzionate disposizioni sono state abrogate dalla legge 6 marzo 1950, n. 104 e in conseguenza pienamente ammissibile il cumulo della pensione con il diritto al risarcimento del danno, anche quando sia tenuta al risarcimento la stessa Amministrazione che corrisponde la pensione. Non vale addurre che, in altri campi (ad esempio in materia di infortuni sul lavoro, di assicurazioni volontarie per danni alla persona), il cumulo non ammesso. Particolari ragioni possono indurre il legislatore ad escludere la cumulabilit, in quanto ritenute prevalenti su quelle atte a giustificarla. Ma, quando tali ragioni non trovano espressione nel testo della legge, resta valido ed operante il principio, secondo cui l'attribuzione patrimoniale basata sul precedente ed apposito sacrificio economico del danneggiato ininfluente sulla misura del risarcimento, dovutogli quale soggetto passivo di un fatto illecito. della Lombardia, 1935, I, 657; CAO PINNA, voce Pensioni, Nuovo Digesto Italiano, n. 10) ha sempre sottolineato la diversa natura giuridica della pensione privilegiata nei confronti della pensione ordinaria, rilevando che la prima viene concessa indipendentemente dalla durata del servizio prestato e che il suo ammontare varia in relazione alla gravit delle lesioni riportate dal dipendente (r. d. 7 dicembre 1923, n. 2950, art. 8; d. I. 20 maggio 1917, n. 876; r. d. 23 ottobre 1919, n. 1970, art. 6) talch si ritenuto che il fondamento della pensione privilegiata sia una ragione di indennizzo di natura analoga a quella che ha ispirato la legislazione sulla assicurazione obbligatoria a favore degli operai. III. -Le suesposte argomentazioni della sentenza impugnata non valgono, peraltro, nei casi in cui la corresponsione della pensione privilegiata sia dalla legge prevista indipendentemente dalla ritenuta per la pensione stessa, come avviene per i militari (cfr. ZANOBINI, op., vol. citt., 361). In tal caso, invero, la detraibilit dell'ammontare della pensione privilegiata dal risarcimento dovuto dallo Stato deve ammettersi, non solo ove si acceda alla critica suaccennata dell'indirizzo della Cassazione sulla mancanza di nesso causale tra illecito e corresponsione della pensione (in quanto che, la pensione -che costituisce vero e proprio lucro, non ricollegandosi ad un precedente sacrificio patrimoniale del beneficiario -appare essere conseguenza, sia pure mediata, del fatto illecito attribuibile allo stesso Stato), ma anche se -aderendo alla criticata interpretazione del S. C. -si voglia comunque escludere la validit del richiamo, nella fattispecie, ai principi della compensatio lucri cum damno. Deve, infatti, considerarsi quel particolare modo di estinzione del l'obbligazione, costituito dal conseguimento dello scopo (MEssINEo, Manuale dir. civ. e comm., vol. III, Milano, 1959, ed ivi richiaini; DE CUPIS, Risarci mento del danno e diritto a pensione, cit., 31; GIORGIANNI, Obbligazione (diritto privato) in Novissimo Dig. Ital., voi. XI, 609). Tra le ipotesi da ricondursi all'istituto indicato, la dottrina (cfr. MEsSINEO, op. loc. citt.) indica come tipica quella in cui il debitore adempia verso il creditore una diversa obbligazione, che, per. tutela lo stesso inte 82 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Viene, con ci, a cadere l'argomento che le Amministrazioni ricorrenti credono di poter trarre dalla legge 10 agosto 1950, n. 648 sulle pensioni di guerra, ove stabilito (art. 11) che la pensione, lo assegno o l'indennit di guerra non cumulabile con qualsiasi altro indennizzo liquidato per lo stesso titolo, a meno che tale indennizzo derivi da atti di previdenza facoltativi esistenti a favore dell'interessato. Stante la diversit dei principi e dei criteri a cui si ispirano, rispettivamente, le norme relative alle pensioni di guerra e quelle relative alle pensioni (ordinarie e privilegiate) dei pubblici dipendenti (si tenga presente, soprattutto, che la pensione di guerra viene corrisposta in base ad un principio di solidariet nazionale, che prescinde del tutto da un precedente sacrificio economico del danneggiato), da escludere che le disposizioni dettate per le pensioni di guerra possano in qualche modo influire nella decisione dell'attuale controversia. Per analoghe ragioni non possono essere invocate le disposizioni relative alle pensioni dei ferrovieri (r.d. 7 dicembre 1923, n. 2590) e alle pensioni dei salariati statali (r.d.l. 31 dicembre 1925, n. 2383), che escludono la cumulabilit della pensione eccezionale o speciale (corrispondenti a quella privilegiata degli impiegati statali) con altre forme resse det creditore (concorso di due cause lucrative): in tal caso, invero, sul presupposto che unico sia il creditore, il debitore liberato (totalmente o parzialmente), se il creditore abbia ricevuto, per altra causa non onerosa, la medesima prestazione, realizzandosi cos lo scopo della obbligazione, che non ha pi ragione di esistere. Certamente, presupposto per invocare l'indicato modo di estinzione dell'obbligazione che il detto scopo sia realizzato senza aggravio, cio senza un corrispondente beneficio, per il debitore (causa lucrativa); eppertanto, stato esattamente rilevato che all'istituto non pu farsi utilmente richiamo ove il conseguimento della pensione sia in funzione del precedente sacrificio rappresentato dai contributi ritenuti al pubblico dipendente (DE CUPIS, op. loc. citt.). Ma, quando tale sacrificio non vi sia, ricorrono tutti i presupposti del c.d. conseguimento dello scopo e cio sia la causa lucrativa del diritto a pensione, sia l'identit del creditore (nonch del debitore), sia la identit dello scopo od interesse del creditore tutelato dalle due obbligazioni (per risarcimento e per pensione): a proposito di tale ultimo punto, non sembra possa esserci dubbio sul fatto che la pensione privilegiata, al pari del risarcimento, abbia natura e finalit indennitaria, avendo anch'essa la funzione di riparare alla diminuzione patrimoniale verificatasi in danno del dipendente (o degli altri aventi diritto, ove trattisi di pensione di riversibilit), sicch entrambe le forme di indennizzo intendono alla tutela e realizzazione del medesimo interesse del creditore, senza che, evidentemente, possa avere rilievo in contrario la circostanza che le due obbligazioni siano dalla legge ricollegate a due diversi presupposti, costituiti, per l'obbligazione di risarcimento, dal fatto illecito e, per l'obbligazione di pensione, dalla morte od invalidit per causa di servizio. Deve, quindi, concludersi che, nell'ipotesi considerata (pensione privilegiata senza previo pagamento di contributi da parte del beneficiario), l'ammontare del valore capitale della pensione stessa deve essere conteggiato in detrazione dalla somma dovuta a titolo di risarcimento dallo Stato al proprio dipendente, rimasto infortunato, per causa di servizio, a seguito di fatto illecito attribuibile allo Stato stesso. G. MANDO' PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 83 di indennizzo. La mancanza di una disciplina uniforme impedisce che disposizioni relative ad una determinata categoria possano valere per categorie diverse. La eventuale situazione di sfavore di una determinata categoria, rispetto ad altre, pu essere una buona ragione per rivedere la disciplina normativa che la riguarda, non per estendere la situazione sfavorevole ad altre categorie di dipendenti, che si giovano, in base alle disposizioni ad esse applicabili, di un trattamento migliore. Con il secondo mezzo le Amministrazioni ricorrenti, denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 2055 e 2043 e.e., sostengono che la Corte di merito erroneamente ha negato il diritto del Ministero della Difesa al rimborso, da parte dei Sartori, nei limiti del ritenuto concorso di colpa, dell'importo della pensione privilegiata corrisposta all'Imparato, convenientemente capitalizzata. Tale rimborso, secondo le ricorrenti, era dovuto sia che si ritenga che l'importo della pensione privilegiata corrisposta dallo Stato vada detratto dal danno da risarcire all'Imparato (in tal caso i Sartori sono tenuti, in forza del secondo comma dell'art. 2055 e.e., a rivalere lo Stato, in misura proporzionale alla colpa addebitata al conducente del loro automezzo, di quanto lo Stato ha gi direttamente corrisposto per risarcire il danno), sia che si ritenga, invece, che della pensione privilegiata non debba tenersi conto nella liquidazione del danno (perch, in tal caso, bisogner dire che dallo stesso fatto illecito sono derivati due danni diversi a due diverse persone: all'Imparato per la menomazione fisica subita, allo Stato per l'insorgere dell'obbligo di pagamento della pensione privilegiata). Entrambe le tesi sono da respingere. (Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 27 ottobre 1965, n. 2271 -Pres. Rossano -Est. Ferrone Capano -P.M. Di Majo (conf.) -Nigro (avv. Romanelli) c. Ferrovie Stato (avv. Stato Gentile). Guerra -Fatto di guerra -Nozione. (I. 27 dicembre 1953, n. 968, art. 3). Ai sensi den'art. 3 della legge 27 dicemb1e 1953, n. 968, che ha ampliato ed integrato le precedenti disposizioni in materia, nella nozione di fatto di guerra rientra qualunque fatto delle forze armate nazionali, alleate o nemiche, comunque inerente alla preparazione od alla condotta delle operazioni belliche. Deve, pertanto, considerarsi quale fatto di guerra il taglio del costone di una collina, effettuato dalle truppe 84 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO alleate ai fini della costruzione di una deviazione ferroviaria, in prossi I . . mit della zona di operazione, necessaria per convogliare su di essa I il traffico delle truppe e dei materiali bellici (1). ~ ::~ (1) Sulla nozione di fatto di guerra Nella :llattispecie oggetto della decisione in rassegna, il S. C., facendo corretta apPlicazione delle norme di legge, ha escluso ogni !responsabilit dell'Amministrazione F. S. per i danni subiti da un privato in dipendenza delila distruzione di un immobile, cagionata -secondo l'insindacabile accertamento del giudice di merito -sia dallo scoppio di mine poste dalle truppe tedesche nell'interno delle gallerie che attraversavano la collina al di sotto dell'immobfile, sia dal taglio della parte terminale del costone della collina stessa, operato dagli alleati per costruirvi una deviazione della linea ferroviaria, al fine di consentire il trasporto di mezzi e di truppe nella immediata vicinanza della prima linea. Per pervenire a tale esatta Conclusione, la .Suprema Corte -riconfermando la . La norma segue quella dell'art. 152, che espressamente qualifica il Sindaco, quale ufficiale del Governo,. allorch egli provvede alla pubblicazione delle leggi, degli ordini e dei manifesti governativi; tiene i registri dello stato civile; provvede alla regolare tenuta del registro di popolazione ecc. Da tale collocazione e dal suo contenuto (disciplina dei provvedimenti intesi a prevenire situazioni di pericolo o di danno, per la sicurezza pubblica e per l'ordine pubblico, che costituiscono materia di esclusiva competenza statale) si evince che detta norma detta la regolamentazione di una potest non propria del Sindaco, quale capo dell'Amministrazione comunale, ma attribuita a lui, per ragione di decentramento funzionale; e per l'immanenza della situazione di pericolo o di turbativa della sicurezza e dell'ordine pubblico. Nell'esercizio di tale potest il Sindaco travalica i confini dell'attivit propria dell'Amministrazione locale territoriale, perch la difesa dal pericolo di crollo di un fabbricato interessa non soltanto gli abitanti del Comune, nel cui territorio il fabbricato sorge, ma chiunque si trovi, anche casualmente, a transitare per la strada sulla quale l'immobile prospiciente, ossia interessa l'intera collettivit. Ma la tutela degli interessi della collettivit spetta all'ente sovrano, cio allo Stato. appena poi il caso di aggiungere che il decentramento funzionale in materia ovviare al pericolo temuto . L'esecuzione d'ufficio, nel corso della quale, per colpa penalmente accertata del funzionario dell'Ufficio Tecnico comunale, direttore dei lavori, si erano verificati il crollo e i danni per cui era causa, atteneva, adunque, ad una normale ordinanza sindacale di polizia edilizia, ossia ad una funzione comunale e non statale. Nessuna risposta a tale assorbente obiezione sembra abbia fornito, per, la sentenza in rassegna, la quale d per acquisito che, nella specie, il provvedimento rappresentasse, invece, effettivo esercizio del diverso potere previsto dall'art. 153 t.u. n. 148 del 1915, (su cui v. Cons. Stato, Sez. V, 9 gennaio 1954, n. 12, n Consiglio di Stato, 1954, I, 38, sub 2) e ritiene decisivo ribadire che nell'esercizio di tale potest il Sindaco travalica i confini dell'attivit propria dell'Amministrazione locale territoriale, perch la difesa dal pericolo di crollo di un fabbricato interessa non soltanto gli abitanti del Comune, nel cui territorio il fabbricato sorge, ma chiunque si trovi anche casualmente a transitare per la strada, sulla quale l'immobile prospiciente, ossia interessa l'intera collettivit; ma la tutela degli interessi della collettivit spetta all'ente sovrano, cio allo Stato . Questa argomentazione, tuttavia, oltre ad essere smentita dall'art. 20 t.u. legge com. e prov. n. 383 del 1934, da cui si desume che le ordinanze contingibili ed urgenti in materia di edilit, polizia locale e igiene interessanti l'intera provincia o pi comuni della medesima non rientrano pi nelle attribuzioni del Sindaco, ma in quelle del Prefetto, sembra provi troppo, poich, stando ad essa, anche i provvedimenti adottati dal Sindaco a norma dell'art. 47 del Regolamento comunale edilizio finirebbero per travalicare i confini dell'attivit propria dell'Amministrazione locale territoriale. Eppure, proprio la legge ad attribuire al Comune potest regolamentare in materia di edilizia (cfr. art. 31, n. 6, t.u. n. 148 del 1915 e, in relazione, art. 111 Reg. 12 febbraio 1911, n. 297; art. 33 1. 17 agosto 1942, n. 1150), mentre, poi, RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 102 non pu essere inteso come fatto alla persona singola del Sindaco, perch ammettere ci equivarrebbe a negare la possibilit in concreto dell'esercizio della funzione decentrata: il decentramento fatto all'amministrazione comunale nel suo complesso, onde tutti i dipendenti del Comune debbono assistere il Sindaco nell'esercizio della potest demandatagli dalla legge nella sua veste di ufficiale del Governo. A tal punto vien fatto di sottolineare -e l'indagine pertinente vertendosi in tema di legittimazione -che gi con la prima ordinanza 31 agosto 1945 il Sindaco, richiamando espressamente l'art. 153 della legge comunale e provinciale, ordin ai Bove di fare eseguire una verifica tecnica al fabbricato e di provvedere alle necessarie opere di assicurazione, con formale avvertenza che, in caso di inottemperanza, si sarebbe proceduto all'esecuzione in danno e a spese degli intimati; che, con successiva ordinanza di pari data, venne ingiunto agli inquilini di allontanarsi dallo stabile durante l'esecuzione dei lavori; e che, con una terza ordinanza, a firma di un assessore nelle veci del Sindaco, dato atto che i lavori potevano essere eseguiti anche in presenza degli inquilini, si rinnov l'ordine di esecuzione con l'avvertenza di provvedervi, in danno, in caso d'inadempimento. Ora, se l'intervento d'ufficio import l'emanazione di provvedimenti di altri organi del Comune, l'attivit c,osi spiegata conseguenziale all'ordinanza d'urgenza, di cui rappre princ1p10 pacifico nella giurisprudenza amministrativa che non possa considerarsi contingibile il provvedimento adottato per reprimere l'inosservanza del Regolamento comunale edilizio (Cons. Stato, Sez. V, 9 gennaio 1954, n. 12 cit., Il Consiglio di Stato, 1954, I, 38, sub 2, con nota di riferimenti; v. anche Cons. Stato, Sez. V, 20 maggio 1950, n. 635; id., 1950, 580, sub 2). D'altronde, supposta la validit del solo criterio dell'interesse (v. riserve anche in CASETTA, Sui principi general'i in materia di illecito degli enti pubblici e su alcune loro recenti applicazioni, Giur. it., 1954, I, 1, 834), su cui fa perno l'annotata sentenza, resta decisivo un problema di prospettiva, dovendosi guardare non soltanto alla qualit, ma anche alla quantit, alla rilevanza (LA TORRE, op. cit., 893), epper quando ... in un settore l'interesse comune o diffuso... allora non ci pu essere che un solo criterio, quello della prevalenza dell'interesse (In., op. cit., 894). Alla stregua di tale principio, si spiega la formulazione del citato art. 20 1. com. e prov. 1934 e si spiegano, altresi, in tema di sistemazione e manutenzione dei tronchi di strade all'interno degli abitati, le norme di cui all'art. 22, ult. comma, 1. 20 marzo 1865, n. 2248, all. F ed all'art. 7, c), 1. 2 febbraio 1958, n. 126. Peraltro, proprio le Sezioni Unite della Suprema Corte regolatrice hanno ritenuto il Comune e non gi !o Stato responsabile della mancata adozione di quei provvedimenti sindacali istantanei, necessari a tutela della pubblica incolumit dei passanti (Cass., Sez. Un., 25 settembre 1953, n. 3065, Giur. it., 1954, I, 1, 830, con nota adesiva del CASETTA, il quale indica la norma attributiva del relativo potere al Sindaco, per le strade poste all'interno dell'abitato, nell'art. 20, ult. comma, r.d. 8 dicembre 1933, n. 1740). II. -Ammesso pure che si trattasse, r:el caso deciso, di provvedimentocontingibile, non si vede perch anche la sua esecuzione d'ufficio doveva PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 103 senta mezzo strumentale per il raggiungimento dello scopo e non spezza il nesso di riferibilit dell'operato del dipendente comunale, che materialmente provvede all'esecuzione in danno, allo Stato, nel cui esclusivo interesse egli agisce, in esplicazione di una funzione, che non propria dell'Amministrazione comunale, ma propria ed esclusiva dello Stato. N ha alcuna rilevanza che, a norma dell'art. 91, lett. b), n. 28 del t.u. della legge comunale e provinciale 3 marzo 1934, n. 383, l'onere finanziario di siffatta attivit d'esecuzione sia posto a carico del Comune. Invero la norma, che pone a carico dei Comuni le spese per i servizi dello stato civile, per la tenuta dei registri di popolazione e per l'esecuzione dei. provvedimenti d'ufficio (art. 91, lett. b, citato t.u., n. 15, 27 e 28) determina semplicemente l'incidenza dell'onere delle spese occorrenti all'esplicazione della funzione di Governo del Sindaco, cio ha carattere meramente contabile; essa, per, non pu essere intesa come norma determinatrice della responsabilit di un soggetto diverso da quello, nel cui interesse la funzione e l'attivit vengono esplicate. Invero, principio fondamentale del diritto pubblico quello per cui l'attivit del dipendente pu essere riferita all'ente pubblico soltanto quando essa costituisca ed appaia come esplicazione dell'attivit dell'ente, cio sia diretta all'attuazione degli scopi propri di questo. Con il secondo motivo I'Amministrazione ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 26 e 27 cod. proc. pen., 13-06, 2909, 2947 e 2953 cod. civ. ed afferma che la statuizione di condanna essere considerata ineluttabilmente attivit statale, se vero, anzitutto, che, come si accennato, le ordinanze contingibili in materia di edilit, polizia locale ed igiene, in tanto sono legittimamente emesse dal Sindaco, in quanto interessino precisamente l'ambito territoriale del Comune (articolo 20 t.u. n. 383 del 1934). Ma, anche a voler prescindere da tale rilievo e a voler accettare, per un momento, il ragionamento dell'annotata sentenza, in ordine all'esistenza di un interesse generale, cui servirebbe il provvedimento, baster, a parte ogni altra considerazione gi fatta in altra sede (Foro it., 1959, IV, 265 e segg.; id., 1960, IV, 102 e segg.), ricordare che, se l'ordinanza sindacale in discorso deve essere, per il suo contenuto innovativo dell'ordine giuridico, ritenuta manifestazione di potest sovrana, ossia statale, non per questo cessa di esser vero che carattere normale dell'autarchia proprio quello di cooperare con la stessa Amministrazione governativa per il raggiungimento di finalit, a cui l'ordinamento considera che l'ente pubblico minore non debba, comunque, restare estraneo (cfr., infatti, artt. 274 t.u. n. 383 del 1934 e 277 t.u. n. 148 del 1915). Si ritiene, in ogni modo, opportuno sottolineare, in via conclusiva, che la stessa sentenza in rassegna a fornire il criterio, che appare decisivo per la soluzione del problema in senso contrario a quello da essa ritenuto. Secondo l'insegnamento di massima della predetta pronuncia, tutta intera la complessa attivit giuridica e materiale, di organi deliberanti, esecutivi e meri agenti comunali, necessaria a realizzare l'esecuzione d'ufficio del provvedimento contingibile, a doversi considerare attivit statale, siccome conseguenziale all'ordinanza di urgenza. Ma la stessa sentenza ricorda in pari tempo che principio fondamentale quello per cui l'attivit del dipendente pu essere riferita all'ente pubblico, soltanto quando essa costituisca ed appaia come esplicazione dell'attivit 104 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO generica dell'ing. Fulvio, emessa nel procedimento penale a favore delle parti civili, non opponibile al responsabile civile, rimasto estraneo al processo, poich l'azione civile, pur se esercitata nel processo penale, non perde la sua autonomia e rimangono pur sempre applicabili i principi della cosa giudicata civile sanciti nell'art. 2909 cod. civ., riaffermati nell'ultimo comma dell'art. 27 cod. proc. pen. e non derogati dal precedente art. 26 (che si riferisce solo all'azione esercitata contro l'imputato). Conseguentemente -afferma la ricorrente -l'azione proposta dall'Amendola era prescritta, dovendosi applicare, nei confronti del Ministero, non gi l'art. 2953, ma l'art. 2947 cod. civ., e non doveva essere esclusa l'applicabilit' dell'art. 1306 cod. civ. Anche tale censura infondata. Per regola generale i diritti si estinguono per prescrizione con il decorso di dieci anni, salvi i casi in cui la legge disponga diversamente (art. 2946 cod. civ.). Tra tali casi compreso il risarcimento del danno derivante da fatto illecito considerato dalla legge come reato, per il quale, se intervenuta sentenza penale irrevocabile nel giudizio penale, la prescrizione si verifica nel termine di cinque anni dalla data in cui la sentenza divenuta irrevo I IF cabile (art. 2947, terzo comma, cod. civ.). Tale disposizione, per, deve essere interpretata in coordinamento con l'art. 2953 cod. civ., il quale dispone che i diritti, per i.quali la legge stabilisce una prescrizione pi . . breve di dieci anni, si prescrivono in tale termine, quando riguardo ad I essi sia intervenuta sentenza di condanna passata in giudicato. Dal l? disposto combinato di tali articoli si desume che, quando il diritto lli~ . . stato gi giudizialmente accertato, la prescrizione si verifica nel termine l. dell'ente, cio sia diretta all'attuazione degli scopi di questo : l'attivit , . che costituisca ed appaia esplicazione dell'attivit di un ente diverso da quello di appartenenza sarebbe, adunque, riferibile al primo. Orbene, " I. perch l'interprete sia autorizzato a vincere la presunzione per cui ogni f:' ufficio agisce, di regola, per l'amministrazione nella quale istituzional~ mente inquadrato (cfr., sul punto, Trib. Messina, 15 gennaio 1963, Ma I I w. stroeni c. Provincia di Messina, Giur. sic. 1963, 352), necessario, come opportunamente stato rilevato anche in sede dottrinale, che dall'ordinamento si ricavi non soltanto una discriminazione di funzioni, ma anche e soprattutto una discriminazione di trattamento giuridico delle medesime (SANDULLI R., In tema di ente economico della zootecnia ecc., Foro it., 1949, I, 1173). A questo concetto corrisponde quell'insegnamento della Corte di Cassazione, secondo il quale, perch si verifichi siffatto sposta. I mento dell'ordine delle imputazioni, occorre che l'attivit del soggetto considerato si svolga, in relazione ad una situazione giurLdica eccezionale, . I danni verificatisi successivamente all'inadempimento e che potevano essere evitati dal danneggiato con l'uso dell'ordinaria diligenza sono totalmente irrisarcibili, poich v' interruzione del nesso di causalit tra inadempimento ed evento dannoso: Cass:, 3 luglio 1954, n. 2311, Riv. giur. citrc. trasp., 1955, 680, con nota (sub 1-2) di osservazioni. Beninteso, mentre il concorso di colpa del creditore nella produzione del danno pu essere rilevato anche d'ufficio, la colpa del creditore nel non aver evitato l'aggravamento del danno deve essere eccepita dalla parte : Cass., 28 luglio 1953, n. 2543, Riv. giur. circ, e trasp., 1954, 827. Cass., 16 marzo 1963, n. 658, Giur. it., Mass., 1963, 212, sub a, avverte in generale che la norma dell'art. 1227 e.e. consiste nell'applicazione del principio del rapporto di causalit alla colpa del danneggiato. Questa pu elidere o rompere il nesi;o di causalit soltanto ove sia da s sola idonea a produrre l'evento dannoso, e cio quando sia la causa unica, diretta ed esclusiva del danno e precisa che il risarcimento dei danni non ammesso, soltanto nel caso in cui questi trovino la loro causa unica, diretta ed esclusiva nel difetto dell'ordinaria diligenza da parte del danneggiato (ivi, 213). Sull'onere a carico del debitore di provare le circostanze liberatorie previste dall'art. 1227 e.e., v. Cass., 7 gennaio 1965, n. 4, Giur. it., Mass., 1965, 1, sub. b. (3) Cfr. Cass., 4 agost'O 1962, n. 2363, Giur. it., Mass. 1962, 813, sub a: l'eventuale, ingiustificato ritardo, dovuto all'inerzia dell'espropriante, nella notifica del decreto di espropriazione, la mancata o irregolare notificazione possono rendere, soltanto, l'espropriante responsabile per i danni, consistenti negli interessi e, se sussistono, per i danni nel ritardo nella riscossione dell'indennit ; si vedano riferimenti in nota sub 1 a Cass., 21 ottobre 1965, n. 2173, in questa Rassegna, 1965, I, 1182. (4) Cfr. Cass., 17 ottobre 1959, n. 2924, Giust. civ., Mass. Cass., 1959, 988, sub l; 27 settembre 1948, n. 1640, Foro it., Rep., 1948, voce Appello civile, c. 91, nn. 134-135: l'istanza dell'esplicita declaratoria di un diritto, di cui si sia chiesta l'attuazione, n'On costituisce domanda nuova . 108 108 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO La consulenza tecnica d'ufficio non va intesa come un mezzo esonerativo della prova, che retta dal principio della disponibilit di cui all'art. 115 c.p.c., ma solo un mezzo sussidiario, messo a disposizione del giudice per consentirgli, quando sia necessario, la possibilit di ricevere chiarimenti in materia tecnica (5). (Omissis). Con il primo motivo del ricorso il Caminiti, denunciando violazione degli artt. 51 e 52 della legge 25 giugno 1865, n. 2359 e dell'art. 2697 e.e., nonch motivazione illogica e contraddittoria, in relazione all'articolo 360, nn. 3 e 5, c.p.c., sostiene che la Corte di merito, ritenendo che esso Caminiti avesse fatto acquiescenza alla liquidazione dell'indennit, nonostante la mancata notifica del decreto di espropriazione, incorsa nella violazione di legge e nei vizi di motivazione denunciati. Osserva il S. C. che la stesura della sentenza impugnata offre, ma solo formalmente, il fianco vuoi alla predetta censura, vuoi ad alcune delle successive. Senonch se rettamente si interpreta, come va interpretato, l'iter logico seguito' dalla Corte di merito, si vede. che la sostanza della decisione informata ad una giusta valutazione del ventennale comportamento del ricorrente. In effetti, a parte che la denunciata sentenza ha ritenuto poco attendibile l'assunto del Caminiti circa la mancata notificazione del decreto di esproprio e pi verosimile l'assunto dell'A.N.A.S., di non aver p.otuto esibire la prova dell'avvenuta notifica, smarrita in conseguenza. degli eventi bellici, nel vero il ricorrente, quando assume che il termine di decadenza per l'opposizione alla stima si inizia soltanto per effetto della notificazione del decreto di espropriazione e che non sono ammessi all'uopo equipollenti. Ma la Corte di merito ha riconosciuto tale principio, laddove ha ritenuto che l'esercizio del diritto di azione contro la stima non poteva, nella specie, ritenersi precluso, poich, mancando la prova della notificazione, non era decorso il termine di trenta giorni stabilito dall'art. 51 della legge fondamentale sull'espropriazione. Il riferimento all'inerzia ed alla acquiescenza alla stima, derivante dal fatto che fin dal 13 settembre 1942 il Caminiti ebbe notizia certa dell'avvenuta espropriazione attraverso la consegna della polizza, va interpretato come elemento di contorno, corroborante il gi formatosi convincimento circa la congruit della somma di L. 6.000, depositata dall'Ente espropriante in quel lontano periodo di tempo. (5) Cfr. Cass., 27 novembre 1964, n. 2817, Giur. it., Mass., 1964, 946, sub a 15 ottobre 1963, n. 2755, Giust. civ. Mass. Cass., 1963, 1295, sub 1: la c~nsulenza tecnica un particolare mezzo istruttorio, che tende ad illuminare il giudice, mediante l'opera di un ausiliare, su cognizioni tecniche e scientifiche; pertanto ad essa pu farsi ricorso a_n~he senza un'esplicita richiesta delle parti ; 11 marzo 1963, n. 596, ivi, 276, sub 2, ove ulteriori riferimenti. Ma Cass., 30 luglio 1964, n. 2195, Giur. it., Mass., 1964, 732, ritiene compatibile col principio di cui all'art. 115, comma primo, PARTE I, SEZ. III, .GIURISPRUDENZA CIVILE 109 Ed invero la Corte di Messina, ammessa la proponibilit dell'azione, ha proceduto, come doveva, alla valutazione del bene espropriato e, sulla scorta delle risultanze processuali, ha ritenuto che le seimila lire rappresentavano un compenso cospicuo in relazione ai pochi metri quadrati di terreno agricolo e ad una minuscola casa rurale . Solo ad un fine complementare di argomentazione, la Corte ha aggiunto che potevasi trarre un ulteriore (ma non decisivo di per s) indizio circa la congruit della somma da tutto il complesso delle circostanze ed in particolare dal comportamento inerte del Caminiti, prolungato per si lungo lasso di tempo, che induceva a ritenere che lo stesso interessato si riteneva soddisfatto. Il primo motivo del rieorso si appalesa svuotato di contenuto, se si tiene presente l'impostazione fatta dalla denunziata sentenza. Conseguenza necessaria la reiezione altresi del secondo motivo, relativo alla disattesa domanda di condanna dell'A.N.A.S. al risarcimento dei danni. Anche su tale punto la sentenza giustifica, ma solo formalmente, qualche appunto fatto dal ricorrente, che non incide per sulla sostanziale esattezza ed insindacabilit della decisione. Non si pu infatti disconoscere l'erroneit dell'applicazione del secondo comma dell'art. 1227 e.e., che esige la colpa grave del danneggiato, mentre non pu ritenersi tale il fatto che il Caminiti non propose opposizione al decreto di espropriazione nell'epoca in cui gli venne consegnata la polizza, perch in quell'epoca questa Suprema Corte a Sezioni Unite aveva ritenuto la inammissibilit dell'opposizione prima che venisse notificato il decreto di espropriazione. D'altra parte, l'aggravarsi del danno non pu essere imputato al comportamento del danneggiato, dal momento che, fino a quando l'Ente espropriante non adempie all'obbligo di notificare il decreto di espropriazione, la fonte generatrice del danno rimane attiva. Senonch, nonostante l'erroneit del predetto riferimento all'articolo 1227 e.e., la sentenza regge, dappoich i giudici di merito, senza negare la proponibilit in astratto dell'azione, hanno ritenuto che nella specie nessuna prova del danno per il ritardo era stata offerta, con un apprezzamento di fatto, che sfugge al controllo di legittimit. N pu addebitarsi alla Corte di merito di non aver considerato il punto decisivo, costituito dalla svalutazione monetaria, giacch la doglianza del Caminiti era relativa ad un danno non collegabile con la svalutazione monetaria. c.p.c. affermare che secondo il sistema probatorio accolto nel nostro ordinamento processuale, la consulenza tecnica costituisce uno strumento non soltanto Q.i valutazione tecnica, ma anche di accertamento e di ricostruzione storica dei fatti prospettati dalle parti, secondo il prudente apprezzamentodel giudice di merito. Sembra, per, pi corretto l'insegnamento della sentenza in rassegna e della prevalente giurisprudenza, come sopra riferito. Occorre tener presente che la prova dei fatti allegati dalle parti non necessaria solo se si tratti di fatti da esse concordemente ammessi, cio RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Il vero che le censure proposte a sostegno del motivo tendono, sostanzialmente, ad un inammissibile riesame del giudizio di merito. Parimenti infondato il terzo motivo, con il quale, denunciando violazione dell'art. 112 c.p.c., il ricorrente sostiene che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di merito, la domanda di accertamento dell'obbligo dell'A.N .A.S. di trascrivere il decreto di espropriazione e di provvedere alla voltura catastale del terreno espropriato, proposta in appello, non era nuova, perch doveva ritenersi compresa nella do manda di condanna proposta in primo grado. Anche in relazione alla predetta censura d'uopo riconoscere che l'impugnata sentenza ha impropriamente argomentato ex art. 345 c.p.c. in quanto in grado di appello ben pu la parte sostituire alla domanda di condanna, proposta in primo grado, una domanda di accertamento, poich tale mutamento importa semplicemente una riduzione del contenuto giuridico della domanda originaria, chiedendosi con la nuova formulazione, la declaratoria di un diritto, di cui originariamente si era chiesta l'attuazione (Cass., 17 ottobre 1959, n. 2.924). Tuttavia, nonostante l'erroneo riferimento al divieto dello jus novorum >, la pronuncia si regge sulla considerazione che nella specie nessuna azione di accertamento era stata proposta, n era configurabile, in quanto condizione per l'ammissibilit dell'azione di accertamento che sia controversa l'esistenza o inesistenza di un diritto o rapporto giuridico. Nel caso sottoposto non c'era nessuna situazione incerta da accertare, dappoich ci che si chiedeva al giudice di dichiarare, e cio il difetto di trascrizione e di volturazione, gi risultava pacifico dai documenti esibiti. Lo stesso ricorrente, formulando nelle conclusioni avanti la Corte di Appello la richiesta di essere facultizzato a procedere esso stesso, a spese della convenuta A.N.A.S., a quelle operazioni di trascrizione e volturazione, che avrebbe senz'altro potuto compiere quando voleva, dimostra di non aver proposto una vera azione di accertamento, ma una nuova domanda di pagamento di quelle spese. Resta da esaminare il quarto ed ultimo motivo del ricorso, con il quale il Caminiti, denunciando violazione dell'art. 2697 e.e. e dell'art. 115 c.p.c., sostiene che la Corte di merito, ritenendo che egli non avrebbe provato il suo diritto al rimborso dei tributi pagati a causa della mancata volturazione del terreno espropriato, sarebbe incorsa in di fatti pacifici in causa, ovvero se si tratti di fatti notori: a parte queste eccezioni, vale in pieno la regola espressa dall'art. 115, medesimo comma primo, per cui il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal Pubblico Ministero: ZANzuccHI, Diritto processuale civile, vol. I, Milano, 1948, 330; la nomina del o dei consulenti tecnici da parte del G. I. un provvedimento in sede d'istruzione probatoria., ma non deve confondersi con un provvedimento relativo atle prove : ZANZUCCHI, op. cit., vol. II, Milano, 1948, 48. PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE lll evidente errore, poich la prova avrebbe dovuto essere arguita dal certificato di iscrizioni e trascrizioni, dal quale risultava che il decreto di espropriazione non era stato trascritto; per cui avrebbe dovuto la Corte di merito ammettere la consulenza tecnica per accertare l'ammontare dei tributi pagati dal Caminiti. La censura destituita di giuridico fondamento. Rettamente la Corte di Appello ha osservato che spetta alle parti produrre le prove a sostegno delle domande e che non incombe al giudice di accertarle a mezzo della consulenza tecnica. Giova ricordare quanto gi altre volte questa S. C. ha avuto occasione di rilevare, che, cio, la consulenza tecnica non va intesa come un mezzo esonerativo della prova, che retta dal principio della disponibilit di cui all'art. 115 c.p.c., ma solo un mezzo sussidiario, messo a disposizione del giudice, per avere, quando sia necessario, la possibilit di ricevere chiarimenti in materia tecnica (come ad es. nella specie per accertare quanta parte dei tributi, che si fossero dimostrati pagati, afferisse alla porzione d'immobile espropriata). (Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 8 gennaio 1966, n. 143 -Pres. ed Est. Favara -P. M. Cutrupia (conf.) -Ministero Difesa Esercito (avv. Stato Agr) c. Menis e Di Braida (avv.ti Colle, Marpillero). Danni -Risarcimento dei danni da fatto illecito -Interessi compensativi -Costituiscono elemento complementare dello stesso danno risarcibile per colpa aquiliana -Possono essere liquidati di ufficio dal Giudice -Sentenza di condanna al risarcimento dei danni -Omissione di pronuncia in ordine agli interessi compensativi -Mancata impugnazione della sentenza per tale vizio -Giudicato sostanziale sulla concreta quantificazione del danno risarcibile Sussiste. (c. c., artt. 2043, 2056). Gli interessi compensativi non corrispondono ad un danno auto- 11,omo, successivo alla condanna, ma costituiscono un elemento complementare dello stesso danno risarcibile per colpa aquiliana, cosicch come il giudice pu conglobarli nella cifra liquidata per tale risarcimento, invece di farne oggetto di una distinta liquidazione e di un ulteriore capo di condanna, cos egli pu provvedere su di essi anche d'ufficio. La domanda relativa agli interessi, lungi daU'essere autonoma, parte integmnte della domanda di liquidazione del danno, epper, se la parte accetti come giusta la liquidazione del danno, che almeno formalmente prescinda da una separata liquidazione degli interessi com 10 112 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO pensativi dal giorno deH'evento dannoso, essa non pu pi instaurare un separato giudizio per ottenere tale liquidazione, essendo questa coperta dal giudicato sostanziale, che si formato suita concreta quantificazione del danno risarcibile (1). (Omissis). Col primo mezzo, nel dedurre la violazione e falsa applicazione dell'art. 2909 in relazione agli artt. 2043 e 1224 e.e. nonch dei principi generali di diritto sulla res judicata, con difetto di motivazione su punti decisivi, il ricorrente si duole perch la Corte di merito avrebbe errato nel ritenere rilevante l'argomento che gli interessi sulle somme liquidate a titolo di risarc~mento del danno per fatto illecito abbiano carattere compensativo e rappresentino una domanda accessoria rispetto a quella principale: secondo la ricorrente Amministrazione, tali argomenti non possono superare l'eccezione della cosa giudicata, nascente dalla precedente sentenza del Tribunale di Venezia in data 21 maggio 1958 in base agli elementi della eadem res et causa petendi. Si afferma che, nella specie, l'instaurazione del nuovo giudizio aveva per oggetto lo stesso petitum (interessi) e la stessa causa petendi (responsabilit per colpa aquiliana) ed era perci preclusa dal precedente giudicato, senza di che diveniva necessario rimettere in discussione l'intero oggetto e rapporto giuridica che gi aveva formato oggetto del precedente giudizio. Col secondo mezzo, che pu essere considerato insieme al primo, si deduce ancora violazione del giudicato, ma non solo sotto l'aspetto sostanziale pi propriamente considerato nel primo mezzo, ma sotto quello del giudicato formale, di cui si deduce la sussistenza nella specie, come ulteriore e valida preclusione di ogni riesame della specie. (1) Cfr. Cass., 20 ottobre 1964, n. 2629, Foro it., Mass., 1964, 704; 22 ottobre 1960, n. 2867, Giust. 'Civ., 1960, I, 2100, con nota di riferimenti ed osservazioni; 21 gennaio 1957, n. 146, Foro it., 1957, I, 563, con nota (sub 1-2) di A. ScIALOJA. Sul principio per cui la rivalutazione della somma liquidata a titolo di risarcimento compensa tutto il danno e non sono perci dovuti interessi per il periodo anteriore v. Cass., 10 agosto 1948, n. 1455, in questa Rassegna, 1948, n. 9, 22, con nota di DI CIOMMo; per la critica dell'opposto insegnamento, secondo il quale la liquidazione dei danni con valutazione delle conseguenze derivanti dal diminuito valore del denaro non assorbe il debito per gl'interessi, che ha carattere autonomo (Cass., 30 maggio 1949, n. 1380, Giur. it., 1950, I, 344) v. GRAZIANO, in questa Rassegna, 1950, 222 e seg. Sul problema v. anche RUBINO, Decorrenza degli interessi ecc., Giur. compl. Cass. civ., 1951, I quadr., 429 e segg. (ove si censura il ricorso al concetto di interessi compensativi) ed ivi, altres, note di DI STASO (432-434) e di MICCIO (434-442); adde DE MARTINI I#valutazione del danno da fatto illecito e danno per ritardato pagamento, id., 1951, III quadr., 1619 e segg., con ampi riferimenti giurisprudenziali; DE FALco, Orientamenti ecc., Riv. giur. circ. e trasp., 1953, 1022 e segg., in nota a Cass., Sez. Un., 27 maggio 1953, n. 1584, secondo cui la prestazione I . I '/'...... . I -9. PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 113 Deduce, infatti, il ricorrente Ministero che, producendo l'omissione di pronuncia la nullit della sentenza in ordine alla domanda pretermessa e costituendo essa un vizio denunciabile in appello od in cassazione, qualora si ammettesse la proponibilit di un autonomo giudizio, verrebbe a concedersi un ulteriore rimedio, che sarebbe del tutto svincolato dal sistema delle impugnazioni ed in pieno contrasto con esso. Le doglianze sono fondate. Questa Suprema Corte ha gi, infatti, avuto occasione di affermare anche di recente (cfr. Cass., 20 ottobre 1964, n. 2629 e 21 gennaio 1957, n. 146) che la omessa pronunzia sulla richiesta degli interessi relativi alla somma domandata a titolo di risarcimento del danno d luogo ad un motivo di nullit della sentenza, che si converte in motivo di gravame, per cui, in difetto di impugnazione, la pronuncia passa in giudicato e preclude la riproposizione della domanda degli interessi in separata sede, stante il divieto del ne bis in idem, che il giudicato stesso comporta. Ci perch la domanda degli interessi forma il necessario complemento rispetto a quella relativa al risarcimento del danno (danno-interesse), cosicch, come il giudice potrebbe ritenere gli interessi stessi conglobati nella cifra liquidata per il risarcimento del danno, anzich farne un separato e distinto calcolo per un ulteriore capo di condanna, cos pu persino provvedere di ufficio su di essi, in quanto formanti, in definitiva, una voce dello stesso danno risarcibile per colpa aquiliana e per nulla un'ipotesi di danno autonomo, successivo alla condanna. Pertanto, in seguito all'omessa pronuncia rispetto alla domanda degli interessi compensativi sulla somma liquidata a titolo di risarcimento del danno da colpa aquiliana ed alla mancata impugnazione della sentenza per una omessa pronunzia, si viene a formare un vero e proprio giudicato sostanziale intorno alla concretta quantificazione del degli interessi, pur essendo accessoria all'obbligazione principale, ha titolo e funzione economica sua propria, che non viene meno per effetto dell'adeguamento monetario dell'obbligazione principale: nel caso, quindi, di danni da fatto illecito, gli interessi sono dovuti sulla somma rivalutata con decorrenza dalla data dell'evento dannoso, tranne che nella liquidazione di detta somma ed indipendentemente dall'adeguamento monetario sia stato considerato il maggior danno derivante dal ritardo nell'adempimento, nel qual caso gli interessi decorrono dalla liquidazione, ivi, 1022, sub 3; MARASCO M., Interessi compensativi nel risarcimento del danno da fatto illecito, Nuovo dir., 1958, 89; VIOLA, Svalutazione monetaria e risarcimento di danni, Giur, sic., 1958, 94. Quanto ai pi recenti atteggiamentigiurisprudenziali, secondo Cass., 30 novembre 1963, n. 3069, in questa Rassegna, 1964, I, 102, sub 5: sulla somma liquidata a titolo di risarcimento di danni per fatto illecito decorrono di pieno diritto gli interessi compensativi dal giorno dell'illecito. In particolare, per quanto riguarda il danno derivato dalla mancata utilizzazione d'un bene (lucro cessante), la decorrenza degli interessi sulla somma liquidata per risarcimento va stabilita con riferimento alle singole frazioni del reddito che si sarebbe periodicamente maturato, 114 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO danno risarcibile, del quale non pi possibile dolersi, non trattandosi di un capo autonomo di domanda (rispetto al quale, nell'ipotesi di omessa pronunzia non impugnata, rimane aperta la via di un nuovo giudizio: Cass. 2867 del 1960), ma di una domanda conseguenziale rispetto a quella principale di risarcimento del danno, di cui il danno-interesse forma una mera voce ed un necessario complemento. precisamente l'errore su questo punto, che ha fuorviato la Corte del merito, facendole negare tanto l'esistenza del giudicato sostanziale, ehe di quello formale e permettendole di affermare, cosi, nuovamente esperibile l'azione per gli interessi compensativi, qualora su di . essi non si sia pronunziato il giudice, che ebbe, con sentenza passata in cosa giudicata, ad operare la liquidazione concreta del danno ed a calcolare il risarcimento dovuto dal danneggiante. In realt, la domanda relativa agli interessi, lungi dall'essere staccata ed autonoma, parte integrante della domanda di liquidazione del danno, cosicch -se la parte accetti come giusta la liquidazione del danno, che, almeno formalmente, prescinda da una separata liquidazione degli interessi compensativi dal I giorno del sinistro -essa non pu pi instaurare un separato giudizio per la liquidazione degli interessi stessi, essendo la liquidazione dello intero danno, anche per quanto riguarda la voce relativa agli interessi ed al danno-interesse, coperta dal giudicato, cosi da precludere ogni ulteriore riesame del tema, deciso, ormai, definitivamente. L'accoglimento, per quanto di ragione, dei primi due motivi di ricorso assorbe e rende superfluo l'esame dei terzo, proposto in via subordinata, come ulteriore argomento dell'impugnativa per violazione i del giudicato, sotto l'aspetto dell'acquiescenza. La sentenza denunziata deve, pertanto, essere cassata in relazione ai motivi cos accolti, demandandosi alla Corte di rinvio ogni provvidenza anche sulle spese di Cassazione. (Omissis). I dal giorno della perdita del bene e fino a quello della liquidazione; a sua volta: Cass., 13 luglio 1964, n. 1873, Giur. it., Mass., 1964, 612, avverte che I la liquidazione della somma dovuta a titolo di risarcimento per un danno ~ juturo deve essere calcolata con riferimento al momento in cui tale evento si verificher e, nell'ipotesi in cui si tratti di risarcimento di danno per lucro cessante, derivante da inabilit permanente a persona che non sia ancora giunta all'et della piena capacit lavorativa, con riferimento alla data in cui questa avr presumibilmente raggiunto tale capacit. Pertanto, se si segue per il risarcimento del danno il sistema della corresponsione di una somma capitale una tantum, poich questa andrebbe corrisposta al momento in cui il danneggiato avrebbe potuto esplicare un'utile attivit lavorativa, nell'emettere la condanna al pagamento immediato di tale somma deve essere adottato un opportuno correttivo, atto ad evitare che si verifichi una ingiusta locupletazione in favore del danneggiato, nella misura corrispondente alla maggiore utilit, che gli deriva dal fatto che r gli stato messo a disposizione anticipata il capitale liquidato. Pertanto, il giudice, nel liquidare tale somma, non pu comprendervi gli interessi compensativi dalla data del sinistro al momento della liquidazione. 11 I PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 115 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. II, 22 gennaio 1966, n. 268 -Pres. La Via -Est. Modigliani -P. M. Cutrupia (conf.) -Casole (avv.ti Sensi, Novelli) c. Ministero Agricoltura e Foreste (avv. Stato Gargiulo). Propriet -Azione di regolamento di confini -Azione per apposizione di termini -Differenza -Modificazione necessaria della originaria domanda per apposizione di termini in domanda di regolamento di confini se nel corso del giudizio sorge contrasto sulla linea di confine. (c. c., artt. 950, 951). Competenza e giurisdizione -Competenza per valore -Cause relative a beni immobili -Eccezione di incompetenza per valore -Onere del convenuto che solleva l'eccezione di provare la non sottoposizione dell'immobile a tributo ed in genere di svolgere l'attivit probatoria necessaria per dimostrare quale sia il giudice competente. (c. p. c., artt. 15, 115). Cosa giudiata -Giudicato sul dedotto e sul deducibile -Limite -Identificazione delle azioni. (C. C., art. 2909; c. p, C., art. 324). L'azione di regolamento di confini tende ad eliminare una situazione d'incertezza sul confine tra due fondi contigui, mentre quella per apposizione di termini tende alla materiale demarcazione, con segni visibili, di un confine incontroverso. Se, invece, proposta azione per apposizione di termini, sorge, nel corso del giudizio, contrasto sulla linea del confine, lungo la quale essi dovrebbero essere apposti, l'iniziale domanda resta necessariamente modificata ed assume la natura di un'azione per regolamento di confini (1). Le cause relative a beni immobili (azioni reali) non possono essere ritenute di valore indete1minabile e, quindi, di competenza del tribunale, se non quando si verifichi una situazione realmente negativa (non sottoposizione dell'immobile a tributo), la quale non pu essere presunta in base al solo fatto che l'attore abbia omesso di produrre il certificato catastale o di fornire la dimostrazione del tributo. Deve, invece, il convenuto, il quale eccepisca l'incompetenza per valore del pretore, svolgere l'attivit probatoria necessaria a dimostrare quale sia il giudice realmente competente secondo i criteri stabiliti dall'art. 15 c.p.c. Ove il convenuto abbia sollevato l'eccezione di incompetenza per valo1e, ma non risulti la misura del tributo, n risulti che l'immobile (!)"Sulla prima parte della massima, v. Cass., 29 dicembre 1964, n. 2976, Foro it., Mass., 1964, 781. Sulla seconda parte della massima, v. Cass., 22 febbraio 1958, n. 591, id., Rep., 1958, voce Confini, c. 564, n. 26; 18 giugno 1959, n. 1907, Giust. civ., Mass. Cass., 1959, 647, sub 1, con nota di richiami. 116 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ne sia esente, l'eccezione stessa dev'essere disattesa per difetto di prova (2). L'autorit del giudicato limitata a ci che ha formato l'oggetto e la causa giuridica del giudizio e copre esclusivamente la decisione finale, in cui si concreta la volont di legge da attuare. Per stabilire quei limiti non pu che farsi richiamo agli elementi costitutivi dell'azione e cio, oltre che all'identit dei soggetti, al petitum ed alla causa petendi: solo quando tali elementi siano identici a quelli dedotti in un successivo giudizio, inibito, in questo, il riesame della controversia gi irretrattabilmente risolta. Pertanto, il giudicato sul dedotto, sul deducibile e sui presupposti logici della decisione o sui punti di fatto pregiudiziali deve essere contenuto nel limite insuperabile dell'identificazione dell'azione, oggetto della decisione, di cui si intende far valere l'autorit. con quella. esperita nel giudizio, nel quale quell'autorit viene invocata, al fine ultimo di evitare una nuova discussione sul bene o sulla pretesa, oggetto della prima decisione (3). I (Omissis). , ' Col primo mezzo il ricorrente, nel denunziare la violazione degli . artt. 948 e 951 e.e., in relazione all'art. 360 c.p.c., sostiene che la do Imanda proposta dall'Amministrazione forestale dinanzi al Pretore era non gi un'azione per apposizione di termini, come stato erroneamente I. ritenuto dai giudici di appello, ma una revindica o un'azione per rego. lamento di confini, in quanto difettava l'estremo della certezza del I /!:.' confine, che costituisce il presupposto dell'azione per apposizione di termini. Deduce, poi, che non era consentito all'Amministrazione fore I l f;; . stale di addurre l'esistenza di una linea di confine diversa da quella accertata, con efficacia di cosa giudicata, dal Tribunale di Catanzaro con sentenza 14 dicembre 1960-30 gennaio 1961. ,' . La doglianza, nei termini che saranno in appresso precisati, fondata. noto, per averlo questa Suprema Corte ripetutamente statuito , I [(cfr., da ultimo, la sentenza n. 2976 del 1964), che l'azione per regola (2) Conf. Cass., 24 aprile 1965, n. 729, Giust. civ., Mass. Cass.,, 1965, 371, sub 2, con nota di ulteriori richiami; 13 luglio 1965, n. 1478, ibidem, 759, sub 3. Osserva, invero, la sentenza in rassegna che: mancando la prova del tributo, non pu funzionare il criterio legale della moltiplicazione per il coefficiente di legge, ai sensi dell'art. 15, comma primo, c.p.c.; e, mancando la dimostrazione di quella situazione negativa di non sottoposizione a tributo, che costituisce il presupposto per l'applicazione dell'ultimo comma del citato art. 15, non pu soccorrere, ai fini della determinazione del valore della causa, il criterio sussidiario della valutazione ex actis o la presunzione del valore indeterminabile . (3) Conf. Cass., 4 maggio 1957, n. 1497, Giust. civ., 1957, I, 1952, con nota (sub 1) di riferimenti di dottrina e giurisprudenza; 1 agosto 1958, n. 2853, Foro it., Rep., 1958, voce Cosa giudicata civile, c. 663, nn. 32-35. Sul giudicato implicito, v. anche ass., 23 gennaio 1964, n. 163, in questa Rassegna, 1964, I, 324, sub 2, con nota di ulteriori riferimenti. PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 117 mento di confini tende a eliminare una situazione d'incertezza sul confine tra i due fondi contigui, mentre quella di apposizione dei termini tende alla materiale demarcazione con segni visibili di un confine incontroverso. del pari noto (cfr. le sentenze nn. 1907 del 1959 e 591 del 1958) che, proposta l'azione di apposizione dei termini, se nel corso del giudizio sorge contrasto in ordine alla linea di confine lungo la quale essi dovrebbero essere apposti, l'iniziale domanda resta necessariamente modificata e assume la natura di un'azione per regolamento di confini. Ora, nel caso in esame, la stessa Amministrazione attrice, pur avendo chiesto l'apposizione dei termini, ha accennato, nei suoi scritti difensivi, alla incertezza del confine e, comunque, la contestazione tra le parti essenzialmente vertita, nella fase di merito, sulla determinazione della linea di confine. Si deve pertanto riconoscere che si in presenza di un'azione per regolamento dei confini e non di una azione per apposizione dei termini, come stato erroneamente ritenuto dalla denunziata sentenza. Stabilito ci, va aggiunto che non pu per farsi adesione alla ulteriore tesi, sostenuta dal patrono del ricorrente nella discussione orale, secondo la quale, dovendosi escludere, data la natura della proposta azione, la competenza per materia del Pretore, si dovrebbe dichiarare la incompetenza dello stesso giudice per ragioni di valore, come era stato chiesto dal convenuto nella fase di merito. Infatti, noto che le cause relative a beni immobili (azioni reali) non possono essere ritenute di valore indeterminabile e quindi di competenza del tribunale, se non quando si verifichi una situazione realmente negativa (non sottoposizione dell'immobile a tributo), la quale non pu essere presunta in base al solo fatto che l'attore abbia omesso di produrre il certificato catastale o di fornire la dimostrazione del tributo. Deve il convenuto, il quale eccepisca l'incompetenza per valore del pretore, svolgere l'attivit probatoria all'uopo necessaria, onde dimostrare quale sia il giudice realmente competente secondo i criteri stabiliti dall'art. 15 c.p.c. E ove il convenuto abbia sollevato l'eccezione di incompetenza per valore, ma non risulti la misura del tributo, n risulti che l'immobile ne sia esente, l'eccezione stessa deve essere disattesa per difetto di prova: ci in quanto, mancando la prova del tributo, non pu funzionare il criterio legale della moltiplicazione per il coefficiente di legge, ai sensi dell'art. 15, primo comma, c.p.c., e, mancando la dimostrazione di quella situazione negativa di non sottoposizione a tributo, che costituisce il presupposto per l'applicazione dell'ultimo comma del citato art. 15, non pu soccorrere, ai fini della determinazione del valore della causa, il criterio sussidiario della valutazione ex actis o la presunzione del valore indeterminabile. In tali sensi questo Collegio si ripetutamente espresso e, da ultimo, con le sentenze nn. 729 e 1478 del 1965. Orbene, nel caso in esame, nella fase di merito, dal convenuto Casole era stata eccepita l'incompetenza per valore del giudice adito, senza che negli atti si riscontrasse il documento necessario per la determinazione del tributo (certificato catastale) o risultasse la mancanza del ~//o/,(~.Y/U.F/.-:4-7.:=t{F.:::-:-7.o/.ifM"""/@"R/.-W:-:&"gfu/.zy@.;:-w.:?..?-7-fil.~ff~g--::--@:--f.'ff.::::ff.:":.f@"{{-:::?.".:"2:f.9.:'"{::':.'{{4.:f."ef.Q.ffe'.=I%f:o/.4:f:fi=:::;:f{=%r.~ - 118 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO detto presupposto: conseguentemente, alla stregua del princ1p10 giurisprudenziale dianzi richiamato, l'eccezione di incompetenza per valore doveva essere disattesa, perch mancante di prova. Circa l'ulteriore censura del primo mezzo, con la quale si sostiene che non era consentito all'Amministrazione forestale di addurre l'esistenza di una linea di confine diversa da quella, che, secondo l'assunto del ricorrente, sarebbe stata accertata, con efficacia di cosa giudicata, dalla sentenza del Tribunale di Catanzaro dei 14 dicembre 1960-30 gennaio 1961, si fa presente che tale doglianza sar presa in esame congiuntamente con il terzo mezzo, col quale stata specificamente dedotta la questione relativa all'esistenza dell'anzidetto giudicato. Consegue da quanto si esposto che il primo mezzo di annullamento deve essere accolto, per quanto di ragione. Con il secondo mezzo il ricorrente, nel denunziare la violazione dell'art. 115 c.p.c., in relazione all'art. 360 n. 5 dello stesso codice, lamenta che il Tribunale abbia omesso di prendere in esame la domanda, da lui proposta in via subordinata, per ottenere l'ammissione di un esame testimoniale diretto a dimostrare che l'appezzamento di terreno in controversia era stato da lui posseduto per oltre un trentennio. La doglianza fondata. Infatti, sebbene il Casole, nel giudizio di appello, avesse, in effetti, invocato l'ammissione di un esame testimoniale diretto a dimostrare che egli aveva usucapito l'appezzamento di terreno in contesa, il Tribunale ha omesso di statuire su tale istanza ed pertanto incorso nel vizio di omessa pronunzia. Col terzo mezzo il ricorrente, nel denunziare la violazione degli artt. 2909 e.e. e 324 c.p.c., lamenta che il Tribunale di Catanzaro abbia escluso che il confine tra i due fondi fosse stato accertato, con efficacia di cosa giudicata, con la sentenza 14 dicembre 1960-30 gennaio 1961, pronunciata in grado di appello dallo stesso Tribunale. La censura priva di fondamento. Come questa Suprema Corte ha ripetutamente statuito (cfr., tra le altre, le sentenze nn. 1497 del 1957 e 2853 del 1958), l'autorit del giudicato limitata a ci che ha formato l'oggetto e la causa giuridica del giudizio e copre, esclusivamente, la decisione finale in cui si concreta la volont di legge da attuare. Per stabilire quei limiti non pu che farsi richiamo agli elementi costitutivi dell'azione, e cio, oltre che alla identit dei soggetti, al petitum e alla causa petendi: solo quando tali elementi siano identici a quelli dedotti in un successivo giudizio, inibito in quest'ultimo il riesame della controversia gi irretrattabilmente risolta. Pertanto il giudicato sul dedotto e sul deducibile e sui presupposti logici della decisione o sui punti di fatto pregiudiziali deve essere contenuto nel limite insuperabile dell'identificazione dell'azione, oggetto della decisione di cui si-intende far valere l'autorit, con l'azione esperita nel giudizio in cui quella autorit s'invoca, al fine ultimo di evitare una nuova discussione sul bene e sulla pretesa oggetto della prima decisione. PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 119 Orbene, nel caso in esame, nella controversia definita con la ricordata sentenza 14 dicembre 1960-30 gennaio 1961 del Tribunale di Catanzaro, oggetto del giudizio era il risarcimento dei danni, che il Casole assumeva essergli derivati dall'abbattimento di alcuni alberi, effettuato dall'Amministrazione forestale in una zona che, in base alla linea di confine da lui indicata, si trovava nell'ambito del suo fondo; nell'attuale controversia il petitum consiste, invece, come si visto, nell'accertamento del confine tra i due fondi. Sebbene in entrambi i giudizi occorresse accertare la linea di confine, nella presente controversia si discute, dunque, di effetti giuridici del tutto nuovi e diversi rispetto a quelli che furono oggetto della controversia definita con la sentenza passata in giudicato. E, stante la diversit delle pretese fatte valere, dei beni della vita reclamati e delle azioni proposte, decisamente da escludere che l'accertamento del confine, compiuto nel primo giudizio, possa assumere autorit di giudicato nella presente controversia. (Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 9 febbraio 1966, n. 414 -Pres. Stella Richter -Est. D'Amico -P. M. Toro (conf.) -Coghi (avv.ti Cordiali, Precoce) c. Prefetto Verona e Ministero Sanit (avv. Stato Foligno). Salute pubblica -Attribuzioni del Prefetto, del Medico e del Veterinario Provinciale in materia di sanit pubblica. (d. Ig. C. P. S. 13 settembre 1946, n. 233, art. 19; d. P. R. 5 aprile 1950, n. 221, art. 68; I. 13 marzo 1958, n. 296, art. 6). Con L'istituzione del Ministero deHa Sanit,, disposta con la legge 13 marzo 1958, n. 296, tutte le attribuzioni del Prefetto in materia di sanit, pubblica, ad eccezione dei provvedimenti relativi ano scioglimento dei Consigli di amministrazione degli enti pubblici con compiti di assistenza sanitaria nena provincia e dei provvedimenti contingibiU ed urgenti per mgioni di sanit, pubblica ai sensi deH'art. 20 t.u. legge com. e p1ov. n. 383 del 1934, sono state devolute al Medico ed al Veterinanrio provinciali, secondo le competenze dei rispettivi uffici (1). (Omissis). A norma dell'art. 68 del decreto del Presidente della Repubblica 5 aprile 1950, n. 221, contenente disposizioni per la disciplina del (1) Secondo Cass., 19 giugno 1962, n. 1551, Giust. civ., Mass. Cass., 1962, 769, sub 1: la Commissione Centrale esercenti professioni sanitarie organo di giurisdizione speciale, le cui decisioni, emesse nei giudizi pre 120 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO l'esercizio delle professioni sanitarie, nei giudizi di Cassazione, aventi I per oggetto i ricorsi contro le decisioni della Commissione Centrale I ~ per gli Esercenti le Professioni predette, legittimo contraddittore era il Prefetto, oltre al Procuratore della Repubblica e agli Ordini Professionali. I Senonch, con l'istituzione del Ministero della Sanit, disposta con la legge 13 marzo 1958, n. 296, tutte le attribuzioni del Prefetto in I materia di sanit pubblica -ad esclusione dei provvedimenti relativi allo scioglimento dei Consigli di amministrazione degli enti pubblici con compiti di assistenza sanitaria nella provincia e dei provvedimenti contingibili ed urgenti per ragioni di sanit pubblica ai sensi dell'articolo 20 t.u. della legge comunale e provinciale -sono state devolute al Medico provinciale ed al Veterinario provinciale, secondo le competenze dei rispettivi uffici (art. 6 della legge predetta). Poich, di conseguenza, la decisione di questa Corte doveva essere emessa nei confronti non pi del Prefetto, ma del Medico Provinciale, oltrech degli altri soggetti sopraindicati, cui il ricorso era stato regolarmente notificato, fu disposta, ad integrazione del contraddittorio, la notificazione del ricorso al Medico Provinciale, con fissazione del termine. Ma a tale notificazione il ricorrente non ha in alcun modo provveduto, nonostante che fosse stato avvertito del provvedimento di integrazione con regolare comunicazione. Il ricorso dev'essere, pertanto, dichiarato inammissibile. (Omissis). visti dagli artt. 19 d.1. C.P.S. 13 settembre 1946, n. 233 e 68 d.P.R. 5 aprile 1950, n. 231, sono provvedimenti giurisdizionali, nei quali sono legittimi contraddittori l'interessato, gli Ordini professionali, il .Procuratore della Repubblica ed il Prefetto . La sentenza in rassegna avverte, invece, che, per effetto della 1. 