ANNO XXXVI -N. 1 GENNAIO -FEBBRAIO 1984 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Pubblicazione bimestrale di servizio ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO ROMA 1984 ABBONAMENTI. ANNO 1984 ANNO L. 29.000 UN NUMERO SEPARATO 5.300 Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO Direzione Commerciale -Piazza G. Verdi, 10 -00100 Roma e/e postale n. 387001 Stampato in Italia -Printed in ltal:! Autorizzazione Tribunale di Roma -Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 (5219187) Roma, 1984 -Istuto Poligrafico e Zecca dello Stato -P.V. INDICE Parte prima: GIURISPRUDENZA Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE {a cura de//' avv. Franco Favara) pag. Sezione seconda: GIURISPRUDENZA ZIONALE {a cura COMUNITARIA del/'avv. Oscar E INTERNA- Fiumara) 65 Sezione terza: GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE {a cura degli avvocati Carlo Carbone, Carlo Sica e Antonio Cingolo) 83 Sezione quarta: GIURISPRUDENZA CIVILE {a cura degli avvocati Antonio Catrica/ e Paolo Cosentino) 89 Sezione quinta GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA {a cura gli avv. Raffaele Tamiozzo e G. P. Palizzi) de 11 O Sezione sesta: GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA vocato Carlo Bafile) {a cura dell'av 132 Sezione settima: GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI {a cura degli avvocati Sergio Laporta, Piergiorgio Ferri e Paolo Vittoria) 182 Sezione ottava: GIURISPRUDENZA PENALE {a cura degli avvocati Paolo di Tarsia di Be/monte e Nicola Bruni) 195 Parte seconda: QUESTIONI -LEGISLAZIONE -INDICE BIBLIOGRAFICO NOTIZIARIO QUESTIONI pag. LEGISLAZIONE pag. 19 La pubblicazione diretta dall'avvocato: UGO GARGIULC r-r111111mr111111111111111111i1r1111111r11111111 CORRISPONDENTI DELLA RASSEGNA DELEGATI PRESSO LE SINGOLE AVVOCATURE Avvocati Glauco NoRI, Ancona; Francesco Cocco, Bari; Giovanni CONTU, Cagliari; Francesco GuICCIARDI, Genova; Marcello DELLA VALLE, Milano; Carlo BAFILE, L'Aquila; Giuseppe Orazio Russo, Lecce; Nicasio MANcuso, Palermo; Rocco BERARDI, Potenza; Maurizio DE FRANCHIS, Trento; Paolo SCOTTI, Trieste; Giancarlo MANo, Venezia. ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI F. FAVARA, Le royalties (classificazione, trattamento ed accertamento) ed i soggetti privi di stabile organizzazione in Italia ....... . II, 1 G. P. PoLIZZI, Su una singolare ipotesi di discutibile interruzione ed ancora pi discutibile riassunzione del processo amministrativo I, 114 lllllfillllllllPllllllllllllllPl/llllalJllllllll1At PARTE PRIMA INDICE ANALITICO -ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA PARTE PRIMA INDICE ANALITICO -ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA ASSISTENZA E BENEFICENZA PUB BLICA -Invalido civile -Assegno o pensione Diritto -Decorrenza Dall'accerta mento dello stato di bisogno e non da quello della invalidit -Fatti specie, 90. ATTO AMMINISTRATIVO -Incompetenza -Convalida con efficacia ex tunc Ammissibilit per atto impugnato, 125. COMMERCIO -Camera di commercio Esercizio di funzioni amministrative Potest legislativa delle regioni Sussistenza, 2. COMUNI -Comunit montane Non sono enti dipendenti dalle regioni, 2 Uffici e funzioni di stato civile -Sono funzioni statali, 2. COMUNIT EUROPEE -Armonizzazione delle legislazioni Nozione di medicinali -Preparati farmaceutici, 72. -Lavoro -Parit di trattamento fra uomini e donne Congedo obbligatorio in caso di ingresso di bambino in famiglia adottiva, 65. -Lavoro Parit di trattamento fra uomini e donne -Direttiva comunitaria -Norme nazionali di attuazione, 65. '"-Lavoro -Parit di trattamento fra uomini e donne -Violazioni del principio -Rimedi giurisdizionali, 65. -Libera circolazione delle merci -Misure restrittive all'importazione - Tutela della salute -Limiti -Vitamine, 72. CORTE COSTITUZIONALE -Ricorso in via principale di una regione -Avverso decreto legge -Di fetto dei presupposti prescritti Non deducibilit, 2. CORTE DEI CONTI -Funzioni giurisdizionali Pensioni degli impiegati del Banco di Napoli - Non attinenza alle materie di contabilit pubblica, 60. CREDITO -Cassa depositi e prestiti -Assolve a funzione statale e non regionale, 2. -Depositi degli enti pubblici presso banche -Determinazione di un tetto competenza statale, 1. ESPROPRIAZIONE UTILIT PER PUBBLICA -Occupazione d'urgenza -Immobile di propriet dell'Amministrazione espropriante locato a terzi Possibilit -Illegittimit per sviamento di potere, 110. -Occupazioni d'urgenza -Occupazioni per esecuzione di ope.re militari Protrazione a tempo indeterminato Risarcimento del danno -Spettan za, 190. -Terreni destinati alla seconda Universit degli studi di Roma -Indennit -Controversia sulla sussistenza del titolo all'indennit aggiuntiva Giudice competente quello dell'opposizione a stima, 184. -Terreni destinati alla seconda Universit degli studi di Roma -Indennit Deducibilit del valore d'uso del fondo utilizzato da impresa diretto- coltivatrice -Esclusione, 184. -Terreni destinati alla seconda Universit degli studi di Roma -Indennit -Stato delle colture agricole Epoca di riferimento della sti ma, 184. INDICB. DBLLA GI~ISPRUDBNZA GIURISDIZIONE CIVILE -Regolamento -Convenzione di sfalcio d'erba su terreno aeroportuale -Fine primario pubblicistico -Concessione amministrativa -Giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, 87. GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA -Atto impugnabile -Usi civici -Provvedimento del Commissario di reintegra a favore del Comune -Improponibilit, 120. -Avviso d'udienza -Mancata notifica ad Avvocatura Stato -Nullit sentenza -Rimessione al primo giudice, 127. -Avvocatura dello Stato -Costituzione in giudizio -Comparizione in camera di consiglio -Atto formale di costituzione -Non necessariet, 127. -Avvocatura dello Stato -Notifica della sentenza -Notifica all'Amministrazione -Inidoneit a far decorrere termine impugnativa, 127. -Esecuzione del giudicato -Domande nuove -Rivalutazione ed interessi Inammissibilit, 123. -Interruzione del processo -Morte del difensore -Conoscenza effettiva e conoscenza legale dell'evento -Fattispecie, 114. -Interruzione del processo -Riassunzione -Prosecuzione volontaria -Deposito della procura al nuovo difensore -Istanza di fissazione di udienza, 114. -Ricorso -Notificazione -Persona convivente -Non veridicit della circostanza -Irritualit, 122. IMPIEGO PUBBLICO -Blocco delle assunzioni -Estesi anche al personale delle U.S.L. Legittimit costituzionale -Potere di derogare al blocco -Per le U.S.L. spetta alle regioni, 3. -Concorso per segretario principale Titolo di studio -Diploma di geometra -Inidoneit, 121. -Disciplina requisiti accesso -Deroghe a divieto discriminazione donne. Ammissibilit -Necessit norme regolamentari -Illegittimit bando concorso implicitamente discriminatorio, 126. -Donne -Atti discriminatori -Associazioni sindacali -Legittimazione a ricorrere per delega, 125. -Donne -Provvedimenti discriminatori Giurisdizione amministrativa anche per azioni cautelari, 125. -Passaggio di carriera -Qualifica acquisita in altre amministrazioni Inidoneit, 121. -Rapporto a tempo determinato Trasformazione in rapporto a tempo indeterminato -Esclusione, 122. -Requisiti necessari -Natura pubblicistica dell'Ente datore di lavoro Inserimento reale nell'apparato organizzativo dell'Ente -Obbligo atto formale di nomina -Non sussiste, 83. IMPRESA -Brevetti -Invenzioni industriali Brevetti e modelli di utilit -Alternativit -Protezione cumulativa Esclusione, 95. LAVORO -Rapporto -Comando e distacco Temporaneit - requisito -Persistenza dell'interesse del distaccante sufficiente, 89. -Rapporto -Trasferimento di azienda Mancato trasferimento di organizzazione aziendale -Prosecuzione del rapporto di lavoro -Esclusione Fattispecie, 89. LOCAZIONE -Immobili adibiti ad attivit commerciali -Indennit per la perdita dell'avviamento Commisurazione Al canone corrente di mercato Legittimit costituzionale -Limite, 46. OBBLIGAZIONI -Prestazione d'opera intellettuale Compenso -Liquidazione -Criteri, 92. Vlll RASSEGNA DEU..'AVVOCATURA DBLLO STATO OPERE PUBBLICHE -Esecuzione -Concessionario di opera pubblica -Obbligazioni preordinate alla esecuzione dell'opera -Responsabilit nei confronti dei terzi, 182. -Esecuzione -Delegazione amministrativa -Soggetti -Delegatario soggetto privato -Esclusione, 182. -Impianti sportivi -Trasferimento alle Regioni di funzioni amministrative per lavori pubblici di interesse regionale -Parere del CONI per progetti e impianti sportivi -Permanente necessit, 124. PROCEDIMENTO CIVILE -Doppio grado di merito -Tutela costituzionale -Esclusione, 98. -Notificazione -Incertezza assoluta sulla data -Errore materiale riconoscibile -Nullit -Non sussiste, 92. - Rappresentanza in giudizio della P.A. -Funzionari incaricati -Onorari di avvocato e competenze procuratorie -Spettanza -Esclusione, 98. -Ricorso principale nel merito -Ricorso incidentale condizionato -Questioni pregiudiziali di rito o di merito -Ammissibilit, 83. - Spese processuali -Compensazione Questione di merito -Insindacabilit in cassazione, 92. REATO -Reati finanziari -In materia di imposte sui redditi e di IVA -Oblazione -Inapplicabilit dell'art. 162 bis cod. pen., 197. -Reati valutari -Documenti acquisiti in perquisizione domiciliare effettuata dalla magistratura elvetica su rogatoria di quella italiana ai sensi Convenzione Europea di assistenza giudiziaria in materia penale del 20 aprile 1959, in relazione a procedimento per reato di bancarotta Utilizzazione in altro procedimento per reato valutario -Legittimit, 195. -Reati valutari -Non sono reati fiscali -Convenzione Europea di assistenza giudiziaria in materia penale del 20 aprile 1959 -Applicabilit, 195. REGIONI -Agricoltura -Forestazione e rimboschimento - compresa nella materia agricoltura, 3. -Depositi delle regioni presso banche -Determinazione di tetti -Potere del Ministro del Tesoro -Deve essere circoscritto dalla legge, 1. -Finanza regionale -Conti correnti delle regioni presso la tesoreria dello Stato -Carattere infruttifero -Legittimit costituzionale, 2. -Finanza regionale -Fondi per il servizio sanitario Accreditamento presso la tesoreria dello Stato -Legittimit costituzionale, 1. -Finanza regionale -Tetto alla spesa regionale complessiva -Contrasta con autonomia finanziaria delle regioni, 2. -Finanza regionale e locale -Imposizione del parametro tetto programmato di inflazione -Legittimit costituzionale, 2. -Potest legislativa regionale -Nei settori trasferiti a comuni e proviincie -Sussiste, 2. -Regioni a statuto speciale e Provincie di Trento e di Bolzano -Funzione statale .di indirizzo e coordinamento Presupposti, 52. -Trasporti pubblici di interesse regionale -Spese relative -Non possono essere poste a carico della regione se di interesse nazio nale '" 2. SANZIONI AMMINISTRATIVE -Depenalizzazione -Giudizi di opposizione ad ingiunzione -Pendenza prima della legge n. 689 del 1981 -Normativa anteriore -Applicabilit, 98. -Depenalizzazione -Giudizio di opposizione ad ingiunzione -Natura -Poteri del giudice -Limiti generali della legge abolitiva del contenzioso -Applicabilit, 98. TRIBUTI ERARIALI DIRETTI -Accertamento -Redditi fondiari Catasto -Avviso di classamento Motivazione -Requisiti, 161. INDICE DELLA GIURISPRUDENZA -ILOR -Assegnazione del gettito allo Stato -Non contrasta con autonomia finanziaria delle regioni, 2. -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Plusvalenze -Intento di speculazione -Accertamento -Deducibilit nel giudizio c;li terzo grado, 136. -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Plusvalenza -Intento di speculazione -Criteri di determinazione, 136. -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Redditi prodotti in Italia -Confezionamento in Italia di materie provenienti dall'estero -Sono tali Successiva vendita all'estero dei prodotti finiti -Irrilevanza, 153. -Imposta sulle societ -Condono Riferimento all'ultimo imponibile definito -Agevolazione prevista in legge successiva -Irrilevanza ai fini del condono, 159. -Royalties corrisposte a soggetto estero -Classifcazione tra i redditi di impresa -Quando il soggetto estero impresa, 163. TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI -Imposta di registro -Agevolazione per costruzione di case di abitazione non di lusso -Area edificabile Nozione, 132. -Imposta di registro -Permuta -Convenzione di reciproca deroga alle distanze legali - tale, 132. -Imposte doganali -Prescrizione Costituzione di parte civile contro pi imputati -Passaggio in giudicato della sentenza per alcuni e impugnazione di altri -Estensione dell'effetto interruttivo a tutti gli imputati -Esclusione, 155. -Imposte doganali -Prescrizione Procedimento penale contro pi imputati -Impugnazione di sentenza di condanna di alcuni soltanto -Possibile effetto estensivo -Influenza sul corso della prescrizione verso l'imputato non impugnante -Esclusione, 155. TRIBUTI IN GENERE -Contenzioso tributario -Giudizio di terzo grado -Alternativit -Identit di oggetto -Diversit dei procedimenti -Illegittimit costituzionale Manifesta infondatezza, 136. -Contenzioso tributario -Giudizio di terzo grado -Valutazione estimativa -Questioni relative all'esistenza del cespite, 135. -Contenzioso tributario -Soggetto rimasto estraneo al processo tributario -Decisione della commissione tributaria -Non vincolante agli effetti penali, 43. URBANISTICA - Jus aedificandi -Limiti -Concessioni edilizie -Doverosit, 40. -Opere abusive -Provvedimento del Sindaco applicativo di sanzione pecuniaria -Identit sanzione rispetto ad altra annullata in sede giurisdizionale -Legittimit, 123. -Opere abusive -Provvedimento del Sindaco applicativo di sanzione pecuniaria -Valutazione dell'U.T.E. del valore delle opere -Necessit notifica precedente o contestuale, 123. -Opere abusive -Valutazione dell'U. T.E. -Determinazione del valore in base al costo -Legittimit per manufatti particolari, 123. -Piano Regolatore -Vincoli preordinati all'espropriazione -Limite quinquennale, 121. USI CIVICI -Procedir;nento di legittimazione Provvedimento del Commissario di reintegra a favore del Comune Legittimit Immediata esecutivit, 120. -Provvedimento del Commissario di reintegra a favore del Comune -Forma di sentenza -Giudizio inesistente -Illegittimit per travisamento dei fatti, 120. INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA GIURISDIZIONI CIVILI CORTE COSTITUZIONALE 22 ottobre 1982, n. 162 . 5 maggio 1983, n. 127 . 28 luglio 1983, n. 247 . . 6 ottobre 1983, n. 300 . 11 ottobre 1983, n. 307 . 15 dicembre 1983, n. 340 . 19 gennaio 1984, n. 1 . CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT EUROPEE 26 ottobre 1983, nella causa 163/82 . 30 novembre 1983, nella causa 227/82 . CORTE DI CASSAZIONE Sez. I, 9 agosto 1983, n. 5318 . Sez. Un. 13 ottobre 1983, n. 5960 . Sez. Un., 15 ottobre 1983, n. 6051 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Sez. I, 18 ottobre 1983, n. 6115 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Sez. Un., 21 ottobre 1983, n. 6175 .. Sez. I, 24 ottobre 1983, n. 6252 .... Sez. I, 3 novembre 1983, n. Sez. Lav., 5 novembre 1983, Sez. Un., 10 novembre 1983, Sez. I, 12 novembre 1983, n. Sez. I, 17 novembre 1983, n. Sez. I, 24 novembre 1983, n. Sez. Un., 30 novembre 1983, Sez. Lav., 2 dicembre 1983, n. Sez. Lav., 14 dice.mbre 1983, n. Sez. I civ., 15 dicembre 1983, Sez. I civ., 15 dicembre 1983, 6474 . n. 6544 . n. 6671 . 6740 . . 6854 . . 7027 . . n. 7187 . 7220 . 7374 . n. 7398 . n. 7409 . I I ! ~= i: pag. 1 40 43 46 2 52 60 pag. 65 )) 72 pag. 132 )) 135 )) 83 153 )) 87 )) 155 )) 182 )) 89 )) 184 159 161 190 163 90 )) 92 95 98 INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA Xl GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE CONSIGLIO DI STATO Ad. Plen., 19 luglio 1983, n. 21 . pag. 110 Ad. Plen., 10 ottobre 1983, n. 24 114 Sez. IV, 13 ottobre 1983, n. 710 . 120 Sez. IV, 27 ottobre 1983, n. 742 . . 121 Sez. IV, 27 ottobre 1983, n. 744 . . 121 Sez. V, 30 settembre 1983, n. 405 . 122 Sez. V, 30 settembre 1983, n. 412. 122 Sez. V, 10 ottobre 1983, n. 430 . 123 Sez. V, 19 ottobre 1983, n. 456 . . )) 123 Sez. V, 28 ottobre 1983, n. 506 . . 124 Sez. VI, 24 settembre 1983, n. 683 . 125 Sez. VI, 24 settembre 1983, n. 686 . )) 125 Sez. VI, 31 gennaio 1984, n. 37/84 . 127 GIURTSDIZIONI PENALI CORTE DI CASSAZIONE Sez. III penale, 24 novembre 1983, n. 1911 . . . . . . . . . . . . . . . pag. 195 TRIBUNALE DI ALESSANDRIA Sez. I pen., 16 dicembre 1983 (ord.) . . .. pag. 197 PARTE SECONDA INDICE DELLA LEGISLAZIONE Questioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. LEGISLAZIONE QUESTIONI DI LEGITTIMIT COSTITUZIONALE I. -Norme dichiarate incostituzionali . II. -Questioni dichiarate non fondate . III. -Questioni proposte . . . pag. 18 18 18 PARTE PRIMA ! I I GIURISPRUDENZA SEZIONE PRIMA GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE I. CORTE COSTITUZIONALE, 22 ottobre 1982, n. 162 -Pres. Elia -Rel. Bucciarelli Ducci -Regione Liguria (avv. Romanelli e Acquarone), Provincia di Trento (avv. Guarino), Provincia di Bolzano (avv. Guarino), Regione Sardegna (avv. Guarino), Regione Sicilia (avv. Fazio), Regione Veneto (avv. Berti e Viola), Regione Trentino-Alto Adige (avv. Pace), Regione Toscana (avv. Predieri), Regione Emilia-Romagna (avv. Predieri), Regione Piemonte (avv. Predieri) c. Pres. Cons. Ministri (avv. Stato Vittoria). Regioni -Finanza regionale -Fondi per il servizio sanitario -Accreditamento presso la tesoreria dello Stato -Legittimit costituzionale. (Cost .. artt. 117, 118 e 119; statuto Trentino-Alto Adige, art. 4; legge 30 marzo 1981, n. 119, art. 35). Credito -Depositi degli enti pubblici presso banche -Determinazione di un tetto competenza statale. (Cost., art. 119; legge 30 marzo 1981, n. 119, art. 40). Regioni -Depositi delle regioni presso banche -Determinazione di tetti Potere del Ministro del Tesoro -Deve essere circoscritto dalla legge. (Cost., art. 119; legge 30 marzo 1981, n. 119, art. 40). Non contrastano con gli artt. 117, 118 e 119 Cost., n con lo Statuto per il Trentino-Alto Adig?, disposizioni che prevedano l'accreditamento su conti correnti fruttiferi presso la tesoreria centrale dello Stato, intestati alle regioni (o alle province di Trento e Bolzano), dei fondi per il servizio sanitario nazionale. Attiene alla disciplina del credito, materia di competenza statale, la determinazione dell'ammontare massimo delle giacenze che taluni enti pubblici possono mantenere presso aziende di credito. Contrasta con l'art. 119 Cost. la disposizione che, senza prestabilire limiti o criteri, attribuisce al Ministro del Tesoro il potere di determinare con proprio decr-eto la percentuale o il livello massimo delle disponibilit delle regioni (o delle province di Trento e Bolzano) presso le aziende di credito incaricate del servizio di tesoreria. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO II. CORTE COSTITUZIONALE, 11 ottobre 1983, n. 307 -Pres. Elia -Rel. De Stefano e Paladin -Regione Lombardia e Regione Emilia-Romagna (avv. Onida), Regione Liguria (avv. Pericu) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Vittoria). Regioni -Finanza regionale -Tetto alla spesa regionale complessiva Contrasta con autonomia finanziaria delle regioni. (Cost., art. 119; d.!. 22 novembre 1981, n. 786, art. 26; I. 26 aprile 1983, n. 130, art. 4). Regioni -Finanza regionale -Conti correnti delle regioni presso la tesoreria dello Stato -Carattere infruttifero Legittimit costituzionale. (Cost., art. 119; I. 26 aprile 1983, n. 130, art. 10). Tributi erariali diretti -ILOR -Assegnazione del gettito allo Stato -Non contrasta con autonomia finanziaria delle regioni. (Cost., art. 119; d.!. 22 dicembre 1981, n. 786, artt. 28 e 29; d.!. 28 febbraio 1983, n. 55, art. 28). Commercio -Camera di commercio -Esercizio di funzioni amministrative -Potest legislativa delle regioni -Sussistenza. (Cost., artt. 117 e 119; d.!. 22 dicembre 1981, n. 786, art. 34; d.!. 28 febbraio 1983, n. 55, art. 29). Corte Costituzionale -Ricorso in via principale di una regione -Avverso decreto legge -Difetto dei presupposti prescritti -Non deducibilit. (Cost., art. 77; d.!. 28 febbraio 1983, n. 55). Regioni -Potest legislativa regionale -Nei settori trasferiti a comuni e pi:ovince Sussiste. (Cost., art. 117; d.!. 28 febbraio 1983, n. 55, artt. 8 e 8 bis). Regioni -Finanza regionale e locale Imposizione del parametro tetto programmato di inflazione -Legittimit costituzionale. (Cost., art. 119; d.!. 28 febbraio 1983, n. 55, artt. 8 e 8 bis). Credito -Cassa depositi e prestiti -Assolve a funzione statale e non regionale. (Cost., artt. 119 e 128; d.!. 28 febbraio 1983, n. 55, art. 5). Comuni -Comunit montane Non sono enti dipendenti dalle regioni. (Cost., artt. 117 e 119; d.!. 28 febbraio 1983, n. 55, artt. 11 e 16). Comuni -Uffici e funzioni di stato civile -Sono funzioni statali. (Cost., art. 117; d.!. 28 febbraio 1983, n. 55, art. 27). Regioni -Trasporti pubblici di interesse regionale -Spese relative Non possono essere poste a carico della regione se di interesse nazionale . (Cost., artt. 81, 117 e 119; d.!. 28 febbraio 1983, n. 55, art. 31). li I ~ ~ . PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Impiego pubblico -Blocco delle assunzioni .-Estesi anche al personale delle U.S.L. -Legittimit costituzionale -Potere di derogare al blocco Per le U.S.L. spetta alle regioni. (Cost., artt. 97 e 117; I. 26 aprile 1983, n. 130, art. 9). Regioni Agricoltura Forestazione e rimboschimento n compresa nella materia agricoltura. (Cost., art. 117; I. 26 aprile 1983, n. 130, art. 20). Contrasta con l'autonomia finanziaria delle regioni (artt. 117, 118 e 119 Cost.) la disposizione la quale -anzich limitarsi a regolare l'afflusso dei mezzi finanziari verso le tesorerie delle regioni in funzione dell'effettivo ed immediato fabbisogno di cassa -ponga un ulteriore diverso vincolo globale, consistente nella indisponibilit -al raggiungimento di un tetto annuale fissato per il complesso dei prelevamenti -di somme di pertinenza regionale (anche se depositate presso la tesoreria centrale dello Stato) necessarie per l'effettuazione di spese in precedenza regolarmente deliberate ed impegnate, nonch inserite nei prescritti preventivi trimestrali di cassa. Non contrasta con l'autonomia finanziaria delle regioni la disposizione che stabilisce il carattere infruttifero dei conti correnti, liberi o vincolati, aperti a favo re delle regioni presso la tesoreria centrale dello Stato. L'art. 119, secondo comma, Cost. delinea un modello dal quale non derivano vincoli di carattere specifico, che impongano al legislatore statale di attribuire alle regioni determinati tributi o quote di tributi erariali, o che rendano irreversibili le scelte in precedenza operate. Il rispetto dell'autonomia finanziaria regionale non impedisce che il legislatore statale modifichi, in base alla comparativa valutazione delle esigenze generali, l'entit delle assegnazioni alle regioni, a condizione che non venga gravemente alterato il necessario rapporto di complessiva corrispondenza fra bisogni regionali e mezzi finanziar.i per farvi fronte, impedendo cos alle regioni il normale espletamento delle loro funzioni. Non contrastano con l'art. 119 Cost. le disposizioni che sostituiscono un tributo proprio (nella specie, proprio pro-quota) delle regioni (la ILOR) con uno strumento di finanza derivata. Se ed in quanto difetti un'apposita legislazione locale (come si ve rifica tutt'ora in varie regioni), le camere di commercio possono effet tuare i loro interventi in ogni campo gi rientrante nella competenza camerale; ci non ostacola l'esercizio della potest legislativa regionale sia per indirizzare gli interventi delle camere, sia per incidere sulle premesse dalle quali dipende la stessa spettanza o la sfera di applicazione dei diritti annuali . Le regioni non possono impugnare un decreto legge adducendo un preteso difetto dei presupposti giustificativi costituzionalmente prescritti, 4 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO tale difetto di per s non concretando una invasione delle attribuzioni loro garantite. Le regioni conservano la loro potest legislativa nei settori relativi a funzioni gi regionali trasferite a comuni e province mediante il d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, in quanto funzioni amministrative... di interesse esclusivamente locale (art. 118 Cast.). Non irragionevole agganciare la percentuale di incremento dei trasferimenti alla finanza regionale e/o locale al tasso programmato di inflazione. E comunque, nel valutare se i limiti alla spesa regionale siano tali da compromettere l'autonomia finanziaria delle regioni, va tenuta presente la complessiva sufficienza delle entrate di queste. La Cassa depositi e prestiti un apparato strumentale destinato ad assolvere una funzione -l'esercizio del credito ai comuni e alle province -statale e non regionale: ci peraltro non significa che debbano essere trascurati i programmi regionali di sviluppo, l dove essi siano entrati in vigore e nella misura in cui possano incidere sulla concessione dei mutui in questione. Le comunit montane sono enti locali autonomi assimilabili agli enti territoriali minori, e non enti dipendenti dalle regioni; pertanto, il legislatore statale pu, anche senza coinvolgere le regioni, emanare norme in tema di spese di gestione di dette comunit ed assegnare ad esse, a tal titolo, contributi o finanziamenti. Lo Stato l'effettivo titolare degli interessi pubblici in materia di (ordinamento e buon andamento dello) stato civile; connessa ed accessoria a tale materia la formazione professionale degli ufficiali di stato civile. Il divieto di intervento statale contenuto nell'art. 41, comma secondo del d.P.R. n. 616 del 1977, subisce per ci deroghe e limiti aggiuntivi a qu;lli, da detto articolo, esplicitamente previsti. Lo Stato non pu disporre del gettito dei tributi propri delle regioni per fronteggiare spese di interesse nazionale; esso pu invece autorizzare le regioni a contribuire con risorse proprie a delle spese. Contrasta pertanto con gli artt. 117 e 119 Cast. (nonch contro l'art. 81 Cast.)., l'art. 31, primo comma, del d.l. 28 febbraio 1983, n. 55 (provvedimenti urgenti per il settore della finanza locale per l'anno 1983), convertito con modificazioni, in legge 26 aprile 1983, n. 131, nella parte in cui prevede che, per il definitivo equilibrio delle gestioni delle aziende locali di trasporto, le regioni sono tenute -anzich facoltizzate -a provvedere mediante l'integrazione della eventuale differenza tra la quota regionale derivante dalla ripartizione del Fondo nazionale trasporti per l'anno 1983 e la somma delle erogazioni effettuate allo stesso titolo alle aziende nel 1982, nonch nella parte in cui prevede che a questa integraziane le regioni devono necessariamente fare fronte con il maggior gettito dei tributi propri. ~ f: ti: .. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Lo Stato pu disporre il blocco -purche circoscritto entro limiti temporali ragionevoli -delle assunzioni nelle unit sanitarie locali, ma non anche avocare a s il potere di derogare a tale blocco, in particolari casi di necessit; tale potere pu peraltro essere disciplinato da atti governativi di indirizzo e coordinamento. Lo Stato non pu curare direttamente la realizzazione di progetti di "forestazione , posto che le attivit di produzione forestale e di rimboschimento sono comprese nella materia agricoltura e foreste attribuita alle regioni. I. (omissis) Con otto ricorsi le Regioni Piemonte, Toscana, EmiliaRomagna, Veneto, Liguria, Trentino-Alto Adige e le Province autonome di Trento e di Bolzano impugnano l'art. 35 della legge 30 marzo 1981, n. 119, che contiene una serie di prescrizioni con le quali si disciplinano i modi con cui vengono finanziate le unit sanitarie locali, le modalit attraverso le quali esse potranno usufruire del finanziamento loro accordato e l'organizzazione del relativo servizio di tesoreria. (omissis) (omissis) Il nuovo sistema viene ora impugnato per illegittimit costituzionale dalle Regioni Piemonte, Toscana, Emilia-Romagna, Veneto e Liguria, che, richiamandosi alla sentenza di questa Corte n. 155/1977, denunciano la menomazione della loro autonomia finanziaria che tale sistema comporterebbe, giacch le priverebbe dell'autonomia decisio nale sui flussi di cassa, onerandole di un compito di ripartizione dei fondi tra le unit sanitarie locali, senza alcuna possibilit di controllo della loro gestione. Sostengono le cinque Regioni a statuto ordinario che l'art. 35 viole rebbe in particolare: l'art. 117 Cost., per cui spetta alle Regioni la com petenza di emanare norme legislative in materia di assistenza sanitaria nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato; l'art. 118, che conferisce alle Regioni le funzioni amministrative in materia sanitaria; l'art. 119, che riconosce alle Regioni l'autonomia finanziaria. Nessuna delle questioni proposte dalle cinque Regioni a statuto ordi nario fondata. Invero il sistema di accreditamento delle risorse per il funzionamento del servizio sanitario nazionale, disciplinato dall'art. 35, prevede che tale accreditamento avvenga mediante conti correnti fruttiferi aperti in favore delle Regioni presso la Tesoreria centrale anzich mediante versamento diretto alle Regioni stesse. A tale sistema, diretto a coordinare la finanza regionale con quella statale, il legislatore ha gi fatto ricorso in altre occasioni, quando ha stabilito specifici programmi di sviluppo. Ad esempio nei dd.ll. 13 agosto 1975, nn. 376 e 377, convertiti nelle leggi 16 ottobre 1975, nn. 492 e 493 (rispettivamente artt. 20 e 21), si previsto RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 6 che i contributi assegnati alle Regioni venissero versati in conti correnti aperti presso la Tesoreria centrale dello Stato e che i prelievi venissero attuati a richiesta delle Regioni sulla base di relazioni indicative dei fabbisogni. Le stesse modalit sono state previste in tema di coordinamento degli interventi pubblici in vari settori dell'economia agricola (lt:;gge 27 dicembre 1977, n. 984, art. 17). Tale meccanismo non viola l'autonomia costituzionale garantita alle Regioni, in quanto resta integro il potere di ripartire le risorse finanziarie disponibili tra le diverse destinazioni. La legge istitutiva del servizio sanitario nazionale (legge 23 dicembre 1978, n. 833) prevede all'art. 51 il relativo finanziamento attraverso l'apposito fondo, determinato annualmente con la legge di approvazione del bilancio dello Stato. Tale fondo viene ripartito tra tutte le Regioni con delibera del CIPE (Comitato interministeriale per la programmazione economica), su proposta del Ministro della sanit e sentito il Consiglio sanitario nazionale. All'inizio di ogni trimestre le quote cos ripartite vengono trasferite alle Regioni con provvedimenti dei Ministri del tesoro e del bilancio. Spetta poi alla Regione il compito di ripartire tra le unit sanitarie locali la quota ad essa assegnata per le spese correnti, sulla base di parametri numerici che devono essere determinati con legge regionale,. sentiti i Comuni; mentre per la quota destinata alle spese in conto capitale, la Regione provvede sulla base delle indicazioni formulate dal piano sanitario nazionale. Alla luce di tale normativa l'intervento della Regione si esplica all'atto della ripartizione delle risorse tra le unit sanitarie locali, effettivi organi di erogazione dei servizi e perci della spesa e destinatarie necessarie delle quote assegnate alle Regioni. Tale intervento decisionale non minimamente intaccato dal meccanismo previsto dall'impugnato art. 35, il quale rispetta pienamente il potere che le Regioni hanno di ripartire le risorse del fondo loro assegnate fra le varie unit sanitarie locali, a seconda delle loro esigenze finanziarie, che a loro volta vengono valutate discrezionalmente dalle Regioni con autonomo provvedimento, senza alcun controllo o interferenza da parte dello Stato che ne possa condizionare l'autonomia. La norma impugnata, pertanto, non viola la sostanziale sfera di competenza che spetta alle Regioni quanto alle occorrenze locali ed alla distribuzione territoriale delle risorse. Certamente l'art. 35 ha l'effetto di limitare la redditivit delle somme corrispondenti assegnate alle Regioni per il funzionamento del servizio sanitario, ma si tratta di un effetto privo di implicazioni costituzionali, non riguardando l'autonomia finanziaria, in quanto potest di gestione autonoma delle risorse, che oggetto del principio costituzionale sancito dall'art. 119. Nel caso in esame tale potest di gestione, riferita alle risorse assegnate alle Regioni per il servizio sanitario, pienamente PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE rispettata quando ne viene assicurata loro la piena disponibilit, nel senso di poterne effettuare l'autonoma utilizzazione quali che siano le modalit del relativo deposito. D'altra parte l'aver il legislatore creato un pi stretto coordinamento temporale fra il momento del prelievo dalla Tesoreria centrale e il momento della spesa effettuata dagli organi erogatori del servizio sanitario risponde alla esigen:lla obiettiva, nell'interesse dell'intera comunit nazionale, di un opportuno coordinamento del flusso della spesa sanitaria con quello delle entrate destinate a fronteggiarla. Tale coordinamento infatti si risolve in definitiva in un minor costo per la finanza statale senza per altro apportare alcun danno al funzio~amento del servizio sanitario nazionale. N vi violazione dell'art. 118 Cost. nella parte in cui vengono riconosciute alle Regioni le funzioni amministrative in materia sanitaria giacch l'aver regolamentato il modo di accreditmento delle risorse alle unit sanitarie locali nei limiti indicati dalle stesse Regioni non impedisce a queste ultime di esercitare il loro potere di controllo sul funzionamento delle U.S.L., sia sotto il profilo dell'attivit che sotto quello dei risultati, gi previsto dagli artt. 11 e 51 della legge n. 833/1978. Non vioiato nemmeno l'art. 117 Cost. perch, avendo l'art. 35 prescritto alle U.S.L. che il loro servizio di tesoreria venga affidato ad aziende di credito aventi determinati requisiti, non ha invaso la sfera di competenza delle Regioni ad emanare norme legislative in materia di assistenZ1a sanitaria, giacch tale potest trova un limite nei princpi stabiliti dalle leggi dello Stato; limite che proprio l'art. 35 ha inteso fissare anche per uniformare sul piano nazionale il servizio di tesoreria delle unit sanitarie locali. Neppure sono fondate le questioni proposte dalla Regione TrentinoAlto Adige e dalle Province autonome di Trento e Bolzano in riferimento all'art. 35. La Regione, in particolare, impugna la norma sostenendo che essa, l dove disciplina l'organizzazione delle U.S.L. sul piano contabile, violerebbe la competenza primaria della Regione ad emanare leggi in materia di enti sanitari ed ospedalieri (con le relative autonome funzioni amministrative), riconosciuta dall'art. 4 n. 7 dello Statuto speciale. Per contro, l'Avvocatura dello Stato replica che le U.S.L. vanno considerate quali strutture operative dei Comuni (in base all'art. 15 della legge n. 833/1978), rientrando pertanto nella competenza legislativa concorrente prevista dall'art. 5 n. 1 del detto Statuto. Ma l'impugnativa regionale va respinta, comunque si qualifichi la competenza spettante alla Regione, quanto all'organizzazione delle U.S.L. Le disposizioni dell'art. 35 trovano infatti fondamento, sia nella gi rilevata esigenza di soddisfare B RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO interessi di portata nazionale in tema di spese da sostenere per le prestazioni sanitarie, sia nell'interferenza fra le attribuzioni regionali e l'indiscussa competenza spettante allo Stato in materia di credito. Quanto alle Province di Trento e Bolzano, esse sostengono in via preliminare che l'art. 35 impugnato non loro applicabile. Esso, infatti, riproduce -con modifiche -l'art. 8 del d.I. 30 dicembre 1979, n. 663 (convertito nella legge 29 febbraio 1980, n. 33) che viene nel contempo dichiarato espressamente abrogato (comma 10 dell'art. 35). Secondo la tesi sostenuta nei ricorsi, l'art. 8 non avrebbe trovato applicazione per le Province autonome di Trento e Bolzano, per le quali valeva invece l'art. 6 bis, aggiunto in sede di conversione, in virt del quale le Province autonome erano autorizzate a trattenere -e non a prelevare -le somme occorrenti per il finanziamento dei servizi sanitari gestiti direttamente. Poich il citato ar.t. 6 bis sarebbe ancora in vigore, per non essere stato abrogato, ne deriverebbe che le quote accreditate alle Province autonome diverrebbero integralmente e immediatamente disponibili per essere poi trasfevite alle unit sanitarie secondo le procedure fissate con legge dalle stesse Province. L'assunto non fondato, in quanto la nuova normativa sull'accreditamento delle quote assegnate alle U.S.L. non contrasta con la precedente disciplina in tema di riparto delle quote del fondo sanitario nazionale assegnate alle Province autonome (art. 6 bis d.I. n. 663/1979). Rimane salva, infatti, la facolt delle Province di trattenere sulle quote di riparto le somme occorrenti per il finanziamento di servizi e presidi sanitari che esse gestiscono direttamente, ma ci non impedisce che sia il Ministero del tesoro ad accreditare alle Province stesse, in un conto corrente aperto presso la Tesoreria centrale, le somme loro attribuite per il funzionamento del servizio sanitario. Sar poi su questo conto corrente che la Provincia effettuer il prelevamento delle quote ad essa dovute, trattenendo le somme da impiegare per i servizi gestiti direttamente dall'amministrazione provinciale e trasferendo su un conto corrente aperto presso la sezione provinciale di tesoreria le somme residue, da destinare alle U.S.L. esistenti nel territorio della Provincia. Alla luce di tale interpretazione, appare infondata la questione solle vata dalle Province autonome, non essendovi alcuna violazione del l'art. 9, n. 10 dello Statuto delle Province stesse, da parte della norma impugnata. In tema di assistenza sanitaria e ospedaliera le Province autonome hanno, infatti, soltanto una competenza legislativa secondaria, riguardando quella primaria soltanto l'ordinamento degli uffici provin ciali. Valgono quindi le stesse considerazioni gi svolte a proposito delle questioni sollevate dalle Regioni a Statuto ordinario. j,, I!: PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE L'altra norma che viene impugnata, con nove dei ricorsi indicati in epigrafe, l'art. 40 della legge 30 marzo 1981, n. 119, che detta una serie di prescrizioni sulla contabilit degli enti pubblici. (omissis) Sia le Regioni a Statuto ordinario (Piemonte, Veneto, Toscana ed Emilia-Romagna) sia quelle a Statuto speciale (Sicilia, Sardegna, Trentino- Alto Adge) impugnano il primo e il quarto comma dell'art. 40 in quanto violerebbero la sfera della loro autonomia finanziaria, sottraendo alle Regioni la possibilit di utilizzare direttamente e immediatamente le somme disponibili presso i rispettivi tesorieri eccedenti il 12 % delle entrate. Inoltre, imponendo di versare alle tesorerie dello Stato le disponibilit eccedenti tale percentuale, la norma denunciata inciderebbe non solo sulle somme provenienti dal bilancio dello Stato, ma anche su quelle provenienti da altre fonti, fra le qualj gli stessi proventi propri delle Regioni. Ancora pi lesiva della loro autonomia sarebbe per le stesse Regioni la disposizione dell'ottavo comma, che attribuisce al Ministro la facolt di determinare la percentuale delle entrate regionali che devono essere fatte affluire alle tesorerie dello Stato in aperto contrasto con il primo conuna dello stesso articolo, che determina nel 12 % la soglia oltre la quale si concreta la considerata eccedenza. La Regione Sardegna impugna anche il quinto comma dell'articolo citato per lo stesso ordine di ragioni, mentre la Regione Trentino-Alto Adige lamenta anche la violazione dell'art. 5 n. 1 dello Statuto speciale dal momento che l'art. 40, obbligando anche i Comuni a limitare le giacenze, invaderebbe la sfera di competenza legislativa -sia pure secondaria -della Regione in tema di ordinamento dei Comuni. Sotto gli stessi profili impugnano i commi 1, 2 e 5 dell'art. 40 le Province autonome di Trento e Bolzano. Tutte le questioni sollevate relative all'art. 40 della legge n. 119/1981 sono infondate, ad eccezione di quella riguardante l'ottavo comma (facolt del Ministro del tesoro di variare con proprio decreto la percentuale massima delle disponibilit di cui consentito il deposito presso le tesorerie delle Regioni). Il precetto essenziale, contenuto nell'art. 40, da cui tutti gli altri discendono, quello che obbliga le aziende di credito a versare nei conti aperti presso le Tesorerie dello Stato le somme depositate presso le aziende stesse dagli enti pubblici (territoriali o meno) con bilanci di una certa importanza, quando tali depositi superino un determinato livello, che viene indicato nel 12 % delle entrate previste dal bilancio di competenza. La ratio della norma -che si inserisce in una precisa direttiva seguita dal legislatore (legge 6 agosto 1966, n. 629; artt. 31 e 32 legge 5 agosto 1978, n. 468; artt. 52 e 55 d.l. 9 luglio 1980, n. 301 e 83-86 d.l. RASSEGNA DEU.'AWOCATURA DELLO STATO 30 agosto 1980, n. 503) - di consentire allo Stato il controllo e la regolamentazione della liquidit monetaria e quindi dei flussi della spesa pubblica, che su tale liquidit incidono -com' noto -in misura determinante. Destinatari del precetto sono, quindi, non solo e non tanto gli enti pubblici, quanto piuttosto le aziende di credito che gestiscono i servizi di tesoreria degli enti stessi. Si tratta pertanto di stabilire se, nel quadro della ripartizione delle funzioni fra Stato e Regioni delineato dalla Costituzione, competa allo Stato questo potere di controllo e di regolamentazione. La risposta al quesito non pu essere che positiva, rientrando certamente tra i poteri di pertinenza statale -come questa Corte ha pi volte dichiarato (sentt. 58/1958; 221/1975) -quello della disciplina del credito, strettamente connessa alla stabilit del potere d'acquisto della moneta e quindi ad un interesse che travalica l'ambito regionale coinvolgendo la comunit nazionale. Poich parte rilevante della spesa pubblica avviene per il tramite degli enti locali ed istituzionali, non pensabile che la regolamentazione e il controllo dei relativi flussi possa avvenire senza incidere sulle disponibilit contabili di tali enti. Per mantenere il necessario equilibrio tra il flusso delle risorse prelevate e quello delle spese erogate non si pu, infatti, ignorare che l'assegnazione alle diverse persone giuridiche pubbliche di una quota di risorse, congiunta alla inevitabile gradualit delle erogazioni, produce un ristagno di disponibilit, con conseguenze gravemente negative nell'attuale situazione delle pubbliche finanze. noto in linea generale che mentre lo Stato, attraverso il cui bilancio passano prevalentemente i flussi finanziari, non riesce a sostenere le erogazioni cui tenuto ed costretto a ricorrere all'indebitamento a tassi sempre pi elevati, taluni enti pubblici possono avere eccedenze di disponibilit di cassa rispetto alle necessit immediate, disponibilit che resterebbero depositate presso le aziende di credito. Diventa, pertanto, un'esigenza fondamentale per lo Stato limitare l'onere derivante dalla provvista anticipata di fondi rispetto all'effettiva capacit di spesa degli enti. Del tutto funzionale rispetto a tali finalit e rispondente ai princpi generali di solidariet economica e sociale risulta la soluzione adottata dal legislatore di prescrivere alle aziende di credito di trasferire alle Tesorerie dello Stato le eccedenze di cassa degli enti pubblici rispetto alle loro occorrenze immediate. Alla luce di tali princpi la normativa adottata non lesiva dell'autonomia finanziaria delle Regioni, che va intesa in termini sostanziali, come ha statuito questa Corte con le sentenze 22 dicembre 1977, n. 155 e 9 aprile 1981, nn. 94 e 95. Per la prima di tali decisioni una reale menomazione dell'autonomia finanziaria delle Regioni si avrebbe sol'~ f ~ ff -!: I PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE tanto se il meccanismo della giacenza obbligatoria dei fondi presso le Tesorerie dello Stato si prestasse a venire manovrato in modo da precludere od ostacolare la disponibilit delle somme occorrenti alle Regioni stesse per l'adempimento dei loro compiti istituzionali, nelle forme, nelle misure e nei tempi variamente indicati dalla legislazione statale sulla finanza regionale, in attuazione dell'art. 119 Cost. . Ora la normativa impugnata non preclude alle Regioni la facolt di disporre delle proprie risorse, nel senso di valutarne discrezionalmente la congruit rispetto alle necessit concrete e di indirizzarle verso gli obiettivi rispondenti alle finalit istituzionali, ma si limita a consentire il controllo del flusso delle disponibilit di cassa, coordinandolo alle esigenze generali dell'economia nazionale, nel quadro di quella regolamentazione del credito che dovere peculiare dello Stato. Come si osservato a proposito dell'art. 35, anche le disposizioni dell'art. 40 possono certamente comportare una minore redditivit delle somme depositate nelle Tesorerie dello Stato rispetto a quella che si avrebbe presso le aziende di credito, ma si tratta di una conseguenza di fatto che non investe aspetti costituzionalmente tutelati, non incidendo sulla autonomia finanziaria delle Regioni. Se.tale la ratio della normativa in esame, del tutto ininfluente ai fini della disciplina contenuta nei primi tre commi dell'art. 40, la distinzione tra risorse provenienti dal bilancio dello Stato e risorse proprie delle Regioni, non essendo possibile sul piano tecnico di discriminare la provenienza delle giacenze di cassa eccedenti la percentuale consentita. N ha rilievo, alla luce delle finalit perseguite, distinguere tra Regioni a Statuto speciale e Regioni a Statuto ordinario, tutte ugualmente tenute in materia di credito a uniformarsi alla legislazione dello Stato. Per quanto poi riguarda la denuncia da parte delle Regioni Veneto, Toscana, Piemonte ed Emilia-Romagna -le quali lamentano che il quarto comma dell'art. 40 dispone l'affluenza diretta alle Tesorerie dello Stato delle risorse destinate alle Regioni e provenienti dal bilancio dello Stato stesso -essa non fondata, essendo del tutto simile a quella gi decisa in tal senso da questa Corte con la citata sentenza n. 94 del 1981, che aveva ad oggetto l'analoga disposizione contenuta nell'art. 31 della legge n~ 468/1978. N risulta fondata la questione sollevata dalla Regione TrentinoAlto Adige nel senso che le somme provenienti dal bilancio dello Stato dovrebbero ritenersi sottratte alla disciplina statale una volta entrate nella disponibilit della Regione. La stessa norma impugnata dispone, infatti, espressamente che essa non si applica alle entrate provenienti dal bilancio dello Stato percepite dalle Regioni a Statuto speciale in base alle rispettive norme statutarie. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 12 Ugualmente infondata la questione proposta al riguardo dalla Regione Sicilia, in quanto lo stesso quarto comma eccettua espressamente i fondi di cui all'art. 38 dello Statuto regionale, mentre per le altre entrate indicate nel ricorso valgono le stesse considerazioni gi svolte da questa Corte nella sentenza n~ 95 del 1981, a sostegno del rigetto dell'analoga impugnativa proposta dalla stessa Regione contro il citato art. 31 della legge n. 468/1978. Ma altrettanto infondata l'impugnativa dello stesso art. 40, quarto comma, proposta dalla Regione Sardegna, poich -a differenza di quanto disponeva l'art. 31 della legge 468/1978, dichiarato illegittimo nei confronti della Regione sarda con la sentenza di questa Corte n. 95 del 1981 -la norma impugnata esclude esplicitamente dal suo ambito di applicazione -come si visto -i fondi destinati alle Regioni a Statuto speciale in base ai rispettivi Statuti. N ha fondamento l'argomentazione, ripetuta in alcuni ricorsi, che farebbe discendere l'incostituzionalit del primo, secondo e quarto comma dell'art. 40 da una presunta contraddittoriet dell'intera disciplina, che lascerebbe alle Regioni a Statuto speciale maggiore autonomia di gestione per i fondi provenienti dallo Stato che non per le entrate proprie delle Regioni. Infatti anche le somme provenienti dallo Stato, una volta che siano depositate dalle Regioni presso le aziende di credito (che esercitano per esse il servizio di tesoreria), entrano a far parte di quelle disponibilit complessive di cassa, all'interno delle quali non pi possibile tecnicamente distinguere la provenienza e che sono pertanto complessivamente e indistintamente soggette al limite del 12 %. Non sussiste, perci, la lamentata contraddizione, avendo comunque il legislatore riservato alle Regioni a Statuto speciale un sistema di accreditamento delle risorse provenienti dal bilancio statale meno vincolante di quello previsto per le Regioni a Statuto ordinario, proprio in considerazione della diversa estensione delle rispettive sfere di autonomia. A diversa conclusione si perviene invece per quanto riguarda la denuncia dell'ottavo comma dell'art. 40. Va riconosciuta, infatti, alla competenza legislativa dello Stato la regolamentazione della materia del credito, con il conseguente obbligo delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano di adeguarsi a tale regolamentazione -in nome del coordinamento finanziario previsto dal primo comma dell'art. 119 Cost. -anche in quanto essa si riflette sulla competenza regionale riguardante la disciplina dei servizi di tesoreria delle Regioni e delle Province autonome, nonch la stipula delle relative convenzioni con le aziende. di credito. Ma contradditto rio, rispetto alla logica che presiede alle rimanenti disposizioni dello stesso art. 40, la facolt accordata al Ministro del tesoro di variare con PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE suo semplice decreto -senza che il legislatore abbia prestabilito in proposito alcun limite ed alcun criterio -la percentuale o il livello massimo delle disponibilit delle Regioni (e delle predette Province) che le aziende di credito possono tenere presso di s. Una volta che il legislatore ha fissato tale percentuale nella misura del 12 % e nulla ha precisato circa il livello massimo, soltanto per legge o nell'ambito dei limiti e dei criteri indicati dalla legge possono essere variate le scelte legislative in questione, senza violare la riserva di legge della Repubblica, di cui al primo comma dell'art. 119 Cost. (sul punto la sentenza di questa Corte n. 149 del 1981). La questione relativa al comma 8 dell'articolo impugnato , pertanto, fondata. II. (omissis) Con i ricorsi notificati ... la Regione Lombardia impugna l'art. 26, commi secondo e terzo, del d.l. 22 dicembre 1981, n. 786, e l'art. 4, commi quinto e sesto, della legge 26 aprile 1983, n. 130. L'art. 26 del d.l. n. 786 del 1981, al comma secondo (divenuto comma primo per effetto della soppressione del precedente comma, operata in sede di conversione, con modificazioni, in legge 28 febbraio 1982, n. 51), dispone che, per l'anno 1982, i prelevamenti che le regioni a statuto ordinario possono effettuare dai conti correnti a loro intestati presso la tesoreria centrale dello Stato non possono registrare un aumento superiore al 16 per cento rispetto ai prelevamenti complessivamente effettuati da ciascuna regione nel periodo 1 ottobre 1980-30 settembre 1981, fatte salve le disposizioni di cui al primo comma dell'art. 40 della legge 30 marzo 1981, n. 119 . Il comma terzo (secondo, per effetto, come innanzi precisato, della conversione con modificazioni in legge) dello stesso art. 26 prevede che " per comprovate indilazionabili esigenze di singole regioni, il Ministro del tesoro, su proposta del Ministro per gli affari regionali, pu elevare, con propri decreti, il predetto limite del 16 per cento . Per il 1983 il comma quinto dell'art. 4 della legge n. 130 del 1983 rinnova il tetto ai prelevamenti che le Regioni a statuto ordinario possono effettuare dai conti correnti anzidetti, disponendo che i prelevamenti medesimi fatte salve le disposizioni di cui al primo comma dell'art. 40 della legge 30 marzo 1981, n. 119... non possono registrare un aumento superiore al 13 per cento rispetto ai prelevamenti complessivamente effettuati da ciascuna regione nell'anno 1982, al netto delle maggiorazioni concesse ai sensi dell'art. 26, secondo comma, del d.l. 22 dicembre 1981, n. 786, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1982, n. 51, maggiorate del 13 per cento . Ed anche per il 1983 previsto, dal comma sesto dello stesso art. 4, che 14 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO il Ministro del tesoro, su proposta del Ministro per gli affari regionali, possa con propri decreti, per comprovate indilazionabili esigenze di singole regioni , elevare il predetto limite. Secondo la ricorrente Regione, tali disposizioni appaiono illegittime e lesive dell'autonomia finanziaria, di spesa e di bilancio, nonch dell'autonomia programmatoria, legislativa ed amministrativa della Regione . La questione fondata. Giova ricordare che questa Corte, a proposito dei conti correnti intestati alle regioni a statuto ordinario presso la tesoreria centrale dello Stato, ha gi avuto occasione di avvertire, nella sentenza n. 155 del 1977, che essi non possono legittimamente trasformarsi in un anomalo strumento di controllo sulla gestione finanziaria regionale: che si presti a venire manovrato in modo da precludere od ostacolare la disponibiHt delle somme occorrenti alle Regioni stesse per l'adempimento dei loro compiti istituzionali, nelle forme, nelle misure e nei tempi variamente indicati dalla legislazione statale sulla finanza regionale, in attuazione dell'art. 119 della Costituzione . Successivamente la Corte, investita della questione di legittimit costituzionale dell'art. 31 della legge 5 agosto 1978, n. 468, inteso a disciplinare le giacenze di tesoreria delle Regioni, ha nuovamente considerato, nella sentenza n. 94 del 1981, essenziale... che i conti correnti istituiti presso la tesoreria centrale non si trasformino in un anomalo strumento di controllo sulla gestione finanziaria regionale ; ed ha ritenuto che tale non sia il caso del denunciato art. 31, in quanto esso non ha di mira le singole misure regionali di spesa, limitandosi a regolare i ritmi di accreditamento dei fondi... dalla tesoreria dello Stato alle tesorerie delle Regioni: per di pi precisando che ci deve svolgersi sulla base ed in conformit alle previste esigenze ed alle accertate disponibilit di cassa delle Regioni, quali desunte appunto dai periodici documenti, indicati nel secondo e terzo comma, provenienti dagli organi responsabili delle Regioni medesime . Con la legge 30 marzo 1981, n. 119, si sono accentuati. i vincoli rela tivi alle disponibilit di tesoreria delle regioni a statuto ordinario. L'art. 40, infatti, non soltanto ha confermato, ai commi quarto e quinto, che tutti i fondi provenienti dal bilancio dello Stato e destinati alle regioni devono affluire nei conti ad esse intestati presso la tesoreria dello Stato, subordinando i prelevamenti alla presentazione dei preven tivi trimestrali di cassa; ma ha anche introdotto, con il primo comma (esplicitamente fatto salvo dalle disposizioni adesso impugnate), il di vieto di mantenere presso aziende di credito disponibilit depositate a qualunque titolo per un importo superiore al 12 per cento dell'am montare delle entrate previste dal bilancio di competenza delle re gioni medesime, mentre le somme in eccesso vanno versate nei conti PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE correnti presso la tesoreria dello Stato. Anche su tale normativa questa Corte si pronunciata, riconoscendo, con la sentenza n. 162 del 1982, che essa non preclude alle Regioni la facolt di disporre delle proprie risorse, nel senso di valutarne discrezionalmente la congruit rispetto alle necessit concrete e di indirizzarle verso gli obiettivi rispondenti alle finalit istituzionali, ma si limita a consentire il controllo del flusso delle disponibilit .di cassa . Occorre, infatti, mantenere il necessario equilibrio tra il flusso delle risorse prelevate e quello delle spese erogate ed impedire il formarsi di un ristagno di disponibilit, con conseguenze gravemente negative nell'attuale situazione delle pubbliche finanze. stata, peraltro, con la stessa sentenza, dichiarata l'Hlegittimit costituzionale dell'ottavo comma dello stesso art. 40, nella parte in cui attribuiva al Ministro per il tesoro la facolt di variare con proprio decreto la percentuale o il livello massimo delle disponibilit delle regioni, che le aziende di credito, incaricate del servizio di tesoreria, possono tenere presso di s. La Corte ha rilevato, infatti, che tale facolt di variare le scelte legislative, stata accordata senza che il legislatore abbia prestabilito in proposito alcun limite ed alcun criterio, violando cos la riserva di legge di cui al primo comma dell'art. 119 della Costituzione. Dal confronto con la previgente normativa, ed alla stregua della richiamata giurisprudenza di questa Corte, si evince appunto la fondatezza della promossa questione. Le disposizioni impugnate, infatti, non si limitano, come le precedenti, a regolare l'afflusso dei mezzi finanziari verso le tesorerie delle regioni in funzione dell'effettivo ed immediato fabbisogno di cassa, al fine di evitare cos, da un lato dannosi ristagni di liquidit presso le aziende di credito e dall'altro pi gravosi oneri di interessi a carico dello Stato, costretto ad una provvista anticipata di fondi rispetto all'effettiva capacit di spesa degli enti (sentenza n. 162 del 1982). Con esse, invece, stato introdotto -come deduce la difesa della ricorrente -un ulteriore, diverso vincolo, con il quale s'impedisce alla Regione, una volta che essa abbia raggiunto il tetto annuale fissato per il complesso dei prelevamenti, di disporre delle somme necessarie per l'effettuazione di spese a suo tempo regolarmente deliberate ed impegnate nei limiti degli stanziamenti del bilancio regionale di previsione, sebbene il loro tempestivo fabbisogno sia stato gi dimostrato dai prescritti preventivi trimestrali di cassa (art. 31, comma secondo, della legge n. 468 del 1978; art. 40, comma quinto, della legge n. 119 del 1981). E ci, malgrado si tratti di somme che, pur se depositate presso la tesoreria dello Stato, sono ormai di pertinenza regionale. Per di pi, il tetto imposto ai prelevamenti fa riferimento a parametri (per il 1982, il totale dei prelevamenti effettuati da ciascuna Regione nel periodo 1 ottobre 1980-30 settembre 1981, aumentato del 16 per RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO cento; per il 1983, il totale dei prelevamenti effettuati da ciascuna Regione nell'anno 1982, aumentato del 13 per cento), che prescindono da qualsiasi concreto rapporto con la struttura e con la gestione del bilancio regionale di competenza per l'anno in corso, con la dimensione delle entrate e delle spese ivi previste, con l'entit dei residui attivi e passivi. Le denunciate norme vulnerano, pertanto, come lamentato dalla Regione, il principio stesso di autonomia, quale configurata e garantita dagli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione. N a temperare la lesione pu soccorrere la facolt accordata al Ministro del tesoro, di elevare con propri decreti, su proposta del Ministro per gli affari regionali., i limiti in parola per comprovate indilazionabili esigenze di singole regioni . Anche in questa occasione -come gi per l'ottavo comma dell'art. 40 della legge n. 119 del 1981, la cui illegittimit costituzionale, come innanzi ricordato, stata dichiarata dalla sentenza di questa Corte n. 162 del 1982 -il legislatore ha configurato una potest ministeriale di variare le scelte legislative, senza prestabilire alcun limite ed alcun criterio. Non pu, invero, considerarsi all'uopo idoneo il solo generico riferimento ad esigenze di spese, la cui indilazionabilit, riferita che sia alla fase dell'impegno o a quella del pagamento, soggiace pur sempre alla eventualit di una valutazione diversa, rispetto a quella degli organi regionali istituzionalmente competenti, da parte dell'organo che, nell'mbito di una innegabile discrezionalit, di volta in volta pu consen tire (e quindi anche non consentire) il prelievo in eccedenza rispetto al raggiunto limite. Ne risulta, pertanto, violata, sotto questo profilo, la riserva di legge di cui all'art. 119, comma primo, della Costituzione. L'Avvocatura dello Stato obietta che le impugnate norme si inseriscono in un complesso quadro normativo, inteso a contenere, sia nel 1982 che nel 1983, l'espansione della spes pubblica e, quindi, del disavanzo e del conseguente ricorso al mercato finanziario. Ma il richiamo ad una finalit d'interesse generale, pur di cos precipuo e stringente rilievo, non pu di per s legittimare il ricorso, per il suo perseguimento, a misura di contenimento della spesa pubblica che incidano e vulnerino competenze ed interessi costituzionalmente garantiti. In particolare, per quanto concerne la spesa delle regioni, altre possibilit si offrono al legislatore statale nell'mbito di quel compito, che gli attribuisce l'art. 119 della Costituzione, di coordinamento dell'autonomia finanziaria delle regioni con la finanza dello Stato, delle province, dei comuni; e la stessa difesa della Regione ricorrente prospetta all'uopo ipotesi diverse di incidenza sulla spesa regionale per la via maestra della disciplina delle entrate regionali, e cio nella fase della determinazione dei proventi tributari e delle assegnazioni statali, nonch dei limiti in cui le regioni possono ricorrere al credito. I ! I I PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Per le su esposte considrazioni va, dunque, dichiarata la .illegittimit costituzionale dell'art. 26, commi secondo e terzo (divenuti primo e secondo per effetto della soppressione del primo comma, operata in sede di conversione in legge), del d.l. n. 786 del 1981, convertito con modificazioni in legge n. 51 del 1982, e dell'art. 4, commi quinto e sesto, della legge n. 130 del 1983. Resta, pertanto, assorbito il profilo di illegittimit costituzionale, dedotto dalla Regione ricorrente, per l'asserita disparit di trattamento tra regioni a statuto ordinario e regioni a statuto speciale. L'art. 10, primo comma, della legge n. 130 del 1983 dispone che sono infruttiferi i conti correnti, liberi o vincolati, aperti presso la tesoreria centrale dello Stato. La Regione Lombardia, con il ricorso notificato il 28 maggio 1983, ha promosso questione di legittimit costituzionale di tale norma, nella parte che concerne i conti correnti intestati alle regioni a statuto ordinario, specie se considerata in correlazione con la disciplina dei prelevamenti da detti conti contenuta nell'art. 4, commi quinto e sesto della stessa legge. Il carattere infruttifero dei conti comporterebbe, secondo la ricorrente Regione, una diminuzione, in termini reali, dell'entit delle somme di pertinenza regionale depositate nei conti medesimi, e si tradurrebbe perci in una illegittima compressione dell'autonomia finanziaria e di spesa della Regione, nonch in una violazi? ne dell'obbligo di copertura delle maggiori spese cui la Regione pu andare incontro per effetto del divieto di prelevare somme dai conti anzidetti oltre il limite fissato. La questione non fondata. Dichiarata con la presente sentenza la illegittimit costituzionale dell'art. 4, commi quinto e sesto, della legge n. 130 del 1983, resta assorbito il dedotto profilo relativo all'asserita violazione dell'obbligo di copertura di maggiori spese. N sussiste la denunciata lesione dell'autonomia finanziaria e di spesa della Regione. Invero, una volta garantita alle regioni l'effettiva possibilit di disporre, per le proprie spese, delle somme accreditate, in base alla vigente disciplina, che ne regola il tempestivo flusso dai conti correnti ai tesorieri regionali, secondo il periodico fabbisogno, dimostrato dai preventivi trimestrali di cassa, evitandosi dannosi ristagni di liquidit, la minore o nulla redditivit delle somme depositate nelle tesorerie dello Stato, rispetto a quella che si avrebbe presso le aziende di credito, concreta una conseguenza di fatto che non investe aspetti costituzionalmente tutelati, non incidendo sull'autonomia finanziaria delle Regioni , come gi affermato nella richiamata sentenza di questa Corte n. 162 del 1982. L'art. 28, primo comma, del d.l. n. 786 del 1981, convertito in legge n. 51 del 1982, dispone che fino al 31 dicembre 1982 l'imposta locale sui redditi continua ad essere applicata con l'aliquota del 15 per cento. Il relativo gettito rimane. acquisito al bilancio dello Stato . Per il sue 18 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO cessivo art. 29 alle Regioni a statuto ordinario ed alle aziende auto. nome di soggiorno, cura e turismo istituite nel periodo 1974-80, sono attribuite dall'amministrazione finanziaria, per l'anno 1982, somme di importo pari a quelle spettanti per l'anno 1981 ai sensi dell'art. 33 del d.l. 28 febbraio 1981, n. 38, convertito, con modificazioni, in legge 23 aprile 1981, n. 153 . Per l'anno 1983, l'art. 28, ultimo comma, del d.l. n. 55 del 1983, convertito in legge n. 131 del 1983, dispone che agli stessi enti destinatari siano attribuite somme di importo pari a quelle spettanti per l'anno 1982 ai sensi dell'art. 29 del d.l. 22 dicembre 1981, n. 786, convertito, con modificazioni, nella legge 26 febbraio 1982, n. 51 . La Regione Lombardia, con il ricorso notificato H 29 gennaio 1982, promuove questioni di legittimit costituzionale degli artt. 28, primo comma, e 29 del d.l. n. 786 del 1981, perch lesivi dell'autonomia finan ziaria regionale. Secondo la ricorrente, la commutazione di un tributo proprio (pro-quota) delle regioni in trasferimento statale, violerebbe l'art. 119 della Costituzione; inoltre, la reiterazione della somma di anno in anno avrebbe finito con il trasformare quella che doveva essere una misura transitoria ed eccezionale in una modificazione permanente del sistema finanziario regionale, accentuandone il contrasto con l'invocato parametro costituzionale. Per di pi, la conferma per il 1982 dell'im porto delle somme sostitutive dell'ILOR nella stessa misura di quelle corrisposte nel 1981, senza alcuna maggiorazione, avrebbe accentuato il divario tra l'entit dei trasferimenti e il gettito reale dell'ILOR acqui sito al bilancio dello Stato. Analoghe considerazioni svolge la Regione Liguria, impugnando, con i ricorsi noticati il 31 marzo ed il 30 mag gio 1983, l'art. 28, ultimo comma, del d.l. n. 55 del 1983, per violazion degli artt. 117 e 119 della Costituzione. La questione non fondata. Ben vero che l'art. 1 della legge 16 maggio 1970, n. 281, recante provvedimenti finanziari per l'attuazione delle regioni a statuto ordinario, attribuiva loro, con il secondo comma, il gettito delle imposte erariali sul reddito domh.cale e agrario dei terreni e sul reddito dei fabbricati, prevedendone la sostituzione -all'entrata in vigore dei provvedimenti di attuazione della riforma tributaria -con una quota del gettito derivante da una imposta corrispondente di importo non inferiore al gettito dell'ultimo anno di applicazione delle imposte fondiarie. La legge 9 ottobre 1971, n. 825, di delega legislativa per la riforma tributaria, nel prevedere la istituzione dell'imposta locale sui redditi (ILOR), fissava poi all'art. 4, tra i princpi e criteri direttivi cui doveva essere informata la disciplina della nuova imposta, la determinazione dell'aliquota da parte