ANNO XL -N. 4-5-6 LUGLIO -DICEMBRE 1988 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO I Pubblicazione bimestrale di servizio ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO ROMA 1989 ABBONAMENTI ANNO 1989 ANNO L. 40.000 UN NUMERO SEPARATO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.500 Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO Direzione Commerciale -Piazza G. Verdi, 10 -00100 Roma e/e postale n. 387001 Stampato in Italia -Printed in Italy Autorizzazione Tribunale di Roma Decreto n. 11089 del 13 lu11lio 1966 (1219087) Roma, 1989 -Istituto Poligratco e Zecca dello Stato P.V. INDICE Parte prima: GIURISPRUDENZA Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura dell'avv. Franco Favara) pag. 213 Sezione seconda: GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE (a cura dell'avv. Oscar Fiumara) . > 280 Sezione terza: GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE (a cura degli avvocati Antonio Cingolo e Giuseppe Stipo) 300 Sezione quarta: GIURISPRUDENZA CIVILE (a cura dell'avvocato Antonio Cingolo) )) 318 Sezione quinta: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (a cura degli avv. Raffaele Tamiozzo e ~. 337 Sezione sesta: GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (a cura de/l'avvocato Carlo Bafi/e) )) 382 Sezione settima: GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI (a cura degli avvocati Sergio Laporta e P~). )) 453 l~. Sezione ottava: GIURISPRUDENZA PENALE (a cura degli avvocati Paolo di Tarsia di Be/monte e Nicola Bruni) . )) 462 Parte seconda: QUESTIONI -RASSEGNA DI DOTTRINA RASSEGNA DI LEGISLAZIONE -INDICE. BIBLIOGRAFICO \ QUESTIONI 83 RASSEGNA DI LEGISLAZIONE . 111 La pubblicazione diretta dall'avvocato: UGO GARGIULO ,,-- . // .\ ./ PONDENTI DELLA RA$SEGNA ESSO LE SINGOLE AVVOCATURE ../ '\ /// ./ Avvocati Glauco NORI, Anco!-f~{E.vullJlee \pe 1; i'n i, Carlo B sia MANcuso, Pa,l'rmo; Rocco BE~I, Potenza; M Tren~9{Paolo SCOTTI, Triesf~iancarlo M / / _,J i/' ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI I. F. CARAMAZZA e F. QUADRI, Il diritto civile e politico del cittadino nella cognizione dell'autorit giudiziaria ordinaria: ipotesi di genesi storica dell'interesse legittimo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . II, 83 A. PALATIELLO, L'insegnamento della religione cattolica nelle scuole di Stato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I, 338 PARTE PRIMA INDICE ANALITICO -ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA ACQUE PUBBLICHE -Ricorsi avverso il piano regolatore generale degli acquedotti -Giurisdi: llione del Tribunale superiore AA.PP., 453. APPALTO -Appalto di opere pubbliche -Appalti delle Ferrovie dello Stato -Capitolato generale -Clausole in materia di riserve dell'appaltatore -Necessit di specifica approvazione Esclusione, 454. -Appalto di opere pubbliche -Appalti delle Ferrovie dello Stato -Capitolato generale -Disciplina delle riserve -Termini per la formulazione, 454. -Appalto di opere pubbliche -Revisione prezzo -Interessi -Misura stabilita con legge 21 dicembre 1974, n. 700 -Aplicabilit -Limiti, 458. - Appalto di opere pubbliche -Revisione prezzo -Interessi sul compenso revisionale -Decorrenza, 458. ATTO AMMINISTRATIVO -Controlli -Approvazione dell'organo tutorio -Approvazione implicita -Possibilit -Presupposti, 322. AVVOCATURA DELLO STATO -Patrocinio di Enti pubbLici -ERSAPNecessit di apposita delibera autorizzativa -Esclusione, 318. COMUNIT EUROPEE -Concorrenza -Abuso di posizione dominante -Brevetti per modelli ornamentali -Fattispecie, 294. -Libera circolazione delle merci -Paste alimentari -Obbligo di usare esclusivamente grano duro, 284. -Libera circolazione delle merci -Tutela della propriet industriale Esercizio di diritti al modello sulle parti componenti la carrozzeria di autovetture, 294. -Sanit pubblica -Ravvicinamento delle legislazioni -Qualit delle acque destinate al consumo umano, 290. CORTE COSTITUZIONALE -Deleghe stabilmente devolute date alle regioni -Criteri di inviduazione - Ammissibilit del ricorso per conflitto di attribuzione, 244. DOGANA -Sottrazione delle merci -Sussistenza dell'obbLigazione doganale, 242. ENTI PUBBLICI -Enti di assistenza e beneficienza Delibere concernenti trasformazioni o diminuzione del patrimonio Mancata approvazione da parte del CO.RE.CO, nei casi previsti dalla legge -Inefficacia -IrI1ilevanza della buona fede del contraente privato -Inapplicabilit dell'art. 1444 secondo comma e.e., 322. GIURISDIZIONE CIVILE -Domanda di ricongiunzione della posizione assicurativa statale a quella I.N.P.S. -Provvedimento statale di diniego della ricongiunzione -Riicorso -Giurisdizione A.G.O., 379. INDICE DEU..A GIURISPRUllENZA -Ritardato adempimento del pagamento di crediti pecuniari derivanti da rapporto di pubblico impiego -Richiesta di danno superiore alla rivalutazione -Giurisdizione A.G..O. previa costituzione in mora e dimostrazione del danno in concreto subto, 3fJ7. -Ritardato adempimento del pagamento di crediti pecuniari derivanti da rapporto di pubblico impiego -Richiesta di rivalutazione e interessi -Giurisdrizione amministrativa, 306. -Tributi erariali indiretti -INVIM Efficacia dell'atto soggetto al tributo -Accertamento -Giurisdizione ordinaria, 322. ISTRUZIONE E SCUOLE -Pubblica istruzione -Insegnamento della religione cattolica -Attivit alternative -Obbligatoriet -Legittimazione al ricorso -Tavola Valdese g legittimata, con nota di A. PALATIELLO, 337. -Pubblica istruzione -Insegnamento della religione cattolica -Attivit alternative -Obbligatoriet per chi ha scelto di non avvalersi dell'insegnamento religioso -Legittimit, con nota di A. PALATIELLO, 337. -Pubblica istruzione -Insegnamento della religione cattolica -Eccezione di illegittimit costituzionale -g manifestamente infondata, con nota di A. PALATIELLO, 337. LAVORO -Invalidi -Assunzioni obbligatorie Contravvenzione all'obbligo di richiesta di assunzione -Definizione amministrativa -Decreto prefettizio ex art. 24 legge n. 482/68 -Opposizione Giurisdizione del giudice civile -Non sussiste trattandosi di materia riservata al giudice penale, 334. MEZZOGIORNO -Cassa per il Mezzogiorno -Contributi a fondo perduto -Inadempimento del concessionario -Revoca della sovvenzione -Controversia Rapporto di natura paritetica -Giurisdizione dell'A.G.O., 300. OBBLIGAZIONI (in generale) -Contratti della P.A. -Validit -Presupposti -Necessaria corrispondenza fra il contenuto del contratto stipulato dall'organo investito dalla rappresentanza e la volont manifestata dall'opgano cui spetta di deliberare -Criteri per tale corrispondenza, 322. -Obbligazioni pecuniarie -Somme liquidate in sede di lodo arbitrale Maggior danno per ritardata corresponsione Autonoma azione risarcitoria -Ammissibilit, 318. -Pagamento -Quietanza -Non implica rinuncia di esplicita dichiarazione in tal senso, 318. PENSIONI -Domanda avente ad oggetto arretrati di pensione Intervento nelle more della liquidazione de.i ratei di pensione -Domanda limitata agli interessi e rivalutazione automatica per il ritardo Giurisdizione della Corte dei conti, 315. -Domanda di dnteressi di mora e rivalutazione basati su comportamenti colposi dell'Amministrazione -Giurisdizione del giudice ordinario, 316. -Trattamento provvisorio di pensione Questioni volte alla restituzione di assegni trattenuti, alla corresponsione degli interessi legali e rivalutazione monetaria -Giurisdizione esclusiva della Corte dei conti, 305. REATO -C.d. condono edilizio -g istituto a s stante, non riconducibile alle cause di estinzione del reato, 226. REGIONI -Atti degli enti locali Comminatoria della decadenza -Competenza regionale -Non sussiste, 265. -Autorizzazione governativa agli acquisti -g necessaria, anche per le regioni a statuto speciale, 262. -Avvalimento di uffici regionali per esercizio di funzioni statali -Disposto mediante atto amministrativo statale, 244. vm RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DBLLO STATO -Controlld sugli organi degli enti locali Spettano allo Stato, 270. -Controllo sugli atti delle unit sanitarie locali Attribuzione ai comitati regionali di controllo sulle province Legittimit costituzionale, 265. -Delega di funzioni -Direttive date in via amministrativa . Non possono essere tanto dettagliate da implicare revoca della delega, 245. -Distributori di carburanti Lungo le autostrade oppure utilizzati da veicoli statali Non delega delle funzioni, 245. -Fun2lione statale di indirizzo e coordinamento -Fondamento costitu zionale e finalit, 213. -Limite dell'interesse nazionale Criteri del giudizio sulla sua consistenza e rilevanza, 213. -Norme di 'principio Nozione, 213. -Potere statale di sostituzione Natura e limiti, 213. -Turismo ed industria alberghiera Soggiorni brevi presso affittacamere Competenza regionale, 272. RESPONSABILIT CIVILE -Amministrazione pubblica Reato doloso del dipendente Interruzione del rapporto organico Conseguenze, con nota di F. MENARINI, 462. RISCOSSIONE DELLE IMPOSTE E DELLE ENTRATE PATRIMONIALI -Esecuzione esattoriale . Devoluzione Effetti Procedimento Fallimento del debitore Non la impedisce, 395. -Sanzioni Fallimento fiscale Iscrizione a ruolo provvisoria . Anteriore domanda di condono Sospen sione della riscossione Esclusione del fal1imento, 386. -Sanzioni Fallimento fiscale Presupposti Dichiarazione oltre l'anno dalla cessazione dell'attivit Esclusione, 386. SARDEGNA -Trasporti sulle ferrovie dello Stato . Condizioni e tariffe Modificazioni di portata nazionale Competenza statale, 272. SICILIA -Assicurazioni Rischi entro i limiti territoriali della regione Nozione, 277. -Trasporti marittimi Aumento ta riffe passeggeri Parere della regione Necessit, 272. -Trasporti marittimi interna2lionali Competenza statale, 272. TRIBUTI ERARIALI DIRETTI -Contenzioso tributario Rimborsi Contestazione della dichiarazione Stesso termine quinquennale assegnato all'ufficio Esclusione, 421. -Contenzioso Tributario Rimborsi Norma di imposizione dichiarata il legittima Rapporti esauriti Riscossione mediante ruolo non impugnato Definitivdt Riscossione mediante versamento diretto Decadenza dal rimborso decorso il ter mine di 18 mesi, 422. -Contenzioso Tributario Rimborsi Somme riscosse mediante ruolo Difetto di impugnazione del ruolo lnammdssibilit, 421. -Imposta complementare sul reddito Accertamento induttivo Presunzione Disponibilit di capitali dimostrata Presunzione di accumulo in due esercizi precedenti Esclusione, 393. -Imposta sui redditd di ricchezza mobile Attivit di insegnamento Li bert costituzionalmente garantita . Esenzione d'imposta Esclusione, 408. -Imposta sui redditi di ricchezza mobile Attiv.it di insegnamento Organizzazione in forma di impresa Doveri formali dell'imprenditore Vi soggetta Difetto Accerta mento induttivo Legittimit, 408. INDICE DELLA GIURISPRUDENZA -Imposta sui redditi dd ricchezza mobile -Plusvalenze -Intento di speculazione -Investimenti su titoli azionari -Accertamento dell'intento di speculazione in relazione alle singole operazioni -Abitualit o professionalit di operazioni di investimento Valore sussidiario, 439. -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Plusvalenza -Intento speculativo -Mero frazionamento di terreno -Insufficienza, 412. -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Redditi di capitale -Presunzione di fruttuosit -Distinta presunzione di dmpiego di capitali disponibili -Legittimit, 440. -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Societ in liquidazione - capace di produrre reddito, 385. -Imposta sul reddito delle persone giuridiche -Accantonamenti -Nozione -Fondo per opere di ammodernamento ed innovazione -Indeducibilit, 403. TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI -Imposta generale sull'entrata -Agevolazione per il Mezzogiorno -Primo impianto di stabilimenti dndustriali -Contratti di appalto -Sono esclusi, 417. TRIBUTI IN GENERE -Accertamento -Notificazione -Irregolarit -Proposizione del ricorso -Sanatoria, 414. -Contenzioso tributario -Appello Enunciazione dei motivi -Necessit -Motivi aggiunti -Esclusione, 401. -Contenzioso tributario -Giurisdizione delle commissdoni -Generalit Residua giurisdizione dell'A.G.O. Indebito oggettivo -Esclusione, 406. -Contenzioso tributario -Impugnazione di terzo grado -Alternativit Presentazione di ricorso tardivo alla Commissione centrale -Preclude il ricorso alla Corte di appello, 415. -Contenzioso Tributario -Procedimento -Intervento in appello -Inammissibilit, 448. -Contenzioso Tributario -Ricorso per cassazione -Cassazione senza rinvio -Ammissdbilit, 448. -Contenzioso tributario -Solidariet -Accertamento notificato ad uno soltanto dei debitori -Decisione del relativo ricorso -Impugnazione da parte di altri condebitori -Inammdssibilit -Successivo accertamento -Impugnabilit autonoma, 382. -Potest tributaria di imposizione Obbligazione tributaria -Indisponibilit -Declaratorie e risoluzioni ammindstrative -Irrilevanza, 417. -Prestazioni patrimoniali imposte -Ri serva di legge -Elementi sufficienti, 259. -Repressione delle violazioni -Sanzioni civild -Trasmissibilit agli eredi -Si verifica, 401. -Riscossione -Esecuzione esattoriale Devoluzione -Decreto di revoca Natura -Impugnabilit con ricorso per Cassazione -Ammissibilit, 395. 5 maggio 1988, n. 507 . 5 maggio 1988, n. 512 . 19 maggio 1988, n. 556 19 maggio 1988, n. 559 10 giugno 1988, n. 612 10 giugno 1988, n. 613 10 giugno 1988, n. 618 10 giugno 1988, n. 625 10 giugno 1988, n. 627 10 giugno 1988, n. 634 CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT EUROPEE Sed. plen., 14 luglio 1988, nelle cause 407/85 e 90/86 III Sez., 22 settembre 1988, nella causa 228/87 Sed. Plen., 5 ottobre 1988, nella causa 53/87 . . . GIURISDIZIONI CIVILI CORTE DI CASSAZIONE Sez. I, 12 gennaio 1988, n. 138 Sez. I, 14 gennaio 1988, n, 194 Sez. I, 18 gennaio 1988, n. 324 Sez. I, 2p gennaio 1988, n. 669 Sez. I, 29 gennaio 1988, n. 824 Sez. I, 11 febbraio 1988, n. 1468 Sez. I, 26 febbraio 1988, n. 2040 Sez. Un., 18 marzo 1988, n. 2476 Sez. I, 23 marzo 1988, n. 2532 Sez. I, 23 marzo 1988, n. 2535 Sez. I, 30 marzo 1988, n. 2670 Sez. I, 14 aprile 1988, n. 2968 ,, ,, " " pag. pag. )) ,, " " ,, )) 265 244 265 270 272 272 272 277 284 290 294 382 385 386 393 395 401 403 406 408 412 414 415 5 maggio 1988, n. 507 . 5 maggio 1988, n. 512 . 