13 marzo 1958, n. 296, trattandosi nella specie di ricorso di un farmacista avverso decisione della cennata Commissione Centrale, il contraddittorio doveva svolgersi nei confronti non pi del Prefetto, ma del Medico Provinciale, oltrech degli altri soggetti sopraindicati . opportuno ricordare, comunque, che, secondo Cass.; 28 luglio 1964, n. 2134, Giur. it., Mass., 1964, 709: la disposizione dell'art. 68 del Regolamento 5 aprile 1950, n. 221, che in proposito prescrive che il ricorso per cassazione pu essere proposto dall'interessato, dal Prefetto o dal Procuratore della Repubblica, deve ritenersi illegittima e deve essere disapplicata dal Giudice ordinario, a norma dell'art. 5 della legge sull'abolizione del contenzioso amministrativo: trattasi, infatti, di norma regolamentare non conforme alla norma generale del nuovo sistema processuale (artt. 100, 102, 331 c. p. c.), secondo cui ogni impugnazione pu essere proposta dalla parte soccombente, che abbia interesse alla riforma o all'annullamento della decisione e, correlativamente, ogni impugnazione deve essere proposta nei confronti di tutti coloro, che sono stati parte nel giudizio in cui stata pronunciata la decisione impugnata . PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 121 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 14 febbraio 1966, n. 439 -Pres. Pece -Est. Cesaroni -P. M. Colonnese (conf.) -Puglisi (avv. Rizzo - Manganaro) c. A.N.A.S. (avv. Stato Angelini -Rota). Espropriazione per p. u. -Opposizione alla stima dell'indennit di espropriazione di fondo rustico comprensiva del valore del soprasuolo -Le~ittimazione autonoma del conduttore del fondo Sussiste. (1. 25 giugno 1865, n. 2359, artt. 27, comma terzo, 52, 54; c. c., art. 1638). Il conduttore di un fondo rustico assoggettato ad espropriazione per p. u. legittimato a proporre autonoma opposizione giudiziale avverso la determinazione dell'indennitd, in ordine al valore dei frutti pendenti esistenti sul terreno espropriato (1). (Omissis). da osservare, in proposito, che l'art. 27 della legge fondamentale sulle espropriazioni per pubblica utilit 25 giugno 1865, n. 2359 espressamente menziona i conduttori fra coloro che possono impugnare la indennit come insufficiente, a norma degli artt. 52 e segg. della stessa legge. ' Si tratta, quindi, di stabilire se i conduttori abbiano facolt autonoma di impugnativa dell'indennit, offerta al proprietario locatore anche per i frutti pendenti o se tale facolt spetti soltanto per i diritti di natura reale, posto che l'indennit di espropriazione, nella sua essenza, sostituisce il bene soppresso, col giusto prezzo che esso avrebbe avuto in una libera contrattazione. (1) La massima si ricollega all'insegnamento delle Sezioni Unite (Cass., Sez. Un., 23 novembre 1963, n. 3022, Giur. it., Mass., 1963, 1027, sub b), secondo il quale: in tema di espropriazione per p.u., a norma dell'art. 27, terzo comma, legge n. 2359 del 1865, nel giudizio instaurato dal proprietario del fondo espropriato, per l'impugnazione della stima dell'indennit, ammissibile l'intervento autonomo dell'affittuario del fondo stesso, in quanto egli faccia valere delle ragioni che aderiscono a diritti reali (nella specie, valutazione .dei frutti pendenti, che sono in pari tempo accessori del suolo e propriet dell'affittuario). Invece, secondo Cass., 11 febbraio 1960, n. 195, Giust. civ., Mass. Cass., 1960, 73, sub 1: i conduttori devono essere indennizzati dai proprietari e possono esperire le loro ragioni, solo in quanto ad essi spetti qualche diritto sugli immobili stessi. Cass., 30 settembre 1955 n. 2734, id., Mass. Cass., 1955, 1016, avverte, che in tema di espropriazione per p. u., ai sensi degli artt. 1638 e.e. e 27 1. 25 giugno 1865, n. 2359: il proprietario del fondo unico contraddittore nei confronti dell'Amministrazione espropriante e, quindi, nella relativa procedura non solo compare a tutela diretta delle proprie personali ragioni, ma funge, inoltre, da rappresentante ex lege delle ragioni di ogni altra persona avente diritti sul fondo; 122 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Ora, secondo quanto stabilisce l'art. 821 e.e., i frutti appartengono al proprietario della cosa che li produce, salvo che la loro propriet sia attribuita ad altri, il che pu accadere o in virt dell'esistenza di diritti reali o in virt di rapporti di obbligazione, mediante i quali il proprietario trasferisca il godimento della cosa, come nelle locazioni (art. 1615 e.e.). Ben vero che i frutti naturali si acquistano con la separazione (art. 821, primo comma), in quanto prima di tale momento essi ancora non esistono nella loro individualit giuridica, ma ci non pregiudica la situazione di appartenenza , il che comporta nell'affittuario quel rapporto immediato con la cosa, che si concretizza in quella facolt (agere iicere in re) di sfruttamento ed utilizzazione del fondo, con divieto di ingerenza per tutti, locatore e terzi, che la moderna dottrina distingue sia dai rapporti reali che dai rapporti di mero credito. Ed infatti, nemmeno il proprietario, prima della separazione, ha un diritto sui frutti e dopo la separazione essi diventano oggetto autonomo di propriet della persona che in quel momento ha il godimento della cosa madre, per cui l'interesse del conduttore si realizza, dopo la consegna della cosa, con l'obbligo del locatore di lasciar godere e cio con una mera astensione, analoga a quella che si riscontra in un qualsiasi diritto reale. Ci spiega, ad avviso della Corte, la portata e il significato dell'art. 27 sopra citato, che, menzionando i conduttori fra coloro che possono far valere proprie ragioni nella stima dell'indennit di esproprio, ha dimostrato di tener conto della particolare natura del rapporto di affitto, e del fatto che con l'espropriazione del fondo viene a risolversi sia il diritto di propriet che ogni altro ius in 1e, per cui questi diritti si trasferiscono sull'indennit, che, rappresentando il fondo, rappresenta anche i particolari diritti spettanti su di esso ai terzi. accettando, come nella specie, l'indennizzo per conto dell'affittuario, assume, pertanto, l'obbligo di cederlo a lui; v. anche, in senso conforme, Cass., 19 gennaio 1948, n. 70, Giur. compl. Cass. civ., 1948, I quadr., 186. Quanto all'indennizzo ex art. 46 1. org. espr. p. u., Cass., 17 luglio 1953, n. 2352, Foro it., 1954, I, 1217, con nota redazionale, afferma (1218, nella motivazione riportata in nota) che: il conduttore... che dall'esecuzione dell'opera pubblica abbia avuto una ripercussione economica nel suo patrimonio potr agire nei confronti del propxietario dell'immobile per far sciogliere o far apportare modifiche al rapporto che lo lega al locatore, che pu anche non essere il proprietario, ma non legittimato in alcun caso ad esperire azione contro la P.A., tanto meno in luogo del proprietario. A conferma della quale conclusione sta proprio il disposto del secondo comma dell'art. 27 della legge in discorso, giacch, con lo stabilire che gli usufruttuari, i conduttori, i proprietari diretti ed altri a cui spettasse qualche diritto sugli stabili (da espropriare) sono fatti indenni dagli stessi proprietari ,-.: o possono esperire le loro ragioni nel modo indicato dagli artt. 52, 53, 54, 55 e 56, vale a dire possono far valere tale diritto sulla indennit, il legislatore ha inteso scolpire ed ha scolpito che nessuna pretesa autonoma ' PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 123 In questo senso, pu a ragione ammettersi la concorrenza del diritto del proprietario sulla cosa con quello dell'affittuario e la legittimazione di quest'ultimo a proporre opposizione avverso la determinazione dell'indennit, in ordine al valore dei frutti pendenti, esistenti sul terreno espropriato. N vale opporre, al riguardo, che, per il combinato disposto dell'art. 27 e dell'art. 52 della legge, i soggetti legittimati all'impugnazione della stima sarebbero soltanto i titolari delle azioni di revindica, di usufrutto, di ipoteca, di diretto dominio e cio di diritti di natura reale. Ben vero che, nel menzionare i conduttori fra i legittimati all'impugnazione, l'art. 27 stabilisce che essi possono esperire le loro ragioni nel modo indicato dai successivi artt. 52, 5'3, 54, 55 e 56, ma l'art. 52 si limita a stabilire che le azioni di rivendicazione, di usufrutto, di ipoteca, di diretto dominio e tutte le altre esperibili su fondi soggetti ad espropriazione non possono interrompere il corso di essa, n impedirne gli effetti. Quest'ultima norma, pertanto, regola soltanto gli effetti della espropriazione riguardo ai terzi, ma non disconosce il diritto autonomo di impugnativa sancito dall'art. 27 a favore dei conduttori, i quali possono per il soddisfacimento delle loro spettanze, a loro volta, o rivolgersi al proprietario del terreno espropriato, oppure proporre opposizione alla stima nei modi e nei termini stabiliti dalle disposizioni citate. Ovvia si presenta, quindi, la conclusione che ogni conduttore, in quanto titolare del diritto di godimento del fondo e non di una mera aspettativa nei confronti del locatore, legittimato a proporre opposizione giudiziale avverso la determinazione dell'indennit. (Omissis). possa il conduttore sperimentare direttamente contro la pubblica Amministrazione, poich esso considerato terzo agli effetti della legge sulle espropriazioni per causa di pubblica utilit e terzo da considerarsi anche ai fini della risarcibilit del danno permanente risentito dal fondo e che sia conseguenza diretta ed immediata dell'esecuzione o della manutenzione di un''Opera pubblica. Secondo Cass., 26 maggio 1964, n. 1295, Foro Amm., 1964, I, 410, in part. 411: controverso se il conduttore abbia facolt autonoma d'impugnativa nei confronti dell'espropriante dell'indennit offerta al proprietario locatore per i frutti pendenti, sembrando che tale facolt competa al conduttore solo per i diritti che abbiano contenuto analogo ai diritti reali, come le migliorie . opportuno, infine, avvertire che, secondo Cons. Stato, iSez. V, 20 maggio 1950, n. 623, Giur. compl. Cass. civ., 1950, III quadr., 789: ammissibile il ricorso giurisdizionale avverso il decreto di espropriazione di un immobile anche da parte dei titolari di un diritto di natura personale sul bene colpito dal provvedimento autoritativo : contra: ARDIZZONE, Questioni in tema di espropriazione per p. u., ivi, 791. Sulla questione dei diritti del conduttore sull'indennit di espropriazione v., in dottrina, RossANO, L'espropriazione per p. u., Torino, 1964, 302 e seg.; CARUGNO, L'espropriazione per p. u., Milano, 1958, 196 e seg. 124 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 14 febbraio 1966, n. 440 -Pres. Stella Richter -Est. D'Amico -P. M. Caccioppoli (conf.) -Impresa De Liguoro (avv.ti D'Elia, Ingrosso, Nicol) c. Ministeri Tesoro e Difesa Esercito( avv. Stato Terranova). Contratti di guerra -Ritardo nella liquidazione e nel pagamento di somme dovute dalla P. A. -Azione di risarcimento danni -Svalutazione monetaria -Irrilevanza. (d. Ig. 25 marzo 1948, n. 674, art. 5). Amministrazione dello Stato e degli enti pubblici -Potest discrezionale della P. A. di sospendere durante lo stato di guerra l'esecuzione di opere in corso -Mancato o difettoso esercizio -Lesione diritti subiettivi -Insussistenza -Azione giudiziaria risarcitoria -Improponibilit. (I. 28 novembre 1940, n. 1772, art. 1). Atti amministrativi -Atti interni -Circolari -Differenza rispetto ai regolamenti. Responsabilit civile -Rapporto di causalit tra azione ed evento dan I noso -Principio contenuto nell'art. 41, cpv., c. p. -Si applica anche I I' nel campo della responsabilit civile. ~ (c. c., art. 2043; c. p., art. 41, cpv.). "' I' A norma deH'mt. 5 d. lg. 25 marzo 1948, n. 674, esclusa la proponibilit di qualsiasi domanda risarcitoria, fondata sul ritardo deHa P. A. nena liquidazione di contratti di guerra (1). ~ L'art. 1 i. 28 novembre 1940, n. 1772 dispone che durante lo ~ stato di guerra in facolt dell'Amministrazione statale sospendere l'esecuzione di opere in corso. Si tratta, pertanto, di una tipica facolt discrezionale deHa P. A., il mancafo o difettoso esercizio della quale non I d luogo a lesione di diritti subiettivi e, quindi, ad azione di risarcimento danni (2). II A differenza dei regolamenti, i quali dettano norme anche per i terzi estranei aHa P. A., le circolari regolano soltanto il comportamento (1) Sulla nozione di contratto di guerra non ancora definito e sull~ relativa liquidazione v. Relazione dell'Avvocatura dello Stato per gli anni 1956-1960, voi. III, Roma, 1961, 118 e segg.; v. anche Cass., Sez. Un., 28 dicembre 1957, n. 4771, I!'oro it., Mass., 1957, 966; sui rimedi giurisdizionali avverso i provvedimenti del Commissario liquidatore v. Cass., Sez. Un., 24 luglio 1964, n. 2031, in questa Rassegna, 1964, I, 1038 ed ivi nota (1-2) di ulteriori riferimenti. I (2) In argomento, v. Relazione dell'Avvocatura dello Stato per gli anni < 1956-1960, voi. II, Roma, 1961, 93 e segg.; v. anche Cass., Sez. Un., 29 i aprile 1964, n. 1039, in questa Rassegna, 1964, I, 712, sub l; 25 luglio 1964, n. 2064, ibidem, 861, sub 1-2; 7 aprile 1965, n. 593, id., 1965, I, 308, sub 2; 12 aprile 1965, n. 657, ibidem, 318. I ~ PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 125 degli uffici dipendenti, con la conseguenza che, mentre i regolamenti emanati in conformit della legge determinano il sorgere di diritti soggettivi del privato verso la P. A., ci non avviene per le circolari, spiegando esse efficacia obbligatoria solo rispetto ai funzionari gerarchicamente dipendenti dall'ufficio che le ha emanate, cosicch non dato al privato di agire in via giudiziaria per la violazione di un suo preteso diritto in seguito alla disapplicazione di una circolare (3). Il principio contenuto nell'art. 41, cpv., c. p., secondo il quale le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalit, quando sono state da sole sufficienti a determinare l'evento, applicabile anche nel campo della responsabilit civile (4). (Omissis). , Col primo mezzo del ricorso principale il De Liguoro denuncia la violazione degli artt. 1218, 12,23, 1224, 1176, 1372 e segg., 2729 e.e. e dell'art. 5 del d.1. 25 marzo 1948, n. 674, nonch il difetto di motivazione, e sostiene che la Corte di Appello ha errato nel negargli il diritto alla rivalutazione delle somme, dovutegli, per la revisione dei prezzi, l'importo delle riserve e la rata di saldo, in conseguenza della svalutazione monetaria postbellica; precisa al riguardo che erano state da lui poste in evidenza le molteplici vilazioni contrattuali commesse dall'Amministrazione della Difesa (l'erroneit del progetto, con il conseguente ritardo nella consegna dei lavori, l'illegittimo diniego di recesso dal contratto, l'imposizione dell'esecuzione di imperio dei lavori fuori dei limiti di legge, l'ingiustificato diniego della revisione dei prezzi nel corso dell'appalto, il rifiuto della sospensione dei lavori in base alla circolare ministeriale del 19 luglio 1943), cosicch nella specie non si trattava di ritardo nell'adempimento di un'obbligazione pecuniaria, ma di una tipica ipotesi di responsabilit contrattuale a norma dell'art. 1218 e.e.: era sorta cosi un'obbligazione di risarcimento costituente un indubbio debito di valore, con la conseguente inapplicabilit degli articoli 1224, comma 20, e.e. e 5 del decreto legislativo n. 674 del 1948 e l'applicabilit invece dell'art. 1218 e.e. La censura deve essere disattesa. Il ricorrente infatti, come risulta chiaramente dalla sentenza impugnata, in base agli esaminati atti del processo, non ha chiesto il risarcimento del danno derivante dalle inadempienze come sopra addotte, ma la rivalutazione di una somma determinata di danaro (L. 13.526.375), costituita da specifici titoli di credito (revisione dei prezzi, riserve varie e quota saldo), adducendo i com (3) Cfr. Cass., 12 luglio 1963, n. 1884, Foro it., Rep., 1964, voce Atto amministrativo, c. 195, n. 39. In dottrina, sulle circolari e sui regolamenti interni, v. SILVESTRI, L'attivit interna della Pubblica Amministrazione, Milano, 1950, 234 e segg. (4) Cfr. Cass., 5 ottobre 1964, n. 2499, Giur. it., 1965, I, 1, 200 ed ivi nota (sub 1) di riferimenti di ulteriore giurisprudenza e di dottrina, cui adde: Cass., 26 luglio 1952, n. 2341, Foro it., 1952, I, 833 e, per la dottrina, BoNASI-BENUCCI, La res1.10nsabilit civile, Milano, 1955, 95 e segg. I i Ii t ! l 126 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO portamenti antigiuridici dell'Amministrazione della Difesa solo come cause del ritardo nella liquidazione e nel pagamento della somma pre detta. t lt nto N vale addurre che nella svalutazione mone aria s1. er~ so a inteso indicare il criterio di liquidazione del dann?, cos~cche .i;on ne poteva risultare snaturata l'azione promossa, da qua~ificars~ perc10. cor_ne azione di risarcimento per colpe contrattuali, poic~ 1~ver ~iferito l'incidenza della svalutazione a ben determinate partite di credito sta sicuramente a significare, come in modo c~iaro ri.sulta .dalla senten~a mpugnata che in tanto si chiedeva la rivalutaz10ne, m quanto: sia ~ure a cau'.sa dei fatti attribuiti all'Amministrazione, si era determinato un ritardo nella liquidazione e nell'esazione delle somme predette. Ma, se cos, si rientra indubbiamente nella previsione dell'~rt.. 5 del de: creto legislativo n. 67 4 del 1948, secondo cui, nei c~ntr.atti.di g.uerra, e esclusa qualsiasi pretesa fondata sul ritardo nella hqmda~ione. co~ l~ detta norma eccezionale si voluto infatti negare, per i contratti di guerra, ogni rilevanza giuridica ai mutamenti intervenuti, a causa del ritardo, nel rapporto tra valore e valuta. . . , Col secondo e col terzo mezzo del ricorso principale, che. e opp?rtuno esaminare congiuntamente per l'identit delle censure di maggior rilievo il De Liguoro, denunciando la violazione degli artt. 1218, 1221, 122.3, i225, 1176, 2043 e.e. e il difetto di motivazione,. s.o~tiene, quanto al chiesto e negato risarcimento del danno per la reqmsiz~o?e ~ la conseguente distruzione del cantiere ad opera delle forze militari, alleate, che la Corte di Appello non si occupata in alcun ~~do d~ll addo~t.o diniego di sospensione dei lavori da parte dell'~m~imst~azione ~ulltare a fine luglio 1943, nonostante le ripetute richieste di. esso ricorrente e l'evidente ordine di sospensione contenuto nella circolare del Ministero della Guerra 19 luglio 1943, essendosi limita~a a te~er conto soltanto della circostanza del ritardo nella consegna dei ~avori: I.a co~siderazione e l'accertamento del predetto diniego erano mvece di. d.e~i: siva rilevanza ai fini della pronuncia, poich il giudizio di prev~dibihta del danno non doveva riferirsi, come ha fatto la Corte, al mag~~o ~9.41, tempo della conclusione del contratto, ma al luglio 1943, ben pm vicmo all'invasione e alla requisizione del cantiere da parte delle trupp~ alleate, ed ugualmente, per apprezzare l'esistenza o meno del nes70 d1 causalit, bisognava tener conto del predetto compor.tamento, dell A~,ministrazione della Difesa nel luglio 1943; assume moltre 1erroneita dell'interpretazione data dalla Corte di Appello agli artt. 1223 e.e. e 41 c.p., poich il nesso causale fra il fatto illecito e l'evento ~annoso pu essere anche indiretto e mediato, come avviene, q~ando il fatto commissivo od omissivo abbia posto in essere uno stato di cose tale che senza di esso il danno non si sarebbe verificato. Le dette censure devono essere parimenti disattese. i: esatto che la Corte non ha esaminato l'addotto comportamento dell'Amministrazione della Difesa nel luglio 1943, ma la relativ.a i.n~agine di fatto da ritenere inutile, non avendo alcuna rilevanza giuridica ai fini della decisione. 11&rtl1YM1I1-tl'11mrwt10~11.u11:111~ - PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 127 L'art. 1 della legge 28 novembre 1940, n. 1772 dispone che, durante lo stato di guerra, Ǐ in facolt dell'Amministrazione statale sospendere l'esecuzione di opere in corso. Si tratta pertanto di una tipica facolt discrezionale della pubblica amministrazione (questione posta dall'Avvocatura dello Stato nelle comparse di risposta di primo grado e di appello 20 settembre 1958 e 19 gennaio 1960 e ripetuta nello stesso controricorso), il cui mancato o difettoso esercizio non pu creare diritti soggettivi, per la cui lesione soltanto ammessa l'azione giudiziaria. N si dica che nella specie l'ordine di sospensione era stato disposto con la circolare 19 luglio 1943 del Ministero della Guerra e che alla circolare fu data esecuzione, dal direttore dei lavori, per erronea interpretazione della circolare stessa, per di pi con ordine verbale e non scritto, soltanto a fine agosto 1943, poich le circolari, a differenza dei regolamenti, i quali dettano norme anche per i terzi estranei alla pubblica amministrazione, regolano soltanto il comportamento degli uffici dipendenti, con la conseguenza che i regolamenti emanati in conformit delle leggi determinano il sorgere di diritti soggettivi, che il privato pu vantare nei confronti della pubblica amministrazione, mentre ad esso non consentito di esercitare l'azione giudiziaria per violazione di un suo preteso diritto, in conseguenza della disapplicazione di una circolare, che spiega la sua efficacia obbligatoria solo rispetto ai funzionari gerarchicamente dipendenti dall'ufficio che l'ha emanata. Pertanto, essendo irrilevante la situazione di fatto come sopra dedotta dal ricorrente, con la conseguente inutilit del suo accertamento in sede di merito, il comportamento dell'Amministrazione della Difesa nel luglio 1943 non pu essere tenuto presente, n ai fini del giudizio sulla prevedibilit del danno (che peraltro la disposizione dell'art. 1225 e.e. riferisce al tempo in cui sorta l'obbligazione), n ai fini dell'accertamento del nesso di causalit tra fatto ingiusto ed evento dannoso. Invano ha opposto il ricorrente, nelle osservazioni scritte di replica alle conclusioni del Pubblico Ministero, che nella specie non si tratterebbe di accertare se il diritto alla sospensione sorgeva dalla circolare, ma piuttosto di valutare se, in base al contratto, l'appaltatore aveva il diritto di chiedere la sospensione dell'esecuzione dei lavori e l'Amministrazione l'obbligo di aderire a tale richiesta. Invero, dalla stessa esposizione dei fatti contenuta negli scritti difensivi del ricorrente in sede di merito e ripetuta nel ricorso con riferimento anche al contenuto della circolare, diramata dopo l'invasione del territorio nazionale in considerazione della nuova situazione politica e militare, risulta che la circolare stessa fu emanata in applicazione del potere discrezionale previsto dall'art. 1 della richiamata legge n. 1772 del 1940, che concerne la sospensione, durante lo stato di guerra, di qualsiasi opera in corso. Ne risulta perci anche confermata l'inutilit del rinvio, poich le considerazioni in diritto sopraesposte conseguono alla situazione di fatto cosi come stata prospettata dallo stesso ricorrente. E poich questi considera l'evento, consistito nella requisizione e nella distruzione del cantiere, come effetto non solo del ritardo nella consegna dei lavori, ma anche della mancata sospensione di essi nel Il RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO luglio 1943, particolarmente insistendo in quest'ultimo comportamento dell'Amministrazione, ovvio che, dovendosi escludere il comportamento stesso dal nesso causale, per le ragioni gi esposte, non pu avere alcuna rilevanza la critica rivolta al criterio, che la Corte ha ritenuto di dover seguire, quanto al problema che riguarda il significato e la portata da attribuire al nesso di causalit, come uno degli elementi indispensabili per l'affermazione della responsabilit da illecito. Va tuttavia rilevato che il principio giurisprudenziale richiamato dal ricorrente (da ultimo Cass., 9 luglio 1960, n. 1843), secondo cui il nesso causale fra il fatto illecito e l'evento dannoso pu essere non soltanto immediato e diretto, ma anche indiretto e mediato, ci che si verifica quando il fatto commissivo od omissivo, pur non producendo di per s quel determinato evento, tuttavia abbia posto in essere uno stato di cose tale che senza di esso il danno non si sarebbe prodotto, non pu giovare nella specie a conferire fondamento alla censura, poich la Corte di Appello, con apprezzamento di fatto incensurabile in questa sede, ha I considerato la requisizione e la distruzione del cantiere come fatto autonomo e causa sopravvenuta, che ha interrotto il rapporto di causa I lit, secondo il principio contenuto nell'art. 41, cpv., c.p., applicabile anche in tema di responsabilit civile ed ha considerato il fatto remoto I della ritardata consegna dei lavori come un semplice antecedente materiale, inidoneo a produrre l'evento dannoso finale. I In conseguenza del rigetto del secondo e del terzo mezzo del ricorso . principale, va dichiarato assorbito il primo mezzo del ricorso inciden' tale condizionato, con cui sotto altro profilo, non accolto dalla Corte I ~ (acquiescenza dell'appaltatore al provvedimento con cui l'Amministra. zione aveva ordinato l'inizio dei lavori), si sostiene l'infondatezza della ' pretesa a conseguire il danno per la perdita del cantiere. , ~ Passando ad esaminare il quarto mezzo del ricorso principale ed il secondo mezzo del ricorso incidentale condizionato, che concernono la pronuncia su un medesimo capo di domanda, da osservare che il Tribunale aveva negato al De Liguoro le maggiori aliquote previste II dagli artt. 1 e 2 della legge 2'5 novembre 1940, n. 1772, perch non era stato redatto un regolare verbale scritto di sospensione e perch il De Liguoro non aveva chiesto la risoluzione del contratto. La Corte di Appello conferm la sentenza di primo grado sotto il profilo della mancata istanza di risoluzione, attribuendo per effetto all'ordine verbale di sospensione, poich la redazione scritta del verbale stesso era stata I ~ resa impossibile dagli avvenimenti politici e militari sopravvenuti. Ora, col quarto mezzo del ricorso principale, il De Liguoro, denunciando la violazione degli artt. 1 e 2 della legge predetta e il difetto di motivazione, sostiene che la Corte, una volta che aveva escluso la necessit dell'atto scritto per il verbale di sospensione dei lavori, doveva ritenere ormai cessato ogni rapporto, essendo divenuta impossibile la. prosecuzione dell'opera per l'intervenuto armistizio dell'S. settembre 1943 e per l'occupazione della zona da parte degli alleati. Da parte sua l'Amministrazione del Tesoro, denunciando la violazione delle stesse disposizioni di legge e il difetto di motivazione, sostiene col secondo PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 129 mezzo del ricorso incidentale che la Corte di Appello non poteva escludere la necessit dell'ordine scritto di sospensione dei lavori. Il predetto mezzo del ricorso incidentale deve essere respinto, mentre deve essere accolto il quarto mezzo del ricorso principale. Invero, l'avere ammesso che all'affrettato ordine verbale di sospensione dei lavori disposto a fine agosto 1943 non era potuta seguire da parte dell'Amministrazione la semplice formalit della redazione per iscritto, a causa degli immediati gravi avvenimenti politici e militari, apprezzamento di fatto dei giudici di merito, incensurabile in questa sede. Senonch, e per tale ragione, il quarto mezzo del ricorso principale appare fondato, poich chiaro che la Corte, una volta che aveva dato rilievo, quanto al verbale di sospensione, ai predetti avvenimenti (armistizio dell'8 settembre 1943 e occupazione dell'Italia Meridionale da parte degli alleati), non poteva esimersi dall'esaminare se ormai una richiesta di risoluzione del contratto da parte del De Liguoro si fosse ridotta ad una mera formalit e se, a causa dei predetti avvenimenti, che avevano reso del tutto inutile la prosecuzione dei lavori, il rapporto non dovesse ritenersi definitivamente troncato. (Omissis). TRIBUNALE DI ROMA, Sez. I civ., ordinanza 30 dicembre 1965 - Pres. ed Est. Elia -Gaetani Lovatelli (avv. Bracci) c. Presidenza Consiglio dei Ministri (avv. Stato Pentinaca). Nobilt -Cognomizzazione dei predicati nobiliari di titoli esistenti prima del 28 ottobre 1922 -Riconoscimento incidenter tantum di tali titoli dopo l'entrata in vigore della Costituzione Repubbli cana -Necessit di applicazione delle norme araldiche -Incompa tibilit delle norme araldiche con l'art. 3 e con la disp. trans. XIV della Costituzione -Non manifesta infondatezza della questione. (Cost., art. 3, disp. trans. XIV; r. d. 11 dicembre 1887, n. 1550; r. d. 2 luglio 1896, n. 313; r. d. 5 luglio 1896, n. 314; r. d. 23 marzo 1924, n. 442; r. d. 23 dicembre 1924, n. 2337; 1. 17 aprile 1925, n. 473; r. d. 16 agosto 1926, n. 1489; r. d. 21 gennaio 1929, n. 61; r. d. 7 giugno 1943, n. 651). Non manifestamente infondata e, pertanto, siccome altresi rilevante, va rimessa alla decisione della Corte Costituzionale la questione di legittimit costituzionale delle norme dell'ordinamento araldico, anteriori e successive al 28 ottobre 1922, in rapporto con l'art. 3 e con la disp. trans. XIV della Costituzione, sollevata nel corso di un giudizio, in cui si chieda in via contenziosa ed in contraddittorio con lo stesso Ufficio stralcio della Consulta Araldica la cognomizzazione del predicato di un titolo nobiliare, esistente prima del 28 ottobre 1922 e non ancora riconosciuto all'atto dell'entrata in vigore della Costituzione (1). (1) Significativa importanza riveste l'ordinanza del Tribunale di Roma, in rassegna, dopo le sentenze della Corte di Cassazione nn. 986 e 987, in data 20 maggio 1965, a Sezioni Unite (v. in questa Rassegna, 1965, I, 516 130 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (Omissis). Il Collegio osserva che la XIV disposizione transitoria della Costituzione, riconoscendo il diritto al predicato, per gli insigniti di titoli nobiliari esistenti prima del 28 ottobre 1922, stabilisce che, dall'entrata in vigore della Carta Costituzionale, i titoli nobiliari non sono riconosciuti e la legge regola la soppressione della Consulta Araldica. Fu ritenuto in alcuni giudicati di merito che il diritto al predicato spettasse solo agli insigniti di titoli riconosciuti prima del 28 ottobre 1922: ci sia per la natura transitoria della disposizione XIV, sia per il carattere meramente giuridico, non biologico, dei titoli nobiliari (che vengono ad esistenza solo mediante un atto formale) e sia in considerazione del fatto che la stessa disposizione costituzionale prevedeva la soppressione della Consulta Araldica, cio dell'organo statale preposto alle indagini necessarie per poter riconoscere i titoli araldici. e segg., con nota critica redazionale) e n. 3189, in data 18 dicembre 1963, a Sezione semplice (in questa Rassegna, 1964, I, 294 e segg., con nota critica di F. CARUSI). Qui si pubblicano, per estratto dalla memoria dell'avv. V. Pentinaca, le infrascritte: 1. DEDUZIONI PER LA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI NEL GIUDIZIO DI LEGITTIMIT COSTITUZIONALE DELLE NORME DELL'ORDINAMENTO ARALDICO ANTERIORI E SUCCESSIVE AL 28 OTTOBRE 1922 IN RELAZIONE ALL'ART. 3 ED ALLA DISP. TRANS. XIV DELLA COSTITUZIONE. (Omissis). -Le sopraspecificate norme, della cui legittimit costituzionale si discute, costituiscono il complesso di norme, emanate, dopo l'unificazione del Regno d'Italia, in attuazione degli artt. 79 ed 80 dello Statuto del Regno, i quali stabilivano: art. 79. -I titoli di nobilt sono mantenuti a coloro che vi hanno diritto. Il Re pu conferirne dei nuovi. airt. 80. -Niuno pu ricevere decorazioni, titoli di nobilt e pensioni da una potenza straniera, senza l'autorizzazione del Re. Non sembra, quindi, menomamente dubbia l'esistenza del denunciato contrasto costituzionale tra esse e la vigente Costituzione della Repubblica italiana, la quale stabilisce invece: art. 3. -Tutti i cittadini hanno pari dignit sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. XIV Disp. trans. e finale. -I titoli. nobiliari non sono riconosciuti. Le norme denunciate costituiscono il cosiddetto ordinamento araldico e vanno dal primo atto emanato in materia -il r.d. 10 ottobre 1869, n. 5318/II, istitutivo della Consulta Araldica (che suscit l'ode del Carducci intitolata appunto Consulta araldica ) -agli ultimi -i rr.dd. 7 giugno 1943, nn. 651 e 652 sull'Ordinamento dello Stato Nobiliare Italiano e Regolamento per la Consulta Araldica del Regno. Le attuali raccolte di legislazione non le riportano, ritenendole praticamente non pi in vigore con la Costituzione repubblicana (v. Repertorio Lex, alla voce Araldica ., o Raccolta generale di legislazione, ed. Giuffr, alla voce Nobilt ), ma evidente come non trattasi di un problema di abrogazione tacita od implicita, bens di tipica legittimit costituzionale (Corte Costituzionale, 14 giugno 1956, n. 1 e 16 gennaio 1957, n. 3). PARTE I, SEZ, III, GIURISPRUDENZA CIVILE 131 Peraltro, la Corte di Cassazione ha, invece, rilevato che, potendo il giudice accertare se l'insignito avesse, prima del 28 ottobre 1922., diritto al titolo, indipendentemente da un riconoscimento anteriore a tale data, il predicato compete anche agli insigniti di titoli anteriori al 28 ottobre 1922, ancorch non riconosciuti. Osserva che, per accertare l'esistenza di un titolo non riconosciuto, peraltro necessario applicare le leggi araldiche anteriori al vigente ordinamento costituzionale e sorge anche questione se siano applicabili le leggi araldiche emanate prima della Costituzione, ma dopo il 28 ottobre 1922. Fra queste ultime, alcune norme condizionano lo stesso diritto al titolo al previo riconoscimento, in termini stabiliti, attualmente decorsi, ed escludono la trasmissibilit in linea femminile. Sorge, infine, questione sulla permanenza, o meno, del diritto alla iscrizione del titolo in taluni pubblici registri e sulle modalit, Correttamente, pertanto, il Tribunale di Roma ha deferito la questione a codesta Ecc.ma Corte Costituzionale, quale suo giudice naturale . Le norme in esame sono esattamente le seguenti e passono distinguersi -secondo l'osservazione formulata nella motivazione dell'ordinanza di rimessione al giudizio della Corte Costituzionale -in due periodi: quello anteriore e quello successiV'O al 28 ottobre 1922. Appartengono al primo: -il r.d. 10 ottobre 1869, n. 5318/II, istitutivo della Consulta Araldica per dare parere al Governo in materia di titoli gentilizi, stemmi ed altre pubbliche onorificenze : alla Consulta veniva altres affidato il censimento della nobilt e la tenuta dei registri araldici; -il r.d. 8 maggio 1870, senza numero, costituente il regolamento del precedente e nel quale furono per la prima volta indicati i titoli gentilizi ammessi nel Regno in base alla tradizione degli antichi Stati preesistenti all'unificazione: principe, duca, marchese, conte, barone, nobile, cavaiiere e patrizio, ed eccezionalmente visconte; -il r.d. 11 dicembre 1887, n. 5138/III, che modificava il numero dei consultori, ne affidava la presidenza al Ministro dell'Interno, istituiva un comitato ristretto interno, denominato Giunta Araldica; -il r.d. 7 aprile 1889, n. 6093, che trasferiva i servizi araldici alla Presidenza del Consiglio dei Ministri; -il r.d. 23 luglio 1889, senza numero, riguardante le iscrizioni di ufficio nei registri della Consulta Araldica; -il r.d. 2 luglio 1896, n. 313, che creava nella Consulta Araldica i consultori onorari e ritrasferiva al Ministero dell'Interno le attribuzioni in materia; -il r.d. 5 luglio 1896, n. 314, che approvava le nuove norme regola mentari. AppartengQno al secondo periodo: -il r.d. 11 febbraio 1923, n. 325, che trasferiva nuovamente al Pre sidente del Consiglio dei Ministri ed agli uffici della Presidenza le attri buzioni in materia; -il r.d. 24 gennaio 1924, n. 95, relativo alla composizione della Con sulta araldica; -i dd.ll. 20 marzo 1924, n. 442 e 28 dicembre 1924, n. 2337, conte nenti norme per disciplinare l'uso dei titoli ed attributi nobiliari, allo scopo di "impedire e reprimere gli abusi; -i rr.dd. 16 agosto 1926, n. 1489 e 16 giugno 1927, n. 1021, con cui fu dato avvio al riordino della materia; -il fondamentale r.d. 21 gennaio 1929, n. 61, il quale: abrog le antiche leggi, disposizioni e consuetudini, che, con norme diverse nei diversi 132 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO permanenti, dopo la Costituzione, per l'esercizio di tale eventuale diritto. Anche per tali questioni necessario ricorrere alla legislazione araldica anteriore alla Costituzione e cio stabilire quali norme anteriori alla Carta Costituzionale siano tuttora applicabili ed inoltre, se possano o meno applicarsi le norme successive al 28 ottobre 1922, essendo tale data richiamata, espressamente, dalla stessa disposizione costituzionale XIV. Osserva che l'Avvocatura dello Stato, con conclusioni cui ha aderito il P.M., ha dedotto che le norme araldiche anteriori alla Costituzione non possono applicarsi, per incompatibilit con l'art. 3 della Carta Costituzionale. L'incompatibilit delle norme araldiche, aventi natura di leggi ordinarie, con la norma costituzionale si risolve in una illegittimit della legge ordinaria, subordinata al rispetto della norma costituzionale: il grado e l'efficacia diversa delle due norme non fanno Stati prima dell'unificazione politica, regolavano la concessione, il riconoscimento, la successione, l'uso e la perdita dei titoli e delle distinzioni nobiliari; abrog tutti gli anteriori decreti e tutte le disposizioni contrarie al presente ordinamento dello stato nobiliare italiano ; lasci salvi i dianzi citati dd.ll. relativi alla repressione degli abusi; approv il nuovo Ordinamento formulato in 134 articoli; -i rr.dd. 14 febbraio 1930, n. 101, 10 luglio 1930, n. 974, 9 ottobre 1930, n. 1405, contenenti modificazioni al precitato ordinamento; -infine i definitivi trr.dd. 7 giugno 1943, nn. 651 e 652, che riordinarono nuovamente l'intera materia, abrogarono ogni norma precedente (adeccezione, sempre, dei dd.ll. del 1924 relativi agli abusi) ed approvarono il nuovo Ordinamento dello Stato Nobiliare Italiano, formulato in 74 articoli, nonch il Regolamento della Consulta Araldica, formulato in 128 articoli. Ora, per quanto anacronistico possa sembrare l'insorgere di un pro blema di applicazione attuale della suddetta legislazione di tipica prerogativa regia e di specifica quanto testuale attuazione dei soprariportati artt. 79 e 80 dello Statuto del Regno, evidente l'inconciliabilit e l'assoluto contrasto dell'intera legislazione stessa con gli opposti, soprariportati art. 3 e Disp. XIV della Costituzione della Repubblica, la quale -come risulta anche dai lavori preparatori dell'Assemblea Costituente -volle definitivamente liquidare la materia nobiliare, negandole ogni rilevanza giuridica nel nuovo ordinamento dello Stato. Conseguentemente, tutti gli atti legislativi denunciati sono da dichiararsi incostituzionali, nel loro intero complesso, a norma dell'art. 27 della 1. 11 marzo 1953, n. 87. Si obbietta che, per, la XIV Disp. trans. della Costituzione, dopo aver affermato che i titoli nobiliari non sono riconosciuti., ha affermato, nel secondo comma, che i predicati di quelli esistenti prima del' 28 ottobre 1922 valgono come parte del nome: dal che si pretenderebbe far derivare la piena legittimit costituzionale e la legale applicabilit attuale della predetta legislazione araldica. Ma evidente l'erroneit dell'assunto, sol che si considerino: la lettera e la ratio della norma; la sua limitata natura di eccezione al principio sancito nel primo comma; il suo mero carattere transitorio; la sua ridotta portata, quale illustrata dai lavori preparatori dell'Assemblea Costituente; le assurde e paradossali conseguenze del contrario assunto. Con la norma de qua la Costituzione repubblicana, nel cancellare conformemente al principio dell'art. 3 -ogni distinzione nobiliare, ha semplicemente voluto far salvi, agli ex insigniti di quelle soppresse distin ~ I .:.. fil I,'. ~ 1;=.. PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 133 sorgere, in ipotesi di contrasto fra loro, un problema di abrogazione, ma, invece, generano una questione di legittimit costituzionale, devoluta, ove rilevante e non manifestamente infondata, alla competenza della Corte Costituzionale. Tale questione, appunto, sorge, per effetto delle deduzioni svolte dall'Avvocatura dello Stato e fatte proprie del P. M. La questione ha indubbia rilevanza nella causa, per poter stabilire quali norme araldiche, dell'ordinamento anteriore, siano da applicarsi e quali, invece, siano da ritenersi illegittime, per inconciliabilit con l'art. 3 della Costituzione e, conseguentemente, per poter stabilire, dal punto di vista sostanziale, il contenuto attuale dei diritti delle parti e, dal punto di vista formale, i limiti del potere del giudice. L'Avvocatura ha osservato che, in ipotesi di affermazione del diritto al predicato relativo ad un titolo non riconosciuto (che, si sostiene, solo la prerogativa regia e, comunque, solo il potere ammini zioni, il diritto, proprio di ogni cittadino, alla conservazione ed alla tutela del proprio nome. A prescindere da quale potesse essere la procedura pi adatta allo scopo -(a noi, invero, sempre parsa quella prevista dalla 1. 9 luglio 1939, n. 1238 sull'ordinamento dello stato civile, artt. 153 e segg., dacch non si comprende perch le eventuali ag,giunte di cognomi, per motivi, diciamo cos, nobiliari, dovessero trattarsi diversamente da quelle consuetamente determinate da motivi affettivi o di qualsiasi altro genere) -, quindi, evidente che il cosiddetto diritto di cognomizzazione, fatto salvo dal secondo comma della XIV Disp. trans. della Costituzione, non poteva e non pu che riferirsi a coloro, il cui titolo nobiliare e conseguente predicato cognomizzabile fosse gi stato riconosciuto a recepito nell'ordinamento giuridico vigente alla data dell'entrata in vigore della Costituzione (ed anzi, pi esattamente, alla data del 28 ottobre 1922, espressamente indicata dalla Disposizione), ma non gi, assurdamente, a coloro, le cui pretese nobiliari intendessero -sotto il pretesto di volerne cognomizzare il sin allora sconosciuto predicato -ottenere inconcepibile, primo e nuovo riconoscimento, sotto il vigore della Costituzione repubblicana. Diversamente opinando, si attribuirebbe al detto secondo comma della XIV Disp. trans. l'effetto: a) di porre nel nulla il primo comma (dacch si consentirebbe al Magistrato, o a chi per esso, di operare, sia pur in via incidentale o indiretta, il nuovo riconoscimento di titoli nobiliari, vietato invece tassativamente, dal primo comma, ad ogni Potere dello Stato, tanto in via diretta che indiretta, cosi in via esplicita che in via implicita); b) di trasformare in permanente la norma espressamente dichiarata transitoria (dacch in ogni tempo sarebbe cosi possibile far valere, al fine di cognomizzarne i pretesi predicati, remoti e sconosciuti titoli nobiliari: la n01rma dice, infatti: i predicati di quelli... ossia dei titoli nobiliari); c) di tenere indefinitamente impegnati nelle vertenze del genere -sorprendentemente pullulanti dopo una interpretazione della Cassazione, favorevole. a quella tesi -uffici amministrativi (di cui la norma costituzionale prevedeva invece la soppressione: v. quarto comma della stessa XIV Disp.) ed uffici giudiziari (cos distolti da ben altre esigenze di giustizia); d) di far raggiungere alla Carta Costituzionale Repubblicana il paradossale effetto di consentire -in regime di abolizione di ogni status ed ordinamento nobiliari -ci che gli interessati non avevano mai raggiunto in regime di piena, ma ben rigorosa, rilevanza degli status del genere; 134 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO strativo avrebbe potuto, e non potrebbe pi, riconoscere), il giudice non si limita a dichiarare gli effetti gi esauriti delle leggi araldiche ed a conservare tali effetti, ma, invece, attribuisce alle leggi antiche nuova ed attuale efficacia, modificando la situazione giuridica e c1oe conferendo, praticamente, un sostanziale riconoscimento al titolo non ancora riconosciuto. Al riguardo, poi, vi contrasto fra le parti, se sia da applicare solo la legislazione araldica anteriore al 28 ottobre 1922, o anche la successiva e tale subordinata, senza risolvere la quale non possibile decidere il giudizio presente, involge una questione di legittimit costituzionale, quanto meno relativa alle norme araldiche successive alla data predetta. Osserva il Collegio che la questione riguarda, specificatamente, la legittimit costituzionale, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, innanzi tutto delle norme successive al 28 ottobre 1922 (e cio del r.d. 23 dicembre 1924, n. 2337, specie art. 127; del r.d. 23 marzo 1924, e) di rendere insomma -ci sia consentito il paradosso -incostituzionale... una norma della stessa Costituzione (dacch il secondo comma -che la diretta norma permissiva del diritto di cognomizzazione de quo -sarebbe, cos malamente inteso ed avulso dal primo comma, in evidente contrasto con esso e con l'art. 3. Il labile motivo che viene addotto a sostegno della contraria tesi sempre contrastata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, nelle vertenze del genere, con il pieno favore dei giudicati della Magistratura romana di merito (Trib. Roma, 30 giugno 1960, n. 2846; App. Roma, 21 maggio 1962, in Rass. Avv. Stato, 1964, I, 295), ma con l'avverso giudizio definitivo della Cassazione (20 maggio 1965, nn. 986 e 987, in Rass. Avv. Stato, 1965, I, 516) - semplicemente costituito dall'uso fatto, nel secondo comma della XIV Disp. trans., del vocabolo esistenti invece di quello pi inequivocabile riconosciuti . Ma, dopo quanto si detto, davvero palese l'inconferenza, se non pure la pretestuosit, di siffatto argomento lessicale, assolutamente incapace di sovvertire i principi e le norme della Costituzione. Anzitutto, il termine stesso esistenti non pu affatto riferirsi ad una mera esistenza fenomenica (o, come acutamente osserva l'ordinanza di rimessione, biologica ), bens ad una esistenza giuridica: tamquam non esset si dice appunto, nel campo giuridico, di ci che, pur in fatto esistendo, non ha rilevanza alcuna per l'ordinamento giuridico. Ed i titoli nobiliari, che non avessero ottenuto il debito riconoscimento -di grazia o di giustizia, da parte del Sovrano o da parte del Magistrato -non avevano appunto alcuna rilevanza giuridica secondo l'ordinamento araldico (che anzi ne perseguiva penalmente l'uso: v. i precitati dd.ll. del 1924): essi erano, cio, giuridicamente inesistenti. Anche l'accusa d'imprecisione, fatta alla parola della Costituzione, sembra quindi potersi piuttosto ritorcere sull'interprete. Peraltro, dai lavori preparatori dell'Assemblea Costituente risulta chiaro che l'Assemblea stessa, nel formulare la disposizione, non distinse affatto -n, come s' detto, v'era alcuna seria ragione per farlo -tra riconoscimento ed esistenza ., cosicch l'uso del termine esistenti non indicava affatto una volont politica e normativa di attribuire alla materia nobiliare la persistente e permanente, quanto anacronistica e contraria ai nuovi principi, rilevanza giuridica. Lo sbarazzarsi, poi, di cos autorevoli lavori preparatori della norma, affermando che le norme giuridiche, una volta legalmente emanate, vi PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 135 n. 442, specie artt. 2, 3 e 4; della legge di conversione 17 aprile 1925, n. 473; del r.d. 21 gennaio 1929, n. 61, specie art. '5'3; del r.d. 16 agosto 1926, n. 1489, specie art. 1; dell'art. 127 del citato r.d. n. 61 del 1929 e del r.d. 7 giugno 1943, n. 651, specie artt. 63, 67, 72 e 73) e inoltre, anche con riferimento alla disposizione XIV citata, delle norme anteriori alla data predetta (r.d. 11 dicembre 1887, n. 5150; r.d. 2 luglio 1896, n. 313; r.d. 5 luglio 1896, n. 314, specie artt. 1, lett. b, 25 e 42). Indipendentemente dalla eccezione di parte, la questione dovrebbe essere sollevata anche di ufficio, essendo pregiudiziale alla decisione della causa. Osserva che la questione stessa non manifestamente infondata. Invero, pur sussistendo seri dubbi, in ordine alla inapplicabilit delle disposizioni predette ed in relazione alla loro incompatibilit con lo art. 3 della Costituzione e con la citata disposizione XIV, nonch sulle tesi svolte dall'Avvocatura dello Stato, cui ha fatta adesione il P. M., non si pu, con certezza e senza esitazioni e perplessit ragionevoli, vano una vita autonoma e che i lavori preparatori hanno valore trascurabile quando da essi si desuma una volont del legislatore diversa da quella che risulta dal testo della norma., sembra errore assai grave (e, per quanto riguarda la seconda proposizione, una palese petizione di principio) al lume stesso dell'art. 12 delle Preleggi, che, nell'interpretazione della legge (ed ancor pi, dovremo dire, della Carta Costituzionale), pone sullo stesso piano la parola della norma e l'intenzione del legislatore; senza parlare, poi, di quei principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato e di quei limiti dell'ordine pubblico, che pur debbono sovraintendere all'applicazione delle norme giuridiche e che, come si visto, non possono Cer.tamente consentire, al pretesamente impreciso termine esistenti del secondo comma della norma costituzionale, l'assurdo effetto sovvertitore, che gli si pretenderebbe attribuire, riammettendo pretestuosamente con il secondo comma ci che dal primo assolutamente vietato. Spettando comunque alla Ecc.ma Corte Costituzionale -custode e garante, oltrech interprete autentica, della Costituzione repubblicana definire l'esatta portata della XIV Disp. trans., ci sembra di poter confidare nel ritenere che, per le ragioni suesposte, il mero disposto del secondo comma della Disposizione non escluda affatto il dimostrato, insanabile contrasto della intera legislazione araldica preesistente con l'art. 3 e con la completa Disposizione trans. XIV: con l'ineluttabile conseguenza della dovuta declaratoria d'incostituzionalit dell'intera legislazione stessa, senza distinzione alcuna tra quella anteriore e quella successiva al 28 ottobre 1922, tutta costituendo, essa, espressione e manifestazione degli artt. 79 e 80 dello Statuto del Regno, nonch di poteri assolutamente incompatibili con la Costituzione repubblicana. L'incostituzionalit dell'intero ordinamento araldico regio travolge pur le norme particolari di esso, in base alle quali si pretenderebbe attribuire agli Uffici della pubblica amministrazione oneri ed incombenze assolutamente esulanti dalle proprie attuali competenze, in materia priva oggi costituzionalmente di ogni rilevanza giuridica per il pubblico interesse: particolarmente quello di partecipare ai pretesi giudizi di cognomizzazione, in rappresentanza della regia prerogativa! (art. 72 dell'Ordinamento approvato con il r.d. 7 giugno 1943, n. 651) e nell'inammissibile posizione inconcepibile anche al lume dello stesso art. 100 c. p. c. -di convenuto di comodo o di parte-consulente, con relative condanne alle spese di causa! (v. Rass. Avv. Stato, in Z.c.). V. PENTINACA 136 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO escludere che il contrasto, eventuale, fra le citate norme ordinarie e il disposto costituzionale possa essere ritenuto sussistente dal giudice naturale, cio dalla Corte Costituzionale, alla quale, quindi, questo Collegio non ritiene di avere il potere di sottrarre l'esame della questione stessa. E tale perplessit ancora pi evidente, in ordine alla subordinata, attinente alla legittimit delle norme successive al 28 ottobre 1922, in relazione, anche, al testo della disposizione XIV della Carta Costituzionale. Pertanto, a sensi della legge 11 marzo 1953, n. 89, gli atti vanno rimessi alla Corte Costituzionale, mentre il presente processo deve essere sospeso, non potendosi, prima della risoluzione della questione di legittimit costituzionale, emettere nella fattispecie alcun provvedimento, sulle istanze delle parti, a detta questione strettamente collegato. P.Q.M. Il Tribunale, uditi il P. M. ed i procuratori delle parti e vista la legge 11 marzo 1953, n. 89, ordina rimettersi gli atti alla Corte Costituzionale, perch si pronunci sulla eventuale illegittimit costituzionale, per contrasto con l'art. 3 de.Ila Costituzione e con la disposizione transitoria XIV della Costituzione, delle norme del r.d. 23 dicembre 1924, n. 2337; del r.d. 23 marzo 1924, n. 442; della 1. 17 aprile 1925, n. 473; del r.d. 21 gennaio 1929, n. 61; del r.d. 16 agosto 1926, n. 1489; del r.d. 7 giugno 1943, n. 651; del r.d. 11 dicembre 1887, n. 1550; del r.d. 2 luglio 1896, n. 313 e del r.d. 5 luglio 1896, n. 314, sopra citate. Ordina sospendersi il giudizio fino alla decisione della Corte Costituzionale. Ordina che a cura della Cancelleria la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al P. M., nonch al Presidente del Consiglio dei Ministri. Ordina che la presente ordinanza sia dalla Cancelleria comunicata al Presidente del Senato ed al Presidente della Camera. (Omissis). SEZIONE QUARTA GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 3 novembre 1965, n. 674 -Pres. De Marco -Est. Granito -Garelli (avv. Bodda) c. Ministero Lavori Pubblici (avv. Stato Peronaci) e Scirocchi (avv. Barra Caracciolo). Appalti pubblici -Appalto-concorso -Perfezionamento -Scelta del progetto da parte della Commissione -Impugnativa -Esclusione Provvedimento della p. a. che rende propria la scelta o che approva il contratto di appalto -Impugnativa -Ammissibilit. (R. d. 18 novembre 1923, n. 2440, art. 16, comma 4; reg. 23 maggio 1924, n. 827, art. 91). Appalti pubblici -Appalto-concorso di opera d'arte -Perfezionamento -Scelta del pro~etto da parte della Commissione -Impugnativa -Esclusione -Provvedimento che approva la graduatoria, aggiudicando la esecuzione dell'opera -Impu~nativa -Ammissibilit. (Reg. 23 maggio 1924, n. 827, art. 40; 1. 11 maggio 1942, n. 839; 1. 29 luglio 1949, n. 717; 1. 3 marzo 1960, n. 237, art. 3). n provvedimento dell'appalto-concorso, al pari della trattativa privata -e a differenza dei pubblici incanti e delle licitazioni private, che di regola si concludono con il processo verbale di definitiva aggiudicazione -termina con la stipula e l'approvazione del contratto di appalto. Pertanto la scelta del progetto operato dalla Commissione giudicatrice, consistendo in un parere obbligatorio e vincolante, atto ..nterno, che non pu essere direttamente impugnato, neanche dai con' rrenti, esclusi o non prescelti, mentre direttamente impugnabile il ~vedimento col quale la p.a. dichiara di far propria la scelta com.: i, dalla Commissione o stipula ed approva il contratto di appalto (1). Nel provvedimento di appalto-concorso di opere d'arte, il giudizio della Commissione relativo alla scelta del progetto non suscettibile di immediata impugnativa giurisdizionale, costituendo atto interno, mentre impugnabile il provvedimento ministe1iale che approva la graduatoria, dichiarando il vincitore (2). (1-2) In tema di formazione dei contratti dello Stato cfr. Cass. 30 gennaio 1964 n. 263, in questa Rassegna, 1964 I, 489 con nota di CARUSI, che individua la natura e gli effetti del verbale di aggiudicazione, e sul parere espresso dalla Clommissione aggiudicatrice cfr. Relazione Avvocatura dello Stato, 1956-60, III, 95. 138 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 3 novembre 1965, n. 675 -Pres. De Marco -Est. Granito -Palazzi (avv. Nigro) c. Ministero DifesaAeronautica (avv. Stato Azzariti) e Soc. De Martis (avv. Soddu). Atto Amministrativo -Annullamento di ufficio -Ricorso giurisdizio nale -Ordinanza di sospensione -Rinnovazione dell'atto, immune da vizio -Legittimit. Concessione Amministrativa -Idoneit del concessionario a far fronte agli impegni assunti -Diniego di approvazione -Legittimit. Giustizia Amministrativa -Interesse a ricorrere -Annullamento di ufficio di un atto impugnato in s. g. -Difetto di interesse. Atto Amministrativo -Comunicazione -Comunicazione in copia fotostatica accompagnata da nota della p. a. -Legittimit. Contratti pubblici -Aggiudicazione -Interesse a ricorrere da parte di chi non sia precedente concessionario o non abbia partecipato alla gara -Non sussiste. L'ordinanza di sospensione non preclude alla p.a. di annullme di ufficio il provvedimento impugnato e sospeso, senza attendere l'esito del giudizio, e di sostituirlo con altro provvedimento, formalmente e sostanzialmente diverso, quanto meno sotto l'aspetto giuridico e immune da vizi di illegittimit rilevabili nel provvedimento impugnato (1). La p.a. pu legittimamente non approvare il contratto qualora il contraente privato, gi immesso nel possesso dei locali, non abbia provveduto al pagamento dei canoni, dimostrando cos la sua inidoneit a far fronte agli impegni assunti (inidoneit confermata dalla dichiarazione di fallimento poscia inte1venuta) (2). inammissibile, per difetto di interesse, l'impugnativa dell'annullamento di ufficio di un provvedimento, avverso il quale stato proposto dallo stesso ricorrente ricorso giurisdizionale (3). (1) Esatta applicazione dei principi in tema di annullamento di ufficio; cfr. Relazione Avv. Stato 1956-60, III, 13 e giuds. ivi cit., in particolare, Cons. Stato, 23 agosto 1956, n. 282. (2) Cfr. Relazione, cit., III, 87, sui criteri di scelta del contraente privato e Cons. Stato, Sez. IV, 14 novembre 1962, n. 618, Foro amm., 1963, I, 64; Sez. V 5 aprile 1963, n. 186, ivi, I, 694, sulla esclusione della ditta dalla trattativa privata e sull'i.n:teresse alla impUgnativa; e Relazione, cit. III, 103 sul rifiuto di approvazione e sulla necessit della motivazione. (3) Cfr. Relazione, cit., III, 26; e Ad. plen. 23 febbraio 1963, Foro amm., 1963, I, 790 con nota di richiami. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 139 legittima la comunicazione di un provvedimento, compiuto, ai fini deU'esecuzione, in copia fotostatica se questa accompagnata, e quindi autenticata, da una nota della p.a., (4). carente di interesse a ricorrere avverso l'aggiudicazione di un servizio pubblico colui che non sia pi precedente concessionario, n abbia partecipato alla nuova licitazione (5). (4) In applicazione dei principi della libert di forma stata ritenuta anch~ legi~tima la !redazione. di ~n p~o~vedimento su un {nodulo a stampa o a ciclostile, purch la motlvaZ>ione ivi contenuta aderisca alla fattispecie e giustifichi la .decisione (Sez. IV, 20 marzo 1963, n. 173, Foro amm., 1963(, I, 474); a maggior ragione legittima la comunfoazione in copia fotostatica del provvedimento se accompagnata da una nota della p. a. (5) v. sopra nota 3. CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 3 novembre 1965, n. 676 -Pres. De Marco -Est. Napolitano -Marchi (avv. Taddei) c. Ministero Difesa Esercito (avv. Stato Chiarotti). Atto amministrativo -Atto confermativo -Nozione -Fattispecie. confermativo l'atto che sia privo di qualsiasi autonomo contenuto e che faccia perci riferimento a precedenti determinazioni della P. A. Rientra in tale nozione l'atto che abbia un attergato, apposto successivamente alla formazione dell'atto stesso, dall'Autorit (1). (1) esatta la nozione di atto confermativo, che consiste nella riaff~ r~azione di un atto gi adottato ~alla P. A., ed perci privo di qualsiasi autonomo contenuto. Laddove mvece abbia un solo elemento diverso da quello gi adottato, non ricorre la figura dell'atto confermativo: ad ~sempio. la motivazione (cfr. Sez. IV, 10 novembre 1965, n. 683) o la istruttoria (Sez. IV, 10 novembre 1965, n. 690). Per la indicazione di altri casi, cfr. Relazione Avvocatura dello Stato, 1956-60, III, 23. CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 3 novembre 1965, n. 677 -Pres. De Marco -Est. Napolitano -Carmine e Giannini (avv. De Liberis) c. Ministero LL. PP. (avv. Stato Casamassima). Giustizia amministrativa -Ricorso giurisdizionale -Ricorso cumulativo -Ammissibilit -Presupposti. Espropriazione per p. u. -Decreto di approvazione del progetto -Impugnativa fuori termine -Inammissibilit -Censure relative ai conseguenziali decreti di accesso e di occupazione -Inammissibilit. 