rispettivamente dei comuni, delle province, delle regioni, delle camere di commercio e delle aziende autonome di cura, soggiorno e turismo, l'accertamento a cura dell'amministrazione finanziaria dello l ti f; f; ........,.,~~~ PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Stato e l'attribuzione diretta del gettito pro-quota agli enti suddetti. A tali princpi e criteri si uniformava la legge delegata (d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599), istitutiva dell'imposta, con decorrenza dal 1 gennaio 1974. Peraltro, l'art. 19 bis del d.l. 29 dicembre 1977, n. 946, aggiunto dalla legge di conversione 27 febbraio 1978, n. 43, disponeva che "sino all'emanazione di nuove norme che regolino la partecipazione delle regioni all'imposta locale sui redditi, per l'anno 1978 sono attribuite dall'amministrazione finanziaria alle regioni a statuto ordinario ... somme sostitutive di importo pari alla quota di loro spettanza, calcolata sulla base delle iscrizioni a ruolo effettuate nell'anno 1977, con una maggiorazione del 10 per cento . Da allora la " sostituzione si ripetuta di anno in anno, con formule pressoch identiche, ma non pi precedute dal riferimento alla prevista emanazione di nuove norme. Cos, l'art. 11 del d.l. 10 novembre 1978, n. 702, convertito con modificazioni nella legge 8 gennaio 1979, n. 3, ha disposto per il 1979. l'attribuzione di una somma pari a quella del 1978, maggiorata del 10 per cento; l'art. 31 del dJ. 7 maggio 1980, n. 153, convertito con modificazioni nella legge 7 luglio 1980, n. 299, una somma pari a quella del 1979, maggiorata del 20 per cento; l'art. 33 del d.l. 28 febbraio 1981, n. 38, convertito con modificazioni nella legge 23 aprile 1981, n. 153, una somma pari a quella del 1980, maggiorata del 20 per cento. Con le norme di cui stata ora denunciata la illegittimit costituzionale, l'ammontare delle somme sostitutive rimasto, invece, fissato, per il 1982 e il 1983, nel quantum stabilito per il 1981. Non v'ha dubbio che il susseguirsi, di anno in anno, di provvedimenti a carattere contingente, in deroga alla disciplina ordinaria, renda quantomai disorganico e provvisorio il quadro attuale della finanza regionale: sicch non pu non auspicarsi che si ponga finalmente mano a quella "disciplina delle entrate tributarie delle regioni a statuto ordinario, coordinata con la regolamentazione delle funzioni e con l'ordinamento finanziario delle regioni stesse, ed imperniata sull'attribuzione diretta e indiretta di tributi e di quote di tributi, la cui esigenza, gi avvertita in sede di delega per la riforma tributaria (art. 12, comma secondo, n. 5 della legge n. 825 del 1971), non stata poi soddisfatta dal legislatore delegato. Ma non per questo pu ritenersi che le denunciate norme abbiano vulnerato l'autonomia regionale. Come osserva l'Avvocatura dello Stato, il comma secondo dell'art. 119 della Costituzione delinea un modello, al quale la disciplina della finanza regionale si deve uniformare nel suo complesso; ma da ci non derivano vincoli di carattere specifico, che impongano al legislatore statale di attribuire alle regioni determinati tributi o quote di tributi erariali, o che rendano irreversibili le scelte in precedenza operate. In altri termini, quelle stesse "leggi della Repub RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 20 blica , che sono chiamate a prestabilire i tipi dei tributi regionali, possono sostituire le figure inizialmente previste, con altre che meglio si conformino all'ordinamento finanziario generale. N l'attribuzione alle regioni dei mezzi finanziari necessari per il perseguimento delle loro finalit definita dal precetto costituzionale in termini quantitativi; essa va, nel tempo, costantemente adeguata alle concrete esigenze di espletamento delle funzioni regionali, nei limiti della compatibilit con i vincoli generali nascenti dalle preminenti esigenze della finanza pubblica nel suo insieme. Il dovuto rispetto dell'autonomia finanziaria regionale non impedisce, pertanto, che il legislatore statale modifichi o mantenga ferma, in base alla comparativa valutazione delle esig~nze generali, l'entit delle assegnazioni alle regioni, a condizione, ovviamente, che non venga gravemente alterato il necessario rapporto di complessiva corrispondenza, nei limiti anzidetti, fra bisogni regionali e mezzi finanziari per farvi fronte, impedendo cos alle regioni il normale espletamento delle loro funzioni. Il che non dedotto nel caso in esame. Conclusivamente, non appaiono violati dalle denunciate norme gli invocati parametri costituzionali. L'art. 34, primo comma, del d.l. n. 786 del 1981 prevede, in via permanente, che a decorrere dall'anno 1982 ed al fine di accrescere gli interventi promozionali in favore delle piccole e medie imprese, le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, percepiscono un diritto annuale a carico di tutte le ditte che svolgono attivit economica iscritte agli albi e ai registri tenuti dalle predette camere ; mentre i commi successivi disciplinano le misure e le forme di riscossione del diritto stesso. A questa prima serie di disposizioni si ricollega l'art. 29, terzo comma, del d.l. n. 55 del 1983 (integrato dal quarto e dal quinto comma del medesimo articolo) che prescrive l'aumento del diritto annuale , con deliberazione delle giunte camerali, da un minimo del 10 per cento ad un massimo del 100 per cento, in relazione all'attivit istituzionale ed al programma di intervento promozionale che ciascuna camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura intende effettuare . L'intera disciplina in questione stata per altro impugnata dalla Regione Lombardia. Sui pi recenti disposti s' invece concentrata l'impugnativa promossa dalla Regione Emilia-Romagna, mediante i ricorsi notificati nelle stesse date dei due ultimi ricorsi lombardi. Entrambe le ricorrenti prospettano, comunque, un'unica denuncia di illegittimit costituzionale, affermando che con l'istituzione del diritto annuale si sarebbe sostanzialmente ritrasferita alle Camere -in congiunta violazione degli artt. 117, 118 e 119 Cost. -una competenza spettante alle amministrazioni regio.ali, secondo l'art. 64 del d.P.R. n. 616 del 1977. L'attribuzione del gettito del diritto annuale alle Camere, e PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE l'esclusione totale e permanente di ogni ingerenza delle Regioni a riguardo del suo impiego , precluderebbero infatti a questi eriti -come si legge nei ricorsi concernenti il d.l. n. 55 e la legge n. 131 del 1983 -l'esercizio delle loro funzioni, anche sostituendo eventualmente in tutto o in parte alle Camere di Commercio altri strumenti , e la disponibilit delle risorse di cui si discute. Ma la denuncia infondata, poich le norme in esame non riconducono alcuna funzione regionale alla competenza delle camere, n valgono a compromettere la realizzazione delle potest riservate in materia alle regioni. Per prima cosa, va ricordato che il d.P.R. n. 616 dichiara bens di competenza regionale -nell'art. 64, primo comma - le funzioni amministrative attualmente esercitate dalle camere di commercio nelle materie trasferite o delegate dal presente decreto, ma non coinvolge affatto le funzioni istituzionali e le restanti funzioni amministrative , chiarendo invece -nel secondo comma dello stesso articolo che esse saranno esercitate dalle camere di commercio sulla base della legge di riforma dell'ordinamento camerale e del relativo finanziamento; il che fa escludere -come in sostanza riconoscono anche i ricorsi regionali -che per questa patte si possa ipotizzare una lesione dell'autonomia garantita alle due ricorrenti. Secondariamente, vero che il diritto annuale grava, senza eccezioni, sulle ditte svolgenti qualunque tipo di attivit economica, che siano iscritte negli albi o nei registri camerali; sicch sembra corretto ritenere -come assumono le difese regionali -che i rispettivi interventi promozionali non riguardino solo i settori dell'industria e del commercio, ma alcuni fra gli stessi mbiti di competenza regionale, quali l'agricoltura, l'artigianato, il turismo. Anche in tal senso, per, le norme impugnate vanno coordinate con l'art. 64 del d.P.R. n. 616, il cui terzo comma precisa che le relative funzioni continuano ad essere esercitate dalle camere di commercio... finch le leggi regionali non disciplineranno la materia. Se ed in quanto difetti un'apposita legislazione locale (come si verifica tuttora in varie regioni), le camere di commercio possono effettuare i loro interventi in ogni campo gi rientrante nella competenza camerale. Ma ci non ostacola per nulla l'esercizio della potest legislativa regionale (di cui l'Einilia-Romagna, del resto, ha gi fatto un ripetuto uso): sia per indirizzare gli interventi delle camere, sia per incidere sulle premesse dalle quali dipende la stessa spettanza o la sfera di applicazione dei diritti annuali. In altri termini, il riparto delle competenze, fissato dall'art. 64 del d.P.R. n. 616, non stato alterato in alcun modo dalle norme impugnate. Esse invece si limitano a finanziare l'attivit istituzionale e gli interventi promozionali delle camere di commercio, alla condizione che gli enti medesimi siano ancora competenti nei settori dei quali si tratti, e senza 22 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO affatto ampliare le funzioni camerali, al di l di quanto stato impli citamente previsto nell'art. 117 della Costituzione. Quanto ai provvedimenti urgenti per il settore della finanza locale per l'anno 1983 , il sindacato della Corte deve concentrarsi sulle impugnazioni riguardanti il decreto-legge 28 febbraio 1983, n. 55, come convertito dalla legge 26 aprile 1983, n. 131. Per contro, non possono esser prese in considerazione le singole questioni sollevate dal ricorso della Regione Lombardia, notificato il 31 gennaio 1983, con riferimento al decreto- legge 30 dicembre 1982, n. 952. Tale atto non stato infatti convertito in legge ed ha pertanto perduto efficacia sin dall'inizio, come prevede espressamente l'art. 77, terzo comma, della Costituzione. In .accoglimento della richiesta avanzata dall'Avvocatura dello Stato e secondo la pi recente giurisprudenza della Corte, che a questi specifici effetti non ha operato alcuna distinzione fra i giudizi instaurati in via principale e quelli instaurati in via incidentale, va dunque pronunciata la manifesta inammissibilit di tutte le impugnative promosse mediante il predetto ricorso. Il fatto che il decreto in esame avesse forza di legge non toglie, in verit, che l'intero atto in ordine al quale il ricorso era stato ritualmente proposto debba ormai considerarsi -per necessaria ed automatica conseguenza dell'inerzia del Parlamento -come j non mai esistito quale fonte di diritto a livello legislativo: il che deter mina una situazione del tutto peculiare e non inquadrabile negli schemi j della cessazione della materia del contendere, di cui la Corte si avvale ~ i in diverse fattispecie. ! I i N osta la circostanza che il comma finale dell'articolo unico della legge n. 131 (sulla medesima linea del soppresso art. 37 del decreto-legge n. 55) stabilisca che restano validi gli atti e i provvedimenti adottati ed hanno efficacia i rapporti giuridici sorti in applicazione di tutte le i impugnate disposizioni del decreto-legge n. 952. Da un lato, una norma di convalida ex art. 77, terzo comma, Cost. non forma un idoneo equipollente della legge di conversione (come la Corte ha chiarito nella sentenza n. 59 del 1982). D'altro lato, la previsione conclusiva della legge n. 131 (come gi il soppresso art. 37) stata a sua volta impugnata dalla Regione Lombardia, nonch dall'Emilia-Romagna, mediante i ricorsi notificati il 28 maggio 1983. Ed unicamente in questi termini che la problematica inerente al decac::luto decreto-legge sulla finanza locale pu essere dunque affrontata dalla Corte. Va inoltre dichiarata inammissibile la prima delle questioni di legittimit costituzionale sollevate dalla Lombardia e dall'Emilia-Romagna, sin dai ricorsi notificati il 30 marzo 1983, circa il decreto-legge n. 55. Entrambe le ricorrenti denunciano, preliminarmente, la violazione dell'art. 77 Cost., in cui sarebbe incorso il decreto medesimo, l dove esso risulta sostanzialmente riproduttivo del decaduto decreto n. 952. Ma la PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE giurisprudenza della Corte costante (si veda fra le altre, per un caso analogo a quello in esame, la sent. n. 151/1974) nell'affermare -in applicazione dell'art. 2, primo comma, della legge costituzionale n. 1 del 1948 -che le regioni non possono prospettare in via principale vizi insuscettibili di concretare invasioni delle competenze loro garantite. Ed a questa stregua non dato alle regioni stesse di impugnare un decretolegge, per il preteso difetto dei presupposti giustificativi costituzionalmente prescritti (anche a tacere del fatto che il decreto medesimo stato comunque convertito in legge). Fra le varie questioni relative a determinati provvedimenti per la finanza locale, va considerato anzitutto -nell'ordine testuale -il complesso delle censure rivolte dall'Emilia-Romagna e dalla Lombardia all'art. 8, primo e secondo comma, del decreto-legge n. 55, nonch al comma 2.1 del medesimo articolo ed all'art. 8 bis, inseriti all'atto della conversione: tutti vertenti. sulla determinazione degli importi che spettano a comuni e province per l'esercizio delle funzioni trasferite dalle regioni agli enti locali, in forza del d.P.R. n. 616 del 1977. Come giustamente osserva l'Avvocatura dello Stato, il comma 2.1 dell'art. 8 presenta per un contenuto ben diverso da quello proprio dei primi due commi dello stesso articolo, nonch dei due commi dell'articolo 8 bis. Infatti, il comma 2.1 impone senz'altro alle regioni di cor rispondere ai comuni e alle province, entro il 30 giugno 1983, la somma della quale si tratta. Viceversa, i primi due commi dell'art. 8 prescri vono che, entro il 30 aprile 1983, le regioni comunichino agli enti locali interessati l'importo loro spettante; senza di che gli enti stessi sono autorizzati a prevedere (nei loro bilanci) importi corrispondenti a quelli ricevuti in assegnazione per il 1982, maggiorati del 13 per cento. Ed analogamente dispongono, circa il 1984 ed il 1985, i due commi dell'art. 8 bis. Ora, la Corte non chiamata a pronunciarsi sull'intrinseca correttezza di siffatte previsioni dal punto di vista dei princpi cui si informa la contabilit pubblica; e, meno ancora, deve valutare gli inconvenienti della finanza regionale e locale, in quanto fondata su trasferimenti dallo Stato o dalle regioni, piuttosto che su proventi propri. Unico oggetto dell'attuale giudizio -nella parte concernente l'art. 8, primo e secondo comma, nonch l'art. 8 bis del decreto-legge n. 55 -sono invece i due ordini di motivi esposti nei ricorsi regionali: cio che tali disposti trascurerebbero, da un lato, la legislazione regionale vigente in materia e, d'altro lato, obbligherebbero le regioni a trasferire le somme in esame, senza ricevere dallo Stato importi adeguati allo scopo. Ma entrambe le censure si dimostrano infondate. (omissis) N va condiviso l'assunto che le norme impugnate precludano l'even tualit di una difforme legislazione locale. Sebbene il riferimento all'ipo 24 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO tesi che le regioni abbiano regolato la materia con loro provvedimenti di legge non sia testualmente contenuto se non nel comma 2.1 dell'art. 8, esso rimane implicito nell'intero complesso delle disposizioni in esame. Le funzioni gi regionali e quindi trasferite a comuni e province mediante il d.P.R. n. 616 del 1977 sono state infatti attribuite agli enti territoriali minori -come viene in pi punti precisato dal decreto stesso -in quanto funzioni amministrative... di interesse esclusivamente locale, ai sensi dell'art. 118, primo comma, della Costituzione. In tali settori, pertanto, le regioni conservano la loro potest legislativa; ci che, del resto, risulta confermato dall'art. 133, primo comma, del d.P.R. n. 616, appunto in tema di assegnazione di quote aggiuntive dalle regioni agli enti locali, per assicurare l'integrale copertura dei nuovi oneri imposti agli enti medesimi nello svolgimento delle nuove funzioni loro conferite. Ed anche i termini degli obblighi di comunicazione, rispettivamente previsti dal primo comma dell'art. 8 e dal primo comma dell'art. 8 bis, presuppongono quindi che faccia difetto una legislazione regionale, dalla quale derivi l'esigenza che le comunicazioni stesse vengano effettuate in tempi diversi. Le considerazioni or ora svolte valgono pure ad escludere la fondatezza della prima censura concernente il comma 2.1 dell'art. 8: per cui il termine del 30 giugno 1983, previsto da una legge promulgata il 26 e pubblicata il 30 aprile del medesimo anno, sarebbe cos breve da porre le regioni nella materiale impossibilit di legiferare in proposito, prima di essere tenute a corrispondere l'importo determinato in modo autoritativo dal legislatore statale. In realt, non dal momento dell'entrata in vigore della legge n. 131 del 1983, ma gi sulla base del decreto presidenziale n. 616 del 1977, che le regioni avrebbero potuto risolvere per legge il problema in questione. Ed precisamente la protratta inerzia dei legislatori locali (o di alcuni tra essi) che ha legittimato il Governo e il Parlamento ad intervenire di nuovo sul punto, aggiungendo un altro anello alla catena di provvedimenti con forza di legge, che inizia a partire dalla conversione del decreto-legge 29 dicembre 1977, n. 946, operata dalla legge 27 febbraio 1978, n. 43. ben vero che, in una prima fase, la legislazione statale sulla finanza locale aveva disposto che gli importi spettanti ai comuni, quanto alle funzioni gi esercitate dalle regioni e ad essi attribuite, fossero s incrementati annualmente, ma della stessa percentuale prevista dalle Leggi vigenti per l'incremento del fondo comune di cui all'art. 8 della legge 16 maggio 1970, n. 281 (si veda l'art. 7 del citato d.l. n. 946 del 1977, come modificato dalla legge n. 43 del 1978; e similmente l'art. 16, secondo comma, del decreto-legge 28 febbraio 1981, n. 38, convertito nella legge 23 aprile 1981, n. 153). Soltanto in virt dell'art. 4 cpv. del decreto-legge 22 dicembre 1981, n. 786 (convertito nella legge 26 febbraio 1982, n. 51), PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 25 si stabilito che in mancanza della comunicazione regionale dell'importo loro spettante i comni e le province fossero comunque autorizzati a prevedere importi corrispondenti a quelli ricevuti in assegnazione per il 1981, maggiorati del 16 per cento. E da questo precedente ha preso lo spunto la disposizione dell'art. 8, comma 2.1, del d.l. n. 55, nel prescri vere alle regioni la corresponsione di un importo pari a quello dovuto per il 1982, aumentato del 13 per cento: cos aggravando senza corrispettivi -secondo i ricorsi dell'Emilia-Romagna e della Lombardia - le gi serie condizioni della finanza regionale , in violazione dell'autonomia finanziaria costituzionalmente garantita alle regioni stesse. Ma la maggiorazione del 13 per cento non censurabile da questa Corte, nei termini in cui l'hanno denunciata le due ricorrenti. Di per se stessa, quella percentuale d'incremento non affatto irragionevole, tenuto conto del tasso di inflazione programmato per il 1983 e della gi ricordata esigenza di assicurare -sull'intero territorio nazionale, in assenza di un'apposit~ disciplina legislativa locale -l' integrale coper tura degli oneri venuti a gravare sui comuni e sulle province per effetto del decreto n. 616. N si pu dire che l'entit della corrispondente spesa da prevedere e da fronteggiare nei bilanci delle regioni ordinarie sia tale da compromettere l'autonomia finanziaria regionale, intesa come disponibilit di somme adeguate all'adempimento delle funzioni normali spettanti alle regioni stesse (art. 119, secondo comma, Cost.) ed all'effettuazione delle scelte politiche di loro competenza. Su quest'ultimo punto, i ricorsi non contengono neppur.e l'inizio di una dimostrazione. E fermo comunque rimane che altro la copertura di un onere ben determinato, come quello derivante dal comma 2.1 dell'art. 8, altro la complessiva sufficienza dei proventi regionali; tanto pi che la spesa in questione non va fronteggiata mediante un certo tipo di entrata, appositamente trasferita dallo Stato alla regione, e non va neppure riferita alle sole quote del fondo comune, ma grava sull'intero insieme delle entrate disponibili per l'assolvimento di obblighi del genere (entrate che si sono dilatate a loro volta, come anche le Regioni interessate riconoscono, pur limitandosi a valutare il globale incremento del fondo comune per il 1983 in una percentuale del 9,47 rispetto al fondo 1982). (omissis) L'art. 9 del decreto-legge n. 55 stato impugnato da tutte le Regioni ricorrenti, sebbene in termini formalmente diversi. Sostanzialmente, per, tutte queste denunce s'imperniano sul primo comma, l dove si fissano i criteri sulla base dei quali va suddiviso l'importo di lire 5.000 miliardi, relativo a mutui da concedersi dalla Cassa depositi e prestiti per l'esercizio 1983, previsto dall'art. 11 del decreto-legge 22 dicembre 1981, n. 786 (come sostituito dalla legge di conversione 26 febbraio 1982, n. 51). Quarto, sesto, nono e decimo comma dell'art. 9 presuppongono ed integrano, infatti, la generale previsione di cui al primo comma. 26 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Appunto con riferimento al primo comma, tutte le ricorrenti lamentano, cio, d'essere state escluse dalla definizione e dall'applicazione dei criteri stabiliti per il riparto e l'assegnazione dell'importo in esame, omettendo il tramite della regione -come si legge nel ricorso ligure nel procedimento di scelta del modo di utilizzazione delle risorse economiche . Inoltre, le Regioni Lombardia ed Emilia-Romagna rilevano che l'art. 9, primo comma, del d.l. n. 55 non fa pi richiamo ai programmi regionali di sviluppo, diversamente da quanto chiariva in proposito l'art. 9, quinto comma, del d.l. n. 38 del 1981 (come sostituito dalla legge n. 153 del 1981), riguardante anch'esso i criteri di attribuzione dei finanziamenti agli enti locali da parte della Cassa depositi e prestiti; ed in questa omissione ravvisano un ulteriore motivo per dedurre -nel senso illustrato dai ricorsi notificati il 30 marzo 1983 -la congiunta violazione della competenza legislativa e programmatoria della Regione e del principio del necessario coordinamento fra finanza statale, regionale e locale, di cui all'art. 119, primo comma, della Costituzione. Senonch, la prima censura non si presta ad essere accolta dalla Corte, in quanto il problema di un'eventuale regionalizzazione della Cassa depositi e prestiti non pu essere affrontato che in sede politica, non gi per la via d'un giudizio di legittimit costituzionale. Per contro, in base alla vigente disciplina della Cassa (ivi compresa la recentissima legge di ristrutturazione 13 maggio 1983, n. 197, che si limita ad inserire nel consiglio di amministrazione, fra gli esperti di cui alla lettera f dell'art. 7, un solo rappresentante delle regioni, nominato dal Ministro del tesoro entro una terna presentata dalla Conferenza dei _presidenti delle giunte regionali), fondamentalmente esatto quanto rileva l'avvocatura erariale: ossia che si tratta di un organo dello Stato . Per meglio dire, qualunque sia la natura giuridica di tale istituto, non vi dubbio che la Cassa costituisca un apparato strumentale, destinato ad assolvere -anche nel presente caso -una funzione statale e non regionale: ossia l'esercizio del credito, con specifico riguardo alla concessione di mutui mediante i quali comuni e province possano concretare alcune loro autonome scelte. Ed pacifico che l'autonomia comunale e provinciale sia garantita dall'art. 128 Cost., pur quando le scelte in questione attengano ad una materia compresa nell'elenco dell'art. 117, sul tipo dei lavori pubblici. A comprovare l'infondatezza del primo e comune motivo di ricorso, va inoltre ricordato che i criteri di suddivisione dell'importo previsto dall'art. 9, primo comma, eccedono gli ambiti spaziali di ciascuna singola regione, per interessare l'intero territorio nazionale. Con quella disposizione, in altre parole, Governo e Parlamento hanno operato una globale valutazione perequativa degli enti locali e delle loro esigenze, per poi demandare alla Cassa il compito di puntualizzare la valutazione stessa, PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE effettuando un confronto fra istanze comunali e provinciali che il pi delle volte dovrebbe concernere amministrazioni appartenenti a regioni diverse. Ci assume una particolare evidenza per i primi due criteri, fissati dalle lettere a e b dell'art. 9, primo comma, i quali contrappongono senz'altro gli enti locali dei territori del Mezzogiorno agli enti locali degli altri territori; ma il medesimo genere di considerazioni vale anche per la lettera e, che riguarda il finanziamento di opere pubbliche di particolare rilevanza o di interesse sovracomunale eseguite dai co muni, dalle province e dai loro consorzi, senza introdurre alcuna sottodistinzione interessante particolari regioni. E, d'altra parte, pur se la Corte annullasse l'art. 9, primo comma, non cadrebbe certo la generale competenza della. Cassa depositi e prestiti, bens ridiverrebbero applicabili ai mutui in questione i generici criteri gi fissati dal legislatore statale circa i finanziamenti da attribuire in tal senso agli enti locali; sicch risulterebbe soddisfatta in minor grado l'esigenza di legalit della pubblica amministrazione, senza che la competenza rivendicata dalle Regioni ricorrenti ne fosse rafforzata od allargata in alcun modo. Nondimeno, tutto questo non significa che vengano cos trascurati i programmi regionali di sviluppo, l dove essi siano entrati in vigore e nella misura in cui possano incidere sulla concessione dei mutui in esame; e che dunque non valgano, in questo stesso campo, i princpi stabiliti dall'art. 11, terzo e quarto comma, del d.P.R. n. 616 del 1977 (Nei programmi regionali di sviluppo gli interventi di competenza regionale sono coordinati con quello dello Stato e con quelli di competenza degli enti locali territoriali. La programmazione costituisce riferimento per il coordinamento della finanza pubblica). Non va infatti condiviso l'assunto delle Regioni..., per cui l'art. 9, primo comma, del d.l. n. 55 del 1983 avrebbe implicitamente abrogato (od obliterato) l'art. 9, quinto comma, del d.l. n. 38 del 1981. Al contrario, va tenuto presente che l'art. 9, primo comma, del d.l. n. 38 concerne il finanziamento degli enti locali da parte della Cassa, per tutto il triennio 1981-83 ; ed in questo arco temporale che va rispettata la previsione del quinto comma, in base alla quale -di norma - nelle regioni in cui siano stati approvati programmi regionali di sviluppo, gli enti locali, nella individuazione delle opere per le quali richiedere il finanziamento alla Cassa depositi e prestiti, devono riferirsi agli indirizzi programmatici contenuti nei programmi stessi... . N tale previsione stata comunque alterata, per effetto del citato art. 11 del d.l. n. 786 del 1981, che si limitato ad elevare gli importi disponibili nel 1982 e nel 1983, ovvero per effetto della norma impugnata, che anzi fa espresso richiamo all'art. 11 e dunque si collega alla legislazione precedente. Anche sotto questo aspetto i ricorsi regionali vanno perci rigettati. E l'infondatezza delle censure mosse al primo comma dell'art. 9 coinvolge RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 28 le corrispondenti impugnative del quarto comma (riguardante gli iden tici criteri di concessione dei mutui per gli esercizi 1984 e 1985), del sesto comma (sui poteri spettanti al Ministro del tesoro quanto ai fondi previsti dal primo comma, lett. b), del nono e del decimo comma (nelle parti concernenti le modalit di finanziamento della ferrovia metropoli tana di Milano). Ragioni in parte analoghe a quelle esposte nei riguardi dell'art. 9 inducono la Corte a ritenere non fondate le questioni di legittimit costi tuzionale dell'art. 11 del d.l. n. 55, rispettivamente sollevate da Lombardia e Liguria. La prima di tali Regioni, infatti, impugna il terzo comma dell'articolo stesso, per cui le province, d'intesa con i relativi comuni e le comunit montane, sono autorizzate ad assumere mutui per il finanziamento di investimenti di carattere sovracomunale per la tutela dell'ambiente e la difesa del territorio, per il rifornimento idrico, per lo smalti mento dei rifiuti e per le infrastrutture a sostegno dei settori produttivi : lamentando ancora una volta che ne verrebbe lesa la competenza programmatoria, legislativa e amministrativa della Regione, in ulteriore violazione del coordinamento prescritto dal primo comma dell'art. 119 Cost. La seconda Regione ricorrente chiede invece l'annullamento dell'intero art. 11, ivi comprese -a quanto sembra -le disposizioni iniziali per cui i comuni singoli od associati e le comunit montane possono deliberare convenzioni dirette ad affidare alla provincia la progettazione e l'esecuzione di opere pubbliche di interesse comunale; mentre le province, attraverso i propri uffici, possono prestare assistenza tecnica, a favore dei comuni, delle comunit montane e delle unit sanitarie locali situati nel territorio della circoscrizione provinciale che ne facciano richiesta. Ma anche la Liguria, nel motivare il ricorso, si limita a ribadire che tali disposti non riservano alla Regione alcuna partecipazione ai relativi procedimenti di programmazione. Per respingere siffatte denunce, basta ora aggiungere che tanto la facolt di deliberare le convenzioni di cui al primo comma e di prestare l'assistenza tecnica prevista nel comma successivo, quanto l'autorizza. zione ad assumere mutui, ai sensi e nei limiti di cui al terzo comma, concorrono a potenziare l'autonomia amministrativa e finanziaria delle province, nonch dei comuni e delle comunit montane che agiscano d'in tesa con le amministrazioni provinciali; sicch l'annullamento delle previsioni in esame non farebbe che comprimere l'autonomia medesima, senza affatto arricchire le potest attribuite alle regioni dagli artt. 117 e 119 Cost. E non si pu confondere il problema della legittimit costituzionale dell'art. 11 con il problema dell'efficacia spettante ai programmi regionali di sviluppo: poich la seconda questione va distintamente affrontata e risolta, considerando in modo puntuale -regione per regione i singoli indirizzi programmatici dei quali si tratti e la loro eventuale PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE incidenza sull'esecuzione di opere pubbliche da parte dei rispettivi enti autonomi territoriali. La sola Regione Liguria impugna altres l'art. 16 del d.l. n. 55, con particolare riguardo al capoverso, per cui la somma di lire 120 miliardi, determinata dal comma precedente, parzialmente destinata alle spese di gestione delle comunit montane da parte del Ministero del bilancio e della programmazione economica mediante assegnazione a. ciascuna comuni montana dell'importo di lire trenta milioni, oltre a lire 1.000 per abitante residente nel territorio montano della comunit . Sul medesimo piano degli artt. 9 ed 11, anche l'art. 16 incorrerebbe, infatti, nel vizio di prevedere l'assegnazione diretta di finanziamenti alle comunit montane , ignorando del tutto il livello regionale; e la violazione del ruolo programmatorio della regione , implicitamente garantito dagli artt. 117 e 119 Cost., risulterebbe tanto pi evidente, dal momento che la legge 23 marzo 1981, n. 93, dispone invece che i fondi destinati allo sviluppo della montagna (in base agli artt. 1, 2 e 5 della legge 3 dicembre 1971, n. 1102) vengano assegnati alle regioni ed alle province autonome di Trento e Bolzano, affinch siano esse a ripartirli fra le varie comunit dei rispettivi territori. Posta in questi termini, per, l'impugnativa non appare correttamente impostata, poich non sussiste il preteso contrasto fra la norma in esame e la legge n. 93 del 1981. Altro, in realt, lo sviluppo della montagna cui si riferisce l'art. l, primo comma, della legge n. 93, relativamente al quale l'art. 16 del d.l. n. 55 non introduce alcun elemento di sostanziale novit (ch anzi il primo comma. dell'articolo stesso rimanda appunto alla legge predetta, per quanto attiene alle finalit da essa indicate e soddisfatte nella sua parte iniziale); ed altro sono le spese di gestione delle comunit montane , che evidentemente non concernono l'attuazione dei piani di sviluppo economico-sociale approntati da ciascuna comunit ed approvati dalle competenti amministrazioni regionali o provinciali, ma si risolvono in una serie di spese correnti, puramente strumentali rispetto al momento della programma, zione. Non a caso, le indennit spettanti agli amministratori ed il trattamento del personale tecnico ed amministrativo assunto dalle comunit montane sono gi stati distintamente considerati dagli artt. 6 e 7 della legge n. 93, con una disciplina sostanzialmente identica per tutti gli enti in questione. Ed significativoche lo stesso art. 2 della legge n. 93, nel disciplinare la ripartizione di fondi tra le comunit montane , precisi espressamente che i finanziamenti regionali si devono integrare e coordinare -fra l'altro -con quelli determinati ad altro titolo da leggi statali. Ma, al di l di questo, la denuncia proposta dalla Regione Liguria non raggiunge comunque un livello costituzionale, dato che la norma 30 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO impugnata non incide affatto sul ruolo riconosciuto alle regioni dagli artt. 117 e 119 Cost. Come la Corte ha gi chiarito con la sentenza n. 212 del 1976, svolgendo considerazioni che si attagliano in particolar modo al caso delle spese di gestione delle comunit montane, la legge n. 1102 del 1971 ha attribuito alle regioni una competenza che non va ricon~ dotta a quella radicata nelle materie indicate nel comma 1 dell'art. 117 Cost., ma rientra, invece, nell'mbito del comma 2 dello stesso articolo, a tenore del quale le leggi della Repubblica possono demandare alla Regione il potere di emanare norme per la loro attuazione . Coerentemente, dottrina e giurisprudenza della Corte di cassazione concordano nell'assumere che le comunit montane hanno la natura di enti locali autonomi, istituiti per il perseguimento di finalit potenzialmente generali, non gi di enti funzionali o dipendenti dalle regioni. Ed anche la legislazione statale ordinaria costante nell'assimilare le comunit montane agli enti territoriali minori, come gi risulta dall'art. 1, primo comma lett. e, della legge n. 382 del 1975 (nonch dall'art. 2 del d.P.R. n. 616 del 1977) e poi dall'art. 15, primo e terzo comma, della legge n. 833 del 1978, per non dire del citato art. 11 dello stesso decreto-legge in esame. Perci, la circostanza che il Ministero del bilancio e della programmazione economica assegni direttamente alle singole comunit gli importi occorrenti per il normale funzionamento dei loro apparati, in misure parte identiche e parte proporzionali al numero degli abitanti nei loro territori montani, non implica alcuna lesione dell'autonomia regionale costituzionalmente garantita. A loro volta, le Regioni Lombardia ed Emilia-Romagna hanno sollevato questione di legittimit costituzionale dell'art. 27, quarto comma,. del d.l. n. 55, nella parte in cui si dispone che il dieci per cento dei diritti di stato civile sia destinato alla costituzione di un fondo per la formazione professionale degli ufficiali di stato civile, gestito secondo le modalit di cui all'art. 42 della legge 8 giugno 1962, n. 604 . Entrambe le ricorrenti, con identiche motivazioni, deducono che l'istituzione del fondo predetto, in quanto erogabile a cura del Ministro per l'interno, violerebbe la competenza che il primo comma dell'art. 117 Cost. riserva alle regioni in materia d'istruzione professionale; tanto pi che le sole funzioni amministrative tuttora rimaste in tal campo allo Stato -secondo l'art. 40 n. 2 del d.P.R. n. 616 del 1977 -concernono l'attivit di formazione ed addestramento professionale svolta dalle Forze armate e dai Corpi assimilati e, in genere, dall'amministrazione dello Stato, ivi comprese le aziende autonome, per i propri dipendenti . Ora, la Corte dell'avviso che la norma in questione comporti effettivamente una deroga alle regole fissate in via generale dal d.P.R. n. 616. Da un lato, le funzioni di ufficiale di stato civile sono ordinariamente affidate ad amministratori e dipendenti comunali; ed ciascun comune PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE che ha un ufficio di stato civile, in base all'art. 1, primo comma, del r.d. 9 luglio 1939, n. 1238. D'altro lato, non pu esser condiviso l'iniziale assunto dell'Avvocatura dello Stato, per cui la configurazione del fondo in esame troverebbe fondamento nella facolt spettante agli enti pubblici di svolgere attivit di perfezionamento del proprio personale (in base all'art. 41, terzo comma, del citato decreto presidenziale) e nella conseguente potest statale di finanziare gli enti medesimi; al contrario, lo stesso art. 41 del d.P.R. n. 616, che nel secondo comma fa divieto allo Stato di stanziare somme a favore di soggetti pubblici e privati per finalit inerenti all'attivit di istruzione professionale ..., salvo che per attivit di studio, ricerca e sperimentazione . Ma la presente questione di legittimit costituzionale non si presta ad essere risolta -come l'Avvocatura dello Stato ha avvertito nella memoria depositata in vista della pubblica udienza -senza tener conto dell'estrema peculiarit dell'ordinamento dello stato civile. Qualunque sia la discussa natura dei rapporti che si instaurano in tal campo fra i comuni e lo Stato (e valgano o meno, in proposito, le definizioni proposte dalla sentenza n. 104 del 1973, relativamente alla delimitazione degli spazi affissionali per la propaganda elettorale), certo che servizi o fun zioni del genere non sostanziano l'autonomia comunale, ma vanno esercitati dai comuni stessi alla stregua di apparati dipendenti, in quanto obbligati nei confronti dello Stato, che deve considerarsi -quanto meno -l'effettivo titolare degli interessi da curare in materia. Per averne la dimostrazione, giova anzitutto ricordare come gi nell'art. 152 n. 2 della legge comunale e provinciale del 1915 si precisi che il Sindaco quale ufficiale del Governo incaricato sotto la direzione delle autorit superiori... di tenere i registri dello stato civile a norma delle leggi . Ma, principalmente, nell' or.dinamento dello stato civile , cio nelle disposizioni del citato r.d. n. 1238 del 1939, che risalta la singolarit delle funzioni in esame. Vero che -in base all'art. 3 di tale ordinamento ogni delegazione delle funzioni medesime dal Sindaco alle altre persone indicate nell'art. l, terzo e quarto comma, deve essere approvata dal procuratore della Repubblica; che gli ufficiali dello stato civile -in base all'art. 13, primo comma -si devono conformare alle istruzioni che loro vengono date dal Ministero di grazia e giustizia e sono inoltre -in base al capoverso del medesimo articolo -sotto l'immediata e diretta vigilanza dei procuratori della Repubblica; che i procuratori stessi dispongono degli ampi poteri di rettificazione degli atti, di cui agli artt. 165 e seguenti; che ogni pretore tenuto a sua volta -in base agli artt. 179 e seguenti -alla verificazione dei registri dello stato civile ed al controllo sull'osservanza delle vigenti norme di legge. In breve, ci offre la rjprova che la formazione degli ufficiali dello stato civile non pu considerarsi riservata alle regioni. Al contrario, essa RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO 32 tanto connessa al buon andamento dei servizi in questione ed alla soddisfazione di interessi che sicuramente fanno capo allo Stato, da determinare un caso per s stante; sicch l'impugnato art. 27, quarto comma, si legittimamente discostato dai criteri generali di riparto delle competenze in, tema d'istruzione professionale. (omissis) La disciplina dettata dal d.l. n. 55, nei riguardi delle aziende locali di trasporto, forma l'oggetto di una serie di impugnative regionali: fra cui vanno previamente esaminate quelle che tutte le Regioni ricorrenti rivolgono all'art. 31, primo comma... Pi precisamente, il primo comma dell'art. .31 (integralmente convertito dalla legge n. 131 del 1983) viene denunciato nella parte che impone alle regioni di provvedere al definitivo equilibrio delle gestioni delle aziende locali di trasporto, ... mediante: a) l'integrazione della eventuale differenza tra la quota regionale derivante dalla ripartizione del Fondo nazionale trasporti per l'anno 1983 e la somma delle erogazioni effettuate allo stesso titolo alle aziende nel 1982 (anzich limitarsi a quanto prescritto dalla lettera b) del comma stesso, concernente i necessari adeguamenti tariffari stabiliti (dalle Regioni) con il concorso degli enti locali interessati). Tutte le ricorrenti assumono, cio, la conseguente violazione dell'art. 117, dal momento che verrebbe lesa l'autonomia legislativa regionale in materia di servizi di trasporto, e principalmente dell'art. 119 nonch del quarto comma dell'art. 81 Cost. (interpretato alla stregua dell'art. 27 della legge n. 468 del 1978), dal momento che la norma impugnata non assegnerebbe alle regioni le risorse occorrenti per fronteggiare la spesa, ma conterrebbe solo la generica indicazione di riso11se liberamente destinabili (e gi destinate) da parte regionale, come quelle derivanti dal maggior gettit dei tributi propri, di cui si tratta nella parte finale dell'art. 31, primo comma, lett. a. (omissis) In ogni caso, le difese regionali e l'Avvocatura dello Stato concordano nel ritenere che la norma impugnata addossi alle regioni un onere del tutto nuovo, obbligandole ad imputare ai loro bilanci di previsione, mediante un corrispondente utilizzo dei tributi propri , la spesa occorrente perch le aziende locali di trasporto beneficino, nel 1983, dello stesso volume di erogazioni comunque ricevute da parte regionale nel 1982 (poco importa se a titolo di necessario ripiano dei disavanzi di esercizio o. di contributi di esercizio liberamente disposti dalla Regione, in base all'art. 9 oppure all'art. 6 della legge-quadro 10 aprile 1981, n. 151). L'unica alternativa, prevista dalla gi ricordata lettera b dello stesso art. 31, primo comma, infatti rappresentata dai necessari adeguamenti tariffari; ma le parti sono di nuovo concordi, nel riconoscere che il legi slatore statale ha voluto evitare un eccessivo aumento delle tariffe e, appunto per questo, ha fatto gravare in prima linea sui bilanci regionali l'onere in esame. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 33 Definita in tal senso, la questione fondata, poich l'art. 31, primo comma lett. a, collide con gli artt. 117 e 119 Cost. e, di riflesso, viola anche il quarto comma dell'art. 81. Imporre alle regioni obblighi del genere contrasta anzitutto con ci che la Costituzione prescrive nel secondo comma dell'art. 119: ossia che le regioni dispongano di tributi propri (oltre che di quote di tributi erariali), per fronteggiare autonomamente le spese necessarie ad adempiere le loro funzioni normali , in chiara contrapposizione ai contributi speciali previsti dal terzo comma, in ordine ai quali lo Stato pu invece vincolare l'esercizio della legislazione e dell'amministrazione regionale. Se dunque si ammettesse che, in nome di qualsivoglia esigenza di coordinamento finanziario, lo Stato possa ricorrere ai tributi regionali propri , individuando nel loro gettito il mezzo per fronteggiare spese di interesse nazionale, l'autonomia legislativa locale verrebbe irrimediabilmente vulnerata, assieme all'autonomia finanziaria considerata sul versante delle uscite. N si pu dire che il provvedimento in esame trovi alcun sostegno nei princpi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, cui la legislazione delle regioni ordinarie si deve pur sempre attenere, nelle materie indicate dall'art. 117 Cost. Da una parte, in base alla generalissima norma di principio dettata dall'art. 21, primo comma, della legge 19 maggio 1976, n. 335, tutte le somme assegnate, a qualsiasi titolo dallo Stato alla regione, confluiscono nel bilancio regionale, senza vincolo a specifiche destinazioni, salvo il caso di assegnazioni in corrispondenza di deleghe di funzioni amministrative... (e) salvo il caso di assegnazioni per il finan ziamento dei programmi ulteriori di sviluppo ... . D'altra parte, vero che nel campo del quale si tratta la citata legge-quadro ha istituito, oltre al fondo per gli investimenti, l'apposito Fondo nazionale per il ripiano dei disavanzi di esercizio delle aziende di trasporto pubbliche e private (cfr. ancora l'art. 9 della legge n. 151 del 1981). Ma tale Fondo -anche perch finanziato mediante la corrispondente ridu zione delle erogazioni spettanti a ciascuna regione ai sensi degli artt. 8 e 9 della legge n. 281 del 1970 -viene assegnato dalle amministrazioni regionali sulla base di autonome scelte, sia pure nel rispetto dei criteri fissati dall'art. 6 della legge n. 151. E, parallelamente, l'art. 5 cpv. si limita a stabilire che le regioni non possono stanziare in materia somme inferiori alla rispettiva quota del Fondo, con ci stesso ammettendo che gli ulteriori contributi di esercizio, siano il frutto di libere determinazioni legislative locali; mentre l'art. 6, terzo comma, aggiunge che le eventuali perdite o disavanzi non coperti dai contributi regionali come sopra determinati restano a carico delle singole imprese od esercizi di trasporto . Ora, la norma impugnata non si pone certo sul medesimo piano di queste disposizioni, espressamente qualificate princpi fondamentali RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 34 dall'art. 1 della legge-quadro; ma si risolve in un provvedimento derogatorio, destinato a vigere per il solo anno in corso, e tanto pi singo lare in quanto oneri siffatti sono stati in precedenza sostenuti dallo Stato stesso (si veda l'art. 18, quarto comma, del d.l. n. 38 del 1981, ome sostituito dalla legge di conversione n. 153 del 1981). Per poter porre a carico delle regioni la spesa in questione, sarebbe dunque occorso -quanto meno -che l'art. 31, primo comma lett. a, determinasse una apposita copertura finanziaria, ai sensi dell'art. 27 della legge n. 468 del 1978, anzich valersi di risorse indisponibili allo scopo. Ed appunto in quest'ultimo senso -come gi si accennava -che dalla violazione degli artt. 117 e 119 discende un ulteriore vizio di legittimit costituzionale, per <:ontrasto con l'art. 81, quarto comma della Costituzione. Vanno invece respinte le analoghe censure, mosse dalle Regioni Emilia-Romagna e Lombardia ai commi 5.1, 5.2 e 5.3 dell'art. 31 (ovvero ai commi sesto, settimo ed ottavo dell'articolo stesso, secondo la termi nologia dei due ricorsi). Ben diversamente dalla lettera a del primo comma, le disposizioni aggiunte in sede di conversione precisano che, alle con dizioni ivi indicate, le regioni sono autorizzate a corrispondere un contributo integrativo in misura comunque non superiore al 13 per cento della quota attribuita nel 1982 a ciascuna azienda, per poi chiarire che tali erogazioni, liberamente disposte dalle amministrazioni regionali, vengono riconosciute in aumento alla quota del Fondo nazionale trasporti loro spettante per l'anno 1984, ai sensi della legge 10 aprile 1981, n. 151 . Impropriamente, perci, le due ricorrenti deducono una conseguente lesione della competenza legislativa, programmatoria, amministrativa e fi. nanziaria delle Regioni; ed aggiungono che, in sostanza, verrebbe cos imposto un nuovo onere alle regioni medesime, a fronte di una generica promessa di rimborso delle somme da esse erogate, che non costi tuirebbe valida indicazione di copertura. In realt, gli ulteriori contributi, previsti dal comma 5.2 dell'art. 31, sono pur sempre -giuridicamente -il frutto di un'autonoma determinazione regionale effettuata sulla base del citato art. 5 cpv. della legge-quadro in tema di trasporti pubblici locali; sicch non ne deriva nessun onere che sia stato posto a <:arico dei bilanci regionali, senza l'indicazione dei mezzi per farvi fronte. E del comma 5.2 deve darsi comunque una lettura combinata con quella del comma 5.3: nel senso che le condizioni indicate dal primo di tali disposti vanno rispettate -come appunto osserva l'Avvocatura dello Stato -al solo scopo di consentire che le erogazioni in esame possano trovare finanziamento a carico dello Stato. Cos ricostruiti, i commi aggiunti all'art. 31 del d.l. n. 55 non contrastano, dunque, con alcuno dei parametri costituzionali richiamati dalle ricorrenti. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Sempre in tema di trasporti pubblici locali, la sola Regione EmiliaRomagna impugna ancora l'art. 31 del d.l. n. 55, relativamente ai commi secondo, terzo, quarto e quinto. Incidendo sulla determinazione delle tariffe minime, fissando i criteri da seguire nella previsione di abbonamenti speciali per lavoratori e nella definizione delle relative tariffe, condizionando l'applicazione delle concessioni di viaggio gratuite e ridotte al corrispondente rimborso del prezzo di ogni documento di viaggio da parte degli enti locali o delle regioni che abbiano deliberato le concessioni stesse, l'art. 31 avrebbe infatti dettato disposizioni di ultimo dettaglio, invasive della competenza regionale garantita dall'art. 117, primo comma, della Costituzione (anche in relazione all'art. 84 del d.P:R. n. 616 del 1977 ed all'art. 6 della legge-quadro n. 151 del 1981). Ma la questione infondata in tutti i suoi aspetti. Le disposizioni in esame, sebbene contenute in una legge recante provvedimenti urgenti per il settore della finanza. locale per l'anno 1983 , hanno un'efficacia permanente nel tempo e valgono ad integrare la disciplina statale di principio in materia di trasporti: perseguendo l'obiettivo, gi messo in evidenza dalla parte iniziale dell'art. 6 della stessa legge-quadro, dell'autosufficienza economica delle aziende; ed impedendo, pertanto, che gli utenti dei singoli servizi siano privilegiati, senza adeguate ragioni giustificative da valutare con metri fondamentalmente uniformi su tutto il territorio nazionale. a queste esigenze che rispondono, in particolar modo, i rimborsi correlati alle concessioni di viaggio gratuite o ridotte e le indicazioni miranti a garantire che gli abbonamenti speciali per lavoratori siano oggettivamente tali, cio si riferiscano -come precisa il terzo comma dell'art. 31 - a mezzi di linea indispensabili a collegare l'abitazione con il luogo di lavoro , nei giorni e negli orari interessati dall'attivit lavorativa. Ma anche la fissazione degli inderogabili minimi di 300 e 400 lire per i biglietti di corsa semplice (o di 400 e 500 lire per i biglietti con validit oraria sull'intera rete urbana), secondo il nu mero degli abitanti le citt in questione, non fa che sviluppare il principio gi stabilito dall'art. 6, primo comma lett. b, della ricordata leggequadro, per cui i ricavi del traffico ... debbono coprire il costo effettivo del servizio, nelle misure minime fissate sul piano nazionale. (omissis) La Regione Lombardia, con il ricorso notificato il 28 maggio 1983, promuove altre due questioni di legittimit costituzionale, aventi en trambe ad oggetto l'art. 9 della legge n. 130 del 1983, che reca disposizioni in materia di personale. La prima concerne i commi terzo e quarto del predetto articolo, nella parte relativa al blocco delle assunzioni nelle unit sanitarie locali. Il divieto fatto dal comma terzo, con carattere di generalit nell'ambito del pubblico impiego, di procedere ad assunzioni anche temporanee a qualsiasi livello, comprese quelle relative a vacanze organiche RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 36 o comunque gia progammate , si rivolge, infatti, esplicitamente anche al servizio sanitario nazionale , Ed il successivo quarto comma, nel disporre che spetta al Presidente del Consiglio dei ministri, valutate le eventuali necessit, determinare con proprio decreto, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il Ministro del tesoro, i casi in cui sia indispensabile procedere ad assunzioni di personale nelle amministrazioni e negli enti di cui al precedente comma, si applica evidentemente anche alle assunzioni di personale nelle unit sanitarie locali, nelle quali appunto si articola il servizio sanitario nazionale. La Regione ricorrente a~sume che tali disposizioni sono lesive, in parte qua, della competenza, che le riconosciuta dalla legge 23 dicembre 1978, n. 833, istitutiva del servizio sanitario nazionale, di programmare sul proprio territorio l'organizzazione e la gestione del servizio sanitario sotto l'essenziale profilo della provvista del personale necessario, previsto nelle piante organiche, che spetta ad essa disciplinare (art. 15, undicesimo comma, n. 4, della legge n. 833 del 1978, come modificato dall'art. 13 della legge 26 aprile 1982, n. 181); e di ripartire tra le unit sanitarie locali la quota ad esse assegnata del fondo sanitario nazionale (art. 51, quarto comma, della legge n. 833 del 1978). Ulteriore violazione della competenza regionale in subiecta materia sarebbe costituita dall'attribuzione al Presidente del Consiglio dei ministri e al Consiglio dei ministri dell'esclusivo potere di valutare le necessit delle U.S.L. e di determinare i casi in cui sia indispensabile procedere ad assunzioni di personale: in tal guisa sarebbe stato, infatti, attribuito ad organi statali un _Potere estraneo alle funzioni di indirizzo e coordinamento riservate allo Stato dalla legge n. 833 del 1978, e per di pi non vincolato all'osservanza di criteri o princpi prestabiliti dal legislatore, s che ne risulterebbe violata anche la riserva di legge sancita dalla Costituzione, tanto nell'art. 97, in materia di organizzazione dei pubblici uffici, quanto nell'art. 119, in materia di coordinamento tra la finanza statale, regionale e locale. L'Avvocatura dello Stato obietta che l'impugnato divieto di assunzione di personale nelle unit sanitarie locali si pone come misura di carattere transitorio, adottata per una finalit di interesse generale, in rapporto ad una esigenza di freno alla dilatazione della spesa pubblica . Al riguardo la Corte deve richiamare quanto gi innanzi osservato, a proposito della eventuale incidenza di misure di carattere eccezionale ed urgente, quali blocchi , tetti , congelamenti e cos via, su aree di competenze ed interessi costituzionalmente garantiti, che vanno, quindi, in ogni caso rispettati. Non di meno, per quanto tocca il divieto di assunzione di personale nelle unit sanitarie locali per il 1983, sancito dal denunciato terzo comma dell'art. 9 della legge n. 130 del 1983, va riconosciuto che esso, circoscritto com' in limiti temporali PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE non irragionevoli, e temperato dalla possibilit di deroga in caso di necessit, cui non sia dato sopperire in altro modo, resiste alle mosse censure di illegittimit costituzionale. Sono, invece, le modalit della deroga al blocco, come strutturata nel comma quarto, anch'esso impugnato, dello stesso art. 9, che incidono sulla competenza regionale in materia di organizzazione del personale delle unit sanitarie locali, e del correlativo finanziamento. Giova in proposito considerare che la materia in cui trattasi attiene all' assistenza sanitaria ed ospedaliera, attribuita alle regioni dall'art. 117 della Costituzione. Alle regioni medesime perci costituzionalmente riservata la generalit delle correlative funzioni amministrative, salve -da un lato -la funzione statale di indirizzo e coordinamento e -dall'altro -le funzioni di interesse esclusivamente locale, identificate dalle leggi della Repubblica in base al primo comma dell'art. 118 della Costituzione. Appunto in quest'ultimo senso, con esplicito riferimento a tale norma della Costituzione, l'art. 32, primo comma, del d.P.R. n. 616 del 1977 attribuiva ai comuni, singoli ed associati, tutte le funzioni amministrative relative alla materia dell'assistenza sanitaria ed ospedaliera, che non fossero espressamente riservate allo Stato, alle Regioni e alle Province . Ma il secondo comma dello stesso art. 32 dichiarava di spettanza regionale stabilire i criteri di programmazione e di organizzazione dei servizi in questione; ed il successivo terzo comma affidava -tra l'altro -alle leggi regionali la disciplina dell' utilizzo del personale da parte degli enti gestori . Per contro, nessuna funzione amministrativa incidente sul punto veniva riservata allo Stato dall'art. 30 dello stesso d.P.R. n. 616. Anche la legge n. 833 del 1978 riserva allo Stato ampi poteri in materia, ma sotto forma di programmazione economica e sanitaria nazionale (art. 3), di legislazione ordinaria e delegata (artt. 4 e 47, terzo comma), di indirizzo e coordinamento delle attivit amininistrative regionali (art. 5); non gi sotto forma di provvedimenti amministrativi puntuali, relativi 1alle singole unit sanitarie locali, come quello (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1 agosto 1983 in Gazzetta Ufficiale n. 215 del 1983) emanato dal Governo in applicazione della norma impugnata. In tema di struttura e funzionamento delle singole unit sanitarie locali, come pure in tema di organizzazione e gestione dei singoli servizi previsti dalla legge di riforma (artt. 15 segg.), competente , infatti, la regione, sia pure in applicazione delle leggi e delle direttive statali. E, prima ancora, alla regione che spetta, in base all'art. 11, secondo comma, lett. e), della citata legge n. 833 del 1978, assicurare la corrispondenza tra i costi dei servizi e relativi benefici , I princpi anzidetti hanno trovato applicazione nella stessa Jegge delegata (d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761) che ha disciplinato lo stato giuridico 38 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO del personale delle unit. sanitarie locali. Tra le numerose norme che fanno Iiferimento alla regione si possono rico11dare:. l'art. l, che prevede l'inquadramento di tale personale in ruoli nominativi regionali, istituiti e gestiti dalla regione ; gli artt. 9 e 12, secondo cui i pubblici concorsi per le assunzioni in servizio sono banditi ed espletati dalla regione; l'~t. 43, p:..r cm il dipendente, per esigenze di servizio di carattere temporaneo, pu essere inviato dalla regione in missione presso localit diversa da quella in cui presta servizio; l'art. 44, per cui il personale pu essere comandato, con provvedimento regionale, a prestare servizio presso l'altra unit sanitaria locale. Sulla base dei ricordati princpi appare chiaro che l'ente deputato alla supervisione delle esigenze rappresentate dalle unit sanitarie locali per l'assunzione di personale in deroga al blocco vigente per l'anno 1983, ed alla conseguente emanazione, ricorrendone i presupposti, di puntuali provvedimenti autorizzativi, non pu essere altri che la regione territorialmente c..ompetente; ferma restando allo Stato, ovviamente, nell'esercizio delle !unzioni di indirizzo e coordinamento, la determinazione dei criteri eventualmente occorrenti per soddisfare -tra l'altro -:le esigenze di rigo1 e e di efficacia della spesa sanitaria, di cui all'art. 5, primo comma, della citata legge n. 833 del 1978. Per le suesposte considerazioni l'art. 9, comma quarto, della legge n. 130 del 1983 appare lesivo dell'autonomia regionale e, pertanto ne va dichiarata lc1 illegittimit costituzionale nella parte in cui non prevede che siano le regioni (anzich il Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il Ministro del tesoro) a determi:aare, valutate '1e eventuali necessit, i singoli casi in cui sia indispensabile procedere ad assunzione di personale nelle unit sanitarie locali esistenti nell'ambito territoriale di rispettiva competenza. L'altra questione avente ad oggetto l'art. 9 della fogge n. 130 del 1983, egualmente promossa dalla Regione Lombardia con il ricorso notificato il 28 maggio 1983, si riferisce, invece, al quinto comma di detto articolo. Con esso si dispone che per le esigenze del coordinamento della finanza pubblica di cui alla presente legge il Consiglio dei ministri emana atti di indirizzo e coordinamento per le amministrazioni regionali al fine di delimitare l'incidenza di nuove assunzioni di foro competenza sulla spesa delle regioni, in armonia con le disposizioni di cui ai due commi precedenti dello stesso articolo. Secondo la Regione ricorrente, l'impugnata disposizione non pu giustificarsi in nome della funzione di indirizzo e coordinamento, poich mancherebbe in essa ogni indicazione di criteri per l'emanazione ed il contenuto degli atti di indirizzo, dandosi cos vita ad un potere discrezionale del Governo, in violazione dei princpi di legalit e di riserva di legge, di cui agli artt. 97, 117 e 119 della Costituzione. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE La questione non fondata. Non v'ha dubbio che anche nell'emana zione di atti amministrativi di indirizzo e coordinamento il Governo sia vincolato dal principio di !legalit. Per il legittimo esercizio della funzione in forma amministrativa si richiede, come affermato da questa Corte nella sentenza n. 150 del 1982, l'esistenza di una specifica disposizione legislativa la quale, in apposita considerazione della materia che di volta in volta esige fintervento degli organi centrali, vincoli e diriga la scelta del Governo, prima che questo possa, dal suo canto, indirizzare e coordinare lo svolgimento di poteri di autonomia. Ma nel caso in esame la denunciata norma non appare priva dei cennati requisiti. Infatti, come rileva l'Avvocatura dello Stato, essa prevede il possibile contenuto degli atti di indirizzo e coordinamento, rappresentato non da pure e semplici prescrizioni di blocco delle assunzioni, derogabile solo in casi stabiliti da organi governativi, ma dall'individuazione di limiti entro i quali debba risultare contenuta la spesa delle regioni derivante da nuove assunzioni, limiti superabili solo in presenza di valutazioni di indispensabilit, da compiersi, ad opera dei competenti organi regionali, con procedure non ripro duttive di quella configurata dal comma quarto dello stesso articolo, ma su di questa esemplate. Pertanto l'impugnata norma resiste alle mosse censure. Altra questione di legittimit costituzionale promossa dalla Regione Lombardia con il ricorso notificato il 28 maggio 1983, quella relativa all'art. 20, comma terzo, della Iegge n. 130 del 1983. Con detta norma stata autorizzata la spesa di lire 30 miliardi, da iscrivere nello stato di previsione della spesa del Ministero dell'agricoltura e delle foreste per l'anno 1983, per la realizzazione, a cura del Ministero medesimo, di progetti di forestazione industriale produttiva allo scopo di aumentare a breve termine la produzione legnosa forestale nazionale, promuovere una stabile e qualificata occupazione di mano d'opera forestale e favorire una pi utile destinazione produttiva di terreni agricoli e forestali marginali . Secondo la ricorrente Regione la norma viziata da illegittimit costituzionale, iu quanto autorizza e finanzia una attivit di organi centrali dello Stato, che rientra, invece, nell'mbito della competenza spettante alle regioni in materia di agricoltura e foreste, in base all'art. 117 della Costituzione ed agli artt. 66, primo e secondo comma, e 69, primo, secondo e quarto comma, del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616. Inoltre, prevedendo la istituzione nel bilancio dello Stato di uno stanziamento relativo a spesa concernente funzioni trasferite alle regioni, la denunciata norma violerebbe il divieto fatto in proposito dall'art. 126, comma terzo, dello stesso d.P.R. n. 616 del 1977. La questione fondata. Le funzioni amministrative trasferite alle regioni in attuazione dell'art. 117 della Costituzione, nella materia agri coltura e foreste, concernono, tra l'altro, i boschi, le foreste e le 40 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO attivit di produzione forestale e le attivit di preparazione professionale degli operatori agricoli e forestali, secondo quanto dispone l'art. 66 del d.P.R. n. 616 del 1977, prendendo in considerazione il settore forestale appunto sotto il profilo produttivistico. Nello stesso decreto l'art. 69, preordinato alla protezione del settore medesimo in vista del fine pubblico che esso destinato a perseguire, precisa che sono trasferite alle regioni tutte le funzioni esercitate dallo Stato concernente, tra l'altro, le foreste, la propriet forestale privata, i rimboschimenti . Non v' dubbio, dunque, che la realizzazione di progetti di forestazione industriale produttiva ricada nella competenza delle regioni e non del Ministero dell'agricoltura e delle foreste. N appare adeguatamente suffragata la tesi dell'Avvocatura dello Stato, che si tratterebbe, cio, di interventi che trascendono l'interesse e quindi la competenza delle singole regioni . La denunciata norma non prevede, invero, alcun collegamento programmatico od operativo a livello nazionale. D'altronde, ove si fosse trattato di un intervento di competenza nazionale, esso sarebbe rientrato nell'mbito del successivo comma sesto dello stesso art. 20, che ha autorizzato per l'anno 1983 l'ulteriore spesa di lire 70 miliardi da iscrivere nello stato di previsione della spesa del Ministero dell'agricoltura e delle foreste, proprio per gli interventi di competenza nazionale di cui all'art. 3 lett. c), della legge 27 dicembre 1977, n. 984 . Legge, quest'ultima, che nel disciplinare il coordinamento degli interventi pubblici nei vari settori dell'economia agricola nazionale, prevede, fra l'altro, anche nel settore della forestazione, un piano nazionale e programmi regionali, nonch 1a ripartizione dei finanziamenti fra gli interventi di competenza nazionale ed i programmi regionali. Per le esposte considerazioni va, dunque, dichiarata la illegittimit costituzionale dell'art. 20, comma terzo, della legge n. 130 del 1983. (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 5 maggio 1983, n. 127 -Pres. Elia -Rel. Ferrari -Presidente Consiglio dei Ministri e Regione Sicilia (vice avv. gen. Stato Carafa). Urbanistica - Jus aedificandi -Limiti -Concessioni edilizie -Doverosit. (Cost., artt. 42 e 43; I. 28 gennaio 1977, n. 10, art. 17; I. reg. Sicilia, 27 dicembre 1978, n. 71, art. 36). Se la trasformazione edilizia-urbanistica progettata risulta rispettosa degli strumenti urbanistici, la concessione edilizia atto dovuto (1). (1) Le ordinanze del giudice a quo meritavano una risposta breve. Forse meno opportuno stato coinvolgere, tin una siffatta risposta, un argomento delicato e tuttora dtiscusso, quale !il oariattere dovuto o meno della conces I ~ f I PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 41 (omissis) In seguito ad accertamenti disposti su opere edilizie in corso, taluni Sindaci di Comuni compresi nel mandamento di Trecastagni, dopo avere inutilmente ordinato la sospensione dei lavori, prima, e la demolizione delle opere, poi, denunziavano i fatti al Pretore per i provvedimenti di sua competenza. Questi, a sua volta, pur formulando variamente i capi d'imputazione, contestava a tutte le persone denunziate la contravvenzione di cui all'art. 17, lettera b), della menzionata legge n. 10 del 1977 in relazione, sia pure in un solo caso, agli artt. 1 stessa 1. n. 10 del 1977 e 36 della suddetta legge regionale n. 71 del 1978, e ne denunciava il loro contrasto con gli artt. 42 e 43 Cost. L'art. 17, lettera b), della legge n. 10 del 1977 prevede l'arresto fino a sei mesi e l'ammenda fino a lire cinque milioni nei casi di esecuzione dei lavori in totale difformit o in assenza della concessione o di prosecuzione di essi nonostante l'ordine di sospensione o di inosservanza del disposto dell'art. 28 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 e successive modificazioni. (omissis) La legge 28 gennaio 1977, n. 10, recante norme per l'edificabilit dei suoli, dopo aver enunciato in via di principio che ogni attivit comportante trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale partecipa agli oneri ad essa relativi e l'esecuzione delle opere subordinata a concessione da parte del Sindaco, (art. 1), prescrive che la concessione comporta la corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza delle spese di urbanizzazione nonch al costo di costruzione (art. 2); che Ǐ data dal Sindaco al proprietario dell'area o a chi abbia titolo per richiederla ... in conformit alle previsioni degli strumenti urbanistici e dei regolamenti edilizi (art. 4, primo comma); che Ǐ trasferibile ai successori o aventi causa, non incide sulla titolarit della propriet o di altri diritti reali ... ed irrevocabile, fatti salvi i casi di decadenza (art. 4, sesto comma); che i proventi delle concessioni e delle sanzioni ... sono destinati alla realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria, al risanamento di complessi edilizi compresi nei centri storici , oltre che all'acquisizione delle aree da espropriare per la realizzazione dei programmi pluriennali (art. 12). sione ediliziia (la massima un po' pi circostanziata della motivazione). Un pizmco di contraddizione (politica pi che tecniccrgiiuridica) pu scorgersi tra le pronunce dn tema di determina:llone della dndennit di esproprimone, che sembrano non riconoscere ag:li strumenti urbanistici una piena rilevanza (anche quanto 'ad efficaCla costitutiva della edificabilit) e la pronuncia dn rassegna che invece attribudsce a detti strumentd l'efficacia costitutiva delLa doverosit de1la concessione: ma forse ll:a disarmonia conseguenm dell'essere il processo costituzionale troppo spesso un prolungamento della tutela giursdimonale del privato . RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 42 Appare con tutta chiarezza che alla base della normativa de qua, di cui le disposizioni sopra trascritte sono quelle essenziali e qualificanti, permangono pur sempre gli strumenti urbanistici ed i regolamenti I edilizi, cio gli atti che l'autorit competente ha il potere-dovere di adot 't: tare nell'interesse pubblico, qual quello di assicurare un ordinato i: assetto territoriale ed un armonico sviluppo urbanistico, evitando uno i sfruttamento disordinato, che non tenga in alcun conto soprattutto l'igiene e le caratteristiche degli abitati. Appare con altrettanta chiarezza I che il proprietario dell'area o chi abbia titolo in suo luogo, come testualmente si esprime la legge, ha diritto di edificare, se la costruzione risulta rispettosa della disciplina urbanistica, e che il provvedimento dell'autorit che facoltizza l'esercizio del diritto in parola 1 -prescindendo per ora dal nomen juris datogli dal legislatore un atto dovuto ed irrevocabile. (omissis) Ora, poich la concessione che il proprietario ha l'onere di chiedere prima di dare inizio alla costruzione prevista dalla legge, sicch risulta rispettata la relativa riserva, e poich ancora non v' motivo -n il giudice a quo l'ha prospettato -di ritenere che essa sia stata stabilita per uno scopo diverso da quello di assicurare nella specie la funzione sociale della propriet, sicch risulta avverata pure la seconda condizione posta dalla Carta costituzionale, congruente dedurre la legittimit del limite allo jus aedificandi, costituito dalla concessione in f: I discorso. N varrebbe osservare in contrario che la test affermata legittimit del prescritto provvedimento risulterebbe inquinata dalle Il norme a sensi delle quali il proprietario, in tanto pu ottenere la concessione, in quanto corrisponda al Comune, all'atto del rilascio della I concessione, un contributo commisurato all'incidenza delle spese di urbanizzazione nonch al costo di costruzione (artt. 3, 5, 6, 11). L'adempimento dei doveri inderogabili di solidariet ... economica e sociale, oltre che politica, compreso tra i princpi della Costituzione, e per ! tanto una partecipazione agli oneri che comporta una moderna urbaniz~ zazione (art. 1), ed i cui proventi sono espressamente destinati alla realizzazione delle relative opere (art. 12), non pu di per s ritenersi contra Constitutionem, salvo che non oltrepassi la soglia della ragionevolezza. In definitiva, allo stato della legislazione non si ravvisano elementi che inducano a negare la legittimit costituzionale della concessione prevista dalla legge n. 10 del 1977. (omissis) Le ordinanze in esame poggiano sul duplice presupposto che la concessione confe1isce al privato nuovi poteri o diritti ampliando la sua sfera giuridica e che, pertanto, attraverso la (apparentemente) innocua sostituzione della figura giuridica della concessione a quella della Iicenza , si sarebbe verificata la riserva originaria ai Comuni dello jus aedificandi , cio l'introduzione, nel nostro ordinamento, del princi PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE pio rivoluzionario che lo jus aedificandi si appartiene ai Comuni e nn ' ai privati . La prospettazione, oltre che meramente assertoria, palesemente unilaterale ed angusta, come unilaterale ed angusto il quadro di riferimento, nel senso che tutte le ordinanze conoscono solo la prima parte della proposizione di cui all'art. 42, secondo comma, Cast., ignorando completamente la seconda parte. Come si pi sopra gi rilevato la concessione dell'autorit dovuta, oltre che trasferibile ed irrevocabile, escludendosi, quindi, ogni valutazione discrezionale: se l'opera edilizia per la quale si chiede la concessione corrisponde alle previsioni degli' strumenti urbanistici, l'autorit tenuta a rilasciare la concessione. A fronte di questa disciplina argomento manualistico lamentare che essa non corrisponda alla tradizionale concezione dell'istituto in parola. (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 28 luglio 1983, n. 247 -Pres. Elia -Rel. Paladin -Tucci (n.p.). Tributi erariali in genere -Contenzioso tributario -Soggetto rimasto estraneo al processo tributario Decisione della commissione tributaria -Non vincolante agli effetti penali. (Cost., art. 24; d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 56). Contrasta con l'art. 24 Cost., l'art. 56, ultimo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nella parte in cui comporta che l'accertamento dell'imposta divenuto definitivo in conse~uenza della decisione di una commissione tributaria vincoli il giudice penale, nella cognizione dei reati previsti in materia di imposte sui redditi, contestati a chi sia rimasto estraneo al giudizio tributario, perch non posto in condizioni di intervenirvi o di parteciparvi . .(omissis) Questa Corte, con la sentenza n. 88 del 1982, ha dichiarato l'illegittimit costituzionale degli artt. 60 e 21, terzo comma, della legge RASSEGNA DELL'AVVOCATURA. DELLO STATO 7 gennaio 1929, .n. 4, 1< nella parte in cui prevedono che l'accertamento dell'imposta e della relativa sovrhnposta, divenuto definitivo in via amministrativa, faccia stato .nei procedimenti penali per la cognizione de.i reati preveduti dalle leggi tributarie .in materia di imposte dirette.. Ma tale decisione non cons.ente di. considerare gi risolto, neppure in modo implicito, il caso che ora in questione1 nel senso che le norme denunziate non si prestino pi a determinare le conseguenze ipotizzate e censurate dal giudice. a quo (secono la motivazione dell'ordinanza n. 95 di quest'anno), Effettivamente, la Corte ha avuto cura di precisare pi volte, non solo, nel dispositivo ma nella motivazione della citata sentenza, che la pronuncia aveva esclusivo riguardo agli atti amministrativi dotati di efficacia vincolante per il giudice penale, impregiudicato restando il diverso problema dell'autorit spettante agli accertamenti divenuti definitivi per effetto di un provvedimento giurisdizionale. Ora, nel giudizio pendente dinanzi al Tribunale di Ravenna, il giudice penale risulta vincolato dalla decisione di una Commissione tributaria; sicch la presente questione non pu essere confusa con quella esaminata dalla sentenza n. 88 del 1982, ma richiede di venire affrontata nel merito. A tal fine, l'indagine va concentrata sull'art. 56, ultimo comma, del d.P,R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), nella parte in cui si stabilisce che l'azione penale per i reati di oui ai commi precedenti non pu essere inizi.ata o proseguita prima che l'accertamento dell'imposta sia livenuto definitivo . questa, infatti, fra le molte norme impugnate dal Tribunale di Raven.a, la sola che abbia tuttora una diretta rilevanza nel giudizio a qua -pur dopo l'abrogazione disposta, ma con effetto .dal 1 gennai<;> 19,83, mediante l'art. 13 del d.l. n. 429 del 1982, convertito nella legge n. 516 del medesimo anno -i. quanto interpretata ed applicata nel senso che l'accertamento divenuto definitivo per effetto della pronuncia di una Commissione tributaria abbia autorit di cosa giudicata e d.nque faccia .stato nel conseguente giudizi<;> penale. Ed su tale PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 45 norma che in sostanza si appuntano le censure dell'ordinanza di rimessione, l dove essa coinvolge anche casi in cui l'imputato sia rimasto estraneo, perch impossibilitato a parteciparvi, al giudizio tributario in seguito al quale l'imposta dovuta sia stata definitivamente accertata: come appunto si verificato nella specie, dal momento che l'art. 43 della legge fallimentare, privando il fallito della legittimazione processuale nelle controversie relative a rapporti di diritto patrimoniale, determina per esso l'impossibilit giuridica di agire e difendersi dinanzi alle Commissioni tributarie, pur quando vengano in considerazione illeciti penali inerenti all'evasione delle imposte sui redditi. Cos circoscritta, la questione fondata. Ad esigere l'annullamento della norma denunciata, valgono ragioni analoghe a quelle che hanno gi indotto la Corte a temperare -per mezzo di varie decisioni -il rigore della cosiddetta unit della giurisdizione o del necessario coordinamento fra giurisdizioni diverse: nel cui nome si rendevano vincolanti vari tipi di accertamenti giurisdizionali, nei confronti di terzi che pur s'erano trovati nell'impossibilit di intervenire o di assumere veste di parte nei relativi giudizi. Effettivamente, con la sentenza n. 55 del 1971, la Corte ha ritenuto che sotto questo aspetto l'art. 28 cod. proc. pen. (sull'autorit del giudicato penale in altri giudizi civili o amministrativi) fosse incompatibile con la garanzia costituzionale del diritto di difesa. Nel medesimo senso ed entro analoghi limiti, la sentenza n. 99 del 1973 ha poi dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 27 cod. proc. pen. (sull'autorit del giudicato penale nel giudizio di danno). Pi di recente, la sentenza n. 102 del 1981 ha nuovamente affermato che la subordinazione, anche per i terzi rimasti estranei, dell'esercizio dei diritti civilistici all'accertamento che ne sia risultato in sede penale, viene a violare non soltanto il diritto di difesa ma anche il diritto di azione, inibendo la possibilit di dare la prova dei fatti posti a fondamento del propro diritto; e quindi ha annullato una serie di norme del d.P.R. n. 1124 del 1965, in tema di diritto di regresso dell'INAIL e di giudizio civile di danno a carico del datore di lavoro. Dato il principio del libero convincimento del giudice penale, conclusioni del genere si impongono a fortiori quando si tratti di decisioni di altri tipi di giudici, destinate a far comunque stato in procedimenti come quello pendente dinanzi al Tribunale di Ravenna. Deve, pertanto, considerarsi in contrasto con l'art. 24 cpv. Cost. la previsione per cui l'accertamento dell'imposta, divenuto definitivo in conseguenza della decisione di una Commissione tributaria, vincola agli stessi effetti penali chi sia rimasto estraneo a quel giudizio, perch non posto in condizione di intervenirvi o di parteciparvi. E resta dunque assorbita l'ulteriore censura, proposta dal giudice a quo in riferimento all'art. 27 della Costituzione. (omissis) RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 46 CORTE COSTITUZIONALE, 6 ottobre 1983, n. 300 -Pres. Elia -Rel. Con so -Lunardo e altri (avv. Magno e Tanteri), Tripepi (avv. Panuccio), e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Carafa). Locazione -Immobili adibiti ad attivit commerciali -Indennit per la perdita dell'avviamento -Commisurazione -Al canone corrente di mercato -Legittimit costituzionale -Limite. (Cost., artt. 3, 41 e 42; I. 27 luglio 1978, n. 392, come modificato con I. 31 marzo 1979 n. 93, artt. 34, 69 e 73). Non pu ravvisarsi una esplicazione irragionevole della discrezionalit del legislatore ordinario nella commisurazione al canone corrente di mercato, anzich all'ultimo canone corrisposto, della indennit per la perdita dell'avviamento commerciale del conduttore. Peraltro, contrasta con gli artt. 3 e 42 Cast. il combinato disposto dell'art. 69, settimo comma, legge 27 luglio 1978, n. 392, e dello art. 73 stessa legge 27 luglio 1978, n. 392 (quale modificato dall'art. 1 bis decreto legge 30 gennaio 1979, n. 21, convertito con modificazioni nella legge 31 marzo 1979, n. 93), nella parte in cui -relativamente alle ipotesi di recesso del lo~atore dai contratti disciplinati dall'art. 67 stessa legge 27 luglio 1978, n. 392, motivate con la sopravvenuta necessit di adibire l'immobile ad abitazione propria o del coniuge o dei parenti in linea retta entro il secondo grado -pre vede che l'indennit per l'avviamento commerciale dovuta al conduttore sia determinata sulla base del canone corrente di mercato per i locali aventi le stesse caratteristiche, anzich con riferimento all'ultimo canone corrisposto (1). (omissis) Ad un discorso pi complesso danno luogo le questioni concernenti la legittimit costituzionale del combinato disposto degli artt. 69, settimo comma, e 73 della legge n. 392 del 1978, nella parte in cui prevede che al conduttore sia dovuta un'indennit determinata sulla base del canone corrente di mercato per i locali aventi le stesse caratteristiche. E ci non solo e non tanto perch, mentre alcune ordinanze non forniscono precisazioni sull'indice da adottare in via sostitutiva, (1) Forse, non pu essere esclusa una qualche contraddizione -s'intende, logico-giuridica e non po1itica -dn una disciplina legis1ativa che fa, nel suo seno, convivere un criterio liberistico (nella soelta del parametro dii commisurazione della inden:n!it) con le frequenti regole vincolistiche (per fa determinazione dei canoni). Vii sarebbe anche da domandarsi se non v' contraddi7lione tra l'intendimento di semplificare 1a determ!inazione dell'indennit (per seguono tal fine la presunzione di esistenza di un avviamento e l'adozione del parametro del canone) e la poSiizione dii una norma che impone di accertare caso per caso il canone corrente di mercato . La sentenza in rassegna si mossa tra queste difficolt. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE altre fanno riferimento in proposito all'ultimo canone corrisposto, richiamandosi all'indice che l'art. 34, primo comma, della stessa legge utilizza per determinare l'indennit di avviamento commerciale in ordine alla cessazione dei nuovi rapporti di locazione, aventi ad oggetto un immobile adibito ad uso non abitativo, sorti a partire dal 30 luglio 1978. Quanto e soprattutto perch, pur essendo le questioni prospettate ogni volta in termini generali, cio con dispositivi che non distinguono a seconda del motivo addotto ai fini del recesso, per due dei procedimenti a quibus il recesso preso in considerazione risulta motivato con l'esigenza di adibire l'immobile ad abitazione propria o del coniuge o dei parenti entro il secondo grado in linea retta, mentre per le altre ordinanze il rispettivo procedimento a quo concerne un recesso motivato con l'esigenza di adibire l'immobile all'esercizio, in proprio o da parte del coniuge o dei parenti entro il secondo grado in linea retta, di una delle attivit indicate nell'art. 27 della legge n. 392 del 1978: a proposito delle quali attivit si potrebbe ulteriormente distinguere, a seconda che si sia o no in presenza della stessa attivit o di attivit incluse nella medesima tabella merceologica che siano affini a quella gi esercitata dal conduttore uscente ed ove il nuovo esercizio venga iniziato entro un anno dalla cessazione della precedente (art. 34, secondo comma, espressamente richiamato, quanto ai casi in esso previsti, dall'ultimo periodo dell'art. 69, settimo comma). D'altronde, ad evidenziare queste, e consimili, distinzioni provvede la stessa strutturazione dell'art. 29 della legge n. 392 del 1978, con le lettere a), b), e) e d) in cui suddiviso il primo comma e con i vari periodi di cUJi consta il secondo comma, il tutto oggetto di espresso rinvio da parte dell'art. 73, primo periodo, anche se -come gi si accennato sotto altra prospettiva, con riguardo al profilo della rilevanza -l'inserimento nel medesimo art. 73 dell'attuale secondo periodo, avvenuto in sede di conversione del decreto legge n. 21 del 1979, ha portato ad isolare da quel tutto i motivi previsti dalle lettere a), b) e dall'ultimo periodo del secondo comma dell'art. 29 . Prova ne sia che proprio l'aver ristretto, per questi motivi, l'ambito d'eserizio della facolt di recesso, riconoscendola soltanto ove ricorra la necessit... verificatasi dopo la costituzione del rapporto locatizio, ha dato adito alla particolare problematica di costituzionalit ora in esame, chiaramente collegata al richiesto requisiito della necessit, nell'intento di sottoporre a verifica da parte di questa Corte la congruenza del tratta mento che le varie esigenze considerate ricevono sul piano dei rapporti fra diritto di recesso e misura dell'indennit dovuta al conduttore per la perdita dell'avviamento commerciale, quali risultano attraverso il rinvio che in via generale l'art. 73 fa all'art. 69, settimo comma, della legge n. 392 del 1978, comma dettato per la determinazione dell'inden RASSEGNA DELL'AWOCftTURA DELLO STATO nit di avviamento qualora il locatore non intenda procedere al rinnovo della locazione , Poich, ad avviso dei giudici a quibus, la determinazione dell'indennit di avviamento sulla base del canone corrente di mercato per i locali aventi le stesse caratteristiche (art. 69, settimo comma, della legge n. 392 del 1978), anzich sulla base dell' ultimo canone corrisposto , porterebbe, nei casi in questione, a risultati troppo pesanti per il locatore -sia nel senso di sottoporre ad un'eccessiva compressione il suo diritto di propriet (nonch, per qualche giudice a quo, la sua libert di iniriativa economica ed il suo impegno al risparmio), sia nel senso di rendere la sua situazione assai pi onerosa di quella del locatore che, non rinnovando un contratto di locazione stipulato per uso non abitativo in data successiva al 29 luglio 1978, tenuto al pagamento di un'indennit commisurata all'ultimo canone corrispostogli dal conduttore (art. 34, primo comma, della legge n. 392 del 1978) -occorre precisare quali rapporti intercorrano fra l'indice rappresentato dall'ultimo canone corrisposto e l'indice rappresentato dal canone corrente di mercato per i locali aventi le stesse caratteristiche. Ci ai fini dell'esatta individuazione del trattamento conseguente all'applicazione dell'uno piuttosto che dell'altro indice: un trattamento che si incentra sull'ammontare, pi o meno elevato, dell'indenndt dovuta dal locatore al conduttore. Dato che, quando si parla di ultimo canone corrisposto, si utilizza un indice suscettibile di essere detenninato automaticamente, mentre, quando si parla di canone corrente di mercato, ci sii. riferisce ad un indice determinabile unicamente in via indiretta, il che si riflette non solo e non tanto sulle metodologie da seguire per la rispettiva iindividuazione (semplicissima l'una, desumibile dal contratto; bisognosa di accertamento sul territorio l'altra), quanto e soprattutto sulla relativit e, quindi, sulla non univocit del secondo dei due indici, evidente che i rapporti tra essi, per quel che riguarda la rispettiva incidenza sull'ammontare dell'indennit, si profilano in modo ben diverso a seconda del tipo di contratto, nuovo o prorogato , cui si riferisce l'ultimo canone corrisposto. Muovendo dalla considerazione che 1' ultimo canone corrisposto dal conduttore nella situazione cui fa riferimento l'art. 34 della legge n. 392 del 1978 tende sostanzialmente a coincidere con il canone corrente di mercato per i locali avent!i. le stesse caratteristiche, sul quale -a somiglianza dell'art. 4 della legge 27 gennaio 1963, n. 19, ove, sia pur in un diverso contesto, il riferimento al canone di affitto che l'immobile pu rendere secondo i prezzi correnti di mercato per i locali aventJi le stesse caratteristiche -si basa l'art. 69 della legge n. 392 del 1978, la dedotta violazione dell'art. 3 Cost. discenderebbe dall'adozione di un eguale trattamento in situazioni different!i. . J, PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Effettivamente, da un lato (art. 34), sono in discussione contratti di locazione stipulati in regime di libera determinazione del canone mr ziale e, dall'altro (art. 69, per quanto qui interessa), contratti soggetti a proroga secondo la legislazione precedente ed ulteriormente prorogati dalle nuove norme. Il che significa che, quando l'art. 34, primo comma, e l'art. 69, settimo comma, parlano di un'indennit commisurata a di dotto mensilit (ovvero a ventuno per le locazioni con destinazione alberghiera) dell'ultimo canone corrisposto o, rispettivamente, sulla base del canone corrente dd. mercato, ci porta s ad indennit dal simile ammontare, con la differenza, per, che l'art. 34 ragguaglia il computo delle mensilit ad un canone che stato, pi o meno a lungo, materialmente corrisposto dal conduttore (e, quindi, percepito dal locatore), mentre l'art. 69 ragguaglia il computo delle mensilit ad un canone mai percepito in concreto. In altri. termini, il riferimento, nel primo caso, all'ultimo canone corrisposto e, nel secondo caso, al canone corrente di mercato parifica sostanzialmente l'indice per la misura dell'indennit, ma partendo da situazioni nelle quali ben diversamente calcolato era il canone corrisposto .in concreto al momento della cessazione del rapporto di locazione. Tanto vero che, se l'art. 69 parlasse di ultimo canone corrisposto dal conduttore>>, tale canone, sottoposto ai vincoli delle proroghe vecchie e nuove, sarebbe tutt'altra cosa dal canone corrente di mercato. (omissis) Tutto ci premesso, si tratta di verificare se la determinazione della misura dell'indennit per l'avviamento commerciale nelle ipotesi di recesso necessitano ex art. 73 della legge n. 392 del 1978 sia o no in contrasto con i parametri costituzionali variamente indicati dalle nove ordinanze di rimessione che si stanno esaminando. (omissis) La ques1Jione non fondata. Nel sostanziale coincidere, quanto ad ammontare dell'indennit, dei criteri indicati negli artt. 34, primo comma, e 69, settimo comma, della legge n. 392 del 1978, non pu ravvisarsi un'esplicazione irragionevole della discrezionalit legis1ativa, come non pu dirsi privo di qualsiasi razionalit il trattamento particolarmente privilegiato di cui nel secondo caso, il conduttore viene conseguentemente a fruire rispetto al locatore. Alla base della scelta operata dal legislatore con le norme in esame vi la conservazione, anche nel pubblico interesse, delle imprese il cui avviamento sia strettamente collegato all'ubicazione dell'immobile: un interesse che -qualora un'impresa cos localizzata venga a trovarsi esposta al rischio del rilascio dell'immobile a vantaggio di un'altra impresa non affine che il locatore intenda trapiantare od avviare in quello stesso luogo -il legislatore ha ritenuto di dover tutelare con l'imporre al locatore il pagamento di un'indennit iidonea a porre riparo al danno attuale del conduttore, anche a costo di risultare particolarmente gra 50 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO vosa per il locatore. Ci, anzi, verificandosi soprattutto nei confronti dei contratti soggetti a proroga, ha trovato un'ulteriore, e pi specifica, spiegazione, quanto alle ipotesi di recesso, nel pericolo -sbito affac datosi e sbito contrastato con le modificazioni apportate, in sede di conversione del decreto legge n. 21 del 1979, all'art. 73 della legge n. 392 del 1978, il cui testo originario nulla prescriveva in ordine all'indennit per l'avviamento -che la possibilit di recedere in qualunque momento, largamente prevista dall'art. 73, desse l'avvio ad un massiccio numero di richieste di rilascio per gli immobili adibiti ad uso non abitativo... Tale non irragionevole bilanciamento dei contrapposti interessi esclu de pure che si possano considerare vilati gli artt. 41 e 42 Cost. Quanto al primo, il Pretore di Roma a parlare di grave ed ingiustificata limitazione della libert di iniziativa privata: in realt, mentre l'attivit economica del conduttore viene protetta, potendo l'indennit, nel caso di non evitabile rilascio, facilitarne la ripresa in altra sede, l'iniziativa economica del locatore, se non velleitaria, non risulta bloccata, ma soltanto sottoposta ad un onere, non impossibile, inteso a conseguire fini di utilit sociale, nel necessario coordinamento con le esigenze del l'attivit economica altrui. Quanto all'art. 42 Cost., le ordinanze del Pretore di Pescara, del Tribunale di Parma e del Tribunale di Gorizia sostengono che il diritto di propriet sarebbe vanificato dall'esborso di una somma che svuoterepbe il diritto al corrispettivo della precedente locazione e, quindi, al godimento dell'immobile: ma, a parte la necessit di dimostrare che ogni corrispettivo rimarrebbe di regola totalmente assorbito dall'indennit ex art. 69, settimo comma, della legge n. 392 del 1978, e a parte la maggior valutazione che l'immobile riceve sul mer cato, una volta riottenutane la disponibilit (argomento con cui l'Avvo catura dello Stato, negli atti di intervento per la Presidenza del Consiglio dei ministri, rimarca l'esistenza di una parziale compensazione), punto fermo che, riconosciuto il diritto di propriet privata, la Costi tuzione ha affidato al legislatore ordinario il compito di introdurre, a sguito delle opportune valutazioni e dei necessari bilanciamenti dei diversi interessi, quei limiti che ne assicurano la funzione sociale (sent. n. 252 del 1982), e ci anche per quanto attiene al suo godimento. Restano le ipotesi di recesso dovute alla necessit di adibire l'im mobile ad abitazione propria o del coniuge o dei parenti entro il se condo grado in linea retta: rispetto ad esse da ritenersi fondata la questione che il Tribunale di Reggio Calabria ha sollevato in via subor dinata, con riferimento agli artt. 3 e 42 Cost., affermando, da un lato, che l' identico trattamento previsto dall'art. 69 della legge n. 392 del 1978, sia per colui che ha necessit di adibire l'immobile di cui proprietario per abitazione ... sia per colui che ha necessit di adibirlo ad esercizio di attivit commerciale, non sembra conforme al prin PARTE. I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE c1p10 di uguaglianza e, dall'altro, che il sistema di determinazione dell'indennit sulla base del canone corrente di mercato per i locali aventi le stesse caratteristiche, senza che il giudice abbia la possibilit di temperarne il criterio tenendo conto della durata del rapporto locativo e dell'entit del canone locativo pu portare ad un'irragionevole compressione del diritto di propriet, potendo accadere che il conduttore riceva a titolo 1di indennit pi di quanto egli abbia corrisposto per canoni dovuti al locatore. Anche a prescindere dal carattere meramente eventuale, e peraltro indimostrato, di un tale supero, la compressione del diritto di propriet del locator~ , conseguente all'elevato livello cui giunge comunque l'indennit per l'avviamento in forza del combinato disposto degli artt. 69, settimo comma, e 73 della legge n. 392 del 1978, si appalesa qui, di fronte ad un recesso per esigenze abitative, priva di razionale giustificazione: e ci sia se la si consideri in relazione all'identica misura di indennit prevista per i casi di recesso finalizzati all'esercizio di un'attivit economica, sia se la si consideri in rapporto agli analoghi risultati quantitativi cui conduce l'art. 34, primo comma, in caso di cessazione, su iniziativa del locatore, di un rapporto di locazione a regime normale. Infatti, non certamente razionale bilanciare gli interessi che vengono in contrasto quando all'attivit econoinica svolta dal conduttore si contrappone un'esigenza abitativa del locatore o di un suo stretto congiunto, utilizzando lo stesso modulo adottato per bilanciare gli interessi che vengono in contrasto quando alla attivit economica svolta dal conduttore si contrappone un'esigenza economica perseguita dal locatore o da un suo stretto congiunto. E non meno irrazionale l'imporre al locatore, per il quale sopravvenga la necessit di abitare il proprio immobile locato per uso i;ion abitativo sulla base di un contratto da tempo a canone vincolato, il pagamento di un'indennit altrettanto onerosa di quella dovtita dal lOcatore, il quale promuova la cessazione del rapporto di locazione relativo ad un immoQile locato per uso non abitativo sU:lli:t base di un contratto il cui canone stato liberamente concordato. Poich gli immobili urbani, quando la strutturazione dei locali sia adeguata, hanno come destinazione primaria quella di venire adibiti ad uso di abitazione e poich, d'altra parte, l'adibire tali immobili ad abitazione del proprietario o del coniuge o di parenti entro il secondo grado in linea retta rappres,enta il modo di godimento della propriet privata immobiliare da privilegiare (e ci anche in cori;elazione al principio rivolto a promuovere e favorire la propriet privata dell'abitazione su cui si appena' soffertnata la sentenza n. 252 del 1983), la tutela costituzionale del diritto di propriet comporta un'ovvia conseguenza: le necessit abitative dei proprietario dell'immobile non possono RASSEGNA DELL'AVVOCAntRA DELLO STATO 52 non essere tenute in particolare conto dal legislatore, evitando di condizionarne il soddisfacimento ad oneri eccessivi o comunque sproporzio~ nati, allorch per esse si imponga un contemperamento con altri inttessi, pur meritevoli di tutela. Cos, di fronte alla perdita dell'avviamento commerciale per il conduttore dell'immobile che il locatore, rece dendo da un contratto a canone vincolato, intende recuperare, per necessit sua o di uno stretto familiare, all'uso abitativo, non si giustifica una misura dell'indennit in base al canone reale di mercato, giustificabile, invece, in altri casi. (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 15 dicembre 1983, n. 340 -Pres. Elia -Rel. La Pergola -Regione .Friuli-Venezia Giulia (avv. Pacia), Province di Trento e di Bolzano (avv. Guarino) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Azzariti). Regioni -Regioni a statqto speciale e Province di Trento e di Bolzano Funzione statale di indirizzo e coordinamento -Presupposti. (Statuto Friuli-Venezia Giulia, art. 4; Statuto Trentino-Alto Adige, artt. 8, 9, 14, 16 e 78; . l. 27 dicembre 1977, n. 984). La funzione statale di indirizzo e coordinamento pu essere previs~(l anche nei confronti di regioni a statuto speciale e delle Province dl Trento e di Bolzano non soltanto. da Statuti speciali (e connesse disposizio~ i di attuazione) e nell'ambito di. materi a competenza ripartita~' ma anche da legge ordinaria dello Stato e nell'ambito di materie a competenza regionale esclusiva" Peraltro, in difetto. di espliciia previsione statutaria, l'anzidetta i'itnzione st~tie ~ essre eseritat(l sotq in presenza di un interesse nazionale non suscettibil di localizzazi re motivo che ess,o estende alla ricorrente la settorializzazione del sistema dei finanziamenti. . Le Province autonome di Trento e Bolzano impugnano esse pure, prima ancora che singole statuizioni, la legge n. 984/77 nella sua interezza, per preteso contrasto .con l'art. 8 n. 21 dello Statuto del Tren PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COS1'ITUZINALE tino-Alto Adige, e con i relativi decreti di attuazione (d.P.R. nn. 279/74 e 381/74). L'invocata norma statutaria stabilisce la competenza prvinciale in tema di agricoltura, foreste e corpo forestale, patrimonio zootecnico ed ittico, istituti fitopatologici, consorzi agrari e stazioni agrarie sperimentali, bonifica . La sfera assegnata alle Province sarebbe stata ampliata e meglio garantita, grazie alla legge costituzionale n. 1/71 e alle norme di attuazione successivamente emanate proprio nella materia di cui si occupa la legge impugnata. A parte la specifica previsione, in Statuto, della competenza, peraltro primaria, che si assume violata, ve ne sarebbero altre, dalle quali risulta che le Provinc di Trento e Bolzano godono di un grado di autonomia diverso e pi intenso rispetto a quello delle altre Regioni: cos, l'art. 78 dello Statuto speciale riserva alle Province una quota parte delle somme stanziate per interventi generali dello Stato disposti negli stessi settori di competenza delle province allo scopo di adeguare le finanze delle Province autonome al raggiungimento delle finalit e all'esercizio delle funzioni stabilite dalla legge. Questo criterio del collegamento fra competenza e finanziamento, si soggiunge, sta a significare che esclusivamente le Province sono responsbili della gestione delle materie di loro competenza e costituisce un'ulteriore e specifica conseguenza del vincolo che, posto nei confronti della legge statale a tutela delle ricorrenti, non potrebbe, poi, non operare anche per quanto concerne le esigenze del coordinamento. La fonte statutaria e la normativa di attuazione avrebbero infatti soddisfatto queste esigenze, in coerenza con 1a dedotta guarentigia dell'autonomia provinciale, solo limitatamente a determinate materie e rimettendone in ogni caso la disciplina a dirette intese fra Stato e Regione. Deporrebbero in questo senso l'art. 14, secondo comma, dello Statuto (opere idrauliche), 15 (industria ed edilizia scolastica) e fra le norme di attuazione 1adottate dopo l'entrata in vigore della legge costituzionale n. 1 del 1971, gli artt. 3, 4, 5 e 8 d.P.R. 22 marzo 1974, n. 279 (agricolture e foreste), 7-10 (acque pubbliche), 20 e 21 (urbanistica e opere pubbliche di interesse e competenze dello Stato) del d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381. Nessun cenno della funzione di indirizzo e coordinamento, si afferma, figura del resto nello Statuto della Provincia o nella normativa di attuazione, nemmeno nelle specifiche disposizioni attuative che, in materia di agricoltura e foreste, definiscono le residue competenze dello Stato. Diversa soluzione, si osserva poi, accolta negli ordinamenti di altre Regioni a Statuto speciale, nei quali la funzione in discorso espressa mente assegnata allo Stato (art. 2, secondo comma, d.P:R. 19 giugno 1979, n. 348, norme di attuazione dello Statuto per la Sardegna; 43 d.P.R. 25 novembre 1975, n. 902, norme di attuazione dello Statuto Friuli-Venezia Giulia); e si soggiunge che a tal fine si dovuto comunque ricorrere a RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO decreti presidenziali di att11azione dei rispettivi Statuti, adottati con il previo intervento delle apposite commissioni paritetiche. Tutto questo confermerebbe che i poteri di indirizzo e coordinamento non potevano, nei riguardi della ricorrente, essere istituiti ed esercitati mediante legge ordinaria, com' invece accaduto nella specie. La legge impugnata vulnererebbe dunque la sfera dell'autonomia provinciale per aver prodotto la disciplina riservata alla fonte sopraordinata (Statuto o normativa di attuazione). In via subordinata, le ricorrenti deducono che, se pure la funzione di indirizzo e coordinamento dovesse essere riconosciuta agli organi statali, essa risulterebbe, ai fini del presente giudizio, comunque illegittimamente configurata: sia perch ne attributario un comitato interministeriale, il C.I.P.A.A., in luogo degli organi, Parlamento e Consiglio dei ministri, istituzionalmente preposti a questa funzione nelle massime sedi rappresentative, e perch questa deroga al normale regime delle competenze avrebbe indebitamente attenuato una garanzia procedimentale gi assicurata dalla test citata previsione della legge n. 382 del 1975 alle Regioni comuni, della quale dovevano a maggior ragione godere le ricorrenti e le Regioni a Statuto speciale; sia per il rilievo che l'indirizzo ed il coordinamento, da attuarsi, com' previsto nella legge, soprattutto con il piano nazionale, avrebbe carattere talmente analitico, puntuale e vincolante da non lasciare a Regioni o Province margini di effettiva -'!-Utonomia. (omissis) Delle impugnative proposte vanno anzitutto considerate quelle che investono la legge n. 984 del 1977 nella sua interezza. Le ricorrenti avanzano a questo riguardo due ordini di rilievi: le Province di Trento e Bolzano deducono che la funzione in discorso non nei loro confronti contemplata, n dallo Statuto, n dalle connesse disposizioni attuative, e lamentano quindi che essa sia stata introdotta nella specie unilateralmente dallo Stato, mediante legge ordinaria; la Regione Friuli-Venezia Giulia contesta, invece, che la funzione di ind~rizzo e coordinamento, pur prevista dal d.P.R. i;i. 381/74 in attuazione del suo Statuto, possa essere legittimamente estesa, come qui accade, alla materia dell'agricoltura e foreste. Si tratta di due autonomi profili della specie. La Corte ritiene di doverli esaminal;'e distintamente. Il motivo di ricorso dedotto dalle Province di Trento e Bolzano non merita accoglimento. La funzione statale di indirizzo e coordinamento va, come la Corte ha precisato in pi pronunzie, ordinata ed esplicata in armonia con il sis.tema del decentramento. Se cos. , essa costituisce .attuazione e sviluppo di un nuleo di fondamentali princpi dell'ordinamento costituzionale, che valgono indistintamente per tutta la cerchia degli enti autonomi. Appunto per questo, l'indirizzo e il coordinamento possono esse.re previsti, anche nei confronti delle Regioni a statuto diffe PARTE I, SEZ. 1,-GIURISPRUQENZA COSTITUZIONALE r.enziato e delle Province di Trento e Bolzano, dalla legge ordinaria dello ~tato, oltre che dagli Statuti speciali e dalle connesse disposizioni attuative, L'assunto della Regione Friuli-Venezia Giulia , per quel che ora importa precisare, il seguente: l'indirizzo ed il coordinamento esercitato dagli organi centrali grava l'attivit amministrativa regionale di un limite che, secondo la giurisprudenza della Corte, deve corrispondere a quello stabilito, per la sfera dell'autonomia legislativa, dalla legislazione statale di principio. Questo limite, si soggiunge, vale per solo nei confronti della competenza ripartita, laddove la legge impugnata concerne materia di compete~a primaria della Regione. L',Avvocatura dello Stato replica che la previsione dell'indirizzo e del coordinamento trova piena e puntuale giustificazione nell'interesse nazionale, sottostante alla normativa censurata e al suo carattere di legge-programma; ci, precisamente, in quanto il limite dell'interesse nazionale consacrato in Statuto fra quelli che circondano la stessa competenza primaria delle ricorrenti (cfr. art. 4 dllo Statuto speciale del Friuli-Venezia Giulia e art. 4 dello Statuto speciale del Trentino-Alto Adige). Il titolo della contestata ingerenza dello Stato -di fronte alla sfera grantita alle ricorrenti -risiede, allora, nella funzione di indirizzo e coordinamento. In effetti, tutto il corpo della normativa, che la legge impugnata contiene, preordinato all'esercizio di detta funzione: la definizione analitica degli indirizzi che individuano gli obiettivi di ciascun sttore, la previsione dei criteri di massima per le esigenze da soddisfare, il conseguente sistema dei finanziamenti sono strumentalmente CO!J.nessi con il coordinamento degli interventi pubblici, effettuato in sede di programmazione con le procedure e dagli organi appositamente previsti. Non poi controverso che la varia materia di cui si occupa la legge ricada nell'ambito della competenza primaria delle ricorrenti, cos come risulta configurata, in relazione all'agricoltura e foreste, sia nelle previsioni statutarie, sia nelle norme di attuazione invocate in giudizio. Poste queste. premesse, va subito aggiunta un'avvertenza: la funzione dj indirizzo e coordinamento, qual contemplata nelle norme di attuazione dello Statuto del Friuli-Venezia Giulia (art. 43 d.P.R. 25 novembre 1975, n. 902), non pu essere intesa, come detta Regione ha sostenuto nel presente giudizio, nel senso che essa si riferisce necessariamente. ~olo alle materie di competenza ripartita. Alla stregua delle precedenti pronunzie di questo Collegio, si deve ~~eludere che la funzione in discorso serva ad introdurre nuovi. limiti :r;ispetto a quelli gi stabiliti, nel vigente sistema costituzionale, in ordine alla sfera dell'autonomia regionale. Resta fermo, per, che l'indirizzo e coordinamento ,posti in essere dallo Stato abbracciano tutto l'alll;bitQ; dei poteri costituzionalmente garantiti alle Regioni e alle Province di Trento RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO .STATO 58 e Bolmno. Il corretto esercizio di questa funzione implica, infatti, che le attivit regionali restino assoggettate al vincolo scaturente dalla legge o dal provvedimento degli organi centrali. Tale vincolo (cfr. sentenza n. 150 1982) , poi, pienamente giustificato dalla necessit di soddisfare le istanze unitarie: esso deve quindi poter operare, come esige 1a giurisprudenza della Corte, senza che rilevi la distinzione fra Statuto speciale e Statuto ordinario, o tra tipi e gradi di competenza degli enti autonomi. Quanto si sopra detto non toglie, bens presuppone, che nella specie vadano soddisfatte le condizioni perch il vincolo costituito dall'indirizzo e coordinamento dispieghi effetti pur nei confronti della competenza primaria delle ricorrenti, e anche se questa competenza discende da uno Statuto di autonomia differenziata. qui, anzi, il punto sul quale va fermata l'attenzione. Il richiamo dell'interesse nazionale che ha ispirato il legislatore statale nel regolare il coordinamento e la stessa programmazione degli interventi pubblici nel settore in considerazione non vale, come vorrebbe l'Avvocatura, a fugare il dubbio di un'indebita compressione della speciale autonomia garantita alle ricorrenti. Il perseguimento delle esigenze unitarie, e cos degli interessi che trascendono l'ambito dell'ente auto l nomo, resta certo il necessario presupposto giustificativo della funzione di indirizzo e coordinamento. Ma si tratta pur sempre di una funzione istituzionalmente destinata a comporre le esigenze unitarie e le istanze dell'autonomia in conformit dei fondamentali criteri che presiedono alla distribuzione delle competenze fra Stato e Regioni. Dove opera la guarentigia dello Statuto speciale, le esigenze unitarie legittimano, s, l'esercizio dell'indirizzo e del coordinamento, ma in presenza di un interesse, che deve nettamente configurarsi come insuscettibile di frazionamento o localizzazione territoriale. Gli organi centrali possono in proposito intervenire fin dove l'interesse da soddisfare sfugge necessariamente, per na J tura o dimensione, all'apprezzamento dei legislatori e delle amministrazioni locali. Altrimenti, va fatta salva la competenza dell'ente autonomo: il quale gode in questo caso, proprio in considerazione delle forme e condizioni particolari del suo status, di maggiori possibilit di valutazione e di scelta, rispetto alla Regione di diritto comune. Nella presente controversia, ci troviamo di fronte a un diffuso e dettagliato complesso di prescrizioni, che investono la materia dell'agricoltura e foreste sotto i molteplici aspetti sopra richiamati. Si cos delineata una capillare e penetrante interferenza della normazione statale nella sfera che si assume lesa. Ora, la legge in esame ha come suo titolo giustificativo esclusivamente qello di organizzare l'indirizzo ed il coordinamento delle attivit regionali nei settori ivi previsti. Essa eccede, tuttavia, dai confini ntro cui l'accentramento e l'uniformit della disciplina consentiti dall'interesse nazionale sarebbero risultati compatibili PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE con il rispetto dell'invocato Statuto speciale. L'assetto normativo sottoposto al sindacato della Corte potrebbe, quindi, uscire indenne da censura solo se le esigenze unitarie, che qui si connettono con l'indirizzo ed il coordinamento, fossero perseguite anche in forza, e con il supporto, di un qualche altro limite dei poteri di autonomia: limite, s'intende, sempre sancito in una fonte di rango costituzionale. Cos non , per, nel caso attuale; e d'altra parte non nemmeno dedotto dall'Avvocatura che la legge dello Stato abbia per via delle sue previsioni programmatorie posto princpi dell'ordinamento giuridico, o prodotto norme fondamentali delle riforme economico-sociali, o comunque configurato altre idonee limitazioni delle competenze delle Regioni o delle Province, ai sensi dei rispettivi Statuti speciali. Difettano insomma i requisiti sopra enucleati, indispensabili perch la previsione dell'indirizzo e del coordinamento, com' congegnata nella specie, possa operare nei confronti delle ricorrenti: e dunque sussiste la dedotta violazione della competenza loro costituzionalmente garantita in materia di agricoltura e foreste. Questa conclusione vale evidentemente allo stesso titolo per la Regione Friuli-Venezia Giulia e per le Province di Trento e Bolzano. Un'ultima precisazione va fatta a proposito del risultato cui la Corte giunge con l'attuale decisione. L'illegittimit costituzionale della legge n. 984 del 1977 viene dichiarata per la parte in cui le disposizioni in essa contenute si riferiscono alle Regioni e alle Province ricorrenti: invero, per le ragioni gi spiegate, manca il titolo che avrebbe giustificato la estensione nei loro confronti dell'intera legge censurata. Con ci, resta per escluso l'accoglimento dell'altra istanza della Regione Friuli-Venezia Giulia; la quale, com' sopra riferito, chiede alla Corte una distinta declaratoria di incostituzionalit per la parte in cui la legge, oggetto del presente giudizio, non riconosce il ruolo che ad essa ricorrente costituzionalmente spetterebbe nella determinazione degli indirizzi obiettivi ed interventi ivi previsti . L'autonomia differenz~ata della Regione vulnerata dall'intero corpo delle disposizioni che il legislatore statale ha dettata per il regolamento della specie. Dopo la presente pronunzia, non residua, quindi, alcuna previsione della normativa caducata, la quale possa concernere il ruolo che si assume competere alla Regione Friuli-Venezia Giulia; ma appena il caso di aggiungere che il legislatore statale pu sempre ridisciplinare la materia, nei limiti e secondo i criteri sopra indicati. I rilievi svolti assorbono, va infine detto, ogni ulteriore profilo della questione. P.Q.M. dichiara l'illegittimit costituzionale della legge n. 984 del 27 dicempre 1977 ( Coardin:).mento degli interventi pubblici nei settori della zootecnia, della produzione ortoflorofrutticola, della forestazione,. dell'ir 60 RASSBGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO rigazione, e delle grandi colture mediterranee, della vitivinicoltura e dell'utilizzazione e valorizzazione dei terreni collinari e montani) per la parte in cui la disciplina in essa prevista concerne la Regione Friuli-Venezia Giulia e le Province autonome di Trento e Bolzano. CORTE COSTITUZIONALE, 19 gennaio 1984, n. 1 -Pres. Elia -Rel. hladin -Banco di Napoli (avv. Rizzo e Scognamiglio), Porreca (avv. Satta) Guidotti ed altri (avv. Capobianco). Corte dei Conti -Funzioni giurisdizionali Pensioni degli impiegati del Banco di Napoli -Non attinenza alle materie di contabilit pubblica. (Cost., art. 3; !. 8 agosto 1895, n. 486, art. 39). L'art. 103 Cast. non ha inteso conservare alla Corte dei Conti l'intera giurisdizione che le spettava al momento dell'entrata in vigore della Costituzione (e ci vale anche per la giurisdizione domestica che non pu ritenersi costituzionalizzata ). Non essendo pi, nei fatti, ravvisabile omogeneit sostanziale tra pensioni statali e pensioni degli impiegati del Banco di Napoli, ormai irrazionale la deroga per queste ulime alla regola della giurisdizione ordinaria (1). (omissis) Le quattro ordinanze in esame propongono alla Corte, con motivazioni identiche od analoghe, una sola e comune impugnativa. Nei dispositivi di tutte le ordinanze si legge, cio, che la Corte di cassazione, a sezioni unite civili, ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimit costituzionale della norma contenuta nell'art. 11 all. T all'art. 39 della legge 8 agosto 1895, n. 486, in relazione all'art. 3 della Costituzione della Repubblica, secondo cui le controversie in materia di pensioni degli impiegati del Banco di Napoli, nonch di quelli del Banco di Sicilia, sono escluse dalla giurisdizione dell'autorit ordinaria ed attribuite alla giurisdizione della Corte dei conti: con implicito ma univoco riguardo al sesto comma dell'art. 11 dell'allegato T. Va per immediatamente precisato che, in realt, della norma impugnata non rileva nei giudizi a quibus. altro che la parte concernente le controversie in materia di pensioni degli impiegati del Banco di Na (1) Merita segnalare l'dnoiso -significativo proprio perch non indispensabile -alla non costitumonalizzazione della giurisdizione domestica della Corte dei Conti, e l'affermazione (implioita) di un principio secondo cui ogni 1 attribuzione di giurisdizione ad un giudice amministrativo (con conseguente deroga lla regola:,, della giurisdizione ordinaria) deve essere sorretta da adeguata rasione giustificativa. !I .. . 1 ---I PARTE .I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 61 poli (mentre nessuno dei giudizi stessi coinvolge le corrispondenti controversie relative al Banco di Sicilia). (omissis) Secondo la costante giurisprudenza della Corte (nell'ambito della quale la sentenza n. 20 del 1982 funge da eccezione che conferma la regola), non possono costituirsi nel giudizio incidentale di legittimit costituzionale soggetti che non avessero la qualit di parte nel giudizio a quo. Pertanto, va dichiarata inammissibile la costituzione dell'Unione nazionale fra i pensionati del Banco di Napoli. (omissis) Nel merito, va escluso anzitutto che la presente questione, sollevata in riferimento al principio generale d'eguaglianza, possa considerarsi gi risolta dall'art. 103, secondo comma, della Costituzione: come invece vorrebbero -ma con prospettive opposte -sia la difesa del Banco di Napoli sia quella dei controricorrenti nel giudizio instaurato dall'ordinanza n. 825 del 1982. Per un primo verso, non sostenibile che l'art. 103,. secondo comma, abbia inteso conservare incondizionatamente alla Corte dei conti l'intera giurisdizione che le spettava nel momento dell'entrata in vigore della Carta costituzionale: al contrario, significativo che quella disposizione faccia puntuale riferimento alle sole materie di contabilit pubblica, limitandosi a menzionare genericamente le altre materie specificate dalla legge. N giova appellarsi alla sentenza n. 135 del 1975, con cui questa Corte ha bens dichiarato non fondata un'impugnativa concernente la cosiddetta giurisdizione domestica della Corte dei conti, ma ha in pari tempo avvertito come la giurisdizione stessa non sia -di per s -in contrasto con la Costituzione , pur non potendo ritenersi costituzionalizzata >>. Per il secondo verso, le considerazioni gi svolte tolgono fondamento alla tesi che la norma istitutiva della giurisdizione in esame risulti illegittima, solo perch estranea al controllo della finanza pubblica , cui la Costituzione avrebbe collegato tutte le funzioni giurisdizionali suscettibili di essere assegnate alla Corte dei conti. Il problema va invece posto su tutt'altro piano, cio domandandosi se la giurisdizione attinente al regime pensionistico dei dipendenti del Banco di Napoli faccia parte integrante di una pi ampia materia , ovvero si risolva in una attribuzione isolata e per se stante, avulsa dagli altri compiti della Corte stessa. Ma chiaro che, sotto quest'ultimo aspetto, il quesito finisce .per confondersi con quello prospettato dalla Corte di cassazione: ossia comporta appunto che si verifichi se la norma impugnata sia tuttora sorretta da un'adeguata ragione giustificativa, tale da renderla conforme al principio generale d'eguaglianza, riferito al riparto fra le varie giurisdizioni. E$senzialmente,. che l'originario fondamento della norma in questione. sia venuto meno da gran tempo, stato affermato dalla Cassa RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 62 zione mediante due distinti ordini di argomentazioni. Anzitutto, la norma stessa avrebbe perduto la propria giustificazione, riducendosi ad un dogma tralaticio , sin dal momento nel quale al Banco di Napoli stata sottratta la potest di emettere i biglietti a vista e al portatore , di cui all'art. 3 n. 1 dell'allegato T (art. 1 del r.d.l. 6 maggio 1926, n. 812). Secondariamente, nel medesimo senso varrebbe la circostanza che il Banco di Napoli deve comunque venire inquadrato -al pari delle altre aziende di credito -fra gli enti pubblici economici considerati dall'art. 2093 cod. civ.; per cui sarebbe incongrua la persistenza d'una giurisdizione pensionistica come quella propria della Corte dei conti, l dove il rapporto di lavoro dei dipendenti del Banco s' ormai privatizzato del tutto. Ma la Corte dell'avviso che la proposta questione debba essere affrontata assumendo la seconda anzich la prima delle due prospettive indicate. Fra la potest di emettere biglietti di banca e la giurisdizione in esame non pu infatti stabilirsi quel rapporto causale che le ordinanze di rimessione ipotizzano: sia perch l'emissione di biglietti di Banco, od altri titoli equivalenti, pagabili al portatore ed a vista , veniva gi regolata -in particolar modo -dall'art. 1 della legge 30 aprile 1874, n. 1920, ben prima che fosse attribuita alla Corte dei conti la funzione di cui si discute; sia perch la funzione medesima non stata mai estesa alle corrispondenti controversie fra gli impiegati e l'amministrazione della Banca d'Italia (gi istituita dalla legge 10 agosto 1893, n. 449, cui fa espresso richiamo l'art. 39 della legge n. 486 del 1895); sia, soprattutto, perch le speciali attribuzioni allora spettanti al Banco di Napoli :avrebbero se mai dovuto incidere sul rapporto di lavoro piuttosto che sul solo regime pensionistico, mentre invece nel primo di tali settori la giurisdizione ordinaria non ha subto limitazioni di sorta. Giustamente la difesa del Banco di Napoli osserva che, in origine, la vera giustificazione della norma in esame andava ricercata all'interno dell'art. 11 dell'allegato T: cio ricollegando al sesto comma, concernente la particolare giurisdizione attribuita alla Corte dei conti, il primo comma dello stesso articolo, per cui a cominciare dal 1 gennaio 1896, le pensioni, gli assegni di disponibilit e di aspettativa e le indennit di missione e di trasferta degli impiegati dei due Banchi di Napoli e di Sicilia saranno regolati dalle disposizioni vigenti per gl'impiegati dello Stato. Entrambe le previsioni, in combinato disposto, formavano e formano -come verr subito chiarito -un vero e proprio diritto singolare dei pensionati del Banco di Napoli, al confronto con la disciplina degli analoghi rapporti pertinenti agli altri istituti di credito, non soltanto privati ma anche pubblici; sicch risulta palese che fu appunto l'aggancio fra il regime pensionistico presso il Banco di Napoli ed il trattamento di quiescenza dei dipendenti statali a far considerare la Corte dei conti come il giudice PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE pi idoneo ad affrontare controversie che si presentavano omogenee rispetto a quelle ricadenti nella fondamentale giurisdizione gi esercitata dalla Corte stessa in tema di pensioni. Ma tali precisazioni consentono solo d'impostare e non di risolvere il presente problema. Resta infatti da chiarire se quell'iniziale fondamento continui a sussistere. E la Corte ritiene che al quesito occorra dare una risposta negativa. Circa la natura giuridica del Banco di -Napoli la Cassazione si ripetutamente pronunciata negli ultimi decenni, affermando che tale istituto assume appunto la veste di ente pubblico economico, sicch i suoi rapporti con i rispettivi dipendenti in servizio esorbitano dall'area del pubblico impiego e sfuggono alla cognizione dei T.A.R. e del Consiglio di Stato: donde la singolarit della giurisdizione esercitata dalla Corte dei conti, quanto ai pensionati del Banco medesimo, cui non fa riscontro -come avviene di regola -La giurisdizione amministrativa bens quella ordinaria. Ne segue, d'altronde, che il trattamento economico dei dipendenti del Banco viene integralmente definito dai regolamenti aziendali per il personale, che in larga misura recepiscono gli accordi sindacali relativi agli istituti di credito: il che determina una serie di ripercussioni inevitabili sullo stesso regime pensionistico, malgrado il ,richiamo delle norme generali che disciplinano la materia per il personale civile dello Stato, tuttora contenuto nell'art. 102 del citato regolamento del 1975. In effetti, il punto di riferimento gi fissato dall'art. 11, primo comma, dell'allegato T stato ridimensionato in un modo radicale. Presentemente, quel disposto continua a trovare applicazione, sia nel senso di precludere il cumulo dei benefici previsti per i dipendenti dello Stato con certi benefici equipollenti, propri dei dipendenti dalla generalit degli istituti di credito, sia nel senso di dare sostegno a determinate pretese dei dipendenti del Banco che non potrebbero venire soddisfatte in base al diritto comune (come nel caso delle rendite pensionistiche privilegiate, in questione nel primo dei giudizi a quibus), sia ancora nel senso di offrire lo spunto per l'approvazione di ulteriori previsioni legislative, a favore dei dipendenti medesimi (si pensi all'l.i:. 116, primo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, per cui i servizi statali... sono ricongiungibili, ai fini del trattamento di quiescenza, con il servizio reso in qualit di impiegato del Banco di Napoli o del Banco di Sicilia). Ma la Corte dei conti ha avvertito che le norme sul trattamento di quiescenza degli statali non si estendono al personale del Banco di Napoli, altro che per integrare l'apposita disciplina regolamentare interna: sicch, non soltanto l'entit delle pensioni pu ben risultare pi elevata di quella spettante ai dipendenti dello Stato, ma la stessa base pensionabile ne viene modificata, comprendendo voci che non trovano corrispondenti nelle disposizioni cui rimanda l'art. 11, primo comma, dell'allegato T. Non a ~ ~ I lI 64 RASSBGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO caso, l'art. 102 del regolamento del 1975 fa incondizionatamente salve le disposizioni particolari dettate da successivi articoli di questo Capo ,. f o contenute in altri Capi del presente Regolamento)> (il che spiega che f nell'allegato F si faccia rientrare nella base di liquidazione della pen-1 sione il premio di rendimento , accanto ad un vasto ed eterogeneo f complesso di speciali indennit). (omissis) i Ai particolari fini dell'attuale giudizio, ci basta comunque a far concludere che nell'ordinamento vigente non pi ravvisabile quel grado di omogeneit fra le pensioni in esame e le pensioni statali, che rappresentava il presupposto della giurisdizione attribuita alla Cort.e dei conti dalla norma impugnata. Pertanto, l'aver derogato alla regola della giurisdizione ordinaria si rivela ormai primo di un'adeguata ragione giustificativa e risulta in contrasto con l'art. 3 della Costituzione .. I I ! ; ~ SEZIONE SECONDA GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT EUROPEE, 26 ottobre 1983, nella causa 163/82 -Pres. Mertens de Wilmars -Avv. Gen. Rozs Commissione delle C.E. (ag. Toledano Laredo) c. Repubblica italiana (avv. Stato Ferri). Comunit europee -Lavoro -Parit di trattamento fra uomini e donne Direttiva comunitaria -Nonne nazionali di attuazione. (Direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, n. 76/207/CEE, artt. 5 e 6; I. 9 dicembre 1977, n. 903; I. 20 maggio 1970, n. 300, art. 15). Comunit europee -Lavoro -Parit di trattamento fra uomini e donne Congedo obbligatorio in caso di ingresso di bambino in famiglia adottiva. (Direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, n. 76/207/CEE, art. 5; I. 9 dicembre 1977, n. 903, artt. 6 e 7; I. 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 4). Comunit europee -Lavoro -Parit di trattamento fra uomini e donne Violazioni del principio -Rimedi giurisdizionali. (Direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, n. 76/207/CEE, art. 6; Cast., art. 24; cod. proc. civ., art. 700; I. 9 dicembre 1977, n. 903, art. 15) .La direttiva, .comunitaria vincola lo Stato membro cui rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salvo restando la competenza degli otgani nazionali. in merito alla forma e ai mezzi. Non si pu, quindi, censurare il legislatore italiano per aver adottato, -in sede di attuazione della direttiva 76/207/CEE, relativa alla parit di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, la formazione la promozione professionale e le condizioni di lavoro ~, un certo numero di disposiZioni specifiche riguardanti le condizioni di l~1Joro pi signifi<;l.t~i:e, )mitandosi, per quanto riguarda le altre condi Zioni di lavoro,. a .prevedere .una disnosizione generale, -quale. l~~rt. 15 della .legge 20 maggio 1970 n. 300, modificata dall'art. 13 della legge 9 dicembre 1977, n. 903 -; che comprende qualsiasi altra condizione di 'lvoro non menzionata espressamente (1). (1) Non di rado le leggii di recepimento di direttive assolvono alrobbligo dell'art. 1189 del Trattato CEE con una letterail.e trascrizione del testo comuni tarlo (come nel caso della legge 8 agosto 1977, n. 584, relativamente alla diret tiva sulle procedure di aggiudicazione degli appalti di opere pubbliche). Ci no:iJ. accaduto per la direttiva sulla parit uomo-donna !in materia di lavoro; e la ragione comprensibile se si considera che la nostra legislamone, prima 66 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Non costituisce una discriminazione nelle condizioni di lavoro fra uomo e donna vietata dalla direttiva 76/207/CEE la possibilit concessa alla sola madre adottiva, e non anche al padre adottivo, di avvalersi dell'astensione obbligatoria dal lavoro di cui all'art. 4, lett. c), della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, e del trattamento economico relativo, durante i primi tre mesi successivi all'effettivo ingresso del bambino nella famiglia adottiva, in quanto questa disparit giustificata dalla legittima preoccupazione di equiparare per quanto possibile le condizioni di ingresso del bambino nella famiglia adottiva a quelle dell'arrivo di un neonato nella famiglia (2). Non costituisce parziale omissione di attuazione della direttiva 72/ 207/CEE, la previsione, nella normativa italiana diretta all'attuazione della direttiva stessa, di uno specifico ricorso giurisdizionale solo in relazione ad alcune delle violazioni al principio della parit di trattamento fra uomo e donna nel campo del lavoro, considerato che, cionondimeno, contro Ze altre violazioni lo stesso ordinamento giuridico nazionale consente una efficace tutela giurisdizionale (3). (omissis) 1. -Con atto depositato nella cancelleria della Corte il 1 giugn.o 1982, la Commissione delle Comunit Europee ha proposto, ai sensi dell'art. 169 del Trattato CEE, un ricorso inteso a far dichiarare che la Repubblica italiana, nell'omettere di adottare entro il termine prescritto le disposizioni per ottemperare alla direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, n. 76/207, relativa all'attuazione del principio della parit di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, la formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro (G. U. n. L 39, pag. 40). venuta meno agli obblighi impostile dal Trattato CEE. ancora dell'intervento comuniitario; disponeva di una disciplina .generale di garanzia dei lavoratori che aveva gi affrontato il tema delle dtiscriminazioni, di modo che bastava precisare e integrare la normativa preesistente. La contestazione di inadempimento avanzata dalla Commissione, troppo formalisticamente ancorata ad un sindacato tecnico-giuridico stilla formulazione delle norme interne, giudicate a torto insufficienti ad assicurare la portata assoluta ed incondizionata del principio di pardt, ha ricevuto una giusta risposta da:11.a Corte di Giustizia che ha ritenuto un tale ordine di censure invasive della competenza esclusiva dello Stato membro circa i mezz di attua2lione, una volta che non erano dimostrate delle vere e proprie lacune della legislazione dtaliana rispetto agli obbiettivi enunciati dalla direttiva. (2) Tra fo deroghe ammesse ial principio di parit, da direttiva include le disposizoni riguardanti le donne lavoratrici che tutelano la peculiare condi2ione femminile dn rapporto alla materndt. A questa clausola si implicita ment~ richiamata la Corte giudicando della norma che accorda alla madre adottiva, e non. anche al padre adottivo, il diritto di assentarsi dal .lavoro nei PARTE I, Sl!Z . II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNA,ZIONALE 67 ' ' 2. -Gli 'artt. 5 e 6 della direttiva --che la Commissione ritiene non siano stati recepiti nell'ordinamento giuridico italiano in misura e iD. modo conforme -, recitano quanto segue: Articolo 5: 1) L'applicazione del princ1p10 della parit di trattamento per quanto riguarda le condizioni di lavoro, comprese le condizioni inerenti 'al licenziamento, -implica che siano garantite agli uomini e alle donne ie medesime condizioni, senza discriminazioni fondate sul sesso. 2) A tal fine, gli Stati membri prendono le misure necessarie affl.nch: a) siano soppresse le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative contrarie al principio della parit di trattamento; b) siano nulle, possano essere dichiarate nulle o possano essere modificate le disp0sizioni contrarie al principio della parit di trattamento cntenute nei ontratti collettivi o nei contratti individuali di lavoro, nei regolamenti interni delle imprese nonch negli statuti 'delle professioni indipendenti; e) siano riesaminate quelle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative contrarie al principio della parit di trattamento, originariamente ispirate da motivi di protezione non pi giustificati; che per le disposizioni contrattuali di analga natura, le parti sociali siano sollecitate a procedere alle opportune revisioni . L'art. 6 dispone peraltro che: Gli Sta.ti membri introducono nei rispettivi ordinamenti . giuridici interni le misure necessarie per permettere a tutti coloro che si ritengano lesi dalla mancata applicazione nei loro confronti del prin~ ipio della parit di trattamento, ai sensi degli artt. 3, 4 e 5, di far va}ere i propri diritti per via giudiziaria; eventualmente dopo aver fatto ricorso ad .altre ~stanze competenti . ptjmi tre mest dall'ingresso del bambino nella famiglia, m viia di estensione di quanto previsto, per ii tre mesi dalla nascita, a favore della madre naturale. (3) Merita di essere segnalato il rlfel"mento espresso, nella motivazione della sentenza, al!l'a.rt. 24 della CostituE.one: La Corte, accogliendo piienamente la tesi difensiva del Governo dtaliano, ha preso atto della esistenza, nel nostro ordinamento, dii una clausola generale che garantisce in ogni caso la tutela giurisdizionale dei diritti. Di conseguenza ha ritenuto irrilevante una specifica trasposizione dell'art. 6 della direttiva che esige il riconoscimento di una facolt di ricorso per tutte le violazionii del principio di parit. L'importanza della statuizione della Corte va oltre i confinii della materia controversa, essendo frequente, nelle direttive comuniital'ie che prendono. in considerazione interessi incLividuali, la previsione di un obbligo dello Stato di accordare loro tutela giudiziaria. 