19 maggio 1988, n. 556 19 maggio 1988, n. 559 10 giugno 1988, n. 612 10 giugno 1988, n. 613 10 giugno 1988, n. 618 10 giugno 1988, n. 625 10 giugno 1988, n. 627 10 giugno 1988, n. 634 CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT EUROPEE Sed. plen., 14 luglio 1988, nelle cause 407/85 e 90/86 III Sez., 22 settembre 1988, nella causa 228/87 Sed. Plen., 5 ottobre 1988, nella causa 53/87 . . . GIURISDIZIONI CIVILI CORTE DI CASSAZIONE Sez. I, 12 gennaio 1988, n. 138 Sez. I, 14 gennaio 1988, n, 194 Sez. I, 18 gennaio 1988, n. 324 Sez. I, 2p gennaio 1988, n. 669 Sez. I, 29 gennaio 1988, n. 824 Sez. I, 11 febbraio 1988, n. 1468 Sez. I, 26 febbraio 1988, n. 2040 Sez. Un., 18 marzo 1988, n. 2476 Sez. I, 23 marzo 1988, n. 2532 Sez. I, 23 marzo 1988, n. 2535 Sez. I, 30 marzo 1988, n. 2670 Sez. I, 14 aprile 1988, n. 2968 ,, ,, " " pag. pag. )) ,, " " ,, )) 265 244 265 270 272 272 272 277 284 290 294 382 385 386 393 395 401 403 406 408 412 414 415 INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA CORTE COSTITUZIONALE 18 febbraio 1988, 31 marzo 1988, n. 31 marzo 1988, n. 27 aprile 1988, n. n. 177 369 373 470 pag. " " ,, 213 226 242 244 259 262 INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA Sez. Un., 18 aprile 1988, n. 3030 Sez. I, 27 aprile 1988, n. 3174 Sez. I, 28 aprile 1988, n. 3197 Sez. I, 8 giugno 1988, n. 3888 Sez. I, 18 giugno 1988, n. Sez. Un., 7 luglio 1988, n. Sez. Un., 7 luglio 1988, n. Sez. Un., 6 ottobre 1988, Sez. Un., 17 ottobre 1988, Sez. I, 7 novembre 1988, 4178 4480 4503 n. n. n. Sez. Un., 11 novembre 1988, 5379 5630 5995 n. 6068 Sez. I, 24 novembre 1988, n. 6314 Sez. I, 25 novembre 1988, n. 6332 Sez. I, 12 dicembre 1988, n. 6729 Sez. Un., 12 dicembre 1988, n. 6759 GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE CONSIGLIO DI .STATO Sez. VI, 27 agosto 1988, n. 1006 Sez. VI, 19 settembre 1988, n. 1043 GIURISDIZIONI PENALI TRIBUNALE DI BOLOGNA Sez. I penale, 29 novembre 1988 Xl pag. 417 ,. 421 ,. 422 439 I> 448 300 I> 305 306 I> 315 ,, 318 453 322 ,, 454 458 334 pag. 337 379 pag. 462 PARTE SECONDA Questioni pag. 83 RASSEGNA DI LEGISLAZIONE: I -Norme dichiarate incostituzionali pag. 111 II -Questioni dichiarate non fondate 119 III -Questioni proposte . . . . . . . " 128 PARTE PRIMA 1GIURISPRUDENZA SEZIONE PRIMA GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE CORTE COSTITUZIONALLE, 18 febbraio 1988, n. 177 -Pres. Saja - Rel. Baldassarre -P~oviince di Bolzano e di Trento (avv. Panunzio), regione Toscana (avv. Predieri), regione Lombardia (avv. Onida) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Azzariti). Regioni -Norme di principio -Nozione. (Cost., artt. 117 e 118; Statuto Trentino A.A., art. 9; l. 22 dicembre 1984 n. 892, artt. 1, 2, 3, 4 e 6). Regioni -Funzione statale di indirizzo e coordinamento -Fondamento costituzionale e finalit. (Cost., artt. 117 e 118; Statuto Trentino A.A., art. 9; l. 22 dicembre 1984, n. 892, artt. 1, 2, 3, 4 e 6). Regioni Limite dell'interesse nazionale -Criteri del giudizio sulla sua consistenza e rilevanza. (Cost., artt. 117 e 118; Statuto Trentino A.A., art. 9; I. 22 dicembre 1984, n. 892, artt. 1, 2, 3, 4 e 6). Regioni -Potere statale di sostituzione -Natura e limiti. (Cost., artt. 117, 118, 124 e 125; Statuto Trentino A.A., art. 87; legge 22 dicembre 1~84 n. 892, art. 5). Il legislatore ordinario statale pone norme di principio quando esprime scelte politiche-legislative fondamentali o, quanto meno, criteri o modalit generali tali da orientarie l'esercizio del potere legislativo regionale. Non sono di principio norme aventi efficacia temporanea o natura sostanzialmente provvedimentale (1). La funzione di indirizza e coordinamento, ancorch non espressamente classificata e definita da norme costituzionali, deve essere confi (1-4) Sentenza di grande importanza. In essa la Corte ha tracciato un disegno organico, che verosimilmente costituir per parecchi anni punto di riferimento per la giurisprudenza costituzionale. Di particolare interesse parrebbero: -il radicamento direttamente nella Costituzione (e non gi in fonti primarie attuative) della funzione di indirizzo e coordinamento (rectius, di indirizzo anche mediante coordinamento); -la conferma che. il concetto di interesse nazionale >>, oltre ad essere elastico e relativo>>, va oltre la c.d. infrazionabilit e pu assumere conte nuti ed applicazioni molto ampi e vari; -il collegamento tra potest sostitutive statali e funzione di indirizzo e coordinamento. 214 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO gurata non gi come mani/ est azione di un limite ulteriore , ma piuttosto come pura espressione dei limiti costituzionalmente prefissati alla potest legislativa e amministrativa delle regioni (e delle province autonome): i principi fondamentali della materia (per la competenza legislativa ripartita) o quelli generali dell'ordinamento giuridico (per le autonome speciali, per le quali stata significativamente richiesta la concorrenza dell'attuazione di un valore di rango costituzionale), gli obblighi internazionali, le norme comunitarie, le riforme economicosociali e la programmazione, gli interessi nazionali. Gli atti (legislativi e non) di indirizza e di coordinamento possono essere configurati in rielazione a due distinte funzioni: I) quella di porsi -quando prevalso il collegamento con i limiti anzidetti -come momento di mediazione e di armonizzazione, nell'ambito di una catena di atti normativi di attuazione di disposizioni generali, diretto a segnare il passaggio graduale e circostanziato da una disciplina pi generale ed astratta ad una pi particolare e concreta, e Il) quella di fissare -quand' prevalso il collegamento con l'interesse nazionale -i criteri minimali di uniformit, i requisiti o contenuti minimi, che, pur se dotati di un ridotto grado di generalit o pur se addirittura di carattere specifico, siano diretti a costituire il nucleo normativo unitario intorno al quale le regioni (o le province autonome) possano aggregare una disciplina integrativa o di ulteriore sviluppo. La funzione di indirizza e di coordinamento dev,e essere aliena da forme espressive cos analitiche e dettagliate da non lasciare alle regioni (e province autonome) un necessario spazio di autonomia entro il quale poter legittimamente svolgere la propria competenza legislativa e/o la propria azione amministrativa; peraltro lo Stato pu legittimamente adottare una disciplina legislativa di dettaglio pur nell'ambito di I materie attribuite in via generale alla competenza regionale (o provinciale) (2). A differenza di tutti gli altri limiti costituzionalmente posti all'au I tonomia legislativa delle regioni (o province autonome), l'interesse nazionale non presenta affatto un contenuto astrattamente predeterminabile n sotto il profilo sostanziale n sotto quello strutturale; l'interesse I nazionale pu giustificare interventi del legislatore statale di ordine tanto generale e astratto quanto dettagliato e concreto. Con riguardo all' interesse nazionale , le disposizioni statali devono essere sottoposte alle seguenti verifiche: a) che il discrezionale apprezzamento del legislatore statale circa la ricorrenza e la rilevanza dell'interesse nazionale non sia irragionevole, arbitrario o pretestuoso, b) che la natura dell'interesse posto a base della disciplina impugnata sia, per dimensione o per complessit, tale che una sua adeguata soddisfazione non possa avvenire senza disciplinare profili o aspetti che esorbitano dalle competenze regionali (o provinciali) e tuttavia sono necessariamente connessi con il tema oggetto della normativa in questione ( c.d. in/razionabilit del-~ I I . I , Mf . . ,.. . ,i@ . m '" :::::m PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE l'interesse), ovvero che, anche se non necessariamente infrazionabile, l'interesse invocato appaia, a una valutazione ragionevole, cos imperativo o stringente oppure esiga una soddisfazione cos urgente da non poter essere adeguatamente perseguito dall'intervento normativo di singole regioni (o province autonome); c) che, in qualsiasi caso, l'intervento legislativo dello Stato risulti in ogni sua parte giustificato e contenuto nei limiti segnati dalla reale esigenza di soddisfare l'interesse nazionale posto a proprio fondamento (3). In virt del potere sostitutivo un soggetto o un organo gerarchicamente superiore oppure uno investito di una funzione di indirizza o di vigilanza nei confronti di altri soggetti, provvede, in casi di persistente inattivit di questi ultimi, a compiere in loro vece atti rientranti nelle competen:{)e degli stessi. Detto potere a) pu essere esercitato dallo Stato soltanto in relazione ad attivit regionali sostanzialmente prive di discrezionalit nell'an (anche se non necessariamente nel quid o nel quomodo), ora perch sottoposte per legge (o norme equiparate) a termini perentori, ora per la natura degli atti da compiere, nel senso che la loro omissione risulterebbe tale da mettere in serio pericolo l'esercizio di funzioni fondamentali ovvero il perseguimento di interessi essenziali che sono affidati alla responsabilit finale dello Stato; b) pu essere legislativamente previsto a favore dello Stato soltanto come potere strumentale rispetto alllesecuzione o all'adempimento di obblighi ovvero rispetto all'attuazione di indirizzi o di criteri operativi, i quali siano basati su interessi tutelati costituzionalmente come limiti all'autonomia regionale; e) pu esser esercitato nei confronti delle regioni (o delle province autonome) soltanto da un'autorit di governo, nello specifico senso di cui all'art. 92 Cast., dal momento che questo il piano costituzionalmente individuato per l'adozione di indirizzi o di direttive verso l'amministrazione regionale; d) dev'esser assistito da garanzie, sostanziali e procedurali, rispondenti ai valori fondamentali cui la Costituzione informa i predetti rapporti e, specialmente, al principio della leale cooperazione , che viene in particolare evidenza in ogni ipotesi, come la presente, nelle quali non sia (eccezionalmente) applicabile l'opposto principio della separazione delle sfere di attribuzione (4). (omissis) Oggetto dei presenti giudizi la legge 22 dicembre 1984, n. 892, contenente norme sulla gestione in via provvisoria delle farmacie rurali nonch alcune modificazioni delle precedenti leggi regolanti il servizio farmaceutico. (omissis) Una prima serie di censure rivolta dalla Prowncia di Bolzano nei confronti degli artt. l, 2, 3, 4, e 6 della iLegge n. 892 del 1984 e, Hmitatamente all'art. 3 della stessa legge, da11a &egiOllle Toscana. JJI motivo comune posto a base di ambedue le impugnazioni che negli articoli 216 RASSEGNA DEIJ.'AVVOCATURA DELLO STATO anzidetti si rinvengono disposizioni in materia di sanit o, pi precisamente, in materia di servi2li farmaoeutici, che, a giudizio delle ricorrenti, rivelano un carattere specifico e di dettaglrio, tale da escludere che si sia in presenza di norme di principio o di indirizro. Su tale base; e nei dimiti delle rispettive impugnazioni, tanto la Provincia di Bolzano quanto la Regione Toscana ne chiedono la dichiarazione d'illegittimit costituzionale per violazione della autonomia legislativa (ooncorrente) e amministrativa costituzionalmente garantita, ailla prima, dagli artt. 9, n. 10, e 16, primo comma, St. T.A.A. e, al[a seconda, dagli artt. 117 e 118 della Costituzione. A dire H vero, l'insieme delle disposizioni oggetto della presente impugnazione presenta profili di costituzionalit che sono nettamente distinguibili secondo una duplioe articolazione. Mentre un primo gruppo di disposizioni, costituito dai primi tre articoli della legge impugnata, contiene un complesso omogeneo di norme, .relativo aJI conferimento delila titolarit di farmacie rurali o di faI11I1acie ubicate in comuni dichiarati disastrati o terremotati a favore di chi ne aves1se una gestione provvisoria da almeno tre anni, un secondo gruppo di disposizioni invece -e preoisamente quello costituito dagli artt. 4 e 6 della legge impugnata -pone noI11I1e modificative della precedente disciplina generale sulle farmacie, prevedendo in particolare alcuni criteri innovativi, tanto sulla localizzazione de1le sedi farmaceutiche, quanto sull'acquisto deHe stesse, in mancanza di concorso, per determinati soggetti (persOIIle dichiarate idonee in concorsi .per il conferimento della titolarit di farmacie, persone con pratica professionale di almeno un biennio). Poich ne1l'uno e nell'altro caso si pongono differenti problemi di costituzionalit, opportuno tenerne distinta la trattazione. Pochi dubbi possono sussistere sul fatto che gH artt. 1-3 della legge n. 892 del 1984 contengano disposizioni specifiche, puntuali e di immediata applicazione. Ai farmacisti che da almeno un t:riieilill.io alla data di entrata in vigore della legge gesti:scO!Ilo in via provvisoria una farmacia rurale viene riconosciuto, all'art. 1, .i[ diritto a conseguire, per una sola volta, la titolarit deMa farmacia, semprech questa, al momento della domanda, non sia stata gi assegnata o non sia in corso di assegnazione a seguito di un concorso gi espletato. Nei commi seguenti dello stesso articolo si stabiliscono le regole per il computo del triennio di gestione provvisoria, nonch l'esclusione dal beneficio di chi abbia gi 1 trasferito la titolarit di altra farmacia, ai sensi delll'art. 12, quarto comma, della legge n. 475 del 1968. Con l'art. 2, poi, il beneficio ora menzionato viene esteso al di iJ. dell'ambito delle farmacie ruirali, per collegairlo ailila gestione provvisoria triennale di farmacie ubicate in comuni dichiarati disastrati (ai sensi del D.P.C.M. 30 aprile 1981) e alle sedi farmaceutiche divenute vacanti in conseguenza del verificarsi PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE delle condizioni di cui all'art. 1, u.c., della legge n. 12 del 1982 (chiusura a seguito del sisma occorso in Basilicata e in Campania nel 1980 e nel 1981). Infine, oon rart. 3 si dispone che le domande degli interessati dirette a ottenere i predetti benefici debbano pervenire, debitamente documentate, all'autorit saind:taria competente per territorio nel termine perentorio di 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge impugnata. Lo stesso art. 3 stabilisce in chiusura che l'accertamento dei requisiti richiesti per ottenere