ANNO XXXII N. 1 GENNAIO-FEBBRAIO ANNO XXXII N. 1 GENNAIO-FEBBRAIO RASSEGNA DELL'AVVOCATURA .DELLO STATO Pubblicazione bimestrale di servizio ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO ROMA 1980 ABBONAMENTI ANNO 1980 ANNO .............................. L. '20.000 UN Nl.'MERO SEPARATO 3.500 Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: ISTITUTO POLIGRAFICO EZECCA DELLO STATO Direzione Commerciale -Piazza G. Verdi, 10 -00100 Roma e/e postale n. 387001 Stampato in Italia -Printed in Ital v Autorizzazione Tribunale di Roma -Decreto n 110.89 del 13 luglio 1966 (1219110) Roma, 1980 -Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato P. V. Sezione prima: Sezione seconda: Sezione terza: Sezione quarta: Sezione quinta: Sezione sesta: Sezione settima: Sezione ottava: INDICE Parte prima: GIURISPRUDENZA GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura del/'avv. Franco Favara) GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNA. .ZIONALE (a cura del/'avv. Oscar Fiumara) . GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE (a cura degli avvocati Carlo Carbone, Carlo Sica e Antonio Cingolo) . GIURISPRUDENZA CIVILE (a cura degli avvoctti Adriano Rossi e Antonio Catrical) GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (a cura del/'ovv. Raffaele Tamiozzo) GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA {a cura dell'avvocato Carlo Bofile) GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI (o curo degli avvocati Sergio Lo Porto, Piergiorgio Ferri e Paolo Vittorio} . GIURISPRUDENZA PENALE (o curo del/'ovv. Paolo Di Tarsio Di Be/monte) . pag. 41 80 92 I I 8 129 200 222 Parte seconda: QUESTIONI -LEGISLAZIONE -INDICE BIBLIOGRAFICO CONSULTAZIONI -NOTIZIARIO LEGISLAZIONE pag. CONSULTAZIONI 22 INDICE BIBLIOGRAFICO 37 La pubblicazione diretta dall'avvocato: UGO GARGIULO CORRISPONDENTI DELLA RASSEGNA DELEGATI PRESSO LE SINGOLE AVVOCATURE Avvocati Glauco NoRI, Ancona; Francesco Cocco, Bari; Michele DIPAE, Bologna; Giovanni CONTU, Cagliari; Francesco GUICCIARDI, Genova; Marcello DELLA VALLE, Milano; Carlo BAFILE, L'Aquila; Giuseppe Orazio Russo, Lecce; Raf faele CoNANZI, Napoli; Nicasio MANcuso, Palermo; Rocco BERARDI, Potenza; Francesco ARGAN, Torino; Mauri2lio DE FRANCHIS, Trento; Paolo SCOTTI, Trieste; Gi~ncartlo MANo, Venezia. DiSCORSO DEL PRESIDEN'.fE DEL CONSIGLIO, . ONOREVOLE FRANCESCO COSSIGA, IN OCCASIONE DELLA CERIMONIA UFFICIALE D'INSEDIAMENTO DELL'AVVOCATO GENERALE DELLO STATO, GIUSEPPE . :(\fANZARI Signor Presidente delJa Repubblica, Onorevole Presidente .della Camera dei Deputati, Onorevole Vice Presidente del Senato della Repubblica, Signor Rappresentante della Corte Costituzionale, Signori Magistrati, Signore, Signori, poco pi di tre anni fa espressi, in questa stessa sala Vanvitelli, a nome del Governo e mio personale, il compiacimento pi vivo per la felice ricorrenza del centenario della fondazione dell'Avvocatura dello Stato. Ricordai allora come, in un secolo .di vita, l'Istituto avesse ampliato il suo respiro, passando dalle vesti. erariali di patrocinatore del patrimonio dello Stato, in nome di un diritto privato di tradizione bimillenaria, alle pi differenziate dimensioni di difensore dello Stato in tutte le sue maggiori articolazioni, dinanzi a tutte le Corti ed in nome di tutte fo leggi. Mi sia consentita una parentesi, che forse solo retoricamente una parentesi. In realt nel contesto di un discorso sulle istituzioni, nulla di quanto attiene al funzionamento delle istituzioni medesime e alla difesa dello Stato pu essere considerato parentetico. Lo Stato di cui discorriamo non n la proiezione fiscale di un sovrano assoluto, n la dimensione autoritaria di una oligarchia, n lo strumento di una tirannide, n l'apparato gestionale di una classe dominante. lo Stato democratico, la comunit civile e libera dei cittadini eguali, lo strumento per la pace, la libera convivenza, lo sviluppo del popolo. Le leggi di questo Stato non sono la manifestazione dell'arbitrio ma del Parlamento, espressione della sovranit popolare. Le istituzioni di questo Stato sono i cardini della vita giuridica, .amministrativa, civile della Comunit. VI RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO L'offesa allo Stato, alle sue leggi, alle sue istituzioni, agli uomini che le difendono, che difendono la pace e l'ordin<;Lta convivenza civile, non sono crimini di lesa maest; sono crimini contro il popolo e contro la democrazia. Ed un altro crimine contro il Popolo, contro la democrazia, stato perpetrato con ferocia, questa mattina, quando un gruppo di banditi -perch di banditi si tratta, essendo per essi ormai consumato persino il nome di terroristi, se come sembra al terrorismo il fatto delittuoso sia da ascrivere -ha ucciso due carabinieri a Sampierdarena. La ommozione profonda in me sopraffatta dalla violenza dello sdegno. Credo di interpretare il sentimento di voi tutti, e soprattutte il Suo sentimento, Signor Presidente della Repubblica, cos sempre vi-. cino alle istituzioni dello Stato e agli uomini che per esso .combattono, chiedendo un momento di raccoglimento, quale atto di solidariet all'Arma dei Carabinieri e a tutte le forze dell'ordine. Da questo raccoglimento troviamo tutti vigore nel compiere il nostro dovere per il Paese, come essi oggi l'hanno compito. Il Governo continuer nella sua lotta contro il terrore e il crimine, lotta che non n breve, n facile. Lotta che richiede una reale solidariet nazionale, al di l delle posizioni anche conflittuali, ordinatamente conflittuali, delle forze politiche e delle forze sociali. Che nessuno, per nostra imprudenza o per nostra disattenzione, per qualche nostro atteggiamento non meditato, possa pensare sia possibile aprire brecce nell'unit morale e civile dei cittadini, degli intellettuali, degli operai, dei contadini, degli imprenditori, dei lavoratori, di tutti, dei giovani e delle donne, nell'unit morale e civile del popolo itaUano attorno alla Repubblica. e alle sue istituzioni. Sono lieto, anche se questo mio sentimento certamente offuscato dai fatti dolorosi di questa mattina, e sono profondamente onorato oggi di rinnovare l'incontro con l'Avvocatura in occasione dell'insediamento dell'Avvocato Generale dello Stato, chiamato all'alto incarico dal Governo che ho qui l:onore di rappresentare. Questa Istituzione -l'Avvocatura dello Stato - nata da una delle prime riforme democratiche e progressiste dell'Italia unit; ed per questo che essa ha saputo adeguarsi di volta in volta alle nuove realt di un Paese sempre in trasformazione. , Prova della sua vitalit l'avere con coerenza cercato di inter pretare. il sistema normativo superando lettera -propria di qualunque legge riattivazione del suo valore-simbolo, allo attuali esigenze. una certa opacit della e ci per giungere alla scopo di ancorarlo alle ., t ~ .........,,.,~.J ' ! ~ DISCORSO DEL PRESIDENTE DEL CONSlGLIO, ON. FRANCESCO cOSSIGA La nomina dell'Avvocato Generale, che oggi ho il piacere di salutare ---.. anche per i sentimenti di amicizia e di stima personale che a lui da tanto tempo mi legano e per il lungo periodo di collaborazione, periodo che io considero fondamentale per la mia vita politica e di uomo -segue di poco l'approvazione, ad opera del Parlamento, di. ima legge di riforma dell'ordinamento dell'Avvocatura. Si tratta di una legge che, ponendosi nella linea di tendenza dell'ultimo trentennio e nel solco dei principi ispiratori della Costituzione repubblicana, amplia notevolmente i compiti dell'Istituto e ne modernizza l'organizzazione. Vintroduzione del principio di collegialit, 4,nfatti, mette in sintonia l'Istituto con quelle strutture democratiche che vedono la libert come la risultante di un saper rendersi liberi. Questa compe-. tenza alla libert si acquista solo tramite un continuo esercizio cognitivo interindividuale, che assume spesso anche la forma del confronto. E la nuova normativa, nata dal ttavaglio di pi legislature, nel riaffermare il caratter professionale dell'Istituto, gli offre la possibilit di rapportarsi a se stesso ed allo Stato in un modo molto pi sofisticato ed efficace. . L'Avvocatura dello Stato si pone nel nostro ordinamento come organo dello Stato-persona (per accettare quella distinzione che viene fatta dai giuristi moderni). Stato-persona e Stato-Comunit che non sono entit antitetiche fra loro, ma sono due modi di essere ugualmente .necessari perch la vita della Comunit possa procedere su basi di libert e di uguaglianza. Libert e uguaglianza che hanno il loro ancoraggio pi profondo nella certezza del diritto. Essere organo dello Stato-persona non significa essere di per s in antitesi con lo Stato-Comunit, n significa essere preda deltarbitrio dei governanti. Nella nostra organizzazione dello Stato-persona ha il suo ruolo primario il Parlamento, hanno un toro ruolo importante il Governo, la Pubblica Amministrazione e in essa l'Avvocatura .dello Stato, come momento necessario ad ogni .societ che voglia progredire, come momento di proposta, di attuazione, di iniziativa e di stimolo, nella insostituibile funzione di Governo. Dire queste cose significa nori voler rivendicare al potere esecutivo una qualsiasi competenza, ma la competenza che in un ordinato svolgimento della vita democratica gli fatta propria della Costituzione della Repubblica. L'Avvocatura dello Stato, un corpo professionale di giuristi al servizio dello Stato, organ insostituibile per l'attivit del Governo. E il Governo di essa, peraltro rispettando quelle che sono altre competenze istituzionali in materia consultiva, deve avvalersi nel momento interno della formazione della sua attivit amministrativa. VIII RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Al. Presidente Manzari -che oggi viene formalmente insediato nell'alta carica di Avvocato Generale -spetter l'impegftativo compito di guidare l'Avvocatura dello Stato nel periodo delicato della prima applicazione della legge di riforma. Dalla conoscenza che ritengo di avere dell'uno e dell'altra traggo sicuro auspicio di successo e garanzia per il Governo della Repubblica di poter trovare nell'Istituto la giusta e tempestiv risposta ad ogni domanda di ausilio tecnico che il rapido divenire della societ render di volta in volta necessario. Al Presidente Manzari, a tutti gli appartenenti all'Avvocatura dello Stato, rivolgo 1,1n pensiero di fiducia da parte del Governo e formulo l'augurio di una sempre pi intensa, capace attivit al servizio delle nostre istituzioni. 21 novembre 1979 DISCORSO PRONUNCIATO DALL'AVVOCATO GENERALE DELLO STATO GIUSEPPE MANZARI NELLA CERIMONIA D'INSEDIAMENTO Signor Presidente della Repubblica, mi consenta innanzitutto di associarmi alle parole pronunciate dal Presidente del Consiglio dei Ministri per l'efferato crimine bggi commesso, con il quale si voluto ancora una volta colpire lo Stato e ledere il bene della pacifica convivenza. Intendo esprimere a nome mio personale e dell'Avvocatura dello Stato, la pi profonda commozione per le vite umane stroncate, la pi ferma condanna per il delitto commesso e insieme la fiducia che il Paese sapr trovare nel diritto e nelle civili istituzioni la forza di vincere sanguinarie ed insensate spinte eversive. Desidero quindi, Signor Presidente della Repubblica, rivolgere a Lei, anche a nome dei colleghi e del personale dell'Avvocatura dello Stato, il pi vivo e profondo ringraziamento per aver voluto onorare con la Sua presenza questo Istituto in occasione del mio insediamento ufficiale nell'alta responsabilit della carica di Avvocato Generale dello Stato. Lo stesso ringraziamento rivolgo al Signor Vice Presidente del Senato della Repubblica, alla Signora Presidente della Camera dei Deputati, al Signor Presidente del Consiglio dei Ministri, al rappresentante della Corte Costituzionale, ai Signori Ministri, al Signor Presidente del Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro, ai Signori Presidenti della Suprema Corte di Cassazione, del Consiglio di Stato, della Corte dei Conti, ai rappresentanti del Consiglio Nazionale. delle Ricerche, dei Tribunali Amministrativi Regionali, delle Forze Armate, della Pubblica Amministrazione, dei Corpi Accademiei, ai colleghi dell'Avvocatura dello Stato e degli ordini forensi ed a tutti coloro che hanno voluto, con la loro partecipazione, onorare questo Istituto. Un saluto particolare desidero rivolgere a nome di tutti gli avvocati dello Stato a Sua Eccellenza l'Avvocato Giovanni Zappal, che per tanti anni ha prestigiosamente retto il nostro I stituto, ed al quale ho l'onore ed il privilegio di succedere. .,. X RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Nella solennit che a questa cerimonia conferisce la presenza del Capo dello Stato, nelle parole che il Presidente del Consiglio -cui devo il mio profondo ringraziamento per la fiducia accordatami -si compiaciuto indirizzarmi, nella partecipazione di cos alte rappresentanze delle Supreme magistrature, di tanti illustri personaggi e colleghi, mi sia consentito cogliere un augurio di buon lavoro . Un augurio che mi particolarmente gradito pr. la cpnsapevolezza che ho della gravit dei miei compiti e delle responsabilit che assumo verso le Istituzioni dello Stato, verso la Comunit nazionale; verso i colleghi ed il personale dell'Istituto, tra i quali torno, con non celata commozione, per riprendere un gi consueto e , comune lavoro. A questo intendo dedicare tutto il mio impegno, che mi auguro pari alle mie nuove e maggiori responsabilit, con l'entusiasmo, la volont e la fiducia con cui, nel lontano 1946, al termine di un quinquennio di servizio militare, contraevo con l'Istituto il vincolo di appartenenza attraverso il concorso a procuratore e successiva- mente ad avvocato dello Stato. Nel riannodare questo vincolo, il mio animo commosso da due ricordi. Ebbi la ventura di avere come mio esaminatore, nel conorso ad avvocato, Arturo Carlo ]emolo. Al termine della discussione orale della tesi assegnatami, egli, pur elogiando la mia dissertazione ed approvandone gli. spunti critici, mi esort ad accostarmi sempre con attenta riverenza alla pronuncia del Magistrato, che deve trarre dalla tensione dialettica del contraddittorio la sofferta ed ardua sintesi del giudizio, nell'esercizio di una altissima funzione. L'altro mio ricordo si volge a tanti, il cui nome desidero custodire nella memoria e che nell'Istituto allora mi accolsero comunicandomi, con lo ~tile professionale e l'esempio di vita, il senso profondo e incancellabile di una prestigiosa tradizione, fatta di alta levatura dottrinale e di grande dignit morale. Una tradizione che mio supremo dovere concorrere a custodire ed a trasmettere ai pi giovani colleghi. E' proprio l'incontro con questi che m'incoraggia nel mio impegno, grazie anche al generoso apporto di alcuni dei colleghi valerosissimi, che ho ricordato, a cui si aggiungono i molti altri che hanno via via arricchito il patrimonio umano dell'Istituto. Ho sentito dai giovani l'attesa e la fiducia, che mi carica di una ulteriore pi pesante responsabilit, che si realizzino le condizioni per compiere con pienezza di risultati il loro lavoro, nell'assolvimento del loro impegno e nel rispetto della loro dignit professionale, che vogliono esercitare negli stimolanti incontri e confronti dell'attivit forense e della consulenza legale. DISCORSO PRONUNCIATO DALL'AVV. GIUSEPPE MANZARI XI Una felice apertura su questa prospettiva offre la legge n. 103 del 1979, recante modifiche all'ordinamento dell'Avvocatura, la quale ha opportunamente accentuato l'affrancamento dai riflessi burocra.tici della composita figura dell'avvocato dello Stato. Questa non pi ordinata in un complesso gerarchico di qualifiche, ma unitariamente concepita in ragione dell'identit .della funzone. Correlativamente la capacit di intuizioni e di apporti personali viene esaltata dalla previsione di forme di collegialit che, sostituendosi all'incongruo strumento della subordinazione gerarchica, mantengono la di gnit del connotato professionale, pur assicurando la necessaria e razionale unitariet di guida e di' indirizzo, tanto da garantire il costante riferimento di tale connotato all'altro, che dell'Istituto proprio, e che si esprime nel vincolo istituzionale del pubblico servizio, quale momento differenziale e tipizzante rispetto alla libera attivit professionale. Uso a ragion veduta questa espressione libera attivit professionale , invece di quella corrente di attivit del libero Foro, che ni1 ha sempre colpito per la sua involontaria tautologia. Quando, infatti, il Foro -come deve essere e come fortunatamente per noi ~terreno di incontro e di scontro di opposte opiniOni, sottopo.ste all'esame di un giudice indipendente ed imparziale, la libert valore con esso coessenziale, perch, ad un tempo, lo presuppone e. ne corollario. Il difensore dello Stato portatore, rispetto a questa libert professional di una limitazione e di un arricchimento: non solo, infatti, egli deve assolvere il suo dovere sul piano professionale, ma deve anche integrare tale compito con l'adempimento dell'ulteriore dovere, che gli deriva dall'appartenenza ad una pubblica istituzione, qual , nel suo attuale ordinamento, l'Avvocatura dello Stato. Questa , oggi, costruita in posizione di autonomia e indipendenza funzionale di fronte ad ogni singola amministrazione. Essa, os, adempiendo lla difesa degli organi dell'apparato dello Stato (inteso in senso lato, comprensivo di altre istituzioni pubbliche e di articolazioni costituzionali come le Regioni), deve sempre cercare la collimanza degli interessi secondari e settoriali, affidati alle sue cur con gli interessi primari ed essenziali della Comunit, al cui servizio l'Avvocatura dello Stato posta dalla legge nel sistema unitario e indivisibile in cui si compendia lo Stato-ordinamento. Non pu, dunque; mai prevalre nell'attivit di difesa dell'Av vocatura l'interesse contingente, secondario e settoriale, su quello generale e primario di realizzazione della giustizia. Rispetto alla difesa privata, l'Avvocatura dello Stato adempie, dunque, a un ulteriore e pi grave compito, quello di attiva collaborazione alla realizzazione della giustizia nell'amministrazione. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO XII La matrice lorenese dell'Istituto, di schietta ispirazione illuministica, lo finalizza, infatti, ad una garanzia di legalit dell'azione amministrativa: l'Avvocato Regio di Toscana aveva la funzione di tutelare in veste neutra ed imparziale l'osservanza della legge, sia in sede di giustizia ritenuta che in sede di giustizia delegata. Tanto, poi, nel nome di una morale della cosa pubblica che lo accomunava all'Ombudsman scandinavo nella simile matrice etico-religiosa: giansenista l'una, protestante l'altra. E l'Avvocatura dello Stato Italiano, innestandosi direttamente sul ceppo toscano, eredit -pur nella diversit delle istituzioni una vocazione spiccatamente legalitaria e giustiziale. E questa esercit anche negli anni difficili in cui lo spirito autoritario dei tempi tendeva a privilegiare gli interessi contingenti dello Stato-apparato. L'Istituto trov sempre modo di tutelare, accanto e al di sopra di esso, quello immanente della giustizia. Non v' dubbio, poi, che la Costituzione repubblicana e l'evolversi dell'ordinamento interno ed internazionale nel periodo postbellico, hanno istituzionalizzato e potenziato questa vocazione giustiziale. Ci non significa certamente che l'avvocato dello Stato possa trasformarsi in giudice, compromettendo o disertan.do il dovere di assicurare la normale dialettica processuale, o sovrapponendo le sue valutazioni a quelle di competenza del potere esecutivo, il quale peraltro nelle sue varie articolazioni il primo destinatario e protagonista del dovere di osservanza della giustizia nell'azione amministrativa. La verit che ad una soddisfacente visione dei compiti e delle funzioni dell'Avvocatura non pu prvenirsi se si concentra l'attenzione sul momento contenzioso. L'attivit dell'Avvocatura si svolge, invero, in un arco molto pi vasto, che va considerato unitariamente, se!'lza possibilit di fratture tra funzione contenziosa e funzione consultiva, L'una e l'altra devono concorrere a garantire la tutela degli interessi di cui sono portatori gli organi della Pubblica Amministrazione nel rispetto della ragione, immanente e primaria, della giustizia. E' questo il problema centrale, che continuamente si ripropone: quello del contemporaneo ed equilibrato soddisfacimento dell'esigenza di tutela tanto degli interessi pubblici settoriali o secondari quanto dell'interesse primario di giustizia. Non si tratta di una questione astrattamente suscettibile di soluzioni definitorie, ma del costante quotidiano travaglio nel quale devono affinarsi la coscienza e l'impegno dell'Avvocato dello Stato. Una linea di continua ricerca nella quale lo strumento di convinzion.e sar sempre' e soltanto la logica del sapere e l'onest del volere, mai l'esercizio del potere. Vi sono, nella storia, forme istituzionali che realizzano felici intui zioni che il processo del tempo e l'evoluzione della coscienza sociale I . I 1111111r&lfi11:11111~11=i1;11111~1rt1=:firirjifi~:f1111rrfrrifft!i(irririlr@!rflit11t11:~::rg~llf~r1111,:11r111r1111rr@!rr@frt!f&iftllllllit11l DISCORSO PRONUNCIATO DALL'AVV. GIUSEPPE MANZARI Xlll vanno via via scoprendo in tutta la loro potenziale ricchezza. E' un processo inverso a quello dell'archeologia, attenendo non alla riscoperta del passato ma ad una sorta di predeterminazione del modo di farsi del futuro. L'Avvocatura stata felicemente concepita con questa sua anima, con questa sua aristotelica entelechia, che la rende capace di crescere insieme con la crescita della societ, in modo da rispondere all'esigenza tecnica della difesa legale dell'apparapo dello Stato e da dare, al tempo stesso, una risposta leale ed appagante alla domanda di giustizia nell'azione pubblica. Una domanda che, quanto pi l'azione pubblica si estende a permeare tutto il tessuto della vita sociale ed economica del Paese, pi imperiosamente e diffusamente radicata nella coscienza civile, non soltanto sul piano interno ma anche internazionale. L'Avvocatura dello Stato non detiene il potere: n quello esecutivo, che appartiene al Governo e all'apparato dell'Amministrazione, n quello giurisdit.ionale, che appartiene alle Magistrature. E tuttavia esercita un ruolo di altissima dignit, quello della persuasione, che 'il difensore dello Stato pu trarre, in sede contenziosa, come in sede consultiva, solo dalla sua scienza ed esperienza professionale e dall'indipendenza ed imparzialit della sua coscienza. Un'attivit di consulenza svolta in spirito di obbiettivit e d'imparzialit pu valere a garantire l'efficacia e la tempestivit dell'azione amministrativa, indirizzandola in concreto verso gli obbiettivi del pubblico bene nel rispetto della libert e delle ragioni che l'ordinamento assicura agli altri soggetti. Ci consente di utilizzare, secondo le pi moderne pratiche ed intuizioni, lo strumento della prevenzione per ridurre la litigiosit e rendere pi efficace la difesa dello Stato quando sia inevitabile giungere alla contestazione, alla soluzione litigiosa. La consulenza dell'Avvocatura pu essere meglio aderente al caso per caso, la sua posizione pu essere, nei limiti della disponibilit dei diritti, pi flessibile e compromissoria. Ed anche a prescindere dall'utilit di coltivare, in via preventiva, la soluzione amichevole, l'abbandono di una pretesa ingiusta o, al contrario l'insistenza senza debolezza in quella ritenuta giusta, sono scelte di cui l'organo legale dello Stato deve assumere la responsabilit in vista del compito che ad esso necessariamente compete della difesa in sede giudiziaria, tanto che il parere tecnico giuridico dell'Avvocato Generale deve prevalere su quello dell'Amministrazione interessata. Nel senso indicato, la funzione si diversifica dall'intervento consultivo, altrettanto essenziale, di altri organi, primo tra tutti il Consiglio di Stato, in quelle che sono le sue caratteristiche connotazioni, Xl V RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO sottolineate nella sua lucida e precisa allocuzione dal Presidente Levi Sandri. A Lui mi grato esprimere in questa occasione il mio fervido attaccamento all'Istituto, che egli con tanta dignit rappresenta, . ed al quale mi onoro di aver appartenuto. Vi ho contratto un debito di cui serbo viva e profonda gratitudine, per l'arricchimento intellet-. tuale e spirituale ricevuto da colleghi valorosissimi, di cui ho portato con me il gradito ed ammirato ricordo. In quest spirito desidero sviluppare la pi rispettosa e proficua collaborazione con quella e con ogni altra magistratura, cui l'Avvocatura chiamata a dare il contributo del suo servizio in sede defensionale. In relazione a quanto considerato al riguardo delle responsabilit dell'organo legale dello Stato in materia consultiva e contenziosa, risulta posto in luce come il parere tecnico giuri>, ScoGNAMIGLIO, Il danno morale, in Riv. dir. civ., 1957, I, m. SuJ1'argomento, cfr., da ultimo, REFERZA, Cenni sul danno biologico, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1979, 407. CORTE COSTITUZIONALE, 26 luglio 1979, n. 92 -Pres. Amadei -Rel. Buociarelli Uucci -Battistini (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Carafa). Poste e t;elecomunicazioni Inoltro di stampe pornografiche Divieto Legittimit costituzionale. (Cost., art. 21; d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 11). Il legislatore non pu ignorare di dover provvedere, in ordine alla organizzazione del servizio postale e nello stabilire le condizioni perch i singoli possano valersene, a tutelare l'interesse della collettivit al fine RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 10 di impedire che il servizio pubblico costituisca uno strumento che faciliti la consumazione di reati; l'art. 11 del d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, non contrasta pertanto con l'art. 21 Cost . .(omissis) La Co:rite chiamata a .decidere se l'art. 11 del d.P.R. del 29 marzo 1973, n. 156, contenente la nuova disciplina del non inoltro delle corrispondenze postali vietate, contrasti o meno con l'art. 21, secondo, terzo, quarto e sesto comma della Costituzione. La norma impugnata, equiparando alla corrispondenza la stampa inviata per mezzo del servizio postale, e assoggettando questa ultima, quando aperta, ad un controllo, devoluto all'autorit giudiziaria, in ordine alla non ammissione al servizio stesso dell'utente che intenda valersene per recapitare stampe contrarie al buon costume, potrebbe rappresentare, secondo il giudice a quo, una limitazione alla diffusione della stampa e pertanto verrebbe a contrastare con il divieto di autorizzazioni o di censure stabilito dal secondo comma dell'art. 21 Cost. La questione non fondata. Va innanzitutto rilevato che la norma impugnata, contenuta nel testo unico delle leggi in materia postale, di bancoposta e di telecomunica~ zioni, si inserisce in un complesso normativo volto a disciplinare le condizioni cui i privati devono sottostare per poter fruire di un pubblico servizio, svolto dallo Stato nell'interesse della collettivit. Se pertanto devono essere prese nella debita considerazione le domande del cittadino che chiede di fruire del servizio stesso, il legislatore non pu ignorare di dover nel contempo provvedere, in ordine alla organizzazione del servizio e nello stabilire le condizioni perch i singoli possano valersene, a tutelare l'interesse della collettivit al fine evidente e giustificato di impedire che il servizio pubblico costituisca uno strumento che faciliti la consumazione di reati, di attentati alla sicurezza pubblica, o un mezzo di diffusione (a tariffa agevolata), di pubblicazioni di per s vietate dall'ordinamento perch contrarie al buon costume. N pu tralasciarsi, in proposito, che l'Italia si impegnata internazionalmente, per effetto della Convenzione postale universale, a non inoltrare oggetti osceni o immorali, la cui spedizione espressamente vietata (cfr. da ultimo art. 33 del d.P.R. 5 dicembre 1975, n. 684, che l'ha resa esecutiva all'interno), come pure, per effetto di successive convenzioni internazionali in materia di telecomunicazioni, l'Amministrazione pubblica obbligata a fermare la trasmissione dei telegrammi contrari, tra l'altro, al buon costume (cfr. art. 19 legge 7 ottobre 1977, n. 790). La disposizione impugnata va pertanto inquadrata nell'ambito della disciplina di un pubblico servizio. Il godimento di tale servizio pu essere legittimamente negato soltanto con riferimento a pubblicazioni vietate dalla stessa Costituzione ed a seguito di una complessa procedura giurisdizionale -posta a garanzia delle libert individuali -articolantesi in PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 11 un decreto del pretore, reclamabile innanzi al tribunale, che decide, in contraddittorio degli interessi, con sentenza, suscettibile, a sua volta, di ricorso in Cassazione. Che tale complessa procedura giudiziaria relativa al non inoltro, di una singola copia, o di pi copie, di giornali o stampe inviate per corrispondenza, possa rientrare tra le autorizzazioni o le censure, vietate dall'art. 21 Cost., sembra assai difficile ammettere, costituendo detti ultimi provvedimenti discrezionali istituti ben noti e tipici del diritto pubblico, le cui caratteristiche essenziali sono state da tempo illustrate dalla prevalente dottrina e dalla stessa giurisprudenza di questa Corte. Neppure configurabile una assimilazione, in via di fatto, del non inoltro di una o pi copie dello stampato a tali provvedimenti, sol che si consideri l'amplissima portata connaturale a questi ultimi, che preclusiva di ogni libert di stampa. Da quanto precede risulta altres l'estraneit alla norma impugnata delle altre disposizioni costituzionali di raffronto, che non sono pertinenti alla disciplina censurata -concernente la regolamentazione di un pubblico servizio -e non risultano quindi violate. (omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 8 novembre 1979, n. 126 -Pres. Amadei - Rel. Astuti -Blasich ed altri (n.p.) c. Ministero delle Finanze e Presidente del Consiglio dei Ministri (avv. Stato Angelini Rota). Tributi locali -Imposta sull'incremento di valore degli immobili -Base imponibile -Mancata depurazione degli incrementi dipendenti dalla svalutazione della moneta -IIJ.egittimit costituzionale -Esclusione. (Cast., art. 53; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, artt. 2, 4, 6, 7, 15 e 16). Tributi locali -Imposta sull'incremento di valore degli immobili -Base imponibile -Sistema delle detrazioni -Illegittimit costituzionale. (Cast. art. 3; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 14; I. 16 dicembre 1977, n. 904, art. 8). Non fondata, con riferimento all'art. 53 della Costituzione, la questione di legittimit costituzionale dei criteri legali di applicazione della imposta sull'incremento di valore degli immobili, pur in mancanza di formule di indicizzazione o rivalutazione idonee a depurare la base imponibile netta dell'incremento dovuto alla svalutazione della moneta (1). (1-2) iSi tratta deMa nota sentenza con cui la Corte Costituzionale ha deciso Je numerosissime questioni di costuzionalit sollevate daHe Commissioni triibutanie nei confronti de11'I.N.V.I.M. per effetto deL1a svalutazione monetaria in atto. La afferma.one contenuta :ne1Ia prima massima e la relativa motivazione hanno un rilievo che trascende la particolarit de1I'imposta in discussione ed anche :LL pi generale problema della imposizione suHe plusvalenze. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 12 Sono costituzionalmente illegittime, in relazione all'art. 3 della Costituzione, le norme dell'art. 14 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, e dell'art. 8 della legge 16 dicembre 1977, n. 904, le quali, per la determinazione del valore imponibile netto soggetto alla imposta sull'incremento di valore degli immobili stabiliscono un sistema di detrazioni percentuali fisse commisurate al numero degli anni o frazioni d'anno considerati per il calcolo della differenza fra valore finale e valore iniziale (2). (omissis) Scendendo all'esame delle diverse questioni, giova premettere qualche considerazione circa l'oggetto e i presupposti del tributo, per un corretto approccio di fronte a taluni rilievi critici tanto banali quanto diffusi, che in alcune ordinanze di rimessione hanno trovato immeritato accoglimento. L'esigenza della imposizione fiscale sull'incremento di valore degli immobili non certo una novit, n una singolarit del vigente sistema tributario italiano. Oltre al rilievo attribuito alle plusvalenze in genere, all'atto della realizzazione o della iscrizione in bilancio ai fini delle imposte dirette, in quanto esse siano ricollegabili a finalit speculative, reali o presunte, in molti Paesi stata largamente riconosciuta, fin dal secolo scorso, l'esigenza di assoggettare a prelievo fiscale l'effettiva v:ariazione del valore di mercato dei beni immobili, e in specie dei terreni fabbricabili, in quanto non ricollegabile ad iniziative, attivit ed investimenti dei proprietari, ma derivante dalla espansione degli agglomerati urbani, da nuovi insediamenti industriali o turistici, e dal complesso delle opere pubbliche connesse a tali sviluppi, nonch da contingenti e spesso imponenti fenomeni di speculazione immobiliare. La Cotte ha infatti tenuto fermo, pur in una situazione di non lieve infilazione, il principio per cui giuridicamente rilevante , salva diversa e speciale disposizione di Jegge, dl valore nominale (art. 1277 cod. civ.) de11a moneta avente corso legale nello Stato (esplicito il richiamo allo intero regime de11e obbligazioni pecuniarie); e su tale principio ha basato la sentenza ~n rassegna (che avrebbe potuto essere basata anche su diverse considerazioni quali quelle rimvenibi:li nella necessit di una perequazione tra beni immobili, al riparo dalla inflazione, e capitaLi espressi in moneta). Conseguenzialmente la Corte ha riconosciuto al legislatore ordinario una ampia discrezionalit nel governo de1la moneta, discrezionalit che pera1tro si vuole temperata dal dov.ere -in situazioni di particoJare gravit -di correggere o e1iminare conseguenze inique o eccessivamente onerose non solo nella imposizione tributaria ma anche nella discip1ina dei rapporti tra soggetti privati (frase questa ultima che sembra comprendere anche li rapporti di lavoro). A1la dichiarazione di incostituzionalit del sistema de11e detrazioni, disci plinato dall'art. 14 del decreto n. 643 del 1972 e dall'art. 8 della legge n. 904 del 1977, stato prontamente ovviato, con efficacia anche retroattiva, me diante ,i} d.l. 21 novembre 1979 n. 571, convertito con modificazioni nella legge 12 gennaio 1980 n. 2, che ha investito il precedente regime de1le aliquote e comportato La totale modifica anche dell'art. 15 del decreto n. 643. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Sen2la ricordare altri esempi ben noti nella legislazione straniera ed anche italiana, sar qui sufficiente far richiamo agli immediati precedenti dell'imposta ora in vigore: il contributo di miglioria generica, disciplinato dagli artt. 236 e seguenti del t.u. per la finanza locale, approvato con r.d. 14 settembre 1931, n. 1175, e la imposta sull'incremento di valore delle aree fabbricabili, istituita con Ira legge 5 marzo 1963, n. 246, in correlazione con l'accelerata espansione urbanistica verificatasi nel nostro Paese nel periodo della ricostruzione post-bellica e con i connessi cospicui fatti speculativi, spesso contrastanti con le esigenze di sviluppo dell'edilizia economica e popolare. Non quindi possibile porre in dubbio la giustificazione fondamentale dell'imposta di cui causa, diretta a colpire incrementi di valore non di rado vistosi, dovuti al concorso di fattori oggettivi, o esterni, indipendenti da iniziative dei singoli soggetti privati, e in larga misura legati all'insieme dei lavori e servizi pubblici eseguiti a spese dello Stato e degli enti locali, talch gli incrementi in questione sono stati qualificati da autorevoli studiosi dell'economia politica come valore pubblico, pertinente alla collettivit e non ai privati proprietari che pur ne traggono gratuito beneficio. Questo incremento dei valori immobiliari, che di per s costituisce sicuro indice di capacit contributiva, riceve ulteriore impulso dalla svalutazione della moneta, impulso tanto maggiore quanto pi intenso e rapido si manifesta il processo inflattivo. Ed ovvio che l'incidenza della svalutazione assume particolare rilievo, in rapporto ,alla pressione fisoale, sia quando trattisi di imposte caratterizzate da progressivit di aliquote, sia soprattutto quando il tributo, come accade appunto per l'INVIM, venga applicato sulla base di un valore imponibile determinato dalla differenza tra due valori monetari accertati in tempi diversi, ossia corrispondenti 1a monete aventi diverso potere d'acquisto. Da questa constatazione non consegue tuttavia che la presenza del fattore inflattivo debba costituire ostacolo all'applicazione d'una imposta sul plusvalore degli immobili, n che il legislatore possa essere tenuto a depurare gli incrementi di valore imponibile della componente imputabile alla svalutazione della moneta, mediante formule di indicizzazione o di integrale rivalutazione, in contrasto con i princpi a cui si ispira non solo il vigente sistema tributario, ma l'intero regime delle obbligazioni pecuniarie, corrispondente 1alle esigenze di una economia sviluppata in cui la moneta indispensabile misura dei valori di mercato. Con ci non si intende ovviamente escludere che il legislatore possa o, in casi di particolare gravit, debba tener conto degli effetti conseguenti ai processi di svalutazione monetaria, per correggere o eliminare conseguenze inique o eccessivamente onerose, sia nella disciplina dei rapporti tra soggetti privati, sia in quella relativa alle obbligazioni tribu RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO tarie. Questo di fatto avvenuto anche nel nostro Paese, e non occorre ricordare qui esempi ben noti di interventi legislativi pi o meno recenti, diretti a ricondurre ad equit rapporti giuridici pubblici e privati, o almeno ad attenuare talune conseguenze pi gravi del deprezzamento della moneta avente corso legale. Ma questi interventi sono stati sempre il frutto di scelte politiche, riservate alla discrezionalit del potere legislativo, al quale compete di provvedere in s delicata materia, sulla base di valutazioni di ordine politico, sociale, economico, finanziario, che sfuggono di massima al sindacato di legittimit affidato a questa Corte. Anche nel campo della legislazione tributaria questa discrezionalit di scelte politiche non contestabile, sia sul piiano generale della distribuzione del carico fiscale tra le diverse categorie di contribuenti, sia su quello settoriale dell'applicazione delle diverse imposte dirette e indirette. E per quanto concerne in specie il tributo di cui causa, mentre appare incontestabile la piena legittimit della imposizione diretta a colpire gli effettivi incrementi di valore degli immobili, deve altres ritenersi non sindacabile in questa sede la disciplina normativa dei presupposti e criteri di applicazione del tributo, in relazione agli effetti della svalutazione della moneta, nemmeno sotto il profilo di una sopravvenuta incostituzionalit. Del resto, il legislatore nel1a statuizione dei criteri per la determinazione dell'incremento di valore imponibile non ha ignorato il fenomeno della svalutazione, anzi, -come risulta dai lavori parlamentari e in specie dalle relazioni sul decreto delegato istitutivo del tributo e sulla successiva legge n. 904 del 1977 -, ha introdotto le detrazioni del 4% e poi del 10% annuo, anche nel fine, seppure non esclusivo, di assorbire gli incrementi attribuibili allo strumento della moneta . Cos stando le cose, deve ritenersi non fondata la questione di costituzionalit proposta in riferimento all'art. 53 Cost., sotto il profilo della mancanza di un congegno di integrale conguaglio monetario tra valore iniziale e valore finale, idoneo a depurare la base imponibile netta dell'incremento dovuto alla svalutazione. Il principio sancito dal Costituente, per cui tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione del1a loro capacit contributiva , -principio che si ricollega ad una solenne enunciativa contenuta gi nell'art. 25 dello Statuto albertino, e di cui questa Corte ha pi volte chiarito il significato -, non pu sicuramente dirsi violato solo per il fatto che una fluttuazione del valore della moneta abbia accresciuto l'incidenza fiscale di un tributo, pur nella incontestabile presenza di una effettiva capacit del contribuente. Anche la semplice sussistenza di effetti distorsivi nell'applicazione di una imposta, imputabile alla svalutazione monetaria, non pu, di regola, considerarsi di per s costituzionalmente rilevante e quindi sindacabile, semprech tali effetti non comportino la violazione di qualche principio costituzionale, ovvero non determinino un sicuro travalicamento del normale ambito PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE di discrezionalit che la Costituzione riserva alle scelte del legislatore ordinario. Infondata sotto il profilo dianzi esaminato, in riferimento al parametro fornito dall'art. 53 Cost., la questione deve peraltro dichiararsi fondata sotto il secondo e diverso profilo della violazione del principio di eguaglianza, comunemente prospettata dalle ordinanze di rimessione nei termini gi sopra riferiti al n. 2, e con espresso richiamo a diverse concrete situazioni di disparit di trattamento. Se, come gi si ricordato, spetta al legislatore di valutare quando e come si debba tener conto della incidenza della svalutazione della moneta nell'applicazione di un tributo, non v' dubbio che, effettuata una scelta politica nell'esercizio della sua discrezionalit, logica vuole che il legislatore stesso attui poi con coerenza il criterio prescelto, medi;ante una disciplina normativa idonea al conseguimento del fine voluto. Diversamente, ove l'incoerenza fosse tale da determinare irrazionali discriminazioni, la legge risulterebbe viziata non solo nel merito, ma anche sotto il profilo della legittimit costituzionale. Ora, per quanto concerne in specie l'imposta in esame, non sussiste incertezza tanto sullo scopo perseguito, di colpire incrementi di valore dipendenti da fattori obbiettivi estranei all'attivit dei proprietari, quanto sulla fondamentale esigenza di assicurare una corretta applicazione del tributo, conforme non solo al principio della capacit contributiva ma anche a quello della parit di trattamento dei diversi soggetti passivi. Ci emerge con particolare evidenza trattandosi di un tributo che, a differenza dalla generalit delle imposte dirette e indirette, le quali colpiscono con esclusivo riferimento a valori attuali al momento della concreta applicazione, assume quale presupposto, o almeno quale base imponibile, un incremento di valore, considerato come fatto continuo delimitato da due termini di riferimento nel tempo. Senza indugiare qui sulla non facile identificazione della natura e dei presupposti dell'INVIM, in relazione al suo ambito di applicazione soggettivo ed oggettivo, sar sufficiente sottolineare come accanto ai diversi eventi (alienazione, acquisto, possesso decennale) che rendono ardua una definizione unitaria del presupposto, l'incremento di valore degli immobili assuma fondamentale rilevanza nella struttura del tributo, per quanto attiene alla determinazione dell'imponibile sulla base dell'oggettiva variazione di valore nel tempo. In altre parole, l'INVIM, non solo nell'applicazione periodica in base al possesso decennale, ma anche rispetto alle ipotesi di alienazione-acquisto degli immobili, sebbene applicata in occasione del trasferimento, non configurabile come imposta sui trasferimenti, bens come imposta sugli incrementi di valore. Dovendosi individuare l'incremento imponibile come valore differenziale, costituito dalla differenza tra un valore iniziale e un valore finale, era anzitutto necessario stabilire un punto di riferimento temporale RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO a quo per gli acquisti verifioatisi oltre un decennio prima dell'entrata in vigore del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643 (1 gennaio 1973). Il criterio di non risalire oltre il decennio era gi stato accolto dal legislatore nella precedente legge n. 246 del 1963, concernente l'imposta sugli incrementi di valore delle aree fabbricabili: ove era stato stabilito che la dat_a di riferimento alLa quale i singoli comuni intende~sero risalire per la determinazione dell'incremento tassabile non poteva, per regola generale, essere fissata anteriormente al 1 gennaio del terzo anno antecedente a quello di adozione della deliberazione istitutiva dell'imposta (art. 5), disponendo per che i comuni obbligati ad applicare l'imposta, nonch gli altri comuni qualora ubicati in prossimit di un comune con pi di 30.000 abitanti, e compresi nella zona di espansione urbanistica o in un piano intercomunale di quel comune, potevano fissare la data di riferimento fino al 1 gennaio del decimo anno antecedente a quello nel quale avessero adottato la deliberazione istitutiva dell'imposta (art. 25: e si cfr. altres le norme transitorie dettate con gli artt. 48 e 49 per i comuni in cui fosse gi stata in precedenza stabilita l'istituzione del contributo di miglioria generioa). Movendo da queste premesse, l'art. 6, terzo comma, del d.P.R. 643/1972 (modificato dal d.P.R. n. 688/1974), stabilisce che per gli acquisti verificatisi oltre un decennio prima del 1 gennaio 1973 il valore iniziale quello venale che i beni avevano al 1 gennaio 1963 (nel dettato originario: al decimo anno anteriore), ovvero, nel caso di beni per i quali erano applicabili le disposizioni della legge 5 marzo 1963, n. 246, quello che essi avevano alla diversa data stabilita con le deliberazioni previste dagli artt. 5 e 25 della predetta legge. Anche per l'applicazione periodica dell'imposta nei confronti dei soggetti indicati all'art. 3 (e successive modificazioni), analogamente a quanto gi disposto dall'art. 3 della legge n. 246/1963, stato stabilito che essa deve aver luogo al compimento di ciascun decennio dalla data dell'acquisto (art. 3, primo comma, modificato dal d.P.R. n. 688/1974), e l'art. 6, quinto comma, nel testo integrato dal d.P.R. n. 688/1974, aggiunge: Per gli immobili che al 1 gennaio 1975 appartengano alle societ da oltre dieci anni si assumono come valore iniziale e come valore finale i valori venali al 1 gennaio 1965 e al 1 gennaio 1975 . Assunto un periodo di dieci anni quale presupposto temporale per la determinazione dell'incremento di valore imponibile, sia nel caso di alienazione-acquisto, sia nell'applicazione periodica dell'imposta alle societ, rispondeva ad un criterio logico, nel provvedimento istitutivo dell'imposta, fissare l'estremo dies a quo, per gli acquisti risalenti oltre un decennio prima della sua entrata in vigore alla data del 1 gennaio 1963. questo termine iniziale fisso e poi rimasto immutato negli anni, cos d'aver prodotto, e pi ancora da prestarsi a produrre in avvenire, nella PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE applicazione dell'imposta, una abnorme diversa incidenza dell'elemento temporale, creando tra i contribuenti sperequazioni rilevanti, e tanto pi gravi in relazione alla progressivit delle aliquote. Il legislatore ha bens tenuta presente il fattore tempo, ed ha previsto, con riguardo alla diversa ampiezza dell'arco temporale considerato per la determinazione della differenza tra valore finale e valore iniziale, la detrazione dall'incremento di valore -per ogni anno o frazione d'anno superiore al semestre -di una somma pari al 4 % del valore iniziale, maggiorato delle spese di acquisto, di costruzione ed incrementative riferibili al periodo considerato (art. 14 d.P.R. n. 643/1972); detrazione elevata al 10 % per il periodo 1 gennaio 1973-31 dicembre 1979 (art. 8 legge n. 904/1977). Ma queste detrazioni, a prescindere da altri rilievi sul loro regime, che saranno esposti nel seguito, se possono apparire idonee e congrue per correggere le disparit di trattamento nell'ambito di un limitato periodo, risultano inadeguate al fine voluto dal legislatore nel riferimento a pi ampi periodi di tempo. Invero, l'imposta pu ormai essere applicata ad incrementi di valore formatisi nel corso di diciassette anni, o anche pi, nel caso di beni gi soggetti all'applicazione della fogge 5 marzo 1963, n. 246, in evidente difformit dal criterio generale adottato dal legislatore di colpire, di regola, incrementi non pi che decennali, e in sicuro contrasto con il canone della ragionevolezza, la cui inosservanza integra disparit di trattamento, con violazione del principio di eguaglianza, principio di cui anche il principio della capacit contributiva rappresenta, sotto questo profilo, univoco e specifico sviluppo. Rispetto ad incrementi di valore formatisi in cos lunghi periodi, la legge avrebbe dovuto introdurre correttivi adeguati alla diversit dei periodi di formazione, e ci anche per ovviare alle conseguenze palesemente inique che, nel lungo periodo, sarebbero derivate da una pi ampia variazione del metro monetario. Altro difetto strutturale del sistema di determinazione dell'incremento imponibile netto, nella logica del meccanismo di questa legge, costituito dal regime delle detrazioni. Come gi si ricordato, le detrazioni dall'incremento di valore (nonch dall'importo delle spese ammesse, secondo quanto stabilito dagli artt. 11-13 del provvedimento istitutivo del tributo), in misura percentuale del valore iniziale, sono state introdotte per attenuare il naturale aggravio delle aliquote progressive della imposta destinato a prodursi con il decorso degli anni. Ed a ci si collega, soprattutto dopo l'aumento della misura percentuale della detrazione annua dal 4 al 10 %, -aumento che ovviamente di per s non comporta la disparit di trattamento denunciata senza motivo da qualche ordinanza -, il dichiarato fine di correggere o ridurre gli effetti della svalutazione della moneta, in correlazione al tempo intercorso tra gli eventi RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO considerati per determinare l'incremento di valore in base alla differenza tria valore iniziale e valore finale. Adottato in tale senso, come unico correttivo, il sistema delle detrazioni annue, in relazione al periodo considerato per la determinazione dell'incremento di valore imponibile netto, esigenze di coerenza e congruit al fine voluto avrebbero richiesto una diversa commisurazione delle detrazioni riferita al graduale aumento del valore dell'immobile nel corso del tempo. Invece l'incidenza delle detrazioni fissate in misura costante risulta inadeguata, in quanto non proporzionata all'effettivo incremento, e nemmeno alla parte di esso ascrivibile alla progressiva diminuzione del potere d'acquisto della moneta, ma al contrario agisce in misura via via decrescente, e quindi con efficacia correttiva tanto minore quanto pi ampio il periodo di tempo intercorso tra i due termini di riaffronto, ancorato come , si tratti del 4 o del 10 %, al valore iniziale, che nel tempo risulta sempre meno comparabile con quello finale. Anche sotto questo profilo, palese la irrazionalit del regime delle detrazioni, la cui applicazione determina in concreto ingiustificate disparit di trattamento, laddove il legislatore si era proposto di eliminarle. I difetti strutturali del sistema di calcolo dell'incremento di valore, in relazione al regime delle detrazioni e alla formazione dell'imponibile netto, si rilevano con ancor maggiore evidenza considerando la progressivit delle 1aliquote che, a norma dell'art. 15 del d.P.R. n. 643/1972, come modificato dall'art. 1 del d.P.R. n. 688/1974, sono applicate per scaglioni d'incremento imponibile (determinati con riferimento al valore iniziale dell'immobile, maggiorato delle spese di acquisto, incrementative e di costruzione), in misura crescente dal 3-5 % fino al 30 %. Il meccanismo di liquidazione dell'imposta, per effetto della pro~ gressivit delle aliquote, rispetto alla cui applicazione l'elemento temporale esercita incidenza minima, essendo considerato unicamente nel calcolo delle detrazioni percentuali annue, comporta in concreto un trattamento differenziato e palesemente discriminatorio, tra coloro che alienano immobili a diversa distanza di tempo dall'acquisto, con un onere tributario notevolmente pi gravoso per chi aliena dopo un pi lungo periodo di possesso; e ci in quanto determinandosi gli scaglioni d'incremento con riferimento al valore iniziale e all'importo delle spese ammesse, ed applicandosi le aliquote alla base imponibile netta, lo scatto delle aliquote pi elevate tende a verificarsi in misura non ragguagliata alla durata del periodo considerato per il calcolo del valore differenziale. La riprova di questi rilievi offerta dalla constatazione di fatto che per uno stesso immobile, o per due immobili di eguale valore, oggetto nel corso di un decennio di successive alienazioni, ovvero di una sola ~ ~ f ~ f ! ~ ' PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE alienazione al termine del decennio medesimo, pur essendo identici il primo valore iniziale e l'ultimo valore finale, e quindi eguale il complessivo incremento di valore, l'incidenza dell'imposta applicata al termine del decennio pu risultare ben superiore a quella del1a somma delle imposte applicate ai passaggi di propriet verificatisi nello stesso arco di tempo. N trattasi di meri pregiudizi di fatto, bens di ingiustificate conseguenze dei criteri tecnici adottati dal legislatore. E d'altra parte non si scorgono ragioni che possano giustificare un trattamento meno favorevole per chi aliena dopo avere a lungo goduto il possesso d'un immobile, specie se destinato all'abitazione del nucleo familiare. Con questi rilievi non si intende ovviamente porre in discussione il criterio di progressivit a cui si informa il tributo, ma unicamente constatare le conseguenze aberranti che, -nell'applicazione delle aliquote progressive, in s pienamente legittime -, derivano dal sistema normativo adottato per il calcolo dell'incremento imponibile netto e per la determinazione dei relativi scaglioni con riferimento al valore iniziale maggiorato delle spese; sistema veramente inadeguato all'esigenza di una coerente e congrua considerazione dell'elemento temporale, indispensabile per una corretta imposizione degli oggettivi incrementi di valore con trattamento uniforme nei confronti dei soggetti passivi del tributo. Esorbita dal compito istituzionale di questa Corte formulare indicazioni o suggerimenti circa i rimedi che il legislatore vorr adottare, nella sua piena discrezionalit, per eliminare gli inconvenienti che, sotto i diversi profili qui prospettati, dipendono dai difetti strutturali del sistema di questa legge. Varie possono essere le vie di una riforma correttiva, idonea a rendere l'imposta sull'incremento di valore degli immobili corrispondente allo scopo perseguito con la sua istituzione, e ad evitare la possibilit di applicazioni distorte e lesive della parit tributaria. Le ordinanze di rimessione hanno denunciato le disposizioni degli artt. 6, 14 e 15 del d.P.R. n. 643/1972, e dell'art. 8 della legge n. 904/1977, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione: questa Corte ritiene di dover dichiarare l'illegittimit delle sole disposizioni che concernono la determinazione definitiva della base imponibile, ossia la formazione del valore imponibile netto, mediante detrazioni percentuali fisse commisurate al numero degli anni, o frazioni d'anno, considerati per il calcolo della differenza tra valore finale e valore iniziale. Sono infatti le disposizioni dell'art. 14 del d.P.R. del 1972 e dell'art. 8 della legge del 1977 quelle che direttamente regolano la misura delle detrazioni annue in rapporto al periodo considerato per la determinazione del valore differenziale, e pertanto solo queste disposizioni possono essere investite dalla pronuncia di incostituzionalit, pur rimanendo ovviamente in facolt del legislatore di attuare una pi congrua disci 20 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO plina normativa in ordine alla incidenza dell'elemento temporale con eventuale intervento anche su altre disposizioni della legge. Non occorre, infine, ripetere qui le considerazioni gi svolte per cui la Corte ritiene di dover riferire la pronuncia di incostituzionalit al pdncipio enunciato dall'art. 3, primo comma, della Costituzione. (omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 14 novembre 1979 n. 127 -Pres. Amadei - Rel. Rossano -Bernoldi (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Chiarotti). Procedimento penale -Persona non imputabile -Ricovero in manicomio Competenza del giudice istruttore Legittimit costituzionale. (Cost. artt. 3, 24 e 25; cod. proc. pen., artt. 378 e 381). Gli artt. 378, comma primo, parte prima, e 381, comma secondo, parte ultima, cod. proc. pen. -nella parte in cui dispongono che il giudice istruttore e non il giudice del dibattimento deve dichiarare non doversi procedere nei confronti di persona non imputabile, perch incapace di intendere e di volere per infermit psichica, e ordinare il suo ricovero in manicomio giudiziario -non contrastano con gli artt. 3, 24 e 25 Cast. CORTE COSTITUZIONALE, 14 novembre 1979 n. 128 -Pres. Amadei - Rel. Rossano -Balletta (n.p). Reato -Ingiuria e diffamazione -In scritti dei consulenti ~cnici di parte -Punibilit. (Cost., artt. 3 e 24; cod. pen., art. 598). Non contrasta con gli artt. 3 e 24 Cast. l'art. 598, comma primo, cod. pen., nella parte in cui non prevede la non punibilit delle offese contenute negli scritti e nei discorsi dei consulenti tecnici di parte in procedimenti davanti all'autorit giudiziaria o amministrativa. (omissis) Detti limiti consentono di affermare, con la pi recente giurisprudenza della Corte di cassazione, che la non punibilit delle offese prevista dall'art. 598 c.p. ha fondamento nella libert di discussione delle parti contendenti sia nel caso di offesa strettamente necessaria, sia nel caso di offesa non necessaria che s'inserisce nel sistema difensivo dei procedimenti con funzione strumentale E in proposito va consi i ! ~ I PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 21 derato che la norma non attribuisce un diritto all'ingiuria e quindi alla non punibilit, ma tutela la libert della difesa, che sarebbe non efficiente e quindi non libera da preoccupazioni di possibili incriminazioni per offese all'altrui onere e decoro. Ci posto, senza che occorra soffermarsi ulteriormente sulla non punibilit delle offese ai termini dell'art. 598 c.p., deveescludersi che la garanzia dell'art. 24, secondo comma, Cost. possa estendersi al consulente tecnico, che non legittimato allo esercizio del patrocinio e svolge attivit di consulenza concernente cognizioni tecniche e quindi un'attivit obiettivamente diversa da quella tecnica giuridica, che i patrocinatori, nell'esercizio professionale, debbono svolgere nella dinamica dei procedimenti con riguardo all'oggetto del giudizio. (omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 21 novembre 1979 n. 131 -Pres. Amedei - Rel. Malagugini -Sorrentino (n.p.). Pena -Pene pecuniarie -Conversione in pene detentive -Illegittimit costituzionale. (Cast., artt. 3 e 27; cod. pen., art. 136; cod. proc. pen., art. 586). La doverosa salvaguardia del fondamentale interesse dello Stato ad una uguale possibilit di funzionamento del sistema penale nei confronti di tutti i destinatari presuppone una (tendenzialmente) uguale possibilit di applicazione della sanzione prevista dalla legge a carico di tutti gli autori del medesimo illecito, e, quindi, che la sanzione stessa sia di tal contenuto da potersi attuare su di un bene sicuramente posseduto da tutti i destinatari. Contrastano pertanto con gli artt. 3 e 27 Cast. gli artt. 136 cod. pen. e 586 quarto comma cod. proc. pen. (1). (omissis) In effett:i, il complesso normativo disciplinal!lte Ie pene pecuniarie e la loro esecuzione, presenta una serie di disarmonie che (1) La sentenza, diffusa nel testimoniare (persino con accenti fabiani ) solidariet ai non abbienti, limita a poche parole -J.'ultimo dei capoversi qui riportati -le indicazioni ricostruttive; ed invero, posto che appare diffi. cile rinunciare a11o strumento delle pene pecuniarie, appare necessario ewtare che J.a e1iminazione di una diseguaglianza a danno del non abbiente si traduca nella introduzione di una diseguagliruiza a suo favore, ed evitare che al non abbiente si affianchino -dn una situazione di sostanziale esenzione da pena coloro che, pi o meno ca1lidamente, preferiscono omettere di pagare la pena 22 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO I m rendono arduo configurarne la piena aderenza alle norme costituzionali cui deve conformarsi il diritto penale. Anzitutto, il contenuto della pena pecuniaria consente l'adempimento 1 dell'obbligazione pecuniaria verso lo Stato, in che essa consiste, anche ad opera di un terzo, che pu sostituirsi al condannato nel pagamneto ovvero fornirgliene i mezzi, e ci in ogni caso, ranche a prescindere d~lla esistenza di un soggetto civilmente responsabile per l'ammenda o dal ricorrere della ipotesi prevista dall'art. 237 della Tariffa Penale . Ap Ipare cos scalfito il principio della personalit della responsabilit penale. In secondo luogo, nel momento in cui, esclusivamente per l'accertata insolvibilit del condannato, si deve procedere, in sede di esecuzione, indifferibilmente ed in modo automatico, alla riconversione della pena pecuniaria in pena detentiva, viene a prospettarsi una lesione del principio di eguaglianza in mater~a penale. La conversione comporta, infatti e senza dubbio, un aggravamento della pena inflitta dal giudice ed altera, perci, il rapporto di proporzionalit tra la griavit del reato e la capacit a delinquere del colpevole, da un lato, e la specie e quantit della pena irrogata, dall'~ltro, quale determinato discrezionalmente, nei limiti e secondo i parametri di legge, dal giudice stesso. Con il risultato di far deriV1are, per effetto delle condizioni economiche del condannato, disuguali conseguenze sanzionatorie da responsabilit ritenute di pari intensit nella violazione della medesima norma incriminatrice, sino a far scontare al condannato insolvibile, quando i fatti di reato siano punibili con la sola pena pecuniaria, una pena di specie diversa e pi grave di quella comminata nella previsione generale ed astratta del legislatore. Osservare che la conversione della pena pecuniaria in pena detentiva, essendo prevista dalla legge, , perci, da ritenersi implicita nella sentenza di condanna, prospettabile, quindi, per questo aspetto, come condizionatamente alternativa, non rileva -e giustamente lo afferma la sentenza n. 29 del 1962 -per la soluzione del1a questione proposta, ma conduce soltanto ad una diversa formulazione di essa. Vero che la doverosa salvaguardia del fondamentale interesse dello Stato ad una uguale possibilit di funzionamento del sistema penale nei confronti di tutti i destinatari presuppone una (tendenzialmente) uguale possibilit di applicazione della sanzione prevista dalla legge a pecuniaria, pur disponendo di mezzi (ovviamente non iscritti nei registI'i immobili: ari). Appare quindi opportuno non attenuare eccessivamente 1a differenza tra sanzioni pecuniarie penali e sanzioni pecunarie amministrative, pur tenendo conto deHe vigorose tendenze -gi in atto -alla decriminalizzazione" - PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 23 carico di tutti gli autori del medesimo illecito, e, quindi, che la sanzione stessa sia di tal contenuto da potersi attuare su di un bene sicuramente posseduto da tutti i destinatari. Tale la libert personale, bene primario posseduto da ogni essere vivente, a prescindere dalle diverse possibilit di godimento, mentre il patrimonio (1al pari del reddito) non inerisce naturalmente alla persona umana, quanto meno in misura uguale. Perci l'adozione di pene pecuniarie, accanto ad indubbi vantaggi -minore incidenza sulla posizione ed inserimento sociali del condannato -comporta l'inconveniente di una disuguale afflittivit e al limite, dell'impossibilit di applicarla, in funzione delle diverse condizioni economiche dei soggetti condannati. Di qui la ricerca di rimedi, atti a salvaguardare l'efficacia e la concreta uguaglianza dell'effetto della pena pecuniada, mediante meccanismi d'adeguamento alle concrete condizioni economiche dei condannati. Nel codice penale vigente, tale adeguamento limitato alla previsione (artt. 24, ultimo comma, e 26, ultimo comma, cod. pen.) dell'aumento fino al triplo, quando anche l'applicazione del massimo edittale pu presumersi inefficace per le condizioni economiche del reo . Proprio la previsione che taluno dei destinatari della pena possa (quale ne sia la causa) versare in condizioni di insolvibilit, che lo rendono incapace della prestazione pecuniaria il cui aempimento costituisce l'esecuzione della pena stessa, ha suggerito la convertibilit della pena pecuniaria in pena detentiva negli ordinamenti che, per una fascia pi o meno estesa di reati hanno introdotto, vila via allargandone il campo di applicazione, la prima in sostituzione o in alternativa alla seconda, soprattutto per le pene detentive di breve durata. La minaccia di conversione della pena pecuniaria in pena detentiva stata, cio, ritenuta necessaria, in considerazione della efficacia comparativamente maggiore della seconda rispetto alla prima, a fine di prevenzione generale e speciale ed 1anche per impedire che il condannato possa essere indotto a precostituire volontaria mente una situazione di insolvenza. Mentre la previsione di un fatto diverso da quello per il quale comminata ed stata irrogata la pena pecuniaria, potrebbe, se mai, dare luogo ad una figura autonoma di reato (in analogia a quanto disposto dall'art. 388 del codice penale -mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice) si deve riconoscere che l'argomentazione generalmente addotta, confortata dall'esperienza maturata in numerosi Paesi, sarebbe certamente stringente al fine di orientare libere scelte di politica criminale, quando si discutesse della sempre opinabile giustizia o ingiustizila di un complesso normativo, e dell'opportunit di accettare quelle che il Beccaria chiamava utili ingiustizie . Quando per, in un ordinamento vincolato alla osservanza dei parametri costituzionali, l'alternativa tra pena pecuniaria e pena detentiva si pone e si scioglie esclusivamente in funzione della insolvibilit del condannato, accertata RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO al momento dell'esecuzione, appare insanabilmente contraddittorio pretendere di fondare la soddisfazione del principio di uguaglianza di fronte al reato e alla pena, proprio sul sacrificio dell'uguaglianza stessa, introducendo una discriminazione determinata unicamente dalle condizioni economiche del condannato. Nella traslazione della pena dai beni alla persona del condannato insolvibile evidente il retaggio di concezioni arcaiche, basate sulla fungibilit tra libert e patrimonio personali. Siffatte concezioni, esplicitamente proclamate fino all'abrogazione della prigione per debiti, contrastano per seccamente con la tavola dei valori costituzionali. Ci non soltanto per la posizione preminente ivi assicurata alla libert personale, compresa tra quei diritti inviolabili dell'uomo che la Repubblioa riconosce e garantisce, restandone cos esclusa ogni possibilit di monetizzazione, ma anche perch Io stato di insolvibilit, comunque motivato e normalmente incolpevole, dal quale, nella fattispecie considerata, si fa derivare la privazione della libert personale, denuncia la persistenza di ostacoli di ordine economico e sociale al conseguimento dell'uguaglianza -nel caso, di fronte alla legge penale -; ostacoli che per, lungi dal suggerire l'adozione di misure atte al loro superamento, vengono assunti a causa esclusiva dell'innegabile aggravamento deHa sanzione penale inflitta. {omissis). Con ci non si vuole certamente escludere la possibilit di garantire l'effettiva uguaglianza dei cittadini di fronte alla sanzione penale, in particolare pecuniaria. Spetter al legislatore assicurarla, adottando, nella sua discrezionalit, gli opportuni strumenti normativi, ad esempio secondo le linee di tendenza sopra richiamate e che il legislatore stesso ha gi dimostrato di voler prendere in considerazione. (omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 6 dicembre 1979 n. 138 -Pres. Amadei Est. Roehrssen -Mazzoni e altri c. Comune di Foligno. Previdenza -Personale degli enti locali -Trattamenti supplementari di fine servizio . Soppressione dal 1 marzo 1966 Limiti -Legittimit costituzionale. (Cost., art. 3; l. 8 marzo 1968, n. 152, art. 17; l. 5 ottobre 1969, n. 746, art. unico). Non fondata, con riferimento all'art. 3 della Costituzione, la questione di legittimit costituzionale del combinato disposto dagli artt. 17 della legge 8 marza 1968 n. 152 e unico della legge 5 ottobre 1969 n. 746, per aver distinto fra personale a riposo e personale in servizio alla data del 1" marzo 1966, e per aver applicato soltanto al secondo la soppressione di ogni trattamento previdenziale supplementare. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 25 CORTE COSTITUZIONALE, 6 dicembre 1979 n. 140 -Pres. Amadei - Rel. Bucciarelli Ducci -Maggiani e altri c. INPS e Presidente del Consiglio dei Ministri (avv. Stato Angelini Rota). Previdenza -Pensione I.N.P.S. Pensione di riversibilit per le figlie a carico inabili al lavoro Cessazione per susse~ente matrimonio . Illegittimit costituzionale. (Cost., art. 3; d.lgs.lgt. 18 gennaio 1945, n. 39, art. 3). costituzionalmente illegittimo, in relazione all'art. 3 Cast., (l'art. 3 lett. a) del d. lgs. lgt. 18 gennaio 1945 _n. 39 secondo cui il diritto a pensione di riversibitit I.N.P.S., spettante, nel concorso dei requisiti di legge, alle figlie dell'assicurato o del pensionato defunto, cessa per effetto di susseguente matrimonio (1). (1) Con la sentenza dn esame la Corte Costituzionale ha fatto applicazione, anche nehla particolare fattispecie, dei principi gi affermati con la sentenza 26 giugno 1975, n. 164 relativamente all'art. 2, secondo comma, deLlo stesso decreto n. 39 del 1945. I CORTE COSTITUZIONALE, 6 dicembre 1979 n. 141 -Pres. Amadei Rel. Reale Guglielmucci (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Azzariti): Istruzione Universit -Assegno annuo -Incompatibilit con trattamenti economici omnicomprensivi. (Cost., artt. 3 e 36; d.!. 1 ottobre 1973, n. 580, art. 12). La non cumulabilit dell'assegno annuo di cui all'art. 12 comma primo del d.l. 1 ottobre 1973 n. 580 con altri assegni o indennit di analoga natura o con trattamenti economici omnicomprensivi non contrasta n con l'art. 3 Cast. n con l'art. 36 Cast.; in particolare quest'ultima norma costituzionale deve essere riferita alla globalit delle retribuzioni percepite da un soggetto (1). (1) L'art. 12, commi primo, secondo e terzo sono stati, oom' noto, clichtarati costituzionalmente iihlegittimi, per J:a parte concernente i docenti universitari con parametro 825 , dalla ,sentenza Corte Cost. 17 Juglio 1975, n. 219 (:ill1 Foto it., 1975, I, 1881), iLa quale peraltro non ha ritenuto assorbito nel trattamento om:nicomprensivo anche fo assegno speciale di cui ai commi 26 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO II CORTE COSTITUZIONALE, 12 febbraio 1980 n. 16 -Pres. Amadei -Rel. Rossano -Mathis ed altro (n.p.) Politecnico di Torino e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Carafa). Istruzione -Universit Incarichi di insegnamento lavoratori dipendenti ai lavoratori autonomi. (Cost., art. 3; d.l. 1 ottobre 1973, n. 580, art. 4). Equiparazione dei L'art. 4, comma primo, n. 1 del d.l. 1 ottobre 1973 n. 580 costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non comprende tra coloro che esercitano attivit professionale o consulenza professionale retribuita anche i dipendenti pubblici e privati. I 1(omissis) Il giudice a quo dubita della costituzionalit del terzo comma dell'art. 12 del d.I. 1 ottobre 1973, n. 580 (convertito nella legge 30 novembre 1973, n. 766). Il citato articolo al primo comma attribuisce al personale insegnante universitario di ruolo, fuori ruolo e incaricato un assegno annuo pensionabile e utile ai fini dell'indennit di buonuscita e al terzo comma stabilisce che il detto assegno non comulabile con altri assegni o indennit di analoga natura n con trattamenti economici onnicomprensivi . Un primo profilo di incostituzionalit (per violazione dell'art. 3 della Costituzione) che il giudice a quo sottopone alla Corte quello della diversit di trattamento nell'ambito delle categorie dei professori incaricati universitari interni, fra coloro che non godano, nel diverso rapporto di impiego che li vincola, di trattamento economico onnicomprensivo'" i quali tutti devono svolgere (nell'Universit) prestazioni e possedere requisiti del tutto identici . La questione non fondata. La denunciata e soprariprodott1a disposizione, infatti, esclude il cumulo dell'assegno di cui trattasi non solo con i trattamenti economici onnicomprensivi, ma anche con altri assegni e indennit di analoga natura. La generalit degli interni>>, cio degli incarioati con altro rapporto di impiego pubblico, o appartengono a categorie il cui trattamento onnicomprensivo (come i magistrati, fra i quali il ricorrente), oppure quarto e quinti dello stesso art 12. Di tale uLtimo assegno -esso pure poco compatibile con un trattamento omnicomprensivo -fa sentenza in rassegna non ha potuto occuparsi. i II PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE godono dell'assegno perequativo pensionabile introdotto per gli statali dall'art. 1 della legge 15 novembre 1973, n. 734, o di altro trattamento equipollente. Il detto assegno perequativo fu appunto introdotto -come osserva l'Avvocatura citando un parere del Consiglio di Stato -per restituire l'equilibrio dei vari trattamenti dei dipendenti statali dopo l'introduzione dei trattamenti differenziati per le categorie dirigenziali. E infatti il secondo comma del citato art. 1 della legge n. 734/1973 esclude dalla corresponsione dell'assegno disposto nel primo comma i funzionari con qualifica di dirigente e il personale di cui alla legge 24 maggio 1951, n. 392, cio i magistmti. Ora, quando il citato d.l. 1 ottobre 1973, n. 580, parla di altri assegni e indennit di analoga natura evidente che il riferimento si estende all'assegno perequativo introdotto col disegno di legge presentato alla Camera quasi contemporaneamente dallo stesso governo e approvato (legge n. 734/1973) prima della conversione in legge del d.l. n. 580. Pertanto gli incaricati universitari interni, sia che usufruiscano del trattamento onnicomprensivo, sia che godano dell'assegno perequativo introdotto dalla legge n. 734/1973 o di altro tr;attamento equipollente, sono esclusi, in virt del terzo comma dell'art. 12 del d.l. n. 580/1973 convertito nella legge n. 766/1973, dal godimento dell'assegno annuo pensionabile concesso con il primo comma del detto art. 12 al personale insegnante dell'Universit. Non esiste quindi la denunciata diversit di trattamento per le due categorie di interni. Del pari non fondata la questione sotto il profilo della pretesa violazione dell'art. 36 della Costituzione, che si verificherebbe -secondo il giudice a quo -per l'inadeguatezza della retribuzione prevista per le prestazioni di un professore incaricato, quando essa non sia integrata dall'assegno disposto dall'art. 12 del d.l. n. 580. La invocata norma costituzionale, infatti, nel proclamare il diritto del lavoratore a una retribuzione proporzionata: al suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare un'esistenza libera e dignitosa, non pu essere riferita alle singole fonti della retribuzione del lavoratore, ma alla sua globalit (confr. sent. n. 88 del 1970). Ora il professore incaricato interno insieme e oltre alla remunerazione per l'incarico, percepisce uno stipendio per il suo rapporto di impiego pubblico: nella specie cui si riferisce la oausa lo stipendio di magistrato. Non pu quindi nemmeno ipotizzarsi una violazione dell'art. 36 della Costituzione. (omissis). II (omissis) Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Pieirn0111te sostiene, inoltre, che la normativa dell'art. 4, comma sesto, d.l. n. 580 del 1973, oltre ad essere illegittima nel suo insieme, attuerebbe una irragio ZB RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO nevale discriminazione fra categorie di candidati in quanto le attivit professionali o la consulenza professionale retribuita, che precludono il conferimento preferenziale ai gi incaricati o assistenti di ruolo, sono soltanto le attivit professionali libere o di consulenza professionale autonoma e non le attivit svolte da pubblici dipendenti. La normativa sarebbe illegittima in quanto collocata alla quarta categoria (n. 4) i liberi professionisti e consulenti professionisti autonomi in base ad una presunzione di un minore impegno e di una minore disponibilit di tempo dei professionisti rispetto ai pubblici dipendenti, presunzione che potrebbe non trovare conferma nei fatti. La censura fondata. Questa Corte ritiene esatta l'interpretazione data dal Tribunale Amministrativo al termine attivit professionale contenuto nel numero 1 della norma impugnata. L'attivit professionale, che impedisce il conferimento preferenziale dell'incarico, soltanto quella professionale libera. La distinzione, nello stesso n. 1 della norma impugnata, tra esercizio di attivit professionale e consulenza professionale retribuita si spiega considerando che il legislatore ha voluto vietare il conferimento degli incarichi sia a coloro che esercitano un'attivit professionale condizionata all'iscrizione in albo o elenco, sia a coloro che svolgono attivit professionali non subordinate all'iscrizione in particolare albo, le quali, secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, sono attivit professionali libere. La norma dell'art. 4, n. l, d.l. n. 580 del 1973, cos interpretata, determina tra la categoria dei dipendenti pubblici e privati e quella dei liberi professionisti una disparit di trattamento priva di razionale giustificazione poich le due categorie si trovano in situazioni da ritenere oggettivamente eguali. Nella citata relazione al Senato sul disegno di legge n. 1267, concer nente la conversione in legge del d.l. n. 580 del 1973, si afferma che punto saliente della nuova disciplina per il conferimento degli incarichi di inse gnamento nelle Universit si identifica nelle preferenze attribuite a coloro che non esercitano private attivit professionali. Nella relazione non sono specifioati i motivi delle preferenze. Questi motivi, secondo la giurispru denza amministrativa, consisterebbero nella maggiore disponibilit di tempo, da dedicare all'insegnamento universitario, del dipendente pub blico o privato rispetto al libero professionista. L'incarico universitario consente margini di autonomia per lo svol gimento di altre attivit, che restano consentite e, anzi, di fatto agevolate nei limiti in cui la titolarit dell'incarico pu tradursi in ulteriore quali ficazione professionale. Queste considerazioni valgono per i professio nisti, non meno che per i dipendenti. D'altronde il dipendente deve adempiere, in stato di subordinazione, i numerosi, gravosi doveri del rapporto di impiego, che influiscono note PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE volmente sulla quantit di tempo libero. Al riguardo va considerato che spesso il dipendente, che ha titolo per assumere l'incarico di insegnamento universitario, occupa, nell'ordinaria attivit, una posizione di rilievo, con i conseguenti oneri, che riducono notevolmente il tempo per svolgere altra attivit. Lo stesso dipendente, in generale, soggetto ad orario di ufficio e, per assumere quialsiasi incarico, ha l'obbligo di ottenere l'autorizzazione del superiore gerarchico, che deve accertare la compatibilit dell'incarico con gli impegni derivanti dalle funzioni esercitate. Al contrario il professionista, non soggetto a vincoli di subordinazione e di orario, ha la possibilit di scegliere e dedioare all'insegnamento il tempo che liberamente ritiene di sottrarre alla sua normale attivit. La mancata predeterminazione di un certo periodo di tempo non pu, quindi, far presumere che il professionista non sia in grado di assolvere con il necessario impegno l'incarico di insegnamento universitario; n pu, per converso, far ritenere che i dipendenti pubblici e privati debbano essere preposti ai liberi professionisti, anzich venire anch'essi collocati, se gi incaricati, al 4 posto della graduatoria per il conferimento degli incarichi. E, poich mancano criteri logici da assumere quiali ragioni giustificatrici del trattamento differenziato, sussiste la denunciata violazione del principio di eguaglianza. (omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 20 dicembre 1979, n. 153 -Pres. Amadei - Rel. Volterra-Barletta (avv. Panunzio) e F1abiano (avv. Giannuli e Lipari). Successioni -Coniuge del binubo -Limiti della capacit di ricevere per testamento Illegittimit costituzionale. (Cost., artt. 3 e 29; cod. civ., artt, 595 e 599). Contrastano con gli artt. 3 e 29 Cast. l'art. 595 del codice civile nel testo abrogato dall'art. 196 della legge 19 maggio 1975, n. 151, e l'art. 599 del codice civile nella parte in cui richiama il predetto art. 595. (omissis) Il motivo invocato da taluni che il divieto di cui all'art. 595 fosse esclusivamente diretto a tutelare gli interessi dei figli di primo letto, se poteva avere un'apparenza di veridicit per le pi antiche legislazioni, appariva in gran parte inconsistente e ormai superato una volta introdotto l'istituto della quota disponibile e della riserva ereditaria e data la possibilit di impugnare le disposizioni testamentarie affette di violenza, dolo od errore (art. 624 codice civile). 30 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO La norma denunziata, stabilendo che la condizione di colui che aveva contratto successivamente pi matrimoni, costituisce un elemento discriminante rispetto alla capacit di qualunque altro cittadino celibe o coniugato una sola volta di disporre della quota disponibile dei suoi beni nei confronti del proprio coniuge e, correlativamente, rispetto alla capacit di questo coniuge di ricevere sulla quota disponibile, violiava il principio costituzionale di. uguaglianza di cui all'art. 3. La differenza di trattamento fatto ai binubi, in confronto degli altri coniugati e in genere degli altri cittadini, non solo non trova"\na alcuna ragionevole giustificazione in motivi che comunque potessero identificarsi con i principi e i valori della Costituzione, soprattutto dell'art. 29, ma appariva rispondere a concetti del tutto superati e addirittura contrastanti con lia logica del sistema creando una serie di situazioni palesemente assurda. Infatti, mentre qualunque cittadino poteva disporre liberamente dei propri beni nei limiti della propria quota disponibile e poteva liberamente ricevere entro la quota disponibile di altri liberalit a proprio favore, ci era vietato ai binubi e ai coniugi di questi per il solo fatto che esisteva fra loro un rapporto giuridico di matrimonio legittimo. I vedovi e i divorziati, come tutti gli altri cittadini, potevano invece disporre della loro quota disponibile a favore di qualsivoglia altra persona anche se con loro convivente more uxorio, o unit da vincolo di matrimonio religioso non trascritto, o unita da matrimonio legittimo successivamente annullato prima della morte del binubo, situazioni queste nelle quali i pericoli a danno dei figli di matrimoni anteriori di circumvenzione, di dolo o di violenza che si affermava volere impedire potevano esistere con assai maggiore incidenza e frequenza e con conseguenze assai pi gravi. .(omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 30 gennaio 1980, n. 10 -Pres. Amadei -Rel. Paladin-Ventola (avv. Piras e Paoletti), Amoroso (avv. Panunzio), e Regioni Lazio e Campania (avv. Abbamonte). Impiago pubblico Qualifica funzionale Contrasto con i princpi fon damentali stabili dalle leggi dello Stato e con i criteri di buon andamento e di imparzialit Non sussiste. (Cost., artt. 97 e 117; legge reg. Lazio 29 maggio 1973, n. 20 e n. 21; legge reg. Campania 16 marzo 1974 n. 11 e 9 settembre 1974, n. 52). Corte costituzionale -Principio di eguaglianza Presupposti e limiti di applicazio~. (Cost., art. 3; leggi reg. Lazio e Campania predette). In tema di pubblico impiego, mancando una apposita legge-cornice, le norme-principio sono desumibili non dal solo statuto degli impiegati 1 l ! ! I ' I i II PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 31 civili dello Stato (d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3) ma da tutte le leggi statali succedutesi nel disciplinare i pi vari rapporti di impiego facenti capo allo Stato-apparato come anche agli altri enti pubblici. La suddivisione del personale in qualifiche funzionali non contrasta n con i principi fondamentali cui si informa la legislazione dello Stato (in relazione all'art. 117 Cast.) n con i criteri di buon andamento e di imparzialit dell'amministrazione (di cui all'art. 97 Cast.) (1). Le valutazioni di legittimit costituzionale sul rispetto del principio di eguaglianza comportano per definizione che la normativa impugnata venga posta a raffronto con un'altra o con altre normative per stabilire in tal modo se il legislatore abbia dettato disposizioni cos poco ragionevoli da doversi ritenere costituzionalmente illegittime. Una tale comparazione consentita solo quando i termini da raffrontare sono omogenei (2). '(omissis) Con tre contemporanee ordinanze -emesse il 18 febbraio 1976 -il tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha sollevato questione di legittimit costituzionale degli artt. 40 e 72 della legge 29 maggio 1973, n. 20, della Regione Lazio, nonch degli artt. 76, sesto comma, ed 81, terzo, quarto e sesto comma, della legge medesima, cos come modificati dalla legge regionale 29 maggio 1973, n. 21. I tre giudizi erano stati introdotti da numerosi ricorsi di ex dipendenti dei Ministeri dell'agricoltura e foreste, dei lavori pubblici, della sanit, trasferiti alla Regione Lazio ed inquadrati nei ruoli dell'Amministrazione regionale con le qualifiche funzioni di funzionario direttivo >>, di collaboratore oppure di assistente >>, secondo le diverse ipotesi. Tutti i ricorrenti deducevano l'illegittimit dei rispettivi decre!i di inquadramento, lamentando di essere stati immessi nei ruoli regionali con il riconoscimento della sola anzianit maturata e non anche delle posizioni gi raggiunte nell'Amministrazione dello Stato, alla medesima stregua di altri dipendenti con qualifica iniziale . Ma il tribunale ha ritenuto che i decreti di inquadramento avessero applicato rettamente le leggi regionali n. 20 e n. 21 del 1973; ed ha per messo in dubbio, sotto vari aspetti, la legittimit delle stesse norme legislative in questione. (1) Le affermazioni contenute nella sentenza in rassegna superano le dimensioni delJe controversie nel cui ambito le questioni cli legittimit sono emerse. La sentenza Corte Cost. 12 aprile 1978, n. 27 pubblicata in Foro It., 1978, I, 1347. Si richiamano Je annotazioni aJ,le sentenze Corte Cost. 20 marzo 1978, n. 21 e 20 aprile 1978, n. 45 (in questa Rassegna, 1978, I, 291 e 405). (2) Significativa la esplicita indicazione dei presupposti e dell'iter logico da seguire per l'applicazione del principio di eguaglianza. La sentenza sembra configurare, a carico del giudice a quo, un onere di indicazione del tertium comparationis. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 32 In primo luogo, nelle ordinanze di rimessione si prospetta la lesione dell'art. 3 Cost. da parte dell'art. 81, terzo, quarto e sesto comma, della ricordata legge regionale n. 20, modificata dalla legge regionale n. 21 del 1973: dal momento che, in forza di tali norme, tutti i pubblici dipendenti della stessa oarriera e con pari anzianit subiscono -si afferma -identico trattamento all'atto dell'inquadramento, senza alcuna differenziazione in relazione alla qualifica gi rivestita nel ruolo di provenienza , cos violando il principio costituzionale che vieta di trattare egualmente situazioni diverse. L'irrazionalit delle norme impugnate sarebbe anzi accentuata dalla previsione dell'art. 81, sesto comma, per cui i dipendenti muniti di titolo di studio superiore ovvero che abbiano svolto per almeno quattro 1anni mansioni superiori sono inquadrabili nella qualifica immediatamente superiore a quella di appartenenza, venendo in tal modo preposti ai dipendenti meno anziani ma pi qualificati. N le conseguenti ingiustizie di ordine economico sarebbero sanate dall'art. 81, decimo comma: poich il mantenimento del trattamento superiore gi eventualmente goduto presso l'amministrazione di provenienza esaurirebbe ben presto la propria funzione, del resto marginale, per effetto dell' ordinaria progressione economica. In secondo luogo, l'art. 81 violerebbe anche gli artt. 35 e 36 Cost., negando il giusto riconoscimento alla qualit del lavoro , che nel pubblico impiego sarebbe viceversa assicurata da qualifiche tali da consentire la migliore valutazione dei meriti e delle capacit individuali. In terzo luogo, le norme impugnate sarebbero inoltre in contrasto con l'art. 117, nonch con l'ottava disp. trans. Cost. Il giudice a quo sostiene, infatti, che il livellamento del personale proveniente da una medesima carrieria non si armonizzerebbe con il principio della salvaguardia delle posizioni di carriera ed economiche gi acquisite... nel ruolo statale di provenienza'" affermato dai decreti legislativi del 1415 gennaio 1972, in vista del primo trasferimento delle funzioni amministrative statali ialle Regioni a statuto ordinario. A sua volta, attribuendo al personale trasferito la qualifica superiore a quella goduta all'atto del trasferimento (con l'alternativa di cinque aumenti periodici di stipendio, ma limitatamente ai soli dipendenti che avessero raggiunto il vertice della propria carriera), l'art. 68 del d.P.R. n. 748 del 1972 confermerebbe -:-secondo le ordinanze di rimessione -che la legislazione regionale deve tener ferme le mansioni gi svolte dal personale proveniente dalle amministrazioni statali, conservando a ciascuno lia posizione spettantegli rispetto ai dipendenti della stessa carriera, senza dunque operare gli ingiustificati scavalcamenti resi possibili dalla legislazione regionale del Lazio. In quarto luogo, del resto, le stesse norme regionali di princ1p10 in materia di rapporto d'impiego potrebbero considerarsi lesive dell'art. 117 PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Cost. Premessa una sintetica motivazione sulla rilevanza di tali questioni, in quanto pregiudiziali rispetto a quelle gi sollevate, il giudice a quo sostiene anzitutto che nell' 1attuale assetto della corrispondente legislazione statale sarebbe fondamentale la valutazione del merito ai fini dell'avanzamento; laddove l'art. 76, sesto comma, della legge regionale n. 20, modificato dalla legge n. 21 del 1973, non prevederebbe un accertamento specifico ed imparziale del merito stesso, poich subordinerebbe la progressione economica ai soli giudizi annuali di merito o di non demerito, per di pi espressi da titolari di organi elettivi o da funzionari... legati ai primi da un rapporto fiduciario. Inoltre, il TAR del Lazio osserva che il sistema statale, in antitesi a quello regionale, si ispira al principio dell' articolazione delle carriere in qualifiche . Nonch con l'art. 117 Cost., la previsione di qualifiche uniche per ciascuna carriera, contenuta nell'art. 40 della legge regionale n. 20 del 1973, si porrebbe d'altronde in contrasto con l'art. 49, secondo comma, lett. b), dello Statuto della Regione Lazio, che richiede invece l'adozione di qualifiche funzionali , esigendo con ci stesso -secondo il giudice a quo una determinazione di mansioni sufficientemente specifica e non l'artificiosa riduzione ad unit di mansioni notevolmente diverse fra loro. Da ultimo, non operando una sufficiente specificazione delle funzioni'" gli artt. 40 e 72 della legge regionale n. 20 del 1973, come pure i citati artt. 76, sesto comma, ed 81, terzo, quarto e sesto comma, contrasterebbero anche con le esigenze di buon andamento e d'imparzialit dell'amministrazione, sancite dal primo e dal secondo comma dell'art. 97 Cost. Da un lato, infatti, l'individuazione delle responsabilit presupporrebbe mansioni ben specificate. D'altro lato, l'efficienza dell'apparato amministrativo richiederebbe un adeguato sistema di incentivi, morali o economici , che invece sarebbero stati trascurati -illegittimamente -da parte del legislatore regionale. Con ordinanza del 23 marzo 1976, il tribunale amministrativo regionale per la Campania ha sollevato questione di legittimit costituzionale degli artt. 36, secondo, terzo, quarto, quinto e sesto comma, e 39, primo, secondo e terzo comma, della legge 16 marzo 1974, n. 11, della Regione Campania, cos come modificata dalla legge regionale 9 settembre 1974, n. 52. Per prima cosa, nell'ordinanza di rimessione vien fatto notare che i vari livelli di inquadramento del personale regionale non sono a loro volta articolati in qualifiche, ma implicano solo uno sviluppo orizzontale ; sicch non pu impedirsi -in contrasto con il principio costituzionale di eguaglianza a trovarsi in una posizione deteriore rispetto ad altro impiegato gi di qualifica inferiore e tuttavia con una maggiore anzianit di servizio, con ovvie ripercussioni non solo sul trattamento economico ma anche sulla posizione in carriera... . RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 34 Il tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha per messo in dubbio la costituzionalit delle norme sul rapporto d'impiego dei dipendenti di quella Regione, anche in riferimento all'art. 117 Cost., per violazione dei principi fondamentali cui s'informa la legislazione dello Stato in materia di pubblico impiego. A questa stregua, precisamente, il giudice a quo ha considerato rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimit dell'art. 40 (sulla classificazione delle qualifiche funzionali), dell'art. 76, sesto comma (sulla progressione economica nell'ambito di ciascuna qualifioa ) ed ancora dell'art. 81 della legge regionale n. 20 (come sostituito dall'articolo unico della legge n. 21). Di tali questioni certamente ammissibile quella che concerne l'art. 40 in collegamento con l'art. 81: dal momento che per valutare la legittimit dei provvedimenti di inquadramento impugnati nei giudizi pendenti dinanzi al tribunale amministrativo regionale per il Lazio, che tale giudice ha ritenuto conformi alle norme regionali sull'inquadramento stesso, pregiudiziale l'indagine sulla costituzionalit dell'intera disciplina legisliativa delle qualifiche, nel cui ambito i ricorrenti sono stati inquadrati. Ma la censura non fondata. Le ordinanze in esame assumono che le norme regionali non avrebbero osservato il principio di articolazione delle carriere in qualifiche, configurando invece un ristrettissimo numero di qualifiche uniche (funzionario direttivo, colliaboratore, assistente, ausiliario specializzato, ausiliario qualicato, ausiliario), equivalenti in sostanza alle tradizionali carriere del pubblico impiego statale (direttiva, di concetto, esecutiva, ausiliaria, per non dire delle distinte funzioni dirigenziali). Senonch la visione del limite dei principi, che emerge da questa impugnativa, si dimostra troppo rigida: tanto da circoscrivere eccessivamente l'autonomia spettante alle Regioni di diritto comune, non solo per ci che riguarda lo stato giuridico dei dipendenti regionali, ma ianche -di riflesso -quanto all'ordinamento dei rispettivi uffici. Non a caso, il giudice a quo ritiene indispensabile che il legislatore regionale adotti un modello organizzativo non troppo dissimile da quello statale, proprio perch possa essere conservata -nel passaggio dallo Stato alla Regione - la sostanza della posizione raggiunta dai singoli dipendenti trasferiti dall'uno all'altro ente. Cos ragionando, tuttavia, il tribunale non avverte che lo stato giuridico dei dipendenti regionali non pu esser valutato per s solo, ma va considerato in funzione dell'ordinamento degli uffici e delle complessive caratteristiche dell'ente Regionale. Al di l della lettera dell'art. 117 Cost., che l'ordinamneto degli uffici si ponga -se non altro in sede logica -come un prius e non come un posterius, risulta infatti dalle peculiarit dell'amministrazione regionale, a partire dalle direttive sul carattere necessariamente indiretto dell'amministrazione stessa, contenute nel primo e nel terzo comma dell'articolo 118 Cost., che il d.P.R. n. 616 del 1977 ha poi specificato e varia PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 35 mente attuato: peculiarit che rischierebbero di esser compromesse qualora la Regione dovesse conformarsi all'apparato statale, organizzandosi secondo le esigenze di una parte del personale trasferito. A ci si deve aggiungere che in tema di pubblico impiego, mancando un'apposita legge-cornice in cui siano fissati ed eventualmente novati i principi fondamentali del settore, le norme -principio non vanno ricavate -come sembra credere il giudice a quo -dal solo statuto degli impiegati civili dello Stato, contenuto nel d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3; ma sono desumibili da tutte le leggi statali succedutesi nel disciplinare i pi vari rapporti d'impiego, facenti capo allo Statoapparato come anche agli altri enti pubblici, comprese le stesse Regioni: secondo un criterio che questa Corte ha affermato -sia pure sinteticamente -nella sentenza n. 40 del 1972. Da un lato, pertanto, non possono venir trascurate quelle norme principio sul pubblico impiego regionale, che si ritrovano negli Statuti delle Regioni di diritto comune e in particolar modo nello Statuto del Lazio. Seguendo una linea divergente dai criteri informatori del tradizionale assetto del pubblico impiego statale, tutti gli Statuti hanno infatti previsto un solo ruolo organico del personale (per l'intera Regione o -quanto meno -per gli uffici dipendenti dalla Giunta, fatta eccezione per il distinto ruolo del personale del Consiglio); e svariate norme statutarie -fra le quali si colloca, appunto, l'art. 49 dello Statuto laziale -hanno inoltre disposto che un tale ruolo non sia suddiviso in carriere ma, immediatamente, in qualifiche funzionali cui si accede mediante concorso, per poi beneficiare al loro interno di una progressione esclusivamente economica. D'a~tro lato, comunque decisivo che anche le ordinarie leggi dello Stato sul pubblico impiego si siano discostate, progressivamente, dallo schema di articolazione delle carriere e delle relative qualifiche, gi tracciato nello statuto degli impiegati civili dello Stato. In primo luogo, una sistematica riorganizzazione delle carriere degli impiegati statali, intesa a ridurre le qualifiche in atto, stata avviata dall'art. 11 della legge-delega 18 marzo 1968, n. 249 (prorogata e integrata dalla legge 28 ottobre 1970, n. 775), cui ha fatto seguito il d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1077: in parziale attuazione delle proposte avanzate nel 1963 dalla Commissione per la riforma dell'amministrazione dello Stato, che miravano gi a far coincidere qualifiche, attribuzioni e responsabilit. In secondo luogo, un altro passo di determinante importanza stato compiuto con l'entrata in vigore della legge 20 marzo 1975, n. 70, sul riordinamento degli enti pubblici e del rapporto di lavoro del personale dipendente: che negli artt. 15 e 16 ha bens previsto tre distinti ruoli del personale stesso (amministrativo, tecnico e professionale), limitando per 'a dieci le relative qualifiche funzionali. Il che suona conferma -anche senza dover prendere in esame le vicende legislative pi recenti -di una linea di RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO sviluppo dell'intero ordinamento del pubblico impiego, dalla quale discende l'infondatezza della questione di legittimit del combinato disposto degli artt. 40 ed 81 della legge laziale n. 20 del 1973 (come modificata dalla legge n. 21), in riferimento all'art. 117 Cast. Entrambi i tribunali amministrativi regionali, per il Lazio e per la Campania, hanno d'altra parte sollevato la questione di legittimit delle rispettive norme regionali sull'inquadramento del personale statale trasferito, in riferimento all'articolo 3 Cost. Premesso che, in base al principio costituzionale di eguaglianza, situazioni fra loro diverse non potrebbero subire un'identica regolamentazione, tutte le ordinanze di rimessione lamentano che i dipendenti inquadrati in una medesima qualifica oppure in un medesimo livello funzionale sarebbero stati indiscriminatamente pareggiati, salva soltanto la diversa anzianit di servizio: con la prevedibile conseguenza che, difettando idonei correttivi, il personale gi dotato di una qualifica pi elevata nel ruolo di provenienza potrebbe vedersi proposto ad altro personale inferiore per qualifica d'origine, venendone pregiudicato -come precisa il tribunale amministrativo regionale per la Campania -non solo nel trattamento economico ma anche nella posizione in carriera. Ed anzi l'irrazionalit di una tale disciplina si rivelerebbe ancora pi palese, in vista di quelle norme di favore rispettivamente contenute nell'art. 81, quarto comma, della legge laziale n. 20 del 1973 (corrispondente all'art. 81, sesto comma, del nuovo testo introdotto dalla legge n. 21) e negli 1artt. 36, terzo comma, e 39, primo, secondo e terzo comma, della legge campana n. 11 del 1974 (come modificata dalla legge n. 52 del medesimo anno) -che consentono l'inquadramento nella qualifica o nel livello funzionale immediatamente superiori ,a quelli di appartenenza, a beneficio dei dipendenti in possesso di un titolo di studio superiore a quello richiesto o che abbiano gi svolto mansioni proprie della carriera superiore oppure provengano -nel caso della Regione Campania -da ruoli atipici o contraddistinti da parametri comunque differenziati od abbiano, ancora, diretto per almeno cinque anni i disciolti centri I.N.A.P.L.I., E.N.A.L.C. ed I.N.I.A.S.A. La necessit di giungere sul punto ad una decisione di rigetto deriva, in prima linea, dal tipo stesso di sindacato e di giudizio che entrambi i tribunali richiedono alla Corte. In effetti, le valutazioni di legittimit costituzionali sul rispetto del principio di eguaglianza, sebbene operabili e concretamente operate nelle forme pi diverse e nei pi vari settori dell'ordinamento giuridico, comportano per definizione che la normativa impugnata venga posta a raffronto con un'altra o con altre normative (sia pure estendendo l'indagine alle difettose previsioni ovvero alle lacune dell'ordinamento giuridico), per stabilire in tal modo se il legislatore abbia dettato disposizioni cos poco mgionevoli da doversi ritenere costituzionalmente illegittime. Nelle ordinanze di rimessione, viceversa, l: nessun raffronto del genere proposto, fatta soltanto eccezione per 1: 1: ! r: ~ PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE l'accenno conclusivo dell'argomentazione svolta ial tribunale amm1mstrativo regionale per il Lazio: l dove si prospetta un'ingiustifioata di sparit di trattamento fra il personale tuttora inserito nei ruoli delle amministrazioni statali ed il personale trasferito alla Regione. Ma chiaro che una tale comparazione non consente di mettere in luce alcuna violazione del principio di eguaglianza: sia perch i due termini da comparare non sono omogenei; sia perch l'autonomia legislativa regionale sull'ordinamento degli uffici e sullo stato giuridico dei relativi dipendenti, in vista della quale stata gi respinta la questione di legittimit delle norme sull'inquadramento nei ruoli della Regione Lazio, sollevata in relazione all'art. 117, esige -a pi forte ragione che sia dichiarata l'infondatezza della connessa questione proposta in riferimento all'art. 3 Cost. Al di l di questo, ci che i due tribunali vorrebbero che la Corte valutasse, non consiste affatto nel divario fra la disciplina in esame ed un tertium costituito da una differente disciplina legislativa, statale o regionale; ma invece si risolve nelle rispettive posizioni che singolarmente sono state attribuite ai dipendenti regionali inquadrati in una certa qualifica o in un certo livello, sulla base di provvedimenti che hanno puntualmente applicato -nei loro confronti -la legis1azione delle Regioni Lazio e Campania. Simili valutazioni comportano, per, un immediato giudizio sulla giustizia delle leggi (o delle conseguenze che ne possano discendere in sede applicativa): che spetta alla Corte di effettuare, ma solo entro gli schemi del sindacato di legittimit costituzionale sulle violazioni del principio di eguaglianza. Ci basta per precludere l'accoglimento dell'impugnativa; anche se potrebbe aggiungersi, in considerazione dei casi specifici, che ai ricorrenti dev'esser garantita -in questa sede - solo la posizione giuridica ed economica acquisita da ciascuno, senza riguardo alle rispettive posizioni di altri dipendenti (come la Corte ha precisato nella sentenza n. 27 del 1978, circa la cosiddetta commassazione delle carriere del personale delle poste e telecomunicazioni. Resta da stabilire se le impugnate norme sulle qualifiche funzionali e sulla tabella organica del personale della Regione Lazio, nonch sul relativo inquadramento dei dipendenti statali trasferiti, tanto nei ruoli del Lazio quanto in quelli della Campania, non abbiano violato l'art. 97, primo e secondo comma, della Costituzione. Entrambi i tribunali propongono alla Corte la questione, in base ad un triplice ordine di considerazioni: primo, che il descritto sistema delle qualifiche o dei livelli funzionali, non comportando una sufficiente individuazione delle corrispondenti funzioni (e non ricollegandosi a un adeguato complesso di incentivi, morali ed economici, che assicurino il migliore svolgimento dei relativi compiti), darebbe luogo ad una irmzionale organizzazione degli uffici, violando l'esigenza di buon andamento dell'amministrazione; RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO secondo, che parallelamente sarebbe stato leso -pur senza che i due tribunali forniscano in proposito alcuna motivazione specifica -il principio dell'imparzialit dell'amministrazione stessa; terzo, che le normative regionali in discussione contrasterebbero anche con il capoverso dell'art. 97, l dove s'impone che nell'ordinamento degli uffici (e dunque nell'inquadramento del personale ad essi addetto) vengano determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilit proprie dei funzionari . Ma in tutti i suoi profili, cos ricostruiti, la questione comunque infondata. In verit, la Corte ha dovuto prender atto che le scelte effettuate dai legislatori del Lazio e della Campania, nell'inquadramento del personale di tali Regioni, sono state contestate da vari studiosi della pubblica amministrazione. Si infatti notato che i cinque livelli previsti in Campania e le sei qualifiche funzionali configurate nel Lazio hanno prodotto un eccessivo schiacciamento delle diverse posizioni di partenza, specie per quanto riguarda l'unico livello o l'unica qualifica di funzionario direttivo; e ci, precisamente, in due Regioni per le quali stato disposto un massiccio trasferimento di tali funzionari, ben pi consistente di quello registratosi in altre amministrazioni regionali di diritto comune. Per contro, l'accordo concluso il 17 ottobre 1972 fra le segreterie confederali CGIL-CISL-UIL e gli assessori al personale delle Regioni a statuto ordinario prevedeva l'introduzione di sette livelli, due dei quali direttivi; mentre il primo contratto dei dipendenti regionali, siglato il 14 settembre 1978 e quindi integriato d'intesa fra i rappresentanti sindacali e delle Regioni a statuto ordinario, ha aggiunto un ottavo livello funzionale, fatta sempre eccezione per gli appositi incarichi di coordinatore. Senonch, nella sede di un giudizio sulla legittimit costituzionale delle leggi, la violazione del principio di buon andamento dell'amministrazione non pu essere invocata, se non quando si assuma l'arbitrariet o la manifesta irragionevolezza della disciplina impugnata, rispetto al fine indicato dall'articolo 97, primo comma, Cost. Con tutta evidenza, tale non il caso delle norme in questione. Il sistema dei livelli o delle qualifiche funzionali, sebbene semplificati all'estremo come si verificato in Campania e nel Lazio, implica pur sempre almeno due ordini di vantaggi: vale a dire, da un lato, la perequazione retributiva che in tal modo si attua per classi di prestazioni considerate omogenee od affini; e, d'altro lato, la mobilit del personale inquadrato nel medesimo livello o nella medesima qualica funzionale, che ne consegue non solo all'interno di ciascun apparato regionale ma anche nell'ambito dei vari rapporti di collaborazione fra Regioni ed enti locali (come ora previsto espressamente nel ricordato contratto dei dipendenti delle Regioni a statuto ordinario). Il che vale ad escludere che sussista il vizio di legittimit costituzionale, ipotizzato in t,al senso dalle ordinanze di rimessione. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Infine, le motivazioni gi svolte fanno ritenere che non sia stato leso neppure il capoverso dell'art. 97, richiamato dalle ordinanze di rimessione in collegamento con gli scopi di buon andamento e d'imparzialit dell'amministrazione, prescritti dal primo comma dell'articolo stesso. '(omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 27 febbraio 1980, n. 22 -Pres. Amadei - Rel. Bucciarelli Ducci-Tommasino (avv. Parlato) e Presidente Con siglio dei Ministri (avv. Stato Carafa). Locazione -Necessit del locatore -Diversit di disciplina a seconda delle condizioni economiche dei conduttori Illegittimit costituzionale. (Cost., art. 3; I. 27 luglio 1978 ,n. 392, artt. 58, 59 e 65). La disciplina vincolistica delle locazioni di immobili urbani im prontata alla maggior tutela del contraente pi debole ed compatibile con gli artt. 3 e 42 della Costituzione sul presupposto del suo carattere straordinario e provvisorio ed in una armonica composizione dei contrapposti interessi. Contrasta con l'art. 3 Cast. il combinato disposto degli artt. 58, 59, n. l, 65 della legge sull'equo canone 27 luglio 1978, n. 392, nella parte in cui esclude il diritto di recesso per necessit del locatore dai contratti in corso alla data del 30 luglio 1978 e non soggetti a proroga. (omissis) In primo .luogo va rilevato che la diversit di disciplina posta in luce dalla difesa dello Stato non scalfisce l'elemento fondamentale, comune alle due ipotesi prese in comparazione -quello della pari necessit di tutti i locatori che versino nelle ipotesi di legge -di ottenere la disponibilit dell'immobile dato in locazione a prescindere dalle condizioni economiche dei rispettivi conduttori e delle conseguenti diversit di disciplina contrattuale, irrilevante rispetto allo stato di necessit. (omissis) Invero nel complesso sistema vincolistico -improntato alla maggior tutela del contraente pi debole, e considerato da questa Corte compatibile con gli artt. 3 e 42 della Costituzione sul presupposto del suo carattere straordinario e provvisorio ed in un'armonica composizione dei contrapposti interessi -l'istituto della necessit come causa di cessazione della proroga legale ha assunto, nella comune interpretazione adeguatrice (cfr. sentenza di questa Corte n. 132/1972), carattere strumentale per la composizione dei contrapposti interessi, prevalendo RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 40 di regola quelli dei conduttori, che rimangono sacrificati di fronte alla esigenza del locatore-proprietario di ottenere la disponibilit dell'immobile in caso di necessit. Appare invece intrinsecamente contrastante con il principio di eguaglianza e di ragionevolezza che la legge sull'equo canone, nel disporre un'ulteriore proroga generalizzata di tutti i contratti di locazione di beni ad uso di abitazione, preveda il diritto di recesso nei confronti dei conduttori meno iabbienti, e lo escluda verso quelli pi abbienti, che appaiono, in ipotesi, meno meritevoli di tutela. Con la conseguenza definita da taluni sul piano pratico aberrante, e verificatasi spesso nella realt, che il conduttore nei cui confronti ammessa azione di recesso non pu esercitare lo stesso diritto, fondato sulla conseguenziale necessit, per riottenere, in quanto proprietario, la disponibilit del proprio appartamento dato in locazione ad un conduttore che abbia un reddito superiore agli otto milioni annui. (omissis). SEZIONE SECONDA GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE I CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT EUROPEE, 6 novembre 1979, nella causa 10/79 -Pres. Kutscher -Avv. Gen. Reischl -Domanda di pronuncia pregiudiz1ale proposta dal Tribunale amministrativo regionale per il Veneto nella causa fra Gaetano Toffoli e la Regione Veneto -Interv.: Govemo italiano (avv. Stato Braguglia) e Commissione delle Comunit europee (ag. Campogrande). Comunit europea Agricoltura Organizzazione comune dei mercati nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari Regime nazionale di prezzi alla produzione Incompatibilit. (Regolamenti CEE del Consiglio 27 giugno 1968, n. 804 e 12 maggio 1978, n. 998; l. 8 luglio 1975, n. 306). La determinazione, in via diretta o indiretta, da parte di uno Stato membro, del prezzo del latte alla produzione incompatibile con l'organizzazione comune dei mercati nel settore del latte e dei prodotti lattiero- caseari, istituita dal regolamento del Consiglio 27 giugno 1968 n. 804 (1). (1-2) Nella seconda sentenza annotata la Corte di Giustizia ricorda di aver costantemente affermato nella sua precedente giurisprudenza che "nei campi in cui esiste un'organizzazione comune dei mercati, a maggior ragione quando detta organizzazione basata su un regime comune dei prezzi, gli Stati membri non possono pi intervenire con disposizioni nazionali, adottate unilateralmente, nel coillgegno di formazione dei prezzi, quale determinato daLI'organizzazione comune; da questa stessa giudsprudenza -aggiunge fa Corte - stato precisato che le disposizioni di un regolamento agricoJo comunitario che implichino un regime di prezzi che si applichi negli stadi de1la produzioille e del commercio all'ingrosso, lasciano intatto i1 potere degli Stati membri, salvo restando altre disposizioni del trattato, di adottare gli opportuni provvedimenti in fatto di formazione dei prezzi negli stadi del commercio aJ minuto e del consumo, purch essi non mettano in pericolo gli scopi o il fun2iionamento de1l'organizzazione comune dei mercati, in particolare del suo regime dei p11ezzi . Invero l1a giurisprudenza della Corte di Giustizia sull'ambito di competenza degli Stati membri in materia di fissazione dei p11ezzi dei prodotti agd RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 42 II CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT EUROPEE, 17 gennaio 1980, nelle cause riunite 95 e 96/79 -Pres. Kutscher -Avv. Gen. Mayras Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale di prima istanza di Namur, nelle cause Procuratore del Re c. Kefer e Delmelle -Interv.: Governo belga {avv. Knops) e Commissione delle Comunit europee (ag. Delmoly). Comunit europea -Agricoltura -Organizzazione comune dei mercati nel settore della carne suina e nel settore delle carni boVine -Regime nazionale dei prezzi al consumo -Compatibilit -Limiti. (Regolamenti CEE del Consiglio 13 giugno 1967, n. 121 e 27 giugno 1968, n. 805). Il regolamento del Consiglio 13 giugno 1967 n. 121, relativo all'organizzazione comune dei mercati nel settore della carne suina, e il regolamento del Consiglio 27 giugno 1968 n. 805, relativo all'organizzazione comune dei mercati nel settore delle carni bovine, non ostano alla fissazione unilaterale da parte di uno Stato membro di un margine di utile massimo per la vendita al dettaglio delle carni suine o bovine, margine calcolato essenzialmente a partire dai prezzi d'acquisto, quali sono praticati negli stadi commerciali anteriori, e variabile in funzione di detti prezzi, purch i prezzi di acquisto che servono al calcolo del margine siano maggiorati delle spese commerciali e d'importazione effettivamente sostenute dal dettagliante nello stadio dell'approvvigionamento e della vendita al consumo e purch il margine venga fissato ad un livello che non ostacoli gli scambi intracomunitari (2). coli non sembra affatto univoca come il richiamo sopra riportato Jascerebbe pensare. Con 1a sentenza 23 gennaio 1975, nelle cause 31/74, GALLI (in Racc., 1975, pag. 47, e in questa Rassegna, 1975, I, 312, con nota di MARZANO) la Corte aveva enunciato ,effettivamente ~l principio che nei settoni regolati da una organizzazione comune di mercato (nella specie si trattava dei settori dei cereali e dei grassi di cui aii regolamenti nn. 120/67 e 136/66) -e a pi forte ragione quando l'organizzazione poggia su un regime comune dei prezzi -gili Stati membri non possono pi intervenire con atti unilaterali nel sistema dQ formazione dei prezzi determinato dall'organizzazione comune; tuttavia, era stato precisato, poich il regime dei prezzi instaurato dai regolamenti n. 120/67 e n. 136/66 si applica esclusivamente nelle fasi dclila produzione e del commercio all'ingrosso, glg, Stati membl:'i rimangono liberi di emanare i provvedimenti che ritengono necessari in materi'a di formazione dei prezzi nclle fasi del commercio al minuto e del consumo, purch non mettano in pericolo g-1i obiettivi od H funzionamento dell'organizzazione comune di mercato. Questa sentenza metteva in ,evidenza, dunque, la struttura concreta della organizzazione comune di mel:'cato di un certo settore: poich il regime comune ..........,~~ PARTE I, SEZ. II, GHJRIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 43 III CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 15 novembre 1979, n. 5946, Pres. Vigo rita Est. Battimelli P. M. La Valva (conf.). -Crivellaro c. Prefetto di Padova (avv. Stato Fiumara). Comunit europea Prezzi Disciplina Blocco dei prezzi di beni di largo consumo Normativa comunitaria -Organizzazione comun.e di mercato Compatibilit Limiti Fattispecie (olio di semi). (d.I. 24 luglio 1973, n. 427, conv. in legge 4 agosto 1973, n. 496, artt. 1 e 2; regolamento CEE del Consiglio 21 settembre 1966, n. 136). In tema di disciplina dei prezzi di beni di largo consumo, introdotta dal d.l. 24 luglio 1973 n. 427, conv. in legge 4 agosto 1973 n. 496, un contrasto fra il regime di blocco del prezzo di beni appartenenti a settori regolati da un'organizzazione comune di mercato e la normativa in materia della CEE pu configurarsi solo se si possa ipotizzare che il vincolo posto dalla norma nazionale possa produrre, come conseguenza, una turbativa ed una violazione degli obiettivi di mercato, valutabili tenendo conto della maggiore o minore incisivit sul regime di scambio dei singoli beni della disciplina comunitaria (nella specie, per gli oli di semi, poich per essi la normativa comunitaria non ha istituito un dei prezzi riguarda solo le fasi della produzione e del consumo all'ingrosso, nulla osta a che g1i Stati membri discipLiinill.o i prezzi per la fase del commercio al minuto o del consumo, purch, per, non mettano in pericolo gli obiettivi e il funzionamento dell'organizzazione comune di mercato. Intervenivano, quindi,, le sentenze 26 febbraio ,1976, neUa causa 65/75, TASCA (in Racc. 1976, 291) e ne1le cause riunite 88-90/75, 1SADAM (in Racc. 1976, 323, e in questa Rassegna, 1976, I, 498, con nota di BRAGUGLIA). In esse Ia Corte osservava ,che una disciplina nazionale in materia di prezzi agricoli, la quale si riferisca alle stesse fasi commerciali contemplate dal regime dei prezzi vigente ne11'ambito delil'organizzazione comune di mercato avr maggiori probabilU di trovarsi in conflitto con questo regime che non una disciplina da applicare esclusivamente in altre fasi commerciali , per cui, indipendentemente dalla fase commerciale considerata, la fissazione unilatemle, da parte di uno Stato membro, di prezzi massimi per la vendita di zucchero incompatibile con il regolamento 1009/67 (che crea una organizzazione comune di mercato nel settore dello zucchero), qualora metta dn per.icolo gli obiettivi ed il funzionamento della suddetta organizzazdone, e in ispecie del suo regime di prezzi. Anche queste sentenze ponevano in evidenza Ia necessit di valutare in concreto il rapporto fra struttura dell'organizzazione e poteri residui degli Stati. Ma in esse si sottolineava che quando gli interventi comunitario e statale riguardano la stessa fase della commercializzazione, sar pi probabile, ma non inevitabile, che il regime interno venga a trovarsi in conflitto con quell.o comunitario: il che significava, in maniera inequivoca, riconoscere che agli RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 44 regime di prezzi, ma ha previsto solo la possibilit di una protezione doganale nei confronti dei paesi terzi, il contrasto potrebbe sussistere solo se il vincolo costituisse causa di perturbazione dell'intero mercato comune) (3). I (omissis) In diritto. 1. -Con ordinanza 28 novembre 1978, pervenuta alla Corte il 19 gennaio 1979, il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto ha sottoposto, a norma dell'art. 77 del Trattato CEE, una questione vertente sull'interpretazione del regolamento del Consiglio 27 giugno 1968, n. 804, relativo all'organizzazione comune dei mercati nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari (G.U. n. legge 148 del 28 giugno 1968, pag. 13). 2. -Tale questione sorta in seguito al ricorso proposto da alcune imprese italiane del settore lattiero-caseario per l'1annullamento, in particolare, della deliberazione adottata 1'11 aprile 1978, ai sensi dell'art. 11 della legge italiana 8 luglio 1975, n. 306 (Gazzetta Ufficiale n. 194 del 23 luglio 1975), da una commissione nominata dal Presidente della Giunta regionale del Veneto, con la quale si fissava in 260 lire il litro, I.V.A. Stati membri rimasto &I potere di fissare i prezzi mass1m1 m modo unilaterale, in qualunque fose commerciale (compresa la produzione e il commercio ahl'ingrosso) con l'unico e comune limite che tale fissazione, cio l'esercizio di tale potere, non metta in pericolo gli obiettivi e il funzionamento della organizzazione di mercato, ed in specie il suo regime dei prezzi. Per un'ampia analisi dei due orientamenti del1a Corte, seguiti l'uno nella sentenza GALLI, l'altro neJJe sentenze TASCA e 'SADAM, cfr. le conclusioni de1l'Avvocato Generale della Corte CAPOTORTI nella causa 50/76, AMSTERDAM BULB B.V., 6 (in Racc., 1977, 155), dove vengono ritenute espressione del primo orientamento, oltre la sentenza GALLI, la sentenza 21 marzo 1972, ne1la causa 82/71, SAIL (in Raoc. 1972, J19), e del secondo, oltre ~e sentenze TASCA e SADAM, 1e sentenze 12 luglio 1973, nella causa 2/73, GEnoo (in Racc., 1973, 865), 30 ottobre 1974, '!lella causa 190/73, VAN HAASTER (in Racc. 1974, 1123), 23 gennaio 1975, nella causa 51/74, VAN DER HULST (~n Racc. 1975, 79), 14 Juglio 1976, nelle cause munite 3-4 e 6/76, KRAMER (in Racc., 1976, 1280); cfr. anche 1e conclusioni del medesimo Avvocato Generale nella causa 223/78, GROSOLI. Con le successive sentenze 3 febbraio 1977, nella causa 52/76, BENEDETTI (in Racc., 1977, 163), 29 giugno 1978, nella causa 154/77, DECHMANN (in Racc., 1978, 1573) e 12 luglio 1979, nella causa 223/78, GROSOLI (in questa Rassegna, 1979, I, 418, con nota di BRAGUGLIA), 1a Corte confermava che gli Stati membri possono regolamentare i prezzi nelle fasi del commercio al minuto e cte1 consumo, purch non siano messi in pericolo gli obiettivi o il funzionamento de!J'organizzazione comune di mercato. Ma gi nelle ultime due sentenze 1a Corte, pur occupandosi soltanto dehle fasi del commercio al minuto e del PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 45 inclusa, il prezzo regionale del latte vaccino alla produzione fino al 31 dicembre 1978. 3. -Prima di passare all'esame dei termini precisi e della portata della questione sottoposta, opportuno ricordare i tratti essenziali, da un lato, della normativa comunitaria e, dall'altro, della legislazione nazionale in materia. 4. -Ai sensi dell'art. 3, n. 1, del regolamento n. 804/68 ogni anno viene fissato per la Comunit, anteriormente ial 1 agosto, un prezzo indicativo del latte per la campagna lattiera che inizia l'anno successivo. Il prezzo indicativo, ad termini dell'art. 3, n. 2, il prezzo che si tende ad assicurare per la totalit del latte venduto dai produttori durante la campagna lattiera, compatibilmente con le possibilit di smercio esistenti sul mercato della Comunit e sui mercati esterni. Il prezzo indicativo fissato, secondo la procedura di cui all'art. 43, n. 2, del Trattato, per latte contenente il 3,7% di materie grasse franco latteria (art. 3, nn. 3 e 4). 5. -In mancanza di misure d'intervento dirette per il latte il prezzo di questo prodotto viene sostenuto, in particolare, mediante un sistema di prezzi d'intervento, istituito dall'art. 5, per determinati prodotti derivati, cio il burro, il latte scremato in polvere ed i formaggi Grana- consumo, per le quald ribadiva il riconoscimento deUa astratta compatibilit con ~'orgrum:zazione comune di mercato dei regimi nazionali dei prezzi, mostrava chiaramente di partire dalle premesse deLla sentenza GALLI anzich da quelle delle sentenze TASCA e 1SADAM, anche se si riferiva dndistintamente aH'una e alle altre (ancora in tema di prezzi mininti e massimi fissati dagli Stati membri, sotto alJtri ma analoghi profili, cfr. le sentenze 2 febbraio 1977, neLla causa 50/76, .AMSTERDAM BULB B.V., !Lu Racc., 1977, 137; 16 novembre 1-B.M., in Racc., 11977, 2115; 24 gennaio 1978, 111e11a causa 82/77, VAN TIGGELE, in Racc., 1978, 25). Infine ila Corte, prima con la sentenza 18 ottobre 1979, nelila causa 5/79, BUYs, richiamata la sua precedente giurisprudenza, ha affermato che il regolamento del Consiglio 27 giugno 1968, n. 804 va interpretato nel senso che esso osta ad una disciplina nazionale... di blocco dei prezzi, nella fase della distribuzione dei prodotti per l'allattamento dei viteLli compresi nelirorganizzazione comune di mercato istituita dal1o stesso regolamento, qualora '1'appliicazione di detta disoipldna metta in pericolo gli ob~ettivi o il funzionamento di tale organizzazione, ed in ispecie dcl suo regime .dei prezzi (ne11a specie la disciplina nazionale bloccava i prezzi sia aHa produzione che ne1le diverse fasi della distribuzione); e poi con la prima delle due sentenze annotate ha esplicitamente statuito, dopo la consueta premessa di principio sui J.ima.ti dei poteri degli Stati membri riguardo ai prezzi dei prodotti soggetti ad un'organizzazione comune di mercato, che una legislazione naziona1e intesa a promuovere ed a favorire la formazione con qualsivoglia metodo, di un prezzo uniforme del fatte a:lla produzione, consensualmente o d'autorit, a 46 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEI.LO STATO Padano e Parmigiano-Reggiano. Scopo di tali prezzi d'intervento di assicurare il raggiungimento del prezzo indicativo alle condizioni di cui all'art. 3, cio, essenzialmente, in conformit alle leggi di mercato nell'ambito comunitario. Per il conseguimento di tale fine, il regolamento prevede anche un sistema di protezione a11a frontiera comunitaria comprendente, in particolare, prelievi destinati a colmare la differenza fra il prezzo di entrata ed il prezzo franco frontiera di un determinato prodotto lattiero-caseario. Tali prezzi sono fissati per ciascuno dei prodotti pilota, di cui all'art. 14 del regolamento del Consiglio 28 giugno 1968, n. 804, specificamente determinati nell'allegato I del regolamento del Consiglio 28 giugno 1968, n. 823, che determina i gruppi dei prodotti e le disposizioni speciali relative al calcolo dei prelievi nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari (G.U. n. L. 151 del 30 giugno 1968, pag. 3). il caso di ricordare anche che il regolamento n. 804/68 prevede la possibilit di concedere restituzioni all'esportazione d'importo uniforme per tutta la Comunit, ma diversificate a seconda del paese terzo destinatario. 6. -Per la campagna lattiera di cui si tratta nella controversia sul merito, il prezzo indicativo per il Jatte stato fissato con regolamento del Consiglio 12 maggio 1978. n. 998 (G.U. n. L 130 del 18 maggio 1978, pag. 5) in 17,70 u.c. per 100 kg. (204,26 lire per kg.) dal 22 maggio 1978, liveUo nazionale o regionale, si situa di per se stessa al di fuori del1'ambito delle competenze riservate agli Stati membri (cfr. anche la coeva sentenza nelle cause riunite 16-20/79, DANIS, per i prezzi dei cereali -reg. n. 120/67 -nelle fasi della produzione e del commercio all'1ngrosso): con queste sentenze il ritorno aU'orientamento di cui era espressione Ja sentenza GALLI appare indiscutibile. La seconda sentenza annotata si riferisce, pi. limitatamente, ad un caso di regolamentazione nazionale di prezzi aL consumo. (3) La sentenza della Corte di Cassazione conseguenziale all'orienta. mento espresso dalla Corte di Giustizia neLle sentenze TASCA e SADAM: e poich gli olri di semi, -pur rientrnndo fra i prodotti soggetti aLl'organizzazione comune di mercato nel settore dei grassi -, nOl!l godono di un regime di prezzi comunitario, ma fruiscono semp1icemente di una protezione doganale negli scambi con ri paesi terzi e possono costituire oggetto di misure di salvaguardia in caso di perturbazione del mercato, un contrasto fra regime naziornale dei prezzi, dettato anche per la fase del commercio aill'ing.rosso, con fa normativa comunitaria potrebbe sussistere solo se tale regime costituisse causa di perturbazione dell'intera organizzazione di mercato. Si noti come in motivazione la Corte Suprema abbia riaffermato che il giudice naziionale, nel caso in cui si ravvisi difformit fra la normativa naziona1e e quella comunitaria (anteriore), s che l'applicazione deHa prima porti a risultati contrastanti con queHi voluti e ipotizzati dalla seconda, (pu) unicamente sospendere la decisione del caso concreto e provocare un giudizio di costituzionaJit della norma nazionale. Per i precedenti cfr. questa Rassegna, 1978, I, 179. O.F. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE dopo che il regolamento del Consiglio 27 aprile 1978, n. 910 (G.U. n. L 117 del 29 aprile 1978, pag. 84) aveva prorogato fino al 21 maggio 1978 1a campagna lattiera 1977/1978 e, di conseguenza, il prezzo indicativo del latte fissato per detta campagna dal regolamento del Consiglio 26 aprile 1977, n. 872 (G.U. n. L 106 del 29 aprile 1977, pag. 17). 7. -Dal fascicolo risulta che la legge italiana 8 luglio 1975, contenente, fra l'altro, norme per la determiil!azione del prezzo del latte alla produzione, all'art. 2 prevede che la produzione e la vendita del latte da parte dei produttori associati sono disciplinate da regole e da programmi stabiliti dall'Associazione. I produttori associati sono, inoltre, tenuti a vendere il latte tramite la loro associazione. Ai sensi dell'art. 8, il prezzo del latte alla produzione, indipendentemente dall'uso cui esso destinato, fissato, per ogni annata agraria e per ogni regione, mediante negoziazione collettiva con la partecipazione delle diverse categorie interessate (produttori, associazioni, trasformatori e centrali del latte) e secondo i criteri definiti dagli artt. 8 e 9. A norma dell'art. 10, l'accordo raggiunto tra le parti, eventualmente con l'intervento del comitato economico regionale di cui all'art. 3, pubblicato a cura di detto comitato nel Bollettino ufficiale della Regione ed vincolante per le parti. Se l'accordo di cui all'art. 10 non viene raggiunto nel termine di trenta giorni dall'inizio dell'annata agraria, il prezzo del latte alla produzione determinato, a norma dell'art. 11, da una commissione nominata con decreto del Presidente della regione. Detta commissione, presieduta dall'assessore regionale all'agricoltura o da un suo delegato, composta da cinque rappresentanti dei produttori di latte, due rappresentanti delle cooperative lattiero-casearie, quattro rappresentanti dell'industria di trasformazione, un rappresentante delle centrali del latte e due esperti del settore lattierocaseario. La deliberazione della commissione, presa a maggioranza, vincolante fra le parti dal momento della sua pubblicazione nel Bollettino ufficiale. 8. -Come si gi indicato, all'origine della controversia sul merito una deliberazione adottata a norma dell'art. 11 della legge 8 luglio 1975. 9. -A sostegno del ricorso proposto dinanzi al giudice nazionale, i ricorrenti deducono l'incompatibilit della legge sopra citata con il regolamento del Consiglio n. 804/68. Da parte sua, la Regione Veneto, resistente nel procedimento principale, ha negato che sussista un conflitto del genere: in primo luogo, perch non si pu constatare un contrasto fra legge nazionale e regolamento comunitario prima che gli organi comunit1ari abbiano dato concreta attuazione alle disposizioni del regolamento, in secondo luogo, perch l'eventuale determinazione di un prezzo indicativo da parte di tali organi ha valore di direttiva e non sottrae, quindi, RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO al legislatore nazionale il potere di intervento nella determinazione concreta del prezzo. 10. -Con ordinanza in data 28 novembre 1978 il giudice nazionale ha sospeso il procedimento ed ha sottoposto alla Corte la seguente questione pregiudiziale: Se la normativa comunitaria, e precisamente il regolamento n. 804 del 1968 (Organizzazione comune dei mercati nel settore del latte e dei prodotti lattiero-oaseari), in relazione all'art. 189, 2 comma, del Trattato CEE, impedisca allo Stato italiano di attribuire con legge alle sue autorit amministrative il potere di determinare il prezzo del latte alla produzione, anche quando fa Comunit non abbia fissato il prezzo indiaativo del latte a norma dell'art. 3 del regolamento n. 804/68 . 11. -Come sopra esposto, uno degli obiettivi principali dell'organizzazione di cui trattasi quello di assicurare ai produttori di Latte un prezzo che tenda verso quello indicativo. I menzionati dispositivi allo scopo istituiti dal regolamento restano sotto l'esclusivo controllo della Comunit. 12. -Nei settori disciplinati da un'organizzazione comune dei mercati, a maggior mgione quando tale organizzazione si basi su un regime comune dei prezzi, gli Stati membri non possono pi intervenire, con disposizioni nazionali adottate unilateralmente, nel processo di formazione dei prezzi disciplinati, per il medesimo stadio di produzione o di messa in commercio, dall'organizzazione comune. Di conseguenza, una legislazione nazioniale intesa a promuovere ed a favorire la formazione, con qualsivoglia metodo, di un prezzo uniforme del latte alla produzione, consensualmente o d'autorit, a livello na:zJionale o regionale, si situa di per se stessa, al di fuori dell'ambito delle competenze riservate agli Stati membri e contrasta col principio della realizzazione di un prezzo indicativo alla produzione per il latte venduto dai produttori comunitari nel corso della campagna lattiera, compatibilmente con le possibilit di smercio esistenti sul mercato della Comunit e sui mercati esterni, principio posto dal regolamento n. 804/68, in particolare dal suo art. 3. da notare, inoltre, che l'incompatibilit di una legislazione del genere con l'organizzazione comune dei mercati non affatto messa in discussione dalla mancanza di sanzioni per l'inosservanm del prezzo stabilito in base alla legislazione stessa. 13. - poi il caso di rilevare che la supposizione dalla quale partiva la questione proposta, cio che la Comunit non avesse fissato il prezzo indicativo del latte per il periodo in parola, non corrisponde alla situazione allora esistente a livello comunitario. In effetti, pur terminando la campagna precedente, ai sensi della normativa in vigore, il 31 marzo 1978. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 49 per evitare una soluzione di continuit l'applicazione del prezzo indicativo continuava fino aH'entrata in vigore del regolamento del Consiglio 27 aprile 1978, n. 910, che prorogava formalmente la precedente campagna fino a,I 21 maggio 1978, data dalla quale il prezzo indicativo del latte stato fissato dal regolamento del Consiglio 12 maggio 1978, n. 998. 14. -La questione sottoposta va quindi risolta nel senso che la determinazione, in via diretta o indiretta, da parte di uno Stato membro, del prezzo del latte alla produzione incompatibile con l'organizzazione comune dei mercati nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari. (omissis). II (omissis) In diritto. -1. -Con sentenze 7 e 30 maggio 1979, pervenute alla Corte i.il 15 e, rispettivamente, il 19 giugno 1979, il Tribuna! de premire instance di Namur (Sezione penale) ha sottoposto alla Corte di giustizia, a norma dell'art. 177 del Trattato CEE, delle questioni pregiudiziali vertenti sull'interpretazione del regolamento del Consiglio 27 giugno 1968, n. 805, relativo all'organizzazione comune dei mercati nel settore delle carni bovine (G.U. 1968, n. L 148/24), e del regolamento del Consiglio 13 giugno 1967, n. 121, relativo all'organizzazione comune dei mercati nel settore della carne suina (G.U. 1967, n. L 117/66). 2. -Dette questioni sono state sollevate in occasione di cause penali promosse a carico di due dettaglianti di carne di Andenne (causa 95/79) e di Namur (causa 96/79), imputati di aver maggiorato, il 14 ottobre 1976 e, rispettivamente, il 13 aprile 1977, i prezzi di vendita al dettaglio delle carni bovine e suine, in misura incompatibile col Decreto Ministeriale belga 27 marzo 1975 (Moniteur belge del 29 marzo 1975) il quale, agli articoli 1 e 2, stabilisce che i prezzi di vendita al consumo delle carni bovine e, rispettivamente, delle carni suine praticati. dai dettaglianti di carne non possono superare gli importi ottenuti aggiungendo al prezzo d'acquisto medio ponderato un utile massimo di FB 22 il kg nonch l'importo dell'IVA. A tale scopo l'art. 2, n. 4, del Decreto, precisa che il prezzo d'acquisto medio ponderato viene calcolato dividendo il totale delle fatture per tipo d'acquisto, esclusa l'IVA, durante le quattro settimane precedenti, per il numero di chili corrispondente, meno il 2,5%. 3. -I due imputati hanno eccepito che le disposizioni sopra menzionate sono incompatibili coi regolamenti comunitari che hanno istituito le organizzazioni comuni dei mercati nel settore della carne suina e in quello della carne bovina e non possono quindi costituire il fondamento legale delle due cause promosse a loro carico. r11rr11111111;;111&r1111gr1111111111111111111s111111111r11111 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 50 4. -Per chiarire il problema, il giudice nazionale ha sottoposto alla Corte di giustizia, nella causa 95/79, le seguenti questioni: Se 1 Decreto Ministeriale 27 marzo 1975, concernente la fissazione del prezzo di vendita al consumo delle carni bovine o suine fosse in contrasto: 1) Con d.l regolamento (CEE) del Consiglio 27 giugno 1968, n. 805, relativo all'organizzazione comune dei mercati nel settore delle carni bovine; in particolare, se l'art. 5, 3, 1, del suddetto Decreto fosse in contrasto con l'art. 6, n. l, lettere a) e b), di tale regolamento nonch con i regolamenti relativi alla fissazione del prezzo di base delle carni bovine, ed in particoLare con la disciplina attuata dai regolamenti: -31 luglio 1972, n. 1652; -8 maggio 1973, n. 1192; -28 marzo 1974, n. 667; 2) Con il regolamento (CEE) del Consiglio 13 giugno 1967, n. 121, relativo all'organizzazione comune dei mercati nel settore delle carni suine; in particolare, se l'art. 3, 4, 1, del suddetto Decreto fosse in contrasto con l'art. 5, n. 1, 2 comma, di tale regolamento nonch con i regolamenti relativi alLa fissazione del prezzo di base delle carni suine, e in particolare con la disciplina attuata dai regolamenti: -29 ottobre 1971, n. 2305; -15 maggio 1973, n. 1351; -29 aprile 1974, n. 1133 . Nella causa 96/76, detto giudice ha sottoposto alla Corte di giustizia la seguente questione: Se il Decreto Miniosteriale 27 marzo 1975, reLativo alla fissazione del prezzo di vendita al consumo delle carni bovine e suine, sia in contrasto con il regolamento (CEE) del Consiglio 27 giugno 1968, n. 805, relativo all'organizzazione comune dei mercati nel settore delle carni bovine. 5. -La Corte, bench non le spetti pronunziarsi, nell'ambito di un procedimento promosso in forza dell'art. 17 del Trattato CEE, suUa compatibilit di norme di diritto nazionale con disposizioni di diritto comunitario, viceversa competente a fornire al giudice nazionale tutti gli elementi d'interpretazione che rientrino nel diritto comunitario e che consentano a detto giudice di pronunziarsi sulla compatibilit di tali norme con La disposizione comunitaria presa in esame. Le questioni sollevate vanno quindi considerate come intese ad accertare se ed entro quali limiti il regolamento CEE del Consiglio 13 giugno 1967, n. 121, relativo all'organizzazione comune dei mercati nel settore dalla carne suina, e il regolamento CEE del Consiglio 27 giugno 1968, n. 805, relativo all'organiz PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE z,azione comune dei mercati nel settore delle carni bovine, lascino sussistere il potere degli Stati membri di disciplinare, mediante norme nazionali, i prez:lii di vendita al consumo nei settori sopra menzionati. Data la connessione esistente fra le questioni, opportuno esaminarle congiuntamente. 6. -Nella fattispecie, dagli artt. 1 e 2 del Decreto Ministeriale 27 marzo 1975, cui si riferisce il giudice na:tJionale, si desume che i provvedimenti nazionali di cui causa riguardano la formazione dei prezzi allo stadio della vendita al consumo. d'altro canto assodato che i prodotti i cui prezzi sono toccati dai detti provvedimenti sono disciplinati dall'organizzazione comune istituita dal regolamento n. 121/67 nel settore della carne suina e dal regolamento n. 805/68 nel settore delle carni bovine. 7. -Come la Corte ha indicato nella sentenza 29 giugno 1978 (Dechman, 153/77, Racc. pag. 1573), per quanto riguarda il regolamento n. 121/67, e nella sentenza 12 luglio 1979 (Grosoli, 223/78), per quanto riguarda il regolamento n. 805/68, le organizzazioni comuni . dei mercati istituiti da detti regolamenti hanno lo scopo di realizzare nel settore della carne suina e, rispettivamente, delle carni bovine, un mercato unico per la Comunit, soggetto ad una gestione comune. Onde giungere a questa unit dei mercati, detti regolamenti hanno istituito un sistema di norme ed un'organizzazione in cui ha primaria importanza il regime dei prezzi da applicarsi agli stadi della produzione e del commercio all'ingrosso. Queste particolarit delle organizzazioni comuni dei mercati istituite dai regolamenti n. 121/67 e n. 805/68 non sono sminuite n dai regolamenti adottati in seguito dal Consiglio e presi in considerazione dal giudice nazionale, i quali hanno unicamente lo scopo di dare attuazione ai regolamenti di base sopra menzionati, determinando, per ciascun periodo preso in considerazione, determinati elementi del loro regime dei prezzi o determinate condizioni di smercio, n, per quanto riguarda pi precisamente il regolamento n. 121/67, dal regolamento del Consiglio 29 ottobre 1975, n. 2759 (G.U. 1975, n. L 282/1), il quale si limita a codificare il regolamento n. 121/67 ed i suoi successivi emendamenti. 8. -Come la Corte ha inoltre affermato nella propria giurisprudenza -sentenza 23 gennaio 1975 (Galli, 31/74, Racc. pag. 47), sentenze 29 febbraio 1976 (Tasca, 65/75 e Sadam, 88-90/75, Racc. pag. 291 e pag. 323), sentenza 29 giugno 1978 (Dechmann, 154/77, Racc. pag. 1573), sentenza del 12 luglio 1979 (Grosoli, 223/78), sentenza del 18 ottobre 1979 (Buys, 5/9) e sentenza 11 novembre 1979 (Danis, 16-20/79) -nei campi in cui esiste un'organizzazione comune dei mercati, a maggior ragione quando detta organizzazione basata su un regime comune dei prezzi, gli Stati membri non possono pi intervenire con disposizioni nazionali, adottate unilateralmente, nel congegno di formazione dei prezzi, quale determinato dal RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLo STATO 52 l'organizzazione comune. Da questa stessa giurisprudenza stato precisato che le disposizioni di un regolamento agricolo comunitario che implichino un regime di prezzi che si applichi negli stadi della produzione e del commercio all'ingrosso, lasciando intatto il potere degli Stati membri, salve restando altre disposizioni del Trattato -di adottare gli opportuni provvedimenti in fatto di formazione dei prezzi negli stadi del commercio al minuto e del consumo, purch essi non mettano in pericolo gli scopi o il funzionamento dell'organizzazione comune dei mercati, in particolare del suo regime dei prezzi. 9. -La determinazione cli un margine di utile massimo consentito al dettagliante nella vendita al consumo non , in linea di principio, atto a mettere in pericolo gli scopi o il funzionamento di un'organizzazione del genere, purch detto margine sia essenmalmente calcolato a partire dai prezzi d'acquisto, quali vengono praticati nello stadio della produzione e del commercio all'ingrosso, ed in modo da non ledere il funzionamento del regime di prezzi sul quale fondata l'organizzazione comune dei mercati di cui trattasi. 10. -Ci tuttavia non avviene qualora i prezzi d'acquisto presi m considerazione non tengano conto de1le spese commerciai.ii. e d'importazione che il dettagliante ha effettivamente sostenuto sia nella fase dell'approvvigionamento sia in quella della vendita al consumo, ovvero qualora lo stesso margine di utile sia fissato ad un livello il quale, tenuto conto delle modalit di calcolo e dei prezzi d'acquisto, non atto a garantire al dettagliante l'equa remunerazione della sua attivit. Un margine di utile che non soddisfi queste condizioni potrebbe infatti implicare il blocco dei prezzi massimi di vendita al dettaglio, il quale potrebbe pregiudicare il congegno di fissazione dei prezzi negli stadi commerciiali anteriori, quale determinato dall'organizzazione comune dei mercati, ovvero pregiudicare glii scambi intracomunitari con una rilevante diminuzione delle importazioni. 11. -Per queste ragioni, il complesso delle questioni sollevate va risolta nel senso che il regolamento del Consiglio 13 giugno 1967, n. 121, relativo all'organizzazione comune dei mercati nel settore della carne smna, e il regolamento del Consiglio 27 giugno 1968, n. 805, relativo all'organizzazione comune dei mercati nel settore delle carni bovine, considerati entrambi alla luce degli altri regolamenti menzionati dal giudice nazionale, non ostano alla fissazione unilaterale da parte di uno Stato membro cli un margine di utile massimo per la vendita al dettaglio delle carni suine o bovine, margine calcolato essenzialmente a partire dai prezzi d'acquisto, quali sono praticati negli stadi commerciali anteriori, e variabile ii.n funzione di detti prezzi, purch i prezzi d'acquisto che servono al calcolo del margine siano maggiorati delle spese commerciali e PARTE I, SEZ. II, GIURI$. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE d'importazione effettivamente sostenute dal dettagliante nello stadio dell'approvvigionamento e della vendita al consumo e purch il margine venga fissato ad un livel!lo che non ostacoli gli scambi intracomunitari. (omissis). III (omissis) Con il primo motivo di ricorso, con cui si sostiene la non assoggettabilit, in concreto, del ricorrente alla disciplina vincolistica dei prezzi imposta col D.P.R. n. 427 del 1973, in quanto contrastante con la normativa comunitaria della C.E.E. in materia di determinazione di prezzi di mercato, fondato. Premesso, infatti che, contrariamente a quanto si fa col secondo motivo, il ricorrente non prospetta una ipotesi di incostituzionalit del decreto in questione (per contrasto ,con la direttiva comuruitaria), ma pi semplicemente sostiene la tesi dell'inapplicabilit diretta di detto decreto in determina1li casi concreti, va osservato che tale modo di impostazione del problema del tutto errato, in quanto non ipotizzabile una commissione fra legge nazionale e norma comunitaria, s da trarne una sorta di normativa composita, nel1a quale la norma comunitaria si introduca direttamente come correttiva dii quella nazionale per determinate specifiche fattispecie concrete, con conseguente disapplicazione diretta, da parte del giudice nazionale, di alcune norme della legge nazionale per la parte !in cui esse appaiono ilil contrasto, in relazione al caso di specie, con la normativa comunitaria. Un'operazione del genere impossibile, potendo il giudice nazionale, nel caso in cui si ravvisi una difformit fra 1a normativa nazionale e quella comunitaria, s che l'applicazione della prima porti a risultati contrastanti con quelli volumi e ipotizzati dalla seconda, unicamente sospendere la decisione del caso concreto e provocare un giudizio di costituzionalit della norma nazionale, previo, se necessario un giudizio della Corte di giustizia della Comunit per l'interpretazione esatta della disciplina comunitaria, in funzione della quale debba valutarsi, dal giudice costituzionale, la legittimit costituzionale in astratto della norma nazionale, e, prima ancora, dal giudice ordinario la infondatezZ! a o meno di una eventuale questione di costituzionalit. Una questiOIIle del genere non >, venuta meno agli obblighi :incombentile a norma dell'art. 95 del Trattato CEE. Considerazioni generali 2. -In base al diritto italiano -e in particolare a norma del decreto legge 28 febbraio 1939, n. 334, ne1la versione vigente nel 1978 -gli oli minerali e i prodotti derivanti dalla loro trasformazione soggiacciono ad una imposta interna di fabbricazione, fissata dn un determinato importo in lire per quintale, variabile a seconda dei prodotti. Gli stessi prodotti provenienti dall'estero sono assoggettati, alla frontiera, ad un'imposta identdca, denominata sovrimposta di confine . nerati importati dagli altri Stati membri): domanda che la Corte di giustizia, proprio per quanto osservato nella motivazione della sentenza, non avrebbe potuto evidentemente accogliere cos come formulata. A commento della decisione, con la quale stata in definitiva disattesa la pretesa della Commissione delle Comunit europee di far abolire il regime differenziato, e che si conclude con una declaratoria di inadempimento priva in effetti di concreto contenuto (e riferita comunque a fatti invece non accaduti, e allo stato nemmeno ipotizzabili), pu essere utile riprodurre qui di seguito parte delle memorie difensive depositate per il Governo italiano. (Omissis). - 1. -L'Italia stata la prima nazione europea a prevedere e disciplinare, gi nel 1940, il riutilizzo degli oli usati; cos come stata la prima nazione ad incentivare, per evidenti ragioni di politica ecologca ed energetica, l'industria della rigenerazione dei prodotti petroliferi usati. Nella relativa normativa stato necessario prevedere, ovviamente, una rigida disciplina dei controlli, sia per evitare doppie imposizioni sia per prevenire possibili frodi fiscali. Con l'art. 12 della legge 31 dicembre 1962, n. 1852, in particolare, stata disciplinata l'attivit di chiunque intende ottenere, con qualsiasi mezzo o processo, prodotti petroliferi da prodotti dalla stessa natura, gi usati nell'interno dello Stato . Per l'esercizio di tale attivit prescritta una preventiva autorizzazione ministeriale, ed occorre specificare oltre il nome della ditta e di chi la rappresenta, la localit nella quale si trova l'opificio, i locali di cui si compone, il tipo e la potenzialit degli impianti, i processi di lavorazione nonch la qualit e la quantit delle materie prime da trattare e dei prodotti finiti da immettere in consumo ; ed uguale autorizzazione preventiva debbono ottenere coloro i quali intendano comunque modificare i propri impianti, variare la qualit od aumentare la quantit delle materie prime e dei prodotti finiti >>. 58 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 3. -Allo scopo di favorire, per motivi ad un tempo economici ed ecologici, il recupero ed il reimpiego degli oli usati, la legge italiana 31 dicembre 1962, n. 1852, (G.U.R.I. n. 26 del 29 gennaio 1963, pag. 458) contempla, all'art. 12, un insieme di provvedimenti che disdplinano la raccolta, il recupero ed il reimpiego dei prodotti petroliferi, concedendo alle imprese che effettuano tali operazioni in territorio >italiano agevolazioni fiscali per quanto concerne l'imposta di fabbricazione. 4. -Le disposizioni di cui trattasi distinguono tra il recupero e la rigenerazione dei prodotti petroliferi usati e trattano queste due situazioni in modo diverso, anche sotto il profilo fiscale. 5. -Il recupero degli oli usati consiste nel riutilizzare taluni prodotti petroliferi gi impiegati una pnima volta e che siano riutilizzabili, nello stato in cui si trovano, per gli stessi fini o per altri scopi, oppure che, prima del reimpiego, debbano essere puliti o depurati, in particolare mediante decantazione, filtrazione o essiccamento. Gli oli lubrificanti cos recuperati sono esenti dall'imposta di fabbricazione purch il recupero Sui prodotti ottenuti dovuta l'imposta di fabbricazione ragguagliata al 25 per cento dell'aliquota fissata per ciascuna specie dei prodotti stessi, sempre che alla produzione sia stato provveduto con la prescritta autorizzazione ministeriale; ed infatti stabilito, con il quinto comma della stessa disposizione, che per la immissione in consumo, senza la predetta autorizzazione, di prodotti petroliferi ottenuti ai sensi del primo comma, dovr essere corrisposta l'imposta di fabbricazione ad aliquota intera. Per quanto concerne i prodotti petroliferi recuperati e reimpiegati, la norma prevede l'esenzione dell'imposta di fabbricazione per gli oli minerali lubrificanti ricuperati, mediante operazioni, anche congiunte di decantazione, filtrazione od essiccamento, negli stabilimenti industriali, quando il ricupero, le operazioni anzidette ed il reimpiego avvengono nello stesso stabilimento in cui essi furono usati ; e la stessa esenzione prevista anche per la benzina ricuperata nelle smacchiatorie o lavanderie dopo i lavori in cui sia stata impiegata e per i prodotti petroliferi, esclusi i lubrificanti, ricuperati negli stabilimenti industriali per il diretto reimpiego nei processi di lavorazione in cui furono usati. 2. -La iniziale contestazione della Commissione delle Comunit europee si riferiva sia al trattamento fiscale dei prodotti petroliferi rigenerati (applicazione di imposta con aliquota ridotta) sia a quello dei prodotti recuperati e reimpiegati (esenzione dall'imposta). Alla Commissione delle Comunit europee era sembrato, infatti, che in entrambe le ipotesi fosse da ravvisare un contrasto con l'art. 95, primo comma, del trattato CEE; e ad entrambe le ipotesi si riferisce invero il parere motivato del 10 gennaio 1978 (nel quale si assumeva, pur apprezzandosi nel loro giusto valore gli argomenti di ordine economico ed ecologico addotti dal governo italiano'" che tali argomenti non sono tuttavia suscettibili di modifi care sia pur minimamente le valutazioni giuridiche tratte dall'art. 85 ). Nel ricorso proposto in sede contenziosa, peraltro, la Commissione delle Comunit europee ha invece gi ammesso che con lettera del 29 luglio 1976 PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 59 ed ril reimpiego avvengano milio stesso st1abilimento nel quale detti oli sono stati usati la prima volta (art. 12, 7 comma, della legge n. 1852). 6. -La rigenerazione consiste invece in un complesso procedimento chimico che richiede impianti a carattere indust11iale e serve a restituire agli olii. minerali usati tutte le caratterJstkhe ch'essi possedevano prima di venire impii.egati. La Commissione ed il Governo italiano sono d'accordo nell'ammettere che non possibile distinguere l'olio rigenerato dall'olio di prima raffinazione non ancora usato. 7. -A norme dell'art. 12, 2 comma, della legge italiana precitata, gli oli rigenerata. sono assoggettati all'imposta di fabbricazione in misura pari al 25% dell'aliquota intera. Quest'aliquota ridotta si applica ai prodotti rigenerati non solo quando vengono mesisi in commercio, ma anche qualora vengano riutilizmtii. dall'impresa che li ha impiegati fa prima volta. 8. -Il diritto [taliano non contempla l'applicazione dell'aliquota ridotta agli oli importati, siano essi recuperati o rigenerati; questi sono assoggettati alla sovrimposta di confine, corrispondente all'imposta di (che pur di data anteriore a quella del parere motivato) il Governo italiano ha fornito ragguagli esaurienti sulle modalit di applicazione del regime di imposta sui prodotti "recuperati " e "reimpiegati "; e la domanda giudiziale risulta infatti limitata, con parziale desistenza della richiesta inizialmente avanzata con il parere motivato, alla sola ipotesi dei prodotti rigenerati . 3. -Prima di commentare tale residua domanda sono opportune talune precisazioni e rettifiche. Non esatto, infatti, che il governo italiano non contesta che le predette disposizioni sono incompatibili con l'art. 95, paragrafo 1, del trattato (come si assumeva invece nel parere motivato); cos come non esatto che per quanto attiene invece ai prodotti rigenerati, il Governo italiano non ha contestato la discriminazione fiscale o che il Governo italiano (ha) riconosciuta la fondatezza del parere motivato (come si assume invece nel ricorso). Gi nella prima lettera del 29 luglio 1976, invero, stato espressamente rilevato che le suesposte situazioni impositive non possono configurare alcuna discriminazione nei confronti dei prodo1ti comunitari importati (replica riferita, come risulta dalla successiva motivazione, a tutte le ipotesi in discussione); e dagli atti della fase precontenziosa, gi ex adverso prodotti in giudizio, risulta evidente, inoltre, che il manifestato proposito di provvedere a modifiche legislative non determinato dalla ipotizzata fondatezza del parere motivato, ma soltanto dal fatto che l'attuazione della direttiva del Consiglio CEE 16 giugno 1975, n. 439 (con la quale la segnalata possibilit di modifica risulta in stretta correlazione) consentir di sostituire l'attuale regime fiscale. E' gi stato espressamente rilevato, infatti, che adeguamento da parte italiana at parere motivato in argomento creerebbe distorsioni sino a quando forme incentivazione attuate in applicazione suddetta direttiva non saranno uguali in tutti Stati membri ; cos come stato segnalato che l'attuale riduzione di imposta sugli oli rigenerati sar sostituita con applicazione indennit prevista da direttiva 75/439/CEE ; ed nell'ambito di tale prospettiva, quindi, che va inteso il proposito delle autorit italiane di conformarsi at parere motivato 10 gen - 60 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO fabbricazione ad aliquota intera. Va tuttavia osservato che l'importazione di oli recuperati da altri Stati membri semb:ria un'!ipotesi teorica e che ianche il commercio intracomunitaruo di oli rigenerati , se non inesistente, quanto meno molto ridotto, pur se suscettibile di sviluppo a causa dell'andamento del mercato dei prodotti petroliferi. 9. -In risposta 'alla lettera 24 giugno 1976, in cui la Commissione dichiarava di ravvisare nella normativa di cui trattasi una violazione dell'art. 95, 1 comma, del Trattato, fa Repubblica italiana osservava che, per quanto concerne gli oJ.i recuperati, l'esenzione -subordinata alla condizione che il recupero ed il reimpiego venissero effettuati nello stesso opificio -icostituiva applicmone del principio fiscale non bis in idem . A suo avviso, il fatto che, per definizione, detta condizione non potesse essere soddisfatta dai prodotti importati non signkavia assolutamente che l'esenzione non fosse conforme al Trattato. Per quel che riguarda gli oli rigenerati, la Repubblica italiana sosteneva, sostanzialmente, che non susnaio 1978 (in quanto cio l'attuazione della. direttiva_ comunitaria consentir comunque di risolvere la questione), e non certo per un presupposto riconoscimento che l'attuale regime fiscale degli oli rigenerati possa assumersi incompatibile con l'art. 95, primo comma, del Trattato. 4. -Quanto al merito del ricorso, la sua infondatezza va dedotta, anzitutto, sulla base delle stesse argomentazioni che hanno gi indotto la Commissione delle Comunit europee a desistere, in questa sede, dall'analoga domanda relativa alla ipotesi dei prodotti ricuperati e reimpiegati . L'esenzione fiscale prevista per tali prodotti (ed applicabile oltretutto sotto l'osservanza delle modalit da stabilirsi con decreto del Ministro delle finanze , e sempre che il recupero, le relative operazioni, ed il reimpiego avvengono nello stesso stabilimento in cui i prodotti sono stati gi usati) stata giustificata, infatti, rilevandosi che tutti i prodotti recuperati e reimpiegati, in quanto gi usati nell'interno dello Stato >>, hanno gi assolto la normale ed intera imposta di fabbricazione (s che la esenzione in effetti dovuta alla esigenza di evitare una doppia imposizione), e che tale condizionante presupposto non si verifica invece, ovviamente, per gli analoghi prodotti importati dagli altri Stati membri; e tale rilievo, di per s idoneo ad escludere la ipotesi stessa di una discriminazione incompatibile con l'art. 95, primo comma, del trattato CEE, stato gi condiviso dalla Commissione delle Comunit europee. Analoga considerazione assume rilievo, peraltro, anche per quanto concerne l'ipotesi dei prodotti petroliferi rigenerati >>, anche in tal caso trattandosi di prodotti ottenuti con la rigenerazione di prodotti che se gi usati nell'interno dello Stato (e soltanto in tal caso) sono stati comunque gi assoggettati alla normale ed intera imposta di fabbricazione. Ai fini della comparazione da fare per gli effetti di cui all'art. 95 del trattato CEE, e tenuto anche presente il carattere fiscale dell'imposta di fabbricazione, non pu non essere considerato, cio, che l'imposta ridotta dovuta sugli oli rigenerati si aggiunge in effetti alla normale imposta gi pagata sui prodotti usati nell'interno dello Stato; ed sintomatico anzi, a tale proposito, che in altri Stati membri (come ad esempio in Francia ed in Inghilterra) nessuna autonoma (ed ulteriore) imposta di consumo sia dovuta sugli oli rigenerati, e pro PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 61 sisteva aloUJlla discniminazione nei confronti dei prodotti stranieri poich l'appLicazione dell'aliquota ridotta -giustifioata dal costo di produzione estremamente 'elevato dell'olio rigenerato rispetto a queHo del prodotto nuovo -eria legata ad un severo controllo del procedimento di rigenerazione, che consentiva l'identificazione dei quantitativi di oli rigenerati da produrre. Poich tale controllo non poteva essere effettuato sui prodotti importati, il diverso trattamento a questi riservato non era in contrasto con l'art. 95 del T:vattato. Il Governo italiano, inoltre, attirava l'attenzione della Commissione sul fatto che le agevolazioni fiscali di cui trattasi erano, di fatto, conformi alle finalit perseguite dalla direttiva del Consiglio 16 giugno 1975 n. 75/439, concernente l'eliminazione degli oli usati, la quale contempla l'istituzione, da parte degli Stati membri, di un sistema armonizzato di raccolta, di eliminazione o di reimpiego deg1i oli usati e consente, 1agli artt. 13 e 14, il versamento di indennit alle imprese che provvedono ad effettuare tali operazioni. Le agevolazioni fiscali critioate .costituivano, in realt, una forma di sovvenzione, come quelle autorizzate dalla direttiva, la quale, peraltro, non era ancora stata prio in base al principio secondo cui lo stesso prodotto non pu essere soggetto a duplicazione di imposta quando sia destinato allo stesso impiego. Gi sotto questo primo profilo, si spiega e si giustifica, quindi, che gli oli rigenerati importati siano assoggettati alla normale imposizione tributaria interna ; e nessuna ingiustificata discriminazione pu essere di conseguenza ravvisata, nel regime tributario in discussione, specialmente quando si consideri che il riferimento alla precedente utilizzazione, nell'interno dello Stato >>, dei prodotti da rigenerare, non dovuto al proposito di discriminare prodotti nazionali da prodotti importati, ma giustificato dal solo fatto che soltanto i prodtti gi usati nell'interno dello Stato, e non quelli utilizzati all'estero, hanno gi scontato, e per intero, la normale imposta interna. 5. -Va pure tenuto presente, inoltre, che uria ingiustificata discriminazione si verifica non soltanto quando situazioni uguali siano differentemente disciplinate, ma anche quando uno stesso trattamento sia applicato a differenziate situazioni. Va tenuto presente, cio, che l'imposta ridotta in discussione in tanto pu applicarsi in quanto gli oli rigenerati siano ottenuti nelle condizioni prescritte dalla legge, sotto il controllo previsto, e nell'esercizio di attivit per la quale sia stata chiesta ed ottenuta preventiva autorizzazione. La rigenerazione degli oli minerali si ottiene invero con un procedimento tecnologico diretto a riprodurre e rinnovare lo stato e le propriet iniziali dei prodotti da rigenerare; ed evidente che un regime tributario dei prodotti rigenerati diverso e pi favorevole di quello applicabile ai prodotti petroliferi originari pu ammettersi soltanto quando sia in concreto possibile verificare e controllare il procedimento di rigenerazione, la quantit e qualit dei prodotti utilizzati, l'effettivo precedente utilizzo degli oli impiegati, lo specifico processo di lavorazione adottato, ed il quantitativo dei prodotti ottenuti. Il raffronto dei prodotti importati pu quindi assumere rilievo soltanto rispetto ai corrispondenti prodotti nazionali ottenuti senza l'osservanza delle condizioni prescritte; e nessuna discriminazione pu essere quindi ravvisata, nella specie, quando si consideri che anche per tali prodotti l'imposta di fabbrica 7 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 62 attuata dalla maggior parte degli Stati membri. Il Governo italiano aggiungeva di star comunque studiando la possibilit di sostituire le agevolazioni fiscali con gli a[uti diretti di cui la direttiva consente il versamento. 10. -Nel parere motivato emesso iI 10 gennaio 1978 la Commissione, dopo aver constatato che il Governo italiano non contesta che le predette disposizioni sono incompatibili con l'art. 95, paragrafo 1, del Trattato -ci che costituisce un'interpretazione inesatta del punto di vista italiano -dichiarava che la Repubblica italiana venuta meno agli obbhighi che le incombono in virt di tale Trattato colpendo i prodotti petroliferi rigenerati, :importati da altri Stati membri, con l'accisa ad aliquota piena mentre gli stessi prodotti importa1li (leggasi: nazionali) beneficiano di un'esenzione, parziale o totale, secondo il caso . La Commissione, men2li.onando espressamente i prodotti nazionali fruenti di esenzione totale, si riferiva -o comunque dava ad intendere di rifersi -sia al regime fiscale degli oli recuperati e reimpiegati nello stesso zione dovuta, come espressamente disposto con l'art. 12, sesto comma, della legge 31 dicembre 1962, n. 1852, ad aliquota intera, 6. -La infondatezza della domanda proposta dalla Commissione delle Comunit europee pu essere evidenziata anche sotto un ulteriore profilo, con riguardo cio alla sostanziale portata della normativa nazionale in discussione ed in particolare alla sua sostanziale aderenza ai princpi ispiratori della direttiva del Consiglio CEE 16 giugno 1975, n. 439. Come si gi sopra ricordato, invero, l'Italia stata la prima nazione europea a prendere in considerazione e a disciplinare il riutilizzo degli oli usati, incentivando per motivi di ordine ecologico ed energetico la rigenerazione dei prodotti petroliferi. Quale sia l'attuale situazione negli altri Stati stata gi altre volte oggetto di discussione; ed sufficiente richiamare, a tale proposito, le risultanze della riunione tenuta il 3 novembre 1977 dalla Commission europeenne de regeneration della Union europeenne des independants en lubrifiants : riunione il cui verbale si ritiene opportuno allegare al presente controricorso, per utile riferimento. La rilevanza della questione concernel).te la eliminazione e la riutilizzazione degli oli usati non poteva non essere avvertita, evidentemente, a livello comunitario; e con la direttiva del Consiglio 16 giugno 1975, n. 439 stato appunto previsto un sistema volto a favorire la rigenerazione dei prodotti usati, contemplandosi la necessit di una autorizzazione delle autorit statali per l'esercizio dell'attivit di rigenerazione, la vigilanza ed il controllo sulle imprese e sui quantitativi da rigenerare, e la corresponsione di una indennit che copra le spese sostenute dalle imprese autorizzate ad esercitare l'attivit di rigenerazione degli oli usati: indennit che possono essere tra l'altro finanziate mediante una tassa riscossa sui prodotti che, dopo la loro utilizzazione, sono trasformati in oli usati, o sugli oli usati . Con tale direttiva, cio, sono stati recepiti a livello comunitario princpi ed istanze del tutto analoghi a quelli ai quali gi in sostanza ispirata la normativa nazionale italiana (necessariamente riferita al solo ambito territoriale interno); ed proprio e soltanto in vista dell'attuazione di tale direttiva di PARTE J, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 63 stabilimento sia a quello degli oli rigenerati. Il 5 luglio 1978 il Governo italiano annunciava di aver deciso di conformarsi al parere motivato elaborando, per i prodotti rigenerati, un provvedimento Jegislativo inteso a sostituire le agevola:llioni fiscail.i criticate con le indennit contemplate dalla direttiva n. 75/439. 11. -Nel ricorso proposto il 31 gennaio 1979 la Commissione si riferisce ai soli prodotti rigenerati e nella replica, nonch nella risposta ai quesiti della Corte, ha precisato e confermato espressamente che i suoi addebiti concernono unicamente iii regime fiscale vigente per i prodotti petroliferi rigenerati menzionati aH'art. 12, 2 comma, della legge italiana n. 1852. 12. -La Co:rte prende atto di tale dichiarazione, che elimina un'ambiguit presente sia nelle osservazioni indirizzate al Governo italiano il 24 giugno 1976 sia nel parere motivato; il suo esame pu pertanto limitarsi al regime fiscale degli o1i rigenerati. ravvicinamento che stata gi nella fase precontenziosa segnalata la possibilit di sopprimere la riduzione d'imposta applicabile ai prodotti ottenuti con la rigenerazione di oli gi usati in ambito nazionale. E' stato infatti evidenziato l'analogo effetto sostanziale determinato dalla prevista corresponsione di una indennit in favore delle imprese autorizzate all'esercizio dell'attivit di rigenerazione; cos come stato espressamente precisato che l'attuale riduzione d'imposta sar sostituita con applicazione indennit prevista da direttiva 75/439/CEE . In questa sede non si discute, d'altra parte, di una mancata tempestiva attuazione della direttiva comunitaria (che per quanto consta non stata finora recepita da nessuno degli Stati membri); ed noto alla Commissione delle Comunit europee, del resto, che gi venuta in evidenza la necessit di rivedere l direttiva comunitaria, che stata predisposta in funzione di finalit quasi esclusivamente ecologiche, e sembra non pi corrispondere, per la mutata situazione energetica degli Stati delle Comunit europee, all'interesse generale secondo cui gli oli usati sono da considerare materia prima pregiata e da destinare quindi esclusivamente alla rigenerazione. Con riguardo a tali premesse, e considerata quindi la sostanziale coincidenza delle finalit perseguite con la direttiva comunitaria con quelle tenute presenti nella normativa nazionale in discussione, appare quanto meno prematura, in definitiva, l'iniziativa che la Commissione delle Comunit europee ha ritenuto di dover assumere in questa sede; e ci specialmente quando si consideri che un determinato effetto non pu essere o no consentito a seconda della fonte che lo rende possibile. Certamente, una uniformit di regolamentazione pu essere garantita soltanto a livello comunitario, e sar in concreto possibile soltanto con l'attuazione della direttiva comunitaria da parte di tutti gli Stati membri. Ci non significa, per, che prima ed indipendentemente dall'attuazione della direttiva comunitaria possa ravvisarsi nella normativa nazionale italiana un contrasto con l'art. 95, primo comma, del trattato CEE, dovendosi invece ammettere che inammissibili distorsioni negli scambi e nella concorrenza si verificherebbero proprio e soltanto se la riduzione d'imposta applicata sugli 64 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Sul regime fiscale degli oli rigenerati 13. -Nel corso della fase orale la Commissione ha insistito sul fatto che l'olio rigenerato e l'olio di prima raffinazione sono prodotti non soltanto siimilari ai sensi dell'art. 95, ma addirittura identici. Tale identicit non contestata dalla Repubblica italiana. L'osservazione della Commissione sembra per suggerire che il regime fiscale degH oli importati, siano essi di prima raffinazione o rigenerati, debba essere identico a quello degli oli rigenerati italiani. Ci spiega, a quanto pare, il punto di vista, esposto dalla Commissione sempre nel corso della fase orale, secondo cui, per conforma11si all'art. 95, il Governo italiano dovrebbe sopprimere l'agevolazione fiscale della quale godono gli oli rigenerati italiani anzich estendere tale agevolazione agli oli rigenerati importati dagli altri Stati membri. 14. -Questo punto. di vista, a parte iil fatto che non espresso n nel parere motivato n nell'atto introduttivo, entrambi basati sul raffronto tra l'imposizione degli oJi rigenerali nazionali e quella degli oli rigenerati importati dagli Stati membri, non pu essere condiviso. Risulta infatti dalla sentenza pronunziata da questa Corte il 10 ottobre 1978 nella oli rigenerati ottenuti da prodotti gi assoggettati alla intera e normale imposta di fabbricazione venisse eliminata prima dell'attuazione della direttiva comunitaria: inammissibili distorsioni che risulterebbero ancora pi gravi, del resto, se la riduzione dovesse essere applicata anche ai prodotti importati (come sembra pretendere la Commissione delle Comunit europee), e quindi, eventualmente, anche a prodotti per i quali potrebbe essere stata in ipotesi corrisposta, nello Stato membro di provenienza, l' indennit prevista dalla direttiva comunitaria. 7. -Tutte le argomentazioni sopra riassunte concorrono ad escludere, in definitiva, e sotto molteplici differenti profili, che il regime fiscale in discussione possa assumersi incompatibile con l'art. 95, primo comma, del trattato CEE. La stessa corrispondenza o _similarit dei prodotti in questione va del resto contestata, considerato che soltanto con l'assoggettamento dell'intero ciclo produttivo a vigilanza fiscale permanente tecnicamene possibile l'identificazione stessa del prodotto rigenerato: preclusione la cui rilevanza risulta ancora pi evidente, ai fini in esame, quando si consideri che la disciplina nazionale italiana del procedimento di rigenerazione, oos come le condizioni prescritte ed i controlli imposti, non trovano alcuna corrispondenza, allo stato, nelle legislazioni degli altri Stati membri. Anche a prescindere da tale ulteriore e pur risolutiva contestazione di merito, non pu non essere considerato, comunque, che l'art. 95, primo comma, del trattato di Roma, volto tra l'altro a garantire il normale gioco della concorrenza (e non certo ad avvantaggiare i prodotti importati rispetto a quelli nazionali), non potrebbe essere applicato in contrasto con la sua portata e con le sue finalit. La effettiva portata e le specifiche finalit dell'art. 95 del trattato CEE costituiscono infatti, necessariamente, e come per qualsiasi altra norma giuridica, i !! f' ! ! 65 PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE causa 148/77 (Hansen c/ Hauptzollant Flensburg; Racc. pagg. 1806-1807) che, nello stadio atrtuale della ,sua evoluzione ed in mancanza di unificazione o armondzza2lione delle norme rilevanti in materia, il diritto comunitario non vieta agli Stati membri di concedere, per legittimi motivi economioi e sociali, agevolazioni fiscali, sotto forma di esenzione da tributi o riduz;ione di questi, a taluni prodotti o a talune categorie di produttori, II Trattato non vieta pertanto, nell'ambito delle legislazi01JJi fiscali nazionali, che vengano imposti oneni tributari diversi su prodotti idonei a .servire ai medesimi fini economlici, soprattutto quando risulti, come nel caso degli oli minerali rigenerati, che i costi di produzione sono oggettivamente molto diversi da quelli degli oli di prima raffi.inazione. 15. -Per contro, l'art. 95, 1 comma, esige che le agevolazioni fiscali di cui trattasi vengano estese senza discriminazione alle merci provenienti da~l,ii altrli Stati. membri ed aventi gli stessi requisiti dei prodotti nazionali che godono delle esenzioni o riduzioni consentite dal diritto nazioil limite stesso della sua concreta operativit, tale limite essendo imposto dal noto principio secondo cui cessante ratione legis cessat et ipsa lex. La rilevanza, nella specie, ed anche a voler in ipotesi prescindere da quanto altro sopra osservato, di tale principio non pu non essere avvertita, invero, quando siano considerate le conseguenze che deriverebbero dalla soluzione sostenuta dalla Commissione delle Comunit europee, quando si tengano presenti, cio, l'alterazione della concorrenza e l'artificiosa e strumentale deviazione negli scambi intracomunitari che sarebbero determinate da una attuale modifica del regime fiscale in discussione. Sia che la riduzione d'imposta venisse soppressa, sia se la sua applicazione venisse estesa anche agli oli rigenerati importati, le imprese nazionali autorizzate a rigenerare i prodotti gi usati nell'interno dello Stato sarebbero infatti costrette a chiudere le raffinerie generatrici, con gravi implicazioni di ordine economico e sociale per le categorie interessate, e negative ripercussioni sui livelli occupazionali; e ci proprio per le mutate condizioni concorrenziali che le indicate innovazioni determinerebbero, se disposte prima della attuazione della direttiva comunitaria. 8. ".'Gi nella fase precontenziosa si osservato, peraltro, che la questione in esame risulter del tutto superata con il recepimento nella normativa nazionale della direttiva del Consiglio CEE 16 giugno 1975, n. 439, per l'attuazione della quale stato gi presentato specifico disegno di legge, contenente delega al Governo per l'adeguamento della normativa nazionale a numerose direttive comunitarie; ed quindi prevedibile che venga nelle more del procedimento a cessare la stessa materia del contendere. Allo Stato, peraltro, deve chiedersi il rigetto della domanda proposta dalla Commissione delle Comunit europee. (Omissis). (Omissis). Gi nel controricorso, comunque, stato osservato che l'art. 95 del trattato CEE, cos come qualsiasi altra norma giuridica, non pu e non deve essere interpretato ed applicato se non in coerenza con la sua ratio e con le sue finalit. Assume quindi determinante rilievo, ai fini in esame, il fatto stesso che la imposta ridotta applicata agli oli rigenerati nazionali (e pi esattamente a RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO nale. L'art. 95, 1 comma -il quale mira ad evitare che le norme del Trattato relative all'abolizione dei dazi doganali e delle misure d'effetto equivalente possano essere aggirate o neutralizzate mediante l'istituzione di imposte nazionali ,che colpiscano le meroi importate irn modo discriminatorio rispetto a quelle di produzione nazionale -d 1attuazione ad un prinoipio fondamentale del meI1Cato comune. Di conseguenza, le disparit da esso vietate devono essere eliminate nonostante i delioati problemi di raffronto cui pu dar iluogo l'equiparazione tra il prodotto importato e i vari prodotti na21ionali -tassati m modo diverso -con i quali esso pu trovarsi in relazione di similarit. 16. -L'art. 95, 1 comma, fa pertanto obbligo agli Stati membr.i di estendere le agevolazioni fiscali di cui fruiscono le merci nazionali alle merci similari importate dagli altri Stati membri, qualora tal!i merci posseggano i requisiti cui .subordinata la concessione di un'aliquota ridotta o dell'esonero; .esso non li obbliga per ad abolire le differenze oggettivamente giustificate che il diritto nazionale stabilisca eventualquella sola parte degli oli rigenerati nazionali la cui produzione sia ottenuta e controlla secondo le prescrizioni imposte dalla legge) non ha alcuno scopo protettivo o protezionistico, e non quindi finalizzata a favorire la produzione nazionale rispetto a quella degli altri Stati membri, ma prevista per rendere possibile la eliminazione non dannosa degli oli usati, per rendere possibile, cio, una rigenerazione degli oli usati alla quale altrimenti, per l'alto costo del procedimento richiesto, nessuno provvederebbe. Va tenuto presente, cio, che il costo di produzione da sostenere per la rigenerazione degli oli usati (lire 123 al chilogrammo nel 1978, v. allegata analisi) oltre quattro volte maggiore di quello richiesto per ottenere gli oli nuovi dalla materia prima (lire 30 circa al chilogrammo), e che il risultato di eliminare, con la rigenerazione, gli oli usati non pu essere conseguito, quindi, se non riducendo in qualche modo il costo di produzione a carico dell'imprenditore. A tali finalit, ispirate a ragioni di carattere ecologico ed energetico (e la cui rilevanza stata riconosciuta anche dalle Comunit europee), sono del tutto estranee, evidentemente, la ratio e le finalit dell'art. 95 del trattato CEE; e tale norma non pu essere alterata nella sua stessa funzione per ricomprendere nel suo ambito di operativit, in contrasto con fondamentali princpi di ermeneutica giuridica, ipotesi e fattispecie estranee invece alle sue finalit ed al suo campo di applicazione. 5. -La estraneit dell'art. 95 del trattato CEE al tema in discussione pu essere avvertita, del resto, anche sotto un ulteriore profilo, verificandosi, cio, le concrete conseguenze della soluzione auspicata dalla Commissione CEE, e quanto tali conseguenze sarebbero aderenti alle finalit perseguite con l'art. 95 del trattato CEE. A tal fine utili elementi di valutazione sar possibile desumere, anzitutto, dai fatti in possesso della Commissione CEE sulla produzione degli oli rigenerati (e di quelli ottenuti dalle materie prime), sul volume dei traffici negli scambi intracomunitari, sulla localizzazione degli impianti di rigenerazione sul territorio comunitario, e sui consumi in ciascuno degli Stati membri (con PARTE I, SEZ. II, GIURIS. C01\1UNJTARIA E INTERNAZIONALE 67 mente fva le imposte interne gravanti su prodotti nazionali, a meno che l'abolizione di taLi differenze non sia l'unico mezzo che consenta di evitare la discriminazione, diretta o indiretta, delle merci importate. 17. -Va del pari disatteso l'argomento della Commissione secondo cui la soppressione de1le agevolazioni fiscali di cui trattasi costituisce l'unica forma di applicazione oorretta dell'art. 95, 1 comma, del Trattato, tenuto conto del fatto che la menzionata direttiva del Consiglio n. 75/439 ha stabilito che ie imprese che raccolgono, eliminano o rigenerano gli oH usati devono ottenere un'apposita, autorizzazione e possono ricevere dalle autorit degJ;i Stati membri indemt per servizi resi purch tali indennit non creino distoilsioni di concorrenza di un certo rilievo n correnti artificiali di scambi di prodotti. 18. -Questa direttiva, ispirata da preoccupazioni di natura ecologica e da considerazioni attinenti alfa politica d'approvvigionamento di coml'indicazione del rapporto tra prodotti nazionali e prodotti importati): elementi che la Commissione vorr quindi acquisire agli atti del processo, ad integrazione dei dati rilevabili dal documento allegato al controricorso, perch la Corte possa verificare, anche in concreto, se il regime fiscale in discussione possa incidere negli scambi intracomunitari, se gli indifferenziati criteri dedotti dalla Commissione rispondano a concrete esigenze delle relazioni intracomunitarie o si risolvano in sterili ed inapplicate affermazioni di principio, se possano o no derivarne strumenti ed artificiose deviazioni nei traffici commerciali, se la normativa possa effettivamente assumersi discriminatoria nei confronti degli oli rigenerati importati, e se e quanto di strumentale e specioso possa ra\'Visarsi, in definitiva, nella contestazione promossa in questa sede dalla Commissione CEE. Quanto alle conseguenze della soluzione ex adverso sollecitata, evidente che se una ingiustificata discriminazione fosse nella specie ravvisabile, e se potesse tale ipotizzata discriminazione assumersi incompatibile con l'articolo 95, primo comma, del trattato CEE, si dovrebbe o assoggettare tutti gli oli rigenerati nazionali alla normale ed intera imposizione tributaria (e non soltanto quelli per i quali non possibile accertare la effettiva derivazione da prodotti gi usati), oppure applicare l'aliquota ridotta anche agli oli rigenerati importati. Per verificare le conseguenze di tali due possibili soluzioni occorre peraltro tener presente, anzitutto, che l'olio rigenerato presenta le stesse caratteristiche merceologiche e le stesse qualit dell'olio nuovo (quello ottenuto, cio, dalla materia prima), e che non in alcun modo possibile distinguere, quindi, l'olio rigenerato dall'olio nuovo . Va tenuto presente, inoltre, che il criterio della utilizzazione non sempre determinante ai fini in esame, e non lo certamente, in particolare quando i due prodotti a raffronto non possono in alcun modo distinguersi, come nella specie, se non in base al prodotto dal quale sono ottenuti (rispettivamente, materia prima e oli gi usati) ed al differente costo di produzione. La stessa Commissione, infatti, non pretende che gli oli rigenerati siano assoggettati allo stesso regime degli oli originali, ma soltanto che uno stesso 68 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO bustihili, non intesa ad armonizz.are le norme vigenti negli Stati membri in materia di imposte di consumo ed altre imposte indirette cui si :riifePisce l'art. 99 del Trattato. Essa, pertanto, lascia intatte le competenze degli Stati membri per quanto concerne le imposte interne, purch siano rispettati, in particolare, gli obblighi imposti dagli artt. 95-98 del Trattato. 19. - assodato -n contestato dalla Repubblica italiana -che gli oli rugenerati importati e queLli nazionali costituiscono prodotti non solo similari, ma addi:riittura identici, sicch le relazioni tra di essi rientrano incontestabilmente nella sfera d'applicazione dell'art. 95, 1 comma, del Trattato. ~O. -Per giustificare il mantenimento in vigore del sistema che esclude gli oli rigenerati importati dal godimento dell'aliquota d'imposta rudotta applicata agli oli rigenerati nazionali, il Governo della Repubblica italiana regime fiscale sia applicato sia agli oli rigenerati nazionali sia a quelli importati: impostazione che presuppone, necessariamente, la possibilit di applicare .differenti regimi fiscali agli oli oli originali ed a quelli rigenerati (e presuppone, quindi, una distinzione non ipotizzabile, invece, sotto il profilo della utilizzazione), e con la quale appare non coerente, perci, l'affermazione secondo cui sarebbe determinante, ai fini in esame, la identit di utilizzazione, e sarebbero del tutto irrilevanti, anche nella specie, le materie prime impiegate e il procedimento di fabbricazione. Sulla base di tali premesse,.e tenendosi sempre presente che l'aliquota ridotta applicata, quando ricorrano le condizioni prescritte dalla legge, soltanto per ottenere in concreto la eliminazione non dannosa degli oli usati e non per proteggere i prodotti nazionali (e che nessuno altrimenti avrebbe interesse a promuovere la rigenerazione degli oli usati), occorre quindi verificare quali conseguenze si verificherebbero nelle due ipotesi sopra specificate, e quanto tali conseguenze potrebbero assumersi aderenti alle finalit specifiche perseguite con l'art. 95 del trattato CEE. Se si estendesse la riduzione d'imposta agli oli rigenerati importati si verificherebbe, anzitutto, un anomalo afflusso di prodotti rigenerati , specialmente dagli Stati nei quali fosse stata gi attuata la direttiva comunitaria (e nei quali gli imprenditori avrebbero quindi gi usufruito del rimbors dei maggiori costi di produzione), in contrasto con le finalit di carattere ecologico ed energetico perseguite dalla normativa nazionale e dalla stessa direttiva comunitaria, e con tutte le ulteriori pregiudizievoli conseguenze di ordine sociale gi evidenziate nel controricorso. Agli oli recuperati (e che potrebbero essi stessi essere utilizzati per la rigneraziorte) .rimarrebbe applicabile, inoltre, come agli oli recuperati nazionali non reimpiegati nello stesso stabilimento>>, la normale ed intera imposizione tributaria, con l'assurda conseguenza di una tassazione, per il prodotto finito, pi onerosa di quella relativa al prodotto utilizzato. Considerato che gli oli di prima utilizzazione e quelli rigenerati non possono essere in alcun modo distinti (se non attraverso il controllo del procedimento produttivo), ovvio, poi, che tutti gli oli minerali importati sarebbero presentati come rigenerati (per usufruire della riduzione d'imposta), senza alcuna possibilit di accertarne la effettiva derivazione da oli gi usati>>, e senza alcuna possibilit di evitare evasioni fiscali; ed anche di j I l I PARTE I, SEZ. Il, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 69 deduce in sostanza tre argomenti, e cio: 1) l'impossibiliit di distinguere, anche mediante anaJilisi, gli oli rigenerati da quelli di prima raffinazione, il che pu dar luogo a frodi all'atto dell'importazione dei prodotti considerati; 2) i1l fatto che l'agevolazione fiscale giustificare da.i costi di produzione estremamente elevati dagli oli rigenerati, per cui, in sua assenza, questi prodotti non potrebbero far concorrenza ag1i oli di prima raffinazione; 3) il fatto ,che gli scopi deHa ridu:ziione d'imposta coinddono con quelli della direttiva n. 75/439 e che tale agevolaziO!lle fiscale costituisce, 1n pratica, l'indennit che gli Stati memb11i possono concedere in forza degli artt. 13 e 14 della stessa direttiva. 21. -Il primo argomento non pu essere considerato atto a giustificare la differen:zia di trattamento criticata. Gli importatori di oli minerali provenienti da altri Stati membri, che intendano fruire dell'aliquota ridotta, sono tenuti a provare che i prodotti che essi importano in Italia tale assurda quanto inevitabile conseguenza appare superfluo ogni commento, specialmente quando si consideri che allo stato, ed in mancanza negli altri Stati dei severi controlli previsti in argomento dalla normativa italiana, nessuna attendibile certificazione potrebbe essere fornita dagli importatori sulla effettiva utilizzazione, negli oli rigenerati importati, di oli gi usati. Una volta ammessa una ridotta tassazione dei prodotti importati, si determinerebbe inoltre, evidentemente, una ingiustificata discriminazione a danno dei prodotti nazionali ottenuti senza l'autorizzazione ed i controlli prescritti dalle disposizioni legislative riprodotte nel controricorso, a danno di quei prodotti nazionali, cio, che gi adesso sono assoggettati alla normale ed intera imposizione tributaria.. Sarebbe perci necessario estendere l'applicabilit dell'aliquota ridotta anche a tali prodotti nazionali, con l'ulteriore quanto ovvia conseguenza di sopprimere del tutto il regime di controllo diretto a verificare la effettiva utilizzazione di prodotti gi usati (regime al quale nessuno pi avrebbe motivo di assoggettarsi), e di non consentire in alcun modo di prevenire ed evitare, anche nell'ambito del territorio nazionale, la evasione del tributo dovuto sui prodotti originali. Analoghe ed altrettanto assurde conseguenze si verificherebbero, d'altra parte, anche adottandosi la seconda delle soluzioni sopra ipotizzate, se si applicasse, cio, l'aliquota intera anche agli oli rigenerati prodotti sotto controllo. Anche in tal caso, infatti, verrebbe necessariamente meno ogni concreta possibilit di verificare l'effettiva riutilizzazione degli oli gi usati e di prevenire ed evitare evasioni del tributo dovuto sugli oli nuovi. Le stesse finalit di natura ecologica ed energetiche perseguite dalla normativa nazionale e dalla stessa direttiva comunitaria risulterebbero, anzi, definitivamente ed irreversibilmente compromesse; e ci in quanto nessun imprenditore, dato l'elevato costo di produzione degli oli rigenerati (oltre quattro volte maggiore, come si detto, di quello richiesto per ottenere oli minerali di prima utilizzazione), avrebbe pi alcun interesse a rigenerare gli oli usati. Con riguardo a tali conseguenze, dovrebbe quindi la Commissione chiarire sotto qual profilo possa venire in rilievo, relativamente a regime applicato per ragioni di carattere ecologico ed energetico (e non certo per proteggere la produzione nazionale), l'art. 95 del trattato CEE (se non per il 111t11111111111r11a11111111111111111111111111111111111r"t1r RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 70 sono oli rigenerati; l'amministrazione italiana, dal oanto suo, sebbene non possa rendere tale prova pi onerosa del necessario, ha il diritto di esigere ch'essa sia fornita 1secondo modalit tali da eliminare i rischi di frode, in particolare mediante produzione di certificati rilasciati dalle auto11it o da altri enti competenti dello Stato membro espor.tatore, che consentano l'identificazione del.l'olio rigenemto a partire dallo stabili mento in cui stata effettuata la rigenera2lione. La prassi comunitaria, soprattutto per quanto concerne l'abolizione dei 1controlli sanitari alle frontiere intracomunitarie, offre tllumerosi esempi di siffatte legittime forme di controllo. 22. -Le considerazioni che precedono costituiscono anche una risposta all'argomento della Commissione secondo cui all'asserita infrazione dell'art. 95, 1 comma, pu essere posta fitlle solo .con la soppressione dell'aliquota ridotta nell'ambito nazionale. La Repubblica italiana pu scegliere tra la soppressione di tale agevolazione e il suo mantenimento in vigore, alla sola condizione che, qualora opti per la seconda soluzione, essa deve applicare la stessa aliquota ridotta agli oli rigenerati provenienti dagli altri Stati membri e dci quali sia stata provata la rigenera- vieto ed astratto formalismo al quale appare ispirata l'avversa impostazione difensiva), e quanto le evidenziate conseguenze potrebbero assumersi imposte dalla norma del Trattato e coerenti con le finalit, del tutto diverse, che la norma rivolta a conseguire. 6. -Anche per quanto concerne la portata della direttiva del Consiglio 16 giugno 1975, n. 439 pu essere utile un breve commento delle argomentazioni svolte dalla Commissione in sede di replica, specialmente a proposito della contestata correlazione tra il regime fiscale in discussione e l'attuazione tra il regime fiscale in discussione e l'attuazione della direttiva comunitaria. Gi altre volte si avuta occasione di rilevare, invero, che lo strumento della direttiva, previsto dall'art. 189, terzo comma, del trattato CEE come mezzo per vincolare gli Stati membri al conseguimento di predeterminate finalit, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi , appare talora snaturato ed alterato nella corrente prassi comunitaria, risultando le direttive prive, in concreto, del loro sostanziale carattere di indicazioni di massima, e nessun mezzo apparendo consentito agli Stati membri, n negli ordinamenti interni di tutte le singole ed analitiche disposizioni gi predisposte e specificate a livello comunitario; e potrebbe invero dirsi che le direttive comunitarie, condizionate nella loro stessa analitica formulazione dalle trattative tra i membri del Consiglio CEE, hanno in effetti la portata di trattati internazionali , destinati ad incidere negli ordinamenti interni non con i normali mezzi di ricezione ma attraverso il meccanismo della direttiva comunitaria: considerazione la cui rilevanza risulta a maggior ragione evidente quando si tenga presente che la Corte di giustizia ha gi pi volte avuto occasione di affermare che anche le direttive, quando contemplino obblighi incondizionati e sufficientemente chiari e precisi, possano essere direttamente efficaci ed idonee ad attribuire ai singoli diritti suscettibili di tutela in sede giurisdizionale. Anche a prescindere dalla mancata applicazione dell'art. 101 del Trattato, dai limiti previsti dall'art. 100 quanto alla richiesta diretta incidenza sul PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 71 zione, in modo da evitare qualsiasi forma di discriminazione tra prodotto importato e prodotto nazionale similare. 23. -Il secondo e il terw argomento sono connessi e vanno esaminati congiuntamente. Il risultato de1l'esame che entrambi vanno disattesi. 24. - esatto che la riduzione deLrnmposta di fabb11icazione giustificata dal costo della rigenera:lJione pi elevato di quello della prima raffinazione; tuttavia, questo regime fiscale pi vantaggioso non compromesso, sotto nessun aspetto, dall'obbligo di applicarlo nell'osservanza del- 1',art. 95 del Trattato. Infutti, l'agevolazione fiscale di cui vengono in tal modo a godere le imprese 'che dgenerano l'olio minerale non messa a repentaglio dall'obbligo di farne fruire gli oli rigenerati importati dagli altri Stati membri. 25. -D'altra parte, non si pu accogliere l'argomento del Governo italiano secondo cui il sistema istituito dalla Legge italiana del 1962, e in particolare dal suo art. 12, costituisce, in pratica, un'applicazione anticipata della direttiva 16 giugno 1975, n. 75/439 e la riduzione dell'imposta di fabbricazione costituisce l'indennit che gli Stati membri, a norma dell'art. 13 della direttiva, possono concedere alle dmprese che provvedono al recupero, all'eliminazione o alla rigenerazione degli oli usati. funzionamento del mercato comune, e dalla elastica interpretazione dell'articolo 235, si verifica quindi talora, di fatto, che le direttive abbiano in concreto la stessa portata e gli stessi effetti dei regolamenti, pur risultando adottate in materie non trasferite alla competenza delle Comunit europee. Non appare sempre considerato, inoltre, che lo scopo precipuo della direttiva il ravvicinamento, l'armonizzazione delle legislazioni nazionali, da ciascuna delle quali possono quindi risultare recepiti e mutuati determinati princpi e criteri, ed in ciascuna delle quali pu in ipotesi risultare gi conseguito, perci, il risultato che con la direttiva s'intende conseguire, quel risultato concreto, cio, al quale soltanto dovrebbe aver riguardo la direttiva comunitaria, indipendentemente dai mezzi e dalle forme posti in essere per conseguirlo. Per quanto concerne la specie in esame, si gi nel controricorso segnalato che l'Italia stata la prima nazione europea a prevedere e disciplinare, gi nel 1940, il riutilizzo degli oli usati, e ad incentivare, per ragioni di politica ecologica ed energetica, la rigenerazione dei prodotti petroliferi usati. La rilevanza e la portata delle perseguite finalit non poteva non essere avvertita, evidentemente, anche a livello comunitario, ed hanno appunto dato origine alla direttiva del Consiglio 16 giugno 1975, n. 439, che ha lo stesso. scopo ed diretta a conseguire lo stesso risultato voluto dalla normativa nazionale gi in argomento adottata. stata perci la Commissione, in effetti, e non il Governo italiano, a mutare il nomen juris dell'incentivazione, costruendo come rimborso spese la forma d'incentivazione gi prima prevista, nella normativa nazionale italiana, sub specie di riduzione d'imposta; e se sono innegabili la maggiore rilevanza ed i vantaggi relativi ad un uniformato sistema di incentivazione RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 72 26. -Senza che occorra pronunziarsi sulla questione se Ja Repubblica italiana abbia o no attuato la direttiva n. 75/439, su:ffiiciente considerare che tale direttiva, come si gi rilevato, fa salvo il diritto degli Statimembri di istituire un sistema di tributi interni implicante aliquote ridotte. L'art. 13 della direttiva autorizza gH Stati membri a concedere le indennit -pur senza obbligarveli -ma precisa che tali indennit, qualora vengano concesse, non devono ostacolare la libera circolazione del1e merci. Ne consegue che gli Stati membri, nel dare attuazione alla direttiva, sono liberi di versare direttamente indennit alle imprese di cui trattasi, oppure di far fruire gli o1i rigenerati di un rngime fiscale pi vantaggioso, o perfino di applicare oumulativamente i due sistemi. Tuttavia, essi, nel caso in cui, esercitando il potere di valutazione loro spettante 'in materna, optino per un sistema di riduzione delle imposte interne, sono tenuti ad aocettare le conseguenze di tale sceUa e di vegliare a che il sistema prescelto sia conforme al principio fondamentale, enunciato all'art. 95 del Trattato, che vieta di discriminare, sotto il profilo fiscale, le merci importate. 27. -Dalle considerazioni che precedono consegue che la Repubblica italiana, riscuotendo, in base alla legge 31 dicembre 1962, n. 1852, che modifica il regime fiscale dei prodotti petroliferi, sugli oU minerali rigenerati prodotti in Italia, l'imposta di fabbricazione in un'aliquota diversa da queUa della sovrimposta di confine gravante sugli oli rigenerati provenienti dagli altri Stati membri, venuta meno agli obblighi impostile dall'art. 95, 1 comma, del Trattato CEE. {omissis). sull'intero territorio delle Comunit europee, altrettanto innegabile, evidentemente, che il risultato concreto voluto dalla direttiva comunitaria (quello cio che solo dovrebbe assumere rilievo ai fini in esame) del tutto identico, nella sostanza, a quello gi assicurato dalla vigente normativa italiana. L'elevato costo di rigenerazione dei prodotti petroliferi usati rende infatti necessario, se si vuol ottenere per ragioni di carattere ecologico ed energetico la riutilizzazione degli oli usati, la riduzione del costo di produzione a carico dell'imprenditore; ed evidente che la sostanza non cambia se tale necessario risparmio viene consentito quando di una stessa somma sia evitata la spesa oppure ottenuta la restituzione. Certamente, potrebbe discutersi della corrispondenza dell'imposta evitata con il rimborso consentito dalla direttiva comunitaria. A parte il manifestato e confermato proposito delle competenti autorit italiane di dare quanto prima specifica attuazione alla direttiva comunitaria (con disposizione legislativa gi da tempo predisposta ed alla quale numerose difficolt hanno finora impedito di dare tempestivo seguito), comunque evidente che l'ipotizzata discussione del tutto estranea al thema decidendum rilevante nella presente causa; e soltanto per completezza di informazione, quindi, pu essere utile segnalare che il risparmio d'imposta, pari a lire 112,50 al chilogrammo, risulta comunque minore del costo di produzione, pari a lire -123 al chilogrammo. (omissis). ARTURO MARZANO PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 73 CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT EUROPEE, 10 gennaio 1980, nella 'Causa 267/7.S -Pres. f.f. O'Keeffe -Avv. Gen. Warner -Commissione delle Comunit europee (ag. Olmi e Campogrande, avv.ti Gregori e Gia11da) c. Repubblica irtaHana (avv. Stato Fiumara). Comunit europea -Risorse proprie delle Comunit -Accertamento e messa a disposizione -Potjeri di controllo della Commissione -Momento a partire dal quale possono essere esercitati. (Decisione del Consiglio 21 aprile 1970; regolamenti C.E.E. del Consiglio 2 gennaio 1971, n. 2, 21 gennaio 1974, n. 165, 19 dicembre 1977, n. 2891). Comunit europea -Risorse proprie delle Comunit -Accertamento e messa a disposizione -Po~eri di controllo della Commissione -Limiti Associazione ai controlli effettuati dai servizi amministrativi degli Stati membri -Rapporti con l'autorit giudiziaria -Segreto istruttorio: opponibilit. (Decisione del Consiglio 21 aprile 1970; regolamenti e.E.E. del Consiglio 2 gennaio 1971, n. 2, 21 gennaio 1974, n. _165, 19 dicembre 1977, n. 2891, artt. 230, 307 cod. proc. pen.). Il diritto della Commissione_ di chiedere di essere associata ai controlli degli Stati membri relativi all'accertamento e alla messa a disposizione delle risorse proprie e di chiedere che si proceda a controlli supplementari pu essere esercitato fin dalla fase di accertamento delle risorse da parte del competente organismo dello Stato membro interessato (1). Allo stato attuale del diritto comunitario, i controlli che la Commissione pu chiedere ed ai quali deve essere associata comprendono tutti (1) In tema di accertamento e riscossione delle risorse proprie da parte degli Stati membri per conto delle Comunit, dr. Corte di Giustizia 25 ottobre 1972, nella causa 92/71, HAEGELAN (in Racc., 1972, 1005), dove stato affermato che l'accertamento delle risorse proprie e il controllo sulla loro riscossione spettano agli uffici competenti degli Stati membri, per cui le controversie relative alla loro imposizione ai singoli vanno risolte, a norma del diritto comunitario, dalle autorit nazionali, secondo le modalit stabilite dal diritto degli Stati membri; questi, e non la Comunit, -ha ancora precisato la Corte, prima con la sentenza 4 aprile 1974, nelle cause riunite 178-179-180/73, MERTENS (in Racc., 1974, 383, e in questa Rassegna, 1974, I, 589, con nota), e poi con la sentenza 5 maggio 1977, nella causa 110/76, in Racc., 1977, 851, e in questa Rassegna, 1977, I, 615, con nota di BRAGUGLIA -, sono legittimati ad agire davanti ai giudici nazionali nei confronti dei singoli per chiedere il pagamento dei prelievi e il recupero delle somme indebitamente corrisposte per retribuzioni. Con la sentenza in rassegna la Corte ha riconosciuto che la Commissione pu esercitare i suoi poteri di controllo sulle risorse proprie, attribuite dai reg. 2/71 (ora 2891/77) e 165/74, sin dall'inizio della fase di accertamento delle risorse da parte dell'amministrazione nazionale, disattendendo la tesi per la quale il potere di controllo sorge in concreto solo dopo che i servizi amministrativi nazionali abbiano compiuto l'accertamento della risorsa e l'abbiano messa a disposizione della Commissione. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 74 quelli cui le amministrazioni nazionali possono procedere, senza che cw implichi alcuna modifica dei rapporti fra amministrazione e potere giudiziario. Si possono quindi far valere nei confronti della Commissione le norme che, nelle legislazioni nazionali di carattere penale, impediscono la comunicazione a determinate persone di atti del procedimento penale, in quanto le stesse restrizioni siano opponibili all'amministrazione nazionale (2). (omissis) In diritto. -1. -Con istanza in data 21 dicembre 1978, registrata iln cancelleria 11 giorno seguente, fa Commissione, ai sensi dell'art. 169, 2 comma, del Trattato CEE, mtende far dichiarare che la Repubblica italiana, rifiutando di associare la Commissione a contirolli sull'accertamento e la messa a disposizione delle I1isorse proprie delle Comunit e di comunicarle i risultati acquisiH, venuta meno agH obblighi impostile dall'art. 5 del Trattato e dall'art. 14 del regolamento del Consiglio 2 gennaio 1971, n. 2, recante applicazione della decisione del 21 ap:riiil.e 1970 relativa alla sostituzione dei contributi finanziari degli Stati membri con risorse proprie delle Comunit (G.U. n. L. 3, pag. 1), ora sostituito dal regolamento del Consiglio 19 dicembre 1977, n. 2891 (G.U. n. L 336, pag. 1). 2. -Nell'aprile 1976 la Commissione veniva a conoscenza di operazioni fraudolente effettuate nell'ambito degli scambi intracomunitari e relative a 6.000 tonnellate di burro proveniente da paesi terzi. La merce veniva trasportata in autocarro da un deposito di Rotterdam in Italia. Le spedizioni dal porto venivano effettuate regolarmente in regime di (2) La Corte ha precisato che il controllo della Commissione un controllo associato a quello cui procedono le amministrazioni nazionali, per cui le sono opponibili tutte quelle norme che nelle legislazioni nazionali di carattere penale sarebbero opponibili all'amministrazione nazionale. La Corte ha .cos disatteso le tesi della Commissione, secondo le quali i suoi poteri di controllo avrebbero per oggetto ,; l'attivit di tutti gli organi degli Stati membri in qualche modo responsabili in ordine all'accertamento delle risorse (e quindi anche l'attivit giurisdizionale) e non sarebbero oppo nibili agli organi comunitari le norme nazionali sul segreto istruttorio. Il Governo italiano aveva obiettato quanto al primo punto che la Com missione pu chiedere il controllo solo agli organi amministrativi e non anche agli organi giurisdizionali e che l'oggetto del controllo pu essere solo l'attivit amministrativa e non quella giurisdizionale. Dal punto di vista sog gettivo si era rilevato che il controllo della Commissione pu svolgersi in associazione con quello cui provvedono i servizi nazionali, i quali sono servizi amministrativi e non organi giudiziari; e sotto il profilo oggettivo si era evidenziata la palese inammissibilit, in qualsiasi ordinamento giuridico, di un controllo di servizi amministrativi sull'attivit giurisdizionale. Quanto all'opponibilit delle norme sul segreto istruttorio, il Governo italiano aveva osservato che non si poneva neanche una questione di pre - PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 75 transito comunitario estero. I documenti relativi a questo regime (detti Tl ) venivano tuttavia appurati kregolarmente, sia durante il viaggio, sia in Italia, mediante documenti di transito comunitario interno falsi o falsificati. Ci permetteva di eludere considerevo~i importi di prelievi agricoli. 3. -Con lettera del 26 Juglio 1976, la Commissione faceva sapere al Rappresentante permanente dell'Italia che le informazioni di cui essa disponeva giustificavano una richiesta di controlfo supplementare ai sensi dell'art. 14 del rgolamento n. 2/71 . Si chiedeva non solo che l'Italia procedesse ad un controllo supplementare, ma altres che la Commisisone vi fosse associata. 4. -L'amministrazione centrale italiana delle dogane accoglieva la richiesta ed un Incontro fra funzionari delle dogane italiane e della Commissione veniva organizzato a Milano ed a Como. In seguito a tale incontro si constatava la probabile esistenza di un collegamento fra le suddette operazioni fraudolente ed alcune operazioni oggetto dal 1975 delle indagini della Guardia dii Finanza. Secondo l'amministrazione italiana, gli aspetti dell'iinchiesta connessi con fatti penalmente rilevanti sono, in ultima analisi, di competenza dell'autorit giudiziaria. 5. -L'amministrazione italiana delle dogane, ritenendo che sussistesse un nesso fra l'indagine condotta dall'Ufficio Istruzione Penale di Torino e le importazioni in questione richiedeva al giudJce istruttore di Torino copia del rapporto della Guardia di Finanza. Il giudice istruttore, minenza di una norma comunitaria rispetto ad una norma nazionale, non sussistendo alcun contrasto fra l'una e l'altra. L'art. 6, n. 1, della decisione del Consiglio 21 aprile 1970 -si era detto precisa che le risorse comunitarie sono riscosse dagli Stati membri conformemente alle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative nazionali ,, e l'art. 1 del reg. 2/71 dispone che le risorse proprie sono accertate dagli Stati membri in conformit delle loro disposizioni legislative, regolamentari e amministrative . Se dunque l'accertamento della risorsa va fatto conformemente alla normativa nazionale, del tutto logico e conseguenziale che anche il controllo nazionale, e per conseguenza quello associato della Commissione, vadano fatti in conformit alla medesima normativa, salvo che non sia contrariamente disposto dalla normativa comunitaria. Ma questa, invero, introduce solo la novit dell'obbligo dello Stato membro di disporre i controlli supplementari richiesti dalla Commissione e di associare ai controlli la Commissione stessa (e a questi effetti certamente essa prevale sulle norme nazionali che eventualmente non consentissero ingerenze di organi estranei ai servizi nazionali). Al di l di questi punti la normativa comunitaria nessun'altra disposizione contiene che imponga una disapplicazione delle norme nazionali. Anzi v' una norma che suona come una precisa riaffermazione del principio del rispetto della normativa nazionale: l'art. 3, n. 1, del reg. 165/74 dispone infatti che i funzionari comunitari incaricati dei controlli associati adottano nel corso dei controlli un atteggiamento compatibile con le norme e (addirit 76 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO per, respingeva la richiesta, il 2 febbraio 1977, per il motivo che il rapporto riguardava fatti oggetto di istruttoria penale, cosiicch il rapporto, come tutti gli atti dell'istruziOiile, era coperto dal .segreto istruttorio. 6. -Una nuova richiesta, presentata il 24 gennaio 1978 dal Ministero delle Finanze, veniva 1respinta dal giudice istruttore di Torino per gli stessi mothni. 7. -Dato il rigetto delle menzionate richieste, >, deroga al principio della spettanza del tesoro al pro I prietario del fondo ed il precetto della legge speciale, per cui le cose I ritrovate appartengono allo Stato (art. 44 legge 1 giugno 1939, n. 1089) viene @ rappresentato e qualificato come sottrazione, come vera e propria espro i priazione, sia pure disposta ope legis ai danni del privato ritrovatore o ! f f (4) Il riferimento riguarda il famoso passo delle Istituzioni: I, 2, 1, 39: Thesauros, i quos quis in suo loco invenerit, divus Hadrianus naturalem aequitatem secutus ei concessi! l qui invenerit ... si quis in alieno loco non data ad hoc opera, sed fortuitu invenerit, dimidium domino soli concessit . l I I I stlll1illllllllll&rt1fllllrlllllllll~lllWll.I PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 95 Da tale considerazione questa Corte dedusse che il diritto al premio, attesa la sua natura indennitaria, non potesse essere negativamente influenzato dalla osservanza o meno dell'obbligo della denuncia e custodia della cosa d'arte scoperta, imposto peraltro dall'art. 48 della legge speciale soltanto a carico dello scopritore e detentore della cosa scoperta fortuitamente e non anche nei confronti del proprietario della cosa in cui avvenne la scoperta. Non costituisce invece un (ulteriore) precedente in termini la sentenza delle Sezioni Unite di questo S.C. 27 gennaio 1977 n. 401, che esamin il diverso problema della competenza giurisdizionale in tema di annullamento per vizio di consenso dell'accordo circa la determinazione del premio relativo al ritrovamento delle cose di interesse artistico o proprietario. Da impostazioni concettuali di questo tipo breve il passo per affermare che l'attivit dei tombaroli, perch in definitiva di questo si tratta, circonfusa di un'aureola di legittimit, quale esercizio di antico, insopprimibile diritto -da Adriano in poi -sia meritevole di immancabile indennizzo ogni qual volta il Fisco riesce a sottrarre dalle loro mani i reperti archeologici trafugati. Con la sentenza qui pubblicata la Cassazione ha giudicato prive di fondamento, le ragioni giuridiche allora prospettate, adducendone, a sostegno della sua decisione, altre esattamente opposte, che utile riportare nei loro termini testuali: a) poich il presupposto della disciplina delle cose d'arte ritrovate fortuitamente la propriet pubblica dello Stato, ne consegue che il premio riconosciuto allo scopritore (sia o meno proprietario del fondo, in cui avvenuta la scoperta) non pu costituire un indennizzo per il mancato acquisto del diritto di propriet sulla cosa d'arte, che per legge non gli compete ; b) il fondamento della disciplina delle scoperte artistiche ed archeologiche eminentemente pubblicistico e le disposizioni della legge speciale vigente in ordine al ritrovamento degli oggetti di interesse storico ed artistico (in particolare artt. 43-50) costituiscono un corpus di norme, che, attesa la particolarit della materia, non pu essere interpretato facendo riferimento alla disciplina che il codice civile detta in tema di ritrovamento del tesoro (art. 932), stante l'assoluta diversit dei presupposti, che le norme hanno considerato e gli interessi posti a base della rispettiva tutela giuridica . Questi, dunque, i termini concettuali e giuridici delle opposte tesi dibattute nei giudizi, che hanno dato luogo, a distanza di un quarto di secolo, alle due contrastanti decisioni della Corte Suprema. 2. -Che al premio spettante allo scopritore e al proprietario del fondo non possa attribuirsi natura di indennizzo per la perdita o il mancato acquisto di un diritto, che per legge loro non compete, proposizione di intuitiva evidenza, che trova, oltre tutto, conferma nella relazione alla Camera del Ministro proponente, in data 24 aprile 1939 (5). L'affermazione contraria venne sorretta, come si visto, o, pi macchinosamente, con la costruzione di una specie di superdiritto, nel quale regnano (5) Anche quando il premio conferito in natura, esso, appunto perch premio, non mai corrisposto a titolo di compenso di un diritto sulle cose ritrovate o scoperte, ma serve ad attuare un evidente criterio di giustizia retributiva in Le leggi, 1939, pag. 894. RASSEGNA DELL1AWOCATURA DELLO STATO storico. Vero che nel corso della motivazione le S.U. richiamarono il precedente del 1954 per osservare che l'attribuzione del premio svolge una funzione in senso lato compensativa del mancato acquisto della propriet della cosa d'arte nei confronti dello scopritore e del proprietario del fondo, in deroga alla normativa sul tesoro di diritto comune, ma da tutto il contesto della motivazione si desume chiaramente che il problema di fondo esaminato in quella sede (consistente nel qualificare la posizione soggettiva del titolare del premio, se essa cio desse vita ad un diritto soggettivo o ad un interesse legittimo) fu risolto nel senso di un diritto soggettivo al premio, ponendo in evidenza essenzialmente la configurazione paritaria dalla legge data al rapporto, con esclusione di qualsiasi posizione autoritativa della P.A. Il che perfetta i puri dommi e la logica e nel quale da Adriano in poi... rimasto il principio della spettanza del tesoro al proprietario del fondo ed allo scopritore casuale , per poi servirsene come pietra di paragone per misurare e controllare la giustizia e la legittimit della legge speciale; oppure pi semplicemente -e questa fu la tesi della Cassazione nel 1954 -contrapponendo le disposizioni generali del codice civile a quelle della legge speciale. Scopo comune di questi procedimenti logici avvalorare una sorta di antigiuridicit della norma speciale e far quindi apparire e valere una quasi-lesione del diritto del privato proprietario o ritrovatore, cui sovvenga ed arrechi ristoro, a titolo di riparazione, il premio-indennizzo. Soffermarsi sulla prima tesi non sembra necessario; la seconda sar esaminata nel paragrafo che segue. opportuno rilevare, invece, che il principio affermato dalla Cassazione nella sentenza qui pubblicata aderente ad una consolidata ed univoca giurisprudenza della Corte Costituzionale, della Cassazione e del Consiglio di Stato, in ordine all'art. 42 della Costituzione. Nella sua ultima sentenza sulla legittimit costituzionale dell'art. 21 della legge per la tutela delle cose di interesse artistico e storico (legge 1 giugno 1939, n. 1089) la Corte Costituzionale si cos espressa: La Corte ha ripetutamente precisato che l'art. 42 della Costituzione non impone indennizzo quando la legge regoli in via generale i diritti dominicali in relazione a determinati beni al fine di assicurarne la funzione sociale e per evitare lesioni all'interesse pubblico , concludendo con l'affermazione che l'obbligo dell'indennizzo imposto soltanto in caso di espropriazione per pubblico interesse (6). Si riflette in questa massima la consolidata interpretazione da parte della Corte Costituzionale dell'art. 42 della Costituzione, riducibile a queste due proposizioni: rientra nella previsione del secondo comma di tale articolo e non d diritto ad indennizzo una regolamentazione stabilita per legge in via generale del diritto di propriet di omogenee categorie di beni, origina (6) Corte Cost. 4 luglio 1974, n. 202, in questa Rassegna, 1974, I, I, 1071, con nota di richiami; in Giur. Cast., 1974, 1692, con nota di richiami ed a pag. 2130 nota di G. ROLLA, In tema di vincoli su beni di interesse artistico e storico; in Giust. Civ., 1974, III, 320. con nota di richiami; in Cons. Stato, 1974, II, 806; in Riv. Amm., 1974, Ili, 764, con nota di richiami; in Foro it., 1975, I, 2245, con nota di richiami; in Foro Amm., 1975, I, 1, 22, con nota di richiami; in Riv. Giur. Edilizia, 1975, I, li, con nota di richiami. Un'interessante anticipazione in App. Napoli 2 aprile 1913, in Foro it., 1913, I, 1010, con nota di L. BIAMONTI. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 97 mente conciliabile con un indirizzo che avesse riconosciuto al premio una diversa funzione giuridica. Poich le conclusioni cui questa Corte pervenne nel precedente del 1954 sono rimesse in discussione dalla Amministrazione ricorrente, si impone in questa sede un ulteriore riesame del delicato problema ermeneutico, al fine di stabilire se le critiche mosse all'indirizzo accennato possano indurre una revisione dei risultati precedentemente raggiunti. La materia dei ritrovamenti e delle scoperte fortuite disciplinata dal capo V della legge 1 giugno 1939 n. 1089 (artt. 43-50) che ha introdotto notevoli innovazioni rispetto alla precedente normativa contenuta nella legge 20 giugno 1909 n. 364. Il principio fondamentale ispiratore di tutta la materia -che gi trov in sede interpretativa un certo riconoscimento nella applicazione riamente di interesse pubblico, delle quali, allo scopo di assicurarne la funzione sociale, siano determinati modi di acquisto e di godimento nonch limitazioni; al contrario, una disciplina legislativa, che analoghe limitazioni non stabilisca in via generale, ma faccia dipendere, caso per caso, da determinazioni amministrative, fa assumere a queste ultime carattere espropriativo, poich la nozione di espropriazione non pu essere ristretta al concetto di trasferimento coattivo, ma deve essere estesa ai casi, in cui, pur restandone intatta la titolarit, il diritto di propriet sia annullato o menomato senza indennizzo. Casi in cui si determina la violazione del terzo comma della disposizione costituzionale. Questa interpretazione stata elaborata in una lunga serie di sentenze della Corte Costituzionale (7), che hanno dato luogo ad un ampio dibattito, di cui non possibile n utile in questa sede dare notizia. Ed sulla base di questa stessa interpretazione che gi con precedenti decisioni Cassazione (8) e Consiglio di Stato (9) avevano giudicato manifestamente infondata la dedotta illegittimit costituzionale dell'art. 21 della legge 1 giugno 1939, n. 1089. Attribuire natura e valore di indennizzo al premio spettante allo scopritore ed al proprietario del fondo certamente in contrasto con la logica di questa giurisprudenza, nel cui alveo si inserisce, invece, l'affermazione contraria dell'attuale pronuncia della Cassazione. 3. -La sentenza qui pubblicata ha poi affermato l'applicabilit alle scoperte artistiche ed archeologiche delle disposizioni della legge speciale sulla tutela delle cose artistiche, negando che per la loro interpretazione siano utilizzabili principi e regole del codice civile. Questa affermazione trascende (7) Corte Cost., 20 gennaio 1957, n. 24, in Giur. it., 1957, I, 1, 315; 26 novembre 1959, n. 58, ivi, I, 1, 235; 20 gennaio 1966, n. 6, in questa Rassegna, I, 1, 15; 9 marzo 1967, n. 20, ivi, 1967, I, 1, 193; 29 maggio 1968, n. 55 e 56, ivi, 1968, I, 1, 661, 662; 15 lpglio 1969, n. 136, ivi, 1969, I, 1, 993; 26 aprile 1971, n. 79, ivi, 1971, I, 1, 539; 27 luglio 1972, n. 155, ivi, 1972, I, 1, 1045; 21 dicembre 1972, n. 188, ivi, 1973, I, 1, 69; 20 febbraio 1973, n. 9, ivi, 1973, I, 1, 304; 6 marzo 1974, n. 58, in Giur. Cast., 1974, 239. (8) Cass., sez. 1 civ., 4 dicembre 1972, n. 3494, in questa Rassegna, 1973, I, 1, 148, con nota di G. ALBISINNI, Brevi osservazioni sul provvedimento emesso ai sensi dell'art. 21 della legge 1 giugno 1939, n. 1089. (9) Cons. Stato, sez. V, 28 novembre 1969, n. 1468, in Cons. Stato, 1969, I, 2240; Sez. IV, 25 luglio 1970, n. 585, in questa Rassegna, 1970, I, IV, 832; Sez. IV, 30 maggio 1972, n. 486, ivi, I, IV, 806. 98 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO della legge del 1909 - che le cose scoperte appartengono in propriet allo Stato, mentre al proprietario del bene nel quale la scoperta avvenuta ovvero al concessionario e allo scopritore (artt. 44, 46, 49 della legge del 1939), attribuito un premio in danaro o mediante rilascio di una parte delle cose scoperte che in ogni caso non pu superare il quarto del valore delle cose stesse (o la met nel caso che la scoperta sia fatta dal proprietario autorizzato: art. 47 della legge). Il principio della appartenenza allo Stato a titolo originario delle cose di interesse storico o artistico, che rientrano nel suo patrimonio indisponibile (art. 826 e.e.), non trova riscontro nel diritto romano e neppure nello Stato pontificio. L'editto Pacca applicava in materia il diritto comune, ritenendo che nel caso fortuito l'inventore dovr avere la met del ritrovato, cedendo l'altra met a vantaggio del padrone del fondo. evidentemente la materia delle scoperte e dei ritrovamenti e si pone come criterio generale di applicabilit e di interpretazione della legge speciale ed acquista particolare valore in rapporto ai recenti sviluppi della dottrina, che ha identificato la ragion d'essere e la specificit del sistema normativo di tutela delle cose artistiche e storiche, stabilito con la legge 1 giugno 1939, n. 1089, con la costituzione di un apposito demanio pubblico (art. 822, secondo comma, cod. civ.) e con l'attribuzione al patrimonio indisponibile dello Stato dei ritrovamenti di interesse storico ed archeologico (art. 826, secondo comma, cod. civ.), nella particolare natura e condizione giuridica dei beni, che ne costituiscono oggetto, definiti dai vari autori beni di interesse pubblico >>, beni funzionali >>, beni di propriet collettiva demaniale (10), superando in tal modo la classificazione di quel sistema normativo nella categoria generale delle limitazioni amministrative della propriet privata. Le leggi di tutela del patrimonio artistico e storico costituiscono un sistema normativo e, quindi, un insieme coordinato e coerente di norme e di principi, applicabile a tutti i beni considerati e stabilito per la protezione di un interesse giuridico pubblico emerso a seguito dello sviluppo della cultura moderna e che non ha riscontro n nel sistema di diritto privato n in altri settori del diritto pubblico: la ricerca, la valorizzazione, la conservazione dei beni culturali (di propriet pubblica o privata) e la loro destinazione allo studio degli specialisti (archeologi, storici dell'arte ecc.) ed alla utilizzazione collettiva. Il sistema normativo di tutela e le singole disposizioni, che ne fanno parte, acquistano, quindi, un'accentuata, autonoma valenza giuridica, in funzione della specificit dell'interesse protetto e della particolare natura (10) M. GRISOLIA, La tutela citata, pag. 202; A. SANDULLI, Beni Pubblici in Enciclopedia del Diritto, Giuffr, Milano, 1959, voi. V, pag. 279; G. PALMA, Beni di interesse pubblico e contenuto della propriet, Jovene, Napoli, 1971; M.S. GIANNINI, I beni Pubblici, Roma, 1963, pag. 89; M.S. GIANNINI, I beni culturali in Riv. Trim. Dir. Pubblico, 1976, pag. 20. Per un esame degli sviluppi della dottrina: T. ALIBRANDI e P. FERRI, I beni citati pag. 16. Importanti anticipazioni in F. CAMMEO, Gli immobili per destinazione nella legislazione delle belle arti in Raccolta di scritti di diritto pubblico in onore di Giovanni Vacchel!i, Soc. Ed. Vita e pensiero, Milano, 1938, pag. 83; P. CALAMANDREI, Immobili per destinazione artistica in Foro it., 1933, I, 1715; L. BIAMONTI nota a sentenza App. Napoli 2 aprile 1913, in Foro it., 1913, I, 1011. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 99 Ora gi vigente la legge del 1909, l'opinione maggiormente seguita dai suoi interpreti, fu nel senso che la disciplina della scoperta for. tuita delle cose d'arte (art. 10) costituiva una deroga completa ed assoluta alla normativa di diritto comune in tema di scoperta del tesoro (art. 714 del cod. civ. del 1865) la quale, gi allora, regolava il rapporto tra proprietario e scopritore, attribuendo loro rispettivamente la met del valore della cosa ritrovata, con un criterio rimasto sostanzialmente immutato nell'art. 932 del codice vigente. Orbene, mentre in ordine al tesoro non sorta giammai alcuna questione circa l'adempimento di particolari obblighi da parte del ritro vatore, affinch costui acquistasse il diritto ad una quota in propriet della cosa, la legge del 1939 pone un particolare problema circa la iden e condizione dei beni, che ne costituiscono oggetto, con la conseguenza che il problema della loro applicazione ed interpretazione non riducibile alla ricerca, caso per caso, di una conciliazione tendenzialmente equa, ma inevita bilmente arbitraria della insanabile antinomia esistente in questa materia fra norma di tutela e codice civile e tra interesse pubblico ed interesse pri vato (11). solo sulla base di quelle leggi e dei principi giuridici di quel sistema normativo che, in materia di cose artistiche e storiche, va identificato il confine della tutela accordata all'interesse pubblico e all'interesse privato, il limite dei poteri spettanti alla pubblica amministrazione ed il limite ed il contenuto dei diritti dei soggetti privati. Non invece consentita un'appli cazione promiscua di disposizioni e principi della legge speciale e del codice civile n il collegamento e l'integrazione dei primi con i secondi, procedimenti interpretativi che contrastano con l'art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale, per il quale, se vero che le leggi che fanno eccezione ad altre leggi non si applicano oltre i casi considerati , vera anche la proposizione reciproca, per cui nei casi considerati non si applicano le leggi cui . fatta eccezione. L'art. 14, in altri termini, pone una regola di applicazione esclusiva o della legge generale o della legge speciale per ogni fattispecie giuridica e per ogni categoria di rapporti a seconda che sia compresa o esclusa dai casi considerati >>, i limiti dei quali costituiscono il confine di applicabilit dei due sistemi normativi. E l'inosservanza di questa regola ha, oltre tutto, l'inconveniente di affidare alla sensibilit ed alle inclinazioni personali del singolo magistrato o collegio giudicante il problema di come ed in che misura conciliare, di volta in volta, gli opposti interessi pubblico o privato e quale dei due privilegiare rispetto all'altro; problema che deve trovare, invece, (11) Antinomia e difficolt di conciliazione avvertite anche dagli autori, che commentarono positivamente la sentenza della Cassazione del 1954, come appare evidente da questo passo della citata nota di A. PEZZANA: La preoccupazione, messa giustamente in evidenza dal Grisolia, che la sola ammenda sia una sanzione insufficiente ad assicurare la tutela degli interessi dello Stato alla conservazione del patrimonio storico ed artistico pu semmai essere tenuta presente de iure condendo. Comunque, anche ora, essendo la determinazione del quantum del premio rimessa ad una commissione formata, nella maggioranza, da rappresentanti della pubblica autorit (giudiziaria ed amministrativa), contro le cui decisioni non ammesso alcun reclamo, il contegno fraudolento del proprietario o del ritrovatore pu essere efficacemente represso attribuendogli un indennizzo di modestissima entit. 100 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO tificazione della fattispecie da cui deriva per Io scopritore il diritto al premio previsto dall'art. 49. La questione si presentata g1a negli stessi termini in tema di ritrovamento di cose smarrite (art. 927 e.e,) e l'interpretazione generalmente seguita -nonostante che la legge nulla dica in proposito con esplicito precetto - nel senso che il ritrovatore pu vantare un diritto al premio soltanto se ed in quanto abbia adempiuto all'obbligo della consegna della cosa senza ritardo al sindaco del luogo in cui l'ha trovata, indicando le circostanze del ritrovamento (Cass., 17 luglio 1952, n. 2217). Non costituisce quindi un elemento ostativo la circostanza, puramente neutra sotto questo profilo, che manchi nel sistema della legge nell'ordinamento giuridico la sua soluzione obiettiva ed uguale per ogni fattispecie concreta. Per questo ordine di considerazioni, innanzitutto, era dunque errata la tesi prospettata nena sentenza deHa Cassazione n. 3623 del 1954, secondo cui si sarebbe dovuto far ricorso alla disciplina del codice civile per risolvere una questione (la spettanza del premio nella ipotesi di omessa denuncia), per la quale si sosteneva non vi fossero nella legge speciale specifiche norme: ma, evidentemente, si intendeva dire che mancava una specifica, espressa disposizione. La disciplina del codice non era infatti applicabile, perch la fattispecie legale dei ritrovamenti e scoperte di cose di interesse artistico e storico compresa tra i casi considerati dalla legge speciale e si colloca oltre il confine di applicabilit del codice civile. Conseguentemente, se la norma regolatrice non poteva essere individuata in una espressa disposizione della legge speciale, avrebbe dovuto, in mancanza, desumersi dai principi generali della legge stessa. Cos ha proceduto la Cassazione nella decisione qui pubblicata, dimostrando, oltre tutto, che la norma desunta dalla legge speciale, secondo cui il diritto dello scopritore al premio presuppone che questi abbia adempiuto agli obblighi stabiliti dalla legge, comune ad altri settori del diritto ed allo stesso diritto privato, pur in mancanza, anche qui, di un'espressa disposizione in proposito (12); rappresenta, quindi, una regola generale e costante dell'ordinamento. Viene cos in evidenza che l'errore della precedente sentenza consiste principalmente nell'aver assimilato il reperto artistico e storico, che semplicemente res vacua possessionis, alla figura giuridica del tesoro, che invece res nullius. Questo consente di passare all'esame di un altro punto delle questioni dibattute e decise dalla Cassazione. 4. -Nella sentenza de1la Cassazione n. 3623 del 1954 il ricorso alla disciplina del tesoro (art. 932 cod. civ.) per decidere quella controversia, nell'asserita mancanza di una specifica norma della legge speciale, fu giustificato con due argomenti: il collegamento tra codice civile e legge speciale, che doveva desumersi dalla particolare natura della materia; il rinvio alle disposizioni della legge speciale, contenuto nell'ultimo comma di tale articolo. (12) Cass., sez. 2 civ., 20 agosto 1953, n. 2807, in Foro it., 1954, I, 168, con nota di richiami. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 101 speciale una norma esplicita che sancisca una tale disciplina, potendo la norma stessa ricavarsi in via di interpretazione dall'esame complessivo delle norme che regolano la materia, tenendo conto in particolare del collegamento razionale che avvince l'una disposizione all'altra nella disciplina della legge speciale. D'altronde, in situazioni pressoch identiche a quella in esame non mancano norme espresse che hanno esplicitamente condizionato per il ritrovatore l'acquisto del diritto al premio all'adempimento di ben precisi obblighi giuridici. Cos l'art. 512 cod. nav., in tema di ritrovamento di cetacei arenati nel litorale, riconosce al ritrovatore che ne abbia fatto denuncia entro tre giorni all'autorit marittima, il diritto al premio. Giova premettere che la legge vigente ha innovato profondamente i criteri che presiedono alla liquidazione del diritto al premio, poich mentre la legge 20 giugno 1909, n. 364, liquidava il premio nella sua totalit in favore del proprietario del fondo, facendo salvi i diritti riconosciuti al ritrovatore dal codice civile verso il proprietario (art. 18), la legge del 1939 ha tenuto nettamente distinte la posizione dello scopritore rispetto a quella del proprietario della cosa in cui avviene la scoperta. Del primo argomento si detto nel paragrafo precedente. Sul secondo occorre invece soffermarsi, perch vi implicita l'affermazione che il ritrovamento di oggetti di interesse artistico e storico, pur se regolato dalla legge speciale, dovrebbe inquadrarsi da un punto di vista sistematico nell'istituto giuridico del tesoro. Affermazione dogmaticamente errata, cui possibile pervenire solo dimenticando che fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato le cose d'interesse storico, archeologico, paletnologico, paleontologico e artistico da chiunque e in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo, mentre l'art. 932 cod. civ., con formulazione sostanzialmente identica all'art. 714 del codice del 1865, mutuata dall'art. 865 del codice sardo, che , a sua volta, la traduzione letterale dell'art. 716 del codice napoleonico e deriva dalle fonti romanistiche, definisce tesoro qualunque cosa mobile di pregio, nascosta o sotterrata, di cui nessuno pu provare di essere proprietario. Una famosa sentenza della Cassazione di Roma in data 26 marzo 1918 (presidente L. Mortara; estensore M. D'Amelio), nel decidere una controversia relativa ad un ritrovamento del 1906, si conclude con questa massima: qualora quest'ultima evoluzione della natura giuridica della statua non risulti dimostrata e resti confermata, invece, la sua patrimonialit pubblica, qualsiasi pretesa su di essa da parte dello scopritore, che voglia considerarla come tesoro dovrebbe essere respinta per la tassativa disposizione dell'art. 714 cod. civ., in forza del quale tesoro qualunque oggetto mobile di pregio, che sia nascosto o sotterrato, a condizione per, che nessuno possa provare di esserne padrone (13). Errore e dimendicanza gravi, dunque, quelli della sentenza del 1954, ma non solo da un punto di vista dogmatico, perch il problema dell'appartenenza delle cose di interesse artistico e storico ritrovate ha rappresentato il fulcro (13) Cass. di Roma, 26 marzo 1918, in Foro it., 1918, I, 682. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Questo diritto (dello scopritore e del proprietario del fondo) si presenta come un diritto di credito che -alla luce di quanto risulta dalla relazione Romano alla legge - appunto perch premio non mai corrisposto a titolo di compenso di un diritto sulle cose ritrovate o scoperte, ma serve ad attuare un evidente criterio di giustizia distributiva . Se infatti il fondamento della disciplina delle scoperte artistiche ed archeologiche eminentemente pubblicistico ed -alla stregua di quanto risulta dalla relazione alla legge -si riporta direttamente allo Stato in quanto tutore del patrimonio culturale della nazione, in perfetta coerenza con la finalit della legge 1939 la tesi che pone in evidenza come il diritto al premio del ritrovatore non poggia soltanto ed esclusivamente sulla invenzione della cosa d'arte. ma presuppone a sua volta che lo scopritore abbia, adempiendo agli obblighi di denunzia e custodia, contribuito attivamente alla verificazione di un risultato che riuscito utile per la generalit e che deve perci essere premiato. Non quindi la mera scoperta fortuita che determina l'acquisto del diritto in favore dello scopritore, poich tale comportamento se produce il verificarsi della fattispecie acquisitiva in favore dello Stato, non assicura in alcun modo che la P.A. sia messa in condizioni di venire in possesso della cosa d'arte, al fine della sua destinazione per scopi dell'evoluzione dell'ordinamento di tutela, che si sviluppato attraverso la progressiva e contrastata affermazione della propriet dello Stato, accompagnata da una sempre pi rigorosa disciplina dell'attivit di ricerca, che trovava nell'affermazione della propriet pubblica dei reperti la sua legittimazione. E la prima disposizione che sanc la propriet dello Stato venne con la legge 20 giugno 1909, n. 363 (art. 15). Ma anche prima di quella legge, quasi agli albori dell'unit nazionale, realizzata con l'estensione all'intero territorio del nuovo Stato della legislazione del Regno di Sardegna, unico fra gli Stati preunitari a non avere una legge di tutela dei beni storici ed artistici, il problema dell'appartenenza dei reperti archeologici rappresent il terreno di scontro sul quale furono sostenute contrapposte pretese private, relative all'attribuzione dei reperti stessi e del premio per il ritrovamento, e sul quale fu difeso da parte dell'allora Avvocatura Erariale, l'interesse pubblico alla loro tutela ed utilizzazione collettiva. Sia nelle liti fra privati (14) sia in quelle, nelle quali fu parte la pubblica amministrazione, l'identificazione fra reperto archeologico e tesoro fu contestata, facendo valere, di volta in volta, la natura sacra o la natura immobiliare del reperto per destinazione originaria; la sopravvivenza nell'ordinamento vigente del carattere demaniale e dell'appartenenza al patrimonio pubblico, che le cose ritrovate avevano avuto nel diritto romano; la demanialit delle (14) Importante quella decisa da App. Firenze 23 marzo 1901, in Foro it., 1901, I, 1205 e in Giur. it., 1901, I, 2, 563, con nota di C. GABBA; vedi in proposito: FERRARA, Il carattere della scoperta nell'acquisto del tesoro in Foro it., 1904, I, 54; S. GALGANO, Dell'acquisto del tesoro e del requisito del nascondimento in Filangieri, 1903, 1. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 103 di interesse generale connessi con la importanza che la cosa stessa presenta dal punto di vista storico ed artistico. Questa interpretazione non solo confortata dalla intima connessione esistente tra l'art. 48 della legge speciale, che impone gli obblighi di denunzia e custodia allo scopritore ed il successivo art. 49 che, ricollegandosi immediatamente al primo, riconosce allo scopritore medesimo un premio, ma trova ulteriore motivo di conferma nel rilievo che il premio spettante per legge allo scopritore corrisposto dal Ministero in via alternativa in danaro oppure mediante rilascio di una parte delle cose scoperte. (in ogni caso in misura non superiore al quarto del valore delle cose stesse). Ci dimostra che, secondo il sistema della legge, il diritto al premio presuppone come logica premessa della sua esistenza, che sussista materialmente la possibilit di soddisfare lo scopritore attraverso l'attribuzione in suo favore di una parte delle cose scoperte, vale a dire un trasferimento di propriet dallo Stato al medesimo che in tanto ammissibile in quanto le cose stesse siano ormai acquisite non solo formalmente allo Stato, ma anche rientranti nella sua materiale disponibilit. cose stesse per la natura di monumento storico; l'applicabilit, infine, ed il perdurante vigore delle leggi di tutela degli Stati preunitari (15). Queste lontane controversie, ricordate nelle trattazioni generali della materia (16), indipendentemente dal giudizio, che si pu dare oggi sulle tesi (15) App. Roma 18 giugno 1885 (causa Castellani -Min. Lavori Pubblici), App. Ancona 19 maggio 1886 (causa Lazi -Min. Pubbl. Istr. ed altri) in ambedue fu affermata l'applicabilit della legislazione pontificia; Appello Trani 3 febbraio 1885 (Vetrano -Molco) respinta domanda dell'attore per ottenere in qualit di scopritore una quota dei reperti archeologici, divisi fra proprietario e pubblica amministrazione in base a convenzione anteriore all'inizio degli scavi, tutte indicate in Relazione' sulle Avvocature Erariali pel biennio 1884-85, Tip. Eredi Botta-Roma, 1886, pag. 57 e seg. e pag. 220; App. Ancona 12 ottobre 1894 (in causa Sciarra) e Tr. Roma 1 settembre 1897, App. Roma, 23 nov. 1897 (ambedue in causa Accrocca -Min. Pubbi. Istr.) applicabilit in materia di scavi editto cardinal Pacca, 7 aprile 1820, Cass. Roma 18 maggio 1893 (causa Berlingeri) indicate in Relazione dell'Avv. Gen. Erariale in prosieguo alla relazione pel biennio 1884-85, Tip. Naz. G. Bertero, Roma, 1898, pag. 97 e seg.; parere in controversia Matrone, nel quale si afferma l'applicabilit in materia di scavi del regio decreto 14 maggio 1822 del Regno di Napoli, indicato in Relazione dell'Avvocato Gen. Erariale per l'anno 1899, Tip. Naz. G. Bertero, Roma, 1900, pag. 145; denuncia e rinvio a giudizio di tal Carlo Cacace, imputato dei reati previsti dai regi decreti 13 e 14 maggio 1822 del Regno di Napoli per aver sottratto e venduto reperti archeologici, indicati in Relazione dell'Avvocato Gen. Erariale per il periodo 1900-1901, Tip. Naz. G. Bertero-Roma, 1901, pag. 198; Tr. Genova 5 febbraio 1910 e App. Genova 1 agosto 1910 (ambedue in causa Ottone e Bianchi -Min. Pubbl. Istr.) affermarono, in accoglimento tesi erariale, inapplicabilit art. 714 cod. civ. al ritrovamento casuale di una gran pentola con monete d'argento essendo sostanzialmente diverso lo spirito informatore di tale disposizione rispetto a quella dell'art. 14 della legge 12 giugno 1902, n. 185 , indicata in Relazione sulle Avvocature Erariali per l'anno 1910, Tip. Naz. G. Bertero, Roma, 1901, pag. 129. (16) L. PARPAGI.IOLO, Codice delle antichit e degli oggetti d'arte, Libreria dello Stato, Roma, 1932, 35; M. GRISOLIA, La tutela citata. 104 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Il che possibile soltanto presupponendo che lo Stato abbia acquistato la disponibilit materiale della cosa d'arte attraverso l'adempimento degli specifici obblighi (di denunzia e custodia) che la legge impone allo scopritore ed al detentore (art. 48). Altrimenti dovrebbe necessariamente ammettersi che il legislatore abbia inteso riconoscere il diritto al premio allo scopritore, anche se costui impossessandosi indebitamente della cosa d'arte e disponendone (come accaduto nella specie) ovvero omettendo di adempiere agli obblighi suindicati, ponga in essere un comportamento che non soltanto non contribuisce al recupero mat.eriale della cosa d'arte ad opera dello Stato, ma di ostacolo a quella materiale apprensione e che in definitiva abbia voluto attribuire un premio a colui che invece, in base ad altri precetti contenuti nella stessa legge (artt. 67 e 68) meritevole della sanzione penale (per impossessamento delle cose d'arte ed omessa denunzia). Ora una tale conclusione contraddetta dai canoni della interpretazione sistematica della legge, la quale pur sempre ispirata a criteri di logica coerenza nel significato che deve riconoscersi alle singole norme che la compongono. sostenute e spesso accolte dai gh:tdici, dimostrano come gi allora fosse viva la consapevolezza che un reperto archeologico non una quaedam depositio pecuniae >>, caratterizzata esclusivamente dal suo valore economico e da una contrapposizione di omogenei interessi privati, cosicch si ponga al legislatore il solo problema <;lella loro composizione come fece, a suo tempo, il divus Hadrianus (17)''. Anche in queste non frequenti, ma all'epoca clamorose vicende giudiziarie, negli accaniti e dotti dibattiti sostenuti nelle aule di giustizia e sulle riviste giuridiche da giuristi famosi, quali Perozzi, Gabba, Ferrara, nelle interminabili ed erudite motivazioni delle sentenze, c' una testimonianza di come il livello culturale e di civilt di gran parte dei regnicoli fosse pi elevato di quello, espresso nella legislazione del tempo, dei governanti sabaudi e della ristretta e chiusa oligarchia dominante e di come fossero maturi i tempi per un provvedimento legislativo di tutela organica delle cose di interesse storico ed artistico (18), che si fece tuttavia molto attendere per la resistenza che il Parlamento oppose ad una legge che sembrava, nonostante i ricordati precedenti, troppo drastica e negatrice di quei sacri diritti soggettivi, come la propriet privata, che la concezione giuridica e politica del tempo attribuiva all'individuo per diritto naturale (19). (17) Vero che una piccola schiera cupidamente audace di mercanti, nulla curante d'Italia, predica la dottrina del libero scambio fra un quadro e un pasticcio di Strasburgo, e vuol far credere che dissotterrare una statua sia il medesimo che scavare un tartufo " F. MARIOTTI, La legislazione delle belle arti, Un. Coop. Ed., Roma, 1892, XL. (18) Son da conservare le ruine, da impedire che altre statue, altri quadri vadano a popolare altri musei e altre gallerie vecchie e nuove di Europa e di America. E veramente se nei tempi passati fecero danno a Roma e all'Italia i barbari stranieri e nostrali, ora ci fanno guerra i popoli civili per avere essi quello che abbiamo noi. E siccome in antico fu la Grecia dove rubaron tutti, ora l'Italia sola, donde tutti vorrebbero portar via il possibile e il desiderabile. Ed da prender guardia di gente, con o senza dottrina, nostrale o forestiera, che per ci si adopera e che venderebbe Roma e l'Italia, si emptorem invenerit, e lo consentissero gl'ltaliani " F. MARIOTTI, La legislazione citata, pag. XXXVII. (19) M. GRISOLA, La tutela citata, pag. 34. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 105 Inoltre, deve considerarsi che le disposizioni della legge speciale vigente (legge 1 giugno 1939, n. 1089) in ordine al ritrovamento degli oggetti di interesse storico e artistico (in particolare gli artt. 43 e 50) costituiscono un corpo di norme che, attesa la particolarit della materia, non pu essere interpretato facendo riferimento alla disciplina che il codice civile detta in tema di ritrovamento del tesoro (art. 932), stante anche l'assoluta diversit dei presupposti che le norme hanno considerato e degli interessi posti a base della rispettiva tutela giuridica. L'art. 932 e.e. disciplina la invenzione del tesoro (come cosa mobile di pregio nascosta o sotterrata di cui nessuno pu provare di essere proprietario) e regola esclusivamente il rapporto (privatistico) tra scopritore e proprietario del fondo sul presupposto della mera invenzione (che costituisce titolo autonomo di acquisto per l'inventore). La legge del 1939 invece realizza, al di fuori e al di sopra delle competizioni private tra l'inventore ed il dominus soli, un altissimo interesse collettivo che -sin dalle prime applicazioni della legge 1909 -si riconosciuto non potersi attuare se non dallo Stato, il che pu verificarsi o con norme amministrative di sorveglianza e di controllo ovvero -secondo il sistema esplicitamente introdotto dalla legge 1939 -con l'attri- Il tardivo provvedimento si concret nella legge 12 giugno 1902, n. 185, che disciplin negli artt. 14, 15, 16 e 17 l'attivit di ricerca archeologica, senza peraltro stabilire regole diverse da quelle del codice civile per l'acquisto della propriet delle cose ritrovate. La sua insufficienza per un'adeguata tutela del patrimonio storico ed artistico, su questo come su altri punti fu subito manifesta (20), cosicch venne presentato nel 1906 un nuovo disegno di legge, che, proprio perch ne fu subito evidente la portata normativa di deroga e di frattura della disciplina unitaria del diritto di propriet, dettata dal codice civile, incontr le stesse resistenze in precedenza manifestatesi e, dopo un contrastato procedimento di approvazione (21), fu tradotto nella legge 20 giugno 1909, n. 264, il cui art. 15 stabil per la prima volta che le cose scoperte appartengono allo Stato. (20) La legge del 1902 si dimostrata deficiente in varie parti, per esempio nella tutela delle cose immobili. nella prevenzione del decadimento delle mobili, nel regime degli scavi, nell'istituzione del catalogo, nelle norme riguardanti gli enti morali, nella distribuzione delle rendite degli istituti di arte e di antichit, nelle regole delle riproduzioni, negli stanziamenti finanziari e singolarmente nelle guarentigie contro l'esportazione . Relazione della Commissione parlamentare (15 maggio 1909) alla legge 20 giugno 1909, n. 264, in L. PARPAGLIOLO, Codice citato, pag. 8. (21) Des lignes essentielles du proget de loi, il apparait au contraire clairment que la proprit prive de chose ajant un intrt historique et artistique a t soumise une discipline spciale. Ce proj'et part de la conception que, dans l'intrt de la collectivit, on ne peut, relativement aux choses desquelles il s'occupe, considerer qu' proprement parler, elles font part d'une proprit, et leur appliquer !es rgles poses par le Code Civil... Les restrictions apportes par ce projet -qui, prsent en 1906, n'a t que rcemment approuv par la Chambre des dputs -sont si graves qu'il est douteux encore qu'il puisse tre traduit en loi . R. FUBINI, Revue trimestrielle de droit civil, 1908, 198. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 106 buzione delle cose d'arte scoperte in propriet allo Stato, nel cui patrimonio indisponibile rientrano (art. 826 e.e.). Poich il presupposto della disciplina delle cose d'arte ritrovate fortuitamente la propriet pubblica dello Stato, ne consegue che il premio riconosciuto allo scopritore (sia o meno proprietario del fondo in cui avvenuta la scoperta) non pu costituire un indennizzo per il mancato acquisto del diritto di propriet sulla cosa d'arte che per legge non gli compete. In realt il legislatore del 1939, nel determinare i criteri di liquidazione del diritto al premio in favore dello scopritore e del proprietario del fondo stato influenzato dai criteri applicati dal codice civile dell'epoca (art. 714 e.e. del 1865) nella disciplina del tesoro e quindi, La Commissione parlamentare nella sua relazione alla legge afferm che quella disposizione poneva una deroga alla disciplina del tesoro. Nella parte riguardante gli scavi detto: Pi singolare potrebbe parere la disposizione per cui lo Stato si fa proprietario della met delle cose scoperte a iniziativa e cura dei privati; ma, tenendo conto della natura giuridica non ben definita delle cose di scavo, le quali non partecipano della natura del tesoro n della propriet del fondo, la singolarit viene a cessare (22). Tutti i commentatdri condivisero quella interpretazione, anche se la regola di appartenenza allo Stato era contraddittoriamente accompagnata da disposizioni, che richiamavano la disciplina del tesoro (artt. 15, 17 e 18) ed imponevano la confisca dei reperti non denunciati (art. 35). E anche questa contraddittoriet fu unanimemente rilevata e criticata. Il consenso su questo punto fu generale, pur nella disparit dei giudizi sulla legge nel suo complesso, tra i quali spicca l'aspra critica del Perozzi al termine di un importante studio sull'istituto del tesoro, che aveva fatto seguito ad altro di venti anni prima (23). (22) Relazione della Commissione in L. PARPAGLIOLO, Codice citato, pag. 59. (23) Mi si conceda di dire in via di appendice una parola che sia di aperto biasimo circa le leggi recenti italiane in materia di antichit e belle arti... e circa i propositi, manifestati da certuni di una piena demanializzazione del sottosuolo archeologico... Si domanda in sostanza che lo Stato spogli l'inventore, il quale, o per merito o per fortuna, rende coll'opera sua alla societ ci che la societ aveva perduto, di ci che le ridona. Fra l'inventore e lo Stato si crede che il pi forte sia questo. li. un errore. Lo Stato non che il pi violento. Il forte l'inventore; forte dell'interesse personale che lo fa cercare e trovare; forte della giustizia che gli suggerisce di godere e smerciare ci che ha trovato; forte dell'intelligenza acuita dall'interesse, che gli fa scorgere le vie di sfuggire alla violenza statale. Lo Stato di fronte a lui un debole; lo Stato non ha per s l'interesse, non ha la giustizia e quanto all'intelligenza temo molto che egli sia tra i pi famosi mediocri che esistano sotto il cielo d'talia . S. PEROZZI, Tra la fanciulla di Anzio e la Niobide. Studi sul tesoro (art. 714 cod. civ.) in Riv. Dir. Comm., 1910, I, 253, e in Scritti Giur., Giuffr, Milano, 1948, pag. 309; Contro l'istituto giuridico dell'acquisto del tesoro in Man. Trib., 1890, 705, e in Scritti Giur. citati, pag. 283; A. MusATTI, La nuova legge sulle antichit e belle arti in Riv. Dir. Comm., 1909, I, 435; G. ROTONDI, I ritrovamenti archeologici e il regime di acquisto del tesoro, in Riv. Dir. Civ., 1910, 311. Vedi anche per una differenziazione obiettiva fra tesoro e reperti archelogici: A. PARRELLA, Signoria dello Stato sui rinvenimenti archeologici, in Riv. Beni Pubblici, 1935, 135, nota alle sentenze della Cass., sez. 1 pen., 28 aprile 1934 e 28 maggio 1934. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 107 avendo riconosciuta in ogni caso la propriet pubblica dello Stato sulla cosa d'arte, stato indotto ad estendere il diritto al premio anche al proprietario. Senonch, questo rilievo puramente estrinseco rappresenta, in sede di interpretazione della legge del 1939, un elemento di carattere puramente storico ed il motivo (od occasione) che possa avere spinto in questo senso il legislatore. Dal punto di vista dell'interpretazione logico-sistematica dell'art. 49 della legge (e degli artt. 44, 46 e 47) invece, il fondamento giuridico del diritto al premio mentre per lo scopritore risiede -a parte la funzione di stimolo e di tangibile riconoscimento per chi ha denunziato le cose ritrovate -nell'utile pubblico che consegue all'attivit da esso svolta (scoperta della cosa d'arte seguita dalla denunzia e custodia della stessa), per il proprietario della cosa in cui avvenuta la scoperta costituisce il residuato storico di ordinamenti (propri del diritto romano e dello Stato pontificio) che adottavano in materia una disciplina non dissimile da quella accolta in tema di invenzione del tesoro (con attribuzione della propriet della cosa d'arte all'inventore- proprietario del fondo). Non costituisce valido argomento in senso contrario l'obiezione ohe nessun premio previsto per il detentore delle cose scoperte (da altri) nono$tante che la legge sancisca anche per lui l'obbligo della denuncia L'Avvocatura Erariale, che aveva sostenuto la demanialit dei reperti archeologici anche prima della legge del 1902, ribad la sua tesi (24), e la Cassazione di Roma, presieduta da L. Mortara, con sentenza estesa dallo stesso presidente, decise che la legge non ammette la demanialit del sottosuolo artistico archeologico fino a che rimane ignoto e nascosto: ma conferisce allo Stato la propriet dei singoli oggetti, man mano che vengono alla luce (25). A seguito di questa autorevole sentenza l'Avvocatura corresse la sua tesi difensiva, sostenendo che quando un ritrovamento aveva interesse archeologico e numismatico dovesse il tesoro trattarsi alla stregua della legge speciale... derogatrice per la materia alle comuni norme del codice civile >>. E la tesi fu accolta dai giudici di merito n risulta fino alla promulgazione della nuova legge alcuna decisione contraria (26). La legge 1 giugno 1939, n. 1089, persegu lo scopo, come si legge nella relazione del Ministro, estesa da Santi Romano, presidente della commissione ministeriale che ne cur la redazione, di eliminare non poche e non lievi lacune nonch vari difetti sostanziali a prescindere da quelli di ordine formale e sistematico (27). Tra tali difetti stata eliminata la contraddittoriet (24) Relazione sulla R. Avvocatura Erariale per gli anni 1912-1925, Provv. Gen. Stato-Roma, 1926, pag. 318. (25) Cass. di Roma 27 giugno 1918 in Giur. it., 1918, I, 1, 728. (26) Relazione sulla R. Avvocatura Erariale per gli anni 1926-29, Ist. Po!. Stato-Roma, 1930; pag. 301; Relazione per gli anni 1930-41; Ist. Po!. Stato, 1945, vol. 1, pag. 735; Il contenzioso dello Stato negli anni 1942-50, Ist. Po!. Stato, 1953, vol. 1, pag. 383, in cui indicata la sentenza della Cass., sez. un. civ., 24 maggio 1943, in Giur. it., 1943, I, 1, 384, che stabil principi in tema di propriet delle cose di interesse artistico, storico, archeologico rinvenuti in un fondo privato. (27) In Le leggi, 1939, pag. 894. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 108 e della custodia. Infatti la fattispecie costitutiva del diritto al premio una fattispecie complessa la quale, perch si perfezioni, presuppone ad un tempo il fatto della scoperta fortuita della cosa d'arte e quindi una dichiarazione di scienza (denunzia all'autorit competente) in una alla custodia delle cose rinvenute, di modo che soltanto in presenza dei presupposti indicati si realizza l'effetto giuridico corrispondente (acquisto del diritto al premio). Il quale, quindi, nel sistema della legge, non spetta al detentore che, pur adempiendo agli obblighi della denunzia e custodia non scopritore fortuito della cosa d'arte. Il principio accolto era del resto espressamente riconosciuto dall'editto Pacca che per le scoperte fortuite delle cose d'arte cos statuiva (art. 50 cpv.): L'inventore che non adempie alle presenti disposizioni perde ogni diritto al premio e fu ritenuto valido anche in sede di interpretazione della legge 1909, allorch i suoi interpreti si posero il problema se, in seguito all'amnistia per il reato di omessa denuncia di scoperte fortuite, lo scopritore potesse far valere il diritto al premio e si rispose prevalentemente nel senso che, mentre gli oggetti rinvenuti erano di propriet dello Stato, al proprietario-scopritore non spettava il diritto alla met delle cose ritrovate (o al corrispondente valore). A maggior ragione lo stesso principio deve ritenersi applicabile in sede di interpretazione dell'art. 49 della legge del 1939 che ancor pi delle disposizioni riguardanti l'acquisto in via ongmaria delle cose ritrovate o fortuitamente scoperte, le quali, poi, con l'art. 826, secondo comma, cod. civ., sono state attribuite al patrimonio indisponibile dello Stato. In base a queste nuove disposizioni, la relazione sul terzo libro del codice civile si espresse sull'istituto del tesoro in questi termini: Si tratta, per altro, di un istituto di importanza pratica assai ridotta per effetto delle leggi speciali sul ritrovamento degli oggetti di interesse storico, archeologico, paletnologico, paleontologico ed artistico, le quali rimangono naturalmente ferme (art. 122, terzo comma) . E in questo passo della'.' relazione, in primo luogo, dato cogliere una sorta di giustificazione per la mancata abolizione o, quantomeno, modificazione dell'istituto del tesoro, postulata da parte della dottrina; inoltre, si desume anche che il rinvio alle leggi speciali, contenuto nel terzo comma dell'art. 932 (art. 122 del terzo libro), esclude nei casi considerati l'appHcabilit di quella disposizione e non consente neppure di inquadrare .da un punto di vista sistematico il ritrovamento di oggetti di interesse artistico e storico nell'istituto giuridico del tesoro. Separa nettamente, quindi, non accomuna le due fattispecie giuridiche e le loro distinte discipline legislative. E tutti i commentatori furono concordi nell'affermare che con le nuove disposizioni definitivamente rotto ogni legame con la disciplina del tesoro del codice civile (28). Sostenere a questo punto sulla base della normativa vigente l'inquadramento da un punto di vista sistematico dei ritrovamenti archeologici nell'istituto giuridico del tesoro come dar vita ad un fantasma e, al di l dell'errore dogmatico, muoversi, con assoluta mancanza di prospettiva storica e di valu (28) M. GRISOLIA, La tutela citata, pag. 460; P.O. GERACI, La tutela citata, pag. 138. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 109 ha accentuato gli obblighi cui sono soggetti sia lo scopritore che qual siasi detentore delle cose scoperte fortuitamente, sanzionando anche in sede penale il relativo inadempimento. N potrebbe sostenersi validamente che, rivestendo il Fontana ad un tempo le qualit di scopritore-proprietario della cosa in cui avvenne la scoperta delle monete d'oro, il diritto al premio se non gli spetta come scopritore, per l'inadempimento agli obblighi di cui sopra, non potrebbe essergli negato come proprietario del fondo, in cui avvenne il ritrovamento. Vero che l'art. 49 della legge attribuisce eguale premio,. non solo allo scopritore fortuito, ma anche al proprietario della cosa in cui avvenne la scoperta; ma una tale duplicit dei diritti soggettivi in tanto concepibile in quanto si tratti di soggetti diversi che facciano valere le distinte pretese per titoli autonomi. Quando invece si tratti -come nel caso in esame -dello stesso soggetto che ad un tempo riassume in s la duplice veste di scopritore e proprietario della cosa in cui avvenne la scoperta, deve ritenersi che il tifolo acquisitivo del diritto al premio, costituito dalla qualit di scopritore (in quanto abbia adempiuto agli obblighi di denuncia e custodia), assorbe in s e rende privo di rilevanza giuridica qualsiasi altra qualit che il soggetto medesimo possa presentare, giacch, per definizione, tazione delle situazioni concrete, che si inteso via via disciplinare e governare, in senso opposto all'evoluzione dell'ordinamento durante un secolo di storia, all'inizio del quale una parte autorevole della dottrina privatistica, primo fra tutti il Perozzi, gi sosteneva, proponendone l'abolizione, che l'isti tuto del tesoro null'altro rappresentasse che il residuo fossile di una tradizione giuridica superata. 5. -Meritavano cos diffusa disamina gli errori di una remota, isolata sentenza, dopo la radicale, esauriente, approfondita revisione da parte della stessa sezione della Cassazione dei principi di diritto allora affermati? Non l'avrebbero meritata in altra materia. Ma sulla legge per la tutela delle cose di interesse artistico e storico, forse per la scarsa frequenza delle controversie, non si ancora formata una solida giurisprudenza, che sia di guida all'azione amministrativa. Le pronunce della Cassazione, talvolta deludenti nella soluzione del caso concreto, sono state spesso sorrette da motivazioni, che potremmo definire episodiche, non ancorate a principi generali, che rappr& sentino punti di riferimento per l'interpretazione ed applicazione della legge nel suo complesso. La sentenza qui pubblicata si differenzia decisamente dalla frammenta riet delle decisioni precedenti per il modo, con cui ha affrontato la soluzione della controversia, collegando caso concreto e norma applicabile ai principi generali. Per ripercorrerne le ragioni giuridiche ed approfondirne le imposta zioni di principio, al di l di quanto possibile nei limiti obbligati della pur esauriente motivazione, sembrato utile il confronto con la precedente sen tenza ed il sintetico riepilogo dell'evoluzione legislativa, da cui scaturita la normativa vigente. ENRICO VITALIANI IO RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO in tal caso il premio, che non pu superare il quarto del valore delle cose stesse esaurisce tutte le pretese che lo scopritore possa far valere nei confronti dello Stato. Infatti in tal caso la unicit del soggetto che ad un tempo scopritore fortuito e proprietario del fondo non fa venir meno nei confronti di tale soggetto il collegamento necessario ed imprescindibile tra l'adempimento degli ?bblighi che gli derivano dalla sua qualit di scopritore e/o detentore delle cose scoperte e l'acquisto del diritto al premio che la legge stessa gli riconosce, nel senso che l'adempimento dell'obbligo costituisce il presupposto necessario per l'acquisto del diritto. In conclusione, la sentenza impugnata, avendo negato il diritto al premio al Fontana nella sua duplice veste di scopritore delle monete antiche d'oro e di proprietario deUondo in cui avvenuta la scoperta, poich il medesimo si era indebitamente appropriato di tali cose, disponendone e quindi era venuto meno agli obblighi impostigli dall'art. 48 della legge del 1939, si attenuta ad esatti criteri giuridici e non merita la censura formulata con l'unico motivo del ricorso, che deve essere respinto. {omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 20 novembre 1979, n. 6055 -Pres. Aliotta -Est. Martinelli -P. M. Pedace (conf.) -Beccia c. Ministero della Pubblica Istruzione (avv. Stato Freni). Giurisdizione civile -Controversia di impiego pubblico attinenti a diritti patrimoniali conseguenziali -Spettano al Pretore quale giudice del lavoro. Le controversie sui diritti patrimoniali conseguenziali alla pronunzia di annullamento di un atto amministrativo afferente ad un rapporto di impiego pubblico da parte del giudice amministrativo sono riservate alla competenza per materia del Pretore, quale giudice del lavoro del luogo dove ha sede la tesoreria incaricata del pagamento del relativo titolo di spesa (1). {1) Trattasi di princ1p10, per quanto consta, nuovo. Prima dell'entrata in vigore della legge 11 agosto 1973, n. 533, che ha intro dotto la nuova disciplina del processo del lavoro, non si dubitava che le controversie sui diritti patrimoniali conseguenziali all'annullamento da parte del giudice amministrativo di un atto afferente ai rapporti di pubblico impiego, avessero natum obbligatoria e pertanto soggette a1la normale regola delila competenza per valore, mentre per quanto rifletteva la competenza per territorio era pacifico il collegamento all'ufficio di tesoreria incaricato del pagamento del titolo di spesa (v. Cass. 10 maggio 1974, n. 1329, in questa Rassegna 1974, I, 1187, ove richiami). Con la sentenza in rassegna il S.C. ha ritenuto che con l'entrata in vigore del nuovo processo del lavoro, ed in particolare per effetto del riferimento . ~ PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 111 (omissis) Con unico motivo il ricorrente aooetta il criterio di collegamento (forum solutionis -Campobasso) ma assume che, quando lo Stato convenuto, non opera lo spostamento di competenza di cui alla prima parte dell'art. 25 c.p.c. e, di conseguenza, contesta la competenza per territorio del Tribunale di Napoli e chiede che sia riaffermata quella del Tribunale di Compabosso. Osserva il ricorrente che, allorquando lAmministrazione convenuta, il legislatore con le parole tale distretto contenuto nell'art. 25 c.p.c., non si riferisce affatto al foro erariale, ma a quello che si determina con riguardo non solo al luogo, ma essenzialmente al giudice del luogo ove sorta o deve eseguirsi l'obbligazione; luogo che nella specie Campobasso. L'Amministrazione sembra accogliere, anche se con qualche perplessit, il criterio di collegamento posto a base della sentenza impugnata ed afferma che la competenza, in tal caso, spetta certamente, in conformit al consolidato orientamento giurisprudenziale e della dottrina, al Tribunale di Napoli per effetto dell'attrazione della competenza al giudice del luogo ove ha sede l'ufficio dell'Avvocatura distrettuale. Il Procuratore Generale afferma, invece, che in subiecta matera questa Corte deve porsi la questione se la competenza in ordine alla domanda di danni dipendenti dal provvedimento annullato, e richiesti dopo le pronunce del giudice amministrativo, spetti al Pretore, quale giudice del lavoro, ex art. 409 c.p.c. Il rilievo, formulato dal Procuratore Generale , pienamente fondato, considerato che questa Corte, in sede di regolamento di competenza, pu prospettarsi d'ufficio la questione circa la competenza di un giudice diverso rispetto a quello indicato nel provvedimento oggetto del regolamento, o nell'istanza; soprattutto se trattasi, come nella specie, di competenza per materia. esatta, inoltre, la tesi prospettata dal Procuratore Generale che le controversie riguardanti i diritti patrimoniali conseguenziali, discendenti dalla pronuncia di annullamento del provvedimento amministrativo da parte del Tribunale amministrativo regionale, o del Consiglio di Stato (ex art. 30, t.u. n. 1054 del 1924) in materia di rapporto di pubblico impiego, anche se riguardanti lo Stato o gli altri enti previsti contenuto nel n. 5 dell'art. 409 agli altri rapporti di lavoro pubblico >>, il legislatore abbia assegnato alla competenza del giudice del lavoro tutte le controversie che comunque trovino la loro fonte nel rapporto di lavoro, anche se trattasi di rapporti su cui il giudice ordinario chiamato a pronunciarsi in via del tutto residuale dopo che il giudice amministrativo ha conosciuto della legittimit dell'operato della P.A. Si tratta, a ben vedere, di una interpretazione un po' forzata della lettera della legge, posto che i rapporti patrimoniali conseguenziali all'annullamento dell'atto amministrativo hanno perso quella colorazione laburistica che in base all'art. 409 c.p.c. ne consente la trattazione da parte del giudice del lavoro. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dall'art. 29, legge cit., rientrando nella giurisdizione del giudice ordinario non si sottraggono ai fini della competenza per materia alla cognizione del Pretore, quale giudice del lavoro. In tal senso l'ormai costante indirizzo di questa Corte. Infatti, se pur vero che rientrano nella competenza del giudice del lavoro quei rapporti di lavoro di dipendenti di enti pubblici, che svolgono esclusivamente o prevalentemente attivit economica (ex art. 409, n. 4, c.p.c.), nonch quei rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici diversi, sempre che non siano devoluti, espressamente dalla legge ad altro giudice, del tutto evidente che in tale competenza, per espresso richiamo legislativo, rientrano pure . gli altri rapporti di lavoro pubblico, anche se non intercorrenti con enti pubblici, sempre che per questi non sia, espressamente, prevista la competenza del giudice speciale. Tale tipo di rapporto di lavoro pubblico non pu che essere indubbiamente quello esistente con l'amministrazione statuale, altrimenti non avrebbe senso il richiamo espresso, contenuto nel numero cinque dell'art. 409 c.p.c., a generici rapporti di lavoro pubblico di seguito all'indicazione di rapporti di lavoro pubblico intercorrenti con enti pubblici. Infatti tale richiamo, se non dovesse riguardare rapporti diversi da quest'ultimo, rivestirebbe un carattere meramente tautologico. Da ci consegue che le controversie riguardanti rapporti di lavoro pubblico, riservati alla giurisdizione del giudice amministrativo, una volta intervenuta la pronuncia di quest'ultimo organo, per quanto attiene i diritti patrimoniali conseguenziali all'annullamento dell'atto amministrativo non possono che rientrare nella competenza del giudice ordinario, e, pi specificatamente, in. quella del Pretore, quale giudice del lavoro. Invero, in caso contrario si dovrebbe riconoscere l'esistenza di una grave anomalia nel sistema instaurato dalla nuova legge in materia di lavoro se si dovesse ritenere che una controversia di lavoro, quale quella sui diritti patrimoniali conseguenziali all'annullamento dell'atto amministrativo, pur rientrando nella giurisdizione del giudice ordinario, non dovesse poi, soggiacere, in mancanza di un espresso richiamo legislativo, alle norme sulla competenza per materia, in base alle quali, qualunque sia il valore della causa di lavoro, questa rientra nella competenza del Pretore. Premesso quanto sopra in relazione alla competenza per materia, va rilevato che pure la competenza per territorio in ordine alla causa in oggetto spetta al Pretore di Campobasso. ius receptum che nell'ipotesi di domanda di pagamento di somma di denaro nei confronti della P.A., la competenza per territorio spetta all'Autorit giudiziaria del luogo in cui risiede il tesoriere che secondo le norme della pubblica contabilit deve procedere al pagamento a seguito di regolare mandato (cfr. Cass., Sez. Un., n. 1329/74) l'Ufficio i I I1 f PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 113 pagatore, nel caso di specie Campobasso, ivi trovandosi, pacificamente, la sede dell'ufficio di tesoreria tenuto ad effettuare, in ipotesi, il pagamento della somma richiesta. Una volta accertato che valgono le norme di competenza per materia di cui alla legge n. 533/73, va quindi dichiarata la competenza per territorio del Pretore di Campobasso, giacch a norma dell'art. 7, r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, le norme ordinarie di competenza rimangono ferme, anche quando sia in causa un'Amministrazione dello Stato, per i giudizi innanzi ai pretori. (omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 26 novembre 1979, n. 6178 -Pres. La Farina -Est. Scanzano -P. M. Berri (conf.) -AMAS (avv. Stato Del Greco) c. Belberi (avv. Zilioli). Giurisdizione civile -Regolamento previentivo di giurisdizione Istruzione preventiva Ammissione del mezzo istruttorio Non preclude la proposizione del regolamento. Espropriazione per p.u. Occupazione d'urgienza Accertamento preventivo dello stato dei luoghi e delle condizioni dei beni da occupare Ammissibilit. Il regolamento preventivo di giurisdizione nei confronti di una domanda di istruzione preventiva ammissibile anche se il mezzo istruttorio stato dal giudice gi disposto (1). A richiesta del proprietario, i cui beni sono occupati in via d'urgenza per la realizzazione di un'opera pubblica, il giudice competente ha il potere di ammettere accertamento tecnico preventivo al fine di far accertare lo stato dei luoghi e la qualit dei beni occupati (2). (1-2) La prima massima conferma un princ1p10 pi volte affermato dal S.C. accogliendo pienamente le richieste dell'Avvocatura (v. Cass. 22 marzo 1972, n. 878, in questa Rassegna 1972, I, 392; Cass. 29 ottobre 1974, n. 3251, in Giust. civ. 1975, I, 4). Il principio contenuto nella seconda massima conferma, a sua volta, l'affermazione contenuta neLla sentenza 1 ottobre 11%4, n. 2564, in questa Rassegna 1964, I, 1046. Anche se il consolidarsi dell'affermazione fa ritenere l'inutilit di riproporre la questione non possono non confermarsi alcune perplessit circa l'esattezza del principio affermato. A prescindere, invero dal diverso orientamento che lo stesso S.C. ha accolto relativamente all'istruzione preventiva in materia tributaria (v. sent. 29 ottobre 1974, cit.) -pur se non possono sottacersi la diversit degli interessi che ven 114 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (omissis) Secondo l'amministrazione ricorrente, l'autorH giudiziaria ordinaria difetta di giurisdizione in ordine ad una domanda di accertamento tecnico preventivo, 1quale proposta nella specie dal Bel1eri: e ci, sia per.ch durante la procedura di espropriazione per pubblico interesse (come durante quella di occupazione d'urgenza) il proprietario non ha un diritto, attualmente azionabile, aH'~ndennizzo {a11a cui tutela l'accertamento richiesto sarebbe finalizzato), sia perch il provvedimento del giudice, oltre ad essere privo di qualunque utilit, verrebbe ad inddere sull'attivit riservata alla pubblica amministrazione alla quale spetta compiere il medes1mo accertamento, in contraddittorio col proprietario, mediante ila forma.zione dello stato di consistenza. Il ricorso privo di fondamento. Va premesso che non controversa l'ammissibilit del regolamento preventivo di giurisdizione in pendenza di un procedimento di istruzione preventiva, pur dopo che il mezzo istruttorio sia stato disposto (v. Sez. Un., 2689/72, 1977/75, 1766/68). Detto questo, deve rilevarsi che la giurisdizione del giudice ordinario riguardo ad un'istanza di accertamento tecnico preventivo sulla natura, sulla qualit e sulle condizioni di un immobile soggetto a procedura di espropriazione per pubblico interesse, stata gi affermata da questa Suprema Corte con sentenza 10 ottobre 1964, n. 2563, e che nella relativa motivazione trovansi gi confutati gli argomenti che l'A.N.A.S. ora prospetta in contrario. A parte ogni ragionevole dubbio sull'attinenza alla giurisdizione (anzich all'interesse ad agire), dei primi due dei detti argomenti (pretesa superfluit dell'accertamento tecnico preventivo, e pretesa non attualit del diritto alla cui tutela esso finalizzato), non pu negarsi che rispetto gono coinvolti nelle due situazioni -sembra potersi osservare che appare stra namente elusiva l'affermazione che sar solo questione di puro merito quella che potr sorgere, in sede di opposizione alla stima dell'indennit, in ordine alla attendibilit dell'uno (stato di consistenza) o dell'altro (accertamento preventivo) in caso di eventuali divergenze tra le rispettive risultanze" In realt secondo la giurisprudenza amministrativa i vizi dello stato di consistenza , sia formali che sostanziali, debbono essere fatti valere in quella sede mediante impugnazione del provvedimento conclusivo del procedimento. E se si riconosce l'ammissibilit di un accertamento preventivo si finisce per svuotare di qualsiasi significato lo stato di consistenza redatto in sede di procedimento amministrativo, posto che le preclusioni formatesi in quella sede -e che trovano la loro giustificazione in imprescindibili esigenze di certezza dell'attivit amministrativa -vengono completamente superate attraverso un procedimento giudiziario che ne costituisce esattamente il doppione e che ha l'unico vantaggio, rispetto all'impugnativa dello stato di consistenza, che il momento della sua proposizione rimesso alla scelta del proprietario che ha subito l'occupazione e non all'Amministrazione. ~= 9. ~ i: 1r1111111111ifut1rr1r;11111r111r11~11111:~i1,111,:1&11r1111r11r1~:r11fm1111r111f11~r1111i PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE allo stato di consistenza, che un atto compilato a cura dell'espropriante, in caso di occupazione d'urgenza, senza un contraddittorio garantito da un organo imparziale, la consulenza tecnica preventiva realizza un risultato pi rispondente alle esigenze di un fedele accertamento della natura e condizione dei beni, sia per la maggiore ampiezza, che, in relazione alla particolarit del caso, pu assumere la relativa indagine, sia per la garanzia assicurata dalla instaurazione di un formale contraddittorio e dalla direzione del giudice. Pu dunque ben affermarsi, sotto questo profilo, che esiste materia di attivit giurisdizionale. Per contestare che questa materia attenga ad un diritto soggettivo perfetto, non giova all'A.N.A.S. rilevare che un diritto al giusto indennizzo non configurabile prima che l'espropriazione sia compiuta. In contrario, invero, sufficiente osservare che con il chiesto accertamento preventivo il Belleri ha agito non per ottenere il soddisfacimento di quel diritto (che certamente. non pu essere soddisfatto prima dell'espropriazione perch non pu coesistere -come diritto attuale -col diritto di propriet), ma per ottenerne una tutela cautelare, mediante un procedimento che ha appunto natura cautelare. Indiscutibile essendo che il diritto all'indennit costituisce un diritto soggettivo perfetto, alla connotazione di esso (sottolineata dall'A.N.A.S.) quale diritto futuro e condizionato corrisponde la caratteristica dell'accertamento tecnico preventivo quale mezzo istruttorio destinato a spiegare i suoi effetti in un processo futuro: il che per non toglie che esistano in termini di attualit gli elementi in base ai quali l'entit di quel diritto va determinato, l'inerenza di essi al diritto medesimo e l'interesse ad ottenerne l'accertamento immediato. Deve infine escludersi che il provvedimento chiesto dal Belleri e gli atti istruttori compiuti in esecuzione di esso possano determinare alcuna incidenza su attivit riservate alla pubblica amministrazione. Il detto provvedimento, per la diversit della sua natura e dell'organo che l'ha emesso, si pone e rimane al di fuori del procedimento amministrativo attraverso il quale l'espropriazione si compie, e non impedisce la possibilit del regolare svolgimento di alcun atto di quel procedimento. I risultati della consulenza tecnica si aggiungono a quelli espressi dallo stato di consistenza ma non li elidono, e, soprattutto, non elidono il valore che lo stato di consistenza ha come specifico atto del procedimento anzidetto, e sar solo questione di puro merito quella che potr sorgere, in sede di opposizione alla stima dell'indennit, in ordine all'attendibilit dell'uno o dell'altro atto in caso di eventuali divergenze tra le rispettive risultanze. Deve quindi conclusivamente affermarsi che si in presenza di una forma di tutela cautelare di un diritto soggettivo perfetto, ed in tal senso deve dichiararsi la giurisdizione dell'A,G.O. (omissis). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 13 dicembre 1979, n. 6496 -Pres. Rossi -Est. Vela -P. M. Berri (conf.) -Istituto Poligrafico dello Stato (avv. Stato Cerocchi) c. Muraglia (avv. Diana). Giurisdizione civile -Difetto di giurisdizione -Limiti alla sua eccepibilit. Lavoro -Rapporto di lavoro -Indennit di anzianit -Computo del lavoro straordinario Condizioni. La possibilit di rilevare, d'ufficio o ad istanza di parte, in ogni stato e grado del processo, il difetto di giurisdizione del giudice straordinario preclusa sia quando sia intervenuta una sentenza della Corte regolatrice, sia quando sia intervenuta una sentenza sulla giurisdizione del giudice di merito non impugnata, sia, infine, quando sia intervenuta una pronunzia su un capo di domanda passata in cosa giudicata (1). Deve essere computato ai fini dell'indennit di anzianit anche il compenso per lavoro straordinario quando sia dimostrato che detto compenso sia stato costantemente corrisposto, anche se non sia previsto in contratto e, pertanto, non costituisce un corrispettivo sul quale il lavoratore pu contare con certezza (2). (1-2) L'esigenza pratica, peraltro del tutto giustificata anche alla luce di evi denti esigenze di economia processuale, ha indotto il S.C. a confermare l'indirizzo, gi pi volte affermato (v. da ultimo sent. 13 luglio 1979, n. 4062) secondo cui, oltre ad una pronunzia definitiva sulla giurisdizione anche la pronunzia di una sentenza passata in giudicato su di uno dei capi di domanda su cui verte il giudizio esclude la possibilit di pronunziare il difetto di giurisdizione del giudice ordinario a favore di un giudice speciale. Sembra, peraltro, opportuno rilevare che la preclusione si verifica solo quando il capo di domanda su cui si formato il giudicato, rifletta lo stesso rapporto, ancora in contestazione, mentre non sembra che tale preclusione si verifichi relativamente ad altra domanda che si fonda su diverso rapporto e che per avventura sia stata proposta cumulativamente a quella in parte decisa. Il principio affermato nella seconda massima consolida l'indirizzo pi recente della S.C. secondo cui il carattere della continuativit che deve rivestire il compenso per essere computabile a mente dell'art. 2121 cod. civ. ai fini della indennit di anzianit, prescinde dalla natura del compenso stesso ritenendosi, invece, sufficiente che esso si sia mantenuto costante nel tempo (in senso conf. Cass. 23 giugno 1978, n. 3126, in Giust. civ. 1978, I, 1557, ove richiami). SEZIONE QUINTA GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un. Civili, 2 novembre 1979, n. 5687 - Pres. (f.f.) Sbrocca -Rel. Fabi -P. M. Pedace (conf.) -Ministero Affari Esteri (avv. Stato Carafa) c. Sintini (avv. Costa e Pizzuti). Avvocatura dello Stato -Notifiche -Ricorso avverso decisioni del Consiglio di Stato -Termine Decorrenza Notificazione -Forma -Notificazione presso la competente Avvocatura dello Stato -Necessit Sussiste Effetti. Giurisdiiione Ricorso per cassazione avverso decisioni diel Consiglio di Stato -Limiti Deducibilit dell'erronea interpretazione e falsa appli cazione di legge Preclusione ex art. 362 c.p.c. Ai sensi dell'art. 11, primo comma, r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, come sostituito dalla legge 25 marza 1958, n. 260 (che ha comportato altres una deroga alla disciplina di cui agli artt. 7 e 87 del Regolamento 642/1907 e 36 del t.u. 26 giugno 1924 n. 1054), solo dalla notificazione della decisione del Consiglio di Stato presso l'ufficio dell'Avvocatura dello Stato nella persona del Ministro competente inizia a decorrere il termine per proporre ricorso in cassazione per difetto di giurisdizione, essendo irrilevante a tale scopo la notificazione effettuata direttamente presso l'Amministrazione ancorch essa risulti ritualmente costituita in giudizio tramite l'Avvocatura (1). La disciplina contenuta nell'art. 362 c.p.c. non consente di ritenere comprese fra i vizi della decisione denunciabili con ricorso alle Sez. Un. della Cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione anche l'erronea interpretazione e la falsa applicazione di legge, non trattandosi di vizi tipici attinenti all'esercizio del potere giurisdizionale quali l'eccesso di (1-2) La prima massima supera il contrasto in passato evidenziato in sede giurisdizionale (cfr. Sez. IV, C. Stato 20 ot~obre 1964, n. 1043, in Il Consiglio di Stato 1964, I, 1698; Sez. VI 11 nov. 1977, n. 850, ivi 1977, I, 1726; Sez. IV, 25 novembre 1977, n. 1059, ivi, 1977, I, 1648; Cass. 28 luglio 1964, n. 2121, in Foro It. Mass. 1964, 558; Ad. Pl. C. Stato 23 marzo 1979, n. 9, in Foro lt. 1979; III, 310 con nota di richiami) e va collegata con il terzo comma dell'art. 10 della legge 103/1979 secondo cui l'art. 1 della legge 25 marzo 1958, n. 260, si applica anche nei giudizi innanzi al Consiglio di Stato e ai Tribunali Amministrativi Regionali. La seconda massima conforme al costante insegnamento giurisprudenziale sui motivi relativi alla giurisdizione, idonei a consentire la proposizione del ricorso alle Sezioni Unite della Cassazione avverso le sentenze del Consiglio di Stato (cfr. ad es. Cass. 21 nov. 1977 n. 5061, in Foro It. Rep. 1977, voce Giustizia Amm.va n. 73; cfr. anche Cass. 10 gennaio 1979, n. 149, in Foro It. 1979, I, 2704). 118 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO potere giurisdizionale, l'invasione della sfera giurisdizionale riservata all'A. G.O. o ad altro giudice speciale, l'effettuato sindacato di merito laddove consentito il mero controllo della legittimit dell'atto amministrativo, il rifiuto dell'esercizio del potere giurisdizionale, la illegittima costituzione del Collegio (2). CONSIGLIO DI STATO, Ad. Pl., 19 ottobre 1979, n. 24 Pres. (ff.) Imperatrice Est. Delfino Associazione Italia Nostra (avv. !annotta e Satta) c. Sopraintendenza ai monumenti e gallerie dell'Aquila (avv. Stato Tarin) e Soc. S.I.S.I.P.N.A. (avv. Sorrentino). -Appello avverso T.A.R. Abruzza 4 dicembre 1975 n. 232. Giustizia amministrativa Interesse legittimo Interessi diffusi -Tutela del paesaggio BellezZ(e naturali -Tutela di interessi diffusi appartenenti ad una collettivit -Presupposti. Giustizia amministrativa -Interesse legittimo -Interessi diffusi -Criteri Presupposti Natura. Giustizia amministrativa -Legittimazione sostanziale e proeiessuale -Associazioni -Italia Nostra Riconoscimento governativo Effetti Limiti. Giustizia amministrativa -Legittimazione sostanziale e processuale Associazioni -Italia Nostra -Tutela di interessi costituenti finalit statutaria Configurabilit di interesse legittimo -Irrilevanza. Giustizia amministrativa Legittimazione sostanziale e processuale Associazione Italia Nostra -Tutela di interessi costituenti finalit statutaria -Legittimazione -Limiti. In considerazione della finalit di esclusivo interesse pubblico perseguita dall'ordinamento nella tutela dei beni dell'ambiente naturale, il soggetto singolo, sia individualmente considerato, sia come componente della collettivit, portatore di interessi di mero fatto, non gi di interessi legittimi al corretto esercizio dei poteri preordinati alla tutela; peraltro, qualora la salvaguardia del paesaggio e delle bellezze naturali inerisca al godimento concreto di tali beni, il singolo cittadino pu diventare titolare di una posizione di interesse legittimo tutelabile in sede giurisdizionale non solo da esso singolo ma anche -in relazione al carattere dif fuso di detto interesse -dalla formazione sociale (ad es. associazione) nella quale si svolge la sua personalit ex art. 2 Cast., ferma restando peraltro la necessit di una indagine preliminare caso per caso, volta a stabilire se l'interesse del singolo sia effettivamente differenziato rispetto a quello della collettivit generale e possa qualificarsi come legittimo. (1). Poich la categoria degli interessi diffusi non si esaurisce con gli interessi appartenenti ad una collettivit e quindi ai suoi componenti come PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 119 tali, rientrano in essa anche gli interessi che -pur qualificati soggettivamente con riferimento a tutti o a parte dei componenti di una data collettivit -possono imputarsi in concreto a ciascuno di essi, individualmente considerati, riguardo allo stesso bene; in siffatta ipotesi l'interesse diffuso viene ad identificarsi con l'interesse legittimo ogni qualvolta esso risulti specifico, con duplice riferimento sia all'oggetto della tutela sia al rapporto in cui ogni componente della collettivit venga a porsi con il bene tutelato e non si identifichi quindi con gli interessi pubblici generali della collettivit (2). A norma aell'art. 36, secondo comma, e.e., anche le associazioni non riconosciute sono fornite di una capacit processuale autonoma e distinta da quella dei singoli associati e pertanto il riconoscimento governativo irrilevante sotto il duplice profilo della legittimazione sostanziale e di quella processuale (3). Il semplice fatto della assunzione nello statuto di una associazione come Italia Nostra della finalit di tutela di un certo interesse indifferenziato non sufficiente a trasformare quest'ultimo in interesse legittimo e a conferire conseguentemente all'associazione la legittimazione sostanziale a ricorrere (4). (1-5) La impossibilit di individuare soggetti controinteressati in materia di vincoli indiretti ex art. 21 della legge di tutela dei beni culturali e artistici (1 giugno 1939, n. 1089) stata ritenuta anche dal TAR del Lazio, II Sez., nella decisione 20 giugno 1979, n. 508 (in I Tribunali Amm.vi Regionali 1979, I, 1993). La presente decisione, peraltro, riveste importanza particolarmente notevole in quanto, nel recepire la categoria degli interessi diffusi anche con riferimento alla protezione delle bellezze naturali (la cui legge di tutela, del resto, n. 1497 del 29 giugno 1939, all'art. 3 ammette espressamente a partecipare alla formazione degli elenchi di cui all'art. 2 chiunque, senza essere proprietario, possessore o detentore, ritenga di avervi interesse), ha sancito che, per quanto concerne le associazioni del tipo di Italia Nostra , e cio le associazioni riconosciute, contrariamente a quanto ritenuto dalla Sez. V con dee. 9 marzo 1973, n. 253 (in Il Consiglio di Stato 1973, I, 419), il riconoscimento governativo non costituisce n condizione sufficiente della legittimazione sostanziale, n presupposto necessario di quella processuale e ci in quanto anche le associazioni non riconosciute sono fornite di una capacit processuale autonoma e distinta da quella dei singoli associati ex art. 36, secondo comma, c.p.c. L'esclusione della legittimazione dell'Associazione Italia Nostra ad esperire rimedi giurisdizionali contro un provvedimento che incida su interessi diffusi della collettivit era stata affermata anche dalle SS.UU. della Suprema Corte con la decisione 8 maggio 1978, n. 2207 (in Il Consiglio di Stato 1978, II, 396) nella quale, fra l'altro, si legge testualmente in motivazione: La riprova della non configurabilit ne11'ordinamento vigente di una tutela giurisdiziona~e degli interessi diffusi come principio generale, data dal considerare che, l dove questa tutela stata accordata con legittimazione del singolo o dell'Ente esponenziale, si reso necessario l'intervento del Legislatore mediante provvedimenti di carattere particolare e dotati di cautele specifiche. Cos, a parte la legittimazione delle associazioni riconosciute e comprese in appositi elenchi a costituirsi parti civili nei giudizi per frodi alimentari (r.d.l. 15 ottobre 1925, n. 2033) e quella del RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO La particolare natura dell'associazione Italia Nostra (associazione di privati costituitisi in gruppo organizzato allo scopo di concorrere alla tutela del patrimonio artistico, storico e naturale del Paese) e il peculiare interesse dalla medesima perseguito (in s insuscettibile di differenziazione rispetto a quello pubblico e generale, considerato che per statuto tale associazione mira a ,condurre solo un'opera di fiancheggiamento e di pressione sul pubblico potere al fine di una pi efficace azione da parte di quest'ultimo per la salvaguardia del paesaggio e delle bellezze naturali in genere) escludono la possibilit di riconoscere a Italia Nostra quella funzione esponenziale del concreto interesse dei singoli componenti di una data collettivit (portatori cio di un interesse avente ad oggetto beni considerati non nella loro dimensione astratta, ma localizzati o comunque localizzabili in un particolare ambiente naturale pi o meno circoscritto, funzione esponenziale che rappresenta il presupposto indispensabile della legittimazione a ricorrere di una formazione sociale (5). sindacato per la tutela di interessi collettivi (art. 28 legge 20 maggio 1970, n. 300), gli esempi pi pertinenti, con riferimento alla tutela giurisdizionale amministra tiva, sono offerti da alcune leggi speciali come la legge 3 giugno 1950, n. 375... la legge 17 agosto 1967, n. 765 che -all'art. 10 -abilita chiunque ad impugnare licenze edilizie illegittime (con interpretazione restrittiva da parte del Consiglio di Stato -cfr. ad es. Ad. PI. 7 novembre 1977, n. 23 in Riv. Amm.va 1978, III, 38); e infine l'art. 23 legge 17 agosto 1947, n. 530 che ripristina l'azione popolare a difesa degli interessi degli Enti minori in ipotesi di inerzia dei medesimi . Per riferimenti in dottrina cfr. Postiglione A., L'iniziativa dei cittadini per la difesa degli interessi collettivi in Il Consiglio di Stato 1978, Il, 402; BRIGNOLA F., La partecipazione del cittadino alla funzione amministrativa e la sua tutela giurisdizionale, ivi 1977, I, 158; BARONE, nota di commento della dee. 2207/78 in Foro It. 1978, I, 1091; RoPPO, Tutela degli interessi diffusi e modelli di controllo sociale dei contratti standard in Riv. Trim. dir. pubbl. 