6 68 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 3. -La Repubblica italiana ha emanato la legge 9 dicembre 1977,. n. 903 sulla parit di trattamento fra uomini e donne in materia di lavoro. All'art. 1, la suddetta legge dispone che vietata qualsiasi discriminazione fondat sul sesso per quanto riguarda l'accesso al lavoro, indipendentemente dalle modalit di assunzione e qualunque sia il settore o il ramo d'attivit, a tutti i livelli della gerarchi professionale. La discriminazione in questione vietata anche se attuata attraverso i1 riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia o di gravidanza, o in modo indiretto, attraverso meccanismi di preselezione ovvero a mezzo . . stampa o con qualsiasi altra forma pubblicitaria che indichi come requisito professionale l'appartenenza all'uno o all'altro sesso. Il divieto si applica anche alle iniziative in materia di orientamento, formazione, perfezionamento e aggiornamento professionale, per quanto concerne sia l'accesso sia i contenuti. 4. -L'art. 2 stabilisce che a lavoratrice ha diritto alla stessa retribziore del lavoratore quando le prestazioni richieste siano uguali o di pari valore. I sistemi di classificazione professionale ai fui.i della determinazione delle retribuzioni debbono adottare criteri comuni per uomini e donne. 5. -L'art. 3 vieta qualsiasi discriminazione fra uomini e donne per quanto riguarda l'attribuzione delle qualifiche, delle mansioni e la progressione nella carriera. Le assenze dal lavoro, previste dagli artt. 4 e 5 <;I.ella legge 30 dicembre 1971, n. 1204, sono considerate, ai fini della progre~ sione nella carriera, come attivit lavorativa, quando i contratti collettivi non richiedano a tale scopo particolari requisiti. 6. -L'art. 4, 1 comma, stabilisce che anche se le lavoratrici sono in possesso dei requisiti per aver diritto a~la pensione di vecchiaia, esse possono optare di continuare a prestare 1a loro opera sino .agli stessi limjt.i di et previsti per gli uomini. Gli altri commi del suddetto articolo recano altre disposizioni che non neessario richiamare ai fini della presente sentenza. 7. -La Commissione del parere, anzitutto, che la legge n. 903 recepisca nell'ordinamento giuridico italiano le disposizioni di cui ail'a. rt. 5 della direttiva in modo e in misura non conformi allo spirito ed alla lettera della direttiva. La legge considera talune condizioni di t lavoro, quali la retribuzione, l'et di pensionamento e il diritto di assen 1: tarsi dal lavoro in caso di adozione, ma non tutte le condizioni di lavoro, 1: i: (. malgrado il carattere molto pi ampio delle disposizioni di cui all'art. 5 i della direttiva. f ~ i 1 i t f PARTE I, SllZ. II, GIURIS. COMUNITARiA E INTERNAZIONALE 69 8. -Il Governo della Repubblica italiana replica, che esaminando le disposizioni della legge n. 903 summenzionata, risulta che vietata qualsiasi discriminazione fondata sul sesso per quanto riguarda l'accesso al lavoro, l'orientamento, la formazione, il perfezionamento e l'aggiornamento professionale (art. 1), la retribuzione e i sistemi di classificazione professionale ai fini della determinazione delle refribuzioni (art. 2), l'attribuzione delle qualifiche, delle mansioni e la progressione della carriera (art. 3), l'et del pensionamento (art. 4) e il diritto di astenersi dal lavoro in determinati casi (art. 6). Il Governo della Repubblica ita liana aggiunge che l'art. 15 della legge 20 maggio 1970, n. 300, stato modificato dall'art. 13 della legge n. 903 del 1977 in modo da stabilire la nullit dei patti o atti diretti a fini di discriminazione di sesso in materia di licenziamento di un lavoratore o tali da recargli altrimenti pregiudizio. 9. -Occorre ricordare che ai sensi dell'art. 189 del Trattato CEE, la direttiva vincola lo Stato membro cui rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salvo restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi. Non si pu quindi censurare il legislatore italiano per aver adottato un certo numero di disposizioni specifiche riguardanti le condizioni di lavoro pi significative, limitan"' dosi, per quanto riguarda le altre condizioni di lavoro, a prevedere una disposizione generale, l'art. 15 della legge 1970, modificata dall'art. 13 della legge 1977, che comprende qualsiasi altra condizione di lavoro non menzionata espressamente, salvo dimostrare che l'obiettivo voluto dalla direttiva non stato effettivamente raggiunto. 10. -Poich la Commissione non ha dimostrato che il combinato disposto di queste norme specifiche, completato da una norma generale, lascia persistere lacune .per quanto riguarda il campo d'applicazione della direttiva, il primo mezzo della Commissione non pu. essere accolto. 11. -La Commissione, in secondo luogo, sostiene che la legge de] 1977 prevede per la madre che ha adottato un bambino di et inferiore ai 6 anni al momento dell'adozione, il diritto di beneficiare del congedo ol;>bligatorio di 3 mesi e del relativo trattamento economico, a decorrere dall'ingresso effettivo del bambino nella famiglia adottiva, e del diritto di assentarsi dal lavoro per un determinato periodo, senza per concedere gli stessi diritti al padre adottivo. Questa disparit di trattamento costituisce una discriminazione nelle condizioni di lavoro ai sensi della direttiva. 12. -L'art. 6 della legge n. 903 del 1977 stabilisce che le lavoratrid che abbiano adottato bambini, o che li abbiano ottenuti in affidamento 70 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO preadottivo possono avvalersi, semprech in ogni caso il bambino non abbia'. superato al momento dell'adozione o dell'affidamento i 6 aruii di et, dell'astensione obbligatoria dal lavoro di cui all'art. 4, lett. c), della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 e del trattamento economico relativo durante i primi 3 mesi successivi all'effettivo ingresso del bambino nella famiglia adottiva o affidataria. Il 2 comma del suddetto articolo aggiunge che le stesse lavoratrici possono altres avvalersi del diritto di assentarsi dal lavoro di cui all'art. 7, 1 comma, della legge di cui sopra, entro un anno dall'effettivo ingresso del bambino nella famiglia e semprech il bambino non abbia superato i 3 anni di et, nonch del diritto di assentarsi dal lavoro previsto dal 2 comma dello stesso art. 7. 13. - La,. legge 30 dicembre 1971, n. 1204 stabilisce, all'art. 4, il divieto di adibire le donne al lavoro: a) durante i 2 mesi precedenti la data presunta del parto; b) se il parto avviene dopo quest data, durante il periodo tra la data presunta e la data effettiva del parto; e) durante i tre mesi successivi al parto. 14. -L'art. 7 della stessa legge prevede, dopo il congedo di m ternit summenzionato, il diritto della lavoratrice di assentarsi dal lavoro, . per un ulteriore periodo di 6 mesi entro il primo anno di vita del bambino, durante il quale le conservato il suo posto di lavoro .(1 comma). Essa ha anche il diritto di assentarsi dal lavoro durante le malattie del bambino di et inferiore a 3 anni, su presentazione di UI] c~rtificato medico (2 comma). 15. .....: L'art. 7 della legge n. 903 del 1977 stabilisce che il diritt> di assentarsi dal lavoro previsto dall'art. 7 della legge n. 1204 del 1971 ~ ,riconc;>&ciuto anche al padre lavoratore, anche se adottivo o affidatario ai sensi dell'art. 314/20 del Codice civile, in alternativa alla madre lavoratrice ovvero quando i figli siano affidati al solo padre. , . 16. -Il padre adottivo non fruisce invece del diritto concesso alla madre adottiva di beneficiare del congedo di maternit durante i primi 3 ... t.e&i successivi all'effettivo ingresso del bambino nella famiglia adottiva.. Come afferma con ragione la Repubblica italiana, questa disparit giustificata dalla legittima preoccupazione di equiparare per quanto possibile le condizioni d'ingresso del bambino nella famiglia adottiva a quelle dell'arrivo di un neonato nella famiglia, durante questo periodo tanto delicato. Per quanto riguarda l'astensione dal lavoro dopo il pe PARm I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA B INTBRNAZIONALB 71 riodo iniziale di 3 mesi, il padre adottivo gode degli stessi diritti della madre adottiva. 17. -Ci premesso, la disparit di trattamento censurata dalla Commissione non pu essere considerata una discriminazione ai sensi della direttiva. 18. -L'ultimo addebito della Commissione riguarda la presunta omissione da parte della Repubblica italiana di attuare l'art. 6 della direttiva. La Commissione precisa che l'art. 15 della legge n. 903 del 1977 limita il sistema di ricorsi ivi previsto alle sole discriminazioni che violano le disposizioni di cui agli artt. 1 e 5 della stessa legge, non prevedendo la possibilit di ricorso giurisdizionale per il lavoratore che si ritenga leso dall'inosservanza di altre disposizioni della direttiva. 19. -Il Governo della Repubblica italiana replica che la procedura di cui all'art. 15 della legge n. 903 una procedura d'urgenza, ma sottolinea che nella direttiva nessuna disposizione prevede la necessit di una siffatta procedura per tutti i casi di discriminazione. L'art. 700 del Codice di procedura civile, norma a portata assolutamente generale, consente di ottenere d'urgenza, prima di iniziare la causa di merito, i provvedimenti necessari per evitare un pregiudizio irreparabile. Questa norma pu essere fatta valere in tutti i campi d'applicazione della direttiva non contemplati dall'art. 15 della legge n. 903. 20. -Inoltre l'art. 24 della Costituzione italiana stabilisce che tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi. Questo dettato costituzionale ha una diretta applicazione, costante e consolidata, nel senso che, constatata l'esistenza di una norma sostanziale che protegge un interesse individuale, non occorre alcuna altra speciale statuizione normativa che munisca detto interesse di tutela giudiziaria, derivando essa, in modo generale ed assoluto, dall'art. 24 della Costituzione. I lavoratori discriminati possono quindi invocare il suddetto dettato costituzionale per esigere il rispetto delle prescrizioni della legge n. 903 mediante ricorso al giudice. 21. -La Commissione non ha contraddetto le spiegazioni fornite dal Governo della Repubblica italiana. Ci premesso, questo mezzo non pu essere accolto. 22. -Poich nessuno degli addebiti mossi dalla Commissione stato accolto, il ricorso dev'essere respinto. (omissis) RASSEGNA. DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ORTE PI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT EUROPEE, 30 novembre 1983, nella causa 227/82 -Pres. Galmont -Avv. Gen. Rozs -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall'Arrondissementsrechtbank di Amsterdam nella causa penale c. Leendert van Bennekom (avv.ti Bouman e Barbas) -Interv.: Governi dei Paesi bassi (ag. Italianer), della Rep. fed. di Germania (ag. Seidel e Roder), italiano (avv. Stato Braguglia) e danese (ag. Mikaelsen) e Commissione della C.E. (ag. Haagsma). Comunt europee -Armonizzazione delle legislazioni -Nozione di medicinali -Preparati farmaceutici. (Direttiva CEE del Consiglio 26 gennaio 1965, n. 65/65). Comunit europee -Libera circolazione delle merci -Misure restrittive all'importazione -Tutela della salute -Limiti -Vitamine. (Trattato CEE, artt. 30 e 36; direttiva CEE del Consiglio 26 gennaio 1965, n. 65/65). Sostanze come i preparati a base di vitamine di cui causa, che non siano espressamente indicate o raccomandate come atte a guarire, curare o prevenire affezioni, possono cionondimeno essere sostanze presentate come aventi propriet curative o profilattiche delle malattie umane o animali?> ai sensi della d,efinizione comunitaria di medicinale di cui alla direttiva n. 65/65. Se il prodotto non rientra n nella prima n nella seconda parte della definizione comunitaria di medicinale, esso non pu essere considerato un medicinale ai sensi della direttiva n. 65/65. La classificazione di una vitamina fra i medicinali ai sensi della seconda definizione data della direttiva n. 65/65 va effettuata caso per caso, in base alle propriet farmacologiche di ciascuna di esse, secondo quanto appurato allo stadio attuale delle conoscenze scientifiche (1). Qualora taluni preparati a base di una o pi vitamine: a) si possano considerare medicinali ai sensi della direttiva n. 65/65, ma non (l) Ag1i occhi del consumatore equivalente che una propriet curativa o profilattdoa venga espressamente indicata o dichiarat,a, ovvero che essa oggettivamente Disulti dal modo di presentazione, e quindi di somministrazione, di una sostanza. Se una sostanza viene presentata sotto forma, ad esempio, di fiale da iniettare, di supposta, di capsula, questo modo di preserva:itlone, oggettivamente considerato insieme alle indicazioni di composiziione e di dosaggio, porta necessariamente a ritenere che a queUa sostanza stata attr.buita una propriet terapeutica. naturale, quindi, che debba rientmre nena nozione di medicinale (con tutte le conseguenze di cui alla direttiva CEE del Consiglio 26 gennaio 1%5, n. 65/65) non soltanto La sostlanza dichiarata o indicata come avente propriet curative o profilattiche, ma anche la sostanza la quale, per il modo !in cui viene presentata oggettivamente e, quindi, per il modo in cui deve essere somministrata, induca. necessariamente a ritenere che abbia propriet curative o profilatmche. PARTE I, SBZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 73 siano compresi nella normativa sui medicinali di uno o pi Stati membri, oppure b) non rientrino nella definizione comunitaria di medicinale, la legge di uno Stato membro pu vietare la vendita o la detenzione in deposito ai fini della vendita di pnparati del genere importati da un altro Stato membro, in particolare se essi sono in presentazione farmaceutica ed hanno forte concentrazione. Tuttavia, siffatta disciplina giustificata solo se vengono concesse autorizzazioni di vendita ogni volta che siano compatibili con le esigenze della tutela della salute (2). (omissis) 1. -Con sentenza 12 maggio 1982, pervenuta alla Corte il 1 settembre 1982, l'Arrondissementsrechtbank di Amsterdam ha sollevato, a norma dell'art. 177 del Trattato CEE, varie questioni pregiudiziali vertenti sull'interpretazione della direttiva del Consiglio 26 gennaio 1965, n. 65, per il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative relative alle specialit medicinali (G.U. 9 febbraio 1965, pag. 369), e degli artt. 30-36 del Trattato CEE, al fine di decidere sulla compatibilit col diritto comunitario della Wet op de geneesmiddelenvoorziening (legge olandese sull'approvvigionamento dei medicinali). 2. -Le questioni venivano sollevate nell'ambito di un procedimento penale a carico del sig. van Bennekom, imputato. nei Paesi Bassi di aver detenuto per la vendita, in trasgressione della suddetta legge olandese, grandi quantit di preparati a base di una o pi vitamine. (2) Gi in numerose sentenze (cfr. da ultimo la sentenza, citata in motivazione, 114 luglio 11983, nclla causa 174/82, SANOOZ, pubblicata in questa Rassegna, 1983, I, 840, con nota, e, prima, quelle indicate nella notla stessa) fa Corte ha precisato che, se vero che gli articoli 30 e 34 del trattato vietano qualsiasi restrizione quantitativa o misura df effetto equivalente nel commercio fra Stati membri, non men vero che gli ostacoli per la circolazione intracomunitaria derivanti dalle disparit del:le norme nazionali relative a!llo smercio dei prodotti 1 sono consentite dall'art. 36 del trattato, qualora le norme sottese agli ostacoli stessi si!ano giustificate da motivi, tra l'altro, di tutela della salute delle persone: sempre che, naturalmente, ! divieti o le restrizioni di cui trattasi non costituiscano un mezzo di discriminazione arbitraria, n una restrdzione dissimulata al commercio fra gli Stati membri. In mancanza di nonne di armoniz2iazione, spetta agli Stati membri stabilire il grado di tutela della salute e della vita delle persone che essi iintendono garantire. La difficolt e Je incertezze inerenti alla valutazione del livello necessario nei singoli oasi per garantire la salute e le diver,sit delle situazioni di fatto esistenti nei diversi paesi possono spiegare la ma.ncanza di uniformit delle leggi nazionali degli Stati membri e l'esistenm in alcuni di mdsure pi rigorose che in altri. L'art. 36 del trattato riconosce agli Stati membri il potere di fissare discre 1 zionalmente le misure che essi ritengono necessarie per la protezione della salute delle persone: anche ricorrendo, per raggiungere lo scopo, a mezzi impe 74 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 3. - pacifico che si trattava essenzialmente di preparati in pre sentazione farmaceutica (compresse, pillole e capsule) fortemente con centrati. 4. -A norma dell'art. 3, n. 5, lett. b), della Wet op geneesmiddelenvoorziening i medicinali possono essere messi in commercio solo previa registrazione da parte dell'autorit competente. I produttori, importatori o grossisti devono inoltre avere l'autorizzazione per produrre, i~portare o commerciare all'ngosso i medicinali. 5. -L'obbligo di registrazione e l'autorizzazione sono del pari contemplati dalle norme comunitarie relative al ravvicinamento delle disposizioni legislative sulle specialit medicinali. 6. -Il van Bennekom, imputato di aver trasgredito i due suddetti obblighi, si difendeva dinanzi al giudice olandese sostenendo che i preparati di cui trattasi non sono medicinali, bens alimenti ai sensi tanto della legge olandese, quanto della summenzionata direttiva n. 65/65'. 7. -La Wet op geneesmiddelenvoorziening intende per medicinale: qualsiasi sostanza o composto di sostanze, che destinato ad essere usato per o in qualche modo viene indicato o raccomandato come atto a: 1) curare, alleviare o prevenire determinate affezioni, malattie, sintomi, dolori, lesioni o deficienze dell'uomo; ditivi degli soambi comunitari; purch essi siano necessari alla tutela perseguita e non costituiscano una restrizione dissimulata agld scambi stessi. Di conseguenza deve ritenersi che un siffatto potere discreziona!le esercitato da uno Stato non possa avere effetto che nelllo Stato stesso e non possa vincolare, viceversa, gli altri Stati, che altrimenti sarebbero corrispondentemente spogldati del potere attribuito loro dalla norma del trattato e tenuti a uniformare le loro normative in materia sanitaria a quelle dello Stato che ha adottato sul punto la disposizione meno restdttliva. Si avrebbe, in pratica, una vera e propria deviazione della finalit perseguita dalla norma comunitaria che, anzich consentire una diversit di disciplina in fun2Ji.one delle diverse esigenze dei singoli Stati {si pensi alle diverse condizioni ambientali e climatiche e alle diverse abitudini alimentari), verrebbe a porsi come lo strumento per pervenire ad una armonizzai.ione al livello della normativa nazionale meno restrittiva. Quel che ia normativa comunitaria certamente non consente una discri minazione palese o dissimulata o lna misura che comunque voglia impedire lo scambio dntercomunitario; ma non impedisce certamente che ciascuno Stato imponga determinati requisiti allo smercio dei prodotti senza alcuna distinzione fra quelli na2Ji.onali e quelli importati, per esigenze di tutela della salute ragdonevolmente valutate. Ammettere che il prodotto importato sia esonerato dagli obblighd imposti dalla normativa .sanitaria interna, che continuerebbero a grvare invece Sul prodotto nazionale, significherebbe creare un privilegio per il prodotto importato, che non trova alcuna logica nello spirito del trattato. I ! ! ! I PARm I, SEZ. II, GI1;1RIS. ~MUNlT.\JUA B INJ:BRNAZIONALB 2) ripristinare, stimolare o modificare il. funzionamento dell'organismo umano; 3) elaborare una diagnosi clinica mediante somministrazione o applicazione all'uomo . 8. -La direttiva del Consiglio n. 65/65 intende per medicinale anzi tutto ogni sostanza o composizione presentata come avente propriet curative o profilattiche delle malattie umane o animali . Ogni sostanza o composizione da somministrare all'uomo o all'animale allo scopo di stabilire una diagnosi medica o di ripristinare, correggere o modificare funzioni organiche dell'uomo o dell'animale altres considerata medicinale . 9. -Adito in grado d'appello, l'Arrondissementsrechtbank di Amsterdam, ritenendo necessaria l'interpretazione delle norme comunitarie, sospendeva il procedimento e sottoponeva alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: 1) Se le sostanze semplici o composte come i preparati di vitamine in concentrazioni e dosi determinate e nella forma (compresse, pillole e capsule) di cui trattasi nella presente causa, che non siano state indicate o raccomandate come atte a curare o prevenire affezioni, malattie o sintomi di malattia, dolori ferite o deficienze dell'uomo, siano sostanze semplici o composte presentate come aventi propriet curative o profilattiche delle malattie umane o animali. 2) Se una sostanza semplice o composta, quale i preparati a base di una o pi vitamine su cui verte la presente causa, che possa avere propriet curative o profilattiche delle malattie umane o animali, ma che non sia presentata come tale e non possa venir somministrata a persone o ad animali allo scopo di effettuare una diagnosi medica o di ripristinare, correggere o modificare funzioni organiche dell'uomo o dell'animale, possa essere un " medicinale " ai sensi della direttiva. 3a) Una volta ammesso che vitamine, in una determinata bassa concentrazione, sono destinate a servire come alimento e non come medicinale, anche se sono messe in commercio sotto forma di compresse, pillole o capsule, se una alta (o maggiore) concentrazione delle stesse vitamine, pur se non nella stessa forma, sia sufficiente a far definire la sostanza come medicinale ai sensi della direttiva. 3b) In caso affermativo, in base a quali criteri si possa accertare questo fatto. 4) Se il diritto olandese possa vietare la -o possa venir applicato mediante sanzioni penali alla -vendita o detenzione in deposito per la vendita di vitamine e di preparati di vitamine tramite una definizione tanto ampia di "medicinale" (come quella che figura nella legge olan RAsi;EGNA DELL11,vvoc~TURA DELLO STATO 76 dese sull'approvvigionamento dei medicinali) che vi rientrano i preparati pur se non sono medicinali -in quanto sostanze semplici o com7 poste -:-ai sensi della direttiva. 5) Qualora la direttiv consenta di considerare i preparati a base di una o pi vitamine come medicinali, ma la direttiva o la normativa nazionale di uno o pi Stati membri che su di essa si fonda sia redatta, interpretata o applicata in modo che questi preparati esulano ivi dalla sfera d'applicazione della legislazione sui medicinali, se il diritto olandese possa opporsi alla vendita o alla detenzione in deposito per la vendita di prodotti di questo tipo, importati da altri Stati membri, in forza della legge olandese sull'approvvigionamento dei medicinali o delle norme adottate per la sua attuazione, oppure ci sia incompatibile con il Trattato, in ispecie con l'art. 30 e con il divieto di limitare gli scambi tra Stati membri. 6) Qualora la soluzione d~lle precedenti questioni faccia concludere che la. definizione di medicinale figurante nella legge olandese comprende -in contrasto con la definizione della direttiva comunitaria i preparati a base di vitamine di cui trattasi, con il che essi sono soggetti all'obbligo di registrazione di cui sopra, al pari delle specialit farmaceutiche e dei preparati farmaceutici, se la normativa olandese si debba per questo considerare una misura di effetto equivalente ad una restrizione quantitativa ai sensi dell'art. 30 e segg. del Trattato CEE, tenuto conto del fatto che la direttiva comunitaria disciplina solo le specialit farmaceutiche. 10. - bene anzitutto osservare che non spetta alla Corte, nell'ambito dell'art. 177 del Trattato, pronunciarsi sulla compatibilit col Trattato di una legge interna; essa pu, tuttavia, indicare al giudice nazionale tutti i criteri d'interpretazione del diritto comunitario che possano consentirgli di decidere in proposito. 11. -Nel merito va sottolineato che la direttiva n. 65/65 costituisce solo la prima fase nell'armonizzazione delle normative nazionali relative alla produzione ed alla distribuzione dei prodotti medicinali. 12. -La direttiva ha un ambito d'applicazione limitato alle spe cialit medicinali, definite come medicinali precedentemente preparati, immessi in commercio con una denominazione speciale ed in una confezione particolare. D'altra parte, i medicinali vengono definiti come sostanze , oggetto a loro volta di definizioni pi precise. Infine l'art. 2 limita l'ambito d'applicazione della direttiva alle specialit medicinali per uso umano e destinate ad essere messe in commercio negli Stati PARIB I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 13. -A proposito degli elementi tecnici della definizione di medi<:inale di cui alla direttiva n. 65/65, la Corte pu solo fornire alcune indicazioni generali che permettano di stabilire la linea di demarcazione fra medicinali ed alimenti. 14. -La direttiva n. 65/65 ha lo scopo di eliminare -almeno in parte -gli ostacoli negli scambi delle specialit medicinali all'interno della Comunit, pur perseguendo il fine essenziale di salvaguardare la salute pubblica. T1ale armonizzazione deve altres consentire di rendere gradualmente inutile il ricorso all'art. 36 del Trattato CEE. 15. -Alla luce di queste considerazioni vanno risolte anzitutto le prime tre questioni sollevate dall'Arrondissementsrechtbank di Amsterdam, le quali vertono sull'interpretazione della direttiva, e in un secondo tempo -in via subordinata -qualora i preparati a base di vitamine di cui causa non rientrino nella direttiva, le questioni relative agli artt. 30 e segg. del Trattato. La prima questione. 16. -Con la prima questione si chiede sostanzialmente alla Corte se prodotti del tipo dei preparati a base di vitamine di cui causa, che non siano espressamente indicati o raccomandati come atti a guarire, curare o prevenire affezioni, possano ugualmente essere sostanze presentate come aventi propriet curative o profilattiche delle malattie umane o animali ai sensi della definizione comunitaria di medicinali contenuta nella direttiva n. 65/65. 17. -Onde risolvere tale questione, va osservato che, basandosi nella prima definizione comunitaria di medicinale sul criterio della presentazione del prodotto, la direttiva tende ad includere non solo i medicinali che hanno veri e propri effetti terapeutici e medicinali, ma anche i prodotti non abbastanza efficaci o che non sortirebbero gli effetti che i consumatori hanno il diritto di aspettarsi data la loro presentazione. La direttiva volta quindi a preservare i consumatori non solo dai medicinali dannosi o tossici come tali, ma nche dai vari prodotti usati in luogo dei rimedi adeguati. Pertanto la nozione di presentazione di un prodotto va interpretata in senso estensivo. 18. -Si deve quindi ritenere che un prodotto presentato come avente propriet curative o profilattiche ai sensi della direttiva n. 65/65 non solo quando espressamente indicato o raccomandato come tale, eventualmente mediante etichette, note o la presentazione orale, ma anche ogniqualvolta appare, anche implicitamente, ma con certezza, 78 :l.SSBGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO agli occhi del consumatore medio che tale prodoto -stando alla sua presentazione -dovrebbe avere gli .effetti descritti dalla prima definizione comunitaria. 19. -In particolare, la forma esterna del prodotto di cui causa compresse, pillole o capsule -pu costituire sotto questo aspetto un indizio attendibile dell'intenzione del venditore o del fabbricante di metterlo in commercio come medicinale. Tale indizio non pu per essere esclusivo e determinante, se non si vogliono comprendere taluni prodotti alimentari tradizionalmente presentati in forme analoghe a quelle di prodotti medicinali. 20. -La prima questione va quindi risolta nel senso che sostnze come i preparati a base di vitamine di cui causa, che non siano espressamente indicate o raccomandate come atte a guarire, curare o prevenire affezioni possono cionondimeno essere sostanze presentate come aventi propriet curative o profilattiche delle malattie umane o animali ai sensi della definizione comunitaria di medicinale di cui alla direttiva n. 65/65. La seconda questione. 21. -La seconda questione tende ad accertare se una sostanza che possa avere propriet curative o profilattiche delle malattie umane o animali, ma che non sia presentata come tale e non possa venir somministrata a persone o ad animali allo scopo di effettuare una diagnosi medica o di ripristinare, correggere o modificare funzioni organiche dell'uomo o dell'animale, rientri comunque nella definizione di medicinale ai sensi della direttiva n. 65/65. 22. -Va ritenuto in proposito che una sostanza con propriet curative o profilattiche delle malattie umane o animali, ai sensi della prima definizione comunitaria, non presentata per come tale, rientra in linea di massima nell'ambito d'applicazione della seconda definizione comunitaria di medicinale. 23. -Viceversa, il prodotto che non rientri n nella prima, n nella seconda parte della definizione comunitaria di medicinale non pu essere considerato un medicinale ai sensi della direttiva n. 65/65. La terza questione. 24. -Con la terza questione il giudice proponente, partendo dal- l'ipotesi che le vitamine poco concentrate possono essere considerate alimenti, chiede essenzialmente se una maggiore concentrazione debba PARTE I, SEZ, II, GURIS~ cOMUNITARIA INTERmzlONALB T9 farle ritenere medicinali ai sensi della direttiva ed. iri' base a quali criteri. 25. -La soluzione della questione deve consentire al giudice nazionale di valutare il peso del criterio della concentrazione nello stabilire se una vitamina rientri nella seonda definizione comunitaria di medicinale. 26. -Le vitamine, poich vengono definite di solito come sostanze indispensabili in minime quantit all'alimentazione quotidiana ed al buon funzionamento dell'organismo, non possono -come regola generale -essere considerate medicinali quando sono prese in piccola quantit. 21. - del pari pacifico che i preparati a base di una o pi vitamine vengono talyolta usati, di solito in forti dosi, a scopi terapeutici contro talune malattie nelle quali la carenza vitaminica non la c;msa morbosa. In casi del genere incontestabile che tali preparati a base di vitamine costituiscono. dei medicinali. 28. -Dal fascicolo e dal complesso delle osservazioni presentate alla Corte si desume tuttavia che impossibile, nello stato attuale della scienza, stabilire se il criterio della concentrazione possa, da solo, essere sempre sufficiente a far ritenere che un preparato a base di vitamine costituisce un medicinale e, a maggior ragione, precisare da quale grado di concentrazione un preparato del genere rientri nella dfinizione comu nitaria di medicinale. 29. - pertanto opportuno risolvere la questione nel senso .he la classificazione di una vitamina fra. i medicinali ai sensi della seconda definizione data dalla direttiva n. 65/65 va effettuata caso per caso, in base alle propriet farmacologiche di ciascuna di esse, quali sono state accertate nello stato attuale delle conoscenze scientifiche. La quarta, la quinta e la sesta questione. 30. -Con la quarta, la quinta e la sesta questione si chiede, essen 2ialmente, se qualora certi preparati a base di una o pi vitamine a) si possano considerare medicinali ai sensi della direttiva n. 65/65, ma non siano compresi nella normativa sui medicinali di . uno o .pi Stati membri, oppure b) non rientrino nella definizione comunitaria di medicinale, la legge di uno degli Stati membri possa ancora vietare la vendita o la .detenzione in deposito ai fini della vendita, di preparati del genere importati da un altro Stato membro. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 80 31. -Si desume in proposito dall'ultimo considerando della direttiva n. 65/65 che questa mira solo a realizzare il progressivo ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri in materia. Pertanto, pur cercando di ridurre al minimo gli ostacoli per gli scambi nell'ambito della Comunit per i prodotti considerati, essa non esclude per questo che i prodotti che non ricadono sotto le sue disposizioni siano sottoposti dagli Stati membri ad un regime restrittivo Cli vendita o di messa in commercio purch siano osservate le altre disposizioni di diritto comunitario. 32. -A norma dell'art. 30 del Trattato, sono vietate nel commercio fra gli Stati membri le restrizioni quantitative all'importazione nonch qualsiasi misura d'effetto equivalente. Secondo la giurisprudenza della Corte; vanno considerate misure d'effetto equivalente a restrizioni quantitative tutte le normative commerciali degli Stati membri atte ad ostacolare direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, il commercio nell'ambito della Comunit. 33. -In tale prospettiva, evidente che costituisce una misura d'effetto equivalente ad una restrizione quantitativa all'importazione, ai sensi dell'art. 30 del Trattato CEE, la normativa che vieti, salvo la previa registrazione amministrativa, la vendita di vitamine e di preparati a base di vitamine, in quanto disposizioni del genere sono atte ad ostacolare il commercio fra Stati membri. 34. -Tuttavia, a norma dell'art. 36 del Trattato, le disposizioni degli artt. 30-34... lasciano impregiudicati i divieti o . restrizioni all'importazione... giustificati da motivi... di tutela della salute e della vita delle persone che non costituiscano un mezzo di discriminazione arbitraria, n una restrizione dissimulata al commercio tra gli Stati membri. 35. -Solo allorch, in applicazione dell'art. 100 del Trattato, direttive comunitarie dispongono. la armonizzazione dei provvedimenti neces sari per garantire la tutela della salute animale ed umana e approntano procedure comunitarie di controllo della loro osservanza, il ricorso all'art; 36 perde la sua giustificazione. Ora; pacifico che ci hon avviene nel caso delle direttive sui medicinali. Occorre quindi esaminare se provvedimenti che limitano la vendita di vitamine possano essere giustificati dall'art. 36 del Trattato. 36. -Come la Corte ha avuto occasione di dichiarare nella sentenza 14 luglio 1983 (Sandoz, 174/82, non ancora pubblicata) il consumo eccssivo di vitamine per un pei-iodo prolungato pu avere effetti nocivi la cui gravit dipende dal tipo: le vitamine liposolubili rischian PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE in via generale di essere pi nocive cii quelle idrosofobili. Risulta inoltre che le vitamine costituiscono un rischio reale per la salute soprattutt in forte concentrazione. Tuttavia, dalle osservazioni presentate alla Corte si desume che la ricerca scientifica non ancora abbastanza avanzata per poter determinare con certezza le quantit e le concentrazioni critiche nonch gli effetti precisi. 37. -Ora, secondo la costante giurisprudenza della Corte, poich nello stato attuale della ricerca scientifica rimangono delle incertezze, spetta agli Stati membri, in mancanza d'armonizzazione, decidere in quale misura intendano garantire la tutela della salute e della vita delle persone, pur tenendo conto delle esigenze della libera circolazione delle merci nell'ambito della Comunit. 38. -Questi principi valgono pure per le sostanze del genere delle vitamine le quali non sono in via generale nocive di per s, ma possono produrre effetti nocivi particolari in caso di consumo eccessivo. Date le incertezze inerenti; alla valutazione scientifica, la disciplina nazionale che ai preparati a base di una o pi vita_IIline in presentazione farmaceutica in forte concentrazione applichi le procedure di cui alla direttiva n. 65/65 pertanto, nel suo principio ispiratore, giustificata, ai sensi dell'art. 36 del Trattato, da motivi di tutela della salute umana, anche se gli Stati membri hanno adottato in proposito soluzioni diverse. 39. -Tuttavia il principio di proporzionalit che costituisce il fondamento dell'ultimo inciso dell'art. 36 del Trattato esige che la facolt degli Stati membri di vietare le importazioni dei prodotti di cui trattasi da altri Stati membri sia limitata a ci che necessario per conseguire gli scopi di tutela della salute legittimamente perseguiti. La normativa nazionale che contempli un divieto del genere quindi giustificata solo se le autorizzazioni di vendita sono concesse ogni volta che siano compatibili con le 'esigenze della tutela della salute. 40. -Spetta in proposito alle autorit nazionali dimostrare, in ciascun caso, che la loro normativa necessaria per proteggere effettiva mente gli interessi consider.ati dall'art. 36 del Trattato e soprattutto che la vendita del prodotto di cui trattasi crea un rischio effettivo per la salute pubblica. 41. -Le questioni sollevate dal giudice nazionale vanno pertanto risolte nel senso che, qualora taluni preparati a base di una o pi vitamine: a) si possano considerare medicinali ai sensi della direttiva n. 65/65 ma non siano compresi nella normativa sui medicinali di uno o pi Stati membri, oppure; 8 RASSEGNA DELt'AVVocATURA DELW STATO b) non rientrino nell definizione comunitaria di medicinale, la legge di uno Stato membro pu vietare la vendita o la detenzione in deposito ai fini della vendita di preparati del genere importati da un altro Stato membro, in particolare se essi sono in presentazione farmaceutica ed hanno forte concentrazione. Tuttavia, siffatta disciplina giustificata solo se vengono concesse autorizzazioni di vendita ogni volta che siano compatibili con le esigenze della tutela della salute. (omissis) SEZIONE TERZA GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 15 ottobre 1983, n. 6051 -Pres. Gambogi -Rel. Chiavelli -P. M. Sgroi -Pezzilli (avv. Pennacchio) c. Ente di Sviluppo in Puglia e Lucania (avv. Stato Zotta). Procedimento civile -Ricorso principale nel merito -Ricorso incidentale condizionato -Questioni pregiudiziali di rito o di merito -Ammissibilit. Impiego pubblico -Requisiti pecessari -Natura pubblicistica dell'Ente datore di lavoro -Inserimento reale nell'apparato organizzativo del l'Ente -Obbligo atto formale di nomina -Non sussiste. ammissibile il ricorso incidentale condizionato allo accoglimento di ricorso principale concernente il merito della causa, ancorch con tale impugnazione condizionata venga riproposta una questione di carattere pregiudiziale di rito o di merito (1). Ai fini della identificazione di un rapporto di pubblico impiego, requisiti necessari e sufficienti sono la natura pubblicistica dell'Ente datore di lavoro ed il concreto inserimento del lavoratore nell'apparato organizzativo dell'Ente, inserimento non necessariamente risultante da un atto formale di nomina o da uno scritto equipollente, bens da una qualsivoglia manifestazione di univoca volont dell'Ente di attuare l'in serimento stesso, ivi compresi anche meri comportamenti concludenti a ci idonei (2). (omissis) Il ricorso ammissibile. Anzitutto, il ricorso stesso risulta proposto tempestivamente in data 28 dicembre 1976, nel termine lungo, avverso la sentenza suindicata non notificata; ed inoltre ammissibile sotto il profilo dell'interesse, verificandosi la condizione cui esso stato sottoposto e, cio, la fondatezza del ricorso principale. (1) Giurisprudenza ronsolidata (cfr. Sez. Un. U aprile 1960 n. 826). (2) Trova conferma, in specie, l'orientamento malllifostato negli ultimi anni dalle Sezioni Unite, caratterizzato da un minor rigor.e circa Ja necessit del l'atto formale di nomina ai fini deHa qualifoa:l'Jone del vapporto di pubblico impiego. V. al riguardo Cass. 12 giugno 1979 n. 3298; Cass. 26 maggio 1979 n. 3070; Cass. 22 ottobre 1980 n. 5680; Cass. 2 marzo 19811 n. 1203 (richiamata in sentenza). 7 - I .. .. l 84 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO La parte, infatti, pu ben condizionare il ricorso incidentale all'accoglimento del ricorso principale, concernente il merito della causa, ancorch, con la sua impugnazione cos condizionata, riproponga una questione di carattere pregiudiziale o preliminare (di rito o di merito) (SS.UU 11 aprile 1960, n. 826). Inoltre; la subordinazione dell'esame delle questioni pregiudiziali o preliminari proposte con il ricorso incidentale alla condizione dell'accoglimento del ricorso principale, se non pu ammettersi quando, con il ricorso incidentale, si propongono questioni rilevabili d'ufficio (perch in tal caso la condizione non pu spiegare nessuna efficacia) , invece, consentita quando le questioni stess rientrano nel potere dispositivo delle parti: in questa ipotesi la volont delle parti stesse limita i poteri del Giudice, onde vanno esaminate prima, anche se unicamente al fine di delibarne l'attendibilit, le questioni sollevate con il ricorso princi pale e, solo in caso di accoglimento di questo, devono essere esaminate le questioni proposte con il ricorso incidentale (cfr. Cass. 24 marzo 1964, n. 664). Ora, nel caso di specie, per quanto la questione riproposta con il ricorso incidentale condizionato sia una questione di giurisdizione, rilevabile, perci, in ogni stato e grado del giudizio anche d'ufficio, essa tuttavia non potrebbe pi essere esaminata, per la preclusione costituita dal giudicato interno, ove non fosse stata impugnata la sentenza 29 gennaio 1976 del Tribunale di Bari, dichiarativa della giurisdizione del giudice ordinario in ordine al rapporto per cui causa. Ci premesso, si rileva che il ricorso principale merita di essere accolto in relazione ai motivi secondo e quarto, con i quali il ricorrente sempre previa denuncia di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, lamenta: che il Tribunale non abbia considerato che dalla premessa circa l'affermata natura di ente pubblico non economico dell'Ente di sviluppo avrebbe dovuto scaturire il difetto di giurisdizione dell'A.G.O.; che il Tribunale stesso abbia insufficientemente motivato circa la ritenuta viscosit del rapporto; che, infine, ritenendo il rapporto di pubblico impiego, sia caduto in contraddizione con la sentenza di esso medesimo Tribunale di Bari in data 9 gennaio 1976, che confermando la sentenza del Pretore, dichiarativa dela giurisdizione ordinaria, aveva ritenuto il rapporto in oggetto di stretto diritto privato (secondo motivo); e denuncia (quarto motivo) vizio logico e giuridico della motivazione (art. 360 n. 5 c.p.c.) in relazione all'art. 2697 C.C., lamentando, infine, che il Tribunale abbia ritenuto che nel rapporto de quo non sussistesse la possibilit di un licenziamento di ritorsione o di rappresaglia, dando per scontati elementi di fatto mai provati. Sussistono, infatti, i vizi denunciati. Il Tribunale, decidendo nel merito, dopo che aveva gi giudicato nello stesso processo sulla questione pregiudiziale, inerente alla giuri- J ~ l 1 I: ~ ~ PARm I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE sdizione sul rapporto dedotto in giudizio, ritenendo questo un rapporto di lavoro privato, non poteva pi, sia pure ai soli effetti del merito, ritenere lo stesso rapporto di natura pubblica, per la natura di ente pubblico non economico dell'Ente convenuto. E ci non tanto per un vizio di contraddittoriet della sentenza di merito impugnata (vizio che, come esattamente rileva la difesa dell'Ente, non pu che essere interno alla sentenza medesima; e, cio, desunto da elementi ili essa contenuti, non gi in rapporto ad elementi contenuti in altra sentenza anche se dello stesso giudice) ma bens per il principio della preclusione delle questioni gi decise all'interno dello stesso processo e in ordine allo stesso rapporto. E comunque, la sentenza impugnata non motivata in merito alla ritenuta stabilit del rapporto. Come gi altre volte queste SS.UU. hanno avuto modo di precisare, un rapporto di lavoro, indipendentemente dal carattere pubblico o privato del datore di lavoro, pu ritenersi assistito da garanzia di stabilit, e, quindi, comportare in costanza del rapporto medesimo, la decorrenza della prescrizione dei diritti del dipendente, solo qualora quest'ultimo abbia possibilit di insorgere avverso un licenziamento illegittimo e di rimuovere gli effetti, ai sensi dell'art. 18 della legge 20 maggio 1970 n. 300, ovvero in forza di leggi speciali o specifiche pattuizioni, idonee ad assicurare una tutela di intensit pari a quella prevista dalla citata norma (SS.UU. 9 gennaio 1978 n. 54). Nella specie, invece, il Tribunale ha desunto la stabilit del rap porto da questi soli fatti: che l'Ente di sviluppo ente pubblico non economico; che il regolamento del personale ha previsto il manteni mento del posto di lavoro per tutto il personale stesso; che, di fatto, nessuno mai, tra le centinaia di dipendenti, sarebbe stato licenziato. Ora, in proposito, agevole rilevare che dal fatto che nessuno mai sia stato licenziato non pu ovviamente desumersi la stabilit giuridica del rapporto, questa potendo derivare solo da una giuridica limitazione del potere di licenziamento da parte dell'ente datore di lavoro; e che poi manca qualsiasi specificazione del contenuto delle norme regola mentari che garantirebbero il mantenimento del posto di lavoro per tutto il personale, apoditticamente affermato dal Tribunale. E se vero che, come rileva la difesa dell'Ente, la questione della stabilit giuridica del rapporto di lavoro questio iuris, in relazione alla quale non deducibile il vizio di difetto di motivazione che pu attenere solo ad una questione di fatto, altres innegabile che la prima , pur sempre, condizionata dalla seconda, quando la stabilit giuridica non derivi da norme di legge ma, bens, da norme regolamen tari o collettive, delle quali non risultino allegati e dimostrati la esi stenza ed il contenuto. 86 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Delibata cos la questione della fondatezza del ricorso principale ai fini dell'ammissibilit del ricorso incidentale condizionato, deve allora decidersi sulla fondatezza o meno di quest'ultimo. L'Ente di sviluppo lamenta che il Tribunale di Bari, dopo aver accertato che l'ente datore di lavoro un ente pubblico non economico, abbia poi ritenuto la giurisdizione dello A.G.O. in base alla considerazione che la lettera 13 aprile 1963 non avrebbe costituito un rapporto di impiego pubblico; e, comunque, che detta lettera sarebbe sopravvenuta in costanza di un rapporto sostanzialmente unitario. In proposito, deduce che, per i connotati oggettivi, il rapporto si configur come rapporto di diritto pubblico fin dal momento della sua costituzione; che ove si ritenga essenziale la presenza di un atto di nomina -tale atto pu essere ravvisato nella lettera 13 aprile 1963; che, peraltro, ben possibile pervenire alla configurazione di due distinti rapporti, il primo (cronologicamente) di diritto privato e il secondo (successivamente) di diritto pubblico. Il ricorso fondato. Infatti, ai fini della identificazione di un rapporto di pubblico impiego, come tale devoluto alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, requisiti necessari e sufficienti sono la natura pubblicistica dell'ente datore di lavoro ed il concreto inserimento del lavoratore nell'apparato organizzativo dell'ente. Quest'ultimo elemento poi non deve risultare necessariamente da un formale atto di nomina o da uno scritto equipollente, bastando che la volont di attuare l'inserimento sia dall'ente pubblico manifestata in qualsiasi modo, purch univocamente; e, perci, anche con atti e comportamenti concludenti che rivelino che l'ente medesimo ha voluto e fatto propria la prestazione lavorativa per utilizzarla nell'ambito della sua organizzazione e per i fini pubblicistici da essa perseguiti (SS.UU. 2 marzo 1981 n. 1203). Ora, per quanto riguarda l'Ente convenuto, non si pu, anzitutto, dubitare .della sua natura di ente pubblico non economico, trattandosi di ente che, in base alla legge istitutiva (d.l.C.P.S. 18 marzo 1947, n. 281), esplica attivit non diretta alla produzione di beni o servizi che lo ponga sullo stesso piano, in regime di concorrenza, effettiva o potenziale, con gli imprenditori privati esercenti attivit analoghe e, quindi, al conseguimento di lucri; ma diretta esclusivamente all'attuazione della riforma fondiaria che, ai sensi dell'art. 44 della Costituzione, rappresenta uno dei pi importanti fini sociali dello Stato. (SS.UU. 21 ottobre 1971 n. 2956). Parimenti non pu dubitarsi dell'inserimento del Pezzilli nell'organiz zazione pubblicistica dell'Ente, sin dalla costituzione del rapporto, svoltosi ininterrottamente e con le stesse modalit fino alla sua conclusione; PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 87 il Pezzilli aveva infatti svolto attivit di conducente di automezzi nei centri agricoli di Laconia, Moschella, Speranza e Gaudiano. Il formale atto di nomina, intervenuto il 13 aprile 1963, si limit solo a dare veste formale all'unitario ed identico rapporto di presta zione di lavoro subordinato. N, infine, tale attivit era estranea ai fini istituzionali dell'Ente, perch, per quanto di natura esecutiva, si poneva in rapporto di stretta e necessaria strumentalit per il raggiungimento di detti fini, come desumibile dalla stessa lettera di nomina che nulla innovava in ordine alla natura della prestazione e della sua utilizzazione. Concludendo, quindi, in accoglimento del ricorso incidentale con dizionato, deve essere dichiarata la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 21 ottobre 1983, n. 6175 -Pres. Greco Rel. Parisi P. M. Sgroi Aeroporto Cuneo-Levaldigi S.p.A. (avv. Cochetti) c. Ministero dei Trasporti e Ministero della Difesa (avv. Stato Santoro) e c. Cravero. Giurisdizione civile -Regolamento -Convenzione di sfalcio d'erba su terreno aeroportuale -Fine primario pubblicistico -Concessione amministrativa -Giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. La convenzione avente per oggetto lo sfalcio d'erba su zone di terreno aeroportuali, formalmente riconosciuta dalle parti quale concessione amministrativa revocabile a giudizio insindacabile della P. A., essendo volta ad assicurare primariamente esigenze pubblicistiche correlate alla sicurezza e alla particolare natura dell'area in questione, ha, anche sostanzialmente, carattere di concesstone amministrativa, come tale devoluta alla cognizione esclusiva del giudice amministrativo a norma degli artt. 5, 7 e 28 della legge 6 dicembre 1971 n. 1034 (1). Il regolamento, oltre che ammissibile, anche fondato. Al riguardo va in primo luogo osservato che alla convenzione inter corsa tra l'amministrazione della Difesa e Giuseppe Cravero -con cui fu concesso al Cravero lo sfalcio erba con l'onere della manutenzione ordinaria sulle zone di terreno comprese nel sedime dell'Aeroporto di Levaldigi, dietro pagamento di un canone di concessione e secondo le .(1) Decisione che recepisce tutti g1i argomenti sia formalii che sostanziali addotti dall'Amministrazione al fine della qualificazione del rapporto in que stione come rapporto di natura tipicamente concesso:ria. 88 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO modalit stabilite nel medesimo contratto, fu espressamente riconosciuta in base alla clausola contenuta nell'art. 2 natura e scopo di concessione amministrativa ; e che la medesima fu, inoltre, formalmente dichiarata essenzialmente revocabile in tutto o in parte a giudizio insindacabile dell'amministrazione della Difesa concedente e non soggetta quindi alla legislazione dei contratti agrari con la intesa che l'anticipata revoca, rispetto alla pattuita durata della concessione, avrebbe dato diritto al solo rimborso della quota parte del canone annuo anticipatamente corrisposto. Inoltre, il rapporto per cui si controverte, oltre a essere caratterizzato dalla rilevata posizione non paritetica che stata in esso riservata. ai titolari del medesimo rapporto, appare chiaramente preordinato ad assecondare in via primaria ed essenziale le esigenze connesse alla manutenzione ordinaria delle zone di terreno comprese nel sedime dell'aeroporto di Levaldigi; esigenze avvertite e da assolvere, a mezzo del concessionario, dall'Amministrazione concedente della Difesa, per finalit di ntura pubblicistica correlate alla sicurezza e alla particolare natura dell'area su indicata e alle connesse limitazioni imposte, pur esse nell'interesse pubblico a carico delle propriet contigue (V. artt. 822 cod. civ. 692 e 714 e segg. cod. della navigazione), inequivocabilmente risultanti dal contenuto della convenzione e idonee quindi -in quanto con la stessa esteriorizzate ed accettate dalla controparte -a connotare la causa e la natura del relativo rapporto. Le accennate finalit appaiono evidentemente del tutto trascendenti e distinte rispetto a quelle privatistiche eventualmente anche realizzabili che secondo la citata prospettazione di Giovanni e Pietro Cravero nel ricorso da essi presentato il 30 ottobre 1980 al Presidente del Tribunale di Cuneo Sezione Specializzata per le controversie agrarie, configurerebbero un rapporto agrario. Invece in base ai rilievi che precedono sussistono sicuri elementi per escludere la natura privatistica della convenzione -e per fare rite nere che la controversia inerisce a un rapporto di carattere pubblicistico, riconducibile per la sua struttura, per il suo contenuto e per le sue finalit, nella categoria delle concessioni amministrative, da devolvere alla giurisdizione esdusiva del giudice amministrativo a norma degli artt. 5, comma primo, 7 comma secondo e 28 comma secondo e terzo della legge 6 dicembre 1971 n. 1034. In accoglimento del regolamento deve essere conseguentemente di chiarata la giurisdizione del giudice amministrativo. SEZIONE QUARTA GIURISPRUDENZA CIVILE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Lav., 5 novembre 1983, n. 6544 -Pres. Fran ceschelli -Rel. D'Alberto -P. M. Gazzara -Corradi Corrado ed altri (avv. Nappi e Cerrai) c. Tesoro (avv. Stato Stipo). Lavoro . Rapporto . Comando e distacco . Temporaneit 1!: requisito Persistenza dell'interesse del distaccante 1!: sufficiente. Lavoro -Rapporto . Trasferimento di azienda Mancato trasferimento di organizzazione aziendale Prosecuzione del rapporto di lavoro Esclusione Fattispecie. Anche nel rapporto di lavoro privato, come nell'impiego pubblico, per configurarsi il comando o distacco non necessario che la durata di esso sia predeterminata, ancorch caratteristica di detto istituto sia la temporaneit, bens sufficiente la sussistenza di un concreto e persistente interesse da parte del datore di lavoro distaccante a che non si instauri un rapporto diretto tra il lavoratore ed il soggetto che ne utilizzi le prestazioni (1). Il mancato trasferimento all'Ufficio per l'accertamento e la notifica degli sconti farmaceutici (U.A.N.S.F.) della organizzazione aziendale della Federazione degli Ordini dei Farmacisti Italiani osta alla configurabilit di una prosecuzione di rapporto di lavoro ai sensi dell'art. 2112 cod. civ., ed implica inveoe semplice successione di rapporti diversi a seguito della estinzione del primo rapporto per novazione soggettiva (2). (omissis) Il ricorso non merita l'accoglimento. I primi tre mezzi surriferiti, i quali, involgendo questioni con nesse e/o interdipendenti, possono essere esaminati congiuntamente, sono privi di fondamento nei termini di cui si dir. In ordine agli errori di diritto lamentati nel primo e nel secondo mezzo, deve rilevarsi, infatti, che il Giudice a quo, giusta le precisazionL anticipate nella premessa narrativa, risulta essersi sostanzialmente uniformato, nella decisione della causa, all'orientamento giurisprudenziale che questa Corte ha espresso in numerose pronunzie e dal quale non sussiste valida ragione di discostarsi. Nel rapporto di lavoro privato, come nel pubblico impiego, cio, non necessria la predeterminazione della durata del comando o di (1-2) Giurisprudenza costante: cfr. Cass., 6 luglio 1982, n. 4017, in questa Rassegna, 1982, 940; e .inoltre Cass. SS.UU. 22 novembre 11980, n. 6202; Cass. 13 maggio 1981, nn. 3150 e 3151; Cass. U agosto 1981, n. 4904; Cass. 7 agosto 1982, n. 44315, in Foro lt., 1983, I, 399. 90 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO stacco, ancorch requisito proprio di tale istituto sia la temporaneit, potendo l'applicazione del dipendente presso altro imprenditore durare finch duri il corrispondente interesse del datore di lavoro distaccante; di guisa che, ai fini della configurabilit di una situazione di comando o distacco determinante l'esistenza -nel caso di specie, accertata dal Giudice a quo e non contestata dai ricorrenti -dell'anzidetto concreto e persistente interesse (la cui mancanza o il cui venir meno determina l'instaurazione di un rapporto diretto fra il lavoratore distaccato ed il terzo che ne utilizza le prestazioni), senza che sia rilevante, di per se stessa, la durata, pi o meno lunga, dell'applicazione del dipendente presso il terzo (cfr., fra le altre, le sentenze, 13 maggio 1981, n. 3150; 6 luglio 1982, n. 4017). D'altra parte, ha pi volte statuito questa Suprema Corte, e va ribadito, che, qualora l'Ufficio per l'accertamento e la notifica degli sconti farmaceutici assuma direttamente il personale prima alle dipendenze della Federazione degli ordini dei farmacisti italiani (F.O.F.I.), ma gi distaccato presso di esso (precedentemente denominato Ufficio fiduciario), la circostanza che all'Ufficio pre l'accertamento e la notifica degli sconti (U.A.N.S.F.) non sia stata trasferita alcuna organizzazione aziendale dell'anzidetta Federazione osta alla configurabilit di una prosecuzione del rapporto di lavoro secondo la disciplina prevista dall'art. 2112, codice civile, ed implica, invece, una semplice successione cronologica di rapporti di lavoro diversi, a seguito dell'estinzione del primo rapporto per novazione soggettiva (cfr. le sentenze 22 novembre 1980, n. 6202; 13 maggio 1981, n. 3151; 7 agosto 1982, n. 4435). Alla luce di tali principi appaiono, dunque, inesistenti gli errori di diritto denunciati dai ricorrenti, onde la motivazione della sentenza del Tribunale -integrata, per quanto occorra, a norma dell'art. 384, secondo comma, c.p.c., con l'esplicito richiamo ai principi medesimi deve ritenersi ovviamente immune dall'errore di attivit ascritto al predetto Giudice di appello con il terzo mezzo dell'impugnazione. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Lav., 2 dicembre 1983, n. 7220 -Pres. Bonelli -Est. Farinaro -P. M. Valente (concl. conf.) . Amm.ne dell'Interno (avv. Stato Salimei) c. Borri Luciana (avv. F. Agostini). Assistenza e beneficenza pubblica -Invalido civile -Assegno o pensione Diritto Decorrenza Dall'accertamento dello stato di bisogno e non da quello della invalidit Fattispecie. (art. 11 I. 6 agosto 1966, n. 625; art. 5 1. 13 ottobre 1969, n. 743). Il diritto dell'invalido civile all'assegno o pensione dipende tanto dall'accertamento della invalidit che da quello della sussistenza dello stato i. ~ ~1 ---~ ! PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 91 di bisogno e tali elementi, essendo entrambi necessari, hanno natura costitutiva; pertanto, sorgendo detto diritto solo con il compimento dell'ultimo atto del procedimento, esso non viene ad esistenza ove nel corso dell'iter l'avente diritto sia deceduto, a nulla rilevando che gli effetti economici retroagiscano, per espressa disposizione di legge, al primo giorno del mese successivo all'accertamento della invalidit, per cui il detto diritto, non essendo entrato nel patrimonio del de cuius, non trasmissibile agli eredi (1). (omissis) Si deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 11, ultimo comma della legge 6 agosto 1966 n. 625, come modificato dall'art. 5 legge 13 ottobre 1969, n. 743 e del terzo comma di quest'ultimo articolo e si lamenta che la Corte abbia erroneamente ritenuto costitutivo l'ac certamento dell'invalidit lavorativa, anzich la decisione del Comitato Provinciale di beneficenza ed assistenza che coll'accertamento anche dello stato di bisogno delibera la concessione dell'assegno (sia pure con effetto dal primo accertamento), al quale deve collegarsi il diritto dell'erede del beneficiario a percepire le quote maturate. Il motivo fondato. Invero, 1a fattispecie produttiva del diritto de quo, ricavabile dalla disciplina concreta (legge 6 agosto 1966, n. 625, art. 8), evidenzia come essenziali, oltre gli elementi ovvi della presentazione della domanda e della documentazione relativa, l'accertamento sia della invalidit da parte della Commissione Prov. (art. 8) che dello stato di bisogno, entrambi di natura costitutiva, in rapporto di assoluta interdipendenza, in modo che mancando l'uno non sarebbe producente la presenza dell'altro, e l'autorizzazione della concessione dell'assegno di assistenza previa valutazione dello stato di bisogno ad opera del Comitato Prov. (art. 5). Soltanto tale atto principale, conclusivo del procedimento, attribuisce palesemente il diritto all'assegno, anche se gli effetti retroagiscono per espressa disposizione dell'art. 11, terzo comma della legge suddetta, dal primo giorno del mese successivo all'accertamento del-l'invalidit lavorativa permanente. Nella specie la procedura si era conclusa negativamente, in quanto nelle more era deceduta l'assistibile Verpelli. (1) Non constano precedenti dn termini; la sentenza della Corte App. Roma 7 dicembre 1978, cassata con la presente decisione, pu leggersi in Riv. Giur. Lav., 1978, III, 492. Con parere della I Sez., 25 gennaio 1974 n. 3797 (in Cons. St., 11975, I, 58), il Consiglio dd Stato ebbe !invece a ritenere la natura meramente dichiarativa della delibera sulla sussistenza deUo stato di bisogno, con conseguente diritto degli eredi all'assegno in caso di morte del dante causa anteriore a detta delibera ma successiva al riconoscimento della inabilit. 92 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO In tale situazione un diritto degli eredi sulla procedura non sussiste, essendo escluso testualmente dall'art. 11, ultimo comma della legge che recita In caso di decesso dell'interessato, successivo al riconoscimento dell'invalidit, l'assegno non pu essere corrisposto agli eredi . E la disposizione palesemente legata alla natura strettamente assistenziale dell'assegno, la cui disciplina interamente disponibile per il Legislatore. Sotto tali presupposti la novella di cui all'art. 5 della legge n. 743/69, che aggiunge al suddetto ultimo comma dell'art. 11 l'espressione salvo il diritto di questi a percepire le quote gi maturate, non ha inteso incidere sulla struttura del diritto personale all'assistenza dell'interessato, come sopra disegnato e delimitato. L'espressione disciplina, invece, soltanto la sorte prima dubbia delle quote gi maturate dell'assegno, ove riconosciuto con l'atto definitivo del Comitato di assistenza e beneficenza, al quale devoluto il compito non solo di autorizzare la concessione dell'assegno, ma anche la valutazione dello stato di bisogno, quaie elemento costitutivo (art. 5). (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Lav., 14 dicembre 1983, n. 7374 -Pres. Dondona -Rel. Bianchi -P. M. Dettori (conci. conf.) -Ministero della Sanit (avv. Stato Azzariti) c. Paone Raffaele (avv. A. Sandulli). Procedimento civile -Notificazione -Incertezza assoluta sulla data Errore materiale riconoscibile Nullit Non sussiste. (art. 160 e.p.e.). Obbligazioni -Prestazione d'opera intellettuale Compenso -Liquidazione Criteri. . (artt. 2233 e.e.; art. 30 d.m. 4 giugno 1968). Procedimento civile Spese processuali Compensazione Questione di merito Insindacabilit in cassazione. (art. 92 e.p.e.). Non sussiste nullit della notificazione ex art. 160 cod. proc. civ. qualora l'incertezza sulla data della stessa non sia assoluta, ma la data sia altrimenti individuabile dal contenuto dell'atto, come nel caso dt mero errore materiale riconoscibile (1). L'art. 2233 cod. civ. pone una gerarchia di carattere preferenziale riguardo ai criteri di liquidazione del compenso per prestazione d'opera (,1) Giurisprudenza pacifica: cfr. da ultimo Cass. 22 lugilio 1976 n. 2893 (>in Giust. civ., Rep. 01976, voce notificazione civile, n. 58). PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA 'c1vILE 93 intellettuale, indicando, in primo luogo, la pattuizione delle parti, in difetto, le tariffe o gli usi e, in estremo subordine, rimettendone la de terminazione al giudice, previo parere non vincolante dell'associazione professionale (2). La compensazione totale o parziale delle ~pese di giudizio rimessa all'apprezzamento del giudice del merito insindacabile in cassazione (3). (omissis) Con il secondo motivo il Ministero ricorrente -denunziando omessa o, quanto meno, insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, nonch violazione e falsa applicazione degli artt. 4 del t.u. 27 luglio 1934, n. 1265, 1 lett. b) del d.P.R. 11 febbraio 1961, n. 264 e 12 della legge 21 febbraio 1963, n. 244 -sostiene che la Corte napoletana non ha sufficientemente chiarito le ragioni in base alle quali dovevano essere applicate le tariffe professionali approvate dal veterinario provinciale, n considerato che, dal punto di vista soggettivo, gli onorari previsti da tali tariffe possono essere pretesi soltanto dai possessori di bestiame che, essendo abbienti, non sono inclusi negli elenchi degli aventi diritto all'assistenza zooiatrica gratuita (mentre lo Stato, quando imposta e realizza i piani nazionali e provinciali di profilassi e risanamento degli allevamenti, non un possessore di bestiame ) e che, dal punto di vista soggettivo, le prestazioni cui si riferiscono le tariffe professionali rese dal veterinario in adempimento di individuati ed occasionali rapporti stabiliti di volta in volta con i pri vati, su richiesta di questi ultimi ed in relazione a singoli capi di bestiame, sono certamente ben diverse, sotto il profilo del tempo e dell'impegno professionale, da quelle previste dai piani di risanamento (2) L'art. 2233, 1 comma, e.e. stato riconosciuto non contrastante con gli :artt. 3, 1 comma, 24, 2 comma, .e >101, 2 comma, Cost. con sentenza 13 feb braio 1974 n. 32 della Corte Costituzionale. Con sentenza 4 gennaio 1977 n. 11 (in Giust. civ., !Mass. 1977, n. 6) la :S.C. ha affermato che ben possono le parti derogare al minimo tariffario, essendo le tariffe professionali fonte sussidiaria e suppletiva; tale principio pu essere posto nel nulla solo da altra norma avente forza di legge e non da norma regolamentare, che priva di identico valore normativo (conf. Cass. 29 ottobre 1975 n. 3660). In base ai principi con tenuti nell'art. 2233 e.e. Cass. 14 gennaio 1977, n. 180 ha altres rilevato come, ove il compenso possa essere determinato secondo tariffa, esattamente il giiu dice ignora l'eventuale parere difforme reso dall'ordine professionale; conf. ,altres Cass. 27 genenaio 1982 n. 530. (3) Il principio, affermato da giurisprudenza costante, secondo il quale solo 1a parte totalmente vittoriosa non pu essere condannata al pagamento delle spese, mentre la compensazione totale o parziale di esse rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito, insindacabili in sede di legittimit se l'uso di essi non si fondi su affermazioni erronee o illogiche, stato di recente riba dito da Cass. U gennaio 1198.2 n. 115; Cass. 6 febbraio 1982 n. 716; Oass. 16 feb braio 1982 n. 964. 