140 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Espropriazione per p. u. -Occupazione -Stato di consistenza -Autoriz zazione all'accesso su un fondo comune -Omessa indicazione e omessa notifica a un comproprietario -Partecipazione dello stesso comproprietario all'accesso -Irrilevanza delle omissioni. Espropriazione per p. u. -Discordanza, per la superficie da occupare, tra il decreto di accesso e il decreto di occupazione -Adeguamento di questo ultimo alle risultanze dell'accesso -Legittimit. Espropriazione per p. u. -Opera prevista nel piano. -Dichiarazione implicit di p. u. -Decreto di esproprio. -Legittimit. ammissibile un unico ricorso avverso pi provvedimenti, ove questi riguardino lo stesso oggetto, si riferiscano agli stessi soggetti, incidano sul medesimo bene e per la loro interdipendenza funzionale si possano considerare elementi di un unico provvedimento (1). La inammissibilit per tardivit del ricorso, proposto contro il decreto di approvazione che dichiara i lavori urgenti ed indifferibili, determinando l'opera da realizza1e, investe altresi le censure relative all'esistenza e alla validit della dichiarazione di indifferibilit e ur I genza, dedotte con riguardo ai conseguenziali decreti di accesso al fondo e di occupazione (2). I L'omessa indicazione, nel decreto di accesso al fondo, di un conf: domino e l'omessa notifica dell'avviso di sopraluogo devono ritenersi ' . superate e sanate dalla presenza del condominio alla formazione dello stato di consistenza, che fa fede a tutti gli effetti fino ad impugnazione di falso (3). l La discordanza tra la superficie dell'area indicata nel decreto di accesso al fondo e quella indicata nel decreto di occupazione non costi- I . I (1) Esatta applicazione dei principi: cfr. Relazione Avvocatura dello ~ Stato, 1956-60, III, 46. (2) Massima esatta; non vi dubbio che la dichiarazione di urgenza e indifferibilit che determina l'opera da eseguire, provvedimento autoI nomo che va impugnato ex se, e perci le censure che ad esso possono muoversi non possono farsi valere in occasione della impugnativa di altri provvedimenti conseguenziali alla predetta dichiarazione: cfr. su tale punto Cons. Stato, 22 dicembre 1964, n. 1573, Il Consiglio di Stato, 1964, I, 2186. I (3) Negli stessi termini cfr. Cons. Giust. amm. Reg. Sic., 11 giugno 1956, n. 210; ivi, 1956, I, 810 che riguardava l'omissione dell'avviso ad un comproprietario. Se invece l'avviso non stato eseguito e tuttavia il proprietario ha partecipato alle operazioni, il Consiglio di "..::0w@f"x.:"fil[{"W"'"" W, J PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 145 amministrativo, in base al rilievo che nella specie si tratta, anche dopo la scadenza del termine, di esercizio illegittimo di una potest amministrativa, che opera la degradazione a interesse legittimo del diritto di propriet. ln senso contrario, anche se implicito, la Cassazione: Cass. 23 gennaio 1953, n. 204, Giust. civ. 1963, I, 304; 26 giugno 1965, n. 2291, Foro amm. 1956, II, 431; 21 agosto 1962, n. 2613, in questa Rassegna, 1963, I, 35. Non vi poi alcun dubbio sulla natura di atto ll'icettizio che deve riconoscersi al provvedimento ex art. 32 I. 1 giugno 1939 n. 1089, di atto cio che non produce effetti se non dal momento in cui i destinatari ne abbiano avuto notizia. Qualche perplessit, invece, sor.ge sul termine entro il quale il provvedimento deve essere notificato. La giurisprudenza orientata nel senso che il provvedimento non solo deve essere emanato nel termine di due mesi dalla data della denuncia (art. 32 cit.), ma deve essere anche notificato entro lo stesso termine ai sensi dell'art. 65 r. d. 30 gennaio 1913, n. 363', il quale dispone: Quando il Governo decida di esercitare il diritto di prelazione notificher tale sua decisione entro il termine di due o quattro mesi . A codesto orientamento (v. anche la cit. dee. n. 48, e in particolare Cass.; 23 gennaio 1953 n. 204 cit.) non si pu aderire. Anche se appare chiara la norma dell'art. 65, pu ritenersi che essa, essendo contenuta in un regolamento di esecuzione, si pone in contrasto con l'art. 32 della legge: questa infatti precisa il termine di due mesi per l'esercizio del diritto di prelazione, e cio per l'emanazione dell'atto; quella invece precisa lo stesso termine per la notifica, limitando in tal modo il termine di due mesi, entro il quale, secondo la legge, l'atto va emanato, mentre secondo il regolamento va anche notificato. D'altra parte, che la data di emanazione del provvedimento sia decisiva per gli effetti traslativi che esso produce, si rileva dalla sua natura, che lo fa inquadrare nella categoria degli atti di espropriazione in senso lato, per la quale irrilevante la notifica (Cass. sent. cit. n. 204 e n. 2613): infatti il passaggio del bene in propriet della p. a. si verifica alla data del provvedimento ed a partire da tale data i diritti dei terzi costituiti sul bene si estinguono (App. Roma, 28 giugno 1955, Giur. it. 1956, I, 2, 806). Vedi anche Relazione dell'Avvocatura dello Stato, 1956-60, II, 284, con altri richiami di giurisprudenza. CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 9 novembre 1965, n. 770 -Pres. Stumpo -Est. Toro -Bruschi (avv. Serafini) c. Ministero Finanze {avv. Stato Faranda). 'i;igo pubblico -Stipendi, assegni, indennit -Ripetibilit di emomenti non dovuti -Limiti -Fattispecie. Per il pagamento di assegni non dovuti, vige il principio generale della ripetibilitd, salvo i casi in cui la corresponsione sia stata eseguita in applicazione di un'inesatta interpretazione di leggi singole, adottata con risoluzione ministeriale, s da creare e consolidare nei dipendenti la certezza del diritto alla riscossione. Pertanto legittimo il recupero di somme indebitamente corrisposte a titolo di aggiunte di famiglia, qualora il pagamento sia stato effettuato per errore di fatto dagli uffici esecutivi (1). (1) Sulla ripetizione di indebito in materia di pagamento di assegni e stipendi e sui limiti in cui tale principio opera per il recupero dei crediti verso impiegati e pensionati, cfr., con ampia motivazione, Ad. plen., 146 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 28 ottobre 1958, n. 19, Il Consiglio di Stato, 1958, I, 1033; per una analoga fattispecie (errore degli uffici esecutivi nel pagamento) cfr. Ad. plen., 8 novembre 1953, n. 17, ivi, 1963, I, 1521. V. anche Sez. IV, 9 dicembre 1964, n. 1423, ivi, 1964, I, 2156; e per il caso di riscossione a titolo di trattamento economico provvisorio di somme maggiori di quelle dovute e quindi per l'ammissibilit del recupero, cfr. Sez. VI, 26 novembre 1965, n. 851, ivi, 1165, I, 1989. CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 9 novembre 1965, n. 788 -Pres. De Martino Rossaroll -Est. Longo -Carta ed altri (avv. Guicciardi) c. Ministero Marina Mercantile (avv. Stato Carbone). Demanio -Demanio marittimo -Delimitazione -Impugnativa -Posizione soggettiva dei privati -Diritto soggettivo -Giurisdizione dell'A. G.O. n procedimento di delimitazione dei beni del demanio marittimo, che acquistano it carattere di demanialitd ex lege, diretta a dichiarare la delimitazione fra it demanio stesso e le proprietd private finitime, e si svolge pertanto su posizioni necessariamente gid individuate, di diritto soggettivo dominicale, pubblico e privato, concludendosi nelt'ambito dette medesime. La impugnativa per vizio del provvedimento di delimitazione rientra, di conseguenza, nena giurisdizione dell'A.G.O. (1). (1) In tal senso v. Sez. Un., 2 maggio 1962, n. 849, Giur. it., 1962, I, 1, 796, con nota. Circa i problemi relativi alla competenza dell'autorit marittima per la risoluzione delle questioni sulla propriet delle spiagge e per la tutela del demanio marittimo, v. anche Cass., 7 febbraio 1955, n. 340, Giur. it. Mass., 1955, 78. CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 9 novembre 1965, n. 791 -Pres. Breglia -Est. Garofalo -Lucente (avv. Ingangi) c. Istituto Froebeliano Vittorio Emanuele II in Napoli (avv. D'Aiuto). Giustizia Amministrativa -Rlcorso giurisdizionale -Rlcorsi proposti avverso lo stesso atto dinanzi al Consiglio di Stato e dinanzi alla G. P. A. -Litispendenza -Inapplicabilit. L'istituto della litispendenza, previsto datl'art. 39 c.p.c., non applicabile al caso di ricorso, proposto, avverso lo stesso provvedimento, al Consiglio di Stato e, con atto anteriore, alla G.P.A. (1). (1) Massima esatta. La litispendenza non applicabile al caso esaminato dalla decisione, data la diversa posizione del Consiglio di Stato e della G.P.A. La pronuncia di competenza, che venga emessa dal Consiglio, non pu dar luogo ad un conflitto positivo che possa essere risolto da un giudice superiore, e si pone, perci, nei riguardi della Giunta con la autorit di cosa giudicata. Nello stesso senso cfr. Sez. V, 27 dicembre 1956, n. 789, Il Consiglio di Stato, 1956, I, 1064. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 147 CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 9 novembre 1965, n. 795 -Pres. Toro -Est. Benvenuto -Orsini ed altri (avv. Scarnati) c. E.A.M. (avv. D'Amelio). Atto amministrativo -Sanatoria -Deliberazione da parte di organi incompetenti -Ratifica da parte dell'organo competente -Legitti mit. Non illegittima, per incompetenza, la deliberazione di un organo di un ente pubblico, qualora essa, prima della notifica del ricorso, sia stata fatta propria dall'organo competente (1). (1) Non vi dubbio che nella specie si tratta di ratifica e non di convalida: negli stessi sensi cfr. Sez. V, 16 ottobre 1965, n. 1015, Il Consiglio di Stato, 1965, I, 1670, con richiami; e da un punto di vista gener~le sulla sanatoria, cfr. Ad. plen., 26 febbraio 1964, n. 6, in questa Rassegna, 1965, I, 530. CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 19 novembre 1965, n. 839 -Pres. Breglia -Est. Pezzana -Coletti (avv. Gasparri) c. Ministero Agricoltura e Foreste (avv. Stato Lancia). Giustizia amministrativa -Controinteressati -Bando di concorso Impugnazione -Oneri di notifica ai controinteressati -Esclusione. Deve escludersi che sussistano controinteressati nel caso di un ricorso proposto avverso il bando di un concorso per la concessione di borse di studio ai sensi della legge 30 giugno 1954, n. 493, e che di conseguenza sussista l'onere di notifica (1). (1) Coloro che hanno presentato domanda per un concorso a borsa di studio non possono, in linea di massima, qualificarsi rontrointeressati, non sussistendo nei confronti del loro interesse, al momento della impugnativa del bando, una lesione concreta ed attuale: cfr. in tal senso, e da un punto di vista generale, Ad. plen., 25 gennaio 1965, n. 4, Il Consiglio di Stato, 1965, I. 11. La massima si ispira al principio, pi volte affermato in giurisprudenza (cfr. Sez. V, 31 gennaio 1964, n. 132, Il Consiglio di Stato, 1964, I, 78; Sez. IV, 1 dicembre 1965, n. 752, ivi, 1965, I, 2073), secondo il quale la nozione di controinteressato, di cui agli artt. 36 t. u. 26 giugno 1924, n. 1054 e 7 r. d. 17 agosto 1907, n. 642, si identifica non solo con il soggetto che pu ricevere vantaggio o pregiudizio dalla conservazione o dall'annullamento dell'atto impugnato, bensi anche con il soggetto a cui l'atto impugnato direttamente si riferisce; con la conseguenza che nel caso di impugnativa di regolamenti o di atti a contenuto generale -nei quali manca l'indicazione dei soggetti cui essi direttamente si riferiscono, ed essendo perci problematica la loro individuazione -il contraddittorio ritualmente instaurato con la notifica del ricorso alla sola autorit emanante. 148 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 26 novembre 1965, n. 85~ ~ Pres.. Bre: glia _ Est. Chieppa -Pala (avv. D'Abbiero) c. Comm1ss1one r1cors1 I Provveditorato Studi di Roma (avv. Stato Faranda). ' Giustizia amministrativa -Ricorso giurisdizionale -N~tificazione ~11~ ,. ' I ;:'..::. e autorit che ha emesso il provvedimento -Omissione -Motivi di ricorso -Inammissibilit. Devono dichiararsi inammissibili i motivi di ricorso relativi. all'impugnativa di un'ordinanza ministeriale, se il ricorso stesso non sia stato notificato ai Ministero che ha emesso il provvedimento (1). (1) Giurisprudenza costante: cfr. Sez. VI, 9 luglio 1965, n. 525,, ~i e ,. d' Stato 1965 I 1337 Sez VI 30 settembre 1964, n. 664, ivi, onsig.io i ' ' . . ' , t'fi t all'auto 1964 I 1566 Se il ricorso inammiss1b1le, perche non no i ca o . . rit 'che ha emanato il provvedimento, eguale sorte devono . seguire 1 motivi che siano stati even~ua~mente notificati alla stes~a. auto~1tfiiA~:1i~ rilevante a superare l'omissione la spontanea comparizione e nistrazione. CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 30 novembre 1965,, n. 86~ -Pres. B~eglia _ Est. Mastropasqua -Chiavarella (avv. P1ccard1) c. Comm .ssione ricorsi Provveditorato Studi di Roma (avv. Stato Peronac1). Impiego pubblico -Mutilati ed invalidi di servizio -Assunzione ~b~l~gatoria _ Documentazione -Prove della qualifica -Omessa esibizione del documento richiesto dalla P. A. -Conseguenze. Impiego pubblico _ Concorsi -Mutilati ed invalidi di guerra e di servizio _ Preferenze -Documentazione -Esibizione -Termine. Impiego pubblico _ Concorso -Documentazione -Regolarizzazione Limiti. Giustizia amministrativa -Interesse a ricorrere -Interesse a impugnare norme regolamentari -Presupposti. La norma dell'art. 6, n. 1, della legge 24 febraio 1953, n. 142 ~i riferisce alla documentazione che gli interessati devono presen~ar~ ai com: petenti uffici del lavoro per ia iscrizione nell'elenco provi?1'ciale degl~ aspiranti ai collocamento; ma non concerne la docume1'.'taz.ione che gl interessati devono esibire alla P. A. o ai p~ivat~ ~ator~ ~i lavoro .P.er l'assunzione nena aliquota dei posti riservati agli invalidi per servizio, PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 149 con la conseguenza che la P. A. ben pu prescrivire una speciale documentazione per tale assunzione (1). Il principio affermato dalla giurisprudenza, secondo il quale la documentazione della qualit di invalido di guerra pu essere esibita anche prima che venga deliberata la nomina, non si applica laddove, come per gli invalidi di servizio, il bando di concorso disponga altrimenti (2). Il p.rincipio affermato dalla giurisprudenza, secondo il quale ammessa la regolarizzaione della documentazione, riguarda solo i documenti di rito, e non anche quelli relativi a titoli di merito e preferenziali, limitatamente per ai casi di imperfezione formale (3). . La impugnativa di una norma regolamentare inammissibile, per difetto di interesse, qualora essa prescriva l'esibizione di una certa documentazione, ed il 1icorrente non ha adempiuto l'onere della esibizione nei modi richiesti dalla norma impugnata (4). (1-4) La prima massima riguarda la interpretazione di una norma di legge speciale per invalidi di servizio; la quarta massima una applicazione dei principi generali sull'interesse a ricorrere (con particolare riguardo alle norme regolamentari). Entrambe sono esatte. La seconda massima concerne la prefissione di termini per la esibizione di documenti, in conformit alla costante giurisprudenza: cfr. Sez. VI, 3 luglio 1963, n. ~9?, Il Consiglio di Stato, 1963, I, 1083; Sez. VI, 30 giugno 1954, n. 476, ivi, 1954, I, 641. La terza massima limita la possibilit di reg.olarizzazione, in conformit ai rilievi svolti dall'Avvocatura (cfr. Relazione Avvocatura dello Stato, 1956-60, III, 548), alle sole imperfezioni formali dei documenti di rito: in tal senso Sez. VI, 4 dicembre 1963 n. 964 ' Consiglio di Stato, I, 1940. ' ' 1LIO DI STATO, Sez. VI, 30 novembre 1965, n. 871 -Pres. Bre ~ Est. Chieppa -Rinaldi (avv. D'Abbiero) c. Ministero P. I. c;>tato Savarese). ,.oblico -Trasferimento in seguito a vacanza di sede o a do.... nda -Moralit -Regole proprie del concorso -Applicabilit Esclusione -Fattispecie. Impiego pubblico -Trasferimento -Elementi rilevanti per il trasferimento a domanda -Anzianit di ruolo -Irrilevanza -Condizioni di famiglia -Nozione e limiti. Il procedimento di trasferimento, anche quando avviene a seguito deila dichiarazione di vacanza della sede o su istanze concorrenti di pi interessati ai sensi dell'art. 32 t.u. 10 gennaio 1957, n. 3 (applicabile ai trasferimenti di direttori didattici), non d luogo ad un procedimento concorsuale con le regole proprie dei concorsi, quali la pre 150 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO determinazione dei criteri, del punteggio e della graduatoria, ma d luogo ad una semplice valutazione comparativa, che termina con la scelta di colui che ritenuto in possesso dei maggiori requisiti; e la P. A. non tenuta ad enunciare nel decreto di trasferimento le ragioni della scelta, essendo sufficiente che risulti l'esame e la valutazione delle posizioni dei vari aspiranti ai trasferimento (1). Tra gli elementi rilevanti ai fini dei trasferimenti a domanda non rientra l'anzianit di ruolo; mentre tra le condizioni di famiglia rientrano sia la necessit di assistenza ai genitori o altri prossimi congiunti, pur se non costituenti un unico nucleo familiare, sia la necessit di cure in un determinato centro, non potendosi esigere che il malato si sottoponga a frequenti viaggi, sia la circostanza di consentire ai figli dei dipendenti di non frequentare pi scuole al di fuori della residenza di servizio del padre, in modo da evitare scissioni e smembramenti dannosi per la famiglia (2). (1-2) Le massime sono esatte: il trasferimento di sede ex art. 32 t.u. n. 3 non deve seguire la procedura del concorso, anche se per una sola sede vi sia una pluralit di domande. per necessaria una motivazione che spieghi, in base ad un giudizio comparativo, le ragioni della scelta: Sez. VI 12 febbraio 1964, n. 123, n Consiglio di Stato, I, 343; Ad. Gen., 15 mar~o 1962, n. 267, ivi, 1964, n. 232 (parere sul ricorso straordinario); Sez. VI 12 giugno 1963, n. 334, ivi, 1963, I, 1029; v. anche Relazione Avvocatur~ dello Stato, 1956-60, III, 561, sui limiti dell'obbligo di motivazione del provvedimento di trasferimento; e in particolare sull'obbligo di motivazione delle sole esigenze di servizio, v. Ad. Gen., 3 dicembre 1959, n. 565, ivi, 1963, I, 1283, con la precisazione che !'esigenze d~ servizio possono giustificare, da sole, il trasferimento in una sede, la cui vacanza non sia stata pubblicata sul bollettino, senza la necessit di una valutazione comparativa di altre eventuali domande, mentre sia le esigenze di servizio sia gli altri criteri fissati dalla legge devono giustificare il trasferime~ to in una sede, la cui vacanza sia stata pubblicata: Sez. IV, 24 giugno 1960, n. 684, ivi, 1960, I, 1149 ed anche Sez. VI, 23 maggio 1962, n. 424, ivi, 1962, I, 1030. La giurisprudenza ha infine precisato che la presc~izion~ di tener conto delle condizioni di famiglia si riferisce solo ai trasferimenti su domanda: Sez. IV, 30 agosto 1963, n. 466, ivi, 1963, I, 1237. CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 30 novembre 1965, n. 874 -Pres. Toro -Est. Chieppa-Aletti (avv. Ughi) c. Ministero P. I. (avv. Stato Savarese). Giudicato -Giudicato amministrativo -Esecuzione -Annullamento di graduatoria di un concorso -Necessit di ulteriori provvedimenti Posizione dei dichiarati idonei -Retroattivit. Se la decisione di annullamento richiede ulteriori provvedimenti amministrativi ai fini dell'esecuzione di giudicato, i provvedimenti stessi hanno una tendenziale retroattivit, salvo che sussistano limiti derivanti dalla loro natura o dal loro oggetto (ad. es. la irrogazione di sanzioni disciplinari, la mancanza di effettivit di una situazioine di servizio). I ,, I ' . ' . . i' ' ~ .; :;: I: , ' . < l~~bx, ~fjf _:~-ili-,~~;,~.....-:,,~~ PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 151 Pertanto, annullata in s. g. una graduatoria di. concorsi per titoli, la rinnovazione della graduatoria per quanto riguarda il riconoscimento della idoneit ha effe.tti retroattivi, in modo che i concorrenti risultati idonei nella seconda gmduatoria vengono ad ottenere una saldatura della loro posizione che fa loro acquisire la qualit di idonei sin dalla prima graduatoria (1). (1) Sull'esecuzioe del giudicato v. Relazione Avvocatura dello Stato, 1965-60, III, 66. Non vi dubbio che nella specie i provvedimenti, emessi dalla p.a. in esecuzione del giudicato, producono effetti retroattivi per tutti coloro che vengono a subire la caducazione dell'atto annullato. CONSIGLIO DI STATO, Sez.. VI, 30 novembre 1965, n. 883 -Pres. Stumpo -Est. Pezzana -ALPI (avv. Sorrentino) c. Ministero Trasporti (avv. Stato Pietrini). Contratti pubblici -Licitazione privata -Lettera d'invito -Clausole Interpretazione -Competenza del Consiglio di Stato -Sussiste. Rientra nella competenza di legittimit del Consiglio di Stato la interpretazione del contenuto della lettera di invito alla gara, in rapporto al giudizio sulla legittimit del provvedimento di approvazione dei risultati sulla licitazione, al fine di accertare se le clausole in essa contenute siano cosi oscure ed equivoche da giustificare interpretazioni contrastanti che facciano venir meno la parit di condizione dei concorrenti alla gara e la comparabilit delle offerte (1). (1) La difficolt di interpretazione di clausole oscure od equivoche, inserite in una lettera di invito alla gara, pu influire sullo svolgimento e sul risultato della licitazione, e quindi rilevante in sede di esame sulla legittimit della gara. V. Relazione Avvocatura dello Stato, 1956-60, III, 90. CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 30 novembre 1965, n. 884 -Pres. Stumpo -Est. Pezzana -Mor ed altri (avv. Parri) c. Ministeri Agricoltura e Foreste -Grazia e Giustizia (avv. Stato Faranda). Giudicato -Giudicato amministrativo -Esecuzione -Rinnovazione del-_ l'atto annullato -Vizi accertati nel giudicato e rinnovazione dell'atto immune dai vizi stessi -Limiti. 152 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Giustizia amministrativa -Ricorso in sede di le~ittimit al Consi~lio di Stato -Prova per testi -Ammissibilit -Esclusione. Caccia e pesca -Caccia -Inclusione coattiva di fondi nelle riserve Condizioni -Divieto di esercizio di caccia -Differenza. In seguito all'annullamento in sede giurisdizionale di un atto amministrativo, la p. a. non tenuta a rinnovare l'intero precedimento, salvo quando l'annullamento sia stato determinato da vizi che inficiano tutto il procedimento; ma tenuta a rinnovare gli atti prepratori, di cui sia stata accertata la iUegittimit, e l'atto finale. Pertanto, annullato un provvedimento di inclusione coattiva di un fondo in una riserva di caccia, per vizi inerenti all'accertamento del pregiudizio all'agricoltura, la p. a. tenuta a rinnovare l'istruttoria solo su tale punto (1). La prova per testi non ammissibile nel giudi.zio di legittimit dinanzi al Consiglio di Stato (2). La norma dell'art. 30 t. u. 5 giugno 1939, n. 1016, non riguarda l'inclusione dei fondi nelle riserve (e tra l'altro tale inclusione ammissibile anche se il fondo recintato ai sensi del precedente art. 29), ma riguarda l'esercizio della caccia che viene vietato se il fondo fa parte di una riserva (3). (1-3) La prima massima costituisce un'esatta applicazione dei principi in tema di esecuzione di giudicato amministrativo. La seconda si uniforma ad una giurisprudenza costante sull'art. 44 t. u. 26 giugno 1924, n. 1054; cfr. Sez. VI, 10 febbraio 1953, n. 20, Il Consiglio di -Stato, 1953, I, 122; Sez. VI, 19 aprile 1961, n. 362, ivi, 1961, I, 786. Per la terza massima cfr. Sez. VI, 18 dicembre 1963, n. 1020, ivi, 1963, I, 1990, con nota. SEZIONE QUINTA GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 27 luglio 1965, n. 1787 -Pres. Pece Est. Gambogi -P. M. Toro (conf.) -Ministero Finanze (avv. Stato Soprano) c. Giorgetti ed altri (avv. Arnabaldi, Mileto e Bonadia). Imposta di registro -Agevolazione fiscale ex articolo unico legge 28 giugno 1943 n. 666 -Trasferimento di immobili soggetti a sistemazioni edilizie a carico di privati -Inapplicabilit -Trasferimento in mancanza di convenzione diretta tra l'acquirente e il Comune Inapplicabilit. (I. 17 agosto 1942, n. 1150; I. 28 giugno 1943, n. 666). Le agevolazioni fiscali previste dall'articolo unico della legge 28 giugno 1943, n. 666, per gli atti di trapasso a favore di enti o privati, che provvedano in luogo e vece dei Comuni alle costruzioni per l'esecuzione dei piani regolato1i, non sono applicabili agli atti di trasferimento di immobili, per i quali i piani particolareggiati prevedano sistemazioni edilizie a carico dei privati (che possono essere compiute dai Comuni soltanto in caso di inadempienza dei privati medesimi), n comunque quando non si tratti di atti stipulati con i Comuni, in vece e nei riguardi dei quali i privati assumano gli obblighi di attuazione dei detti piani (1). (1) Decisione di indubbia esattezza. Dal piano regolatore particolareggiato (non il caso di esaminare in questa sede se direttamente 'O per effetto dell'ingiunzione del sindaco) pu, com' noto, derivare l'obbligo del proprietario di un immobile di provvedere ad una determinata sistemazione edilizia dell'immobile stesso. A tale obbligo di facere il proprietari'O pu ottemperare egli stesso, spontaneamente oppure in seguito all'ingiunzione ed eventualmente alla diffida previste dai primi due commi dell'art. 20 della legge urbanistica; in tal caso il comando positivo (cfr. SANDULLI, Profili giuridici in materia di urbanistica e di paesaggio napoletani, Amm. it., 1957, 955, e la nota della DmEZIONE della Rivista Giur. Edilizia, Sulle posizioni soggettive dei proprietari soggetti a trasformazioni per l'attuazione di piani regolatori, in detta Rivista, 1958, II, 51) dettato dal piano viene realizzato mediante l'esercizio da parte del proprietario delle ordinarie facolt dominicali. L'inadempimento dell'obbligo di che trattasi non d luogo a sanzione (in senso proprio), n ad esecuzi'One coattiva in forma specifica, ma costitutivo del potere dell'Amministrazione comunale di procedere all'espropriazione dell'immobile da sistemare (in ordine al sorgere di questo potere di esproprio cfr. Cass. 19 febbraio 1957, n. 591; 24 ottobre 1958, n. 3457; 154 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (Omissis). L'art. 20 della legge urbanistica dispone che il Sindaco ingiunga ai privati proprietari di immobili che, in esecuzione di un piano particolareggiato, debbano essere costruiti, ricostruiti o modificati, di eseguire i necessari lavori entro un congruo termine, decorso il quale senza che i lavori stessi siano stati compiuti, dovr procedersi a nuova ingiunzione. Solo nel caso che anche la seconda diffida resti senza effetto, il Comune potr procedere ad espropriazione per far direttamente eseguire le opere. Dall'esegesi di tale disposizione appare chiaro che chi ha l'obbligo primario di costruire, ricostruire o modificare gli edifici previsti dal piano regolatore il proprietario dell'area o dell'edificio preesistente; la legge non proclama espressamente tale obbligo, ma lo presuppone necessariamente se d al Comune il potere di costringere il proprietario al relativo facere sotto pena di espropriazione. Solo nel caso di inadempienza da parte dell'obbligato primario, dunque, sorge l'obbligo sussidiario del Comune, tenuto ad espropriare e costruire o ricostruire in esecuzione del piano regolatore. Pertanto, qualora pi proprietari tenuti in via primaria a costruire o ricostruire sulle loro aree fabbricabili, od a modificare gli edifici preesistenti, sempre in esecuzione del piano, si accordino per cedere ~ i ad uno di loro, o ad un terzo, gli immobili sottoposti al vincolo, perch detto cessionario adempia alle prescrizioni di legge e dell'Autorit . amministrativa, il relativo atto di cessione degli immobili non pu ' . godere del beneficio fiscale previsto dalla legge n. 666 del 1943, non , potendosi dire, in tal caso, che il cessionario si sia obbligato ad edifi- II 10 gennaio 1959, n. 42; e 26 giugno 1962, n. 1657). Tuttavia, se potere ~ del Comune il provocare la rimozione del soggetto inadempiente dalla posizione soggettiva di titolare del diritto di propriet sull'immobile e la il sua sostituzione con altro soggetto disposto a compiere le opere di sistemazione edilizia (soggetto che non prescritto debba necessariamente , . essere lo stesso Comune che ha promosso l'espropdo), non costituisce fun, zione amministrativa del Comune l'effettuare le sistemazioni edilizie di cui ' all'art. 20 citato, neppure in via eventuale ed in sostituzione dei proprie I ' tari inadempienti ed espropriati; ed il Comune che eventualmente vi provveda, agisce uti dominus, in quanto cio divenuto ed rimasto proprietario dell'immobile da sistemare. Diversamente, costituisce compito istituzionale del Comune il provvedere a quegli impianti pubblici (espressione questa usata in contrapposizione agli edifici privati e comprensiva di strade, piazze, parchi, scuole, fabbricati per pubblici uffici e servizi, etc.: cfr. TESTA, Funzione del piano regolatore particolareggiato, Atti del VII Convegno di Varenna, 1962, 185) la cui costruzione e manutenzione dal legislatore posta a carico dei Comuni e perci ritenuta funzione loro propria. pertanto evidente che il privato il quale provvede alle sistemazioni edilizie in ottemperanza al piano regolatore particolareggiato esercita ordinarie facolt dominicali, ancorch in modo tale da porre in essere una situazione di fatto conforme alle previsioni del piano, e non svolge una attivit attribuita alla competenza degli organi del Comune o comunque una attivit in luogo e vece (cos il testo della legge n. 666 del 1943) del Comune, cosa che invece si ha quando enti o privati provvedono a PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 155 care o riedificare in luogo e vece del Comune, che nella pattuizione non in alcuna veste intervenuto. Va in proposito ancora rilevato che questa Suprema Corte ,decidendo analoga fattispecie con sentenza n. 70 del 19 gennaio 1963, ebbe ad affermare che, perch sorga la situazione di favore fiscale prevista dalla legge, occorre la sussistenza di una apposita convenzione che ponga di fronte, in modo immediatamente diretto, da un lato il Comune, cui incombe l'attuazione del piano regolatore, e dall'altro il privato, col quale viene stipulato l'atto di trasferimento e che nei riguardi del Comune medesimo assume tale obbligo. Nella specie, la pattuizione tra il Giorgetti e gli altri proprietari privati fa parte di un unico complesso di convenzioni. Alcune di dette convenzioni sono state stipulate col Comune, che acquista le aree destinate a pubblica via ed affida al Giorgetti i lavori relativi alla sistemazione stradale. Ed a tali convenzioni stata pacificamente concessa la registrazione a tassa fissa. Al contrario, il Comune estraneo alla vendita del terreno dagli altri proprietari al Giorgetti stesso, che costituisce un contratto autonomo e ben distinto dagli altri sopra menzionati, nonostante la formale unicit del rogito. Anche sotto il profilo gi indicato da questa Suprema Corte, quindi, la fattispecie non pu essere inquadrata nella previsione di legge. I controricorrenti osservano che se non si concedesse il beneficio fiscale in casi del genere di cui causa, la disposizione della legge n. 666 del 1943, a favore di chi compri del terreno dal Comune per costruirvi in luogo e vece del Comune stesso, resterebbe senza applicazione, perch, una volta escluso il caso del proprietario che venda al terzo, a costruire in luogo ed in vece dell'Amministrazione resterebbero solo gli appaltatori, che non comprano il terreno su cui edificano. quelle opere di urbanizzazione la cui costruzione rientra nei compiti istituzionali dell'ente pubblico Comune. Sulla questione sin qui esaminata non constano precedenti pronuncie della Corte di Cassazione. Sulla questione invece di cui all'ultima partedella massima che si commenta, la Corte regolatrice si gi pronunciata in senso conforme nella sentenza 19 gennaio 1963, n. 70 (Giust. civ. 1963, I, 536; Mon. trib., 1963, 892 con nota di SALAFIA), affermando il principio di diritto per cui l'agevolazione di che trattasi spetta solo nel caso in cui l'impegno di attuazione del piano regolatore sia assunto dall'ente o dal privato (acquirente dell'immobile) verso il Comune e non anche se tale impegno venga assl.lnto verso altri privati. In ordine alle condizioni per l'applicazione dell'agevolazione di che trattasi, possono segnalarsi la sentenza della Corte di Appello di Milano, 17 gennaio 1961, Finanze c. Soc. Casa della Scienza e della Tecnica (Giust. civ., 1961, I, 1289) e le decisioni della Comm. Centr. 9 giugno 1959, n. 17748 "(Riv. leg. fi,sc. 1960, 1426) e 8 febbraio 1954, n. 57095 (Riv. leg. fi,sc. 1954, 1173). Che la analoga agevolazione prevista dalla legge 19 febbraio 1934, n. 433 relativa al piano regolatore di Milano non possa essere concessa, in base ai principi generali in tema di tributo di registro, per un contratto di permuta, stato affermato dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 2150 del 20 giugno 1958 (Foro It., 1958, I, 1814). F. FAVARA 156 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Il rilievo non esatto, perch l'art. 23 della legge urbanistica prevede il sistema della riedificazione per comparti (normalmente usato nella pratica), mediante il quale il Comune, qualora i proprietari non provvedano direttamente alle opere previste dal piano regolatore, procede, previa espropriazione, all'assegnazione del comparto da riedificare con una gara indetta tra i proprietari espropriati o, occorrendo, tra tutti i terzi interessati. Non difficile identificare in coloro che acquistino alla gara i terreni facenti parte del comparto da edificare i destinatari pi ovvi del beneficio fiscale previsto dalla seconda parte della legge n. 666 del 1943, trattandosi appunto di persone che non appaltano i lavori spettanti al Comune, ma da questo acquistano il terreno per edificarci in luogo ed in vece del Comune stesso. (Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 25 ottobre 1965, n. 2231 -Pres. Fibby -Est. Roperti -P. M. Pedote (conf.) -Ministero Finanze (avv. Stato Masi) c. Consorzio Bonifica Osa Albegna (avv. Cortesi). Imposta di registro -Opere di bonifica -Atti stipulati dai Consorzi di bonifica aventi ad oggetto lavori di riparazione e manutenzione I delle opere di bonifica idraulica -Agevolazioni tributarie -Ap I ' plicabilit. I (t. u. 13 febbraio 1933, n. 215, art. 88; t. u. 30 dicembre 1923, n. 3256, artt. 66, 67). ~ ' Ai sensi deU'art. 88 del t.u. 13 febbraio 1933, n. 215, godono deHe I ' Iagevolazioni tributarie sia gii atti che hanno per oggetto l'esecuzione di opere originarie di bonifica idraulica, sia gii atti che hanno per oggetto opere di riparazione e manutenzione deUe stesse, concorrendo entrambe aHa realizzazione deUe finalit specifiche deHa legge che ha io scopo non solo di favorire la creazione di opere di bonifica, ma anche I di conservarle e mantenerle in efficienza (1). ~ (Omissis). I Con unico mezzo di annullamento la Amministrazione ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 88 del t.u. 13 febbraio 1933, n. 215, degli artt. 33, 56, 66 del t.u. 30 dicembre 1923, n. 3256, in relazione agli artt. 9, 17, 24, 104 t.u. 30 dicembre 1923, nu( 1) Ancora in tema di opere di bonifica. gi apparsa su questa Rassegna, 1957, 197, a commento di una sentenza del!la Corte di Appello di Catania, una breve nota avente sostanzialmente lo scopo di faxe il punto sulilo stato delila dottrina e della giuri ~; sprudenza riguardanti il regime fiscale in materia di bonifica; ma all'ultima delle conclusioni al:le quali si era allora pervenuti (pagg. 199-200), si op I pone oca la recente decisione della S. C. in esame: la quale per ha con I ~? fermato -per altro verso -alcune affermazioni di principio rilevanti sia ~ ::,.,,':.. ,u:.~.r:~:==~:::=:~'.::~:;:'.~:::~::,.:_~~.::~~=::~:~;~:rn:..~=~::,::"'"~ PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 157 mero 3256; 4 e 6 legge 24 dicembre 1928, n. 3134 in relazione all'articolo 360, n. 3 c.p.c.; omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione, omesso esame di punto decisivo in relazione all'art. 360, n. 5 c.p.c. In particolare si sostiene che la Corte di Appello ha errato nel ritenere che il privilegio oggettivo spettante alle opere di bonifica idraulica e di sistemazione montana si estenda anche ai lavori di manutenzione e riparazione delle opere stesse. Dette opere godono del privilegio soggettivo se ed in quanto ne gode il Consorzio stipulante, ma non godono del privilegio oggettivo che limitato alle opere di bonifica di prima categoria tra cui non rientrano quelle di manutenzione. Il mezzo infondato. Come noto l'art. 88 del t.u. 13 febbraio 1933, n. 215 sulla bonifica integrale, pur avendo sottoposto al normale trattamento tributario tutti gli atti compiuti in materia di bonifica integrale, ha tuttavia mantenuto in vigore i privilegi tributari stabiliti nelle leggi anteriori sia a favore dei Consorzi (privilegio soggettivo) sia a favore delle opere di bonifica idraulica e di sistemazione montana da chiunque eseguite (privilegio oggettivo). Da ci deriva che ai fini dell'individuazione ed applicazione di detti benefici (registrazione degli atti a tassa fissa) bisogna richiamarsi alle norme della legislazione 'nteriore. Ora mentre il privilegio soggettivo disciplinato dalle norme cui agli art. 66 e 67 del t.u. 30 dicembre 1923-, n. 3256 e 8 della ta' ali. B alla legge di registro ed soggetto al limite temporale decen 'liti dello specifico argomento della bonifica, sia agli effetti della -~gistro in generale. "(;lassazione ha infatti ribadito l'esigenza della distinzione tra '?iettivo ed obiettivo, necessaria al fine di una corretta applica ~vo1azioni fiscali in genere, e nella specie non disconoscibile 'I -al chiaro dettato della legge speciale (art. 88 t. u. 1933; ''-1923). Ha altresi ribadito ehe i .privilegi medesimi spet -~mbito dell'originario concetto di bonificazione delle 'litato cio alla legislazione anteriore al t. u. 1933 sulla (Ca:ss. 17 giugno 1959, n. 1886; Cass. 27 luglio 1965, " Jl'mai ddvenuto fermci quello delia applicabilit del-..., legge del registro, e della conseguente limitazione tempo.: dnio) di ogni privilegio subiettivo, anche a quei benefici fiscaAi in voci delle ta!t'iffe allegate alla legge organica: con ci con., (Cass. 22 ottob:re 1958, n. 3391) la fondatezza della tesi dell'Avvo,., con la quale si era .sostellJUto -non senza suscitaTe dissensi -che ' -29 cit. valeva appunto a limitare nel tempo 'l'efficacia del favore tri. rutario accordato non soltanto con leg~ speciali. 3) Rilevante altres l'ultima parte della sentenza in esame, la qualeha ripudiato la tesi sostenuta nell'interesse della p. a., affermando sostanzialmente che non pu pa:rlal'sd comunque di lavori di manutenzione fino a quando non sia sopravvenuta la dichiarazione ministeTiale dd ultimazione dei lavori di bonifica e q.uesti non siano stati di conseguenza consegnati al Consoo-zio per la manutenmone. L'aspetto negativo di questo capo della pTonuncia sta in ci: che tutti i relativi atti e contratti continuerebbero a godere del privilegio obiettivo, -anche se le opere di bonifica siano ulltimaite di fatto ma non ancora ufficialmente dichiarate tali. Essendo notodo che quasi sempre un lungo lasso di tempo intercorre tra l'ultimazione effettiva ed il funzionamento delle opere, e l'emanazione del relativo provvedimento ministeriale di affidamento al Consorzio, ci comporterebbe la sottrazione W%.fWf4fuf7t.W%'..4.E'ft:tf:f%fy~--.ff%Mfn$ff%.fffiVff..-Z@rflWf.fffe.[9'9."4tfWi@!-#.i@fff.'iff&.f$lfif@fj ~ 158 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO nale dell'art. 29 della stessa legge di registro, il privilegio oggettivo resta sempre in vigore e poih esso a norma dell'art. 88 del citato t.u. n. 215 del 1933 non applicabile a tutte le opere di bonifica, ma soltanto alle opere di bonifica idraulica e di sistemazione montana, classificate di prima categoria e, di conseguenza, a totale carico dello Stato, occorre dimostrare, per dedurne l'applicabilit del privilegio, che le opere di cui trattasi appartengono a quest'ultima categoria. Nella specie non si dubita che si verte in tema di bonifica idraulica quale quella di OSA Albegna e, partendo da questo presupposto certo, la Corte di merito ha ritenuto competere al Consorzio di bonifica il trattamento tributario di favore sotto il profilo oggettivo in quanto l'atto registrato riguarda opere di bonifica rientranti nella seconda parte del secondo comma dell'art. 88 del t.u. 13 febbraio 1933, n. 215. Sostanzialmente la Corte di Bologna ha considerato che le opere, oggetto dello appalto, anche se di riparazione e di manutenzione dell'opera pubblica di bonifica idraulica, godono della agevolazione fiscale in quanto la legge non distingue tra opere originarie di bonifica idraulica ed opere di riparazione e manutenzione delle stesse, concorrendo entrambe alla realizzazione delle finalit specifiche della legge che mira evidentemente non solo a favorire la creazione di opere di bonifica, ma anche a conservarle e a mantenerle in efficienza. alla normale imposta di un cospicuo numero di contratti (in genere di finanziamento e di appalto). Resta inoltre da considerare -relativamente ail caso deciso -se la Cassazione ormai orientata per il rigetto del ricorso dell'Amministrazione, non siaisi impegnata in una affermazion.e criitica~ile anche ?-al punto ~i vista processuale dell'onere probatorio. C1 ~embra mfatti che i:1 S. p. fa.cc1a carico alla Finanza di non aver dimostrato in causa .che le opere d1 borufi.ca dei cui lavol'li di manutenzione trattavasi, erano gi state oggetto di riconoscimento ministeriale di ultimazione. 4) Afl'argomento che precede si. allaccia strettamente ?n ~ltro punto -il pi grave -della decisione m ras~gna, .che non ir1teruamo poss~ venire condiviso: non solo per una questione di fondo ma anche perche foriero di conseguenze imponenti per rilievo econo~co. . Se per avventura l'orientamento della S. C. rimanesse fermo, diverrebbe irrilevante, agli effetti fiscali, anche la ~OI1;Si~er!'2'ione sopra :sposta sub 3), perch irrilevante ~ebbe ~p~unto. ogm d~s~1nzi<;>ne tr~ lav?r1 a.~tecedenti e lavori susseguenti fa d1ch1acraz10ne m1ruster1ale d1 ultimazione delle opere di bonifica idraulica. Tutti i lavori di manutenzione, infatti, secondo la sentenza (ch7 ?On -~ trasta con l'orientamento assunto della giwrisprudenza della Comnuss10!1;e Centrale) rientrano nel privilegio obiettivo ex art. 33 t.u. 19.23: perch-dice il s. c.'-l'interpretazione restrittiva propugnata.dalla Fma~za_non ad~: rente alla legge perch anche i lavol'i di manutenzlone sono indispensabili alla funzionalit delle opere di bonifica; perch lo stesso t .. u. 1923. preved: all'art. 9 (che parla delle opere eseguibili media:i;te concessione) dei lavori sostanzialmente classificabili come di manutenzion~.. . . . Sarebbe bastato spingere un po' pi a fondo 1indagine per discopr1re la debo1ez2)a di .consimili affermazioni. . . . Il t. u. 1923 prevede al Titolo I le opere di bonifica e ne d1sc1i>lma le modalit di progettazione e di esecuzione( airtt. 1 a 55); mentre parla della loro manutenzione ed eser.cizio soltanto nel Titolo III (~rtt: 102 e .segg.). L'art. 33 che prevede il privilegio obiettivo -incluso, qumd1, nel T1t. I PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 159 Cos giudicando la Corte di merito ha fatto corretta applicazione della norma non sembrando che la interpretazione restrittiva, propugnata dalla Finanza, sia aderente alla lettera ed allo spirito della legge. Poich la legge all'art. 88 parla di opere di bonifica in genere, nessun dubbio che in esse siano da comprendere anche le opere di riparazione e manutenzione delle stesse, non essendo esse meno importanti e necessarie delle opere destinate all'attuazione dell'originario piano di bonifica. Trattandosi, come nella specie, di opere di canalizzazione, esse perderebbero tutta la loro funzionalit se non venissero assoggettate a quei lavori di manutenzione e di riparazione che sono necessari per tenerle in efficienza, posto che un'opera di bonifica resa non funzionale per mancata manutenzione sarebbe come se non esistesse. Appare pertanto esatto il criterio interpretativo adottato .dall'impugnata sentenza dovendosi ritenere che nella norma dell'art. 88 il legislatore abbia voluto includere anche i lavori di riparazione e di manutenzione, stante la stretta e necessaria connessione tra questi ultimi e le opere di esecuzione. testualmente recita: ai concessionaa.-i di opere di bonifica di prima categoria si applicano le disposizioni degli artt. 65 e 66 del presente t. u .. Tutto sta dunque a vedere se tra le opere di bonifica di I categoria eseguibili mediante concessione, rientrano anche i lavori di manutenzione. Gi l'espressione legislativa: opera di bonifica (aa.-tt. 2 e segg.; art. 88 t. u. 1933) dmplica, dal semplice punto di vista lessicale, un concetto diverso dall'altra: (lavori di) manutenzione (aa.-tt. 103 e segg.); e non vediamo come la Cassazione abbia potuto affermare che e i lavori di sistemazione degli alvei e di arginazione dei corsi d'acqua in pianura (art. 9, lett. c), nonch le opere occorrenti ad assicurare il grado di umidi1: necessaria per le colture e il movimento delle acque nei canali (art. 9, lett. d), debbano ritenersi in sostanza lavori di manutenzione: e ci non solo perch ci semb:ra chiaro trattarsi invece di lavori di primo intervento in zone pianeggianti attraversate da corsi d'acqua da irregimentare onde assicurare lo stabHe risanamento e la coltivabilit delle terre; ma anche e sopratutto perch -sotto un profilo di stretta ermeneutica -queste previsioni del Tit. I della legge non possono che riguardare soltanto e certamente i progetti di costruzione di opere di bonifica, poich non vi ancora luogo a parlare della disciplina della loro manutenzione che la corretta sistematica del t. u. rimanda ad un momento successivo alla loro ultimazione (Tit. III della :legge). Di pi: posto il principio che il privilegio obiettivo spettante alle opere di bonifica di I cat. si attua a vantaggio dei concessionari di esse (art. 33 cit.}, ne discende ineluttabile ila conclusione che oggetto della concessione non possono che essere soltanto quelle opere e quei lavori la cui esecuzione riservata alla competenza dell'Amministrazione dell'Agricoltura e delle Foreste e da questa, appunto, data in concessione a terzi (la stessa Cassazione aveva gi affermato che il privilegio obiettivo riguarda le opereche possono essere eseguite in concessione: 8 ottobre 1958, n. 3156 e 3157). Orbene, i lavori di manutenzione non possono formare oggetto di concessione per il'assorbente ragione che essi sono gid di esclusiva competenza dei consorzi (artt. 103 e 104), a meno che un consorzio non esista e non possa costituirsi (art. 105). Pe:rtanto non previsto da questa parte del t. u. intervento alcuno dell'Amministrazione dell'Agricoltura e delle Foreste n mediante concessione n altrimenti, salva facendosi -tutt'al pi, in determinate circostanze ed in base a particolari disposizioni -la mera ipotesi di un eventuale concorso finanziario alla spesa per la manutenzione da parte JS 160 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO N giova richiamarsi -come fa l'Amministrazione Finanziaria all'art. 9 del t.u. 30 dicembre 19213, n. 3256, perch tale norma non fa che confermare l'ambito di applicazione del privilegio oggettivo, ritenuto dalla Corte di merito, dal momento che tra le opere di bonifica la norma stessa prevede alle lettere e) e d) anche lavori sostanzialmente classificabili come di manutenzione. Non sono del pari invocabili le norme di cui agli art. 56 e 78 del t.u. n. 325,6 del 1923 secondo cui la manutenzione delle opere di bonifica di prima categoria spetta ai consorzi ai quali l'Amministrazione d in consegna le opere eseguite a mano a mano che siano ultimate (art. 104), perch nella specie non risulta che sia ancora intervenuta la apposita dichiarazione ministeriale di riconoscimento dell'ultimazione delle stesse, onde le spese di manutenzione non possono gravare sui proprietari interessati. (Omissis). defila p. a. -La Cassazione aveva gi del resto confermato (25 gennaio 1953, n. 208, Giur. 00. PP. 1953, II, 35) che le spese per la manutenzione gravano -proporzionalmente -sui proprietari consorzdsti. La tesi disattesa dalla Cassazione dunque frutto di interpretazione della norma non restrittiva, bensi correttamente conseguente al sistema della legge. N infine -dal punto di vista finalistico -la motivazione del:la decisione si sorregge, in quanto scopo della legge speciale quello di facilitare l'esecuzione di apere di bonifica che operino la prima, necessaria trasformazione delle tea:-re paludose; ma quando la spinta iniziale stata ormai data, l'ulteTiore impulso per la manutenzione e la continua efficienza di quanto stato fatto compete diK"ettamente ai proprietari consorziati i quali traggono dalla nuova vita delle loro terre sia interesse personale e diretto a curare i lavori necessari alla conservazione del complesso loro affidato dallo Stato, sia vantaggio finanziario dallo sfruttamento delle nuove fonti di reddito e di lavoro. Ed aLlora legge economica che siano i redditi di tale lavoro (o meglio, quota parte di essi) a dover venire reinvestiti per la efficiente conservazione nel tempo di quel capitale che costitudsce la base del nuovo ciclo produttivo. D'altra parte, poich all'interesse della co11ettivit (e dunque, dello Stato) si sovrappone e si sostituisce ben p!l'esto il prepond&ante, diretto, tangibile interesse dei singoli, evidente che la Pubblica Amministrazione limiti il proprio intervento a quelle sole opere -di tutto il complesso dei lavori occorrenti all'attuazione di quel vasto, e diremmo onnicomprensivo, concetto qruale oggi quello della bonifica inte~ale --che ne costituiscono il pi profondo e vitale substrato, il tessuto connettivo: a quelle opere primigenie e basilari che la tecnica della bonificazione aveva indicato gi al legislatore del secolo scorso, e che erano state fissate nel nostro diritto positivo con la nota legge del 30 dicembre 1923, n. 3256. Ecco perch il nuovo t. u. 1933, se da un lato assoggetta all'ordinario trattamento fiscale gli atti compiuti da consorzi ed esecutori di opere di bonifica integrale, dall'altro tiene ferme le agevolazioni gi concesse ai consorzi ed agli esecutori delle opere di bonificamento delle paludi (c. d. bonifica idraulica stricto sensu). Ed in questa stessa ragione che va ricercato il fondamento. del perch il privilegio subiettivo spettante ai consorzi di bonifica viene limitato ad un decennio dalla lmo costituzione; ad un lasso di tempo, cio, largamente sufficiente a permettere ai proprietari consorziati di cominciare a raccogliere i frutti nascenti dall'investimento produttivo del capitale concesso dallo Stato. F. DE LUCA. ' I "' ! I ' I I I PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 161 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 9 novembre 1965, n. 2345 -Pres. Pece -Est. Roperti -P. M. Cutrupia (conf.) -Consorzio Autonomo del porto di Genova (avv. Ukmar e Cavallo) c. Ministero Finanze (avv. Stato Coronas). Imposte e tasse in genere -Commissione tributaria -Procedimento davanti alla Commissione Centrale -Ricorso in Cassazione ex art. 111 Costituzione -Contribuente vittorioso dinanzi alle Commissioni -Interesse a ricorrere -Insussistenza. (Cost., art. 111). Imposte e tasse in genere -Commissione tributaria -Procedimento davanti alle Commissioni -Decisione della Commissione Centrale Ricorso in Cassazione ex art. 111 Costituzione -Azione giudiziaria ex art. 120 r. d. 11 luglio 1907 n. 560 -Autonomia funzionale. (Cost., art. 111; r. d. 11 luglio 1907, n. 560, art. 120). Poich l'esercizio del diritto di impugnazione condizionato dalla esistenza di un interesse giuridicamente apprezzabile a proporla, che sussiste quando da una determinata pronuncia possa derivare alle parti un concreto pregiudizio, difetta di interesse -ad impugnare in Cassazione una decisione della Commissione centrale -la parte che sia riuscita sostanzialmente vittoriosa nella precedente fase, anche se ii rigetto delle istanze avversarie sia fondato su ragioni di diritto diverse da quelle dedotte a propria difesa dalla parte vittoriosa (1). It procedimento davanti alla Corte di Cassazione, a seguito di ricorso ex art. 111 Costituzione, avverso la pronunzia della Commissione centrale delle imposte, costituisce una prosecuzione del procedimento svoltosi innanzi agli organi di giustizia amministrativa tributaria. Sussiste, invece, autonomia funzionale fra il processo giurisdizionale tributario e quello proposto ex novo in primo grado dinanzi alla autorit giudiziaria, nei sei mesi della definizione del processo amministrativo tributario. Pertanto, la questione della tempestivit o meno dell'azione ex novo proposta dinanzi al giudice ordinario non pu essere introdotta, direttamente o indirettamente, dinanzi alla Corte di Cassazione in sede di ricorso ex art. 111 della Costituzione, spettando la decisione di tale questione unicamente al giudice investito con l'azione ex novo (2). (1) Il principio di cui alla prima massima trovandosi enunciato, con espressioni praticamente identiche, nelle precedenti sentenze del 14 maggio 1963, n. 1197, Brissolese c. Cassanello, e 9 aprile 1965, n. 628, Ente Valorizzazione del Fucino c. Saturno, deve considerarsi pacifico. tuttavia oppOII'tuno soggiungere che con sentenza 5 novtmbre 1963, n. 3083, Piazza c. Campo (Giur. it., 1964, I, 1. 143), stato precisato che all'accertamento dell'interesse ad agire deve provv.edeve d'ufficio la stessa Cocte cui compete l'indagine preliminare cir.ca l'ammissibilit o meno del ricmso. (2) La seconda massima ribadisce la duplice funzione attribuita alla Autorit Giudiziaria Ordinaria nella vigente sistematica del contenzioso tributario: in alcuni casi, infatti, il procedimento dinanzi ad essa, introdotto 162 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (Omissis). L'amministrazione finanziaria solleva, in via pregiudiziale, la eccezione di inammissibilit del ricorso principale del Consorzio Autonomo del Porto di Genova per difetto di interesse di detto Consorzio a propol'lo. Deduce essa Amministrazione che, avendo la Commissione provinciale delle imposte respinto l'appello dell'ufficio avverso la decisione della Commissione distrettuale che aveva dichiarato non tassabili a carico del Consorzio i redditi accertati dall'ufficio, ed avendo, questo ultimo, del tutto soccombente, rinunciato al proprio ricorso innanzi la Commissione Centrale, il Consorzio, restato totalmente vittorioso, era carente di interesse a proseguire il giudizio davanti a questa Corte di Cassazione, a sensi dell'art. 111 della Costituzione, pur avendo la Commissione centrale con la definitiva decisione del 9 novembre 1962 respinto il ricorso incidentale del predetto Consorzio. L'eccezione fondata. risaputo che l'esercizio del diritto di impugnazione condizionato dalla esistenza di un interesse giuridicamente apprezzabile a proporla e che tale interesse sussiste quando da una determinata pronuncia possa derivar,e alle parti un concreto pregiudizio. Ora, evidente che difetta l'interesse all'impugnazione nella parte che sia riuscita sostanziamente vittoriosa nella precedente fase, anche se il giudice, nel rigettare le istanze avversarie, si sia fondato su ragioni di diritto diverse da quelle dedotte dalla parte vittoriosa a propria difesa. Posti questi principi, ripetutamente ribaditi da questa Corte regolatrice, non vi dubbio che il Consorzio, essendo riuscito pienamente vittorioso nel merito per essere stato annullato l'accertamento tributario effettuato nei suoi confronti dall'ufficio delle imposte di Genova, non poteva impugnare, in via principale, la decisione della Commissione Centrale del 9 novembre 1962, che aveva respinto il ricorso incidentale di esso Consorzio. I con un vero e proprio ricorso ., costituisce una prosecuzione di quello svoltosi dinanzi alle Commissioni delle imposte: in altri, invece, trattasi di azione giudiziaria funzionalmente autonoma rispetto ad un processo amministrativo tributario ormai definito. II La fattispecie in esame, decisa sulla scorta di precedenti della stessa Corte (10 agosto 1961, n. 1949, Finanze c. Gambino, Riv. teg. fi,sc., 1962, 286; 6 febbraio 1961, n. 242, Massa c. Finanze, Riv. leg. fi,sc., 1961, 1022), non esaurisce, peraltro, le i.potesi del prri.mo tipo. Infatti 'le Sezioni Uni.te, con sentenz,a 6 ottobre 1962, n. 2828 (Perrier c. Finanze, Rass. Avv. Stato, 1963, I 44), hanno !ritenuto che anche il ricorso ex art. 29, 3 comma r. d. 1. 7 agosto 1936, n. 1639, deve considerarsi come una fase ,eventuale del giudizio ammini., strartivo di accertamento dell'imposta e quindi come una fase ,del procedimento avanti le commissioni tributarie (conf., in motivazione, I Cass. Sez. Un. 17 luglio 1965, n. 1594, Finanze c. Cammarata e Taocmina, Rass. Avv. Stato, 1965, I, 1070). iDiverse sono peraltro le :ragioni che, nei due casi, g,iustificano \la cennata configurazione del ricorso al giudice ordinario. ~ Nel primo, infatti, l'inteo:-vento della Cocrte Suprema deriva dall'esi! I f genza, consacrata neH'art. 111 Cost., di assicurare, nei confronti della ! ----IIi PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 163 E ci perch il vincitore, anche se siano state disattese alcune sue eccezioni ed abbia avuto ragione per altra via, non pu proporre impugnazione in via principale. Egli pu avere solo interesse a riproporre le dette eccezioni al giudice della impugnativa, adito in via principale dalla controparte. Il Consorzio ha dedotto che, nella specie, l'interesse di esso Consorzio al presente ricorso avverso l'impugnata decisione della Commissione centrale sarebbe fornito dal particolare che qualora la predetta decisione (come a suo tempo sostenuto dal Consorzio con il proprio ricorso incidentale in quella sede) avesse dichiarato inammissibile l'appello della Finanza alla Commissione provinciale avverso la decisione della Commissione distrettuale, quest'ultima decisione sarebbe passata in cosa giudicata; sicch l'azione innanzi al giudice ordinario (Tribunale di Genova) promossa dalla Finanza con la citazione 16 novembre 196,2 sarebbe -a giudizio di esso Consorzio -improponibile perch proposta oltre il termine di sei mesi, di cui all'art. 120 r.d. 11 luglio 1907, n. 560. E cio, in sintesi, il Consorzio vorrebbe ricavare il proprio interesse allo odierno ricorso in Cassazione dalla asserita influenza che l'esito di detto ricorso dovrebbe avere sulla tempestivit o meno della azione promossa dalla Finanza, per la stessa pretesa tributaria, innanzi al giudice ordinario, a seguito della rinuncia, effettuata dalla Finanza, al proprio ricorso innanzi la Commissione centrale. L'assunto del Consorzio non pu essere condiviso e va ribadita la inammissibilit, per difetto di interesse, del ricorso del Consorzio in Cassazione, di cui qui si discute. A contrastare la riassunta tesi del ricorrente sufficiente richiamare e rilevare schematicamente, che: a), il procedimento presso questa Corte Suprema, a seguito del ricorso ex art. 111 Cost., avverso le pronunzie della Commissione Centrale per le imposte, non che una prosecuzione del procedimento svoltosi innanzi agli organi di giustizia tribu 't1S10tne tenninale del ciclo giurisdizionale speciale, il pieno controlilo 'gittimit demandato appunto aJ.la Oassazdone; nel secondo, invece, deve ~~a!rsi un'eccezione al fondamentale principio, 'sancito nell'art. 6 della ~O maTzo 1865, n. 2248 aJ.1. E e disposizioni successive, secondo cui le .ni di estimazdone semplice sono devolute all'esclusiva competenza giudici speciali; eccezione confermata dai limiti del potere attribuito "'fil'A. G. O. che, come noto, pu solo sindacall'.'e la legittimit della decisione della Commissione, ma non decidere i!I. merito della vertenza. Dal riaffermato principio dell'autonomia funzionale dell'azione giudiziaria p!roposta ex novo, entro iil termine dii legge deco11re:Q.te dalla definizione del processo amministrativo tributario (conf. Cass. 6 dicembre 1963, n. 3111, Duse c. Finanze, Rass. Avv. Stato, 1964, I, 168), la Corte ha dedotto l'ineccepibile CO!rOllaTio che 1J.e questioni concernenti l'ammissibHit e la propon~bilit di essa a:i;ione debbono essere dedse dal giudice che ne investito. Il che, evidentemente, non esclude il controllo, da parte della Corte Suprema, della tempestivit dell'azione giudiziaria in discorso, purch rkhiesto, in sede di .impugnativa 'Secondo le norme de[ codice di rito, nell'ambito del IllUovo giudizio, diver,so e distinto da quello vertito dinanzi alle Commissioni tributarie. R. SEMBIANTE 164 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO taria (sent. 242 del 1961 di questa stessa Sezione); b) sussiste autonomia funzionale tra il processo giurisdizionale tributario e quello innanzi al giudice ordinario (Sez. Un. n. 128 del 1957 e n. 133 del 1963). Di qui la conseguenza che la tempestivit dell'azione proposta (dal contribuente o dalla Amministrazione finanziaria), innanzi al giudice ordinario, al fine di fare accertare la legittimit o meno della pretesa tributaria della Finanza, deve essere controllata dallo stesso giudice ordinario, la cui decisione sar suscettibile dei normali gravami, tra questi incluso il ricorso per cassazione. Consegue, ancora, che non pu essere anticipata, direttamente o indirettamente, in sede di ricorso per Cassazione (ex art. 111 della Costituzione) dalla decisione della Commissione centrale per le imposte, la discussione sulla tempestivit o meno della possibile e distinta azione ex novo (del contribuente o della Finanza) innanzi al giudice ordinario per la stessa pretesa tributaria. E tale anticipazione non possibile anche perch (come gi notato con la menzionata sentenza delle Sezioni Unite n. 128 del 1957) la posizione della Corte Suprema di Cassazione non consente una duplicit di giudizio di legittimit, da parte di essa Corte Suprema, sulla stessa questione (nella specie, sulla tempestivit o meno dell'azione gi promossa dalla Finanza per la stessa pretesa tributaria, innanzi al Tribunale di Genova ove il relativo processo tuttora pendente). (Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 30 dicembre 1965, n. 2494 -Pres. Scarpello -Est. Giannattasio -P. M. Di Majo (conf.) -Ministero Finanze (avv. Stato Mataloni) c. Societ Zuccherificio di Avezzano (avv. Rufini). Imposta di negoziazione -Valutazione di titoli non quotati in borsa Decisioni della Commissione provinciale delle imposte, sezione speciale -Ricorso all'Autorit giudiziaria ai sensi dell'art. 29, terzo comma, del d. 1. 7 agosto 1936, n. 1639 -Ammissibilit. (d. 1. 25 maggio 1945, n. 301, art. 1; r. d. 15 dicembre 1938, n. 1975, art. 10; d.l. 7 agosto 1936 n. 1639, art. 29). Imposte e tasse in genere -Imposte indirette -Controversie di valutazione -Decisioni della Commissione provinciale -Vizio logico di motivazione -Non deducibilit con azione giudiziaria ex art. 29, terzo comma, d. 1. 7 agosto 1936 n. 1639 -Deducibilit con ricorso per cassazione, ex art. 111 Costituzione. (Cost., art. 111; d.l. 7 agosto 1936, n. 1639, art. 29). Le decisioni della Commissione provinciale delle imposte, sezione speciale, in tema di valutazione di titoli non quotati in borsa, ai fini dell'imposta di negoziazione, sono impugnabili dinanzi all'Autorit PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 165 giudiziaria ordinaria per grave ed evidente errore di apprezzamento o per mancanza o insufficienza di calcolo, ai sensi dell'art. 29, terzo comma, del d.l. 7 agosto 1936, n. 1639 (1). Il vizio logico di motivazione delle decisioni delle Commissioni provinciali delle imposte, in tema di valutazione, non denunciabile col ricorso all'Autorit giudiziaria, ai sensi dell'art. 29, terzo comma, del d.l. 7 agosto 1936, ma soltanto deducibile col ricorso in Cassazione, proponibile a norma dell'art. 111 della Costituzione (2). L'imposta di negoziazione, ora abolita dagli artt. 26 e 27 della I. 6 agosto 1954, n. 603, era stata istituita con la remota 1. 21 aprile 1862, n. 588, come equivalente, per i titoli azionari ed obbligazionari, delle imposte di trasferimento relative agli altri beni mobili. Per i titoli quotati in borsa, la base imponibile era data dal valore medio di borsa; per quelli non quotati era determinata da un certificato rilasciato da un sindacato di pubblici mediatori, divenuto in seguito comitato direttivo degli agenti di cambio. Anche dopo l'entrata in vigore della legge tributaria 30 dicembre 1923, n. 3280, detto certificato fu sempre ritenuto sottratto a qualsiasi impugnazione. Il regime dell'imposta di negoziazione sui titoli delle societ veniva per modificato con r.d.l. 15 dicembre 1938, n. 1975. La valutazione, da parte del comitato direttivo degli agenti di cambio (art. 4), diveniva in certi casi facoltativa, prendendosi, in difetto, per base, il valore nominale del titolo (art. 5) ed era ammesso in ogni caso reclamo ad un collegio peritale centrale (art. 9). Contro le decisioni del Collegio peritale non era ammesso alcun gravame, n in sede amministrativa, n in sede giudiziaria (art. 10). (1) In ordine all'impugnabilit -ai sensi dell'art. 29, terzo comma, del d.l. 7 agosto 1936, n. 1639 -delle decisioni della Commissione provinciale, sezione speciale, in tema di valutazione di titoli non quotati in borsa, ai fini della ora soppressa imposta di negoziazione, le Sezioni Unite confermano il proprfo precedente orientamento (sent. 15 gennaio 1960, n. 21, Finanze-soc. Edil Spes, Giust. Civ., 1960, I, 233), rispetto al quale si vedano le osservazioni contenute nella Relazione deH'Avvocatura dello Stato, 1956-60, II, 667 ss. Argomento ritenuto decisivo, anche nell'attuale incontro, per la conclusione di ammissibilit dell'impugnativa delle decisioni, dinanzi al giudice ordinario, per grave ed evidente errore di apprezzamento o per mancanza o insufficienza di calcolo, quello desunto dall'art. 1 del d.l. 25 maggio 1945, n. 301, col quale, stabilendosi la competenza delle Commissioni, in sostituzione di quella del Collegio peritale previsto dall'art. 9 del r.d. 15 dicembre 1938, n. 1975, nelle controversie di valutazione in discorso, si faceva rinvio, per il funzionamento delle commissioni stesse e ...le decisioni in materia... , alle disposizioni del citato d.1. 