1976, 307 e segg.; VARRONE C. Sulla tutela degli interessi diffusi nel processo amministrativo in Riv. dir. proc. 1976, 781 segg. R.T. CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 6 luglio 1979, n. 570 -Pres. Mezzanotte Est. Giovannini -Soc. S.F.O.G.G. ed altro (avv. Salmazzo e Lorenzoni) c. Prefetto di Rovigo (avv. Stato Terranova) ed Ente Delta Padano (avv. Lorelli ed Ercole) -Appello T.A.R. Veneto 31 gennaio 1978, numeri 3 e 5. Giustizia amministrativa Ricorso giurisdizionale Interes~ all'impugnazione -Attualit Duplice riferimento alla proposizione dell'appello e alla decisione Necessit. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 121 Giustizia amministrativa -Ricorso giurisdizionale -Interesse all'impu gnaziollje -Sopravvenuta carenza di interesse Improcedibilit -Sus siste Effetti -Annullamento senza rinvio. L'interesse al giudizio di impugnazione avverso le decisioni del T.A.R. deve ricorrere sia nel momento della proposizione dell'impugnazione sia nel momento della decisione (1). Ove sopravvenga nel cor_so del giudizio di impugnazione la carenza di interesse in ordine all'annullamento del provvedimento a suo tempo impugnato innanzi al T.A.R., andr dichiarata la improcedibilit non solo dell'appello, ma altres degli originari ricorsi proposti innanzi al T.A.R., con conseguente annullamento senza rinvio della sentenza impugnata ex art. 34, primo comma, legge 6 dicembre 1971, n. 1034, fatte salve le ipotesi di vizio o difetto inficiante la sola fase di impugnazione (2). (1-2) Sulla prima massima cfr., in senso conforme, Sez. V 9 maggio 1975, n. 644 in Il Consiglio di Stato 1975, I, 623; 11 luglio 1975, n. 1016 ivi 1975, I, 888; Sez. IV 4 luglio 1978, n. 651, ivi, 1978, I, 1026; 28 novembre 1978, n. 1253, ivi, 1978, I, 1791. Sulla seconda occorre ricordare che il Consiglio di Stato ha dichiarato: a) l'inammissibilit, per difetto di interesse, del solo atto di appello ogni qualvolta, in relazione .alla insussistenza delle censure dedotte, l'eventuale accoglimento dell'appello non avrebbe determinato comunque l'annullamento della sentenza di primo grado, destinata a restare ferma in forza dei motivi non investiti dal gravame (cfr. ad es., Sez. V, 5 febbraio 1976, n. 208, ivi, 1976, I, 170; 29 aprile 1976, n. 725, ivi, 1976, I, 370; 25 aprile 1977, n. 130, ivi, 1977, I, 116); b) l'improcedibilit del solo atto di appello qualora -annullato in primo grado il provvedimento impugnato per meri vizi procedimentali e impugnata la decisione del TAR da parte dell'Amministrazione -quest'ultima nelle more abbia provveduto a curare l'emanazione di un nuovo provvedimento emendato dai vizi procedurali rilevati dal TAR (in tal caso, infatti, l'eventuale accoglimento dell'appello non potrebbe far riacquistare efficacia al primo provvedimento al quale si sostituito definitivamente il secondo: cfr. Sez. IV, 7 febbraio 1978, n. 68, ivi, 1978, I, 163); e) l'improcedibilit non solo dell'appello ma altres degli originari ricorsi qualora sia venuto a mancare lo stesso interesse ad ottenere l'annullamento dei provvedimenti contro cui gli originari ricorsi al TAR erano diretti, come nel caso di specie in cui, impugnato un decreto prefettizio di occupazione d'urgenza di immobili e ottenuta la sospensiva fin dal giudizio di 1 grado, il decreto era venuto successivamente a perdere la sua efficacia per scadenza del termine finale allo stesso apposto, e ci prima ancora della introduzione del giudizio di appello, di tal che l'annullmento del decreto a seguito del giudizio di gravame non avrebbe comportato alcun concreto beneficio per la ricorrente societ, essendo ex se insuscettibile di legittimare l'occupazione di urgenza e non avendo prodotto per il passato alcun concreto svantaggio per la ricorrente stessa, essendone stata pronunziata dal TAR la sospensione degli effetti ,(cfr. in termini, IV Sez. 20 dicembre 1977, n. 1284, ivi, 1977, I, 1928; 17 gennaio 1978, n. 17, ivi, 1978, I, 29; 28 novembre 1978, n. 1102, ivi, 1978, I, 1651; Ad. PI. 7 luglio 1978, n. 22, ivi, 1978, I, 944; IV Sez. 22 novembre 1977, n. 1045, ivi, 1977, I, 1638). R.T. 122 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 9 novembre 1979, n. 967 -Pres. Scarcella Est. Trotta -Parisi ed altri (avv. Tesauro) c. A.N.A.S. (avv. Stato Ca merini) -Appello T.A.R. Lazio, III Sez. 10 gennaio 1977, n. 9. Giustizia amministrativa -Appello -Ricorso -Ammissibilit -Procura speci.ale -Necessit -Sussiste -Effetti. Giustizia amministrativa -Giurisdizione esclusiva -Inesistenza di un atto formale -Censurabilit di un mero comportamento omissivo d,ella P .A. -Ammissibilit. Impiego pubblico -Ingegneri dell' A.N.A.S. -Compensi per collaudi di opere pubbliche per conto dell'Amministrazione di appartenenza Diniego -Legittimit. Nel giudizio amministrativo, poich ai sensi dell'art. 29 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, al giudizio di appello si applicano le norme che regolano il procedimento innanzi al Consiglio di Stato, ivi compreso l'articolo 35 del t.u. 26 giugno 1924, n. 1054, l'avvocato cui sia stata rilasciata la procura speciale per la proposizione del ricorso al T.A.R. non legittimato a proporre appello avverso le sentenze di primo grado in cui il mandante sia rimasto soccombente, dovendosi ritenere operante il principio del conferimento della delega per ogni grado del giudizio (1). In tema di giurisdizione esclusiva e pi specificamente di controversie di carattere meramente patrimoniale fra l'Amministrazione e i suoi impiegati, l'oggetto del giudizio amministrativo si risolve tutto nell'accertamento dei reciproci diritti e obblighi delle parti derivanti dal rapporto di pubblico impiego, con la conseguenza che deve ritenersi pienamente ammissibile anche il ricorso giurisdizionale diretto nei confronti di un mero comportamento negativo della p.a. indipendentemente dalla concreta impugnazione di un provvedimento formale di rifiuto dell'Amministrazione (2). In forza delle norme che disciplinano la incompatibilit e regolano la onnicomprensivit del trattamento economico dei dipendenti delle am (1-3) Sulla prima massima ricordiamo che l'art. 35 del T.U. 26 giugno 1924, n. 1054, dispone che i ricorsi debbano essere sottoscritti dalla parte e dall'avvo~ ato abilitato al patrocinio davanti alle magistrature superiori, ovvero dal solo avvocato con i prescritti requisiti che sia munito di mandato speciale; tale normativa non pu subire deroghe con richiamo all'art. 83, quarto comma, c.p.c., posto che i processi innanzi alle giurisdizioni speciali (cos come gli atti processuali particolarmente significativi nel giudizio ordinario come il ricorso per cassazione ex artt. 365 e 41 c.p.c. o il ricorso per revocazione ex art. 398 c.p.c.) richiedono -a pena di inammissibilit -la procura speciale da conferirsi ad hoc ai fini di assicurare la riferibilit certa dell'attivit del difensore alla parte tutelata. Sul divieto di indennit speciali a favore dei funzionari statali cfr. C. Stato, Sez. VI 15 luglio 1977, n. 746 (in Il Consiglio di Stato 1977, I, 1241). PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 123 ministrazioni statali (con connesso divieto per i funzionari statali di percepire indennit dovute a qualsiasi titolo in connessione con la carica per prestazioni comunque rese in rappresentanza dell'Amministrazione di appartenenza), di cui all'art. 50 d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748, e in riferimento altres all'art. 62 r.d. 23 ottobre 1925, n. 2537, legittimamente viene negata la corresponsione di compensi per i collaudi di opere pubbliche, effettuati da ingegneri dell'A.N.A.S. per conto dell'Amministrazione di appartenenza, trattandosi di prestazioni che, pur avendo indubbiamente carattere professionale, sono dai medesimi compiute quali dipendenti dello Stato e nel suo interesse, come organi dell'Amministrazione, pur senza vincoli di carattere gerarchico (3). CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 22 giugno 1979, n. 514 -Pres. Aru -Est. Agresti Vincenzo -Bertazzo ed altro (avv. Tacchini) c. Ministero difesa (avv. Stato Donadio). Forze armate -Militare -8,ervizio di leva -Esercito -Domanda di esonero Esonero d'autorit ex art. 100 d.P.R. n. 237/1964 -Rapporto -Motivazione Rilevanza -Effetti. In relazione alla sostanziale differenza, sotto il profilo strettamente giuridico, fra l'esonero d'autorit contemplato dall'art. 100 del d.P.R. 14 febbraio 1964, n. 237, e l'esonero a domanda previsto per ipotizzate situazioni soggettive, di cui all'art. 91 dello stesso d.P.R., differenza che si traduce in un diverso grado di discrezio_nalit che contraddistingue l'azione dell'Amministrazione nelle due ipotesi legislativamente considerate, va ritenuto che l'obbligo di motivazione -inversamente proporzionale alla ampiezza della discrezionalit riservata all'Amministrazione debba avere consistenza pi attenuata nel primo caso (in cui l'Ammini (1) Per comprendere la sostanziale differenza nel grado di discrezionalit riservata all'Amministrazione nelle due ipotesi contemplate, giover ricordare che l'art. 100 d.P.R. 14 febbraio 1964, n. 237, al primo comma recita testualmente: Il Ministro per la difesa ha facolt di dispensare dal compiere la ferma di leva tutti gli arruolati o parte di essi: a) aventi statura non superiore a m. 1,54; b) eccedenti il fabbisogno quantitativo e qualitativo per la formazione dei contingenti o scaglioni da incorporare ; l'art. 91 conferisce al Ministro la stessa facolt relativamente ai giovani arruolati che i consigli di leva abbiano riconosciuto trovarsi in una delle condizioni ivi specificate (figlio o fratello di un militare deceduto, figlio o fratello di pensionato di guerra o per causa di servizio militare, orfano di entrambi i genitori con fratelli minori, primogenito o figlio unico maschio di padre infermo o di madre vedova o nubile, ecc.). La giurisprudenza amministrativa costantemente rigorosa nei confronti dell'Amministrazione ogni qualvolta il manifesto di chiamata alle armi condizioni 124 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO straziane ha un amplissimo margine di discrezionalit) rispetto al secondo (nel quale la dispensa discende da situazioni puntualmente risultanti dalla legge e dal bando di chiamata alla leva (1). la dispensa al possesso di requisiti non specificamente ed espressamente indicati nel citato art. 91 (cfr. ad es. C. Stato, Sez. III, 27 marzo 1974, n. 1034/73 Rie. Straord. Ricci c. Difesa in Il Consiglio di Stato 1977, I, 1278) ed ha, in particolare, ritenuto ammissibile la censura, proposta sotto il profilo dell'eccesso di potere, con la quale il ricorrente abbia lamentato che l'Amministrazione aveva erroneamente valutato situazioni di famiglia e di reddito degli interessati, inquadrando perci erroneamente la situazione nella fattispecie normativa; l'eccesso di potere in tal caso scaturisce dalla inesistenza di alcun merito tecnico nonch di ogni possibile spazio della sfera di discrezionalit amministrativa (cfr. C. Stato Sez. IV 19 aprile 1977, n. 396, ivi, 1977, I, 538); altresi richiesta una congrua motivazione del provvedimento di reiezione della domanda di dispensa anche con riferimento alla incidenza che il venir meno del reddito del militare possa presentare in relazione all'esiguo reddito degli altri membri della famiglia (cfr. Sez. IV, 30 maggio 1978, n. 524, ivi, 1978, I, 839). R.T. T.A.R. LAZIO, Sez. Il, 20 giugno 1979, n. 508. -Pres. Bartolotta -Est. Zaccaria -Soc. Immobiliare Centrale (avv. Guarino e Colarizi) e Istituto Religiose adoratrici ancelle SS. Sacramento (avv. Merlini e Neglia) c. Ministero beni culturali ed ambientali (avv. Stato Tarin), con intervento ad opponendum di Tozzi ed altri (avv. Sorrentino). Giustizia amministrativa -Ricorso giurisdizionale -Controinteressati Criteri di individuazione. Giustizia amministrativa -Ricorso giurisdizionale -Controinteressati -Individuazione -Vincoli indiretti a tutela di beni di interesse storico e artistico -Proprietari del bene -Carenza di posizione di controinteressati -Difetto di interesse diretto al vincolo imposto. Demanio -Demanio storico e artistico -Vincoli ex art. 21 1. 1089/1939 Incostituzionalit per contrasto con l'art. 42 della Costituzione Manifesta infondatezza. Demanio -Demanio storico e artistico -Vincoli storico-artistici -Vincolo indiretto ex art. 21 I. 1089/1939 -Necessit di motivazione -Sussiste Criteri. ,...,~ l~Jlmill Demanio -l)emanio storico e artistico -Vincoli storico-artistici -Vincolo indiretto ex art. 21 1. 1089/1939 Inedificabilit assoluta -Necessit di congrua motivazione -Sussiste. Ai sensi dell'art. 21 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, nonch dell'art. 36 del t.u. delle leggi sul Consiglio di Stato, possono individuarsi PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA due classi di controinteressati: a) quelli espressamente individuabili attraverso la lettura del testo del provvedimento impugnato; b) quelli che, conseguendo dall'atto impugnato un vantaggio giuridicamente rilevante, personale e attuale, rivestono la qualit di soggetti portatori di un interesse giuridicamente qualificato al mantenimento in vita del provvedimento (1). Poich l'interesse principale e specifico per il quale l'Amministrazione dei beni culturali e ambientali impone vincoli al diritto dei proprietari di immobili (vincoli indiretti ex art. 21 legge 1089/1939) non si identifica nell'interesse dei proprietari della cosa tutelata, ma solo in quello proprio dello Stato, volto alla realizzazione della tutela e conservazione delle cose di interesse storico e artistico, il proprietario della cosa tutelata non controinteressato in ordine al ricorso proposto dai proprietari dei beni sui quali ricade il vincolo indiretto, non avendo un interesse diretto e giuridicamente qualificato alla imposizione e al mantenimento del vincolo stesso (2). Il potere di cui all'art. 21 della legge 1089/1939 ben si giustifica alla luce delle disposizioni costituzionali sulla funzione sociale della propriet privata e pertanto non contrasta con l'art. 42 della Costituzione (3). Al fine di poter ritenere congruamente motivato il provvedimento di imposizione di vincoli indiretti ex art. 21 legge 1089/1939 si rende indispensabile che esso contenga: a) la precisa individuazione dei beni colpiti dal vincolo; b) l'indicazione delle caratteristiche obiettive della cosa vincolata e degli eventi storici a cui essa collegata (4). In considerazione della maggiore intensit dell'onere della motivazione dei provvedimenti di imposizione del vincolo storico e artistico ove maggiore sia la gravit delle prescrizioni in essi contenute, indispensabile che la motivazione contenga l'indicazione specifica dei pregi del bene e rispetti il principio di arrecare il minor danno possibile al privato ogni qualvolta venga imposto il vincolo di inedificabilit assoluta, non essendo sufficiente al riguardo una generica motivazione che faccia esclusivo riferimento al grave danno che l'opera d'arte subirebbe per effetto di eventuali nuove costruzioni (5). T.A.R. TOSCANA, 26 ottobre 1979, n. 1061 -Pres. Fortunato -Est. Zeviani Pallotta -Soc. Liquigas G.I.A. (avv. Vavolo e Vincenzini) c. Capitaneria di porto di Livorno (avv. Stato Andronio) con intervento ad opponendum della Soc. Silos e Magazzini del Tirreno. Giustizia amministrativa -Ricorso giurisdizionale -Controinteressato . Criteri di individuazione Sussistenza di un interesse qualificato alla conservazione dell'atto Sussiste Effetti. 126 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Atto amministrativo -Criteri di interpretazione -Riferimento alle determinazioni concrete in essi contenute -Necessit -Sussiste. Demanio -Demanio portuale -Marina m,ercantile -Concessione per utilizzazione di aree del demanio portuale per carico e scarico merci Autorizzazione per la sola attivit in conto proprio del titolare Esigenza di espressa previsione nel provvedimento -Sussiste -Effetti. Al fine di poter rivestire la qualit di controinteressato, cui deve essere notificato necessariamente, a pena di inammissibilit, il ricorso giurisdizionale, indispensabile che il soggetto sia titolare di una posizione di interesse qualificato alla conservazione dell'atto impugnato, in quanto portatore, per effetto dell'atto stesso, di una situazione specifica di vantaggio, che non propria di chiunque abbia interesse ad opporsi all'annullamento dell'atto stesso, in relazione al quale abbia comunque partecipato alla procedura di formazione in senso lato inoltrando domande o esposti alla p.a. per sollecitarne l'emanazione (6). Il criterio di interpretazione degli atti amministrativi deve far rif erimento costante ed esclusivo alle determinazioni concrete nell'atto contenute non gi alle parti che potrebbero sottintendersi o ai soggetti che non ne risultino direttamente destinatari (7). Per il combinato disposto degli artt. 36, 38 e 50 del r.d.l. 30 marzo 1942, n. 327 e 29 d.P.R. 15 febbraio 1952, n. 328, la concessione della utilizzazione di aree del demanio portuale al fine di svolgere attivit di scarico e carico di merci e materiali deve contenere: a) la precisa indicazione delle aree e pertinenze oggetto del provvedimento; b) la specificazione dei materiali e delle merci; e) la durata dell'autorizzazione; d) il canone da corrispondere all'Amministrazione; e) gli eventuali limiti della portata della autorizzazione e cio se la stessa debba essere limitata alla sola attivit in conto proprio del titolare; in difetto di tale ultima indicazione, va ritenuta la illegittimit di tutti i provvedimenti dell'Amministrazione adottati sul presupposto che l'autorizzazione sia sta_ta rilasciata solo per attivit in conto proprio, presupposto che non risulti espressamente dal provvedimento di autorizzazione (8). CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 30 ottobre 1979, n. 877 -Pres. Mezzanotte -Est. Agresti Vincenzo -Comune di Limbiate (avv. Cappalunga, Mariotti e Geraldini) c. Istituto romano beni stabili (avv. Guarino) -Appello T.A.R. Lombardia 25 maggio 1977, nn. 475, 476, 477 e 478. Giustizia amministrativa -Ricorso giurisdizionale -Autorizzazione a stare in giudizio -Giudizio di impugnazione -Sindaco -Deliberazione in via di urgenza della Giunta comunale -Deliberazione di ratifica del Consiglio comunale Necessit -Sussiste a pena di btammissibilit. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA Giustizia amministrativa Ricorso giurisdizinale -Controinteressati Criteri di individuazione -Posizione giuridica rivestita al momento dell'emanazione dell'atto -Rilevanza -Effetti. Requisizione Requisizioni ex art. 7 1. 20 marzo 1865, n. 2248, ali. E -Competenza sussidiaria del Sindaco -Condizioni. In difetto di produzione in giudizio della deliberazione del Consiglio comunale di ratifica del provvedimento di autorizzazione a stare in giudizio, adottata in via di urgenza dalla Giunta municipale ex art. 131, n. 5 t.u. 4 febbraio 1915, n. 148, deve essere pronunciata la inammissibilit del ricorso in appello proposto dal Sindaco avverso una decisione del T.A.R. (9). La verifica della qualit di controinteressato al ricorso giurisdizionale amministrativo va fatta con riferimento alla posizione giuridica rivestita al momento della emanazione del provvedimento impugnato, irrilevanti essendo a tale scopo i fatti e le circostanze maturate in epoca successiva in corso di causa o collegate al merito della controversia (10). Sussiste la competenza sussidiaria del Sindaco nella emanazione di provvedimenti di requisizione ex art. 7 legge 20 marzo 1865, n. 2248 All. E, solo allorquando, in relazione all'urgenza di provvedere, sia preclusa in concreto la possibilit di un intervento da parte del Prefetto (11). CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 13 novembre 1979, n. 985 -Pres. Santaniello -Est. Trotta -Ciliberto (avv. Guarino) c. Ministero lavori pubblici ed altro (n.c.) e Comune di Crotone (avv. Giannini). Giustizia amministrativa Ricorso giurisdizionale -Controinteressato Criteri di individuazione Edilizia economica e popolare -Impugnativa di .piano di zona -Provvedimento a carattere generale e programmatico Inconfigurabilit di controinteressati. Edilizia popolare ed economica -Legittimit dei piani di zona -Riferimento ,alla situazione di fatto esistente all'atto dell'emanazione Necessit Sussistenza, Edilizia popolare ed economica -Piani di zona Piano approvato in man canza di un piano regolatore generale -Sopravvenuta approvazione del piano regolatore -Non sana. La deliberazione di adozione di un piano per le zone destinate all'edilizia economica e popolare e il relativo decreto di approvazione costituiscono provvedimenti di carattere generale e programmatico e pertanto in sede di impugnazione di tali atti non possono ravvisarsi soggetti controinteressati; a tale riguardo irrilevanti sono anche gli atti latu sensu conseguenziali al piano che fossero emanati in un secondo tempo, come ~ ~ % 128 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO ~ ~ 1 ad esempio atti di espropriazione ed assegnazione di aree, provvedimenti ~~ i: dai quali non deriva alcuna estensione delle posizioni giuridiche contem\ i f plate dalla adozione del piano (12). f Solo l'indagine sulla situazione esistente in fatto e diritto al momen I to in cui viene emanato un piano di zona per l'edilizia economica e popolare rilevante ai fini di accertare la legittimit del piano stesso (13). Stante la preclusione di effetti retroattivi per provvedimenti amministrativi sfavorevoli, resta esclusa l'efficacia sanante alla sopravvenuta approvazione di un piano regolatore per eliminare la illegittimit di un I piano di zona per l'edilizia economica e popolare emanato in mancanza di un piano regolatore generale come previsto dall'art. 3 legge 18 aprile 1962, n. 167 (14). I I (1-14) Le quattro decisoni massimate costituiscono anzitutto chiari esempi I di applicazione dei principi che si sono venuti consolidando in tema di con i trointeressati e di criteri per la loro individuazione. A titolo di semplice richiamo esplicativo nella numerosa serie di pronunce ~ sull'argomento ricordiamo: Ad. Pl. 28 luglio 1956, n. 8 in Il Consiglio di Stato, ! 1956, I, 853; Sez. V, 29 settembre 1971, n. 831, ivi, 1971, I, 1610; 17 ottobre 1959, l n. 635, ivi, 1959, I, 1349; 5 novembre 1971, n. 1020, ivi, 1971, I, 2149; VI Sez., ~ 2 ottobre 1971, n. 769, ivi, 1971, I, 1926; IV Sez., 21 dicembre 1971, n. 1210, ivi, l 1971, I, 2379; V Sez., 26 maggio 1972, n. 395, ivi, 1972, I, 1008; 28 gennaio 1972, ~ n. 52, ivi, 1972, I, 370; VI Sez., 26 gennaio 1973, n. 9, ivi, 1973, I, 57; V Sez., f:< 1: 26 aprile 1974, n. 301, ivi, 1974, I, 597; 24 giugno 1977, n. 675, ivi, 1977, I, 1021; <" IV Sez., 20 dicembre 1977, n. 1276, ivi, 1977, I, 1921; TAR Campania 13 giugno 1979 n. 285 in I Tribunali Amm.vi Regionali 1979, I, 2891. ii Per quanto concerne, in particolare, l'individuazione di controinteressati in tema di edilizia popolare ed economica, si segnala la dee. n. 318 in data 11 maggio 1979 della Sez. IV del Consiglio di Stato (in Il Consiglio di Stato 1979, I, 695) che ha stabilito che il ricorso giurisdizionale contro il decreto del Presidente della Giunta Regionale che autorizza l'IACP alla occupazione in via temr I poranea e d'urgenza di aree vincolate dal piano di zona per l'edilizia economica e popolare deve essere notificato -a pena di inammissibilit -anche a detto ! Istituto, in quanto titolar autonomo di un rapporto intersoggettivo, quale i I unico controinteressato. In tema di pubblici concorsi, costituisce inoltre principio consolidato che ~ 1 non possano individuarsi soggetti titolari di interessi giuridicamente protetti, r opposti e contrari, e quindi soggetti controinteressati, qualora venga proposto ' ricorso contro un provvedimento di esclusione da un pubblico concorso antriormente all'approvazione della graduatoria; in tale ipotesi, pertanto, risulter I del tutto rituale la notifica del ricorso effettuata soltanto all'Amministrazione (cfr. da ultimo IV Sez. 13 giugno 1978, n. 595, in Il Consiglio di Stato 1978, I, I 1003; 27 agosto 1979, n. 675, ivi, 1979, I, 1214). Quanto al principio enunciato nella seconda massima della dee. 508 del I i TAR Lazio, Sez. Il, esso trova conferma, nel senso della esclusione della qualifica di controinteressato in capo al proprietario di un bene artistico tutelato con vincolo indiretto ex art. 21, legge 1089/1939, nelle dee. VI Sez., 23 ottobre I 1957, n. 695 in Il Consiglio di Stato 1957, I, 1300 e V Sez., 31 ivi, 1962, I, 539. marzo 1962, n. 276, i I l I !I 111111r1111111=111:111111r11,1111111:1111111111111111111111111111r1a~ SEZIONE SESTA GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 12 maggio 1979, n. 2737 -Pres. Vigorita Est. Scanzano -P. M. Grimaldi (diff.) -Banca Cattolica del Veneto c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Soprano). Tributi erariali indiretti -Imposta sull'entrata -Compenso corrisposto alle banche per il deposito vincolato di buoni ordinari diel tesoro presso l'Istituto di emissione. Interesse derivante da puro impiego di capitale -Esclusione -Soggezione all'imposta. (I. 19 giugno 1940, n. 762, art. 1, Iett. f; I. 7 marzo 1938, n. 141, art. 32, Iett. f). Il compenso corrisposto alle banche in corrispettivo del deposito vincolato presso l'Istituto di. emissione di buoni ordinari del tesoro (articolo 32, lett. f della legge bancaria 7 marzo 1938, n. 141), costituisce entrata imponibile, non avendo natura di interesse derivante da puro impiego di capitale (1). (omissis) Col primo motivo la Banca iicorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. l, comma 3; lett, f) della legge 19 giugno 1940, n. 762; 5, legge 19 maggio 1950, n. 322; 32, lett. f) della legge 7 marzo 1938, n. 141, nonch del d.m. 8 aprile 1969 in relazione all'art. 12 preleggi, e ripropone la tesi secondo cui il compenso attribuito alle banche in relazione ai buoni del tesoro, da esse depositati ai sensi della legge bancaria presso l'Istituto di emissione, costituisce un'integrazione del saggio d'interesse relativo ai detti titoli, concessa al fine di equiparare agli effetti economici, la posizione delle banche che depositano i titoli anzidetti a quella delle banche che versano la garanzia in denaro. Il detto compenso avrebbe pertanto natura di interesse, e come tale sarebbe esente da I.G.E. ai sensi dell'art. 1 lett. f) della legge 760/42. Tale conclusione sarebbe giustificata, ai sensi della disposizione ora citata, anche dal fatto che il compenso anzidetto pur sempre un frutto di puro capitale investito in titoli dello Stato, nonch dall'esigenza di assicurare parit di trattamento alle banche, sia che il deposito avvenga in denaro sia che avvenga in titoli. La censura non fondata. (1) Questione nuova, risolta in modo ineccepibile sulla premessa che la deroga alla regola generale va ricercata rigorosamente tra le norme che esclu dono l'imponibilit. "/ RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 130 Secondo l'art. 1 della legge istitutiva dell'I.G.E. (legge 19 giugno 1940, n. 762, di conversione del r.d.l. 9 gennaio 1940, n. 2) soggetta al relativo tributo l'entrata in denaro (o con mezzi sostitutivi del denaro) conseguita in corrispondenza di cessione beni o di prestazione di servizi effettuati nello Stato. Conviene subito dire (anche se il ricorrente non ne trae alcun argomento a suo favore) che il titolo, cos precisato dalla legge, dell'entrata, va inteso in senso ampio, come si desume dall'elenco delle entrate non tassabili, indicate nel terzo comma della disposizione in esame: signifi- cativo, in. proposito, il riferimento alle oblazioni fatte ad istituzioni di religione o di beneficenza e alle entrate tributarie degli enti pubblici (entrate che, per essere esentate dal tributo, hanno teoricamente, secondo il legislatore, la stessa natura di quegli introiti per i quali l'I.G.E. stata istituita). Se questo il sistema della legge, un'entrata in denaro pu sfuggire alla tassazione solo se rientra rigorosamente tra quelle indicate come esenti dalla stessa legge: e la disposizione che in proposito assume rilevanza quella dell'art. 1 lett. f) della citata legge n. 762, secondo cui non costituiscono entrata, ai sensi di essa legge, gli interessi derivanti da puro impiego di capitale, classificabili agli effetti della imposta di ricchezza mobile in categoria A. Si tratta, in definitiva di stabilire se il compenso di cui si discute possa ricomprendersi, o non, tra gli .interessi del tipo ora indicato. La risposta negativa non d luogo a dubbio. L'esigenza, dianzi sottolineata, di identificare le entrate esenti secondo un metodo di rigorosa qualificazione del loro titolo, gi motivo che svaluta il fondamentale argomento della banca ricorrente: che, cio, il compenso de quo dovrebbe considerarsi interesse perch sul piano economico esso attribuisce, ai depositanti dei B.O.T., un'utilit assimilabile in concreto a quella degli interessi >>, e sarebbe concessa allo scopo di equiparare, sul piano della utilit economica, la posizione di tali depositanti a quelli che depositano, per la medesima finalit, denaro contante. Non , del resto, neppure esatto in linea di principio che l'attribu zione del compenso in parola dovesse necessariamente condurre all'equi parazione anzidetta, perch esso compenso come si dir, era previsto dalla legge come variabile, entro un limite massimo, secondo l'apprez zamento discrezionale del Ministro del Tesoro. Occorre dunque, individuare sul piano giuridico -giova ripetere il titolo del compenso in parola. In proposito occorre rammentare che secondo l'art. 32 lett. f) della legge bancaria (legge 7 marzo 1938, n. 141) e delle disposizioni amministrative emanate in attuazione di esso, le banche sono tenute a versare all'Istituto di emissione un deposito vincolato, in denaro, o in buoni ordi PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA nari del tesoro, di un ammontare determinato secondo un certo rapporto fra il loro patrimonio e la massa dei depositi da esse raccolti. All'epoca cui si riferisce la controversia l'interesse dovuto alle banche che effettuavano il deposito in denaro era del 3,75%, mentre l'interesse percepito (attraverso lo scarto fra il valore di emissione ed il prezzo di acquisto) sui B.O.T. era del 3,50%. Con l'art. 5 della legge 19 maggio 1950, n. 322, il Ministro del Tesoro stato autorizzato a concedere alle banche che effettuavano il deposito in B.O.T. un compenso nella misura massima dello 0,25%: ci allo scopo di incentivare questa forma di deposito, nell'ambito di una politica di controllo e di contenimento della circolazione di quei titoli. Ora, se l'interesse la remunerazione del godimento del capitale, cio il frutto civile, art. 820, secondo comma cod. civ. del capitali.e investito nei B.O.T., sembra evidente che del tutto diverso il titolo al quale veniva corrisposto il compenso in parola: il quale, infatti, ha un distinto ed autonomo presupposto, costituito non dall'impiego del capitale nei B.O.T., ma dal fatto che questi venivano utilizzati in deposito vincolato presso l'Istituto di emissione. Imponendo la legge tale deposito, si era inteso, col compenso de quo, incentivare una certa modalit del deposito stesso e premiare gli operatori che la adottavano. Esso compenso costituiva quindi non un interesse in senso giuridico (che poi il senso in cui il termine usato dall'art. 1 lett. f della legge 762/40, ben preciso, al riguardo, anche attraverso il riferimento al puro impiego di capitale ed alla categoria A di ricchezza mobile) ma un premio concesso alle banche in ragione di una certa modalit di adempimento dell'obbligo del deposito. La conclusione trae conforto da considerazioni che riguardano la disciplina dei B.O.T. La loro emissione autorizzata dalla legge di approvazione dello stato di previsione delle entrate e da leggi speciali in relazione alle momentanee esigenze di liquidit del Tesoro, regolata dagli articoli 71 della legge e 565 sgg. del regolamento sulla contabilit generale dello Stato (r.d. del 18 gennaio 1923, n. 2440 e 23 maggio 1924, n. 827, e successive modificazioni) che commettono al Ministro del Tesoro di determinare il prezzo di emissione e, attraverso esso, il saggio d'interesse: il quale interesse, inteso appunto come frutto del capitale impiegato, non pu che essere unico ed identico per buoni della medesima categoria. Non sarebbe quindi compatibile con i principi e con la specifica disciplina della materia l'attribuzione di una somma integrativa, a titolo di interesse a favore di taluni soggetti (le banche depositanti) in relazione a buoni del medesimo tipo, per il solo fatto di un certo impiego, che di tali buoni essi facciano. Se tale somma (cio il noto compenso) viene tuttavia concessa, essa destinata dunque non a speciale remunerazione del capitale ed in deroga al saggio generalmente stabilito, ma ad incentivazione di una data modalit RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO di adempimento dell'obbligo di deposito. E con ci rimane confutato anche la tesi subordinata della ricorrente, secondo cui il detto compenso sarebbe pur sempre un mero frutto di capitale impiegato in titoli di Stato. Non senza ragione, del resto, il legislatore ha parlato di compenso anzich di interesse integrativo, pur certamente consapevole delle diverse conseguenze, e delle possibili controversie di ordine fiscale. In termine interesse stato invece adoperato nel decreto ministeriale dell'8 aprile 1969: non, per, con riferimento al compenso di cui si discute, ma con l'esaarebbe in proposito sufficientemente ampio. Con il secondo mezzo, strettamente connesso col precedente, i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione dell'art. 2935 cod. civ. con riferimento agli articoli 450 e 752, stesso codice, in relazione all'art. 360 c.p.c. e sostengono che la norma generale posta dal. suddetto articolo 2935 potrebbe essere derogata dall'art. 27 legge doganale solo nei riguardi dell'imputato, ma non dei suoi eredi. Con la morte dell'imputato, cedente pronuncia '12 marzo 1973; n. 689 (in questa Rassegna, 1973, I, 599) che nel caso di sentenza penale che dichiara li'estinzione deL reato, aveva ritenuto che 1a p.rescrizione potesse decorrere da tale data .solo se il> giudice civHe accerti in via incidentale ila sussistenza degli estremi del reato. L'ultima massima, con ampia disamina, chiarisce il problema delle fonti delle imposte di fabbricazione e da la spiegazione deLle discrepanze verificatesi tra la normativa di queste imposte, cristallizzata nel tempo, e quella delle im poste doganali che si evoluta e perfezionata. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 139 infatti, si trasmetterebbe istantaneamente ai suoi eredi il debito verso la Finanza e verrebbe contemporaneamente meno la causa di sospensione costituita dal processo penale. I due motivi sono infondati. La Corte d'appello partita dalla premessa che nella specie il mancato pagamento dei diritti doganali trovava la sua causa in un fatto costituente reato, di talch doveva farsi richiamo all'ultimo comma dell'art. 27 della legge doganale che in tali casi fa decorrere la prescrizione (quinquennale) dal giorno in cui il decreto o la sentenza pronunciati nel procedimento penale sono divenuti irrevocabili. Ha escluso la applicabilit dell'art. 2947 cod. civ. secondo cui nel caso di danno da fatto illecito costituente reato estintosi per causa diversa dalla prescrizione il diritto al risarcimento si prescrive nel termine di cinque anni decorrente dalla data di estinzione del reato, perch nella specie non si trattava di risarcimento del danno in senso proprio, bens del sorgere di una fattispecie imponibile. Ha, quindi, respinto la tesi seguita dal Tribunale, secondo cui in caso di estinzione del reato il termine di prescrizione dovrebbe decorrere non dalla data della pronuncia di non procedibilit, bens da quella della morte osservando che in assenza di qualsiasi specificazione normativa, non era consentito porre distinzioni tra i diversi tipi di pronuncia. A sostegno di tale ragionamento ha anche addotto le esigenze di certezza e inequivocabilit della decorrenza della prescrizione, elementi che mancherebbero seguendo la tesi di porre il dies a quo al momento della morte, e fa all'uopo rilevare come la Finanza, impossibilitata a riscuotere i diritti doganali durante il procedimento per l'accertamento del fatto penale, potrebbe non venire a conoscenza della morte dell'imputato al momento dell'evento. Ulteriore riprova dell'esattezza di tale ragionamento ha ricavato dal rilievo che il nuovo testo unico della legge doga.Baie 23 gennaio 1973, n. 43 nell'art. 84 relativo alla prescrizione, non ha introdotto alcuna specificazione, lasciando invariata la precedente formulazione. Ha, quindi, concluso che essendo la declaratoria di improcedibilit ..;tata emessa dal giudice istruttore il 30 agosto 1966 ed essendo state le ingiunzioni notificate il 18, 19 e 20 agosto 1971 l'esercizio del diritto della Finanza era stato tempestivo. Il ragionamento della Corte d'anpello giuridicamente corretto e logicamente motivato e non merita le censure dei ricorrenti. Il terzo comma dell'art. 27 della legge doganale prescrive che se il mancato pagamento totale o parziale dei diritti abbia causa da un reato, il termine di prescrizione decorre dalla data in cui il decreto o la sen tenza pronunciata nel procedimento penale sono divenuti inevocabili. La tesi che questa disposizione si riferisse unicamente a pronunce di concl"uma non stata seguita dalla giurisprudenza di questa Corte, RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO la quale ha ritenuto che il terzo comma dell'art. 27 citato riguarda tutte le ipotesi di chiusura del procedimento penale ed anche le sentenze che dichiarano l'estinzione del reato, fermo restando per il giudice civile la possibilit di accertare se il fatto contestato costituisce reato (sent. 18 gennaio 1973, n. 177; 13 luglio 1968, n. 2495; 20 febbraio 1967, n. 417) senza che abbia rilievo la circostanza che il procedimento sia stato determinato da motivi non pertinenti al merito dell'azione penale (sent. 30 maggio 1978, n. 2732). La formulazione della norma cos chiara nel richiedere per il dies a quo della decorrenza del termine di prescrizione l'emanazione di un provvedimento del giudice, che non corretto voler prescindere da esso, nel caso in cui sia possibile attribuirgli natura dichiarativa, e risalire all'evento cui si deve il sorgere della situazione che ha dato luogo alla estinzione del reato. E tale formulazione ha anche una sua precisa ratio: rendere agevolmente edotta la Finanza del momento utile per la richiesta dei diritti spettanti e per l'inizio della prescrizione in caso di sua inerzia. Non quindi possibile voler trasfondere nel detto art; 27 l'interpretazione data dalla giurisprudenza all'art. 2947 cod. civ. relativo alla prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito. Tale articolo stabilisce che nel caso in cui il fatto illecito costituisca reato e il procedimento penale si sia chiuso con declaratoria di estinzione per causa diversa dalla prescrizione o sia intervenuta sentenza irrevocabile nel giudizio penale la prescrizione decorre dalla data di estinzione del reato o dalla data in cui la sentenza divenuta irrevocabile. E la giurisprudenza si pi volte pronunciata nel senso di considerare come dies a quo, nel caso di estinzione del reato non quello della pronuncia del giudice, bens quello in cui si verificato l'evento estintivo (sent. 11 maggio 1971, n. 1344; 29 ottobre 1970, n. 2245; 12 marzo 1960, n. 494). Ma tale giurisprudenza non pu, come gi si detto, essere trasfusa nell'interpretazione del terzo comma dell'art. 27 della legge doganale. Alle considerazioni gi fatte circa il contenuto formale e la ratio della norma va aggiunta sia quella della diversit ontologica tra risarcimento del danno e pagamento dei diritti evasi e sia soprattutto quella che l'art. 248 delle disposizioni transitorie e di attuazione del codice civile, prescrivendo che dopo l'entrata in vigore del codice civile rimanevano immutate le disposizioni delle leggi speciali, stabiliscono termini di prescrizione diversi da quello ordinario, fa salvo in sostanza, sulla base del principio della specialit tutto il regime dei termini della prescrizione adottato dalle leggi speciali e, quindi, anche il momento della decorrenza dei termini stessi. La tesi dei ricorrenti non pu essere condivisa neppure in ordine all'efficacia soggettiva della norma dell'art. 27 legge doganale, che dovrebbe PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA Hl cio esplicarsi nei confronti dei soli imputati e non anche in quelli di altri obbligati. Questa Corte (sent. 4 giugno 1977, n. 2290) occupandosi di un'ipotesi in cui vi era un obbligato in solido con l'imputato per il pagamento dei diritti doganali, ha ritenuto che la sospensione della decorrenza del termine di prescrizione si applica anche nei confronti del coobbligato con l'autore del reato, fermo restando per tale obbligato la poscsibilit di porre in discussione nel giudizio civile i presupposti della sua responsabilit solidale. Tale sentenza ha posto l'accento sulla natura dell'obbligazione oggettivamente intesa e tale natura rilevante anche nel caso in cui all'imputato subentrino i suoi eredi. Questi succedono nella stessa obbligazione nascente da reato e l'obbligazione non pu cambiare natura se al soggetto obbligato ne succede un altro. E tutto il regime dell'obbligazione resta immutato anche per quanto riguarda la decorrenza del termine di prescrizione. {omissis). II (omissis) 1. -I giudici di merito hanno ritenuto che nell'ipotesi di mancato pagamento di diritti doganali e di imposte di fabbricazione sugli spiriti, colle~ato alla commissione di reati finanziari l'azione della amministrazione finanziaria diretta ad ottenere il pagamento del tributo si prescrive nel termine di cinque anni decorrente dalla data della sentenza che chiude irrevocabilmente il processo penale qualunque ne sia il contenuto (di condanna o di proscioglimento) e quindi anche se, come nelle specie, il reato sia stato dichiarato estinto per prescrizione. Le conclusioni raggiunte nell'interpretazione rispettivamente dell'articolo 31 del t.u. sugli spiriti dell'8 luglio 1924, e dell'art. 27 comma 3 della legge doganale 25 settembre 1940, n. 1424 sono in armonia con l'orientamento del~a giurisprudenza di questa S.C. (cfr. Cass. 689 del 1973, sull'art. 31 t.u. del 1924, e Cass. 2732/78, 2290/77, 177/73, 2495/68, 415/67 sull'art. 27 legge doganale. Il primo motivo del ricorso deve quindi essere rigettato. Con esso il Razzini deduce la violazione o falsa applicazione dell'art. 31 ultimo comma del t.u. 8 luglio 1924, e dell'art. 27 ultimo comma. della legge doganale 25 settembre 1940, in relazione all'art. 2947 cod. civ. e 15 della legge doganale 20 gennaio 1896, n. 20 e censura l'interpretazione accolta dalla Corte soggiungendo che, alla sua stregua, la norma risulterebbe incostituzionale per contrasto con il principio di eguaglianza. 2. -Nel procedere all'esame del mezzo occorre anzitutto richiamare i dati normativi che ad avviso del Collegio vanno ricondotti ad unit esegetica, nonostante le difformit testuali, per quanto attiene alla portata della decorrenza, pur riconoscendo che nell'un caso la decorrenza essere ancora e non su essere ancora e non su 142 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO stessa attiene alla originaria proposizione dell'azione civile tributaria e nell'altro alla esperibilit della medesima ex novo sia stata esercitata quella penale con effetto interruttivo-sospensivo. Una lettura dell'art. 31 t.u. del 1924, che lo ponga in sintonia sistematica con l'art. 27 comma 3 della legge n. 1424, che peraltro non spiegherebbe effetti pratici ai fini del decidere, non sembra possibile perch la disposizione esprime uno stadio di tecnica legislativa non ancora sufficientemente raffinato nella prospettiva del collegamento causale della fattispecie impositiva con il reato fiscale. La dizione dell'art. 27 della legge doganale del 1940, raffrontata con quella dell'art. 31 del t.u. del 1924 vale comunque a cogliere la linea di tendenza della legislazione per quanto attiene ai riflessi, in tema di prescrizione, dell'indicata dipendenza. La situazione tenuta presente dal legislatore quella di evasione di tributi per fatti costituenti reato in cui il presupposto dell'imposta non viene percepito normalmente dall'amministrazione finanziaria, dato che il comportamento del contribuente diretto appunto ad occultarlo, sicch la finanza non in grado di attivarsi per la liquidazione e riscossione del credito fiscale. La notitia criminis si presenta come evento capace di sciogliere il nodo di commissione tra fatto reato e fatto di evasione fiscale, venendo ad essere o meno confermato quest'ultimo secondo l'esito del giudizio penale in corso, alla stregua del quale risulter, ora per allora, se effettivamente venne posto in essere sia pure clandestinamente il presupposto del tributo. E poich il collegamento causale elemento sintomatico della impossibilit per l'amministrazione di far valere in giudizio il diritto di cui non potuta venire a conoscenza, in tale ipotesi il nesso di dipendenza tra reato fiscale e fattispecie impositiva viene valorizzato dal legislatore nel senso di subordinare la azionabilit del credito tributario (e quindi la decorrenza della relativa prescrizione) nei confronti del contribuente che si sottratto all'adempimento dell'obbligazione. Il momento logico di incidenza della fattispecie non consiste, dunque, nel sopravvenire di un processo penale, mentre in corso il periodo prescrizionale rispetto ad un diritto che in principio si sarebbe potuto far valere in giudizio ma quello del venire in evidenza di una notitia criminis, e del correlativo esercizio dell'azione penale la quale, per la sua struttura ed il suo contenuto, mette in luce, per la prima volta, la possibile esistenza del presupposto di imposta, il cui occertamento in forse finch il processo penale non sia definitivamente chiuso. Il presupposto di imposta preesiste storicamente al processo penale, ma viene accertato necessariamente nel processo stesso, da ci il nesso di collegamento causale che si riflette sul piano della possibilit di far valere il diritto che deve accertato, quello di PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA paralizzarne l'esercizio per una vicenda che mira a contestare requisiti esistenziali. A questa ricostruzione pi raffinata del fenomeno non si arrivati peraltro immediatamente, essendosi inizialmente imboccata la strada dell'interruzione e della sospensione della prescrizione. L'interferenza tra fatto di evasione tributaria e fattispecie di reato fiscale si considerata senza distinguere il momento in cui il diritto viene ad esistere da quello in cui il diritto pu essere fatto valere in giudizio, mentre restava in ombra, nel concetto di fattispecie impositiva, l'aspetto dell'accertamento e quello della riscossione. Facendo coincidere nascita del diritto e venire in esistenza del presupposto di imposta, anche se sconosciuto alla finanza, si ipotizza un diritto solo potenzialmente suscettibile di esercizio, e quindi si configura l'inizio dell'azione penale, conseguente alla notitia criminis, come evento rivelatore del collegamento tra fattispecie penale e fattispecie tributaria che assume carattere interruttivo e che impedisce il decorso della prescrizione del processo penale. La dizione dell'art. 31 comma 3 messo a raffronto con il successivo comma cristallizza la prima formulazione normativa del fenomeno che si voleva disciplinare facendo decorrere la prescrizione dal giorno in cui avrebbe dovuto effettuarsi il pagamento del tributo, e ricostruendo la interferenza con il giudizio penale in chiave di interruzione. La dizione dell'art. 27 comma 3 della legge n. 1424, riflette una tecnica legislativa pi rispondente alla realt del fenomeno considerato (tanto che la disposizione stata riprodotta nell'art. 84 comma 3 del nuovo testo unico: d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43) prescindendo dall'interruzione- sospensione per incidere direttamente ed immediatamente sulla individuazione del termine originario di decorrenza della prescrizione. Nel comma 1 dell'art. 27 si stabilisce, in linea di massima, che l'azione per la riscossione dei diritti doganali si prescrive in cinque anni, e si prevedono, quindi le varie decorrenze del termine. Al comma 3 si precisa che quando il mancato pagamento, totale o parziale, dei tributi abbia causa da reato, detto termine decorre dalla data in cui il decreto o la sentenza pronunciata nel procedimento sono divenuti irrevocabili. Si differito cio il dies a quo della prescrizione, rispetto ad un presupposto tributario collegato con il fatto reato, coprendo tutto il tempo di operativit di quel collegan;iento che viene meno nel momento in cui il processo penale relativo a quel fatto si chiude con un provvedimento irrevocabile. Se quindi da un lato si ha lo slittamento in avanti del termine per agire, a contrario finch il processo penale non sia chiuso l'amministrazione non potrebbe nemmeno agire (ragionando invece in termini di 144 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO interruzione-sospensione, il processo civile potrebbe esser iniziato, ma resterebbe sospeso in pendenza di quello penale). 3. -Questa essendo, ad avviso del Collegio la esatta ricostruzione della fattispecie dell'art. 27 comma 3, non sembra possibile dubitare che la norma vada riferita a qualsiasi pronuncia del giudice penale definitiva e preclusiva della ulteriore perseguibilit del fatto come reato, sia essa di condanna, ovvero di proscioglimento, riguardi o meno il merito dell'azione penale. L'azione della cui prescrizione si tratta , e resta nonostante il collegamento con l'accertaimento del reato, un'azione tdbutaria e non suscettibile di trasformarsi in obbligazione di risarcimento del danno. Con la richiesta di pagamento del tributo non si mira alla reintegrazione delle perdite subite a causa del fatto illecito altrui (sia pure costituente reato), ma si pretende il tributo che un dato soggetto deve, per essersi verificato nei suoi confronti il presupposto di imposta, e non in conseguenza di un damnum iniuria datum. Cade in errore, perci, la difesa del ricorrente nel richiamarsi alla fattispecie dell'art. 2947 comma 3 che attiene invece al diverso collegamento fra reato e fattispecie risarcitoria, laddove il collegamento che giustifica la norma dell'art. 27 intercorre fra reato e fattispecie impositiva. Ogni qualvolta la finanza agisce, per il pagamento di diritti doganali evasi, nei confronti del contribuente coinvolto in un giudizio penale, si fuori dell'ambito di applicazione dell'art. 2947 comma 3, e.e., perch si aziona una pretesa tributaria, e non una pretesa risarcitoria. Ed il rapporto fra art. 27 comma 3 legge dog. ed art. 2947 comma 3 e.e., non va ricostruito in termini di deroga alle disposizioni generali del codice, dato che non si verifica una concorrenza di norme astrattamente applicabile alla medesima fattispecie, ma si hanno fattispecie del tutto autonome che, concernendo entrambe la decorrenza del termine prescrizionale, la disciplinano secondo le discrezionali valutazioni del legislatore. Il punto di raffronto civilistico non dato, dunque, dall'art. 2947 comma 3 e.e., ma dall'art. 2935 e.e. che detta la regola generale della decorrenza della prescrizione, sostituito, relativamente alla riscossione ~ dei diritti doganali, dell'art. 27 comma 3 della legge n. 1424. Occorre avere fondamentalmente riguardo al titolo della domanda I . 1 azionata: quando la finanza fa valere il diritto al tributo, esercitando I la potest impositiva, si applica l'art. 27 legge dog. il quale nel caso di 1 collegamento causale tra fattispecie impositiva e reato doganale com I porta lo scorrimento in avanti della decorrenza della prescrizione (al di 1 fuori di una vicenda interruttiva-sospensiva che deve necessariamente radicarsi su un termine gi in corso), sicch di prescrizione non pu parlarsi finch il processo penale relativo a quel reato non chiuso, con la pronuncia definitiva. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA Non quindi al contenuto della pronuncia che bisogna avere riguardo, ma al suo carattere formale, alla sua attitudine a definire il giudizio, e non importa se l'imputato sia stato condannato, o prosciolto; la decorrenza, pertanto, opera anche rispetto alla sentenza che ha dichiarato la estinzione del reato e con riferimento alla data del passaggio in giudicato della pronuncia e non a quella in cui si verificato il fatto estintivo. 4. -Parzialmente diverso il discorso da svolgere per l'imposta di fabbricazione, come si gi sommariamente anticipato, precisando che sul piano concreto degli effetti nel caso in esame le conclusioni non mutano. L'art. 31 del t.u. sugli spiriti 8 luglio 1924, al comma 3 stabilisce che l'azione per il recupero del credito si estingue trascorsi cinque anni dal giorno nel quale avrebbe dovuto eseguirsi il pagamento. Ed il comma settimo stabilisce che la prescrizione per l'azione civile interrotta quando venga esercitata l'azione penale, soggiungendo: in questo caso il termine utile di cinque anni per l'azione civile decorre dalla data della sentenza definitiva nel giudizio penale . Lo strumento normativo cos realizzato non riconducibile alla prospettiva della decorrenza originaria della prescrizione all'esito del giudizio penale, perch questa decorrenza fissata, con dizione onnicomprensiva, al comma tre, con riferimento al giorno in cui avrebbe dovuto eseguirsi il pagamento, mentre il richiamo all'istituto della interruzione nella sua perentoriet non sembra superabile in via di mera interpretazione. E' qui opportuno a questo punto brevemente accennare alla collocazione del decreto ministeriale (del Ministro delle Finanze) contenente il testo unico delle disposizioni legislative per l'imposta di fabbricazione degli spiriti nel sistema delle fonti. Con legge 3 dicembre 1922, n. 1601 il Governo fu delegato ad emanare fino -al 31 dicembre 1923 disposizioni aventi valore di legge per il riordinament del sistema tributario ed in esecuzione di tale delega eman, con r.d. 10 maggio 1923, n. 1792, norme legislative, autorizzando nel contempo il Ministro delle Finanze a provvedere, mediante suo decreto al coordinamento ed alla pubblicazione dei testi unici delle disposizioni di carattere legislativo concernenti ciascuna imposta di fabbricazione . In base a detta autorizzazione furono emanati, 1'8 luglio 1924, i decreti ministeriali relativi fra cui quello che qui interessa in materia di spiriti. Il primo problema che si pone al riguardo quello della forza di legge del testo unico medesimo. La risposta della Corte cost. con sentenza n. 54 del 1957 ribadita con ordinanza n. 54 del 1965 stata negativa. Ove per si fosse ritenuta la natura legislativa del decreto esso si sarebbe dovuto dichiarare incostituzionale almeno per tre ordini di ragioni: a) la emanazione fuori del termine del 31 dicembre 1923 per l'esercizio della delega; b) l'essere espressione di una subdelegazione non ammessa 146 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO all'poca cui il decreto fu emesso (Cass. S.U. 19 gennaio 1922 e 27 ottobre 1926); e) l'attribuzione di potest legislativa al singolo ministro anzich al Governo. Riconosciuto che il decreto ministeriale in esame ha la natura e la efficacia giuridica di una mera raccolta amministrativa di norme di leggi precedenti, e che quindi da un lato non da sollevare al riguardo questione di legittimit costituzionale, dovendosi avere riguardo alle fonti normative riprodotte in testo unico come tali, rispetto all'art. 31 qui considerato occorre rifarsi all'art. 17 t.u. 16 settembre 1909, n. 704 ed all'art. 15. della legge 20 gennaio 1896, n. 20, per constatare che il collegamento fra fattispecie impositiva e reato fiscale non viene valorizzato dal legislatore secondo il modello della decorrenza originaria, ma alla stregua dell'interruzione-sospensione. In effetti l'art. 17 del r.d. 16 settembre 1909, che approva l'annesso testo unico delle leggi sugli spiriti (emesso ai sensi dell'art. 6 della legge 11 luglio 1909, n. 443 che autorizzava il coordinamento da parte del Governo delle disposizioni legislative in materia di regime fiscale degli spiriti) realizzando un testo unico di atti con forza di legge e di carattere innovativo, nel dettare il regime prescrizionale della tassa degli spiriti, si richiama alle disposizioni degli articoli 15 e 16 della legge doganale, recependoli per recetionem con riguardo cio alla disciplina che ne risultava (secondo cio lo schema del rinvio materiale o recettizio). Non si determina cio un parallelismo da valere per il futuro fra la regolamentazione sul punto delle prescrizioni tra imposte doganali con imposta di fabbricazione sugli spiriti, sicch le modificazioni normative dell'una vengano a ripercuotersi necessariamente sull'altra ma si uniforma la disciplina degli spiriti a quella doganale risultante da un puntuale enunciato terminale (l'art. 15 appunto, per quel che qui interessa) modificato solo relativamente alla durata della prescrizione portata da due a cinq1:1e anni. Su questa situazione normativa il t.u. del 1924, non poteva incidere con effetti innovativi (consentiti invece al Governo dal richiamato art. 6, legge n. 443 del 1905) ed in effetti essa si limitata a trascrivere nell'art. 31 il vizio dell'art. 15 della legge doganale del 1896 con le modificazioni apportate dall'art. 17 del r.d. n. 704. E poich la legge richiamata era solo quella del 1896, le modificazioni intervenute in materia doganale non possono riflettersi in materia di imposta di fabbricazione spiriti e non possibile l'equiparazione dei dati che discenderebbe solo da un rinvio formale dall'una all'altra regolamentazione normativa che alla stregua dei dati testuali ricordati deve escludersi. Da un lato dunque il testo dell'art. 31 t.u. del 1934 non sostituibiJle con quello dell'art. 27 Legge doganale del 1940; dall'altro la interpretazione del primo non riconducibile globalmente a quella del secondo. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA Ai fini del decidere peraltro, la nuova (anzich originaria) decorrenza del termine quinquennale non giova al ricorrente una volta interpretata la locuzione dalla data della sentenza definitiva del giudizio penale negli stessi termini della dizione dalla data in cui il decreto o la sentenza pronunciata nel procedimento penale sono divenuti irrevocabili . E' singolare l'argomentazione testuale addotta dal ricorrente per sottrarsi a questo corollario di omogeneit interpretativa fra i due testi circa la portata delle pronuncie penali indicate a fondamento della decorrenza (nuova o originaria che sia) del termine quinquennale. Si fa leva sulle modifiche introdotte nel testo dell'art. 15 della legge doganale n. 20 del 1896, con legge 29 novembre 1929, n. 2676 nel senso che la prescrizione restava interrotta oltre che per le cause indicate del codice civile dall'instaurazione del processo penale, per argomentare che l'esercizio dell'azione penale non sarebbe stato causa di interruzione se non in quanto prevista come tale dalla legge doganale; e poich la legge doganale del 1940 pi non parla di interruzione, almeno dal momento dell'entrata in vigore di tale legge dovrebbe escludersi l'operativit della azione penale stessa come causa di interruzione. Ora le considerazioni svolte ad illustrazione della portata dell'art. 27 della legge del 1940, quale sbocco di una linea di tendenza dell'ordinamento, depongono chiaramente nel senso che il ripudio legislativo dello strumento dell'interruzione comporta lo scorrimento in avanti dell'intero periodo prescrizionale. E quindi se nel testo unico del 1924 si volesse sostituire al disposto della legge doganale del 1896 quello della legge del 1940, il problema interpretativo dell'art. 31 in esame andrebbe ricondotto a quello dell'art. 27 con i risultati esegetici sopra raggiunti. Tuttavia deve escludersi, come si appena dimostrato che le modifiche intervenute nella legge doganale del 1896, per la parte in cui era stata testualmente riferita alle imposte sugli spiriti, si siano ripercosse sulla legislazione medesima che per questa parte, nelle disposizioni trasfuse nel testo unico, ha operato una ricezione materiale di cui espressione l'art. 17 del t.u. (legislativo) 16 settembre 1909, n. 704. Comunque l'argomento esegetico invocato, anche se nel suo rife rimento testuale fosse applicabile alla specie non pertinente. La dizione integrativa, nel ricordare che l'interruzione prevista dalla legge speciale opera in aggiunta alle ipotesi interruttive indicate dal codice civile non ha portata innovativa ma chiarisce un concetto gi desumibile in forza di principi generali. Tale precisazione non significa che l'esercizio della azione penale in tanto si pone come fatto interruttivo in quanto sia previsto come tale dalla legge doganale, ma caso mai all'opposto che la medesima causa interruttiva prevista dalla legge doganale diventa ope rante, per effetto del richiamo recettizio ai fini della decorrenza della prescrizione per le imposte di fabbricazione. 148 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Conclusivamente sul punto: l'impostazione in termini di interruzione non consente di escludere la tempestivit dell'azione per la riscossione del tributo evaso esercitata nel quinquennio dalla data della sentenza penale dichiarativa dell'estinzione del reato, dovendosi fare applicazione in tal senso dell'art. 31 t.u. del 1924 e non gi dell'art. 2947, comma 3, codice civ. non operante rispetto alle ipotesi di collegamento tra fattispecie tributaria e fattispecie penale perch riguardante esclusivamente il diverso collegamento tra fattispecie risarcitoria e fattispecie penale. In proposito l'espressione azione civile contenuta nel citato art. 31 deve essere intesa non gi in senso ristretto come azione esercitabile nel processo penale, previa costituzione di parte civile (come azione cio meramente risarcitoria), ma va riferita anche all'azione diretta a percepire l'imposta evasa in caso di fabbricazione clandestina di spirito (Cass. 689/73 cit.); e sia che si tratti di nuova decorrenza a seguito di interruzione per effetto della proposizione dell'azione penale e di conseguente sospensione per tutta la durata del processo penale (come ha gi ritenuto questa S.C. e deve ribadirsi in questa sede) sia che si tratti di decorrenza originaria rispetto a precedente improcedibilit (secondo la impostazione pi congrua che stata successivamente adottata dal legislatore nel 1940 per l'imposta doganale) resta fermo che l'amministrazione dispone dell'intero quinquennio decorrente dalla data della irrevocabilit della sentenza definitiva del processo sia di condanna che di proscioglimento (nella specie dichiarativa di estinzione del reato per prescrizione). 5. -Contro !'accolta esegesi il ricorrente deduce: a) che le norme delle leggi speciali non prevedono espressamente l'ipotesi della estinzione per prescrizione, e che quindi si sarebbe dovuto applicare l'art. 2947 cod. civ., prescrivendosi l'azione per il recupero dei tributi evasi, al pari di quella penale, dal momento in cui il reato si estingu~ per prescrizione; b) che il collegamento fra reato e pretesa fiscale deve estrinsecarsi necessariamente neJ:l'accertamento gliudiziaJe che il fatto cost!ituisce reato. Ma pu agevolmente replicarsi: sub a) ribadendo alla stregua delle argomentazioni gi svolte, che, data l'ampia dizione della norma e la sua funzione, dal suo ambito non possono escludersi le sentenze di proscioglimento per estinzione del reato (tra cui si annovera quella che ne abbia riconosciuto la prescrizionale); e che l'azione per la riscossione di tributi evasi va distinta concettualmente da quella riguardante una pretesa meramente risarcitoria; proprio nella indebita equiparazione delle due ipotesi va ravvisata l'errore di fondo della impostazione del ricorrente. sub b) che il collegamento causale tra fattispecie tributaria e fattispecie penalistica non viene in considerazione ex post, in relazione ad un determinato esito, ma ex ante in quanto sia stata evidenziata una PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA possibile commistione del presupposto di imposta con una vicenda suscettibile di qualificazioni penalistiche, che prende rilievo come tale dal punto di vista formale e non sostanziale. E cio la sussistenza di tale nesso che induce il legislatore ad operare lo slittamento della decorrenza della prescrizione per tutto il tempo di svolgimento del processo penale che esauritosi sul piano dell'incidenza del fatto reato sul presupposto tributario consente di valutarlo alla stregua della conclusione, qualunque essa sia, di quel processo che esaurendosi ha sciolto i nessi che intrecciavano e confondevano le due fattispecie collegate, consentendo al presupposto tributario in quanto ne sussistono gli estremi, di esplicare i suoi effetti, restando ribadito che la definizione del processo, e non il contenuto della pronuncia conclusiva, a venire in considerazione. 6. -Cos ricostruita la portata dell'art. 31 del testo unico sugli spiriti del 1924 e dell'art. 27 della legge doganale del 1940 l'interpretazione accolta non si pone in contrasto con l'art. 3 Cost. (s da imporne la verifica in termini di adeguatezza costituzionale prima ancora di sottoporre la relativa questione al giudizio della Corte). Riconoscendosi che le norme della legislazione tributaria, alla stregua del ravvisato collegamento tra fattispecie impositiva e reato fiscale, spostano 1a decoDrenza del termine iniziale di prescrizione del diritto dell'amministrazione alla percezione del tributo (ovvero determinano, attraverso lo strumento della interruzione sospensione, il nuovo decorso del termine con identico aggancio all'esito del processo penale) dettando una disciplina diversa da quella risultante dall'art. 2947, terzo comma, e.e., non si constata una difformit di trattamento per situazioni uguali, o quantomeno assimilabili, dato che non si verifica -come si gi messo in evidenza -una concorrenza di norme astrattamente applicabili ad una medesima fattispecie, poich si ha da un lato una fattispecie impositiva (la richiesta di pagamento di un tributo la cui evasione collegata alla commissione di un reato, rispetto alla quale fissato il decorso originario, ovvero differito, della prescrizione, in difformit dalla regola generale dettata dall'art. 2935 e.e.), dall'altro una fattispecie risarcitoria, rispetto alla quale tale decorrenza trova secondo moduli autonomamente determinati, il dies a quo suo proprio. Ma il legislatore libero di fissare termini prescrizionali pi o meno lunghi di crediti di natura diversa, a seconda del diverso grado di tutela che ritiene di dovere assicurare a taluno di essi, essendo indice sufficiente di ragionevolezza dell'operata discriminazione la diversit di qualificazione dei crediti considerati; nell'un caso credito d'imposta, nell'altro credito di risarcimento danni. Comunque tale diversit di trattamento trova un suo aggancio al livello dei principi costituzionali, perch, contrariamente a quanto si sostiene nel ricorso, l'interesse 150 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO alla riscossione dei tributi essenziale nella vita dello Stato, attenendo al regolare funzionamento dei servizi necessari alla comunit nazionale che ne assicurano l'esistenza, assumendo rilevanza costituzionale (Corte cost. 32/76, 11/71, 199/70). La questione di legittimit costituzionale deve essere dichiarata, .pevci, manifestamente infondata. (omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 28 maggio 1979, n. 3085 -Pres. Mirabelli -Est. Carnevale -P. M. Minetti (conf.) -Soc. Cantone e Guglielmo (avv. Micheli) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Viola). Tributi in genere -Potest tributaria di imposizione -Regione Siciliana Potest legislativa concorrente -Concetto -Limiti. Tributi erariali diretti -Imposte fondiarie -Imposta sui fabbricati -Agevolazione per le case di abitazione non di lusso -Legislazione della Regione Siciliana -Conformit della costruzione alla licenza edilizia E' necessaria. (!. 