i benefici di cui alla Jegge in questione debba essere effettuato entro un mese daMa presentazione delle domande. Come aippare evidente, qui 1si iin presenza di un insieme di clisposizioni contenente una disciplina in s compiuta e autoapplicativa, che, come tale, non lascia il minimo spazio non solo per un'.potetica Iegiferamone ulteriore, ma persino per una normazione secondaria di mera esecuzione. Sotto questo profilo va, dunque, respinta la prospettazione avanzata dall'Avvocatura dello Stato che riscontra nelle disposizioni appena menzionate il carattere cli norme di principio relativamente a11a materia farmaceutica ovvero quello di lllorme dirette a stabi[ire standards minimi e uniformi per l'efficienza del servizio farmaceu1lico, secondo uno dei paradigmi delila funzione di indirizzo e coordinamento spettante allo Stato nelle materie attribuite alla competenza legislatirva (che, nel caso, di tiipo concorrente) e amministrativa delle Regioni e delle Pirovince autonome. Dei pirincpi defila materia mancano alle disposizioni impugnate sia i oaraitteri sostanziali sia quelli strutturali che, secondo ila costante giurisprudenza di questa Corte, dov>rebbero esse.re loro propri. Non sii. pu certo rinvenire nelle disposi:zfoni oggetto della presente questione la natura di norme espressive di scelte politico-legislative fondamentali o, quantomeno, di criteri o di moda1it generali tali da costituire un sa[do punto di riferimento in grado di orientare l'esercizio del potere '1egislativo regionale. Al contrario, qui si in presenza di una disciplina che ha il. carattere della temporaneit e una natura sostanzialmente provvedimentale, in quanto appare diretta a sanare una situazione particolarissima che il legislatore nazionale, nel suo discrezionale apprezzamento, ha considerato di dover risolvere. Neppure sotto il profifo strutturale pu riconoscersii alle disposizioni impugnate la natura di norme di principio, poich in ipotesi si tratta di statuizioni al pi basso grado di astirattezza, che, per iJ loro carattere di estremo dettaglio, non solo sono insuscettibili di sviluppi o di svolgimenti ulteriori, ma richiedono, ai fini defila loro concreta applicazione, soltanto un'attivit di materiale esecuzione. Sotto i rprofili esaminati, in nessuna delle disposizioni contenute negli artt. 1-3 della legge n. 892 del 1984 possono dunque rinvenirsi i 218 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO caratteri essenziaii che la giurisprudenza di questa Corte ha scorto nei principi delle materie (sentt. nn. 153 del 1985 e 83 del 1982). Analogamente non pu neppure affermarsi, come sembra dire l'Avvocatura dello Stato, che nelle disposizioni impugnate possono riscontrarsi quantomeno le caratteristiche proprie della funzione di indirizzo e di coordinamento. Anche di quesfa funzione mancano alle no:rnne in esame tanto i caraitteri strutturali quanto le rationes che la giurisprudenza di questa Corte ha individuato come tratti es1senziali della medesima. Dalila sentenza n. 39 del 1971 fino alle pi recenti pronunzie (come le rm. 150 del 1982, 340 del 1983, 195 del 1986, 64 del 1987), la funzione di indirizw e coordinamento, ancorch non espressamente classificata e definita da nonne costituzionali, stata configurata, da questa Corte, non gi come manifestazione di un limite ulteriore, ma piuttosto come pura espressione dei Umi.ti costituzionalmente prefissati alla potest [egislativa e amministrativa delle regiO'IlJi (e deHe province autonome): i princpi fondamenta!li della materia (per la competenza ~egislativa ripartita) o quelili generali dell'ordinamento giu(['idico (per le autonomie speciali, per le quaH stata significatiivamente richiesta la concorrenza dell'attuazione di un valore di rango costituzionaie), gli obblighi internazionali, le norme comunitarie, [e riforme economico-sociali e la programmazione, gli interesisi nazionali. SuMa base di questo legame di essenziale strumentalit con la variet dei predetti limi1ti -peraltro giustif.icato, al['indomam delle leggi del 1970, dal!la necessit di render pi salda, nel pi complesso processo di coordinamento delle autonomie regionali allom avviato, la loro comune radice nelle imprescindibiihl. esigenze unitarie (art. 5 Cost.) -, gli atti di indirizzo e di coordinamento sono stati configurati da questa Corte in base a due distinte funzioni: a) quella di porsi -quando prevalso i[ collegamento con i il.imiti dei principi, degli obblighi internazionali, delle norme comuillitarie, della programmazione -come momento di mediazione e di armonizzazione, neH'ambito di una catena di atti normativi di attuazione di disposizioni generali, diretto a segnare il passaggio graduale e circostanziato da una disciplina pi generale e astratta ad una pi particolare e concreta; b) quella di fissare -quand' prevalso :iii collegamento con finteresse nazionale -ii criteri minimali idi uniformit, i requisiti o contenuti minimi, che, pur se dotati di un ridotto grado di generalit o pur se addirittura di carattere spedfioo, siano diretti a costituire il nucleo normativo unitario intorno al quale le regioni (o le province autonome) possano aggregare una disciplina integrativa o di ulteriore sviluppo. Ambedue i paradiigmi sono abbondantemente presenti nella giurisprudemia di questa Corte, ora separatamente ora congiuntamente. Tut PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE tavia, nelle disposizioni impugnate non possibile riscontrare n i tratti dell'uno, n queHi dehl'altro. In esse, infatti, non si pu rinvenire la minima traccia di norme di indirizzo o di criteri direttivi, di obiettivi da perseguire o di prescrizioni di massima valevoli per un'ulteriore e pi particolare attivit norma,tiva; n, per il vero, si d !la possibilit di riscontrarvi una bench minima finaHt vlta ad ordinare l'eventuale espressione delle autonomie regionaJli in un disegno arr.i:J.onico e unitario. Tantomeno, rpoi, pu scorgersi nelle stesse disposizioni quel nucleo normativo di base vlto a fissare gli standards minimali di unitariet e di uniformit, intomo al quale talora il fogislatore nazionale intende organizzare in modo armonico e coerente l'ulteriore normazione regionale. La disciplina che si ha di fronte un'insieme conchiuso di disposizioni di dettaglio che attende soltanto di essere attuato nei concreti rapporti della vita reale. Questo carattere, .del resto, preclude ogni ulteriore possibile giustificazione ailla prospettazione deM'Avvocatura erariale ora discussa. Secondo il costante e consolidato insegnamento di questa Corte, proprio della funzione di indirizzo e coordinamento, in ragione del suo stesso concetto pdma .che di qua1sivoglia sua definizione giuridica, l'essere aliena da forme espressive cos anaHtiche e dettagliate da non lasciare alle regioni (e province autonome) un necessario spazio di autonomia entro il quale poter legittimamente svolgere la propria competenza legrsfativa e/o la propria azione amministrativa (v. ad es. sentt. nn. 307 e 340 del 1983; 245 del 1984; 356 del 1985; 195 del 1986; 64, 304 e 433 del 1987). Il totale assorbimento, da parte della disciplina impugnata, di ogni possibile spazio per l'ulteriore normazione pu dunque esser considerato come un altro indizio, in assenza di un manifesto e obiettivo intento contrario, della volont del legislatore di escludere che nel caso si tratti di disposizioni dirette ad asisolvere a una funzione di indirizzo e di coordinamento. D'altra parte, non pu essere accolta neppure la contrapposta prospettazione delle ricorrenti, secondo la quale l'autonomia legislativa e amministrativa costituzionalmente garantita a!lle regioni (o alle province autonome) dov,rebbe ritenersi violata per il solo faltto che nelle materie attribuite alla competenza di queste ultime sia intervenuta una legge statale contenente disposizioni di dettaglio (e prive di qualsivoglia funzione di coordinamento). Nei termini appena detti tale consequenzialit non pu ammettersi, poich non si pu affatto escludere che, in considerazione della rilevanza che in ailcuni casi pu assumere l'interesse nazionale, lo Stato possa 1legittimamente adottare una disciplina legislativa di dettaglio ipur nell'ambito di materie attribuite in via generale alla competenza regionale (o provinciale). A ben vedere, anzi, proprio la ricorrenza di questo motivo induce, nel caso di specie, a rigettare i RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEU.O STATO 220 dubbi di costituzionalit sollevati nei confronti degli artt. 1-3 della [egge n. 892 del 1984. A differenza di ,tutti gli altri limiti costituzionalmente posti all'autonomia legislativa delle regioni (o province autonome), l'inrteresse nazionale non presenta affatto un contenuto astrattamente predeterminabile n sotto il iprofiJo sostanziale n sotto quello strutturaile. Al conrtrario, si tratta di un concetto dal contenuto elastico e relativo, che non si pu racchiudere in una definizione generale dai confini netti e chiari. Come ogni nazione dai margini incerti o mobili, che acquisrta un significato concreto soltanto in relazione al caso da giudicare, l'interesse nazionale pu giustificare interventi del legislatore statale di ordine tanto generaile e astratto quanto dettagliato e concreto. La ragione di ci sta nel fatto che, per raggiungere lo scopo che si prefiggono, le leggi deputate a soddisfare l'interesse nazionale nelle sue mutevoli valenze non possono non seguirne 1sino in fondo i molteplici e vari percorsi, i quali, in taluni casi, pongono in evidenza problemi la cui risoluzione pu avvenire soltanto mediante una disciplina dettagliata e rpuntuale. Proprio in considerazione di questa sua particO'lare natura, l'interesse nazionale, se non pu essere brandito dal legislatore statale come un'arma per aprirsi qualsiasi varco, deve esser sottoposto, in sede di giudizio di costituzionalit, a un controMo particolarmente severo. Se cos non fosse, la variabilit, se non la vaghezza, del suo contenuto semantico potrebbe tradursi, nei casi in cui il legislatore statale ne abusasse, in un'intollerabille incertezza e in un'assoluta imprevedibilit dei confini che la Cost1tuzione ha voluto porre a garanzia delle autonomie regionali (o provinciali). E, allo stesso modo, la sua potenziale pervasivit, fin troppo evidente nel caso di legislazione di dettaglio, potrebbe causare, in mancanza di un'approfondita verifica dei IJTesurpposti di costituzionalit relativi alla sua effettiva sussistenza, una sostanziale corrosione e un'illegittima compressione, se pure circoscritta alle fattispecie disciplinate, dell'autonomia costituzionalmente garantita alle regioni (e alle province autonome). Per queste ragioni, l'orientamento consolidato di questa Corte (v. sentt. nn. 340 del 1983, 165 del 1986, 49 del 1987) quello di procedere, di fronte all'eccezionale intervento statale nelle materie di competenza regionale (o provinciale) effettuato in nome dell'interesse nazionale, a un controllo di costituzionalit particolarmente penetrante del relativo apprezzamento discrezionale compiuto dal legislatore. Nel corso della sua giurisprudenza questa Corte ha elaborato, con riguardo all'interesse nazionale, determinati criteri di giudizio, sulla base dei quali occorre sottoporre le disposizioni impugnate alle seguenti veri fiche: a) che il discrezionale apprezzamento del legislatore statale circa la ricorrenza e la rilevanza dell'interesse nazionale non sia irragionevole, \ PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 221 arbitrario o pretestuoso, tale da comportare un'ingiustificata compressione deLl'autonomia regionale (v. spec. sent. n. 49 del 1987); b) che la natura dell'interesse posto a base della disciplina impugnata sia, per dimensioni o per complessit, tale che una sua adeguata soddisfazione, tenuto conto dei valori costituzionali da rispettare o da garantire, non possa avvenire senza disciplinare profili o aspetti che esorbitano dalle competenze regionali (o provinciali) e tuttavia sono necessariamente connessi con il tema oggetto della norimativa in questione (c.d. infrazionabilit dell'interesse: v. sentt. nn. 340 del 1983, 177, 195 e 294 del 1986, 49 e 304 del 1987); -ovvero che, anche se non necessariamente infrazionabile, l'interesse invocato aippaia, a una valutazione ragionevole, cos imperativo o stringente oppure esiga una soddisfazione cos urgente da non poter essere adeguatamente perseguito, avendo sempre presenti i valori costituzionali. da garantire, dall'intervento normativo di singole regioni (o province autonome) (sentt. nn. 49 e 304 del 1987); e) che, in qualsiasi caso, l'intervento legislativo deHo Stato, considerato nella sua concreta articolazione, risu1ti in ogni sua parte giustificato e contenuto nei limiti 'segnati dalla reale esigenza di soddisfare l'interesse nazionale posto a proprio fondamento (sent. n. 49 del 1987). Poich, nel caso di specie, oggetto dell'impugnazione la disciplina d'un fenomeno, diffuso in tutto il territorio nazionale, che riguarda un aspetto, quello della copertura delle sedi vacanti di farmacie rurali, sostanzialmente collaterale rispetto alila materia di competenza regionale qui in contestazione, vale a dire la sanit, sufficiente verificare, al fine di definire hl giudizio di costituzionalit, che l'interesse posto a base della disciplina impugnata, oltrech infrazionabile, sia frutto di una scelta legislativa non irragionevole e sia perseguito con mezzi normativi non incongrui. Sottoposta aiJ.la prova di un siffatto scrutinio, la disciplina contenuta negli artt. 1-3 della legge n. 892 del 1984 appare del tutto rispondente ai requisiti indicati e, come tale, giustificata sotto il profilo della legittimit costituzionale, in ragione dell'interesse nazionale che la sorregge. Non v' dubbio, innanzitutto, che l'apprezzamento operato dal legislatore statale dell'interesse posto a base della disciplina normativa oggetto della presente impugnazione appaia tutt'altro che irragionevole o pretestuoso. 