1639 del 1936; il quale rinvio, secondo la Corte Suprema, non essendo altrimenti limitato, deve ritenersi fatto anche alle disposizioni concernenti i mezzi di impugnazione delle pronunce richiamate. Ma sembra potersi osservare, in contrario, ed in primo luogo, che il richiamo pu intendersi riferito alle sole norme relative al procedimento, come pu dedursi anche dal rilievo che un parallelo rinvio era fatto, dal 166 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Una ulteriore riforma della disciplina legislativa dell'imposta di negoziazione si aveva con il d.l. 5 settembre 1947, n. 1173, modificato con 1. 12 marzo 1948, n. 326, ma il nuovo sistema non entr mai in vigore, perch l'applicazione ne fu ripetutamente differita. Occorre, perci, sempre riportarsi al ricordato r.d. 15 dicembre 1938, n. 1975, le cui disposizioni, peraltro, furono integrate dal d.l. 25 maggio 1945, n. 301. Quest'ultimo, nel devolvere temporaneamente ad una speciale sezione della Commissione provinciale delle imposte la competenza gi attribuita ai collegi peritali in materia di imposta di negoziazione, stabiliva nel comma quarto dell'art. 1 che per il funzionamento della Commissione e le decisioni in materia ... si osservano le disposizioni di cui al r.d.l. 7 agosto 1936, n. 1639 e del r.d. 8 luglio 1937, n. 1516 . Il rinvio, per quanto attiene al funzionamento delle commissioni e alle decisioni, al r.d.l. 7 agosto 1936, n. 1639, senza alcuna specificazione o limitazione, implica necessariamente il rinvio anche all'art. 29 di quel decreto, il quale, dopo aver determinato nel secondo comma quali sono gli organi competenti a decidere sulle controversie in materia di imposte indirette sui trasferimenti della ricchezza, che si riferiscono alla determinazione del valore, stabilisce nel terzo comma: Il giudizio delle commissioni provinciali sulle questioni di cui al comma precedente (cio sulla determinazione del valore) definitivo, salvo ricorso all'autorit giudiziaria per grave ed evidente errore dj apprezzamento ovvero per mancanza o insufficienza di calcolo nella determinazione del valore. Non appare dubbio, quindi, data la genericit e la chiarezza del richiamo, che la regola rigorosa dell'art. 10 l'art. 9 del citato r.d. 1975, per il Collegio peritale, alle disposizioni sul funzionamento della Commissione centrale, e come in via pi generale pu ritenersi in base alla considerazione che il rinvio in parola, per quanto ampio, non potrebbe comunque riguardare, in mancanza di ulteriori specificazioni, che le sole norme dell'ordinamento nel cui ambito si collocano le decisioni oggetto del richiamo, e cio soltanto quelle proprie del procedimento dinanzi alle Commissioni, e quindi con esclusione di quanto relativo all'azione giudiziaria, la quale, pur se avente carattere di impugnazione, nei casi di cui al terzo comma dell'art. 29 citato, non pu tuttavia dirsi strutturalmente inserita in quel sistema processuale. Ci posto, e poich lo stesso d.1. n. 301 del 1945, disponendo che la competenza del Collegio peritale era devoluta alle Commissioni, non altrimenti innovava al precedente sistema di cui al d.1. 1975 del 1938, l'articolo 10 del quale escludeva ogni gravame, anche in via giudiziaria, avverso le decisioni di quel collegio, non dovrebbero vedersi ostacoli per ritenere la ulteriore vigenza anche di tale norma, ovviamente da intendere riferita -~ ' alle decisioni del nuovo organo sostitutivamente investito della cognizione delle controversie di valutazione di cui si discute, e tanto dovrebbe anzi ritenersi in linea col sistema voluto e considerato dallo stesso legislatore del 1945, che una conforme esclusione da gravami, e proprio per le decisioni delle Commissioni, espressamente prevedeva (art. 4). Le Sezioni Unite hanno osservato che la non impugnabilit precisata dalla ricordata norma riguardava soltanto le decisioni relative alla valu PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 167 del d. del 1938 stata attenuata dal decreto del 1945., e che, in tema di determinazione del valore dei titoli non quotati in borsa, la valutazione annuale, ad opera del comitato direttivo degli agenti di cambio, era suscettibile di reclamo alla sezione speciale della commissione provinciale delle imposte e contro le decisioni di questa era ammesso ricorso all'autorit giudiziaria ordinaria nei precisi limiti fissati dal terzo comma dell'art. 29 del d. n. 1639 del 1936. N giova, in contrario, far richiamo al secondo comma dell'art. 4 del ricordato d. 25 maggio 1945, n. 301, il quale esclude ogni possibilit di gravame, in sede amministrativa o giudiziaria, contro le determinazioni delle competenti commissioni provinciali delle imposte, perch questa disciplina specifica, com' detto espressamente nel primo comma dell'art. 4 e come dato rilevare dal coordinamento tra le varie disposizioni del d. n. 301, riguarda la valutazione delle commissioni provinciali aventi per oggetto le valutazioni eseguite in conformit degli articoli 2 e 3, e questi due articoli riguardano soltanto i titoli azionari quotati in borsa (art. 2) e le obbligazioni e gli altri titoli a reddito fisso quotati in borsa (art. 3) e non perci applicabile alle decisioni della Commissione provinciale emesse in base all'art. I, rispetto alle quali la facolt d'impugnativa avanti al giudice ordinario, e nei limiti indicati, si desume dal coordinamento con le disposizioni del d. 7 agosto 1936, n. 1639. Nulla, poi, autorizza ad affermare che quando l'art. 1, quarto comma, del d. del 1945 richiama le norme del d. del 1936 per il funzionamento della Commissione provinciale e per le decisioni in materia, intenda riferirsi, per le decisioni, soltanto alle modalit delle tazione di titoli quotati in borsa, nei casi di cui ai precedenti articoli 2 e 3 '\el d.1. 301. Ed in proposito, per, sembra potersi rilevare: che per i titoli quotati regola era quella della determinazione dell'imponibile sulla base dei 'zi ufficiali di compenso, sicch restava esclusa la stessa competenza commissioni; che le disposizioni dei citati articoli 2 e 3, consentendo \ eccezionale, per la liquidazfone del tributo per alcuni specificati di richiedere l'applicazione dell'imposta in base al valore venale ...1i, anzich a quello ufficiale, coerentemente prevedevano la com~ nza delle Commissioni, per il giudizio su quel valore medesimo, e cio 1a competenza degli organi normalmente competenti nelle controversie di estimazione per i titoli non quotati, e cosi sostanzialmente evidenziavano che, una volta esclus quella che potrebbe dirsi la valutazione automatica, di ugual natura e portata sarebbe stata l'indagine valutativa, per i titoli quotati e per quelli non quotati; che, conseguentemente, la espressa esclusione anche del gravame giudiziario, disposta dal citato art. 4 del d.l. n. 301 del 1945, lungi dal potersi intendere in funzione di una peculiarit delle controversie ivi contemplate, appare piuttosto espressione di un principio considerato per tutte le controversie di valutazione, nella S'Oggetta materia, e pu costituire elemento di controllo della interpretazione innanzi vista, alla stregua del coordinato disposto dell'art. 10 del d.l. n. 1975 e dell'art. 1 del d.l. n. 301, in ordine alla non impugnabilit, ai sensi del terzo comma 168 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO deliberazioni ed alla forma delle decisioni e non anche al sistema delle . impugnazioni. Trattasi di una interpretazione restrittiva e arbitraria, , giacch il d. del 1936, nel titolo IV, non contiene soltanto la disciplina delle forme e delle modalit delle decisioni (di cui pi specifica re, IIgolamentazione nel r.d. 8 luglio 1937, n. 1516), ma anche quella delle impugnazioni, per cui il richiamo alle decisioni va inteso come richiamo all'intera disciplina di queste pronunce, ivi compresa la facolt del ricorso al giudice ordinario per grave ed evidente errore di apprezzamento ovvero per mancanza od insufficienza di calcolo nella determinazione del valore. Ad identica conclusione erano, del resto, gi pervenute queste Sezioni Unite, con la sentenza 15 gennaio 1960, n. 21, e con la successiva sentenza 13 ottobre 1960, n. 2689, non contradette dalle sentenze 10 ottobre 1961, n. 2225 e 3 maggio 1962, n. 858. Gli stessi criteri sono quelli che hanno guidato la Corte di merito nella sua decisione, la quale ha rilevato che la Commissione provinciale delle imposte, nella valutazione dei titoli si limitata ad una apodittica e non dimostrata attribuzione di valore alle azioni, incorrendo nella omissione di calcolo nella determinazione dei valori e cio proprio in uno dei vizi che la rende censurabile secondo la previsione del terzo comma dell'art. 29 del d. del 1936, in quanto, dalla motivazione, non possibile individuare l'iter logico-giuridico della Commissione e quali siano gli elementi di fatto sui quali stato impostato il calcolo a fini della determinazione dei valori imponibili. dell'art. 29 del d.l. 7 agosto 1936 n. 1639, delle decisioni delle commissioni relative ai titoli non quotati. Tale non impugnabilit, appena il caso di rilevarlo, non d luogo a pregiudizio dei diritti di difesa delle parti, poich le Commissioni, come noto, sono da ritenere organi di natura giurisdizionale, ed avverso le loro decisioni definitive, e perci non impugnabili dinanzi alla Commissione centrale, poi sempre ammesso il ricorso per cassazione, ai sensi dell'art. 111 della Costituzione: sul qual punto, cfr., tra altre, Cass., 10 ottobre 1961, n. 2225, soc. Vigo-Finanze, in questa Rassegna, 1962, 96; id., 3 maggio 1962, n. 858, soc. SIALVA-Finanze, Riv. Leg. Fisc., 1962, 1616. Per altre questioni (in tema di procedimento: natura dei deliberati dei Comitati degli agenti di cambio e condizioni per l'ammissibilit del gravame dinanzi alla Commissione provinciale), cfr. la recente Sez. Un., 2 ottobre 1965, n. 2072, soc. Imm. Agr.-Finanze, in questa Rassegna, 1965, I, 1251, con nota di A. ROSSI. (2) Decisione ineccep~bile. Il difetto di motivazione, quale vizio in procedendo, pu essere indubbiamente denunciato col ricorso in Cassazione ex art. 111 della Costituzione, ma non deducibile nel giudizio dinanzi all'Autorit giudiziaria ordinaria, quando non si risolva in uno dei vizi di cui all'art. 29, terzo comma, del d.l. 7 agosto 1936, n. 1639. Sul sindacat'O del giudice ordinario, nella soggetta materia, si veda la Relazione dell'Avvocatura dello Stato, 1956-60, II, 357; cfr., inoltre, L. CoRREALE, Limiti dell'impugnativa giudiziaria delle decisioni delle commissioni provinciali in tema di valutazione, in questa Rassegna, 1964, I, 169, in nota a Cass., 6 dicembre 1963, n. 3111. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 169 La sentenza impugnata rimprovera alla Commissione anche un vizio logico di motivazione, andando in tal modo al di l dei limiti 1ssati dall'art. 29, e di ci si duole l'Amministrazione ricorrente, os. servando che tale censura avrebbe giustificato, semmai, il ricorso diretto alla Corte di Cassazione, ai sensi dell'art. 111 della Costituzione. Il rilievo della ricorrente esatto, ma non pu portare alla cassazione della sentenza, perch la decisione di merito conforme al diritto -e si sorregge sugli esatti argomenti gi indicati. L'affermazione esuberante e non necessaria ai fini della pronuncia va considerata come non esistente, in forza dell'ius corrigendi ricono. sciuto alla Corte di Cassazione dal secondo comma dell'art. 384 c.p.c. -CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 4 gennaio 19-6.6, n. 44 -Pres. Pece Est. Arienzo -P. M. Di Maio (conf.) -Ministero Finanze (avv. Stato Masi) c. Laurent ed altri (avv. Romanelli). 1mposta di registro -Agevolazioni per gli atti di assegnazione di beni a soci da parte di societ immobiliari -Nozione di societ immobiliare secondo la legge 18 ottobre 1955 n. 930. (L. 18 ottobre 1955 n. 930, art. unico; 1. 6 agosto 1954 n. 603, art. 30). A norma dell'articolo unico della legge 18 ottobre 1955, n. 930, -ed ai fini delle agevolazioni fiscali ivi previste (anche con proroga del termine di applicacabilitd dei benefici previsti dall'art. 30 della legge 6 agosto 1954, n. 603) devono intendersi societ immobiliari anche quelle che abbiano proceduto, nel periodo edittale, alla costruzione di fabbricati, su aree a tal fine acquistate, quando la relativa attivit sia da ritenere diretta alla costituzione del patrimonio sociale e sia escluso -ogni intento speculativo (1). (1) La legge 18 ottobre 1955, n. 930 definisce societ immobiliari, per i fini da essa previsti (estensione e proroga di agevolazioni fiscali) le societ che negli ultimi cinque esercizi (anteriori all'entrata in vigore della legge .medesima) abbiano svolto una attivit limitata esclusivamente alla propriet ed alla gestione di beni immobili, anche se nell'atto costit:utivo siano .state previste operazioni di commercio, E poich chiaro, cosi, che non si vollero comprendere nella previsione normativa le societ che avessero .svolto attivit commerciale, nel periodo considerato, del tutto corretto da ritenere il criterio discretivo di base assunto dalla Cassazione, secondo cui l'attivit, non ostativa ai fini dei benefici fiscali, era soltanto quella a carattere non speculativo. Riserve debbono esprimersi, invece, quanto all'ulteriore specificazione -di cui alla sentenza in nota, la quale fa posto, per l'individuazione di quel carattere, ad un elemento finalistico soggettivo, cos considerando, con riguardo all'ipotesi di costruzione di fabbricati su aree a tale scopo acquistate, .che la relativa attivit pu anche essere attinente alla semplice propriet 170 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (Omissis). La ricorrente amministrazione, sotto il profilo della violazione e falsa applicazione dell'art. 30 legge 6 agosto 1954, n. 603 e dell'articolo unico della legge 18 ottobre 1955, n. 930, e dell'omessa e contraddit :& .-:-; toria motivazione, censura la sentenza impugnata per aver erronea ~ mente interpretato la norma che concede l'agevolazione fiscale di cui : ~ si discute e per avere disatteso il convincimento del Tribunale, secondo cui la societ non si era limitata alla gestione dei propri beni ma aveva svolto attivit commerciale mediante atti intesi alla produzione di nuovi beni. Stante la dizione della norma agevolatrice, afferma la ricorrente, la societ deve essere formalmente commerciale e non aver, in concreto, compiuto atti di commercio. E, anche ad ammettere che il primo acquisto di immobili diretto alla costituzione di un patrimonio sociale non faccia venir meno il beneficio dell'agevolazione tributaria, non pu configurarsi tale la costruzione di un grosso edificio mediante ricorso a finanziamenti, trattandosi di tipica attivit imprenditoriale di costruzione. La doglianza infondata. L'applicabilit o meno al caso concreto dell'agevolazione fiscale di registrare a tassa fissa gli atti di assegnazione ai soci, secondo le singole quote, dell'immobile sociale, postula l'accertamento della natura immobiliare o meno della societ Dora Valdocco secondo la nozione contenuta nella legge 18 ottobre 1955, n. 930. L'articolo unico di detta legge dispone che, ai fini perseguiti, si debbano intendere per societ immobiliari quelle che, nei cinque esercizi chiusi anteriormente all'entrata in vigore della legge, abbiano svolto un'attivit limitata esclusivamente alla propriet e alla gestione di beni immobili , anche se nell'atto costitutivo siano state previste operazioni di commercio. La sentenza impugnata, pervenendo a conclusioni opposte, ha disatteso il convincimento del primo giudice che aveva ravvisato, nell'acquisto di un'area fabbricabile e nella successiva costruzione di un fabbricato, una attivit dinamica di natura commerciale in contrasto con quella statica diretta soltanto alla gestione del patrimonio. Ha ritenuto la Corte che il criterio di identificazione della mera attivit di gestione e gestione ., e perci non speculativa, quando sia volta alla costituzione o all'incremento del patrimonio sociale e non al fine della rivendita a terzi. Alla individuazione della natura dell'attivit, invero, dovrebbe procedersi con criteri obiettivi ed univoci, e perci un'attivit diretta alla produzione di beni, quale indubbiamente anche quella, tipicamente dina- mica ed imprenditoriale, volta alla realizzazione di 'Opere edilizie, dovrebbe sempre ritenersi ostativa ai fini di cui si tratta. Per altro, una discriminazione in funzione del fine -di incremento del patrimonio o di rivendita -si presenta in contrasto con la stessa ratio legislativa, nella specie ravvisabile (come emerge dal coordinamento delle disposizioni della legge n. 930 del 1955 con quelle della legge n. 603 del 1954) nell'intento di agevolare lo scioglimento delle sole societ, che non. avessero svolto, nel periodo edittale, un'attivit produttiva, limitandosi PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 171 si debba cogliere nella mancanza di finalit speculative e che costituisca appunto atto di gestione di propriet immobiliare, il quale caratterizza le societ come immobiliari, l'acquisto di beni non destinati allo scambio. A conforto di tale assunto ha richiamato la costante interpretazione della stessa amministrazione finanziaria, la quale ha inteso il concetto di gestione in senso piuttosto lato, si da comprendervi atti che abbiano determinato variazioni nella consistenza patrimoniale (circolare 1 dicembre 1955, n. 352750) e ha precisato, inoltre, che il beneficio fiscale non possa negarsi nel caso che vi siano stati trasferimenti dei titoli azionari della societ immobiliare dai soci a terzi (circolare 21 marzo 1956, n. 350540) ovvero nel caso che finanziamenti, provenienti da fonti esterne nel quinquennio di riferimento, abbiano avuto per scopo il primo acquisto di immobili diretto alla costituzione di quel patrimonio immobiliare rappresentante il necessario presupposto per lo svolgimento dell'attivit di gestione (circolare 21 marzo 1956, n. 350540). La sentenza impugnata ha, quindi, concluso, con accertamento di merito aderente al caso concreto, che gli avvenuti trasferimenti delle quote e l'unicit dell'acquisto, con relativa costruzione, di un solo edificio, erano diretti alla costituzione del patrimonio da gestire, con esclusione di ogni intento speculativo. Le conclusioni della sentenza impugnata, conformi alla interpretazione data alla norma anche in sede amministrativa, resistono alle censure della ricorrente, la quale sostanzialmente non contesta che il primo acquisto di beni immobili, destinati non ad attivit speculative di commercio bensi alla costituzione del patrimonio sociale, non privi la societ immobiliare del beneficio fiscale. Su questa esatta premessa di diritto, la successiva indagine della sentenza impugnata, circa l'unicit dell'operazione compiuta dalla So~ iet Dora Valdocco, di acquisto del terreno in funzione della costru\ one da eseguirsi per la costituzione del patrimonio sociale, attiene valutazione del merito ed sottratto al sindacato di legittimit attesa ~gicit della congrua motivazione. L'acquisto di un'area fabbrica~ ulla quale successivamente venga costruito dalla societ acqui' m immobile sociale, funzionalmente diretto alla costruzione e ~.i'attivit statica, di semplice godimento ed amministrazione dei beni: ..,.:1diment'O ed amministrazione, del resto, che devono appunto .ritenersi corrispondenti alla attivit di propriet e gestione enunciata nel testo della legge, come la stessa Corte Suprema, in riferimento a simili espressioni adoperate altra volta dal legislatore, per definire ugualmente le societ immobiliari (t.u. 9 maggio 1950, n. 203, art. 78), ha avuto di recente occasione di riconoscere, anzi puntualizzando che quella endiadi esprime i ooncetti della conservazione della propriet immobiliare e della gestione di essa... (Cass., 14 gennaio 1965, n. 70, Soc. Ed. Centrale-Finanze, in questa Rassegna, 1965, I, 769, con nota di ANGELINI RoTA), e cio concetti, dovrebbe conseguentemente ritenersi, nei quali non potrebbero rientrare le attivit di incremento del patrimonio, e tanto meno quelle non di mero acquisto di altri beni, ma di diretta produzione, oon relativi rischi di impresa, degli stessi. 172 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO tutta l'attivit deve essere unitariamente considerata con riguardo alle finalit di commercio, nel caso di rivendita per fini speculativi, o, nel caso opposto, di costituzione del patrimonio sociale da gestire. Ordunque, essendosi nel caso concreto verificata la seconda ipotesi, confermata, inoltre, dalla destinazione del patrimonio sociale ai soci, titolari delle quote azionarie, mediante proporzionale assegnazione dei beni, la So ciet Dora Valdocco e, per essa, i soci dovevano godere dell'agevola zione tributaria, di cui alla legge n. 930 del 1955, registrando gli atti di assegnazione a tassa fissa. (Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 8 gennaio 1966, n. 148 -Pres. Favara -Est. Gambogi -P. M. Trotta (conf.) -Falconi (avv. Piccarozzi) c. Ministero Finanze (avv. Stato Soprano). Imposte e tasse in genere -Imposte dirette -Accertamento -Avviso di accertamento -Natura nel sistema anteriore alla legge 5 gennaio 1956 n. 1 -Poteri di accertamento delle Commissioni Distrettuali -Soppressione -Conseguenze in ordine alla natura dell'avviso. (1. 5 gennaio 1956, n. 1, art. 1, e segg.; t. u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 31 e segg.: t. u. 24 agosto 1877, n. 4021, art. 43; r. d. 7 agosto 1936, n. 1639, art. 39). Imposte e tasse in genere -Imposte dirette -Avviso di accertamento -Legge 5 gennaio 1956 n.1 -Motivazione analitica -Necessit Sistema precedente -Superfluit. (1. 5 gennaio 1956, n. 1; t. u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 37; t. u. 24 agosto 1877, n. 4021; r. d. 7 agosto 1936, n. 1639, art. 39). Imposte e tasse in genere -Imposte Dirette -Avviso di accertamento Legge 5 gennaio 1956 n. 1 -Necessit della motivazione -Retroat tivit -Insussistenza. (l. 5 gennaio 1956, n. 1; t. u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 37). In materia di imposte dirette gli artt. 1 e segg. della legge 5 gennaio 1956, n. 1, trasfusi negli artt. 31 e segg. del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, hanno apportato un radicale mutamento al sistema di accertamento preesistente alla istituzione della dichiarazione unica dei redditi, in quanto hanno soppresso la facolt delle Commissioni distrettuali delle imposte, prevista dagli artt. 43 del t.u. 24 agosto 1877, n. 4021 e 39 del r.d. 7 agosto 1936, n. 1639, di aumentme i redditi accertati dall'Ufficio. Pertanto, l'accertamento tributario delle imposte dirette si trasformato da un atto introduttivo (suscettibile di successiva variazione) del giudizio di valutazione, in un presupposto che fissa irrevocabilmente il quantum e la specificazione dei redditi imponibili, salva la I 1 PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 173 possibilit di altro accertamento integrativo ai sensi dell'art. 35 del t.u. 645 del 1958 (1). In base all'art. 1 della legge 5 gennaio 1956, n. 1 (art. 37 del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645) l'avviso di accertamento deve contenere, a pena di nullit, una analitica motivazione la quale, nel sistema precedente all'entrata in vigore della legge, poteva considerarsi superfiua, in considerazione del fatto che era prevista la facolt delle Commissioni distrettuaU, ora soppressa, di aumentare i redditi accertati (2). Il principio legislativo che impone la motivazione analitica dell'avviso di accertamento non ha efficacia retroattiva, sicch esso non trova applicazione in riferimento agli accertamenti effettuati prima dell'entrata in vigore della legge 5 gennaio 1956, n. 1, anche se soltanto successivamente sono pronunciate le relative decisioni delle Commissioni distrettuali (3). (Omissis). noto che, per quanto concerne i requisiti di validit dell'accertamento fiscale in materia di imposte dirette gli artt. 1 e segg. della legge 5 gennaio 1956, n. 1, successivamente trasfusi negli artt. 31 e segg. del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, hanno apportato al sistema precedente alla istituzione della dichiarazione unica dei redditi un radicale mutamento, essendo stata soppressa quella facolt di aumentare i red (1-3) Osservazioni sulla natura giuridica e sulla funzione dell'avviso di accertamento. 1. Con la sentenza in rassegna la Cassazione, al fine di risolvere il problema di diritto transitorio concernente i requisiti di validit degli avvisi di accertamento notificati prima dell'entrata in vigore della legge 5 gennaio 1956, n. 1, ed in relazione ai quali le relative pronunce delle Commissioni tributarie, in sede di opposizione proposta dal contribuente, siano di data posteriore, ha posto in rilievo, per quanto concerne le imposte dirette, il mutamento di disciplina giuridica dell'accertamento tributario in conseguenza dell'entrata in vigore della citata legge poi trasfusa nel t.u. 29 gennaio 1958, n. 645. Gli artt. 31 e segg. del t.u. n. 645 del 1958 (artt. 1 e segg. della legge 5 gennaio 1956, n. 1) hanno, infatti, soppressa la facolt di diretto accertamento delle Commissioni distrettuali p1revista dagli artt. 43 del t.u. 24 agosto 1877, n. 4021 e 39 del r.d. 7 agosto 1936, n. 1639 ed hanno demandato agli uffici finanziari, in via esclusiva,, di procedere in maniera autorita tiva o mediante accordo con il contribuente alla rettifica degli imponibili dichiarati e all'accertamento di quelli omessi. Il relativo avviso di accertamento, con il quale l'Amministrazione tenuta a comunicare al contribuente i risultati del controllo eseguito e le sue valutazioni della base imponibile, deve essere motivato (art. 37 t.u. 1958, n. 645), a pena di nullit deducibile entro breve termine dal contribuente nel rkorso alla commissione di primo grado, con indicazione analitica delle fonti produttive e degli elementi in base ai quali viene determinato l'imponibile stesso, mediante espresso riferimento alla dichiarazione del contribuente, se presentata. Dalle norme innanzi indicate, le quali hanno apportato un effettivo e radicale mutamento al sistema precedente alla dichiarazione unica dei redditi, la Suprema Corte ha ritenuto di poter trarre l'illazione, avente rilievo esclusivamente teorico e che riecheggia note teorie del BERLmI, che l'accertamento di ufficio si trasformato, da un mero atto introdut 174 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO diti accertati dall'Ufficio delle Imposte che l'art. 43 del t.u. n. 4021 del 1877 riservava alle Commissioni distrettuali per le imposte dirette, con disposizione confermata (sia pure con un limite temporale) dall'art. 39 del r.d.l. 7 agosto 1936, n. 1639, ed essendosi, quindi, trasformato l'accertamento di ufficio da un mero atto introduttivo, suscettibile di successiva variazione, in un presupposto che irrevocabilmente fissa (salva la possibilit di altro accertamento integrativo ai sensi dell'art. 35 del t.u. 645 del 1958, per il quale valgono, naturalmente, gli stessi principi) il quantum e la specificazione dei cespiti imponibili per quanto concerne la pretesa dell'ufficio. Coerentemente a tale nuova natura dell'accertamento, l'art. 1 della legge 5 gennaio 1956, n. 1 (art. 37 del t.u. del 1958) richiede, a pena di nullit, l'analitica motivazione dell'avviso di accertamento; analitica motivazione del tutto superflua, o quanto meno priva di sostanziale importanza, nel precedente sistema, in cui quella che si potrebbe definire la contestatio litis del procedimento fiscal~ si verificava nel giudizio tivo del .giudizio di valutazione, in un presupposto che fissa irrevocabilmente il quantum e la specificazione del cespiti imponibili. Tale affermazione offre lo spunto per alcune brevi osservazioni sulla natura giuridica e sulla funzione deH'avviso di accertamento considerato I come un atto del complesso procedimento volto all'accertamento dell'imposta. In tale indagine, bene subito precisare, si prescinde in maniera i assoluta dalla dibattuta questione circa la natura dell'accertamento tributario, cio la sua efficacia dichiarativa o costitutiva (1). Si intende soltanto, invece, portare l'esame specificamente sull'avviso di accertamento e sul I problema della sua natura giuridica. II 2. L'indagine sulla natura giuridica dell'avviso di accertamento appare di attualit in relazione al fatto che, ancora una volta, stata sostenuta I , in dottrina (2) l'opinione secondo la quale l'accertamento del presupposto costituirebbe una mera operazione logica per giungere alla liquidazione del tributo, al pari ad esempio dell'accertamento della causa di un atto amministrativo. N prima, n tantomeno dopo la liquidazione del tributo, tale accertamento avrebbe una vita propria, costituirebbe cio un atto giuridico di per s stante, capace, come tale, di effetti giuridici propri, giacch l'unico atto rilevante sarebbe 1' atto di imposizione . Il BERLmI (3) distingue a tal fine l'avviso di accertamento, inteso come l'atto con il quale l'Amministrazione porta a conoscenza dell'interessato la individuazione da essa compiuta degli elementi da porre a base dell'imposizione, tanto dall'ac certamento definitivo, con il quale si determinano appunto in via definitiva gli elementi contestati al contribuente con l'avviso, quanto dall'accer Iteamento come situazione giuridica nascente dall'atto definitivo, definita come cosa accertata. Per ci che attiene al primo di tali momenti, cio all'avviso di accertamento, oggetto specifico di queste brevi osservazioni, il BERLmI ritiene che esso, lungi dal porsi come atto autonomo del proce (1) Sul problema, in vario senso: GIANNINI A. D., Istituzioni di diritto tributario, Milano 1960, 143 e segg.; id. Rapporto giuridico d'imposta, Milano 1937, 229~ TEsoao, Principi di diritto tributario, Bari 1938, 180, e segg.; PUGLIESE, Istituzioni di diritto .finanziario, Padova 1937, 130; ALLORIO, Diritto processuale tributario, Torino 1962, 60 e segg.; CocivERA, Accertamento tributario, Enc. del dir., Milano 1958, I; BERLIRI,' Processo amministrativo tributario, Reggio Emilia 1940, I, 115; id. Principi di diritto tributario, vol. Ill, L'accertamento, Mlano 1964. (2) BEBLIRI, Principi di diritto tributario, vol. Ili, L'accertamento, Milano 1964. (3) Op, ult. cit., 29. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 175 dinanzi alla Commissione distrettuale, anche indipendentemente dal precedente avviso di accertamento. Nella specie, pertanto, sorge una questione di diritto transitorio, perch l'avviso di accertamento fu notificato nel dicembre 195.3, quando il sistema poi instaurato dalla legge n. 1 del 1956 ancora non vigeva. Ma trattasi di questione di breve momento, perch sia che si consideri la natura processuale dell'avviso di accertamento, che introduce, appunto, il procedimento fiscale, sia che si inquadri la questione stessa dal punto di vista della forma prevista a pena di nullit per questo atto, la conclusione pu esere una sola: l'applicazione del principio tempus regit actum che regola gli atti processuali e i requisiti di forma di qualsiasi atto giuridico. dimento, avente propria autonomia funzionale, costituisca una semplice proposta dell'Amministrazione finanziaria diretta al contribuente ed avente lo scopo di sollecitare quest'ultimo ad aderire all'accertamento dell'Ufficio, in quanto giammai l'Ufficio stesso potrebbe procedere, con i suoi poteri autoritativi, ad un accertamento unilaterale che prescinda dal consenso del contribuente. In tal modo la mancata opposizione del contribuente avrebbe il valore di assenso all'operato dell'Ufficio, mentre in presenza di una opposizione verrebbe ad instaurarsi il procedimento giurisdizionale, il quale costituirebbe l'unica alternativa alla soluzione consensuale mediante concordato, e, d'altra parte, alla mancata opposizione del contribuente dovrebbe attribuirsi il valore di adesione implicita all'operato del1' Amministrazione finanziaria. In siffatta visione del fenomeno l'avviso di accertamento, inteso come proposta dell'Amministrazione al contribuente, verrebbe ad assumere la natura dell'atto iniziale del procedimento avente ad oggetto la valutazione della base imponibile. L'annotata sentenza, peraltro, senza nessuna pretesa di inquadramento '9rico del problema e piuttosto come un'affermazione di carattere mera v.te incidentale, sembra implicitamente riferirsi a tale teoria allorch ''\fica l'avviso di accertamento, sia pure con esclusivo riferimento alla \Una precedente alla legge 5 gennaio 1956, n. 1, come un atto intro \ di un procedimento, suscettibile di successiva variazione. 'l,uesta Ra~seg'f!'U {4).l'op~ni<;me. de,l BERLmI, esaminata n~l}e su~ one ed 1mphcaz1om prmc1pal1, e stata sottoposta a critica. S1 \fatti, in evidenza che non assolutamente accettabile la quali il'avviso di accertamento come semplice proposta con la quale vidua e comunica gli elementi concernenti il presupposto di __.fe nemmeno pu condividersi l'affermazione che la mancata AOne del contribuente costituisca un'accettazione tacita dell'accer .di.to operato dall'Ufficio. In realt non sembra potersi negare, particolarmente sulla base della nuova disciplina dettata dalla legge 5 gennaio 1956, n. 1, una autonoma rilevanza giuridica all'avviso di accertamento inteso come atto autoritativo con il quale l'Amministrazione fissa una situazione giuridicamente rilevante del tl'apporto d'imposta. Con tale atto l'Amministrazione puntualizza in maniera autoritativa un momento del complesso procedimento di accertamento dell'imposta non soltanto identificando il soggetto passivo del rapporto, ma principalmente determinando e qualificando i cespiti imponibili e l'ammontare della base sulla quale dovr essere commisurato il tasso d'imposta. La sua autonomia trova decisiva conferma nel fatto che concesso al .contribuente la possibilit di proporre un'impugnativa avverso l'avviso din (4) FANELLI, Recensione a BERLIRI, op, ult. cit., Rass. Avv. Stato 1964, II, 193. 176 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Conseguentemente il principio legislativo che impone la motivazione analitica dell'avviso di accertamento non pu avere efficacia retroattiva ed essere applicato all'accertamento de quo, notificato, ripetesi, nel 1953. Vero che il giudizio dinanzi alla Commissione distrettuale si svolse poi, dopo ben sei anni, nel 1959, quando gi erano entrate in vigore sia la legge n. 1 del 1956 che il t.u. del 1958, e che, quindi, pi non sussisteva, in tale momento, quel potere di nuovo accertamento da parte della commissione di prima istanza che rendeva, come si premesso, non essenziale la specificazione motivata dell'avviso di accertamento. Ma questo rilievo non pu influire sulla applicabilit alla specie del principio tempus regit actum; se i successivi mutamenti legislativi diretti non possono caducare l'atto processuale o l'atto formale nanzi alle competenti Commissioni tributarie (5), nell'esigenza legislativa- mente sancita della necessaria analitica motivazione, la cui mancanza ne determina l'invalidit deducibile ad istanza del contribuente medesimo entro un termine di decadenza, e nella definitivit ed inoppugnabilit, in. relazione all'inutile decorso dei termini d'impugnativa, le quali caratterizzano l'avviso al pari degli altri atti amministrativi autoritativi. Le indicate caratteristiche strutturali e funzionali dell'avviso di accertamento mal si conciliano con la sua asserita natura di semplice proposta la quale non potrebbe giammai essere considerata come atto autoritativo, bens soltanto i:: I come atto paritetico della Pubblica Amministrazione. noto, d'altra parte, che gli elementi della inoppugnabilit per decorso dei termini di decadenza ' per l'impugnativa, dell'annullabilit da parte di appositi organi giurisdi-. l zionali e della necessit, a pena di nullit, di una analitica motivazione, non possono considerarsi come caratterizzanti gli atti c.d. paritetici delle p. A., ma soltanto gli atti amministrativi in senso tecnico, emanati cio nell'esercizio di una pubblica funzione e ai quali consegue l'efficacia pro' . pria degli atti amministrativi (presunzione di legittimit ed esecutoriet) fino a quando non siano annullati dagli organi giurisdizionali competenti. Data la sua rilevanza esterna e la produttivit di effetti giuridici che Igli propria, l'avviso di accertamento ha carattere di atto recettizio" giacch destinato a rendere il contribuente legalmente edotto del valore che l'Amministrazione autoritativamente attribuisce ai cespiti tassabili (6)~ I Sembra, quindi, che all'avviso di accertamento debba riconoscersi la I f: natura di atto amministrativo in senso tecnico avente ad oggetto l'identificazione del soggetto passivo dell'imposta, la specificazione dei cespiti da sottoporre ad imposizione e la determinazione quantitativa della base imponibile, sulla quale dovr essere commisurato il tasso d'imposta. 3. Precisata la natura dlel'avviso di accertamento come atto amministrativo e non come semplice proposta dell'Amministrazione al contribuente, appare necessario procedere all'inquadramento dell'avviso nelle note categorie degli atti amministrativi elaborate dalla dottrina. Generalmente l'avviso viene classificato nella categoria degli accertamenti amministrativi; dubbi sono sorti soltanto sulla questione se esso costituisca un atto di accertamento semplice o di accertamento costitutivo, e ci in quanto si attribuita all'avviso la stessa natura riconosciuta all'atto finale del procedimento amministrativo di accertamento tributario, (5) Il rico~so tempestivo alla Commissione di prima istanza l'unico rime-.. dio per impugnare l'accertamento dell'Ufficio impositore ed impedire la definitivit del reddito accertato (Cass. 20 ottobre 1965 n. 2155). (6) Sulla natura della comunicazione dell'avviso come operazione amministrativa vedesi Cass. 15 luglio 1965, n. 1537, in questa Rassegna 1965, 1046, con. nota redazionale adesiva. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 177 posti in essere secondo i canoni della legge precedente, anche se detti atti debbano spiegare efficacia sotto il nuovo regime legislativo, a maggiore ragione sar, a tale effetto, irrilevante la novatio legis che riguardi soltanto un presupposto logico della cessata regolamentazione legislativa dell'atto processuale o formale; e cio, nella specie, il potere diretto di accertamento conferito alla commissione di prima istanza. Del resto, il vero presupposto logico della relativa libert di forma e di sostanza che, nel sistema precedente a quello della dichiarazione unca dei redditi, vigeva per l'avviso di accertamento di ufficio, doveva ravvisarsi nella possibilitd di difesa concessa per altra via al contribuente contro la contestazione di cespiti o redditi non contenuta o specificata in detto avviso. Il meno rigido e formale sistema, infatti, consentiva codesta possibilit, e nella specie il Falconi pienamente la ebbe, secondo quanto rileva la decisione impugnata, perch subito dopo l'avviso di accertamento, fu verbalmente informato dall'ufficio che tra i cespiti non specificati rientravano i beni della moglie ed il denaro presunto. Tale considerazione circa l'esistenza di specifica possibilit di difesa era quindi quella che contava nella specie; e poich, ripetesi, essa si rinviene, sia pure in forma concisa, nella decisione impugnata, viene senza tener conto del fatto che esso rappresenta soltanto un momento, e non certo quello finale, sia pure dotato di autonomia funzionale e di efficacia autoritativa esterna, del complesso procedimento volto all'accertamento dei tributi. Il problema quindi della classificazione dell'atto in questione nell'ambito degli atti amimnistrativi non influenzato, a nostro avviso, da quello diverso che concerne la natura, dichiarativa o costitutiva del rapporto di imposta, dell'accertamento tributario nel suo complesso. Sgombrato cosi il campo da tale possibile equivoco, va precisato che non sembra possa farsi rientrare l'avviso di accertamento nella categoria degli atti amministrativi di accertamento in senso stretto. La pi recente dottrina, sia con riferimento al problema dell'accertamento nella teoria generale del diritto (7), sia pi specificamente per quanto attiene agli atti amministrativi (8), ha chiarito che i fatti e gli atti di accertamento, oltre a comportare come minimo irriducibile una dichiarazione di scienza (pur potendo contenere per un ulteriore elemento volitivo), sono caxatterizzati dalla loro efficacia preclusiva e dalla funzione diretta alla eliminazione di un possibile conflitto di apprezzamenti intorno ad una realt giuridica precedente che presenti obbiettivi caratteri di incertezza. Intesa in tal modo la categoria degli atti e fatti di accertamento, quelli che generalmente sono ritenuti tali, in realt non lo sono, in quanto rientrano nella categoria degli atti e fatti di certazione nei quali ha rilievo pi che il processo intellettuale dell'accertamento, nel senso pregiuridico di acclaramento dei fatti -nelle varie pi precise forme che esso pu assumere -il fine di determinare una realt giuridica per l'innanzi non esistente (9). Cosi precisata la nozione degli atti di certazione, consegue che essi non sono diretti, come gli atti di accertamento, ad eliminare, con efficacia (7) FALZEA, Accertamento (teoria generale), Enc. det dir. Milano 1958, I, 205. (8) GIANNINI M. S., Accertamento (diritto costituzionale e amministrativo). Enc. det dir., Milano 1958, I, 219 e segg. (9) GIANNINI M. s., op. toc. cit. 178 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO cosi meno ogni fondamento anche alla censura di omessa pronunzia su di un punto decisivo, mossa con l'ultima parte del mezzo. poi appena il caso di osservare che se anche alla presente con troversia si volesse in via di ipotesi applicare il nuovo regime legisla tivo in tema di nullit dell'avviso di accertamento, bisognerebbe allora, ovviamente, applicare integralmente l'art. 37 del t.u. del 1958, che prevede la decadenza dal diritto di eccepire tale nullit se l'eccezione non venga proposta nel ricorso alla commissione di primo grado ; il che non fu fatto nella fattispecie, perch lo stesso ricorrente rico nosce di aver sollevato la questione di nullit solo in sede di discus sione orale dinanzi alla commissione; fatto questo che non soddisfa, evidentemente, il voto di legge. Il primo mezzo di ricorso deve essere quindi, comunque riguardato, respinto. (Omissis). preclusiva, preesistenti incertezze, ma hanno la funzione di porre delle statuizioni nuove che producano mutamenti nella realt giuridica. Il loro effetto non quindi di carattere preclusivo, ma qualificatorio , cio a dire di creazione di modi di essere della realt giuridica per fini rilevanti per il diritto. L'atto di certazione pu, pertanto, definirsi come l'atto della p. A. che nel mondo del diritto opera una qualificazione giuridica della realt preesistente. In relazione aUa sua natura ed alla sua funzione, appare sterile la polemica imperniata sulla dicotomia efficacia dichiarativa-efficacia costitutiva, giacch l'effetto tipico dell'atto di certazione quello di far assumere ad una certa realt una qualificazione giuridica (effetto qualificatorio). Ci sembra, facendo applicazione dei concetti innanzi precisati, che, data la funzione dell'avviso di accertamento nell'ambito del procedimento di accertamento tributario, possa ad esso riconoscersi la ulteriore qualifica di atto di certazione mediante il quale l'Amministrazione finanziaria puntualizza un dato di fatto rilevante ai fini della tassazione identificando il contribuente, identificando e qualificando il cespite tassabile, e quantificando la base imponibile per la successiva applicazione del tasso d'imposta. Data la sua incidenza nel procedimento complesso diretto all'accertamento del tributo, esso assume un carattere neutro, non potendo ritenersi dotato n di efficacia dichirativa n di efficacia costitutiva del rapporto d'imposta, e consiste in una esplicazione del pubblico potere diretta alla puntualizzazione, ai fini dell'imposizione, ,di una certa realt nel mondo del diritto; puntualizzazione operata in via autoritativa ed unilaterale attraverso un'attivit formalmente e sostanzialmente amministrativa. Non sembrano in contrasto con siffatta qualificazione le caratteristiche, pi sopra messe in rilievo, dell'avviso di accertamento (autoritativit, presunzione di legittimit, inoppugnabilit per decorso dei termini di impugnativa) giacch esse non contrastano con la natura di atto di certazione volto, nella specie, autoritativamente, alla determinazione qualitativa e quantitativa di uno degli elementi incidenti nel procedimento amministrativo di accertamento tributario. Nella categoria, infine, delle certazioni di conoscenza e delle certazioni di scienza, ci sembra che l'avviso di accertamento debba farsi rientrare nell'ambito delle certazioni di scienza, giacch esso costituisce una manifestazione di giudizio avente carattere descrittivo-valutativo, cui consegue la sussunzione nella realt giuridica, ai fini del procedimento di accertamento tributario, di dati di fatto preesistenti nella realt materiale. A.QUARANTA PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 179 I CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 28 gennaio 1966, n. 332 -Pres. Pece -Est. Saya -P. M. di Majo (conf.) -Ministero Finanze (avv. Stato Masi) c. Societ Bombrini Parodi-Delfino (avv. Pieroni). Imposta di registro -Disposizioni necessariamente connesse e derivanti per intrinseca loro natura le une dalle altre -Nozione -Fattispecie. (r. d. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 9). Le disposizioni, necessariamente connesse e derivanti per intrinseca loro natura le une delle altre, soggette all'imposta di registro per la sola disposizione che d luogo all'imposta pi grave, ai sensi dell'art. 9 cpv. del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, sono soltanto quelle tra loro collegate -e non per mera volont delle parti, bens in forza di legge -da un nesso di causalit necessaria ed oggettiva, che le renda elementi indispensabili dell'unico rapporto imponibile. Pertanto, soggetta autonomamente all'imposta la fidejussione collegata ad un contratto di fornitura, anche se questo sia stipulato con un'Amministrazione dello Stato, non sussistendo alcun precetto legislativo che quella garanzia imponga, in via generale o rispetto alla pubblica amministrazione (1). II CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 17 febbraio 1966, n. 496 -Pres. Fibbi -Est. Gambogi -P. M. Raja (conf.) -Benedetti (avv. Spartano) c. Ministero Finanze (avv. Stato Lancia). Imposta di registro -Disposizioni necessariamente connesse e derivanti per intrinseca loro natura le une dalle altre -Nozione. (r. d. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 9). Le disposizioni, necessariamente connesse e derivanti per l'intrinseca loro natura le une dalle altre, soggette all'imposta di registro per la sola disposizione che d luogo all'imposta pi grave, ai sensi dell'art. 9 cpv. del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, sono soltanto quelle tra le quali esista -e non per mera volont delle parti, bens in forza di legge -una concatenazione logica necessaria, tale che esse possano essere tutte riassorbite, quali elementi indispensabili, nell'unico rapporto giuridico tassabile, restando cos esclusa dalla previsione normativa l'ipotesi di connessione, tra disposizioni contrattuali, che non dipenda dall'astratta configurazione giuridica, di ciascuna di esse, bens dall'impossibilit materiale o addirittura dalla mancanza di convenienza economica di una stipulazione distinta ed autonoma (2). (1-2) Giurisprudenza consolidata, nei sensi che la connessione tra le varie disposizioni deve essere voluta dalla legge ed in termini tali da dar luogo ad una concatenazione o compenetrazione di carattere oggettivo, che 180 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO I (Omissis). Con il primo mezzo la ricorrente Amministrazione delle Finanze lamenta la violazione e falsa applicazione degli art. 9 e 53 della legge di registro (r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269) e dell'art. 54 ali. A a detta legge in relazione all'art. 360, n. 3 c.p.c. per avere la Corte di merito ritenuto non suscettibile di distinta imposizione la fidejussione consentita dal Banco di Sicilia perch connessa al contratto di fornitura intercorso tra la societ resistente e il Polverificio dell'Esercito Fontana Liri. La censura fondata. Ai sensi dell'art. 9 della legge di registro, se in un atto sono comprese pi disposizioni indipendenti e non derivanti necessariamente le une dalle altre, ciascuna sottoposta a tassazione come se formasse un I atto distinto, mentre, se esse sono necessariamente connesse e derivanti per la loro intrinseca natura le una dalle altre, si procede ad unica I tassazione in base alla disposizione che importa l'imposta pi grave. La norma citata si riferisce al caso di una pluralit di negozi giuridici I contenuti nel medesimo documento, in tali sensi dovendosi interpretare il termine disposizioni da essa usato, giacch, se si trattasse di pattuizioni o clausole concernenti un solo negozio giuridico, sia pure misto, l'unicit della tassazione discenderebbe evidente dai principi generali che informano la legge medesima. Ed appunto per il caso considerato stato posto il criterio discretivo fondato su un particolare tipo di con' nessione tra i vari negozi giuridici contenuti nello stesso documento, in base al quale il negozio, che importa la tassazione pi grave, esclude una distinta tassazione degli altri solo quando questi ultimi, come chiaramente discende dalla formula legislativa, debbano in base a una norma giuridica e perci necessariamente essere compiuti insieme al primo. Non quindi sufficiente un qualsiasi rapporto di connessione, ed in particolare quello dipendente dalla volont delle parti, ma richiesto che per legge vi sia tra la pluralit dei negozi giuridici posti in essere un collegamento necessario, cosi da potere essere tutti riassorbiti per valga a riassorbire tutte le disposizioni in un unico negozio: cfr., in argomento, anche per ampia casistica, la Relazione dell'Avvocatura dello Stato, 1956-60, II, 488; cfr., inoltre, la recente Cass., 12 marzo 1965, n. 416, in questa Rassegna, 1965, I, 781, con nota di L. CoRREALE. Potrebbero lasciare perplessi, peraltro, le ulteriori considerazioni contenute nella seconda parte della prima delle sentenze in nota, l dove, osservandosi che una connessione ai sensi dell'art. 9, cpv., della legge del registro non pu ravvisarsi, tra un contratto di fornitura ed una collegata fideiussione, e ci nel rilievo che nessuna norma prevede un tale collegamento con carattere di necessit, n in via generale n per contratti stipulati con la pubblica amministrazione, potrebbe ritenersi implicitamente affermata la possibile ricorrenza di disposizioni non imponibili autonoma PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 181 la loro intrinseca natura quali elementi indispensabili nell'unico rapporto tassabile ai fini dell'imposta di registro (cfr. Cass. 3 ottobre 1958, numero 3087, 12 marzo 1965, n. 416). Se manca il rilevato nesso di causalit necessaria e obbiettiva, la tassazione dovr essere operata distintamente e separatamente per ogni singolo negozio. posto in essere, a nulla rilevando un qualsiasi altro nesso che tra i negozi medesimi possa esistere. Di ci non ha tenuto conto l'impugnata sentenza, la quale -sul semplice rilievo che la fidejussione era connessa al negozio fondamentale di fornitura; che dava luogo all'impost maggiore -ha ritenuto che essa non era soggetta a distinta imposizione tributaria. Mentre era necessario porsi il quesito se insieme alla fornitura, per cui era stata corrisposta un'anticipazione del prezzo -secondo la qualificazione del rapporto che stata data dalla Corte di merito e che rimane ferma -, doveva necessariamente coesistere per legge una garanzia da parte del somministrante per l'eventualit della mancata esecuzione del contratto, quesito che andava intuitivamente risolto in senso negativo, non sussistendo alcun precetto legislativo che tale garenzia imponga n in via generale n rispetto alla Pubblica Amministrazione. Sicch non era dubbio che nella specie la fidejussione doveva distintamente essere tassata a norma dell'art. 53 della legge di registro e dell'art. 54 della Tariffa all. A a detta legge, risultando pertanto destituita di giuridico fondamento su tale punto l'opposizione proposta dalla societ Bombrini Parodi-Delfino. II (Omissis). Con l'unico motivo di ricorso il Benedetti denunzia la violazione degli artt. 8 e 9 della legge organica del registro, la falsa applicazione degli artt. 7 e 52 della stessa legge, la difettosa ed erronea motivazione, lamentando che la sentenza impugnata abbia erroneamente valutato la fattispecie, non tenendo conto del fatto che la concessione del terreno ad uso di sfalcio d'erba e pascolo si trovava collegata con i lavori di sistemazione agraria del terreno stesso non solo da un vincolo sog mente nel caso che un collegamento tra i due negozi, ed eventualmente anche soltanto per particolari ipotesi, sia dalla legge voluto. Tale conclusione, per vero, non sarebbe accettabile, poich, come del resto ribadito nella stessa sentenza in esame, richiesto non soltanto che la connessione sia imposta dalla legge, ma anche che essa sia tale, e sempre per volont legislativa, che le varie disposizioni rappresentino gli elementi indispensabili dell'unico rapporto tassabile ., e cio, in definitiva, che si tratti di disposizioni che non siano concepibili per una propria autonoma funzione, restando cos da qualificare come indipendenti, e perci separatamente soggette al tributo, tutte le disposizioni che non rientrano nel paradigma normale dell'atto (GuGLIELMI e AzzARITI, Le imposte di 182 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO gettivo, e cio voluto dalla libera scelta delle parti, ma anche da un vincolo obiettivo, costituito dalla dipendenza causale tra sfalcio d'erba, pascolo e lavori di sistemazione. In proposito va ricordato che la giurisprudenza di questa Suprema Corte ha affermato ripetutamente che, agli effetti previsti dall'art. 9 della legge di registro, la ipotesi delle disposizioni necessariamente connesse e derivanti, per l'intrinseca loro natura, le une dalle altre si verifica solo allorquando tra dette disposizioni esista, in forza della legge e non per mera volont delle parti, uria concatenazione logica necessaria, cosi da poter essere tutte riassorbite, per la loro intrinseca natura, quali elementi indispensabili, nell'unico rapporto giuridico tassabile ai fini del registro (da ultimo, sentenze n. 3087 del 3 ottobre 1958, n. 1520 del 9 maggio 1956). Basta il richiamo di tale consolidata giurisprudenza per dimostrare che nella ipotesi da essa configurata non pu rientrare il caso di una connessione tra disposizioni contrattuali che dipenda non gi dalla astratta configurazione giuridica di ciascuna di esse, bensi dalla impossibilit materiale, o, addirittura, dalla mancanza di convenienza economica di una stipulazione distinta ed autonoma delle due convenzioni. Ora, nella specie, proprio questo il ricorrente I, deduce: e cio la impossibilit materiale di concedere lo sfalcio ed il pascolo sui terreni senza che il concessionario si assumesse contemporaneamente l'obbligo di sistemare i terreni, date le condizioni in cui . erano ridotti i campi di volo . Tale impossibilit materiale, anche se in realt fosse stata rigorosamente obiettiva, e cio dovuta a necessit . contingenti assolute e non alla semplice considerazione degli interessi Ijeconomici delle parti, non potrebbe mai assimilarsi, agli effetti di cui causa, a quella impossibilit giuridica di concepire le due convenzioni distinte ed autonome tra di loro che, come si premesso, la giurispru I denza di questa Corte all'uopo richiede. (Omissis). I I registro, Torino, 1959, p. 83), senza alcuna possibilit di distinguere in rapporto alle concrete stipula:ziioni, siano esse poste in essere per volont delle parti ovvero per obbedire ad un particolare precetto, che non riguardi la fattispecie normativa tipica. E le ragioni di perplessit, per, devono ritenersi fugate dalla pi completa enunciazione contenuta nella seconda delle sentenze in rassegna, dalla quale, col rilievo che la necessit della connessione dipenda esclusivamente dalla astratta configurazione giuridica delle varie disposizioni, risulta chiarito che appunto allo schema legale generale deve sempre aversi riguardo, e non gi a concrete situazioni, nelle quali, per avventura, ed anche se in dipendenza di particolari disposizioni di legge, pi negozi, ciascuno in via generale autonomamente da considerare per una propria rilevanza giuridica, s trovino ad essere collegati. Sulla questione specifica della fideiussione, che pu dirsi del resto testualmente risolta (art. 53 legge del registro), cfr. Sez. Un., 15 aprile 1937, n. 1134 (Foro It., 1938, I. 44). PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 183 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 21 febbraio 1966, n. 537 -Pres. Fibbi -Est. Giannattasio -P. M. Caccioppoli (conf.) -Ministero Finanze (avv. Stato Varvesi) c. Soc. Ugo Milici (avv. Traverso). Imposta di registro -Agevolazioni per l'hlcremento delle costruzioni edilizie previste dalla legge 2 luglio 1949, n. 408 -Acquisto con unico atto di a:i;ea desthlata alla costruzione di una pluralit di edifici -Ultimazione di una parte soltanto degli edifici entro il biennio dall'hlizio dei lavori sull'area complessivamente considerata -Decadenza dalle agevolazioni -Si verifica. (1. 2 luglio 1949 n. 408, art. 14; r. d. 30 dicembre 1923, n . .3269, art. 9). Nell'ipotesi di acquisto con unico atto di un'area destinata alla costruzione di una pluralit di edifici, necessario, per l'applicabilit dei benefici di cui all'art. 14 della l. 2 luglio 1949, n. 408, che l'intero complesso edilizio venga ultimato entro il biennio dall'inizio dell'attivit costruttiva relativa al terreno unitariamente considerato, cio entro il biennio dall'inizio della prima costruzione, e tanto anche in vista della stessa unitariet ed inscindibilit del rapporto tributario cui le agevolazioni andrebbero riferite (1). (Omissis). L'Amministrazione ricorrente, con un unico motivo, censura la denunciata sentenza lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 13 e 14 della 1. 2 luglio 1949, n. 408, e dell'art. 9 del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, in relazione all'art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c., per avere ritenuto che, quando l'area edificabile acquistata con unico atto sia destinata alla costruzione di una pluralit di edifici, per fruire delle agevolazioni per l'imposta di registro relativa all'acquisto delle aree, di cui alla citata I. n. 408 del 1949, non necessario che l'intero complesso edilizio venga portato a compimento entro il biennio dall'inizio dei lavori edificatori, ma basta che ogni singola costruzione sia ultimata entro due anni dall'inizio dei relativi lavori; (1) Alle conclusioni, di cui alla massima, la Corte Suprema pervenuta attraverso un completo e rigoroso esame dei vari profili della questione, che per la prima volta veniva al suo esame. La ineccepibile ed esauriente motivazione, non limitata all'indicazione delle ragioni essenziali del decidere, ma estesa alla analitica confutazione degli argomenti che la Corte del merito aveva ritenuto rilevanti ai fini di opposta soluzione (App. Genova, 24 gennaio 1964, Dir. Prat. Trib., 1964, II, 337, ove anche Trib. Genova, 10 gennaio 1963, nella stessa causa, in senso favorevole alla tesii dell'Amministrazione, e Comm. centr., 20 giugno 1962, n. 89668, contraria, nonch nota di S. Dus), dispensa da ogni piampio commento. Baster, dunque, osservare: a) che l'autonomia di disciplina, quanto ai benefici in tema di imposte di registro (ed ipotecarie), dii cui all'art. 14 184 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Secondo la ricorrente, degli argomenti addotti dalla Corte di merito, quello letterale, desunto dall'impiego al singolare del termine costruzione nel contesto dell'art. 14, appare poco probante, in quanto pu essere ugualmente riferibile al complesso dei lavori da farsi nell'area; se poi detto termine si inquadra nell'insieme della disposizione, appare chiaro che nell'art. 14 della 1. n. 408 stato fissato un termine acceleratorio a se stante. Dopo aver rilevato che l'ulteriore argomentazione della sentenza si risolve in una petizione di principio, perch parte dal presupposto della diversit di disciplina, la ricorrente sostiene che, dopo l'entrata in vigore della 1. 2 febbraio 1960, n. 35, la considerazione di una causa di decadenza in relazione al mancato rispetto del termine acceleratorio biennale si pone soltanto con riguardo alle agevolazioni sulle imposte indirette. E, quanto al secondo comma dell'art. 14, l'affermazione della Corte di merito, che esso mira a determinare il limite del concetto di pertinenza per estendere anche alla parte del suolo che vi destinata i benefici riservati alla costruzione, non modifica la portata effettiva della disposizione, che impone di tassare il valore dell'area residua a costruzione ultimata, e non supera l'obiezione della Finanza, che, se il legislatore avesse voluto lasciare arbitro il privato di iniziare separatamente costruzioni distinte su di un'area acquistata con unico contratto, avrebbe dovuto subordinare la riscossione dell'imposta ordinaria non all'ultimazione della costruzione, ma alla scadenza del termine utile per l'inizio delle costruzioni. La tesi della Corte di merito -si osserva infine -trova ostacolo nella norma dell'art. 9 della legge di registro, imponendo separate tassazioni per separati lotti dell'area stessa, con la possibilit che la decadenza risulti limitata solo ad una frazione di area, laddove principio generale di diritto tributario che anche lo inadempimento parziale delle condizioni poste dalla legge porta alla decadenza totale delle agevolazioni gi applicate. Il ricorso fondato. A norma dell'art. 14 della 1. 2 luglio 1949, n. 408 sull'incremento delle costruzioni edilizie il beneficio dell'imposta fissa di registro concesso per gli acquisti di aree fabbricabili e per i contratti di appalto, quando abbiano per oggetto la costruzione delle case di cui al precedente art. 13 (e cio case di abitazione non aventi della legge 2 luglio 1949, n. 408, ed a quelli per l'imposta sui fabbricati, di cui all'art. 13 della stessa legge, trova la sua ragione giustificativa, come sottolineato nella sentenza in nota, nella diversit stessa dei presupposti obiettivi dell'imposizione, poich nel primo caso i tributi (e le correlative agevolazioni) sono indubbiamente ed esclusivamente riferibili all'atto, nella sua struttura unitaria, mentre nel secondo, riguardando l'imposta fondiaria il reddito di ciascuna delle unit immobiliari, ognuna di queste pu, anche ai fini dell'esenzione, essere separatamente considerata; b) che quella considerazione unitaria, del resto, imposta anche dalla regola che si desume dall'art. 9 della legge organica del registro, in vista della quale lo stesso rapporto tributario, che si riferisca ad una disposizione unica, non pu subire scissioni di sorta, ed evidentemente anche per ci che attiene all'adempimento delle condizioni volute per l'applicabilit dei benefici, posto che la situazione conforme alla fattispecie contemplata dalla norma di PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 185 earattere di lusso) purch la costruzione sia iniziata e ultimata entro i termini stabiliti nello stesso art. 13 . Detto art. 13 dispone che le costruzioni debbono essere iniziate entro il 31 dicembre 1953 (termine pi volte prorogato con leggi successive e, da ultimo, sino al 31 dicembre 1967 con legge 2 febbraio 1960, n. 35) e compiute entro il biennio dall'inizio dei lavori. Di fronte a tali disposizioni si pone il quesito se, -qualora nell'area compravenduta siano da effettuare diverse costruzioni, per il computo del biennio di ultimazione si debba aver riguardo alla data d'inizio di ciascuna costruzione, oppure alla data di inizio dell'attivit costruttiva su tutto il terreno, unitariamente considerato (praticamente alla data d'inizio della prima costruzione). Che la tesi esatta sia quest'ultima e che, cio, anche chi si rende acquirente di un'area per effettuarvi la costruzione di pi case di abitazione non di lusso debba essere in condizione di ultimare l'edificazione dell'area acquistata entro il biennio dall'inizio dei lavori, per godere dei benefici fiscali di cui si discute, si ricava dall'ultimo comma dell'art. 14 della 1. 