94 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO consistenti in interventi c.d. a tappeto su interi allevamenti di bestiame. Il motivo non merita di essere accolto. Invero, sul preteso vizio di motivazione, da rilevare che la tesi di cui sopra stata dedotta per la prima volta in questa sede, onde non poteva essere presa in considerazione della Corte del merito. D'altronde, ormai ius receptum che, per adempiere all'obbligo della motivazione, il giudice non deve necessariamente enunciare e sottoporre a critica ogni argomento difensivo, essendo sufficiente che siano esposte le ragioni sulle quali la decisione si fonda. Circa l'altro aspetto della censura, va ricordato che, ai sensi dell'art. 2233, cod. civ., il compenso del libero professionista, se non convenuto dalle parti e non pu essere determinato secondo le tariffe e gli usi, determinato dal giudice, sentito il parere dell'associazione professionale . La disposizione pone chiaramente una gerarchia di carattere preferenziale tra i vari criteri di liquidazione del compenso per le prestazioni di opera intellettuale: a) in primo luogo, la convenzione che sia intervenuta in proposito tra le parti; b) in mancanza di convenzione, le tariffe o gli usi; e) ove manchino anche le tariffe e gli usi, la determinazione del giudice, il quale deve sentire il parere dell'associazione professionale che peraltro, non vincolante (v. Cass. n. 1903 del 1979). Ora, alla stregua di tale norma, essendosi escluso che l'attivit in questione rientri tra i compiti di istituto del veterinario condotto o fra quelli di ufficiale governativo, non v' dubbio che il compenso spettante al Paone doveva essere stabilito sulla base delle tariffe professionali, indipendentemente dalla circostanza che il rapporto di clientela intercorresse con lo Stato, come pure certo che il compenso medesimo non poteva essere determinat@ direttamente dal giudice, con riferimento ai criteri oggettivo e soggettivo indicati nel secondo comma dell'art. 2233 codice civile. Con il terzo ed il quarto motivo, che conviene esaminare congiun tamente, il Ministero ricorrente, deducendo l'omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia e la violazione di norme di diritto, sostiene: a) che, avendo il Paone eseguito le operazioni in oggetto, in tale esecuzione doveva ravvisarsi l'accettazione del compenso fissato con l'art. 30 del decreto ministeriale n. 1039 del 1968; b) e che, contrariamente a quanto si afferma nella sentenza impugnata, le tariffe dei veterinari non sono inderogabili. Entrambi i motivi sono privi di consistenza. La Corte di appello ha osservato che il Paone non avrebbe potuto sottrarsi ad libitum alle prestazioni di cui si discute, dato il carattere autoritario dell'imposizione ed ha ritenuto che l'ottemperanza ad un !, I ~: ~ ~ i' ~~ PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE atto obbligatorio non poteva servire di per s a significare accettazione -0 rinuncia a far valere nelle sedi competenti i propri diritti . Orbene, tale motivazione, relativa ad una quaestio facti, che si risolve in una interpretazione della volont delle parti, incensurabile in questa sede di legittimit, in quanto, pur nella sua concisione, appare congrua ed immune da vizi logici e giuridici. Quanto all'inderogabilit delle tariffe professionali per i sanitari, va poi osservato che la relativa affermazione, contenuta nella sentenza im pugnata, servita ai giudici di appello per ribadire che non vi era stata accettazione, da parte del Paone, dei compensi stabiliti nell'art. 30 del ripetuto decreto ministeriale e non pu quindi considerarsi, dato il suo carattere marginale, come un vizio della decisione. Del resto, da rile vare che pu farsi questione di inderogabilit o meno delle tariffe solo nell'ipotesi di onorari pattuiti dalle parti e di nullit dell'accordo per contrasto con norme imperative, come quelle che stabiliscono minimi di tariffa inderogabili; ipotesi che nella specie non ricorre. Il ricorso principale dev'essere perci rigettato. Con l'unico motivo del ricorso incidentale il Paone si duole della disposta compensazione delle spese processuali, adducendo che l'osti nata contestazione dei suoi diritti anche dopo il regolamento preven tivo di giurisdizione (che aveva rimosso i dubbi fino allora possibili drca l'inerenza delle prestazioni al rapporto di impiego di esso Paone e drca la sussistenza di un potere ministeriale di tariffazione) non poteva non comportare la condanna del Ministero a rifondergli le spese del lungo e costoso giudizio. La doglianza infondata, poich, come questa Corte ha ripetutamente precisato, la compensazione totale e parziale rimessa al pru dente apprezzamento del giudice di merito e la relativa statuizione incensurabile in cassazione alla sola condizione che la condanna non venga addossata alla parte completamente vittoriosa (cfr. Cass. n. 1339 del 1981). Anche il ricorso incidentale va quindi rigettato. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I civ., 15 dicembre 1983, n. 7398 -Pres. Falcone -Est. Bologna -P. M. Ferraiuolo (conci. conf.) -Bellco S.p.A. (avv. D'Ottavi e Vanzetti) c. Ministero Industria, Commercio e artigianato (avv. Stato Fienga). Impresa -Brevetti -Invenzioni industriali -Brevetti e modelli di utilit Alternativit -Protezione cumulativa -Esclusione. (artt. 4 e 14 r.d. 25 agosto 1940, n. 1411). La qualificazione di un ritrovato come invenzione industriale esclude che lo stesso possa essere qualificato come modello di utilit e vice RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 96 versa; onde una domanda di brevetto o due domande di identico contenuto non possono realizzare una duplice e cumulativa protezione sotto i profili sia dell'invenzione che del modello, ma solo una brevettazione alternativa (1). (omissis) Con il ricorso la Soc. Bellco deduce che: a) nell'ordina mento positivo non esiste il principio che per il medesimo ritrovato non sia legittimo chiedere la duplice brevettazione delle invenzioni e dei modelli di utilit; b) nella specie, tuttavia, si trattava non di unico ritrovato, ma di due ritrovati che si esprimevano in un oggetto unico, e la questione non stata nemmeno esaminata dalla Commissione dei ricorsi; c) la prevista possibilit di richiedere un modello eventuale in presenza di una parziale brevettabilit come invenzione del medesimo ritrovato consente di ammettere una protezione cumulativa; d) la doppia tutela deve ammettersi quando la formulazione delle domande e la descrizione dei ritrovati sia tale da consentire la individuazione di due ritrovati; e) in tal senso la convenzione europea sui brevetti di invenzione ratificata in Italia con legge del 28 maggio 1978, n. 260, cui si ispirata la nuova legge italiana introdotta con d.P.R. 22 giugno 1979. n. 338. La censura infondata in tutti i suoi elementi e connessioni. Si deve premettere che costituisce presupposto di fatto dell'intera controversia, ed in particolare dell'impugnata decisione della commissione dei Brevetti, il punto che le due domande di brevetto (per invenzione industriale e per modello di utilit) presentate dalla Soc. Bellco riguardavano il medesimo ritrovato e si sorreggevano sulla medesima descrizione, elemento quest'ultimo essenziale al fine di individuare l'oggetto del ritrovato (art. 28 r.d. 29 giugno 1939, n. 1127; art. S r.d. S febbraio 1940, n. 244; art. 1 r.d. 25 agosto 1940, n, 1411). Sub a) e e) la decisione impugnata ha correttamente ritenuto che le invenzioni industriali ed i modelli di utilit sono fattispecie normative distinte, che la qualificazione di un ritrovato come invenzione industriale esclude che lo stesso possa essere qualificato come modello di utilit, che una domanda di brevetto o due domande, con identico contenuto non possono realizzare una duplice e pertanto cumulativa protezione sotto i profili dell'invenzione e del modello. (1) Sulla questione che ha formato oggetto della deciS1ione in rassegna e pi in generale sulla problematica dell'alternati.vit tra invell7Jione e modello di utilit s,j veda SPOLIDORO, Domanda alternativa di brevetto per invenzione e per modello di utilit, dn Riv. trim. dir. proc. civ., 1981, :1081 ss. (ed ivi ulteriori ampi riagguagli di dottrina e giU!risprudenza). PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE In tal senso dispongono gli artt. 4 e 14 del r.d. 25 agosto 1940, n. 1411. Ai sensi del citato art. 4 consentito presentare contemporanea mente due domande di brevetto, una per invenzione industriale, l'altra per modello di utilit, quest'ultima da valere sul caso che la prima non sia accolta o sia accolta solo in parte nei limiti del mancato accoglimento; chiaro pertanto che la norma sancisce soltanto una brevettazione alternativa (invenzione o modello) per il medesimo ritro vato, ed allo scopo consente all'Ufficio l'esame congiunto della domanda e l'individuazione del brevetto concedibile in presenza delle condizioni legali relative all'ambito complessivo delle invenzioni e dei modelli. Il successivo art. 14 (disposizione transitoria) prevede una alterna tivit ex officio nella ipotesi in cui la domanda di brevetto per inven zione industriale non sia stata accolta e che il ritrovato descritto abbia i caratteri del modello di utilit; in detta ipotesi pu essere concesso il brevetto per modello .con decorrenza dalla data di deposito della domanda per invenzione. L'ipotesi di modello eventuale in presenza di una parziale brevetta bilit come invenzione (ipotesi sollevata dalla ricorrente) conferma che la protezione brevettuale non mai consentita a titolo congiunto (inven zione e modello), riguardando l'eventualit quella parte del ritrovato rimasto scoperto da tutela; nella specie, invece, la domanda di brevetto per invenzione era stata integralmente accolta. Sub b) e d), si osserva che la tesi della ricorrente circa la coesistenza di due diversi ritrovati nel medesimo oggetto, che ha fo:rmato oggetto di descrizione in sede di presentazione della domanda di brevetto, propone una situazione di fatto ed una valutazione della medesima, diverse da quelle prospettate in sede amministrativa e tenute presenti dalla Commissione. Quest'ultima, come risulta dai rilievi sopra pre. cisati, ha individuato un unico ritrovato, che aveva formato oggetto di due distinte domande, aventi identico contenuto e descrizione (deflussore per soluzioni iniettabili da somministrare particolarmente per uso endovenosa, emodialisi e simili) ma dirette ad ottenere una duplice protezione del medesimo ritrovato. Pertanto la tesi suddetta resta estranea al tema del dibattito nel presente giudizio. Sub e) si rileva che il riferimento di diritto comparato alla legge tedesca in tema di brevetti per invenzioni e modelli e di duplice tutela per gli aspetti distinti del medesimo ritrovato, alla quale legge si sarebbe ispirato il d.P.R. 22 giugno 1979, n. 338, si presenta irrilevante sotto un duplice profilo. In primo luogo la tutela duplice, secondo la tesi stessa della ricor rente, presuppone l'esistenza di profili diversi nel medesimo ritrovato e la loro riconducibilit alle diverse fattispecie delle invenzioni e dei RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 98 modelli; situazione questa estranea (per le ragioni esposte) alla presente controversia. In secondo luogo il citato d.P.R. non trova applicazione retroattiva ai brevetti gi concessi (art. 81 e segg.). (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I civ., 15 dicembre 1983, n. 7409 -Pres. Mazzacane -Est. Lipari -P. M. Cantagalli (concl. parz. diff.) -Novello Antonio (avv. Scazzocchio e Serrentino) c. Ministero dell'Industria e Commercio (avv. Stato Fienga). Sanzioni amministrative -Depenalizzazione -Giudizi di opposizione ad ingiunzione -Pendenza prima della legge n. 689 del 1981 -Normativa anteriore Applicabilit. (artt. 12, 40 e 43 I. 24 novembre 1981, n. 689). Procedimento civile -Doppio grado di merito -Tutela costituzionale Esclusione. (artt. 111, 113 e 125 Cost.; art. 9 I. 3 maggio 1967, n. 317; art. 23 I. 24 novembre 1981, n. 689). Sanzioni amministrative -Depenalizzazione -Giudizio di opposizione ad ingiunzione Natura -Poteri del giudice -Limiti generali della legge abolitiva del contenzioso Applicabilit. (art. 9 I. 3 maggio 1967, n. 317; art. 4 I. 20 marzo 1865, n. 2248, al!. E). Procedimento civile -Rappresentanza in giudizio della P.A. -Funzionari incaricati -Onorari di avvocato e competenze procuratorie -Spettanza Esclusione. (art. 91 cod. proc. civ.; art. 3 r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611). In tema di giudizi di opposizione ad ordinanze-ingiunzioni di pagamento per infrazioni amministrative gi depenalizzate, pend.enti alla data di entrata in vigore della legge 24 novembre 1981, n. 689, che ha rielaborato funditus l'intera materia, deve ritenersi vigente il principio tempus regit actum, per cui il potere processuale gi esercitato resta disciplinato dalla legge vigente all'epoca dell'esercizio e deve essere valutato, per giudicarne la validit originaria, alla stregua delle norme allora vigenti (1). L'istituto del doppio grado della cognizione di merito non ha rilevanza e non gode di tutela costituzionale fatta eccezione per la giurisdizione amministrativa (2). (1) Cfr. Cass. 4 novembre 1982, n. 5785 (in Giust. civ., '1983, I, 76); Cass. 28 gennaio 1983 n. 773 (in Foro It. 1983, c. 1149). (2) Giurisprudenza pacifica; cfr. Corte Costituzdonale, 1 febbraio 1982, n. 8 {in Foro lt., 1982, I, 329); idem 15 1aprile 1981, n. 62 (ibidem, 1981, I, 1497); idem, 10 luglio 11973 n. 117 (ibidem, 1973, I, 2682). PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 99 L'azione di opposizione all'ordinanza-ingiunzione di pagamento esperibile dall'autore dell'illecito amministrativo depenalizzato va qualificata come azione di accertamento negativo della legittimit del provvedimento impugnato, alla quale trova applicazione la regola generale dettata dall'art. 4 della legge 20 marzo 1865, n. 2248 all. E, onde spetta al Pretore il potere di dichiarare illegittimo l'atto amministrativo e di disapplicarlo, ma non pure il potere di annullarlo, revocarlo o modificarlo (3). Ai funzionari delle Amministrazioni dello Stato incaricati, d'intesa con l'Avvoca.tura dello Stato ai sensi dell'art. 3 del r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, della rappresentanza delle rispettive Amministrazioni innanzi alle Preture e agli Uffici di conciliazione non spettano onorari di avvocato n competenze di procuratore per le prestazioni giudiziali in materia civile od equiparata n a carico della parte soccombente n a carico dell'Amministrazione rappresentata 14). (omissis) Si tratta di opposizione ad ordinanza ingiunzione con la quale stata determinata la sanzione per illecito amministrativo addebitato al ricorrente che avrebbe violato le prescrizioni sul commercio di cui alla legge 11 giugno 1971, n. 426 (art. 24) esponendo in vendita opere di pittura senza autorizzazione amministrativa (comportamento originariamente sanzionato penalmente, e quindi depenalizzato, ai sensi della 1. n. 706 del 1975). Come noto la materia delle sanzioni amministrative stata rielaborata funditus dalla I. 24 novembre 1981, n. 689, che al Capo 1 ne detta sistematicamente la ~isdplina. Il primo problema che si pone, consiste, pertanto, nello stabilire quale sia il dato normativo di riscontro per la valutazione della pre sente impugnazione (proposta anteriormente all'entrata in vigore della suddetta I. n. 689). Al riguavdo la giurisprudenza di questa Corte ha gi espresso un orientamento univoco (per la cui ricognizione e puntualizzazione cfr. da ultimo Cass. 6319/1983) che muove dalla distinzione della sfera d'applicabilit dello ius superveniens per quanto riguarda i profili proces: suali, in relazione ai giudizi gi pendenti, in sede civile, al momento della (3) Gilll'isprudenza prevalente: cfr., da ultimo, Cass. 18 maggio 1983,' n. 3434 (in Foro It., Mass. 1983, c. 713). ( 4) Non si rinvengono precedenti. dn termini; sulla non necessariet . di un formale atto di designazione da parte dell'Avvocatura del fumfonario amministrativo, che rappresenta ['Ammdnistrazione nei giudi:li pretorili e dri conciliazione ai sensd dell"art. 3 del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, cfr. Cass. 22 gennaio 1980 n. 485 (in Rass. Avv. Stato, 1980, I, 334, con nota di S. LAPORTA). 8 100 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO entrata in vigore della 1. n. 689 cit. (operando in proposito i princpi generali, senza necessit di disposizioni transitorie ad hoc) dal proprium delle disposizioni transitorie espressamente dettate in relazione alla circostanza che la generalizzata depenalizzazione non si risolve ed esaurisce nella abolitio criminis pura e semplice (che avrebbe posto problemi risolvibili ai sensi dell'art. 2 cod. pen.); n comporta, per volont del legislatore la traslatio iudicii davanti al giudice civile dei processi penali pendenti. Ne consegue che il potere processuale, gi esercitato nelle precedenti fasi del giudizio, alla stregua del principio t.empus regit actum, resta disciplinato dalla legge vigente all'epoca -dell'esercizio, e deve essere valutato, per giudicarne la validit originaria, alla stregua delle norme allora vigenti (cfr. Cass. 5785/82, 5945/82, 6824/82, 773/83). La portata della norma transitoria dell'art..40 della 1. n. 689, resta, quindi, circoscritta alle sole ipotesi della trasformazione, per effetto della suddetta legge, e quindi per la prima volta, degli illeciti penali in illeciti amministrativi; mentre l'art. 12 della medesima 1. n. 689, nel discipli narne l'ambito di applicazione generalizzato, non ne prevede, in prin cipio, l'efficacia retroattiva, ma consente che il processo di opposizione si svolga, a partire dalla sua entrata in vigore (regolata dall'art. 43 con vacatio legis di 180 giorni), giusta la nuova -disciplina. Per stabilire la ritualit degli atti compiuti prima che la legge n. 689 del 1981 entrasse in vigore occorre, dunque, avere riguardo alle leggi del tempo del loro compimento e cio, per quel che attiene all'illecito in esame, alla 1. n. 706 del 1975, che, a sua volta, richiama la 1. n. 317 del 1967. La disciplina sostantiva dell'accertamento dell'illecito, qualificato dalla legge come amministrativo, in forza della cit. 1. n. 706 del 1975, al momento dell'accadimento dei fatti che lo integravano, e quella processuale della relativa ordinanza ingiunzione, trovano nella legge n. 317 del 1967, ed in quella n. 706 del 1975, la esclusiva fonte normativa. Notazione questa che porta a riconoscere la ricorribilit per cassazione contro la sentenza del Pretore non gi in forza della statuizione espressa dell'ultimo comma dell'art. 23 della legge n. 689 (La sentenza inappellabile, ma ricorribile per cassazione), sibbene alla stregua dei principi generali che disciplinano la ricorribilit ex art. 111 Cost. in relazione alla statuizione dell'art. 9 della 1. n. 317 che parla di inappellabilit, ma non anche di ricorribilit, in tal senso essendosi espressa univocamente la giurisprudenza di questa Suprema Corte, come emerge da tutte le sentenze che hanno conosciuto di ricorsi proposti avverso le decisioni pretorili in tema di opposizioni contro le ordinanze ingiunzione (per il riconoscimento espresso della ricorribilit in cassazione, ex art. 111 Cost. cfr., comunque, Cass. 2088/72, 2747/73, 3884/75, 1217/77, 6385/80, 4408/83). PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 3. -In effetti della ammissibilit del ricorso per cassazione non si dubita, n da parte del ricorrente, n da parte dell'Avvocatura dello Stato; anzi tale ricorribilit, quale esclusivo rimedio esperibile contro la sentenza pretorile emessa in sede di opposizione all'esecuzione, trovando il suo fondamento giuridico nel riconoscimento della inappellabilit della sentenza, offre rii destro al ricorrente, per lamentare la insufficienza della tutela giurisdizionale apprestata dall'ordinamento allo autore dell'illecito amministrativo, privato deWappello, espressamente escluso dall'art. 9 della I. 3 maggio 1967, n. 317 (norma applicabile alla specie), nonch dallo stesso art. 23 ultimo comma della 1. n. 689 del 1981. Da ci la prospettazione della questione di legittimit costituzionale, contenuta nel primo mezzo, relativa all'art. 9, ultimo comma della 1. n. 317 del 1967, in relazione all'art. 113 Cost. Si osserva al riguardo che la privazione della possibilit della revisio prioris istantiae, circoscrive la tutela che, per quanto attiene al riesame del merito, non potrebbe svolgersi con pienezza, mentre l'art. 113 Cost. assicurerebbe a tutti, e sempre, la tutela giurisdizionale che non potrebbe essere, pertanto, limitata a particolari mezzi di' impugnazione. La questione proponibile e rilevante, ma risulta ictu oculi manife stamente fondata. Sussiste il requisito della ,incidentalit dal momento che il presente ricorso per cassazione non si esaurisce nella astratta ed ipotetica censura della incompatibilit delle norme che disciplinano il sistema delle impu gnazioni avverso l'ordinanza ingiunzione, negando l'appellabilit, ma diretto ad assicurare all'autore dell'illecito, assoggettato alla sanzione amministrativa, oltre al controllo di legittimit, la garanzia del riesame del merito, che potrebbe essere esercitato solo mediante l'appello, donde la evidente strumentalit della prospettazione diretta a rimuovere la statuizione di inappellabilit sancita dalla norma impugnata. N varrebbe obiettare che la pi conveniente strada da percorrere sarebbe stata, per l'ingiunto, quella di investire il giudice di appello della questione, per ottenere, a seguito dell'eventuale pronuncia di incostituzionalit della norma preclusiva di detta impugnazione, lo svolgimento del processo davanti al predetto giudice di secondo grado. Non dubita il Collegio che una esatta e producente impostazione de] problema avrebbe dovuto suggerire all'opponente, rimasto soccombente ,in primo grado, di presentare appello contestualmente alla proposizione della questione di costituzionalit, strumentalmente diretta alla rimozione dell'ostacolo rappresentato dalla norma, asseritamente incostituzionale, che lo vieta, in funzione dell'interesse al riesame delle ragioni disattese in primo grado. Ma poich l'incidente di costituzionalit non governato solo dall'interesse della parte, ma pu essere sollevato anche d'ufficio dal giudice, il profilo oggettivo dell'incompatibilit della norma che questi RASSEGNA DEIJ..'AVVOCATURA DELLO STATO 102 deve applicare con princpi costituzionali viene necessariamente ad assumere posizione di preminenza nonostante la inavveduta prospettazione della parte la quale non si accorta che se effettivamente la sua proposta di investire la Corte costituzionale della qu_estione fosse stata accolta, e la Corte stessa avesse riconosciuto l'incostituzionalit della norma che san cisce l'inappellabilit, l'effetto di tale pronuncia nel giudizio a quo non sarebbe stato il trasferimento del processo con correlativa riapertura dei termini davanti al giudice di secondo grado, ma la privazione di competenza funzionale di questa Corte, che non potrebbe pi giudicare ex art. 111 Cost. sul ricorso, e dovrebbe dichiarare inammissibile il gravame non intermediato dalla pronuncia di secondo grado (divenuto esperibile) profilo questo che giustifica, in punto di rilevanza, l'esame ex officio della questione nonostante la carenza di interesse del ricorrente a far dichiarare, strumentalmente alla pronuncia della Corte cost., l'inammissibilit del proposto ricorso, restando coperta tale carenza di interesse dall'officium iudicis. Della costituzionalit della norma che, statuendo l'inappellabilit le ha consentito di adire la Cassazionee ex art. 111 Cost. (trattandosi di provvedimento definitivo, che sicuramente incide su diritti soggettivi) dubita la parte, la quale, se avesse adito il giudice d'appello, contestando la inappellabilit della sentenza emessa ex art. 9 della 1. n. 317 del 1967, avrebbe corso il rischio della consumazione del potere processuale in caso di riconosciuta infondatezza della questione. Adottando la soluzione del ricorso per Cassazione il Novello si assicura, invece, un minimum di tutela, sia pure nei limiti consentiti dal giudizio di legittimit; ma si preclude ogni possibilit di usufruire deilo appello 'ammesso, e non concesso, che il dubbio dovesse' risultare fondato: comportando, addirittura, una pronuncia siffatta la impraticabilit del rimedio prescelto; sicch la sua richiesta risulta paradossalmente suicida ; e in definitiva la pronuncia di manifesta infondatezza gli giova, nella misura in cui, alla pari della eventuale pronuncia di infondatezza della stessa Corte cost. ratifica (quantomeno) la ricorribilit in Cassazione. Indubbiamente la norma sulla inappellabilit rilevante in sede di ricorso per cassazione ex art. 111, Cost., la cui ammissibilit verrebbe meno (come si gi osservato) se il divieto di appello dovesse cadere, il che basta per ritenere ex art. 23, legge n. 87 del 1953, la sussistenza della rilevanza del sollevato dubbio. Per buona sorte del ricorrente, peraltro, poich la prospettazione della questione di legittimit costituzionale davanti a questa Corte svincolata dai condizionamenti tipici del motivo in senso tecnico, non potendosi invocare in proposito la categoria dell' interesse al motivo di ricorso, la questione, esaminata alla stregua dei poteri d'ufficio del PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE Collegio, risulta priva della bench minima plausibilit, essendo il sistema del doppio grado di giurisdizione nel campo processuale (civile e penale) privo di copertura costituzionale. 4. -Passando alla delibazione della non manifesta infondatezza della questione, osserva il Collegio che non sussistono con sicurezza gli estremi di sia pur limitata controvertibilit, richiesti dal sistema per investire la Corte, e che al contrario, il doppio grado di giurisdizione, nel processo civile non gode di tutela costituzionale. Per giurisprudenza costante della Corte costituzionale (cfr. da ultimo le sentenze nn. 8 del 1982 e 62 del 1981), l'istituto del doppio grado della cognizione di merito non ha rilevanza costituzionale, fatta eccezione (giusta la recente precisazione di cui alla cit. sentenza n. 8/82) per la giurisdizione amministrativa. Questo consolidato orientamento della Corte costituzionale affonda le sue radici sulle ,acquisizioni della pi autrevole dottrina, ratificate da questa Corte di cassazione, circa la portata ed il significato del principio del doppio gra~lo di giurisdizione che consiste nella sottoponibilit del medesimo thema decidendum al libero e successivo esame di due giudici di grado diverso, dei quali il secondo ricopre, di norma, un grado superiore al primo. Ci non significa, innanzitutto, s;upporre di necessit l'obbligo di un compiuto riesame di ogni punto della con troversia, essendo sufficiente il potenziale venir in essere di due successivi rapporti di cognizione, di cui il secondo deve svolgersi in una sede giurisdizionale superiore, a seguito dell'impugnazione di una sentenza emessa in primo grado. Il doppio esame viene privilegiato alla stregua del convincimento empirico che due . giudici vedono meglio di uno solo, pur non essendo affatto vero che la soluzione trovata per ultima sia, per ci solo, pi giusta di quella elaborata in primo grado. L'istituto dell'appello non comporta, n logicamente, n in base al diritto positivo (cfr. art. 101 comma 2 Cost.), una organizzazione gerarchica di giudici (che ben potrebbero alternarsi nel compito di riesame: si pensi all'ordinamento canonico). Va dato atto che di recente dubbi da pi parti sono stati avanzati contro l'istituto, e che, nella polemica contro il doppio grado, si tenuto conto degli eventuali ostacoli di ordine costituzionale, riconoscendone, pressoch unanimemente l'insussistenza, non essendo dato rinvenire nell'ordinamento precetti imperativi in tal senso che abbiano fatto assurgere detto principio a valore costituzionale. Il legislatore, pertanto, resta libero, nella sua discrezionalit, limitata solo dalla ragionevolezza del riterio prescelto, di consentire o meno per un certo tipo di giudizio l'appello, abbracciando peraltro tutte le situazioni omogenee rientranti nel tipo. Viene in rilievo, sotto questo profilo, il principio di eguaglianza, in forza del quale sono state dichia 104 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO rate incostituzionali norme che nel disciplinare l'appello penale lo circoscrivevano, ingiustificatamente, a talune situazioni, ovvero a talune dell~ parti (cfr. ad esempio la sentenza n. 5 del 1975 in cui i giudici della Consulta, ebbero perspicuamente a sottolineare che l'oggetto del giudizio era rappresentato non gi dalla esclusione dell'appello in s e per s, rispetto ad un certo tipo di sentenze, ma dalla circostanza che 1' imputato , a differenza del P.M. non potesse impugnare quella sentenza, donde l'incostituzionalit dichiarata per violazione dell'art. 3 Cost. (cfr. sulla stessa linea argomentativa di accoglimento le sentenze nn. 73/78, 72/79, 53/81). Il legislatore, cio, una volta adottata liberamente la soluzione dell'appellabilit, od inappellabilit, tenuto a disciplinare l'istituto senza discriminazioni di sorta, poich le parti del processo, o di processi sostanzialmente analoghi, devono essere trattate in maniera identica nel rispetto del principio di eguaglianza. La obbligatoriet del doppio grado di giurisdizione non trova agganci nella Costituzione, n espressi n espliciti, fatta eccezione, per quanto concerne la giurisdizione amministrativa (rispetto alla quale l'art. 125 comma 2, Cost. prevedendo giudici di primo grado, postula, corrispondentemente, che ve ne siano anche di secondo). Risulta dai lavori preparatori che l'Assemblea costituente respinse un emendamento volto a conseguire l'auspicata costituzionalizzazione del principio del doppio grado; e si ricava a contrario, dall'art. 111 comma 2 Cost. che quando si volle imporre, inderogabilmente, la praticabilit di un dato mezzo di impugnazione, lo si disse con chiarezza. Dalla vigente Costituzione si ricava, pertanto, in positivo che garantito il ricorso in Cassazione per violazione di legge; ed in negativo che il sistema non contempla il riconoscimento del doppio grado di giurisdizione nel merito. Solo attribuendo al ricorso per cassazione natura di secondo grado di giurisdizione potrebbe parlarsi di costituzionalizzazione del principio del doppio grado (con risultati, peraltro, puramente norminalistici e con un chiaro sconvolgimento dell'impostazione del problema giacch il riconoscimento della ricorribilit ex art. 111 Cost. nulla ha a che vedere con le diverse esigenze di un riesame di merito). 5. -La Corte costituzionale gi con sentenza n. 110 del 1963 ebbe ad osservare che il negare alla parte la garanzia del doppio grado di giurisdizione certo non contraddice a norme costituzionali, pur dando indubbiamente la misura della gravit delle conseguenze che possono derivarne (il che, come emerge dalla successiva evoluzione giurisprudenziale, porta a v,alutare con estremo rigore il rispetto del principio di eguaglianza per quanto attiene all'accesso all'impugnazione in situazioni sostanzialmente omogenee). f' ! !, ~ ~ !: PARm I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE Nella successiva sentenza n. 41 del 1965, la Corte, recepisce dalla giurisprudenza ordinaria la nozione del doppio grado (che non va inteso nel senso che tutte le questioni di un processo debbano essere decise da due giudici di diversa istanza, ma in quello che deve essere data la possibilit di sottoporre tali questioni a due giudici di istanza diversa, anche se il primo non le abbia tutte decise); ed opera significativamente il distacco dell'istituto del doppio grado dall'ambito della tutela apprestata dall'art. 24 Cost., rilevando espressamente che non tanto la doppia istanza che garantisce la completa difesa, ma piuttosto la possibilit di prospettare al giudice ogni domanda ed ogni ragione che non siano legittimamente precluse . Tuttavia manca in quella pronuncia una presa di posizione sullo specifico problema della garanzia costituzionale del doppio grado (A prescindere dal discutere se il principio del doppio grado di giurisdizione trovi una sua garanzia costituzionale, osserva la Corte che detto principio nell'interpretazione giurisprudenziale ha una limitata portata. Cos precisano testualmente i giudici della consulta, sottolineando, altres, che tale principio non trova una formulazione recisa ed assoluta). solo con la successiva sentenza n. 117 del 1973 che la Corte si pronuncia, per la prima volta, recisamente nel senso della esclusione del doppio grado della cognizione di merito che non ha rilevanza costituzionale, non essendo essenziale alla garanzia della difesa, presentandosi, peraltro, vantaggioso per il miglior risultato delle decisioni. Ma alla sentenza n. 62 del 1981 che occorre far capo per la definitiva, ed incisva, ratifica della mancanza, nel nostro ordinamento, di una garanzia costituzionale del doppio grado di giurisdizione. In essa, portando ad ulteriori conseguenze l'impostazione della precedente decisione del 1973 (non riducibile ad un mero obiter dictum come la stessa Corte ha cura di sottolineare), si individua il fondamento della mancata copertura costituzionale nella assenza, nel testo della Costituzione, di una proposizione analoga a quella contenuta nell'art. 111 comma 2 per il ricorso in Cassazione, e si ribadisce che non pu venire in considerazione al riguardo l'art. 24 Cost. considerando il doppio grado medesimo come proiezione diretta del diritto di difesa, perch tale norma assjcura la tutela in ogni stato e grado del procedimento, ma non garantisce la parte contro la soppressione di un grado del processo. In altre parole, quella garanzia, opera solo in quanto vi sia una fase processuale alla quale farne applicazione. La Corte si dato carico, inoltre, dell'art. 14 paragrafo 65 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, secondo cui Toute personne declare 1coupable a le droit de faire examiner par une giurisdiction suprieure la dclaration de culpabilit et de condamnation, conformment la loi , riconoscendo la compatibilit di tale prescrizione con un sistema come il nostro in cui il riesame 106 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ipotizzabile solo, in sede di rinvio; ed in tanto risulta possibile, in quanto, a seguito della pronuncia di cassazione, sia stato riconosciuto che la sentenza precedentemente emessa era inficiata da vizi nella formazione del convincimento del giudice, o nello svolgimento del processo. 6. -Di fronte a questa netta presa di posizione della Corte costituzionale secondo cui (tranne che nel processo amministrativo, per la copertura rappresentata dall'art. 125 comma 2 Cost.), l'istituto del doppio grado di giurisdizione non ha rilevanza costituzionale (non dovendo il Collegio in questa sede approfondire la ratio della eccezione, irrilevante ai fini del decidere), e poich fuori discussione che rispetto alla situazione di specie, non resta coinvolto il principio di eguaglianza, dal momento che la inappellabilit concerne tutti coloro nei cui confronti sia stata emessa la ordinanza ingiunzione e che abbiano reagito, proponendo il giudizio di opposizione davanti al Pretore, la ricognizione della giurisprudenza della Corte costituzionale basta per escludere che un orientamento cos saldo, e di recente ribadito, possa essere sovvertito, anche perch, a sostegno dell'eventuale riesame, non sono stati addotti nel ricorso (n il Collegio in grado di formularne in via autonoma) ulteriori ragioni apprezzabili, diverse da quelle gi esaminate. In effetti il ricorrente si limita a sottolineare, sotto l'influenza della fattispecie, che non presentava profili giuridici, ma problemi di valuta zione di prova (a proposito della concreta sussistenza dell'illecito ascritto) che la privazione dell'appello gli impedisce di giovarsi del completo riesame, dovendo restare circoscritto il sindacato della Cassazione al riscontro degli eventuali vizi estrinseci della motivazione. L'evidenziazione dell'inconveniente, che nel successivo mezzo si cerca di superare indebitamente allargando l'ambito del giudizio di cassazione, (l'opponente pretenderebbe addirittura che la Corte si desse carico di leggere le carte processuali, per il riscontro funditus degli elementi probatori), non rappresenta un quid novi, poich la questione stata dibattuta muovendo proprio dalla consapevolezza della maggior garanzia del riesame, problema che presenta margini di opinabilit sul piano dello ius condendum, trattandosi, a monte, di stabilire se la soluzione del doppio grado sia costituzionalmente necessitata, ovvero rimessa alla discrezionalit del legislatore. Non giova al ricorrente la prospettazione incentrata sull'art. 113 Cost., su una norma, cio, che non risulta essere stata presa in esam.e dalla Corte costituzionale nelle decisioni richiamate. In effetti tale norma non invocata a proposito in relazione alla pretesa alla tutela giurisdizionale dei diritti davanti alla autorit giudiziaria ordinaria nelle forme del processo civile, poich riguarda esclusivamente la tutela contro gli atti della pubblica amministrazione che PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 107 non pu essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione e per determinate categorie di atti. Orbene, anche muovendo dalla qualificazione dell'ordinanza ingiunzione come atto amministrativo, il regime tipico predisposto dalla legge al riguardo con l'art. 9 della 1. n. 317 (ed ora con l'art. 23 della 1. n. 689) viene in considerazione in quanto sfocia in un processo civile e per ci stesso resta al di fuori della sfera di applicabilit dell'art. 113 e dell'art. 125 comma 2 Costituzione. e Nell'elaborazione giurisprudenziale che ha avuto ad oggetto gli ultimi cinque commi dell'art. 9 della 1. n. 137 si posto in chiaro che l'azione esperibile dall'autore dell'illecito amministrativo va qualificata come azione di accertamento negativo della legittimit del provvedimento impugnato, riaffermandosi la applicabilit al riguardo della regola generale dettata dall'art. 4 della legge 2248 all. E del 1865, spettando al Pretore il potere di dichiarare illegittimo l'atto amministrativo, e di disapplicarlo, negando la possibilit di annullamento, di revoca o di modifica del provvedimento (cfr. da ultimo Cass. 3434/83, 5141/81, 4427/81, 3094/81, 623/81, 4217/80); soltanto un indirizzo di minoranza sostiene che nel giudizio di opposizione medesimo non sarebbero applicabili le limitazioni di cui alla legge ablativa del contenzioso amministrativo (cfr. Cass. 3528/80 e 2614/81). Ma poich tale giudizio, che si svolge davanti al giudice ordinario, per la tutela del diritto del cittadino a non essere inciso dalla sanzione, non un giudizio amministrativo, il regime delle impugnazioni, e pi specificamente la pretesa all'appellabilit, non trova copertura costituzionale, non valendo invocare in proposito l'art. 113 Cost. a giustificazione di una soluzione normativamente radicata sull'art. 125 e che comporta la necessit dell'appello solo ;rispetto alla decisione dei TAR (impugnabili davanti al Consiglio di Stato). 1! appena il caso di osservare, del resto, che l'art. 9 della 1. n. 317 gi stato sottoposto all'esame della Corte, la quale, con sentenza n. 32 del 1970, ha escluso che l'ingranaggio della opposizione, che si appunta contro un atto amministrativo mirando alla relativa declaratoria di illegittimit, si ponga in contrasto con l'.art. 102 Cost. (per indebita istituzione di un giudice speciale) o con gli artt. 24 e 113 Cost. (per avere attribuito al giudice ordinario la cognizione di interessi legittimi, con possibilit di sindacato dell'atto amministrativo), negando che si tratti di una giurisdizione speciale, poich il giudice conosce di diritti soggettivi ed il sindacato esercitato risponde ai princpi. N potrebbe suggerire ripensamenti la pendenza davanti alla Corte di una questione che detto art. 9 investe per quanto riguarda i poteri del giudice (ridimensionati dal sopravvenuto art. 23 della 1. n. 689) in quanto, a parte altri possibili rilievi, non si lamenta nella specie che il giudice sia stato limitato nell'esplicazione dei propri poteri di valutazione delle prove ma si censura la valutazione delle prove da esso compiuta, restando circoscritta la 108 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO controversia al solo profilo della privazione dell'appello e del possibile riesame del merito. 8. -Parzialmente fondato risulta il terzo motivo per quanto attiene all'onere delle spese, come in definitiva riconosce la stessa Avvocatura dello Stato, la quale limita la difesa della pronuncia del Pretore alla attribuzione delle sole spese vive . fuori discussione che davanti al Pretore di San Don di Piave l'UPICA di Venezia stata in giudizio a mezzo di un proprio funzionario (il dr. Poli). Si tratta di comportamento pienamente legittimo. Ai sensi dell'art. 3 del r.d. 30 ottobre 1933 n. 1611, innanzi alla Pretura ed agli uffici di conciliazione, le amministrazioni dello Stato possono, intesa l'Avvocatura dello Stato, essere rappresentate da propri funzionari, che siano per tali riconosciuti , Ma poich detti funzionari, non sono avvocati n procuratori legali ai medesimi non spettano gli onorari per le prestazioni giudiziali in materia civile od equipamta (cfr. a contrario l'art. 1 della 1. 13 giugno 1942 n. 794, modificata dalla 1. 19 dicembre 1949 n. 957) n a carico della parte soccombente, n a carico del cliente (l'amministrazione cio dalla quale il funzionario dipende e che lo retribuisce per tutte le incombenze demandategli, ivi compresa quella particolare della rappresentanza dell'amministrazione medesima in giudizio). Anzi il rapporto di immedesimazione organica tra funzionario ed amministrazione comporta che il carico della difesa va imputato alla amministrazione come tale che, per lo svolgimento del relativo compito, va incontro a spese specifiche, mentre l'utilizzazione del funzionario, distogliendolo da altri incarichi non si presenta come una spesa enucleabile rispetto agli oneri di gestione del servizio cui tale funzionario attende. Lo stesso ragionamento, fondata a contrario sull'art. 15 della cit. 1. n. 794, va fatto rispetto agli onorari e diritti stabiliti dalla legge e dalla tabella annessa per le prestazioni giudiziali in materia civile. Sia l'art. 1 che l'art. 15 contemplano onorari e competenze come un quid pluris oltre al rimborso delle spese giustificate. Si tratta di stabilire se la richiesta di rimborso di tali spese sia consentita con esposizione in apposita nota per la liquidazione da parte del giudice anche da parte dell'amministrazione che si sia fatta rappresentare da un proprio funzionario, e non di un avvocato. La risposta da darsi al riguardo senz'altro positiva. N varrebbe obiettare che non risulta agli atti un formale atto di designazione prece duto dal parere dell'Avvocatura dello Stato. In proposito questa Corte ha avuto occasione di precisare, infatti, che ai sensi dell'art. 3 del r.d. 30 ottobre 1933 n. 1611 non si richiede ~ w . PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE che il funzionario, costituendosi in giudizio per rappresentare l'amministrazione di cui fa parte, debba esser munito di un formale atto di designazione, preceduto dal parere della Avvocatura dello Stato, essendo sufficiente, a tal fine, che si faccia riconoscere per tale dal giudice e dalla controparte, in quanto la facolt di rappresentare in giudizio la amministrazione appartiene al funzionario per la sua qualifica derivante dal rapporto organico, e non in virt di delega e di mandato, mentre il parere dell'Avvocatura dello Stato attiene alla attivit interna dell'amministrazione, e non va sottoposto al sindacato del giudice, garante di interessi diversi da quelli della amministrazione attiva. (cfr. Cass. 485/80). Ci posto, poich l'amministrazione nell'affrontare la difesa, sia pure a mezzo di un suo funzionario, va incontro oltre alle spese generali (insuscettibili di essere imputate pro parte al singolo rapporto processuale), anche a spese specifiche ad hoc, determinate ulteriormente, ed esclusivamente, dallo svolgimento della difesa, nella causa specificamente considerata, non par dubbio che del costo cos sopportato debba essere resa indenne, indipendentemente dalla operata scelta che l'ha portata ad avvalersi nel caso concreto del funzionario anzich dell'Avvocatura dello Stato, dovendosi ritenere che al funzionario le spese medesime vengano anticipate, o rimborsate, dalla amministrazione di appartenenza. Ne consegue che il giudice, in sede di rinvio, e sulla base di apposita nota spese, accompagnata dalle pezze giustificative, dovr provvedere alla liquidazione ex novo, non essendo possibile in questa sede valutare la congruit dell'importo di L. 165.000 che residuerebbe una volta riconosciuta la non debenza degli onorari di avvocato, anche perch non risulta se, ed in che misura, siano state in ipotesi attribuite anche competenze di procuratore. L'accoglimento in questi limiti del motivo, assorbe, evidentemente, il profilo attinente alla mancata presentazione delle note spese, (omissis) : : SEZIONE QUINTA GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen. 19 luglio 1983, n. 21 Pres. Pescatore, Est. Vacirca -Comune di Pavia (avv. Maurici) c. Generale (avv.ti Bonfante e Paradiso). Espropriazione per pubblica utilit -Occupazione d'urgenza Immobile di propriet dell'Amministrazione espropriante locato a terzi Possibilit Illegittimit per sviamento di potere. consentita l'espropriazione per pubblica utilit e quindi anche l'occupazione d'urgenza di un bene dato in locazione a terzi da parte dell'Amm.ne proprietaria dello stesso, a meno che il provvedimento ablatorio non sia utilizzato al solo scopo di eludere le obbligazioni nascenti dal contratto (1). (omissis) 4. -Vanno congiuntamente esaminati il secondo motivo di appello, col quale l'Amministrazione sostiene il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in ordine alle censure di carenza di potere, e il quinto motivo di appello, con cui l'Amministrazione deduce l'erroneit della sentenza impugnata, nella parte in cui esclude che diritti diversi da quelli reali possano essere oggetto di espropriazione. (1) La Adunanza Plenaria, cui la questione era stata rimessa dalla Sez. VI con ordinanza 8 marzo 1983, n. 106 (in Cons. St. 1983, I, .122) traendo spunto da un antico contrasto tra la ISez. V 2 febbraio 1950 n. 133 (in Cons. St. .1950, I, 380 e la Sez. IV '17 marzo 11965 n. 293 (in Cons. St. 1965, I, 429), risolve in modo soddisfacente con motiva:ifilone completa ed appagante un vecchio problema. Essa richiama quale precedente favorevole anche Sez. Un. 3 febbraio 1982 n. 645 (in Foro it. 1983, I, 421) che, pronunciata in materia dii espropriarione di comparto edificatorio dcl territorio urbano del Comune di Messina ex t.u. 1399/1917, aveva ritenuto dmproponibile l'azione di reintegraz1one proposta dal conduttore nei confronti dell'espropriante che era anche proprietario e locatore dell'dmmobile espropriato, ritenendo che in tale particolare situazione la espropriazione ha l'effetto di estinguere tutti i &ritti dei terzi gravanti sui beni, consentendo all'espropriante di immettersi nel possesso anche dii quelli gi concessi dn locazione. Sia il ConsigLio di Stato sia la Cassazione non affrontano >, dando per scontato che il ddritto del conduttore possa essere oggetto del provvedimento ablatorio (sulla questione cfr. l'ampia nota di PIETROSANTI in oalce a Sez. Un. cit. in Foro it. 1983, I, 421). PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA La questione, del cui esame la Sezione quarta ha ritenuto di investire l'Adunanza plenaria, stata risolta in modo difforme in giurisprudenza: una prima decisione della Sezione quinta (3 febbraio 1950 n. 133) nel senso che il procedimento espropriativo non possa avere ad oggetto diritti personali relativi a beni immobili; una decisione della Sezione quarta (17 marzo 1965 n. 293) e una recente sentenza della Corte di cassazione a sezioni unite (3 febbraio 1982 n. 645) giungono a opposta conclusione. certo che in generale il provvedimento di espropriazione incida su tutti i diritti relativi al bene, siano essi di natura reale o personale, come si ricava dall'art. 27 L. 25 giugno 1865 n. 2359 che include i conduttori fra i soggetti aventi diritto a una quota dell'indennit di espropriazione. Altre leggi in materia espropriativa, successive a quella fondamentale, hanno confermato tale principio o introducendo una deroga in materia di indennizzabilit del conduttore per la risoluzione del contratto di locazione (art. 12 L. 15 gennaio 1885 n. 2892) o al contrario prevedendo un regime di favore per fittavoli, mezzadri, coloni e compartecipanti (art. 17 L. 22 ottobre 1971 n. 865). Ci non viene posto in dubbio nella sentenza impugnata, in cui si riconosce che la risoluzione del vincolo contrattuale possa essere conseguenza della espropriazione, ma si esclude che all'espropriazione possa ricorrersi in favore di chi sia gi proprietario del bene, al solo scopo di rimuovere il diritto personale di godimento che si frapponga alla realizzazione dell'opera di pubblica utilit. Una simile conclusione non pu essere condivisa. Ove si ammetta che la disponibilit di un bene sia necessaria per la realizzazione di un'opera di pubblica utilit e che ci implichi il sacrificio (prevo indennizzo) dei diritti privati reali o personali relativi a quel bene, non pu pervenirsi a diversa conclusione secondo che proprietario del bene sia lo stesso soggetto che deve realizzare l'opera oppure un terzo. Sarebbe, infatti, irrazionale far discendere dalla titolarit del diritto di propriet una limitazione a danno del soggetto espropriante e un ostacolo alla realizzazione di un interesse pubblico, che la legge e i principi generali configurano come prevalente rispetto a quelli privati. N pu condividersi il convincimento -espresso dal Tribunale che un simile inconveniente derivi inevitabilmente dalla configurazione dell'espropriazione come trasferimento coattivo della propriet o di altri diritti reali da un soggetto ad un altro, vicenda che non potrebbe verificarsi nel caso di coincidenza di soggetto espropriante e di proprietario del bene oggetto del provvedimento. Tale configurazione non si desume n dalla legge fondamentale n. 2359 del 1865 n dalla Costituzione. 112 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO La prima, oltre a prescindere da un nesso di derivazione fra il nuovo diritto e quello preesistente (art. 52 legge n. 2359 del 1865 e art. 14 legge n. 865 del 1971), indica come oggetto dell'espropriazione beni immobili o diritti relativi ad immobili (art. 1 legge citata), omettendo di far espresso riferimento, nella norma generale, al diritto di propriet.. N pu ritenersi che l'attribuzione di questo diritto a un soggetto diverso dal precedente titolare risulti presupposto indispensabile del provvedimento in virt del significato del termine espropriazione, giacch sia nel linguaggio comune (tenuto conto dell'origine del vocabolo tardo-latino expropriare, composto di proprius e del prefisso ex) sia nel linguaggio tecnico-giuridico tale termine esprime l'atto di privare un soggetto di un proprio diritto (indipendentemente dalla 1acquisizione di quello stesso diritto da parte di altri) o anche l'atto di imporre un peso su di un bene altrui (art. 46 legge cit.). Il significato dell'espressione diritti relativi ad immobili contenuta nell'art. 1 legge n. 2359 del 1865 , d'altronde, spiegato con chiarezza nella Relazione ministeriale al relativo progetto di legge (in Atti pari. Cam., sess. 1863-1864, voi. IV, pag. 2710), in cui si osserva: Lo stesso crediamo non si debba affermare delle cose incorporali, ossia dei diritti, relativi a cose immobili. Il pi frequentemente accade che compiendosi un'opera pubblica ed occupandosi uno stabile vengano per forza maggiore a cessare i diritti che circa di essi si esercitano dagli usufruttuari, dai locatari, dagli enfiteuti e da altri che non hanno il dominio della cosa occupata. In questi casi la forzata cessazione 1di tali diritti avviene per mancanza della cosa che ne formava l'oggetto. Ma pu pure accadere che il diritto solo sia argomento di espropriazione. Pongasi che lo Stato eseguendo-pubblici lavori debba occupare un fondo che gi gli appartiene, ma sul quale altri abbia un diritto di usufrutto oppure sia da un privato tenuto in affitto. Non pu ammettersi che lo stabile cada in espropriazione, poich non pu ragionalmente concepirsi che si acquisti una cosa di cui gi si ha il dominio; tuttavia come potrebbe espropriare l'intero stabile ove ad altri spettasse, cosi deve aversi facolt di far dichiarare l'opera di pubblica utilit per far cessare i diritti che altri esercita sullo stabile medesimo. In tal caso pare che i diritti soltanto di usufrutto, di locazione sono colpiti da espropriazione, epper nel presente progetto, seguendo in tal parte la legge federale elvetica del 10 maggio 1850, fra le cose che possono formar oggetto di espropriazione s'indicano non solo i beni immobili necessari all'esecuzione di opere di pubblica utilit, ma anche i diritti agli stessi immobili relativi . La stessa norma costituzionale, che a differenza dell'art. 1 cit. sembra j= collegare l'istituto della espropriazione con quello della propriet (art. 42, 1: terzo comma, Cost.), stata interpretata come riferentesi anche ad atti autoritativi che, indipendentemente dalla loro forma, conducano tanto liif: f:! i:: ffi t~ <;<;.z...................-.-.:.......r.....:.............r.......-......-.....t'r....-.....-.-...-...-.....r...rrr....rr...,-. -.-.-.-.-.-.-r...--i--rr..-.-.-.-...-r.--r..-..-.-..-.-,-.-,-,.. .-......................................... , ,...,..,.,...,.,./... 11i111111111111111r111a11111111r111111,1r1,111;;t11~1l~l~r111111111111111111111 PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 113 ad una traslazione totale o parziale del diritto, quanto ad uno svuotamento di rilevante entit ed incisivit del suo contenuto, pur rimanendo intatta l'appartenenza del diritto (Corte cast. 29 maggio 1968 n. 55). Deve quindi ritenersi che le norme sull'espropriazione, quando fanno riferimento, nel disciplinare il procedimento, al diritto del proprietario, intendano soltanto indicare la posizione giuridica soggettiva che, nell'or clinamento, implica il pi ampio potere di godimento di un bene. Non , per, in alcun modo escluso dalla legge che il provvedimento ablatorio possa colpire, sia congiuntamente alla propriet sia in modo autonomo, altri diritti di godimento del bene, ed certo che, quando il conduttore sia l'unico soggetto !interessato, debba riconoscersi a lui la posizione che generalmente spetta al proprietario, in applicazione analogica delle norme sul procedimento. 5. -Deve, infine, negarsi che un limite all'utilizzabilit dell'istituto espropriativo possa desumersi dalla qualit di parte del rapporto di locazione assunta dal soggetto che intenda ricorrervi. Il locatore assume invero un obbligo di far godere il proprio bene al conduttore, e in ci la sua situazione potrebbe distinguersi da quella di qualunque soggetto estraneo al rapporto di locazione, che si avvalga dell'espropriazione per acquisire la disponibilit del bene, sottraendolo rin pari tempo al proprietario e al conduttore. Ma le obbligazioni privatistiche assunte negozialmente si collocano su cli un piano distinto da quello dei poteri pubblicistici, per loro natura indisponibili, n possono con questi interferire, se non di fatto nel caso (patologico) di utlizzazione degli istituti espropriativi al solo scopo di eludere le obbligazioni nascenti dal contratto. Per tali evenienze, per, l'ordinamento appresta idonei rimedi giurisdizionali, essendo possibile sia impugnare l'atto amministrativo, da cui derivi la dicharazione cli pubblica utilit dell'opera, per la cui realizzazione si affermi necessario il sacrificio del conduttore, e far valere l'eventuale sviamento, sia chiedere la retrocessione ai sensi dell'art. 63 legge n. 2359 del 1865, in caso di mancata realizzazione dell'opera. Le considerazioni svolte in ordine al provvedimento di espropriazione valgono, a maggior ragione, per l'occupazione d'urgenza, che in nessun caso potrebbe configurarsi come provvedimento necessariamente incidente sul diritto di propriet. Riconosciuto all'amministrazione il potere di privare il conduttore del suo diritto e di occupare d'urgenza il bene dato in locazione, deve dichiararsi infondato il secondo motivo di appello, mentre deve accogliersi il quinto e riformarsi la sentenza di primo grado che un simile potere aveva negato. (omissis) 114 RASSEGNA DEU.'AvVOCATURA DELLO STATO CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen. 10 ottobre 1983, n. 24 -Pres. Pescatore, Est. Cossu -Comune di Modena (avv. Giuffr e Palmieri) e Regione Emilia Romagna (Avv.ti Zavattaro Ardizzi e Bergonzoni) c. Testoni Cavallo (Avv. Amorth e Sala). Giustizia Amministrativa Interruzione del processo -Morte del difen sore Conoscenza effettiva e conoscenza legale dell'evento Fatti specie. Giustizia Amministrativa Interruzione del processo Riassunzione Prosecuzione volontaria Deposito della procura al nuovo difensore Istanza di fissazione d'udienza. Deceduto l'unico difensore di un Comune, costituisce evento idoneo a far decorrere il termine semestrale entro il quale il processo deve essere riassunto a pena di estinzione la delibera consiliare (versata in atti) con la quale il Comune stesso preso atto della morte del precedente legale statuisce di nominarne altro in sostituzione (1). Integra la fattispecie della prosecuzione volontria, equivalente alla riassunzione del processo interrotto, il deposito della procura rilasciata dal Comune (il cui precedente unico legale sia deceduto) ad un nuovo difensore, quando risulti gi fissata un'udienza futura di discussione del ricorso, altrimenti necessario oltre al suddetto deposito la richiesta di fissazione d'udienza (2). (1-2) Su una singolare ipotesi di discutibile iuterruzione ed ancora pi discutibile riassunzione del processo amministrativo. La decisione dell'Adunanza Plenaria, pur essendo condivisibile per la soluzione sostanziale data al caso di specie, suscita nofevoli perplessit in ordine alla strada percorsa per arrivarvi. Cominciando dalla statuizione .riassunta nella prima massima, appare piuttosto opinabile il collegare la decovrenza del termine semestrale per la riassunzione ad un evento che, secondo l'art. 24 I. 1034/1971, non solo non rientra tra quelli ddonei a determinare la certezza legale ma per di pi rivelatore di una conoscenza che non deriva da un atto proveniente dall'esterno ma dalla stessa parte interessata, ovvero da quella rimasta orfana del difensore. Sulla ;insufficienza della conoscenza di fatto come surrogato delfa conoscenza legale la tesi del Consiglio di Stato contrasta con quella della Cassazione (cfr. .10 giugno ,1982 n. 3512), la quale peraltro concerne l'art. 305 c.p.c. cos come risulta modificato dalla sentenza .12 dicembre '1%7 n. 139 della Corte Costituzionale, che lo dichiar dncosflituzionale nella parte in cui consente che di termine per la riassunzione o la prosecuzione decorra dalla data di un evento di cui il soggetto non messo in condi2lione di conoscere l'avverarsi . Nella sua riformulazione costituzionalmente legitflima dunque l'art. 305 c.p.c. non richiede espressamente la certezza legale .riico11egandola a specifiche forme di informazione, ma solo che il soggetto sia messo in condizione di avere conoscenza dell'evento PARm I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 115 DIRITTO ...,.. Preliminarmente va affrontato il problema della possibile estinzione dell'appello proposto dal Comune di Modena: problema posto dalla eccezione sollevata dalla appellata Testoni e che ha determinato la rimessione della controversia all'Adunanza plenaria. L'eccezione si fonda sul fatto, non controverso, del decesso dell'avv. Barillaro, in origine unico difensore del Comune di Modena abilitato al patrocinio presso le giurisdizioni superiori, della conseguente interruzione del processo e della mancata riassunzione nel termine previsto dall'art. 24 della L. 6 dicembre 1971 n. 1034. Al fine di decidere sulla eccezione in discorso si deve stabilire: a) se si sia verificato un evento tale da far decorrere il termine semestrale entro il quale il processo doveva essere riassunto; b) se, risolto positivamente il quesito sub a), un atto di riassunzione, cos come configurato dal menzionato art. 24 secondo comma si sia verificato; e) se, infine, possa ammettersi un atto equivalente alla riassunzione, costituito, in concreto, dall'avvenuto deposito in causa di procura rilasciata dal Comune di Modena in favore di nuovo difensore, in sostituzione di quello deceduto. Sul primo punto deve osservarsi che il termine di riassunzione prende a decorrere dalla conoscenza legale dell'evento interruttivo acquisito mediante dichiarazione, notificazione o certificazione: ma deve escludersi che evento di tale fatta siasi verificato. In particolare, deve escludersi che nel corso della pubblica udienza del 15 dicembre 1981 avanti la interruttivo e ci nonostante, come si diceva, la Cassazione richiede la certezza legale. Nell'art. 24 della 1. 1034/1971 (che per la sua data successiva alla sentenza della Corte Costituzionale ha tenuto conto del principio livi affermato) si dice espressamente che il processo deve essere niassunto nel termine perentorio di sei mesi dalla conoscenza legale dell'evento interruttivo, acquisita mediante dichiarazione, notificazione o citazione e non di meno l'Adunanza Plenaria ritiene di poter equiparare alla certezza legale cos codificata la certezza effettiva. A giustificazione di questa conclusione il Consiglio di Stato sottolinea la scarsa chlarezza della formula legislativa, che pone sullo stesso piano misure di conoscenza tra loro molto diverse a livello strutturale e funzionale. E su questa affermazione si pu anche convenire; ci che non sembra da condividere invece la concludenza di essa rispetto alla conseguenza che se ne vuole trarre, poich per quanto ambigua sia la formulazione della norma, non vi dubbio che essa faccia riferimento a degli strumenti che una parte o terzi possono utilizzare per far acquisire all'altra parte la conoscenza legale, mentre non prospettabile dn base a questa norma l'ipotesi che sia la parte stessa ad autocertifcarrsi la propria conoscenza legale. 9 - 116 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO IV Sezione si sia reso noto l'evento interruttivo: risulta infatti dal verbale di udienza che l'appello del Comune di Modena fu chiamato congiuntamente a quello della Regione Emilia Romagna; che fu presente soltanto il difensore della Regione il quale chiese rinvio, ed entrambi i ricorsi furono rinviati a udienza da destinare, poi fissata al 19 ottobre 1982. N risultano altri atti suscettibili di determinare la ricordata cono scenza legale: dell'evento interruttivo infatti si parla, per la prima volta, nella memoria depositata il 19 ottobre 1982, ma tale atto non era idoneo a determinare nell'appellante la conoscenza legale dell'evento. La parte infatti sta in giudizio a mezzo del difensore e, anche ad ammettere un onere di conoscenza delle dichiarazioni fatte o degli atti prodotti in pubblica udienza, la conoscenza stessa va esclusa perch l'evento da conoscere (morte del difensore) dovrebbe essere appreso dalla parte proprio attraverso quel difensore del quale rimasta priva (si veda, in termini, Cass., 10 giugno 1982, n. 3512). La difesa dell'appellata, nel corso della pubblica udienza, ha richiamato l'attenzione del Collegio su un ulteriore aspetto del problema, e cio se la formula di cui all'art. 24 possa essere intesa nel senso che la conoscenza legale sia quella comunque acquisita anche indipendentemente dai mezzi indicati dalla legge e cio mediante dichiarazione, notificazione o certificazione . Ma pi che indagare circa la tassativit o non dei mezzi, occorre chiedersi se alla conoscenza legale possa equipararsi una conoscenza piena ed effettiva che possa inequivocabilmente desu mersi da atti provenienti dalla parte colpita dall'evento interruttivo e dai quali risulti che alla stessa noto l'avvenuto decesso del difensore. E nel caso presente la questione tutt'altro che teorica, poich versata Sicch non si vede proprio come la delibera con la quale H Comune prende atto della morte del difensore e ne nomina un altro possa considerarsi pariti. cabile alla conoscenza legale imposta dalla legge. Ma la decisione non appare convincente neppure sotto l'altro profilo, rias sunto nella seconda massima, e che sarebbe stato vano esaminare se il prece dente fosse stato valutato dn modo contrario. Qui si tltdene atto di prosecuzione o comunque atto equivalente alla rias sunzione U deposito della procura conferito al nuovo difensore (quando per risulti gi fissata l'udienza di discussione). Afferma l'Adunanza Plenaria, richiamandosi alla sentenza 26 giugno 19&1 n. 285 della V Sez. che nulla impedisce sul pi.ano Siistemat[vo di applicare al processo amministrativo la prosecuzione volontaria prevista dal c.p.c. >>, ag giungendo che alla assenza di ostacoli di ordine generale si riaccompagna, un testuale richiamo agli artt. 299 e seguentd che preveda appunto la prosecuzione volontaria... . Senonch l'art. 24 1. 