1::, infatti, indiscutibile la notevole rilevanza sociale di un fenomeno, diffuso in tutto il territorio nazionale, che il legislatore ha non arbitrariamente considerato come fonte di profondo disagio sociale, di ingiusta precariet e di trattamento deteriore a danno di un consistente grlllppo di pe11sone, rimaste escluse dalla titolarit di farmacie RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (rurali) per !la riconosciuta cattiva utilizzazione in sede locale dei nor mali meccanismi concorsuali o per cause legate a calamit naturali. A testimonianza di siffatta valutazione si pu anche ricordare l'elevato numero di proposte di legge depositate alle Camere rper dare risoluzione al problema poi affrontato con la legge impugnata e [a notevole ampiezza dei consensi da questa riscossi tanto in sede di deliberazione parlamentare quanto nei commenti successivii. In secondo luogo, una volta riconosciuta come una delle cause del fenomeno regolato dalle disposizioni in contestazione .ili cattivo o l'impossibile funzionamento degli ordinari meccanismi di copertura delle 1sedi e una volta prescelta la via della .sanatoria come soluzione pi opportuna per far fronte aille conseguenze negative che ne erano derivate, appare evidente la necessaria connessione della disciplina impugnata con profili normativi esorbitanti dalle competenze regionali (o provinciali): trattandosi, infatti, di un'eccezionale e provvisoria deroga al principio generale dell'assegnazione deHa titolarit di farmacie in base a un concorso e non rientrando nelle ipotesi derogatorie gi previste dalla legislazione nazionale, la disciplina impugnata incide di.rettamente e necessariamente su interessi di cui soltanto il legislatore statale pu disporre (cos come, dcl resto, aveva gi fatto con la legge n. 34 del 1981, senza subire contestazione alcuna). Inoltre, tenendo ancora presente la causa principa1e del fenomeno regolato dalle disposizioni impugnate, non v' dubbio che lo stru mento della sanatoria si configura quale mezzo indiisrpensaMle per l'adeguata soddisfazione dell'interesse sottostante alle novme sospettate di incostituzionalit. E, a dire il vero, se si hanno presenti le condizioni e i termini previsti, i quali sono chiaramente diretti a prevenire i pericoli di ingiustificate estensioni dei benefici concessi, non si pu nemmeno dubitare che la disciplina dettata dal ilegislatore statale oltrepassi i rigorosi limiti richiesti dall'effettiva esigenza di soddisfare l'interesse nazionale. (omissis) Un'ultima censura, prospettata tanto dalle Province di Trento e di Bolzano quanto dalle Regioni Lombardia e Toscana, si appunta contro l'art. S della legge n. 892 del 1984. Questo articolo dispone che, ove le regioni e le province autonome non provvedano a bandire il concorso per l'assegnazione deHe farmacie vacanti o di nuova istituzione entro il termine previsto dall'art. 3 della legge n. 475 del 1968, il. Commissario del governo, previa diffida, provvede entro 30 giorni dal predetto termine a nominare un commissario ad acta, responsabile verso di lui, il quale incaricato dell'indizione del bando di concorso e del relativo espletamento fino all'assegnazione delle farmacie ai vincitori. I profili in relazione ai quali le ricorrenti dubitano deMa legittimit costituzionale del predetto art. S sono molteplici. Per le P.rovince di Trento e di Bolzano le disposizioni citate contrastano con l'art. 87, n. 2 I I I ! ... . .. I PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE St. T.A.A., in base al quale i poteri del Commissario del governo sono circoscritti alla vigilanza sull'esercizio delle sole funzioni delegate dallo Stato alle province e alla comunicazione di eventuaH rilievi al Presidente della Giunta provinciale. Per [a Regione Toscana l'art. 5 contrasta con gli artt. 117, 118, 124 e 125 Cost., sia perch attribuisce i11egittimamente allo Stato funzioni amministrative spettanti alle regioni, sia perch conferisce indebitamente un potere di controllo sostitutivo nei confronti di atti amministratirvi della regione che, oltre a spettare ex art. 125 Cost. ad organi diversi, non rientra comunque nel quadro delle competenze riconosciute dalla Costituzione al Commissario del governo. Infine, per la Regione Lombardia l'art. 5 contrasta con gli artt. 124 e 125 Cost. in quanto il potere ivi di1sdplinato non pu iscriversi tra le ipotesi di controllo sostitutivo costituzionalmente previste on riguardo alle relazioni fra l'amministrazione statale e quella regionale, trattandosi di un potere che inerisce a rapporti di gerarchia o di tutela e che, comunque, quando previsto fra Stato e regioni, dev'essere assistito da particolari garanzie sostanziali (come i[ collegamento con funzioni di indirizzo e coordinamento, rapporti di .leale cooperazione, etc.) o formali (come l'imputazione al governo naziona1e, il parere di una commissione parilamentare, etc.), che nel caso 1sono assenti. (omissis) Nel merito, tuttavia, le censure prospettate contro l'art. 5 lella legge n. 892 del 1984 si rivelano fondate. ben vero, come afferma una delle ricorrenti, che il controllo sostitutivo un istituto presente in svariati settori del diritto pubblico, consistente in un potere eccezionale, particolarmente penetrante, in virt del quale un soggetto o un organo gerarchicamente superiore oppure uno investito di una .funzione di indirizzo o di vigilanza nei confronti di altri soggetti, provvede, in casi di pe11Sistente inattivit di questi ultimi, a compiere in loro vece atti I"ientranti nelle competenze degli stessi. Tuttavia, quando previsto nei rapporti tra Stato e regioni in relazio}le alle materie proprie di queste, il controllo sostitut:ivo, pur conservando i suoi caratteri essenzia!li, assume connotazioni .particolari, .legate al fatto che, nel caso, tale potere ha di fronte a s un'autonomia politica e amministrativa costituzionalmente definita e garantita. Innanzitutto, si tratta di un potere collegato a posizioni di controllo o di vigilanza, ovviamente esulanti da relazioni di tipo gerarchico, che pu esser esercitato dallo Stato soltanto in relazione ad attivit regionali sostanzia!lmente prive di discrezionalit neM'an (anche se non necessariamente nel quid o nel quomodo), ora perch sottoposte per 1legge (o nonne equiparate) a tennini perentori, ora per la natura degli atti da compiere, nel senso che la loro omissione Tisulterebbe tale da mettere in serio pericolo l'esercizio di funzioni .fondamentali ovvero il perseguimento di RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO interessi essenziali che sono affidati alla responsabilit finale dello Stato. In secondo luogo, il controllo sostitutivo nei confronti di attivit proprie delle regioni pu esser legislativamente previsto a favore dello Stato soltanto come potere strumentale Tispetto all'esecuzione o all'adempimento di obblighi ovvero rispetto all'attuazione di indirizzi o di criteri operativi, i quali siano basati su interessi tutelati costituzion~mente come Jimiti all'autonomia regionale (v. sentt. nn. 177 e 294 del 1986, 64 e 304 del 1987). Solo in tali ipotesi, infatti, possono riscontrarsi interessi in grado di permettere allo Stato, quando ricorrano le necessarie condizioni di forma e di sostanza per un intervento sostitutivo, di superare eccezionalmente la separazione di competenza tra lo Stato stesso e le regioni stabilita dalla Costituzione (o dagli Statuti speciali) nelle materie attribuite all'autonomia regionale (o provinciale). In terzo luogo, il potere sostitutivo pu esser eserdtato nei confronti delle regioni (o delle province autonome) soltanto da un'autorit di governo, nello specifico senso di cui all'art. 92 Cost., dal momento che questo il piano costituzionalmente individuato per l'adozione di indirizzi o di diirettive verso l'amministrazione regionale e per [a vigilanza e il controllo nei confronti dell'attuazione regionale dei princpi o dei vincoli legittimamente disposti a livello nazionale (ovvero sovranazionale o internazionale). Infine, l'esercizio del controllo sostitutivo nei rapporti tra Stato e regioni (o province autonome) dev'esser assistito da garanzie, sostanziali e procedurali, rispondenti ai valori fondamentali cui la Costituzione informa i predetti rapporti e, specialmente, al principio della leale cooperazione , che viene in particolare evidenza in ogni ipotesi, come la presente, nelle quali non sia (eccezionalmente) applicabile l'opposto principio della separazione delle sfere di attribuzione (v. sentt. nn. 153 e 294 del 1986). E fra queste garanzie deve considerarsi inclusa l'esigenza del rispetto di una regola di proporzionalit tra i presupposti che, nello specifico caso in considerazione, legittimano l'intervento sostitutivo e il contenuto e l'estensione del relativo potere, in mancanza della quale quest'ultimo potrebbe ridondare in un'ingiustificata compressione dell'autonomia regionale (v. sentt. n .. 177 e 294 del 1986). Esaminato sulla base di tali criteri valutativi, l'art. 5 della legge n. 892 del 1984 appare viziato di illegittimit costituzionale, in quanto diretto a istituire una forma di controllo sostitutivo che, per lo meno, risulta attribuita a un organo, il Commissario del governo, inidoneo ad esser titolare del relativo potere. L'inidoneit deriva dal fatto che tale organo , per un verso, costituzionalmente sprovvisto dei poteri che rappresentano la necessaria premessa per la titolarit di una qualche specie di controllo sostitutivo verso le regioni e, per altro verso, non si identifica PARTB I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALB in nessuno degli organi che l'art. 92 Cost. comprende nel concetto di governo. Sotto il primo profilo, va sottolineato che la figura del controllo sostitutivo non pu venir collegata a nessuno dei poteri che la Costituzione attribuiS'ce positivamente al Commissario del governo nei confronti delle attivit amministrative proprie delle regioni. Secondo l'art. 124 Cost., il Commissario un organo decentrato dello Stato, operante in ciascuna regione, che sovraintende soltanto alle funzioni amministrative statali per coordinarle, su una base paritaria, con quelle regionali. Inoltre, al Commissario, come tale, non spetta neppure il controllo sugli atti amministrativi delle Regioni, che, sulla base dell'art. 125 Cost., stato attribuito dalla legge a un organo collegiale decentrato, la Commissione di controllo, di cui presidente il Commissario medesimo. Infine, anche in relazione alle ipotesi di scioglimento dei Consigli regionali ex art. 126 Cost., al Cominissario del governo possono riconoscersi poteri di informazione e di controllo, che tuttavia non sono in grado di giustificare eventuali interventi sostitutivi. E, poich i controlli nei confronti di una autonomia costituzionalmente definita e garantita sono da considerarsi di stretta interpretazione, si deve escludere che una legge ordinaria dello Stato possa introdurne di nuovi in mancanza di una precisa base costituzionale. D'altra parte, difficilmente contestabile che forme di controllo sostitutivo verso le regioni sono imputabili dalla legge soltanto ad organi che, per poter legittimamente adottare indirizzi ed esercitare controlli 1 nei confronti dell'amministrazione regionale e della relativa istanza di vertice (la Giunta), non possono esser che organi di governo (art. 92 Cost.). solo su questo piano, infatti, che operano organi in grado di vigilare sull'unitariet e sul buon andamento deHa complessiva amministrazione pubblica e che possono intervenire nei confronti di autonoinie costituzionalmente tutelate con poteri cos penetranti come quelli sostitutivi nel rispetto delJe garanzie fondamentali proprie del nostro sistema costituzionale, prima fra tutte queHa di doverne rispondere al Parlamento nazionale. L'illegittimit costituzionale dell'art. S della legge n. 892 del 1984 appare ancor pi evidente in relazione alle censure mossegli dalle Province di Trento e di Bolzano. La particolare configurazione del Commissario del governo nelle due province, come delineata dall'art. 87 St. T.A.A., restringe il potere di vigilanza di tale organo nei confronti delle attivit amministrative esercitate dalle province stesse (oltrech dagli altri enti pubblici locali) soltanto alle funzioni ad esse delegate dallo Stato. Sotto tale profilo, la carenza di una base costituzionale diretta a legittimare un potere sostitutivo del Commissario del governo verso attivit amministrative proprie delle due province autonome cos netta ed evidente da non meritare ulteriori motivazioni. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 226 CORTE COSTITUZIONALE, 31 marzo 1988 n. 369 -Pres. Saja -Rel. Dell'Andro -Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato TaUarida). Reato -C.d. condono edilizio -~ istituto a s stante, non riconducibile alle cause di estinzione del reato. (Cost. artt. 3, 25, 79 e 101; l. 28 febbraio 1985, n. 47, artt. 31, 35, 38, 39 e 44). Il decreto di amnistia estingue direttamente, senza mediazioni f attuali, alcuni effetti determinati da norme incriminatrici; gli effetti estin tivi derivano dal decreto di amnistia e non dalla volont dell'interessato. Il c.d. condono edilizio non integra gli estremi dell'amnistia. D'altro canto, il pagamento integrale della oblazione soltanto l'ultimo momento di una complessa fattispecie estintiva, la quale produce anche la concessione della sanatoria amministrativa. Il c.d. condono edilizio non pu essere ricondotto ai tradizionali istituti di clemenza o comunque estintivi del reato, esso istituto a s stante, che presuppone una netta distinzione tra reato e punibilit, e che d luogo ad una causa di sopravvenuta improcedibilit (processuale) dell'azione penale (1). 