2 luglio 1949, n. 408 cos formulato: Sulla parte del suolo attigua al fabbricato, la quale ecceda il doppio dell'area co- perta, dovuta, a costruzione ultimata, l'imposta ordinaria di registro e ipotecaria . Tale disposizione precisa il criterio della strumentalit diretta dell'atto di acquisto dell'area rispetto all'attivit economica volta alla costruzione, nel senso che tutta l'area con l'atto compravenduta -0.ev'essere effettivamente destinata, entro un certo termine, all'edificazione, da eseguirsi, una volta iniziata, nello spazio di due anni. Il -termine biennale dall'inizio della costruzione serve a garantire quel collegamento strumentale diretto, or ora ricordato, che il legislatore ba voluto per far si che le costruzioni abbiano inizio ed esecuzione con la maggiore rapidit possibile. Il legislatore, cio, lascia all'acquirente dell'area la scelta del momento dell'inizio della costruzione -e ci per ovvie considerazioni, principale fra tutte: per consentirgli il reperimento dei mezzi finanziari necessari -purch questo abbia luogo i:!ntro un termine massimo (non oltre il 31 dicembre 1967), ma vuole che il programma di costruzione -sia esso di una sola casa come di pi case -venga portato a termine senza indugi, perch intende incoraggiare, con un trattamento fiscale di favore, programmi biennali di favore non pu dirsi verificata, se non quando gli elementi della fattispecie medesima siano realizzati nella loro integrit; e) che lo stesso intento per: seguito dal legislatore, esattamente rilevato dalla Cassazfone, di favorire programmi biennali di costruzione , idonei a sopperire con la dovuta :sollecitudine ai considerati bisogni, sicuramente induce a respingere ogni pi lata interpretazione, e consente, all'opposto, di individuare la funzione .del previsto termine biennale (anche in relazione alla strumentalit dell'atto di acquisto ai fini dell'attivit costruttiva); d) che sarebbe, infine, del tutto incongruente ogni diversa conclusione, la quale avesse riguardo non -ostativamente ad un'attivit costruttiva frazionata nel tempo, poich quell'intento vale anche ad evidenziare che i benefici furono appunto previsti per ottenere un rapido sviluppo edilizio, ed ai costi pi economici (onde la riduzione o eliminazione degli oneri fiscali), nell'interesse delle categorie :meno abbienti (ed i benefici furono concessi, invero, soltanto per la costru 186 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO costruzione che contribuiscano con rapidit a dare sollievo ad uno dei pi urgenti bisogni della collettivit. E' evidente che se il legislatore avesse voluto lasciare arbitra la parte privata d'iniziare costruzioni distinte su un'area acquistata con un unico contratto, avrebbe dovuto subordinare la riscossione delle imposte ordinarie non alla mancata ultimazione della costruzione, ma alla scadenza del termine finale ultimo per l'inizio delle costruzioni (al 31 dicembre 1953, secondo la legge n. 408 del 1949, e al 31 dicembre 1967, secondo la vigente legge n. 35 del 1960), perch lo spirare del termine finale utile avrebbe comportato la definitiva non realizzazione delle finalit economiche strumentalmente collegate alla contrattazione. Ma altri decisivi argomenti a sostegno della tesi della ricorrente si ricavano dalla confutazione dei motivi che la Corte di merito ha ritenuto di poter trarre dal suo approfondito esame. La sentenza impugnata appoggia la tesi che ricollega il biennio all'inizio delle singole frazionate costruzioni innanzi tutto alla dizione letterale dell'art. 14 della 1. 2 luglio 1949, n. 408, che subordina il beneficio alla ultimazione della costruzione , intesa, a suo dire, come singolo fabbricato , e non come complesso di edifici . Senonch, se si considera che nell'art. 14 il legislatore fa un uso promiscuo di singolari e di plurali, parlando di acquisti e di contratti laddove avrebbe potuto benissimo riferirsi ad un singolo acquisto di aree o ad un singolo contratto d'appalto, e fa seguire al sostantivo costruzione la specificazione delle case , che rende la complessiva espressione costruzione delle case per lo meno ambigua, proprio se si considera questa espressione adoperata al singolare, si pu dedurre da essa la interpretazione contraria a quella accolta dalla corte del merito, e cio che il legislatore abbia inteso riferirsi, per tutto l'oggetto del contratto di acquisto, ad un unico termine iniziale, intendendo per costruzione il complesso dell'edificazione da compiersi sull'area, indipendentemente dalla circostanza che essa fosse comprensiva di uno o pi edifici. Agevole anche la confutazione dell'altro argomento, contenuto r nella denunciata sentenza, e secondo il quale nell'art. 14 della legge ID n. 408 del 1949 non stato fissato un termine acceleratorio a se stante, con riferimento alla fattispecie disciplinata in quella norma, ma si sia semplicemente richiamato, per gli stessi effetti per i quali stabilito nell'art. 13 della legge, il termine ivi contemplato. Vien dato di obietzione di case non di lusso), e non certamente per agevolare la speculazione sulle aree, per gli acquisti relativi alle quali, perci, ciascun interessato avrebbe potuto fruire dei benefici nei limiti in cui gli acquisti medesimi fossero stati proporzionati ai programmi costT'uttivi effettivamente realizzabili, ~ da realizzare, nel termine acceleratorio all'uopo fissato. Sulla decadenza dai benefici in caso di ultimazione delle costruzioni, sia pure nel termine biennale, ad opera di un successivo acquirente dell'area, cfr. Cass., 21 dicembre 1962, n. 3398 (Riv. Leg. Fisc., 1963, 692),. ricordata nella stessa annotata sentenza, che, inoltre, sul punto della decadenza dai benefici per inadempimento anche parziale delle condizioni di legge, richiama Cass., 10 luglio 1961, n. 1650 (Riv. Leg. Fisc., 1961, 1960). PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 187 tare che se davvero nell'art. 14 non si fosse voluto prescrivere un ter mine, corrispondente nella misura ma autonomo, dal punto di vista obiettivo, rispetto a quello stabilito nel precedente art. 13, sarebbe bastato precisare che i benefici fiscali erano concessi anche per gli acquisti di aree e per i contratti di appalto quando abbiano per oggetto la costruzione di case di cui al precedente art. 13 (che sono appunto quelle costruite come unit singole nel termine di due anni dall'inizio), e non sarebbe stato affatto necessario aggiungere l'inciso, che pur deve avere un concreto significato, purch la costruzione sia iniziata od ultimata entro i termini stabiliti nello stesso art. 13 . In realt, poich gli artt. 13 e 14 regolano fattispecie completamente diverse, e cio lo art. 13 attivit materiale di costruzione e l'art. 14 attivit giuridica di contrattazione, i due termini, anche se quantitativamente corrispondenti, sono autonomi rispetto all'oggetto, e il termine dell'art. 14 opera non gi sul singolo fabbricato, ma sull'area compravenduta ai fini della costruzione. La sentenza impugnata contrasta la tesi, or ora enunciata, del diverso riferimento oggettivo del termine acceleratorio rispetto alle fattispecie regolate dall'art. 13 e dall'art. 14 della legge n. 408 del 1949, osservando che, qualora si attribuisse all'art. 14 un'interpretazione tale da ricavarne la prefissione di un termine acceleratorio applicabile con riguardo ad una entit distinta rispetto a quella cui si riferito il corrispondente termine dell'art. 13, si verrebbe a creare una dissociazione tra il regime giuridico delle agevolazioni rispetto all'imposta diretta sui fabbricati e rispetto alle imposte indirette. In questo ragionamento si annida un'evidente petizione di principio, perch si d per dimostrato quello che attende ancora dimostrazione: il problema da risolvere proprio quello di stabilire se, con riferimento alla previsione di un termine di esecuzione, dall'esame delle disposizioni risulti o meno una diversit di disciplina; n, d'altro canto, esistono ragioni logiche o giuridiche per le quali debba esservi necessariamente una corrispondenza perfetta tra il regime giuridico delle agevolazioni in tema di imposte dirette e quello delle agevolazioni in materia di imposte indirette. Basterebbe tener presente la differente natura dei tributi, per cui l'imposta diretta sui fabbricati ha per oggetto il reddito del fabbricato in se stesso considerato, mentre le imposte indirette hanno per oggetto attivit economico-giuridiche; e considerare inoltre che per una situazione di fatto originaria, o per cause sopravvenute, pu mancare in pratica la concorrenza delle due agevolazioni. Soprattutto la previsione di un regime autonomo e dissociato delle due agevolazioni si ricava dal principio affermato da questo Supremo Collegio in tema di decadenza dalle agevolazioni, quando stato precisato che il beneficio fiscale della registrazione a tassa fissa degli atti di acquisto di aree edificabili, concesso dalla I. 2 luglio 1949, n. 408, a condizione che la costruzione dei fabbricati sia iniziata e compiuta entro determinati termini, non pu essere invocato nell'ipotesi che, a seguito di atto di scioglimento consensuale e transattivo del trasferimento stesso, il fabbricato sia stato ultimato da un successivo acquirente della stessa 188 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO area, sia pure prima della scadenza dei termini di legge (Cass. 21 dicembre 1962, n. 3398). Se davvero il regime giuridico delle agevolazioni sulle imposte dirette sui fabbricati e sulle imposte indirette sui contratti escludesse la possibilit di cause distinte di decadenza, dovrebbe concludersi che in ogni caso in cui ricorre la decadenza dalle agevolazioni sui contratti d'acquisto o d'appalto, ricorre altres la decadenza dal beneficio dell'esenzione venticinquennale dall'imposta sui fabbricati, il che ovviamente illogico ed antigiuridico. N maggior pregio ha l'altro q,rgomento, sul quale fa leva l'impugnata sentenza, secondo cui alla tesi dell'Amministrazione finanziaria farebbe contrasto l'art. 20 della legge n. 408 del 1949, che stabilisce decadenze dai benefici rispetto ai termini contemplati negli artt. 13 e 19 e non di quelli posti autonomamente dall'art. 14, perch il fatto che non siano previste dall'art. 20 specifiche cause di decadenza per l'art. 14 non esclude che la materia in tale articolo regolata non possa avere una particolare disciplina, resa necessaria, come gi si rilevato, dalla diversit dell'oggetto e dei tipi di imposta. ;, Infine da sottolineare l'argomento che si ricava dall'art. 9 della legge di registro 30 dicembre 1923 n. 3269, secondo il quale la tassazione di un atto sempre unitaria, anche se esso contenga pi disposizioni, a meno che queste non siano indipendenti o non derivanti necessariamente le une dalle altre. Nel caso di un'unica compravendita di una sola area (in cui certamente non ricorrono queste ultime ipotesi) si avrebbero, ove fosse esatta la tesi accolta dalla corte di merito, distinte tassazioni per separati lotti dell'area medesima, e, mentre per il primo si sarebbe gi realizzata la condizione di esenzione per il compimento della relativa costruzione, per gli altri la condizione sarebbe ancora sospesa e l'applicazione della tassa incerta. La possibilit di .separati termini iniziali e di distinti periodi biennali consentirebbe, poi, qualora venisse superato il primo bienno senza l'ultimazione della relativa costruzione, che la decadenza fosse limitata alla sola tassa relativa a quella frazione di area, mentre resterebbero pendenti separate condizioni per le altre frazioni. Tutto ci in contrasto evidente con il principio vigente in materia tributaria che l'inadempimento, anche parziale, delle condizioni poste dalla legge porta alla decadenza totale delle agevolazioni gi applicate (Cass. 10 luglio 1961, n. 1650). Il ricorso va, pertanto, accolto; l'impugnata sentenza va cassata e la causa va rinviata, per nuovo esame, ad altra Corte d'appello che dovr uniformarsi al seguente criterio di diritto: Quando un'area edi ficabile acquistata con unico atto sia destinata alla costruzione di una pluralit di edifici, per fruire delle agevolazioni per l'imposta di regi stro, di cui all'art. 14 della I. 2 luglio 1949, n. 408, necessario che l'intero complesso edilizio venga portato a compimento entro il biennio dall'inizio dell'attivit costruttiva di tutto il terreno unitariamente considerato, pi precisamente dalla data di inizio della prima co struzione . (Omissis). SEZIONE SESTA GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE PUBBLICHE, APPALTI E FORNITURE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 15 gennaio 1966, n. 216 -Pres. Lonardo -Est. Iannelli -P. M. Di Majo (concl. diff.) -Ministero Lavori Pubblici (avv. Stato Albisinni) c. S.p.A. Montecatini (avv. Tumedei e Mazzullo). Acque pubbliche ed elettricit -Sovracanoni dovuti dai concessionari di grandi derivazioni d'acqua perforza motrice le cui opere di presa siano site nell'ambito di bacini imbriferi montani -Decreto del Ministro dei Lavori Pubblici determinante il perimetro dei bacini imbriferi montani -Provvedimento di perimetrazione adottato non sulla base di criteri tecnici sibbene per scopi di pubblico interesse -Illiceit e disapplicazione. (L. 27 dicembre 1953, n. 959, art.1; l. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, artt. 4 e 5). Atti amministrativi -Interpretazione -Criteri -Criteri previsti dal Codice civile per l'interpretazione dei contratti -Applicabilit Giudizio di legittimit -Incensurabilit. L'onere della contribuzione, di cui all'art. 1 della legge 27 dicembre 1953, n. 959, non sorge immediatamente dalla legge, sibbene dalla. esistenza del provvedimento ministeriale, in quanto il Ministro dei Lavori Pubblici che stabilisce, con proprio decreto, quali sono i bacini imbriferi montani, con il risultato di individuare, in tal modo, sia i Comuni beneficiari del sovracanone, sia i concessionari di grandi derivazioni di acqua per produzione di forza motrice, che ne vengono onerati per il solo fatto di avere le opere di presa, in tutto o in parte, situate nell'ambito del perimetro del bacino. Il Ministro dei Lavori Pubblici deve, nella determinazione del perimetro di un bacino imbriferomontano, seguire criteri di ordine eminentemente tecnico e non scegliere, invece, una soluzione che, astraendo da tali criteri, sia diretta. a meglio favorire gli scopi di pubblico interesse che la legge intende perseguire. Dal che deve inferirsi che, ove l'alternativa venga risolta. in tale ultimo senso, il Ministro procede ad una individuazione non. tecnica del bacino, esercitando, all'uopo una discrezionalit amministrativa che non gli compete. Il provvedimento, quindi, di perimetrazione viene ispirato, di fatto, daila intenzione di agevolare le zone ad economia montana e tale intento, determinato dall'interesse pubblico liberamente apprezzato, viene a risolversi, in concreto, nella violazione del.. 190 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO diritto soggettivo dell'Ente concessionario. Tale violazione rilevabile dal Giudice ordinario agli effetti della disapplicazione dell'atto amministrativo (1). (Omissis). Con l'unico mezzo di ricorso il Ministero dei Lavori Pubblici denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 1 comma primo della legge 7 dicembre 1953, n. 959 e l'omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione allo art. 360, nn. 3 e 5 c.p.c. Premesso l'aspetto storico della menzionata legge, istitutiva del sovracanone, con le ragioni che l'avrebbero ispirata e le finalit da essa perseguite, rileva che la perimetrazione del bacino imbrifero montano in questione, contrariamente al giudizio, all'uopo, espresso dal Tribunale Superiore, stata effettuata con criterio tecnico, giacch devesi ritenere tale l'apprezzamento, anche se sintetico, in base al quale stato fissato il livello inferiore del bacino ad una quota che, per comune nozione, non escludeva n la sussistenza di caratteristiche fisiche montane n, comunque, quelle di un territorio montano. Sostiene, al riguardo, che la guida tecnica tracciata nei due voti del Consiglio Superiore dei LL.PP. organo eminentemente tecnico, ai fini di un'esatta perimetrazione dei bacini imbriferi montani, era proprio quella a cui la legge aveva inteso riferirsi e che il contenuto del secondo voto non era divergente, sostanzialmente, da quello del voto precedente, anche se con questo si era suggerita l'adozione di criteri analitici, posto che I si era dovuto, con il successivo voto, ripiegare necessariamente sulla adozione di un criterio sintetico, peraltro egualmente esatto, attesa la brevit del tempo (appena un anno) concesso al Ministero per l'emana I zione dei provvedimenti. Il (1) I provvedimenti di determinazione dei bacini imbriferi montani e ' limiti del sindacato giudiziario. ili La parte della sentenza da cui stata estratta la prima massima lascia, per verit, seriamente perplessi. I termini di fatto della delicata controversia, analoga a numerosissime altre interessanti l'applicazione della J.egge 27 dicembre 1953, n. 959, emanata per venire incontro a:lla depressa economia delle zone montane, erano i seguenti. Il Ministro dei LavOII'i Pubblici, in applicazione dell'art. 1 della leggeindicata, provvide, con propri decreti, a determinare il perimetro dei bacini imbriferi montani. I decreti furono emanati dopo che il Ministro aveva richiesto ed ottenuto il parere del Consiglio Superiore dei LL. PP., bench tale parere non fosse prescritto dalla legge. Il Consiglio Superiore si p!l'onunzi con un primo voto -n. 700 dell'S apriJ.e 1954 -, con il qualeespresse l'avviso che fossero da considerare montane le parti dei bacini imbriferi definite dalle sezdoni fluviali aventi J.a quota 500 sul livello del mare e che il compito delle indagini e della conseguente individuazione dei bacini dovesse essere affidato agli Uffici idrografici, i cUi elaborati avrebbero dovuto essere riveduti dall'Ufficio idrografico centrale e dalla furono proposti da parte di Concessionari ricorsi al Tribunale Superiore PARTE I, SEZ. VI, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE, APPALTI ECC. 191 Le no1me dettate dal codice civile per l'inte1pretazione dei contratti devono considerarsi comuni a tutti gli atti consistenti in manifestazioni di volont e, quindi, anche ai provvedimenti amministrativi. Ne consegue che valgono gli stessi principi per quanto attiene alla incensurabilit dell'interpretazione stessa nel giudizio di legittimit, per l'ovvia ragione che non trnttandosi deZL'interpretazione di norme giuridiche, quella degli atti suddetti si risolve in un giudizio di fatto insindacabile in Cassazione, se non inficiato da vizi logici e giuridici. Affermato, poi, che il vero criterio suggerito dal legislatore sarebbe quello teleologico, in relazione, cio, allo scopo di assicurare determinate provvidenze alle zone ad economia montana, obietta che il secondo voto, al quale il decreto impugnato aveva fatto richiamo, si era ispirato al criterio anzidetto e che se col primo voto si era detto che la tecnica da adottare doveva essere anche quella morfologica, in base alla quale le caratteristiche per la perimetrazione dei bacini potevano, in via di massima, ritenersi presenti, in ogni caso, a partire da quota 500, salve diverse risultanze delle indagini svolte per singoli casi, non per questo poteva sostenersi fondatamente che col secondo voto fosse stata tracciata una tecnica diversa. Infatti se, con quest'ultimo voto, altro non si era fatto che riassumere i risultati delle indagini suggerite col precedente voto, stando ai quali, data la ripartizione del territorio nazionale in zone orografiche differenti, per alcune di queste la quota 500 poteva essere confermata e stabilizzata e per altre, invece, la si doveva abbassare a quota 300, era evidente che non si era abbandonato, in tal modo, il criterio morfologico; n a far ritenere diversamente poteva influire il fatto che tale criterio, anzich analitico, come si era inteso suggerire in un primo momento, avesse assunto, dopo, un carattere sintetico. Presidenza della IV Sezione del Consiglio Superiore, per poi tornare all'esame del Consiglio medesimo. Con il secondo voto -n. 1930 del 12 ottobre 1954 -, il Consiglio Superiore, premesso che erano stati trasmessi gli elaborati degli Uffici idrografici riguardanti 78 corsi di acqua, con i quali era stata determinata la sezione fluviale avente la quota 500 suI mare, che la Direzione Generale delle Acque aveva trasmesso numerose richieste, osservazioni e proposte di Enti o di Comuni ad essa pervenute, esprimeva l'avviso che la quota di metri 500 sul livello del mare dovesse essere abbassata a metri 300 per i corsi d'acqua del Veneto, ad eccezione della Drava, nonch per d corsi d'acqua del versante appenninico del Po e di tutta la parte peninsulare d'Italia; che la indicata quota di metri 500 sul livello del mai!"e dovesse irimanere ferma invece per i corsi d'acqua della Lombardia e del Piemonte. Al voto del Consiglio 8uperiore venivano allegate, per formarne parte integrante, le tabelle, in cui venivano riportati tutti i corsi di acqua, per i quali veniva proposta la delimitazione del bacino imbrifero montano, con la indicazione delle quote sul livello del mare, a cui il bacino si sarebbe dovuto chiude["e a valle. Il Ministro dei Lavori Pubblici si attenne al secondo voto, che irichiam nei provvedimenti di perimetrazione dei bacini. Avverso i provvedimenti delle Acque, sostenendosi che i provvedimenti fossero infici,ati di eccesso 15 I I I I I I ' 192 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Lamenta, quindi, il Ministero ricorrente che il Tribunale Superiore, col qualificare non tecnico il criterio adottato, nella specie, con il decreto de quo, abbia anzitutto, interpretato erroneamente la legge e sia,. inoltre, pervenuto a siffatto risultato senza una motivazione adeguata ma, piuttosto, con una affermazione apodittica, non avendo precisato affatto quali dovevano essere i criteri tecnici che il Ministero avrebbe dovuto seguire, perch il proprio provvedimento fosse legittimo e, sotto quale profilo, tali criteri si discostavano da quelli che, suggeriti dal duplice voto del Consiglio Superiore dei LL.PP. erano stati fatti propri dal provvedimento ministeriale. La censura priva di fondamento. Essa, sebbene si estrinsechi in due diversi aspetti, attinenti l'uno all'asserita violazione o falsa applicazione dell'art. 1 comma primo della legge 27 dicembre 1953, n. 9,5.9 e l'altro all'attivit del giudice per preteso vizio di motivazione, prospetta, tuttavia, un'unica questione, concernente l'interpretazione della menzionata norma di legge in relazione a quello che stato l'atto amministrativo (decreto ministeriale di perimetrazione del bacino imbrifero montano), emanato in base alla norma medesima. di potere, in quanto il Ministro si sarebbe avvalso di una discrezionalit amministrativa, non consentita dalla Legge, per stabilire la chiusura a valle dei bacini imbriferi montani ad altitudini inferiori a quelle a cui la mon tagna perveniva. L'Avvocatura Generale dello Stato, in difesa del Ministro dei Lavori Pubblici, eccepi il difetto di giurisdizione del Giudice amministrativo, deducendo che il Ministro aveva proceduto alla determinazione del perimetro dei bacini sulla base di criteri tecnici e di comune esperienza e che l'eventuale errore in cui fosse incorso nella adozione di tali criteri poteva, in ipotesi, determinare la violazione del diritto subiettivo del concessionario, diTitto subiettivo che non risultava affievolito dalJla legge n. 959 del 1953, in quanto la legge stessa non attribuiva al Ministro il potere di determinare la peTimetrazione dei bacini imbriferi montani in relazione al pubblico interesse. I ricorrenti sollevarono anche innanzi al Tribunale Superiore delle AA. PP. una eccezione di illegittimit costituzionale della legge, per avere questa attribuito al Ministro dei Lavori Pubblici la determinazione in concreto dei sovracanoni, in violazione del precetto contenuto nell'art. 23' della Costituzione. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 122 dell'8 luglio 1957, dichiar infondata la questione di legittimit costituzionale sollevata, affermando che era del tutto conforme al J)Tecetto costituzionale, di cui si denuciava la violazione, l'attribuzione al Ministro di un potere amministrativo di determinazione, sulla base di criteri tecnici, del perimetro dei bacini imbrifeTi montani. Conseguentemente, il Tribunale Superiore delle Acque dichiar il proprio difetto di giurisdizione a conoscere dei ricorsi innanzi ad esso proposti. Le Ditte concessionarie trasferirono allora le proprie doglianze innanzi al Giudi-ce dei diritti (Tribunale Regionale delle AA. PP.), proponendo opposizioni alle ingiunzioni di pagamento che, nel frattempo, in attesa della -:ostituzione dei consor:zii previsti dall'art. 1 della legge, il Ministro dei Lavori pubblici aveva emesso, nell'ambito di poteri dalla legge stessa attribuiti. Sostennero le opponenti che il Ministero non si era attenuto, nella determinazione del perimetro dei bacini imbriferi montani a criteri tecnici, sibbene a criteri di discrezionalit amministrativa e che, perci PARTE I, SEZ. VI, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE, APPALTI ECC. 193 Ora, per quanto concerne il primo aspetto della doglianza, da rilevare, anzitutto, che l'onere della contribuzione di che trattasi sorge non dalla legge immediatamente ma dall'esistenza del provvedimento ministeriale, in quanto il Ministero dei Lavori Pubblici che stabilisce, con proprio decreto, quali sono i bacini imbriferi montani, determinando il perimetro di ognuno, col risultato di individuare, in tal modo, sia i Comuni beneficiari del sovracanone, sia i concessionari di grandi derivazioni di acqua per produzione di forza motrice che ne vengono onerati per il solo fatto di avere le opere di presa, in tutto od in parte, situate nell'ambito del perimetro del bacino. V' da aggiungere, come la stessa denunciata sentenza ha sottolineato, che la Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi se, col congegno della legge in esame, fosse stato violato l'art. 23 della Costituzione (secondo il quale nessuna prestazione patrimoniale pu essere imposta se non in base alla legge) e si dovesse, pertanto, negare la legittimit costituzionale della attribuzione alla pubblica amministrazione del potere di determinazione dei bacini imbriferi montani, ha ritenuto, dopo aver qualificato il decreto ministeriale come un atto amministrativo, la legittimit costituzionale del rinvio della legge all'organo amministrativo ma che tale stesso, i decreti medesimi non fossero conformi a legge e vfolassero i diritti subiettivi dei vari concessionari. Tali i .termini generali delle numerose controversie, delle quali parte sono tuttora pendenti innanzi al Tribunale Regionale delle Acque, altra parte sono pendenti innanzi al Tribunale Superiore Acque, in grado di appello, ed altre infine .sono state decise dalla Corte di Cassazfone Sez. Un. con sentenze del tutto analoghe a quelle che ora si annota. Nella controversia decisa con la sentenza sopraindicata la opponente Soc. Montecatini aveva, fu-a l'altro, chiesto al Tribunale Regionale delle Acque di Roma che fosse dichiarata la illegittimit del decreto ministe riale 14 dicembre 1954, delimitativo det perimetro del bacino imbrifero montano e conseguente illegittimit della ingiunzione. per avere il Ministero fatto uso di una discrezionalit amministrativa che gli era vietata e per non aver tracciato il perimetro del bacino montano anzidetto secondo esatti criteri tecnici . A nostro avviso, di fronte a tale conclusione, di fronte a tale prospettazione del:I'azione, il Tribunale Regionale delle Acque, Giudice dei diritti, avirebbe dovuto esaminare se la perimetrazione del bac:no fosse stata appunto fatta secondo criteri tecnici esatti oppure no e, nel caso che avesse ritenuto che vi fossero stati in detta perimetrazione errori di carattere tecnico, in dipendenza dei quali erano state illecitamente comprese nel perimetro del bacino imbrifero montano anche le opere di presa dell'impianto oggetto della controversia, avrebbe dovuto dichiarare, nell'ambito dei poteri .spettantigli ai sensi del:I'art. 5 della legge 20 marzo 1865 -, n. 2248 -ali. E, la non conformit 1a legge del decreto, in relazione al caso in discussione, e disapplicarlo. Il Tribunale Regionale, invece, per pervenire alla conclusione di dichiarare illegittimo il decreto col quale il Ministero dei Lavori Pubblici ha delimitato il perimetro del bacino imbrifero montano ., affermava: Ai fini della decisione del giudizio presente sufficiente, infatti, avere accertato che il Ministro, attenendosi ai voti esaminati, che ha richiamati nel proprio decreto, ha decampato dai limiti della discrezionalit tecnica, che la legge gli imponeva, ed ha fatto uso di una discrezionalit amministrativa che gli era vietata, allo scopo di includere nel perimetro montano gli impianti da assoggettare al sovracanone . 194 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO organo, tuttavia, non disponeva, nella perimetrazione dei bacini, di una discrezionalit amministrativa, bensi di una discrezionalit tecnica, risolventesi nell'applicazione di un criterio tecnico, escludendo che esso avesse una facolt di scelta tra le varie soluzioni possibili in funzione degli scopi di pubblico interesse, perseguiti dalla legge. Premesso ci ed una volta escluso che lo indicato decreto potesse, conseguentemente, avere l'effetto di degradare il diritto soggettivo del concessionario ad interesse o a diritto affievolito, dato che esso tale, invece, da influire sulla sfera del diritto soggettivo, va osservato, in relazione all'impostazione dei termini di risoluzione della controversia, che l'indagine devoluta al Tribunale Superiore doveva essere diretta a stapilire la liceit o meno del provvedimento adottato nel caso concreto, essendo al risultato di una siffatta indagine collegata la legittimit o meno della pretesa del Ministero alla riscossione del sovracanone. Incombeva, pertanto, a quel Collegio controllare se il Ministero avesse determinato il bacino imbrifero montano, nell'ambito del quale sono situate le opere di presa della concessione in oggetto, in base ad un criterio di ordine eminentemente tecnico, ossia attraverso un'atto di accertamento che avesse tenuto conto delle strutture e delle caratteristiche dei settori montani interessati o non avesse, piuttosto, scelto una soluzione che, astraendo da tale criterio era diretta a meglio favorire gli scopi di pubblico interesse che la legge in esame intendeva perse- Perdippi, lo stesso Tribunale Regionale affermava: Vero che, dalla indagine tecnica disposta da questo Tribunale risultato che la linea di perimetrazione della parte montana del bacino imbrifero del Tirino potrebbe, secondo criteri tecnici, essere posta a valle della zona ove trovasi l'opera di presa dell'impianto in questione. Ma l'indagine non sembra decisiva in difetto dei cennati accertamenti, che, come si detto, sono nei compiti dell'Amministrazione e che questa, affidando il suo giudizio ad un criterio di discrezionalit amministrativa, ha trascurato>, Ora, appaiono evidenti i vizi in cui era incorso il Tribunale Regionalenella impostazione della controversia e, conseguentemente nel procedimentologko seguito per pervenire alla sua soluzione. Il Giudice dei diritti, nella sostanza, tratto in inganno dalla prospettazione della controversia da partedella Societ opponente, aveva esercitato sull'atto amministrativo sottoposto al suo esame un controllo sotto il P!l.'Ofilo della motivazione, che, peraltro, poteva anche non esserci; sotto il profilo, a ben considerare, dell'eccesso di potere, in quanto avere usato di una non consentita discrezionaliit amministrativa, invece che attenersi ad esatti criteri tecnici, costituisce -a nostro avviso -vizio nell'esercizio del potere. Aveva, cio, n definitiva, il Giudice dei dkitti usato dei poteri attribuiti al Giudice degli interessi legittimi, esercitando sull'atto amministrativo un contrnllo, al Giudke dei diritti non consentito, sull'eccesso di potere. Avrebbe dovuto, invece, il Tribunale Regionale trarre proprio dagli accertamenti tecnici disposti ed effettuarti le conseguenze del caso, per stabilire se, a parte la motivazione dell'atto, la perimetrazione del bacino ccmrispondeva oppure no a quella che le norme tecniche e di comune espe rienza suggerivano. Ci facendo, il Tribunale Regionale non si sarebbe sostituito, come erroneamente mostvava di ritenere, alla Amministrazione, PARTE I, SEZ. VI, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE, APPALTI ECC. 195 guire. Dal che dove inferirsi che, ove l'alternativa fosse stata risolta in quest'ultimo senso, non poteva il Tribunale Superiore non pervenire alla conclusione alla quale pervenuto di fatto, che cio il Ministero ha proceduto ad una individuazione non tecnica del bacino, avendo esercitato, all'uopo una discrezionalit amministrativa, che non gli competeva. Orbene il Tribunale Superiore, dopo avere ribadito il carattere vincolato, nel senso test indicato, del provvedimento amministrativo, uniformandosi, in tal modo, alla decisione della Corte Costituzione ha accertato, in esito all'indagine avente il mentovato contenuto, cos interpretando il provvedimento stesso, che, con questo, si era pervenuti alla determinazione del bacino montano in questione, in base all'adozione di un criterio puramente teleologico (tale chiaramente espresso nel secondo voto del Consiglio Superiore dei LL.PP.), prescindendo, quindi, dalle caratteristiche orografiche e morfologiche del bacino e senza alcuna indagine concreta, che avrebbe dovuto essere condotta, per aversi un risultato utile, con l'impiego di strumenti di accertamento analitico, come, infatti, era stato suggerito col primo voto dell'organo tecnico suddetto. Invero, la perimetrazione del bacino era stata fissata presuntivamente, col semplice riferimento all'elemento altimetrico, nel senso che le condizioni per la determinazione del bacino si sarebbe dovuto ritenere presenti per il fatto stesso che si fosse ad un certo livello, cor ma avrebbe effettuato il controllo che gli competeva sulla attivit tecnica del:l'Ammindstrazione; non avrebbe, quindi, dovuto annullare il provvedi mento di perimetrazione, in ipotesi non conforme a legge, per sostituire ad esso altra perimetrazione da esso effettuata, ma avrebbe dovuto dichia rare, in ipotesi, la non conformit a legge della perimefu:azione effettuata dall'Amministrazione e disapplicarla nel caso concreto. Spettava, se mai, poi alla Amministrazione di trarne le conseguenze dovute, sostituendo, ad una perimetrazione non conforme a legge, altra conforme. Avverso la decisione del Tribunale Regionale fu proposto dall' Ammini strazione dei Lavori Pubblicd appello al Tribunale Superiore, ma questo si \I.asci prendere dalla stessa suggestione da cui non aveva saputo man tenersi indenne il Tribunale Regionale, e, richiamati i due voti, in pre cedenza citati, del Consdglio Superiore n. 700 deH.'8 aprile 1954 e n. 1830 del 12 ottobre de'llo stesso anno, che costituivano la motivazione per rela tionem del decreto ministeriale di perimetrazione, afferm: Ora appare evidente che cos operando l'Amministrazione non si ispirata soltanto a criteri tecnici, ma anche e prevalentemente a criteri di discrezionalit am ministrativa . E dalla sentenza del Tribunale Superiore appare ancora pi evidente come H. Giudice dei diritti avesse, nel caso in contestazione, trava licato dai poteri ad esso attribuiti dagli artt. 4 e 5 della leg.ge abolitiva del contenzioso amministrativo, effettuando un'inammissibile controllo su di un asserito vizio di eccesso di potere. Il Tribunale Superiore, infatti, affermava, nella sua decisione: Infondata la tesi della appellante, secondo la quale il Giudice avrebbe il potere-dovere di compiere indagini tecniche per accertare se i decreti stessi, ancorch adottati in virt di un procedimento illegittimo, siano eventualmente conformi nel risultato a 196 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO rispondente ad una linea tracciata a quota 300 di altitudine, quale confine tra la montagna-collina e la pianura. Ma il criterio teleologico, che sarebbe stato quello adottato nella specie, non era tale, ad avviso del Tribunale Superiore, da garantire che la perimetrazione del bacino fosse avvenuta conformemente ad un sistema tecnico, dato che avrebbe dovuto tenersi conto, oltre che dell'accertamento altimetrico, degli elementi orografici e morfologici, previo le indagini del caso, e ci proprio in vista delle differenze notevoli di struttura dei settori montani, le quali, lungi dall'essere state considerate dal provvedimento ministeriale, erano state invece pretermesse completamente, dato l'abbassamento a 300 metri della quota di altitudine per la definizione della montanit, tipica, piuttosto, nella nozione comune, di quella che la collina. Avendo, rilevato, pertanto, che il provvedimento era stato ispirato, di fatto, dall'intento di agevolare le zone ad economia montana (per essere stata assunta la nozione di bacino montano nella pi ampia accezione) e che tale intento (del quale era esplicita e chiara conferma il parere in data 15 dicembre 1961 del Consiglio Superiore dei LL.PP.), in funzione dell'interesse pubblico apprezzato liberamente, veniva a risolversi, in concreto, nella violazione dei diritto soggettivo dell'ente concessionario, il Tribunale Superiore ha disatteso giustamente la tesi del Ministero ricorrente, secondo la quale doveva ritenersi sufficiente il criterio teleologico, in quanto, dalle finalit stesse della legge, si sarebbero dovute enucleare quei criteri tecnici in base ai quali la perimetrazione del bacino doveva essere fatta, non senza avere, puntualmente, osser quelli che si sarebbero ottenuti seguendo criteri tecnici. La legge non richiede soltanto che i presupposti della qualificazione di montano ~a attribuirsi ad un bacino realmente sussistano, ma vuole anche che la sussistenza di essi sia riconosciuta da un decreto del Ministro dei LL. PP. permodo che se it Giudice esercitando il controllo di legittimit sul decreto, ne abbia 'dichiarato l'illegittimit, necessario che un nuovo decreto sia emanato dallo stesso Ministro e non da altra Autorit amministrativa o giudiziaria ~. Ora per come dicevamo in precedenza, non vi dubbio che non potesse il Giudi~e dei diritti sostituire la propria perimetrazione a quella, in ipotesi non conforme a legge, effettuata dal Ministro, ma doveva quel Giudice proprio controllare i risultati, per stabilire se, malg>t~ado la motivazione dell'atto le opere di presa di quel determinato impianto fo.ssero oppure no in z~na compresa nel bacino imbrifero montano, per come la natura e la tecnica !o indicavano. Il potere attribuito al Ministro dei Lavori Pubblici, per la determina zione del perimetro del bacino imbrifero montano, dall'art. 1 della legge 27 dicembre 1953, n. 959 del tutto analogo a quello relativo alla formazione degld elenchi delle Acque Pubbliche, di cui all'art. 1 del t. u. sulle acque e gli impianti elettrici, approvato con r. d. 11 dicembre 1933, n. 1775. Il Tribunale delle Acque chiamato a pronunziarsi se un determinato corso di acqua, iscritto in uZ:: elenco di acque pubbliche, abbia od acquisti atti tudine ad usi di pubblico generale interesse, deve esaminare obiettivamente la situazione dell'acqua, non interessando stabilire se il Ministro dei Lavori PARTE I, SEZ. VI, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE, APPALTI ECC. 197 vate che la c.d. tecnica teleologica (cui con la suddetta tesi si fa tuttora richiamo) altro non fosse, dopo tutto, che una discrezionalit amministrativa, intesa questa come il potere della pubblica amministrazione di apprezzare liberamente l'interesse pubblico. La quota di 300 metri, come livello del bacino, era stata assunta, infatti, non in base a regole tecniche, ma in base a criteri di mera opportunit politico-sociale, che avrebbero dovuto, invece esulare completamente dalla valutazione, all'uopo, richiesta dalla legge. Ed al riguardo appena il caso di avvertire che, discostandosi la interpretazione del provvedimento de quo, data dal Ministero ricorrente, dall'interpretazione cui pervenuta la sentenza denunciata, la doglianza , sotto questo secondo aspetto, irricevibile. Escluso, infatti, il vizio di motivazione, lamentato col mezzo di ricorso, data la completezza dell'ineccepibile procedimento logico che sta a base della decisione, avendo il Tribunale Superiore, una volta sceso all'esame del contenuto del decreto, precisato in che cosa esso fosse manchevole rispetto a quello che avrebbe dovuto contenere in effetti, va rilevato che l'interpretazione del decreto medesimo, per essere stata condotta con la osservanza delle norme di ermeneutica dettate per i contratti, incensurabile in questa sede. Pubblici si sia ispirato a criteri di accertamento tecnico oppure a discrezionalit amministrativa. Nello stesso modo il Tribunale delle Acque, nel controllare la perimetrazione di un bacino imbrifero montano, deve darsi carico di esaminare se quella perimetrazione sia obiettivamente oppur non esatta, senza occuparsi n della motivazione dell'atto n, tanto meno, del proceddmento seguito per pervenire a quelle determinate conclusioni. Avverso la sentenza del Tribunale Superiore delle Acque l'Ammini strazione dei Lavori Pubblici propose ricorso in Cassazione denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 1, comma lo della legge 27 dicem bre 1953, n. 959, nonch omessa insufficiente o contradittorfa motivazione circa un punto decisivo del1a controversia. Il difetto di motivazione si con cretava e si sostanziava nella circostanza che non soltanto, attraverso una motivazione del tutto insufficiente e inadeguata, non appariva assoluta mente quale fosse stato n procedimento logico seguito ma appariva, anzi, che .si fosse seguito, nella impostazione e nella \risoluzione della contro versia, un procedimento logico .erroneo e falso. Ma le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza che si -annota, hanno escluso che sussistesse la denunciata violazione di legge ed hanno, altresi, escluso il vizio di motivazione, e data la completezza del l'ineccepibile procedimento logico che sta a base della decisione, avendo il Tribunale Superiore, una volta sceso all'esame del contenuto del decreto, precisato in che cosa fosse manchevole rispetto a quello che avrebbe dovuto contenere in effetti... e risolto, poi, la questione in relazione alla dnter pretazione data all'atto amministrativo dal Giudice di merito e non cen surabile dal Giudice di legittimit (cfr. la motivazione, sopra riportata, della decisione). per questo che abbiamo, all'inizio di questa nota, detto che la senten2'la delle Sezioni Unite ci lascia assai perplessi. Illustrando, in memoria i motivi del ricorso, noi avevamo rilevato che il Tribunale Superiore, usando dei poteri attr.ibuiti al Giudice degli interessi legittdmi, era incorso in un eccesso di potere giurisdizionale, avendo violato gli artt. 4 e 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, an. E. A tale nostro rilievo, 198 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO N pu dirsi che il processo interpretativo doveva essere operato con criteri diversi, posto che, per principio ormai consolidato nella giurisprudenza di questo Supremo Collegio, le norme dettate dal codice civile per l'interpretazione dei contratti devono considerarsi comuni a tutti gli atti consistenti in manifestazioni di volont, quindi, anche ai provvedimenti amministrativi, egualmente per quanto attiene all'ncensurabilit dell'interpretazione stessa nel giudizio di legittimit, per la ovvia ragione che, non trattandosi dell'interpretazione di norme giuridiche, quella degli suddetti si risolva in un giudizio di fatto insindacabile, in cassazione se non sia inficiato da vizi logici o giuridici. E, come non pu fondatamente sostenersi che il Tribunale Superiore abbia violato o falsamente applicato l'art. 1 della legge n. 959 del 195,3, dal momento che esso, come gi detto, sulla guida della pronuncia della Corte Costituzionale, ha ritenuto che quella concernente l'emanazione del decreto di perimetrazione del bacino dovesse essere una discrezionalit diversa dalla discrezionalit esercitata, nella specie, dalla pubblica amministrazione, parimenti non pu dirsi che quel Collegio avrebbe dovuto fare di pi di quanto ha fatto e, pi specialmente, procedere alla ricostruzione, in concreto, secondo il suo giudizio tecnico, della perimetrazione del bacino, indipendentemente dalla motivazione del provvedimento in questione, per compararne, poi, il risultato con quello al quale si sarebbe pervenuti in forza del provvedimento mede- la ;sentenza che si annota ha rispo.sto che quanto da noi dedotto non era esatto, ove si consideri che le dette norme non contengono un divieto assoluto di sindacato del Giudice ordinario sugli atti della pubblica amministrazione, ma stabiliscono soltanto i limiti entro i quali tale sindacato va esercitato, disponendo che il Giudice Ordinario, pur potendo portare la sua indagine sulla legittimit di un atto amministrativo, denunziato come lesivo di un diritto soggettivo, deve, tuttavia, conoscere dei soli effetti lesivi dello stesso atto, in relazione all'oggetto dedotto in giudizio, senza mai SPingersi fino a sostituire la propria volont a quella della Pubblica Amministrazione, alla quale soltanto riservato il potere di revocare, annullare o modificare gli atti amministrativi emanati dai suoi organi. Ed infatti it Tribunale Superiore, dopo avere rilevato l'illegittimit del Decreto in questione, non lo ha revocato n annullato e tanto meno modificato ma soltanto lo ha disapplicato, non senza aver considerato, nell'ultima parte della sua pronuncia, che gli era inibito sostituirsi alla pubblica Amministrazione, fissando un diverso criterio per la perimetrazione del bacino, dato che non rientrava nei suoi poteri . Ma in tal modo la sentenza, resa sulle difformi conclusioni del P. M., il quale aveva richiesto l'accoglimento del nostro ricorso, non ha risposto all'interrogativo, che costituiva la questione centrale ed essenziale da noi proposta, e cio se censurare l'atto sotto il profilo che il Ministro avesse usato di una discrezionalit amministrativa non consentita significava portare l'esame su di un vizio attinente all'esercizio del potere e se, in tal caso, la conoscenza di tale vizio rientrasse nel potere giurisdizionale attribuito al Giudice ordinario dagli artt. 4 e 5 della legge abolitiva del contenzioso amministrativo. A noi pare, in conclusione, che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si siano lasciate attrarre dalla stessa suggestione da cui erano stati I ID I:. i . . . . I ~ ~ ' PARTE I, SEZ. VI, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE, APPALTI ECC. 199 simo, e, indi, concludere che l'atto di perimetrazione fosse legittimo, se conforme al tipo, ovvero illegittimo, se da questo difforme. Per vero, i limiti del giudizio erano quelli del sindacato del provvedimento, esercitato, di fatto, dal Tribunale Superiore; vedere, cio, se il Ministero avesse proceduto alla perimetrazione del bacino in base a criteri tecnici o, invece, si fosse avvalso di criteri diversi, la qual cosa richiedeva soltanto l'esame del provvedimento, perch solo dalla valutazione del contenuto dello stesso era possibile rendersi ragione dei criteri adottati per accettarli, se tecnici, e respingerli, se differenti, disapplicando, in tal guisa, il provvedimento medesimo. N , infine, esatto quanto sostenuto dal Ministero, nella memoria illustrativa e poi ampiamente ribadito durante la discussione orale, ossia che il Tribunale Superiore sia incorso in un eccesso di potere giurisdizionale, avendo violato gli artt. 4 e 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, ali. E, ove si consideri che le dette norme non contengono un divieto assoluto di sindacato del giudice ordinario sugli atti della pubblica amministrazione, ma stabiliscono soltanto i limiti entro i quali tale sindacato va esercitato, disponendo che il giudice ordinario, pur potendo portare la sua indagine sulla legittimit di un atto amministrativo, denunziato come lesivo di diritti soggettivi, deve tuttavia, conoscere dei soli effetti lesivi dello stesso atto, in relazione all'oggetto dedotto in giudizio, senza mai spingersi fino a sostituire la propria volont a quella della pubblica amministrazione, alla quale soltanto riservato il potere di revocare, annullare o modificare gli atti amministrativi emanati dai suoi organi. Ed infatti il Tribunale Superiore, dopo avere rilevato l'illegittimit del decreto in questione, non lo ha revocato, n annullato e tanto meno modificato ma soltanto lo ha disapplicato, non senza avere considerato, nell'ultima parte della propria pronuncia, che gli era inibito sostituirsi alla pubblica amministrazione. fissando un diverso criterio per la perimetrazione del bacino, dato che ci non rientrava nei suoi poteri. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato... (Omissis). attratti il Tribunale Regionale prima e il Tribunale Superiore delle acque poi. A noi pare che il procedimento logico seguito dal Giudice del merito fosse del tutto erroneo e falso e denotasse proprio l'uso di un potere giurisdizionale ddverso da quello attribuito; un potere che, nella sostanza, era potexe di annullamento, anche se, in concreto, nelle singole fattispecie, l'annullamento dei decreti di perimetrazione non stato disposto. Censurare l'atto in questione, cos come stato o censurato, sotto il profilo dell'esercizio del potere significa che, poich li. voti del Consiglio Superiore dei LL. PP. sono gli stessi per tutti i provvedimenti di determinazione del perimetro dei bacini imbriferi montani adottati, debbono ritenersi non conformi a legge e, quindi, da disapplicare, anche quelli irelativi ai bacini alpini. Questo l'assurdo pratico a cui la erronea impostazione e definizione della controversia verrebbe a portare. G. ALBISINNI 200 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE D'APPELLO DI MESSINA, 21 maggio 1964 -Pres. Luciani Est. Scribano -Provincia Regionale di Messina (avv. Pollicino) c. Panarello (avv. Bonfiglio). Arbitrato -Capitolato Generale della Cassa per il Mezzogiorno -Richiamo contenuto nell'art. 45 di detto capitolato all'art. 49 del Capitolato generale dello Stato del 1895 -Non vale ad introdurre nel capitolato della Cassa la rinunzia alle impugnazioni ivi previste. (Cap. gen. Cassa Mezzogiorno, art. 45; Cap. Gen. Stato 1895, art. 49). Arbitrato -Nullit del lodo -Inosservanza delle regole di diritto Estremi. ((c. p. c., artt. 360, n. 3, 829). Appalto -Appalto di opere pubbliche -Divieto di cessione di credito e di rilascio di procure per l'appaltatore -Limite temporale. (1. 20 marzo 1865, n. 2248, all. F, sui lav. pubblici, art. 339). Appalto -Difficolt nell'esecuzione dei lavori -Applicabilit dell'art. 1664 c. c. -Estremi -Prezzo di scavo comprendente anche la roccia da mina -Rinvenimento, in quantit eccezionale, di roccia di particolare durezza -Inapplicabilit dell'art. 1664. (c. c., art. 1664). Arbitrato -Indivisibilit del lodo -Nullit di un capo -Estensione dell'invalidit all'intera decisione. (c. p. c., art. 829). Le norme del capitolato generale della Cassa per il Mezzogiorno hanno regolato ex novo e compiutamente la materia della definizione delle controversie, senza lasciare lacune da colmare mediante disposizioni tratte aliunde, con la conseguenza che il rinvio generico dell'art. 45 di detto capitolato all'art. 49 del capitolato generale dello Stato del 1845 non sufficiente ad introdurre nel primo capitolato la 1inunzia ai rimedi dell'appello e del ricorso per Cassazione (1). (1) La giurisprudenza della Suprema Corte (Cass. 19 gennaio 1963, n. 67, Riv. giur. edil., 1963, I, 239 e Giust. civ., 1963, I, 270; Cass. 23 giugno 1958, n. 2219, Foro It., 1958, I, 1450, con nota di E. CAPACCIOLI e di alcune nagistrature di merito (Trib. Firenze 3 luglio 1963, Giur Tosc., 1963, 828 e Riv. giur. edil., 1964, I, 110; App. Catanzaro 9 maggio 1959, Riv. giur. umbro-abruzzese, 1962, 137) ha ritenuto che, in forza del disposto dello art. 8, ultimo comma, della legge 10 agosto 1950, n. 646, istitutiva della Cassa per il Mezzogiorno, le norme vigenti per l'esecuzione delle opere di competenza del Ministero dei Lavori Pubblici, e quindi anche quelle del capitolato generale di appalto, approvato con D. M. 28 maggio 1895, devono ritenersi applicabili agli appalti stipulati dalla Cassa per il Mezzo PARTE I, SEZ. VI, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE, APPALTI ECC. 201 L'inosservanza delle regole di diritto che, a norma dell'uitimo comma dell'art. 829 c.p.c., rende ammissibile l'impugnazione per nullit della sentenza arbitrale, dev'essere intesa nello stesso senso della violazione o falsa applicazione di norme di diritto, di cui alt'art. 360 c.p.c. (2). Il divieto posto all'appaltatore dall'art. 339 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. F, sui lavori pubblici, di effettuare cessioni di credito o rilasciare procure non riconosciute dalt' A mministradione interessata viene meno quando sia intervenuto il collaudo, che, accertando l'esatto compimento delle opere e la loro conformit ai patti del contratto ed alle regole dell'arte, esaurisce il contenuto dell'appalto e rende superflua ogni cautela circa i mezzi finanziari dell'appaltatore (3). Nel contratto d'appalto, per il riconoscimento del diritto ad un equo compenso, ai sensi dell'art. 1664 e.e., necessario che le cause produttive delle difficolt di esecuzione dei lavori, insorte nel corso dell'opera, non siano state previste dalle parti, nel senso cio che siano rimaste assolutamente estranee alla loro rappresentazione ed alla disciplina del contratto. Di conseguenza non spetta alcun compenso se nel contratto il prezzo previsto per lo scavo comprende anche la roccia da mina, senza alcuna distinzione di qualit e quantit (secondo l'abituale dizione: scavo di materiali di qualsiasi natura e consistenza, asciutta e bagnata, ovvero in presenza di acque, compresa la roccia da mina ) e durante l'esecuzione dei lavori stata rinvenuta roccia di pmticolare durezza ed in quantit eccezionale. D'altra parte la dichiarazione, rilasciata dall'appaltatore, di essersi recato sul luogo dei lavori e di avere preso conoscenza delle circostanze generali e speciali influenti sulla determinazione dei prezzi fa si che vengano riversate sull'appaltatore stesso le conseguenze derivanti da una pi gravosa giorno (o da altro ente pubblico per affidamento avutone dalla Cassa). Sul punto e per altri aspetti del problema del rinvio alle norme del Capitolato generale 00.PP. si v. l'ampia nota di CARUSI, Spunti in tema di efficacia regotamentare del apitolato generale 00.PP. e di rinvio alle sue norme, in questa Rass., 1965, I, 224. (2) Giurisprudenza costante. Negli stessi termini della massima si vedano: Cass. 23 luglio 1964, n. 1986, Giust. civ. Mass. 1964, 1900, Cass. 8 agosto 1959, n 2501, Giust. civ 1960, I, 131, Cass. 11 dicembre 1956, n. 4403, Giust. civ. Mass. 1956, 1518, Cass. 19 agosto 1950, n. 2479, Giur. It. Mass., 1950, 595. Dal principio enunciato la sentenza in rassegna fa discendere la conseguenza che l'impugnazione per nullit del lodo arbitrale, prevista dall'ultimo comma dell'art. 829, c.p.c., consente di denunciare non solo la erronea enunciazione del principio di divitto ma anche l'inesatta applicazione al caso concreto del principio di diritto correttamente enunciato. Ci, peraltro, non comporterebbe -secondo App, Napoli 17 marzo 1959, Giust. civ. Mass. App. 1959, 23 -che, in sede rescindente, !i.I giudice della nullit possa toccare aspetti di merito della controversia. La dottrina che si occupata dell'argomento trovasi richiamata in Giust. civ. 1960, I, 131, nota. (3) Sul punto si v. App. Napoli 29 settembre 1962, Dir. giur. 1964, 227, Trib. Napoli 28 febbraio 1961, ibidem. 202 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO esecuzione dei lavori, senza che possa riconoscirsi il diritto ad un equo compenso (4). Per il principio d'indivisibilitd del lodo arbitrale la nullitd di uno dei suoi capi si estende a tutti gli altri, sicch 1isultano invalidi l'intero giudizio arbitrale e tutta la decisione (5). (4) La prima parte della massima costituisce giurisprudenza costante. La motivazione della decisione sulla seconda par.te presenta notevole interesse per l'applicazione che si fatta dei principi costantemente enunciati dalla Suprema Corte all'ipotesi di rinvenimento di roccia di particolare durezza (ed in quantit eccezionale) durante l'esecuzione di scavi per cui era stato previsto un prezzo comprendente anche la roccia da mina Sulla legittimit della clausola, inserita in un contratto di appalto di opere pubbliche, con cui si limiti o si escluda la revisione del prezzo, v. Cons. Stato, sez. IV, 11 dicembre 1962, n. 775, in questa Rass., 1963, 50. (5) Giurisprudenza pacifica. Negli stessi termini della massima il principio si trova affermato in Cass. 18 dicembre 1964, n. 2906, Giust. civ., Mass., 1964, 1348; Cass. 24 febbraio 1964, n. 396, Foro It., 1964, I, 489; Cas!j. 7 ottobre 1963, n. 2666, Riv. giur. edH., 1964, I, 318; Cass. 21 ottobre 1961, n. 276, Giust. civ., 1962, I, 518. CORTE DI APPELLO DI ROMA, 5 gennaio 1966, n. 1 -Pres. De Rosa Est. Venditti -Ministero Difesa-Esercito (avv. Stato Lancia) c. Soc. S.B.A.R.E.C. (avv. Palandri). Arbitrato -Mancata notifica della domanda arbitrale all'Avvocatura dello Stato -Nullit. (1. 25 marzo 1958, n. 260, art. 1). Nell'ipotesi di clausola compromissoria, l'atto istitutivo del giudizio mbitrale costituito da quello in cui viene precisata la controversia. Questo atto ha funzione analoga a quella della citazione; ed cio di promuovimento dell'attivitd giurisdizionale, rispetto a un determinato tema controverso. Pertanto nel sistema dei pubblici appalti, la domanda arbitrale costituisce l'atto istitutivo del relativo giudizio, e deve essere notificata a pena di nullitd presso l'Avvocatura dello Stato (1). (Omissis). Con il secondo motivo dell'impugnazione viene riproposta l'eccezione di nullit del giudizio arbitrale, per essere stata la relativa domanda notificata direttamente all'Amministrazione anzich all'Avvocatura Generale dello Stato, e ci in violazione dell'art. 1 della legge 25 marzo 1958, n. 260, secondo cui debbono essere notificati al compe (1) Il lodo annullato stato riportato, e criticamente annotato, in questa Rassegna, 1965, 836. La sentenza della Cassazione 6 ottobre 1964, numero 2523, richiamata nel testo, risulta anch'essa riportata ed annotata in questa Rassegna, 1964, 973. PARTE I, SEZ. VI, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE, APPALTI ECC. 203 tente ufficio dell'Avvocatura anche gli atti istitutivi di giudizi che si svolgono dinanzi alle giurisdizioni amministrative o speciali, ed innanzi agli arbitri . L'eccezione fu disattesa dal collegio arbitrale, il quale rilev che, agli effetti della richiamata disposizione, la domanda di arbitrato non pu essere considerata istitutiva del giudizio arbitrale, perch questo s'instaura soltanto con l'accettazione dell'incarico da parte degli arbitri; prima di tale accettazione non v' organo giudicante, e quindi non pu esservi processo. Contesta 1'Avvocatura il fondamento di una tale tesi, ed assume che nei giudizi arbitrali rituali i Collegi giudicanti sono organi sostitutivi del magistrato ordinario, da considerarsi precostituiti in base alle norme del capitolato, o, comunque, della clausola compromissoria, che stabiliscono il numero dei componenti del collegio e, in particolare, per quanto attiene ai contratti della Pubblica Amministrazione, indicano anche le qualifiche che detti componenti debbono rivestire per poter far parte del collegio. N, secondo l'impugnante, ha rilievo il fatto che la costituzione del collegio avvenuta dopo la proposizione della domanda di arbitrato, perch devono tenersi distinti l'ufficio, esistente per norma di capitolato e indipendentemente dal suo funzionamento, dall'organo che prende vita dopo la nomina delle persone fisiche. L'eccezione dedotta con il motivo fondata, anche se non esatta mente per le ragioni prospettate. Ad avviso di questa Corte, infatti, l'errore in cui incorsa la sentenza arbitrale non consiste nell'avere ritenuto necessaria la costituzione del collegio arbitrale per l'instaurazione del rapporto processuale arbitrale (perch la particolare predeterminazione delle qualifiche per la nomina degli arbitri se garantisce la costituzione dell'organo, non equi Vale gi a sua precostituzione); ma, pi precisamente consiste nell'avere condizionato ad una tale instaurazione l'osservanza della norma che, a tutela della difesa giudiziaria dell'Amministrazione, prescrive a chi debbono essere notificati gli atti introduttivi di qualsiasi giudizio nei suoi confronti. noto che la identificazione del momento genetico della contro versia, nella sua rilevanza processuale, ha spesso dato adito a dubbi sia con riferimento al procedimento ordinario che a quello arbitrale. Con particolare riferimento alla litispendenza, si sostenuto che tale momento successivo a quello in cui una delle parti porta a conoscenza dell'altra la sua determinazione di chiedere al giudice una decisione, essa verifi candosi solo quando sia compiuto l'atto con il quale il giudice investito della lite. stato, quindi, deciso, che come nel giudizio ordinario, perch esso possa intendersi instaurato, occorre che la domanda sia portata a conoscenza del giudice mediante la costituzione di una delle parti, cosi deve ritenersi che il giudizio arbitrale abbia il suo inizio con la nomina degli arbitri e la conseguente costituzione del relativo collegio (Cass. 23 luglio 1964, n. 1989). A questa costruzione si attenuta la sentenza impugnata, la quale infatti ha ritenuto valida la notificazione della domanda di arbitrato fatta 204 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO direttamente all'Amministrazione per il motivo che, non essendosi ancora costituito il collegio arbitrale, alla domanda stessa non poteva essere riconosciuto il valore di atto istitutivo del relativo giudizio. Il quesito, ora, che si pone all'esame di questa Corte se il principio innanzi enunciato, secondo cui il procedimento arbitrale inizi soltanto con la costituzione del collegio decidente, costituisca una regola tale da escludere ogni rilevanza processuale della domanda di arbitrato. La clausola compromissoria, com' noto, differisce dal compromesso in quanto non demanda agli arbitri la decisione di controversie gi sorte, ma stabilisce preventivamente che viene demandato ad arbitri nominati o da nominare la decisione di controversie future ed eventuali. Tanto nel compromesso che nella clausola compromissoria vanno individuati un accordo basilare tra le parti contendenti, dal quale gi scaturiscono effetti in ordine all'esercizio dell'azione, ed un rapporto nei confronti degli arbitri, rapporto che si istituisce con l'accettazione da parte di costoro, e da cui prende a decorrere il termine per emettere la decisione (art. 820 c. p. c.). Perch gli arbitri siano investiti dalla controversia opinione dominante che non occorra una domanda giudiziale in senso tecnico. Se vi compromesso, questo contiene anche la formulazione dei quesiti, ed allora dall'accettazione degli arbitri, opportunamente sollecitati, sorge a tutti gli effetti il procedimento arbitrale. Se invece si tratta di clausola compromissoria occorrer, oltre alla costituzione del collegio, anche un atto integrativo della clausola, volto a formulare i quesiti da sottoporre agli arbitri (artt. 823, 825 c. p. c.). Nell'uno e nell'altro caso, tuttavia, individuabile un atto di iniziativa o di primo impulso processuale. Nell'ipotesi di compromesso, tale atto normalmente coincide con quello in cui chiesta la nomina degli arbitri. Nell'ipotesi di clausola compromissoria, l'atto costituito dalla precisazione della controversia, che, si noti, deve necessariamente precedere l'accettazione degli arbitri, perch questa deve riferirsi ad una controversia determinata. Fermando l'esame al caso della clausola compromissoria, deve quindi dirsi che l'atto con cui si specifica la controversia, e si manifesta la determinazione di dar corso al giudizio arbitrale, ha rilevanza diretta ed esclusiva in relazione al processo, e quindi adempie ad una funzione analoga a quella della citazione, di promovimento, cio, dell'attivit giurisdizionale rispetto ad un precisato tema controverso (art. 2907 c. c.; art. 99 c. p. c.). La concorrenza di tali requisiti certamente dato riscontrare nella domanda di arbitrato in questione, a proposito della quale non fuori luogo rilevare che la stessa denominazione indica un significativo accostamento alla domanda giudiziale. La costituzione del Collegio arbitrale, quindi, segna il momento genetico del rapporto processuale, inteso come rapporto tra le parte e il giudice, e fissa l'inizio del termine per la decisione ai sensi dell'art. 820 c. p. c., ond' che appunto facendo richiamo a questa disposizione, e al rigore della sua osservanza (art. 813, capv. 829, n. 6 c. p. c.), la, PARTE I, SEZ. VI, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE, APPALTI ECC. 205' giurisprudenza ha desunto la necessit della nomina e costituzione del collegio arbitrale per poter considerare sorto il rapporto processuale arbitrale e decorrente il termine per il relativo espletamento (Cass. 29 luglio 1963, n. 2127; Cass. 22 febbraio 1961, n. 409). Ma quando si tratta di stabilire se un determinato atto sia idoneo a dar vita al giudizio arbitrale, e cio se contenga la necessaria delimitazione e contestazione del temo controverso, e se con esso si manifesti la volont di una parte di richiedere la decisione arbitrale nei confronti di un'altra, non v' dubbio che la circostanza dell'essere l'organo decidente precostituito o meno priva di rilevanza, perch la mancata costituzione dell'organo, tanto pi se il suo funzionamento garantito dalle prescrizioni del capitolato, non esclude nell'atto considerato la rilevanza processuale di una domanda giudiziale. Ritiene pertanto la Corte che la domanda di arbitrato in esame si pone tra quegli atti istitutivi di giudizio ai quali si riferisce l'art. 1 della legge 25 marzo 1958, n. 260. Conferma tale convincimento il rilievo che con la citata norma si inteso assicurare alla Pubblica Amministrazione una particolare ed ampia tutela giudiziaria, intesa a garantire l'immediata difesa da parte dell'Avvocatura in ogni tipo di controver;oiia in cui gli interessi da quella rappresentati possono comunque formare oggetto di giudizio da parte di organi ai quali, ancorch in via di costituzione, risulti gi attribuito il potere di decidere. Rafforza, inoltre, l'avviso espresso, la considerazione che se alla domanda di arbitrato non si riconoscesse il valore di atto introduttivo del giudizio agli effetti qui considerati, non si vedrebbe a quale altro atto, fornito dei necessari requisiti, poter attribuire un siffatto carattere. N varrebbe opporre, come fa la diligente difesa della Societ, che all'arbitrato la determinazione della lite avviene sempre con un atto negoziale e non processuale, se da una tale affermazione si vuol fare conseguire che non sarebbe configurabile un onere di notifica dell' Am ministrazione, oppure che per una tale notifica possa prescindersi dalle prescrizioni in esame. Premesso che nell'istituto dell'arbitrato, per la presenza di elementi privatistici e guirisdizionalistici che vi confluiscono la distinzione tra attivit negoziale e processuale si configura in maniera necessariamente meno tipica di quanto avviene in altri campi, deve rilevarsi che la natura negoziale della clausola compromissoria, e cos, anche se meno nettamente, dell'atto integrativo che delimita la contro versia, non esclude, come innanzi s' detto, che la domanda di arbitrato,. che quell'integrazione contiene, si ponga altresi quale atto di propul sione del procedimento, in una fase prodromica rispetto al giudizio arbitrale, alla cui costituzione diretto; fase nella quale ognuna delle parti ha poteri di impulso coordinati e diretti al fine predetto. Diversamente ritenendo, come si accennato, la stessa prescrizione della legge del 1958, che espressamente riferisce ad atti istitutivi di giudizi che si svolgono dinanzi ad arbitri resterebbe priva d'effetto, e l'Amministrazione non sarebbe assicurata quella tutela che invece la legge ha voluto garantire anche nei giudizi arbitrali. 