1034/197il ll1invfa s agli articoli del codice di procedura civile ma solo in quanto applicabili e non si vede come possa ritenersi com PARm I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 117 in atti, prodotta dallo stesso Comune di Modena, una delibera nella quale si prende espressamente atto del decesso dell'avv. Barillaro e si stabilisce di affidare il patrocinio ad altro difensore. Ritiene l'Adunanza plenaria che al quesito possa darsi risposta affermativa. Le norme sulla interruzione del processo sono poste a garanzia della parte rimasta priva del difensore ed incolpevolmente ignara di tale evento. E si deve ricordare che, proprio in base a tale esigenza di conoscenza (o, almeno, di conoscibilit) dell'evento interruttivo, la Corte costituzionale, con sentenza 12 ,dicembre 1967 n. 139 (in questa Rassegna 1967, Il, 840), ha dichiarato l'illegittimit costituzionale dell'art. 305 Cod. proc. civ., nella parte in cui dispone che il termine per la prosecuzione o riassunzione decorra dalla data di interruzione del processo per morte del difensore e cio dalla data di un evento di cui il soggetto non messo in condizione di conoscere l'avverarsi. L'art. 24 della L. 6 dicembre 1971 n. 1034 ha avuto presente questa esigenza ed ha stabilito che il termine decorre dal giorno della conoscenza legale, acquisita attraverso i mezzi della dichiarazione, notificazione o certificazione . La scarsa chiarezza di tale ultima formula, non sfuggita alla IV Sezione di questo Consiglio: nella decisione 10 giugno 1980 n. 651, infatti si osserva che sono state poste sullo stesso piano misure di conoscenza tra loro molto diverse a livello strutturale e funzionale. Sembra per incontestabile che il legislatore, parlando di conoscenza legale, da un lato, e specificando gli strumenti atti a determinarla, dall'altro, abbia ritenuto sufficiente che la parte colpita dall'evento interruttivo, sia posta in grado di conoscerlo attraverso procedimenti formali, pato:'bile con l'istituto della prosecll2lone (che peraltro ,radicato in un procedimento la cui articolazione dn varie udienze successive di ,regola !ndipendente dall'impulso della singola parte, essendo sufficiente quella dell'altra parte e 1Jalora del giudice) la previsione nell'art. 24 comma 2 della sola riassll11Uone a cura della parte pi diligente '(e non de1Ia sola controparte come nel 303 c.p.c.). Nel che sembra dimostrato come nel processo ammin:i:strallivo sia sempre necessaria la riassunzione anche ad opera della pa:rte nei cui confronti. s,i sia verificato l'atto intel1I1lttivo, necessit coerente d'altra parte con i1:a struttura di questo procedimento che rende difffoilmente realdzzabile una fattispecie come quella iipotizzata nell'art. 303 c.p.c. Ma vii di pi: l'art. i24 comma 2 , soggiunge che la riassunzione deve avvenire con atto notificato a tutte le altre parti e questo pare sufficiente a confutare dn modo pieno la tesd deUa possibUit cli dare ulteriore impulso al processo interrotto con dl semplice deposito della procura, perch appare indefettibile fesdgenza che la parte !interessata a continuare il .giudizio notifichi un ricorso dn :niassll11Uone a tutte le altre partd del giudizio. G.P. POLIZZI RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 118 senza che sia necessaria una conoscenza effettiva, la prova della quale sempre assai ardua: dal momento in cui l'evento reso conoscibile cessa ogni ragione di tutela del soggetto rimasto privo di difensore e pu prendere a decorrere il termine per riassumere il processo, pena la sua estinzione. Ma se al prodursi di tale effetto sufficiente la conoscenza legale , e cio una mera conoscibilit determinata dal compimento di atti a ci ritenuti idonei, deve ammettersi che l'effetto si produca anche ove risulti in modo certo ed inequivocabile che la parte, ad una certa data e per sua stessa ammissione, era a conoscenza del decesso del suo difensore: diversamente opinando si consentirebbe il proseguire dell'effetto interruttivo senza che ci sia necessario a tutelare una parte ormai in grado di provvedere alla difesa nominando altro patrono, e gravando le altre parti, che possano aver interesse ad una sollecita conclusione del processo, dell'inutile incombenza di determinare in quella privata di difensore la ""conoscenza legale (ad es. mediante notificazione) di un evento che la stessa ha per altra via effettivamente conseguita. Nel caso di specie, come si accennava, l'appellante Comune di Modena ha prodotto in giudizio una delibera consiliare in data 16 settembre 1982 con la quale, preso atto della morte del precedente difensore, si stabilisce di nominarne un altro in sua sostituzione. Tale atto, sia per l'organo deliberativo da cui promana, sia per il suo inequivocabile contenuto, sia per la data certa di riferimento, consente di ritenere che il 16 settembre 1982 fosse raggiunta la conoscenza effettiva dell'evento interruttivo. Da tale data dunque prende a decorrere il termine semestrale che porta all'estinzione del processo, ove non intervenga un atto di parte: la cui portata si tratta ora di individuare. Nella specie, infatti, entro sei mesi dal 16 settembre 1982 si avuto non un atto di riassunzione come configurato dall'art. 24 terzo comma della L. 6 dicembre 1971 n. 1034 vale a dire un atto notificato a cura della parte pi diligente a tutte le altre, ma il deposito, prima della pubblica udienza del 19 ottobre 1982 (fissata quando ancora nulla risultava in atti circa il decesso del difensore del Comune), di procura rilasciata dal Sindaco di Modena in favore del nuovo difensore. Di conseguenza, se tale atto equivale a riassunzione o comunque idoneo a sostituirla, pu giungersi alfa pronuncia di merito; mentre in caso contrario, alla data della presente decisione, il processo sarebbe estinto. Al riguardo ritiene l'Adunanza plenaria che la prima soluzione, gi affermata dalla IV Sezione con decisione 28 luglio 1981 n. 663 e dalla V Sezione con decisione 26 giugno 1981 n. 285, (in questa Rassegna 1981, I, 685 e 700), sia da condividere. Come pone in evidenza la seconda delle citate decisioni, nulla impedisce sul piano sistemativo di applicare al processo amministrativo la PARm I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA prosecuzione volontaria prevista dal C.p.c. da parte del soggetto colpito dall'evento interruttivo e che tale prosecuzione avvenga con atto non notificato ma mediante costituzione del nuovo difensore con procura rilasciata prima dell'udienza gi fissata, e della quale dunque le altre parti ebbero rituale notizia. Ed all'assenza di ostacoli di ordine generale si accompagna un testuale richiamo agli artt. 299 e segg. Cod. proc. civ., tra i quali l'art. 302 che prevede appunto la prosecuzione volontaria e la legge n. 1034 del 1971 all'art. 24, parlando di riassunzione a cura della parte pi diligente, mostra di ritenere idoneo un atto proveniente da una qualsiasi delle parti, ivi compresa quindi quella colpita dall'evento iilterruttivo. Si pu solo aggiungere, a quanto affermato dalla V Sezione, che la prosecuzione con deposito di procura rilasciata al nuovo difensore sia sufficiente quando risulti fissata una udienza di discussione del ricorso. Ove, invece, l'udienza non sia fissata (ad es., perch sia intervenuto un provvedimento dichiarativo dell'interruzione), il soggetto che intende proseguire il processo, oltre a costituirsi nel modo indicato, dovr richiedere la fissazione dell'udienza (arg. ex art. 302, secondo periodo, C.p.c.) e le altre parti ne avranno notizia a mezzo dell'avviso eseguito a cura della segreteria dell'organo giurisdizionale. Concludendo sul punto, l'eccezione di estinzione sollevata dalla appellata Testoni Cavallo va disattesa avendo il Comune di Modena tempestivamente proseguito il processo entro il semestre dalla conseguita conoscenza dell'evento interruttivo. Ci consente di passare all'esame del merito: esame che pu essere svolto congiuntamente sull'appello del Comune di Modena e su quello della Regione Emilia-Romagna, entrambi diretti contro la medesima sentenza, fondati su censure analoghe e gi riuniti dall'ordinanza di rimessione. L'appello della Regione, in verit, oggetto di una eccezione di difetto di interesse: posto che la oggi appellata Testoni Cavallo articol una serie di censure avverso l'atto comunale di adozione di variante al P.R.G. e quello di approvazione e che il T.A.R. ebbe a respingerle tutte ad eccezione di due dirette contro l'atto del Comune, si assume che, in difetto di appello incidentale sui motivi respinti, la materia del contendere sarebbe ormai limitata agli eventuali vizi della delibera comunale, e dunque, a profili sui quali la Regione non avrebbe titolo ad interloquire. L'eccezione infondata. Infatti i vizi della delibera comunale -ritenuti esistenti dal T.A.R. -non possono che ripercuotersi sull'atto regionale di approvazione e, di conseguenza, la Regione ha interesse a chiedere la riforma della sentenza e a dimostrare al giudice d'appello che i motivi accolti in primo grado sono infondati. (omissis) RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 13 ottobre 1983, n. 710 -Pres. De Roberto -Est. Fabbri -Capua (avv.ti Mazzei e Castagna) c. Commissario liquidazione usi civici di Catanzaro, Cosenza e Reggio Calabria (Avv. Stato Siconolfi) e Comune di Oppido Mamertina (Avv.ti Falzea e Giannini). Giustizia amministrativa -Atto impugnabile -Usi civici -Provvedimento del Commissario di reintegra a favore del Comune -Improponibilit. Usi civici -Procedimento di legittimazione -Provvedimento del Commissario di reintegra a favore del Comune -Legittimit -Immediata esecutivit. Usi civici -Provvedimento del Commissario di reintegra a favore del Comune Forma di sentenza -Giudizio inesistente -Illegittimit per travisamento dei fatti. E suscettibile di impugnazione dinanzi al giudice amministrativo, non avendo natura giurisdizionale, il provvedimento del Commissario per la liquidazione degli usi civici che non risolve una controversia sulla attribuzione o sulla qualit demaniale del suolo, ma, sul presupposto incontroverso della demanialit, d corso al procedimento di reintegra in favore dell'Ente locale (1). Dopo l'esito negativo della domanda di legittimazione ed in pendenza del procedimento di legittimazione delle terre oggetto di occupazione, legittimamente il Commissario liquidatore degli usi civici ne ordina, con provvedimento immediatamente esecutivo, la reintegra a favore dell'Ente locale (2). E viziato per travisamente di fatti, conseguente ad erroneit di presupposto, il provvedimento del Commissario liquidatore degli usi civici (1-3) Sui poteri dei Commissari agli usi civioi cfr. Cons. St., Sez. VI, 15 gennaio 11974 n. ,1 secondo la quale fe attribuzioni demandate ai Commissari non sono ristrette alla sola classe di questii.oni giurisdizionali, ma comprendono anche i poteri amministratii.v.i relativi alla concreta futtispecie nella procedura esperibile al fine di ottenere una concreta sistemazione degli usi civici locali, e Cons St., Sez. IV 30 luglio .1974 n. 553 per la quale l'esame che il Commissario per la liquidaziione degLi usi civici, rispetto alla chiesta legittimazione di un fondo, fa per quanto attiene al requisito delle sostanziali e permanenti migliorie, ai sensi dell'art. 9 1ett. a) I. 16 giugno 1927 n. 1766, non si concreta in una indagine meramente tecnica, ma si risolve in una vera e propria valutazione di carattere tecnico-discrezionale. Oass. 21 aprile 1982 n. 247.1 distingue tra il potere giurisdizionale esercitato nell'accertamento dei presupposti della legittimazione delle occupazioni delle terre del demanio civico ed il potere di determinazione delle condizioni di legittimazione tra cui il canone da imporre sul fondo, sindacabile quest'ultimo dal G.A. in sede di impugnazione degLi atti finali del procedimento di legittimazione. Si rammenta infine Cass. 10 giugno 1982 n. 3527 che ha riconosciuto la qualit di necessario contraddittore allo Stato nella controversia davanti al Com .. I i I m ,,I! il & & e r PARTE I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA. 121 che si presenti formalmente come sentenza emessa su un ipotetico ed in realt inesistente ricorso del Comune interessato (3). missarlo regionale vertente tra un Comune che agiva per il riconoscimento ai suoi cittadini del dirotto di uso civico di pesca sulle acque demaniali di un fiume ed il titolare del diritto esclusivo di pesca sulle stesse che si opponeva a tale riconoscimento. CONSIGLI DI STATO, Sez. IV, 27 ottobre 1983, n. 742 -Pres. Mezzanotte, Est. Lignani -Tota (avv. Brusca S.A.) c. Ministero dele Finanze (Avv. Stato Carbone) ed altri. Impiego pubblico -Concorso per segretario principale Titolo di studio Diploma di geometra Inidoneit. Impiego pubblico Passaggio di carriera Qualifica acquisita in altre Amministrazioni Inidoneit. Dal concorso riservato per il conseguimento della qualifica di segreta rio principale legittimamente viene escluso il candidato interno in possesso del diploma di geometra, in quanto si richiede il titolo di studio ordinariamente previsto per i candidati esterni e ad esso non applicabile la norma eccezionale che ammette il titolo di geometra nel concorso pubblico per conseguire lo status di ruolo cui partecipino anche candidati esterni in condizioni di parit (1). Per la norma che consente l'accesso ai concorsi riservati per passaggio di carriera ai dipendenti in possesso di una determinata qualifica non rileva la posizione acquisita in una Amministrazione div.ersa (2). (1-2) La decisione decide una questione piuttosto particolare concernente l'ammissione al concorso per il conseguimento della qualifica di segreta.rio prin cipale ex art. 111. 118 marzo 1968 n. 248 in base alle disposizioni del d.P.R. 28 di cembre 1970 n. ,1077 ed esamina poi il significato dell'art. !J.29 del R.D. 23 mar zo 11933 n. 1185 e dell'art. 1148 d.P.R . .tf177/1977. OOINSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 27 ottobre 1983, n. 744 -Pres. De Roberto -Est. Lignani -Soc. Immobiliare Patrizia (Avv. Montuori e Bonetti) c. Regione Lombardia (Avv. Stato Ferri) e Comune di Pavia (Avv.ti Pagano e Lorenzoni). Edilizia ed urbanistica Piano Regolatore Vincoli preordinati all'espropriazione Limite quinquennale. Deve essere riimesso all'Adunanza Plenaria il giudizio nel quale si discute se sia tuttora in vigore la norma che limita a cinque anni la validit RASSEGNA DEU..'AVVOCATURA Dm.J..O STATO 122 dei vincoli preordinati all'espropriazione posti con gZi strumenti urbanistici (1). (11) La norma della cui vigenza si dubita quella contenuta nella I. 29 novembre '1967 n. l187 ed il dubbio era gi stato prospettato dalla stessa Sez. con l'ordinanza 26 luglio 1983 n. 584, dopo che le sentenze di molti T.A.R. l'avevano ritenuta dnapplicabile a segU!to dell'entrata dn vigore della I. 28 gennaio 1977 n. 10. CONSIGLIO DI STATO, Sez. V; 30 settembre 1983, n. 405 Pres. Piga, Est. Cossu -Prodromi (Avv.ti Ierimonte, Giacomini e Castellano) c. ComUllle di Verona (Avv.ti Picotti e Fermarelli). Giustizia amministrativa Ricorso Notificazione Persona convivente Non veridicit della circostanza -Irritualit. Non pu ritenersi rituale la notizia effettuata a mani di persona indicata come convivente dall'Ufficio giudiziario qualora venga dimostrato con certificazione anagrafica che tale persona non era effettivamente convivente con il destinatario dell'atto (1). (l) Comunque secondo Ad. Plen. 10 giugno 1980 n. 23 eventuali errori di rito nella notificazione del ricorso che siano imputabili agli organi pubblici dei quald la parte tenuta ad avvalersi non possono dnoidere sul diritto alla tutela giurisdi2lionale, per cui in casi del genere il giudice, riconosciuto l'errore scusabile, deve rimettere dn termini di ricorrente per la notdfca del ricorso. CONSIGLIO DI STATO, Sez. V, 30 settembre 1983, n. 412 Pres. Piga, Est. Insinna -Tirone (Avv. De Mairtini) c. Comune di Macomer (Avv.ti Aru e Ghisu). Impiego pubblico Rapporto a tempo determinato Trasformazione in rapporto a tempo indeterminato -Esclusione. Non pu trasformarsi in rapporto di lavoro a tempo indeterminato quello instaurato con l'assunzione di dipendenti da parte di un Comune per lo svolgimento di funzioni provvisorie ed eccezionali (1). (1) Nello ,stesso senso ofr. Cons. Stato, Sez. VI, 29 maggio 1981 n. 234, che per ha ritenuto illegittimo lii provvedimento di nomina a tempo determinato di insegnante dell'E.N.A.L.C. al quale venga affidato l'iinsegnamento di una materia stabilmente compresa nei corsi con pieno orario settimanale e per l'intera durata dei corsi; e Sez. V, 11 gennaio 1970 n. 6 che ha negato il carattere di rapporto a tempo indeterminato a quello instaurato da un Comune per molti anni sempre con lo stesso personale per provvedere ad esigenze stabdli e ricor renti, ma stagionali dei bagni di mare e del riscaldamento. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA>' 123 CONSIGLIO DI STATO, Sez. V, 10 ottobre 1983, n. 430 -Pres. Crisci, Est. Cossu -Amitrano ed altri (Avv. Kldtsche de la Grange) c. Comune di Roma (Avv. CamovaJe). Giustizia amministrativa -Esecuzione del giudicato -Domande nuove Rivalutazione ed interessi -Inammissibilit. Non ammissibile la richiesta di corresponsione della rivalutazione manetaria e degli interessi legali formulata per la prima volta in sede di giudizio di ottemperanza relativo ad una decisione contenente la condanna dell'ente pubblico al pagamento di somme dovute per retribuzioni (1). ~1) La decisione conferma, in relazione alla particolare fattispecie, la precisa volont del Consiglio di Stato di non ammettere ingresso nel giudizio di inottemperanza a questioni non decise nel giudicato di cui trattasi. Ln tal senso possono rioordarsi IV, 7 dicembre 11979 n. 1'130 per la quale in tale sede non sono ammissibili censure non concernenti i proyvedimenti impugnati; VI, 3 febbraio :1976, n. 36; VI 7 dicembre 1973 n. 571 e VI 4 luglio 1972 rn. 411 secondo la quale la procedura suddetta trova un limite dnvalicabile nel contenuto formale e sostanziale del giudicato, essendo l'obbligo dell'Amministrazione solo quello di attuare la decisiorne in relazione alla situazione definita in sede giurisdd:ziionale. CONSIGLIO DI STATO, Sez. V, 19 ottobre 1983, n. 456 -Pres. Crisci, Est. Cossu -Soc. Funivie Seggiovie S. Martino (Avv.ti Giovannintl e Romanelli) c. Comune di Sivar (Avv. Cacciavillani) e U.T.E. di Trento (Avv. Stato Ferri). Urbanistica -Opere abusive -Provvedimento del Sindaco applicativo di sanzione pecuniaria Valutazione dell'U.T.E. del valore delle opere Necessit notifica precedente o contestuale. Urbanistica -Opere abusive -Provvedimento del Sindaco applicativo di sanzione pecuniaria -Identit sanzione rispetto ad altra annullata in sede giurisdizionale -Legittimit. Urbanistica Opere abusive Valutazione dell'U.T.E. -Determinazione del valore in base al costo -Legittimit per manufatti particolari. E' illegittimo il provvedimento del Sindaco che applica la sanzione pecunaria per le costruzioni abusive di cui non sia possibile la riduzione in pristino, quando non sia stata precedentemente o contestualmente RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 124 notificata la valutazione dell'ufficio tecnico erariale concernente il valore venale delle opere stesse (1). Non illegittimo il provvedimento del Sindaco che applichi la medesima sanzione pecunaria gi annullata dal G.A. per mancata determinazione dei criteri di calcolo del valore delle opere abusive, quando la nuova ingiunzione contenga un riferimento specifico ai criteri stessi (2). Non illegittimo il provvedimento del Sindaco che nell'applicare la sanzione pecuniaria per la costruzione di opere abusive faccia riferimento alla valutazione dell'U.T.E. che determina il valore delle opere in base al loro costo, quando la particolare natura dell'edificio non consenta la comparizione con edifici analoghi, (nella specie trattavasi di immobile sito in alta montagna al servizio di impianto di funivia (3). (1-3) da sottolineare preliminarmente che :il Consiglio di Stato, pur annullando il provvedimento impugnato dn relazione al motivo di cui alla prima massima, si tuttavia pronunciato anche sugli altri motivi, onde confutarne la fondatezza nel ddchiarato intento di a1D.o (avv. Iaccarino). Giustizia amministrativa Avvocatura dello Stato Notifica della sen tenza Notifica all'Amministrazione -Inidoneit a far decorrere terInine impugnativa. Giustizia amministrativa Avvocatura dello Stato Costituzione in giu dizio Comparizione in camera di consiglio Atto formale di costituzione Non necessarlet. Giustizia amministrativa Avviso d'udienza -Mancata notifica ad Avvocatura Stato -Nullit sentenza -Rimessione al primo giudice. Quando l'Avvocatura dello Stato si sia costituita nel giudizio di primo grado in rappresentanza dell'Amministrazione resistente, la notifica della sentenza effettuata presso l'Amministrazione stessa e non presso l'Avvocatura, non idonea a far decorrere il termine breve per l'impugnazione (1). Deve ritenersi ritualmente costituita in giudizio l'Avvocatura dello Stato in rappresentanza e difesa dell'Amministrazione resistente, quando essa sia comparsa in Camera di Consiglio per la discussione della sospensiva, pur se non abbia depositato alcun atto formale di costituzione (2). La sentenza del T.A.R. che sia stata pronunciata senza la preventiva notifica all'Avvocatura dello Stato, gi costituita, del decreto presidenziale di fissazione d'udienza deve essere annullata con rimessione della causa al Tribunale per una nuova pronuncia sul merito del ricorso (3). (,1) Il Consigli.o di Stato non affronta una volta per tutte la questione dell'applicabilit del principio dell'onere di notificazione della sentenza presso l'Avvocatura dello Stato a prescindere dalla sua pregressa costituzione in giudizio in materia di giustizia amministrativa, limitandosi a porre i termini del problema e cio se la necessit della notifica discenda dal combinato disposto degli artt. 170 e 285 c.p.c. o pi generalmente degli artt. 110 e 12 I. 103/1979, per poi aggirarlo in quanto nel caso di specie l'Avvocatura era costituita in primo grado. La sentenza tuttavia non manca di sottolineare come tutte le volte che la questione stata affrontata anche recentemente dall'Adunanza Plenaria e dalle Sezioni Unite essa sia stata trattata in modo marginale e tutt'altro che appagante. Occorrer dunque attendere un'altra occasione per l'auspicato chiarimento giu risprudenziale sulla portata innovativa della legge 103/1979, che appare difficil mente contestabile sul punto. (2) Questa massima riassume l'aspetto pi interessante della decisione che, per la sua novit, non trova precedenti nella giurisprudenza del Consiglio di Stato. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 128 (omis'sis) Prelhninarmente via esaminata l'eccezione sollevaita dal comune di Laviano, attuale appellato, riguardo ailil'aisserit:a tardivit della notJifica dell'atto di appello, che sarebbe stata effettuata oltre i sessanta giorni dopo la notifica della sentenza di 1 grado ai due organi, centlrale e peri.ferii.co, dell'Amminist:mzione scolastica, ora appeHainte con il patrocinio dehl'Avviocatura generale dello Stato. L'eooeziOille va disattesa in base al costaintie orientamento di questo Consiglio, determinrato dalle due note decisioni dell'Adunanza Plooari:a 7 dicembre 1979 n. 32 e 6 maggio 1980 n. 12, secondo cui fil tierrnine breve per appellare deconre, per l'Amministrazione statale soccombente, dalla notifica della sentenza effettuata presso l'Avvocatura domiciliataria ex lege e non presso la sede reale dell'Amminristrazione medesima. Vero che il surriiferito iinsegnamento girurisdiziionaile, nel quale tralaticiamente si riflettono le sommarie consiiderazionri dell'AdUD!anza Plenaria sU!l complesso problema, non chiarisce adeguatamente se la necessit della notifica della sentenza presso l'Avvocatura siia dJa porre in relazione con ml combinato rdisposto dewli 1artt. 170, primo e terzo comma, e 285 cod. proc. civ. (dal che potrebbe trarsi argomento per sostenere che il principio valga nel solo caiso di regolare costituzione della difesa erariale nel 1 grado del giudizio) o non piiutitosto con le disposizioni degli a:rtt. 10, terzo comma, e 12 della legge 3 aprile 1979 n. 103, le quali, nichiamaindo in vita l'art. 1 delJla legge 25 marzo 1958 n. 260, da un lato, e daill'altro lato conferendo carattere di organicit alla rappresentanza in guidtizio delle Amministra.7Ji.oni statali (o altre assimilate) da parte dei1l'Avvooatw:a dello St:ato, sembrano violer imporre in ogni ooso la notifica di qualunque atto giudi:ciariio (quindi anche delle sentenze, ancorch non comprese nell'ambito precettivo della norma espressamente ri- Il ragionamento seguito ineccepibile, esso muove dal principio della libert di forma per fa costitumone in giudizio e rileva che l'unico documento indispensabile per i difensori diversi dall'Avvocatura dello Stato fil mandato, che tale mandato non per necessario nel caso di specie dato il oarattere organico del rapporto di rappresentanza processuale, per concludere nel senso dell'irrilevanza della <.ostituzione documentale e la sufficienza a tal fine della compari2lione dell'avvocato dello Stato alla discussione della sospensiva. La sentenza si sofferma anche a sottolineare il carattere dnterno dell'incidente oautelare rispetto al giudizio cli merito, per confutare agni possibile obiezione in ordine alla limitatezza dell'intervento dell'avvocato dello Stato al giudizio caute1are. Si potrebbe forse solo aggiungere a quanto perspicuamente dedotto in sentenza che se lo scopo della' costituzione in giuwio quello cli consentire alla parte resistente di avere notizia della vicenda del processo per poter partecipare al contraddittorio una volta che tale contraddittorio si sia gi instau rato nell'udienza di sospensione, ia presenza della parte nel processo si ormai definitivamente realizzata assorbendo ogni questione sulla costitu:rione che un prius rispetto alla comparizione. PARm I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 129 cmamata dall'art. 10 legge n. 101/79) presso gli uffici della difesa erariale indipendentemente dalla posizione processuale da questa assunta nel primo grado del processo. Il problema (cui nessun contributo risolutivo hanno appontato neppure le recenti sentenze della Cassazione a Sezioni unite n. 5687 del 2 novembre 1979 e n. 2113 deLl'll 1aprile 1981) non deve tuttavia essere necessariamente affrontate ~n questa ,sede, poich l'Avvocatura dello Stato si era costituita per a:J. Mirnistero della P.I., nella pregressa fase del giudi2Jio, comparendo :in camem cli consigliio dinanzi al T.A.R. al fine di resistere alla domanda incidentale di sospensione degli atti impugnati che il ricorrente Comune di Laviano aveva avanzata con il ricorso introduttivo. Non va:le opporre in contrario, come argomenta l'appellato, anche sulla base ! copiosa documentazione rilasciata alla segreteria del T.A.R., che l'Avvocaitura non risulta presente in ~udi:llio In primo gmdo per mancanza di atti formali di costiituzione o di altra produzione documentale all'uopo idonea; oi in quanto, da un lato, l'art. 37 del rid. 26 giugno 1924 n. 1054 e l'art. 22 dehla legge 6 dioembre 1971 n. 1034 non nichiedono forme partico1ani per la costitUZJione Ilil giudizio delle parti diverse dal ricorrente, e dall'altro lato il carattere organico del parporto di rappresentanza processuale che intercorre tra Amministrazione attiva e Avvocatura dello Stato esclude la necessit del deposito dell'unico documento la cui prodUZJione appare in casi si.milli. veramente indispensabile (cio 1ia procura: arg. ex art. l, secondo comma, del rd. 30 ottobre 1933 n. 1611). La circostanza, poi, che il rappresentante della difesa erarialie sia compai11So soltanto in camera di consigl.iio per d:i.scutlere le questioni attinenti all'istanza di sospensiva non di per s idonea a togliere rilevanza aM'intervento processuale in reJazione alle successive fasi del (3) Il difetto di procedura ed i vi:ci di forma che ex art. 35 I. 1034/197:1 comportano il rinVii.o della causa al giudice di primo grado devono essere intesi in senso restrittivo comprendendovi essen:ciahnente i casi in cui il T A.R. abbia omesso di decidere la controversia ovvero l'abpia dceisa in viiolazione delle norme sul contraddittorio ed i casi di nullit della 'Sentenza (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 12 febbraio 1978 n. 239); Cons. Stato, Sez. V, 24 febbraio 1978 n. 373 ha rimesso all'Adunanza Plenaria di chiarire se nell'espressione difetto di procedura rientri anche l'ipotesi di tardivit ad inammissibilit. La ipotesi pi frequente di rinvio al giudice di primo grado ex art. 35 sono quelle in cui ii.I Consiglio di Stato ritiene che durante il procedimento di I grado non sia stato rispettato dl contraddittorio (cfr. IV 24 giugno 1980 n. 696 e V 15 febbraio 1980 n. 1711), la quale ultima ha qualche punto di contatto con la decisione qui massimata, in quanto ravvisa tl difetto di contraddittorio nel mancato invio dell'avvdso di udienza alla parte agente con ricorso incidentale, gi dichiarato inammissibile, ma senza estramissione del ricorrente stesso. 130 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO processo in pr.imo grado lin quanto l'dnoidente cautelare, pur sorretto da taluni autonomi presupposti, costituisoe pur sempre una fase interna, per cos dire, del giudizio principale, essendo preordinato a creare situazioni strumentaili in vista della pronuncia conclusiva eventualmente favorevole (talch non avrebbe senso per l'Amministrazione resistente spiegare mtervento nel procedimenrtlo cautelare Senul opporsi anche, e principaliter, ailda pretesa sostami.are del ricorrente al fine di impedire la realizLJazione degli effetti fnaili che 'la domanda di pa:11te tende a perseguire); dii conseguenza, l'intervento del rappresentante dell'Avvocatura erar.iale, che appaia crnwamente fn0illizzato a costiruire il contraddittorio in ordine alle questioni sollevate con l'istanza di sospensiva, non pu intendersi limitato a tale particolare false del processo senza con ci stesso postulare la completa autonomia del procedimento oaut:elare rispetto al wudiizio dii memrto, autonomia che deve essere invece esclusa per l'impossibHit Iogico-gtiuridica di sV!i:ncolare la pronuncia, chlesta dalle parti e resa dail giudice, sulla iistanm cauteliare, dal successivo accertamento sul merito della pretesa che le parti medesiime, oontendendo in ordine ai! presupposti dehla sospensiva, conrtestualmete e necessariamente, ancorch non sempre espressamente; devono chdedre allo stesso organo giudicante. appena dl caJSO di aggiungere, poi, che nel caso specifico non risulta che il ricorso introduttivo sia stato notificato agli organi dell'Ammd.ndstrazione scolastica presso l'Avvocart:um distrettuale (come tassativamente dispone, iinvece, d'art. 1 della legge n. 260/58, richiamato dall'art. 1 della legge n. 103/79), 'sicch 1a mancata costituzione della stessa Avvocatura, qualora dovesse aderirsi a!Lla tesi qui sostenuta daili'appellato, avrebbe comportato l'impossibilit di sanatoria della nulUt deHa notifica del ricorso (art. 11, terzo comma, del r.d. 30 ottobre 1933 n. 1611, emandato dahla pronuncia della Corte Cost. 8 luglio n. 97); e questa ultima conseguenza nella specie risulterebbe aberrante, cons~derando che la prova dell'essersi in effetti :realizzato il fine precipuo dell'atto partecipativo data proprio dall'intervento spiegato dalla dii.fesa erariale dn sede di discussione d:e1la sospensiva, ond' che, anche per tale via, resta confermata la conclusione test raggiunta circa ili valore di formai1e atto d costituzione da riconoscersi aMa presenza del competente organo della difesa erariale nella fase cautelare del pro. cesso dri primo grado. Dalle suesposte considerazioni emerge altres la fondatezza del primo motiivo di appeiLlo, atteso che m>n solo al:l'Avvocaitura non fu notifi. cato, ailmeno quaranta giorni pPima , iii decreto presidenziia:le di fissazione dell'udiienza di discussione del ricoI'So (art. 75, terzo comma, legge n. 1034/71), ma neppure fu data, come emerge dalla documentazione in atti, comunicazione di tale data al Ministero della P.I., che pure :figurava tra glH organi intimati fil giudizio per essere l'Autorit da cui PARm I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA. emanava uno dei provvedimenti impugnati (cfr. peraltro, l'art. 54 del regolamento 17 agosto 1907 n. 642 che tale comunicazione impone pur qu!ando !itl Mrinisllero non sia l'organo emanante l'atto i:impugnato). Il rilevato difletto di procedura, che appare in questo grado msanabile in quanto integra una vfomione del contraddittorio nella prma fa!Se processuaie (cfr. Sez. V, 15 febbraiio 1980 n. 121), dmpone l'annUil:lamento delila sentenza e la rmessiorre della causa al Tribunalie per una nuova pronuncia sul merito del ricorso, ai 1sensi deH'airt. 35 della legge numero 1034/71. SllzIONE SESTA GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 9 agosto 1983, n. 5318 -Pres. Brancaccio Est. Sgroi -P. M. Zema (diff.) Soc. Papigliano c. Minli.stero delle Fi nanze (Avv. Stato Mari). Tributi erariali indiretti -Imposta di registro Agevolazione per costruzione di case di abitazione non di lusso -Area edificabile -Nozione. (I. 2 luglio 1949, n. 408, art. 14). Tributi erariali indiretti -Imposta di registro -Permuta -Convenzione di reciproca deroga alle distanze legali -:I!: tale. (r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 51). Ai fini dell'art. 14 della legge 2 luglio 1949, n. 408, l'acquisto di area edificabile deve essere inteso estensivamente per comprendere ogni diritto immobiliare, anche diverso dalla propriet, che concorre alla costruzione di case di abitazione, anche incrementando la possibilit di sfruttamento dell'area (applicazione all'ipotesi di costituzione di reciproche servit di costruire sul confine in deroga alle distanze legati) (1). La convenzione di costituzione di reciproche servit di costruzione sul confine in deroga alle distanze legali equiparabile ai fini dell'imposta di registro a un contratto di permuta (2). (omissis) Con il pnimo motivo le societ :rii.correnti deducono fa v.io 1Jazione e fa:1sa applicazione dell'art. 14 legge 2 !ruglio 1949 n. 408 nonch omessa, insufficiente e oontmddittoria motiivazione, ai iselllSi dcl.l'art. 360 n. 3 e n. 5 cod. proc. oiv., osservando che anche la Corte d'appeHo ha premesso che l'espressione acquisti di aree edificabili di cui all'art. 14 della -legge Tupini non deve essere tintesa in senso rest:niittivo, ma raippresenta un ampio concetro; ma ha poi negato che i diritti nascenti (1-2) La prima mass1ma fa applicazione di un principio affermato riguardo alle oessiorni. di cubatura previste nel piano regolatore cli Torino. (Cass. 22 gennaio 11915 n. 250, in questa Rassegna, 1975, I, 419) e successivamente esteso alle concessioni ad aedificandum (v. Relazione Avv. Stato, 1976, -80, II, 639). La seconda massima si rif ad una sentenza che, con riferimento all'ipotesi opposta, qualificava la costituz'.ione di servit reciproca come permuta per escludere la configurabilit di due rinunce gratuite (29 luglio 1974, n. 2286 in questa Rassegna, 1974, I, :1252); non si riscontra invero una !identit di problematica, giacch nella creazione di due servit reciproche non si attua un duplice trasferimento. ! ! f I I II i PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA dal contratto rappresentassero un effettivo incremento di area edificabile e fossero 1in rapporto di complementarit funzlionale con la progettlata edificazione, dimenticando che sii deve aver riguardo all'lincremento dell'ediificabiiliit. Nel caso concrieto: 1) li concessi diritti dli edifiicare sino sul confine avevano comportato un effettivo incremento di edifcabiiliit neJ paitximomio dei soggetti contraenti che senza tale concessione di dritti sarebbero stati tenuti alla costruzione di oase dii minor cubaltura per l'imposslibilit di costruzione sui clistacchi; 2) le costituite servit di passaggio pedonale e carrabile appruvano in rapporto di complementariet funzionale con le oostru2lion quali progettate; 3) le stesse servit di costruire baiCO! lli e loggette aggettanti sul fondo confinante o di aprire su esso fondo finestre ed accessi, in quanto collegate con Je servit di cui ai punti preced.entJi, sii presentavano funzionalmente complementari alle costru2!: .oni progettate, considerato che la lllalllcanza di tali servit avrebbe reso inutili le due precedenti servit, in quanto sarebbe stato linutile poter avanzare la facciata o H piano dei fondi di un fabbricato slin su:l confine, se poi si fossero dovuti costruire 1a facciata cieca e !. fondi senza aooessi. Con il secondo mezzo, le societ ricorren.ti deducooo 1a v.iolazi.one e falsa applicazione deIJ'art. 1552 cod. civ., nonch degfil artt. 8 e 51 del rid. 30 dicembre 1923 n. 3269, ed omessa, insufficiente, contraddittoria motiva2lione su punti dec~siv.i della controversia, osservando che la Corte d'appello ha :ritenuto che essen2liale elemento del contratto di permuta sarebbe !il trasferimento di propriet, mentre l'airt. 1552 cod. civ. lo defi nisce come H contratto che ha per oggetto :iJl reciproco trasferimento de.Ha propriet d!i. cose o di ailtri diritti; ed inolrtre che 1a Coilte d'appello ha escluso il slinal1agma nel caso di specie, mentre i contraetnlti avevano espressamente dichiarato di permutare l.e servdt, che si manifestavano le une costituite quali U!llico corrispettivo della eo&llitu:zJ.ione de1Ie altre. Invero, ove si fosse negato l'unitariet del contratrt:o in questione, si sarebbe dovuto concludere che i due ,autonomi negozi fossero stati sti pulati a titolo di liberailit, il che era assurdo. D'altra parte, secondo i ricorrenti, anche a non poter quailificare come permuta !il contratto, ai fini dell'imposta di registro esso avrebbe dovuto essere assimiil:ato al contratto .rappresentante :hl tipo negoziia:le ad esso pi v:ioino, per cui la tJassazJi.one avrebbe dovuto avvenre -ai sensi degli artt. 8 e 51 della legge di registro allora vigente -con riguardo ad entrambe 1e prestazioni. IJ 111corso fondato, per quanto di ragione. Le questioni sollevate con il primo motivo coinvolgono l'interpreta zione deIJ'art. 14 della legge del 1949 n. 408 che secondo ila giurisprudenza di questa Corte, deve essere inteso estensivamente comprendendosi nella 134 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO norma anche l'acquisto d:i un diritto di superficie o di altI1i diritti immobiliari (diversi dal diritto di propriet sull'area) che si:ano diretti a permettere sull'area la costruzone idi case di abitazione; fine che si :raggiunge anche oon la costruzione di un edificio di maggiori dimens:ioill., ' con pi ampio sfruttamento dell'-area (cfr. Cass. 10 marzo 1970 n. 608; Cass. 7 ottobre 1970 n. 1845; Cass. 23 ottobre 1973 n. 2707; Cass. 5 febbraio 1982 n. 656; con la precisazione che la conces1sione ad aedificandum pu godere delle agevolazioill. fiscali purch non Sii verifichi una duplicazione delle agevolazioni medesime: Cass. 6 luglio 1972 n. 2235; Cass. 9 mar zo 1973 n. 641; Cass. 30 aprile 1974 n. 1231). Le ultime tre isentenze cibate riguardano fattispecie diverse da quelle che formano oggetto delle sentenze precedentli, le qUJali riguardano una concezione di edificare sul fondo altrui; infatti esse prendono in consi derazione la cessione di cubatura prevista dal P.R. di Torino, considerata come trasfeI1imento d:i 1diritto reale, in quanto iil proprietaI1io cui inerisce la cubatura distacca in rutto o in parte la facolt merente al suo ~ritto dominicale di costruire nci il:imitli deHa cubatura concessagli dal Piano regolatore, formando un diritto a s stante che trasferisce definitivamente all'acqui!rente a benefoio del fondo di quest'ultimo, i:l 1 quale in tal modo amplia il contenuto del suo diritto dominicale. stato obiettato da parte della dottrina che in questJa lipotesii (a differenza che nella precedente) l'acquirenite della cubatura amplia la possibilit edifca1Joria del proprio fondo, ma tale obiezione, se pu valere nell'ambito della costruzione civilistica dell'istituto (che qui non interessa direttamentJe), non decisiva nella mterpretazione della ratio della agevolazione tl'ibutaria, che queHa di agevolare le costruzioni edilizie. Gli stessi principi possono pertanto applicarsi nella presente fatti specie, per quel che riguarda la oonvienziione costitutiva delle reciproche servit con le quali, derogando alle distanze legJa!li, [e parti si sono concesse il dini:tto d:i costruire fino al confine de.i rispettivi fondi. La giurisprudenza ha pi volte qualificato come costitutiva di una servit la convenzione fra vi:oini confinanti con cui si deroghi al rispetto delle distanze legalli (fra le altre cfr. Cass. 9 maggio 1974 n. 1318; Oass. 12 novembre 1978 n. 5894). In forza delil'acquisizione di tlale dil'itto, pur se cos1litutlivo di una qualit del proprio fondo, questo diventa interamente edrificabile e l"ampi Tributi in genere Contenzioso tributario -Giudizio di terzo grado - Alternativit Identit di oggetto -Diversit dei procedimenti . Ille~ ttimit costituzionale -Manifesta infondatezza. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, artt. 25, 26 e 40). Tributi erariali diretti -Imposta sui redditi di ricchezza mobile Plusva lenze -Intento di speculazione -Accertamento -Deducibilit nel giudizio di terzo grado. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 81; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 26). Tributi erariali diretti -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Plusva lenza -Intento di speculazione -Criteri di determinazione. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 81). I poteri del giudice di terzo grado, corrispondenti a quelli che prima della riforma erano attribuiti alla Commissione centrale e al giudice ordinario non si estendono alle questioni di fatto relative alla valutazione estimativa nella quale si includono anche le questioni relative alla esistenza del reddito o del cespite e del presupposto materiale o oggettivo del tributo (1). I due giudizi alternativi di terzo grado innanzi alla Commissione centrale e alla corte di appello sono di identico contenuto; ma n l'alternativit, n la diversit dei procedimenti danno luogo a seri dubbi di legittimit costituzionale (2). L'accertamento dell'intento di speculazione nella realizzazione di una plusvalenza, anche se attinente al mero fatto, costituendo la condizione in presenza della quale il reddito soggetto al tributo, ricompreso nella competenza del giudice di terzo grado (3). L'intento di speculazione, che rende tassabile la plusvalenza realizzata da soggetto che non sia imprenditore commerciale, deve sussistere oltre che al momento del realizzo anche in un momento anteriore, ma da ci non consegue che l'intento di speculazione deve sussistere sempre fin dal momento dell'acquisto e che esso inverificabile nelle ipotesi di acquisto per un titolo diverso dalla compravendita, giacch un proposito di speculazione pu attuarsi anche dopo l'acquisto, a qualsiasi titolo, con il fine di agevolare o potenziare l'incidenza di fattori incrementativi; solo in mancanza di un'attivit rivolta ad incrementare i valori l'intento va accertato rigorosamente con riferimento ai due momenti dell'acquisto e della rivendita (4). (1-4) Sull'argomento della prima massima la giurisprudenza si pu dire ormai consolidata nel senso che la valutazione estimativa (o estimazione semplice)., che costituisce il limite negativo al potere del giudice di terzo grado, ricomprende non solo le questioni sulla quantit della base imponibile ma anche quelle sulla sua esistenza e imputa21ione soggettiva. Dopo la sentenza, ricordata nel testo, 22 novembre 1977 n. 5086, in questa Rassegna, 1977, I, 874, si erano : .. I 1: PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 137 (omissis) 2) Nel sistema anteriore a1la revisione del contemiioso tributario, operata con decreto n. 636 del 1972, le norme allora in vigore, in base aJ loro contenuto meramente letterale, sembrtavano circosari:viere i poteri di cogndzione della Commissione centrarle alle sole questiOl.11.i di legittimit. Infatti, d.n materia dii: imposte dirette contro le decisi.ioni della Commissione provinciale era ammesso il ricorso aHa Commissione oontrale per motivi riguaIXlanti l'applii.oazione della legge (art. 48 del t.u. 24 agosto 1877 n. 4021, suhl'imposta di rfochezza mobile, e la stessa disciplina era prevista per quasi tutte le imposte dirette), mentre ii:l giudizio della cornmisisione provinciiale concernente le imposte indirette era definitivo nelJ.e controverisie sulla determiinallione del valore e la Commissione centrale era giudice d'appello nelle controversie relative all'applicazione della legge, decise 'Ol prima istanza dalla Commissione proviinciale, sezione di dirtltto (art. 29 del r.d.l. 7 1agosto 1936 n. 1639). Infine, neLle lim in materia di tributi loca1i, contro le prolllUl1Ze della gtiunta priovinciale ammirriistriativa era ammesso gravame alla Commrissione cent11ale (con una speoiaJe composizione) per sclii momvi di legittimit,. (art. 284 bis del t.u. sulla finanza locale, aggtiunto con r.d.l. 26 dicembre 1936 n. 2394). Peraltro, dottrina e giurisprudenza erano unanimemente pervenute alla conclusione, giustificata da ragioni di indole testu:a:le, storiica e sistematica (che non necessario qui ricordare), che la competenza della Commissione centvale si estendes>se 1a1Me questioni dli fiatto che non fossero di estimazione semplice. E .l'orientamento di questa Come si era consolidato nel ,senso che i poteri della Commissione centrale non coinoi.desooro con quelli che, neLl'esercizio della giurisdizione ol'.ldinaria, spettano alla Corte di cassazione, ma si estendessero all'acoertiamento dei fatti ooslli.tuenti la premessa necessaria per l'appliCazione deUa Iegge, cos che, gi avute altre conferme anche delle Sezioni unite; Zl giugno 11981 n. 4185, ivi, 11982, I, 152; 11 agosto 1982 n. 45119, ivi, ,1983, I, 1711. Nel dare tuttavia pratica attuazione a questo principio si riscontrano delle discordanze come appunto nella questione dell'accertamento dell'intento di speculazione. Recentemente le stesse Sezioni unite (15 marzo 1982, n. :1674, ivi, 1982, I, 819) erano giunte alla conclusione che l'accertamento dell'intento di speculazione si sottrae alla cognizione del giudice di terzo grado appwito perch attinente all'esistenza del reddito ovvero alla iidentiLlcazione dei caratteri del fatto. Ora si arriva alla conclusione opposta, ma in sostanza sulla sola considerazione che l'accertamento dell'dntento speculativo non riguarda la valuta ziione estimativa; ma per l'appunto la nozione di valutazione estimativa, estesa all'esistenza del reddito, che deve essere verificata per risolvere Ja questione dell'intento di speculazione; sul punto invece la pronunzia risulta piuttosto sbrigativa. Era gi stato affermato che l'intento di speculazione pu insorgere dopo che il bene sia stato acquistato, a qualsiasi titolo, precisandosi che la specifica 138 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA. DELLO STATO in definitiva, appantenevano alla competenza della Commissione centrale le questioni di diritto (compreSI gli errores in procedendo) e le questiond cli fatto realiizzanti ipotesi di es1iimazione complessa (v., fra le altre, "le sent. n. 4098/74 e 3228/76), secondo una nozione elaborata per disoriminaire la giurisdizione del giudice ordinaci.o sul fatto, riispetto a quella riservata alla Comm~sSlione distrettuale e a quella provinciale in materia estimativa, e volta ad individuare una oategoma di questioni di fatto, miste e connesse a questioni diritto, in quanto il concetto di estimazione semplice e'.t'a stato tendenzialmente esteso a comprendere tutte le ques1J: iorni. di fatto, tranne, appunto, quelle di estimazione complessa. In tal modo 1a competenza della Commis,sione centr.ale veniva ad essere in tutto conforme a queHa del giudice ordinario (tranne che per i vizi in procedendo delle deoisioni delle commissioni, sottratte alla giurisdizione ordinaria). Come esattamente fu posto in rilievo dalla prima 1sezione di questa Corte, con la ,sentenza n. 5086 del 1977, e com' stato confermato da1la Corte Costli.tuzionale nella sentenza n. 57 del 25 marzo 1982 (che ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimit costituzionale dell'art. 26 del decreto n. 636/72, in relazione all'art. 76 Cost., questione che era stata proposta anche dal ricorrente con 1H quinto motivo e che deve ritenersi ormai superata), nella prospettiva indicata dai suesposti princpi che devono essere lette nell'art. 10 n. 14 della legge di delega della rfforma tributaria (9 ottobre 1971 n. 825) la formula es1limazione semplice e quella sofil mo1livi di legittimit , testualmente riprese dia:Lla precedente normativa, che rivelano l'intento legislativo di conservare, in via di principio, alla Commissione centrale e . al giudice oOOinario (Corte d'appello) la medesima sfera di competenza che ad essi veniva attribuita nella disdplina allora in vigore. norma dell'art. 76 del d.PR. n. 597/1973, che ha previsto le operazioni di lottiz zazione, ha carattere innovativo solo sul punto della presunzione (30 marzo 1983, n. 2301, in questa Rassegna, 1983, I, 545). Quando tuttavia manchino manifestazioni sintomatiche come le lottizzazioni, le convenzioni urbanistiche ecc. l'intento di speculazione viene definito dalla sentenza con eccessivo rigore, si da diventare pressoch indimostrabile. Si ha l'impressione che al di fuori delle operazioni sulle aree edificabili, l'intento di speculazione si consideri difficilmente realizzabile. :B dnfatti eccessiva e non pertinente l'importanza data a11a destinazione del provento della vendita alla copertura di esposizioni, giacch perfettamente normale che si concluda una operazJ.one di speculazione anteriormente impostata per realizzare una somma eventualmente necessaria per coprire l'esposizione creata da al.tra speculazione meno fortunata. Importanti sono anche le affermazioni deUa seconda massima. Si tratta di questioni non nuove di legittimit costituzionale autorevolmente accantonate. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 139 Nella sentenza della Corte Costituzionale si , in proposiito, precisato che l'espressti:one per soH motivii
  • := ' ' I I I I ~ Ii~ i !:: ~ I: fil PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA Ci, peraltro, non giustifica i sospetti. di illegittrimit costtituzionali manifestati dal ricorrente con il quinto motivo (con il quale sono state sollevate numerose questioni di costituzionalit che saranno esaminate nel c011so deHa motivazione) sugli artt. 25 e 26 del decreto n. 636/72 circa le differenze procedimentali esiistenti tra il giudizio che si svolge dinanzi ail:la Commis'Slione centrale e quello dinanzi alla Corte d'appello, per pretesa violaziione degli artt. 3 e 24 Cost. Osserva in proposito il :ni.corrente che all'identit dei motivi per i quali si pu ricorrere alla Commissfone centrale e alla Corte d'appello non corriJ81ponide una -identit degld strumenti e del modus procedendi e che la facolt di scelta dell'organo dinanzi al quale pu proporsi l'impugnazione non ha lo stesso SIgnificato per una parte e per l'altra, dando foogo a situazioni diverse quanto alfa possibilit della discussione orale, consentita dinanri alla Corte d'appello e negata dinanri alla Commissione centrale, alle regole di acquilS!izione delle prove, al diverso costo dei due giudizi, all'applicaoolit, da parte della Corte di appello e non anche della Commissione centrale, delle norme contenute negli artt. 90-97 c.p.c. La sollevata questione, bench 'l1levante tiin quanto il suo eventuale accoglimento da parte della Corte Costituzionale inciderbbe necessariamente sul processo ancora in corso ed anche, nel caso di accoglimento del ricorso, in sede di rinvio, manifestamente infondata. Con la precedente sentenza di queste Sezioni unite n. 2350/83 si precisato che la istituzionale drnseraone della Corte di appello, organo della giurisdizione ordinaria, nell'ambito deLla giurisdi2lione speciale tri butaria, an quanto collegata alle commissioni :in virt del rapporto d'.impugnazione, non esclude che la diversa colloca:filone degli uff,ici (Commissioni tributarie e Corte d'appello), conservi wlore sul piano della disciplina del procedimento, che nei vari gradi sar regolato, se non sia altrimenti stabilito, dalle norme proprie del giudice innanzi al quale si svolge. Ma ci non si traduce in un vizio di costlituz:ionalit. Che nell'alternativa di pi mezzi di impugna2lione consentiti dalla legge, la scelta sia rimessa all'impugnante, non d luogo a disparit di trattamento sia perch impugnante pu essere tanto l'Amministrazione delle finanze quanto il contI'ibuente, sia perch nell'ambito del procedimento cui l'impugnazione d adito, entrambe le parti sono ugualmente tenute ad osservare le regole propI'ie di esso. N la circostanza che nei due possibili procedimenti il dfilitto di difesa debba esercitarsi con modalit diverse implica la violazione dell'art. 24 Cost., non essendo vietato al tegi.1Slatore ordinario aSSIcurare il cdiritto di difesa, purch esso sia sufficientemente gartantito, secondo schemi diversi, propri ciascuno del tipo di procedimento nel quale quel diritto dovr esercitarsi; e nel proce RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 142 dimento dinanzi alla Commissione centrale tale diritto garantito dalla possibilit, per le parti, di for valere le proprie ragioni mediante la proposizione del ricorso e del oontroricorso, c1i memome e di repliche e mediante il deposito di documenti. Per le stesse lt'agioni, manifestamente infondate sono le questioni di legittimit costituzionale dell'art. 27 ultimo comma che non ammette la discussione orale, in rela2lione agli artt. 3 e 24 Cost., e delle norme che escludono la pubblfoit delle udienze, in quanto :il diniego della discussione orale e la esclusione della pubblicit delle udienze riguarda ugualmente entrambe le parti e non impedisce l'esercizio del diritto di difesa mediante attivit diverse, ma anch'esse idonee a garantire quel diritto (gi in questo senso, v. le sentenze 3248/79 e 1929/81). L'essere, poi, legittimamente regolati il procedimento dinail11i alla Commissione centrale e quello ddnanz;i alla Corte d'appello, secondo la disciplina propria di .ciascun organo, anche per quanto riguarda la composizione di esso e l'et dei suoi componenti, rivela la manifesta infondatezza della questione di costituzionalit delle norme che consentono l'accesso alla Commissione centraJle di persone ultrasettantenni scelte fra appartenenti a determinate categorie, mentre i magistrati che compongono la corte d'appello sono collocati a riposo all'et di settant'anni; e delle norme che per il periodo fra il 1 gennaio 1973 e !il 31 dicembre 1981 consentivano, in viJa transitoria, che continuassero a far parte delle Commissioni tributarne fino aill'et d settantotto anni, coloro che ne facessero parte gi all'entrata in vigore del decreto del 1972 (art. 45, secondo comma, di tale decreto). Inoltre, priva di rilevanza l'ulteriore questione di legittimit costituzionale, formulata con H quinto motivo, relativamente all'art. 9, primo comma lettera f, per contrasto con l'art. 108, secondo comma, 97 e 103 Cost., sul presupposto che della Commissione centrale avesse fatto parte, nel caso concreto, un avvocato dello Stato, sia perch ne era stata disposta l:a sosfil.tuZ'ione prima della decisione, sia perch, anche se la deduzione del ricorrente fosse in punto di fatto vera, il problema rimane superato dalla cassaz;ione della decisit di presupposti, da quella contemplata negli artt. 100 e 106, essendo richiesta, nella prima, la ulteriore condizione che la .produzione del reddito dipenda da opera~ ioni speculative (.in airg. v. la sent. n. 2554/81), cio la presenza di un intento speculativo (sent. n. 2450/82), con la conseguenza del necessario riscontro, caso per roso, di un'attivit del venditore, logicamente e cronologicamente precedente l'atto di cessione del bene plusvalente, la quale abbia carattere strumentale rispetto al conseguimento dell'incremento di valore (sent. n. 2469 del 1979). L'intento specu1'ativo, che insito nelle iipotes1i previste dagli artt. 100 e 106, quando la plusvalenro sia realizzata da un soggetto non imprenditore, , quindi, elemento costitutivo della fattispecie impositiva, come condizione della tassabilit del reddito, e deve essere conc11etamente accertato, sia pure per mezzo di presunziiol11, con esauriente esame di ogni modalit e circostanza inerenti alle operazioni produttive di redclito (sent. n. 1074/79 e 2450/82). Nel caso di acquisto di beni e di sucoos1S!va rivendita, non , dunque, sufficiente, ai fini deH'applicamone dell'imposta di ricchezza mobile, il conseguimento di una plusvalenza, costituita dalla differenza in pi del prezzo di vendita rispetto a quello di acquisto, poich la conversione in denaro, attraverso la vendita, di un bene esistente in natura non integra, di per s, gli estremi della operaziione speculativa. necessario che l'operazione sia preordinata al fine di conseguire ila pfosva>lenza, che sia, cio, preparata e realizzata con quello scopo; e ci implica che l'intento speculativo non solo debba esistere al momento della rivendita, ma debba poterSI collegare ad una attivit anteriore, compiuta con quel fine. In tal senso si detto che l'intento specu!latJivo deve sussistere sia al momento dell'acquisto sia a quello, successivo, dell'alienamone del bene (sent. n. 2450/82). Ma al riguardo, si rende necessaria una precisazione. L'intento speculativo si concreta in un disegno unitario e il ricercarlo con riferimento a momenti cronologicamente diversi ha soltanto 148 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO lo scopo di accertarne la persistenza nell'arco di tempo che va dal pnmo atto che. lo rivela fino alla vendita. Esso pu, quindi, manifestarsi attraverso qualsiasi attiv-it che abbia carattere strumentale rispetto al conseguimento dell'incremento di valore e che pu consistere nello stesso acquisto dell'immobile, accompagnato dal de!Jiberato proposito di alienarlo successivamente a prezzo superiore (cfr. sent. n. 6022/79), ove appunto, per caratteristiche ed elementi obiettivi, risulti. preordinato alla successiva alienazione, ovvero in un'attiv:t posteriore all'acquisto, rivol ta ad agevolare o potenziare l'incidenza di fattori inorementatdvi, come nel caso di lottizzazione e sistemazione dei suolii in zona di espansione urbanstica (sent. n. 2469/79 e 2128/83). Su questa direttiva, si ritenuta astrattamente configurabile la plusvalenza frutto di operazione speculativa nel caso di tel'.'reno, pervenuto in eredit o frazionato fra gli eredi in comunione, quando costoro pongano in essere una concreta attivit di preparazione e predisposi zione del terreno al fine della sua trasformaziooe ed util~zzazione edilizia (sent. n. 2880/77 e 2301/82); o 'Del caso di fondo pervenuto in enfiteusii ai soci di una societ e venduto, contemporaneamente alla vendita dei diritti della concedente societ, ad un unico acqukente in dipendenza di una operazione speculativa, che sia posta in essere in collegamento tra societ e soci, costituenti una organizzazione di persone (l'una giuridica e le altre fisiche), al fine di realizzare in modo unitario e autonomo un maggior profitto, realizzato attraverso la vendita in pi frazioni di un unico terreno, se, in relazione ad ogni elemento evincibile dalle modalit e circostanze del caso concreto, il frazionamento risulti inserito in un'attivit diretta alia sua trasformazione ediil:izia (sent. n. 5166, 5509 e 5510 del 1980). Non pu, quindi, affermarsi, in via di principio, che la provenienza del bene attraverso atti diversi della compravendita (ad esempio, per successione ereditaria o per costituzione del diritto di enfiteusi) basti da sola ad escludere l'intento speculativo, in quanto non compatibile con quel modo di acquisto del bene; poich l'intento speculativo, non ricollegabile a tale modo di acquisto, pu essere rivelato da una attivit, del tipo di quelle !indicate nei richiamati precedenti, successiva all'acquisto e logicamente e oronologicamente anteriore alla vendita. Ma, in mancanza di tale attivit, dovendosi trarre fa prova dcll'intento speculativo da altri elementi, anche presuntiv.i, non pu oogarsi un rilevante valore indiziario al modo e 1al titolo di acquisto del bene, se, procedendosi a ritroso dal momento della vendita alla ricerca di quel1a preordinazion che la legge richiede, non si rinvenga nessun altro elemento che fa riveli t nel periodo di tempo fra l'acquisto e la vendita. In altri termiini, se f soltanto quest due elementi siano iassunti come momento iniziale e finale della preordinazione, n primo di ta:1i elementi rimane privo di valore t, . f ,, ~ ! f: PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA indiziario se il titolo di acquisto del bene (ad esempio per eredit) non sia compatibile con la esistenza, in quel momento, di un intento speculativo. Analogamente se, in prfocipio, la destinazione che il soggetto dia al denaro, ricavato dalla vendita elemento indifferente, inidoneo, di per s, a far escludere l'!intento speculativo, certo che in concreto essa (in particolare se la vendita sia dovuta alla necessit di realizzare il denaro occorrente a sanare delle passivJt) pu costituire -special mente se, procedendo a ritroso, non si rinvenga alcuna attivit rivelatrice delfintento speculativo -un sintomo per escludere il carattere speculativo della vendita. Quanto si fin qu detto pu riassumersi nelle seguenti proposizioni: a) sotto il vigore del testo unico n. 645 del 1958, l'mtento specu lativo cos-tituisce una condizione per la tassablilit della plusvalenza, realizzata da un soggetto rton imprenditore e rappresentata dall'au mento del valore di scambio che assume nel tempo uno stesso cespite patriimoniafo cispetto al costo iniziale, e pertanto non pu essere genericamente supposto, ma va CO!IlCretamente accertato, sia pure per mezzo di presunzi.ioni, con esauriente esame di ogni modalit e circostanza inerenti alle relative operazioni; b) l'accertamento dell'intento specU lativo postula il riscontro di un'attivit dal venditore, logicamente e cronologicamente precedente l'atto di cessione del bene e strumentale rispetto all'mcremento di valore; essa pu consistere nello stesso acquisto dell'immobile, purch iaccompagnato dalla sua preordinazione aJ conseguimento del!.la plusvalenza, o anche da un'attivit posteriore all'acquisto medesimo, rivolta ad agevolare o potenziare l'incidenza di fattovi incrementatiVli; e) quando un'attivit di questo tipo manchi e, ne1'J.a rioeroa dell'intento speculativo, debba risalirsi a ritroso dal momento deHa vendita a quello dell'acquisto, questo pu assumere un rilevante valore indizi.iario per escludere l'intento speculativo, 1se le modaltit o di titolo di tale acquisto siano, per loro natura, incompatibili con la esistenza, in quel momento, di un intento speculativo; cos come analogo valore sintomatico pu assumere la destinazione del ricavato della vendita a coprire passivit, che non possono essere in altro modo convenientemente sanate, per escludere che il disegno speculativo sia stato portato a ultiimazione e che la vendita sia stata effettuata in esecuzione di tale disegno. 7. Facendo applicazione di tali princpi al caso concreto, la decisione impugnata non si sottrae alle censure formulate dal ricorrente. Negato l'intento speculativo nelle decisioni di primo e secondo grado l'Uffkio propose ricorso alfa Commissione tributaria centrale, sostenendo che il presupposto dell'imposta era costituito dall'operazione RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO speculativa realizzata med~ante l'acquisto e la successiva vendita di tre immobili, a nulla rilevando le ragioni circa gli impegni assunti dal contribuente per impedire il fallimento della Coral, della quale questi era l'amministratore e .il principale azionista. In questo modo, l'Uffioio introdusse due que_stioni: a) se la compravendita sia, di per s, opera zrione speculativ:a; b) se la destinazione data al denaro abbia rilevanza per escludere l'Jntento speculativo, pur se lo stesso Ufficio sostenne che il detto intento sussisteva nella complessa operazione di vendita e che non .risultavano provate le ragioni che av.rebbero indotto a ven dere, sembrando cos riconoscere che queste ragioni possano far escludere l'intento speculativo. La Commissione tributaria centrale -dopo aver negato che, in concreto, le ragioni suddette fossero state dimostrate (e che fosse stato dimostrato che effettivamente il ricavato era stato impiegato per estinguere i debiti della Coral) --ha compendiato la sua motivazione nell'affermazione che nel giro di pochi anni il contribuente aveva acqua stato immobili e quote condominiali, cost1tuendosi un patrimonio im mobiliare consistente, del quale, poi, in pochi mesi sJ era disfatto per immettere denaro contmte nelle sue aziende. Pertanto, tenuto conto del breve periodo di tempo intercorso fra tali operazioni, del sensibile guadagno, del costo originario e del prezzo ricavato, doveva ritenersi esistente il preordinato intento speculativo, che, pertanto, si presumeva, senza che contro tale presunzione il contribuente avesse offerto alcuna prova concreta attendibile. La questione se la vendita sia di per s operazione speculativa stata esattamente risolta per implicito in senso negativo dalla Commi~ sione centrale, avendo essa tratto il convincimento del carattere specu} lativo de1l'operazione non dalLa mera vendita, ma dagli altri ricordati ,f elementi, e avendo fatto esplicito richiamo al requisito della preordinazione ed a1la necessit del concorso dell'intento speculativo, che ha affermato -era esisti.to (cio al momento dell'acquisto) ed esisteva (al momento della vendita); ci in linea col pr.incipio che l'in tento speculativo, il quale condiziona la tassabilit delle plusvalenze, si risolve nel proposito di acquistare un bene, per poi rivenderlo ad un prezzo superiore, e deve sussistere sia prima che al momento della vendita. La Commissione centrale, poi, non ha negato la possibile riLevanza ~ . in concreto della destinazione del denaro, tanto che l'ha esclusa sotto il profilo 1che non fosse stata fornita la prova di tale destinazione. . . Tuttavia, la Commissione centrale suddetti o non ha dato, in relazione zione della sua decisione. o ha male applicato i principi l ad essi, un'appagante giustifica-~~~ '_'. 1: [ i ' : I JI PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA Poich nessuna attivit rivelatrice dell'intento speculativo, il contribuente aveva posto in essere dopo l'acquisto e prima della vendita dei beni, una indagine particolarmente attenta la Commissione centrale avrebbe dovuto compiere in relazione ai due unici elementi utilizzabi1i al fine dell'accertamento dell'intento speculativo, costituiti dal!l'acquisto e dalla vendita, e che sarebbero dovuti essere -il primo -preordinato alla realizzazione della plusvalenza e -il secondo -attuativo del preo11dinato disegno specul1ativo. Nello svolgimento di tali indagini, la Commissione centrale avrebbe dovuto considerare che, mancando un'attivit intermedia rivelatrice del!l'intento speculativo, il titolo dell'acquisto dei beni e le ragioni che avevano determinato iil contribuente a vendere in una alla destin~ione data al danaro ricavato, assumevano fondamentale importanza al fine dell'ccertamento dell'intento speculativo con riferimento al momento dell'acquisto ed a quello successivo della vendita dei beni. Traendo presunzioni dalle circostJanze (costo iniziale e prezzo ricavato; guadagno reaUzzato) idonee a fornire la dimostrazione pi della plusvalenza (la oui esistenza, peraltro, non era contestata) che dell'intento speculativo (per il quale l'unico elemento di qualche ri'lievo poteva essere costituito dal tempo intercorso fra l'acquisto e la vendita), la Commilssione centrale ha finito con l'attribuire esclusivo rilievo a quest'ultimo elemento (forse incosciamente anticipando l'applicazione della disciplina dettata dall'art. 76 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597 sull'irpef, peraltro non ancora aipplicabi:le al caso in esame), senza preoccuparsi di valutarne il valore indiziario con una pi esauriente indagine sul titolo di acquisto dei beni e sulle ragioni della vendita, e si limitata a giustifkare la propria decisione con l'affermazione, quanto al momento ini:Male, che il contribuente aveva acquistato dei beni, costituendosi un patrimonio, e, quanto al momento finale, che se ne era disfatto per immettere denaro contante nelle sue aziende, non avvedendosi della scarsa conci1i:abilit di quest'ultima affermazione con la negazione, contenuta in altra parte della motlvazione, che il denaro riscosso fosse effettivamente stato impiegato per estinguere i debiti della Coral. In realt, un'indagine sull'intento speculatvo al momento dell'acquisto dei beni del tutto mancata. Basta considerare, al riguardo, che la Commissione centrale, pur dimostrando di non ignorare la provenienza ereditaria dell'immobile di via del Babbuino e la successdva costituzione di un diritto di enfiteusi a favore del contribuente nella distribuzione fra gli eredi del pat:riimonio avuto in successione, non ne ha tratto alcun argomento per affermare o negare la esistenza dell'intento speculativo nel momento in cui il bene pervenne al contribuente. In conseguenza l'indagine sull'intento speculativo nell'intera operazione pu esserne risultata condizionata, essendo -quello di via del Bah 152 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO buino -il cespite di maggior valore patrimoniale, sicch Sii impone, sul punto, un pi approfondito riesame in sede di rinvio, tanto pi che neppure in relazione all'acquisto dell'immobile di via di S. Prisca; che pure la Commissione centrale ha fatto oggetto in esame, risulta svolta alcuna indagine di:retta ad accertare se davvero fosse stato ottenuto dal contribuente, come egli sostiene, per effetto di una permuta con altro immobile, da molto tempo appartenente alla sua famiglia (circostanza, questa, che poteva non essere priva di rilievo nell'accertamento dell'intento speculativo realizzato, secondo la decisione impugnata, me diante la precostituzione di un patrnonio, fin dall'origine destinato alla vendita); e tanto pi che l'acquisto dell'dmmobile di Cortina d'Ampezzo fatto oggetto da parte della Commissione centrale di sommarie considerazioni. Maggior attenzione esige anche l'accertamento dell'intento specu lativo al momento delle vendite. La Commissione centrale, pur avendo riconosciuto che queste erano state effettuate per immettere denaro contante nelle aziende del contribuente (cio nella Coral) -e che quindi. erano state determinate dalla necessit di estinguerne la passivit -non ha compiuto alcuna valu I tazione circa H signdficato da attribuire a tali necessit al :line dell'accertamento, positivo o negativo, del carattere speculativo dell'operazione. Ha dato, invece, esclusivo rilievo alla vendita dello stabilimento I a1'l'Ente Maremma, senza peraltro chiedersi se, essendo questa avvenu I ta tre armi dopo l'alienazione degli immobili, non fosse servita allo sco I ! po di sistemare una situazione debitoria che il ricavato di tali aliena zioni poteva non avere interamente sanato; ed ha affermato che non era stata fornita la prova che il denaro vicavato dalla vendita degli im mobili fosse stato effettivamente impiegato neH'adempimento degli im pegni che il contribuente aveva assunto a favore della Coral e dell'estinII zione degli oneri che suddetti hnmobili gravavano, deHa qual cosa, peralltro, il contribuente aveva fornito diversi indizi. I Se, infatti, il denaro ricavato dalla vendita fosse stato assorbito dal I l'adempimento delle obbligazioni assunte dal contribuente a favore della Coral e dalle ipoteche che, a garanzia di essa, erano state iscritte sugli I immobili medesimi (e tali circostanze dovranno formare oggetto di I riesame in 1sede di rinvio), ci potrebbe influiire in modo rilevante nello accertamento dall'intento speculativo, pur se non pu essere seguita I la tesi, sostenuta dal ricorrente della illegittimit costituzionale degli artt. 81 del t. u. n. 645/58, ;in relazione :agli 1artt. 88 e 91 deMo stesso t.u. ! ~ f all'art. 555 c.p.c. e 107 della legge fall., per preteso contrasto con gli ! ! artt. 3 e 53 Cost., in quanto tali norme non assoggettano all'imposta di i f ricchezza mobile ile vendite di immohlli, gravati da le; e, in conseguenza di quanto gi osservato a proposito del primo motivo posto che H passaggio in giudicato si verifoa in momenti diversi per rnmputJato non dmpugnante e per quello impugnante, la prescrizione verificatasi nei confrontd del primo non pu ritenersi ancora decorrente in forza della normativa generale del codice civile. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 12 novembre 1983, n. 6740 -Pres. Santosuosso -Est. Scanzano -P. M. Minetti (conf.). Minis.tero delle Finanze (Avv. Stato Pa:latieHo) c. Coop. MUJratori e Cementisti S. Alberto. Tributi erariali diretti -Imposta sulle societ Condono -Riferimento all'ultimo imponibile definito -Agevolazione prevista in legge succes siva -Irrilevanza ai fini del condono. (d.!. 5 novembre 1973, n. 660, art. 3). Agli effetti del condono previsto dall'art. 3 del d.l. 5 novembre 1973, n. 600, la definizio.ne sulla base dell'ultimo imponibile definito non deve tener conto di eventuali nuove o maggiori agevolazioni disposte con legge successiva alla definizione dell'ultimo imponibile, anche se anteriore alla legge sul condono (1). (omissis) L'Amministrazione ricorrente denuncia violazione degli artt. 1 e 3 d.I. 5 novembre 1973 n. 660 conv. in I. 19 dicembre 1973 n. 823, e, premesso, che tiale normativa si applica anche alle imposte per le quali il contribuente abbia omesso di presentare la prescritta dichiarazione in ragione di una pretesa esenzione tri.butaria e che la domanda di condono coinvolge tutti i periodi d'dmposta per i quali sussista il potere di accer,tamento deH'uffico, sostiene che ii:I l'iferimento del citato art. 3 alla nuova e maggiore agevolazione ed esenzione della quale non si tiene conto va inteso rispetto all'ultJimo imponibiJle definito (e non rispetto all'entrata in vigore della legge di condono). La conseguenza -soggiunge -che, siccome l'ultimo imponibile definito quello del 1969 e l'esenzione invocata dalla cooperativa stata disposta (1) Decisione da condivideve pienamente. Non constano precedenti. 160 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO con 1. 18 dicembre 1970 n. 1034, questa esenzione non impediva che l'ufficio coinvolgesse nel condono, con ,l'applicazione della percentuale all'uopo prevista, le tre annualit dell'imposta sulle societ success:ive ail 1969. Il ricorso fondato. controversa la legittimit dell'operato dell'ufficio delle imposte di Ravenna che, ritenendo coinvolta nella domanda di condono l'imposta sulle societ dovuta da11a cooperativa muratori e ceme.ntisti di S. Alberto per gli anni 1970-1972, ha definito l'imposta stessa appunto secondo la legge di condono, cio applicando all'ultimo imponibile accertato (quello del 1969) la peTcentua!le prevista dall'art. 3 del d.l. 1973 n~ 660. Le cooperative, in base aff.art. 151 del t.u. 29 gennaio 1958 n. 665, erano esenti dall'imposta sulle societ se avevano un capitale non superiore a L. 4.000.000 e un patrimono imponibile non superiore a L. 8.000.000. I limiti di capitale e di patrimonio furono elevati, ai fini di tale esenzione. rispettivamente a L. 40.000.000 e L. 80.000.000 con l'art. 61 dii. n. 745/70 convertito in 1. 18 dicembre 1970 n. 1034, e furono eliminati con l'art. 8 I. 17 febbraio 1971 n. 127. La cooperativa oggi resi,stente pretendeva di godere dell'esenzione in forza della legge del 1970; e di questa esenzione, secondo la sua tesi (accolta dalla commissione tributaria centrale), si doveva tener conto in quanto derivante da una legge anteriore alla legge di condono. La conseguenza sarebbe che, operando l'esenzione, mancava -I1ispetto alla imposta de qua -la materia di una pendenza tributaria da definire in via di condono. Secondo la tesi dell'Ufficio, riproposta con l'odierno ricorso, non se ne doveva invece tener conto, disponendo il quarto comma dell'art. 3 del d.l. 1973 n. 660 che, una volta intervenuta la domanda di condono, comportante :la definizione pTevista dal primo comma di tale articolo (cio la maggiorazione dell'ultimo imponibile accertato) non si doveva appunto tenere conto delle esenzioni previste da norme nuove (cio successive) nispetto alla data di tale ultimo accertamento. Si tratta dunque di stabilire se la data di riferimento, rispetto alla quale -secondo il citato quarto comma -l'esenzione debba ritenersi nuova (e quindi priva di rilevanza ai fini dell'applicazione del condono) S1ia quella dell'ultimo accertamento tributario o quella dell'entrata in vigore della legge di condono. Blementi letterali, logici e sistematici impongono di sciogliere l'al ternativa nel primo senso. Il citato quarto comma, dopo avere precisato che l'ultimo impolllibile definito si assume al lordo delle detrazioni previste dall'art. 8 d.I. 918/68, d1spone che non si tiene conto di ogni altra nuova o maggiore agevolazione o nuova esenzione eventualmente spettante PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA nei periodi d'imposta da definire (in via di condono) col sistema della maggiorazione dell'ultimo imponibile definito. Gi sul piano dell'interpretazione letterale chiaro che il legislatore fa riferimento ad esenZJioni ed agevolazioni che siano nuove rispetto a tale ultima definizione, e che siano state gi concesse alla data della legge di condono, solo cos potendosi ipotizzare la loro astratta applicabilit ai periodi d'imposta da definire. : del re~~o normale, nel sistema, che agevolazion!i. ed esenzioni non siano concesse, con effetto retroat1livo, riguardo a periodi d'im posta pregressi. La tesi contraria postula invece che il legislatore, nel dettare la disposizione di che trattasi, pensasse ad eventual!i esenzioni od agevolazioni da concedersi in futuro con effetto retroattivo, e, per di pi, facesse una simHe previsione proprio mentre dettava una disciplina (quella del condono) fatta per agevolare nel modo pi \l'apido e definitivo la solu~one delle pendenze in atto. Il che palesemente inaccettabile. Non cio pensabile che il legislatore, nell'ambito di una disposizione che assume a parametro l'ultimo imponibile definito e che ha la funzione di risolvere nel modo pi semplice situazioni che -rispetto ailla data di tale disposizione -sono situazioni pregresse, volesse fare rifevimento ad esenzioni od agevolazioni future e retroattive, tali da potersi applicare a periodi d'imposta rispetto ai quali la domanda di condono costituiva un diaframma non pi superabile. : chiaro aHora che agevolazio11i ed esenzioni di cui fosse possibile tenere conto (o non tenere conto, come il 'legislatore ha ritenuto di disporre) sono quelle contemplate da norme emanate tra iJ.a definizione dell'ultimo imponibile e la data del d.l. 1973 n. 660. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 17 novembre 1983, n. 6854 -Pres. Battime11i -Est. Cantfil.lo -P. M. Benanti (conf.). Soc. La Maison des Troglodytes (avv. Radicchi) c. Ministero delle Finanze (Avv. Stato Palatiello). Tributi erariali diretti Accertamento Redditi fondiari Catasto Avviso di classamento Motivazione Requisiti. (d.l. 13 aprile 1939, n. 652, art. 12). L'avviso di classamento di immobili un atto del procedimento catastale che, sebbene ad esso non sia riferibile l'art. 42 del d.P.R. n. 600/1973, deve essere motivato; tuttavia, poich l'attivit dell'ufficio consiste nell'acclaramento della consistenza, destinazione e caratteristiche, dal che discende l'inquadramento nella categoria e nella classe, 162 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO sufficiente la motivazione che faccia conoscere i dati oggettivi acclarati e la classe attribuita (1). (omissis) Il secondo motivo dh,etto a criticare la conolusione cuJ pervenuta al trigua:rdo la Commissione oentrale, sostenendosii che questa, pur avendo distinto il procedimento formativo del catasto da quello relativo all'accatastamento di singole unit immobiliari, abbia erroneamente ritenuto inapplicabile in tale ipotesi il disposto dell'art. 42 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, che impone La moti\nazione degli accertamenti e si riferisce, quindi, anche all'avviso di classamento, il quale deve indicare le Tagioni che giustificano l'dnquadramento del fabbricato in una categoria diversa da que11a proposta dal contribuente. Anche questa critica 'infondata. La nomna suddetta regola l'avv,iso di accertamento quail.e atto finale tipico del procedimento di determinazione degli imponibili delle im poste sui redditi, stabilendo iil contnuto e i requi!s~ti dell'atto mede simo con riferimento alla duplice ipotesi deWaccertamento in ret1Jifica e di quello di ufficio; e perci correttamente la disposiizione stata ri1Jenuta estranea all'avV1iso di classamento, che concerne un'operaziione diversa e preliminare rispetto all'accertamento dei redditi fondiari tas sabili, consistendo nella determinazione deHa categoria e classe della singola unit immobi1iaire e, in conseguenza, della rendita catastale, la quale, per, non ,si identifica con il reddito imponibHe, anche se ne costituisce la nonnale base di calcolo. Tuttavia l'impossibilit di for rioovso all'art. 42 oit. ha scarso rilievo per la specifica questione in esame, giacch ormai principio pacifico che l'obbligo delta motivazione sussiste per tutti g1i 'atti di un procedi mento amministrativo tributario, finali o strumentali, che siano oggettivamente idonei ad incidere in modo immediato e diretto su pos1z10ni giuridiche soggettive del contribuente; e non dubbio che l'atto cli classamento sia fra questi, sicch si tratta di stabilire, con Tiguardo al procedimento iin cui esso inserito, quando la motivia7lione possa d1rni sufficiente, cio tale da consentire al destmatario di verificare il processo logico formativo deHa determinazione adottata dall'ufficio e di esercitare in modo adeguato il proprio diritto di difesa. Al riguaroo occorre considerare, da un lato, che il classamento avviene in baise a dichiarazione del proprietario o di altro legit1Jimato ~1) Decisione esatta. sicuramente da condividere la considerazione del classamento come un accertamento, in senso ampio, e la conseguente necessit di una motivazione. Ma ancor pi da apprezzare la affermazione realistia,i che la motivazione possibile dell'avviso di classamento non pu andare al di l della dndicazione dei dati oggettivi di constatazione. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 163 che deve contenere la descnizione dell'unit immobiliare (ubicazione, consistenza, genere di costruzione, ecc.) ed essere corredata da planimetria redatta da un tecnico; dall'altro, che ila succesSli.va attivit dell'UTE consiste niell'acclaramento della consistenza, della normaile destina. 2Jone e delle altre caratteristiche fiscalmente rillevanti dell'immobile e nella conseguenziale qualificazione del medesimo con l'inquadramento nella categoria e nella clasise -fra que1le prestabi~!ite per la zona censuaria -che presenta destina.rione e caratteristiche conformi o analoghe. L'avv,iso dri classamento, quindi, come atto di esternazione del procedimento classificatorio, non pu che indicare i dati oggettivi acclarati dall'ufficio tecnico in ordine agli elementi 1suddetti e la classe attribuita all'immobile; e, d'altra parte, il raffronto fra questi dati e quehli I.ncli;cati neMa sua dichiarazione consente al contribuente di intendere le ragioni dehl'assegnazione :fui una anzich in un'altra delle categorie e classi prev1iiste, sicch posto nella condizione di potersi tutelare mediante ricorso alle commissioni tributarie (ex art. 1 d.P.R. n. 636 del 1972). (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 30 novembre 1983, n. 7187 -Pres. Ga:mbogi -Est. Corda -P. M. Miccio (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Conti) c. Michelin Recherche et Technique SA. (avv. Fantozzi). Tributi erariali diretti -Royalties corrisposte a soggetto estero -Classificazione tra i redditi di impresa -Quando il soggetto estero impresa. (d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 6, 19, 49, 77 e 80; d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, art. 3). Prima dell'entrata in vigore del d.P.R. 30 dicembre 1980 n. 897, le royalties corrisposte ad un soggetto estero privo di stabile organizzazione in Italia dovevano essere classificate reddito di impresa ed in esso incluse, se detto soggetto , nell'ordinamento cui appartiene (nella specie, quello svizzero), qualificabile impresa (1). Con l'unico motivo (denunciando la violazione dii legge) la ricorrente Amminist11a:2lione finanziaria censura ila decisione impugnata per avere escluso la tassabilit delle royalties corrisposte in Italia a una (1) Sull'argomento, cfr. lo scritto di FAVARA, Le royalties" percepite da soggetti societari privi di stabile organizzazione in Italia, nella parte II di questa Rassegna. Inoltre, affinch il lettore possa valutare appieno la materia trattata, si riporta il testo della memoria redatta nel grado di cassazione dall'avv. dello Stato MARCELLO CoNTI. 12 164 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO impresa commerciale straniera non avente stabile organizzaziione nel territorio dello Stato, sul ri[ievo che le stesse dovevano essere classificate fra i redditi di impresa . Sostiene che, invece, le predette royalties percepite da un tale tipo di societ commeraiafo dovrebbero essere classificate fra i redditi divel'lSi (art. 19, n. 6, e 77 secondo comma del d.P.R. n. 597 del 1973), in relazione ai quali la tassabilit non resta esclusa dalla mancanza del requisito del.fa stabille ~ganizza: llione in Italia. Sostiene che il predetto art. 77, nel secondo comma, prevedendo la tassabilit delle concessioni di beni mobili , prevede, proprio, la tassabiliit dei redditi conseguiti dall.a concessione di beni mobi1i immateriali, quali sono appunto, i 'CorriispeM:ivi per la concessione di permessi di sfruttamento di invenzioni fa1dustriali. Conclude che, se non dovesse ritenersi applicabile l'art. 77 citato, i redditi in parla dovrebbero pur se.ipre rientrare nella previsione della norma di chiusura, di cui aill'art. 80 dello stesso d.P.R., sempre compreso nel Titolo VI cio nella disciplina dei redditi dive:risi . Il ricorso infondato. Questa Corte si pronunciata una sola volta sulla questione che oggi viene all'esame delle Sezioni Unite. Con la sentenza 17 giugno 1981, n. 3931, stato !ritenuto che le royalties cords,poste a una societ straniera (impresa commerciale) priva dii una stabile organizzazione in Itailia sono soggette a imposta (anche in quel caso si tmttava dell'ILOR), in quanto, dovendo ola:ssifioarSI. fra i Tedditi diversi di cui al Titolo VI del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 (legge IRPEF), e precisamente fra [ redditi contemplati dal secondo comma di cui all'art. 77. devono considerarsi redditi prodotti in Italda, a norma dell'art. 19, n. 6, del citato decreto. Prima di tale pronunda, la giurisprudenza delle commissioni tributarie, posta di fronte a un preciso dettato le~islativo (n. 5 del citato art. 19) che prevede la tassabilit dei redditi d'impresa solo se derivanti da attiVlit esercitate nel territori.o defilo Stato mediante stabile organizzazione, sti. era posto iil queSlito se le royalties potessero tuttavia essere sottoposte a tassazione (pur 'se corrisposte a un'impresa straniera non avente stabile organizzazione !in Italia), qualora fosse stato possib!i.le inquadrarle, con riferimento a quella fattispecie, non ~ fra. i redditi d'impresa , bens fra i redditi deri.vant:i da lavoiro autonomo . Quesito al quale, come noto, ha finito per dare risposta prevalentemente positiiva, argomentando nel seguente modo: a) sono soggette a imposta (IRPEG, ILOR) le societ che noo. hanno in Italia la sede legale o amministrativa o l'oggetto principale dell'attivit (art. 2 del d.P.R. n. 598 del 1973); b) il reddito complessivo dmponibile formato dai redditi prodotti in Italia (art. 22 del citato d.P.R.), tali considerandosi quelli i111dicatii nell'art. 19 del d.P.R. n. 597 del 1973; e) que- I I t I I I I PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 165 st'ultima norma menziona (secondo comma, lettera b) d redditi di lavoro autonomo di cui al terzo comma lettera b) dell'art. 49 dello stesso decreto; d) tale ultima norma considera come redditi di lav()ll'."o autonomo (tassabili) i redditi dooivanti dalla utilizzazione economica di marchi di fabbrica e di commerciio e dalla utilizzazione economica di opere di ingegno, invenzioni industriali e simili, quando non siano conseguiti nell'esercizio di imprese commerciali o da societ in nome collettivo o 1in accomandita semplice. La conclusiione cli siffatto ragionamento (che, peraltro ebbe anche il conforto di qualche opinione dottrinale) era che i redditi d'impresa conseguiti dalle societ straniere erano bens tassabili, se le stesse avevano quivi una istabile organizza2Jione; nel caso, per, che tale organizzazione mancasse, quei redditi non venivano pi consid~rati come redditi d'impresa, bens come redditi der:vanti da lavoro autonomo , in relazione ,aJ quale la manOOD2Ja di quella condizione diventava irrilevante ai fini deilfa tassabilit. A tale tesi rion mancarono, per, pertinenti e penetranti critiche di gran parte deHa dottrina, la quale faceva rilevare da un lato, che se il percettore del reddito ra un'impresa, aveva soarso fondamento la pretesa di escludere che le royalties dovessero essere considerate reddito d'impresa e, dall'altro, che si poneva addirittura fuori della realt giuridica il ritenere che una impresa commerciale potesse svolgere un Lavoro autonomo . Tale era lo stato della giurisprudenza e della dottruna al momento in cui intervenne la citata pronuncia di questa Corte (era, peraltro, gi intervenuto il d.P.R. 30 dicembre 1980 n. 897, che modificando con fort. 19 del d.P.R. n. 597 del 1973 ha definitivamente risolto il problema nel senso del1a tassaM1it: ma il oaso in quella sede esaminato -come, del resto, l'attuale che sottoposto all'esame di queste Seziioni Unite concerneva un rapporto che, ratione temporum ricadeva sotto la di sciplina delrla precedente normativa). Orbene, con la detta pronuncia, questa Corte accoglieva le critiche che la dot'rma aveva mosiso alla giurisprudenza delle commissioni tri buta:r1ie circa la riconducibilit delle royalties (corrisposte a un'impresa commerciale straniera priva di stabirle organizzaz.i.one in Ita1ia) alla ca tegoria del reddito derivante da lavoro autonomo ; cli modo che, escludendosi che alla tes1i della tassabilit potesse giungersli per tale vi1a, pareva ovvia la conclusione della intassabilit. Senonch, mossa daHa preoccupazione che la norma in tal modo interpretata potesse ,essere sospettata cli incostituzionaliit (per eccesso di delega e per irragiicmevolezza poich prevedeva la tassabilit delle royalties quando fossero corrisposte a uno strandero persona fisica e non invece a uno S'traniero impresa commerciale, ha cer cato di battere la via dell'interpretazione adeguatrice , pervenendo 166 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO alla conclusione che alla tassabilit poteva tuttavia giungers~ mquadrando le predette royalties (corrisposte a una impresa commerciale straniera non avente stabile organizzazione in Italia) neUa categoria dei redditi diversi, di cui al Titolo VI del d.P.R. n. 597 del 1973 (menzionati nell'art. 19, n. 6 dello stesso decreto). Tale fogge, com' noto, classifica, ai fini della determinazione della base imponibile (1art. 6) i redditi nelle seguenti categorie: fondiar, di capitale, di lavoro, d'impresa e dive11si (dettando poi, la rispettiva disciplina nei Titoli da II a VI): e poich la limitazione della tassabilit (esistenza di una stabile organizzazione in 11Ja1ia) sussiste solo in ordine ai redditi d'impresa, la tassabilit veniva ritenuta possibile qualora il reddito in parola potesse essere fatto ,rientrare nella categoria dei redditi dii.versi (cos come lo sarebbe stato se quegli stessi redditi si fossero potuti foquadrare nella categoria dei redditi di 'lavoro autonomo). Siffatta possibilit questa Corte ha ritenuto sussistente quando ha ricondotto ila fattispecie (passando attraverso il disposto dell'art. 19 n. 6 del decreto n. 597 del 1973) alla previsione dell'art. 77 (sempre del d.P.R. n. 597 del 1973), relativo ai redlditi cl.eri.vanti da altre attivit occasionali . Tale norma, dopo avere disposto (nel primo comma) che concor110I10 'a formare til reddito complessivo i redditi deriv,anti da attli.vit commerciali o di lavoro non esercitati abitualmente, prescrive (secondo comma) che la disposizione del precedente comma si applica anche per i redditi costJituitJi dai corrspettli.vi per la concessione in uso di veicoLi macchine o altri beni mobili; e questa Corte, sempre nella scia di quella interpretazione adeguatrice della quale si detto, ha ritenuto che la fattispecie esaminata potesse essere ricondotta a quella previsione normativa, in quanto: a) la occasionalit della produzione del reddito, menzionata nella rubriJCa , ha riferimento solo alle ipotJesi formulate nel primo comma, non a quelle (che inte ressano) contemplate nel secondo comma; b) la concessione di beni mobili comprende anche la concessione per lo sfruttamento dei beni immateriaiLi (e, quindi, anche i redditi derivanti dalla utitlizzazione economica d. marchi di fabbrica, invenzioni industriali e simiLi.). Anche a tale impostazione non sono manoate le critiche, incen trate principalmente sul rilievo della inapplicabilit dell'art. 77, allorch il problema della tassabilit, o meno, concerne 1a corresponsione di somme che, tenuto conto della qualit del soggetto che le ricevie devono necessariamente essere considerate come reddito d'impresa ; e se sono reddito d'impresa gi disciplinato come ta1e dalla tlegge impositiva (art. 19 n. 5 del d.P.R. n. 597 del 1973), non pu ritenersi a nessun fine, che le stesse siano anche considero.te come redditi diversi . I., I I ' PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 167 Tale essendo lo stato attuale della giunilsprudenm e della dottrina, l'odierno mcorso stato rimesso all'esame di queste Sezioni Unite, data la particolare importanza della questione (art. 374, secondo comma, cod. proc. civ.); importanza che non viene meno, sicuramente, per il fatto che la nuova legge (il citato d.P.R. 30 dicembre 1980 n. 897) ha espressamente regolato la materia, poich si presume che sia ben consistente il numero delle controvel1Sie ancoria pendenti, disciplinate dalla precedente normativa, e che sono certamente rilevanti g1i interessi economico-finarnziari ricadenti nella dlisciplina di quel regime transitorio che dovranno, d'ora in poi, essere giudizialmente regolati in armonia con gli enunciati del1a presente pronuncia. Orbene, ad avviso del Collegio, la precedente giurisprudenza di questa Corte non pu essere riconfermata, perch fondata su un ragionamento che non pu essere condiviso. Non v' dubbio, intanto, che le royalties corrisposte a imprese commerciali (italiane o straniere, aventi o non aventi stabile organizzazione in Italia) siano, per definizione legislativa, reddito d'impresa . Ci infatti stabilisce l'art. 51 del d.P.R. n. 597 del 1973 che, definendo il reddito d'impresa , prescrive che si considera esercizio cli attivit commerciale, quando siano svolte in forma imprenditoriale, le prestazioni di servizi a terzi: quelle prestazioni, cio, che -se pure nell'ambito di un differente sistema -l'art. 3 del d.PR n. 633 del 1972 (legge IVA) aveva gi definito mediante elencazione, facendovi rientrare anche le cessioni, concessioni, licenze e simili relative a diritti d'autore, a iitnvenzioni industriali, modelli, disegni, processi, formule e simili e quelle relative a marchi e insegne . Del resto, lo stesso art. 49 (sempre del dPR n. 597 del 1973), inquadrando nella categoria del reddito di lavoro autonomo i redditi derivanti dalla utilizzazione economica di marchi ,di fabbrica e di commercio e dalla utilizzazione economica di opere di ~ingegno, invenzioni industriali e simili , esclude l'inquadrabilit degli stessi redditi in quella categoria, quando siano conseguiti nell'esercizio di 1imprese commerciahl : il che, ovviamente, significa come i redditi in questione prodotti in modo abituale sono stati considerati, con riferimento alla diversa professionalit o come redditi di lavoro autonomo (quando siano staiti conseguiti da un soggetto non organizzato Jn forma inprendtltori:ale), ovvero come redditi d'impresa (se conseguiti da un soggetto imprenditorialmente organizzato). E non si vede, prop1fo la necessit di una interpretazione adeguatrice essendosi la legge delegante 1imitata a esprimere la regola che i redditi d'impresa, conseguiti da una impresa commerciale straniera non avente in Italia una stabile organizzazione, dovessero considerarsi prodotti fuori dal territorio dello Stato (legge 9 ottobre 1971 n. 825, articoli: 2, n. 21; 3, n. 9; 4 n. 2). Interpretazione che, d'altra parte, per venuta a un risultato sicuramente erroneo (anche se la conclusione era 'i 168 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO obb1iga11a, una volta che si era partiti da quella premessa), allorch ha ritenuto di individuare nella disposizione contenuta nel secondo com ma dell'art. 77 del DPR n. 597 del 1973 la norma che .il legislatore avreb be dettato per sottoporre a taissazione le royalties corrisposte a un'im presa. commerciale straniera non 'avente in halfa una stabile organiz zazione. Tale norma (compresa nel Titolo VI, che disciplina i redditi diversi), correlata al disposto dell'art. 19 dello stesso decreto, stabi lis~ (per quanto interessa) che si considerano prodotti in Italia i redditi derivanti da concessione 'in uso di ben:i mobili; e la citata sen tenza di questa Corte, dopo avere rilevato che beni mobili sono anche i beni immateriali (di modo che in tale previsione era ricompresa anche la fat1lispecie del reddito denivante dalla concessione in uso di brevetti, invenzioni industriali e simiili), ha ritenuto che proprio questa era la diisposiz_ione che consentiva la tassabilit delle royalties, anche se corrisposte a una impresa commerciale (straniera, non avente sta bile organizzazione in Italia) poich la previsione non aveva affatto riferimento a quella occasiona1it di produzione del reddito che, dnveoe, era menzionata neHa rubrica e sicuramente, presupposta dal priimo comma. In definitiva quindi, la sentenza in esame -che oggi viene invocata dall'Amministrazione finanzia11ia -ha affermato che il legislatore del 1973 aveva espressamente previsto, nel secondo comma dell'art. 77 predetto, la fattispecie delle royalties corrisposte a una impresa commerciale straniera non avente in Itailia una stabHe organizzazione. Una siffatta conclusiOille, per, non ha tenuto conto, fra l'altro, che la legge del 1980 (che, peraltro, era gi stata pubbliicata quando fa detta sentenza fu pronunciata), allorch, ha aggiunto all'art. 19 del d.P.R. n. 597 del 1973 l'espressa disposizione che considera prodotti in Italia (ai fini dell'applioazione dell'imposta nei confronti dei non residenti) i compensi corrisposti a soggetti non residen1Ji, per l'utilizzazione di marchi dd fabbvica e di commercio di opere dell'ingegno e simili, ha ritenuto -evidentemente non a caso -di comprendere nella (muova) previsione anche i compensi per l'uso dei veicoli, macchine e altri beni immobili . Ha ritenuto, cio, che quei compensi dli analoga na tura erano stati, dal legislatore del 1973, considerati solo in quanto prodotti occasionalmente, cos come, del resto, chiaramente la:scia va intendere 1a rubrica . Ora vero che la precedente legge non deve essere interpre tata in base al dii.sposto di una legge successiva non avente un dichia rato carattere interpretativo. Ma non pu, certo, essere trascurato il rilievo che, dopo l'innovazione (che semplicemente sottrae al regime stabilito per i redditi d'impresa le royalties corrisposte a imprese stra-,:= ~i f: t : j PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA niere non aventi in Italia una stabile organizzazione e, altres, i redditli. derivanti da uso di beni mobili), la disposizione contenuta nel secondo comma del citato art. 77 deve sicuramente essere let1la in conformit alla rubrica , cio come norma disciplinante il regime dei reddlitli. dive:risi derivanti da un'attivit (concessione di beni mobili ) esercitata in modo occasionale. E poich la nuova legge ha semphioemente, modificato in parte iil regi.me dei redditi d'impresa , ma non ha, affatto, innovato in relazione a quei particolarii redditi diversa, rnon si vede proprio perch la detta norma non dovrebbe essere letta in conformit aHa rubrica anche nell'ambito del precedente sistema. In sostanza, se oggi la norma predetta va sicuramente intesa come disciplinante i redditi occasionalmente prodotti, non si vede perch in tal modo non dovrebbe essere intesa anche per iii passato, se la stessa non ha mai subito modificazione alcuna. Meno ancora, poi, potrebbe ritenersi che il legislatore del 1973 avesse previsto la tassabilit delle royalties iin questione, (cio quelle corrisposte a un'impresa commerciale straniera non avente stabile organizzazione in Italia) nehl'art. 80 del d.P.R. n. 597 del 1973. Tale norma, com presa sempre nel Titolo VI, concernente sempre i redditi diversii e rubnicata come altri redditi dispone che alla formazione del reddito complessivo, per il periodo d'imposta e nella misura in cui stato percepito, concorre ogni altro reddito diverso da quelli espressamente conside:mti daHe disposizioni del presente decreto . E poich, lin tale decreto, i redditi deI1ivati dalla utilizzazione economica di marchi dii fabbrica e di commercio e dalla utilizzazione economica di opere dell'ingegno, invenziioni industriali e simili erano gi espressamente considerati, sia (con quella stessa denominazione) come redditi di lavoro autonomo, sia (con la denominazione di prestazioni di servizi a terzi) come 'redditi d'impresa, non si vede, proprio, come gli stessi potrebbero ancora, ritenersi contemplati in quella previsione di chiusura che ha riguardo, unicamente, ai redditi non espressamente considerati . L'Amministrazione finanziaria non si acquieta, per, a una tale interpretazione del complesso normativo e propooo di con~derare che, anche ritenendo le royalties in questione come una componente del reddito d'impresa , non sussisterebbero os1Jacoli a ritenere che per le stesse sia stato previsto un regime diverso da quello previsto per il redwto d'impresa (hel suo complesso). Propone cio, d:i accertare se, in reliazione ai redditi predetti, quando sono consegu[ti da un'impresa commeroiale 1straniera non avente una stabHe organiz2'Jazione in Italia, sia possibile scorgere una volont del legislatore di derogare in parte alla regola generale della intas,sabilit. Il problema giuridico quindi, quello di stabilire se il reddito d'impresa, che normalmente viene considerato ,in modo unitmo, ad fini del 170 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO la imponibilit, possa essere 1scisso nelle sue component-i, perch possa essere considerata tassabile quella di esse che sicuramente prodotta in Italia. In linea di principio, detto problema postula certamente una rispo sta affermativa. Tale 11.isposta, nel campo della norma positiva viene proprio ctisposto da1la nuova legge (iil citato d.P.R. n. 897 del 1980), lil quale, non rinnegarndo affatto la regola che anche nel caso di una impresa commerciale straniera non avente n Ita1ia una stabile organizzazione, le royalties costituiscono una componente del reddito di impresa , ne stabilisce tuttavia, la tassabilit. La nuova legge, cio, non ha affatto innovato n 1in ordine alle regole che definiscono il reddito d'impresa n in ordine al principio della intassabilit del predetto reddito d'impresa quando lo stesso sia conseguito da una impresa commerciale straniera non avente in Italia una stabile organizzazione; ma ha tuttavia, stabilito~che quella particolare componente del reddito (appunto le royalties) in quanto prodotta in Italia, sia tributariamente considerata in modo diverso e, quindi, sottoposta a tassazione. Ma la soluzione .in positivo del detto problema non giova, in concreto, ailla tesi di fondo dell'Amministrazione, poich nessuna norma, nel sisrema del 1973, lascia presumere che quel legisilatore avesse inteso operare la detta scissione delle componenti del reddito d'impresa; certo, non le norme contenute negli articoli 77 e 80 del d.P.R. n. 597 del 1973, come si Visto, n tantomeno la disposizione contenuta nell'art. 25 dello stesso decreto che, essendo una norma procedurale non pu trovare 1applicazione iliaddove manchi la norma sostanziale impositiva. La conclusione che la legge del 1973 ha considerato le royalties corrisposte a una dmpiresa commerciale puramente e semplicemente come reddito d'impresa, e se non ha espressamente disposto fa tassazione delle stesse royalties crrisposte a una impresa commerciale straniera non avente una stabile organizzazione in Italia, ci ha fatto perch non ha ritenuto di operare nell'ambito del reddito d'impresa quella scissione che ha, invece, informato la successiva legge del 1980. (omissis) Memoria dell'avv. dello Stato MARCELLO CONTI I cinque 11icorsi ripropongono tutti una stessa questione: quella della tassabiilit -alla stregua delle disposiri.oni vigenti prima dell'emanazione del d.P.R. 30 dicembre 1980, n. 897 (artt. 31 e 43) -delle c.d. royalties (e cio dei cornispetti'Vi per la concessione di permessi di sfruttamento di marchi, opere dell'ingegno, invenzioni industriali e simili) pagate da residenti a non residenti. Com' noto, ~a questione di cui si tratta gia stata affrontata e liisolta dalla sentenza 17 giugno 1981, n. 3931 della 1a Seri.one di codesta Ecc;ma Corte. Le ampie, approfondite ed esaurienti argomentazioni che il -. . f~j PARm I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA sorreggono tale decisione resistono validamente a tutte le critiche che le sono state mosse da alcune successive pronunce della Commisione T.ributaria Centrale e che vengono riecheggiate nelle difese delle controparti. Non niteniamo neces1sario, perci, ripercorrere tutto l'iter logico che, con meccepibile coerenza, ha portato la 1a Se2lione a riconoscere il pieno fondamento delre pretese fiscali relative alle royalties di cui si tratta, apparendo preferibile limitare n discorso ad alcuni punti di mag gior rilievo e r.inviare, per il resto, ai precedenti scritti difensivi. T.re dei ricorsi in discussione si riferiscono all'ILOR. Due si riferi scono, invece, all'IRPEG. Per i primi, valgono integralmente le consi derazioni svolte nella motivazione della sentenza n. 3931/81. I principi ricavabili da tale sentenza valgono, poi, a ri:solvere anche i problemi posti dal secondo gruppo di ricorsi. Pnima, per, di affrontare ti temi specificamente riferibilti alla tas sazione ILOR o a quella IRPEG, appare opportuno richiamare l'atten zione su due punti di decisiva rilevanza rispetto ad ambedue le imposte. Si trotta, da un lato, degli incontestabili arrgomenti interpretativi dii carattere sistema1Jico che si desumono dall'art. 25 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (nella sua formulazione originaria), e, dall'altro, degLi ulteriori argomenti desumibili dal nuovo intervento effettuato in materia dai le~slatore con gli artt. 31 e 43 del d.P.R. 30 dicembre 1980, Ii. 897: inter vento idoneo a gettare piena luce sul vero significato e sul contenuto della normativa previgente. Cominciando da questo secondo punto, va dissipato, anzitutto, un equivoco che emerge da alcum passaggi delle difese avversarie. Non abbiamo mai sostenuto e non intendiamo sostenere che gli artt. 31 e 43 dcl d.P.R. 897/80 dettino norme di interpretazione autentica. evtidente, infutti, che essi introducono, al contrario, dtisposizioni cli carattere in novativo rispetto alla normativa previgente. Si tratta, per, di intedersi sulla portata di questa 1nnovazione. Il d.P.R. 897/80 stato emanato in virt dell'art. 17, secondo comma, della legge di delega per la riforma tributaria (Disposizioni integrative e correttive, nel rispetto dei principi e criteri direttivi determinati dalla presente legge e previo parere della commissione di cui al comma prece dente, potranno essere emanate, con uno o pi decreti aventi valore di legge orwnaria , entro un termine pi volte prorogato). Sia nell'ema nazione del testo orginar.o dell'art. 19 del d.P.R. 597/73 e dell'art. 25 del d.P.R. 600/73, che nell'emanazione del testo emendato degli stessi articoli, il legislatore delegato era, perci, vincolato al rispetto degli stessi principi e criterJ direttivJ. EgLi disponeva, cio, di un ma11gine di scelta quanto all'articolazione della disoiphlna delle varie imposte, alla precisazione dei particolari, alla defini:l'lione dei singoli elementi delle varie fattispecie tributarie, ma era, invece, tenuto a rispettare le linee di fondo della rifor 172 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ma, come fissate nelle varie disposizioni della legge 825/71. E poich fra tali disposzODJi figurano -anche quelle che delimitano l'area dei redditi imponibili nei confronti dei soggetti non residenti (art. 2, n. 21; art. 3, n. 9; art. 4, n. 2), chiaro che il legislatore delegato non poteva allargare o restringere, a suo piacimento, quest'area. Ben poteva, per, scegliere fra vari procedimenti o strumenti di tecnica fiscale per realizzare la giusta tassazione dei redditi compresi nell'ambito indicato dalla legge di delega. Ed appunto ci che accaduto per la tassmone delle royalties corrisposte a non residenti: ad un sistema originario che, a parte dl caso particolare dei compens-i pagate a persone fiisiche non esercenti attivit imprenditoriale, non dettava alcuna norma specifiica (includendo anche le royalties ~ra i redditi da classificare nelle varie categorie generali contemplate dall'art. 19 del d.P.R. 597/73, e prevedeva, aH'art. 25 del d.P.R. 600/73, una 'semplice ritenuta d'acconto), stato sostituito un diverso sistema che comprende, da un lato, una specifica disposizione di localizzazione dn Italia dei redditi da royalties cor11i:sposte a non residenti e prevede, dall'altro, in armonia con l'espressa disposizione dell'art. 10, n. 5, della legge di delega (potranno essere previste particolari ritenute per i redditi cordsposti a non reSlidenti ), una nuova forma di riitenuta a titolo di imposta sui redditi stess'i. Ci significa che le disposizioni integrative e correttiive dettate dal d.P.R. 897/80 potevano innovare, e certamente hanno innovato, quanto agli strumenti di tecnica normativa utilizzati per realizzare la tassazione delle royalties corrisposte ai non residenti (introduzione di un nuovo e unitario criteriio di Jocalizzazione in Italia di tutti i redditi di questo tipo; introduzione di una nuova forma di ritenuta a titolo di imposta). Non potevano innovare, invece, quanto al risultato pratico finale dell'assoggettamento ad imposta di questi redditi. Tale assoggettamento deve ritenersi gi previsto, a livello di principi e criteri direttivi, dalla legge di delega e gi attuato, anche se attraverso diversi strumenti, dalle :prime leggi delegate. In ta!l senso, nel dubbio, deve necessariamente orientarsi l'interprete, in ossequio al canone che impone, fra pi possibli.1i interpreta Izioni di un complesso normativo, di adottare quella che assicuri la conformit dell'intero sistema a:i principi cosmtuzioD!alii (nella specie, al prin oipio di oui all'art. 77 Cost. Tutto ci stato chiaramente avvertito dalla sentenza 17 giugno 1981, I n. 3931 della prima Sezione, che acutamente osserva come non possa negarsi Iili l'attitudine di tali norme (scil., del d.P.R. 897/80), come espressione della linea di tendenza del legislatore, ad offrire argoment esegetioi per fa so ,., luzione del problema dn esame (par. 1), in particolare evidenziando come f le norme stesse si collochino 1in una prospettiva carattenizzata, nell'intento 1:del legislatore, dail pasisaggio dall'iniziale convincimento della super j_ fluit di una dispoSlizione ad hoc alla constatazione dell'inadeguatezza dei .. I I llllllllllrli,lllllllilltitltllla&illlllllrlt%Jllll:W~lll RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DBl.J..O STATO 184 Ne derivia, avuto rigoordo a!Na complessit e aili1a natura dei comp~td attribuiti all'enrte, che, in punto di esatta qualliidCMione dei fatti accertati nelile fiasi di, merito, il 11appo1:1to instaurato oon l'ammini:stmzione staitale non pu essere altrnmenm definito che come concessione, ai sensi del:l'art. 5 n. 2 d;l. c.p.s. 10 aprifo 1947 n. 261, e, qudncli, che u:nioaimente il concessionario devesi ritenere obbl!igato al pagamento deli'mdenllJJiJt per l'occupazione biennale, decretaita a ISUO favore, e al ~isarclmento dei danni, stante anche il ca:riarttere personale delila responsabilit extracontrattuale (Cass. 13 dkembre 1980 n. 6452), per il successivo peri.odo di occupazione abusiva. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 10 novembre 1983, n. 6671 Pres. Greco -Est. Maresca -P. M. Mriocio (conf.). -Seconda Universit statale di Roma (avv. Stato Vittoria) c. Spalletta (vv. Cochetti.). Espropriazione per p.u. -Terreni destinati alla seconda Universit degli studi di Roma Indennit -Deducibilit del valore d'uso del fondo utilizzato da impresa diretto-coltivatrice Esclusione. (I. 22 novembre 1972, n. 771, art. 2). Espropriazione per p.u. Terreni destinati alla seconda Universit degli studi di Roma -Indennit -Stato delle colture agricole -Epoca di riferimento della stima. (1. 22 novembre 1972, n. 771, art. 2). Espropriazione per p.u. -Terreni destinati alla seconda Universit degli studi di Roma Indennit Controversia stilla sussistenza del titolo all'indennit aggiuntiva Giudice competente quello dell'opposi zione a stima. (1. 22 novembre 1972, n. 771, art. 2). L'indennit di espropriazione dovuta al proprietario di un fondo destinato a sede della seconda Universit statale di Roma va determinata in mi$ura pari all'intero valore agricolo di mercato del terreno, anche quando a favore dello stesso proprietario o di altro coltivatore diretto del fondo debba provvedersi alla corresponsione della indennit aggiuntiva (1). (11-2) Il caso deciso dalla sentenza in rassegna riguardava un terreno coltivato direttamente dallo stesso proprietario e la circostanza pu aver avuto peso determinante nella soluzione adottata dalla Corte, risultando per vero arduo, in concreto, discernere un valore d'uso del terreno nella azienda diretto-coltivatrice condotta dallo stesso proprietario del fondo. Va osservato, per, che analoghe difficolt pratiche non sembrerebbero rav visabili nel diverso caso in cui si tratti di determinare, come per legge, il valore agricolo di mercato di un terreno condotto iin fitto, a mezzadria, ecc. PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 18J blici e l'INCEP, avendo Ja Corte d'appello ritenuta corretta la qualificazione di delegazione amministrativa attribuita al rapporto dal giudice di primo grado, mentre noto che la delegazione di questo tipo, essendo istituto peculiare del diritto pubblico (Cass. 22 maggio 1980, n. 3364), non pu configurarsi che tria enti. pubblici diversi o tra organi diversd de]llo stesso ente pubblico (delegazione, rispettivamente, intersoggettiva o iinterorganica) e deve quindi, escludersi nell'ipotesi in cui il preteso delegato sia un privato ~persona fisica o giuridica). In quest'ultimo caso, le figure pi ricorrenti di cooperazione tra privato e amministrazione pubblica, per la reaJl.izzazione di opere programmate nell'interesse della collettivit, sono l'appalto e la concessione (traslativa): il primo strettamente limitato all'esecuzione dei lavori, l'altra (espressamente prevista dall'art. 1 l. 24 giugno 1929 n. 1137, come modificata daJJ.a legge 15 germatio 1951 n. 34 e mtegmta, di receme, dahla legge 8 agosto 1977, non applicabile, pe11ailtro, nel caso specifico), normailmente adottata dall'Amministrazione per la pi sollecita e conveniente esecuzione di opere pubbliche complesse e caratterizzata, anche se non accompagnata dalla concessione di gestione, dal trasferimento aJ concessionall'io, irn tutto o :in parte, defile (o deH'eseroizio delle) funzioni oggettivamente pubMiche (progettazione di massima ed esecutiva, direzione dei lavori, acquisizione delle airee mediante provvedimenti ablialtori, ecc.) proprie del concedente e necessarie per la realizzazione delle opere (Cass. 1964 n. 1129). Nelil'espletarnento dci compiti affidatigli, il concessionario agisce, qU!ndi, in nome proprio: di qui, Ia rilevanza esterna del provvedimento amminmstm1livo di concessione e delilla relativa converuiione, con la conseguenza che egli diretta~ente responsabile nei confronti dei terzi per le obbligazioni assunte strumentalmente preordinate all'esecuzione delle opere oggetto defila concessione, la qua:le, proprio per questo, viene comuneinente assimHa1la, sul piano effettUa!le, ailila delegazione amministrativa e questa, reciprocamente, identificata con la concessione a favore di enti pubblici (Cas. 14 genna:io 1976 n. 111; 14 marzo 1973 n. 720). Nel caso di specie, la Corte di merito ha accertato, con insindacabile appreZ2lamento di fatto, logicamente motivato e dmmune da errori giuri dici (v., irn futtispecie analoga, Cass. 22 maggio 1980 n. 3364), che aill'INCEP vennero devoluti compiti non limitati al~ mera esecuzione ma estesi alla progettazdone, direzione, contabildzmzione e gestione dei lavori, nonch (con specifico riferimento al d.m. n. 2501 del 4 maggio 1960, modificativo della precedente lettera ministeriale n. 1246, ripetutamente evocata da:i ricorrenti) alla diretta acquisizione dei suoli destinati all'insediamento dei costruendi alloggi, con l'obbligo espresso di provvedere anche al paga mento, salvo nimborso, delle indeil!llit Spettanti ai proprietari, e che, in conseguenza di ci, '1'I1stdtuto (non altri) fu autorizzato ad occU1pare tem poraneamente le aree. - - SEZIONE SETTIMA GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 3 novembre 1983, n. 6474 -Pres. San dulli -Rel. Senofonte -P. M. Zema (conci. diff.) -Forte Fildppo ed altri (avv. Abbamonte) c. Ministero Lavori Pubblici (avv. Stato Bruno). Opere pubbliche Esecuzione Delegazione amministrativa . Soggetti . Delegatario soggetto privato Esclusione. Opere pubbliche Esecuzione Concessionario di opera pubblica -Obbli gazioni preordinate alla esecuzione dell'opera Responsabilit nei confronti dei terzi. La delegazione amministrativa, istituto peculiare diel diritto pubblico, non pu intercorrere che tra enti pubblici diversi o tra organi diversi dello stesso ente pubblico (delegazione, rispettivamente, intersoggettiva o interorganica) e deve quindi escludersi che ricorra tale figura nell'ipotesi in cui il preteso delegato sia un sogg,etto privato (1). Il concessionario di opera pubblica agisce, nell'espletamento dei compiti affidatigli dal concedente e necessari per la realizzazione delle opere (progettazione di massima ed esecutiva, direzione dei lavori, acquisizione delle aree mediante provvedimenti ablatori, e quant'altro), sempre in nome proprio ed perci direttamente responsabile nei confronti dei terzi per le obbligazioni assunte, strumentalmente preordinate all'esecuzione delle opere oggetto della concessione (2). (omissis). Il ricorso infondato, anche se, con riferimento ail primo motivo, si deve correggere, a norma dell'art. 384, cpv., cod. proc. civ. la motivazione della sentenza impugnata nella parte relativa alla identificazione della esatta natura del rapporto intercorso tra l'Amminitsarzionne dei lavori pub (1-2) In senso conforme: Oass. 22 maggio 1980 n. 3364 (in Foro It., 1981, I, 1083), citata in motivazione; sulla delegazione amministrativa intersoggettiva come equivalente a concessione a favore di ente pubblico cfr. Cass. 14 marzo 1973 n. 720 (in Giust. civ., Mass. 1973, 378) anch'essa .I1i.chiamata in motivazione; sulla diretta ed esclusiva responsabilit del concessionario di opera pubblica nei confronti dei terzi si veda anche Cass. l3 dicembre 1980 n. 6452 (in Foro It., 1981, I, 1082, ed ivi ulteriiori richiami); per un'ampia trattazione dell'argomento dr. CARUSI F., Rapporto organico e sostituzione nella costruzione delle opere pubbliche, in questa Rassegna, 1965, I, 1152. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 181 escludere, del resto, che la concessione dello sfruttamento di beni iimmateriali possa considerarsi, per s, come attivit di produzione o di intermediazione nella circolazione dei beni. Basti pensare ,ahl'autore che cede i di:nitti di riproduzione della sua opera per conviincel1SI dellia inammissibile forzatura che comporta 1a tesii qui criticata. via.no, d'ailtra parte, cercare conferme della tesi avvevsairia nel disposto del secondo comma dell'art. 22 del d.P.R. 598/73. Disponendo che, ai fini dell'IRPEG a carico delle societ e degli enti non residenti, si tiene oonto, per i redditi. di impresa, anche delle plusvalenze e delle minusvalenze dei beni destinati o comunque relativi ahle attivit commeroiiaili esercitate nel terrtoro dieNo Stato, ancorch non conseguirte attraverso le stabili organizzazioni , tale norma si riferisce, evidentemente, all'ipotesi mcui esista una stabile org&lizzazione e ddspone che, in 1JaJl caso, al reddito (di impresa) dell'organizzazione si devono aggiungere o sottrarre le plusvalenze o le minusvalenze, anche se realizzate al di fuori dell'ambito operativo dell'organizzazione stessa. Non si riconosce, perci, alcuna rilevanza a ipotetici redditi d'ampresa prodotti in Italia senza stabfile organizzazione. Al contrario, anzi, si riconosce una rilevanza ancor pi ampia della stabile organizzazione esistente in Italia, conferma1ndo, cos, il. carattere essenziale e imprescindibile di questo presupposto perch si possa, comunque, parlare di ireddito d'impresa. Del resto, la stessa difesa avversaria riconosce che, in mancanza di una stabile organizzazione iin Italia di un'impresa non residente, non pos sono sfuggire all'imposizione le componenti di reddito conseguite nel ter ritorio dello Stato se queste, autonomamente considerate, presentino le oarratteristiche per essere inquadrate in categorie reddituaili diverse da quella del reddito di impresa e se sussistano i requisiti di territorialit di cui all'art. 19. Orbene, il .reddito da royalties possiiedle, appUDlto, queste caxatteri 1Jiche. Esso, infatti, autonomamente considemto, 1si iinquadm perfettiamente in categorie reddituoo diverse da quie11ia del reddito idi impresa (reddito di Javroro autonomo, per le persone fisiche; redditi ddversi , per iJ.e per. sone giuridiche). In presenza dei requisiti di tem.toria:liirt di OU!i all'art. 19, non ne pu essere oogaitia, perci, ,l'timponibllit, anche dn base ai principi affermati dailla difesa avverarla. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO G1d argomenti che suffragano questa conclusione sono ~ stati da noi espos1Ji. nei precedeillt1i scritti dilensivi. Oi li.mi1li.amo a ribadire, in questa sede, due considereziond, che appaiono dii particolare rillievo: a) anzitutto, sembra eooente che l'escluisi:one di um tassazione autonoma dei singoli ricavi dell'impresa si pu giusticare solitanto iin fun2Jione della tassa.7iione, m sua vece, de1l'utiile netto complessivo. Non avrebbe senso, invece, Uala esolusione dellJla tassazdone autonoma de rt1stasse fine a se stessa, esulando. del tutto l'utile netto complessivo dalla sfera di appllicazione del nostro 01dinamenrto tributaroi. L'impresa, cio, se assume rilevanza fiscale, la deve assumere in ambedue le direzioni: dell'esclusione della qualifica di redditi tassabili dei singoli ricavi e dell'assoggettamento effettivo ailla esazione dehl'utile netto comples,sivo. Non concepibile invece una rilevanm fiscale dell'dmpresa a senso unico, e cio solitainto all fine dii eso1udere la tassazdone dei ricavii, senza sostituire ad eS1Sa quella de1l'utile netto; b) ii.n secondo luogo, chiaramente inconcepibilie una attiW.t di acoerta.mento deli1a Finanza volta a s1Ja00lire se un reddito conseguito in litai1ia da un non res~dente sd ricolleghi, m qUJaJ:che modo, ad un'attivit imprenditoriale totalmente svolita atll'estero. La manoam:ia di ogni stnimento di obiettiva vetiifica conferma fa totale irrilevanza del nesso fu'a reddito ccmsegwt in Italia e a1l1liviit imprenidd.rtooi:alle svolta aill'estero. La legge, cio, non appresta procedimenti di aocert:amen.to (che sono, invece, rigorosamente previsti dalle convenzioni particolari stipulate con determ!Ilatd. Stati per evdtare doppie imposizioni) perch ci che dovrebbe ~non ha, in reallt, ailena tinfluenm sulla itassazdone. E che questo principio, sia chiaramente espresso dall'art. 44 del d.P.R. 597/73 a proposito dei redditi dd oapiitale non significa certo, come vorrebbe la difesa della Textron, che per li. redditi appartenenti ad altre categorie possa valere il principio opposto, trattandosi, al contrario, dell'espressione di una regola generale, la cui ratio si estende mcontestabiil.mente all'li.ntero campo ded redditi mssabli.li . .A!llche le altre obiezdoni mosse dail!lie difese avversarie alle conclusioni raggiunte non colgono nel segno. In particolare, appare infondato il tentativo della difesa della Michelin di qualificare come oggettivamente commerciare (e quindi idonea a dar luogo sempre ad un reddito d'dmpresa) l'a:ttd.vli.t consistente nehla concesione di :permessi idi sfu'uttamenro di brevetti, m!archi, ecc. In reailt, di reddito d'impresa si pu parlare soltanto ove esista un'eserc:i2'Jio per professione abituale di attivit commerciali (art. 51 d.P.R. 597/73), ed appunto questo eleme.nJto uniif.canite della professionalit che, nel caso dei non residenti, non pu assumere rilevanz (e non pu neanche essere accertato), a meno che non sii. traduca nella crea2lione, in Italia, di una stabile orgamz~one :imprenditoriale. ~ da PARm I, SBZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 179 senz'al~ da escludere, perci, che !in tema di IRPEG possa gius11ifi: carsi UJOO soluziOOJe dii.versa da quella gi raggi.1.lillta peir l'ILOR. Come abbiamo detto, il punto decisivo rappresentato, dalla determinazione dei presuppostl:i necessari perch poSiSa configurarsi un reddito d':impresa. L'art. 51 die1 d.P.R. 597 /73, dopo aver definillto il reddito d'[mpresa come qucllo che deriva drul.'eserai2lio d. imprese commerciailii, precisa che per eseroizio di imprese commerciailii si mOOnlde l'esercizio per professione abituale, ancorch non esclusiva, deHe attivit commeroiailii dii cui al1'ar1li. colo 2195 del codice oivdile anche se non 011ganrizmte in forma di impresa. Le attivit di prestazione dii servtlzi a ,1:ierni, che 111on 1ien1lmno nell'art. 2195 001 codice oivfile, si conSliderano commeroiailJi se organizza1te .in forma di !impresa. L'art. 19, n. 6, dispone, poi, che SI comidemno prodotti nel territorio dello Stato, ai fini dell'applicazione dell'iimposta 111eii confronti dei non residenti: ... i redditi di impresa d.erlivantli da attivit esercitate nei! territorio dello Stato mediante stabili organizzazioni . Dal combinato disposto di queste due norme risulta chiaramente che i non residenti possono conSiidemrsi titoLaini. dii un reddito d'impresa soltanto se svolgano tin Italia un'attivit commeraiale medWante stabile organizzaziione. In manoanm di questo presupposto, un'eventuale attivit li.mprenditoria:le svolta esclu&ivamente alil'esooro non potrebbe mai assumere alcuna riJevanm fiscale. Non pu venifioaa:isi, cio, :iil tipico effetto della configurazione di un reddito d'impresa, ossia la perdita di ogni autonomia dei singo1i ricav. inerenti all'impresa stessa e ila confluenza dii ogni elemento attivo (profitti) e di ogni elemento passivo (perdite) in un tutt'unico fiscalmente rilevante soltanto per l'utile netto che ne risulti (art. 52 del d.P.R. 597/73). Questo anche !il senso del!le norme contenute negli. artit. 2, 111. 21, e 3, n. 9, della legge 9 ottobre 1971, n. 825. Stabilendo, infatti, che, nei confronti dei non residenti, si possono prendere in considerazione redditi di dmpresa (da tassare come tailii) solmnto se Sii itrattJ:i di ooddfutl:i prodotti mediante una stabile organizzaziione nel territorio delilo Stato, queste di sposizioni intendono, 1infatti, limiitare alla sola li.potesi in culi esista la stabile organizzazione la possibilit che i vari ricavi conseguiti in Italia dal non residente perdano la loro autonomia fiscale e vengano in considerazione soltanto per determinare un eventuale utile netto complessivo. Nell'ipotesi opposta, invece, deve esoludersi che quegli sftessi rioavi, in assenza di m1a stabile organizzazione :imprenclitoniiale in Ita1ia, possano ugualmente scomparire come cespiti 1autonomi e oonflufu:'e :in Ulll unico reddito d'impresa estera, totalmente sottratto all'impero del nos~ ordinamento tributario. 13 178 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO l'IRPEG. Al paragrafo 6 si afferma soltanto che, mentre per l'ILOR sufficiente far leva su:Ll'art. 4,n. 2, della legge di delega per giungere alla conclusione della tassabi1it deli1e royalties corrisposte a societ non residenti, per l'IRPEG si pu giungere 1alla .stessa oonoluSI()[le soltanto attrave11so un passaggio obbligato, e cio attraverso la dimostraztione che la configurazione di un reddito di impresa presuppone l'effettivo eseromo dii un'attliVlit imprenditoI'iiaLe nel territorio dello Stato. questa, dunque, l'dinidagine che Sii deve affrontare in questa sede. E non v' dubbio che essa risulta estiremamente facilitata dalla rigorosa puntualizmzione dei prindpi generalii operata da11a stessa sentenza numero 3931/81. Innanzitutto va IliOOl'dato che, come chiaramente Si dice nella citata pronunoila (par. 2), i!1 problema si pooe in terminli estremamente preais[: o si giiunge, in vJra di interpretaziO!tle adeguatrioe, aH'affermaziione dehla tassabilit delle royalties nelle ii.potesi in considerazione, ovvero sorgono msoI'montabili questioni di legittimit costituzionale. E ci non soltanto con r.iguaiido all'eccesso di delega ~che, per :l'IRPEG, potrebbe apparire meno eVlidente, manoando una norma cMam e tassamva come l'art. 4, n. 2, della legge dii delega, dettato per :l'ILOR), ma anche con riguardo ail fondamentale principio dell'art. 3 Cost., posto che :t:a soluziione interpretativa de1l'rintassabihlt presterebbe inevdtabiilmente il fianco a censure di il'J:1agiicmevolezza, non trovando giustificazione qi sorta la iliscmminazicme fu-a il trattamento 11iservato al percettore ili royalties che sfa persona fisica residente all'estero e quello di cui si pu giovare il percettore che sia dm.presa commerciale non avente sede n stabiile oI'gamzmzione in ltahla Non vmrebbe obiettare che adeguato elemento differenziale sarebbe aippunto :t:a qualit del soggetto, poich nel quadro della relativa dtisciplina appare prevalente 1a considerazione oggettiva del reddito piuttosto che quelila soggiemtiva del destinatwio della solutio. N la giustificazione potrebbe mnveni.I'SI iDle1l':intento di evitare lia doppia tassazione, che ha una sua ragiion d'essere quando si abbia di mira !'.intero reddito d'impresa, ma non quml!do viiene in oonsiderazione 1a singola componente prodotta in Ita1ia; e che problema in pI1incipio da affrOilltare e Ilisolvere -come :iJil effetti accade -mediante la smpulazione di convenzioni internazionali bilateraLi o multi!la1tera:1d (sent. n. 3931/81, par. 8). Non pu revocarsi in dubbio, perci, che anche in tema di IRPEG la soluzione defila tass:abiilirt imposta dall fondamentale canone interpretamvo dehl'.adeguamento :ai principi costiituziionailii. D'altra parte, come iabb!iarrno gii detto, La s1Jes1sa so1~one univocamente e necessariamente impostta anche dal slist!ema, e, rin particolare, dailila clisposi:llion:e sulle ritenute di OUi al secondo "comma dell'art. 25 del d.P.R. n. 600/73 (che non avrebbe, altrimenti, ailcun senso). PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 177 comprensivo. Per re royalties, .in partJi.colaire, palese che 1a iloro origine va mvviisata in un atto negoziale, 1n un contratto concernente lo sfruttamento di un determinato bene immateriale. Se ed li.in quanto 1Jale sfrut1lamento debba avvenire i111 Itali.a, e presupponga, quindli, la protezione che l'ordinamento illaJ.iano offre al bene immatelI1iale d~ cui si trattla, deve necessa:niamente niconoscel1SJi che le royalties de:nivaino da un'attJi.Vlit (il contratto) concernente beni che si trovano nel territorio dello Stato. Ad esse, perci, nrm pu non apphloal1SJi l'art. 19, n. 6. N, oerto, pu valere, li!n contmairio, lla11gomenrto che si vorrebbe trarre dalJ':art. 31 del d.P.R. 30 dicembre 1980, n. 897 (se ml 'legislatore -si dice -ha introdotto un nuovo crterio di locaLizzazione, applicabile alle royalties, accanto a quello dl cui al n. 6 dell'ant. 19, ci significa che quest'ultimo criterio non riguardava prima, -come non riguarda oggi, le royalties). t?. chiaro, infot1li, che il nuovo n. 9 dell'art. 19, introdotto dal d.P.R. 897/80, non ha fotto altro che enucleaTe un'!Lpotesi (quella delle royalties e dei cor:nispettiV'i per l'uso di cose materiali.) prima compresa ne11a oategoJ:1iia pi lamp~a del n. 6. NU!lla di 'strano, perci, che le royalties, prima del d.P.R. 897/80, fossero comprese nre1l'ambito di applicaZlione del n. 6 e che oggi, J111vece, non Vii siano comprese pi, per esser stata introdotta un'apposita categoria ad es'se speoificamelllte riferita. N0111 ha ri.1evan21a, irnfine, l'osservazione secondo rui le royalties si rife: nisoono, n0111 solo allo sfruttamento di brevetti., marchi e dinit1li d'autore, ma anche ,aJJ'u1Jiliz2Ja2'Jone del c.d. Know-how , e cio deLle informazioni :rie1aitiVe a processi, formtl!le ed esperiienre acquisite nel campo .industriale, commerciale o scientifico. Non v' dubbio, infatti, che nell'ampia categoria dei beni dmmateriali possano rientrare anche queste uti1it, che, se non ricevono la tutela specifica dei diritti di brevetto o di marchio, formano ugualmente oggetto di protezione da parte dell'ordinamento attraverso le &sposiZliom giene:riailii suJJ.a concorrenza, nonch at1Jraverso ila piena garanzia del oam1J1Jere Viincolante degli accordi contirattuaJ.i ad esse 1relatiVii. E ci tanto vero che l'art. 69 del d.P.R. 597/73, accanto aii di.JI111Jti. dli brevetto, ai di:rtt di utilizzazione di opere delJI'mgegno e al diritti. 