2. -La prima questione sottoposta all'esame della Corte attiene alla natura giuridica del c.d. condono edilizio di cui alla legge 28 febbraio 1985, n. 47. Risultano, infatti, impugnati dal Pretore di Pietrasanta gli artt. 31, 35, 38, 39 e 44 e dal Pretore di Mal gli artt. 31, 35 e 38 della sopra citata legge, assumendosi anzitutto che le predette norme configurino un provvedimento, non emesso con le garanzie di cui all'art. 79 Cost., d'amnistia mascherato . I giudici a quibus escludono che il condono edilizio integri un'ipotesi d'oblazione, come sostenuto dall'Avvocatura dello Stato; questa Corte, pertanto, necessitata a prendere posizione, nei limiti, s'intende, di questa sede, anzitutto sulle figure dell'amnistia e dell'oblazione (al fine di stabilire se le norme impugnate integrino l'una o l'altra figura) e, nel caso l'indagine risulti negativa (nel senso che le predette norme non s'inquadrino nelle citate figure giuridiche) a delineare la natura atipica (anche questa tesi sostenuta da altre ordinanze di (1) Sulla base di una attenta analisi della funzione deterrente e d'orientamento culturale assegnata alla sanzione penale ai giorni nostri, la Corte supera gli schemi dei tradizionali istituti di clemenza e permette al legislatore ordinario di configurare cause (per cos dire atipiche) di sopravvenuta improcedibilit dell'azione penale, le quali incidono sull'azione penale e sul processo. Solo in via indiretta -per lo stretto collegamento tra reato, sua punibilit, azione penale e processo -tali cause incidono anche sulla qualificazione dell'illecito. La sentenza di grande importanza, non solo sul piano teorico: in molte materie (si pensi ad esempio a quella tributaria) potranno aversi applicazioni dei principi in essa affermati. PARTB I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE rimessione citate in epigrafe) del condono ediilizio qui in discussione. Il Pretore di Pietrasanta fa riferimento agli artt. 3, 25, primo comma, 79 e 101, secondo comma, Cost. mentre il Pretore di Mal, agli artt. 25, primo comma, 101, secondo comma e 79 Cost. (omissis) Il dibattito sulla natura giuridica del c.d. condono edilizio di cui alle norme impugnate si sviluppato, durante i lavori preparatori della legge in discussione e successivamente all'emanazione della stessa legge, partendo da tre distinte posizioni: per la prima, il condono edilizio in esame costituirebbe forma (per i pi anomala) d'amnistia condizionata; per la seconda, lo stesso condono costituirebbe forma particolare d'oblazione extraprocessuale; per la terza, infine, rilevata la difficolt d'inquadrare le norme impugnate in una delle due figure, rilevato altres il vizio concettualistico e I' apriorismo logico di volere a tutti i costi inquadrare in una delle due citate figure il condono edilizio in esame, il medesimo integrerebbe un provvedimento di clemenza atipico. Qui va, anzitutto, rilevato che davvero arduo tentare d'inquadrare (utilizzando la terminologia dei sostenitori delle prime due tesi innanzi indicate) un'anomala ipotesi d'amnistia condizionata ed una particolare forma d'oblazione extraprocessuale negli istituti generali, rispettivamente, dell'amnistia e dell'oblazione, quando non v' ancora certezza o, comunque, sufficiente chiarezza in ordine ai predetti istituti. Dottrina e giurisprudenza, infatti, pur avendo a lungo ed approfonditamente discusso intorno al concetto (di genere) causa d'estinzione del reato (entro questo concetto il codice penale inserisce sia l'amnistia sia ['oblazione) non hanno dedicato complete indagini su tutte le pairticolarri cause d'estinzione, non sottolineando a dovere che il codice penale riconduce al concetto di genere le pi svariate figure (dall'amnistia alla morte del reo, alla prescrizione ecc.) sulla base d'una sola nota effettuale, quella d'estinguere il reato. Il necessario dibattito sul significato di questa formula (com' noto, una novit del vigente codice penale) non esclude l'esame del diverso fondamento, dei diversissimi modi di funzionamento delle singole cause d'estinzione: anzi, da questo esame pu, invero, pervenire nuova luce proprio intorno al concetto generale di causa d'estinzione del reato. Le necessit della pratica richiamano l'attenzione su due specifiche, particolari cause d'estinzione (l'amnistia e l'oblazione) e in generale sul condono edilizio di cui alla legge n. 47 del 1985, moderna ed ormai diffusa forma di clemenza, che mostra, fra l'altro, come anche l'estinzione del reato di cui all'art. 38, secondo comma, della precitata legge da tener distinta, dati i diversi presupposti, dall'estinzione del reato di cui all'art. 13 della stessa legge. Il condono edilizio di cui alle norme impugnate non integra gli estremi dell'istituto dell'amnistia. L'amnistia (come l'indulto) , invero, 228 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO SlATO una particolarissima causa d'estinzione. Intanto, in ordine ad essa, una legge (il codice penale) prevede il decreto d'amnistia (ed indulto) come estintivo (si vedr subito di che) senza far riferimento ad alcuna fattispecie concretamente estintiva. Dal fondamento dell'amnistia (misura di clemenza generalizzata) deriva un suo specifico modo di funzionare, w.(:4; I. ' . . una particolare struttura che la diversifica dalle altre cause d'estinzione. Mentre, in generale, le altre cause (ma si dovrebbero, poi, distinguere, una per una le altre cause) operano, producono l'estinzione attrav~rso la mediazione d'un fatto, d'una fattispecie concreta, l'amnistia produce, direttamente, l'effetto estintivo senza mediazione fattuale alcuna. Il codice penale, per le altre cause d'estinzione, di cui agli artt. 150 e segg., indica specificamente i fatti, le fattispecie, poste in essere le quali, in concreto si produce l'effetto estintivo (i fatti ad es. della morte del reo, del decorso del tempo ecc.); per l'amnistia, invece, fa discendere (a parte l'amnistia c.d. condizionata, alla quale si accenner fra breve) l'effetto estintivo direttamente, senza mediazioni di sorta, dal decreto d'amnistia, quasi unanimemente riconosciuto di natura legislativa. Carattere peculiare dell'amnistia , infatti, anzitutto quella d'incidere sulla punibilit determinata da alcune norme penali incriminatrici. Si badi: della punibilit che gi effetto della norma e che, pertanto, ben pu essere estinta prima ancora che siano accertati i fatti di reato dai quali potrebbe conseguire l'effettiva punibilit del reo. Dall'esame delle relazioni tra la disposizione, di parte generale, di cui all'art. 151 c.p. e le disposizioni incriminatrici di parte speciale si evince che il legislatore ordinario, nel determinare, nelle singole disposizioni incriminatrici, la punibilit (principale ed accessoria, l'applicabilit delle misure di sicurezza e l'eventuale responsabilit per le obbligazioni civili per l'ammenda) dei soggetti realizzatori di alcune fattispecie tipiche, prevede anche l'eventualit che la stessa punibilit venga estinta da un (futuro) decreto d'amnistia (ed indulto). L'art. 151 c.p. viene, pertanto, ad integrare le singole disposizioni incriminatrici: alcune situazioni effettuali, di punibilit, previste da queste ultime disposizioni, vengono cos a cadere sotto l'eventuale ambito d'influenza della disposizione integratrice di cui all'art. 151 c.p., rimanendo soggette all'eventualit dell'estinzione ad opera d'un futuro decreto d'amnistia. Nessuno pu fondatamente ritenere d'identificare il decreto d'amnistia, sol perch incide su alcuni effetti predisposti da norme incriminatrici, impedendo ai medesimi di permanere in relazione ad alcuni fatti coperti dal beneficio, con la norma abrogatrice. Non si pu tacere, tuttavia, che. il decreto d'amnistia estingue (peraltro soltanto in relazione a fatti tipici relativi ad un tempo circoscritto) direttamente, senza mediazioni fattuali, alcuni effetti determinati da norme incriminatrici precedenti. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Gli effetti estintivi del decreto d'amnistia si diversificano da quelli prodotti dalla legge abrogatrice non tanto perch quest'ultima riguarda normalmente il futuro quanto per il rilievo che la legge abolitiva d'incriminazioni estingue tutti gli effetti determinati dalla legge incriminatrice: l'amnistia incide, invece; soltanto sulla punibilit, principale ed accessoria , sull'applicabilit delle misure di sicurezza, e sulle obbligazioni civili per l'ammenda relative ai fatti tipici, commessi in un circoscritto periodo di tempo, anteriore alla proposta di delegazione. Gli effetti penali ( e non) determinati dalla legge incriminatrice permangono, invece, tutti, intatti, in relazione a tutti i fatti, precedenti e successivi, non rientranti nel periodo beneficiato. Incidendo sul dover essere della pena (determinato da alcune norme incriminatrici, per l'ipotesi che si verifichino alcuni fatti tipicamente indicati) ossia sU!lla punibilit (astratta) dei fatti commessi nel periodo di tempo previsto d!.il relativo decreto, l'amnistia propria opera, sul piano processuale (a parte l'amnistia c.d. condizionata) anzitutto quale fattispecie costitutiva dell'obbligo di dichiarare di non doversi procedere, salve ovviamente le ipotesi di oui a11'art. 152 c.p.p. Gli effetti estintivi derivano dal decreto d'amnistia e non dalla volont dell'interessato. Ed ogni ulteriore efficacia, sostanziale o processuale del predetto decreto, discende, quale ulteriore conseguenza, dalla prima, diretta incidenza del decreto stesso su alcuni effetti determinati dalle norme incriminatrici. Ed per questa incidenza che l'amnistia (impropria) opera anche dopo la condanna, estinguendo, con le pene accessorie, l'esecuzione della pena. Le ordinanze dei Pretori di Pietrasanta e Mal assumono che, attraverso le disposizioni impugnate, sarebbe stata concessa ull'ammsua sottoposta alla condizione del pagamento d'una somma a titolo d'oblazione. Or ben vero che l'amnistia pu essere sottoposta a condizioni o ad obblighi, secondo la lettera dell'art. 151, quarto comma, c.p. e, pertanto, anche al pagamento d'una somma di danaro: ma non di condizioni in senso proprio si tratta. La condizione (sospensiva) infatti, presuppone sempre (essa , appunto, elemento futuro) precedenti elementi c.d. essenziali, la produzione, da parte dei quali-, di concreti effetti giuridici appunto condizionata e, pertanto, paralizzata dal mancato avveramento della medesima: la condizione, cos, completa e conclude una serie precedente di altri elementi (c.d. essenziali). Per l'amnistia propria tutto ci non avviene, non pu strutturalmente avvenire: anche quando il decreto d'amnistia prevede il pagamento d'una somma di danaro come c.d. condizione (sospensiva) dell'effetto estintivo, tal pagamento non si trasforma mai in condizione in senso tecnico, perch mancano i precedenti elementi c.d. essenziali. Tant' vero che, nell'amnistia propria, non data neppure la possibilit di previsione di condizioni risolutive 230 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO in senso proprio: queste ultime presuppongono, infatti, gi prodotti (in concreto, si badi) da precedenti c.d. elementi essenziali della fattispecie, effetti giuridici, che vengono a risolversi poi, ex tunc, attraverso l'avveramento della condizione risolutiva. Ma ci non pu verificarsi, relativamente all'amnistia, appunto per la mancanza d'una completa fattispecie che, per le altre cause d'estinzione, di regola, media la produzione dell'effetto giuridico estintivo. La ragione della regola ora indicata sta nel rilievo che il decreto d'amnistia, pur condizionato, determina sempre, autonomamente, l'effetto estintivo: e per tal motivo non pu attribuire ad alcuna fattispecie la virt concretamente mediatrice dell'effetto stesso. Anche se l'unica ragione della concessione del beneficio penale, di cui alle disposizioni impugnate, fosse il pagamento (oblazione) d'una somma di danaro da parte dell'autore del J:eato (fra l'altro le disposizioni impugnate richiedono il predetto pagamento anche a soggetti diversi dall'autore del reato) a parte i limiti esterni di costituzionalit delle disposizioni stesse, tutto si sarebbe potuto ravvisare nelle predette disposizioni meno che la concessione d'una classica amnistia. Il discorso si pone diversamente per l'amnistia impropria; ma le disposizioni impugnate non possono certamente, come si chiarir fra breve, essere interpretate come concessione d'amnistia impropria (ove i questa fosse configurabile anche in mancanza di concessione d'amnistia W: propria). I L'amnistia propria pu, dunque, ben esser sottoposta a positivi f. obblighi (non, dunque, a condizioni in senso tecnico) la mancata esecut: ~ zione dei quali non paralizza, tuttavia, alcuna viTt effettuale di (precedenti temporalmente) elementi essenziali e la cui esecuzione elimina l'ostacolo che, per volont dello stesso decreto, paralizza l'effetto estintivo. Questa diretta produzione dell'effetto estintivo, da parte del decreto I d'amnistia, ben sottolineata dall'Avvocatura dello Stato. Le disposizioni impugnate dai Pretori di Pietrasanta e Mal, preve I dono, invece, una complessa e varia fattispecie produttiva di effetti I estintivi, che rende del tutto inavvicinabili le stesse disposizioni a quelle concessive della classica amnistia (propria od impropria). L'equi I voco nasce, forse, dall'aver la dottrina troppo insistito sul rilievo per il quale l'oblazione ad estinguere il .reato. Per vero, non l'oblazione, I isolatamente, che ha tal virt; dagli artt. 31, 35, 38, 39 e 44 della legge in esame (gli articoli, appunto, impugnati dalle ordinanze innanzi richia I mate) prevista una complessa fattispecie estintiva, che si compone, t per sintetizzare, anzitutto della domanda di sanatoria e del pagamento ' della (prima) rata di cui al primo comma dell'art. 35 (e questi elementi, per il disposto di cui al primo comma dell'art. 38, gi producono effetti preliminari, la sospensione del processo penale e di quello per le san I zioni amministrative) dell'intero procedimento amministrativo, non giu l II I PARTB I, SEZ, I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE risdizionale, per la sanatoria ed, infine, del pagamento integrale della oblazione. Tal pagamento , soltanto, l'ultimo elemento della precitata complessa fattispecie estintiva, la quale, almeno di regola (salvo, infatti, il caso di opere insanabili) produce, oltre all'effetto penalmente estintivo, anche l'effetto, costitutivo, determinato dalla concessione della sanatoria amministrativa. Una stessa fattispecie viene ad essere, pertanto, almeno di regola, costitutiva (di effetti amministrativi) ed estintiva (di effetti penali). Dalle disposizioni normative impugnate risulta che tutti i precitati effetti sono unicamente rimessi alla volont, per quanto condizionata (v. art. 40 e capo I della legge) degli interessati; questi cos divengono, insieme alle competenti autorit amministrative, fattori determinanti i previsti sviluppi delle vicende giuridiche sostanziali e processuali. Gli effetti previsti dalle norme impugnate si producono in concreto non come ulteriori conseguenze d'una diretta, preliminare estinzione della punibilit astratta di alcune norme incriminatrici di parte speciale, bens soltanto a seguito delle manifestazioni