2 luglio 1949, n. 408, art. 13; I. reg. Sicilia 28 aprile 1954, n. 11, art. 8). La potest legislativa della Regione Siciliana in materia di tributi concorrente con la legislazione statale e, se coerente ai principi e agli interessi a cui si ispira la legislazione dello Stato (limite di principio) e alla esigenza di soddisfare condizioni particolari ed interessi propri della Regione (limite finalistico), prevale sulla legislazione dello Stato (1). In base alla legislazione regionale siciliana l'agevolazione dell'imposta sui fabbricati per le case di abitazione non di lusso di nuova costruzione presuppone, oltre ai requisiti stabiliti dalla legge dello Stato, la conformit della costruzione alla licenza edilizia (2). (omissis) Con il primo motivo -denunciando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 13 della Jegge 2 'luglio 11949, n. 408, 43 del d.l. 15 marzo 1965, n. 124, convertito nella legge 15 maggio 1966, n. 431, e 14, 17 e 36 dello statuto della Regione Siciliana (r.d. 15 maggio 1946, n. 455), in relazione agli artt. 1 della legge regionale siciliana 18 ottobre 1954, n. 37, 5 e 9 della legge regionale siciliana 28 aprile 1954, n. 11, alla legge regionale siciliana 27 novembre 1961, n. 22, e alla legge regionale siciliana 14 dicembre 1965, n. 41, nonch l'omesso esame di punti (1-2) Una ulteriore precisazione, sia generale che specifica, sul problema della legislazione sici1iana in materia di case di abitazione non di lusso; cfr. Cass. 26 ottobre 1977, n. 4648 e 27 luglio 11978, n. 3774 (in questa Rassegna, 1978, I, 223 e 1979, I, 63). PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA decisivi -la societ ricorrente si duole che la commissione tributaria centrale abbia ritenuto che la legge regionale siciliana n. 11 del 195i.., pur nell'ipotesi in cui non dovesse ritenersi di applicazione esclusiva, sarebbe compatibile, in quanto concorrente ed integrativa di essa, con la legge statale n. 408 del 1949, per la ragione che il requisito della conformit della costruzione al progetto approvato da essa stabilito ai fini dell'esenzione venticinquennale dall'imposta sul reddito dei fabbricati, pur non essendo espressamente menzionato dalle leggi statali, tuttavia da esse implicitamente contemplato nella disposizione che richiede, ai fini del riconoscimento dell'esenzione, il certificato di abitabilit. Cos decidendo -assume la societ ricorrente -la commissione tributaria centrale non ha considerato che nella specie, pur non essendo la costruzione conforme al progetto approvato, il certificato di abitabilit era stato regolarmente rilasciato; che la dichiarazione di abitabilit, essendo richiesta esclusivamente a tutela della pubblica igiene, non postula l'accertamento della conformit della costruzione alle prescrizioni delle norme urbanistiche e della licenza edilizia; che, conseguentemente, la legge regionale siciliana -prevedendo, ai fini della concessione dell'esenzione in esame, un requisito diverso e pi restrittivo, come la conformit della costruzione al progetto approvato, di quello (rilascio della licenza di abitabilit) stabilito dalla legge statale non compatibile con questa e d luogo ad una disparit di trattamento tra i soggetti che costruiscono case di abitazione nel territorio della Regione siciliana e quelli che costruiscono nel rimanente territorio dello Stato: disparit di trattamento che, non trovando fondamento nell'esigenza di soddisfare specifici interessi regionali, giustificherebbe il sospetto che la norma regionale costituzionalmente illegittima per contrasto con il principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione. Con il secondo motivo denunciando la violazione e la falsa applicazione delle stesse norme richiamate nell'epigrafe del precedente mezzo e l'omesso same di un punto decisivo -la societ ricorrente sostiene che, dovendo la legge statale prevalere su quella regionale, l'esenzione avrebbe dovuto essere riconosciuta in relazione all'intero edificio (in quanto anche il decimo piano, pur non essendo compreso nel certificato di abitabilit, era effettivamente destinato ad abitazione) o, quanto meno, a quella parte di esso (tutti i piani fuori terra escluso il decimo) per la quale il detto certificato era stato rilasciato. I due motivi avanti riassunti -che, per la stretta connessione delle questioni con essi proposte, opportuno esaminare congiuntamente -sono entrambi infondati. Essi prospettano infatti, senza che sia stato addotto alcun nuovo argomento idoneo ad indurre questa Corte Suprema ad un mutamento del proprio indirizzo giurisprudenziale, questioni gi decise in senso sfa RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO vorevole alle tesi sostenute dalla societ ricorrente con le recenti sentenze 26 ottobre 1977, nn. 4648 e 4649 e 5 dicembre 1978, n. 5722. Come stato posto in evidenza nelle sentenze citate, ai fini del riconoscimento dell'esenzione venticinquennale dall'imposta sul reddito dei fabbricati in relazione a edifici destinati ad abitazioni non di lusso costruiti nel territorio della Regione Siciliana -in epoca successiva all'entrata in vigore delle leggi da questa emanate in materia -deve aversi riguardo non gi ai requisiti previsti dall'art. 13 della legge statale 2 luglio 1949, n. 408, ma a quelli stabiliti dall'art. 8 della legge regionale siciliana 28 aprile 1954, n. 11, che subordina la concessione dell'esenzione alla conformit della costruzione ai piani regolatori e di ricostruzione, alle leggi e ai regolamenti edilizi nonch alle prescrizioni della licenza di costruzione. In virt della potest legislativa concorrente (o sussidiaria o ripartita) in materia tributaria, attribuitale dall'art. 36 del suo statuto, avente valore ed efficacia di legge costituzionale, la Regione Siciliana pu -nel rispetto dei principi e degli interessi generali cui si informa la legislazione dello Stato in materia ed al fine di soddisfare alle condizioni particolari ed agli interessi propri della regione -introdurre infatti nelle norme tributarie da esse emanate quelle variazioni utili ad adattare le norme contenute nelle leggi dello Stato alle speciali necessit dl suo territorio. Il duplice limite -posto dall'art. 17 dello stesso statuto all'esercizio della potest legislativa concorrente spettante alla Regione Siciliana rispetto a determinate materie (tra le quali quella tributaria, con esclusione delle imposte di produzione) -del rispetto dei principi e degli intressi generali cui si informa la legislazione dello Stato (c.d. limite di principio) e della finalizzazione delle norme emanate a soddisfare condizioni particolari ed interessi propri della regione (c.d. limite finalistico) nn comporta peraltro che la Regione Siciliana, quando legifera in materia tributaria, debba limitarsi a riprodurre pedissequamente le norme tributarie contenute nelle leggi statali, potendo adattare queste norme -nel che stanno la ragione, la portata ed il limite della legislazione concorrente -alle particolari esigenze del suo territorio o del suo corpo sociale. Fermo il suo dovere di umformarsi all'indirizzo ed ai principi fon damentali della legislazione dello Stato riguardante ogni singolo tributo e le relative agevolazioni (appartenenti anch'essa alla materia tributa ria), in modo che sia soddisfatta l'esigenza del coordinamento, in un sistema unitario, della finanza regionale con la finanza dello Stato e degli altri enti territoriali; la Regione Siciliana pu disporre quindi un'agevolazione fiscale avente presupposti diversi da quelli previsti dalla norma agevolativa statale, pur che sia rispondente al tipo accolto dalla PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA legislazione dello Stato e miri a soddisfare condizioni particolari e specifici interessi regionali. La norma agevolativa regionale -sempre che esaurisca la disciplina dell'agevolazione e che, rispetto ad essa, non possa farsi questione di illegittimit costituzionale per violazione dei limiti stabiliti dall'art. 17 dello statuto o di altri principi e norme costituzionali - applicabile, in via esclusiva, nell'ambito del territorio della Regione, non essendo ipotizzabile, per il carattere di specialit proprio delle norme regionali, una sua applicazione alternativa o cumulativa con norme contenute in leggi statali. La norma regionale sull'esenzione venticinquennale dall'imposta sul reddito dei fabbricati -contenuta nell'art. 9 della legge regionale siciliana 28 aprile 1954, n. 11 -oltre a rispettare i principi e gli interessi generali cui si informa la norma agevolativa contenuta nell'art. 13 della legge statale 2 luglio 1949, n. 408 (la quale, al pari di quella regionale, concede la detta esenzione al fine di incentivare la costruzione di case di abitazione non di lusso), tende a soddisfare anche un interesse tipicamente regionale, qual indubbiamente quello inerente al razionale assetto urbanistico del territorio della Regione la cui disciplina legislativa attribuita dall'art. 14, lett. f), dello statuto alla competenza esclusiva della Regione, attraverso l'imposizione dell'onere di osservare le prescrizioni degli strumenti urbanistici, delle norme di legge e regolamentari in materia edilizia e della licenza di costruzione. L'introduzione di tale onere nella norma agevolativa regionale -essendo giustificata da una valutazione dell'interesse al razionale assetto urbanistico del territorio compiuta dal legislatore siciliano, nell'esercizio del potere discrezionale spettantegli, in modo diverso dal legislatore statale -non determina una disparit di trattamento dei soggetti operanti nel territorio della Regione Siciliana rispetto a quelli operanti nel rimanente territorio dello Stato che possa far sospettare di illegittimit costituzionale la norma regionale siciliana perch in contrasto con il principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione. Una volta che l'ordinamento costituzionale attribuisce alla Regione Siciliana il potere di emanare, in materia tributaria, norme aventi effi cacia di legge formale, idonee a dettare, nel rispetto dei principi fon damentali e degli interessi generali cui si informa la legislazione dello Stato, una disciplina differenziata rispetto a quella contenuta nelle norme di legge statali, al fine di soddisfare condizioni particolari ed interessi propri della Regione, la diversit di disciplina dei rapporti tributari soggetti alle norme tributarie statali costituisce, infatti, una conseguenza -prevista e consentita dall'ordinamento -dell'esercizio della potest legislativa attribuita alla Regione proprio al fine di adattare alle esigenze regionali le norme contenute nelle leggi dello Stato, introducendo in esse quelle variazioni di disciplina che non possono non comportare un trat RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO tamento differenziato di situazioni analoghe a secondo che il presupposto materiale dell'obbligazione tributaria venga ad emergere nell'ambito del territorio regionale o del rimanente territorio dello Stato. Conseguentemente, la questione di legittimit costituzionale dell'art. 9 della legge regionale siciliana 28 aprile 1954, n. 11 (nella parte in cui, introducendo _l'ulteriore requisito della conformit del fabbricato alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, delle norme di edilizia e della licenza di costruzione, restringe, rispetto alle case di abitazione non di lusso costruite nel territorio della Regione Siciliana, l'ambito di applicabilit dell'esenzione venticinquennale dall'imposta sul reddito dei fabbricati prevista dall'art. 13 della legge statale 2 luglio 1949, n. 408), per violazione del principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione, deve ritenersi manifestamente infondata. Poich l'edificio rispetto al quale la commissione tributaria centrale ha ritenuto legittimo il diniego, da parte dell'Amministrazione finanziaria, dell'esenzione venticinquennale dall'imposta sul reddito dei fabbricati stato costruito nel territorio della Regione Siciliana e, in base ai principi avanti enunciati, la norma agevolativa applicabile rispetto ad esso , in via esclusiva, quella contenuta nel citato art. 9 della legge regionale siciliana 82 aprile 1954, n. 11, la decisione impugnata, essendo rimasto accertato che il detto edificio non era conforme alla licenza di costruzione, risulta perci conforme al diritto, anche se la motivazione in diritto addotta dalla stessa commissione tributaria centrale, contenendo argomentazioni in parte erronee, deve essere corretta in conformit ai principi suesposti. Il ricorso deve quindi essere rigettato. (omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 6 giugno 1979, n. 3202 -Pres. Mirabelli -. Est. Zappulli -P. M. Grimaldi (conf.) -Casadei (avv. Fraccaroli) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Abbignente). Tributi erariali indiretti -Imposta di registro -Enunciazione Societ di fatto -Ammontare dei conferimenti -Momento di riferimento Si presume la data della enunciazione salvo prova contraria inoppugnabile. (r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, artt. 62 e 72). Tributi erariali indiretti -Imposta di registro -Mezzi di prova Prova testimoniale Inammissibilit. (r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 18). Nell'ipotesi di enunciazione della societ di fatto, l'ammontare dei conferimenti va determinato con riferimento al momento della costituzione del vincolo sociale e questo si presume coincidente con la data PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 155 dell'enunciazione, salvo prova contraria inoppugnabile offerta con mezzi diversi dalla prova testimoniale (1). Nel sistema normativo della legge di registro, la prova testimoniale inammissibile come mezza di accertamento di fatti influenti sulla determinazione e sulla misura del tributo (2). (omissis) I ricorrenti coniugi Casadei e Ghirardi hanno censurato ila sentenza impugnata, con l'unico motivo del ricorso, per violazione degli artt. 62-72 del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, e 81 dell'allegato A del medesimo decreto, affermando che essi, quando avevano acquistato l'area per la successiva costruzione dell'albergo, avevano portato a conoscenza del Comune tale loro intenzione al fine di ottenere la licenza di costruzione, cos come nell'appalto per i relativi lavori seguiti da entrambi, con ulteriori manifestazioni della avvenuta costituzione della societ di fatto estrinsecatasi pure nella successiva gestione. Secondo essi, pertanto, la corte di merito ha errato nel negare l'efficacia di quelle prove con l'esclusione delle prove testimoniali, e quindi delle presunzioni, disposta dall'art. 18 della suddetta legge organica sull'imposta di registro, mentre, per costante giurisprudenza, nell'applicazione dell'imposta stessa sulle enunciazioni di societ di fatto va considerato, per la valutazione dei beni conferiti, il momento della costituzione effettiva del rapporto sociale. Il motivo infondato. Invero la sentenza d'appello ha chiaramente affermato, in linea di diritto, proprio il medesimo principio sostenuto dai ricorrenti, precisando nella motivazione che l'imponibile, e cio l'ammontare nel conferimenti in societ... va determinato con riferimento al momento della costituzione del vincolo sociale. Non vi , perci, per tale parte l'asserita violazione di legge n un contrasto di tesi di diritto essendo, invece, controverso. quale sia stata, in linea di fatto, l'epoca dell'avvenuta costituzione della societ, indicata nella sentenza, in assenza di prove diverse, in quella della sua enunciazione, e cio della dichiarazione del fallimento. Al riguardo, nella sentenza impugnata non stato negato che i soci avessero il diritto di fornire la prova contraria, ma stato affermato (1-2) Su1la prima massima la giurisprudenza pacifica (cfr. Relazione Avv. Stato 1970-75, Il, 712.0). Anche suUa seconda massima la giurisprudenza ben ferma: Cass. 30 giu gno 119711, n. 2053 e 117 ap1rile 11973, n. 11105, in questa Rassegna, 1971, I, 914 e 1974, I, 216; eguale esclUJSione stata ritenuta rper le imposte doganali da Cass. 29 gennaio 1979 n. 639, ivi, 1979, I, 330). Da notare che la medesima limitazione deUa prova ,contraria alle presunzioni che consentono ila registrazione di ufficio (regola estensibile aM'intero tributo di registro) si ritrova nel~',art. 115 deL vigente d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634. 156 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO che tale prova doveva essere inoppugnabile e non fondata su deposizioni testimoniali o presunzioni, e ci a causa del divieto posto per questi mezzi di prova dall'art. 18 della citata legge organica, in correlazione all'assimilazione tra gli stessi di cui all'art. 2729 e.e. Questo divieto stato reiteratamente confermato dalla giurisprudenza della Suprema Corte, secondo la quale la prova testimoniale ripudiata dal sistema normativo tributario in tema di applicazioni dell'imposta di registro perch contraria alla natura della stessa, avente ad oggetto il negozio, quale risulta dal documento secondo il criterio contenutistico ed effettuale dell'atto ed , perci, inidonea come strumento di accertamento di fatti influenti sulla determinazione e sulla misura del tributo (Cass., 9 luglio 1975 n. 2675; 22 maggio 1973, n. 1847; 20 settembre 1971, n. 2625). Per l'unit della disciplina dell'imposta e per l'esigenza di una manifestazione diretta ed inequivoca, tale principio applicabile anche quando manca il documento originario sostituito dall'enunciazione del corrispondente negozio giuridico. (omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 8 giugno 1979, n. 3249 -Pres. Aliotta Est Cantillo -P. M. Valente i(conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Cipparrone) c. Ditta Garbarino (avv. Scognamiglio). Tributi erariali indiretti -Imposta sull'~ntrata -Acque gassate -Aliquote o quote condensate -Decreto dell'intendente di finanza per la determinazione del prezzo medio -Legge 31 ottobr,e 1966, n. 941 -Legittimit. (1. 31 ottobre 1966, n. 941, art. un.; d.l. 19 ottobre 1944, n. 348, art. 10; 1. 4 marzo 1952, n. 110). Tributi in genere -Potest tributaria di imposizione -Riserva di legge relativa -Normativa rimessa al Ministro delle Finanze e per sua delega agli intendenti di finanza -Imposta sull'entrata -Legge 31 ottobre 1966, n. 941 -Illegittimit costituzionale -Manifesta infondatezza. (Cost., artt. 23, 53 e 113; 1. 31 ottobre 1966, n. 941, art. unico). Il conferimento agli intendendi di finanza di determinare, per delega del Ministro delle finanze, i prezzi medi correnti delle varie specie di acque e bevande gassate, gi ritenuto illegittimo sotto il vigore dell'art. 10 del d.l. 19 ottobre 1944, n. 348, stato esplicitamente previsto con l'art. unico della legge 31 ottobre 1966, n. 941, s che dopo la sua entrata in vigore venuto meno ogni profilo di illegittimit (1). (1-2) La sentenza riveste notevole interesse non tanto per l'ovvia affermazione della prima massima, ma per la rielaborazione del problema delle fonti secondarie di imposizione. I I - PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 157 La potest tributaria di imposizione consente che venga demandato all'autorit amministrativa disciplinare, in base a criteri fissati nella legge, taluni elementi della fattispecie tributaria con atto di normazione secondaria o con provvedimenti amministrativi di carattere generale. E pertanto manifestamente infondata la questione di legittimit costituzionale dell'art. unico de_lla legge 31 ottobre 1966, n. 941 (che attribuisce al Ministro delle finanze, e per sua delega agli intendimenti di finanza, il potere di determinare i prezzi medi di vendita, di acque e bevande gassate ai fini dell'imposta sull'entrata) per contrasto con gli artt. 23, 53 e 115 della Costituzione (2). (omissis) 2) Con il primo mezzo di annullamento l'Amministrazione delle finanze deduce la violazione dell'articolo unico della legge 31 ottobre 1966, n. 941, e rimprovera alla Corte di Appello di avere del tutto trascurato tale disposizione, con la quale era stato espressamente attribuito al Ministero delle finanze, e, per sua delega, agli intendenti di finanza, il potere di stabilire i prezzi medi di vendita delle acque gassate, venendo cos rimossa la ragione di illegittimit della precedente normativa, sulla quale i giudici di merito hanno erroneamente fondato la pronuncia di accoglimento dell'opposizione della contribuente. La censura fondata. Occorre ricordare che con l'art. 10 del d.l. lgt. 19 ottobre 1944, n. 348, in materia di imposta generale sull'entrata, fu attribuito al Ministro delle finanze il potere di disporre che per determinate entrate, espressamente indicate dalla legge, l'imposta fosse corrisposta non in relazione a ciascun atto economico, ma con un sistema semplificato e forfettario, cio mediante il pagamento di canoni annui ragguagliati al volume di affari dichiarato dal contribuente ovvero mediante l'applicazione di .aliquote o quote condensate (maggiori di quelle stabilite Su11a legittimit de1le fonti secondarie e sui relativi limiti ormai abbastanza diffusa e omogenea la giurisprudenza costituzionale (11 luglio 1961, n. 48, Giur. Cost., 1961, 1010 e 31 marzo 1965, n. 16, Riv. dir. finanz., 1965, n. 16; con specifico riferimento a questa materia 11 luglio 1969, n. 129, Foto it., 1969, I, 2055 e in relazione ai poteri degli enti 1ocali territorili ai quali riconosciuto pi. ampio spazio 6 luglio 1960, n. 51, Giur. Cost., 1960, 705 e 23 maggio 1966, n. 44, Foro it., 1966, I, 996). La Corte di Cassazione pur accogliendo 11 principio, ha prevalentemente negato nei sfogoli casi l'esistenza di un potere dell'Amministrazione capace di influire sulla situazione soggettiva dei contribuenti che sarebbe invece interamente discia;>Hnata daUa legge, affevmando la propria giu. risdizione sulla dkhiarazione di illegittimit della norma secondaria;-e proprio in materia di aliquote e quote concensate ai fini deH'I.G.E. ha ritenuto meramente diichiarativo e disapp1icabile i!l decreto ministeriale (22 giugno 1971, n. 1973, in questa Rassegna, 119111, I, 11195; '10 maggio 1974, n. 1341, Riv. leg. fisc., .1974, 2057) ed ha giudICato addirittura irrilevante in quanto spetta a~ giudice 13 158 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO per l'applicazione dell'imposta ai singoli atti) in rapporto al presunto numero delle operazioni imponibili. Questo sistema fu esteso (legge 4 marzo 1952, n. 110) alle entrate derivanti dal commercio di acque e bevande gassate e con successivi decreti annuali, emanati ai sensi dell'art. 10 cit., si stabil che l'imponibile dovesse essere calcolato in base ai prezzi medi delle acque e bevande, venendo affidato alle intendenze di finanza il compito di determinarli ogni anno per ciascuna provincia (la base imponibile, cio, si otteneva applicando i prezzi medi ai quantitativi presunti di prodotto venduto). Ora, con numerose pronunzie riflettenti i decreti ministeriali cos emessi per gli anni dal 1962 al 1965 (sent. n. 1973 del 1971, nn. 1341 e 2888 del 1974, n. 2176 del 1975), questa Corte Suprema ha affermato che il potere di determinare i prezzi medi, conferito agli intendenti con tali atti di normazione secondaria, non aveva fondamento nella legge fondamentale, che nulla dettava al riguardo; ed ha ritenuto ill~gittime -e perci da disapplicare nelle concrete fattispecie -le disposizioni relative (art. 43 dei decreti medesimi), siccome stabilivano una modalit di accertamento dell'imponibile non legislativamente prevista. La sentenza impugnata, in adesione a tale indirizzo, ha giudicato illegittimo e disapplicato il corrispondente art. 43 dei decreti ministeriali del 21 dicembre 1967 e 19 dicembre 1969, senza avvedersi, per, che il legislatore, proprio per supplire alla rilevata carenza di potere dell'Amministrazione, aveva introdotto l'articolo unico della legge 31 ottobre 1966, n. 941, con il quale veniva confermato il precedente sistema impositivo e si attribuiva espressamente al ministro delle finanze e, per sua delega, agli intendenti, la facolt di determinare i prezzi medi di ".endita delle varie specie di prodotti, praticati dai produttori e dai grossisti. In base a questa legge, per i decreti emessi dopo la sua entrata in vigore venuto meno, manifestamente, il profilo di illegittimit ri ordinario stabilire il valore della base imponibile, il decreto ministeriale che fissa in via preventiva il valore delle merci ai fini deM'I.G.E. ahl'impostazione (21 maggio 1973, n. 11454, Riv. leg. fisc., 1974, 79). NeHa specifioa materia, se poteva ammettersi che l!AiG.O. dichiarasse fa totale carenza di potere deg1i intendenti di finanza ad emettere provvedimenti generaLi mancando una norma che un tale potere conferisse, diversa era la questione per i1 decreto del Ministro deLle finanze espressamente previsto neLla legge. Ora, avendo la [egge espressamente regolamentato H 1pOtere degli inten denti di finanza, bens venuta meno ogni questione di merito, ma potrebbe essere dubbio che spetti aWA.G.O. pronunciarsi sul legittimo uso di un potere che indubbiamente esiste. Spetta invece incontestabilmente a1 giudice ordinario pronunciarsi sull'ecce zione di ihlegittimit costituzionale dena norma di ,legge che abilita alla norma PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 159 scontrato per il periodo precedente e perci risulta del tutto errata la motivazione alla quale si affida la sentenza impugnata. 3) Consapevole di ci, con il primo motivo del ricorso incidentale la Ditta Garbarini chiede che questa Corte Suprema sollevi questione di legittimit costituzionale di detta legge n. 941 del 1966 (caducata dal riuovo ordinamento tributario), sostenendo che essa sia in contrasto: a) con l'art. 23 Cost., perch avrebbe demandato alla Finanza di stabilire un presupposto oggettivo del tributo, cio il prezzo medio dei prodotti, senza indicare i criteri per l'esercizio di tale potere, in violazione del principio della riserva di legge vigente in materia tributaria; b) con l'art. 53 Cost., in quanto avrebbe ancorato la determinazione della base imponibile ad un presupposto che, per essere espressione dell'attivit commerciale svolta da una serie indeterminata di soggetti, sarebbe estraneo alla potenzialit economica e, quindi, alla capacit contributiva di ciascuno di essi; e) con l'art. 113 Cost., siccome non avrebbe previsto alcun rimedio giurisdizionale contro il provvedimento amministrativo di determinazione del prezzo medio. Nessuno di tali argomenti ha consistenza giuridica e perci la questione di legittimit costituzionale deve ritenersi manifestamente infondata. Ad a), va obiettato che il principio della riserva di legge, racchiuso nell'art. 23 Cost., mentre impone di stabilire con atti normativi primari (aventi forza di legge) le condizioni di legittimit dell'imposizione, i presupposti di fatto e gli altri elementi essenziali della fattispecie d'imposta -in modo da evitare, al riguardo, ogni facolt discrezionale dell'autorit amministrativa -non esclude affatto che venga demandato a questa ultima di precisare, in base a criteri fissati dalla legge, taluni elementi della medesima fattispecie, con atti di normazione secondaria o con provvedimenti amministrativi di carattere generale. Per zione secondaria. SuJil'argomento 1a sentenza in nota contiene osservazioni che meritano qualche commento, anche se la questione deH'i!Jegittimit dehlia legge 31 ottobre 1966, n. 941 ormai superata, perch gi risolta dahlia Corte Costituzionale con decisione di rigetto 24 maggio 1979, n. 27, Foro it., 1979, I, 1658. Su} contrasto con l'art. 23 Cost. la S.C., a11ienand~si a~l'indirizzo de1la Corte Costituzionale, si preoccUipa tuttavia di sottolineare che nel potere conferito aWArnministrazione manca ogni discrezionalit, che anzi iL compito attribuito aWintendente, di natura eminentemente ricognitiva, rientra nella determinazione deHa base imponibile. Ci, nel caso di specie, pu essere esatto, ma emerge chiaramente la .preoccupazione de1la SiC. di restringere quanto ipi possibile fa potest normativa dell'Amministrazione. NeHa potest di determinare elementi, presupposti e 1!miti di una .prestazione imponibile ,, normalmente, se non necessariamente, ricompresa una discrezionalit, anzi quella .particolare di.screzionailit normativa, che piuttosto di merito. In ogni modo si deve prendere atto del1'apertura della S.C. ad ammettere la normazione secondaria nella stessa materia nelb quale in passato si era mostrata avversa. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEI.,LO STATO 160 tanto, secondo la consolidata giurisprudenza della Corte Costituzionale (sent. n. 51 del 1960; sent. n. 129 del 1969), non contrasta con il principio della legalit dell'imposizione l'affidamento ad organi amministrativi di compiti non meramente esecutivi, ma diretti a determinare elementi, presupposti e limiti di una prestazione imponibile, in base a dati ed apprezzamenti tecnici: unica condizione che vi sia una sufficiente specificazione di tali poteri, in modo da assicurare i controlli dati dall'ordinamento sull'esercizio degli stessi. Ora, il compito attribuito dalla legge n. 941 del 1966 all'Amministrazione delle finanze attiene -come si detto -ad un elemento di quantificazione dell'imponibile e, pur dando luogo. ad un provvedimento di carattere generale (destinato ad incidere su una pluralit indeterminata di rapporti), non esula, in effetti, dall'ambito della c.d. discrezionalit tecnica della quale istituzionalmente investita la finanza per accertare la base imponibile di singole obbligazioni tributarie, che si concreta nell'espletamento di operazioni tecnico-estimative e nella conseguente determinazione di certi dati numerici (valore economico di un bene, reddito netto, entrata lorda, etc.; in realt, com' stato evidenziato in dottrina, non si riscontra neppure una vera e propria discrezionalit tecnica, trattandosi della mera applicazione di criteri e modalit previsti dalla legge, quindi di un'attivit anch'essa vincolata). La norma in esame, infatti, demanda al ministro e alle intendenze di finanza (per delega del primo) il compimento di un'attivit essenzialmente ricognitiva, che si articola in una duplice operazione, la prima consistente nel rilevamento (di norma, attraverso le camere di commercio) dei prezzi in concreto praticati, nelle singole province, da produttori e grossisti, la seconda nell'individuazione del prezzo medio attraverso un'operazione aritmetica sui dati raccolti. Si tratta, cio, di un procedimento idi accertamento ancorato ad elementi oggettivi, che deve necessariamente svolgersi nel modo sud- Sono da condividere pienamente le osservazioni deLla sentenza in esame per ci che concerne il contrasto con l'art. 53, mentre destano quak:he sospetto 1e ragioni esposte per escludere il contrasto con l'axt. 1'13. certamente da escludere fa mancanza di una garanzia giurisdizionale, ma assai dubbio che questa fosse costituita da1 ricorso a11a commissione deLle imposte o, comunque, da1l'azione in sede ordinaria as.si!curata in materia di LG.E. anche per l'estimazione sempliice, quando questa non sia attribuita ad a11Jro giudice. Innanzi tutto non sembrano esatti i r1fedmenti giur1sprudenziali, giacch fa sentenza deHe Sez. Un. 16 luglio .1973, n. 2042 (Mass. giur. it., 11973, 729) rigua1:1da H ricorso contro l'accertamento de1l'ufficio del registro e queLLa de1la Corte Costituziona!1e H 1ug1io 1969, n. 129 (gi citata) accenna genericamente ad .una imprecisata tute1a giur~sdizionaile; peraLtro la Corte Costituzionale, che pure sulla questione non ha potere decisorio, in a1tre pronuncie sembra orientata a ritenere che i provvedimenti di normazione secondaria siano impugnal;>ili innanzi alla giurisdizione amministrativa (sent. 18 giugno 1963, n. 93 e 14 marzo PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUT,AJlll'; 161 detto e che non lascia spazio alla discrezionalit dell'amministrazione, sicch nessun altro criterio doveva essere fissato dalla norma. Quanto all'argomento sub b), va ricordato che il principio di capacit contributiva, da un lato, costituisce una specificazione del principio di eguaglianza, nel senso che a situazioni uguali debbono corrispondere uguali regimi impositivi; dall'altro, deve essere inteso come espressione dell'sigenza che ogni prelievo tributario abbia causa giustificativa in indici concretamente rivelatori di ricchezza e perci di attitudine ai carichi pubblici, sicch la capacit contributiva designa l'attitudine soggettiva all'obbligazione tributaria, deducibile dagli eventi o situazioni ai quali il legislatore ricollega la nascita dell'obbligazione medesima e la commisurazione dell'ammontare del tributo (Corte Cost., sent. n. 91 del 1972; n. 201 del 1975). Nel caso in esame, l'inconsistenza dell'eccezione, sotto il primo profilo, non ha bisogno di essere dimostrata, non configurandosi alcuna disparit di trattamento fra soggetti passivi dell'imposizione. Sotto il secondo profilo, poi, altrettanto evidente che nel particolare sistema impositivo, correlato al coacervo degli atti economici compiuti in un dato periodo, la rilevazione del prezzo medio diretta ad agevolare la determinazione del quantum dell'entrata attraverso una procedura molto pi semplice e rapida rispetto all'accertamento dei ricavi conseguiti effettivamente da ciascun contribuente; e trattasi di metodo non privo di razionalit, in quanto il riferimento al prezzo medio basato sulla presunzione che, nel complesso delle cessioni del periodo, ciascun contribuente abbia conseguito ricavi non inferiori a quelli che avrebbe ottenuto se avesse costantemente praticato quel prezzo (senza dire che le eventuali sfasature possono essere positive o negative sia per il contribuente che per la finanza). Pertanto la norma non vulnera in alcun modo il principio della capacit contributiva, sia perch intrqduce soltanto un criterio presuntivo di accertamento del reddito, pienamente legittimo, siccome il ricorso a presunzioni con1964, n. 15, Foro it., 1963, I, 1529 e 1964, I, 652), sebbene un mutamento di indirizzo si riscontri nella recente sentenza 24 maggio 1979, n. 27, gi citata. La questione dell'impugnazione degli atti normativi delL'Amministrazione molto complessa e meriterebbe un ampio studio. Ci sembra comunque, che sia troppo affrettata ed assoluta, l'affermazione che lo stesso giudice deL rapporto tributario (commissione o A.G.0.) adibito con ricor;so contro !l'accertamento ;possa conoscere deHa lgittimit dei regolamenti e degli atti amministl'ativi generahl.. Se cos fosse, non avremmo degli atti di normazione secondaria, ma deg;ld atti di aocertamento (collettivo) ordinariamente impugnabili, rispetto ai quali non potrebbe minimamente .porsi un problema di riserva di legge. Sembrerebbe pi corretta una diversa impostazione che, riconosciuta la vera natura normativa di questi atti, e quindi L'inesistenza di un diritto soggettivo nei confronti della potest normativa che interviene anteriormente alla RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO sentito in materia fiscale (cfr. Corte Cost., sent. n. SO del 1965 e 109 del 1967); e sia perch venendo quel prezzo applicato al volume degli affari compiuti, l'ammontare dell'imposta resta proporzionale alla quantit di atti economici posti in essere, che nei tributi sugli scambi l'elemento al quale va commisurata la potenzialit economica del contribuente. Infine, l'argomento sub e) -riguardante l'asserita violazione dell'art. 113 per difetto di tutela giurisdizionale - frutto di evidente errore, giacch nel sistema dell'abrogato contenzioso tributario era previsto un apposito procedimento, stabilito con decreto legislativo 3 maggio 1948, n. 799, per le controversie relative al pagamento dell'imposta sull'entrata secondo gli speciali regimi impositivi di cui all'art. 10 del d.l. n. 348, la cognizione delle quali era devoluta, in primo grado, ad una speciale sezione delle commissioni distrettuali e, in secondo grado, alle commissioni provinciali. Con riguardo all'imposta sulle acque minerali e bevande gassate, di cui alla legge n. 110 del 1952, l'applicabilit di tale procedimento stata ribadita dalle Sezioni Unite di questa Corte Suprema (sent. 2042 del 1973); e non contestabile che il ricorso alle commissioni era consentito per contrastare la tassazione in ordine ad entrambi gli elementi concorrenti alla determinazione dell'imponibile, cio per denunziare l'eventuale errore della finanza sia quanto al volume di affari realizzato dal contribuente e sia quanto all'ammontare del prezzo medio come sopra stabilito (cfr. la sent. della Corte Costituzionale n. 129 del 1969). Ci senza dire che, per le controversie in materia di I.G.E. diverse da quelle in oggetto, non attribuite, cio, allo speciale contenzioso anzidetto, la tutela giurisdizionale era assicurata attraverso il ricorso al giudice ordinario, in tal caso competente, ai sensi dell'art. 28 r.d.l. 7 agosto 1936, n. 1639, anche sulle questioni di estimazione semplice (Corte Costituzionale, sent. n. 83 del 1968). -(Omissis). costituzione del rapporto giuridico di imposta, ammettesse l'impugnazione in via principale innanzi al giudice amministrativo, alr fine deWannu1lrunento, del- 1'atto amministrativo emanato facendo cattivo uso di un potere conferito dalla legge. E cos tutta la noxmazione tributaria secondaria, sia quella proveniente dag1i enti locati territoriaH che disciplinano i tributi ~ocali (tariffe e regolamenti) o stabiLiscono un elemento impositivo dei tributi eraria1i (aHquota dell'LLOR e de11'INVIM) sia quella proveniente dalk> Stato (sono numerose le norme di legge, specie per L'IVA e de imposte doganalri, che prevedono una integrazione normativa rimessa a1l'amministrazione) verrebbe in modo omogeneo ed ordinato ricondotta nel filone dell'impugnazione dei regolamenti che, nelle materie diverse dai tributi, sempre stata ritenuta 1soggetta alla giurisdizione amministrativa. C. BAFILE PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 163 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 8 giugno 1979, n. 3253 -Pres. Mirabelli -Est. Cantillo -P. M. Caristo (conf.) -Soc. SALGA (avv. Cagliati Dezza) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Camerini). Tributi erariali diretti -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Sopravvenienze attive -Versamenti dei soci in proporzione alle quote di partecipazione nella societ -Conferimento anomalo nel patrimonio Non costituisc,e reddito per la societ. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 81, 83 e 106). Non costituiscono sopravvenienza attiva i versamenti eseguiti dai soci in proporzione alle quote di partecipazione in societ di capitali, destinati ad incrementare il patrimonio (1). (omissis) Con il primo motivo di ricorso la societ S.A.L.G.A., denunziando la violazione dell'art. 106 t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, anche in riferimento all'art. 83 dello stesso t.u., nonch difetto di motivazione, critica la decisione impugnata per avere ritenuto tassabili con l'imposta di ricchezza mobile, nei confronti della societ, le somme alla stessa versate dai soci in proposizione delle rispettive quote di partecipazione. Sostiene che questi contributi realizzavano apporti di capitale, per giunta diretti non al ripianamento di per~ite dell'esercizio, ma alla formazione di nuovi fondi dello stato patrimoniale, e perci non davano luogo a sopravvenienze tassabili come reddito. La censura fondata. Per intendere esattamente i termini della questione che essa suscita, la quale attiene alla delicata problematica sull'imponibilit delle sopravvenienze attive con l'abrogato tributo mobiliare, opportuno precisare che -secondo quanto risulta dalla decisione impugnata -il consiglio di amministrazione della S.A.L.G.A., con deliberazione dell'll dicembre 1965, tenuto conto dei mediocri risultati della gestione e delle necessit finanziarie dell'impresa, invit gli azionisti a versare la complessiva somma di L. 78.000.000 in proporzione dell'ammontare delle azioni di ciascuno ed a fondo perduto, nel senso che i contributi erano irripetibili e infrutti(' 1) La decisione ritiene gi contenute nel sistema normativo del t.u. del 1958 Le regole oggi eSiIJressame~te enunciate negli artt. 55 e 64 deI d.P.R. n. 597/1973 e 5 del d.P.R. n. 598/,1973. Invero quaLche perplessit permane sia sul1'assimilazione dei versamenti volontari al soprapprezzo delle azioni, sia sull'ammissibilit di conferimenti anomali ne1 patrimonio (e non nel capitale) che non siano giustificati da particolari situazioni (quale appunto il sovrapprezzo delle azioni), sia swla distinzione, artificiosa e suscettibile di facili mascheramenti, fra conferimenti nel patrimonio e contributi nell'esercizio. La precedente sentenza 18 giugno 1973, RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO feri a tutti gli effetti; che, in base alla medesima deliberazione, la somma era destinata a far parte del patrimonio sociale, dovendo essere imputata per met al fondo spese futuri impianti e per l'altra met al fondo di riserva straordinaria, salva l'eventuale destinazione a capitale sociale in relazione alla futura legislazione delle societ azionarie; e che tutti i soci aderirono alla delibera e versarono i contributi, i quali furono contabilizzati allo stato patrimoniale nel modo stabilito. Ci posto, anzitutto agevole cogliere l'equivoco in cui incorsa la Commissione centrale allorquando ha argomentato la tassabilit della contribuzione con diretto riferimento alla sentenza di questa Corte Suprema n. 1768 del 18 giugno 1973. Nella vicenda allora considerata, infatti, i versamenti a fondo perduto erano stati effettuati dai soci nel corso dell'esercizio annuale e senza vincoli di destinazione, a ripianamento di perdite, venendo imputati al conto dei profitti e delle perdite; e costituivano, quindi, un'entrata liberamente disponibile dal percipiente, che -come ogni altra conseguita durante l'esercizio -aveva influenzato positivamente il risultato della gestione, esaurendo i suoi effetti nel determinare il saldo attivo del bilancio dell'esercizio medesimo. Nella specie, invece, le somme sono state versate su deliberazione della societ e con un preciso vincolo di destinazione, in forza del quale sono stati accreditati allo stato patrimoniale, gravando il passivo del bilancio, e perci non hanno in alcun modo influenzato il risultato della gestione annuale (che si chiusa in perdita). Si tratta, quindi, di fattispecie diverse, ritenute non omogenee nello stesso precedente sopra ricordato (nonch dalla sentenza n. 2165 del 24 luglio 1973, relativa alla medesima vicenda), che appunto ha avuto cura di distinguere i versamenti dei soci effettuati a copertura di perdite dell'esercizio da quelli destinati, invece, ad incrementare il patrimonio sociale (c.d. contributi in conto capitale, espressione impropria che designa l'affinit di funzion con i veri e propri conferimenti); e di questa seconda ipotesi non si affatto occupato, motivando, anzi, la tassabilit dei contributi del primo tipo in relazione a caratteristiche che non si riscontrano negli n. 1768 (Giur. it., :1973, I, :1, 11552), pur con alicune differenziazioni, aveva ben diversamente impostato il problema. SuHa base di quanto affermato nella sentenza, si deve per ritenere che i versamenti, in quanto conferimenti nel patrimonio siano soggetti a11'imposta di registro; ci stato puntualmente affermato con la sentenza 6 ottobre 1976, n. 3286 (in questa Rassegna, 1977, I, 1161, alila cui annotazione 'si rinvia); e per questi veusamenti non si ,pone nemmeno il prob1ema dehleol ricorso in esame stato gi esaminato e risolto da questa Corte, in linea di massima, in relazione alle entrate degli enti pubblici non economici e alla loro tassabilit ai fini dell'imposta di R.M., con la sentenza n. 3352 del 9 ottobre 1976, nonch, specificamente in relazione agli Istituti autonomi per le case popolari, (1) Si conferma la decisione 9 marzo 11979, n. 11479 (in questa Rassegna, 1979, I, 524) con d'ulteriore precisazione che sono tassabiH i proventi conseguiti con 1a costruzione di aHoggi per conto dello Stato. Resta va11da l'osservazione che .se con la gestione degli a11oggi InaCasa un utile viene conseguito (diversamente non nascerebbe problema di tassibi1it) questo dovrebbe egua1mente essere aS1Soggettato alL'imposta. Per !'a tassabilit dei redditi deiji IAC.P. realizzati con 1a cessione in propriet degli alloggi v. Cass. 22 settembre 1978, n. 4248, in questa Rassegna, rl9'i19, I, 193. 14 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO con le pi recenti sentenze n. 4248 del 22 settembre 1978 e n. 1480 del 9 marzo 1979, giurisprudenza dalla quale questa Corte non ritiene di discostarsi, non avendo il ricorrente proposto nel ricorso questioni sostanzialmente diverse da quelle gi affrontate e risolte con le suddette decisioni. Presupposto della tassazione in esame, infatti, unicamente la produzione di un reddito di qualsiasi specie, non specificamente tassabile con altra imposta diretta, concetto questo che, nella sua ampiezza, comprende anche (seppure in parte, come si vedr) i redditi in questione; n il fine di lucro previsto (salvo che per introiti non constituenti veri e propri redditi periodici, come i proventi speculativi di cui al secondo comma dell'art. 81 del t.u. 645 del 1958) come presupposto dell'imposta; questa, invero, non intesa a colpire sempre e soltanto i redditi derivanti dall'esercizio di un'impresa, perch le previsioni contenute nell'art. 85 del suddetto t.u. hanno soltanto carattere esemplificativo, non tassativo. Pertanto, per potersi escludere dalla tassazione una entrata di un ente pubblico non economico necessario o che si tratti di reddito di soggetto fruente di esenzione soggettiva (il che da escludersi nel caso di specie, non rientrante nelle previsioni di cui all'art. 84 del t.u., le cui norme, in quanto di carattere eccezionale come ogni norma agevolatrice in materia fiscale, non sono estensibili oltre i casi espressamente regolati) o che la entrata sia del tutto sottratta alla disponibilit del soggetto che lo percepisce e che non pu essere tassato non in forza di esenzione ma in quanto, in concreto, da escludersi che si sia in presenza di un vero e proprio reddito. Il che, come questa Corte ha osservato nelle sentenze innanzi ricordate, si verifica solo allorch sussista un vincolo di legge che ancori intensamente gli introiti degli enti pubblici non economici, derivanti dalla loro attivit istituzionale, alla copertura delle spese di tale attivit nello esercizio successivo e alla riduzione dei costi di gestione, mentre in ogni altro caso gli introiti stessi, in quanto liberamente utilizzati, sono soggetti a tassazione. Le diverse ragioni addotte dal ricorrente a sostegno della tesi della intassabilit degli introiti non appaiono fondate: non quella relativa al richiamo dell'art. 37 del r.d. 28 aprile 1938, n. 1165, trattandosi di norma che non vincola affatto le entrate degli Istituti, ma disciplina il diverso problema degli utili spettabili ai soggetti che abbiano contribuito alla formazione del capitale degli Istituti medesimi stabilendo una percentuale massima di interessi remunerativi del capitale versato e disponendo norme per la restituzione delle somme erogate in caso di liquidazione; non il richiamo all'art. 19 dello statuto dell'ente, sia perch trattasi di questione nuova, non sottoposta all'.esame della Commissione Centrale delle Imposte, sia perch trattasi di argomento non di mero diritto, in quanto investe una indagine di merito sulla normativa di detto Statuto, sottratta a questo giudizio di legittimit; non, infine, il principio dell'unicit del bilancio, principio introdotto dalla legge n. 1 del 1956 unicamente ai fini delle modalit della tassazione, come criterio PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA soltanto formale che non assurge certo a valore di criterio di unicit della tassazione, la quale va comunque fatta in modo analitico in relazione alle varie poste del bilancio, delle quali alcune possono risultare tassabili ed altre no. In base a quanto finora osservato, vanno esaminate le singole entrate in questione, per accertare quale di queste risulti vincolata nel modo innanzi precisato e sia quindi non sottoponibile a tassazione; e va di conseguenza escluso che ci possa ritenersi in relazione ai compensi spettanti all'Istituto per costruzione e direzione di lavori di nuove costruzioni per conto dello Stato, in quanto le norme che prevedono tale attivit (art. 11, secondo comma, della legge 29 febbraio 1949, n. 43; art. 4 della legge 30 dicembre 1960, n. 1676; art. 27 della legge 14 febbraio 1963, n. 60) si limitano unicamente a prevedere la possibilit dell'affidamento agli istituti case popolari della costruzione di abitazioni, fissando all'uopo un compenso, senza peraltro nulla stabilire in merito alla destinazione, da parte degli Istituti, del compenso cos percepito. Diverso discorso va fatto, invece, per l'affidamento agli Istituti della gesti6ne di alloggi da locarsi per conto dello Stato. In tal caso, per quanto attiene al reddito derivante dai canoni di locazione dei fabbricati costruiti dallo Stato per alloggi ai senza tetto, va osservato che l'art. 55 del d.l.C.p.S. 10 aprile 1947, n. 261, stabilisce che i canoni di locazione riscossi dagli istituti vanno determinati in relazione della somma occorrente per spese generali e di manutenzione ordinaria e straordinaria, ma non impone alcun vincolo di specifica immediata destinazione improduttiva all'eventuale supero del gettito dei canoni rispetto alle spese eventualmente preventivate in eccedenza alla loro concreta successiva erogazione, sicch (detratta naturalmente la quota di interessi nella misura dello 0,50 % da versarsi al Tesoro dello Stato) gli Istituti ben possono trovarsi in possesso di somme costituenti un utile, liberamente disponibili e come tali assoggettabili all'imposta di R.M. Al contrario, per quanto attiene al reddito derivante dalla gestione di alloggi, per conto dell'INA-Casa o della successiva gestione Gescal, i proventi costituenti l'avanzo netto di gestione sono indisponibili, essendo previsto dall'art. 19 della legge 28 febbraio 1949, n. 43, che l'avanzo deve essere versato annualmente dall'ente amministratore alla gestione suddetta, per cui nessuna somma resta nella disponibilit degli Istituti e nessun reddito tassabile viene quindi a concretizzarsi a loro favore. La decisione impugnata, pertanto, mentre non merita censura per quanto attiene alla dichiarata tassabilit dei redditi derivanti dai compensi per costruzione di alloggi, va cassata in relazione alla pronuncia di tassabilit dei redditi derivanti dagli introiti di locazione di alloggi non di propriet degli Istituti ricorrenti, essendo necessario che sul punto si accerti di quali fabbricati si tratti e cosa prevedano le relative norme che disciplinano l'affidamento agli Istituti della gestione delle locazioni, dovendosi riconoscere, all'esito, 176 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 176 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO la intassabilit dei redditi per quanto attiene ai proventi delle locazioni degli immobili dell'Ina-Casa o della gestione Gescal o di altri tassati con norme che escludano completamente la disponibilit, da parte degli istituti, dei ricavi netti di gestione, secondo quanto innanzi enunciato, e dovendosi dichiarare, invece, la tassabilit degli eventuali ricavi netti di altre gestioni di locazioni i cui introiti non siano altrettanto rigidamente vincolati. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 10 luglio 1979, n. 3955 -Pres. Mirabelli -Est. Falcone -P. M. La Valva (diff.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Camerini) c. Cassa credito imprese artigiane di Catania (avv. Passanisi Spedalieri). Tributi erariali indiretti -Imposte in surrogazione del bollo e del registro -Credito a medio e lungo termine -Regime sostitutivo -Operazioni su cambiali -Sono ricomprese. (1. 27 luglio 1962, n. 1228, art. 1). Il regime sostitutivo stabilito nell'art. 1 della legge 27 luglio 1962, n. 1288, per il credito a medio e lungo termine ricomprende anche le operazioni su cambiali e le relative garanzie, semprech collegate ad operazioni di finanziamento (1). (Omissis). -Con unico motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione dell'art. l, terzo comma, lett. a), della legge 27 luglio 1962, n. 1228, nonch l'omissione o, quantomeno, l'insufficienza e la contraddittoriet di motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione ai nn. 3 e 5 dell'art. 360 c.p.c., l'Amministrazione delle Finanze critica la decisione impugnata per avere ritenuto che l'imposta sulle ipoteche accese a garanzia delle cambiali rilasciate dal mutuatario a favore della Cassa regionale ;per il credito alle imprese artigiane, sia assorbita dall'imposta sostitutiva prevista dalla ricordata norma della legge 27 luglio 1962, n. 1228. La questione che il ricorso ripropone stata gi sottoposta all'esame di questa Corte, che ha ritenuto fondata la tesi sostenuta dall'amministrazione ricorrente con tre sentenze in pari data (Cass., 18 novembre 1977, nn. 5048, 5049, 5050), ma la soluzione gi accolta, dopo (:1) Viene decisamente ripudiata la statuizione di cui a~le 'sentenze 18 novembre 1977, n. 5048, 5049 e 5050 (in questa Rassegna, 1978, I, 237). Una volta riiconfermata la necessit deL finanziamento (Cass. 1U maggio ,1976, n. 1665, ivi, 1976, I, 1021) pu essere oggettivamente difficille verificare H coLlegamento tra cambiali ed una operazione di finanziamento qualificata. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA attenta rimeditazione del problema, non sembra meritevole di conferma. La decisione impugnata, pertanto, anche se sulla base di considerazioni non del tutto coincidenti con quelle esposte nella motivazione che la sorregge, deve essere confermata. Sostiene la ricorrente amministrazione che la denunciata norma della legge . n. 1228 del 1962, prevedendo, tra l'altro, la sottoposizione all'imposta di bollo in misura ridotta delle cambiali emesse da Regioni, Provincie, Comuni e Camere di Commercio, esclude, manifestamente, che possano ritenersi ammesse al regime sostitutivo le cambiali emesse da tali enti e, di conseguenza, le ipoteche accese a garanzia delle stesse; ed aggiunge che, trattandosi di cambiali con garanzia ipotecaria emesse all'ordine, e quindi liberamente trasferibili, senza alcun collegamento con l'originaria destinazione, non poteva configurarsi l'estensibilit alle stesse della agevolazione tributaria concessa per il finanziamento che si era inteso agevolare. La ragione del diniego dell'agevolazione tributaria all'ipoteca cambiaria rilasciata dal titolare dell'azienda artigiana che abbia ricevuto unfinanziamento a medio termine, a favore dell'istituto di credito finanziatore, viene individuata dall'amministrazione ricorrente, sulla base dei precedenti giurisprudenziali ricordati, nel limite che l'art. 1, terzo comma, lett. a), della legge n. 1228 del 1962 avrebbe posto all'applicabilit del regime di sostituzione dell'imposta annua di abbonamento alle imposte indirette relative agli atti di finanziamento compiuti da istituti esercenti il credito a medio termine. La legge 27 luglio 1962, n. 1228, si afferma, ha stabilito un trattamento tributario agevolato per .gli istituti di credito a medio e lungo termine, prevedendo, con l'art. 1, un'imposta annua di abbonamento di quindici centesimi per ogni cento lire dell'ammontare dei crediti esistenti alla fine dell'esercizio per i finanziamenti da essi effettuati e disponendo, tra l'altro, in pari tempo (art. 1, terzo comma, lett. a), che detta imposta sostitutiva di tutte le tasse ed imposte indirette sugli affari relative ai finanziamenti e a tutti i provvedimenti, atti, contratti e formalit relativi ai finanziamenti stessi ed alla loro esecuzione, modificazione ed estinzione, nonch alle garanzie di qualunque tipo, ed aggiungendo, inoltre, che sulle cambiali emesse e sulle delegazioni non negoziabili rilasciate da Regioni, Provincie e Comuni, in relazione ai suddetti finanziamenti, l'imposta di bollo dovuta in misura ridotta (lire cento per ogni milione di lire o frazione) . . La circostanza che l'imposta di bollo gravante sulle cambiali, l'unica cui le stesse, per la loro astrattezza, sono soggette, bench surroghi l'imposta di registro a norma dell'art. 2 della legge 4 aprile 1953, n. 261, esclusa dalle imposte indirette sugli affari di cui l'imposta in abbonamento di cui trattasi sostitutiva, decisiva -si sostiene -per concludere nel senso che il rilascio delle cambiali non pu essere con 178 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO siderato, ai fini che interessano, come atto mirante al finanziamento, ma deve essere ritenuto atto autonomo e distinto da esso, sicch non applicabile alla garanzia ipotecaria che eventualmente assista le cambiali, il trattamento impositivo agevolato della legge n. 1228 del 1962. Questi rilievi non possono essere condivisi poich, legati come sono alla formulazione della norma ricordata (art. 1, terzo comma, lett. a, della legge n. 1228 del 1962), non risultano fondati in relazione a quanto dispone il quarto comma dello stesso art. 1 della legge n. 1228 del 1962, con specifico riferimento al particolare regime d'imposta sostitutivo, relativo agli atti di alcuni istituti di credito, particolare regime che deve, invece, trovare applicazione nella specie. Recita, infatti, il ricordato quarto comma dell'art. 1, per quanto qui interessa, che: nei confronti degli istituti di credito costituiti ai sensi... del d.l.C.p.S. 15 dicembre 1947, n. 1418... l'imposta di abbonamento di cui al primo comma sostitutiva anche delle tasse e delle imposte indirette sugli affari relative agli altri atti da essi compiuti in conformit delle norme legislative che li reggono e degli statuti, con esclusione... del bollo sulle cambiali, per il quale si applica il comma terzo. Conviene, anzitutto, ricordare che con il d.lgs.C.p.S. n. 1418 del 1947 fu istituita, presso l'Istituto di credito delle Casse di risparmio italiane, una Cassa per il credito alle imprese artigiane, con il fine dell'esercizio del credito alle imprese artigiane, che era autorizzata, altres, ad assumere partecipazioni in enti di natura commerciale svolgenti attivit nel campo dell'artigianato ed a concorrere alla creazione ed allo sviluppo di iniziative in favore della produzione artigiana, utilizzando le disponibilit provenienti dal fondo di dotazione, dalle anticipazioni ottenute, dal risconto e da altre operazioni previste dallo Statuto od autorizzate dal Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio (art. 3). Deve essere, ancora, rammentato che detta Cassa godeva, per le operazioni anzidette, e per gli atti ad esse relativi, di un regime agevolato consistente nell'esenzione da ogni imposa con l'obbligo di corrispondere all'Erario una quota di abbonamento annuo in ragione di. dieci centesimi per ogni cento lire di capitale impiegato accertato alla fine di ogni esercizio (art. 8). ancora da aggiungere che, con la legge 25 luglio 1952, n. 949, la Cassa anzidetta fu trasformata in istituto di finanziamento degli istituti e delle aziende di credito autorizzati alle operazioni di credito alle imprese artigiane, al fine di integrare le disponibilit finanziarie di questi enti destinate a detto scopo (art. 33), con l'espresso divieto di raccogliere risparmio sotto qualsiasi forma e di effettuare direttamente nuove operazioni di finanziamento alle imprese artigiane (art. 34, sesto comma). Con la stessa legge (art. 41) le agevolazioni di cui godeva la Cassa, in virt del menzionato art. 8 del d.lgs. n. 1418 del 1947, furono estese, PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA con alcune integrazioni, alle operazioni che gli istituti e le aziende di credito erogatori del credito a medio termine alle imprese artigiane erano autorizzate a compiere con la Cassa medesima (praticamente tutte le aziende di credito per il rinvio dell'art. 35 della legge n. 949 del 1952 all'art. 5 del r.d.l. 12 marzo 1936, n. 375 e successive modifiche, convertito nella legge 7 marzo 1938, n. 141). Questo regime tributario stato, come si detto, sostituito da quello dettato dall'art. 1, quarto comma, della legge n. 1228 del 1962, il quale applicabile alla specie perch alle operazioni ed agli atti compiuti dalla Cassa Regionale per il credito alle imprese artigiane attuale resistente, la relativa legge istitutiva della Regione Sicilia in data 27 dicembre 1954, n. 50, aveva dichiarato applicabili le norme previste dall'art. 41 della legge nazionale 25 luglio 1952, n. 949, innanzi ricordata, e dell'art. 8 del d.lgs. n. 1418 del 1947, in esso espressamente richiamato. Orbene, agevole rilevare come la norma dell'art. 1, quarto comma, della legge n. 1228 del 1962, abbia una portata diversa e pi ampia di quella dettata nel terzo comma -di cui la sentenza impugnata e le precedenti sentenze di questa Corte hanno fatto applicazione -perch, nell'indicare le tasse ed imposte indirette di cui l'imposta in abbonamento prevista al primo comma sostitutiva, si esprime ~nel senso che essa sostitutiva anche -e cio in aggiunta a quanto considerato nel precedente terzo comma, lett. a) -delle tasse ed imposte indirette sugli affari relative agli altri atti compiuti in conformit delle norme legislative e degli statuti che regolano gli istituti di credito cui tale norma applicabile, sempre, come stato osservato (Cass., 12 maggio 1976, n. 1665), che siano strettamente collegati alle operazioni di finanziamento. bens vero che anche il quarto comma esclude dal regim cos precisato l'imposta di bollo sulle cambiali, ma, nel diverso contesto in cui collocata, questa esclusione non consente di argomentare nel senso che il rilascio di cambiali considerato come atto autonomo e distinto dai finanziamenti sicch, a parte il regime del bollo, alle ipoteche concesse a garanzia delle cambiali rilasciate dai mutuatari non possa ritenersi esteso il regime agevolato. E ci in quanto il limite di applicabilit di questo regime stabilito espressamente e positivamente con riferimento a tutti gli atti che gli istituti esercenti il credito artigiano, a medio termine, possono legittimamente porre in essere. Occorre, pertanto, verificare se, alla stregua della normativa in ma teria e di quella che regge l'ente (norme legislative e statuto), sia con sentito l'erogazione del credito alle imprese artigiane contro il rilascio di cambiali da parte dei mutuatari; perch, in caso di risposta positiva al quesito, il regime sostitutivo d'imposta relativo alle garanzie di qua lunque tipo e da chiunque prestate (art. 1, quarto comma, lett. a) non RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO pu non ritenersi esteso anche alla garanzia costituita dall'ipoteca che assiste le cambiali rilasciate in occasione del finanziamento. Ed al riguardo agevole constatare come la normativa in materia di credito all'artigianato (come di credito alle medie e piccole industrie) preveda espressamente che le operazioni di finanziamento a medio termine avvengano sia con rilascio di effetti cambiari da parte dei mutuatari, sia in forme non comportanti il rilascio di detti titoli (art. 34, legge 25 luglio 1952, n. 949), sicch, qualora legittimamente avvengano nella prima forma, non pu essere negata l'agevolazione tributaria sia al finanziamento sia all'ipoteca che assiste le cambiali, in applicazione dell'espressa estensione di tale agevolazione alle garanzie di qualunque tipo e da chiunque prestate. N pu essere utilmente invocato il principio, affermato da questa Corte, secondo cui in materia di agevolazione tributaria, l'atto agevolato deve essere soggettivamente idoneo secondo la propria intrinseca natura, ad assicurare la sua destinazione all'attuazione del fine voluto dalla legge di agevolazione senza possibilit di utilizzazione per scopo diverso, sicch inapplicabile l'agevolazione all'atto di costituzione di ipoteca a garanzia di un mutuo cambiario, quando l'ipoteca annotata sulla cambiale si trasferisca con la girata della cambiale, dando luogo alla possibilit di utilizzare la garanzia per fini diversi da quelli dichiarati nell'atto. Conviene, innanzi tutto, precisare che tale principio stato affermato con riferimento alle agevolazioni tributarie per la ricostruzione edilizia (d.l. 7 giugno 1945, n. 322; Cass., 7 settembre 1970, n. 1248) ed ai mutui stipulati per le costruzioni di case di abitazione non di lusso (legge 2 luglio 1949, n. 408; Cass., 25 ottobre 1956, n. 3935; 7 maggio 1974, n. 1275; 8 ottobre 1976, n. 3331), e cio con riguardo a fattispecie di agevolazione fiscale nelle quali manca la previsione normativa del rila scio di cambiali in relazione all'atto agevolato, previsione esistente, invece, come si detto, nell'ipotesi che si esamina. E deve essere chiarito, senza che sia necessario estendere l'indagine oltre l'ambito della questione in same, che la ragione giustificatrice del principio giurisprudenziale di cui trattasi, manca nella specie, poich la Cassa Regionale per il credito alle imprese artigiane, attuale resistente, un ente pubblico (art. l, ultimo comma, della legge istitutiva della Regione Sicilia 27 dicembre 1954, n. 50), i cui scopi sono determinati dalla legge istitutiva e limitati a quelli di favorire lo sviluppo delle imprese artigiane mediante il finanziamento degli istituti e delle aziende (di cui al successivo art. 4) al fine di integrarane le disponibilit finanziarie destinate alle operazioni di credito di esercizio, e di concedere garanzia in favore delle aziende di credito di cui all'art. 35 della legge n. 949 del 1952 operante in Sicilia, che in applicazione di detta legge effettuino operazioni in favore di artigiani operanti nella regione; e ci PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 181 con un patrimonio costituito da un fondo di dotazione apportato dalla Regione Siciliana e da istituti di credito (art. 2), e con un fondo a garanzia versato dalla Regione Siciliana (art. 3); sicch alla stessa inibita espressamente la raccolta di risparmio (art. 12). Pertanto, la possibilit della messa in circolazione delle cambiali da essa ricevute in relazione ad operazioni di finanziamento ad imprese artigiane per il compimento di attivit imprenditoriali con diversa finalit deve ritenersi esclusa. Il ricorso deve, in conclusione, essere respinto. Ricorrono motivi, anche in relazione alla precedente giurisprudenza di questa Corte, che giustificano la compensazione delle spese di questa fase del giudizio. (omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 21 luglio 1979, n. 4375 -Pres. Mirabelli -Est. Battimelli -P. M. Grossi (conf.) -Soc. CORBAR (avv. FoI1llliggini) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Angelini Rota). Tributi erariali indiretti -Imposta di registro -Agevolazione per le case di abitazione non di lusso -Rapporto fra superfici -Piani sopraterra -Nozione. (1. 2 luglio 1949, n. 408, art. 13). Tributi erariali indiretti -Imposta di registro -Agevolazione per le case di abitazione non di lusso -Rapporto fra superfici destinate ad abitazioni e n,egozi -Criteri -Concetto di destinazione. (I. 2 luglio 1949, n. 408, art. 13). Ai fini del computo della superficie totale dei piani sopra terra di unico edificio costruito fra strade a livelli diversi, per unico edificio deve intendersi il complesso della costruzione rispetto all'area coperta anche se appartenente a diversi proprietari, e per piani fuori terra tutti quelli che sono al livello dell'ingresso all'edificio dalla strada inferiore (1). Agli effetti dell'agevolazione della legge 12 luglio 1949, n. 408, necessario che almeno il 50 % della superficie totale sia destinato ad abitazione e non pi del 25 % ad uffici e negozi, mentre la parte residua pu avere destinazioni varie purch diverse da uffici o negozi. Per stabilire la destinazione non rilevante l'uso a cui i locali siano stati concretamente adibiti, dovendosi tener conto soltanto dell'intrinseca atti (.1-2) Una serie di utili ed esatte precisazioni. Su1la .prima massima v. Cass. 14 lugHo 1977, n. 3169, in questa Rassegna, 1977, I, 719. SuHa seconda massima le sent., citate nel testo, 9 giugno 1977, n. 2373 e 10 marzo 1978, n. 1210 in Riv. leg. fisc., 1977, 1913 e 11978, 1051. 