206 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO chiaro, quindi, che per la particolarit delle forme del procedimento arbitrale, e per le finalit perseguite dalla norma sulla difesa giudiziaria dell'amministrazione, deve adottarsi sul punto la soluzione opposta a quella accolta nell'impugnata sentenza arbitraJe, in tal modo questo Corte uniformandosi all'insegnamento del Supremo Collegio (sent. 6 ottobre 1964, n. 2523) e allo stesso esplicito orientamento legislativo (v. art. 46, D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1603). Ritenuto, pertanto, che la notificazione della domanda di arbitrato colpita dalla nullit di cui all'art. 11 del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, in relazione all'art. 1 della legge 25 marzo 1958, n. 260, e che trattasi di nullit assoluta non sanabile neppure con la costituzione dell'Amministrazione citata (Cass. 18 maggio 1964, n. 1215), segue che deve essere dichiarata la nullit del lodo e del relativo giudizio arbitrale. Stante la causa di tale nullit, resta precluso ogni esame del merito della controversia, perch se da un lato l'invalidit ha inficiato l'intero pr~cedimento arbitrale, il quale non avrebbe potuto avere svolgimento e quindi non pu costituire il necessario presupposto di una pronuncia di merito in questa sede (Cass. 11 dicembre 1956, n. 4408), dall'altro l'invalidit medesima non ha impedito il verificarsi della scadenza dei termini di cui all'art. 60 dei capitolati d'oneri, con la conseguente decadenza della societ convenuta dal diritto di far valere in questa sede le pretese invalidamente proposte in sede arbitrale. (Omissis). TRIBUNALE DI ROMA, 6 agosto 1965, n. 5646 -Pres. Maccarone Est. Virgilio -Impresa A. Farsura (avv. Dedin e Vescovin) c. Ministero LL. PP. (avv. Stato Pentinaca). Arbitrato -Tempo del giudizio arbitrale -Giudizio durante la escuzione dei lavori e prima dell'approvazione del collaudo -Presupposti Rilevanza economica della controversia -Valutazione -Se spetti ad una delle parti o al Collegio arbitrale. (D. P. R. 16 luglio 1962 n. 1063, artt. 44 lett. b), 47). Nel caso di giudizio arbitrate promosso durante l'esecuzione dei lavori e prima dell'approvazione del collaudo, in deroga al principio generale che rimette la risoluzione di ogni controversia ad epoca successiva a detta approvazione, la valutazione della rilevanza economica della controversia la cui soluzione non pu essere differita spetta non alla parte che ha promosso il giudizio, bens agli arbitri (1). (1) la prima sentenza dell'A.G.0. che -dopo l'entrata in vigore del nuovo Cap. Gen. Dpp. LL. PP. -esamina a precisa i limiti delle controversie, che -in deToga al principio generale secondo cui il giudizio con~enzioso in materia di derivato dal compimento di un'opera pubblica in materia di acque pub- bliche, sempre necessario che l'autorit amministrativa si 'Pronunci sulla liceit dell'opera, restando sospesa nel frattempo l'esercizio della giurisdi zione (Cass. 14 maggio 1955, n. 1402, Giust, Civ. Mass., 1955, 509). Il prin- cipio era stato applicato anche nei rapporti fra 'Privati (Cass. 25 giub1lo 1952, n. 1877, Foro it. Rep. 1952, voce: acque, n. 63). Per quanto concerne la fattispecie risolta, la domanda di risarcimento era stata prospettata anche in relazione ad un improvviso abbassamento del livello dell'acqua, a seguito di presunto irregolare esercizio della societ concessionaria. Il Tribunale Superiore ha esattamente ritenuto, che la circo- stanza non implicava una valutazione relativa al buon governo dell'acqua pubblica, riguardando semplicemente le modalit di esercizio della con cessione. " I I I z I ~ I I -r~lftr.,1rr~tff't-1rawmrrutwrt1m1.9 rlllM8'AVlFMWIAM.~;.::=:===:=~t~:=:~WIAr PARTE I, SEZ. VI, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE, APPALTI ECC. 225 PARTE I, SEZ. VI, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE, APPALTI ECC. 225 della concessione, la sussistenza dell'episodico abbassamento improvviso delle acque e le eventuali conseguenze pregiudiziali derivatene nella sfera patrimoniale del ricorrente, restando esclusa la necessit e rilevanza, ai fini del decidere, di una ulteriore valutazione relativa al buon governo dell'acqua pubblica. E poich, ai sensi dell'art. 51 t. u. n. 9,39 del 1913, quest'ultima indagine soltanto riservata alla competenza dell'amministrazione, esattamente i primi giudici, sia pure con motivazione non del tutto soddisfacente, hanno disatteso la eccezione di improponibilit, sollevata dalle societ appellate. (Omissis). LODO ARBITRALE, 11 giugno 1965, n. 318 (Roma) -Pres. Mastropasqua -Impresa Mellucci (avv. Pistolese) c. Ministero LL. PP. (avv. Stato Zagari). Arbitrato -Richiesta di deposito atti progettuali e relazioni riservate Inammissibilit. (r. d. 24 maggio 1895, n. 350, art. 100; c. p. c., art. 210). Appalto -Appalto di opere pubbliche -Applicabilit dell'art. 1664, 2, comma cod. civ. -Condizioni. (r. d. 25 maggio 1895, n. 350, artt. 20, 21; c. c. art. 1664, 2 comma). Appalto -Appalto di opere pubbliche -Termine di ultimazione -Proroghe -Condizioni e conseguenze. r. d. 25 maggio 1895, n. 350, art. 17). Appalto -Appalto di opere pubbliche -Riserve -Decadenza .. Concetto e distinzioni. (r. d. 25 maggio 1895, n. 350, art. 54). L'Amministrazione non tenuta a produrre nel giudizio arbitrale i documenti di progetto e gli atti interni, che non rientrano tra quelli destinati a provare i fatti attinenti all'appalto (1). Gli artt. 21 e 22 del r.d. 25 maggio 1895, n. 350, regolano la formazione dei prezzi per le specie di lavoro non previste in contratto : l'art. 1664, 20 comma e.e., stabilisce, invece, i limiti ai rischi che l'appaltatore deve affrontare nella esecuzione dell'opera, escludendo a carico del medesimo i maggiori oneri conseguenti a circostanze che non siano state obiettivamente previste (2). (1) I documenti di cui l'impresa aveva chiesto l'esibizione erano gli atti relativi alla compilazione del progetto, quelli di controllo del progetto; la corrispondenza intercorsa tra il geno civile ed il Provveditorato alle oo.pp.; le relazioni riservate del collaudatore e del direttore dei lavori. Si trattava, quindi, di atti interni e riservati, e non comuni all'appaltatore. Al riguardo, nello stesso senso, cfr.: lodo 26 marzo 1964, in questa Rassegna 1964, 1175; CIANFLONE, L'app, di oo.pp., 1957, 797. 226 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Quando ii termine di ultimazione dei lavori deve essere prolungato per l'impossibilit di osservarlo in cui venga a trovarsi l'appaltatore per fatto a lui non imputabile, il medesimo ha un diritto al prolungamento del termine. Ed anche se il nuovo termine :fissato sotto forma di proroga, non si tratta di vera e propria proroga (la quale presuppone un potere discrezionale della p.a. nel concederla o meno), ma di termine suppletivo dovuto, che non pu essere di ostacolo al diritto dell'appaltatore ai connessi maggiori compensi (3). Le riserve che, in virt dell'art. 54 r.d. 25 maggio 1895, n. 350, devono inserirsi, sotto comminatoria di decadenza, nel registro di contabilit all'atto di presentazione per la firma dell'appaltatore, sono quelle riguardanti le contestazioni relative ai fatti registrati. Le riserve aventi riferimento a fatti continuativi, o quelle che danno luogo a pretese di carattere generale sono, invece, deducibili anche all'atto della chiusura della contabilit (4). (Omissis). La documentazione esibita dall'Amministrazione sufficiente a lumeggiare i termini della controversia e consente una adeguata valutazione delle tesi sostenute dalle parti. (2) La giurisprudenza arbitrale, sulla scorta di alcuni precedenti dottrinali (e, in particolare, CIANFLONE, op. cit., 1957, 436 ss.; BIAMONTI, Sulla eccessiva onerosit sopravveniente nel corso di concessioni amministrative di servizi e degli appalti pubblici, Foro it., 1949, I, 772 ss.), continua a ritenere l'applicabilit del secondo comma dell'art. 1664 e.e. a situazioni che, secondo la tesi costantemente sostenuta dall'Avvocatura, andrebbero ricomprese piuttosto nell'ambito degli artt. 21 e 22 del regolamento 25 maggio 1895, n. 350. Negli stessi sensi si era di recente espresso il lodo arbitrale 24 febbraio 1964, n. 11 (in questa Rassegna, 1964, I, 414). Nella nota a quest'ultima decisione non si era mancato di rilevare, come la delicatezza della questione rendesse auspicabile un approfondimento di indagine ad opera dei collegi giudicanti: il che, occorre dire, non pu ritenersi compiuto dal lodo in rassegna, il quale motiva sul punto in maniera alquanto apodittica, limitandosi a richiamare l'opposto orientamento di dottrina e giurisprudenziale. Quanto al merito della questione, la tesi dell'Avvocatura, come risulta gi dalla ricordata nota, che la legislazione sui lavori pubblici (della cui specialit rispetto all'art. 1664 e.e. non dubita la stessa giurisprudenza: cfr. per qualche riferimento, il lodo 12 novembre 1962, Arbitrati e appalti, 1964, 6, che fa parola di funzione in certo senso surrogatoria di tale norma rispetto ad altra norma o patti) appresti ogni opportuno rimedio per ovviare alle situazioni previste nel secondo comma dell'art. 1664 e.e.; e ci perch le difficolt di esecuzione previste da tale norma, quando non trovano possibilit di compenso nelle voci di tariffa, si risolvono necessariamente in una specie di lavoro non prevista , che integra appunto l'ipotesi cui hanno riguardo gli artt. 21 e 22 del regolamento del 1895. Qui sembra opportuno aggiungere, che la sostanziale fondatezza di questa tesi risulta confermata dalla sterilt del tentativo, operato con la decisione in esame, di determinare per il secondo comma dell'art. 1664 un ambito di applicazione concettualmente distinto da quello della specie di lavoro non prevista . Sembra chiaro, infatti, che la formula prescelta di limitazione del rischio nell'esecuzione dell'opera non possa avere, sul 15 ..;.: PARTE I, SEZ. VI, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE, APPALTI ECC. 227 Non pu disporsi l'esibizione degli altri documenti di cui ha fatto richiesta l'Impresa, perch l'Amministrazione non pu essere costretta a fornire atti di carattere interno che essa non produca spontaneamente, applicando anche nei confronti di essa il principio generale che nessun nemo tenetur laedere contra se. (Omissis). (Omissis). L'Impresa fonda il diritto al chiesto maggiore compenso, anzitutto sull'art. 1664 2 comma e.e. L'Avvocatura oppone in proposito che tale articolo non sarebbe applicabile perch i casi da esso regolati troverebbero specifica ed autonoma disciplina negli artt. 21 e 22 del regolamento 25 maggio 1895, n. 350. Tale tesi, per, in contrasto con la pi autorevole dottrina e giurisprudenza, non fondata. I due citati articoli del regolamento regolano la formazione dei prezzi per le specie di lavoro non previste in contratto. L'art. 1664 e.e., invece, stabilisce dei limiti ai rischi che l'appaltatore deve affrontare nell'esecuzione dell'opera, escludendo che le difficolt in esso considerate facciano parte della prestazione cui lo appaltatore tenuto, e che quindi, sono coperte dal prezzo pattuito. Trattasi, come evidente di oggetti diversi. Orbene, l'art. 1664 2 comma e.e. stabilisce che se nel corso della opera si manifestano difficolt di esecuzione, gi esistenti al momento del contratto e non previste dalle parti, derivanti da cause geologiche, piano obbiettivo, altro significato che quello di escludere ogni nuovo e diverso lavoro, che non rientri in quelli cui l'appaltatore tenuto. Dunque, per tener ferma la distinzione, occorrerebbe poter dimostrare un qualche collegamento fra le opere resesi necessarie per effetto delle difficolt sopravvenute e l'originaria formulazione della prestazione. Esclusa, come si visto, ogni possibilit di collegamento sul piano obbiettivo, non rimarrebbe che far leva sull'elemento soggettivo del rapporto; in riferimento, cio, alla prevedibilit o meno della difficolt sopravvenuta dopo la conclusione dell'appalto, ed in diretta connessione con l'oggetteo tipico di quest'ultimo. Ma il lodo, escludendo ogni riferimento alla prevedibilit dell'evento sopravvenuto, ha ribadito anche sul piano soggettivo l'assoluta autonomia del lavoro resosi necessario in corso di esecuzione, rispetto alla originaria prospettazione della prestazione: ha finito, cio, col tornare in pieno in quel concetto di lavoro nuovo che in tesi avrebbe dovuto essere escluso. Sul punto specifico, la giurisprudenza arbitrale prevalentemente orientata in senso contrario alla decisione annotata: cos il lodo 27 dicembre 1963, Foro It., Rep., 1964, voce: appalto, n. 25, richiede la imprevedibilit dell'evento sopravvenuto; cosi pure implicitamente, il lodo 15 marzo 1961, ivi 1963, voce cit., n. 109. Il lodo 23 giugno 1960, Acque, bonif. costruz. 1961, 506, ha ritenuto che si rende applicabile il 2 comma dell'art. 1664 e.e. nell'ipotesi di impiego di pali di fondazione, resi necessari dalla presenza nel sottosuolo, non prevista e non prevedibile all'inizio dei lavori, di rocce e ruderi di antiche murature . In dottrina, nello stesso senso, MIRABELLI, Dei singoli contratti, in Commentario e.e., Torino, 1960. sub. art. 1664. 228 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO idriche e simili, le quali rendano notevolmente pi onerosa la prestazione dell'appaltatore, questi ha diritto ad un equo compenso. L'indicazione delle cause di difficolt dell'esecuzione non tassativa (come emerge dalla aggiunta e simili>); e si riferisce anche alle altre cause naturali, e come generalmente si ammette, non naturali (la relazione ministeriale parla di cause obbiettive ). Dette cause debbono comportare difficolt di esecuzione che, anche se prevedibili, non siano previste dalle parti, e debbono altresi comportare un aggravio notevole dell'onerosit delle prestazioni dell'appaltatore. Non pu quindi ritenersi fondata l'eccezione che l'Avvocatura oppone in subordine che cio, le difficolt invocate dall'Impresa appaltante si riferiscano a circostanze che potevano e dovevano essere accertate dall'Impresa al momento dell'appalto. Per l'invocabilit della disposizione in esse sufficiente che le difficolt non siano state previste dalle parti; e ci si verificato nella fattispecie. Oggetto infatti dell'appalto, come si evince dall'art. 1 del Capitolato speciale, fu la costruzione di alloggi nella borgata semirurale Cappuccini in agro di Matera. La costruzione della borgata era stata decisa nel quadro degli interventi previsti dalla legge 17 maggio 1952, n. 619 sul risanamento dei rioni sassi di Matera: legge che costituisce uno dei presupposti dell'appalto. L'Impresa accett di costruire gli alloggi in una borgata semirurale; e non in una campagna priva di sistemazioni idrologiche e stradali e con pali telegrafici e telefonici sparsi anche nelle zone in cui le costruzioni dovevano essere effettuate. Stante, come pacifico in dottrina e giurisprudenza, la natura contrattuale del Capitolato speciale, e dovendosi il contratto interpretare secondo la comune intenzione delle parti (art. 1362 e.e.) e secondo buona fede (art. 1366 stesso codice), deve ritenersi giuridicamente fondata la presunzione, da parte dell'Impresa appaltatrice, che la sistemazione della zona a borgata sarebbe seguita, quanto meno, in concomitanza ed in rapporto alla costruzione degli alloggi. (3) Nella fattispecie, la concessione della proroga era stata subordinata alla dichiarazione, che essa non costituiva riconoscimento per pretese o indennizzi, conseguenti alla maggior durata dei lavori. Il lodo ha escluso che la formula importasse rinuncia alle pretese ed agli indennizzi, poich il relativo diritto dell'impresa ad ottenerli conseguiva obbiettivamente dalla constatata necessit di un prolungamento del termine di ultimazione, a causa di circostanza non imputabile all'appaltatore. (4) La massima ripete concetti consolidati nella giurisprudenza arbitrale. Sulla nozione di fatto continuativo, cfr. il lodo 15 ottobre 1964, n. 69, in questa Rassegna, 1964, I, 1178, con nota del DEL GRECO, In tema di tempestiI vit deUe riserve; lodo 27 giugno 1960, Riv. giur. ed., 1961, I, 763; lodo 24 novembre 1960, ivi, 1961, I, 535; lodo 25 maggio 1960, Acque, bonif., costr., 1960, 522. In senso conforme alla prima parte della massima, cfr.: Corte dei Conti, 8 febbraio 1962, n. 695, Riv. giur. ed., 1962, I, 1105; lodo 3 dicembre 1962, Foro it., Rep., 1963, voce: opere pubbliche, nn. 147-150. I PARTE I, SEZ. VI, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE, APPALTI ECC. 229 E che tale evento fosse presupposto anche dall'Amministrazione :provato dal fatto che non fu previsto alcun compenso a corpo per oneri di carattere generale. Accanto a tale voce, nel Capitolato speciale, sono apposti due trattini: il che significa che il compenso venne escluso, contrariamente a quanto si sostiene dall'Impresa con la formulazione del terzo quesito. L'esclusione appare spiegata dalla circostanza che all'Impresa si assicurarono dei notevoli vantaggi (in ordine alle spese di impianto, di costruzione, di impianto del cantiere) con l'appalto simultaneo dei quattro lotti di lavori nella stessa zona, nonch col fissare per i lavori da svolgere prezzi corrispondenti a quelli normalmente corrisposti in quell'epoca con previsioni autonome rispetto a ciascuno dei contratti relativi ai vari lotti. Orbene, la situazione che, con ogni ragionevole previsione, doveva tradursi in economia notevole di tempo e denaro per l'Impresa, si tradusse, invece, in grave dispendio ed in grave perdita di giornate lavorative per le ragioni esposte dall'impresa stessa e sopra specificate. Il difetto di sistemazione idrologica e stradale, la natura argillosa del terreno fecero s che le piogge torrenziali abbattutesi con insolita frequenza durante l'esecuzione dei lavori trasformassero la zona in un enorme pantano; furono necessarie, in aggiunta alle normali opere provvisionali a carico dell'Impresa appaltatrice, urgenti opere di sistemazione provvisoria per la protezione dei fabbricati, lo scolo delle acque, la creazione di piste di passaggio, la formazione di massicciate ed inghiaiate per l'accesso al cantiere. Ed i danni furono aggravati dalla esistenza nelle zone in cui le costruzioni dovevano sorgere, dei pali telegrafici e telefonici che le Societ interessate tardavano a rimuovere. Questi eventi non sono addebitabili a colpa dell'Amministrazione, perch il ritardo fu la conseguenza di normali difficolt di ordine buro cratico dovute in massima parte al ritardo della concessione delle sov venzioni da parte della Cassa per il Mezzogiorno. Ma le conseguenze non possono perci ricadere a carico del solo appaltatore, cui la stessa Amministrazione appaltante non addebita alcuna colpa, per un ritardo nell'ultimazione dei lavori tanto notevole da potersi giudicare eccezionale: un anno e mesi cinque di proroghe, In senso contrario alla prevalente giurispurudenza v. per, lodo 15 febbraio 1964, in questa Rassegna, 1964, I, 410. In base alla citata giurisprudenza, il lodo in rassegna ha ritenuto che l'impresa fosse decaduta dalla riserva per i maggiori oneri degli scavi a causa della natura dell'argilla (compatta) che era stata rinvenuta in corso d'opera. E ci perch la riserva si riferiva a lavori registrati nei registri di contabilit senza alcuna osservazione all'atto della firma da parte della impresa, ed era stata proposta solo ad avvenuta ultimazione dei lavori stessi, e non in relazione alle singole partite di lavoro contabilizzate nei registri anzidetti . 230 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO aggiunto all'anno previsto contrattualmente per i lavori principali, ai mesi tre per i lavori aggiuntivi ed a mesi cinque e giorni 18 di sospensioni. Qualora nella esecuzione dei lavori si verifichino eccezionali ritardi ed intralci con passivo prolungamento della gestione per cause non attribuibili all'appaltatore, bensi a nuove esigenze sopravvenute che hanno modificato l'andamento dell'esecuzione dell'opera appaltata, ed il contratto non assegni alcun compenso a corpo per oneri di carattere generale a carico dell'appaltatore, deve ritenersi che l'insorgere di detti intralci e difficolt di esecuzione costituisca un evento di forza maggiore che, col mantenimento delle condizioni dell'ordinaria gestione, dia diritto all'impresa di ottenere la corresponsione del compenso previsto dal nominato art. 1664 2-0 comma e.e.; compenso destinato non ad assicurare all'impresa appaltante l'iniziale sperato vantaggio, ma a non far ricadere da una parte sola, in omaggio a principi di equit e di diritto comune, le conseguenze dannose di circostanze non previste sorte a modificare i presupposti di fatto in base ai quali sorse il contratto. N vale obiettare, come fa l'Avvocatura Generale dello Stato, che il prolungamento del termine di ultimazione dei lavori collegato a due proroghe concesse dall'Amministrazione, su richiesta dell'impresa alla espressa condizione che le predette concessioni non costituivano riconoscimento alcuno di eventuali indennizzi o pretese ; e ad altre due proroghe convenute consensualmente con gli atti aggiuntivi relativi ai supplementi di lavoro che l'impresa era tenuta a compiere come aumento del quinto. Quando il prolungamento del termine deriva, come nella fattispecie, dall'impossibilit di osservarlo in cui venga a trovarsi l'appaltatore per fatto a lui non imputabile, questi ha un diritto al prolungamento del termine; e se anche il nuovo termine fissato sotto forma di proroga, non si tratta di vera e propria proroga (la quale presuppone un potere discrezionale della Pubblica Amministrazione nel concederla o meno), ma di termine suppletivo dovuto all'appaltatore, termine che, come ovvio, non pu essere di ostacolo al diritto dello appaltatore stesso all'ulteriore compenso. N, infine, alla richiesta di un compenso pu essere di ostacolo il rilievo opposto dall'Avvocatura, che con le riserve relative a tali oneri non furono fatte all'Impresa all'atto della firma dei documenti amministrativi di sospensione e ripresa dei lavori. Le riserve che sotto comminatoria di decadenza debbono, in virt dell'art. 54 del Regolamento, inserirsi nel registro di contabilit allo atto di presentazione per la firma dell'appaltatore sono quelle relative all'esecuzione dei lavori per i quali sorge contestazione, sui fatti registrati, tra Direzione dei lavori ed Impresa. Le riserve aventi riferimento a fatti continuativi che danno luogo a pretese di carattere generale sono deducibili come tali, anche all'atto della chiusura della contabilit, come ha fatto l'impresa. (Omissis). PARTE I, SEZ. VI, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE, APPALTI ECC. 231 LODO ARBITRALE, 22 giugno 1965, n. 46 (Roma) -Pres. Zingale -Soc. Marchini (avv. Lessona e Marucchi) c. Ministero LL. PP. (avv. Stato Zagari). Appalto -Appalto di opere pubbliche -Opere provvisionali -Defini zione. (Cap. gen. 00. PP. 28 maggio 1895, art. 21; cap. gen 00. PP. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 16). Appalto -Appalto di opere pubbliche -Opere di difesa dalle piene fluviali -Morbide -Assimilazione a causa di forza maggiore -Esclusione. Appalto -Appalto di opere pubbliche -Danni dipendenti da opere idrauliche -Rischio -Imputazione. Le c. d. opere provvisionali sono soltanto quelle aventi carattere preparatorio e strumentale rispetto alla esecuzione dei lavori appaltati, e pertanto non rientrano fra esse quei lavori che non hanno un siffatto carattere in quanto rappresentano varianti dell'originario progetto (1). Le morbide di acque fluviali costituiscono fenomeni ordinari di variazione idrometrica, e pertanto rientrano nella normale prevedibilit all'atto della formulazione deli'offerta per l'aggiudicazione dell'appalto; per conseguenza, i danni prodotti dalle piene del fiume non possono essere assimilati a danni di forza maggiore, imprevedibili e inevitabili che, come tali, siano suscettibili di risarcimento da parte della stazione appaltante (2). Anche i mutamenti di regime idrico connessi al funzionamento di opere idrauliche esistenti lungo il corso di un fiume sono eventi prevedibili, che vanno, come tali, compresi nel rischio contrattuale assunto dall'impresa appaltatrice con l'aggiudicazione dei lavori: in ogni caso una eventuale responsabilit per danni derivati a terzi da fatti conseguenti al funzionamento di dette opere non sarebbe mai ipotizzabile nei confronti della p. a. concedente, ma semmai del concessionario delle opere stesse (3). (Omissis). Le opere provvisionali (cui si riferisce la predetta disposizione) sono soltanto quelle aventi carattere preparatorio e strumentale rispet (1) Sul concetto di opera provvisionale, cfr. in dottrina: ClANFALONE, L'appalto di opere pubbliche, 1950, Milano, 322 ss. Per qualche riferimento, v. pure: Coll. arb. Roma, 12 gennaio 1960, Foro it., 1963, voce appalto, n. 14. La decisione ha ribadito, in via di massima, la nozione tradizionale di opera provvisionale, ma ne ha fatto un'applicazione non convincente a11a fattispecie, ritenendo che costituisse vera e propria variante al progetto originario il maggior scavo di splateamento resosi necessario in seguito all'arretramento del muro di difesa ed al piazzamento a ridosso di esso 232 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO to alla esecuzione dei lavori appaltati, e pertanto non rientrano fra esse quei lavori che non hanno un siffatto carattere in quanto rappresentano varianti dell'originario progetto, che nel caso di specie il maggior scavo di spalteamento resosi necessario in seguito all'arretramento del muro di difesa ed al piazzamento a ridosso di esso delle macchine battipalo. (Omissis). La seconda riserva, riguardante la richiesta da parte dell'Impresa di un compenso per la rimozione delle frane verificatesi nella scarpata a causa delle morbide del fiume Arno, si appalesa giuridicamente infondata e, come tale, va rigettata. Devesi al riguardo rilevare che le morbide del fiume costituiscono fenomeni ordinari di variazione idrometrica e pertanto rientrano nella normale prevedibilit all'atto della formulazione dell'offerta per l'aggiudicazione dell'appalto dei lavori, onde i danni prodotti dalle piene del fiume non possono essere assimilati a danni di forza maggiore, imprevedibili ed inevitabili, che, come tali, siano suscettibili di risarcimento da parte della stazione appaltante. (Omissis). (Omissis). Ne pu avere alcuna rilevanza il fatto che i mutamenti di regime idrico furono provocati, nel caso di specie, da cacciate di acque eseguite dai bacini idroelettrici di Levane e Penna in concessione alla Societ Elettrica Valdarno. Ed invero vale pur sempre il rilievo che anche i mutamenti di regime idrico connessi al funzionamento delle opere idroelettriche esistenti lungo il corso del fiume erano eventi prevedibili e come tali vanno compresi nel rischio contrattuale assuntosi dall'Impresa con l'aggiundicazione dei lavori in appalto. D'altra parte non dato rav visare su qule fondamento giuridico possa ipotizzarsi una eventuale responsabilit della Pubblica Amministrazione concedente per fatti compiuti dalla Societ Valdarno, concessionaria dei bacini idroelet trici, e solamente quest'ultima Societ potrebbe rispondere di tali fatti nei confronti dei terzi, ove in ipotesi essi non fossero stati legittimati dall'atto di concessione e rivestissero i caratteri dell'illiceit. Una riprova della infondatezza della pretesa avanzata dall'Im presa con la seconda riserva si deduce indirettamente dalla circostanza delle macchine battipalo . Data la specifi.ca natura delle opere appaltate, ed essendo a carico dell'appaltatore tutti gli apprestamenti di cantiere per l'esecuzione delle stesse, dovevano intendersi come provvisionali anche i lavori in questione, che costituivano necessario presupposto per l'esecuzione delle opere. (2) La massima puntuale conseguenza dell'affermazione della normalit del fenomeno delle morbide e del principio dell'assunzione del rischio da parte dell'appaltatore (sul quale, dr.: CIANFLONE, op. cit. 406 ss.). (3) Cfr., nello stesso senso, Trib. Sup. acque 23 settembre 1964, n. 24, l.' Il Consiglio di Stato, 1964, II, 339. ! !t PARTE I, SEZ. VI, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE, APPALTI ECC. 233 che, allorch durante l'esecuzione dei lavori avvennero per fattori naturali improvvise piene del fiume Arno, che per la loro rilevante entit potevano essere considerate fenomeni eccezionali e imprevedibili, l'Impresa fece denuncia dei danni subiti e la Amministrazione non ebbe difficolt a riconoscere all'Impresa il diritto ad essere risarcita (erosioni alle arginature e scarpate con conseguente riempimento dei cavi), come risulta dai verbali 13 ottobre 1960, 12 gennaio 1961, 8 maggio 1961, richiamati nel verbale di collaudo, ed il predetto risarcimento fu regolarmente corrisposto, come risulta dal registro di contabilit: invece per gli ulteriori danni verificatisi a causa di normali mutamenti del regime idrico del fiume, l'Impresa nel corso dei lavori non avanz mai alcuna pretesa risarcitoria, implicitamente riconoscendo che essi rientravano nell'ambito del rischio contrattuale. (Omissis). LODO ARBITRALE 20 ottobre 1965, n. 81 (Roma) -Pres. Landi -Istituto Bancario Romano (avv. Piaggio) c. Ministero Difesa-Aeronautica (avv. Stato Pentinaca). Appalto -Appalto di opere pubbliche -Ordine errato della Direzione dei lavori -Concorrente responsabilit dell'Impresa. {r. d. 17 marzo 1932 n. 366, art. 18). Appalto -Appalto di opere pubbliche -Riserve riguardanti controversie di diritto -Proposizione tardiva -Ammissibilit. {r. d. 17 marzo 1932, n. 366, art. 17 e 33; r. d. 25 maggio 1895 n. 350, art. 54~. Appalto -Appalto di opere pubbliche -Riserve per prescrizioni difformi dalla normativa contrattuale -Onere dell'immediata proposizione. {r. d. 17 marzo 1932 n. 366, art. 17; r. d. 25 maggio 1895 n. 350, art. 23). Appalto -Appalto di opere pubbliche -Accertamenti relativi a danni da forza maggiore -Contestazioni dell'Impresa -Onere dell'immediata riserva. {r. d. 17 marzo 1932 n. 366, artt. 30 e 33; r. d. 25 maggio 1895 n. 350, art. 25). Appalto -Appalto di opere pubbliche -Impreviste difficolt di esecuzione -Oneri relativi -Riserva immediata. {r. d. 17 marzo 1932 n. 366, artt. 17 e 33; r. d. 25 maggio 1895 n. 350, art. 37). L'esecuzione di un'errata prescrizione della Direzione dei lavori, .costituisce in colpa concorrente l'appaltatore. Il quale ha il diritto ed il dovere di controllare gli atti, attraverso i quali si esplica la ingerenza collaboratrice dell'Amministrazione, al fine di contestare, ed eventualmente rifiutare di eseguire, quelli ritenuti incompatibili con la regolare e puntuale esecuzione dell'opera o considerati di impossibile attuazione. 234 RASSEG;NA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Conseguentemente l'omessa segnalazione di vizi od errori di cui siano inficiati gli ordini impartiti daH'Amministrazione, induce l'appaltatore in responsabilit per i difetti che derivano aH'opera (1). Quando ia riserva non riguardi ia materiale esecuzione dei lavori, n abbia riferimento a specifiche contabilizzazioni o ad ordini o prescrizioni di servizio, ed invece riguardi una controversia di puro diritto che non trovi rispondenza neHe registrazioni contabili, non soggetta a decadenza e pu essere proposta anche a lavori ultimati (2). Nel caso, invece, che si controverta su prescrizioni od ordini di servizio che si assumono difformi daHa normativa contrattuale, la riserva deve essere immediatamente proposta a pena di decadenza (3). Anche neH'ipotesi di danni di forza maggiore, l'appaltatore tenuto a proporre immediata riserva, quando intende contestare i risultati degli accertamenti ai riguardo disposti daH'Amministrazione (4). Se nei corso dei lavori si manifestino aggravi o difficolt determinanti impreviste onerosit, l'appaltatore tenuto a proporre riserva nei documento immediatamente successivo ai verificarsi dei fatti generatori deHe pretese (5). (Omissis). Con il primo quesito si chiede il riaccredito della somma di lire I 7.510.813,20, in un primo tempo corrisposte alla Impresa per la for I mazione di mq. 125.180, 22 di coltre vegetativa sugli argini dei canali Ascolano e Pratica di Mare ed in seguito detratta per mancato attecchimento di detta coltre . ' I Si assume al riguardo dall'Istituto Bancario Romano che l'operata 8' detrazione non sarebbe giustificata n a norma delle condizioni del i capitolato, n in relazione al reale svolgersi dei fatti, in quanto mentre le condizioni tecniche allegate al capitolato speciale prevedevano per la formazione della coltre vegetativa operazioni molteplici e com I plesse, non certo realizzabili su degli argini, la Direzione dei lavori si era limitata ad ordinare il semplice spandimento del seme, determinando il tempo in cui tale lavoro doveva effettuarsi ed applicando, inoltre, J;l.On gi il prezzo dovuto secondo tariffa, ma un terzo di esso. I ~ (1) noto che l'appaltatore, quando non sia nudus minister del c~mmittente, ha responsabilit piena ed esclusiva nella condotta dei lavori, e nel risultato dell'opera. In sede di opere pubbliche, data la competenza del committente quanto meno pari a quella dell'appaltatore, il principio non viene rovesciato, ma attenuato; nel senso che l'ingerenza dell'Amministrazione, per quanto intensa e penetrante, non annulla ogni funzione dell'appaltatore la cui obbligazione fondamentale di eseguire l'opera secondo il contratto 'e le regole dell'arte. Di qui l'obbligo dell'appaltatore di segnalare i vizi progettuali, o gli eventuali errori negli ordini dati in sede esecutiva; con la conseguenza che, la responsabilit dell'appaltatore resta esclusa (nei riguardi dell'Amministrazione, ma -ovviamente -non nei confronti di terzi), solo quando la segnalazione venga respinta, e siano confermati il progetto o l'ordine. In dottrina (con richiami giurisprudenziali), cfr.: C1ANFLONE: L'appalto di opere pubbliche, 1950, 328 e segg. PARTE I, SEZ. VI, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE, APPALTI ECC. 235 Dall'Amministrazione si oppone che la pretesa priva di fondamento in quanto in base ai principi generali in tema di appalto, l'appaltatore responsabile della esecuzione a regola d'arte della buona riuscita dell'opera a lui commessa, e che se anche l'ordine impartito fosse stato errato, ci in alcun modo avrebbe potuto esimere da responsabilit l'Impresa, in quanto per esplicita clausola contrattuale la responsabilit della buona riuscita delle opere spetta unicamente all'Impresa sempre che essa non abbia presentato riserva scritta agli ordini ricevuti. Osserva il Collegio che ai fini della risoluzione della controversia in ordine alla prospettata questione giova rammentare che, come chiaramente emerge dalle Condizioni tecniche allegate al Capitolato speciale, per la formazione della coltre vegetativa ., per la quale la voce n. 10 della tariffa stabilisce un prezzo di lire sessanta al metro quadrato, riguarda: la costituzione di uno strato uniforme e continuo di terreno, avente caratteristiche fisiche e chimiche tali da assicurare un ottimo sviluppo del prato stabile , per quest'ultimo, invece, previsto dalla voce n. 16 della tariffa con l'applicazione di un prezzo di lire centoventi al metro quadrato, si intende la concimazione, la semina, l'erpicatura ed altre molteplici operazioni necessarie all'attecchimento e lo sviluppo di un tappeto verde fitto, uniforme, esente da erbe infestanti ed in perfetto stato di vegetazione . La distinzione delle due opere risulta, quindi, evidente dalle predette Condizioni tecniche, avendo la coltre vegetativa per oggetto la preparazione del solo terreno, da destinare, in seguito, a prato stabile, con esclusione della inseminazione, prevista, invece, unitamente ad altre operazioni, dalla seconda. Nel caso di specie si verificato che la Direzione dei lavori, pur avendo, per l'opera di cui trattasi, applicato e contabilizzato il prezzo n. 10 relativo alla coltre vegetativa (e non gi due terzi di esso come si afferma dalla difesa dell'Istituto), aveva in realt disposta la esecuzione, non g di tale lavoro, ma il semplice spandimento del seme da prato sugli argini di due canali per una estensione di mq. 125.180,20; e poich era mancata una preparazione del terreno cos come prevista dall'art. 10, mentre non erano state disposte ed effettuate tutte le altre operazioni previste dal successivo art. 16 e destinate ad assicurare l'at~ tecchimento e lo sviluppo del seme. Tale attecchimento e tale sviluppo (2) L'opinione della difesa dell'Amministrazione sul punto nettamente diversa. Essa stata illustrata nella nota riportata in questa Rassegna, 1964, 1179. (3) L'affermazione costituisce puntuale applicazione dell'art. 23 del Regolamento 25 maggio 1895, n. 350, ed di particolare interesse per l'ipotesi di ritardo nella consegna dei lavori, o di varianti ordinate senza la prescritta procedura. L'affermazione istessa per quanto collegata a precise disposizione di legge, deve essere segnalata con favore, essendosi frequentemente nella giurisprudenza arbitrale superata l'eccezione di tardivit anche in casi del genere, con riferimento al principio del cosidetto onere rilevabile in ogni tempo. 236 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO non si sono verificati con la conseguenza che la Direzione dei lavori, in sede di contabilit finale, ha detratto l'importo di lire 7.510.813,20, gi accreditato all'Impresa. Cosi stando le cose si tratta nella specie di accertare se l'accettazione pura e semplice dell'ordine errato e la sua esecuzione da parte dell'appaltatore abbia lasciato permanere in lui quella responsabilit che gli deriva in relazione alla illimitata assunzione del rischio inerente a tale specie di contratto, o se, invece, per effetto della errata prescrizione si sia verificato, in tutto o in parte un trasferimento delle responsabilit dall'Impresa appaltatrice all'Ente appaltante. Ed al riguardo va rilevato che mentre l'arbitro nominato dall'Istituto Bancario, aderendo alla tesi prospettata dalla difesa del predetto Istituto, ha sostenuto che le conseguenze dell'errata prescrizione dovrebbe far carico interamente all'Amministrazione trattandosi di ordine la cui erroneit non era facilmente rilevabile, l'arbitro da questa ultima nominato ha, invece, affermato che all'Impresa nulla competerebbe per l'eseguito lavoro, trattandosi di una variante non prevista in contratto ed eseguita dall'Impresa senza l'ordine scritto di cui all'art. 18 delle Condizioni Generali per l'appalto dei lavori del Genio Militare. Il Collegio, a maggioranza, mentre non pu non escludere che nella ..: specie possa trovare applicazione la norma dell'art. 18 delle richiamate Condizioni Generali, giacch, come chiaramente emerge dagli stessi scritti difensionali dell'Amministrazione e dai documenti acquisiti al processo, non vi stata una variazione dei lavori contrattualmente previsti, ma un'errata interpretazione da parte della Direzione dei lavori delle disposizioni contenute nelle condizioni tecniche allegate al Capitolato speciale e della tariffa contrattuale, ritiene che in ordine alla mancata riuscita dell'opera debba essere affermata la responsabilit concorrente dell'Amministrazione e dell'Impresa. Ed invero se nessun dubbio pu sorgere sul comportamento negligente e colpevole della Direzione dei lavori, per aver disposto l'esecuzione di un lavoro di impossibile attuazione, altrettanto indubbia appare la responsabilit dell'Impresa. E' noto che la responsabilit dell'appaltatore per il buon risultato dell'opera, mentre gli impone di prendere ogni pi opportuna iniziativa per eseguire l'opera appaltata, indipendentemente da qualsiasi in (4-5) Il lodo esattamente identifica la ragione della necessit della riserva immediata, tanto nella inderogabile esigenza di consentire all'Amministrazione il controllo dell'esistenza delle circostanze e condizioni su cui la riserva fondata; quanto nella esigenza di calcolare l'aggravio economico, che dalla riserva consegue, al fine dell'eventuale esercizio della facolt di recesso. Di questi principi, il secondo stato finora del tutto trascurato nella giurisprudenza arbitrale; mentre deve ritenersi che costituisca uno dei cardini fondamentali di tutto il sistema relativo alle riserve, che va considerato nel pi vasto problema del finanziamento dell'opera pubblica, nel quadro delle peculiari esigenze di un pubblico bilancio. Al riguardo, cfr. la nota ricordata, in questa Rassegna, 1964, 1179. PARTE I, SEZ. VI, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE, APPALTI ECC. 237 tervento dell'appaltante, gli attribuisce d'altra parte un diritto, che poi anche un dovere, di controllare gli atti attraverso i quali si esplica l'ingerenza collaboratrice del committente al fine di contestare, ed eventualmente rifiutare di eseguire, quelli da lui ritenuti incompatibili con la regolare e puntuale esecuzione dell'opera o considerati di impossibile attuazione. ~ Conseguentemente, la omessa segnalazione di vizi o di errori di cui siano eventualmente inficiati gli ordini impartiti dal committente induce l'appaltatore in responsabilit per i difetti che ne derivano alla opera. Vero che nei contratti di appalto di opere pubbliche il cennato diritto-dovere del controllo dell'appaltatore sulle prescrizioni del com I mittente ha, come si ritenuto dalla giurisprudenza, un'attenuante possibilit di estrinsecazione, in quanto l'appaltatore viene a trovarsi di fronte ad un committente avente una competenza da presumersi almeno pari alla propria, ma rileva il Collegio che nella fattispecie lo errore da cui era inficiata la impartita disposizione era facilmente rilevabile, dato che la voce relativa alla coltre vegetativa non comprendeva la operazione dell'inseminagione, mentre noto ed , comunque, dato di comune esperienza, come il semplice spandimento del seme,. specie se operato, come nel caso, durante i mesi estivi ed in terreno non adeguatamente preparato, rimane sterile di risultati, qualora non vengano eseguite tutte quelle ulteriori lavorazioni, come la concimazione, l'erpicatura e l'irrigazione, necessarie per l'attecchimento e lo sviluppo del seme. L'errore, quindi, non poteva sfuggire all'attezione di un appaltatore di diligenza e perizia normali, n tanto meno alla C.A.I., la cui capacit tecnica, come si assume dalla stessa difesa dell'Istituto Bancario, sarebbe stata superiore a quella comune. Si deve, pertanto, concludere che nella specie non possa attribuirsi all'Amministrazione appaltante la esclusiva responsabilit per la mancata riuscita dell'opera, dovendosi riconoscere che alla produzione di tale evento abbia concorso, in pari misura, il comportamento negligente e colpevole dell'Impresa. (Omissis). Con la quarta riserva l'Istituto ha avanzato una pretesa di indennizzo di lire 81.000.000 e ci sia per l'apportata riduzione dell'importo dell'appalto da lire 2.610.000.000, quale indicato nell'invito alla gara, a lire 1.900.000.000, quale previsto in contratto, sia per l'avvento stralcio di lavori di sistemazione idraulica, facenti parte dell'appalto, per un importo di lire 100.000.000. Sostiene al riguardo l'Istituto Bancario che, essendo stato il notevole ribasso offerto in funzione dell'importo posto a base dell'asta, la avvenuta riduzione di questo ultimo, dopo l'aggiudicazione, aveva gravemente sovvertito l'equilibrio contrattuale, come del pari tale equilibrio era stato turbato con i lavori fatti eseguire in gestione diretta .dall'Amministrazione. 238 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO La pretesa stata contestata dall'Amministrazione in via pregiudiziale, in quanto la relativa riserva sarebbe stata tardivamente iscri:ta in violazione degli artt. 17 e 33 delle Condizioni Generali, e nel merito in quanto il contratto di cottimo fiduciario intervenuto tra le parti non era stato proceduto da alcuna gara formale, ma da una semplice esplorativa e l'importo dell'appalto era esclusivamente quello indicato e convenuto nel contratto liberamente accettato e sottoscritto dalla e.A.I., e non quello presuntivamente indicato nell'indagine esplorativa, mentre lo stralcio dei lavori di sistemazione idraulica era avvenuto quando gi la e.A.I. era caduta in dissesto. e d'a.ltra parte l'Ammi~ist~az~one aveva pieno diritto di effettuarlo a1 sensi della nota facolta d1 riduzione del quinto. . Indubbiamente infondata l'eccezione di inammissibilit della richiesta per tardiva proposizione della relativa riserva. Il richiamato art. 33 delle Condizioni Generali, sulla traccia del ben noto art. 54 del regolamento 25 maggio 1895, n. 450, stabilisce che nel caso in cui l'appaltatore firmi il libretto delle misure senza riserve o, dopo averlo firmato con riserva, non esplichi la riserva nel termine ivi previsto s'intende che abbia rinunciato ad ogni riserva ed ~c~et: tata la eseguita contabilit ., mentre l'art. 17 delle stesse Cond1z1om contempla il caso di prescrizioni date per iscritto e di ordini di servizio della Direzione dei lavori relativi all'esecuzione dei lavori, e consente all'appaltatore di elevare riserva contro tali prescrizioni ed ordini, qualora li ritenga non corrispondenti alle condizioni contrattuali. Ora nella fattispecie ove si consideri che le due questioni sollevate con la richiesta in esame dall'Istituto Bancario non riguardano in alcun modo la materiale esecuzione dei lavori, n hanno riferimento con specifiche contabilizzazioni o con ordini o prescrizioni di servizio, concernendo una di esse una controversia di puro diritto che non trova alcun~ rispondenza ~elle registrazioni contabili, mentre l'altra riguarda la valutazione di un fatto ai puri effetti giuridici, non chi non veda come non sussista motivo che suffraghi la dedotta ragione preclusiva della indagine di merito. Costante al riguardo il prevalente indirizzo della giurisprud~~z~ arbitrale che ha ognora respinto la ragione di decadenza per tard1v1ta di riserva, anche se formulata a lavori ultimati, ove si tratti di pretese strettamente collegate alla interpretazione della volont contrattuale 0 di questioni la cui soluzione non presupponga l'accertamento dei fatti, posti a base delle singole pretese, ma involga semplicemente una loro valutazione ai soli effetti giuridici. (Omissis). Con la quinta riserva l'Istituto Bancario Romano, deduce~do eh~, pur avendo la e.A.I. iniziato, prima ancora della consegna dei lavori, avvenuta il 30 giugno 1955, tutti i lavori di apprestamento del cantiere l'Amministrazione appaltante era stata in grado di ordinare l'ini;io dei lavori soltanto il 15 luglio 1955, ha chiesto, a titolo di risar PARTE I, SEZ. VI, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE, APPALTI ECC. 239 cimento del danno per la forzata inattivit di numerosi macchinari gi predisposti per l'immediato impiego, la somma di lire 12.000.000. Anche tale richiesta stata contestata dall'Amministrazione sia in via pregiudiziale in quanto la relativa riserva sarebbe stata tardivamente iscritta, sia nel merito in quanto il lamentato intervallo di tempo tra la consegna dei lavori e l'ordine di inizio dei lavori stessi non sarebbe imputabile ad essa Amministrazione, essendo dipeso dalla ritardata approvazione da parte delle competenti autorit amministrative dei progetti esecutivi predisposti dall'Impresa per la deviazione del canale Ascolano, e che d'altra parte, l'Impresa aveva diritto di provvedere alla redazione dei progetti esecutivi fino a due mesi dopo la consegna dei lavori e correlativamente l'Amministrazione aveva quello di approvarli nell'adeguato tempo necessario. Aggiunge che, in ogni caso, nessun danno sarebbe derivato all'Impresa dal lamentato ritardo. Il Collegio ritiene pienamente fondata l'eccezione pregiudiziale di inammissibilit della domanda. Come dianzi detto l'art. 17 delle Condizioni Generali, analogamente all'art. 23 del regolamento del 1895, regola le contestazioni tra direttore dei lavori ed appaltatore in ordine alle prescrizioni ed agli ordini di servizio con riferimento all'ipotesi in cui il secondo lamenti la difformit delle prescrizioni medesime della normativa contrattuale. Esso dispone che in tale ipotesi l'appaltatore deve presentare per iscritto le sue osservazioni al Direttore dei lavori entro il termine di tre giorni dalla data dell'ordine a pena di decadenza . Ora nella fattispecie pacifico che avverso l'ordine di servizio n. 1 del 15 luglio 1955, con il quale la Direzione dei lavori disponeva l'inizio dei lavori appaltati interessanti la deviazione del canale Ascolano, nessuna osservazione venne formulata dall'Impresa nel termine e nei modi previsti dal citato art. 17. Ne consegue che, ai sensi della citata disposizione non pu non .considerarsi preclusa ogni richiesta di indennizzo fondata sull'asserita illegittimit dell'impartito ordine di servizio. Con la sesta riserva l'Istituto Bancario ha chiesto la somma di trenta milioni a titolo di risarcimento dei danni subiti dalle opere nel a favore dello Stato, su ogni biglietto di ingresso alle case da giuoco. Ora -osserv la Corte -poich il Pretore aveva giudicato del fatto commesso il 7 e 1'8 novembre 1962, non poteva il Tribunale de L'Aquila, in grado di appello, giudicare dei fatti successivi non presi in esame dal Pretore, senza violare l'art. 185, n. 2 in relazione all'art. 211 c.p.p. poich l'osservanza della prima norma stabilita a pena di nullit assoluta, questa doveva essere dichiarata, nonostante l'inammissibilit del ricorso. Concludeva pertanto la Corte nel senso che la sentenza del Tribunale de L'Aquila, nella parte in cui aveva giudicato in grado di appello sul fatto gi contestato al Guarnaschelli dal Pretore di Taormina, era intangibile, stante appunto l'inammissibilit del gravame e che quindi il proscioglimento dell'imputato dal reato ascrittogli per difetto dell'elemento soggettivo, cosi come ritenuto dal Giudice di appello (e non gi per aver esercitato un diritto, come ritenuto dal Pretore), passava in cosa giudicata, mentre doveva dichiararsi la nullit della sentenza nella parte in cui aveva esaminato la responsabilit del Guarnaschelli per il giuoco d'azzardo esercitato successivamente all'8 novembre 1962. Conseguentemente la citata sentenza delle Sezioni Unite ordinava la trasmissione degli atti al P. M. competente e cio al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Messina per l'ulteriore corso di giustizia in ordine ai fatti dal Guarnaschelli commessi dal 5 febbraio 1963 in poi . Promuoveva pertanto l'azione penale il Procuratore della Repubblica di Messina nei confronti del Guarnaschelli, non solo, in ordine alla contravvenzione ex artt. 718 e 719 c.p. (di competenza pretorile), per avere tenuto una casa da giuoco di azzardo nella Villa Mon Repos di Taormina dal 5 febbraio 1963 e anche successivamente alla sentenza emessa dalle Sezioni Unite della Cassazione, ma altresi, in ordine al delitto di omissione continuata di atti di ufficio per avere in tempi di 254 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO versi omesso di depositare presso la Cancelleria della Pretura di Taormina il rendiconto mensile relativo al sequestro del 50 % dei proventi del giuoco esercitato nei locali della predetta villa, di cui era custode sequestratario; in ordine al delitto di peculato continuato per essersi in tempi dipersi appropriato della somma costituita dal 50 % dei proventi lordi dell'esercizio del giuoco d'azzardo tenuto nella Villa Mon Repos , somme in giudiziale sequestro e delle quali egli aveva il possesso nella succitata qualit, in Taormina dall'8 novembre 1962, nonch in ordine al delitto di peculato continuato per essersi in tempi diversi appropriato del 50 % delle somme provenienti dall'esercizio del giuoco d'azzardo, costituite dall'incasso per mance e biglietti di ingresso, somme in giudiziale sequestro e delle quali aveva il possessa nella precisata qualit di custode giudiziario. In Taormina dal 5 febbraio 163 e successivamente. Veniva pertanto il 7 gennaio 1965 emesso a carico del Guarnaschelli ordine di comparizione e contestualmente decreto di sequestro, _, a norma dell'art. 337 c.p.p. in relazione all'art. 722 c.p., degli arnesi e degli oggetti destinati all'esercizio del giuoco, del denaro da esso proveniente anche se in giudiziale deposito, nonch dei registri, dei documenti e di quanto altro connesso alla tenuta del giuoco stesso, e ci sia per garantire l'esecuzione della misura di sicurezza della I confisca, sia per impedire che il reato sia ulteriormente consumato . ~ Veniva cos interrotta, a partire dal 7 gennaio 1965 e dopo 23 mesi di esercizio, l'attivit del Casin di Taormina, ripresa e proseguita in virt del decreto del Pretore dell'8 novembre 1962, a partire I dal 9 (e non gi' dal 5) febbraio 1963, come pacificamente risulta dagli atti. I In data 14 gennaio 1965, a mezzo della Avvocatura dello Stato, i Ministeri di Grazia e Giustizia e del Tesoro si costituivano parte I. -civile e il successivo 16 gennaio, su istanza dell'imputato e del Pro, .curatore Generale presso la Corte di Cassazione, avanzate ai sensi e per gli effetti dell'art. 55 c.p.p., questa con ordinanza designava il ' , Tribunale di Roma quale giudice competente per il procedimento pe, nale pendente presso l'Ufficio del P. M. di Messina, e ordinava per' Itanto la trasmissione degli atti al Procuratore della Repubblica presso .questo Tribunale, peraltro dichiarando che conservavano validit tutti gli atti della istruttoria sommaria fino allora compiuta, ivi compreso il decreto di sequestro 7 gennaio 1965. Iu Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma di: Sponeva in data 16 febbraio 1965 il sequestro dei libri di commercio, II registri e atti contabili, compresi quelli-relativi alle spese di gestione della casa da giuoco Mon Repos della Soc. A. Zagara e la Polizia Tributaria di Roma dava esecuzione al disposto sequestro, inoltrando pure alla Autorit Giudiziaria -a seguito degli esperiti accertamenti -rapporto giudiziario n. 535 9/9/474 in data 22 marzo 1965. Completata la istruttoria sommaria con l'interrogatorio in data I 7 aprile 1965 del Guarnaschelli, che presentava, in aggiunta a quello, ~ gi esibito dai suoi difensori, memoria scritta, in cui ribadiva la pro- I li I PARTE I, SEZ. VII, GIURISPRUDENZA PENALE 255 pria innocenza in ordine a tutti i reati ascrittigli, di cui alla epigrafe, l'imputato veniva tratto a giudizio di questo Tribunale, competente anche per materia, per rispondere della contravvenzione ex artt. 718 e 719 c.p. e dei delitti di cui agli artt. 81 cpv. e 328 c.p. e 81 cpv. e 334 c.p.p., cos come meglio e pi dettagliatamente in rubrica precisati, reati commessi a partire dal 9 febbraio 1963 e fino al 7 gennaio 1965. All'udienza del 3 dicembre 1965, ritualmente costituitosi il rapporto giuridico processuale e dichiarata su eccezione della difesa dell'imputato, l'inammissibilit della costituzione di parte civile dell'Amministrazione dello Stato. limitatamente al reato contravvenzionale per le ragioni indicate nella relativa ordinanza, il Guarnaschelli rendeva il proprio interrogatorio e veniva raccolta la deposizione del verbalizzante Boi Ennio, capitano del Corpo delle Guardie di Finanza. All'odierna pubblica udienza, cui il processo veniva rinviato per acquisire agli atti il fascicolo del ricorso del Guarnaschelli proposto davanti al Pretore di Taormina nel maggio 1962, nonch, in copia o in originale, i contratti di locazione della Villa Mon Repos , a suo tempo stipulato tra la Veraschini e il Consigliere Delegato della Soc. A Zagara ., veniva escusso su richiesta del P. M. il verbalizzante Giuliano Oliva, ufficiale superiore del Corpo delle Guardie di Finanza, si dava atto dell'acquisizione dei documenti richiesti e si disponeva l'acquisizione, ritenutane l'utilit al fine di decidere, di alcuni documenti dalla parte civile esibiti e provenienti dalle Amministrazioni del Tesoro e delle Finanze nonch della sentenza 14 dicembre 1965, n. 87 della Corte Costituzionale. Veniva infine dichiarato chiuso il dibattimento e la parte civile e il P. M. concordemente concludevano perch venisse affermata la penale responsabilit del Guarnaschelli, in ordine a tutti i reati ascrittigli, per i quali la difesa invocava invece l'assoluzione del giudicabile, trattandosi di persona non punibile perch il fatto non costituisce reato, in particolare insistendo, perch, circa la contravvenzione, venisse dichiarata al liceit ex art. 51 c.p. della condotta del Guarnaschelli. MOTIVI DELLA DECISIONE Osserva il Collegio che le conclusioni del P. M. meritano integrale accoglimento. Come si accennato in narrativa, l'imputato stato assolto dalla nota contravvenzione, limitatamente al periodo 7-8 novembre 1962, perch il fatto non costituisce reato sotto il profilo della carenza -nella ritenuta e indiscussa materialit del fatto contestato -dell'elemento soggettivo del reato. Quanto precede, perch la sentenza in grado di appello del Tribunale de L'Aquila, che in ordine a quel fatto ritenne, sia pur confermando nel dispositivo la sentenza del primo giudice, che il Guarnaschelli avesse agito nella convinzione della liceit del fatto , 19 256 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO passata in cosa giudicata, stante appunto l'inammissibilit del proposto gravame, che non consent al Supremo Collegio di entrare nel merito del proscioglimento stesso (cfr. Cass., Sez. Un., 14 novembre 1964). Osserv peraltro la Cassazione nella citata sentenza, alla stregua di una logica e corretta interpretazione delle norme di rito e sostanziali, che per il periodo di funzionamento del Casin di Taormina successivamente all'8 novembre 1962, ancora insoluto doveva considerarsi il problema della liceit obiettiva dell'esercizio del giuoco d'azzardo, che, nonostante il disposto sequestro, il Pretore aveva consentito, cos in pratica autorizzando proprio la prosecuzione di quel reato, che del sequestro era il presupposto. Di qui l'esatto, se pur non necessario, provvedimento da parte delle Sezioni Unite della Cassazione di trasmissione degli atti al P. M. perch procedesse per il giuoco d'azzardo successivo a quello oggetto della sentenza del Pretore (cfr. Cass. S.U. 13 febbraio 1965 in C. Guarnaschelli). Di qui la competenza di questo Tribunale a conoscere e giudicare anche della contravvenzione di cui alla lett. A) della rubrica, per il periodo compreso tra il 9 febbraio 1963 (giorno in cui il Casin di Taormina