di concrete volont degli interessati e dell'autorit amministrativa. D'altra parte, poich il procedimento penale e quello per le sanzioni amministrative, ai sensi del primo comma dell'art. 38 della legge n. 47 del 28 febbraio 1985, vengono sospesi, a seguito della presentazione della domanda di cui all'art. 31 e dell'attestazione del versamento deHa somma di cui al primo comma dell'art. 35 della stessa legge, non sorge, dalla domanda (di concessione della sanatoria) e dal precitato pagamento, alcun obbligo, nel giudice, d'immediata declaratoria di non doversi procedere: anzi, il giudizio pu riprendere ove non si verifichino gli altri adempimenti, rimessi sempre alla volont degli interessati. L'effetto definitivamente impeditivo dell'ulteriore corso del procedimento penale e quello estintivo dei reati, di cui al secondo comma dell'art. 38 della legge n. 47 del 1985 (lo stesso comma usa la locuzione estinguere i reati, come il codice penale negli artt. 150 e segg., sicch qui superfluo aggiungere che, ove si ritenga che l'oblazione in esame costituisca, come altre situazioni di estinzione del reato, causa sopravvenuta di non procedibilit, l'effetto sostanziale si produrrebbe in conseguenza dell'effetto processuale) deriva dunque dall'intera mediatrice fattispecie sopra descritta (dal fatto mediatore dell'efficacia estintiva) e non dall'integrale corresponsione dell'oblazione, determinata, in via definitiva, dal Sindaco, ai sensi del nono comma dell'art. 35 della legge in esame, contestualmente al rilascio, di regola, della concessione od autorizzazione in sanatoria. N il condono di cui alle disposizioni impugnate pu esser inquadrato fra le cause d'estinzione della pena: quest'ultima, ai sensi delle predette disposizioni, non pu essere concretamente irrogata; conse 232 r RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO guentemente non pu estinguersi ci che . non sorto, cio una pena non concretamente inflitta. Anzi, a questo proposito, va sottolineato che significativo che le norme impugnate, mentre consentono l'applicazione del beneficio ivi previsto durante il procedimento penale, prima della decisione definitiva di merito (e singolare che, tuttavia, come si notato, il giudice non pu chiudere ipso iure il processo ma deve attendere il versamento, nel termine stabilito dalla legge, dell'integrale oblazione che, come si visto, , almeno di regola, determinata contemporaneamente alla concessione od autorizzazione in sanatoria) dopo la definitiva condanna il condono in discussione opera in maniera quasi opposta all'amnistia impropria: quest'ultima fa cessare l'esecuzione delle pene principali ed accessorie ma non incide, di regola, sugli effetti penali della condanna mentre il condono in esame non interferisce sull'esecuzione delle predette pene e, tuttavia, incide su alcuni effetti penali: ai sensi del terzo comma dell'art. 38 della legge n. 47 del 1985, infatti, non si tien conto della condanna ai fini dell'applicazione della recidiva e della sospensione condizionale della pena, fatta menzione della oblazione nel casellario giudiziale dell'au tore del reato. V' anche da escludere che il condono di cui agli artt. 31 e segg. della legge in esame possa esser ricondotto ad una delle altre tipiche, ex art. 150 e segg. c.p., cause d'estinzione del .reato: le particolarit, notevolissime, del predetto condono non consentono, infatti, d'inquadrarlo ad es. nell'oblazione di cui agli artt. 162 e 162 bis c.p. A parte ogni discussione su quest'ultima, non da pochi Autori considerata, essa stessa, una grave anomalia nel sistema, ben vero che il condono penale in esame opera, a differenza dell'amnistia, esclusivamente a seguito della realizzazione della fattispecie estintiva pi volte indicata: ma l'oblazione di cui agli artt. 162 e 162 bis c.p., commisurata (terza parte o met del massimo) all'ammenda stabilita dalla legge per la contravvenzione commessa, equivaile ad una, per cos dire, anticipata esecuzione della pena pecuniaria. Di tal che, a parte altri rilievi in ordine alla necessit del pagamento dell'ammenda, di cui agli artt. 162 e 162 bis c.p., entro ben precisi termini processuali (prima dell'apertura del dibattimento ovvero prima del decreto di condanna) ed anche non tenendo presenti le vecchie tesi per le quali la stessa oblazione trasformerebbe l'illecito penale in illecito amministrativo, l'esame del fondamento della causa d'estinzione di cui agli artt. 162 e 162 bis c.p., approfondita nella sua specificit, dimostra agevolmente che ben poco essa ha a che vedere con la causa d'estinzione di cui alle norme impugnate, con l'uso cio, da parte del legislatore ordinario, della punibilit, considerata distinta ed autonoma dal reato, quale mezzo per orientare condotte susseguenti all'illecito sotto il miraggio del premio del PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE l'estinzione del reato. Le finalit del condono penale in esame hanno conseguentemente anche ben poco a che vedere con il generale istituto della conciliazione amministrativa. Il condono edilizio, di cui agli artt. 31 e segg. della legge n. 47 del 1985, non pu esser ricondotto ai tradizionali (forse arcaici) istituti di clemenza o, comunque, estintivi del reato, perch possiede una propria, particolare ragion d'essere e cos una propria fisionomia: esso va studiato a s, singolarmente, a prescindere da ogni formalistico, inattuale avvicinamento a vecchie formule o ad antichi istituti. . Il condono penale in esame presuppone, sistematicamente, una netta distinzione, se non una separazione, tra reato e punibilit. Da sempre, vero, le ipotesi delle cause, successive alla commissione del fatto di reato, d'esclusione della punibilit hanno costituito oggetto di radicali, profondi quanto irrisolti dubbi. Si trattava, tuttavia, di dubbi dommatici: non si riusciva a sistemare la punibilit come categoria autonoma, dato il presupposto che la medesima era necessaria, immediata, diretta conseguenza della commissione del reato. Vero che il legislatore moderno, repentinamente destando la dottrina e la giurisprudenza (non dal sonno ma) da sogni dommatici, non solo d per scontato che la punibilit abbia una consistenza autonoma, un valore autonomo, rispetto al reato ma dimostra che la medesima pu essere usata per ottenere dall'autore dell'illecito prestazioni utili a fini spesso estranei alla tutela del bene offeso dal reato. Facendo balenare all'autore dell'iillecito, punibile, l'esclusione od attenuazione della punibilit, il legislatore orienta , dirige la condotta del reo susseguente al reato al raggiungimento di fini dallo stesso legislatore desiderati . Or qui non s'intende in alcun modo entrare nel merito politico d'un siffatto orientamento legislativo. A parte quanto si dir fra poco sui limiti costituzionali del potere di clemenza, qui le precedenti notazioni valgono soltanto a chiarire il fondamento ed il particolare meccanismo operativo del condono (penale) edilizio, di cui alle norme impugnate, al fine di scegliere, quanto pi possibile in maniera consapevole, l' etichetta da imprimere allo stesso condono. Il legislatore del 1985, nel tentativo di porre ordine nell'intricata, farraginosa materia dell'edilizia, preso atto dell'illegalit di massa in tale materia verificatasi, ha inteso chiudere un passato illegale: ed ha ritenuto, con valutazioni insindacabili in questa sede, d'indurre (attraverso la previsione delle sanzioni di cui agli artt. 40 e del capo I) autori (e non) di violazioni edilizie a chiedere la concessione in sanatoria relativa ad opere realizzate abusivamente. La predetta domanda, costituente in certo modo autodenuncia , indubbiamente utile, almeno, data la precedente illegalit di massa, a fini di chiarezza catastale, tributaria, ecc. Sarebbe contraddittorio, pertanto, punire coloro che hanno 234 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO proposto la predetta domanda: usando, dunque, della punibilit in maniera autonoma, svincolata dalle relazioni con il reato commesso, il legislatore del 1985 dispone l'estinzione dei reati di cui al secondo comma dell'art. 38 della legge in esame, in conseguenza degli atti e procedimenti di cui alla preindicata fattispecie estintiva. Finalit economico- finanziarie non sono certo estranee alle disposizioni in discussione, tenuto conto del predisposto meccanismo d'estinzione e del fatto che l'oblazione va corrisposta anche nelle ipotesi in cui le opere non sono sanabii. Ma tali disposizioni vanno riguardate (si ripete: a parte i limiti del potere di clemenza) nella loro oggettiva tutela di oggettivi valori. A differenza dell'estinzione di cui all'art. 13, nella quale si profila una fattispecie estintiva che contiene in s tutta intera la fattispecie costitutiva della sanatoria amministrativa ed insieme l'effetto (concessione della sanatoria) il fondamento sostanziale dell'estinzione di cui all'art. 38, secondo comma, della legge n. 47 del 1985, va ricercato nella valutazione positiva che l'ordinamento compie dei comportamenti del reo, successivi al reato ( autodenuncia attraverso la richiesta di sanatoria, pagamento dell'oblazione ecc.) che inducono a credere ad 'un sia pur parziale ritorno , anche se non del tutto spontaneo, deli'agente alla normalit. Tal fondamento molto s'avvicina a quello delle comuni cause sopravvenute di non punibilit (per chi le ammetta e sempre che i casi riportati sotto quella sigla non siano configurati come speciali cause d'estinzione del reato). Poich, tuttavia, non pu assumersi che sia concretamente sorta la punibilit, non risultando essa accertata n con sentenza n, almeno di regola, durante il procedimento penale, e neppure risultando accertati i presupposti extrapenali del suo sorgere , durante il procedimento per l'inflizione delle sanzioni amministrative (la domanda di sanatoria delle opere abusive, infatti, sospende entrambi i procedimenti) sembra dubbio poter dichiarare estinta, appunto perch non trattasi di amnistia propria, una punibilit che ancora non accertato sia concretamente sorta. Pertanto, fermo rimanendo il sostanziale fondamento al quale si accennato, il condono penale in esame, dal punto di vista del suo meccanismo operativo, una ipotesi di causa d'improcedibilit sopravvenuta, tenuto conto che il giudice penale, a seguito della verificazione della fattispecie estintiva di cui agli articoli impugnati, tenuto a concludere il processo con sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato (formale usuale) essendogli inibito entrare in valutazioni di merito in ordine alla fattispecie estintiva e tantomeno concludere il processo con sentenza di merito. Pu non risultare soddisfacente la formula processuale ma, nel caso in esame, l'unica preferibile, pur dovendosi tener conto di tutte PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE le precedenti osservazioni sul fondamento sostanziale della causa d'estinzione qui in discussione. Autorevole dottrina, peraltro, riconduce tutte le cause d'estinzione del reato (di cui agli artt. 150 e segg.) alla categoria delle cause sopravvenute d'improcedibilit dell'azione penale: pertanto, perch non si creda che, riconducendo al genere causa d'estinzione del reato anche la particolare causa d'estinzione di cui al secondo comma dell'art. 38 della legge in esame, non si operi che un rinvio , del tutto formale, al genere '" senza precisazioni in ordine alla specie '" va qui aggiunto e sottolineato che l' estinzione di cui al precitato art. 38 si differenzia nettamente dalle altre cause d'estinzione di cui agli articoli 150 e segg., ed iri particolare dall'amnistia, sulla cui natura di causa d'estinzione della punibilit derivante dalla norma penale incriminatrice si prima insistito. In ogni caso, nel richiamare quanto innanzi precisato in ordine all'imprescindibile necessit dello studio delle singole, particolari cause d'estinzione (non solo di quelle raggruppate dal codice penale negli artt. 150 e segg.) va ancora sottolineato che il ricoi;idurre ai concetti generali, di natura effettuale, di causa d'estinzione del reato, della pena, della punibilit (astratta o concreta) od a quelli, anch'essi generali, di non punibilit sopravvenuta ed anche, di sopravvenuta non procedibilit ecc., non vale a chiarire n il fondamento n il meccanismo operativo delle singole ipotesi (c.d. estintive) e, conseguentemente, non vale a chiarire adeguatamente, in ordine alle diverse cause, le particolarit dello (stesso) effetto (ad esempio l'oggetto di quest'ultimo, cosa, particolarmente, si estingua >>, l'estensione ai com partecipi dell'effetto stesso, e via dicendo). L'inconfondibilit, l'atipicit, il meccanismo, davvero inedito, d'operativit del condono penale di cui agli articoli impugnati, descritto in precedenza, valgono, ben pi della sigla causa sopravvenuta di non procedibilit>>, a chiarire fonda mento, struttura ed effetti del condono stesso. A questo punto la Corte, essendo stato fatto riferimento anche all'articolo 3 Cost., non pu esimersi dal considerare, sta pur sommariamente, sotto questo profilo, il problema dei vincoli costituzionali al potere di clemenza, in generale, ed in particolare al limite dell'uso della punibilit, svincolata dal reato, per ottenere dall'autore del medesimo comportamento uti<1i a fini diversi da quelli relativi alla tutela del bene offeso dal reato. Di recente, il tema stato prospettato con specifico riferimento all'amnistia, notoriamente contrastante con i fini di prevenzione perseguiti in sede penale. Poich l'amnistia costituisce una deroga al principio d'efficacia generale della legge penale si sostenuto che la medesima debba essere emanata nelle sole ipotesi compatibili con criteri di ragionevolezza sostanziale. 