182 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO tudine dei vani costruiti secondo la struttura e la funzionalit dell'edificio al momento della sua utiliz,zazione e del suo accatastamento, indipendentemente dal progetto o da autorizzazioni amministrative successive alla costruzione (2). (Omissis). -Il primo motivo di ricorso solo in parte fondato, per quanto attiene alla denunzia dell'errore di calcolo nella verifica del rispetto delle proporzioni imposte dalla legge fra superfici destinate ad abitazione e superfici destinate ad uffici o negozi, mentre per il resto va disatteso. Non condividibile, infatti, la tesi della societ ricorrente, secondo cui, trattandosi di edificio costruito su di un suolo in pendio fra due strade a diversa altezza, la superficie dei vani sopra terra doveva calcolarsi a partire dal livello della strada superiore, rispetto alla quale il resto della costruzione, destinata ad autorimessa, doveva considerarsi come superficie interrata. Come gi questa Corte ha avuto occasione di affermare (sent. n. 3169 del 14 luglio 1977), qualora un edificio unico (sul punto si ritorner nell'esame di altra questione sollevata con lo stesso motivo di ricorso) sia costruito fra strade a eriore de1le Acque Pubbiiche, qua1e Giudice Amministrativo, in cognizione diretta, deg1i interessi fogittimi. Non aippare, perci, esatta Ji'affermazione fatta, nella sentenza che si annota, secondo cui l'art. 2 del testo unico del 1904 considera l'attivit svolta dall'amministrazione in materia di opere reputate dannose per il buon regime delle acque pubbliche prevalentemente se non esclusivamente con riguardo all'ipotesi che essa formi oggetto di contestazione. La portata deI detto art. 2 di ben pi vasto e importante rilievo. Con esso si attribuisce a11a PubbHca .Amministrazione e precisamente aLl'Amministrazione dei Lavori Pubblici il potere di statuire e provvedere, anche in caso di contestazione, sulle opere di qualunque natura che possono avere relazione col buon regime delle acque pubbliche. Tale attribuzione di poteri del tutto normate e si inquadra nei prindpi che regolano la ripartizione deHe competenze fra i poteri deLlo Stato, per cui 'la comipetenza in materia di tutela del buon regime deLle acque pubblriche non pu che essere attribuita a1 potere esecutivo. Naturale conseguenza de1 potere attribuito a11a Pubbhlca Amministrazione sono Le ulteriori di1sposizioni contenute nell'art. 2 in discussione, secondo Le quali: Tutte le contestazioni relative saranno regolate dall'autorit amministrativa, salvo il disposto dell'art. 25, n. 7, della legge 2 giugno 1889, n. 6166. Spetta pure all'autorit amministrativa, escluso qualsiasi intervento dell'autorit giudiziaria, riconoscere, anche in caso di contestazione, se i lavori rispondono allo scopo cui debbono servire e alle buone regole d'arte. Di fronte a1 potere attribuito alla Pubblka Amministrazione daLl'art. 2, alle :posizioni subiettive dei :proprietari finitimi, i quali subiscano, eventuaLmente, danni daLla costruzione, conservazione, modificazione e distruzione di opere idrauliche, ivi comprese le arginature di corsi di acqua, non rp.u essere riconosciuta che Ia tutela riservata agli interessi legittimi, come dimostrato dal 202 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Per quanto concerne la mteria delle acque pubbliche, il problema legislativamente risolto, perch l'art. 140 del t.u. approvato con r.d. 11-dicembre 1933, n. 1755, alla lettera d) attribuisce alla competenza dei tribunali delle acque le controversie riguardanti le indennit previste dall'art. 46 della legge 25 giugno 1865, n. 2359, in conseguenza dell'esecuzione o manutenzione di opere idrauliche, di bonifica e derivazione o utilizzazione delle acque (4). <(omissis) Con il pdmo motivo del ricorso .principale il Ministero dei lavori pubblici -deducendo violazione dell'art. 2 del testo unico richiamo che, nel testo ongmario dell'art. 2, fatto al!la competenza, anche per i1 merito, de1 Consig1io di Stato, stabilita, in materia di opere idrauiiche, daH'art. 25, n. 7, del t.u. 2 giugno 1889, n. 6166, e dalla competenza, successivamente attribuita a1 Tribunale Superiore in cognizione diretta, nella detta materia, con l'art. '143, lett. b, del t.u. aipprovato con r.d. il1 dicembre 1933, n. 1775. da ritenere che tale tuteJ.a venga assicurata sotto un dup,1ice profilo: in primo luogo, in considerazione che, non sussistendo in detti proprietari un diritto aJ.la conservazione, modificazione o d1struzione di opere idrauliche, gli interessi dei proprietari indicati vengono occasionalmente protetti in relazione alla tutela del pubb1ico interesse che l'attivit de1la Pubblica Amministrazione persegue; in secondo luogo, in considerazione che, venendo i provvedimenti al riguardo adottati da11a Pubblica Amministrazione ad incidere su1 diritto di propriet dei confinanti, tale diritto si affievo11sce e ad esso non pu che essere riconosciuta la tutela che il nostro ordinamento riconosce ai diritti affievoliti. La Cor.te di Cassazione ha costantemente affermato, cos interpretando l'art. 2 del t.u. sulle opere idrauliche: che la disposizione fondamentale dettata dall'art. 2 del r.d. 25 luglio 1904, n. 523, attribuisce, anche attraverso le modificazioni apportate dalle leggi successive (l. 13 luglio 1911, n. 774; art. 140 e 143 t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775), alla P.A. il potere esclusivo di stabilire e di provvedere in materia di pere di qualsiasi natura (compiute da privati e, secondo una contrastata interpretazione estensiva, anche dalla stessa P.A. e dai suoi concessionari) che possono avere relazione col buon regime delle acque pubbliche e con gli interessi connessi a tali acque (primo comma articolo citato) e di ordinare la modificazione, cessazione, distruzione di atti e fatti dannosi al regime delle acque pubbliche (secondo comma dello stesso articolo), con la conseguenza che per affermare la giurisdizione del Giudice ordinario, non sufficiente che il privato sostenga di essere stato leso dall'atto amministrativo in un suo diritto soggettivo,. ma occorre che esista una normativa, la quale attribuisca alla posizione soggettiva una tutela diretta ed immediata, con esclusione di ogni potere discrezionale della P.A. di incidere su tale posizione; soltanto in tal caso la posizione del privato configurabile come un diritto soggettivo perfetto, laddove, di fronte al potere discrezionale della P.A. la posizione del privato non pu essere che di interesse legittimo (Cass. Sez. Un. Civ. 30 maggio 1417, in questa Rassegna, 1966, I, il379; Sez. Un. Civ. 1 marzo 1949, n. 384; 25 giugno 195Q, n. 11877; 14 maggio 1955, n. 1402; 111 novembre 1959, n. 33411). Con una successiva sentenza, di data di poco posteriore a queHa del!l.a sentenza n. 1417 del 1966, La Corte di Cassazione (1Sez. Un. Civ. 25 luglio 1966, n. 2039, in questa Rass. 1966, I, 1381), pur modificando i.I pro:p.rio orientamento giurisprudenziale (cfr. osservazioni da noi fatte in nota a1le sentenze PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 203 sulle opere idrauliche approvato .con r.d. 25 luglio 1904, n. 523, e conseguente difetto di giurisdizione, in riferimento all'art. 360, n. 1 e 3. c.p.c. afferma che il Tribunale superiore ha erroneamente escluso l'applicabilit alle fattispecie del citato art. 2, ai sensi del quale le contestazioni sull'esercizio, da parte della Pubblica Amministrazione, dei poteri d buon governo delle acque sono sottratte alla cognizione del giudice ordinario. La doglianza infondata. L'art. 2 del testo untico del 1904 -premesso che spetta esclusivamente all'autorit amministrativa statuire e provvedere, anche in caso richiamate in questa Rass., 1966, I, 1380), osservava: Deve essere precisato, quindi, che il provvedimento previsto dal secondo comma dell'art. 2 del t.u. sulle opere idrauliche richiesto, e si pone, come condizione per l'esercizio delle pretese relative in sede giurisdiziona{e ogni volta che venga in discussione la sussistenza, o meno, di un affievolimento della posizione soggettiva vantata dalla controparte, ma non sia richiesto, ed anzi sia inammissibile, quando la pretesa riguardi posizioni non suscettibili di affievolimento, quale , in primo luogo, la pretesa di risarcimento di danni per inosservanza dell'obbligo generale di diligenza, ossia per attivit dannose imputabili a colpa della Amministrazione pubblica. Le disposizioni dell'art. 2 del t.u. sulle opere idrauliche, ed in particolare la disposizione del secondo comma, non costituiscono, dunque, un unicum nel sistema del diritto amministrativo italiano, come l'Amministrazione ricorrente mostra di ritenere, ma contengono null'altro che una riaffermazione, con riferimento alla specifica materia del regime delle acque, del principio generale della insindacabilit dell'attivit amministrativa, nel merito, da parte del Giudice ordinario, unita alla attribuzione del valore di condizione di proponbilit dell'azione in sede giurisdizionale ad un provvedimento relativr a contestazioni che devono preliminarmente trovare soluzione in sede amministrativa. Da tale ultima sentenza sono state esattamente estratte le seguenti massime: Di fronte all'operato della pubblica amministrazione, relativo al regime delle acque .pubbliche, il cittadino portatore di interessi giuridicamente rilevanti e non di mero fatto, che si qualificano come interessi legittimi o diritti soggettivi, a seconda che attengano alla legittimit del provvedimento (sindacabile, anche nel merito, dal Tribunale Superiore delle AA.PP.) o alla violazione di norme elementari di diligenza e prudenza nell'ordinare o eseguire opere per il buon regime delle acque (su cui competente il Tribunale Regionale). Quando la pubblica amministrazione, costruendo essa stessa le opere necessarie (o con ordini a privati), abbia provveduto al buon regime delle acque in violazione delle regole di diligenza e correttezza, il privato pu adire il Tribunale Regionale per il risarcimento del danno senza preventivamente chiedere all'amministrazione stessa il riconoscimento della dannosit delle opere ex art. 2 del t.u. 25 luglio 1904, n. 523 (Foro It. 1967-1-1004). La fattispecie esaminata daHia Corte di Cassazione ne1la sentenza che si annota rientrava indubbiamente neHa ipotesi normativa prevista nel secondo comma deil t.u. sui.Le opere idrauliche: 1'Amministrazione dei Lavori Pubhlid, preposta al!la tutela de1le acque .pubbliche, avendo riconosciuto dannosa al buon regime delle acque 1a arginatura a suo tempo costruita 204 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO di contestazione, sulle opere di qualunque natura, e in generale sugli usi, atti o fatti concernenti il buon regime delle acque pubbliche (comma 1) -precisa che, quando opere usi fatti o atti siano riconosciuti dalla stessa autorit dannosi a tale buon regime, essa sola competente ad oroinarne la modificazione cessazione o distruzione, salva la tutela giurisdizionale dei relativi interessi legittimi (comma 2), e soggiunge che le azioni per risarcimento di danni sono devolute ai giudici ordinari che non possono discutere le questioni gi risolte in sede amministrativa (comma 4). Secondo iJ ricorrente questa norma deve essere interpretata nel senso che all'attivit esercitata dalla pubblica amministrazione per assicurare ai lati deHa Fossa di PoleseHa, ne dispose 1a definitiva demoLizione. G1i argini, infatti, demoliti nel 1951, non sono stati successivamente ripristinati. Di fronte a tale attivit de1la Pubblica Amministrazione non erano ipotizzabi1i, quindi, a norma deU'art. 2 del t.u. su11e opere idrauLiche, secondo La consoHdata giurisprudenza della Corte di Cassazione, diritti subiettivi perfetti, come tali azionabili dinanzi al Giudice Ordinario, sia pure .specializzato. Tali diritti sarebbero stati iipotizzabm nel caso che la attivit de11a PubbHca Amministrazione, inizia1mente legittima, fosse, poi, per colpa, diventata ili1ecita ne11a sua attuazione, cos da vio1are quel genera1e precetto deL neminem laedere, a cui anche 1a Pubblica Amministrazione deve conformare i propri atti, oppure nel caso che l'attivit della Pubblica Amministrazione, da questa ritenuta legittima, fosse stata dichiarata illegittima dal Tribunale Supe! riore de11e AA.PP., cosicch i diritti dei proprietari confinanti, affievoliti dal provvedimento delta Pubblica Amministrazione, avessero tornato a riespandersi, costituendo, cos, 1a giustificazione ed il fondamento di una azione di risarcimento dei danni. Ma nessuna deMe ipotesi indicate si era, neHa fattiJSpecie, verificata. Sulla liceit, infatti, deHa condotta della Pubblica Amministrazione, anche nena sua attuazione, il Tribunale Regioale de1le AA.PP. di Venezia aveva, con la sentenza non definitiva del 7 dicembre 1964,15 marzo 1%5, affermato: La questione che si tratta di esaminare ben diversa e consiste nello stabilire se, nel caso in esame, configurabile una responsabilit della Pubblica Amministrazione non per atto illecito -che fuori discussione -ma per attivit legittima e perci implicante l'obbligo non certo di risarcire i danni, bens, se del caso, di corrispondere una giusta indennit. Su tale punto non vi fu appeLlo da parte deHa Societ FrateLli Graziani. (2-3) Stabilito che L'art. 2 del t.u. sulle opere idrauliche rego1a soltanto la responsabilit del:l:'Amministrazione dei LL.PP. per attivit iHegittima o iHecita, ne deriva che esattamente, ne11a sentenza 1che si annota, si afferma: Non rientra, perci, nell'ambito della previsione legislativa l'ipotesi in cui -ferma restando la legittimit dell'azione amministrativa e, quindi, al di fuori di ogni controversia su di essa -si chieda al Giudice ordinario la tutela del diritto all'in~ennizzo da tale legittima attivit provocato. Ma, a tal punto e dopo che 1a Corte di Cassazione aveva espressamente riconosciuto che, nel caso di specie la demolizione degli argini della Fossa di Polesella era stata certamente decisa dall'Autorit amministrativa in vista del buon regime delle acque, occorreva dimostrare sulla base di qua1i norme e di quali principi l'attivit legittimamente esplicata daWAmministrazione dei Lavo PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 205 il buon regime delle acque -ed in particolare per eliminare le opere con esso contrastanti - del tutto estraneo l'istituto della responsabilit per atti legittimi previsto dall'art. 46 della legge fondamentale sulle espropriazioni per pubblica utilit n. 2359 del 25 giugno 1865: ed invero fra le due disposizioni correrebbe un rapporto di reciprova esclusione, onde l'applicabilit dell'una implicherebbe necessariamente l'accertamento dell'inapplicabilit dell'altra. Questa tesi non tiene conto peraltro della circostanza che l'art. 2 del testo unico del 1904 considera l'attivit svolta dall'amministrazione in materia di opere reputate dannose per il buon regime delle acque pub ri PubbHci, neH'esercizio dei poteri attribuiti dall'art. 2 del t.u. sulle opere idrauliche, potesse dar luogo al riconoscimento dell'indennizzo previsto dall'arti colo 46 deMa Legge fondamentale sulle espropriazioni per pubb1ica utilit. Vi , invece, .sul punto, un iatus, un salto logico, perch La Corte di Cassazione si 1imita ad affermar apoditticamente orbene la riferibilit di tale norma ai danni derivati dalla esecuzione di qualsiasi opera pubblica, pur se non collegata ad una espropriazione per pubblica utilit, principio ormai comunemente condiviso, senza dare alcuna dimostrazione dell'applicabilit del principio anche al caso di .specie, vertente sulla estensione della responsabilit deHa p.a. per atti 'Legittimi aMa ipotesi di attivit Legittimamente esplicata ex art. 2 del t.u. su11e opere 1drauiiche La Corte di Cassazione ha del tutto trascurato di considerare quanto noi avevamo dedotto e che cio, di fronte alila attivit in concreto esplicata, nel caso di 'specie, dalla Pubblica Amministrazione, non erano ipotizzabili, a norma deWa:rt. 2 de1 t.u. sulle opere idrau1iche e secondo la inte:ripretazione che 1a stessa Corte aveva dato a11a norma, diritti subiettivi perfetti, perch talli diritti -come abbiamo in precedenza rilevato -sarebbero stati ipotizzabili nel caso che l'attivit della Pubblica Amministrazione, inizialmente legittima, fos se, poi, per colipa, diventata Hlecita neLla sua attuazione, cos da violare quel generale precetto de1 neminem laedere, a cui anche 1a Pubblica Amministrazione deve conformare i .propri atti, oppure ne} caso che l!attivit del1a Pubblica Ammin~strazione, da questa ritenuta legittima, fosse stata dichiarata iHegittima dal Tribunale Superiore delle AA.PP., cosicch i diritti dei proprietari confinanti, affievoliti dal provvedimento de11a Pubblica Amministrazione, avessero tornato a riespandersi, costituendo cos 1a giustificazione ed il fondamento di una azione di risarcimento danni. E, se di contro alfa attivit della Pubblica Amministrazione non era ipotizzabile la susisistenza di diritti, perch l'Amministrazione aveva adottato legittimamente il provved~mento, con il quale i diritti stessi avevano subito un affievoLimento, non si comprende come potesse trovare aip,plicazione anche nel caso di specie, anche, cio, di fronte ad una attivit Legittimamente esp1icata ai sensi de11'art. 2 deb t.u. sullie opere idraulkhe, L'art. 46 della legge 25 giugno 1865, n. 2359, che testuafu.nente dispone: dovuta una indennit ai proprietari dei fondi, i quali dall'esecuzione dell'opera di pubblica utilit vengono a soffrire un danno permanente derivante dalla perdita o dalla diminuzione di un diritto. Se non c', .cio, un diritto da indennizzare, non pu essere riconosciuto un indennizzo. La Corte di Cassazione ha affermato, con La richiamata sentenza n. 2039 de1 25 luglio 1966, che, salrvo che si versi in re illicita, per vioLazione del prin 16 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO bliche prevalentemente se non esclusivamente con riguardo all'ipotesi che essa formi oggetto di contestazione: ed infatti La norma riserva la definizione delle relative controversie alla pubblica autorit, con provvedimenti impugnabili dinanzi la giurisdizione amministrativa, e preclude al giudice ordinario -il cui intervento limitato al solo caso che l'attivit abbia assunto il carattere di illecito, cos provocando danni risarcibili -l'esame di questioni gi risolute in via amministrativa. Non rientra perci nell'ambito della previsione legislativa l'ipotesi in cui -ferma restando la legittimit dell'azione amministrativa, e quindi al di fuori di ogni controversia su di essa -si chieda al giudice cipio dd neminem laedere, spetta aH'Amministrazione iprerposta a~la tutela del buon regime deHe 'acque pubbliche il potere di affievolire i diritti dei proprietari docostanti. N pu ritenersi, in mancanza di esplicita di.JSposizione di legge, che, come nel caso della espropriazione iper pubblica utihlt, i diritti rea1i o di godimento, spettanti ai proprietari si trasformino in diritti di credito, in diritti ad una indennit. Per vero, come riferisce A. D. Giannini in un interessante studio sui Poteri amministrativi e competenza giudiziaria nel regime delle acque pubbliche (Il Diritto dei beni pubblici, 1939, pag. 16), in un primo tempo, infatti, muovendosi dal principio ancor oggi dominante, che il privato, il quale abbia risentito un danno dall'esecuzione di un'opera pubblica, non pu chiederne il rifacimento con l'ordinaria azione aquiliana, ma ha diritto ad un adeguato indennizzo, in applicazione analogica dell'art. 46 della legge sulle espropriazioni per pubblica utilit, qualora dimostri l'esistenza di un nesso di causalit fra la costruzione o la gestione dell'opera e il danno, se ne dedusse, bench con scarsa coerenza logica, che l'azione di danno in dipendenza dell'esecuzione di un'opera idraulica dovesse ritenersi indipendente dalla decisione amministrativa circa la legittimit o la dannosit dell'opera (Cass. P<>ma -Sez. Un. 9 settembre 1886 -in Foro lt. 1887, I, IH; 19 settembre 18911, ivi, 1892, 257; 29 dicembre 1897, in Giurispr. it. 1898, I, 1 63; 20 lugHo 1901, ivi, 1901, I, :1, 1030; '10 dicembre 1903, ivi, 1904, I, .1, 108). Ma si tratt di un timido tentativo, effettuato, come dice H Giannini, con scarsa .coerenza logica, cos come arppare chiaro daHa motivazione, estrema mente succinta, certamente non convincente, adottata (Ed anche nel caso di opere idrauliche costruite dallo Stato nell'interesse generale, se non pu al privato competere l'azione di danni nei termini dell'art. 1151 del codice civile, secondo la giurisprudenza della Corte Suprema pu certamente competergli per ragioni analoghe a quelle cui sono informate le disposizioni della legge sulle espropriazioni per causa di pubblica utilit, quando per le dette opere il privato soffre un danno, cio un'effettiva diminuzione di patrimonio, nel qual caso la piena cognizione dell'azione medesima, secondo la stessa giurisprudenza, appartiene all'Autorit giudiziaria, in Cass. 9 settembre 1886, gi citata). Successivamente, come lo stesso GIANNINI rileva, avendo H MORTARA (Il regime delle acque pubbliche e la competenza giudiziaria, in Giur. lt. 11901, I, Il, 11029) richiamato gli studiosi ad un rpi ponderato esame delil'ar.t. '124 della 1 Legge sui 1avori pubblici 20 marzo '1865, n. 2248, il cui testo fu, ipoi, :riportato ne!J'art. 2 del t.u. 25 LugLio 1904, n. 523, si fece strada L'.avvrso che detto articolo, riferendosi principalmente alile oipere dei privati, ritenute dannose daH'autorit amministrativa, anzich alle opere deM'Amministrazione, che avessero arrecato danno ai cittadini, non potesse essere invocato .per paralizzare l'azione I i 1 i I PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICl 207 ordinario la tutela del diritto all'indennizzo da tale legittima attivit provocato: appunto il caso della specie, in quanto -nei confronti della demolizione degli argini della Fossa di Polesella, certamente decisa dall'autorit amministrativa in vista del buon regime delle acque -la .societ Graziani non si pone come portatrice di un interesse alla conservazione degli argini distrutti, n lamenta un danno provocato dall'illecita esecuzione della demolizione, ma afferma invece il proprio diritto alfindennizzo per il nocumento subito a seguito di un atto legittimo dell'autorit. n quesito circa l'applicabilit o meno dell'art. 46 della legge de1l 1865 deve essere quindi risolto alla stregua di principi pi generali. di questi ultimi diretta al risarcimento deL danno, ma qualche tempo dopo si deline un nuovo orientamento nelwa giurisprudenza de1la Corte Suprema, Ja quale in una serie di 1sentenze emanate fra H .1918 e iI 11932, ritornando aH'an tica opinione, afferm di nuovo fa massima che l'azione per risarcimento danni prodotta da un'opera attinente a} buon regime delle acque pubbliche o all'eser cizio del'le derivazioni legalmente stabiMte non pu essere proposta, se non dopo li'esame, riservato a11/.autorit amministrativa, deHe questioni tecniche circa la consistenza deWopera, [a sua rispondenza allo scopo a cui deve ser vire ed ai precetti della tecnica idraulica. Fu, cio, definitivamente abbandonata fa ipotesi di una responsabilit per atti legittimi delila Pubblica Amministrazione, in relazione a1 principio stabilito neLL'art. 46 delila Legge suhle esproprazioni per .pubblica utilrit, e si ritorn alla corretta interpretazione dell'art. 2 del t.u. sulle opere idrauliche, secondo la quale una responsabi11it della Pubb!rica Amministrazione ipotizzabile sol tanto quando l'attivit di essa sia stata dichiarata illegittima da1 Tribunale Superiore deHe AA.PP. o sia, secondo la pi recente interpretazione, illecita sin dall'inizio. Il che naturalmente esdudeva Jia ipotizzabi1it di una responsabilit per attivit legittima. La sentenza che si annota ha rilevato che la tesi del~'Amministrazione ricorrente non trovava poi conforto nella sentenza delle Sezioni Unite n. 3341 del 1959, a torto richiamata: questa infatti -lungi dall'affermare che il diritto all'indennizzo. ex art. 46 della legge del 1865 competa soltanto nei casi in cui non si tratti di attivit concernente opere dannose per il buon governo delle acque, ex art. 2 del testo unico del 1904 -ha invece molto chiaramente pre cisato che la domanda di indennizzo per i danni causati dalla costruzione di un ponte (e cio di un'opera evidentemente non contraria al buon regime delle acque pubbliche, ma anzi ad esso preordinata) deve essere esaminata con rife rimento non all'art. 2, che presuppone un tale rapporto di contrariet, ma all'art. 46, che detta una disciplina di carattere molto pi generale. La sentenza costituisce quindi un'ulteriore riprova dell'infondatezza dell'assunto dell'Am ministrazione. Ma tale affermazione non trova riscontro nella motivazione deHa sentenza citata, in cui la Corte di Cassazione, dopo avere istatuito che, ai fini della applicazione deH'art. 2 de1 t.u. ,su[le opere idrauliche, occorre, dunque, che la causa della domanda di risarcimento si ricolleghi ad un comportamento del l'Amministrazione o di privati, il quale incida comunque sul buon regime del l'acqua pubblica, ha rilevato: Ma la fattispecie in contestazione esula comple tamente da tale previsione, per rifarsi a quella, sostanzialmente diversa, del l'art. 46 sopra ricordato, che riconosce dovuta una indennit ai proprietari dei 208 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Orbene Ja riferibilit di tale norma ai danni derivati dall'esecuzione d qualsiasi opera pubblica, pur se non collegata ad un'espropriazione per pubblica utilit, principio ormai comunemente condiviso; e -per quanto concerne la materia delle acque pubbliche - problema legislativamente risolto, poich l'art. 140 del testo :. - PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 209 La tesi delJa ricorrente non trova poi conforto nella sentenza delle sezioni unite n. 3341 del 1959, a torto richiamata: questa infatti -lungi dall'affermare che il diritto all'indennizzo ex art. 46 della legge del 1865 competa soltanto nei casi in cui non si tratti di attivit concernente opere dannose per il buon governo delle acque, ex art. 2 del testo unico del 1904 -ha invece molto chiaramente precisato che la domanda di indennizzo per i danni causati dalla costruzione di un ponte (e cio di un'opera evidentemente non contraria al buon regime delle acque pubbliche, ma anzi ad esso preo:rdinata) deve essere esaminata con riferimento non all'art. 2, che presuppone un tale rapporto di contrariet, ma a1l'art. 46, che detta una disciplina di carattere molto pi generale. La sentenza costituisce quindi un'ulteriore riprova dell'infondatezza dell'assunto dell'Amministrazione. verta o meno in tema di attivit esplicata ex art. 2 del t.u. suHe opere idraulkhe, perch, solo nel caso che non si verta in tale tema, 1pu essere i!Potizza] Jile 'l'applicazione del principio posto neWart. 46 de1la ~egge su1le espropriazioni. GIOVANNI ALBISrNNI I CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 28 gennaio 1980, n. 658 -Pres. Granata - Rel. Sgroi -P. M. Pedace (conf.) -Fall. Soc. di Costruzioni Bruno Chiesa e C. S.p.A. (avv. Vitali) c. Amministrazione della difesa (avv. Stato Conti). Appalto -Appalto di opere pubbliche -Opere statali -Capitolati generali Natura -Regolamenti di organizzazione. (r.d. 23 maggio 1924, n. 827, art. 99). Arbitrato -Arbitrato obbligatorio -Clausola contrattuale modificatrice della composizione del collegio -Modificazione in arbitrato volonta, rio Esclusione. Leggi e regolamenti -Regolamento -Contrasto con norme costituzionali Disapplicazione -Ammissibilit. (l. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, art. 5). Arbitrato -Condizioni generali per l'appalto dei lavori del Genio Militare -Arbitrato obbligatorio -Norma che lo prevede -Illegittimit Disapplicazione. (r.d. 17 marzo 1932, n. 366 mod. da r.d. 24 maggio 1937, n. 1062, art. 51; Cost., artt. 24 comma primo e 102 comma primo). Competenza e giurisdizione -Controversie obbligatoriamente def~rite alla competenza di arbitri -Domanda proposta al giudice ordinario -Competenza arbitrale -Esclusione. I capitolati generali predisposti per la disciplina dei contratti di appalto per le opere statali hanno natura normativa di regolamenti di organizzazione e la efficacia delle loro clausole in rapporto al singolo RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 210 contratto deriva non dalla volont negoziale delle parti, ma dalla imperativit propria della norma di diritto obiettivo di cui imposta 'la inserzione in ogni contratto nel quale sia parte lo Stato (1): La clausola del contratto di appalto, che introducendo una deroga alle norme delle condizioni generali per l'appalto del Genio militare regoli in modo diverso da queste la composizione del collegio arbitrale, non trasforma in volontario l'arbitrato previsto da quelle condizioni come obbligatorio (2). La norma regolamentare pu essere disapplicata dal giudice ordinario non solo per contrasto con norme aventi forza di legge ordinaria, ma anche per contrasto con norme della Costituzione (3). (1-6) L'affermazione deHa natura di .rego1ameno di organizzazione de1 capitolato generale per gli appalti delle opere di competenza del ministero dei lavori pubblici ed in genere dei capitolati generali predisposti da amministrazioni .statali costituisce conso~Edato indirizzo deUa .giurisprudema della Corte di Cassazione: tra le decisioni pi recenti, cfr., Cass., 8 ottobre .1979, n. 5194, in Cons. Stato .1980, Il, 86; Cass., 23 febbraio 1979, n .1212, ip. Giust. civ. Mass., 1979, 535; Cass. 29 novembre 1976, n. 4492, in Giust. civ. Mass., 1976, 1858; Cas.s., 26 marzo 1975, n. 1148, in Foro it., 1976, I, 2907 e Giust. civ., 1975, I, 1131 con osserv. di DE FINA, Capitolato generale di appalto delle opere pubbliche: impugnabilit del lodo e onere della riserva. La natura di norme rego1amentri propria deJ.le dausole dei capitolati, oltre a rilevare sotto il profilo deHa deducibilit de11a loro violazione come motivo deH'impugnazione di nuHit del lodo (art. 829, comma secondo, e.e.) e di ricorso per cassazione, ha consentito di impostare nei termini de1la successione di norme il problema degli effetti della sopravvenienza dehla nuova disciplina processuale recata dagli artt. 43 e ss. del d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063. Cfr.: . -in tema di ammissibilit dell'impugnazione per errores in iudicando: Cass., 20 marzo .1975, n. H48, cit.; Cass., 30 apri1e 1969, n . .1401, in Giust. civ. Mass., 11969, 717; Cass. 6 aprile 1966 n. 909, in questa Rassegna, 1966 I, 843; Cass., 9 aprile 11965, n. 623, in Giust. civ., 1965, I, 1628; -ir.i tema di esclusione della competenza arbitrale (art. 47 cap. gen.): Cass., 7 febbraio 11974, n. 334, in questa Rassegna, .1975, I, 238; Cass., 6 aprite 1973, n. 958, in Giust. civ., 1973, I, 1320; Cass., 9 giugno 1972, n. 1813, in Foro it., 1 1973, I, 137; Cass., 118 settembre 1970, n. 11559, in Giust. civ., 1971, I, 125; Cass., 28 marzo ,1969, n..1005 e l3 febbraio 1969, n. 494, in Giust. civ., 1969, I, 1004 e 2123; Cass., 17 ottobre 1966, n. 2483, in Giur. sic., 1967, 787; Cass., 18 mar zo 1965, n. 461, in Giust. civ. 1965, I, 11629; Cass., 23 lug1io 1964, n. 11989, in Giust. civ., 1965, I, 811; -in tema di composizione del collegio arbitrale (art. 45 caip. gen.); Lodo arb., 5 novembre 11974, n. 67 (Roma), in questa Rassegna, 1975, I, 238; App. Roma, 29 marzo 1969, n. 712, in questa Rassegna, 1971, I, 487; Cass., .IO gennaio 1963, n. 30, in Giust. civ., 1963, I, 272. L'anzidetta natura di regolamento, oltre che per i Capitolati generali d'ap palto per le opere di competenza del ministero dei lavori pubblici di cui al d.m. 28 maggio 1895 ed al d.P.R. 116 luglio .1962, n. 1063, e per le Condizioni generali per l'appalto del Genio militare di cui al r.d. 17 marzo 1932, n. 366, stata affermata per le Condizioni generali per gli acquisti di vestiario ed altro da parte dell'Amministrazione della difesa-esercito approvato con d.m. 20 giugno 1930, :il.. 35 PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 211 L'art. 51 del r.d. 17 marzo 1932 n. 366 che approva le condizioni generali per l'appalto del Genio militare, in quanto istituisce un arbitrato obbligatorio o necessario, va disapplicato perch in contrasto con il combinato disposto degli artt. 24 comma 1 e 102 comma 1 c.p.c. (4). Appartiene alla competenza del giudice ordinario e non a quella degli arbitri conoscere di una controversia relativa a contratto di cottimo fiduciario regolato dalle condizioni generali per l'appalto del Genio militare, controversia per cui sia stata dall'appaltatore proposta domanda allo stesso giudice ordinario (5). II CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 24 novembre 1978, n. 5522 -Pres. Rossi - Rel. Cantillo -P. M. Del Grosso (conf.) -Assessorato per i lavori pubblici della Regione Sidliana (avv. Stato Albisinni) c. Impresa di costruzioni F.lli Merenda e Rizzo (avv. Ricci). Appalto Appalto di opere pubbliche Oper,e nella Regione Sicilia Contratti anteriori alla L. reg. 26 maggio 1973, n. 21 . Capitolato generale dello Stato Obbligatoriet . Esclusione Richiamo . Rilevanza pat tizia. (I. reg. Sicilia, 26 maggio 1973, n. 21, art. 9; d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063). (Cass., 23 febbraio 1979, n. 1212, in Giust. civ. 1979, 535; Cass., 19 novembre 1971, n. 3331, in questa Rassegna, 1971, I, ,1518; Cass., 23 luglio 1%9, n. 2766, in questa Rassegna, 1969, I, 762; Cass. 12 giugno 1963, n. 1568, in Giust. civ. Mass., 1963, 740) e per il Capitolato generale d'appalto del servizio di casermaggio dei carabinieri approyato con d.m. 22 novembre 1956 (Cass., 7 settembre 1970, n. 1276, in questa Rassegna, 1970, I, 970), mentre stata negata per il Capitolato per l'esecuzione di lavori e forniture per conto dell'amministrazione delle Ferrovie dello Stato approvato dal consiglio di amministrazione delle stesse Ferrovie nelle sedute del 3 maggio e 14 luglio 1922 e ci in ragione della provenienza da organo non abilitato aHa posizione di norme regolamentari (Cass., ,14 gennaio 1977, n. 174, in Giust. civ., 1977, I, 1016). Altrettanto consolidata poi l'affermazione che, richiamate in un contratto d'appalto stipulato con ente pubblico diverso dallo Stato, in mancanza di norme di legge che le rendano obbligatorie anche per questi enti, le nonne dei capitolati generali acquistano il rilievo di dausole contrattuali. Princiipio che alla base delLa rego1a per cui il sindacato suH'interpretazione data dal giudice di merito alle disposizioni del capitolato non operabile in cassazione se non per violazione delle norme sull'interpretazione o per difetto o contraddittoriet di motivazione nei limiti in cui un tale motivo pu essere ritenuto ammissibile alla stregua dell'art. 829 n. 4 cod. proc. civ. (tra le pi recenti decisioni in tal senso, cfr. Cass., 22 novembre 1978, n. 5440, in Giust. civ. Mass., 1978, 2272; Cass. 22 giugno 1976, n. 2395, in Giust. civ., 1976, I, 1414. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Appalto -Appalto di opere pubbliche -Opere nella Regione Sicilia -Contratti anteriori alla L. reg. 26 maggio 1973, n. 21 -Giudizio arbitrale in corso -Impugnazione di nullit del lodo -Art. 51 del capitolato generale del 1962 -Applicabilit. (I. reg. Sicilia, 26 maggio 1973, n. 21, art. 9; d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 51). Appalto -Appalto di opere pubbliche -Opere nella Regi01i,e Sicilia -Contratti anteriori alla L. reg. 26 maggio 1973, n. 21 -Lodo arbitrale - Errores in iudicando -Clausola di riferimento all'art. 49 del capitolato generale del 1895 -Valore -Rinunzia -Compatibilit con l'art. 51 del Capitolato generale del 1962 -Sussiste. (I. reg. Sicilia, 26 maggio 1973, n. 21, art. 9; d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 51; d.m. 28 maggio 1895, art. 49; cod. proc. civ., art. 829). Prima dell'entrata in vigore della legge della Regione siciliana 26 maggio 1973 n. 21, che al.l'art. 9 ha reso obbligatoria per tutte le opere di competenza dell'amministrazione regionale l'applicazione del capitolato generale dello Stato, le clausole di questo non avevano per la Regione valore di norme, ma, se richiamate nei contratti ed in forza di tale richiamo, assumevano il valore di clausole negoziali (6). (3) Principio pacifico, costantemente enunciato dal duplice punto di vista che il controllo sulla legittimit del regoJ.amento in rapporto al parametro rappresentato da norme costituzionali spetta non aHa Corte costituzionale ma a1 giudice e che questi lo esercita neHe forme proprie del potere che esso ha relativamente agli atti dell'amministrazione (disapplicazione o annullamento): sul punto, cfr. Cass. 5 febbraio 1975 n. 427 in Giust. civ. 1975, I, 707 con osserv. di DE FINA G., Il valore delle riserve di legge introdotte con la Costituzione: i termini di un'alternativa; Cass. 5 maggio .1972, n. 1355, in Giust. civ., 1973, I, 840 e in questa Rassegna, 1972, I, 508; Cons. St., Sez. V, 21 dicembre 1971, n. 1455, in Cons. Stato, 1971, I, 2462 e Giust. cast., 197'1, 2736; Cass., ,19 novembre 197il., n. 3331, in questa Rassegna, 1971, I, 1518; Cons. St., Sez. VI, 3 marzo .1970, n. 173, in Cons. Stato 1970, I, 484. Nella giurisprudenza della Corte costituzionale, cfr. Sent. 12 marzo 1975 n. 56 in Giur. cost., 1975, 704; 20 marzo 1974 n. 78, in Giur. cast., 1974, 306; 10 luglio 1973 n. 124 in Giur. cosi. 1973, 1323; 12 luglio 1972 n. 13.1, 15 giugno 197:2 n. 102 e 2 febbraio 1972 n. 12 in Giust. cost., 1972, 1355, 1183 e 45; 17 febbraio 1971, n. 24 (ord.), in Giur. cost., 1971, n. 143; 6 luglio 1970, n. 118 in Giust. cast. 1970, 1493; 20 marzo 1970 n. 40 in Giur. cast., 1970, 483; 4 febbraio 1970 n. 13 in Giur. cast. 1970, 119 e aitre precedenti. Per una divergente impostazione dottrinale, cfr. MORTATI, Atti con forza di legge e sindacato di costituzionalit, Mii.ano, Giuffr, 1964. (2-4-5) L'ildegittimit de1l'art. 51 del R.D. 17 marzo 1932 n. 366 per contrasto con gli artt. 24 comma 1 e 102 comma 2 Cost., stata affermata dalla cassazione, per ci che, mentre la sottoposizione delle controversie ad arbitrato deriva da1 capito}ato che per 1a sua natura normativa si impone alle parti, la norma non prevede poi che le parti possano esc1udere la competenza arbitrale. In un caso in cui la controversia era stata introdotta avanti al giudice ordinario, per affermare la competenza di questo stato sufficiente disappli t i: f: f: " PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 213 La norma dettata dall'art. 51 d.P.R. 16 luglio 1962 n. 1063, per cui contro la pronunzia arbitrale ammessa impugnazione secondo le disposizioni del codice di procedura civile, una volta entrata in vigore la legge regionale 26 maggio 1973, n. 21 divenuta applicabile per le opere della Regione siciliana anche con riguardo a contratti anteriori pei quali alla data di entrata in vigore della legge la pronunzia arbitrale non fosse: stata ancora pubblicata (7). care la norma iJ:legittima; questo il significato de~la decisione che si inteso evidenziare con 1a formulazione della quinta massima. L'introduzione de11a controversia mediante domanda d'arbitrato pone evidentemente problemi di tipo diverso. La Corte costituzionale, con la sentenza 14 luglio 1977, n. 127, ha dichiarato fililegittimit costituzionale deWart. 25 comma 1 R.D. 29 giugno 1939 n. tl.127, nella parte in cui non riconosce la facolt dell'inventore e del datore di lavoro di adire l'autorit giudiziaria ordinaria (oltre che in Giur. cast. 1977, 1.103 la sentenza tra l'altro pubblicata in Foro it. 1977, I, ;1848 con ampia ,nota di richiami). Annotando tale sentenza, l'ANDRIOLI (L'arbitrato obbligatorio e la costituzione, in Giur. cast. 1977, 1143) ha ritenuto che la pronunzia vada letta non nel senso di una eliminazione della norma suH'arbitrato obbligatorio, ma in quello che La sua presenza non precLude -a.hle parti di adire l'autorit giudiziaria. Sia o meno esatta questa lettura de11a decisione, rispetto aLle norme regolamentari contenenti la previsione di arbitrati obbligatori si pone i1 problema se Sil di esse possa operarsi anzich con La tecnica della disapplkazione cor. queHa della interpretazione adeguatrice, con I.a conseguenza di considerare I.a norma non gi illegittima, ma non escludente la potest di ricorso al giudice ordinario. Baster qui aver prospettato il problema, evidenziando nel contempo le diverse potenzialit insite neHe tecniche utilizzate dal giudice di costituzionalit ed in quelli utilizzabili a riguardo dei regolamenti dai giudici ordinari ed amministrativi. Rispetto ad una norma che predispone un arbitrato, ;prevedendo in ipo tesi la facolt di adire il giudice ordinario (sufficiente in s ad escludere la competenza arbitrale, ove l'attore se ne avvalga), ma non il modo in cui la parte convenuta nel giudizio arbitrale possa dal canto suo escludere la competenza degli arbitri; si porrebbe il probLema di individuare i1 tempo oltre il quale La esclusione di questa competenza non possa pi utilmente farsi. Poich non verrebbero in questione n un profilo di eccesso della domanda dai limiti del compromesso n uno di nullit dello stesso comprO" messo, potrebbe ritenersi che, non manifestata prima deH'esaurimento della ;procedura di composizione del collegio in una forma idonea (che, per il principio di "1ibert delle forme, potrebbe essere mutuata daH'art. 47 D.P.R. 16 luglrio 1962 n. 1063), 'la volont di escludere la competenza arbitrate debba esserlo neJ. termine assegnato per la prima difesa (analogamente a quanto previsto per l'eccezione di compromesso davanti al giudice ordinario). (7) La massima costituisce applicazione di una regola costantemente affermata, del resto desumibile, a contrario, daJ.l'art. 229 disp. att. trans. al codice procedura civile. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 214 La clausola negoziale di rinuncia all'impugnazione del lodo arbitrale per errores in iudicando, contenuta in un contratto d'appalto stipulato dalla Regione siciliana prima dell'entrata in vigore della legge regionale 26 maggio 1973 n. 21, anche se espressa attraverso il richiamo, nel concreto regolamento negoziale, dell'art. 49 del capitolato generale del 1895, che tale rinunzia prevedeva in via generale, conserva piena validit pur dopo l'entrata in vigore della legge, giacch la rinunzia preventiva all'impugnazione per inosservanza di norme sostanziali compatibile con l'articolo 829 del codice di procedura civile, richiamato dall'art. 51 del capitolato generale del 1962 (8). I Motivi della decisione (omissis) Il fallimento della Soc. di Costruzioni Bruno Chiesa & C. rileva che ove (opinando diversamente dal Tribunale di Milano) si dovesse ritenere che l'arbitrato di cui si tratta ha natura di arbitrato obbligatorio, dovrebbe affermarsi che l'art. 51 del r.d. 17 marzo 1932 n. 366 in quanto sottrae autoritativamente le controversie ivi previste alla cognizione dell'A.G.O. viziato da illegittimit costituzionale, per contrasto con gli artt. 24 e 3 Cost., come gi ritenuto dalla Corte Cost. con sentenza concernente altm ipotesi, ma pur sempre di cid. arbitrato obbligatorio. Accolta, invece, la premessa della sentenza (secondo cui la fonte degli obblighi assunti dal privato in conformit del disposto del Capitolato Generale di natura contrattuale e non normativa, pur in contrasto della prevalente giurisprudenza) doveva peraltro affermarsi la caducazione del patto arbitrale, per sopravvenuto fallimento di una delle parti compromittenti, anteriormente all'inizio del giudizio arbitrale. Tale caducazione prescinde del tutto dalla possibilit di applicare o meno l'art. 24 legge fall., per cui la ritenuta inapplicabilit della specie dell'art. 24 legge fall. non conduce affatto alle conclusioni fatte proprie dal Tribunale di Milano. Infine, posta la natura contrattuale della clausola compromissoria, ad essa si deve applicare, secondo il ricorrente, l'art. 1341 e.e., con conseguente inefficacia della clausola, non approvata per iscritto. Il ricorrente chiede quindi che la Corte di Cassazione statuisca la competenza del Tribunale di Milano. SuL punto, cfr. Cass. 9 aprile 1965 n. 623 in Giust. civ. 11965, I, 1628; Cass. 28 marzo ,1966 n. 815 in Giust. civ. 1966, I, 1049. (8) AHa decisione in rassegna, pubblicata anche in Foro it. 1979, I, 364 con nota di richiami, ha fatto seguito Cass. 8 novembre 1979 n. 5754 riassuntain Cons. Stato 1980, II, 124. P. V. PARTE I, SEZ. vn; GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 215 II ricorso deve essere accolto per il primo motivo, a cui ha prestato adesione il Ministero della Difesa. La sentenza impugnata si richiama a Cass. sez. un. 21 giugno 1945 n. 448, la quale ha 1affermato che i capitolati generali per le opere pubbliche dello Stato (approvati con decreti ministeriali ovvero con decreti del Capo dello Stato) non hanno natura normativa, ma predispongono clausole che acquistano efficacia negoziale per l'adesione dell'altro contraente, con la conseguenza che i collegi ,arbitrali costituiti per la risoluzione delle controversie relative agli appalti delle opere pubbliche non rappresentano giurisdizioni speciali, ma danno luogo solo ad arbitrati obbligatori, in quanto alla creazione di giurisdizioni speciali non pu farsi luogo se non in virt di legge. II Collegio rileva che la citata pronuncia di questa Corte (e quelle successive conformi, tra cui Cass. 17 giugno 1950 n. 1550, proprio .in tema di capitolato per l'appalto dei lavori del genio militare, approvato, con r.d. 17 marzo 1932 n. 366, che sarebbe applicabile nella presente causa) avevano come scopo fondamentale quello di qualificare i collegi per le risoluzioni delle controversie in materia di appalti de1lo Stato come giurisdizioni speciali ov'vero come arbitrati obbligatori, ma che mentre la negazione della natura normativa dei capitolati appariva strettamente collegata alla negazione della qualifica di giurisdizioni speciali (istituibili solo con leggi), non ali:rettanto stretto da un vincolo di conseguenziariet il nesso tra il carattere pattizio e volontario delle dausole del capitolato generale richiamate nel contratto d'appalto e la qualificazione di arbitrati data a quelle procedure per la risoluzione delle controversie, posto che anzi la natura obbligatoria degli arbitrati stessi appare piuttosto collegata alla forza vincolante eteronoma (rispetto alla volont delle parti) delle norme che prevedono gli arbitrati stessi. Comunque sia, quell'indirizzo stato abbandonato agli inizi degli anni cinquanta, gi con sentenza 2 ottobre 1951 n. 2605 e 19 giugno 1952 n. 808, che riconobbero al capitolato generale per l'appalto delle opere pubbliche carattere regolamentare, con la correlativa imperativit propria delle norme di diritto obiettivo. Da allora, assolutamente prevalente l'insegnamento giurisprudenziale secondo cui si distinguono i contratti di appalto per le opere statali, per i quali sono predisposti i capitolati generali dello Stato, dai contratti d'appalto interessanti altri enti pubblici che sono disciplinati da capitolati speciali o si richiamano alle disposizioni dei capitolati statali (e nell'ambito di questa seconda categora si d.istingue ancora il caso in cui il richiamo obbligatorio per legge, come per l'art. 294 ultimo comma del t.u. della legge comunale e provinciale approvato con r.d. 3 marzo 1934 n. 383). Nella prima categoria, le disposizioni dei capitolati generali non hanno natura contrattuale, ma normativa e precisamente di regolamenti di organizzazione. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 216 Invero, le clausole dei capitolati generali dello Stato derivano la loro efficacia non dalla volont negoziale delle parti, ma dall'imperativit propria della norma di diritto obiettivo per la quale imposta la inserziooe di esse in ogni contratto nel quale sia parte lo Stato (art. 99 del regolamento di contabilit 23 maggio 1924 n. 827), secondo cui sufficiente far menzione nei contratti dei suddetti capitolati d'oneri, senza necessit di allegarli). Si possono citare, nel 1senso suddetto: Cass. 30 settembre 1954 n. 3174; Cass. 9 marzo 1955 n. 715; Cass. 18 maggio 1959 n. 1474; Cass. 9 giugno 1960 n. 1524, Cass. 23 gennaio 1964 n. 160; Cass. 28 gennaio 1966 n. 324; Cass. 23 luglio 1969 n. 2766; Cass. 27 marzo 1970 n. 836; Cass. 7 1settembre 1970 n. 1274; Cass. 19 novembre 1971 n. 3331; Cass. 9 giugno 1972 n. 1813; Cass. sez. un. 5 novembre 1973 n. 285; Cass. 7 febbraio 1974 n. 334; Oass. 2 marzo 1975 n. 1148; Cass. 26 agosto 1975 n. 3018; Cass. 12 luglio 1974 n. 2082. Nella specie il contratto di cottimo fiducario stipulato fra l'Amministrazione della Aeronautica militare e la Soc. di Costruzioni Chiesa (a norma degli artt. 50 e 51 del r.d. 17 marzo 1932 n. 365) prevede all'art. 6: nell'esecuzione dei lavori e delle somministrazioni previste nel presente atto saranno osservate le condizioni generali per l'appalto del Genio militare, approvate coo lr.d. 17 marzo 1932 n. 366 ed il regolamento per i lavori del Genio militare approvato con rrl. 17 marzo 1932 n. 365 . Lo stesso articolo introduce deroghe alle condizioni e regolamenti succitati le quali, per quanto attiene al giudizio arbitrale, sono contenute nel paragrafo 7 e si riferiscono alla composizione del Collegio arbitrale. La suddetta previsione pattizia non trasforma, peraltro, in volontario l'arbitrato perch la deroga riguarda espressamente l'art. 52 del r.d. n. 366 del 1932 (che regola solo la composizione del Collegio arbitrale) e non l'art. 51, che istituisce l'arbitrato necessario e richiama l'art. 12 del c.p-c. del 1865 e l'art. 349 della legge sui lavori pubblici del 1865. Non quindi neppure necessario stabilire se la deroga fosse possibile (in senso negativo, Cass. n. 2671 del 1968). Stabilito che l'arbitrato si impone alle parti in forza di una normativa eteronoma che prescinde del tutto dalla loro volont, si pone il problema della legittimit costituzionale, che deve essere risolto dal giudice ordinario (e non dalla Corte Costituzionale) in quanto la norma regolamentare dell'art. 51 del r.d. n. 366 pu essere disapplicata dal giudice ordinario ai sensi dell'art. 5 della legge 20 marzo 1865 n. 2248 ali. E non solo per contrasto con norme aventi forza di legge ordinaria, ma anche per contrasto con norme della Costituzione (cfr. Cass. n. 3331 del 1971, cit.). La Corte cost. 14 luglio 1977 n. 127 ha dichiarato l'illegittimit costituzionale dell'art. 25 del r,d. 29 giugno 1939 n. 1127 -atto con forza di legge -che prevedeva un arbitrato necessario, per violazione del cambi PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 217 nato disposto degli artt. 24 comma 11 e 102 comma 1 c.p.c., in quanto il fondamento di legittimit costituzionale dell'arbitrato da rinvenirsi nella libera scelta delle parti, perch solo la scelta dei soggetti (intesa come uno dei possibili modi di disporre, anche in senso negativo, del diritto di cui all'art. 24 Cost.) pu derogare al precetto contenuto nell'art. 102 Cost., di modo che Ja fonte dell'arbitrato non pu pi ricercarsi in una legge ordinaria o, pi generalmente, in altri atti autoritativi. La suddetta interpretazione dell'influenza delle norme costituzionali sulla disciplina dell'arbitrato pu avere una forza espansiva al di l dei limiti della questione decisa. La stessa Corte Cost., nella sentenza cit., ha indicato come esempio di una normativa rispettosa della Costituzione, il capitolato generale dei Lavori pubblid aipprovato con d.P.R. 16 luglio 1962 n. 103 1che istituisce un arbitrato facoltativo, dato il particolare meccanismo, ivi previsto, che consente 1sia all'attore che al convenuto di escludere il ricorso all'arbitrato (ofr. Cass. 12 luglio 1978 n. 3515; Cass. 8 agosto 1978 n. 3852). Quello istitlllito dall'art. 51 del r.d. rn. 366 del 1932 invece un arbitrato obbligatorio (o necessario) avente fonte autoritativa eteronoma, rispetto alla volont delle parti. Non pu, invero, farsi risalire l'arbitrato alla libem volont delle parti di stipufare o meno il contratto d'appalto, in quanto, una volta stipulato dl contratto, le parti sono sottoposte all'obbligo di osservare certe norme che ne disciplinano o il contenuto o gli effetti ed il dnvio ad esse ha una funzione puramente ricognitiva. Se la Competenza del Collegio arbitraile indeclinabile dalle parti, questo obbligatorio in virt della norma e non in virt del principio di autonomia di cui aU'art. 806 c.p.c. Se la norma illegittima, essa va disapplicata e -non residuando alcuna volont delle parti avente lo stesso contenuto -l'obbligo di ricorrere alla procedura arbitrale non esiste pi. Adottando gli stessi principi enunciati da Corte Cost. n. 127 del 1977, il Collegio ritiene che, per il. contrasto dell'art. 51 del r,d. n. 366 del 1932 COn gli artt. 24 e 102 della Cost., esso non pu essere applicato e la risoluzione delle controversie tra le parti del contratto ricade, in materia di diritti soggettivi, nella cognizione .immediata dell'A.G.O. Le suddette considerazioni assorbono ogni altra, perch non si pu neppure fare questione della sopravvivenza dell'arbitrato obbiigatorio, previsto da norme eteronome, rispetto al fallimento -come ha statuito Cass. 11 giugno 1969 n. 2064 -una volta che tali norme si debbono disapplicare in toto. La sentenza impugnata va pertanto annullata, perch deve dichiararsi la competenza del T1ribwnale di Milano. Sussistono giusti motivi per 1compensare .le spese del regolamento di competenza. '(omissis). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO II (omissis) Con unico mezzo di annullamento, denunziando violazione dell'art. 9 della legge della Regione sidliana 26 marzo (ma, rectius, maggio) 1973 n. 21, in relazione all'art. 11 delle preleggi, l'Assessorato ricorrente censura la decisione ~mpugnata per avere ritenuto inammissibile la domanda di annullamento del lodo arbitrale in forza della clausola di esolusione di qualsiasi impugnativa contenuta nel contratto di appalto. Sostiene che, avendo l'art. 9 cit. reso obbligatorio; per tutte le opere di ,competenza dell'Am~nistrazione regionale, il capitolato generale di appalto dello Stato, approvato con d.P.R. 16 luglio 1962 n. 1063, questo avrebbe assunto efficacia nocmativa e dovrebbe perci ritenersi applicabile anche ai contratti in corso alla data di entrata in vigore della legge regionale, almeno quanto alle regole disciplinanti il modus procedendi dell'arbitrato. Ai procedimenti arbitrali allora pendenti, quindi, sarebbe immediatamente applicabile l'art. 51 del Capitolato, che rinvia alle disposizioni del codice processuale civile, con la conseguenza che l'impugnativa del ile soltanto se le parti abbiano inteso viincolarsi anche a successive modifiche del capitolato convenzionalmente accettato al tempo della stipulazione. Il principio non pu essere invocato, invece, nella diversa fattispecie in esame, in cui una legge sopravvenuta ha assoggettato al capitolato per gli appalti dello Stato una ,oategori.a di contratti. prima regolati dal diritto comune. Rispetto ai rapporti pendenti alla data di entrata in vigore della legge, infatti, sorgono problemi di diritto intertemporale analoghi a quelli dii cui alla prima ipotesi dell'alternativa suddetta, dalla quale la fattispecie de qua differisce solo perch, in luogo di aversi una successione ,di norme speciali, alla disciplina ordinaria subentra quella speciale del oapitolato. E questi problemi vanno risolti ai sensi dell'art. 11 delle preleggi, 1secondo i criteri 1che regolano la successione nel tempo degli atti normativi, con la conseguenza che le nuove norme di natura processuale sono immediatamente operative, in base al principio della immediata efficacia delle stesse quale ius superveniens. Pertanto, le disposizioni del Capitolato che concernono la facolt di impugnativa del lodo arbitrale e il suo eserdzio, essendo nol1Ille di ordine pubblico processuale, si devono ritenere applicabili ag1i arbitrati pendenti al tempo di entrata in vigore della nuova legge, nei quali, cio, a quella data la decisione non siJa stata ancora pubblicata. N ha pregio, sotto questo aspetto, la distin2Jione che la sentenza fa tra disposizioni normative e clausole convenzionali disciplinanti il regime processuale dell'arbitrato, nel senso che le prime e non le seconde sarebbero influenzate dalla legge sopravvenuta. In realt, l'autonomia privata assume mlevanza, nell'ambito del procedimento arbitrale (come di quello ordinario), nei limiti tassativamente stabiliti dalla legge ! l i I ~ i .w.........w.......w.-...w...... ...cc-u....,. cc...c.........-..ww 1 PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI ordinaria o speciale che lo regola e pertanto le disposizioni innovative del modus procedendi dell'arbitrato spiegano immediata efficacia (salva una diversa disciplina transitoria) anche sulle clausole pattizie, le quali conservano efficacia se e nella misura in cui siano consentite daHa nuova legge. In conformit a quanto sostenuto dall'Amministrazione, quindi, nella concreta vicenda ,si deve ri.conoscere che l'impugnativa del lodo, pubblicato dopo l'entrata in vigore della legge del 1973, regolata dall'art. 51 del Capitolato generale del 1962. Nondimeno la clausola di inoppu~nabilit del lodo risulta valida anche alla stregua di detta disposizione, la quale, al terzo comma, stabilisce che contro la pronuncia arbitrale ammessa impugnazione secondo le disposizioni del codice di procedura civile . In tal modo stata innovata Ja disciplina del capitolato del 1895, giacch, in forza dell'art. 829 cod. proc. civ., cos richiamato, l'impugnativa del lodo ammessa per i vizi in procedendo e per quelli in iudicando, in linea con il generale orientamento del testo del 1962 a rendere pienamente conforme a quello ordinario il procedimento arbitrale in materia di lavori pubblici. Ma lo stesso art. 829, mentre esclude che si possa rinunziare all'impugnazione per errores in procedendo, sicch ogni patto contrario nullo, in ordine all'impugnazi0111e per errores in iudicando riconosce potere dispositivo aHe parti, le quali possono validamente rinunziare in via preventiva al rimedio, ci convenendo espressamente nel patto compromissori. o ~dichiarando inappellabile, insindacabile o inoppugnabile il lodo) ovvero autorizzando gli arbitri a decidere secondo equit, con la conseguenza ohe nell'uno o nell'altro caso l'impugnazione suddetta non pu essere proposta e, se proposta, va dichiarata inammissibile. Pertanto, in virt del richiamo che l'art. 51 del capitolato del 1962 fa a questa disdplim.a, anche negli arbitrati per appalti ;pubblici consentito lle parti di rinunziare preventivamente all'impugnativa, per inosservanza o violazione di norme sostanziali. E a maggior ragione, quindi, conservano piena validit le clausole negoziali di rinunzia alla medesima impugnazi0111e stipulate in precedenza, anche se espresse attraverso il richiamo, nel concreto regolamento negoziale, dell'art. 49 del capitolato generale del 1895, che tale rinunzia prevedeva in via generale. Nella specie, quindi, la clausola dd non impugnabilit del lodo per vizi in iudicando rimasta operante dopo la legge del 1973, in quanto conforme alla nuova disciplina, e perci Ja pronunzia di inammissibilit della domanda di annullamento del lodo, 1con la motivazione qui esposta, deve essere tenuta ferma. Il ricorso va pertanto rigettato; tuttavia, in considerazione delle questioni trattate, appare equo ritenere interamente compensate le spese di questo grado del giudizio . .(omissis). SEZIONE OTTAVA GIURISPRUDENZA PENALE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. II, 30 gennaio 1979, n. 157 -Pres. De Pascalis -Rel. Manca B1tti -P. M. Moscarini (conf.). R:ic. Savio ed altri (avv. Stato Fiumara). Procedimento penale -Atti istruttori -Atti preliminari all'istruzione (preistruzione) -In genere -Nozione di atto istruttorio -Obbligo della comunicazione giudiziaria all'indiziato limitata ai soli atti istruttori in senso stretto. (artt. 78, comma 2, 231, 232, 304, 390 cod. proc. pen.). Corte Costituzionale -Sindacato di legittimit costituzionale -Codice di procedura penale -Giudizio incidentale -Questione di legittimit Costituzionale -Art. 359 -Manifesta infondatezza -In genere -Violazione dell'art. 24 della Costituzione nel caso di .proscioglimentodel falso testimone per ritrattazione -Esclusione. (art. 24 Cost.). (art. 359 cod. proc. pen.). Reato -Falsit in atti -Falsit ideologica -In certificati -Commessa da pubblico ufficiale Differenza. (artt. 479, 480 cod. pen.). Reato -Falsit in atti -Atto pubblico o privato: Nozione Libro giornale delle girate -E' atto privato. (artt. 476, 477, 478, 479, 480 cod. pen.). (artt. 28, 29 r.d. 29 marzo 1942, n. 239). Reato -Truffa -Circostanze aggravanti -Truffa in danno dllo Stato o altro ente pubblico -Frode fiscale -Fattispecie. (art. 640 cod. pen.). Ai fini dell'insorgenza dell'obbligo della comunicazione giudiziaria all'indiziato, non sufficiente un qualsiasi atto dell'ufficio, ma necessario un atto istruttorio in senso stretto, compiuto dal giudice o dal P.M. e diretto specificamente alla acquisizione delle prove dell'illecito penale (1). (1) La massima coerente con la costante affermazione giurisprudenziale in materia, che giustamente rifugge, come gi segnalato in questa Rassegna (v. .1974, J, 11502; .1975, I, rp. 7185), da un forma1ismo fine a se stesso neL quale non rpotrebbe ravvisarsi alcuna valida ragione di estensione deHa norma: questa tanto si estende, quanto necessario aLl'esercizio dd diritto deHa difesa. PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 223 La questione di legittimit costituzionale dell'art. 359 cod. proc. pen. (testimoni renitenti, falsi o reticenti), per preteso contrasto con l'art. 24 della Costituzione (diritto di difesa) manifestamente infondata, poich il testimone, se ritratta il falso e manifesta il vero, conserva la sua qualit di testimone (e la testimonianza pu essere utilizzata nel processo), mentre se non ritratta il falso e manifesta il vero arrestato e nel relativo giudizio ha diritto all'assistenza del difensore come tutti gli imputati. La ritrattazione ha la duplice funzione, infatti, di deposizione testimoniale e di causa estintiva del reato, mentre la pronuncia di non doversi procedere del giudice, perch l'imputato non punibile, non presuppone la nomina di un difensore (2). L'autenticazione di firma risultata apocrifa o di data non vera, in cui il notaio attesti falsamente che firma e data sono vere e apposte ira sua presenza, da persone da lui previamente identificate, integra il reato di falsit in atto pubblico originale, in quanto il mendacio si estende a circostanze inerenti all'attivit del pubblico ufficiale (identificazione del sottoscrittore) e cade sotto la di lui diretta percezione (sottoscrizione in sua presenza), Diverso, invece, il caso di falsa attestazione della verit della firma o della data nella forma della autentica cosidetta minore (vera la firma, o altra equivalente), in cui il notaio si limita a fare una dichiarazione personale di scienza, avente valore limitato, (fede non privilegiata) che non presuppone le formalit previste dall'art. 2703 cod. civ. In questo caso se la firma o la data risultano false o non vere, il fatto integra il reato di cui all'art. 480 cod. pen. (falsit ideologica commessa dal pubblico ufficiale in certificati) (3). Il libro giornale delle girate rientra fra i documenti puramente interni redatti da pubblici ufficiali nell'esercizio delle loro funzioni per scopi diversi da quelli di attribuire pubblica fede ed, al contrario del repertorio notarile, che atto pubblico, non ha alcuna funzione proba (2) Affermazione esatta, in relazione al momento nel quale il testimone assume la qualit di imputato. (34-5) Per sostenere l'inesistenza deLLa truffa in tema di imposte di successione, la Corte di Cassazione dovuta ricorrere a due affermazioni che appaiono criticabili. In primo luogo infatti troppo semplkistico affermare che attraverso il suo potere di accertamento l'Amministrazione Finanziaria sia di per s in grado di sventare ogni truffo, mentre v' da rilevare, sul piano pi strettamente giuridico che, ai fini deLL'esistenza del reato, consumato o tentato, quel che assume ril~evo 1'idoneit del!la condotta e che i1 giudizio su questa non pu essere che un giudizio ex ante: occorrerebbe, per concordare con 1'affermazione del>, affermazione che implicita ne11a motivazione deHa sentenza. Tanto pi che nel caso esaminato da:l1a SUJprema Corte occorreva un previo accertamento di faLsit documentale per esercitare efficacemente quel potere d'accertamento. In secondo luogo, la Suprema Corte di Cassazione ha statuito, a propo sito .di atto dispositivo, in modo difforme a precedenti affermazioni giuri sprudenzia1i: in alrt:re occasioni infatti era stato, correttamente, affermato che non tutte le volte che manca l'atto di disposizione patrimoniale esU!la i1 reato di truffa e che 1a disposizione patrimoniale pu avere aoche carattere dispositivo (v. in questa Rassegna, 19711, I, p. 1530; ivi, '1972, I, p. J238). P.D.T. PARIB I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE non dubbio, peraltro, che ai fini dell'insorgenza dell'obbligo della spedi zione della comunicazione giudiziairia si rende appunto necessario e indispensabile l'esecuzione di un atto avente rilevanza probatoria, che consentla la formulazione dehl'imrputazione. Non pu quindi seguirsi a giudizio del Collegio quei!. dive11so indirizzo (a cui sembra si sia ispirato il ricorrente) sostenuto da una corrente dottrinaria la quale, in tema di momento genetico dell'obbligo di detta co~unicazione, ritiene sufficiente qualunque atto dell'ufficio, in tal modo, infatti, si dilaterebbe la stessa nozione di procedimento, al di J di quei limiti essenziali derivanti da una corretta logica processuale che ha il suo preciso fondamento sia nella legislazione costituzionale (art. 24, com. secondo cost.) sia in quella ordinaria (art. 78 comma secondo cod. proc. pen.). Fatte queste precisazioni di carattere generale, c' da osservare che la Corte del Merito -dorpo aver premesso che la tempestivit delJ'avviso di procedimento doveva essere accertata con riferimento alla sua ratio (ispirata all'esigenza di garantire il diritto di difesa), alla necessit di un ragionevole contemperamento con il segreto istruttorio e alla possibilit dii individuare .con un minimo di precisione la responsabilit penale da perseguire a carico del presunto responsabile ha motivatamente ritenuto che, nella specie, tenuto anche conto dello sviluppo intricato delle indagini che avevano progressivamente coinvolto numerose persone, nessun pregiudizio, anche indiretto, del pieno diritto della difesa si em verificato nei confronti del Del Pr. esatto -come afferma iJl ricorrente -che l'istruttoria formale aveva avuto inizio 1'11 novembre 1971 mentre la comunicazione giudizia ria gli era stata spedita solo il 23 febbraio dell'anno successivo, ma come il Collegio ha potuto constatare dall'esame degli atti -si trattava di quella a carico dcl Savio, del Santin e del Sartori di Borgoricco quando ancora il nome del Del Pr non era stato coinvolto nella vicenda giudiziaria, come indiziato di reato. Quanto poi alla questione di legittimit costituzionale dell'art. 359 C.P.P. (testimOIIli veritenti, falsi o reti:centi) sollevata dal predetto ricorrente in relazione all'art. 24, comma secondo della Costituzione, il ColJegio, sulle conformi conclusioni del Pirocuratore Generale di udienza, condivide le motivate ed esatte argomentazioni svolte al riguardo dalla. Corte giuliana che ha ritenuto manifestamente infondata la questione stessa, proposta anche in quella sede degli appellanti Savio, Santin e Sartori di Borgoricco, oltre che dal Del Pr. Quest'ultimo sostiene, con riferimento alla citata norma costituzionale, che l'impiegata del notaio Sartori di Borgoricco, Franca Giust, (la quale, esaminata come teste, aveva affermato che le firme del Savio e del Santin erano state apposte in sua presenza presso lo studio nota 226 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO rile il 2 maggio 1968 e contemporaneamente autenticate dal notaio predetto) imputata del reato di falsa testimonianza in relazione alla sua affermazione, poi ritrattata, sia stata interrogata senza l'assistenza di un difensore. Come ha rilevato il giudice di appello, lia dichiarazione con cui il teste renitente, falso o reticente ritratta il falso e manifesta il vero non s'inserisce nel processo di falsa testimonianza bens nel processo in occasione del quale tale reato stato commesso, e nel quale il soggetto non ha perduto la quialit di testimone, tanto vero che il citato art. 359 del codice di rito -avendo evidentemente riguardo a tale procedimento -indica il soggetto sempre come teste, anche nel corso della istruzione per il menzionato reato. Con la conseguenza che la ritrattazione nel procedimento durante il quale il reato ex art. 312 cod. pen. stato commesso ha la duplice natura di deposizione testimoniale in tale procedimento e di <:ausa di estinzione del reato predetto nell'altro. Non pu d'altro canto non rilevarsi che la stessa difesa dei ricorrenti, che pure si diffusa a lungo nel.l'illustrare, nel corso della discussione orale, le altre censure dedotte a sostegno dei gravami di tutti gli imputati, non ha nemmeno accennato alla pretesa illegittimit costituzionale dell'art. 359 c.P.P. nonostante che, in sede di relazione dei ricorsi, fossero stati chiariti tutti gli aspetti dell'eccezione avanzata dal Del Pr. Data la sostanziale identit d'impostazione, possono essere esaminate congiuntamente le varie censure avanzate dai ricorrenti in ordine ai reati di falso ideologico e di tentata truffa in danno dello Stato, nonch, per quanto riguarda, Guido Zanussi e Lamberto Mazza, in ordine al reato di favoreggiamento personale, dichiarato estinto per prescrizione dal giudice d'appello. Il Collegio non ignora certo che questa Corte, con sentenza della V sezione .in data 21 ottobre 1975 (rie. Gelpi) -dopo aver premesso che la girata dei titoli azionari, a norma degli artt. 2023 cod. civile, 13 r.d. n. 239 del 1942 e 47, comma secondo della L. n. 89 del 1913 deve effettuarsi mediante la sottoscrizione del Girante, da autenticarsi da un notaio o da altro soggetto autorizzato dalla .legge e dopo aver riconosciuto che, secondo la prassi invalsa -al fine di facilitare e di rendere pi spedite le certificazioni inerenti alle modalit di tale girata - consentito, anzich fare menzione delle varie operazioni eseguite dal pubblico uffidale autenticante (identificJazione del girante e apposizione de1la data e della firma in presenza di detto pubblico ufficiale) adoperare la formula abbreviata vera la firma di... -ha ritenuto: a) che detta formuLa equivale alla attestazione di autenticit della firma e della data, e di 1apposizione delle stesse in presenza del pubblico ufficiale stesso, previa identificazione dell'autore; b) che l'attestazione vera la firma di... costi PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALI! tuisce atto pubblico e non gi semplice certificato amministrativo; e) che pertanto integra l'ipotesi di falso ex art. 479 cod. pen. e non quella prevista dal successivo art. 480 la falsa autenticazione notarile limitata alla semplice attestazione della verit della firma e della data. Ritiene peraltro il Collegio, dopo meditata considerazione (e pur senza, sottovalutare la delicatezza della questione che, data la scarsa chiarezza della disciplina positiva la quale, nella sua ambiguit, potrebbe legittimare le opposte tesi) di dover confermare il prevalente indirizzo giurisprudenziale di questa Corte Regolatrice, ribadito anche dia una sentenza di questa stessa Sezione (7 giugno 1972, n. 1029 rie.; Presiglio). E non neppure i!1 caso, in questa sede, civca l'autentica cosiddetta minore o vera di firma (naturalmente limitata alle sole dichiarazioni non negoziali) di riassumere le lunghe discussioni ohe sono state fatte in dottrina sulla Hceit, da parte del notaio, di limitarsi ad attestare soltanto che sono vere la firma e la data apposte su un documento, da un lato senza affermare altres che detta firma e data sono state apposte in sua presenza e che egli ha provveduto aU'identicazione del sottoscrittore, dall'altro evitando le formalit previste dalla legge notarile o dalle leggi sulla documentazione amministrativa. Ora, se vero che la legge notarile 16 febbraio 1913, n. 89 (tuttora in vigore 'con il relativo regolamento 10 settembre 1914 n. 1326) nel predisporre una disciplina iparticolareggiat1a dall'istituto dell'autenticazione, dispone, all'art. 72, che la autenticazione della firma deve contenere la dichiarazione del notaio che le firme sono state apposte in sua presenza e, quando occorria, a quella di terzi o di fidefacienti, con Ja data e l'indicazione del luogo, e se anche vero ohe l'art. 2703 del codice civile, nell'estendere anche ad altri pubblici ufficiali la facolt di autenticazione, ne ribadisce il carattere precipuo di dichiarazione di scienza, c' peraltro da considerare che, oltre a questa disciplina generale, esiste un certo numero di leggi speciali nelle quali si stabilisce sostanzialmente che l'autenticazione pu essere fatta, anche con la semplice formula (vera la firma di...) ed questo iJ caso previsto dall'art. 9 del r.d. n. 239 del 1942, in tema di gimta di azioni di societ. Non si tratta quindi di prassi invalsa ,come ha ritenuto la Quinta Sezione di questa Corte con la sentenza sopra richiamata, ma di precise disposizioni normative. Ci chiarito, necessario precisare che, secondo un',autorevole corrente dottrinaria, il documento, oltre ad una funzione informativa e dimostrati.va, ha una sua funzione rappresentativa, intesa come espressione ohiara esplicita e obiettiva del fatto documentato, dal quale non si pu decampare senza alterare la funzione di rappresentazione a cui il documento soddisfa. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO N a parere del Collegio, il criterio di valutazione sulla base di detta :furraione rappresentativa pu perdere importanza e rilevanza in tema di falso documentale, dal momento che la falsit del documento scaturisce da una posizione di contrasto fra il fatto rappresentato e la realt. In particolare, in materia di falsit ideologida, in cui il documento genuino nella sua formazione, si tratta di determinare quale sia stato il mendacio del pubblico ufficiale, su1la base di quanto egli ha attestiato nel documento. Pertanto, l'attestazione del pubblico ufficiale, in cui si concreta il mendacio, non pu che essere esplicitamente documentata, ai fini della determinazione deH' immutatio veri , e questa non pu concepirsi al di fuori del fatto esplicitamente documentato. Questo concetto la Corte Suprema ha avuto occasione di precisare sin dalla sua sentenza in data 22 febbraio 1958: III sez. dc. Piemi. Detto criterio serve quindi a determinare il fiatto documentato, sia nei suoi limiti sia nella sua indole di fatto del quale l'atto destinato a provare la verit, di fatto percepito direttamente dal pubblico ufficiale, o da lui compiuto, oppure di fatto che il pubblico ufficiale semplicemente dichiara come di verit o di scienza. Con la conseguenm, in relazione a questa ultima distinzione, che il pubblico ufficiale il quale, nell'esercizio delle 1sue funzioni, attesta falsamente :fotti, avvenuti in sua presenza, o che egli ha compiuto, o che comunque abbia concorso la porre in essere, commette, senza dubbio alcuno falsit in atto pubbJ.ico originale (di fede privilegiata) qualora, come il notaio, abbia per 1suo specifico ufficio la facolt di documentazione. Se egli invece si sia limitato a fare fa1se raffermazioni di scienza, che non riguardano fatti da lui compiuti, o avvenuti in sua presenza, o da lui percepiti, in tal caso tradisce pur sempre il suo dovere. di fedelt, ma nella. ipotesi prevista dall'art. 480 cod. pen. e non in quella ex art. 479 ritenuta dalla Corte del merito. Alla stregua di queste precisazioni i1l Collegio rileva che la gi citata sentenza della Quinta Sezione ispirata a criteri di troppo rigido formalismo e ribadisce il principio secondo il quale l'autenticazione di firma risultata apocrifa o, come nel caso di specie, di data non vera, in cui il notaio attesti tla1samente che data e firme 1sono vere e apposte in sua presenza, da persone da lui previamente identificate, integra il reato di falsit in atto pubblico originale, in quanto il mendacio si estende a circostanze inerenti all'attivit del pubblico ufficiale (identificazione del sottoscrittore) e cade sotto la di lui diretta percezione (sottoscrizione in sua presenza). Diverso invece il 1caso, come quello in esame, di falsa attestazione della verit della firma (o della data) nella forma della cosiddetta auten PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE tica minore (Vera di firmla o altra equipo11ente): in essa il notaio, o altro pubblico ufficiale, non fa ailicun accenno ad attivit da lui compiuta o percepita, ma si limita semplicemente a fare una dichiarazione personale di scienza .J1a quale aV'endo appunto affermato un va:lore limitato, non presuppone le formaHt previste dall'art. 2703 cod. civ. ben potendo il pubblico ufficiale trarre TI proprio convincimento del1a verit della firma e della data con ogni altro mezzo adeguato (come ad esempio la 'conoscenza personale della fuima) che non sia quello della contestuale sottoscrizione in sua presenza. E se la firma o la data risultano false o non vere, ~'ipotesi rientra in quella prevista e punita dall'art. 480 cod. pen. (falsit ideologica commessa dlail pubblico ufficiale in certificati). Per contrastare quest'assunto il giudice di appello ha osservato che H pubblico ufficiale, nell'apporre l'autenticazione della data all'atto che egli redige attesta un fatto di cui egli stesso partecipe, e che tenuto personalmente ad accertare e documentare con esattezza, con la conseguenza che non pu pi mettersi in discussione se non per mezzo di specifica impugnazione di fa1so. Senonch quest'affermazione trova U1J1a chiara smentita nel principio gi fissato da questa Corte Suprema, con sentenza 30 marzo 1967 della terza Sezione Civile (in Giustizia Civile, 1967, 1044) -che rii Collegio condivide -secondo la quale la cosiddetta autentica minore non conferisce alla sottoscrizione Ja fede privilegiata (art. 2700 ood. civ.) coskoh la stessa impugnabile mediante il disconoscimento quale scrittura privata. Ed evidente che il predetto principio trova applicazione anche in lt'elazione alla data, giaoch, se non occorre la querela di falso per disconoscere unJa 1sottoscrizione autenticata con la vera di firma a fortiori non occorrer la querela per mettere in discussione la data, la quale un elemento aocesisorio de11'a1lto normale, ma non sempre indispensabile, con la conseguenza che essa non pu assurgere ad atto a se stante. Quindi, se rautentica minore iintegra J'ipotesi di una mera certificazione amministrativa, non pu certo assumere rilevanza di atto pubblico la data che alla medesima venga apposta. Diversamente opinando, sii verrebbe ad attribuire un valore documentale autonomo, e per giunta di rango pi elevato, a quello che costituisce invece -come si gi accennato -un semplice elemento accessorio della certificazione, e di qualunque sorittura; con la conclusione che, se cos non fosse, tutte le certificazioni amministrative, in quanto datate, conterrebbero, un atto pubb.Jico, anzi due atti pubblici perch lo stesso ragionamento varrebbe, e a maggior ragione, per la firma del pubblico ufficiale. Sembra, inoltre, al Collegio che l'assunto della Corte giuliana trovi una smentita nelle stesse drisposizioni contenute, in materia di falso, RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO nel codice penale; il pubblico uffidale che contraffa o ltera certificati o autorizzazioni amministrative risponde di falsit materiale in certificati o autoriizzazioni (art. 477) e non gi di falsit materiale in atto pubblico (art. 476) e ci anche nel caso di contraffazione o 1alterazione della data; a sua volta il privato che fabbrica un certificato (compresa data e firma false) risponde del reato ex art. 482 e non gi di un falso in certificato in concorso con un fialso in atto pubblico. Secondo il giudice d'appello, la ricorrenza, nella specie, del delitto di falso ideologico prevista dal.l'art. 479 cod. pen. troverebbe un'ulteriore conferma nella circostanza 1che la data falsa era contenuta anche nel libro giornale delle gimte. Senonch -come ha esattamente II'ilevato anche la difesa del notaio Sartori di Borgoricco nel corso della discussione orale -l'irregolare tenuta di detto libro espressamente prevista come un mero illecito amministrativo dell'art. 29 del r,d. 29 marzo 1942, n. 239. Il libro in questione, chiamato giornale dall'art. 28 del menzionato regio decreto (come quello che, a norma dell'art. 2214 cod. civ. deve essere tenuto dagli 1imprenditori commerciali) rientra fra i documenti puramente interni redatti dai pubblici ufficiali nel.l'esercizio delle loro funzioni, per scopi diversi da quelli di attribuire pubblica fede e, al contrario del repertorio notarile (certamente atto pubblico) non ha 1alcuna funzione probatoria ma semplicemente informativa, tanto che non dev'essere neppure firmato dal notaio. Del resto, questa soluzione trova conferma sia nello stesso art. 28 gi citato, il quale testualmente dispone che le autenticazioni di cui al presente articolo non sono soggette a iscrizione nel repertorio notarile, sia nella .considerazione che la data che dev'essere registata a norma di detto articolo, non gi quella dell'autenticazione, operata dal notaio, ma la data della girata, che atto di parte. Comunque, anche se si volesse ritenere, per mera ipotesi, il libro giornale come un atto pubblico in senso lato, non potrebbe trattarsi che di un ratto derivativo, cio di un certificato ex artt. 477 e 480 cod. pen. o di un attestato sul .contenuto di altri atti (art. 478, ult. capov. cod. pen.). Inquadrato pertanto il fatto addebitato ai ricorrenti, Savio, Santin, Sartori di Borgoricco e Del Pr come reato di falsit ideologica commessa da pubblico ufficirale in certificati amministrativi (artt. 110, 480 cod. pen.), la sentenza impugnata deve essere, sul punto, annullata senza rinvio essendo detto reato, commesso nei giorni immediatamente successivi al 18 giugno 1968, estinto in virt dell'amnistia di cui al d.P.R. n. 283 del 1970. Passando ora a esaminare le censure relative all'altro episodio, in cui sono stati coinvolti tutti gli imputati ricorrenti, giuriidicamente qualificato nella sentenza impugnata come reato di tentata truffa aggravata ai PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE danni dello Stato, il Collegio ritiene di non poter condividere le conclusioni a cui sono pervenuti i giudici di secondo grado, fatte proprie dal Procuratore Generale presso questa Corte Suprema. Da tutto il complesso della legislazione tributaria, e in particolare da quella in materia d'imposte di successione che qui particolarmente interessa, possono ricavarsi i seguenti princpi: 1) l'omessa o infedele denunzia di cespiti non , di regola, consiide11ata come delitto ma solo, e iin via eocezionale, 1con1lravvenzione; 2) la frode fiscale , per sua stessa definizione, una evasione fiscale qualificata da un artifizio maliziosamente diretto a frustrare le aspettative dell'Erario, non essendo sufficiente la sussistenza di artifizi e raggiri per giustificare, in detta materia, il reato di truffa (consumata o tentata); 3) se vero che ~n taluni casi particolari (come, per esempio, in tema d'imposte dirette e di diritti di confine) la frode fiscale punita come delitto -ma di norma con pena edittale meno grave di quella prevista per Ja truffa ai danni dello Stato -c' peraltro da considerare che in altre numerose ipotesi (come appunto nel caso delle imposte di successione) le leggi speciali prevedono solo sanzioni di carattere amministrativo, facendo salva, ovviamente, la possibilit di punire gli eventuali reati di falso, che in concreto ne costituiscono lo strumento; 4) l'accertamento e la liquidazione dell'imposta non costituiscono atti dispositivi, cui 1corrisponda una diminuzione patrimoniale ai danni del soggetto passivo; 5) la legge attribuisce ial fisco mezzi e poteri volti al fine di stabilire la verit indipendentemente dalle denunzie presentate o dalle dichiarazioni rilasciate dai contribuenti, le quali danno origine ad un processo di accertamento diretto; Io stesso giuramento che l'ufficio finanziario pu deferire al contribuente non pu avere valore ed efficacia di prova legale, tanto che specificamente previsto che le omissioni possono essere accertate anche dopo che sia stata sottoscritta la formula del giuramento, con l'applicazione in tal caso di una semplice soprattassa. Da questi princpi pu trarsi la conseguenza che, in materia di frode fiscale in tema d'imposte di successione, non possario essere configurati due requisiti che integrano H reato di truffa: !"induzione in errore, giacch l'artificio non sarebbe mai giuridicamente causale, in quanto non idoneo rispetto al preteso danno; l'atto dispositivo, e ci non tanto perch l'atto stesso non possa concretarsi in una rinunzia al credito, quanto -perch come stato bene messo in evidenza e illustrato dalla difesa della moglie e della figlia del defunto Zanussi -la liquidazione dell'imposta di successione, fatta in base alla denunzia e il susseguente controllo ispettivo non integrano g1i estremi della condotta tipica del soggetto passivo, a norma dell'art. 640 cod. pen., non concretando essi un atto di disposizione con iJ quale lo Stato si spoglia di un suo bene patrimoniale, con arricchimento correlativo del patrimonio dell'agente. Non vi , in altri termini, 232 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO il compimento, da parte dello Stato di alcun atto cui corrisponda una sua diminuzione patrimoniale. D'altra parte questa Corte Suprema ha gi avuto occasione di precisare (III sez. penale sent. 11 novembre 1959, l1ic. Agostine1li e altri) che fa differenza fra il reato di truffa e la frode fiscale non Via posta nella mera difformit dei mezzi fraudolenti adoperati (artifizio e raggiro nella truffa, qualsiasi altro mezzo ingannevole nella frode) ma piuttosto in due distinte correlazioni fra il comportamento del soggetto passivo e le manovre fraudolente poste in essere dal reo; pi precisamente, nella truffa la vittima, mediante un atto dispositivo, si spoglia da s di un proprio diritto, nella fu-ode fiscale la vittima, invece, subisce l'inadempimento dell'obbligato, nella convinzione, fraudolentamente provocata dall'agente, che la prestazione non sia dovuta. E questa stessa Sezione ha poi ribadito il concetto, affermando, con sentenza del 4 dicembre 1961 (P.M. c. Fiorino e Lezzo) che con la truffa s'intende punire la condotta fraudolenta che assicuri un aumento del proprio patrimonio con una riduzione correlativa del patrimonio altrui, e non gi la condotta (attiva ed omssiva) diretta ad evitare una diminuzione del patrimonio con un correlativo aumento del patrimonio . di altri, anche se tale aumento sia sancito da apposite norme per un particolare interesse nazionale; diversamente opinando si confonderebbe la truffa con la frode fiscale, nella quale -giova ripeterlo -si lede una legittima aspettativa dello Stato col mancato adempimento dell'oggetto della prestazione del rapporto giuridico d'imposta. D'altronde non sembra inopportuno rilevare, per completezza di moti vazione, che l'episodio non sarebbe neppure configurabile sotto il profilo del reato previsto dall'art. 344 cod. pen.: la giurisprudenza costante di questa Corte Regolatrice, confortata dalla dottrina, stata sempre concorde neU'affermare l'impossibilit di ricondurre sotto il paradigma della frode processuale un artifizio del genere di quello contestato agli attuali ricorrenti imputati. Un argomento ulteriore a favore dell'insussistenza della truffa, anche solo tentata, pu trarsi dalle nuove disposizioni in materia d'imposta di successione (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637), le quali, considerando compresi nell'attivo ereditario i beni e i diritti soggetti a imposta, che siano stati trasferiti a terzi a titolo oneroso negii ultimi .sei mesi di vita del defunto, s'inquadrano perfettamente in un sistema che esclude la configurabilit di detto reato nel compimento di atti fraudolenti diretti ad evadere l'imposta di successione. Si impone pertanto, anche su questo punto l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perch il fatto ascritto agli imputati, non previsto dalla legge come reato. PARTE SECONDA I ~ i: i: I I f: ~ ~ I ' ' LEGISLAZIONE I -NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI r.d.I. 14 aprile 1939, n. 636, art. 13, comma quinto, nella parte in cui stabilisce che se superstite il marito la pensione corrisposta solo nel caso che esso sia riconosciuto invalido al lavoro ai sensi del primo comma dell'art. 10 . Sentenza 30 gennaio 1980, n. 6, G. U. 6 febbraio 1980, n. 36. legge 10 agosto 1'950, n. 648, art. 69, nella parte in ci non prevede, acconto alla vedova, anche il vedovo quale soggetto di diritto alla riversibilit di pensione di guerra gi fruita dal coniuge. Sentenza 30 gennaio 1980, n. 36, G. U. 6 febbraio 1980, n. 36. legge 22 novembre 1962, n. 1646, art. 6, secondo comma, nella parte in cui, ai fini del trattamento di quiescenza di riversibilit delle Casse pensioni facenti parte degli Istituti di previdenza presso il Ministero del Tesoro: a) non prevede la rilevanza del matrimonio contratto dal pensionato prima del compimento del sessantacinquesimo anno di et, prescindendosi in questa ipotesi da ogni altro requisito; b) richiede che il matrimonio, dal quale non sia nata prole, anche postuma, sia stato contratto dal pensionato prima del compimento del sessantaduesimo anno di et, e che la differenza di et tra i coniugi non superi gli anni venti, anzich venticinque; e nella parte in cui, ai fini del trattamento di quiescenza di riversibilit delle Casse pensioni facenti parte degli Istituti di previ denza presso il Ministero del Tesoro, qualora si tratti di titolare di pensione di privilegio, fermi i restanti requisiti di rilevanza, richiede che il matrimonio dal quale non sia nata prole, anche postuma, sia stato contratto dal pensionato prima del compimento del settantacinquesimo anno di et. Sentenza 15 febbraio 1980, n. 15, G. U. 20 febbraio 1980, n. 50. legge 18 marzo 1968, n. 313, art. 59, nelle parti in cui non prevede, acconto alla vedova, anche il vedovo quale soggetto di diritto del trattamento economico stabilito dall'annessa tabella 1. Sentenza 30 gennaio 1980, n. 36, G.U. 6 febbraio 1980, n. 36. legge 22 ottobre 1971, n. 865, art. 16, commi cinque sei e sette (mod. da legge 28 gennaio 1977, n. 10, art. 14). Sentenza 30 gennaio 1980, n. 5, G. U. 6 febbraio 1980, n. 36. legge 22 ottobre 1971, n. 865, art. 20 [mod. da legge 28 gennaio 1977, n. 10]. Sentenza 30 gennaio 1980, n. 5, G. U. 6 febbraio 1980, n. 36. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO d.I. 1 ottobre 1973, n. 580, art. 4, comma sesto, n. 1 [conv. in legge 30 novembre 1973, n. 7661 nella parte in cui non comprende tra coloro che esercitano attivit professionale o consulenza professionale retribuita anche i dipendenti pubblici e privati. Sentenza 15 febbraio 1980, n. 16, G. U. 20 febbraio 1980, n. 50. legge 27 giugno 11974, n. 247, nella parte in cui, convertendo in legge, con modificazioni, il decreto-legge 2 maggio 1974, n. 115, ne modifica l'art. 4, estendendo l'applicazione delle disposizioni dell'art. 16, commi cinque, sei e sette della legge n. 865 del 1971 a tutte le espropriazioni comunque preordinate alla realizzazione di opere o di interventi da parte dello Stato, delle regioni, delle province, dei comuni o di altri enti pubblici o di diritto pubblico anche non territoriali. Sentenza 30 gennaio 1980, n. 5, G. U. 6 febbraio 1980, n. 36. legge 22 maggio 1975, n. 152, art. 1, terzo comma, limitatamente all'avverbio nuovamente . Sentenza 23 gennaio 1980, n. 1. G. V. 30 gennaio 1980, n. 29. legge 28 gennaio 1977, n. 10, art. 19, comma primo. Sentenza 30 gennaio 1980, n. 5, G. U. 6 febbraio 1980, n. 36. legge 9 d'icembre 1977, n. 903, art. 11, comma primo, limitatamente alle parole deceduta posteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge. Sentenza 30 gennaio 1980, n. 6, G. U. 6 febbraio 1980, n. 36. legge reg. siciliana appr. il 15 dicembre 1978, ,art. 4, comi secon.do e terzo, nella parte in cui consentono all'assessore regionale per il territorio e l'ambiente di apportare, per la salvaguardia del pubblico interesse, ai piani regolatori generali adottati dai comuni modifiche essenziali, che non trovano giustificazione nell'adeguamento a leggi statali e regionali o nel concorso di alcune clelle condizioni sub a), b), e) e d) dell'art. 3 della legge 6 agosto 1967, n. 765. Sentenza 15 febbraio 1980, n. 13, G. U. 20 febbraio 1980, n. 50 legge reg. sicUiana appr. il 15 dicembre 1978, art. 11, quinto comma. Sentenza 15 febbraio 1980, n 13, G U. 20 febbraio 1980, n. 50. Il. -QUESTIONI DICHIARATE NON FONDATE r.d.I. 14 aprile 1939, n. 636, art. 13, nella parte in cui subordina il diritto a pensione di riversibilit degli orfani maggiorenni inabili al lavoro alla condizione che l'inabilit sussista al momento del decesso del genitore. Sentenza 30 gennaio 1980, n. 7, G. U. 6 febbraio 1980, n. 36. -I PARTE II, LEGISLAZIONE r.d.I. 14 aprile 1939, n. 636, art. 13, per la parte in cui subordina ildiritto a pensione di riversibilit dei collaterali permanentemente inabili al lavoro alla condizione che tale invalidit sussista al momento della morte del dante causa'" Sentenza 30 maggio 1980, n. 8, G. U. 6 febbraio 1980, n. 36. legge 1 O agosto 1950, n. 64>8, artt. 59 e 69 (artt. 3, 29 e 31 della Co stituzione). Sentenza 23 gennaio 1980; n. 2, G. U. 30 gennaio 1980, n. 29. legge 4 luglio 1967, n. 580, artt. 36 e 29 (art. 41 della Costituzione). Sentenza lS febbraio 1980, n. 20, G. U. 20 febbraio 1980, n. SO. legge 18 marzo 1968, n. 3'13, art. 44, (artt. 3, 29 e 31 della Costituzione). Sentenza 23 gennaio 1980, n. 2, G. U. 30 gennaio 1980, n. 29. legge 30 aprlle 1969, n. 153, art. 24, (artt. 3 e 38 della Costituzione). Sentenza lS febbraio 1980, n. 14, G. U. 20 febbraio 1980, n. SO. legge reg. sicllianC! 23 marzo 1971, n. 7, artt. 56, 75 e 90, (art. 14, lettera q), dello statuto speciale siciliano). Sentenza lS febbraio 1980, n. 12, G. U. 20 febbraio 1980, n. SO. legge reg. Lazio 29 maggio 1977, n. 20, arff. 40, 72, 81, terzo e secondo comma, (artt. 3, 3S, 36, 97, primo e secondo comma, 117 della Costituzione, nonch alla VIII disposizione transitoria della Costituzione e dell'art. 49, secondo comma lettera b, dello Statuto della regione Lazio). Sentenza 30 gennaio 1980, n. 10, G. U. 6 febbraio 1980, n. 36. d.I. 1 ottobre 1973, n. 580, art. 4, ~omma sesto, n. 1, (artt. 1, 4, commi primo e secondo, 33, comma primo, 34, cpv. 3S, comma primo, Sl, comma primo, e 97, comma primo, della Costituzione). Sentenza lS febbraio 1980, n. 16, G. U. 20 febbraio 1980, n. SO. d.I. 1 ottobre 1973, n. 580, art. 4, comma sesto, nn. 2, 3, 4, 5, (artt. l, 3, commi primo e secondo, 4, commi primo e secondo, 33, comma primo, 34 cpv., 3S comma primo, Sl, comma primo, e 97, comma primo, della Costituzione). Sentenza 1S febbraio 1980, n. 16, G. U. 20 febbraio 1980, n. SO. legge reg. siciliana 7 dicembre 1973, n. 45, art. 1 (art. 14, lettera q, dello Statuto speciale siciliano). Sentenza lS febbraio 1980, n. 12, G. U. 20 febbraio 1980, n. SO. legge reg. Campania 16 marzo 1974, n. 11, art. 36, secondo, quarto, quinto e sesto comma, (artt. 3, primo comma, 3S, primo comma, 97, primo e secondo comma, della Costituzione). Sentenza 30 gennaio 1980, n. 10, G. U. 6 febbraio 1980, n. 36. 4 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO legge reg. siciliana appr. il 15 dicembre 197-8, art. 14, terzo comma, limi tatamente alle parole corrispondendo ad essi un'indennit pari al valore venale dell'immobile da acquistare (art. 14, f) e s) dello Statuto della regione sici liana). Sentenza 15 febbraio 1980, n. 13, G. U. 20 febbraio 1980, n. 50. legge reg. siciliana appr. il 15 d'icembre 11978, art. 56, (art. 42, comma 4 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO legge reg. siciliana appr. il 15 dicembre 197-8, art. 14, terzo comma, limi tatamente alle parole corrispondendo ad essi un'indennit pari al valore venale dell'immobile da acquistare (art. 14, f) e s) dello Statuto della regione sici liana). Sentenza 15 febbraio 1980, n. 13, G. U. 20 febbraio 1980, n. 50. legge reg. siciliana appr. il 15 d'icembre 11978, art. 56, (art. 42, comma terzo, della Costituzione). Sentenza 15 febbraio 1980, n. 13, G. U. 20 febbraio 1980, n. 50. legge reg. siciliana appr. il 15 dicembre 197,9, titolo VII, (art. 14, lettera f) dello Statuto della regione siciliana). Sentenza 15 febbraio 1980, n. 13, G. U. 20 febbraio 1980, n. 50. legge reg. siciliana a.ppr. in seduta notturna del 1617 maggio 1979 (art. 14, lettera f) dello Statuto della regione siciliana). Sentenza 15 febbraio 1980, n. 13, G. U. 20 febbraio 1980, n. 50. III -QUEJSTIONI PROPOSTE Codice civile, art. 2059 (artt. 32 e 3 della Costituzione). Tribunale di Genova, ordinanza 8 ottobre 1979, n. 929, G. U. 20 febbraio 1980, n. 50. codice civUe, art. 2948, n. 4 (artt. 136, primo comma, e 36, primo comma, della Costituzione). Pretore di Parma, ordinanza 18 settembre i979, n. 817, G. U. 16 gennaio 1980, n. 15. codice di procedura civile, art. 413, secondo comma [modif. da legge 11 agosto 1973, n. 53131 (artt. 3, primo e secondo comma, 35, 24 della Costituzione). Pretore di Torino, ordinanza 31 ottobre 1979, n. 960, G. U. 27 febbraio 1980, n. 57. codice penale, art. 69, ultimo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Sal, ordinanza 26 gennaio 1979, n. 810, G. U. 16 gennaio 1980, n. 15. codice penale, art. 159 (artt. 3, 25, comma primo, e 112 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 18 ottobre 1979, n. 945, G. U. 20 febbraio 1980, n. 50. codice penale, art. 169 (artt. 2 e 3 della Costituzione). Tribunale per i minorenni di Perugia, ordinanza 11 maggio 1979, n. 951, G. U. 20 febbraio 1980, n. 50. PARTE II, LEGISLAZIONE J codice penale, artt. 222, comma primo, e 204, comma secondo (art. 3, comma primo, della Costituzione). Giudice istruttore del Tribunale di Milano, ordinanza 29 ottobre 1979, n. 966, G. U. 27 febbraio 1980, n. 57. codice penale, art. 383, cpv (artt. 3 e 29 della Costituzione). Tribunale di Macerata, ordinanza 19 ottobre 1979, n. 956, G. U. 27 febbraio 1980, n. 57. codice penale, art. 584 (art. 3 della Costituzione). Corte d'Assise di Cagliari, ordinanza 29 ottobre 1979, n. 965, G. U. 27 febbraio 1980, n. 57. codice .penale, art. 636 (artt. 3 e 42 della Costituzione). Pretore di Nard, ordinanza 30 giugno 1979, n. 829, G. U. 16 gennaio 1980, n. 15. cod'ice civile, artt. 684 e 164, comma primo, n. 1 (art. 21 della Costituzione). Pretore di Bologna, ordinanza 25 ottobre 1979, n. 954, G. U. 20 febbraio 1980, n. 50. codice penale, art. 688 artt. 3 e 32 della Costituzione). Pretore di Cesena, ordinanza 15 gennaio 1979, n. 957, G.U. 20 febbraio 1980, n. 50. Pretore di Cesena, ordinanza 2 ottobre 1978, n. 958 del 1979, G. U. 20 febbraio 1980, n. 50. codice penale, art. 699, cpv. (art. 3 della Costituzione). Pretore di Napoli, ordinanza 8 giugno 1979, n. 937, G. U. 20 febbraio 1980, n. 50. codice penale, art. 708 (artt. 3 e 27 della Costituzione). Tribunale di Genova, ordinanza 19 settembre 1979, n. 943, G. U. 20 febbraio 1980, n. 50. Tribunale di Genova, ordinanza 20 luglio 1979, n. 950, G. U. 27 febbraio 1980, n. 57. codice di procedura penale, artt. 429 e 499 (artt. 3 e 24, comma secondo, della Costituzione). Tribunale di Torino, ordinanza 18 luglio 1979, n. 964, G. U. 27 febbraio 1980, n. 57. codice penale militare di pace, art. 183 (artt. 25, secondo comma, e 3 della Costituzione). Tribunale militare territoriale di Padova, ordinanza 13 luglio 1979, n. 904, G. U. 6 febbraio 1980, n. 36. 6 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO r.d. 22 dicembre 1872, n. 1210-sexies, art. 78 (artt. 101, secondo comma e 108, secondo comma, della Costituzione). Tribunale militare territoriale di Padova, ordinanza 27 giugno 1979, n. 903, G. U. 13 febbraio 1980, n. 43. r.d. 19 ottobre 1923, n. 2616, art. 16 (artt. 101, secondo comma, e 108, secondo comma della Costituzione). Tribunale militare territoriale di Padova, ordinanza 27 giugno 1979, n. 903, G. U. 13 febbraio 1980, n. 43. r.d. 30 dicembre 1923, n. 2903, art. 29 (artt. 101, secondo comma, e 108, secondo comma, della Costituzione). Tribunale militare territoriale di Padova, ordinanza 27 giugno 1979, n. 903, G. U. 13 febbraio 1980, n. 43. r.d. 30 dicembre 1923, n. 3260, art. 43 (art. 53 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di filature, ordinanza 6 marzo 1979, n. 895, G. U. 6 febbraio 1980, n. 36. r.d. 26 giugito 1924, n. 1054, art. 29, n. 1; n. 39 (artt. 3, primo comma, e 25, primo comma, della Costituzione). Corte di cassazione, sezioni unite, ordinanza 29 gennaio 1979, n. 843, G. U. 30 gennaio 1980, n. 29. Corte di Cassazione, sezioni unite, ordinanza 29 gennaio 1979, n. 844, G. U. 30 gennaio 1980, n. 29. Corte di Cassazione, deviazioni unite, ordinanza 22 marzo 1979, n. 845, G. U. 30 gennaio 1980, n. 29. Corte di Cassazione, sezioni unite, ordinanza 29 gennaio 1979, n. 842, G. U. 23 gennaio 1980, n. 22. Corte di Cassazione, sezioni unite, 29 gennaio 1979, n. 841, G. U. 23 gennaio 1980, n. 22. r.d.I. 13 novembre 1924, n. 1825, art. 6, pl"imo comma (artt.3,primocomma e 52 secondo comma, della Costituzione). Pretore di Lodi, ordinanza 26 aprile 1979, n. 908, G. U. 13 febbraio 1980, n. 43. r.d. 30 ottobre 1930, n. 1731, artt. 1, 4, 5, 15, lettera c ), 24, 25, 26, 27, 28, 29 e 30 (artt. 3, 2 e 18, 23, e 102, 53 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 16 maggio 1979, n. 775, G. U. 9 gennaio 1980, n. 8. d.I. 26 gennaio 1931, n. 124, art. 12 [conv. in legge 1,8 giugno 19311, n. 919] (artt. 101, secondo comma, e 108, secondo comma, della Costituzione). Tribunale militare territoriale di Padova, ordinanza 27 giugno 1979, n. 903, G. U. 13 febbraio 1980, n. 43. r.d. 8 gennaio 1931, n. 148, artt. 4, art. tre, e 58, alt. A> (artt. 24 e 3 della Costituzione). Corte di Cassazione, sezioni unite, ordinanza 14 maggio 1979, n. 846, G. U. 30 gennaio 1980, n. 29. Z::r.r.'.'.O:'.C..C.C.::r.r..C.':'.Z'::.".'Z'...:...........'..'..1..!.....-......'...:...-........- PARIB II, LEGISLAZIONE r.d. 18 qlugno 1931, n. 773, art. 38 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Macerata, ordinanza 5 ottobre 1979, n. 835, G. U. 16 gennaio 1980, n. 15. r.d.I. 5 giugno 1939, n. 1016, art. !2, primo e ultimo c:omma, [mod. da legge 2 agosto 1967, n. 799, art. 10] (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Padova, ordinanza 18 ottobre 1977, n. 941 del 1979, G. U. 20 febbraio 1980, n. 50. legge 22 aprile 1941, n. 633, sessione IY (art. 3 della Costituzione). Pretore di Torino, ordinanza 5 luglio 1979, n. 819, G. U. 16 gennaio 1980, n. 15. r.d. 9 setembre 1941, n. 1022, art. 50, sec:ondo c:omma (artt. 101, secondo comma, e 108, secondo comma, della Costituzione). Tribunale militare territoriale di Padova, ordinanza 27 giugno 1979, n. 903, G. U. 13 febbraio 1980, n. 43. r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 1H, primo c:omma (art. 24 della Costituzione). Corte di Cassazione, ordinanza 7 febbraio 1979, n. 847, G. U. 30 gennaio 1980, n. 29. r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 99, quinto c:omma (art. 24 della Costituzione). Corte di Cassazione, ordinanza 27 giugno 1979, n. 880, G. U. 6 febbraio 1980, n. 36. r.d.I. 31 maggio 1946, n. 511, art. 18 (artt. 21, primo comma, 25, secondo comma, 101, secondo comma e 108, primo comma, della Costituzione). Consiglio superiore della magistratura, sezione disciplinare, ordinanza 18 maggio 1979, n. 933, G. U. 20 febbraio 1980, n. 50. legge 23 maggio 1950, n. 253, art. 4 (art. 3 della Costituzione). Pretore :li Milano, ordinanza 13 novembre 1978, n. 911 del 1979, G. U. 13 feb braio 1980, n. 43. legge 23 maggio 1'950, n. 253, art. 4, n. 1 (art. 3 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 10 aprile 1979, n. 789, G. U. 9 gennaio 1980, n. 8. legge 23 maggio 1950, n. 253, art. 11 (art. 44 della Costituzione). Tribunale di Salerno, sezione agraria, ordinanza 20 giugno 1979, n. 834, G. U. 16 gennaio 1980, n. 15. legge 27 dic:embre 1956, n. 1423, art. 1, 3, 9 (art. 25, ultima parte, della Costituzione). Pretore di Partinico, ordinanze (due) 11 ottobre 1977, nn. 972 e 973 del 1979, G. U. 27 febbraio 1980, n. 57. 8 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 17 maggio 1957, n. 20, art. 1, lettera AJ (art. 32 dello Statuto speciale per la Sardegna). Corte d'appelo di Cagliari, ordinanza 14 settembre 1979, n. 791, G. U. 9 gennaio 1980, n. 8. legge reg. Trentino-Alto Adige 24 giugno 1957, n. 11, artt. 4, 7, 8, 9, 11, 17 e 22 (art. 108 della Costituzione). Tribunale di Trento, ordinanza 11 novembre 1979, n. 962, G.U. 27 feb braio 1980, n. 57. legge reg. Trentino Alto Adige 24 giugno 11957, n. 11, art. 8 (art. 24 della Costituzione). Tribunale di Trento, ordinanza 11 novembre 1979, n. 962, G.U. 27 febbraio 1980, n. 57. legge 20 febbraio 1958, n. 93, art. 2, comma 20 (artt. 3 e 38 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 9 ottobre 1979, n. 865, G. U. 6 febbraio 1980, n. 36. legge 3 aprile 1958, n. 474, art. 5 (art. 3 della Costituzione). Commissione Tributaria di primo grado di Alessandria, ordinanza 18 settembre 1979, n. 923, G. U. 13 febbraio 1980, n. 43. d.P.R. '15 giugno 1959, n. 393, art. 91, settimo comma (artt. 3, secondo comma, 4, primo e secondo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione). Pretore di Brunico, ordinanza 8 giugno 1979, n. 776, G. U. 9 gennaio 1980, n. 8. d.P.R. 15 giugno 19-59, n. 393, art. 121 [modificato da art. 5 legge 5 mag gio 1976,n. 313] (art. 3 della Costituzione). Pretore di Monfalcone, ordinanze (tre) 28 giugno 1979, n. 830, 831 e 832, G. U. 16 gennaio 1980, n. 15. Pretore di Domodossola, ordinanza 18 ottobre 1979, n. 932, G. U. 20 febbraio 1980, n. SO. Pretore di Cascina, ordinanza 5 ottobre 1979, n. 938, G. U. 20 febbraio 1980, n. 50. Pretore di Codogno, ordinanza 6 novembre 1979, n. 967, G. U. 27 febbraio 1980, n. 577. Pretore di Avigliana, ordinanze (quattro) 5 gennaio e 5 novembre 1979, nn. 968, 969, 970 e 971, G. U. 27 febbraio 1980, n. 57. d.P.R. 15 giugno 1559, n. 393, art. 121 [mod. da legge 5 maggio 1976, n. 3'13] (artt. 27, primo comma, e 3 della Costituzione). Pretore di Pisa, ordinanza 15 ottobre 1979, n. 909, G. U. 13 febbraio 1980, n. 43. -:-::;-:-:z-:zz..:..;..::.:::::::::::::::::::.:-.....::<'.'.'.'.'.'.'.'.'.'.'.Z"":'.:'.:'.:'.:{;;::::'.:"H...1..::'.'."'.'.'.'.'.:<<'.'.'.".'.:'.'.'.'.'.'.-'.-'.:'.'.'.'.'.:'.'.'.:-:-:'.'.'.'.'.-'.'.:'.-'.'.'.'.'.'.:-:<'.'.'.'.'.'.-'..'.'.'.:<:-:-:::::-:-::........ ............. . ... ::::-:.-..:z-:::::z:::>:.:.................. PARTE II, LEGISLAZIONE d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 121, secondo cpv., quarta ipotesi [modif. da legge '5 maggio 1976, n. 313, art. 5] (art. 3 della Costituzione). Pretore di Codigoro, ordinanza 4 maggio 1979, n. 796, G. U. 9 gennaio 1980, n. 8. Pretore di Codigoro, ordinanza 4 maggio 1979, n. 889, G. U. 6 febbraio 1980, 11. 36. d.P.R. 15 giugno 19'59, n. 393, art. '121, comma terzo e quarto (artt. 3 e 102 della Costituzione). Pretore di Empoli, ordinanza 9 ottobre 1979, n. 859, G. U. 23 gennaio 1980, n. 22. legge 12 agosto 1962, n. 13-38, art. 2, secondo comma, lettera a) (art. 3 della Costituzione). Pretore di Tolmezzo, ordinanza 26 luglio 1979, n. 942, G. U. 20 febbraio 1980, n. 50. legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2, secondo comma, lettera A) (artt. 3 e 38 della Costituzione). Pretore di Brescia, ordinanza 23 ottobre 1979, n. 930, G.U. 13 febbraio 1980, n. 43. legge 15 settembre 1964, n. 756, art. 14 (art. 44 della Costituzione)). Tribunale di Venezia, ordinanza 4 ottobre 1979, n. 893, G. U. 6 febbraio 1980, n. 36. d.P.R. 5 giugno 1965, k 759, art. 1, primo comma (art. 3, primo comma, della Costituzione). Pretore di Modena, ordinanza 8 ottobre 1979, n. 928, G. U. 20 febbraio 1980, n. 50. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 111~4. art. 112, secondo comma (artt. 76 e n della Costituzione). Tribunale di Torino, ordinanza 17 ottobre 1979, n. 922, G. U. 13 febbraio 1980, n. 43. Tribunale di Torino, ordinanza 17 ottobre 1979, n. 918, G. U. 20 febbraio 1980, n. 50). d.P.R. 30 giugno H65, n. 1124, art. 145, lettera Q) (artt. 3 e 38 della Costituzione). Pretore di Torino, ordinanza 8 ottobre 1979, n. 897, G. U. 6 febbraio 1980, n. 36. legge 2 ottobre 1967, n. 895, artt. 2 e 7 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Macerata, ordinanza 5 ottobre 1979, n. 835, G. U. 16 gennaio 1980, n. 15. 10 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO legge 2 ottobre 1967, n. 895, artt. 5 e 7 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Napoli, ordinanza 8 giugno 1979, n. 937, G. U. 20 febbraio 1980, n. 50. legge 23 gennaio 1968, n. 30 (art. 11 della Costituzione). Tribunale di Trento, ordinanza 23 giugno 1979, n. 882, G. U. 6 febbraio 1980, n. 36. legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 2 (art. 3 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia Sezione staccata di Brescia -ordinanza 23 febbraio 1979, n. 836, G. U. 23 gennaio 1980, n. 22. legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 3 (artt. 3, 36 e 38 della Costituzione). Pretore di Brescia, ordinanza 13 luglio 1979, n. 774, G. U. 9 gennaio 1980, n. 8. legge 2 aprile 1968, n. 482, artt. 1, 8 e 9 (art. 3 della Costituzione) .. Pretore di Roma, ordinanza 25 agosto 1979, n. 876, G. U. 6 febbraio 1980, n. 36. legge 2 aprile 1968, n. 82, art. 5 (artt. 3, 1, 4 e 35 della Costituzione). Pretore di Milano, ordinanza 26 giugno 1979, n. 906, G. U. 13 febbraio 1980, n. 43. d.P.R. 27 marzo 1969, n. 130, artt. 60, lettera Al e 135 (art. 76 della Costituzione). Consiglio di Stato, sezione V giurisdizionale, ordinanza 6 aprile 1979, n. 939, G. U. 20 febbraio 1980, n. 50. d.P.R. 27 marzo 1969, n. 130, art. 74-bis, penultimo comma (art. 36 della Costituzione).) Pretre di Parma, ordinanza 5 giugno 1979, n. 811, G. U. 16 gennaio 1980, n. 15. legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 23 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Tolmezzo, ordinanza 26 luglio 1979, n. 942, G. U. 20 febbraio 1980, n. 50. legge 20 maggio 1970, n. 300, art. 28 (artt. 3, primo comma, e 25, primo comma, della Costituzione). Corte di Cassazione, sezioni unite, ordinanza 29 giugno 1979, n. 843, G. U. 30 gennaio 1980, n. 29. Corte di Cassazione, sezioni unite, ordinanza 29 gennaio 1979, n. 844, G. U. 30 gennaio 1980, n. 29. Corte di Cassazione, sezioni unite, ordinanza 22 marzo 1979, l. 845, G. U. 30 gennaio 1980, n. 29. , ,,,,,,,,,,. .,,,,,,,.. ..m. ,, .. .. . . ....., .,. PARTE II, LEGISLAZIONE Corte di Cassazione, sezioni unite, ordinanza 29 gennaio 1979, n. 842, G. U. 23 gennaio 1980, n. 22. Corte di Cassazione, sezioni unite, ordinanza 29 gennaio 1979, n. 841, G. U. 23 gennaio 1980, n. 22. legge 24 maggio 1970, n. 336, artt. 3 e 4 (artt. 3, comma primo, e 52 della Costituzione). Pretore di Ferrara, ordinanze (sei) 3 settembre 1979, nn. 822, 823, 824, 825, 826 e 827, G. U. 16 gennaio 1980, n. 15. d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1079 (artt. 3 e 36 della Costituzione)). Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanza 15 novembre 1978, n. 760/1979, G. U. 9 gennaio 1980, n. 8. legge 30 dicembre 1970, n. 1239 (art. 11 della Costituzione). Tribunale di Trento, ordinanza 23 giugno 1979, n. 882, G. U. 6 febbraio 1980, n. 36. legge 9 ottobre 1971, n. 825, art. 4, n. 1 (artt. 3, 35, primo comma e 53, primo comma, della Costituzione). Commissione Tributaria di primo grado di Biella, ordinanza 15 novembre 1978, n. 765/1979, G. U. 9 gennaio 1980, n. 8. legge 9 ottobre 1971, n. 825, artt. 10, comma secondo, nn. 14 e 15 (art. 76 della Costituzione). Commissione Tributaria di secondo grado di Oristano, ordinanze (quattro) 15 maggio 1979, n. 848, 849, 850 e 851, G. U. 6 febbraio 1980, n. 36. legge 9 ottobre 1971, n. 827, art. 5, primo comma (art. 3 della Costituzione). Consiglio di Stato, sezione IV giurisdizionale, ordinanza 10 aprile 1979, n. 883, G. U. 6 febbraio 1980, n. 36. legge 22 ottobre 1971, n. 865, artt. 15 e 16 (artt. 3 e 42, terzo comma, della Costituzione). Corte d'appello di Genova, ordinanza 10 maggio 1979, n. 798, G. U. 16 gennaio 1980, n. 15. legge 22 ottobre 1971, n. 865, art. 16 (artt. 3 e 42 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, ordinanza 24 gennaio 1979, n. 944, G. U. 20 febbraio 1980, n. 50. legge 22 ottobre 1971, n. 865, art. 16 (artt. 3 e 42, terzo comma, della Costituzione). Corte d'appello di Genova, ordinanza 11 maggio 1979, n. 920, G. U. 13 febbraio 1980, n. 43. 12 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 6 dicembre 1971, n. 1034, artt. 7, 19 e 21 (artt. 3, primo comma, e 25, primo comma, della Costituzione). Corte di Cassazione, sezioni unite, ordinanza 29 gennaio 1979, n. 843, G. U. 30 gennaio 1980, n. 29. Corte di Cassazione, sezioni unite, ordinanza 29 gennaio 1979, n. 844, G. U. 30 gennaio 1980, n. 29, Corte di Cassazione, sezioni unite, ordinanza 22 marzo 1979, n. 845, G. U. 30 gennaio 1980, n. 29. Corte di Cassazione, sezioni unite, ordinanza 29 gennaio 1979, n. 842, G. U. 23 gennaio 1980, n. 22. Corte di Cassazione, sezioni unite, ordinanza 29 gennaio 1979, n. 841, G. U. 23 gennaio 1980, n. 22. legge 30 dicembre 1970, n. 1239, e annessa tabella (art. 11 della Costituzione). Tribunale di Napoli, ordinanza 3 novembre 1979, n. 994, G. U. 13 febbraio 1980, n. 43. legge reg. Emilia Romagna M ottobre 1972, n. 9, art. 4, secGndo comma (art. 25 dello Statuto regionale e artt. 123 e 127 della Costituzione). Consiglio di Stato, sezione IV giurisdizionale, ordinanza 28 ottobre 1978, n. 778/1979, G. U. 9 gennaio 1980, n. 8. Tribunale di Ravenna, ordinanze (due) 22 luglio 1978, nn. 799 e 800, G. U. 9 gennaio 1980, n. 8. legge reg. Emilia Romagna 11 ottobre 1972, n. 9, art. 4, seco.ndo comma (artt. 117 e 123 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia -Romagna, ordinanza 24 gennaio 1979, n. 944, G. U. 20 febbraio 1980, n. 50. legge reg. Emilia Romagna 11 ottobre 1972, n. 9, art. 4, seco.ndo comma (artt. 117 e 123 della Costituzione e art. 25 dello statuto regionale). Consiglio di Stato, sez. IV giurisdizionale, ordinanza 6 marzo 1979, n. 953, G. U. 27 febbraio 1980, n. 57. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 58, quarto comma (art. 3 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Bolzano, ordinanza 2 febbraio 1979, n. 898, G. U. 13 febbraio 1980, n. 43. d.P.R. 26 ottobre H72, n. 633, art. 60 (artt. 3, 24 e 113 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Modena, ordinanze (due) 7 dicembre 1978, nn. 974 e 975/1979, G. U. 27 febbraio 1980, n. 57. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, artt. 1 e 46, primo comma (artt. 3, 24, 102 e 113 della Costituzione). Pretore di Putignano, ordinanza 17 maggio 1979, n. 795, G. U. 9 gennaio 1980, n. 8. PARTE II, LEGISLAZIONE d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 44, comma terzo {artt. 3, comma primo, 24, comma primo, e 76 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Oristano, ordinanze (quattro) 15 maggio 1979, nn. 848, 849, 850 e 851, G. U. 6 febbraio 1980, n. 36. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, artt. 6 e 14 (art. 53, primo comma, della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Gorizia, ordinanza 28 novem bre 1978, n. 963/1979, G. U. 20 febbraio 1980, n. SO. d.P.R. 30 dicembre 1972, n. 1035, art. 17 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Pattada, ordinanza 5 giugno 1979, n. 896, G. U. 6 febbraio 1980, n. 36. d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 334 (artt. 3 e 25 della Costituzione). Tribunale di Bolzano, ordinanza 13 novembre 1979, n. 986, G. U. 27 febbraio 1980, n. 57. Tribunale di Rovigo, ordinanza 31 maggio 1979, n. 790, G. U. 9 gennaio 1980, n. 8. legge 30 luglio 1973, n. 477, art. 17 (artt. 3 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 16 maggio 1979, n. 913, G. U. 13 febbraio 1980, n. 43. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599 (artt. 3, 35 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado, ordinanza 9 maggio 1979, n. 991, G. U. 27 febbraio 1980, n. 57. Commissione tributaria di primo grado di Larino, ordinanze (tre) 30 giugno e 9 maggio 1979, nn. 946, 947 e 948, G.U. 27 febbraio 1980, n. 57. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, art. 1 (artt. 3, 35, primo comma, e 53, primo comma, della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Biella, ordinanza 15 novembre 1978, n. 765/1979, G. U. 9 gennaio 1980, n. 8. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, art. 1, comma primo, lettera a) (artt. 3, 35, comma primo, e 53, comma primo, della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Bolzano, ordinanza 23 maggio 1979, n. 899, G. U. 13 febbraio 1980, n. 43. dPJR. 29 settembre 1973, n. 599, art+. 1 e 7 (artt. 3, 35 e 53 della Costi tuzione). Commissione tributaria di primo grado di Lodi, ordinanze (due) 9 maggio 1979, nn. 806 e 807, G. U. 9 gennaio 1980, n. 8. Commissione tributaria di primo grado di Trieste, ordinanza 7 novem bre 1977, n. 840/1979, G. U. 23 gennaio 1980, n. 22. Commissione tributaria di secondo grado di Torino, ordinanza 21 giugno 1979, n. 905, G. U. 13 febbraio 1980, n. 43. 14 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, artt. 1, primo comma, lettera a) e 7, primo, secondo e quarto comma (artt. 3, 35, primo comma, e 53, primo comma, della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Brescia, ordinanza 17 marzo 1979, n. 816, G. U. 16 gennaio 1980, n. 15. d.P.IJ. 29 settembre 1973, n. 599, art. 4, comma terzo e art. 6, comma quinto (art. 75 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Milano, ordinanza 28 settembre 1978, n. 861/1979, G. U. 6 febbraio 1980, n. 36. d.P.R. 2'9 settembre 1973, n. 599, art. 7, comma primo e secondo (art. 53, comma primo, della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Bolzano, ordinanza 23 maggio 1979, n. 899, G. U. 13 febbraio 1980, n. 43. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 10, lettera f) (artt. 3 e 32 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Venezia, ordinanza 11 maggio 1979, n. 815, G. U. 16 gennaio 1980, n. 15. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 10, letera f) (artt. 77, 32 e 3 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Bassano del Grappa, ordinanza 30 aprile 1979, n. 808, G. U. 16 gennaio 1980, n. 15. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, art. 34 (art. 3 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado, ordinanza 3 luglio 1979, n. 793, G. U. 9 gennaio 1980, n. 8. d.I. 1 ottobre 1973, n. 580, artt. 12, comma primo, 2 e 3 [conv. in legge 1973, n. 7761 (artt. 2 e 36 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanza 15 novembre 1978, n. 760/1979, G. U. 9 gennaio 1980, n. 8. legge 18 dicembre 1973, n. 877 (artt. 70, 72 e 73 della Costituzione). Pretore di Treviglio, ordinanza 20 giugno 1979, n. 788, G. U. 9 gennaio 1980, n. 8. Pretore di Pieve di Cadore, ordinanza 19 settembre 1979, n. 852, G. U. 23 gennaio 1980, n. 22. Pretore di Monsummano Terme, ordinanza 5 novembre 1979, n. 961, G.U. 27 febbraio 1980, n. 57. d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 86, primo comma (art. 3 della Costituzione). Corte dei Conti, sezione III giurisdizionale, ordinanza 17 marzo 1978, n. 837/1979, G. U. 23 gennaio 1980, n. 22. PARTE II, LEGISLAZIONE d.P.R. 31 maggio 1'974, n. 417, art. 92, sesto comma (artt. 3, primo comma, e 98, primo comma, della Costituzione). Consiglio nazionale dei geometri, ordinanza 14 giugno 1979, n. 782, G. U. 9 gennaio 1980, n. 8. legge 14 agosto 1974, n. 39 (artt. 3 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 16 maggio 1979, n. 913, G. U. 13 febbraio 1980, n. 43. legge reg. Lazio 17 agosto 1974, n. 41, artt. 4, 8 e 13 (artt. 117 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 1 febbraio 1978, n. 812/1979, G. U. 16 gennaio 1980, n. 15. legge reg. Lombardia 19 agosto 1974, art. 14 (art. 117 della Costituzione). Tribunale di Vigevano, ordinanze (due) nn. 884 e 885/1979, G. U. 6 febbraio 1980, n. 36. legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 2 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Mondov, ordinanza 26 luglio 1979, n. 780, G. U. 9 gennaio 1980, n. 8. legge 18 aprile 1975, n. 1'10, art. 2, ~omma terzo (artt. 3, 25, comma secondo, e 70 della Costituzione). Tribunale di Ivrea, ordinanza 6 novembre 1979, n. 1000, G. U. 27 febbraio 1980, n. 57). legge 18 aprile 1975, n. 11 O, art. 2, terzo comma (art. 25, secondo comma, della Costituzione). Tribunale di Venezia, ordinanza 23 luglio 1979, n. 873, G. U. 6 febbraio 1980, n. 36. legge 18 aprile 1975, n. 11 O, art. 2, comma terzo (artt. 25 cpv. e 70 della Costituzione). Tribunale di Napoli, ordinanza 26 settembre 1979, n. 901, G. U. 13 febbraio 1980, n. 43. legge 22 maggio 1975, n. 152, art. 19, primo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Trapani, ordinanza 4 ottobre 1979, n. 877, G. U. 6 febbraio 1980, n. 36. legge 3 giugno 1975, n. 160, artt. 2 e 9, ultimo comma (artt. 3 e 28 della Costituzione). Tribunale di Lecce, ordinanza 2 novembre 1978, n. 821/1979, G. U. 16 gennaio 1980, n. 15. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 31 luglio 1975, n. 363, art. 1 (artt. 3 e 31 della Costituzione). Pretore di Genova, ordinanza 12 maggio 1978, n. 803/1979, G. U. 9 gennaio 1980, n. 8. legge reg. Lazio 2 dicembre 1975, n. 79, art. 1 (artt. 76 e 117 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanze (tre) 7 giugno 1979, nn. 915, 916 e 917, G. U. 13 febbraio 1980, n. 43. d.P.R. 3 gennaio 1976, n. 28, artt. 1, 2, 3, 4 e 5 (artt. 77, 3 e 53 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 7 dicembre 1977, n. 794, G. U. 9 gennaio 1980, n. 8. legge 30 aprile 1976, 'n. 1159, art. 2 [mod. da legge, 8 ottobre 1976, n. 689, art. 3] (art. 24, comma secondo, della Costituzione). Corte d'appello di Cagliari, ordinanza 20 settembre 1979, n. 833, G. U. 16 gennaio 1980, n. 15. legge 30 aprile 1976, n. 385, art. 2 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Tribunale di Cremona, ordinanza 27 aprile 1976, n. 801, G. U. 9 gennaio 1980, n. 8. legge 5 maggio 1976, n. 313, art. 5 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Palmanova, ordinanza 17 maggio 1979, n. 773, G. U. 9 gennaio 1980, n. 8. Pretore di Grumello del Monte, ordinanze (due) 5 giugno 1979, nn. 784 e 785, G. U. 9 gennaio 1980, n. 8. Pretore di Macerata, ordinanza 27 settembre 1979, n. 814, G. U. 16 gennaio 1980, n. 15. Pretore di Ivrea, ordinanza 27 settembre 1979, n. 820, G.U. 16 gennaio 1980, n. 15. Pretore di Grumello del Monte, ordinanze (sei) 31 luglio e 6 giugno 1979, nn. 853, 854, 855, 856, 857 e 858, G. U. 23 gennaio 1980, n. 22. Pretore di Catania, ordinanza 19 ottobre 1979, n. 936, G. U. 20 febbraio 1980, n. 50. Pretore di Vigevano, ordinanza 6 novembre 1979, n. 955, G. U. 27 febbraio 1980, n. 57. legge 5 maggio 1976, n. 313, art. 5, c:omma primo (art. 3, comma primo, della Costituzione). Pretore di Camposampiero, ordinanza 16 ottobre 1979, n. 902, G. U. 13 febbraio 1980, n. 43. legge 10 maggio 1976, n. 319, art. 10 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Empoli, ordinanza 9 ottobre 1979, n. 860, G. U. 30 gennaio 1980, n. 29. ;'. f ' f ? .......-.-..! PARTE II, LEGISLAZIONE legge 10 maggio 1976, n. 319, art. 25, primo comma (artt. 25, secondo comma e 27, primo comma, della Costituzione). Tribunale di Vigevano, ordinanze (due) nn. 884 e 885/1979, G. U. 6 febbraio 1980, n. 36. Legge 22 maggio '1976, n. 349, art. 1 (artt. 3 e 31 della Costituzione). Pretore di Genova, ordinanza 12 maggio 1978, n. 803, G. U. 8 gennaio 1980, n. 8. d.P.R. 26 maggio 1976, n. 411, artt. 35 e 43 (art. 76 della Costituzione). T.A.R. del Lazio, ordinanze (cinque) 20 dicembre 1978, nn. 976, 977, 978, 979 e 980/1979, G. U. 27 febbraio 1980, n. 57. legge 12 novembre 1976, n. 751, art. 1 (artt. 3, 31 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Biella, ordinanze (cinque) 29 novembre 1978, nn. 766, 767, 768, 769 e 770/1979, G. U. 9 gennaio 1980, n. 8. legge 1~ novembre 1976, n. 751, art. 1, ultimo comma (artt. 2, 3, 29, 31, 53 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Imperia, ordinanza 17 maggio 1979, n. 952, G. U. 20 febbraio 1980, n. 50. legge 12 novembre 1976, n. 751, art. 1, ultimo comma (artt. 3, 29, 31 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di 1 grado di Torino, ordinanza 15 giugno 1977, n. 949, G. U. 20 febbraio 1980, n. 50. legge 12 novembre 1976, n. 751, art. 1, ultimo comma (artt. 3, 29, 31, 53 e 136 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Alessandria, ordinanza 23 giugno 1979, n. 792, G. U. 9 gennaio 1980, n. 8. Commissione tributaria di primo grado di Firenze, ordinanza 26 gennaio 1979, n. 935, G. U. 20 febbraio 1980, n. 50. legge 12 novembre 1976, n. 751, art. 1, ultimo comma (artt. 3, 31, 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Biella, ordinanza 29 aprile 1978, n. 813, G. U. 16 gennaio 1980, n. 15. legge 12 novembre 1976, n. 751, art. 1 e 3, ultimo comma (artt. 3, 29, 31 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Trieste, ordinanza 20 marzo 1978, n 839/1979, G. U. 23 gennaio 1980, n. 22. d.I. 10 d'icembre 1976, n. 798, art. 1, terzo comma lmodif. da legge 18 feb braio 1977, n. 16) (artt. 3 e 24 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Avellino, ordinanza 16 giugno 1979, n. 786, G. U. 9 gennaio 1980, n. 8. 18 RASSEGNA DELL'AVVO<::ATURA DELLO STATO d.-1. 23 dicembre 1976, n. 852, art. 7, secondo comma (conv. in le99e 21 feb braio 1977, n. 31) (art. 3 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Bolzano, ordinanza 2 febbraio 1979, n. 898, G. U. 13 febbraio 1980, n. 43. le99e 2,8 9e1tnaio 1977, n. 1O, art. 14 (artt. 3 e 42, comma terzo, della Costituzione). Corte d'appello di Genova, ordinanza 10 maggio 1979, n. 798, G. U. 16 gennaio 1980, n. 15. Corte d'appello di Brescia, ordinanza 17 gennaio 1979, n. 914, G. u. 13 febbraio 1980, n. 43. Corte d'appello di Genova, ordinanza 11 maggio 1979, n. 920, G. u. 13 febbraio 1980, n. 45. le99e re9. Valle d'Aosta 1 aprile 1977, n. 18, artt. 1, 2, comma primo, e 5, comma primo (artt. 116, 16 e 42 della Costituzione). Pretore di Aosta, ordinanza 4 aprile 1979, n. 879, G. U. 13 febbraio 1980, n. 43. letj9e 8 afjosto 1977, n. 513, art. 27 (modif. da le99e 5 afjosto 1978, n. 457, art. 52) (art. 3 della Costituzione). Tribunale di L'Aquila, ordinanza 11 aprile 1979, n. 875, G. U. 6 febbraio 1980, n. 36. le99e 8 atJosto 1977, n. 513, artt. 27, secondo comma, e 28 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Teramo, ordinanze (tre) 3 febbraio 1979, nn. 890, 891 e 892, G. U. 6 febbraio 1980, n. 36. le99e 8 afjosto 1977, n. 513, art. 28 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Milano, ordinanza 4 ottobre 1979, n. 900, G. U. 6 febbraio 1980, n. 36. le99e 16 dicembre 1977, n. 904, art. 8 (art. 3 e 53, comma primo, della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Gorizia, ordinanza 28 novembre 1978, n. 963/1979, G. U. 20 febbraio 1980, n. 50. le99e 1 febbraio 197>8, n. 30 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Pistoia, ordinanza 17 ottobre 1979, n. 921, G. U. 13 febbraio 1980, n. 43. letj9e 22 ma99io 1978, n. 184, art. 22, terzo comma (art. 3, primo comma, della Costituzione). Tribunale di Genova, ordinanza 12 dicembre 1978, n. 862, G. U. 6 febbraio 1980, n. 36. PARTE II, LEGISLAZIONE legge 22 maggio 1978, n. 194, artt. 4, 5, 6, lettera a), 8, ultimo comma, 22, terzo comma (artt. 2, 3, secondo comma, 29, secondo comma, 31, secondo comma, 37, primo comma, della Costituzione). Tribunale di l'.irenze, ordinanza 5 ottobre 197~, n. 959/1979, G. U. 27 feb braio 1980, n. 57. legge 22 maggio 1978, n. 194, art. 22, terzo comma (art. 3, primo comma, della Costituzione). Tribunale di Firenze, ordinanza 5 ottobre 1978, n. 959/1979, G. U. 27 febbraio 1980, n. 57. legge 27 lugUo 1978, n. 392, artt. 1, '12, 13 (art. 3 della Costituzione). Giudice conciliatore di Mantova, ordinanza 22 settembre 1979, n. 838, G. U. 23 gennaio 1980, n. 22. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 12, primo comma (artt. 3, 41, 42 e 47 della Costituzione). Giudice conciliatore di Cagliari, ordinanza 25 luglio 1979, n. 797, G. U. 9 gennaio 1980, n. 8. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 55 (artt. 3 e 24 della Costitzione). Pretore di Lodi, ordinanza 10 aprile 1979, n. 907, G. U. 13 febbraio 1980, n. 43. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 59 {art. 3 della Costituzione). Giudice conciliatore di Genova, Bolzaneto, ordinanza 18 luglio 1979, n. 781, G. U. 9 gennaio 1980, n. 8. Giudice conciliatore di Bitonto, ordinanza 13 luglio 1979, n. 805, G. U. 16 gen naio 1980, n. 15. Giudice conciliatore di Gorizia, ordinanza 29 settembre 1979, n. 864, G. U. 6 febbraio 1980, n. 36. Giudice conciliatore di Gorizi, ordinanza, 27 ottobre 1979, n. 919, G. U. 13 febbraio 1980,' n. 43. Pretore di Potenza, ordinanza 19 ottobre 1979, n. 931, G. U. 20 febbraio 1980, n. SO. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 59, n. 4 e 61 (art. 3 della Costituzione) . . Giudice conciliatore di Grotte, ordinanza 21 maggio 1979, n. 809, G. U. 16 gennaio 1980, n. 15. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 59, 58 e 65 (art. 3 e 42 della Costi. tuzione). Pretore di Cagliari, ordinanza 5 luglio 1979, n. 779, G. U. 9 gennaio 1980 n. 8, legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 59 e 65 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Atessa, ordinanza 26 luglio 1979, n. 804, G. U. 16 gennaio 1980, n. 15. 20 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Giudice conciliatore di Salsomaggiore Terme, ordinanza 30 luglio 1979, n. 874, G. U. 6 febbraio 1980, n. 36. Giudi.ce conciliatore di Cinisello Balsamo, ordinanza 18 giugno 1979, n. 912, G. U. 13 febbraio 1980, n. 43. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 59 e 65 (artt. 3 e 42 della Costituzione). Giudice conciliatore di Cologno Monzese, ordinanza 20 giugno 1979, n. 927, G. U. 13 febbraio 1980, n. 43. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 65 (art. 3 della Costituzione). Giudice conciliatore di Prato, ordinanza 3 ottobre 1979, n. 863, G. U. 6 febbraio 1980, n. 36. Giudice conciliatore di Monte Sant'Angelo, ordinanza 27 aprile 1979, n. 894, G. U. 6 febbraio 1980, n. 36. Giudice conciliatore di Parma, ordinanza 24 ottobre 1979, n. 910, G. U. 20 febbraio 1980, n. 50. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 65 (artt. 3, 41, 42 e 47 della Costituzione). Giudice conciliatore di Caltanissetta, ordinanza 19 ottobre 1979, n. 881, G. U. 13 febbraio 1980, n. 43. legge 27 luglio ,1978, n. 392, art. 65, primo e secondo comma .sito di oli minerali da un concessionario titolare anche di licenza per altri depositi comporti la revoca di tutte le licenze (n. 36). .. . IMPOSTE DI~ETTE Imposta sulle societ -Enti morali Esenzione Limiti (d;P.R. 29 gennaio' 1958, n. 645 art. 151). I Se, relativamente agli enti morali, l'esenzione dall'imposta sulle societ spetti soio se le attivit in astratto imponibili siano riferibili .ad aziende industriali o commerciali che non abbiano alcuna autonomia strutturale' o di bilancio rispetto all'ente morale medesimo e non costituiscono una fonte meramente indiretta di reddho . (n. ~9). Imposte dirette sui redditi. Cartella di pagamento Notifica (legge 29 set tembre 1973, n. 602 art. 26 legge 29 settembre 1973, n. 600 art. 60 -art. 142 c.p.c. .art. 143 c.p.c.) Se per la notifica della cartella di pagamento di -in1Poste dirette sui redditi sia consentita, quando essa avviene mediante lettera raccomandata; la sottoscrizione del portiere sull'avviso di ricevimento; occorre la sottoscrizione del consegnatario quando costui non sia il destinatario nell'atto o persona addetta alla casa o all'ufficio; si debba depositare l'atto nella casa comu:n.ale e affiggere l'avviso di deposito si tratti di destinatario non residente n dorrii ciliato dimorante nella repubblica ovvero del quale siano riconosciuti la residenza, la dimora e il domicilio (n. 48) .. ,.._.,.,........-..-.-.-.-..--..-..---..-..-..-.-.-.-.-.-.-..--...-.:..-..-.-.-.-..-... --------------------....--.;- -----""" """:-'.'..'.:. ..: PARTE 'II, CONSULTAZIONI Imposte sui redditi -No tifica atti -Affissione avviso a deposito -Ambito di applicazione (legge 29 settembre 1973, n. 600 art. 60, lett. c -art. 140 c.p.c. . art. 142 c.p.c. -art. 143 c.p.c.). Se la notificazione al contribuente degi avvisi ed atti iil materia di imposte dirette sui redditi secondo le modalit stabilite dall'art. 60 lett. e) legge 29 settembre 1973, n. 600 deposito dell'atto nella casa comunale (affissione dell'avviso di deposito) si applichi alla ipotesi di irreperibilit del destinatario o incapacit o rifiuto delle altre persone (art. 140 c.p.c.) di destinaiario non residente n dimorante n domiciliato nella repubblica (art. 142 c.p.c.), di destinatario del quale sono riconosciuti la residenza, la misura e il domicilio (art.' 143 c.p.c.) (n_. 47). Imposte sui redditi -Notifica atti -Sottoscrizione del consegnatario ( d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, art. 60, 1 comma lett. b) -art. 139 c.p~c.). Se per la . notificazione al contribuente degli avvisi ed atti in nateria di imposte dirette sui redditi la sottoscrizione del consegnatario' prevista dall'articolo 60 primo comma lett. b) occorre anche nel caso di notifica a merci proprie del destinatario o delle persone di famiglia, addette alla casa, all'ufficio, all'azienda (n. 46). IMPOSTE E TASSE Imposta sulle societ -Enti morali -Esenzione -Limiti (d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 4rt. 151). Se, relativamente agli enti morali, l'esenzione dall'imposta sulle societ spetti solo se le attivit in astratto imponibili siano riferibili ad aziende industriali o commerciali che non abbiano alcuna autonomia strutturale o di bilancio rispetto all'ente morale medesimo e non costituiscono una fonte meramente indiretta di reddito (n. 663). Imposte e tsse -Applicabilit della normativa general sulla semplificazione dei procedimenti in materia di ricorsi amministrativi (d.p. 24 novembre 1971, n. 1199; legge 9 ottobre 1971, n.. 825; legge 28 ottobre 1970, n. 77-5 art. 6; legge 18 marza 1968, n. 249 art. 4). Se alla materia della finanza locale e pi in generale alla materia tributaria sia applicabile il d.p. 24 novembre 1971, n. 1199 sulla semplificazione dei procedimenti in materia di ricorsi amministrativi (n. 661). Imposte e tasse -Tributi soppressi in attuazione della riforma tributaria -Normativa applicabile ai relativi ricorsi amministrativi (d.p. 24 novembre 1971, n. 1199; legge 9 ottobre 1971,. n. 825). Se in ordine ai tributi locali soppressi in attuazione della riforma di cui alla legge di delegazione 9 ottobre 1971, n. 825, i ricorsi amministrativi debbono ritenersi disciplinati, ad esaurimento, dalle norme previgenti escludendosi la applicabilit del d.p. 24 novembre 1971 n. 1199 sulla semplificazione dei procedimenti in materia di ricorsi amministrativi (n. 66.). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO IMPOSTE VARIE Cooperative -Ispezioni ordinarie delle associazioni nazionali -Contributi -Riscossione coattiva (legge 17 febbraio 1971, n. 127 art. 15 -d.l.c.p.s. 14 dicembre 1947, n. 1577 art. 2, secondo comma -T.U. 14 aprile 1910, n. 639 art. 31). Se per la riscossione dei contributi di cui all'art. 15 legge 17 febbraio 1971 n. 127 posti a carico delle cooperative per le spese relative alle ispezioni ordinarie previste dall'art. 2, secondo comma del d.l.c.p.s. 14 dicembre 1947, n. 1577 possa procedersi nelle forme per la riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato. e dei tributi indiretti stabilite dal T.U. 14 aprile 1910, n. 639 (n. 120). ISTRUZIONE Edifici pubblici -Edifici scolastici -Abbellimento con opere d'arte -Abolizione del relativo obbligo -Eseguibilit di opere d'arte gi progettate (legge 29 luglio 1949, n. 717, art. 1; legge 5 agosto 1975, n. 412, art. 9). Se, dopo l'entrata in vigore della legge 5 agosto 1975, n. 412 che, relativamente all%opere di edilizia scolastica .ha abrogato l'obbligo di abbellimento di edifici pubblici, possa ugualmente disporsi l'esecuzione di opere d'arte gi progettate a sensi dell'art. 1 della legge 29 luglio 1949 n. 71 (n. 59). Edilizia scolastica -Contributi statali per scuole materne -Riscatto anticipato (legge 24 ll{glio 1962, n. 1073 art. 15). Se gli enti che per la costruzione di edifici per scuole materne abbiano usufruito del contributo statale previsto dall'art. 15 legge 24 luglio 1962 n. 1073 possano esercitare il riscatto anticipatamente, anzich in rate ventennali e conseguentemente acquisire subito la quota di compropriet spettante allo Stato (n. 58). universit -Concorsi per assistente universitario -Limiti di et per l'ammissione -Configurbilit (r.d.l. 20 giugno 1935 n. 1071, art. 12 -dPR. 10 gennaio 1957 n. 3, art. 2 -d.lg. 7 maggio 1948, n. 1172, art. 4 -legge 24 giugno 1950, n. 46?J. Se esista un limite di' et per l'ammissione ai concorsi di assistente universitario (n. 57). LAVORO Lavoro subordinato -Trattamento del prestatore di lavoro investito di funzioni pubbliche elettive -Partcipazione a riunioni di consigli comunali o provinciali -Assenza dal lavoro -Retribuzione (legge 20 maggio 1970, n. 300, art. 32). Se il tempo strettamente necessari9 all'espletamento del mandato , del quale i consiglieri comunali hanno diritto di disporre senza decurtazioni della retribuzione, sia solo quello occorrente per la partecipazione alle riunioni ordinarie e straordinarie del consiglio (n. 106). PARTE II, CONSULTAZIONI MEZZOGIORNO Espropriazione per pubblica utilit -Industrializzazione del Mezzogiorno -Espropriazione a favore di privati -Criteri di determinazione dell'indennit (legge 6 ottobre 1971, n. 853, art. 15; d.P.R. 6 ottobre 1967 n. 1523, art. 147; legge 15 gennaio 1885, n. 282, art. 12; legge 22 ottobre 1971, n. 865, artt. 16 e 17; legge 27 giugno 1972 n. 247). Se alle espropriazioni promosse da privati per la realizzazione di opifici industriali nel Me:lzogiorno si applichino i criteri di determinazione dell'indennit stabiliti dalla legge 22 ottobre 1971, n. 865 (ed estesi dalla legge 27 giugno 1974, n. 247 alle espropriazioni in favore di enti pubblici), ovvero quelli contenuti nella legge per il risanamento di Napoli (n. 78). Espropriai.ione per pubblica utilit -Opere da realizzarsi dalla Cassa per il mezzogiorno in Sicilia -Competenza in ordine agli atti della procedura di occupazione d'urgenza e di espropriazione (legge 2 maggio 1976, n. 183; d.P.R. l luglio 1977, n. 683 art. 1). Se, dopo l'entrata in vigore delle nuove norme di attuazione dello statuto della Regione siciliana in materia di opere pubbliche (d.P.R. 1 luglio 1977, n. 683), possano ritenersi di competenza del prefetto le attribuzioni amministrative. relative ai procedimenti di occupazione e di espropriazione per la realizzazione di opere pubbliche le quali, ancorch. non definite di prevalente interesse nazionaie, siano per legge attribuite alla competenza statale (come quelle di cui alla legge 2 maggio 1976, n. 183 sull'intervento straordinario nel Mezzogiorno (n. 79). NAVI E NAVIGAZIONE Contratto per la costruzione di una nave o per l'esecuzione di lavori nella medesima -Natura Revisione prezzi Disciplina (legge 22 febbraio 1973, n. 37 ~~ . Se il contratto per la costruzione di una nave o per l'esecuzione di opere sulla medesima possa qualificarsi come appalto di opera pubblica ai fini della applicabilit della relativa normativa ed in particolare dell'art. 2 della legge 22 febbraio 197-3,: n. 37 sull'inefficacia delle clausole che escludono la revisione dei prezzi (n. 144). NOTIFICAZIONI Imposte dirette sui redditi Cartella di pagamento -Notifica (legge 29 settembre 1973, n. 602, art. 26 -legge 29 settembre 1973, n. 60, art. 6 art. 142 c.p.c. art. 143 c.p.c.). Se per la notifica della cartella di pagamento di imposte dirette sui redditi sia consentita, quando essa avviene mediante lettera raccomandata, la sotto scrizione del portiere sull'avviso di ricevimento; occorra la sottoscrizione del consegnatario quando costui non sia il destinatario nell'atto o persona addetta alla casa o all'ufficio; si debba depositare l'atto nella casa comunale e affiggere l'avviso di deposito si tratti di destinatario non residente n domiciliato dimorante nella Repubblica ovvero del quale siano riconosciuti la residenza, la dimora e il domicilio (n. 37). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Imposte sui redditi -Notifica atti Affissione avviso a deposito -Ambito di applicazione (legge 29 settembre 1973, n. 600 art. 60, lett. c) art. 140 c.p.c. -art. 142 c.p.c. art. 14J c.p.c.). Se la notificazione al contribuente degli avvisi ed atti in materia di. imposte dirette sui redditi secondo le modalit stabilite dall'art. 60 lett. e) legge, 29 settembre 1973, n. 600 deposito dell'atto nella casa comunale e (affissione deil'avviso di deposito) si applihi alla ipotesi di irreperibilit del destinatario o incapacit o rifiuto delle altre persone (art. 140 c.p.c.), di destinatario non residente n dimorante n domiciliato nella Repubblica (rt. 142 c.p..c.), di destinatatio del quale sono riconosciuti la residenza; la misura e il domicilio (art. 143 c.p.c.) (n. 36), Imposte sui redditi Notifica atti Sottoscrizione del consegnatario -(d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60, primo comma, lett. B) Art. 139 c.p.c.). Se per la . notificazione al contribuente.. degli avvisi ed atti i.Il materia di imposte dirette sui redditi la sottoscrizione del consegnatario prevista . dall'art. 60, 1 comma, lett. B) occorre anche nel caso di notifica a merci proprie del destinatario o delle persone di famiglia, addette alla casa, all'ufficio, alla azienda (n. 35). _ OBBLIGAZIONI E CONTRATTI Contratti a pubblica, fornitura -Eccessiva onerosit sopravvenuta -Risolubilit (art. 1467 cod. civ.). Se lt< forniture pubbliche, alle quali non sia applicabile la revisione del prezzo, possano essere risolte per eccessiva onerosit sopravvenuta (n. 66). OPERE PUB-BUCHE Contratto per la costruzione di una gru mobile su binari infissi nella banchina di un arsenale militare marittimo Natura Revisione dei prezzi Disciplina (legge 22 febbraio 1973, n. 37 art. 2). Se il contratto per la costruzione e la messa in opera di una gru mobile, destinata a scorrere su appositi binari infissi in una, banchina dell'arsenale militare marittimo, possa qualificarsi come appalto di opera pubblica ai fini dell'applicabilit della relativa normativa ed in particolare dell'art. 2 della legge 22 febbraio 1973 n. 37 sull'inefficacia delle clausole che escludono la revi sione dei prezzi (n. 188). . Contratto per la costruzione di una nave o per l'esecuzione di lavori nella medesima -Natura -Revisione prezzi Disciplina (legge 22 febbraio 1973, n. 37 art. 2). Se il contratto per la costruzione di una nave o per l'esecuzione di opere sulla medesima possa qualificarsi come appalto di opera pubblica ai fini della applicabilit della relativa normativa ed in particolare dell'art. i della legge 22 febbraio 1973 n. 37 sull'inefficacia delle clausole che escludono la revisione dei prezzi (n. 187). PARTE Il, CONSULTAZIONI Edifici pubblici -Edifici scolastici -Abbellimento con opere d'arte -Aboliziane del relativo obbligo -Eseguibilit di opere d'arte gi progettate (legge 29 luglio 1949 n. 717, art. 1; legge 5 agosto 1975, n. 412; art. 9). Se, dopo l'entrata in vigore della legge 5 agosto 1975 n. 412 che, relativamente alle opere di edilizia scolastica, ha abrogato l'obbligo di abbellimento di edifici pubblici, possa Ugualmente disporsi l'esecuzione di opere d'arte gi progettate a sensi dell'art. 1 della legge 29 luglio 1949 n. 717 (n. 189)., Opere pubbliche -Direzione lavori e collaudo di opere in cemento armato e a struttura metallica -Ufficiali del genio militare -Equiparabilit agli ingegneri ed architetti (legge 5 novembre 1971 n. 1086, art. 2). Se l'art. 2 della legge 5 novembre 1971, n. 1086 consenta di affidare ad ufficiali del genio militare, che non siano in possesso della laurea in inge-gneria architettura, la direzione dei lavori e il collaudo statico di opere di conglomerato cementizio armato ed a struttura metallica eseguite per conto dello Stato (n. 186). POLIZIA Esercizio di funzioni di polizia da parte del privato cittadino -Danni sopportati in tali circostanze -Risarcibilit (e.e. 2041, 2043 -c.p.p. 242). Se i danni sopportati dal privato cittadino nel corso di una sua spontanea collaborazione con le forze dell'ordine (o di una sua sostituzione a quelle, momentaneamente assenti) debbano essere risarciti dall'amministrazione a titolo di responsabilit aquiliana o se configurino invece un indebito arricchimento dell'amministrazione stessa (n. 50). . Manifestazioni e tumulti Danneggiamenti e furti Mancato intervento della polizia Responsabilit (e.e. art. 2043 -r.d. 1 giugno 1931 n. 773, art. 1). Se sia configurabile una responsabilit aquiliana della P.A. per inadeguato mantenimento dell'ordine pubblico (n. 49). PORTI Demanio Porti e approdi turistici realizzati in lagune -Classificabilit nel . demanio marittimo o nel demanio idrico (r.d. 2 aprile 1885 n. 3095 -r.d. 26 settembre 1904, n. 713 -cod. nav. art. 28). Se i porti turistici e i c.d. marina realizzati in lagune o su foci di fiumi appartengano al demanio marittimo ovvero a quello idrico (n. 22). Demanio marittimo -Porti turistici -Concessioni d'esercizio Ammissibilit (r.d. 2 aprile 1885, n. 3095, art. 18 '-cod. nav., art. 36). Se possa costituire oggetto di concessione l'esercizio di porti o approdi turistici e dei c.d. marina (n. 23). RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO PROFESSIONI Opere ptbbliche -Direzione lavori e collaudo di opere in cemento rmato e a struttura metallica -Ufficiali del genio militare -Equiparabilit agli ingegneri ed architetti (legge 5 novembre 1971, n. 1086, art. 2). Se l'art. 2 della legge 5 novembre 1971, n. 1086 consenta di affidare ad ufficiali del genio militare, che non siano in possesso di laurea in ingegneria o architettura, la direzione dei lavori e il collaudo statico di opere di conglomerato cementizio armato ed a struttura metallica eseguite per conto dello Stato (n. 18). REGIONE SICILIA Espropriazione per pubblica utilit -Opere da realizzarsi dalla cassa per il Mezzogiorno in Sicilia -Competenza in ordine agli atti della procedura di occupazione d'urgenza e di espropriazione (legge 2 maggio 1976, n. 183; d.P.R. 1 luglio 1977, n. 683 art. 1). Se, dopo l'entrata in vigore delle nuove norme di attuazione dello statuto della regione siciliana in materia di oper!'! pubbliche (d.P.R. 1 luglio 1977, n. 683), possano ritenersi di competenza del prefetto le attribuzioni amministrative relative ai procedimenti di occupazione e di espropriazione per. la realizzazione di opere pubbliche le quali, ancorch non definite di prevalente interesse nazionale, siano per legge attribuite alla competenza statale (come quelle di cui alla legge 2 maggio 1976, n. 183 sull'intervento straordinario nel Mezzogiorno (n. 16). REGIONI Violazioni tributarie -Pena pecuniaria per comportamento conforme a legge regionale derogatrice di quella statuale e dichiarata incostituzionale (d.l. 19 ottobre 1944, n. 348, art. 10; l.reg. Sicilia 30 giugno 1956, n. 40; d.l. 9 gen naio 1940, n. 2 conv. in. legge 19 giugno 1940, n. 762 art. 30). Se possa ritenersi sussistente la violazione tributaria e applicabile le inerente sanzione pecuniaria quando il comportamento del contribuente. non conforme alla disciplina statuale del tributo sia stato invece adeguato a norma tiva regionale poi dichiarata costituzionalmente illegittima (nella specie era stato emesso il pagamento di Ige su scambi che i decreti accessoriali della regione siciliana 16 maggio 1960, n. 424 e 18 febbraio 1961, n. 336 emanati ai sensi della legge regionale 30 giugno 1956, n. 40 non consideravano, difformemente dall'art. 10 d.l.l. 19 ottobre 1944, n. 348 come atti di immissione in consumo (n. 254). RESPONSABILITA' CIVILE Esercizio di funzioni di polizia da parte del privato cittadino -Danni sopportati in tali circostanze -Risarcibili( (e.e. 2041, 2043 -c.p.p. 242). Se i danni sopportati dal privato cittadino nel corso di una sua spontanea collaborazione con le forze dell'ordine (o di una sua sostituzione a quelle, momentaneamente assenti) debbano essere risarciti dall'amministrazione a titolo di responsabilit aquiliana o se si configurino invece un indebito arricchimento dell'amministrazione stessa (n. 295). PARTE II, CONSULTAZIONI Manifestazioni e tumulti -Danneggiamenti e furti Mancato intervento della polizia -Responsabilit (e.e. art. 2043 -r.d. 18 giugno 1931, n. 773, art. 1). Se sia configurabile una responsabilit aquiliana della P.A. per inadeguato mantenimento dell'ordine pubblico (n. 294). RISCOSSIONE Imposte dirette sui. redditi -Cartella di pagamento Notifica (legge 29 set tembre 1973, n. 602 art. 26 -legge 29 settembre 1973, n. 600 art. 60 art. 142 c.p.c. art. 143 c.p.c.). Se per la notifica della cartella di pagamento di impE>ste dirette sui redditi sia consentita, quando essa avviene mediante lettera raccomandata, la sottoscrizione . del portiere sull'avviso di ricevimento; occorre la sottoscrizione del consegnatario quando costui non sia il destinatario nell'atto o persona addetta alla casa o all'ufficio; si debba depositare l'atto nella casa comunale e affiggere l'avviso di deposito si tratti di destinatario non residente n domiciliato dimorante nella Repubblica ovvero del quale siano riconosciuti la residenza, la dimora e il domicilio (n. 43). SERVITU' Servit militari -Contravvenzioni Ordine di ripristino dello Stato dei luoghi -Presupposti in ipotesi di giudicato penale di condanna (legge 20 dicembre 1932, n. 1849, art. 8 r.ij. 4 maggio 1936, n. 1368, art. 27). Se, sotto il vigore della legge 20 dicembre 1932, n. 1849 recante norme in materia di servit militari, l'ordine di ripristino dello stato dei luoghi da ema narsi dopo la conclusione del giudizio penale richiedesse una specifica disposizione in tal senso nella sentenza di condanna del contravventore (n. 61). Servit militari -Decreto di ass.ervimento .' Errore materiale nell'indicazione dei fondi interessati Entrata in vigore della legge 24 dicembre 1976, n. 898 Rettifica del decreto anteriormente emanato Possibilit (legge 24 dicembre 1976, n. 898, art. 13). Se l'err~re (nella specie: omissione) nell'indicazione dei fondi interessati .dalle limitazioni oggetto di un decreto d'asservimento divenuto definitivo prima dell'entrata in vigore della legge 24 dicembre 1976, n. 898 possa essere rettificato, ovvero debba procedersi alla rinnovazione della procedura d'imposizione della servit militare (n. 60). Servit militari -Limitazioni non ancora definite Entrata in vigore della legge 24 dicembre 1976, n. 898 Rinnovazione della procedura di imposizione (legge 24 dicembre 1976, n. 898, art. 13 -legge 20 dicembre 1932, n. 1849, art. 4). Se tra le limitazioni non ancora imposte ritualmente in via definitiva alla data del 12 gennaio 1977 (entrata in vigore della legge 24 dicembre 1976, n. 898 recante nuova regolamentazione delle servit militari) vadano ricomprese, agli effetti della rinnovazione della procedura di asservimento nelle forme dell'art. 13 della legge citata, le servit oggetto di decreto non notificato e quelle oggetto di provvedimento anteriormente notificato ma impugnato in termini con ricorso tuttora pendente (n. 59). 36 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO STRADE Strade -Varianti del tracciato decise dall'ente proprietario -Conseguente sp stamento cavi telefonici -Sopportazione della spesa (r.d. 14 settembre 1931, n. 1775 art. 197). Se gli enti proprietari'. che apportino varianti al tracciato delle strade deb bano sopportare le spese dello spostamento dei cavi telefonici siti, nel sot tosuolo (n. 118). TELEFONO Strade -Varianti del tracciato decise dall'ente proprietario -Conseguente spo stamento cavi telefonici -Sopportazione dlla spesa (r.d. 14 settembre 1931, n. 1775 art. 197). Se gli enti proprietari che apportino varianti al tracciato delle strade debbano sopportare le spese dello spostamento dei cavi telefonici siti nel sottosuolo (n. 31). TRIBUTI LOCALI Imposte e tasse Applicabilit della normativa generale sulla semplificazione dei procedimenti in materia di ricorsi amministrativi (d.p. 24 novembre 1971, n. 1199; legge 9 ottobre 1971, n. 825; legge 28 ottobre 1970, n. 775 art. 6; legge 18 marzo 1968, n. 249 art. 4). Se alla materia della finanza locale e pi in generale alla materia tributaria sia appiicabile il d.p. 24 novembre 1971, n. 1199 sulla semplificazione dei procedimenti in materia di ricorsi amministrativi (n. 19). imposte e tasse -Tributi soppressi in attuazione della riforma tributaria -Normativa applicabile ai relativi ricorsi amministrativi (d.p. 24 novembre 1971, n. 1199; legge 9 ottobre 1971, n. 825). Se in ordine ai tributi locali soppressi in attuazione della riforma di cui alla legge di delegazione 9 ottobre 1971, n. 825, i ricorsi amministrativi debbono ritenersi disciplinati, ad esaurimento, dalle norme previgenti escludendosi la applicabilit del d.p. 24 novembre 1971, n. 1199 sulla semplificazione dei procedimenti in materia di ricorsi amministrativi (n. 20). VIOLAZIONI TRIBUTARIE Violazioni tributarie -Pena pecuniaria per comportamento conforme a legge regionale derogatrice di q.ella statuale e dichiarata incostituzionale (d.l, 9 ottobre 1944, n. 348 art. 10; l. reg. Sicilia 30 giugno 1956, n. 40; d.l. 9 gennaio 1940 n. 2 conv. in legge 19 giugno 1940, n. 762 art. 30). Se possa ritenersi sussistente la violazione tributaria e applicabile la inerente sanzione pecuniaria quando il comportamento del contribuente non con forme alla disciplina statuale del tributo sia stato invece adeguato a normativa regionale poi dichiarata costituzionalmente illegittima (nella specie era stato emesso il pagamento di lge su scambi che i decreti accessoriali della regione siciliana 16 maggio 1960, n. 424 e. 18 febbraio 1961, n. 336 emanati ai sensi della legge regionale 30 giugno 1956, n. 40 non consideravano, difformemente dall'art. 10 d.l.l. 19 ottobre 1944, n. 348 come atti di immissione in consumo (n. 10). INDICE BIBLIOGRAFICO delle opere acquisite dalla biblioteca dell'Avvocatura Generale dello Stato BARTOLOMEI Franco, Rapporti economici e garanzie costituzionali. Giuffr, Milano, 1979. BESSONE Mario, Saggi di Diritto Civile. Giuffr, Milano, 1979. BIANCA C. Massimo, Le condizioni generali di contratto . (vol. 1) -Giuffr, Milano, 1979. CAIANIELLO Vincenzo, Lineamenti del processo amministrativo (seconda ediz.), UTET, Torino, 1979. CORSALE Massimo, Certezza del diritto e crisi di legittimit, (seconda ediz.). Giuffr, Milano, 1979. CORSO Guido, L'ordine pubblico. Soc. Editrice Il Mulino'" Bologna, 1979. COSTANTINO Michele, Sfruttamento delle acque e tutela giuridica. Jovene, Napoli, 1975. JEMOLO A.C., Lezioni di diritto ecclesiastico (quinta ediz.). Giuffr, Milano, 1979. !,.EVI SANDRI RL., Istituzioni di legislazione sociale (XII ediz.). Giuffr, Mi lano, 1979. LEVONI Alberto, La tutela del possesso (vol. primo). Giuffr, Milano, 1979. LONGO M., Diritto processuale del lavoro. UTE'', Torino, 1979. MA!RESCA Adolfo, La diplomazia plurilaterale. Giuffr; Milano, 1979. MAZZARELLI Valeria, Le convenzioni urbanistiche. Soc. Edit. Il Mulino'" Bologna, 1979. RASTELLO Luigi, Revisione della disciplina dell'illecito amministrativo tribu tario punito con la pena pecuniaria. Pistoia, 1979. SATTA Filippo, Principi di giustizia amministrativa. Cedam, Paciova, 1978. SILVESTRI Gaetano, La separazion dei poteri. Giuffr, Milano, 1979. SUMMA Antonio, Ricorsi in materia scolastica nella vigente legislazion~. Giuf fr, Milano, 1979. TABARRINI Agostino, I 'contratti dei comuni (seconda edizione), Giuffr, Milano, 1979. TROCLET L.E.-GU.IZZI V., Elementi di diritto sociale europeo. Giuffr, Milano, 1975, VANNINI O. -COCCIARDI G., Manuale di diritto processuale penale italiano. Giuffr, Milano, 1979. VENDITTI Rodolfo, Il diritto penale militare nel sistema penale italiano (quarta edizione). Giuffr, Milano, 1978. i f 1 '