inizi praticamente le attivit) e il 6 gennaio 1965 (giorno in cui ad essa pose fine il decreto di sequestro disposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Messina). E a nulla giova rilevare che, _per essere stata la sentenza assolutoria del Pretore di Taormina emessa il 19 febbraio 1963, dovevasi nel presente giudizio contestare al Guarnaschelli il reato ex art. 718 c.p. a partire dal giorno successivo 20 febbraio, giacch in tema di reato permanente la contestazione del reato stesso concerne i fatti successivi alla data della sentenza di primo grado, a meno che non sia espressamente specificato che la permanenza sia cessata anteriormente a quella data. noto infatti che la contravvenzione de quo reato commissivo, eventualmente permanente e che -ove sussista -la permanenza cessa con l'interruzione dell'attivit e cio con la chiusura della casa da giuoco non autorizzata o comunque con la cessazione del giuoco. Nel caso di specie, ci S verific in virt del noto decreto di sequestro del Procuratore Generale di Messina del 9 novembre 1962 (cfr. Cass., 13 febbraio 1965, citata). Ora, ai fini della cessazione della permanenza quel che ha rilevanza non sono i motivi -siano essi spontanei o forzosi -che hanno determinato la interruzione dell'attivit, ma il fatto obbiettivo della interruzione dell'attivit stessa. D'altra parte fuori discussione che la sentenza del Pretore atteso il relativo capo di imputazione, si -senza possibilit di equivoco limitata (non importa se a torto o a ragione), a considerare il fatto della istituzione e dell'esercizio del giuoco d'azzardo, circoscritto nel breve lasso di tempo del 7-8 novembre 1962 (come la stessa difesa ebbe giustamente a sostenere, per eccepire la inammissibilit di uno PARTE I, SEZ. VII, GIURISPRUDENZA PENALE 257 di motivi dell'appello proposto dal P. M. di Messina avverso appunto quella sentenza e quindi la relativa pronuncia di assoluzione, poi fondata, in virt della sentenza di appello -passata in giudicato -sull'asserito difetto dell'elemento psicologico del reato, non pu davvero costituire causa di immunit per l'ulteriore illecita attivit del Guarnaschelli. principio generale -del resto -pacifico in dottrina e in giurisprudenza, che la permanenza, una volta interrotta, importa che l'ulteriore stato di permanenza oltre il provvedimento e il fatto interruttivo perseguibile a titolo di nuovo reato (cfr. Cass., Sez. Un., 13 febbraio 1965 citata e sent. Trib. L'Aquila 18 aprile 1964). Il fatto poi che deve escludersi, per le ragioni indicate nella sentenza delle Sez. Un. della Cassazione 14 novembre 1964, ragioni che questo Collegio ampiamente condivide e di cui in narrativa si fatto cenno, che sia passata in cosa giudicata la sentenza del Pretore di Taormina, la quale aveva ritenuto la liceit della istituzione della casa da giuoco impedisce che allo stato possa conseguentemente affermarsi, come ha fatto la difesa, partendo appunto da questa errata premessa, la legalit della tenuta del Casin e quindi la legalit dell'esercizio di esso. Ci posto, il Collegio dell'avviso che nessun diritto (reale o putativo) aveva l'imputato nel 1962 e antecedentemente che gli consentisse di poter aprire e gestire una casa da giuoco e pertanto di svolgere una attivit in contrasto col precetto penale e che di ci il Guarnaschelli era fin da epoca precedente ben consapevole. Anzi, pu aggiungersi che nel 1962 la condotta del Consigliere Delegato della S.p.A. A Zagara , protesa alla realizzazione dell'apertura del Casin in Taormina, chiaramente si manifest come la risultante condizionata della consapevolezza di versare in illicita, del che pi sotto ampiamente si dir. E neppure il Collegio ritiene che successivamente al 19612 siano intervenute norme di legge o atti giuridicamente rilevanti dello Stato, che abbiano potuto, sia pur per via indiretta, attribuire alla condotta criminosa del Guarnaschelli (esercizio abusivo di una casa da giuoco) il crisma della liceit, sotto il profilo dell'abolitio criminis e infine che abbiano potuto discriminare le condotta del Guarnaschelli le cosiddette autorizzazioni pretorili del 24 maggio e dell'8 novembre 1962. In realt, non sembra difficile al Collegio dimostrare sul piano di fatto e giuridico la infondatezza delle molteplici tesi al riguardo dall'imputato suggestivamente addotte (Omissis). Contravvenzione ex art. 718 e 719, nn. 1 e 2 c.p. 1) Liceit del Casin di Taormina. Sotto il profilo della validit dei titoli accampati dal Guarnaschelli, e che a suo avviso avrebbero reso legittimi e leciti l'apertura del Ca 258 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO sino di Taormina e l'esercizio del giuoco d'accordo, tali titoli secondo la difesa andrebbero identificati nella legge costitutiva dell'E.T.A.L. (Ente Turistico Alberghiero della Libia): RG 31 maggio 1935, n. 1410; nel decreto interministeriale 30 aprile 1947, in relazione alla legge l!.8 maggio 1942, n. 669 e al r.d. 22 aprile 1943, n. 560; nella transazione E.T.A.L. -Guarnaschelli dell'll aprile 1949 e nel decreto del1' Assessore per il Turismo e lo Spettacolo della Regione Siciliana, 27 aprile 1949, n. 1. Ma appena il caso di rilevare che la questione relativa alla validit di tali titoli stata ampiamente e ripetutamente esaminata e definitivamente risolta in senso negativo dalla Corte Costituzionale. Vero che con r.d. 31 maggio 1935, n. 1410 venne istituito l'Ente Turistico e Alberghiero per la Libia (E.T.A.L.), persona giuridica di diritto pubblico, con il compito di esercitare in quel territorio alcune attivit economiche per lo sviluppo e l'incremento del turismo locale. Vero che con provvedimento del 10 agosto 1937 (approvato dal Governatorato Generale per la Libia, con delibere nn. 22328 e 30762 del 17 agosto e del 6 novembre 1937) il Municipio di Tripoli revocava la concessione rilasciata il 2'7 aprile 1935 alla S.C.I.T.A. (Societ Coloniale Incremento Turismo Anonima) di cui era amministratore delegato il Guarnaschelli e autorizzava l'E.T.A.L. a gestire una casa da giuoco in Tripoli. Al riguardo pu anzi aggiungersi che la relativa vertenza giudiziaria intercorsa tra la S.C.I.T.A. e il Guarnaschelli da un lato e l'E.T.A.L. e il Municipio di Tripoli dall'altro, si concluse favorevolmente per l'Ente con sentenza della Corte di Appello di Tripoli del 18 aprile 1939, passata in giudicato. Vero ancora che, qualche anno dopo il suo trasferimento in Italia per le note vicende belliche, l'E.T.A.L. fu autorizzata con decreto interministeriale del 30 aprile 1947 -della cui legittimit -per la data in cui fu emanato -pu fortemente dubitarsi, atteso che le leggi del 1942 e del 1943 consentivano che gli enti gi operanti nei Paesi di oltremare fossero autorizzati a esercitare in Italia le attivit svolte nei predetti territori fino alla data di cessazione dello stato di guerra -ad espletare in Patria le attivit economiche gi esercitate in Libia. Vero che, successivamente a tale autorizzazione, il Commissario dell'Ente stipulava col Guarnaschelli in data 11 aprile 1949 una transazione per effetto della quale l'Ente si obbligava ad affidare all'avente causa della S.C.I.T.A. come subconcessionario la gestione del giuoco di azzardo per la durata di anni 20 dovunque -in Italia o in Libia l'E. T.A.L. (cosi peraltro si precisava nell'atto) potr esercitarla in virt dei propri titoli e degli accordi che porr in essere con organi statali e regionali, comuni, enti e privati. Vero , infine, che con decreto 17 aprile 1949, n. 1, pubblicato sulla G.U.R.S. del 30 aprile 1949, n. 19 (decreto chiaramente permissivo, nello spirito e nella lettera, dell'esercizio del gioco d'azzardo), 1'Assessore al Turismo e allo Spettacolo della Regione Siciliana, autorizzata l'E.T. A.L., conformemente alla clausola n. 3 dell'atto transattivo, a svolgere PARTE I, SEZ. VII, GIURISPRUDENZA PENALE 259 in Sicilia direttamente o a mezzo organi dipendenti o di subconcessionari i programmi inerenti al proprio scopo di incremento turistico e alberghiero e quindi tutte le attivit connesse con lo scopo anzidetto, gi esercitati in Libia, ivi compreso l'esercizio del giuoco di az2ardo e che nel relativo contestuale regolamento si facoltizzava il subconcessionario dell'E.T.A.L., sig. Guarnaschelli a sostituire a s una societ., purch in essa egli detenesse, almeno per i primi cinque anni, la maggioranza delle quote o delle azioni (onde la immediata costituzione della S.p.A. A. Zagara). Senonch, al predetto decreto assessoriale non fu data mai esecuzione, in quanto privo, giova subito rilevare, di qualsiasi efficacia giuridica (del che pi avanti ancora si dir). Invece sulla G.U.R.S. del 4 maggio 1949, n. 20, si dette notizia che agli effetti della efficacia esecutiva del decreto n. 1 dell'assessorato questo trovasi al vaglio della Corte dei Conti per la registrazione, ma successivamente tale decreto, restituito alla Regione con rilievi, non fu pi inoltrato alla detta Corte dei Conti. E cos fino al 1959 non si parl pi dell'apertura della casa da giuoco in Taormina, apertura a cui si era sempre opposto l'Esecutivo dello Stato, a mezzo dei suoi organi centrali e periferici. Infatti solo nel 1959, ovviamente su richiesta del Guarnaschelli, il Presidente della Regione Siciliana, con decreto n. 203/A del 28 maggio, confermava per la durata di anni 20 alla S.p.A. A. Zagara, quale avente causa dall'E.T.A.L. e per essa al Guaranschelli, l'autorizzazione concessa col sopra citato decreto 27 aprile 1949 e a seguito dell'annullamento di quel provvedimento operato con decreto del Presidente della Repubblica 25 giugno 1959, n. 1098. Il Presidente della Regione emanava il d.l. 1 luglio 1959 (provvidenze a favore del Comune di Taormina), avente lo stesso contenuto del precedente decreto n. 203/A. Ora - bene tenere presente -con due distinte sentenze rispettivamente in data 29 luglio e 26 novembre 1959, n. 58, la Corte Costituzionale, su ricorso rispettivamente del Commissario dello Stato presso la Regione Siciliana (contro il decreto legge regionale), del Presidente del Consiglio dei Ministri (contro il decreto regionale 203 I A) nonch del Presidente della Regione Siciliana (contro il decreto di annullamento n. 1098) ha -statuito che la Regione eccede la propria competenza legislativa non soltanto se legifera in materia non compresa nella specifica elencazione delle norme statutarie, ma anche quando emana disposizioni legislative in contrasto con la Costituzione, che lo Statuto Speciale della Regione Siciliana non prevede l'emanazione di decreto legge (sent. 29 luglio 1959) e, infine, che alle Regioni precluso di emanare provvedimenti in materia penale, la quale invece riservata alla competenza dello Stato (Parlamento), preclusione esistente anche nel senso di divieto di emanare provvedimenti che rendono lecite attivit considerate illecito penale (giuoco d'azzardo). (Omissis). 260 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (Omissis). Chiaramente dunque si evincono dalle citate sentenze della Corte ' Costituzionale del luglio e del novembre 1959 e del maggio 1961: ' ' 1) che la Regione Siciliana non pu emanare provvedimenti in ' materia di giuoco d'azzardo che, quale materia penale, esula dalla sua .' competenza; . 2) che la Societ A. Zagara neppure quale avente causa dell'ETAL pu vantare diritto alcuno di esercitare in Italia il giuoco d'azzardo n in base a provvedimenti regionali assolutamente privi di effetti esimenti e comunque regolarmente posti nel nulla (cfr. Cass., Sez. Un., 14 novembre 1964, Guarnaschelli e Sez. Un., 7 dicembre 1963, Zorli + 2) n in base a precedenti provvedimenti statali che anche a volerli ritenere riguardanti il giuoco d'azzardo, sono stati revocati o hanno cessato di avere efficacia. Pu aggiungersi che il Decreto Interministeriale 30 aprile 1947, revocato con successivo decreto del 3 marzo 1951, risult comunque ulteriormente caducato per effetto della legge 30 febbraio 1952, n. 1301, che pose fuori dell'ordinamento giuridico italiano l'ETAL, Ente poi soppresso e messo in liquidazione con d.P. 14 febbraio 1958 ai sensi della legge 4 gennaio 1956, n. 1404. Come dunque agevole desumere, il Guarnaschelli nel 1962 sapeva -senza alcuna possibilit di equivoco -che non aveva alcun diritto di esercitare il giuoco d'azzardo e quindi di istituire e gestire una casa da giuoco in Taormina, come ben sapeva la Regione Siciliana di non avere la potest, n con decreto assessoriale, n con decreto presidenziale, n con quello legislativo n con atto ricognitorio, di consentire alla Soc. A. Zagara e per essa al suo Consigliere Delegato, di esercitare una attivit ritenuta criminosa dalle leggi dello Stato. Nessun credito merita pertanto l'assunto difensivo secondo cui la Corte Costituzionale non avrebbe affrontato se non indirettamente la legittimit e la liceit dell'esercizio del Casin di Taormina. Tanto meno fondata la tesi del Guarnaschelli che l'esame e la valutazione in senso negativo della questione era comunque preclusa alla Corte. Vero che questa era stata chiamata di volta in volta a decidere della legittimit e quindi dell'annullamento o meno di atti o decreti regionali, anche nella forma del decreto legge, ma pur vero che, per pervenire al loro annullamento, l'organo costituzionale si necessariamente preso cura di dimostrare la infondatezza della tesi prospettata dalla Regione, che aveva implicitamente riconosciuto alla S.p.A. A. Zagara il diritto, quale avente causa dell'ETEL, di poter lecitamente gestire una casa da giuoco sul territorio nazionale. D'altra parte le argomentazioni giuridiche addotte, per ci che attiene alla presente fattispecie, nelle citate sentenze della Corte Costituzionale, sono pienamente condivise, attesa la loro esattezza, dal Collegio, il quale, pertanto, non ha motivo di discostarsi dalle conclusioni cui, al riguardo, quel sovrano Collegio pervenuto, e a nulla giova rilevare PARTE I, SEZ. VII, GIURISPRUDENZA PENALE 261 peraltro erroneamente che questo eserciterebbe funzioni non giurisdizionali. Circa poi l'asserita estraneit del Guarnaschelli e della sua Societ ai giudizi svoltisi dinanzi alla Corte, baster osservare, a parte il fatto che in sostanza i vari decreti regionali concernevano direttamente la Societ amministrata dall'imputato, che di volta in volta essi decreti avevano autorizzato all'esercizio del giuoco d'azzardo, che la piena validit giuridica delle osservazioni e conclusioni espresse nelle citate sentenze per negare alla Regione la potest di riconoscere un diritto che doveva sotto ogni profilo ritenersi inesistente, non viene meno cos perch il Guarnaschelli non era parte (n poteva esserlo) nei sopraricordati giudizi. Ma, osserva il Collegio, v'ha di pi, giacch, come implicitamente hanno pure fatto intendere la Corte di Cassazione a Sezioni Unite (Sent. del 14 novembre 1964) e il Tribunale di L'Aquila, da escludersi qualsiasi analogia tra la situazione giuridica riflettente la casa da giuoco di San Remo, Campione e Venezia, concessionaria dei rispettivi Comuni e quella attinente al Guarnaschelli, subconcessionario, per effetto della transazione 11 aprile 1949 dell'ETAL, giacch nessuna analogia pu riscontrarsi tra i rr.dd.ll. 22 dicembre 1927, n. 2448 (Casin di San Remo); 2 marzo 1933, n. 201 (Casin di Campione) e 16 luglio 1936, n. 1404 (Casin di Venezia), da un lato, e il r.d. 31 maggio 1935, n. 1410, istitutivo dell'ETAL dall'altro. Infatti, anche se ambigua, generica e poco chiara la formula in quelli adottata e tortuoso e ipocrita l'iter previsto, anche se, cio, in nessuno di tali provvedimenti il legislatore espressamente autorizz, per ragioni di politica legislativa, l'apertura di casa da giuoco, fuori discussione che Egli, proprio loro mezzo, intese autorizzare l'esercizio del giuoco d'azzardo nei tre menzionati Comuni per un complesso di ragioni d'ordine soprattutto economico (vedansi i lavori preparatori in occasione della conversione in legge (27 dicembre 1928) del r.d. 22 dicembre 1927, n. 2448), ed indubitabile che presupposto giuridico necessario di ci, fu l'espressa facolt data per legge al Ministero dell'Interno di autorizzare i suddetti Comuni ad adottare tutti i provvedimenti necessari a sanare il bilancio anche in deroga alle leggi vigenti. Per contro, il provvedimento legislativo istitutivo dell'ETEL, non contiene alcuna autorizzazione a derogare alle leggi vigenti, e tanto meno a quelle penali; pertanto da escludere che in esso possa riscontrarsi, come erroneamente ritenuto dal Pretore di Taormina, la fonte normativa derogativa al divieto penale. Vero -come si sopra ricordato -che con delibera n. 55 del 10 giugno 1937 la Consulta Municipale di Tripoli, peraltro non facendo richiamo esplicito al p:reambolo del r.d. 1935, n. 1400, provvide a revocare alla SCITA, la concessione 27 aprile 1935 dell'esercizio dei giuochi d'azzardo ammessi al Casin Municipale di San Remo., attribuendola alla ETAL. 262 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Vero che con sentenza 18 aprile 1939 la Corte di Appello di Tripoli ritenne pienamente legittimo l'operato dell'Autorit Comunale, affermando che a norma dell'art. 1 del r.d. n. 1410, atteso l'oggetto di tale provvedimento legislativo e poich l'ETAL aveva lo scopo di promuovere e incrementare il movimento turistico in Libia, di gestire alberghi e di svolgere ogni altra attivit attinente a quello scopo, essa . era di certo naturalmente adatta ad assolvere quella attivit (l'esercizio del giuoco d'azzardo) fin qui svolta dalla SCITA . Tutto ci non toglie che la pretesa asserita analogia -da escludere per il difetto della menzione nel r.d. n. 1410 della deroga alle leggi vigenti -tra la situazione giuridica delle societ che gestiscono le case da giuoco di San Remo, Campione e Venezia, concessionarie dei rispettivi Comuni, e il Guarnaschelli, subconcessionario della ETAL per effetto della transazione 11 aprile 1949, non avrebbe comunque mai portato alla conseguenza di un legittimo esercizio della concessione dopo la revoca del decreto Interministeriale 30 aprile 1947 e dopo la soppressione dell'Ente. A riprova dell'esattezza delle argomentazioni sopra esposte baster poi rilevare, che, ove si volesse ritenere il contrario, si avrebbe l'illogico e antigiuridico effetto che mentre in precedenza il destinatario della deroga era un Ente pubblico (l'ETAL), che aveva l'obbligo di soddisfare a uno scopo specifico (incremento turistico della Libia), destina .j Itario della stessa, con l'estinzione dell'Ente, risulterebbe il Guarna . schelli, privato cittadino che non avrebbe alcun obbligo giuridico nei confronti sia della Regione che del Comune di Taormina. A nulla giova far presente sotto questo profilo che nelle more del ' I presente giudizio (luglio 1965), certamente nel tentativo di moralizzare la questione e di dar vita almeno nelle apparenze, a una situazione I analoga a quella concernente le altre case da giuoco, debitamente auto rizzate, si sia concordata e attuata la cessione da parte del Guarna schelli del diritto (sic) per l'esercizio del giuoco di azzardo nel Ca sin di Taormina al locale Comune e correlativamente l'affidamento da parte di questo della gestione ventennale di quel Casin ad esso cedente (vedasi convenzione 4 luglio 1965), giacch tale cessione non certo idonea a rendere lecita una attivit di per s illegittima, nel di fetto assoluto dei presupposti indispensabili per la sua liceit. Pu dunque concludersi -a parte che il r.d. n. 1410 neppure implicitamente autorizzava l'ETAL (come acutamente sostenne il Guar naschelli nel giudizio innanzi alla Corte di ppello di Tripoli) a svol gere al giuoco d'azzardo in deroga agli artt. 718 e 719 c.p. -che l'auto rizzazione rilasciata all'Ente suddetto dalle autorit libiche e comunque localizzate in Libia, perch connessa all'interesse turistico di quella zona, non poteva avere efficacia discriminante altrove, giacch una discriminazione concessa eccezionalmente a un soggetto e per un inte resse pubblico determinato e localizzato, non potrebbe essere estesa per atti negoziali -recanti addirittura deroghe a una norma del Co dice penale -ad altri soggetti (vedasi atto di transazione 11 aprile 1949), per di pi privati cittadini e per un interesse diverso; e che, PARTE I, SEZ. VII, GIURISPRUDENZA PENALE 261 peraltro erroneamente che questo eserciterebbe funzioni non giurisdizionali. Circa poi l'asserita estraneit del Guarnaschelli e della sua Societ ai giudizi svoltisi dinanzi alla Corte, baster osservare, a parte il fatto che in sostanza i vari decreti regionali concernevano direttamente la Societ amministrata dall'imputato, che di volta in volta essi decreti avevano autorizzato all'esercizio del giuoco d'azzardo, che la piena validit giuridica delle osservazioni e conclusioni espresse nelle citate sentenze per negare alla Regione la potest di riconoscere un diritto che doveva sotto ogni profilo ritenersi inesistente, non viene meno cos perch il Guarnaschelli non era parte (n poteva esserlo) nei sopraricordati giudizi. Ma, osserva il Collegio, v'ha di pi, giacch, come implicitamente hanno pure fatto intendere la Corte di Cassazione a Sezioni Unite (Sent. del 14 novembre 1964) e il Tribunale di L'Aquila, da escludersi qualsiasi analogia tra la situazione giuridica riflettente la casa da giuoco di San Remo, Campione e Venezia, concessionaria dei rispettivi Comuni e quella attinente al Guarnaschelli, subconcessionario, per effetto della transazione 11 aprile 1949 dell'ETAL, giacch nessuna analogia pu riscontrarsi tra i rr.dd.ll. 22 dicembre 1927, n. 2448 (Casin di San Remo); 2 marzo 1933, n. 201 (Casin di Campione) e 16 luglio 1936, n. 1404 (Casin di Venezia), da un lato, e il r.d. 31 maggio 1935, n. 1410, istitutivo dell'ETAL dall'altro. Infatti, anche se ambigua, generica e poco chiara la formula in quelli adottata e tortuoso e ipocrita l'iter previsto, anche se, cio, in nessuno di tali provvedimenti il legislatore espressamente autorizz, per ragioni di politica legislativa, l'apertura di casa da giuoco, fuori discussione che Egli, proprio loro mezzo, intese autorizzare l'esercizio del giuoco d'azzardo nei tre menzionati Comuni per un complesso di ragioni d'ordine soprattutto economico (vedansi i lavori preparatori in occasione della conversione in legge (27 dicembre 1928) del r.d. 22 dicembre 1927, n. 2.448), ed indubitabile che presupposto giuridico necessario di ci, fu l'espressa facolt data per legge al Ministero dell'Interno di autorizzare i suddetti Comuni ad adottare tutti i provvedimenti necessari a sanare il bilancio anche in deroga alle leggi vigenti, Per contro, il provvedimento legislativo istitutivo dell'ETEL, non contiene alcuna autorizzazione a derogare alle leggi vigenti, e tanto meno a quelle penali; pertanto da escludere che in esso possa riscontrarsi, come erroneamente ritenuto dal Pretore di Taormina, la fonte normativa derogativa al divieto penale. Vero -come si sopra ricordato -che con delibera n. 55 del 10 giugno 1937 la Consulta Municipale di Tripoli, peraltro non facendo richiamo esplicito al p;reambolo del r.d. 1935, n. 1400, provvide a revocare alla SCITA, la concessione 27 aprile 1935 dell'esercizio dei giuochi d'azzardo ammessi al Casin Municipale di San Remo , attribuendola alla ETAL. 264 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO della addizionale era stata compresa nella formazione del bilancio, anche il Casin di Taormina, per l'importo di L. 330.984.920. E poich, ha incalzato la difesa, principio fondamentale delle leggi sulla contabilit dello Stato che l'entrata iscritta in bilancio sia vera e legittima, derivi cio da un titolo idoneo a procurarla secondo l'ordinamento giuridico sostanziale vigente, ne consegue che anche se fino al 18 febbraio 1963 si volesse considerare reato l'esercizio del giuoco di azzardo nel Casin di Taormina, con la pubblicazione della legge n. 67 e delle leggi di bilancio 28 giugno 1964, n. 444 e 27 febbraio 1965, n. 49, nei cui rispettivi capitoli nn. 67 e 1226 stata appunto presunta l'entrata, calcolando gli ingressi delle 5 case da giuoco esistenti (compresa Taormina), si sarebbe verificata senza ombra di dubbio una abolitio criminis che concellerebbe dal novero dei reati, per il Casin di Taormina, l'esercizio del giuoco per tutto il periodo successivo >. Onde, a parere della difesa, l'indiscussa efficacia di fonte primaria della legge 18 febbraio 1963, n. 67, con l'effetto di derogare alle norme del Codice penale. Se infatti l'imposta deve colpire una attivit lecita, permessa nel territorio dello Stato, non potendosi pensare che il legislatore abbia inteso assoggettare a tributo ci che vietato e se il Casin di Taornwia era compreso nella previsione legislativa, come in pratica ha dimostrato l'applicazione di quella legge, l'esercizio in esso del giuoco di azzardo-ha concluso la difesa -non pu non considerarsi, per effetto della legge stessa, pienamente lecito; anzi deve considerarsi la attivit del giuoco del Comune di Taormina un fatto non previsto dalla legge come reato. Ha infine la difesa osservato che non ha importanza che le leggi 11 di bilancio abbiano carattere puramente formale, siano cio inidonee ad emanare dei precetti di legge forniti di forza imperativa , I giacch, nel caso di specie, non che con la legge di bilancio si imposto, nei capitoli dianzi citati un nuovo tributo (si che peraltro osterebbe il dievieto di cui all'art. 81, n. 3, della Costituzione), che I implicitamente avrebbe legittimato -in deroga alla legge penale un'attivit criminosa del soggetto, sul quale quel tributo andrebbe a I gravare, ma in esso solo precisata la fonte dell'entrata, gi autorizzata, nel caso in esame, dalla legge n. 67. Si sopra detto che la tesi test prospettata, seppur suggestiva, I va disattesa. Non si vuol contestare infatti l'esattezza del principio affermato dalla Corte di Appello di Firenze nella sentenza 14 dicembre 1962, Zorli e ribadito dalle Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza 7 dicembre 1963, secondo cui deve escludere la punibilit del reato ex art. 718 c.p. ogni qualvolta possa ritrovare nell'insieme dell'ordinamento giuridico una norma che ne riconosca la liceit, dell'esercizio del giuoco d'azzardo, qualunque possa essere l'ubicazione della norma autorizzativa e anche in altri testi legislativi, in una concezione necessariamente unitaria del diritto, che non pu essere disconosciuta 264 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO della addizionale era stata compresa nella formazione del bilancio, anche il Casin di Taormina, per l'importo di L. 330.984.920. E poich, ha incalzato la difesa, principio fondamentale delle leggi sulla contabilit dello Stato che l'entrata iscritta in bilancio sia vera e legittima, derivi cio da un titolo idoneo a procurarla secondo I l'ordinamento giuridico sostanziale vigente, ne consegue che anche @ se fino al 18 febbraio 1963 si volesse considerare reato l'esercizio del giuoco di azzardo nel Casin di Taormina, con la pubblicazione della legge n. 67 e delle leggi di bilancio 28 giugno 1964, n. 444 e 27 febbraio 1965, n. 49, nei cui rispettivi capitoli nn. 67 e 1226 stata appunto presunta l'entrata, calcolando gli ingressi delle 5 case da giuoco esistenti (compresa Taormina), si sarebbe verificata senza ombra di dubbio una abolitio criminis che concellerebbe dal novero dei reati, per il Casin di Taormina, l'esercizio del giuoco per tutto il periodo successivo . Onde, a parere della difesa, l'indiscussa efficacia di fonte primaria della legge 18 febbraio 1963, n. 67, con l'effetto di derogare alle norme del Codice penale. Se infatti l'imposta deve colpire una attivit lecita, permessa nel territorio dello Stato, non potendosi pensare che il legislatore abbia inteso assoggettare a tributo ci che vietato e se il Casin di Taorn: wia era compreso nella previsione legislativa, come in pratica ha dimostrato l'applicazione di quella legge, l'esercizio in esso del giuoco di azzardo-ha concluso la difesa -non pu non considerarsi, per effetto della legge stessa, pienamente lecito; anzi deve considerarsi la attivit del giuoco del Comune di Taormina un fatto non previsto dalla legge come reato. Ha infine la difesa osservato che non ha importanza che le leggi di bilancio abbiano carattere puramente formale, siano cio inidonee ad emanare dei precetti di legge forniti di forza imperativa , giacch, nel caso di specie, non che con la legge di bilancio si imposto, nei capitoli dianzi citati un nuovo tributo (si che peraltro osterebbe il dievieto di cui all'art. 81, n. 3, della Costituzione), che implicitamente avrebbe legittimato -in deroga alla legge penale un'attivit criminosa del soggetto, sul quale quel tributo andrebbe a gravare, ma in esso solo precisata la fonte dell'entrata, gi autorizzata, nel caso in esame, dalla legge n. 67. Si sopra detto che la tesi test prospettata, seppur suggestiva, va disattesa. Non si vuol contestare infatti l'esattezza del principio affermato dalla Corte di Appello di Firenze nella sentenza 14 dicembre 1962, Zorli e ribadito dalle Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza 7 dicembre 1963, secondo cui deve escludere la punibilit del reato ex art. 718 c.p. ogni qualvolta possa ritrovare nell'insieme dell'ordinamento giuridico una norma che ne riconosca la liceit, dell'esercizio del giuoco d'azzardo, qualunque possa essere l'ubicazione della norma autorizzativa e anche in altri testi legislativi, in una concezione necessariamente unitaria del diritto, che non pu essere disconosciuta . ~66 ll;ASS;E(;N"A :OELI/AVVOCA'l'Ull;;\ DELJ.,O STNFO Ora; quel l'apido .e fugace .accenno . davvero troppo poca cosa perchi si pos$a affermare, come ha fatto il Tribunale de L'Aquila, . che nell'iter formativo della legge 18 febbraio 1963, n. 67, si era tenuto presente e si era volut() sanare . legislativamente l'esercizio del giuoco d'azzardoa Taormina. . ln. .altre .parole, . da questa m.odestissima circostanza in relazione. alla quale fuori dll110go invocare l'illlportanza e itval, vol. II, Torino, 1965, pagg. 815 e segg, Secondo il B., tutte le norme del codice sulla disciplina dei fatti illeciti si ripartiscono in due sfere: norme di nascita e norme di propagazione della responsabilit, dovendosi intendere per nascita il momento in cui la responsabilit originariamente collegata ad un fatto determinato e per propagazione il momento in cui la stessa responsabilit, gi nata in capo ad un soggetto, si estende ad uno o pi altri. ~; PARTE II, QUESTIONI 3 punto quella che l'art. 2047 pone a carico di chi tenuto alla sua sorveglianza (1). Premesso il principio della non imputabilit dell'incapace di intendere e di volere (art. 2046 e.e.), la sola colpa ravvisabile nella specie diventa quella, eventuale, della persona tenuta alla sua sorveglianza che chiamata a risnondere direttamente (come avverte la stessa relazione al codice civile), perch la responsabilit nasce originariamente in essa. In altri termini, data l'incapacit naturale dell'autore del fatto, il fatto medesimo non pu essere considerato -pi che il fatto dell'animale -come factum humanum in relazione al suo autore; la causa umana di quest'operato riferita alla persona tenuta alla sorveglianza, ragion per cui un nesso di causalit diretta viene cosi ad interporsi tra l'inadempimento del dovere di sorveglianza materiale (inadempimento presunto fino a prova di non aver potuto impedire il fatto) ed il fatto stesso che ha prodotto il danno. L'art. 2048 e.e. presuppone, invece, una responsabilit gi nata per colpa di un soggetto ed il suo obbiettivo solo quello di estenderla ad altri soggetti, diversi da quello che il responsabile diretto. Considerato che la capacit di assumere la responsabilit dei propri fatti illeciti non commisurata alla capacit legale di agire ma alla capacit naturale, l'art. 2048 muove dal presupposto della imputabilit innanzitutto dell'autore del fatto e, quindi, dal presupposto che il fatto stesso sia ascrivibile a dolo o colpa dello stesso autore, bench persona minore o soggetta a tutela. La prova di ci offerta dal fatto che, mentre l'art. 2046 ed il successivo art. 2047 parlano, rispettivamente, di fatto dannoso e di danno cagionato da persona incapace d'intendere e di volere, ma nessuna delle due norme parla di fatto illecito, perch la contraddizione non consente di parlare di illecito con riferimento a persona naturalmente incapace, di fatto illecito parlano, invece, come si gi rilevato supra, entrambi i commi dell'art. 2048 e.e., con ci presupponendo, sempre per quella contraddizione che non consente di parlare d'illecito senza colpa, che i fatti di cui sono chiamati a rispondere tanto i genitori ed i tutori, quanto i precettori ed i maestri d'arte, siano prima imputabili ai loro autori come illeciti, cio in ragione d'una loro colpa (2). (1) Su ci e su tutto quanto precisato innanzi, in tema di distinzione tra norme di nascita e norme di propagazione della responsabilit per fatto illecito, v. sempre BARBERO, Sistema istituzionale dei diritto privato italiano, Milano, 1965, voi. II, 819 e segg. (2) Da quanto precisato nel testo risulta chiaro che non pu assolutamente condividersi la tesi fatta propria dalla Suprema Corte in una recente sentenza (Cass. 22 ottobre 1965, n. 2202, Giust. civ. 1966, I, 297; ma v. pure App. Napoli 3 novembre 1965, inedita), ed in base alla quale la responsabilit dei genitori, tutori, precettori e maestri d'arte dovrebbe ritenersi diretta per l'esistenza di un preteso nesso di causalit tra il comportamento di quei soggetti e l'evento dannoso. Dire, infatti, che in ipotesi del tipo di quella in esame l'evento dannoso conseguenza tanto dell'.azione del soggetto che ha materialmente commesso il fatto, quanto dell'omissione del genitore, tutore, precettore o maestro d'arte, che quel fatto aveva l'obbligo di impedire e che non ha impedito, ed aggiungere che il predetto obbligo di impedire l'evento trova la sua fonte, per il genitore (o il tutore)', nell'art. 147 c. c. che impone il dovere di educare ed istruire la prole, e per il precettore, nel trasferimento a lui, per accordo contrattuale, dello stesso dovere previsto dal citato art. 147, significa, a nostro avviso, enunciare un'affermazione del tutto inesatta. A parte, infatti, l'impossibilit logica e giuridica (di cui si dir, infrw, nel testo) di far derivare dal dovere di educare ed istruire la prole sancito dall'art. 147 un obbligo di sorveglianza materiale, da svolgersi cotidie et singulis momentis, assolutamente fuori luogo, peraltro, per soggetti che sono pienamente capaci d'intendere e di volere, anche se minori (ma abbiamo visto che potrebbero essere, nel caso degli allievi e degli apprendisti, anche maggiorenni), v' da aggiungere che la tesi criticata intende il rapporto di causalit tra il fatto e l'evento dannoso in modo tale da far scolorire ogni differenza concettuale tra causa in senso proprio ed occasione o condizione. L'assenza della persona, ritenuta responsabile accanto al minore, all'allievo o all'apprendista, dall'art. 2048 c. c., dal luogo di commissione dell'illecito 4 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Accertato, dunque, che con l'articolo 2048 e.e. il Legislatore ha voluto solo aggiungere altri responsabili a quelli gi considerati e qualificati tali da altre norme del codice (norme di nascita : artt. 2043 e 2046), dobbiamo ora chiederci quale sia stata la ratio ispiratrice della normativa, di cui ci stiamo occupando. Non sembra dubbio che la norma dell'art. 2048 abbia il fine di perseguire una maggiore certezza di tutela del danneggiato, per evidenti ragioni politico-sociali. Data la qualit del soggetto danneggiante (minore d'et, persona sub-tutela, allievo od apprendista maggiorenne o minorenne ma verosimilmente in stato di personale inopia), senza una tale norma, il danneggiato rischierebbe di restare, in pratica, privo di effettivo ristoro. Ma bisogna ancora chiedersi: in ragione di che cosa il Legislatore ha fatto propagare, estendere la responsabilit dei minori naturalmente capaci ai genitori, tutori, precettori e maestri di arte? La risposta a questo quesito , a nostro avviso, di somma importanza perch da essa dovranno trarsi gli elementi utili per determinare, in modo retto, il contenuto della -prova liberatoria, prevista dal terzo comma dell'articolo 2048 e.e. Se si rtiene, infatti, che la responsabilit indiretta, di cui discorso, .. si propaga sul filo di una colpa dei genitori, tutori, precettori e maestri d'arte (colpa, ovviamente del tutto indipendente e diversa da quella determinante l'evento dannoso) in relazione a tale colpa che dovr essere stabilito il contenuto della prova liberatoria, in quanto i soggetti ritenuti responsabili in via indiretta dovranno appunto dimostrare l'assenza in loro di quella colpa adottata dal legislatore come criterio di propagazione della responsabilit del minore naturalmente caipace. Orbene, anche in questa indagine dev'essere tenuta presente la differenza esistente tra la situazione giuridica disciplinata dall'art. 2048 e.e. e quella regoiata dall'art. 2047, perch, se vero che in entrambi gli articoli ora menzionati detto che la urova liberatoria deve conststere nella dimostrazione di non aver potuto impedire il fatto, altrettanto incontestabile che nell'ipotesi del danno cagionato da minore naturalmente incapace la presenza di un obbligo di sorveglianza materiale nella persona tenuta, obbligata a ci fa ritenere necessariamente che la prova debba consistere nella dimostrazione che il fatto dannoso siasi verificato nonostante il diligente esercizfo della predetta sorveglianza (ovvero che l'omissione della sorveglianza sia stata determinata da un impedimento legittimo), mentre nel caso di danno cagionato da persona capace d'intendere e di volere, non potendosi desumere da alcuna norma un obbligo di stretta sorveglianza su di essa, la prova liberatoria non pu non avere diverso contenuto. La contraria tesi che fa derivare un tale obbligo di sorveglianza materiale sui minori naturalmente capaci e sugli allievi, .per i genitori ed i tuttori dal dovere di educare ed ~struire la prole, sancito dall'art. 147 e.e. e per i precettori dal trasferimento ad essi, per accordo negoziale, dello stesso dovere (1) non ci sembra convincente per diverse ragioni. pu ritenersi, al pi, una circostanza favorevole che invita all'azione ma giammai una causa determinante e diretta deU'evento dannoso, al pari dell'azione dell'autore materiale dell'illecito. Essa non che un'occasione, una condizione ma, proprio in quanto tale, non pu e non deve essere mai confusa con la causa determinante, alla quale soltanto veramente connesso l'evento. Dire che la condizione dell'assenza della persona sopradetta condicio sine qua non, senza la quale, cio, il fatto non avrebbe potuto essere commesso, affermazione inesatta, anche dal punto di vista che stiamo qui criticando, non potendosi certamente escludere che la commissione dell'illecito sarebbe potuta avvenire anche in presenza della persona di cui discorso. L'errore di fondo, in cui caduta la giurisprudenza qui criticata, stato quello di non aver tenuto presente che la responsabilit dei genitori, tutori, precettori e maestri d'arte presuppone una responsabilit gi nata e definita in tutti i suoi Ielementi costitutivi, l'esistenza di un fatto gi imputato in base a dolo o colpa ad un autore capace pienamente di assumere la responsabilit dei propri fatti illeciti. (1) In tal senso, v. Cass. 22 ottobre 1965, n. 2202, Giust. Civ., 1966, I, 297. I f ' PARTE II, QUESTIONI 5 Innanzitutto, perch se un obbligo di sorveglianza materiale da svolgersi cotidie et singulis momentis giustificato rispetto a persone incapaci d'intendere e di volere, lo stesso appare inconcepibile dspetto a soggetti che la legge stessa ritiene pienamente capaci di assumere le responsabHit dei propri fatti illeciti. In secondo luogo, perch da un obbligo di educare, sia esso sancito dalla legge o contrattualmente assunto, pu derivare un dovere di vigilare sull'educazione del minore o dell'allievo, al fine di individuare subito le eventuali cattive inclinazioni del medesimo per coNeggerle, ma non pu certo scaturire un obbligo di :sorvegliare istante per istante la condotta del soggetto da educare. Opinare diversamente significherebbe, in definitiva, parificare del tutto, quanto a necessit di essere sorvegliate, persone ritenute pienamente capaci d'intendere e di volere (minori d'et o addirittura maggiorenni, come pu avvenire per gli allievi) e persone alle cui azioni si nega perfino la qualificazione di fatti umani . Orbene, poich una tale parificazione appare in contrasto sia con la logica che con il nostro diritto vigente, si deve necessiariamente ritenere che se una persona tenuta a sorvegliare un incapace di intendere e di volere deve dimostrare, per essere esente da responsabilit, di avere adempiuto al suo obbligo (o di non averlo potuto fare per legittimo impedimento), una persona tenuta ad educare un soggetto naturalmente capace deve solo dimostrare, per l'esonero dalla sua responsabilit, di avere assolto adeguatamente l'obbligo di educare. La giurisprudenza ha certamente intuito tutto ci quando ha statuito che alle persone cui incombono compiti di educazione di minori si deve richiedere la prova di aver fatto tutto il possibile, in Telazione alle condizioni sociali ed all'ambiente dei minori medesimi, per avviarli ad una corretta vita di relazione nel consorzio sociale, perch da ritenere verosimile che il comportamento illecito del minore non si sarebbe verificato se egli fosse stato sottoposto ad una pi completa educazione (1), ma erroneamente, a nostro avviso, ha parlato anche di una culpa in vigilando ., analoga a quella prevista per la persona tenuta alla sorveglianza dell'incapace, a proposito dei soggetti indicati dall'art. 2048 e.e. Stabilito che la responsabilit dei minori naturalmente capaci e degli allievi si propaga rispettivamente ai genitori (o tutori) ed ai precettori in ragione di una culpa in educando e che la prova liberatoria, prevista dal terzo comma dell'art. 2048, deve avere per contenuto la dimostrazione di aver fatto tutto il possibile per impartire al minore una sana ed adeguata educazione, dobbiamo aggiungere che non v' alcun motivo di ritenere che la prova liberatoria di cui sopra non debba essere la stessa per genitori e tutori da un lato e precettori dall'altro. E ci per due ordini di ragioni. Innanzitutto, perch nel terzo comma dell'art. 2048 non si rinviene alcuna distinzione, quanto alla prova liberatoria, tra i vari soggetti indicati come responsabili indiretti nei primi due commi. (1) Cosi, testualmente, Cass. 15 gennaio 1943, n. 68, Foro It. Rep., 1943, v. resp. civ. 45, ma sul punto. v. pure: Cass. 16 giugno 1964, Cass. pen. Mass., 19~, 1061; Cass. 26 luglio 1962, Resp. civ. prev., 1963, 281; Cass. 9 giugno 1960, Resp. civ. prev., 1961, 85. Per la dottrina cfr. CAPACCIOLI, Responsabilit del genitore per it fatto it!ecito del figlio minore, Riv. dir. comm. 1946, Il, 257; CONTURBI LISI, Responsabilit civile dei genitori e violazione dell'obbligo di educare la prole, Riv. trim. dir. e proc. civ., 1949, 977; PASETTI, In tema di responsabilit del genitore per mancat~ educazione del figlio, Giur. It., 1949, I, 2. 291; AUBERT, La responsabilit per il fatto illecito dei genitori, dei precettori, dei tutori, Arch. ricerche giur., 1950, 757; TABET, Questioni in tema di fatti illeciti dei minori, Foro It., 1953, I, 1432; BRASIELLO, Responsabilit del genitore per il fatto commesso dal minore capace o incapace, Foro pad. 1954, I, 377; VENDITTI. Il dovere dei genitori di educare e vigilare la prole in relazione alla prova liberatoria della responsabilit per i fatti illeciti commessi dai figli minori, Giust. civ. 1955, I, 1620; PERETTI-GRIVA, Sulla responsabilit dei genitori per il fatto lesivo dei figli minori, Riv. giur. circ. trasp., 1956, 39. 6 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO In secondo luogo, perch non v' alcun motivo per dubitare che la culpa 6 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO In secondo luogo, perch non v' alcun motivo per dubitare che la culpa ID ~:::: del precettore sia stata colta dal legislatore proprio come inosservanza dello stesso obbligo di educare, che genitori e tutori possono ad esso contrattualmente trasferire. Dallo stesso significato letterale del termine si ricava che . precettore proprio chi svolge, per incarico ricevutone, quelle funzioni 1 .educative e correttive che in via normale vengono esercitate nell'ambito . familiare. Precettore parola che ha origine dal latino praeceptum l w (=precetto, regola di vita, norma morale o di buona educazione) che indica con chiarezza il contenuto della funzfone. Precettore l'aio, l'educatore di giovani in case s~gnorili, il rettore, il censore, l'istitutore nei luoghi di educazione (istituti, colleg-i, convitti, educandati), cui si affidano i minori perch siano educati, perch sia opportunamente corretta la loro condotta, spesso non buona, anche con mezzi punitivi di varia natura. Il precettore, quando assume l'impegno di vigilare sull'educazione dei minor-i, per il tempo in cui esercita la predetta vigilanza, finisce con il sottra.rre totalmente i medesimi alla sfera d'influenza dei genitori (o del tutore) e con il sostituirsi completamente a quelli nell'esercizio delle funzioni educative previste dall'art. 147 e.e. , pertanto, perfettamente comprensibile che egli, limitatamente al tempo di esercizio delle predette funzioni (1) risponda dei fatti illeciti dei minori affidatigli, a norma dell'art. 2048, in luogo dei genitori (o del tutore). Con il trasferimento dei compiti educativi passa al precettore anche l'obbUgo di rispondere per culpa in educando dei fatti illeciti degli allievi. Ma, se la ratio dell'art. 2048 e.e. quella da noi indicata, se il contenuto dell:a prova liberatoria richiesta dal terzo comma del medesimo articolo quello delineato innanzi, non si pu ora non convenire nella duplice affermazione che tra i precettori non possono assolutamente rieomprendersi i docenti di scuola pubblica (2) e che a questi ultimi, pertanto, il disposto dell'art. 2048 risulta del tutto inapplicabile. A parte, infatti, le considerazioni di natura letterale che gi chiaramente escludono un'identificazione concettuale tra precettore e docente., v' da rilevare che i gravosi compiti di istruzione affidati ai docenti di scuola pubblica, specie in relazione alla vastit dei programmi d'insegnamento, la limitatezza del tempo e dei mezzi di cui gli insegnanti dispongono, appena sufficienti per assolvere alla loro funzione specifica, che quella d'insegnare nozioni scientifiche, impediscono del tutto ai docenti di valutare l'educazione degli allievi, ed eventualmente di correggerla, se non nei limiti ristretti in cui questa connessa con l'attivit scolastica. E ci senza dire che la valutazione e la eventuale correzione della educazione degli allievi, specie se minori, si potrebbe ritenere addirittura sottratta, se non per i limitati fini di cui s' detto, ai docenti di scuola pubblica dalla stessa Costituzione che demanda ad essi unicamente l'attivit d'istruzione (artt. 33-34) mentre riserva esclusivamente alla famiglia ed agli appositi istituti privati l'attivit educativa (art. 30). I docenti di scuola pubblica non vivono, come i precettori, in costante, continuo e diuturno contatto con i loro alunni ma li frequentano solo le ore strettamente necessarie all'insegnamento delle nozioni comprese nei (1) In tal senso deve intendersi l'espressione nel tempo in cui i minori sono sotto la sua vigilanza contenuta nel II comma dell'art. 2048 c. c. (2) Sul punto cfr. App. Genova 29 aprile 1938, Mon. TTib., 1939, 302. In dottrina, MEssmEo (op. loc. cit.) afferma che il termine allievo va inteso in maniera da ricomprendere i casi in cui un'azione educativa sia esercitata sull'autore del danno, anche se l'allievo sia maggiore d'et. Anche il termine pTecettoTe da intendere -secondo il chiaro A. -nel senso di persona che abbia funzioni educative (prima ed oltre che didattiche). Il MEssINEO sostiene, ancora, che immune da responsabilitt ex art. 2048 chi insegni senza specifiche funzioni educative o insegni qualcosa di diverso dal mestiere o dall'arte; cosi il maestro, l'insegnante (pubblico o privato che sia) perch a tali soggetti non incombe obbligo di sorveglianza (e, secondo noi, di educazione). PARTE II, QUESTIONI 7 programmi di studio; ad essi gli allievi non vengono affidati per l'esercizio di quelle funzioni educative proprie dei genitori e dei tutori. Come conseguenza di ci appare pienamente naturale che essi non siano tenuti a rispondere degli atti illeciti commessi dall'allievo per la inadeguata ed incompleta educazione ricevuta in famiglia. Da tutto quanto precede risulta chiaro che la giurisprudenza, parificando l'affidamento di un allievo alla vigilanza di un precettore e l'iscrizione di un alunno in una scuola pubblica, si posta su di una strada sbagliata. di ovvia evidenza, infatti, che se, nel primo caso, si demanda all'aio, per un tempo continuativo e contrattualmente determinato, il compito di educare (ed eventualmente anche di istruire) l'allievo, nel secondo caso, si realizza solo, attraverso un classico atto amministrativo di ammissione, l'utilizzazione da parte del cittadino di un pubblico servizio, secondo la disciplina giuridica dello stesso, al limitato fine di consentire all'alunno di istruirsi, fermo restando l'obbligo dell'educazione a carico dei genitori e del tu tore (1). Ne consegue che se il minore, per difetto d'educazione, danneggia altri in una scuola pubblica, assente l'insegnante, il caso non potr essere regolato diversamente da come si farebbe se l'evento fosse avvenuto in altro luogo: ritenendo, cio, responsabile in primo luogo ed in via diretta il minore naturalmente capace, in secondo luogo ed in via indiretta, per propagazione di responsabilit, i genitol'i (o il tutore), in caso di coabitazione del minore con essi, il precettore, nel senso da noi precisato supra, in caso di affidamento del minore alle sue cure per l'educazione (2), ma giammai il docente di scuola pubblica. In conclusione, possiamo dire che le maggiori esigenze di tutela del danneggiato, che evidentemente la giurisprudenza intende perseguire ricomprendendo il docente di scuola pubblica tra i precettori, si ottengono al prezzo di una patente violazione della lettera e dello spirito della legge, con un'estensione della responsabilit indiretta 'Prevista dall'art. 2048 a soggetti certamente estranei alla previsione del Legislatore. L. MAZZELLA (1) Sul punto cfr. Cass. Sez. un. 14 luglio 1961, n. 1714, Giur. It., 1962, I, l, 347 (nota); Trib. L'Aquila 31 dice.mbre 1962, Foro It., 1963, I, 1804. (2) Si faccia l'esempio di un minore che viva in collegio. RASSEGNA DI DOTTRINA -~ l l rn . ' . L. PALADIN, Il principio costituzionale d'eguaglianza, Editore A. Giuffr, ' '(-:~ Milano, 1965, pagg. 346. Nell'esaminare il volume XIV dell'Enciclopedia del Diritto (v. questa Rassegna 1965, II, 133) abbiamo omesso deliberatamente di segnalare la voce relativa al principio di Eguaglianza in diritto costituzionale, curata da L. Paladin (pagg. 519-551), avendo, fin d'allora, in animo di recensire per i lettori il libro sopraindicato, che verte sul medesimo argomento ma presenta, per motivi ovvi, maggiori pregi di completezza. L'opera, che ora segnaliamo, consta di due parti nettamente distinte: la prima, riguardante gli sviluppi storici dell'idea di eguaglianza giuridica, ;)dalle prime Carte Costituzionali francesi e nord-americane fino alle Costituzioni del XIX secolo ed alle attuali tendenze; la seconda, relativa all'esame dettagliato del principio di parit giuridica nel nostro ordinamento costi I 'tuzionale. I Nella prima parte, l'A. inizia la trattazione osservando che -a differenza della massa delle libert costituzionali, enunciate e disciplinate, per la prima volta nella storia, nelle carte nord-americane -il principio di ' eguaglianza, inteso nella sua moderna accezione di limite alla stessa potest ' legislativa, ha manifestamente origini francesi e trova le sue radici nel pensiero filosofico di G. G. Rousseau. w. La dimostrazione di tale assunto viene data, nel testo, con un'accurata disamina dei testi costituzionali nord-americani, statali e federali, antecedenti al 1789, i quali -secondo il P. -rendono evidente l'assoluta inade. guatezza di tutte le formule in essi espresse a porre ed a svolgere integral;;. mente il principio di parit giuridica, qual' inteso oggi. ~ . L'A., per, aggiunge che, se di ci non lecito dubitare, da ritenere altrettanto vero che, mentre in Francia la mancanza di un consapevolesviluppo degli assunti dogmatici della Rivoluzione fin per fare scadere il Il::;; principio d'eguaglianza da imperativo di leggi generali ed astratte a mutellif: jvole e vaga direttiva di giustizia, nel Nord-America l'assenza di una formulazione, in termini generali, del principio nel senso anzidetto non impedi affatto l'applicazione egualitaria di moltissime norme, grazie alla esistenza di numerose clausole costituzionali, limitative dei poteri del legi, ' slatore statale e federale, variamente collegate al principio di cui si discorre. I successivi, molteplici tentativi, da pi parti compiuti, di ridurre il prin, cipio d'eguaglianza a mera espressione del principio di legalit e di identi lcarlo con la necessit di una codificazione sono ricordati dall'A. nel capitolo in cui egli esamina la diffusione del principio medesimo nella maggior parte degli Stati dell'Europa Continentale. Secondo il P., invece, una maggiore aderenza all'essenza del principio si ebbe nel nostro ordinamento giuridico, dove l'art. 24 dello Statuto Albertino fu sempre considerato dalla dottrina come un imperativo alla legge, non solo materiale ma anche formale, di uniformarsi a determinati criteri di giustizia; cosi come direttive al legislatore furono sempre intese le specificazioni statutarie del principio. Solo il carattere flessibile dello Statuto impedi che il vincolo avesse una portata effettiva e fece si che esso restasse piuttosto un limite, non assoluto, un'imprecisa raccomandazione etica, un avvertimento, sia pure solenne. L'A. rileva, poi, che la potenziale, vastissima portata del principio potette concretarsi in modo pieno solo in Nord-America ed in Svizzera, perch questi due paesi furono i primi a darsi una Costituzione rigida, giu I f esame delle disposizioni costituzionali dei due ordinamenti, soffermandosi, i'i. risdizionalmente garentita. A tal proposito il P. si diffonde in un ampio ~ I PARTE II, RASSEGNA DI DOTTRINA 9 in particolare, sul XIV emendamento alla Carta Nord-Americana, sul due process clause e sull'equal protection clause. La prima parte termina con una disamina delle norme costituzionali della IV Repubblica di Francia, del Regno di Gran Bretagna, delle Repubbliche di Weimar e di Bonn, le quali tutte mostrerebbero ,a giudizio dell'A., quanto vasta e palese sia stata, in questi ultimi tempi, la rivalutazione del principio d'eguaglianza per effetto del mutato concetto del valore delle Carte Costituzionali e delle Dichiarazioni che solitamente le precedono, intese, entrambe, non pi come formulazioni di principi estranei all'Ordinamento ma come testi interamente positivi, cui deve riconoscersi il massimo tra i significati giuridicamente possibili. Passando ad esaminare gli aspetti del problema del principio d'eguaglianza nel nostro ordinamento costituzionale vigente, l'A. confuta, innanzitutto, la tesi che vorrebbe ridurre il principio a norma generale della funzione giurisdizionale o di quella amministrativa e ribadisce che esso si presenta nella nostra Carta Costituzionale come limite della potest legislativa. Quanto alla determinazione del modo e della sfera in cui il principio d'eguaglianza, cosi inteso, debba operare, il P. ritiene che il disposto dell'art. 3, comma 1, della Costituzione, non si riferisca ad un preciso gruppo di materie, ad una cerchia comunque definita di classificazioni normative, ma costituisca piuttosto una norma generale concernente l'intero ordinamento giuridico o, quanto meno, l'intera funzione legislativa ordinaria. In conseguenza, l'efficacia precettiva del principio non potrebbe risolversi in quella dei suoi contestuali corollari e neppure dovrebbe ritenersi che la legge sia perfettamente libera di differenziare soggetti e rapporti dove la Costituzione non frapponga specifici divieti di classificazione. Le particolari affermazioni costituzionali della parit giuridica non rappresenterebbero limitazioni al principio della parit giuridica ma rafforzamenti che lascerebbero intatta la sua normale efficacia per tutta la sfera residua delle discipline e delle situazioni. Circa l'individuazione dei criteri, in base ai quali si possa, nel caso concreto, stabilire l'eguaglianza o la diseguaglianza delle norme, l'A. rileva che il nostro principio di parit giuridica riguarda sia l'eguaglianza soggettiva. intesa come parit di trattamento delle persone, e sia l'eguaglianza oggettiva, intesa come pari disciplina delle situazioni e dei rapporti. Da qui la conseguenza di dover ritenere parimenti vietate sia le leggi personali e sia quelle speciali o eccezionali mancanti di fondamento giustificativo. Sul divieto delle leggi personali, il .P. osserva che sia la proclamazione d'eguaglianza fatta in termini generali dall'art. 3, comma 1, della Costituzione e sia l'esclusione di classificazioni fondate sulle condizioni personali, sancita nella stessa disposizione, postulano chiaramente norme poste in termini astratti o, quanto meno, del tutto impersonali. In altri termini, principio di parit giuridica e divieto particolare delle distinzioni personali, [ungi dall'elidersi a vicenda, concorrerebbero insieme a determinare un medesimo vincolo per il legislatore. Pi precisamente, secondo il P ., tra le due disposizioni non passerebbe quel rapporto di sostituzione o sovrapposizione della norma speciale a quella generale -rapporto che contraddistingue, a suo giudizio, tutte le altre specificazioni enumerate dall'art. 3, comma 1, rispetto al principio d'eguaglianza giuridica -ma piuttosto il divieto delle distinzioni personali varrebbe a ribadire e precisare il limite di tutta la legislazione posto dalla precedente affermazione di parit giuridica dei cittadini. L'A. aggiunge che, per determinare esattamente il criterio di individuazione delle leggi personali, bisogna porsi sul medesimo piano di operativit dell'intero principio di parit giuridica e qualificare personali le sole disposizioni concrete mancanti di oggettiva giustificazione ed in tal senso praticamente emanate per determinate persone. Non sarebbero, invece, tali quelle norme che, pur rivolgendosi a soggetti ben determinati, disciplinino un'intera e per s stante categoria di situazioni, oppure siano meramente RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO esecutive d'una precedente legge astratta. In questi casi, infatti, la mancanza d'imputazione, in via generale, a soggetti distinti per mezzo di caratteri oggettivi non determinerebbe alcuna incompatibilit della disposizione con l'art. 3, comma 1, della Costituzione. Circa il divieto delle leggi speciali o di eccezione, il P. precisa che non tutte le eccezioni o deroghe apportate dal legislatore alle regole ed agli orientamenti complessivi del diritto vigente debbano ritenersi escluse dal principio d'eguaglianza. Contrastano con tale principio, secondo l'A., solo quelle leggi speciali o eccezioni che non rispondano a criteri di giustifi,catezza e ragionevolezza. Dopo un'ulteriore precisazione sulla nozione di leggi speciali o eccezionali e dopo una serie di considerazioni sulla sfera soggettiva ed oggettiva del sindacato costituzionale di eguaglianza (considerazioni sulle quali avremo modo di ritornare appresso, in sede di commento alle tesi esposte nel testo) l'A. conclude l'esame del principio nella sua formulazione generale, accennando agli strumenti attraverso i quali si svolge il controllo della Corte Costituzionale sulle leggi, Nel capitolo dedicato alle specificazioni del principio di eguaglianza, il P., dopo aver precisato che, a suo avviso, le specificazioni medesime devono assumersi -fino a prova contraria -non quali conferme, bensi quali norme a s stanti, che si sovrappongono al principio d'eguaglianza formale ed in tal senso vi apportano deroga, sebbene allo scopo d'una pi radicale parificazione giuridica, esamina, innanzitutto, i problemi connessi all'affermazione costituzionale della eguaglianza di sesso. Sul problema derivante dall'interferenza con l'art. 3, comma 1, dell'art. 51, comma 1, della Costituzione, in tema di accesso ai pubblici uffici, l'A. si sofferma solo brevemente, per la considerazione che la legge 9 febbraio 1963, n. 66, abrogando le norme della legge 17 luglio 1919, n. 1176, ed ammettendo le donne ad ogni pubblico ufficio e professione, con la sola eccezione dell'arruolamento nelle forze armate e nei corpi speciali, ha troncato, in gran parte, il vivace dibattito sull'interpretazione dell'articolo. Secondo il P., la soluzione da dare alle questioni riguardanti l'obbligo del servizio ed il correlativo accesso agli uffici militari si trova nell'apposita disciplina prevista dalla Costituzione per le Forze Armate. Difatti, egli aggiunge, l'art. 52 della Costituzione riconoscendo, nel suo terzo comma, che l'ordinamento militare ha natura speciale e pu, conseguentemente, derogare al sistema complessivo e. definendo, nel secondo comma, obbligatorio il servizio militare solo nei modi e limiti stabiliti dalla legge, senza ripetere l'affermazione d'eguaglianza di sesso, comprova che nel settore in esame non vige la norma dell'art. 51, comma 1: sicch il problema degli obblighi militari va risoluto secondo opportunit, fermo soltanto il divieto di arbitrarie differenziazioni, imposto, anche in tale materia, dal principio dell'art. 3, comma 1. A proposito dell'art. 37, comma 1, della Costituzione, che pone il problema della parit di retribuzione relativamente al lavoro femminile, l'A. fa rilevare la diversa portata e la differente destinazione di quest'articolo rispetto all'art. 3, comma 1, per dedurne la mancanza di ogni interferenza tra le due norme. Secondo il P., mentre il principio d'eguaglianza riguarderebbe le funzioni, specialmente normative, dei pubblici poteri, oggetto principale dell'art. 37, comma 1, sarebbero i contratti di lavoro, collettivi e forse anche individuali, e quindi, in definitiva, l'autonomia privata; la destinazione alla funzione normativa di quest'ultima norma si avrebbe soltanto, a suo giudizio, nei casi di disciplina legislativa dell'ammontare dei salari e degli stipendi come, ad esempio, nelle ipotesi di disposizioni in tema di diritti patrimoniali nel pubblico impiego; casi certamente non problematici, attesa l'assoluta parit di retribuzione vigente tra il personale maschile e quello femminile dello Stato. Maggiore interesse l'A. dedica al problema dell'eguaglianza dei coniugi nel matrimonio, posto dall'art. 29 cpv. della Costituzione, esaminandolo sia I I I r PARTE II, RASSEGNA DI DOTTRINA 11 sotto il profilo civilistico (organizzazione dell'unit familiare ed istituto della potest maritale e paterna) sia sotto quello penalistico (conseguenze dell'inosservanza degli obblighi di fedelt coniugale). Relativamente a questo secondo aspetto del problema, il P. critica la nota sentenza della Corte Costituzionale che ha ritenuta infondata la questione di illegittimit costituzionale dell'art. 559 del codice penale. Altri problemi esaminati nel testo sono quelli relativi all'eguaglianza di razza, di lingua, di opinioni politiche e di religione. A proposito di quest'ultimo problema, l'A. sostiene che nell'art. 3, comma 1 , la proclamazione di eguaglianza religiosa comporta la piena parit di trattamento sia delle religioni che dei rispettivi fedeli ma aggiunge che la presenza nella Carta Costituzionale