236 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Or il tema, riferito esclusivamente all'amnistia, non atterrebbe a questa sede. Ma, ove si facesse riferimento ad un concetto generale di misura di clemenza, entro il quale s'inserisca, oltre ai recenti condoni (previdenziale e tdbutairio) anche quello edilizio, di cui agli artt. 31 e segg. della legge n. 47 del 1985, il tema stesso atterrebbe anche a questa sede. Va, infatti, sottolineato che la predetta legge, pur non potendosi ritenere, nelle disposizioni impugnate dalle ordinanze in esame, implicante la concessione della tipica figura dell'amnistia, di cui all'art. 151 c.p., costituisce senza dubbio specie d'una generale nozione di misura di clemenza . Ma c' di pi. Lo Stato sociale , aumentando notevolmente la sua incidenza in vari campi d'attivit, ripone fiducia, forse eccessiva, nella funzione deterrente e d' orientamento culturale della sanzione penale e finisce cos con l'aggiungere a divieti contenutisticamente riferiti alle pi svariate materie (appunto previdenziali, tributarie, ecc.) la sanzione penale. Si produce cos un aumento delle sanzioni penali (a ci si deve anche il troppo frequente ricorso, anche dopo l'entrata in vigore della Costituzione, a misure clemeniiali : almeno nelle intenzioni dei Costituenti doveva, invece, essere ridotta la frequenza dell'emanazione di provvedimenti di clemenza); il sistema penale, anzich essere tutela di pochi, fondamentali beni, costituzionalmente rilevanti, diviene, sia pur seguendo i mutamenti della realt sociale, quasi soltanto od ulteriormente sanzionatorio di precetti (non sempre di notevole importanza) relativi alle pi diverse materie. Con la conseguenza che il legislatore, allorch intende modificare la disciplina di queste ultime (ad es., dopo periodi d'illegalit di massa) quasi necessitato, nel cancellare il passato, ad incidere sulle sanzioni penali poste a rafforzamento delle sanzioni extrapenali. I vari moderni condoni non integrano, certo, per i loro fini, per i loro del tutto inediti meccanismi di funzionamento, la tipica, tradizionale amnistia ma costituiscono alcune delle moderne forme d'esercizio della generale potest di clemenza dello Stato. E, dunque, anche nei confronti dei condoni in discussione va posto il problema dei limiti costituzionali all'esercizio di tale potest. Tutte le volte in cui si rompe il nesso costante tra reato e punibilit e quest'ultima viene utilizzata per fini estranei a quelli relativi alla difesa dei beni tutelati attraverso l'incriminazione penale, tale uso, nell'incidere negativamente sul principio di uguaglianza ex art. 3 Cost., deve trovare la sua giustificazione nel quadro costituzionale che determina il fondamento ed i limiti dell'intervento punitivo dello Stato. La non punibilit o la non procedibilit, dovuta a situazioni successive al commesso reato deve comunque essere valutata in funzione delle finalit proprie della pena: ove l'estinzione della punibilit irrazionalmente contrastasse con tali finalit, ove risultasse variante JIi: ~: @ I i PARTI! I; SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALB arbitraria, tale, come stato esattamente sottolineato, da svilire il senso stesso della comminatoria edittale e della punizione, non potrebbe co:psiderarsi costituzionalmente legittima. Per le predette ragioni questa Corte, con sentenza n. 36 del 19 febbraio 1986, pur ribadendo di non poter entrare nel merito della valutazione politica in base alla quale era stata emanata una misura di clemenza (si trattava, in quella sede, d'amnistia) ribadito ancora una volta il carattere eccezionale dell'amnistia e la necessit di contenere, nei pi ristretti limiti, l'esercizio della relativa potest, sottolineava che detti limiti vanno ancor pi richiamati quando l'effetto estintivo debba spiegarsi nei confronti di reati che, direttamente od indirettamente, violano precetti, costituzionaLmente sanciti, posti a tutela di fondamentali esigenze della comunit. Le predette considerazioni vanno ripetute e ribadite anche nei confronti dei moderni condoni, e, in particolare, del condono penale di c.i agli artt. 31 e segg. della legge n. 47 del 1985. La non punibilit e la non. procedibilit , di cui ai moderni condoni penali, specie quando cancellano reati lesivi di beni fondamentali della comunit, va usata negli stretti limiti consentiti dal sistema costituzionale; quest'ultimo precisa (ed in maniera non generica) fondamento, finalit e limiti dell'intervento punitivo dello Stato. Contraddire, vanificare, sia pur temporaneamente, le ragioni prime della punibilit, attraverso l'esercizio arbi~ trario della non punibilit, .equivale non soltanto a violare l'art. 3 Cost. ma ad alterare, con il principio dell'obbligatoriet della pena, l'intero volto del sistema costituzionale in materia penale. Alla verifica del rispetto, da parte delle norme impugnate, dei vincoli esterni posti dalla Costituzione al potere di clemenza si accennato in precedenza. Il legislatore, con la legge citata, ha inteso chiudere un passato d'illegalit di massa, alla quale aveva anche contribuito la non sempre perfetta efficienza delle competenti autorit amministrative ed ha mirato a porre sicure basi normative per la repressione futura di fatti che violano fondamentali esigenze sottese al governo del territorio, come la sicurezza dell'esercizio dell'iniziativa economica privata, il suo coordinamento a fini sociali (art. 41, secondo e terzo comma, Cost.) la funzione sociale della propriet (art. 42, secondo comma, Cost.) la tutela del paesaggio e del patrimonio storico ed artistico (art. 9, secondo comma, Cost.) ecc. E questi beni, secondo la discrezionale, ed incensurabile in questa sede, valutazione del legislatore del 1985, non potevano esser validamente difesi per il futuro se non attraverso la cancellazione del notevole, ingombrante carico pendente relativo alle passate illegalit di massa. D'altra parte, se vero che, per le disposizioni impugnate, l'effettiva concessione della sanatoria amministrativa non antecedente necessario RASSEGNA DELL'AWOCATURA DBLLO STATO 238 dell'estinzione dei reati di cui all'art. 38, secondo comma, della legge n. 47 del 1985, anche vero che il procedimento penale viene sospeso, ai sensi del primo comma dello stesso articolo, in base alla sola domanda di autorizzazione o concessione in sanatoria e l'importo definitivo dell'oblazione viene detemninato dal Sindaco nel momento stesso in cui concede Ia sanatoria. Pevtanto (tranne le ipotesi di opere abusive insanabili) J'estinzione dei reati in discussione, pur non essendo subordinata (come invece avviene per ,l'art. 22, terzo comma, della legge in esame) al rilascio della concessione in sanatoria, diviene, tuttavia, operativa, di regola, contemporaneamente al rilascio della citata concessione; uno stesso versamento normalmente integra d'ultimo elemento d'una fattispecie che insieme' costitutiva in ordine all'effetto-concessione della sanatoria ed estintiva in ordine ai reati in esame. Sicch, contemporaneamente, di regola, mentre il Sindaco dichiara non pi attuale Ja sanzione amministrativa, il . giudice dichiara non pi (( attuale )) fa samione penale. Il che (tenuto conto dehla normale costruzione dei predetti reati sulla base della sola illiceit extrapenale) se non vaie a subordinare la non punibilit dei reati stessi ailila cancellazione deH'illiceit extrapenale, vale almeno a spiegare le ragioni sostanziali per if.e quali il legislatore ritiene non (pi) punibili i reati in discussione. Le precedenti considerazioni rendono incondividibili anche le altre, specmcne osservazioni proposte dalle citate ordinanze dei Pretori di Pietrasanta e Mal (omissis). N maggior pregio ha il rilievo secondo il. quale, poich gli effetti estintivi dell'oblazione de qua sono disposti esclusivamente in favore di colui che versa la somma di danaro appunto a titolo d'oblazione e non di eventuali compartecipi della stessa violazione edilizia (che non mettano in moto la procedura di sanatoria di cui agli articoli impugnati) la sanatoria in discussione non costituirebbe una vera e propria sanatoria, del tipo previsto dall'art. 13 della legge in esame, non determinando essa automaticamente il rientro nella legalit delle opere abusive. Va, intanto, ancora una volta ribadito che le disposizioni della legge n. 47 del 1985 relative al futuro (es. art. 13) e quelle della stessa legge relative al passato (es. sanatoria per gli abusi verificatisi entro il 1 ottobre 1983) vanno tra loro qui confrontate soltanto ai fini della rilevazione di eventuali illegittimit costituzionali e non per sottolinearne le diversit: queste, .infatti, sono scontate , essendo le prime disposizioni determinate dall'esigenza di riordinare definiHvamente l'intera materia e le seconde dalla necessit di chiudere (appunto per consentire un altrimenti impossibile riordino della materia) un passato (relativo all'assetto urbanistico del tevritorio) che la pubblica amministrazione non era stata sempre in grado di controllare. Ma, di pi, anche per rispondere PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE all'altra obiezione, secondo la quale, poich, ex art. 39 della legge n. 47 del 1985, prevista l'estinzione dei reati contravvenzionali anche quando l'abuso edilizio insanabile (e ci maschererebbe la concessione, con le norme impugnate, d'un vero e proprio provvedimento d'amnistia) va qui ancora una volta sottolineato che, per quanto riguarda il passato, la legge in esame intende per un verso, sotto il .profilo amministrativo, consentire le sanatorie (fin dove possibili) degli abusi commessi entro la data del 1 ottobre 1983 e per altro verso, sotto il profilo penale, consentire l'estinzione dei reati contravvenzionali realizzati in occasione di tali abusi; tentando, in ogni caso, anche attraverso uno stimolo alla autodenuncia delle illegittime costruzioni e delle connesse violazioni penali, la regolarizzazione (fin dove possibile) dell'assetto del territorio. Ove il legislatore, per le opere non suscettive di sanatoria, non consen tisse l'estinzione, autonoma, dei reati connessi alla costruzione delle stesse opere, non stimolerebbe, convenientemente, la denuncia delle opere abusive non amministrativamente sanabili. D'altra parte, una volta sti molate le private denunce (anche a mezzo delle minacciate sanzioni di cui all'art. 40 della legge in esame) non pu il legislatore lasciare intatte le sanzioni penali connesse alle irregolarit delle opere non sanabili , cos ... premiando le autodenunce di queste ultime (omissis). Le ordinanze ... sollevano, in riferimento all;art. 3 Cost., eccezioni di legittimit costituzionale degli artt. 38, primo e terzo comma e 44 deMa legge n. 47 del 1985, nella parte in cui non prevedono la sospensione dell'esecuzione della pena a favore dei richiedenti la concessione in sanatoria, gi condannati con sentenza definitiva in data antecedente alla entrata in vigore della legge n. 47 del 1985, i quali, trovandosi nelle condizioni previste dall'art. 31 della stessa legge, presentino domanda di sanatoria, entro il termine perentorio di legge, accompagnata dall'attestazione del versamento delle somme di cui al primo comma dell'articolo 35 (omissis). La questione sollevata dalla ricordata ordinanza del Pretore di Vittoria, esaminata nel merito, va dichiarata non fondata. Corretta appare l'interpretazione che il Pretore d dei primi commi dell'art. 38, anche con .riferimento all'art. 44 della legge in discussione, in ordine all'esclusione degli effetti estintivi dell'esecuzione della pena, comminata a seguito di condanna definitiva pronunciata prima dell'entrata in vigore della legge in esame. Nulla, in proposito, esplicitamente la stessa legge dichiara: e non si pu, certo, ricavare una misura eccezionale d'estinzione della pena da una implicita volont legislativa. Vero che non solo mancano, nella legge in discussione, disposizioni dalle quali si possa, sia pur implicitamente, desumere una volont di comprendere RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO negli effetti estintivi, connessi all'oblazione di cui al secondo comma dell'art. 38, anche l'esecuzione della pena ma esistono, invece, chiaris simi segni dai quali risulta la prova contraria. La formulazione letterale del terzo comma dell'art. 38, l'interpretazione logica di tutto intero lo stesso articolo nonch il confronto con l'art. 44, sono, in proposito, ele menti d'indubbio rilievo. In tanto l'amnistia fa cessare l'esecuzione della pena (quando, s'intende, interviene a condanna definitiva pronunciata) in quanto estingue, come si notato innanzi, in radice, la punibilit principale (accessoria ecc.) nascente dalle norme penali incriminatrici, che prevedono i fatti coperti dal beneficio: esclusa, dal decreto d'amni stia, l'ulteriore permanenza (sempre e solo, ovviamente, in relazione ai fatti coperti dal beneficio) della possibilit giuridica d'applicare la pena, nelle ipotesi in cui il predetto decreto interviene durante il proce dimento, non si pu ulteriormente procedere mentre, nelle ipotesi nelle quali lo stesso de.creta interviene a condanna definitiva pronun ciata, l'effetto estintivo non pu non investire l'esecuzione delle pene principali, accessorie ecc. Il legislatore del 1985 non ha scelto, per la concessione del condono edilizio, lo si ribadito pi volte, la strada dell'amnistia: coerentemente ed in ossequio ai princpi generali, ha bloccato gli effetti estintivi del condono dinanzi alla sentenza definitiva di condanna. Il legislatore ordinario avrebbe anche potuto diversamente disporre; ma (a parte il rilievo per il quale, in tal caso, avrebbe avvicinato il condono alla amnistia, con le inevitabili conseguenze in ordine al processo di forma. zione del provvedimento di clemenza) avrebbe dovuto esplicitamente dichiararlo: e ci non ha fatto. In conclusione, non pu ritenersi irrazionale .fil non aver previsto, a favore dei richiedenti la concessione in sanatoria gi condannati con sentenza definitiva, l'estinzione dell'esecuzione della pena. D'altro canto, situazioni diverse sono, certamente, quelle nelle quali si trovano da una parte i soggetti imputati, durante il procedimento pe nale e dall'altra i soggetti condannati, a seguito di sentenza definitiva: le predette situazioni ben possono pertanto, esser diversamente disciplinate dalla legge. Va, da ultimo, ricordato che il disposto di cui al terzo comma del l'art. 38 della legge n. 47 del 1985 (per il quale, annotato nel casellario giu diziale del condannato con sentenza defintiva il versamento dell'oblazione, della condanna non si tien conto ai fini dell'applicazione della recidiva e della sospensione condizionale della pena) dovuto ad una considerazione attinente alla condotta sopravvenuta del condannato (che nulla ha a che vedere con l'esecuzione della pena principale ecc.); lo stesso condannato, avendo chiesto la sanatoria dell'opera abusiva ed