'di uti1iZ2lazione dei marchi, fa espressa menzione anche dei diritti di utilizzazione di processi, formuJe e simili , nOOlCh dei diritti di utilizzaztlone di informaztloni relati.ve ad esperienze acquisite nel campo 1iindustriale, commeraia: 1e o scientifico . Si desume chiaramente da questa norma che, aglt effet1li 1lribmari, 1anche in queS1to caso si deve correuamente parlare di booi fanmaterfa!li. Con tutte fo conseguenze, in tema di applii.cazione degli artt. 77 e 19, n. 6, che esattamente ne ha gi tratto la senten:zJa n. 3931/81. Passando, oria, aWIRPEG, va subito avvertl~1Jo che non affatto vero che la senllen2Ja n. 3931/81 abbia affermato la non conciliabilit delle a:rigomen1laziontl accolte in tema di ILOR con la diversa normativa del- lim\ Lt:: t.: RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO avendo esolusivo riguairido .alle obiet1live caratteristiche della fonte produttiva del rnddito in considerazione. Cos, tmttandosli di royalties pagate rper lo sfruttamento in Italia di beni imma:teria:li, JJa localizza21ione dcl :reddlito nel tenrltolrio deililo Stato non pu essere negata, dato che Ja sua fonte produttiva consiste iia:J. runia attivit (conoessione dii sfruttamento) concernente un bene ivi situato (a!llt. 19, n. 6, d.P.R. 597/73). Non cos, invece, per i compensi :pagati all'estero per l'importazione di cose. In tal caso, infatti, si tratta di reddito dia attiivit (commerciale) svolta aM'estero e non corroernente lo sfruttamento di beni siti in Italia. La tentata dimostrazione per absurdum deM'insostentlbilit delila resi aocolta da11a sentenza 3931/81 viene, perci, a manoare di OgITT!i base. Quanto, poi, a1l'ti.TIJquadiramento dehle royalties fira i redditi diversi (categoria E de1l"art. 6 del d.P.R. 597/1973) e, in ;p81111Jioolare, fira i redditi costituiti dai corrispettiMi. per 1a concesstione in uso di beni diversi dagli immobili (art. 77, secondo comma), la debolezza delle obiezioni mosse dalla decisione 20 novembre 1981, n. 8782, delle Sezioni Unite dellla Commissione Th'ibutlaJr~a Centra.le appare di tutta evidenza. L'interpretazione :restrittivia dell'1art. 77 (che sii vor.rebbe riferire ai solti beni ma:terialti) non pu, infatti, assolutamente reggere. In manoan:z.a di univoche mdioazioni testuali, l'espressione beni, in confoI1IIllt con La ratfo della norma, deve necessariamente aisSIUIIl1erSi nella sua ma:ssilma Jatiltudine di s.ignifoato, come gi ha esaurientemente dlimostrato la senrte:rraa n. 3931/81. Ma, prima ancO'I"a, ci che va sotto!lineato ila totlaJle n.oondudenm dell'argomento. Anche a voler ammettere, infatti, che i redditi derivanti daRa ronoessione d~hlo sf.rut1taimento iin Halia di beni immaiteriail.i non ruentrino fra que1lti oontemp1ati daJ:l'rurt. 77 dcl d.P.R. 597/73, essi r.ientrerebbero ugualmente neMa categoria dei .:redditi dive11si in vwt dell'art. 80, che va comprende OgITT!i altro reddito dliverso dia quel.Ii espressamente considerati daille dtisposizioni del presente dooreto . In ogni caso, perci, dovrebbe IWoVlall1e appt!:ioozione il criterio di 1ooailizzarione di cui ahl'art. 19, n. 6, che si ;rii.ferisce, appunto, a tutf,i i redditi diversi di cuti al titolo VI . Tenta di negarlo [a difesa iavvensaflla, secondo !la quale l'art. 19, n. 6, prenderebbe in considerazione, non tutti i .redditi 1diversi, ma solo quelld che derivano da WJ.'attivit (o 1svolta nel territorio del.ilo Stato o re1attiva a beni che si trovino nel tem'rtocio stesso). Le royaJties non trainrebbero la loro origine da at1Jivit di sorta: ad esse, perci, l'art. 19, n. 6, noo potrebbe mai applticarsi. evidente, al contrario, che !l'art. 19, n. 6, sii rJfecisce proprio a tutte 'lie fattispecie di redditi divensi contemplate nel tiitolo VI. In ogni caso, infatti, mvvisabile, 'all'origine dei reddim di questo tipo, un'attivit, intesa questa espressione, come dev'essere intesa, nel senso pi lato e PARm I, SEZ, VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 175 ragione che, agli effetti. del!l'aipplioaZJione dell'art. 19 del d.P.R. 597/73, il reddito da royalties conseguito da societ straniere senza stabile organizzazione in I1lal1a non ipu considerarsi come reddito di. impresa . Ad esso, quinidi, non pu applicami lil oniterio di Iocailizmzlione tevritoriaile dettato dail n. S dell'art. 19. II oriterio applioabile deve, linvece, essere un ailtiro e, precisamente, oome ha rampiamenite dimostrato fa sentenza numero 3931/81, que.hlo dettato daJ, n. 6 de.hl'art. 19 per i redditi diversi d:i cuii ral titolo VI . Bassral1.1do, ora, agli rairgomenti che rigura:ridano pi specificamente i ricorsi iin tema di ILOR, aippare evidente come le numerose oritiiohe mosse dalle aggl.le!I'rite difese avversarie alla .sentenza n. 3931/81 non ne scalfiscano affatto il solido fondamento. Non centrano il bersaglio, in particolare, le obiezioni mosse all'interpretazione accolta da codesta Corte dell'art. 4, n. 2, della legge di delega (Nei confronti dei soggetti di cui al n. 9 dell'art. 3 l'imposta (ILOR) applicata al reddito complessivo ivi indicato o ai singoli redditi prodotti nel territorio dello Stato secondo che detti soggetti abbiano o non abbiano una stabile organizmzJone nel territorio stesso). Secondo l'esatta rkostruzlione della sentenza 3931/81, questa nocma vdene in ro111Slideraziione ad fini dbl'inSfera di autonomia d'el!la pubblica Ami:n:i1l:lstrazione, giacch ha dispos1to, iin deroga all'art. 3 del codice di procedura penale, che iii processo tnibutario non pu essere sospeso .in pendenza del procedimento penale, ha limitato l'efficacia del giudicato penale nel processo tributario a quanto concerne i fatti materiali che sono srta1li oggetto del giudiizio penale , ed ha riaffermato, in materia di imposte sui redditi e dii imposta sul va:lore aggiunto, :1'4naipplioabilit del1'art. 22, legge n. 4 del 1929 (gi prevista dall'art. 60 di questa legge relativamente ai redditi soggetti a tributi diretti), che aittribudsce al giudice penale il potere di decidere della controversia relativa aA tributo (cfr. artt. 12 e 13 del d.l. n. 429 del 1982): il che testimonia della persistenza sostanzialmente immutaita del precedente St'istema, e conmbuisce a .rafforzare la tesi, siccome con esso coerente, de1la esclusione delle contravvenzioni :filnanziarie dell'oblazione prevista dall'art. 162 bis del codice penale; l'istanza in esame, pertanto, non pu essere accolta. . 1 I I r f r ! PARTE SECONDA I I I I I I li f~ QUESTIONI LE ROYALTIES (CLASSIFICAZIONE, TRATTAMENTO ED ACCERTA MENTO) ED I SOGGETTI PRIVI DI STABILE ORGANIZZAZIONE IN ITALIA SOMMARIO: 1 Inadeguatezza della vigente normativa in tema di imposi zione diretta sulle "royalties . 2 Le sentenze n. 3931/81 e n. 7187/83 della Corte di cassazione. 3 Le societ estere prive di stabile orga nizzazione in Italia. 4 Ipotesi di classificazione e trattamento dei redditi da "royalties " 5 L'accertamento dei redditi predetti. 1. L'art 49 del d.P.ll. n. 597 del 1973 raggruppa insieme -senza distinguerli tra loro -i 'redditi derivanti dalrta utilizzazione economica di: a) J.na11Chl di fabbrica e di commercio (stranamente non si fa parola dei marchi di servizio pl'evisti dall'art. 3 della legge 24 dicembre 1959 n. 1178); b) opere dell'ingegno (cfir. l'art. 2575 cod. civ. nonch la legislaZJione speciale); c) invenzioni indus1llia1i e simili (cfr. gli artt. 2585, 2586, 2592 e 2593 cod. dv., nonch la ,legislazione \Speci>, e la presunzione che tutti gli interessi passivi siano spese per la produzione del reddito (nei limiti in cui questo non esente). Un vero e propro quadrilatero di presunzioni , PARTE II, QUESTIONI 1.1 d.P.R. -che la fogge Tremelloni n. 7 del 1956 aveva scritto per i soli redditi mobiliari) (4). In secondo luogo, interessa evidenziare come, per i soggetti esteri privi di stabile orgiainiz2!~ione, risulm assurda quella enfaS!i della rilevanza delle scritture contabili che costituisce il nocciolo (ed una delle ragioni d'essere) della disciplina speciale sul reddito di impresa. La deduzione -in sede d[ determinazione di tale 1reddlito -di costi ed oneri suboridinata a:lla registrazione lin aipposite :scritture (art. 74 del d.P.R. 597) ed sottoposta ai control1i (per quanto posS!ibile incrociati ) dell'amministrazione finanziaria. Cos ad esempio, a fronte della deducibilit degli interessi passivi sono i poteri istruttori di cui all'art. 34 (per le sole passivit bancarie) ed agli artt. 33 e 39 comma primo (quest'ultimo .Jaddove parla di .ispe:zioni eseguite nei confrontli. di a:ltri contribuenti). N scritture n controllii possono essere umhlzzati per i soggetti dn questione. Le scritture, anche se tenute o redatte secondo le normative e le procedure proprie deg1i Stati di !appartenenza possono non offrire neppure quel (limitato e formale) grado dd affidabildt che l'ordinamento italiano mesce, nel complesso, ad assticuraire; per di pi, esse sono conservate all'estero, in luoghi i:nraggiungibilii daglii uffici e dalla polizia tributama. E quando manca l'tistituzione dii una sede secondaria (che -si noti - parecchio di pi della stabile organizzazione) (5) la societ estera non tenuta, per svolgere fa sua attivit (anche se non saltua11ia), neppure ad esegu.i(l"e le formalit di cui all'art. 2506 cod. civ. Quanto ad controMi fiscali, essi sono pressocch del tutto impossiblili. In tale situa:zione, l'espos,izione dd costi e pssivt da parte dei soggetti di che trattasi divene arbitraria aUJto-ridu:zione dei ricavi; n pu (4) Pu forse interessare per il 1981 le sole persone giuridiche hanno esposto interessi passivi fiscalmente deducibili per circa L. 70.000 miliardi. Tenuto conto del tasso di svalutazione monetaria, pu stimarsi che, di detto importo, almeno lire 40.000 miliardi siano stati, nella sostanza, non veri intereSs! Passivi (posta reddituale) ma anticipata restituzione del capitale (ossia accumulazione .patrimoniale). A fronte di tale accumulazione, stanno plusvalenze tassate per importo trascurabile, grazie alla normativa in tema di valutazioni ed alle ricorrenti leggi che consentono rivalutazioni delle attivit (non anche della posta .interessi passivi) senza costo fiscale. Considerato che circa un terzo dei soggetti IRPEG non opera attivamente per la produzione e/o il commercio, ma gestisce patrimoni, potrebbe pervenirsi ad una stima del contributo fiscale dato all'accumulazione patrimoniale non direttamente coinvolta nei processi produttivi (il discorso dovrebbe essere allargato ai rimborsi IVA). Come si vede, operante in Italia dal '1973 una sorta di patrimoniale negativa . (5) Peraltro, la nozione di stabile organizzazione parecchio empirica ed incerta (oltre che non raccordata con la normativa valutaria). In realt, neppure alle societ estere con stabile organizzazione in Italia dovrebbe applicarsi la normativa sul reddito di impresa. 12 RASSEGNA DELl..'AVVOCATURA DELLO STATO riconoscersi valore legale ad prospetti o documenti. contabili alleigati alle dichiarazioni (e per di pi spesso scritti in lingue non conosciute dad DO stri uffici), come del resto implicitamente riconosciuto dall'art. 5, quarto comma, del d.P.R. n. 600 (sostituito dal d.P.R. n. 60 del 1975). Va aggiunto che, mentre v' una disposizione (l'art. 19 del d.P.R. n. 597) che s1labildsce quando redditi, ricavii e compensi si considerano prodotti nel territorio dello Stato, non v' una para1le1a disposizione che tracci i!l confine tra costi ed oneri valonizzabili in Italia e costi ed oneri destinati a rimanere 1iniinfluen1li nel nostro Paese. LimHata appare ia por tata del comma aggiunto, all'art. 75 del d.P.R. n. 597, dal d.P.R. n. 897 del 1980 (come :limitata era pure la portlata dell'aillteriormente vigente secondo comma dell'art. 56): detto comma aggiuruto mira a contrastare dl transfer pricing tm imprese domillante e domillate o comunque facenti parte dello stesso gruppo, e non a tmooiare, in via generale, il confine del quale si detto test. Quanto detto per costi ed oneri vale conseguenzialmente per le perdite; del resto, riesce diffioile immaginare una deducibilit di per dite quando -per le societ estere prive di stabiJe organizzazione -manca persino l'obbligo di assicurare la continuit delle dichiarazioni in man oanza di reddito. Comunque, per le minusV'alenze che non attengano a beni localizzati in Italiia opera esplicitamente iJ limite posto da1l'al'.1t. 22 del d.P.R. n. 958 del 1973. Del resto, detto wt. 22 contiene diisposrizioni nel complesso forse non chiare e non coordililate con altre disposizioni dello stesso d.P.R. n. 598 e dei d.P.R. n. 597 e n. 600. Anzitutto, nel primo comma di tale articolo ai si riferisce alle societ ed enti indicati alla lettera d) dell'art. 2 , e cio ad una platea di soggetti diversa e pi ampia di quella prevista dall'art. 19 n. 5 del d.P.R. n. 597 ed in precedenza dall'art. 145 del t.u. dLdd. del 1958 (soggetti aventi stia.bile organizzazinne in Italia), -e quel che pi rileva al suo .interno non omogenea (si pensi, ad esempio, che le societ estere prive dd stabile organizzazdone non sono -come logico -neppur tenute a presentare dichiarazione in assenza di un reddiito iimponil1e m Italia, a differenza di quanto aooade allorquando v' 'Sillabile organizzamone): per H che un contributo alla chiarezza potrebbe venire da un intervento correttivo che comiinciaisse proprio dall'art. 2 del d.P.R. n. 598. Riesce comunque poco agevole comprendere come per le societ estere (e a for tiori per quehle tm esse che son prive di s.tabile organizzazione in Italiia) possa prodursi quella trasformazione dei redditi di tutte le categorie in redddto d'impresa che .imposta -come SI detto, con qualche forza tura -dag1i artt. 6, comma secondo, 44 e 49, terzo comma, lett. b, del d.P.R. n. 597. Il tutto ulteriormente compliooto dal1a drcostanza che i'l confine della nozione di soggetto indicato ailla lettera d) dell'art. 2 pu nisul tare tracciato sulla base di un dato di fatto (la effettiva localizzazione del I: ....................................................... : PARTE II, QUESTIONI H l'oggetto "pmnoipale dell'attiwt) di difficMe accertamento, dal momento che non si dispone di strumenti idonei a confrontare l'importanza delle attivit in Italia con queUa delle (non conoscibili in modo sicuro) attivit all'estero. L'art. 22 del d.P.R. n. 958 continua -nel secondo comma -con una di:sposi2Jione che promiscuamente stabilisce quando redditi si conSIderano prodotti nel territomo dello Stato (quelli indicati nell'a1r~t. 19 .del d.P.R. n. 597) e come i redditi di una specifica categoria -i redditi d'impresa sono sottoposti ad !imposizione ( itenendo conto... anche delle plusvalenze e delle minusvalenze dei beni... relativi alle attivit commerciali esercitate nel territorio dello Stato). In tal modo, per vero non poco criptico, sembra si sia voluto affermare: a) che ~a normativa relativa al reddito d'impresa pu continuare ad operare ancorch !I'ifedta ad un segmento soltanto (quello itaLiano ) del- 1'1attivit (e del patrimonio) di UIIla sooiet o ente non residente. b) che detta normativa pu applicarsi ad una societ (od ente commeroiaJe) non residente ancorch priva di stabile organizzazione in Italia; e) che alJ'appliica2lione della medesima normativa collegata anche la imposi2lione sulle plusvalenze; d) che per i soggetti in questione non opera -e oi pi che logico -~l world wide system. Quanto al successivo terzo comma dello stesso articolo 22, esso si limita ad equiparare agli enti non commerciati i soggetti non residenti diversi dalle societ -i quali non hanno per oggetto esclusivo o princip~e l'esercizio (non precisato se solo in Italia od ovunque) di attivit commerciali, Solo apparentemente Jliineare l'art. 23 dello 1srtesso d.P.R. n. 598: anzitutto, su di esso si rliflette la limitata chiairezm del precedente art. 22, al quale collegato (anche dall'iinoiso con riferimento aii redditi prodotti nello Stato); inoltre, come gi osservato, non pare che la norma tiva relativa ai componenti negativi dettata per le societ e gli enti di cui alle lettere a} e b) dell'art. 2 possa essere richiamata ed apphlcata per i soggetti estera. In terzo luogo, la questione risolta dal d.P.R. n. 897 del 1980, con la correzione apportata: dall'art. 19 del d.P.R. n. 597 (purtroppo la no:vma correttiva stata scritta senza tener conto delle controversie in corso), pu 11ipresenta:vsi per redditi. diversi da quelli da royalties. Fino al 1980, la quasi totalit dei soggetti esteri privi di stabile organizzazione in Italia risultava percettore unicamente di redditi fondialI1i, per beni immobili da essi qui posseduti; in pratica, solo il n. 1 dell'art. 19 del d.P.E. n. 597 trovava -per ovvde ragioni -effetti.va aipplicazione (del 14 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO resto i numeri 3 e 4 dell'articolo 19 concernono solo le persone fisiche). La situazione dovrebbe essere mutata dopo la novella del 1980 (operante dal primo gennaio 1982). 4. -Le oscillazioni e, in qualche misura, il disorientamento della giurisprudenza -ancorch circoscritti (non per eliminati) dalla novella del 1980 -dovrebbero indurre ad un esame approfondito del problema della classificazione dei redc:Mti di cui aU'arrt. "49, terzo comma, lett. b), del d.P.R. n. 597 del 1973. Questi dovrebbero essere suddivisi in tre specie: a) quelli perisonalmente conseguiti daLl'autore o inventore persona fisica non imprenc: Mtore, per a. quali ragionevoli sono l'assimilazione ai redditi di lavoro autonomo, a.I regime della detra21ione forfettaria delle spese e l'esclusione dalla ILOR (e cio -in sintesi -l'attuale normativa); b) quelli conseguiti da persone giuridiche o nell'esercizio di impresa avente in Italia almeno una stabile organizz2lazione per i quali coerente al sistema l'incLusione nei redditi d'impresa (pur con le ambiguit dd. tale no2lione e con le indulgenze di cui essa veicolo); c) i rimanenti, per i quali sembrano I possibili e razionali due classificazioni, e cio o come redditi di capitale, in coerenza con l'impostazione de1le convenzioni internazionali per evitare la doppia imposizione, o come .redditii diversi, secondo :l'indicazione I {: proveniente dalla Corte di cassazione nella ricordata sentenza del 1981. ~= Restringendo il discorso ai redditi di cui al punto c), la loro classi : : ficazione tra i diversi suscita qualche riserva dovuta proprio alla mera residualit della relativa nozione; residualit che rende ardua la cicerca di un qualsiasi collegamento con categorje economa.che. In particolare, l'art. 77 del d.P.R. n. 597 del 1973 -valorizzato nella ricordata sentenza -, all'interno della categoria residuale dei c:MversJ. , un vero e proprio residuato . Esso prevede nei suoi due commi due ipotesi tra loro diverse (e mal unificate nel corpo c:M un uruco articolo); due ipotesi che tuttav:fa possono essere ciguiardate come quanto residua dei redditi oggettivamente misti. di oapirtale e lavoro dopo la sottrazione dci redditi soggettivamente clasS1ificati dii iimp... e ;a. N pare ostativo che, malgrado l'impropniet della 'rubrica, solo il primo comma si riferisce ad titivit occasionalii . La via percorsa nel 1981 dalla Corte di cassazione appare comunque non irrazionale: essa in sostanza si traduce in una qualificazione come oggettivamente commerciali dei redditi costituiti dai corrispettivi per la iI cessione in uso di veicoli, macchine ed altr.i bend mobili (cio, non im mobili). Sul piano degli effetti, la dassificazione fra i diversi dei redditii dn questione -ma solo in parte (non per d compensi relativi a beni immateIJa1i localzzati. all'estero) -equivalente ad urna loro classific~ione fra r:: I i redditii di capitale. Quest'ultima appare, per certi viersi pi razionale (co-I ii ii r I,. .cm ccc. -' e.......... -.-...-.w....w...m.a.-..-.-.-..-..-..-.-c.-c.-..ccc..-. ~! PARTE II, QUESTIONI 1J me confermato dia:l mritto .internazionale tributario), e potrebbe essere consentita anche mediante una interpretarione estensiva dell'art. 41 lett. t) del d.P.R. n. 597 del 1973. A questo proposito appare utile rammentare brevemente come e perch si formata la nozione di reddito di capitale. Di questo reddito si parla nelle leggi del secolo scorso suH'imrpos1Ja di ricchezza mobile nel quaidTo di ll!Il sistema che differenziava iJ trattamento applicato ai vari tipi di reddito mobilare (i redditi !immobiliari erano sottoposti alle separate imposte fondiarie). All'epoca SI riteneva che la relativa brevit della vita umana e quindi anche del pe:riiodo di utilizzabilit deglii investimenti fatti direttamente sul fattore della produzione lavoro rendesse doveroos applicare su tale fattore un carico fiscale ridotto. Tale indirizzo, risalente al BrogLio ed al Cavour recepito nella legge 1864 sulla imposizione mobilfare, si traduceva nel cosidetto metodo della diversiiioazione ed era attuato mediante .la traduzione di ciascun reddito effettivo itn reddito imponibile secondo percentuali differenziate. Con il r.d. 16 ottobre 1924, n. 1613, in luogo deMe differenziazioni in termini di imponibile, erano introdotte differenzliazioni in termini di aliquote, pervenute -con modifiche che non il caso 1di rammentaTe -attraveriso il. t.u. ii. dd. del 1958, fino alla vigilia dela riforma tributaria degli anni 1971-1973. Questa riforma ha, com' noto, affidato alla sola ILOR lil compito di differen:zFare il trattamento dei redditi provenienti da fattori patrimoniali da quelli provenienti dall'opera lavorativa (prtlma subordinata, poi -con la sentenza citata -anche autonoma) dell'uomo. Attualmente, l'art. 41 del d.P.R. n. 597 del 1973, dopo una elencazione dettagliata (ma -tutto considerato -solo esemplificativa) dei redditi di capitale, contiene una nonna di chiusura che qualifica tale ogni altra rendita o provento in misura definitiva derivante dall'impiego di capitale '" Con il che si finisce per l'inviare ad un concetto economico, non limitato da oggettivazioni o altrtlmenti (non si parla di capitale finanziario o capitale espresso in moneta). per indubbio che la nozione economica di capitale -sia esso inteso come fatitore della produzione distinto e contrapposto aJ. Lavoro ed all'iniziativa imprenditoriale -non integralmente recepita dalla legge tributaria. Ad esempio, ne l'irnane escluso il capitale immobiliare, tradizionalmente sottoposto a separata imposizione (la riforma del 1971 ha aJquanto sommariamente dnseriito l'iimposi:zfone fondiaria nelle strutture di imposte -l'IRPEF e la IRPE;G -che sono :riimaste essenzialmente mobiliari ). Ne rimane escluso pure il capitale investito nella impresa, che r.imasto nella sostanza entro l'anteriore schema dell'imposizione sui redditii misti di capitale e Lavoro; e ci vale -si noti -anche per il capitale finanziario (cfr. art. 44 del d.P.R. n. 597 del 1973). 16 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO La nozione di capiitale utilizmta dall'art. 41 citato continua pertanto ad avre contenuti residuali: non pi ola nozione ristretto di capitali dati a mutuo o altrimenti redimibili (iartt. 21 e 54 del t. u. del 1877); ma neppure .ia nozione omnicomprensiva che potrebbe trarsi da una lettura non storicizzata dell'art. 41 del d.P.R. n. 597 del 1973. evklenite, a questo punto, che fa determiazione dei contenuti concreti della noZJione rimane dn qualche misura rimess1a aM'interprete; cos, ad esempio, per la questione di che trattasi, ape11ta la risposta da dare al quesito se siano reddliti di capitalle quelli conseguiti da somme di danaro i:impiegat nell'acqu~sto a titolo oneroso di beni immateriali, o -pi correttamente -i frutti conseguiti da beni immateriali. Comunque nello stabilire la classificazione di un reddito tra que'lli di capitale, l'interprete dovrebbe considerare, tra il'ailtro, che per l'art. 42 del d.P.R. n. 597 aitato va seguito il criiteri.o di oa1Ssa e non il criterio di com: petenza: per il che il contribuente ha facolt di scegliere il periodo d'imposta cui imputare il rddito, operando sul momento di percezione (5). appena il caso di aggiUl!lgere che tutto ii1 discorso iin tema dJi classiificazione dei redditii potrebbe avere svHuppi diversi ove si abbandonasse dil quadro di 11iferiimento offerto dalla legislazione vigente, quadro che si presenta disomogeneo: a categorie -qU1ali quelle di lavoro dipendente e autonomo, di capitale e del capitale fondiario -individuate da fattori della produzione, si affianca una categoria -quella del reddito di impresa -qualificata nella apparenza dal modo di organizzare e di esercitare attivit economiche e nella sostanza dal rilievo riconosciuto a scritture contabili (peraltro, oltre il 90 % dei percettori di reddito di impresa non tenuto a presentare il mitizzato -nell'art. 52 del d.P.R. n. 597 -co~to profitti e perdite, e la maggioranza del residuo scarso 10 % presenta una facciatina di cifre poco espressive), ed una quinta categoria come si detto residuale . 5. -H dii.scorso fatto in termini di classificazione dei redditi (e quindi solo per 1l'.imposizione sui reddiiti) lascia irrisolto il problema della individuazione di misure idonee a:d assicurare l'emersione -a fini fiscali - dei compensi in questione. (5)' :S stato osservato (LIZZUL, Appunti per uno studio in materia di tassazione dei canoni per royalties e know how, in Tributi, 1983, n. 7-8) che i compensi vanno assunti secondo il principio della cassa e non defila compe tenza e che come data di incasso dovrebbe essere considerata quella della effettiva messa a disposizione del percettore. Tale f.atto rende ancor pi problematica la determinazione del reddito imponibile; infatti, abbiamo da una parte ricavi che seguono la cassa e dall'altro costi che dovrebbero seguire le competenze. Come si vede un pasticcio folle e sul quale non vogliamo neanche maggiormente dilungarci mancando alla base ogni ragionevolezza ! f.~~ (:; @ ~;~ r ~~ ~:: i~~ ::Z::ZZZC.:z"""'''''.-.".".".'.".'.'.'.".'."."."."....-...-....-..-....".-.".".....-..-...-.-.-....-.......... ᥥ u..,.-u...c...-.-u.".,..ᥥw !! 1r1111111111r1i1r1,1ar11fr111111l11111ililr1:r11111;:111:11111111111111111r1111111r11 , PARTE II,. QUESTIONI A tal fine certamente utile il meccanismo della ritenuta a titolo di acconto, meccanismo che gi opera in larga misura e che si estenderebbe (art. 26, ult. comma, d.P.R. n. 600) ai redditi de quibus se e per quanto classificati tra quelli di capitale; ovviamente, ove e per quanto si optasse per una loro classificazione tra i redditi diversi occorrerebbe una disposizione ad hoc. A questo proposito, si aggiunge che non vi sono ragioni ostative alla estensione, se e per quanto opportuno, a taluni componenti positivi del reddito d'impresa il meccanismo della ritenuta d'acconto (del resto, esso gi opera per le provvigioni di rappresentanti ad agenti di commercio e categorie similari). Le royalties appaino particolarmente idonee ad una generalizzata sottoposizione a ritenuta d'acconto: esse per solito rimangono nettamente distinte dalla corrente gestione aziendale, hanno limitati collegamenti con i componenti negativi del reddito d'impresa, ed hanno consistenza tale ,da giustificare l'imposizione di obblghi strumentali (e di versamento) specifici ed aggiuntivi. Sempre pi palese appare l'esigenza di porre al centro dell'ordinamento tributario la tematica dell'accertamento, anzich quella della individuazione della materia imponibile: neJilo strutturare i tnibuti -tutti i tvibuti -pveoccupazione primaria dovrebbe essere non solo il gettito di danaro da dascuno di essi ottenibile ma anche, per cos dire, il gettito di informazioni utilizzabili. FRANCO FAVARA LEGISLAZIONE I -NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI Legge 8 agosto 1895, n. 486, art. 39, allegato T, nella parte concernente la giurisdizione della Corte dei conti in ordine alla liquidazione delle pensioni spettanti ai dipendenti del Banco di Napoli. Sentenza 19 gennaio 1984, n. 1, G. U. 25 gennaio 1984, n. 25. II -QUESTIONI DICHIARATE NON FONDATE Codice civile,. combinato disposto artt. 2751-bis n. 2, 2758 e 2778, n. 7 (art. 53 della Costituzione). Sentenza 15 febbraio 1984, n. 25, G. U. 22 febbraio 1984, n. 53. r,dJ. 4 ottobre 1935, n. 1827, art. 73, primo comma (art. 38 della Costituzione). Sentenza 15 febbraio 1984, n. 28, G. U. 22 febbraio 1984, n. 53. legge 18 marzo 1958, n. 311, art. 22, primo e terzo comma e 13, terzo e quarto comma (art. 3 della Costituzione). Sentenza 22 febbraio 1984, n. 38, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 13 (artt. 3, 35, 36 e 38 della Costituzione). Sentenza 15 febbraio 1984, n. 27, G. U. 22 febbraio 1984, n. 53. legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 13, quinto comma (artt. 3, 24, 36, secondo I I ~ comma, e 38 della Costituzione). I ~ Sentenza 15 febbraio 1984, n. 26, G. U. 22 febbraio 1984, n. 53. [ legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 48, terzo comma (art. 3 della Costituzione). Sentenza 15 febbraio 1984, n. 29, G. U. 22 febbraio 1984, n. 53. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 27, primo e secondo comma, 29, 67 e 73 (artt. 3, 35 e 41 della Costituzione). Sentenza 22 febbraio 1984, n. 40, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. I w I i::: III -QUESTIONI PROPOSTE Codice di procedura civile artt. 415 e 416 (art. 24 della Costituzione). Tribunale di Torino, ordinanza 25 febbraio 1983, n. 555, G. U. 4 gen naio 1984, n. 4. PARTE II, LEGISLAZIONE codice di procedura civile, art. 416, primo comma (art. 24 della Costituzione). Pretore di Siracusa, ordinanza 17 giugno 1983, n. 676, G. U. 18 gennaio 1984, n. 18. codice. di procedura civile, art. 429, terzo comma (artt. 1, 3, 4, 34, 36 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 7 novembre 1980, n. 659/83, G. U. 18 gennaio 1984, n. 18. codice di procedura civile, artt. 431, terzo e quarto comma, e 423, quarto comma [come modificato dall'art. 1 legge 11 agosto 1973, n. 533] (artt. 3 e 24 della Costituzione). Tribunale di Bari, ordinanza 9 giugno 1983, n. 780, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. codice di procedura civile, art. 657 (artt. 2, 3, 41, 42 e 47 della Costituzione). Pretore di Gallarate, ordinanza 23 febbraio 1983, n. 759, G. U. 15 febbraio 1984, n. 46. codice di procedura civile, art. 657 (artt. 41 e 42 della Costituzione). Pretore di Gallarate, ordinanze (sei) 15 gennaio 1983, nn. 753-758, G. U. 10 febbraio 1984, n. 32. codice di procedura civile, art. 709 (art. 24 della Costituzione). Tribunale di Lecce, ordinanza 30 luglio 1983, n. 765, G. U. 8 febbraio 1984, n. 39. codice penale, art. 2, ultimo comma (art. 77 della Costituzione). Pretore di Cervignano del Friuli, ordinanza 11 maggio 1983, n. 854, G. U. 4 gennaio 1984, n. 4. codice penale, art. 102 (art. 27 della Costituzione). Magistrato di sorveglianza presso il tribunale di Roma, ordinanza 24 gennaio 1983, n. 702, G. U. 1 febbraio 1984, n. 32. Magistrato di sorveglianza presso il tribunale di Roma, ordinanza 24 gennaio 1983, n. 720, G.U. 8 febbraio 1984, n. 39. codice penale, art. 341 (artt. 3 e 27 della Costituzione). Tribunale di Udine, ordinanza 3 maggio 1983, n. 594, G. U. 4 gennaio 1984, n. 4. codice penale, art. 341 (artt. 3 e 27 della Costituzione). Pretore di Verona, ordinanza 31 maggio 1983, n. 735, G. U. 15 febbraio 1984, n. 46. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA ,DELLO STATO codice penale, art. 556, ultimo comma .(art. 3 della Costituzione). Tribunale di Cagliari, ordinanza 7 gennaio 1983, n. 570, G. U. 4 gennaio 1984, n. 4. codice penale, art. 570, terzo comma [aggiunto dall'art. 90 della legge 24 novembre 1981, n. 689) (art. 29 della Costituzione). Pretore di Orvieto, ordinanza 31 maggio 1983, n. 760, G. U. 15 febbraio 1984, n. 46. codice penale, art. 684 (art. 21 della Costituzione). Tribunale di Genova, ordinanza 9 giugno 1983, n. 768, G. U. 8 febbraio 1984, n. 39. codice penale, art. 699 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Ales, ordinanze (due) 29 giugno 1983, nn. 905 e 906, G. U. 8 febbraio 1984, n. 39. codice penale, art. 724 (artt. 3, 8, 19 e 21 della Costituzione). Pretore di Montorio al Vomano, ordinanza 22 luglio 1983, n. 868, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. codice di procedura penale, art. 26 (artt. 3, 25 e 103 della Costituzione). Corte dei conti, ordinanza 2 aprile 1982, n. 874/83, G. U. 22 febbraio 1984, n. 53. codice di procedura penale, art. 164, primo comma, n. 1 (art. 21 della Costituzione). Tribunale di Genova, ordinanza 9 giugno 1983, n. 768, G. U. 8 febbraio 1984, n. '39. codice di procedura penale, artt. 263-bis e 263-ter (artt. 3 e 24 della Costituzione). Tribunale militare di Bari, ordinanza 23 febbraio 1983, n. 689, G. U. 8 febbraio 1984, n. 39. codice di procedura penale, art. 647, secondo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). Corte di Cassazione, ordinanza 13 maggio 1983, n. 704, G. U. 1 febbraio 1984, n. 32. codice penale militare di pace, art. 58 (art. 3 della Costituzione). Tribunale militare di Padova, ordinanza 9 giugno 1983, n. 733, G. U. 8 febbraio 1984, n. 39. codice penale militare di pace, art. 191 (art. 3 della Costituzione). Tribunale militare di Verona, ordinanza 27 maggio 1983, n. 660, G. U. 18 gennaio 1984, n. 18. PARTE II, LEGISLAZI!)NE r.d. 8 gennaio 1931, n. 148, art. 18 reg. ali. A (artt. 3 e 35 della Costituzione). Pretore di Pisa, ordinanza 3 luglio 1983, n. 796, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. r.d. 27 luglio 1934, n. 1340, art. 12, lett. a) [convertito nella legge 16 maggio 1935, n. 834] (art. 3 della Costituzione). Corte dei conti, ordinanza 21 ottobre 1982, n. 682/83, G. U. 8 febbraio 1984, n. 39. legge 23 novembre 1939, n. 1815 (artt. 3, 4 e 41 della Costituzione). Tribunale di L'Aquila, ordinanze (tre) 9 giugno 1983, nn. 743-745, G. U. 8 febbraio 1984, n. 39. Tribunale di L'Aquila, _ordinanza 9 giugno 1983, n. 746, G. U. 15 febbraio 1984, n. 46. d.IJgt. 23 novembre 1944, n. 382, art. 14, secondo comma (art. 108 della Costituzione). Corte costituzionale, ordinanza 30 settembre 1983, n. 907, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. legge 2 marzo 1949, n. 144, art. 15 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Sondrio, ordinanza 28 aprile 1983, n. 620, G.U. 11 gennaio 1984, n. 11. Tribunale di Sondrio, ordinanza 19 maggio 1983, n. 769, G.U. 15 febbraio 1984, n. 46. legge 23 maggio 1950, n. 253, art. 35 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Orvieto, ordinanza 24 maggio 1983, n. 729, G. U. 8 febbraio 1984, n. 39. legge 19 marzo 1955, n. 160, artt. 9, 10 e 15 (artt. 3, 32 e 38 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale della Liguria, ordinanza 28 aprile 1983, n. 709, G. U. 8 febbraio 1984, n. 39. legge 19 marzo 1955, n. 160, art. 24 (art. 3 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 11 gennaio 1982, n. 657/83, G. U. 25 gennaio 1984, n. 25. legge 12 novembre 1955, n. 1137, art. 61, secondo comma [come modificato dall'art. 9 legge 16 novembre 1962, n. 1622, dall'art. 6 legge 18 novembre 1964, n. 1249, e dall'art. 2 legge 2 dicembre 1975, n. 626] (artt. 3 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 10 febbraio 1982, n. 708/83, G. U. 25 gennaio 1984, n. 25. 22 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO d.P.R. 11 gennaio 1956, n. 19, art. 1, secondo comma (artt. 3 e 36 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 19 maggio 1980, n. 658/83, G. V. 8 febbraio 1984, n. 39. legge 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 4, secondo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 31 marzo 1983, n. 601, G. V. 11 gennaio 1984, n. 11. legge 26 ottobre 1957, n. 1047, art. 18 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Firenze, ordinanza 25 marzo 1983, n. 795, G. V. 29 febbraio 1984, n. 60. d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 87 e 89 (artt. 3, 38, 53 e 76 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Palermo, ordinanza 24 gennaio 1983, n. 848, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 89, ultimo comma, e 140, ultimo comma (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Como, ordinanza 16 aprile 1983, n. 740, G. V. 15 febbraio 1984, n. 46. t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 127, terzo comma, lett. d) (art. 53 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 6 aprile 1983, n. 690, G. V. 25 gennaio 1984, n. 25. d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, art. 53, secondo comma (art. 3 dela Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per la Campania, ordinanza 14 aprile 1983, n. 879, G.. V. 29 febbraio 1984, n. 60. legge 30 gennaio 1962, n. 283, art. 17 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Salerno, ordinanza 22 giugno 1983, n. 701, G. V. l febbraio 1984, n. 32. legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Messina, ordinanza 29 aprile 1983, n. 781, G. V. 15 febbraio 1984, n. 46. legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2 cpv., lett. a) (art. 3 della Costituzione). Pretore di Siena, ordinanza 28 marzo 1983, n. 718, G. V. 8 febbraio 1984, n. 39. PARTE II, LEGISLAZIONE legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2, secondo comma, lett. a) (art. 3 della Costituzione). Pretore di Siena, ordinanza 26 maggio 1983, n. 627, G. U. 11 gennaio 1984, n. 11. Pretore di Sassari, ordinanza 9 giugno 1983, n. 698, G. U. 8 febbraio 1984, n. 39. legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2, secondo comma, lett. a) (artt. 3 e 38 della Costituzione). Pretore di Palermo, ordinanza 17 maggio 1983, n. 639, G. U. 18 gennaio 1984, Il. 18. legge 22 novembre 1962, n. 1646, art. 24 (art. 3 della Costituzione). Corte dei conti, ordinanza 16 luglio 1982, n. 737/83, G. U. 8 febbraio 1984, Il. 39. legge 9 gennaio 1963, n. 9, art. 1, secondo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Palermo, ordinanza 10 maggio 1983, n. 640, G. U. 18 gennaio 1984, n. 18. legge reg. Trentino-Alto Adige 7 settembre 1964, n. 30, artt. 2 e 3 (art. 18 della Costituzione e 4, 8, 16, 18 e 105 dello statuto della regione Trentino-Alto Adige). Pretore di Mezzolombardo, ordinanze (sei) 11 luglio 1983, nn. 711-716, G. U. 25 gennaio 1984, n. 25. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 11 [come modificato dalla legge 24 novembre 1981, n. 689] (art. 3 della Costituzione). Pretore di Siena, ordinanza 19 maggio 1983, n. 565, G. U. 4 gennaio 1984, Il. 4. legge 15 luglio 1966, n. 604, art. 11, primo comma, seconda ipotesi (artt. 3 e 37 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 3 febbraio 1983, n. 644, G. U. 18 gennaio 1984, n. 18. legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 3, lett. a) (art. 3 della Costituzione). Pretore di Mantova, ordinanza 7 giugno 1983, n. 700, G. U. 1 febbraio 1984, n. 32. legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 3, secondo comma, lettera b) (art. 3 della Costituzione). Pretore di Verona, ordinanza 21 giugno 1983, n. 776, G. U. 29 febbraio 1984, Il. 60. 24 RASSEGNA DBLL1AWOCA'IURA DELLO STATO legge reg. Friuli-Venezia Giulia 27 marzo 1968, n. 20, art. 49 (artt. 3, 5, 25 e 117 della Costituzione). Tribunale di Udine, ordinanza 9 giugno 1983, n. 673, G. V. 18 gennaio 1984, n. 18. legge 2 aprile 1968, n. 482, art. 11 (artt. 38 e 41 della Costituzione). Pretore di Grumello del Monte, ordinanza 18 aprile 1983, n. 772, G. V. 15 febbraio 1984, n. 46. legge 2 aprile 1968, n. 482, art. 16, quarto comma (artt. 3, 38 e 41 della Costituzione). Pretore di Ivrea, ordinanza 16 maggio 1983, n. 612, G. V. 11 gennaio 1984, n. 11. legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 23 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Siena, ordinanza 26 maggio 1983, n. n. 11. Pretore di Messina, ordinanza 29 aprile 1983, n. n. 46. legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 23 (artt. 3 e 38 ~=: Pretore di Palermo, ordinanza 17 maggio 1983, n. 639, G. V. 18 gennaio 1984, i~ n. 18. i~ ' legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 23 cpv. (art. 3 della Costituzione). Pretore di Siena, ordinanza 28 marzo 1983, n. 718, G. V. 8 febbraio 1984, n. 39. Il. . legge reg. Sicilia 30 luglio 1969, n. 29, art. 5 (art. 36 statuto speciale regione Sicilia). Corte di cassazione, ordinanza 12 marzo 1982, n. 580/83, G. V. naio 1984, n. 4. legge 24 dicembre 1969, n. 990, artt. 6 e 18 (art. 11 della Costituzione). Pretore di Modena, ordinanza 29 marzo 1983, n. 830, G. V. 29 febbraio 1984, n. 60. legge 20 maggio 1970, n. 300, art. 7, secondo e terzo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Catania, ordinanza 17 maggio 1983, n. 827, G. V. 29 febbraio 1984, n. 60. legge 24 maggio 1970, n. 336, artt. 1, 2 e 3, primo, secondo e 4 (art. 81 della Costituzione). Pretore di Fiesole, ordinanza 11 febbraio 1983, n. 691, G. V. n. 25. 627, G. V. 11 gennaio 1984, 781, G. V. 15 febbraio 1984, della Costituzione). l I,_, 4 gen ' I fil w e terzo comma, ~:: :: ~~i 25 gennaio 1984, >:= i ~'.~ , . . l ll!1t; ' : iiP'=iitiiliillilirariiiiiilr0rt7!1$FiWtltltliifll PARTE II, LEGISLAZIQNE 2J legge 9 ottobre 1971, n. 824, art. 6 (art. 81 della Costituzione). Pretore di Ancona, ordinanza 28 gennaio 1983, n. 635, G. U. 11 gennaio 1984, n. 11. Pretore di Firenze, ordinanza 11 febbraio 1983, n. 691, G. U. 25 gennaio 1984, n. 25. TribwJale di Napoli, ordinanza 27 aprile 1983, n. 721, G. U. 25 gennaio 1984, n. 25. Pretore di Ancona, ordinanza 3 maggio 1983, n. 778, G. U. 25 gennaio 1984, n. 25. Pretore di Ancona, ordinanza 11 maggio 1983, n. 779, G. U. 25 gennaio 1984, n. 25. Pretore di Venezia, ordinanze (due) 23 marzo 1983, nn. 859 e 860, G. U. 25 gennaio 1984, n. 25. legge 29 ottobre 1971, n. 889, artt. 5 e 17 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Benevento, ordinanze (tre) 28 settembre 1983, nn. 961-963, G. U. 15 febbraio 1984, n. 46. legge 29 ottobre 1971, n. 889, artt. 5 e 17 (artt. 3, 36, 38, 42 e 53 della Costituzione). Pretore di Bari, ordinanza 21 maggio 1983, n. 784, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. d.I. 25 maggio 1972, n. 202 (art. 76 della Costituzione). Commissione comunale per i tributi locali di Roma, ordinanza 9 novero bre 1981, n. 685/83, G. U. 25 gennaio 1984, n. 25. d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748, art. 68, quarto comma (artt. 3 e 77 della Costituzione). Corte dei conti, ordinanza 3 novembre -1982, n. 647/83, G. U. 18 gennaio 1984, n. 18. legge prov. di Bolzano 20 agosto 1972, n. 15, artt. 12, primo e terzo comma e 24, primo comma, primo e secondo periodo (artt. 3 e 42 della Costituzione). Corte d'appello di Trento, ordinanza 26 aprile 1983, n. 600, G. U. 4 gen naio 1984, n. 4. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (art. 76 della Costituzione). Commissione comunale per i tributi locali di Roma, ordinanza 9 novembre 1981, n. 685/83, G. U. 25 gennaio 1984, n. 25. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 16 (art. 24 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Udine, ordinanza 11 maggio 1983, n. 741, G. U. 8 febbraio 1984, n. 39. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, artt. 16 e 19 (artt. 24 e 27 dt;!lla Costituzione). Tribunale di Trani, ordinanza 16 giugno 1983, n. 789, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. 26 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 17, secondo comma (artt. 24, 53 e 97 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Ascoli Piceno, ordinanza 26 aprile 1983, n. 814, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 35, quinto comma [come modificato dall'art. 23 d.P.R. 3 novembre 1981, n. 739) (art. 24 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Milano, ordinanza 7 maggio 1982, n. 686/83, G. U. 1 febbraio 1984, n. 32. d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art..332 (artt. 3 e 27 della Costituzione). Tribunale di Napoli, ordinanza 9 giugno 1983, n. 677, G. U. 18 gennaio 1984. n. 18. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183, 195 e 334, primo comma, n. 3 [modificato dall'art. 45 legge 14 aprile 1975, n. 103] (artt. 3 e 27 della Costituzione). I Pretore di Borgomanero, ordinanza 23 marzo 1983, n. 564, G. U. 4 gen naio 1984, n. 4. I I f, d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 322 (artt. 3 e 21 della Costituzione). ' i= l f. Pretore di Roma, ordinanza 16 maggio 1983, n. 869, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 334, 335, 336, 183, primo comma e 195, primo comma, n. 2 [come modificati dall'art. 45 legge 14 aprile 1975, n. 103) (artt. 3 e 21 della Costituzione). I ~ Pretore di Trieste, ordinanza 30 marzo 1983, n. 634, G. U. 11 gennaio 1984, n. 11. legge reg. Basillcata 4 maggio 1973, n. 10, art. 2, secondo e quarto comma (artt. 117 e 130 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per la Basilicata, ordinanza 22 feb l braio 1983, n. 603, G. U. 18 gennaio 1984, n. 18. ~ dl. 24 luglio 1973, n. 426, art. 1, quarto comma [convertito in legge 4 agosto 1973, n. 495) (art. 3 della Costituzione). Pretore di Padova, ordinanza 3 febbraio 1983, n. 656, G. U. 18 gennaio 1984, n. 18. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 10, lettera g) [come modificato dall'art. 5, primo comma, legge 13 aprile 1m, n. 114) (artt. 3, 29, 30 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Milano, ordinanza 20 gennaio 1983, n. 844, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. PARm II, LEGISLAZIONE 27 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 12, Iett. e), 14 e 46, secondo comma (artt. 3, 38 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Roma, ordinanza 20 aprile 1983, n. 674, G. U. 18 gennaio 1984, n. 18. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 12, lettera e) e 46 (artt. 3, 38, 53 e 76 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Ascoli Piceno, ordinanza 31 maggio 1983, n. 813, G. U. 15 febbraio 1984, n. 46. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 46, secondo comma (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Como, ordinanza 16 aprile 1983, n. 740, G. U. 15 febbraio 1984, n. 46. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 46, 56, primo comma, e 57, secondo comma (artt. 24 e 27 della Costituzione). Tribunale di Trani, ordinanza 16 giugno 1983, n. 789, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, art. 43 (art. 23 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Taranto, ordinanza 26 marzo 1983, n. 642, G. U. 18 gennaio 1984, n. 18. d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, artt. 85, secondo comma, 86, primo comma, e 87, secondo comma (artt. 3 e 38 della Costituzione). Corte dei conti, ordinanza 31 gennaio 1983, n. 648, G. U. 18 gennaio 1984, n. 18. legge 6 giugno 1974, n. 298, art. 46 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Mondov, ordinanza 10 maggio 1983, n. 722, G. U. 8 febbraio 1984, n. 39. dJ. 8 luglio 1974, n. 264, art. 7, sesto comma [come convertito nella legge 17 agosto 1974, n. 386] (art. 39 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale dell'Umbria, ordinanze (due) 6 luglio 1979, nn. 621 e 622/83, G. U. 11 gennaio 1984, n. 11. legge 14 ottobre 1974, n. 497, art. 12 (art. 3 della Costituzione). Tribwiale di Velletri, ordinanza 12 agosto 1983, n. 876, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. d.P.R. 31 marzo 1975, n. 136, art. 8, n. 5 (art. 3 della Costituzione). Consiglio di Stato, sezione sesta giurisdizionale, ordinanza 25 marzo 1983, n. 861, G. U. 22 febbraio 1984, n. 53. 17 28 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 14 aprile 1975, n. 103, artt. 40, primo e secondo comma, e 44, secondo comma (artt. 3, 21 e 41 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale delle Marche, ordinanza 23 febbraio 1983, n. 645, G. U. 18 gennaio 1984, n. 18. legge 14 aprile 1975, n. 103, art. 45 (artt. 3 e 21 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 16 maggio 1983, n. 869, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 5, quarto e sesto comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Sondrio, ordinanze (due) 3 maggio 1983, nn. 785 e 786, G. U. 1 febbraio 1984, n. 32. Pretore di Lucca, ordinanza 22 marzo 1982, n. 747/83, G. U. 15 febbraio 1984, n. 46. legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 23, terzo comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Bassano del Grappa, ordinanza 21 aprile 1983, n. 636, G. U. 18 gennaio 1984, n. 18. legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 22, primo comma, e 23, primo comma (artt. 3, 27 e 36 della Costituzione). Magistrato di Sorveglianza presso il tribunale di Padova, ordinanza 9 maggio 1983, n. 672, G. U. 25 gennaio 1984, n. 25. legge 26 luglio 1975, n. 354, artt. 47 cpv. e 48, ultimo comma (artt. 3, 25 e 27 della Costituzione). Corte d'appello di Messina, ordinanza 17 novembre 1976, n. 625/83, G. U. 11 gennaio 1984, n. 11. legge 26 luglio 1975, n. 354, artt. 47 cpv., 48, ultimo comma e 54 ultimo comma (artt. 3, 25 e 27 della Costituzione). Corte d'appello di Messina, ordinanza 17 novembre 1976, n. 626/83, G. U. 11 gennaio 1984, n. 11. legge 26 luglio 1975, n. 354, artt. 47 cpv. e 54, ultimo comma (artt. 3, 25 e 27 della Costituzione). Corte d'appello di Messina, ordinanze (due) 17 novembre 1976, nn. 623 e 624/83, G. U. 11 gennaio 1984, n. 11. legge 22 novembre 1975, n. 685, artt. 26 e 28 (art. 3 della Costituzione). I !~ Tribunale di Pisa, ordinanza 2 febbraio 1983, n. 687, G. U. 1 febbraio 1984, 11. 32. ~ legge 22 novembre 1975, n. 685, artt. 26, 28, 71, .72 e 80 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Padova, ordinanza 12 aprile 1983, n. 790, G. U. 29 febbraio 1:: 1984, n. 60. ~ ' 1 rj1~ .. -: ~ ;, ~ ... =~ :: ;, PARTE II, LEGISLAZIONE legge 23 dicembre 1975, n. 698, art. 9, ultimo comma, seconda parte [nel testo modificato dalla legge 1 agosto 1977, n. 563] (artt. 3, 36, 38 e 42 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 14 giugno 1982, n. 596/83, G. U. 11 gennaio 1984, n. 11. d.l. 4 marzo 1976, n. 31, art. l, sesto comma [convertito in legge 30 aprile 1976, n. 159] (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanze (due) 6 luglio 1983, nn. 763 e 764, G. U. 15 febbraio 1984, n. 46. legge 29 aprile 1976, n. 177, art. 27, ultimo comma (art. 3 della Costituzione). Corte dei conti, sezione terza giurisdizionale, ordinanza 28 settembre 1982, n. 736/83, G. U. 15 febbraio 1984, n. 46. legge 10 maggio 1976, n. 319, artt. 9 e 15, sesto e settimo comma, e nota in calce alla tabella C (art. 24, della Costituzione). Pretore di Asola, ordinanza 28 ottobre 1982, n. 742/83, G. U. 15 febbraio 1984, n. 46. legge 28 gennaio 1977, n. 10, art. 17, lett. b) (art. 3 della Costituzione). Pretore di Poggibonsi, ordinanza 16 maggio 1983, n. 561, G. U. 4 gennaio 1984, n. 4. legge 13 aprile 1977, n. 114, art. 5 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Enna, ordinanza 16 dicembre 1981, n. 752/83, G. U. 11 gennaio 1984, n. 11. d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, artt. 51 e 53 (artt. 97 e 117 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 5 luglio 1982, n. 826/83, G. U. 22 febbraio 1984, n. 53. legge reg. Piemonte 5 dicembre 1977, n. 56, art. 18, primo comma e 55, diociottesimo comma (artt. 41, 42, 117 e 123 della Costituzione e 4 e 5 dello statuto reg. Piemonte). Pretore di Dogliani, ordinanza 9 giugno 1983, n. 782, G. U. 8 febbraio 1984, n. 39. legge 3 gennaio 1978, n. 1, art. 1, primo comma (art. 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, ordinanza 27 aprile 1983, n. 646, G. V. 25 gennaio 1984, n. 25. legge 1 febbraio 1978, n. 30, art. 9 (artt. 3 e 35 della Costituzione). Pretore di Pisa, ordinanza 30 luglio 1983, n. 796, G. V. 29 febbraio 1984, n. 60. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 1 e 3 (artt. 2, 3, 41, 42 e 47 della Costituzione). Pretore di Gallarate, ordinanza 23 febbraio 1983, n. 759, G. U. 15 febbraio 1984, n. 46. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 1 e 58 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Gallarate, ordinanze (sei) 15 gennaio 1983, nn. 753-758, G. U. 1 febbraio 1984, n. 32. lgge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 1, 3, 58 e 65 (artt. 2, 3, 10, 30, 31, 32, 41, 42 e 47 della Costituzione). Pretore di Torre Annunziata, ordinanza 26 aprile 1983, n. 692, G. U. 25 gennaio 1984, n. 25. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 3 (artt. 2, 3, 30, 31, 41 e 42 della Costituzione). Pretore di Camerino, ordinanza 22 giugno 1983, n. 777, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 3 e 58 (artt. 2, 3, 30, 31 e 41 della Costituzione). Pretore di Menaggio, ordinanza 18 maggio 1983, n. 697, G. U. 8 feb braio 1984, n. 39. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 3 e 58 (artt. 2, 3, 30, 31, 41 e 42 della Costituzione). Pretore di Menaggio, ordinanza 18 luglio 1983, n. 770, G. U. 15 febbraio 1984, n. 46. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 3 e 58 (artt. 2, 3, 41 e 42 della Costituzione). Pretore di Ruvo di Puglia, ordinanze (quindici) 15 luglio 1983, nn. 798-812, G. U. 8 febbraio 1984, n. 39. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 3 e 58 (artt. 2, 3, 41, 42 e 47 della Costituzione). Pretore di Gallarate, ordinanze (sei) 15 gennaio 1983, nn. 753-758. G. U. 1 febbraio 1984, n. 32. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 3 e 58 (artt. 3 e 42 della Costituzione). Pretore di Bari, ordinanza 21 giugno 1983, n. 693, G. U. 8 febbraio 1984, n. 39. Pretore di Bari, ordinanza 5 luglio 1983, n. 734, G. U. 15 febbraio 1984, n. 46. PARTE II, LEGISLAZIONE legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 3 e 58 (art. 42 della Costituzione). Pretore di Napoli, ordinanza 1" giugno 1983, n. 694, G. U. 8 febbraio 1984, n. 39. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 29, secondo comma, primo periodo (artt. 3 e 41 della Costituzione). Pretore di Chiavari, ordinanza 30 giugno 1983, n. 903, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 58 e 65 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 8 giugno 1983, n. 825, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 60, primo comma (artt. 3 e 24 della Costi tuzione). Pretore di Monza, ordinanza 29 aprile 1983, n. 793, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 69, settimo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Orvieto, ordinanza 24 maggio 1983, n. 727, G. U. 15 febbraio 1984, n. 46. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 69, settimo comma (artt. 3 e 42 della Costituzione). Tribunale di Arezzo, ordinanza 17 giugno 1983, n. 775, G. U. 15 febbraio 1984, n. 46. Tribunale di Sciacca, ordinanza 25 marzo 1983, n. 773, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. d.P.R. 4 agosto 1978, n. 413, art. 6, terzo comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 4 marzo 1983, n. 696, G. U. 8 febbraio 1984, n. 39. legge 9 agosto 1978, n. 463, art. 8 (artt. 3 e 36 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 16 novembre 1981, n. 641/83, G. U. 25 gennaio 1984, n. 25. legge prov. di Trento 9 dicembre 1978, n. 56, artt. 1, 2 e 3 (art. 18 della Costituzione e 4, 8, 16, 18 e 105 dello statuto regionale Trentino-Alto Adige). Pretore di Mezzolombardo, ordinanze (sei) 11 luglio 1983, nn. 711-716, G. U. 25 gennaio 1984, n. 25. legge 23 dicembre 1978, n. 833, art. 57 (artt. 3 della Costituzione). Pretore di Piacenza, ordinan1.a 20 maggio 1983, n. 751, G. U. 15 febbraio 1984, n. 46. 32 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO legge 8 gennaio 1979, n. 3, art. 1 [di conversione dell'art. 5, quindicesimo comma, d.I. 10 novembre 1978, n. 702] (artt. 3, 4, 35 e 97 della Costituzione). Pretore di Ancona, ordinanza 17 giugno 1983, n. 719, G. U. 8 febbraio 1984, n. 39. legge 7 febbraio 1979, n. 29, art. 9 (artt. 3 e 36 della Costituzione). Pretore di Pistoia, ordinanza 22 aprile 1983, n. 655, G. U. 18 gennaio 1984, n. 18. legge 3 aprile 1979, n. 101, art. 41 (artt. 3, 36 e 97 della Costituzione). Tribunale ,amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 28 giugno 1982, n. 843/83, G. U. 22 febbraio 1984, n. 53. d.P.R. 27 settembre 1979, n. 506, art. 2 (artt. 76 e 77 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Monza, ordinanza 19 aprile 1983, n. 792, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. d.l. 30 dicembre 1979, n. 663, art. 3, lettera b) [convertito in legge 29 feb braio 1980, n. 33] (artt. 3 e 53 della Costituzione). Pretore di Latina, ordinanza 6 dicembre 1982, n. 739/83, G. U. 15 feb braio 1984, n. 46. Pretore di Latina, ordinanza 20 dicembre 1982, n. 738/83, G. U. 15 febbraio 1984, n. 46. legge 21 febbraio 1980, n. 28, art. 4 lett. d) (artt. 3, 4 e 76 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale della Liguria, ordinanza 12 maggio 1983, n. 748, G. U. 8 febbraio 1984, n. 39. d.P.R. 26 marzo 1980, n. 327, art. 41 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Salerno, ordinanza 22 giugno 1983, n. 701, G. U. 1 febbraio 1984, n. 32. d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 13, primo comma, n. 7 (artt. 3, 4 e 76 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale della Liguria, ordinanza 12 maggio 1983, n. 748, G. U. 8 febbraio 1984, n. 39. d.l. 28 maggio 1981, n. 255, art. 8 [come modificato dalla legge 24 luglio 1981, n. 391] (artt. 3, 36 e 38 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 28 marzo 1983, n. 845, G. U. 22 febbraio 1984, n. 53. d.P.R. 2 luglio 1981, n. 271, artt. 1, 3 e 8 (artt. 3, 36 e 38 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 28 marzo 1983, n. 845, G. U. 22 febbraio 1984, n. 53. PARTE II, LEGISLAZIONE d.l. 29 luglio 1981, n. 402, art. 12, sesto comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Piacenza, ordinanza 20 maggio 1983, n. 751, G. U. 15 febbraio 1984, n. 46. legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 20, quinto comma (artt. 2, 30 e 47 della Costituzione). Pretore di Modena, ordinanza 25 maggio 1983, n. 695, G. U: 25 gennaio 1984, n. 25. legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 21, terzo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Lucca, ordinanza 30 marzo 1983, n. 613, G. U. 18 gennaio 1984, n. 18. legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 53 e 77 (artt. 3 e 101 della Costituzione). Pretore di Legnano, ordinanza 23 maggio 1983, n. 705, G. U. 8 febbraio 1984, n. 39. legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 53, primo comma, e 77, primo e secondo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Dolo, ordinanza 19 maggio 1983, n. 699, G. U. 1 febbraio 1984, n. 32. legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 60, ultimo comma (artt. 3 e 27 della Costituzione). Pretore di Orvieto, ordinanza 5 maggio 1983, n. 761, G. U. 15 febbraio 1984, n. 46. Pretore di Orvieto, ordinanza 24 maggio 1983, n. 762, G. U. 15 febbraio 1984, n. 46. legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77 (art. 3 della Costituzione). Pretore di La Spezia, ordinanze (due) 6 maggio 1983, nn. 562 e 563, G. U. 4 gennaio 1984, n. 4. Pretore di Milano, ordinanza 31 gennaio 1983, n. 571, G.U. 4 gennaio 1984, n. 4. Pretore di Oristano, ordinanza 16 maggio 1983, n. 614, G.U. 11 gennaio 1984, n. 11. Pretore di Padova, ordinanza 22 aprile 1983, n. 675, G. U. 18 gennaio 1984, n. 18. Pretore di Empoli, ordinanza 20 maggio 1983, n. 703, G. U. 1 febbraio 1984, n. 32. Pretore di Padova, ordinanza 23 maggio 1983, n. 791, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77 (artt. 3, 24 e 101 della Costituzione). Pretore di Catania, ordinanza 20 luglio 1983, n. 815, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77 (artt. 3 e 27 della Costituzione). Pretore di Pistoia, ordinanza 9 marzo 1983, n. 558, G. U. 4 gennaio 1984, n. 4. Pretore di Oristano, ordinanza 5 maggio 1983, n. 615, G. U. 11 gennaio 1984, n. 11. Pretore di Oristano, ordinanza 16 maggio 1983, n. 616, G. U. 11 gennaio 1984, n. 11. Pretore di Tione, ordinanza 24 marzo 1983, n. 617, G. U. 11 gennaio 1984, n. 11. legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77 (artt. 25 e 101 della Costituzione). Pretore di Savona, ordinanza 11 maggio 1983, n. 681, G. U. 1 febbraio 1984, n. 32. legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77, primo e secondo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Sassari, ordinanza 19 aprile 1983, n. 717, G. U. 8 febbraio 1984, n. 39. legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 80 (art. 3 della Costituzione). I Pretore di Lecce, ordinanza 8 giugno 1983, n. 850, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. I I ffi i&t d.P.R. 18 dicembre 1981, n. 744, art. 2 (artt. 3 e 9 della Costituzione). ~ Pretore di Venezia, ordinanza 25 novembre 1982, n. 829/83, G. U. 29 feb-~ braio 1984, n. 60. ~: ti d.P.R. 18 dicembre 1981, n. 744, art. 6, terzo comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 4 marzo 1983, n. 696, G. U. 8 febbraio 1984, I!! n. 39. I legge 14 gennaio 1982, n. 164, artt. 1 e 5 (artt. 2, 3, 29, 30 e 32 della Costi-:=; . tuzione). Corte di cassazione, ordinanza 15 aprile 1983, n. 783, G. U. 29 febbraio 1984, I '~I n. 60. . I d.I. 23 gennaio 1982, n. 9, art. 14, quinto comma, lett. b) [convertito in legge 25 marzo 1982, n. 94] (artt. 3, 24, 31 e 36 della Costituzione). [, I t~ Pretore di Milano, ordinanze (quindici) 31 luglio 1982, nn. 923-937/83, G. U. 22 febbraio 1984, n. 53. w i ~ d.l. 23 gennaio 1982, n. 9, art. 15-bis [introdotto dalla legge di conversione 25 marzo 1982, n. 94] (art. 3 della Costituzione). Pretore di Varese, ordinanza 16 novembre 1982, n. 598/83, G. U. 4 gen~; naio 1984, n. 4. Pretore di Biella, ordinanza 17 maggio 1983, n. 649, G. U. 11 gennaio 1984, r n. 11. r !l: Pretore di Milano, ordinanza 30 marzo 1983, n. 650, G. U. 11 gennaio 1984, Ir n. 11. Pretore di Ravenna, ordinanze (due) 2 luglio 1983, nn. 787 e 788, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. .- rI:~ . . lil!lililittifrli~PiiiiliiifitifilJi#Mif~fitii#&llfl.fliMllllArtlll.ir PARTE II, LEGISLAZIONE legge 25 marzo 1982, n. 94, art. 15-bis (art. 3 della Costituzione). Pretore di Busto Arsizio, ordinanza 21 giugno 1983, n. 724, G. U. 15 febbraio 1984, n. 46. Pretore di Roma, ordinanza 10 maggio 1983, n. 817, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. Pretore di Roma, ordinanza 5 luglio 1983, n. 818, G. U. 22 febbraio 1984, n. 53. Pretore di Roma, ordinanza 18 giugno 1983, n. 819, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. Pretore di Roma, ordinanza 2 giugno 1983, n. 820, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. Pretore di Roma, ordinanza 14 giugno 1983, n. 821, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. Pretore di Roma, ordinanza 20 maggio 1983, n. 822, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. Pretore di Roma, ordinanza 9 giugno 1983, n. 823, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. Pretore di Roma, ordinanza 11 giugno 1983, n. 824, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. Pretore di Busto Arsizio, ordinanza 21 giugno 1983, n. 828, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. legge 25 marzo 1982, n. 94, art. 15-bis (artt. 3, 41 e 42 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 24 maggio 1983, n. 816, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. legge 26 aprile 1982, n. 181, art. 14, quarto comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Piacenza, ordinanza 20 maggio 1983, n. 751, G. U. 15 febbraio 1984, n. 46. legge 3 maggio 1982, n. 203, art. 9 (artt. 42 e 44 della Costituzione). Tribtmale di Padova, ordinanza 19 aprile 1983, n. 873, G. U. 18 gennaio 1984, n. 18. legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 9, 10, 13, 25, 26, 30 e 31 (artt. 3, 4, 41, 42, 43 e 44 della Costituzione). Tribunale di Forl, ordinanza 7 giugno 1983, n. 840, G. U. 11 gennaio 1984, n. 11. Tribunale di Forl, ordinanze (due) 7 giugno 1983, nn. 841 e 842, G. U. 18 gennaio 1984, n. 18. legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 9 e 15 (artt. 3, 42 e 44 della Costituzione). Tribunale di Nicosia, ordinanza 11 ottobre 1983, n. 996, G. U. 1 febbraio 1984, n. 32. legge 3 maggio 1982, n. 203, art. 25 (artt. 3 e 41 della Costituzione). Tribunale di Fermo, ordinanza 23 settembre 1983, n. 992, G. U. 1 febbraio 1984, n. 32. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 36 legge 3 maggio 1982, n. 203, art. 25 (art. 41 della Costituzione). Tribunale di Pesaro, ordinanza 28 maggio 1983, n. 994, G. U. 1 febbraio 1984, n. 32. legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 26 e 28 (artt. 3, 41 e 44 della Costituzione). Tribunale di Mantova, ordinanze (due) 27 settembre 1983, nn. 950 e 951, G. U. 18 gennaio 1984, n. 18. legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 26, 28 e 30 (artt. 3, 4, 41, 42 e 44 della Costituzione). Tribunale di Modena, ordinanza 10 ottobre 1983, n. 993, G. U. 1 febbraio 1984, n. 32. legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 26, 28 e 31 (artt. 3, 41 e 42 della Costituzione). Tribunale di Macerata, ordinanze (tre) 13 ottobre 1983, nn. 954, 955 e 956, G. U. 18 gennaio 1984, n. 18. legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 26 e 31 (artt. 3 e 41 della Costituzione). Tribunale di Ancona, ordinanze (due) 5 luglio 1983, nn. 831 . e 832, G.U. 4 gennaio 1984, n; 4. Tribunale di Ancona, ordinanze (due) 16 luglio 1983, nn. 833 e 834, G.U. 4 gennaio 1984, n. 4. Tribunale di Ancona, ordinanza 16 luglio 1983, n. 835, G. U. 11 gennaio 1984, n. 11. Tribunale di Ancona, ordinanze (due) 28 giugno 1983, nn. 836 e 837, G. U. 11 gennaio 1984, n. 11. Tribunale di Ancona, ordinanze (due) 11 giugno 1983, nn. 838 e 839, G. U. 11 gennaio 1984, n. 11. Tribunale di Ancona, ordinanza 8 ottobre 1983, n. 968, G. U. 18 gennaio 1984, n. 18. Tribunale di Ancona, ordinanze (sei) 8 ottobre 1983, nn. 969-974, G. U. 25 gennaio 1984, n. 25. legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 26, 34 e 37 (artt. 3, 4, 41 e 44 della Costituzione). Tribunale di Mantova, ordinanza 12 luglio 1983, n. 902, G. U. 18 gennaio 1984, n. 18. legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 28, 29 e 30 (artt. 3, 4, 41, 42, 43 e 44 della Costituzione). Tribunale di Vasto, ordinanze (tre) 1 luglio 1983, nn 1013-1015, G. U. 1 febbraio 1984, n. 32. PARTE Il, LEGISLAZIONE legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 28, 29, 30 e 31 (artt. 3, 4, 41, 42, 43 e 44 della Costituzione). Tribunale di Vasto, ordinanza 21 ottobre 1983, n. 1016, G. U. 1 febbraio 1984, n. 32. legge 29 maggio 1982, n. 297, art. 5, secondo e terzo comma (artt. 3 e 36 della Costituzione). Pretore di Biella, ordinanza 29 marzo 1983, n. 683, G. U. 18 gennaio 1984, n. 18. Pretore di Biella, ordinanza 29 marzo 1983, n. 684, G. U. 25 gennaio 1984, n. 25. legge 29 maggio 1982, n. 297, art. 5, terzo comma (artt. 3 e 36 della Costituzione). Pretore di Novara, ordinanza 10 giugno 1983, n. 797, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. d.P.R. 9 agosto 1982, n. 525, art. 1 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Varese, ordinanza 14 giugno 1983, n. 794, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. legge 12 agosto 1982, n. 532, art. 25 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Tribunale militare di Bari, ordinanza 23 febbraio 1983, n. 689, G. U. 8 febbraio 1984, n. 39. d.l. 30 settembre 1982, n. 688, art. 19 [convertito in legge 27 novembre 1982, n. 873] (artt. 3, 11 e 24 della Costituzione). Corte d'appello di Milano, ordinanza 21 gennaio 1983, n. 723, G. U. 8 febbraio 1984, n. 39. d.l. 30 settembre 1982, n. 688, art. 19, primo comma [convertito in legge 27 novembre 1982, n. 873] (artt. 3, 11 e 24 della Costituzione). Tribunale di Genova, ordinanza 26 maggio 1983, n. 710, G. U. 15 febbraio 1984, n. 46. d.P.R. 22 febbraio 1983, n. 43, artt. 1 e 2 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Varese, ordinanza 14 giugno 1983, n. 794, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. d.l. 12 settembre 1983, n. 463, art. 11, decimo comma [convertito in legge 11 novembre 1983, n. 638] (artt. 5, 9, 10, 16 e 54 dello statuto della regione Trentino-Alto Adige). Provincia autonoma di Trento, ricorso 16 dicembre 1983, n. 40, G.U. 4 gennaio 1984, n. 4. Provincia autonoma di Bolzano, ricorso 16 dicembre 1983, n. 41, G.U. 4 gennaio 1984, n. 4. JS RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO d.l. 18 ottobre 1983, n. 568, art. 1 [convertito con legge 9 dicembre 1983, n. 681] (art. 5, n. 1, statuto Trentino-Alto Adige). Regione Trentino-Alto Adige, ricorso 16 gennaio 1984, n. 1, G. U. 8 febbraio 1984, n. 39. legge 19 dicembre 1983, n. 696, art. 1 ed in particolare terzultimo, quarto e sesto comma (artt. 8, n. 9; 9, n. 8; 15, 16, 78 e 79 dello statuto speciale regione Trentino-Alto Adige). Provincia autonoma di Bolzano, ricorso 26 gennaio 1984, n. 2, G. U. 15 febbraio 1984, n. 46. legge 27 dicembre 1983, n. 730, artt. 7, undicesimo, dodicesimo e tredicesimo comma, 29 e 31 (artt. 5, 117, 118, 119 e 81, quarto comma, della Costituzione). Regione Piemonte, ricorso 6 febbraio 1984, n. 10, G. U. 22 febbraio 1984, n. 53. Regione Emilia-Romagna, ricorso 6 febbraio 1984, n. 11, G. U. 22 febbraio 1984, n. 53. Regione Lombardia, ricorso 6 febbraio 1984, n. 12, G. U. 22 febbraio 1984, n. 53. legge 27 dicembre 1983, n. 730, art. 7, tredicesimo comma (artt. 117, 119 e 81, quarto comma, della Costituzione). Regione Campania, ricorso 6 febbraio 1984, n. 8, G. U. 22 febbraio 1984, n. 53. legge 27 dicembre 1983, n. 730, artt. 7, tredicesimo comma; 24, primo comma; 29, 31, 32, quinto comma (artt. 81, 117 e 130 della Costituzione). Regione Toscana, ricorso 6 febbraio 1984, n. 9, G. U. 22 febbraio 1984, n. 53. legge 27 dicembre 1983, n. 730, artt. 7, ultimo comma, 19, 28, 29, 31, secondo comma, 35, quattordicesimo comma (artt. 5, 81, 115, 117, 119, 118, 123, 130 e 136 della Costituzione). Regione Veneto, ricorso 1 febbraio 1984, n. 3, G. U. 15 febbraio 1984, n. 46. legge 27 dicembre 1983, n. 730, artt. 7, ultimo comma; 25, ultimo comma; 27; 29, secondo comma, e 31 (artt. 15, 17, 19 e 20 dello statuto regione siciliana e 32 e 119 della Costituzione). Presidente regione siciliana, ricorso 3 febbraio 1984. n. 7, G. U. 22 febbraio 1984, n. 53. legge 27 dicembre 1983, n. 730, art. 25, secondo e terzo comma (artt. 4, n. 7 e 16 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige}. Regione Trentino-Alto Adige, ricorso l febbraio 1984, n. 4, G. U. 15 febbraio 1984, n. 46. PARTE II, LEGISLAZIONE legge 27 dicembre 1983, n. 730, artt. 25, secondo comma e terzultimo periodo, e 27, primo e ultimo comma (artt. 8, n. 1; 9, n. 10; 16 e 78 dello statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige). Provincia autonoma di Trento, ricorso 1 febbraio f984, n. 5, G. U. 15 febbraio 1984, n. 46. legge 27 dicembre 1983, n. 730, artt. 25, secondo terzo comma, ultimo periodo; 27, primo e ultimo comma; e 29 (artt. 8, n. 1; 9, n. 10; 16; 54, n. 5; 78 e 80 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige). Provincia autonoma di Bolzano, ricorso 1 febbraio 1984, n. 6, G. U. 15 febbraio 1984, n. 46.