dell'art. 19, che garantisce a tutti la pari professione della propria fede religiosa, fa sl che si possa ricorrere all'art. 3, comma 1, in difesa dell'individuale parit di religione, isolo nelle rare ipotesi in cui non si faccia -parallelamente -questione della libert di culto. Altri problemi di diritto costituzionale ecclesiastico sarebbero poi sottratti, secondo il P., alla sfera di applicazione dell'art. 3, comma 1 , dalle disposizioni contenute negli artt. 7 cpv, ed 8, comma 1 , della Costituzione (disciplina dei rapporti tra Stato Italiano e Chiesa Cattolica e pari libert di tutte le confessioni religiose esistenti in Italia). Nell'ultimo capitolo del volume in rassegna, il P. punta l'attenzione sul secondo comma dell'art. 3 ed aggiunge alle considerazioni svolte in tema di eguglianza formale quelle necessarie a determinare l'esatta portata positiva, nel nostro ordinamento, dell'eguaglianza sociale. Come altri commentatori dell'articolo, l'A. ritiene la disposizione del secondo comma di natura programmatica in contrapposto a quella del comma precedente di carattere immediatamente precettivo. Essa, per, avrebbe un valore normativo proprio, tale da renderla potenzialmente molto importante. In primo luogo, la collocazione del disposto tra i principi fondamentali della Carta la renderebbe determinante ai fini dell'interpretazione del restante ordinamento, Costituzione compresa; in secondo luogo, sarebbe innegabile, per la norma in esame, un effetto limitativo delle pubbliche funzioni, preclusivo, cio, di normazione e di qualsiasi altra attivit degli organi dello Stato in contrasto con la programmata necessit di ottenere l'eguaglianza sostanziale o di fatto. Il P. nega, per, che dall'art. 3, comma 2, .si possa ricavare un principio di eguaglianza diverso e pi vasto di quello fissato dal comma precedente, perch, a suo giiudizio, la portata del vincolo derivante dalla disposizione in esame non incide sull'ambito o sul contenuto della norma generale di eguaglianza davanti alla legge e la disposizione dell'art. 3, comma 2, mostrerebbe chiaramente come alla generalit della prima previsione si contrapponga la relativa determinatezza della seconda norma, che non ha per beneficiari i cittadini ma i lavoratori (sia pure nel senso pi vasto del termine) e non si propone il generico scopo d'imporre una certa struttura all'intero ordinamento giuridico ma il fine pi specifico di una giustizia sociale, per favordre il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione dei lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese. In definitiva, secondo l'A., la norma del secondo comma dell'art. 3, lungi dal trasformare la nozione d'.eguaglianza fino a farla coincidere con la giustizia distributiva, vigerebbe in una sfera diversa da quella del primo comma e tenderebbe solo a produrre effetti sussidiari di un principio altrove compiutamente stabilito. Le considerazioni sul rapporto tra l'eguaglianza davanti alla legge e l'eguaglianza sociale portano l'A. ad affrontare anche il problema della c. d. crisi dello Stato di Diritto. Le opinioni di coloro che ritengono superato il concetto di Stato fondato sul valore dell'eguaglianza formale o giuridica e contrappongono ad esso lo Stato sociale (o amministrativo), ispirato all'opposto criterio dell'eguaglianza sostanziale o di fatto sono vivamente criticate dal P., il quale ritiene che nel nostro ordinamento la riforma sociale non deve ritener.si incompa 12 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO tibile con la conservazione della parit giuridica, ma dev'esserle associata in modo da realizzare la rimozione degli ostacoli frapposti all'effettiva eguaglian21a e libert dei lavoratori nelle forme dello Stato di Diritto. Esposto, in rapida sintesi, il contenuto del libro in rassegna, ci sia consentito un breve, e necessariamente sommario, commento. Indubbiamente la notevole gamma di interpretazioni cui ha dato luogo il principio d'eguaglianza nel nostro ordinamento giuridico e le rilevanti conseguenze che a tali interpretazioni direttamente si connettono rendono la lettura del volume molto interessante. Chiari ed indiscutibili pregi dell'opera ci sembrano, poi, quelli della ricchezza dell'informazione e della completezza dell'indagine svolta: ed infatti, nella prima parte del volume, il panorama delle legislazioni, presenti e passate, dei maggiori Stati Europei e della Repubblica Nord-Americana sul principio di eguaglianza veramente vasto e convenientemente approfondito, cos come del tutto soddisfacente appare, nelle note, il richiamo alle opere pi significative dei maggiori studiosi dell'argomento; nella seconda met del libro, il principio di eguaglianza nel nostro ordinamento giuddico viene esaminato, sempre con numerosi ed utili richiami alla pi qualificata dottrina, in tutti i suoi possibili aspetti. Ma se pu, tranquillamente, affermarsi che l'opera del P. soddisfa pienamente l'esigenza, da pi parti avvertita, di avere, in un campo di estrema delicatezza e suscettibile di estese applicazioni in ogni ramo del diritto, una organica sistemazione teorica dei concetti fino ad oggi elaborati dalla dottrina e dalla giurisprudenza costituzionale, non pu certo dirsi che le opinioni espresse dall'A. nel testo possano accettarsi da coloro che, nell'interpretazione del principio d'eguaglianza, si rifiutano di operare richiami a valori, per definizione, metagiuridici (quali giustifi,catezza e ragionevolezza delle leggi, arbitrio del legislatore et similia). Per gli stessi Umiti del presente scritto, non possiamo addentrarci, in questa sede, nel vivo dei numerosi problemi trattati dall'A. nella parte relativa alle specificazioni del principio d'eguaglianza ed esprimere il nostro avviso sulle soluzioni di volta in volta adottate. Per tale parte, facciamo rinvio alle tesi esposte, con riguardo alla maggior parte delle questioni affrontate nel testo, nella Relazione dell'Avvocatura dello Stato per gli anni 1956-60, vol. I (I giudizi di costituzionalit), pagg, 91 segg. e 345 segg. Poche osservazioni vogliamo aggiungere, invece, sul problema dei limiti del sindacato della Corte Costituzionale sulle leggi, nell'ipotesi di asserita violazdone del principio d'eguaglianza, anche al fine di sciogliere una riserva fatta supra. A completamento dell'esposizione del pensiero del P., dobbdamo aggiungere che il medesimo critica, nel suo libro, la sentenza 26 g.ennaio 1957, n. 28 in cui la Corte Costituzionale ha affermato che il legislatore pu sempre dettare norme diverse per regolare situazioni che esso considera diverse, purch la sua disciplina si riveli obbiettiva e senza alcun riferimento alle persone e ritiene, sulla scia del MoRTATI, che, lasciando libero il legislatore di valutare la diversit delle situazioni per ritenerla sufficiente a consentire una differente disciplina normativa, si finisce con lo svuotare in gran parte del suo valore il principio d'eguaglianza. In altri termini, secondo l'A., la legge potrebbe disporre una differenziata disciplina solo in presenza di una peculiarit di rapporti regolati in modo speciale, non priva dei caratteri di giustifi,catezza e di ragionevolezza. L'unica sentenza della Corte Costituzionale fatta salva nel testo, tra le tante criticate, quella del 29 marzo 1960, n. 16, secondo cui non solo le differenziazioni su basi soggettive, ma tutti i casi, in cui l'attivit legislativa di classificazione, comunque, si concreti in manifesto arbitrio ovvero sia vi:data per patente irragionevolezza, non sono conformi al principio di eguaglianza. chiaro che la stesura del libro in rassegna stata anteriore al pi recente orientamento, in materia, del giudke di costituzionalit, se l'A. non cita anche quelle decisioni che hanno, pi o meno negli stessi termini, PARTE II, RASSEGNA DI DOTTRINA 13 affermato che mentre da ritenere implicita nel principio d'eguaglianza l'esigenza di disporre trattamenti differenziali per situazioni obbiettive diveme, rimane tuttavia aperto alla Corte Costituzionale l'accertamento delle circostanze dalle quali si possa desumere l'idoneit dei presupposti a giustificare la diversit di trattamento e la non arbitrariet del trattamento differenziato. Ora a noi sembra che, aderendo a tesi del tipo di quella propugnata dal P., si viene a dare alla Corte Costituzionale la possibilit di sindacare a suo piacimento l'apprezzamento compiuto dal legislatore circa le caratteristiche differenziali di certi rapporti o istituti al fine di sottoporli ad una disciplina diversa da quella disposta per altri e si consentono allo stesso giudice della costituzionalit valutazioni di natura prettamente politica sull'uso del potere discrezionale da parte del Parlamento che assolutamente, anche alla luce dell'art. 28 della legge 11 marzo 1953, n. 87, non rientrano nella sua competenza. Che la Corte Costituzionale possa e debba accertare che il trattamento differenziato corrisponda a situazioni differenti e che la diversit delle situazioni non sia fondata su uno dei criteri enunciati dall'art. 3, comma 1 (sesso, razza, lingua, ecc), nessuno contesta. Ma che essa possa assumersi il compito di sindacare l'idoneit della giustificazione di tutte le norme speciali che pongano una disciplina particolare per situazioni differenziate, ci sembra assolutamente di dover escludere se si vuoJ.e evitare che il controllo della Corte assuma una coloritura politica, del tutto inammissibile alla luce del disposto dell'art. 3, comma 1, della Costituzione. L. MAZZELLA A. PALERMO, Enfiteusi, Superficie, Oneri reali, Usi civici, UTET, Torino, 1965, pagg. 1107. Il libro in rassegna, frutto dell'esperienza di un valoroso magistrato -che ha partecipato, in questi ultimi anni, quale rappresentante dell'ufficio del P.M., nelle controversie per l'accertamento e la liquidazione degli usi civici presso la sezione speciale della Corte d'appello di Roma -fa parte della Collana dell'UTET Giurisprudenza sistematica civile e commerciale, diretta da W. BIGIAVI. Le finalit della collana -che, come l'Editore ha cura d'avvertirci, sono quelle di fissare i principi teorici dai quali muovono i magistrati per ri solvere le singole questioni, di vedere se tali principi si accordino con quelli fissati dalla dottrina e di illustrare le applicazioni pratiche dei principi medesimi attraverso l'esposizione di una esauriente casistica -ci sembra che siano state ampiamente raggiunte dall'A. I dati teorici di tutti gli istituti presi in esame sono esposti con no tevole chiarezza e risultano sempre corredati da una ampia indicazione bibliografica e da un'adeguata indagine storica, risalente fino al diritto romano attraverso le varie fasi del diritto intermedio. Numerose e perti nenti sono le citazioni giurisprudenziali. Il volume arricchito da tre indici -analitico-alfabetico, degli autori e della legislazione -che risultano molto accurati e di grandissima utilit per una pi agevole consultazione dell'opera. L. M. AUTORI VARI, Novissimo Digesto Italiano, Voll. XI (N-Ora) e XII (Ord-Pes), UTET, Torino, 1965. Limiti di spazio ci impongono di soffermare la nostra attenzione soltanto su alcune voci di maggiore interesse per i lettori di questa Rassegna tra 14 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO le tante, veramente di notevole rilievo, contenute nei due volumi in esame del Novissimo Digesto Italiano. Solo di sfuggita ricordiamo, pertanto, che nell'undicesimo volume E. BETTI ha curato la voce Negozio giuridico (pagg. 208-220), dandoci una ::a breve ma efficace sintesi della sua nota opera sul Negozio, aggiornata con . l'indicazione bibliografica dei pi recenti Contributi dottrinali sull'argo. mento; M. GioRGIANNI ha svolto, con la consueta chiarezza espositiva, i due . temi della Obbligazione, in diritto privato (pagg. 581-614) e della Obbli lgazione solidale e parziaria (pagg. 674-685); F. SANToRo-PAssARELLI ha trattato l'argomento del contratto di Opera (pagg. 982-989) e che altre voci meritevoli di 'menzione sono: Novazione, in diritto civile (pagg. 431-438) a cura di P. RESCIGNo; Nullit ed annullabilit, in diritto civile (pagg. 455 I 467) a cura di R. SAcco; Obbligazione divisibile ed indivisibile (pagg. 636654) a cura di R. CICALA; Opposizione, in diritto amministrativo (pagine 1055-1060) a cura di s. LESSONA. Nel secondo dei volumi in rassegna segnaliamo come voci di maggiore interesse quelle relative a: Ordinanze e provvedimenti di necessit e di urgenza (dir. cost. e amm.vo) (pagg. 89-103) a cura di G. U. RESCIGNO Ordine pubbtico {pagg. 130-135) a cura di L. PALADIN; Organo delle persone giuridiche pubbliche (pagg. 216-233) a cura di S. FoDERARo; Parte civile (pagg. 464-492) a cura di E. CAPALozzA; Pegno, (diritto vigente) {pagg. 772798) a cura di A. MoNTEL; Pegno irregolare (pagg. 798-807) a cura di A. DALMARTELLO. A parte esaminiamo le voci: Norma giuridica (pagg. 330-337) a cura di N. BoBBIO; Nullaosta amministrativo (pagg. 450-455) a cura di C. FERRARI; Obbligazione tributaria (pagg. 685-693) a cura di G. ZINGALI, tutte contenute nel volume undecimo; ed Ordine amministrativo (pagg. 107-111) a cura di L. GALATERIA, compresa nel volume decimo secondo. N. BoBBIO, Norma giuridica, vol. XI, pag. 330-337. I Sulla definizione e sulle pi rilevanti classificazioni delle norme giuridiche verte questo studio di NORBERTO BoBBio, che si segnala ai lettori per I i notevoli nessi che presenta con il contenuto del libro di HERBERT L. A. ~ HART, Il Concetto di diritto, da noi recensito tempo addietro (V. questa Rassegna 1965, II, 67). L'A. ci offre, condensato in poche pagine, un vastissimo panorama delle pi importanti ed interessanti teorie contemporanee sul tema: dalla dottrina italiana (CARNELUTTI, PERASSI, DEL VECCHIO, SCARPELLI) a quella francese (RouBIER), da quella tedesca (KELSEN) a quella inglese (HART) e scandinava (OLIVECRONA, Ross). Non mancano accenni, necessariamente sommari per ragioni di spazio, ai problemi del linguaggio normativo. C. FERRARI, Nulla osta amministrativo, vol. XI, pagg. 450-455. I Di questo studio ricordiamo qui di seguito solo il nucleo essenziale, relativo alla natura giuridica del nullaosta amministrativo, tralasciando sia il problema dell'autonoma impugnabilit di tale atto (risolto, peraltro, negativamente dall'A.) sia quello della sua differenziazione dalle figure affini, ma distinte, dell'abilitazione, dell'approvazione e del parere. Contrariamente a auesto affermato dall:a dominante dottrina (che, per, non si mai occupata -ex professo dell'argomento, fatta eccezione per uno studio del DEL Pozzo, edito a Bari nel 1959 ed intitolato, appunto, Il nullaosta amministrativo), il F. esclude, nel lavoro in rassegna, che il nullaosta possa ricomprendersi tra i provvedimenti autorizzativi. Per far rilevare I ! la differenza esistente tra le due figure dell'autorizzazione e del nullaosta, l'A. comincia con il richiamare l'attenzione degli studiosi sul fatto che, I ! I PARTE II, RASSEGNA DI DOTTRINA 15 nella sfera di azione istituzionalmente libera dei soggetti, privati e pubblici, vi sono: a) comportamenti la cui attuazione Condizionata, oltre che all'accertamento dell'esistenza di determinati presupposti, ad una loro diretta valutazione discrezionale, in relazione alle esigenze del pubblico interesse, da parte degli organi amministrativi e b) comportamenti, invece, la cui attuazione subordinata solo all'accertamento da parte della competente autorit amministrativa della sussistenza di dati presupposti di fatto. Orbene -egli aggiunge -mentre relativamente ai primi comportamenti gli organi amministrativi, dopo aver valutata la loro legittimit ed opportunit, la loro conformit al pubblico interesse, devono emettere, se del caso, una manifestazione di volont che ha, rispetto ad essi, un effetto direttamente permissivo, relativamente ai secondi, invece, l'autorit amministrativa competente non deve compiere alcuna valutazione della loro conformit al pubblico interesse, perch una tale valutazione stata gi fatta in sede normativa, ma deve solo emettere una dichiarazione di conoscenza o di scienza attestante la conformit di determinati dati di fatto al disposto normativo, il quale, in conseguenza, il solo a produrre realmente l'effetto permissivo. Tutto ci significa che mentre per l'attuazione dei comportamenti del primo tipo sono necessari dei veri e propri provvedimenti amministrativi, dei negozi di diritto pubblico, quali sono le manifestazoni di volont, per l'attuazione dei comportamenti della seconda specie bastano dei meri atti di accertamento (o fatti di certazione, secondo la terminologia del GIANNINI M. S.) quali sono le dichiarazioni di conoscenza o di scienza. Secondo il F., i provvedimenti richiesti per l'attuazione del primo tipo di comportamenti sono le autorizzazioni, i fatti di certazione Tichiesti, invece, per l'attuazione dell'altro tipo di comportamenti sono i nullaosta. Da quanto precede si ricava che la distinzione tra autorizzazione e nullaosta si pone, per l'A., sotto un duplice profilo: a) da un lato, mentre le autorizzazioni sono veri e propri provvedimenti amministrativi, come tali consistenti in manifestazioni di volont, i nullaosta sono meri fatti di certazione, consistenti in dichiarazioni di conoscenza o di scienza; b) da un altro lato, mentre le autorizzazioni hanno un effetto direttamente permissivo in quanto l'autorit amministrativa con la sua pronuncia a consentire il comportamento, i nullaosta hanno effetti solo indirettamente permissivi, perch tali effetti, anzicch essere voluti dagli organi ammin1strativi, sono direttamente ricollegati dalla norma giuridica all'accertamento dell'esistenza dei presupposti di fatto dalla stessa norma previsti. Dopo aver cosi differenziato il nullaosta dall'autorizzazione, il F. aggiunge che il fatto di certazione, costituente l'essenza del nullaosta, pu implicare sia accertamenti semplici, vale a dire da compiersi secondo regole rigidamente prefissate dalla legge, sia accertamenti valutativi, da compiersi, cio, con discrezionalit mista, amministrativa e tecnica insieme. In quest'ultima ipotesi -aggiunge l'A. -non pu ritenersi estraneo al nullaosta un elemento votitivo, dato dall'autonomia di determinazione dell'organo agente, sia pure svolgentesi nell'ambito del conoscere e non in quello dell'agire; elemento che finisce con il conferire al nullaosta carattere discrezionale amministrativo. Dalla presenza di un elemento volitivo cos inteso il F. fa derivare una .duplice conseguenza: a) la possibilit di apporre al nullaosta clausole accidentali (condizioni, termini, modi) idonee a limitare o ad ampliare indirettamente gli effetti ad esso ricollegati; b) la possibilit che l'atto risulti invalido, oltre che per vizi di legittimit, anche per vizi di merito. Esposto nelle sue linee essenziali il pensiero dell'A. sull'argomento ci sembra di poter dire che non sempre le tesi enunciate riescono a con~ vincere. L'asserita presenza nel nullaosta di una discrezionalit amministrativa dovrebbe far escludere, a nostro avviso, che il medesimo possa ricomprendersi tra i meri fatti di certazione, i quali possono, al pi ritenersi discrezionali quanto alla loro emanazione (quanto all'an, seco~do la nota formula del GIANNINI M. S.), ma giammai quanto al loro contenuto: qui non pu ammettersi altra discrezionalit che non sia meramente tecnica. 16 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO In tal senso, d'altronde, tutta la migliore dottrina amministrativistica e non ci sembra che il F. sia riuscito, con lo scritto in rassegna, a fugare le perplessit che suscita la tesi contraria. Ci sembra, poi, di poter aggiungere che l'affermazione dell'A. -secondo cui nel nullaosta, per la presenza di un elemento volitivo, si possono inserire clausole dirette a limitare od ampliare gli effetti permissivi contraddica chiaramente alle premesse del suo ragionamento, in base alle quali nel nullaosta gli effetti permissivi dovrebbero ricollegarsi direttamente alla norma giuridica, senza alcuna mediazione della volont dell'organo amministrativo agente. Ci pare, infatti, che, se l'autorit amministrativa pu limitare od ampliare gli effetti permissivi del nullaosta, la sua volont non pu dirsi del tutto fuori causa. E se non fuori causa, ci altro non vuol dire che anche il nullaosta rientra tra le manifestazioni di volont della p. A., cio, tra i provvedimenti amministrativi di natura autorizzativa, cosi come ha sempre ritenuto la dottrina. ~ doveroso aggiungere, comunque, che lo studio in rassegna, anche se non del tutto convincente per i motivi ora esposti, ha il merito di aver sottoposto all'attenzbne degli studiosi la figura giuridica del nullaosta, che, poco approfondita in dottrina, ha nella pratica una rilevante frequenza, cosi com' fatto chiaro anche dalle note esemplificative poste dall'A. in calce al suo scritto. G. ZINGALt, Obbligazione tributaria, vol. XI, pagg. 685-693. Lo studio in rassegna contiene una piana esposizione dei lineamenti generali dell'obbligazione tributaria con deliberata esclusione di ogni approfondimento delle pi vive dispute dommatiche (ma ricche di pratiche implicazioni -aggiungiamo noi) che si sono avute e Continuano ad aversi sul delicato argomento. Per il carattere stesso dello scritto, ci limitiamo, in questa sede, ad accennare unicamente al problema della c. d. solidariet formale nel rapporto giuridico tributario che, in contrasto con le premesse, viene vivacemente affrontato dall'A. e risolto in senso contrario alla tesi sostenuta dall'Amministrazione finanziaria e sempre condivisa dalla Giurisprudenza. In proposito dobbiamo rilevare che le osservazioni dello Z. si riducono, per la verit, ad un'elencazione di pretesi inconvenienti pratic~ per ci stesso assolutamente irrilevanti ed inadeguati a contrastare le solide argomentazioni da pi parti svolte in favore della solidariet formale (Sul punto si v. la Relazione dell'Avv.ra dello Stato per gli anni 1956-1960, II, 341, nonch AzzAfUTI Gms., La solidariet nelle obbligazioni tributarie, Scritti giuridici, CEDAM, 1963, 502). . . . Non ci sembra, infatti, che l'affermazione -secondo cm l~ sohdarieta formale consente agli uffici fiscali di scegliere per lo svolgimento dell'intero rapporto tributario il contribuente pi malleabile, pi abulico, meno preparato ed eventualmente in rotta con gli altri condebitori (!) e trovare in tale scelta un motivo per avere risultati vantaggiosi -possa avere qualche valore sul piano strettamente giuridico. Sul delicato tema dell'accertamento tributario lo scritto in rassegna fa rinvio, per motivi di coordinamento, all'apposita voce contenuta nel primo volume dell'opera. L. GALATERIA, Ordine amministrativo, vol. XII, pagg. 107-111. In nucleo centrale la parte pi interessante, del breve scritto in rassegna dato dall'esam'e del noto problema dell'obbedienza all'ordine ~mministrativo da parte del destinatario; problema che per la scarsa ed im.perfetta regolamentazione giuridica della m~teria ha ric.evuto,. fi~o a~ oggi, soluzioni contrastanti, non di rado suggerite da cons1deraz10m etiche e politiche del tutto estranee al tema. PARTE II, RASSEGNA DI DOTTRINA 17 L'A. alle dottrine che controvertono sull'ammissibilit di un sindacato solo formale o anche sostanziale sull'ordine da parte del soggetto passivo oppone una sua teoria, secondo cui la valutazione della giuridicit dell'atto amministrativo operata dal destinatario di esso non pu assolutamente rientrare in una forma di sindacato., se questo viene rettamente inteso. A tal proposito il G. rileva che il sindacato, per sua stessa natura, non pu che essere esercitato da un soggetto che occupa una posizione di supremazia rispetto all'autore dell'atto, ovvero da un terzo che si pone super partes. Esso presuppone l'esistenza di una potest speciale attribuita dall'ordinamento giuridico solo ad alcuni organi, i quali rivestono una particolare posizione di autonomia e di indipendenza ed hanno, normalmente, poteri inquirenti, intesi in senso molto lato. Il suo effetto , poi, quello di agire sulla volont dell'organo sottoposto ad esso o impedendole di venire giuridicamente in vita o annullandola. il chiaro -prosegue l'A. -che nessuno dei caratteri propri del sindacato, forma tipica di eterovalutazione, si riscontra nella valutazione dell'ordine da parte del suo destinatario; valutazione che si appalesa come mera autovalutazione, svolgentesi tutt'intera in un ambito strettamente psicologico Difatti, la posizione di soggetto ipassivo del rapporto autoritario, propria del destinatario dell'ordine, la mancanza in lui del potere di compiereoperazioni dirette a procurargli la certezza giuridica intorno agli elementi di fatto che stanno a base dell'atto da valutare, l'assoluta inidoneit dell'autovalutazione ad incidere positivamente sulla volont del soggettoattivo dell'atto fanno si che la valutazione del destinatario,. oltre ad agireesclusivamente sulla stessa volont del soggetto che la compie, si presenti con carattere di incompletezza, parzialit e superficialit che sono in apertocontrasto con l'essenza di ogni forma di sindacato. Per accertare l'esistenza dei fatti che stanno alla base dell'ordine amministrativo, delle norme da cui scaturisce la potest ordinatoria del soggetto attivo e degli stessi elementi costitutivi dell'atto, il destinatario secondo l'A. -pu solo compiere quegli accertamenti dei fatti che cadono sotto la sua osservazione immediata e diretta, pu solo fondarsi, cio, su quelle prove storiche, che, per loro stessa natura, non potranno mai dargli una vera e propria certezza giuridica. Oltre alla critica delle teorie che ammettono un sindacato formale o sostanziale del destinatario .sull'ordine amministrativo, lo scritto in rassegnacontiene, a mo' di premessa all'accennato problema, un'analisi degli elementi costitutivi dell'atto in esame ed una descrizione delle sue principali classificazioni. L. MAZZELLA RASSEGNA DI LEGISLAZIONE LEGGI E DECRETI * d. P. R. 18 novembre 1965, nn. 14771485. -Sono nove decreti emanati (in virt della delega conferita al Governo con legge 9 ottobre 1964, n. 1058) per il riordinamento e la organizzazione dell'Amministrazione della difesa e del relativo personale, anche civile (G. U. 15 gennaio 1966, n. 11, Suppl.). d. P. R. 22 novembre 1965, n. 1646. -Modifica l'articolo 9 del regolamento generale dei servizi postali (parte seconda -servizi a danaro) approvato con r. d. 30 maggio 1940, n. 775, specificando la documentazione necessaria per ottenere il pagamento di somme dall'Amministrazione postale (G. U. 18 febbraio 1966, n. 43). d. P. R. 24 novembre 1965, n. 1531. -Disciplina l'attuazione dello Statuto speciale per la Sardegna in materia di turismo e di industria alberghiera (G. U. 29 gennaio 1966, n. 24). d. P. R. 24 novembre 1965, n. 1532. -Disciplina l'attuazione dello Statuto speciale per la Sardegna in materia di biblioteche e di musei di Enti locali (G. U. 29 gennaio 1966, n. 24). d. P. R. 24 novembre 1965, n. 1562. -Disciplina l'attuazione dello Statuto speciale per la Sardegna in materia di espropriazione per pubblica utilit (G. U. 2 febbraio 1966, n. 28). d. P. R. 24 novembre 1965, n. 1563. -Sostituisce il quarto comma dell'articolo 420 del regolamento sulla contabilit generale dello Stato approvato con r. d. 23 maggio 1924, n. 827 (comma aggiunto con l'articolo 31 del d. P. R. 30 giugno 1955, n. 1544 e gi modificato dall'articolo 3 del d. P. R. 25 gennaio 1962, n. 71), elevando, fra l'altro, a lire 600.000 l'importo delle somme il cui pagamento pu essere effettuato su esibizione degli indicati documenti di identit personale (G. U. 2 febbraio 1966, n. 28). legge 20 di.:embre 1965, n. 1443. -Modifica l'articolo 139 del testo unico sullo statuto degli impiegati civili dello Stato approvato con d. P. R. 10 gennaio 1957, n. 3, disponendo una diversa composizione del Consiglio superiore della pubblica amministrazione (G. U. 5 gennaio 1966, n. 3). d. P. R. 30 dicembre 1965, n. 1498. -Apporta variazioni al regime daziario della tariffa doganale, in applicazione de~li articoli 14 e 23. del Trattato di Roma (G. U. 24 gennaio 1966, n. 19, Suppi.). d.p, R. 30 dicembre 1965, n. 1655. -Dispone, in attuazione dell'articolo 221 del Trattato istitutivo della Comunit Economica Europea, che Si segnalano i provvedimenti ritenuti di maggiore interesse. PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 19 il terzo comma dell'articolo 26 della legge 7 marzo 1938, n. 141 (con prescrizioni per i cittadini e gli Enti stranieri portatori di azioni delle Banche dichiarate di interesse nazionale) non si applica nei confronti dei cittadini ed Enti degli Stati membri della Comunit Economica Europea (G. U. 28 febbraio 1966, n. 52). NORME SOTTOPOSTE A GIUDIZIO DI LEGITTIMITA COSTITUZIONALE* NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI Codice penale, art. 28 (Interdizione dai pubblici uffici) secondo com ma, .n. 5, e terzo c:omma, limitatamente alla parte in cui i diritti in essi previsti traggono titolo da un rapporto di lavoro (1). Sentenza 13 gennaio 1966, n. 3, G. U. 15 gennaio 1966, n. 12. Ordinanza di rimessione 6 maggio 1965 del Tribunale di Varese, G. U. 3 luglio 1965, n. 163 e in questa Rassegna, 1965, II, 106. r. d. 21 febbraio 1895, n. 70 CTesto unico delle leggi sulle pensioni civili e militari), art. 183, primo comma, lettera aJ, e terzo comma (2). Sentenza 13 gennaio 1966, n. 3, G. U. 15 gennaio 1966, n. 12. (Ordinanza di rimessione 6 maggio 1965 del Tribunale di Varese, G. U. 3 luglio 1965, n. 163 e in questa Rassegna, 1965, II, 106). r. d. I. 31 dicembre 1925, n. 2383 (Norme per il trattamento di quiescenza dei salariati statali), art 29, primo comma, lettera aJ, e quarto comma (2). Sentenza 13 gennaio 1966, n. 3, G. U. 15 gennaio 1966, n. 12. (Ordinanza di rimessione 6 maggio 1965 del Tribunale di Varese, G. U. 3 luglio 1965, n. 163 e in questa Rassegna, 1965, II, 106). r. d. 11 aprile 1926, n. 752 (Poteri dell'alto Commissario per la citt e la provincia di Napoli in materia di espropriazioni per pubblica utilit), art. 2, secondo comma, nella parte in cui estende la competenza della Giunta speciale presso la Corte di appello di Napoli alle procedure espropriative riguardanti beni immobili situati nella provincia di Napoli (art. 77, primo comma, della Costituzione). Sentenza 10 gennaio 1966, n. 2, G. U. 15 gennaio 1966, n. 12. Ordinanza di rimessione 29 novembre 1963 della Corte di appello di Napoli, G. U. 29 agosto 1944, n. 212 e in questa Rassegna, 1964, II, 132. Fra parentesi sono indicati gli articoli della Costituzione in riferimento ai quali sono state sollevate o decise le questioni di legittimit costituzionale. (1) L'illegittimit costituzionale del terzo comma stata dichiarata a norma dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87. (2) Illegittimit costituzionale dichiarata a norma dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 20 dicembre 1932, n. 1849 (Riforma deZ testo unico deUe Zeggi suHe servit militari), art. 3, secondo comma, in quanto non prevede l'indennizzo per limitazioni della propriet privata di natura espropriativa (art. 42, terzo comma, della Costituzione). Sentenza 20 gennaio 1966, n. 6, G. U. 29 gennaio 1966, n. 25. Ordinanza di rimessione 27 gennaio 1964 della Corte di Cassazione, G. U. 29 agosto 1964, n. 212 e in questa Rassegna, 1964, II, 132. r. d. I. 3 marzo 1938, n. 680 (Ordinamento deZla cassa di previdenza per Ze pensioni agii impiegati degli enti ZocaZi), art. 43, primo comma, n. 1, e secondo comma (1). Sentenza 13 gennaio 1966, n. 3, G. U. 15 gennaio 1966, n. 12. (Ordinanza di rimessione 6 maggio 1965 del Tribunale di Varese, G. U. 3 luglio 1965, n. 163 e in questa Rassegna, 1965, II, 106). legge 6 luglio 1939, n. 1035 (Approvazione deU'ordinamento deUa cassa di previdenza per Ze pensioni dei sanitari), art. 36, primo comma; art. 37, primo comma (1). Sentenza 13 gennaio 1966, n. 3, G. U. 15 gennaio 1966, n. 12. (Ordinanza di rimessione 6 maggio 1965 del Tribunale di Varese, G. U. 3 luglio 1965, n. 163 e in questa Rassegna, 1965, II, 106). legge 25 luglio 1941, n. 934 (Ordinamento deUa cassa di previdenza per Ze pensioni ai salariati degZi enti locali), art. 42, primo comma, n. 1, secondo comma; art. 43 (1). Sentenza 13 gennaio 1966, n. 3, G. U. 15 gennaio 1966, n. 12. (Ordinanza di rimessione 6 maggio 1965 del Tribunale di Varese, G. U. 3 luglio 1965, n. 163 e in questa Rassegna, 1965, II, 106). legge 13 agosto 1959, n. 904 (Sistemazione, migZioramento ed adeguamento deUe strade statali di primaria importanza e integrazione di fondi per Z'esecuzione deZ programma autostradale), artt. 1 e 4 (articolo 81, quarto comma, della Costituzione). Sentenza 10 gennaio 1966, n. 1, G. U. 15 gennaio 1966, n. 12. Ordinanza di rimessione 10 aprile 1964 del Consiglio di Stato, G. U. 12 settembre 1964, n. 225 e in questa Rassegna, 1964, II, 180. d. P. R. 14 luglio 1960, n. 1019 (Norme sui licenziamenti per riduzione di personale dei Zavoratori dipendenti daHe imprese industriali), arti ~olo unico, in quanto rende obbligatorio erga omnes l'Accordo interconfederale del 20 dicembre 1950 per la parte in cui prescrive l'obbligo di un previo procedimento di conciliazione fra le organizzazioni sindacali. Sentenza 8 febbraio 1966, n. 8, G. U. 12 febbraio 1966, n. 38. Ordinanze di rimessione 23 e 31 marzo 1964 del Pretore di Monsummano Terme (G. U. 13 giugno 1964, n. 144 e in questa Rassegna, 1964, II, 97) e 9 marzo 1965 del Pretore di Firenze (G. U. 30 aprile 1965, n. 109 e in questa Rassegna, 1965, II, 50). (1) Illegittimit costituzionale dichiarata a norma dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87. j }i I f PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 21 NORME DELLE QUALI STATA DICHIARATA NON FONDATA LA QUESTIONE DI LEGITTIMITA COSTITUZIONALE Codice penale, art. 81 (Pi violazioni di una o di dive1se disposizioni di legge con una o pi azioni. Reato continuato), secondo e terzo comma (art. 3 della Costituzione). Sentenza 8 febbraio 1966, n. 9, G. U. 12 febbraio 1966, n. 38. Ordinanza di rimessione 3 marzo 1965 del Pretore di Pesaro, G. U. 10 luglio 1965, n. 171 e in questa Rassegna, 1965, II, 106. r. d. 18 giugno 1931, n. 773 (Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), art. 62 (artt. 4 e 35 della Costituzione). Sentenza 8 febbraio 1966, n. 7, G. U. 12 febbraio 1966, n. 38. Ordinanza di rimessione 16 ottobre 1964 del Pretore di Torino, G. U. 3 aprile 1965, n. 85 e in questa Rassegna, 1965, II, 48. r. d. I. 20 luglio 1934, n. 1404 (Istituzione e funzionamento del Tribunale dei Minorenni), art. 9, secondo comma, prima parte (art. 3 della Costituzione). Sentenza 8 febbraio 1966, n. 10, G. U. 12 febbraio 1966, n. 38. Ordinanza di rimessione 12 gennaio 1965 del Pretore di Iseo, G. U. 27 febbraio 1965, n. 52 e in questa Rassegna, 1965, II, 14, con richiamo ai precedenti. r. d. 14 luglio 1960, n. 1019 (Norme sui licenziamenti per riduzione di personale dei lavoratori dipendenti dalle imprese industriali), arti colo unico, in quanto rende obbligatori erga omnes gli artt. 2, lettera e) (salvo per quanto concerne l'inciso tanto in caso di accordo, come in caso di insuccesso della procedura conciliativa ), 4, 5 e relativa clausola di chiarimento dell'Accordo interconfederale del 20 dicembre 1950 (artt. 76 e 77 della Costituzione). Sentenza 8 febbraio 1966, n. 8, G. U. 12 febbraio 1966, n. 38. Ordinanze di rimessione 23 e 31 marzo 1964 del Pretore di Monsummano Terme (G. U. 13 giugno 1964, n. 144 e in questa Rassegna, 1964, II, 97) e 9 marzo 1965 del Pretore di Firenze (G. U. 30 aprile 1965, n. 109 e in questa Rassegna, 1965, II, 50) . . NORME DELLE QUALI STATO PROMOSSO GIUDIZIO DI LEGITTIMITA COSTITUZIONALE Codice penale, art. 11 (Rinnovamento del giudizio), primo co1nma, in quanto incompatibile con il principio ne bis in idem, cui deve riconoscersi natura di norma di diritto internazionale generalmente riconosciuta (art. 10 della Costituzione). Corte di assise di La Spezia, ordinanza 5 novembre 1965, G. U. 15 gennaio 1966, n. 12. 22 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Codice penale, art. 204 (Accertamento di pericolositd. Pericolositd sociale presunta), seo:ondo comma; art. 222 (Ricovero in un manicomio giudiziario), primo comma, in quanto, nel contemplare e disciplinare ipotesi di pericolosit sociale presunta, rendono possibile il ricovero in manicomio di persone attualmente sane di mente ed impediscono al giudice l'esercizio del potere di discrezionale apprezzamento sulla ricorrenza dei presupposti di fatto per la restrizione della libert personale (art. 13, primo e secondo comma, della Costituzione). Sezione istruttoria presso la Corte di appello di Genova, ordinanza 16 novembre 1965, G. U. 15 gennaio 1966, n. 12 (1) Codice penale., art. 222 (Ricovero in manicomio giudiziario), in quanto, in relazione all'art. 204 del codice penale, rende possibile il ricovero in manicomio di persone attualmente sane di mente (art. 32 della Costituzione), comporta una indiscriminata applicazione della misura di sicurezza (art. 27, terzo comma, della Costituzione), impedisce al giudice di valutare se applicare o meno la sanzione (art. 13, secondo comma, della Costituzione) e pregiudica il diritto dell'imputato alla difesa (art. 24, secondo comma, della Costituzione). Giudice istruttore del Tribunale di Siena, ordinanza 9 novembre 1965, G. U. 15 gennaio 1966, n. 12 (1) Codice penale, art. 559 (Adulterio), in quanto punisce l'adulterio solo della moglie (artt. 3 e 29 della Costituzione) (2). Tribunale di Ascoli Piceno, ordinanza 13 ottobre 1965, G. U. 29 gennaio 1965, n. 25. Codice di procedura penale, art. 398 (Poteri del Pretore nel procedimento con istruzione sommaria), terzo comma, in quanto implicitamente consente al Pretore di emettere decreto di citazione a giudizio senza che l'imputato sia stato interrogato. Pretore di Ferrara, ordinanza 30 novembre 1965, G. U. 12 feb braio 1966, n. 38 (art. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione). Tribunale di Ferrara, ordinanze 26 ottobre 1965, G. U. 29 gennaio 1966, n. 25; 9 novembre 1965 (due), G. U. 15 gennaio 1966, n. 12; 16 novembre 1965 (due), G. U. 29 gennaio 1966, n. 25 e 12 febbraio 1966, n. 38; 23 novembre 1965 (tre), G. U. 12 febbraio 1966, n. 38 (art. 24, secondo comma, della Costituzione) (3). Codice di procedura penale, art. 435 (Reati commessi in udienza; giudizio immediato), secondo comma, in quanto non concede termine (1) Per altre ordinanze di rimessione cfr. in questa Rassegna, 1965, II, 13 e 173. (2) La questione di legittimit costituzionale dell'art. 559 del codice penale stata gi dichiarata non fondata con sentenza 28 novembre 1961, n. 64 della Corte Costituzionale. (3) Per altre ordinanze di rimessione cfr. in questa Rassegna, 1965, II, 78, 107, 142 e 173. Analoga questione stata sollevata per r,art. 506 del codice di procedura pnale dal Pretore di Padova (ord. 19 luglio 1965, Gazzetta Ufficiale 30 ottobre 1965, n. 273 e in questa Rassegna, 1965, II, 142). ~:::ft"Jllif-W.~?&::"...-/.-=:::.:.::::-=:@"x::.:0:.:=:.:::-.::.:..:-::::::g:=<::u=::?.W...:.:...-x::=::..-w.-%".t:w%::%.-=-==---:::::::-=-:.:w-.?-w.-:m::-=--=-.::..~::-:.-...-x:-=--=-x::--..:-:-:::..-=-=-=::...:..x:-=-==-=.:::=r.::::::.:;=;.::==-%~-=-0.r.-:-:.:-:-w.-//.-x::!:::::::x:w PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 23 per la difesa in ipotesi di giudizio immediato (artt. 3 e 24 della Costituzione) (1). Tribunale di Belluno, ordinanza 10 dicembre 1965, G. U. 12 febbraio 1966, n. 38. Codice di procedura penale, art. 503 (Atti del giudizio direttissimo), ultima parte, in quanto rimette alla discrezione del giudice la concessione di un termine per preparare la difesa (artt. 3 e 24 della Costituzione). Tribunale di Belluno, ordinanza 10 dicembre 1965, G. U. 12 febbraio 1966, n. 38. legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. F (Legge sui lavori pubblici), arti colo 317, in quanto conferisce al Governo il potere di emanare norme penali nell'esercizio di una potest regolamentare (artt. 1, secondo comma, 70, 76, 77 e 25, secondo comma, della Costituzione) (2) Pretore di Caltanissetta, ordinanza 6 dicembre 1965, G. U. 12 febbraio 1966, n. 38. legge 13 giugno 1912, n. 555 (Sulla cittadinanza italiana), art. 8, ultimo comma, in quanto impone l'adempimento del servizio militare anche a persone che non siano attualmente cittadini italiani (art. 52 della Costituzione). Tribunale militare di Padova, ordinanza 3 dicembre 1965, G. U. 12 febbraio 1966, n. 38. r. d. 30 dicembre 1923, n. 3267 (Riordinamento e riforma della legislazione in materia di boschi e di terreni montani), se ed in quanto conferisca ai comitati provinciali forestali il potere di dettare norme per la previsione e la repressione di reati (artt. 25 e 77 della Costituzione) (3). Pretore di Troina, ordinanza 11 novembre 1965, G. U. 29 gennaio 1966, n. 25. r. d. 18 giugno 1931, n. 773 (Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), art. 15, in quanto consente all'autorit di pubblica sicurezza di privare temporaneamente il cittadino della libert personale, senza atto motivato dell'autorit giudiziaria (art. 13, secondo comma, della Costituzione). Tribunale di Ascoli Piceno, ordinanza 31 maggio 1965, G. U. 29 gennaio 1966, n. 25. (1) Altra questione di legittimit costituzionale dell'art. 435 del codice di procedura penale, proposta con riferimento all'art. 25 della Costituzione, stata dichiarata non fondata con sentenza 9 luglio 1963, n. 122 della Corte Costituzionale. (2) La questione stata gi sollevata, in riferimento al solo art. 25, secondo comma, della Costituzione, con ordinanza 23 giugno 1965 del Pretore di Borgo San Lorenzo, (Gazzetta Ufficiale 31 luglio 1965, n. 191 e in questa Rassegna, 1965, Il, 107). (3) Dal testo dell'ordinanza di rimessione la questione di legittimit costituzionale risulta proposta, in riferimento al r. d. 30 dicembre 1923, n. 3267, per gli artt. 27 e 30 delle prescrizioni di massima e di polizia forestale per la provincia di Enna. 24 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO d. P. R. 29 gennaio 1958, n. 645 (Testo unico delle leggi sulle imposte dirette), art. 136, sia per eccesso dai limiti della delega conferita con l'art. 63 della legge 5 gennaio 1956, n. 1 in quanto, limitando la detraibilit, ai fini dell'imposta complementare, ai soli oneri afferenti i redditi, innova restrittivamente all'art. 8 della legge 30 dicembre 1923, n. 3062 (art. 76 della Costituzione), sia perch, escludendosi la detraibilit di altri oneri, non viene ad essere presa in seria ed adeguata considerazione, ai fini della determinazione dell'imposta complementare, la capacit contributiva del soggetto passivo (art. 53 della Costituzione) (1). Commissione distrettuale delle imposte di Polistena, ordinanza 9 novembre 1965, G. U. 29 gennaio 1966, n. 25. d. P. R. 16 maggio 1960, n. 570 (Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali), art. 15, n. 6 (artt. 1, 3 e 51 della Costituzione) (2). Consiglio comunale di Chieuti, deliberazioni 5 marzo 1965 (due) G. U. 29 gennaio 1966, n. 25. d. P. R. 16 maggio 1960, n. 570 (Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali), art. 93, in quanto prevede, per il fatto di chi sottoscrive pi di una dichiarazione di presentazione di candidatura, una pena pi grave rispetto a quella prevista, per Io stesso fatto, dall'art. 106 del d. P. R. 30 marzo 1957, n. 361 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Caltanissetta, ordinanze 21 novembre 1965, G. U. 15 gennaio 1966, n. 12, e 6 dicembre 1965, G. U. 12 febbraio 1966, n. 38. d. P. R. 14 febbraio 1964, n. 237 (Leva e reclutamento obbligatorio nell'esercito, nella marina e nell'aeronautica), art. 1, lettera b, in quanto, per il richiamo alle leggi vigenti in materia di cittadinanza e quindi anche all'art. 8, ultimo comma, della legge 13 giugno 1912, n. 555, impone l'adempimento del servizio militare a persone che non siano attualmente cittadini italiani (art. 52 della Costituzione). Tribunale militare di Padova, ordinanza 3 dicembre 1965, G. U. 12 febbraio 1966, n. 38. (1) Sotto il primo profilo, in riferimento, cio, all'art. 76 della Costituzione, la questione stata gi sollevata dalla Commissione provinciale delle imposte di Genova con ordinanza 20 novembre 1964 (Gazzetta Ufficiale 1965, n. 65 e in questa Rassegna, 1965, II, 48). (2) La questione, recentemente riproposta in riferimento agli artt. 51, 24 e 113 della Costituzione (Consiglio comunale di Cassala, deliberazione 24 febbraio 1965, Gazzetta Ufficiale 17 aprile 1965, n. 98 e in questa Rassegna, 1965, II, 49) e in riferimento agli artt. 3, 24, 51 e 113 della Costituzione (Consiglio comunale di Reggio Emilia, deliberazione 25 marzo 1965, Gazzetta Ufficiale 5 giugno 1965, n. 139 e in questa Rassegna, 1965, II, 80), stata gi dichiarata non fondata in riferimento agli artt. 24 e 113 della Co11tituzione (sentenza 11 luglio 1961, n. 42), in riferimento agli artt. 24, 25, 48 e 113 della Costituzione (ordinanza 7 luglio 1962, n. 81) e in riferimento agli artt. 24, 25, 51 e 113 della Costituzione (ordinanza 20 dicembre 1962, n. 119). Per le altre questioni di legittimit costituzionale dell'art. 15 del d. P. R. 16 maggio 1960, n. 570 (nei vari numeri della disposizione) cfr. in questa Rassegna, 1964, II, 134 e 1965, II, 49, 80, 110, 143, con richiamo alle relative pronunce della Corte costituzionale. PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 25 NORME DELLE QUALI IL GIUDIZIO DI LEGITTIMITA COSTITUZIONALE STATO DEFINITO CON PRONUNCE DI INAMMISSIBILITA, DI MANIFESTA INFONDATEZZA O DI RESTITUZIONE DEGLI ATTI AL GIUDICE DI MERITO Codice civile, art. 274 (Ammissibilit dell'azione) -manifesta infon datezza (artt. 24 e 111 della Costituzione) (1). Ordinanza 13 gennaio 1966, n. 5, G. U. 15 gennaio 1966, n. 12. Ordinanza di rimessione 29 dicembre 1964 del Tribunale di Siracura, G. U. 17 luglio 1965, n. 178 e in questa Rassegna, 1965, II, 106. Codl:e penale, art. 509 (Inosservanza delle norme disciplinanti i rapporti di lavoro e delle decisioni dei magistrati del lavoro), primo comma -manifesta infondatezza (art. 39 della Costituzione) (2). Sentenza 8 febbraio 1966, n. 8, G. U. 12 febbraio 1966, n. 38. Ordinanze di rimessione 24 e 31 marzo 1964 del Pretore di Monsummano Terme, G. U. 13 giugno 1964, n. 141 e in questa Rassegna, 1964, II, 91. (1) L'art. 274 del codice civile stato gi dichiarato illegittimo con sentenza 12 luglio 1965, n. 70 della Corte Costituzionale. (2) Questione gi dichiarata non fondata con sentenza 17 aprile 1957, n. 55 della Corte coatituzionale. CONSULTAZIONI AMMINISTRAZIONE PUBBLICA Responsabilit per annullamento di illegittima iscrizione all'Universit. Se una studentessa, iscritta all'Universit nonostante che il suo titolo di studio non fosse idoneo, possa richiedere il risarcimento dei danni subiti in conseguenza dell'annullamento, da parte del Rettore, dell'esame di ammissione e dell'iscrizione ai primi due anno di corso (n. 307). APPALTO Legittimazione attiva all'azione ex art. 1668 c. c. nei confronti dell'appaltatore. Se l'Amministrazione che abbia agito quale stazione appaltante dietro incarico della soppressa gestione INA-Casa, a norma degli artt. 11 1. n. 43 del 1949, 2 1. n. 1148 del 1955, 6 e 7 d. P. R. n. 1265 del 1956, per la costruzione di un certo edificio, che sia stato collaudato e consegnato alla predetta Gestione giusta le leggi di cui sopra, sia legittimato attivamente alla azione di responsabilit decennale nei confronti dello appaltatore a sensi dell'art. 1669 c. c. (n. 291). ASSICURAZIONI Crediti all'esportazione -Garanzia assicurativa -Pagamento dell'indennizzo. Se il pagamento, da parte dell'Istituto Nazionale Assicurazioni, dell'indennizzo derivante da un contratto di assicurazione dei crediti alle esportazioni di merci e servizi soggetti a rischi speciali, debba essere effettuato al soggetto in cui favore e quale creditore pignoratizio siano stati vincolati tutti i diritti nascenti dal contratto di assicurazione, ovvero all'assicurato (n. 68). AUTOVEICOLI Ipoteca. Se, in caso di distruzione per eventi bellici dell'autoveicolo gravato da I diritto reale di garanzia, sia operativo l'art. 2, 5 comma del r.d(.l. 15 )mar-, zo 1927 n. 436, relativo alla disciplina del termine quinquennale n. 68. Se sia opponibile ai terzi la decadenza dell'ex proprietario da diritti ed azioni derivanti da contratti di guerra non denunciati entro il termine utile di cui al d. 1. 25 marzo 1948 n. 674 art. 1 (n. 68). BORSA Agente di cambio -Compatibilit con la professione di cambiavalute Compatibilit con qualifica di socio accomandante in ditta esercente atti vit di cambiavalute. Se la professione di agente di cambio sia compatibile con quella di cambiavalute (n. 20). PARTE II, CONSULTAZIONI 27 Se la professione di agente di cambio sia compatibile con la qualifica di socio accomandante in ditta esercente attivit di cambiavalute (n. 20). CACCIA E PESCA Licenze. Se l'obbligo di munirsi della licenza di pesca valga anche per gli utenti di un uso civico di pesca (n. 30). CINEMATOGRAFIA Premi governativi -Sequestro. Se, nel pagamento dei premi e contributi governativi concessi ad un film, l'Amministrazione sia obbligata a tener conto di un atto di sequestro di detti crediti, annotato sul Pubblico Registro Cinematografico, ma non notificato all'Amministazione medesima (n. 34). COMUNI E PROVINCIE Decadenza dalla carica di consigliere comunale, per cancellazione dalle liste elettorali. Se l'impugnazione avanti la G.P.A. della delibera del Consiglio Comunale in sede giurisdizionale, con la quale sia stato dichiarato decaduto dalla cadca di consigliere comunale uno dei suoi membri, perch cancellato dalle liste elettorali, abbia carattere sospensivo agli effetti della decadenza, in attesa delle decisioni della G.P.A. (n. 118). Enti e beni eccl'esiastici. Se per i fabbricati ex conventuali devoluti al Demanio dello Stato e . concessi ai Comuni in forza dei provvedimenti eversivi del periodo napo' eonico, il Comune abbia diritto verso lo Stato al rimborso delle spese di \anutenzione straordinaria (n. 119). '1:.PROMESSO ED ARBITRI to -Nuovo capitolato generale. 'ia illegittima la costituzione di un collegio arbitrale composto .'art. 42 del capitolato generale del 1895, quando la domanda del. esa sia stato notificata successivamente alla data di entrata in vigore JL nuovo capitolato generale di appalto (n. 22). CONTABILITA' GENERALE DELLO STATO Limiti originari di somma. Se l'adeguamento dei limiti originari di somma (60 volte i limiti inizali), comunque indicati nella legge e nel regolamento di contabilit generale dello Stato, nelle leggi e nei regolamenti contabili speciali o in disposizioni correlative, e di quelli stabiliti dall'art. 18 del t.u. delJ.e leggi sull'ordinamento della Corte dei conti, sia applicabile all'art. 11, lett. b) del Regolamento per la coltivazione indigena del tabacco (r.d. 12 ottobre 1924, n. 1590), relativo alle garanzie pecuniarie da prestare per l'esatto adempimento degli obblighi inerenti alla coltivazione (n. 210). 28 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Riconoscimento di debito -Mancanza del capitolo di bilancio. Se possa provvedersi a riconoscimento di debito per regolarizzare una convenzione stipulata tra la Amministrazione ed un privato quando del decreto di approvazione di tale convenzione sia stata negata la registrazione per mancanza del capitolo di bilancio cui imputare la spesa (n. 211). CONTRATTI AGRARI Mezzadria. Se vi sia interferenza tra la norma che sancisce l'improrogabilit del contratto di mezzadria, nel caso in cui il concedente voglia attuare sul fondo trasformazioni radicali, incompatibili .con la continuazione dello stesso contratto, e la norma che accorda al mezzadro la facolt di eseguire innovazioni anche se il concedente vi si opponga (n. 18). DANNI DI GUERRA Sfruttamento di brevetto. Se sia assoggettabile ad imposta di R.M. l'indennizzo liquidato di concerto dai Ministeri del Tesoro e dell'Industria e Commercio ad una So Iciet italiana per un danno di guerra consistente nella confisca da parte degli U.S.A., a danno di detta Societ, dei canoni maturati nel periodo bellico per lo sfruttamento di un brevetto della Societ stessa (n. 119). DAZI DOGANALI Spedizioniere doganale -Fallimento. I Se uno spedizioniere doganale dichiarato fallito debba essere sospeso dalle sue funzioni (n. 30). Quali siano, ai sensi dell'art. 37 del Regolamento per la esecuzione della legge doganale (app. con r.d. 13 febbraio 1896 n. 65), le condizioni per I essere riammesso nell'esercizio della patente di spedizioniere o di altro rappresentante doganale (n. 30). I EDILIZIA ECONOMICA E POPOLARE Alloggi popolari -cessione in propriet -spese contrattuali. I Se le spese contrattuali che il d. P. R. 17 gennaio 1959 n. 2 (art. 10) e la legge 27 aprile 1962, n. 231 (art. 7) pongono a carico degli acquirenti degli alloggi popolari soggetti alle disposizioni delle norme suindicate, siano costituite soltanto dagli oneri strettamente connessi con la stipula degli atti di compravendita (n. 170). Alloggi popolari -cessione in propriet -spese successive alla stipulazione dei contratti. Se le spese che l'Ente proprietario o gestore di alloggi popolari, soggetti alle disposizioni del d. P. R. 17 gennaio 1959, n. 2 e successive modificazioni, deve sostenere per le operazioni successive alla stipulazione dei contratti di vendita si possano porre a carico degli assegnatari degli alloggi (n. 171). PARTE II, CONSULTAZIONI 29 Se le suddette spese possano invece trovare idonea copertura sul prezzo di vendita secondo il disposto dell'art. 21 (lett. b) d. P. R. 17 gennaio 1959, n. 2, modificato dall'art. 11 della 1. 27 aprile 1962, n. 231 (n. 171). Appalto -Legittimazione attiva all'azione ex art. 1669 c. c. nei confronti. dell'appaltatore. Se l'Amministrazione che abbia agito quale stazione appaltante dietro incaricato della soppressa Gestitone INA-Casa, a norma degli artt. 111. n. 43 del 1949, 2 1. n. 1148 del 1955, 6 e 7 D. P. R. n. 1265 del 1956, per la costruzione di un certo edificio, che sia stato gi collaudato e consegnato alla predetta Gestione giusta le leggi di cui sopra, sia legittimato attivamente all'azione di responsabilit decennale nei confronti dell'appaltatore a sensi dell'art. 1669 c. c. (n. 172). Assegnazione di alloggi con patto di futura vendita. Quale sia la natura del contratto di assegnazione degli alloggi con patto di futura vendita (n. 173). Se, in presenza di tale contratto ed in pendenza di una procedura di liquidazione coatta' amministrativa, competa al Commissario Liquidatore la facolt ex art. 72 L. F. di scegliere fra l'esecuzione e lo scioglimento del negozio od invece la natura pubblicistica della destinazione prevista per gli alloggi precluda l'applicabilit di tale norma (n. 173). EsproPriazioni. Se in virt della 1. 29 febbraio 1965, n. 217 possa la Gescal procedere ad espropriazioni di aree comprese in piani di zona (di cui alla 1. 167) adottati ma non ancora approvati dal Ministero LL. PP., entro il termine triennale prescritto (n. 174). Se con la legge 21 luglio 1965, n. 940, sia stato modificato anche l'art. 25 1. 14 febbraio 1963, n. 60, nel senso che si sia voluto dare valore esclusivo al procedimento di espropriazione previsto dalla legge 167 (n. 174). Se, nel caso di occupazione d'urgenza prima dell'approvazione del piano di zona, possa ritenersi che l'espropriazione sia stata iniziata prima dell'approvazione del piano stesso (n. 174). Gescal -Appalti. Se per i contratti di appalto della Gestione INA-Casa dopo l'emissione del nuovo capitolato generale del 1962, la disciplina sia rimasta immutata ovvero abbia subito una modifica nel senso che concorra a stabilirla, con il capitolato della Gestione, quello del 1962, anzich quello del 1895 del Ministero LL. PP. (175). . Se il nuovo e futuro capitolato della Gestione si applicher, oltre che per il piano decennale della Gescal, anche per i precedenti piani settennali (n. 175). Se all'ultima parte dei lavori per il completamento del secondo .settennio si applichi il capitolato del Ministero LL. PP. del 1962 in quanto richiamato, in virt dell'art. 36 1. 14 febbraio 1963, n. 60, nei singoli contratti (n. 175). ENTI E BENI ECCLESIASTICI Fabbricati ex conventuali. Se 1per i fabbricati ex conventuali devoluti al Demanio dello Stato e concessi ai Comuni in forza dei provvedimenti eversivi del periodo napoleonico, il Comune abbia diritto verso lo Stato al rimborso delle spese di manutenzione straordinaria (n. 42). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 30 ESPROPRIAZIONE PER P. U. Cessione gratuita del bene da espropriare. Se sia possibile giuridicamente l'espropriazione per pubblica utilit ove il proprietario del bene, in sede di accordo amichevole, abbia ceduto gratuitamente il bene stesso all'Amministrazione espropriante (n. 214). Gescat. Se in virt della 1. 29 febbraio 1965, n. 217 possa la Gescal procedere ad espropriazioni di aree comprese in piani di zona (di cui alla 1. 167) adottati ma non ancora approvati dal Ministero LL. PP., entro il termine triennale prescritto (n. 215). Se con la 1. 21 luglio 1965, n. 904 sia stato modificato anche l'art. 25 1. 14 febbraio 1963, n. 60, nel senso che !S sia voluto dare valore esclusivo al procedimento di espropriazione previsto dalla 1. 167 (n. 215). Se, nel caso di occupazione d'urgenza prima dell'approvazione del piano di zona, possa ritenersi che l'espropriazione sia stata iniziata prima dell'approvazione del piano stesso (n. 215). FALLIMENTO Interessi moratori. Se i crediti d'imposta assistiti da privilegio generale continuino a produrre interessi dopo la dichiarazione di fallimento (n. 95). Se tali interessi siano anch'essi assistiti da privilegio (n. 95), Penale per forniture inadempiute. Se la penale prevista per l'inampimento del fornitore possa essere applicata anche quando il contratto non abbia esecuzione per effetto della dichiarazione di fallimento del fornitore stesso (n. 96). Spedizioni doganali. Se uno spedizioniere doganale dichiarato fallito debba essere sospeso dalle sue funzioni (n. 97). Quali siano, ai sensi dell'art. 37 del Regolamento per la esecuzione della legge doganale (approvata con r. d. 13 febbraio 1896, n. 65), le condizioni per essere riammesso nell'esercizio della patente di spedizioniere o di altro rappresentante doganale (n. 97). FERROVIE Poteri di vigilanza sui concessionari di linee ferroviarie. Se l'Amministrazione dei Trasporti nell'esercizio del suo potere di vigilanza sui concessionari di linee ferroviarie possa adottare qualsiasi provvedimento che, nel suo discrezionale apprezzamento di merito, ritenga necessario, ancorch non previsto da alcuna norma, salvo che si tratti di provvedimenti espressamente vietati dalla legge (n. 372). IMPIEGO PUBBLICO Aumento anticipato di stipendio. Se .sia legittima la revoca dell'atto con cui stato attribuito l'aumento anticipato di stipendio per la nascita di un figlio, in base unicamente alla espressa rinuncia fatta dall'impiegato dello Stato a percepire il suddetto emolumento (n. 598). I I I . . " I;~~ I PARTE II, CONSULTAZIONI 31 Benefici di carriera. Se ai pubblici dipendenti che, beneficiando della I. 2 febbraio 1962 n. 37, siano stati inquadrati nelle qualifiche dell'ex gruppo A con decor~ renza dal 1 gennaio 1957 possano essere riconosciuti anche i benefici di carriera previsti dalla 1. 16 luglio 1960, n. 705 (riconoscimento nei limiti di legge, ai fini dell'anticipata ammissione agli scrutini per la promozione ad ispettore di 1 classe del servizio precedentemente prestato nel gruppo di concetto o in quello dei dirigenti dell'esercizio) (n. 599). Combattenti -Benefici. Se l'attribuzione della qualifica di combattente integri una questionedi diritti soggettivi ovvero di interessi legittimi (n. 600). Dipendenti dell'Ufficio Italiano Cambi -Compilazione dell'e note di qualifica -Criteri da seguire. Se ai fini della compilazione delle note di qualifica dei dipendenti dell'Ufficio Italiano Cambi, il requisito dell'assiduit, e cio della regolarit e puntualit della presenza in servizio, debba essere valutato in senso relativo o assoluto, vale a dire indipendentemente o meno da quelle situazioni legittimamente riconosciute che giustifichino un'assenza dal servizio (n. 601). Se il requisito della produttivit, sempre al medesimo fine, nel caso di assenza giustificata dal servizio, vada valutato in rapporto ad una situazione obbiettiva, e cio da un punto di vista prevalentemente quantitativo (n. 601). Equo indennizzo. Se l'equo indennizzo previsto dall'art. 68 t. u. n. 3 del 1957 a favore dell'impiegato che sia rimasto infortunato per ragioni di servizio, sia da decurtare della somma che l'interessato abbia conseguito o potr conseguire a titolo di risarcimento del danno da parte di un terzo (n. 602). E.N.P.A.S. -Concessione mutui. Se l'Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza per i Dipendenti Statali (E.N.P.A.S.) possa concedere mutui al di fuori delle ipotesi previste dall'art. 29 1. 19 gennaio 1942, n. 22 e successive modifiche (n. 603). Impiegati del Poligrafico dello Stato. Se la diversa misura dell'assegno forfettario da corrispondere ai graduati del personale dell'Istituto Poligrafico dello Stato addetto al controllo ed alla vigilanza sulla produzione dei valori dipenda dalle mansioni concretamente esercitate dal personale stesso ovvero dall'appartenenza alle particolari qualifiche tecniche previste nella delibera istitutiva (n. 604). Lavoro a cottimo -Sanzioni disciplinari. Se sia legittima la disposizione dell'Amministrazione PP. TT. che impone l'obbligo di apporre la firma di presenza con l'indicazione dell'ora di inizio e termine del lavoro a coloro che eseguono prestazioni a cottimo, anche straordinarie (n. 605). Se al personale che incorra in atti di indisciplina fuori dell'orario d'obbligo, ma in occasione delle prestazioni straordinarie a cottimo, possano irrogarsi le sanzioni disciplinari stabilite dal D. P. R. 10 gennaio 1957, n. 3 (n. 605). Se sia legittima l'applicazione della sanzione pecuniaria per errori contabili involontari anche nei confronti del personale di concetto che esegua prestazioni straordinarie cottimizzate di carattere esecutivo (n. 605). 32 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO IMPORTAZIONI -ESPORTAZIONI Assicurazione crediti all'esportazione. Se il pagamento, da parte dell'Istitut? Na;zional~ Assic1;1razio~i: dell'indennizzo derivante da un contratto di assicurazione dei crediti alle esportazioni di merci e servizi soggetti a rischi. specia.li, deb):>~ es_sere effettuato al soggetto in cui favore e quale creditore p1gnoi;atizio siano stati vincolati tutti i diritti nascenti dal contratto di assicurazione, ovvero all'assicurato (n. 37). IMPOSTA DI BOLLO Istanze in materia di applicazione di norme sul lavoro. S'e devono redigersi in bollo, ai sensi dell'art. 38 della tariffa. a~l. A alla legge sul bollo di cui al D. P. R. 25 giugno 1953, n. 492, le richieste che vengono rivolte da ditte e privati datori di lavoro per ottenere proroghi; di termini fissati per la regolarizzazione delle inosservanze alle norme di legge, la cui applicazione affidata alla vigilanza degli Ispettorati del Lavoro, ai sensi dell'art. 9 del D. P. R. 19 marzo 1955, n. 5~2, no~ch per la proroga dei termini fissati per l'adempimento d:i ~ltre disposizio~i che i detti organi possono impartire in altri casi previsti dalla legge (n. 28). IMPOSTA DI R. M. Sfruttamento di brevetto. Se sia assoggettabile ad imposta di R. M. l'indennizzo liquidato di concerto dai Ministeri del Tesoro e dell'Industria e Commercio ad una Societ italiana per un danno di guerra consistente nella confisca da P.arte degli U. S. A., a danno di detta Societ, dei canoni m!iturati nel periodo bellico per lo sfruttamento di un brevetto della Societ stessa (n. 31). I.G.E. Prova del presupposto tributario. Se possa essere assoggettabile ad I. G. E. una ~ttivit svolta. in c