avendo corrisposto l'oblazione, rende, f;ra l'altro possibile i;l raggiungimento dei fini di chiarez-\ RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO za catastale, fiscale ecc., anche in vista dei quali stata emanata la legge n. 47 del 1985. In tal modo vengono, fra l'altro, equ~1iibrati svantaggi e vantaggi delle due diverse, ed incomparabili, situazio:i dei soggetti (richiedenti ila concessione in sanatoria, in regola col pagamento dell'oblazione) non ancora condannati e gi condannati: questi ultimi non ottengono la cessazione dell'esecuzione della pena ma godono dei benefici di cui al terzo comma dell'art. 38 della legge in esame e possono ottenere la sanatoria dell'opera posta in essere nello svolgimento di attivit penalmente illecita. (omissis) Attenta considerazione merita l'ordinanza emessa il 14 ottobre 1985 dal Pretore di Roma con la quale viene proposta questione di legittimit costituzionale dell'art. 38, quinto comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47 nella parte in cui non comprende tra i soggetti legittimati a presentare domanda d'oblazione i concorrenti nel reato di cui all'art. 17 della legge 28 gennaio 1977, n. 10: e ci !il riferimento all'art. 3 Cost. Va, intanto, osservato che durante i lavori preparatori della legge n. 47 del 1985 era stata prevista, oltre all'estinzione dei reati di cui dall'art. 17 della legge n. 10 del 1977, anche quella dei c.d. reati connessi: e fra questi veniva individuato quello d'omissione di atti d'ufficio (ex art. 328 c.p.) anche contestato agli imputati nel procedimento a quo . Nel testo definitivo della legge in esame l'estensione del beneficio non compare: deve ritenersi, pertanto, che non possano beneficiare dell'estinzione, di cui alle disposizioni impugnate, gli amministratori-pubblici uf. ficiali (sindaci, assessori ecc.) imputati del delitto di cui all'art. 328 c.p. Resta da stabilire se gli stessi amministratori debbano rispondere, come qualsiasi altro concorrente, anche dei reati di cui all'art. 17 lettera b), della legge 28 gennaio 1977, n. 10. Il Pretore di Roma, infatti, lamenta che nella legge n. 47 del 1985 sia stata esclusa la facolt di oblazione ai concorrenti nei reati edilizi oblabili da parte dei soggetti di cui agli artt. 38, quinto e sesto comma, della stessa legge. Va, a questo proposito, rilevato che la legge in esame, all'art. 31 terzo comma, prevede che alla richiesta di sanatoria ed agli adempimenti relativi pu provvedere (anche) ogni soggetto interessato al conseguimento della sanatoria in discussione. Da ci discende che, quailora i concorrenti (diversi da quelli espressamente abilitati dal:le disposizioni impugnate a chiedere l'autorizzazione o concessione in sanatoria) nei reati edilizi risultino, nelfindagine processuale (che compete, pertanto, al giudice a quo) interessati al r.ilascio della predetta sanatoria, ben possono richiederla e conseguentemente porre in essere le condizioni idonee ad estinguere i reati edilizi. Il legislatore del 1985 non prevede, invece, che possa estendersi il beneficio penale anche a coloro che non solo non siano soggettivamente qualificati, nella commissione dei reati edilizi propri, ma non RASSEGNA DELL'AVVOCATURA Dl.LO STATO 242 abbiano neppure interesse al rilascio della sanatoria in discussione. Non va, peraltro, dimenticato, a questo proposito, che scopo precipuo della legge n. 47 del 1985 non quello di concedere clemenza ma di stimolare le denunce degli illeciti edilizi, soprattutto ai fini d'una completa conoscenza dell'assetto edilizio del territorio e del riordino del medesimo. Al giudice a quo resta, dunque, affidata l'indagine tesa a chiarire se i pubblici ufficiali imputati abbiano o meno interesse ad ottenere la sanatoria prevista dalle disposizioni impugnate, ai sensi dell'art. 31, terzo comma, della legge in discussione. Tutto quanto sopra osservato vale ove lo stesso giudice a quo non ritenga, per il principio di sussidiariet, che il reato edilizio di cui all'art. 17 lettera b) del 28 gennaio 1977, n. 10 venga assorbito dal delitto di cui all'art. 328 c.p. La questione di costituzionalit, sollevata dal Pretore di Roma con la precitata ordinanza, va pertanto, dichiarata non fondata. (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 31 marzo 1988, n. 373 Pres. e rel. Saja Soc. Esercizio Magazzini generali di Catania (avv. Monterosso) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Braguglia). Dogana . Sottrazione delle merci Sussistenza dell'obbligazione doganale. (Cost. artt. 3 e 53; d.P.R. 23 gennaio 1973 n. 43, art. 37; l. 22 dicembre 1980 n. 891, art. 23 bis). Non contrasta con gli artt. 3 e 53 Cost. la disposizione che esclude l'obbligazione doganale solo in caso di distruzione o completo deterioramento della merce, e non anche nel caso di sottrazione di essa. L'art. 37 d.P.R. 23 gennaio 1973 n. 43, come interpretato autenticamente dall'art. 23 ter d.l. 31 ottobre 1980 n. 693, convertito nella 1. 22 di cembre 1980 n. 891, stabilisce che l'obbligazione doganale esclusa in caso di perdita deMa merce, da intendere come dispersione e non pure come sottrazione della disponibilit della stessa. (omissis) Al riguardo occorre premettere che l'art. 36, primo comma, d.P~R. 23 gennaio 1973 n. 43 stabilisce testualmente, quale presupposto dei diritti di confine sulle merci estere (i pi importanti nell'ambito dei diritti doganali: art. 24 d.P.R. cit.), la loro destinazione al consumo entro il territorio doganale: destinazione da indicare nella dichiarazione ex art. 56 d.P.R. cit., con cui l'operatore economico rende nota all'Amministrazione finanziaria l'intenzione di importare definitivamente la merce stessa. Aggiunge l'art. 37 che si considera non avvenuto il presupposto dell'obbligazione tributaria quando il soggetto passivo dimostri, tra l'altro, che la mancanza in tutto o in parte della merce (estera) dipende dalla sua perdita; ed il citato art. 22 ter del cit. d.l. n. 693 del 1980 convertito - PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 2..3 dalla legge n. 891 del 1980, interpretando autenticamente la suddetta espressione perdita , dispone -come s' detto -che essa va intesa come dispersione e non come sottrazione della disponibilit del prodotto . Tale norma, com' chiaro, d rilievo unicamente all'elemento oggettivo, nel senso che esclude l'obbligazione tributaria soltanto se la merce, per essere venuta meno nella sua consistenza fisica, non possa essere immessa nel circuito commerciale nazionale; per contro, non attribuisce importanza al fatto che tale immissione avvenga ad opera dell'importa " tore ovvero di persona che ne abbia acquistato la materiale disponibilit anche mediante reato. appena il caso di aggiungere che la disposizione impugnata, secondo l'intenzione del legislatore esplicitamente dichiarata nel capoverso dell'art. 23 ter cit., ha funzione interipretativa e perci efficacia retroattiva, consentita nel nostro sistema costituzionale, che la esclude soltanto nella materfa penale. Ci premesso, osserva la Corte che le ordinanze di rimessione deducono, come gi si detto, la violazione del principio di eguaglianza in quanto il 'legislatore irrazionalmente avrebbe distinto tra dispersione e sottrazione della disponibilit del prodotto. La proposta questione non fondata. L'obbligazione tributaria doganale per le merci indissolubilmente collegata all'ingresso delle medesime nel mercato nazionale, e proprio in ci trova il suo fondamento e la sua ragion d'essere. La distruzione od il completo deterioramento dei beni rendono impossibile tale ingresso e perci impediscono il sorgere dell'obbligazione tributaria. Per converso, la perdita della soggettiva disponibilit non rende il bene inutilizzabile, trasferendosi soltanto ad altra persona la concreta possibilit di disporne e di effettuarne cos l'immissione nel circuito commerciale: dal che consegue l'esclusione di una immutazione oggettiva della situazione da cui nasce l'obbligazione tributaria, conformemente a quanto disposto dalla normativa impugnata. Vale aggiungere che tale disciplina, essendo connaturata, secondo la comune concezione, alla finalit intrinseca del tributo doganale, non esclusiva del nostro Paese, ma significativamente accolta in altri ordinamenti. Essa invero, si applica nell'ambito della Comunit economica europea, secondo il disposto della direttiva del Consiglio delle Comunit 25 giugno 1979 n. 623, emanata per armonizzare le diverse norme nazionali su1l'obbligazione doganale (art. 4): ed in tale senso ila sentenza della Corte di giustizia emessa dalla IV Sez. il 5 ottobre 1983 in cause 186 e 187/82, la quale ha espressamente dichiarato la disciplina italiana, attualmente impugnata, conforme a quella comunitaria. Inoltre la stessa regola accolta, al di l dello spazio europeo, anche su piano internazionale, in base alla convenzione di Kioto 18 maggio 1973 RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DEU.O STATO 244 sulla semplificazione ed armonizzazione dei regimi doganali: essa, infatti, dopo aver disposto al punto 22 dell'allegato E3 che les marchandises entreposes qui sont dtruites ou irrmdiablement perdues, par suite d'accident ou de force majeure, ne sont pas soumises au droits et taxes l'importation , precisa poi neH'allegato Bl che les marchandises voles ne sont pas consiidres dtruites ou irrmediablement perdues . (omissis) I CORTE COSTITUZIONALE, 27 aprile 1988 n. 470 -Pres. Saja -Rel. Baldassarre -Regione Lombardia (avv. Steccanella) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Laporta). Regioni -Avvalimento di uffici regionali per esercizio di funzioni statali Disposto mediante atto amministrativo statale. Spetta allo Stato avvalersi di uffici regionali (nella specie, degli Osservatori per le malattie delle piante) per lo svolgimento di compiti inerenti a funzioni statali, l'avvalimento pu essere legittimamente disposto con atto amministrativo unilaterale dello Stato (ancorch siano opportuni previ accordi, intese o convenzioni) (1). II CORTE COSTITUZIONALE, 19 maggio 1988 n. 559 -Pres. Saja -Rei. Baldassarre -Regione Lombavdia (avv. Pototschnig), regione Lazio (avv. Panunzio), regione Veneto (avv. Cevolotto), regione Toscana (avv. Narese) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Azzariti). Corte costituzionale -Deleghe stabilmente devolutive date alle regioni Criteri di individuazione Ammissibilit del ricorso per conflitto di attribuzione. (1-2) Due sentenze di notevole importanza. La prima (n. 470) riconosce spazio e legittimit all'istituto dello avvalimento , diverso dalla delega,. e ad essa per cert:i versi alternativo. La seconda (n. 559), in esito ad una analisi di solido impianto, apre lo strumento del conflitto di attribuzione per le materie oggetto di deleghe stabilmente devolutive . In particolare questa seconda sentenza ha una portata sensibilmente innovativa, nel senso di un rafforzamento sostanziale delle autonomie regionali. Queste due pronunce potrebbero indurre in taluni casi (ad esempio, in materia di sanit), a riconsiderare le scelte fatte dal legislatore tra gli alternativi strumenti considerati (trasferimento delle funzioni, delega devolutiva >>, delega non devolutiva >>, avvalimento). PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTll1JZIONALB Regioni -Distributori di carburanti -Lungo le autostrade oppure utilizzati da veicoli statali -Non delega delle funzioni. Regioni -Delega di funzioni Direttive date in via amministrativa -Non possono essere tanto dettagliate da implicare revoca della delega. All'interno delle deleghe di funzioni statali alle regioni occorre distinguere la species delle deleghe devolutive , date stabilmente per rendere possibile l' esercizio organico delle competenze trasferite alle regioni. Tali deleghe stabilmente devolutive sono individuabili sulla base di una serie di elementi (conferimento di funzioni anche normative di organizzazione e di spesa e di attrazione, trasferimento anche di uffici e personale, possibilit di subdelega, preponderante finalizzazione all' esercizio organico predetto). In relazione all'ambito delle competenze assegnate alle regioni con deleghe stabilmente devolutive , ammesso conflitto di attribuzione (2). Non sono state delegate alle regioni a statuto ordinario le funzioni in tema di distributori di carburanti situati lungo le autostrade oppure destinati ad essere utilizzati soltanto per autoveicoli dello Stato. Allorch lo Stato formula direttive nei confronti dell'esercizio delle funzioni da esso delegate alle regioni, non pu spingersi fino al punto di enunciare criteri tanto dettagliati da dar corpo a un vero e proprio svolgimento diretto delle funzioni delegate; un tale comportamento avrebbe il significato di una revoca implicita della delegazione stabilita per via amministrativa, la quale, con riferimento al caso di specie, non potrebbe ritenersi consentita nei termini ipotizzati, sia perch, a norma dell'art. 118, secondo comma Cost., la revoca delle predette funzioni potrebbe essere compiuta soltanto con un atto di valore legislativo, sia perch, data la natura della delega disposta in materia dal d.P.R. n. 616 del 1977, vi sarebbe spazio soltanto per una revoca esplicita . . I La questione su cui la Corte chiamata a pronunciarsi la seguente: se un decreto del Ministro dell'Agricoltura e delle Foreste, con il quale viene affidato ad un ufficio regionale l'esercizio di funzioni statali, sia invasivo o meno delle attribuzioni regionali in materia di organizzazione degli uffici e di individuazione degli organi muniti di potest provvedimentale esterna. Nel caso di specie, infatti, il Ministro dell'Agricoltura e delle Finanze, con il decreto impugnato, ha affidato agli Osservatri per le malattie delle piante, che sono stati espressamente trasferiti alle regioni con il d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 (art. 74), il compito di verificare se i prodotti sementieri destinati all'importazione risultino conformi alle prescrizioni del nulla-osta ministeriale. 246 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DEl..LO STATO Considerato che le due parti concordano nel ritenere che le funzioni attinenti al controllo di conformit, come sopra definito, sono di spettanza statale e che l'oggetto del conflitto riguarda soltanto se lo Stato possa affidare l'esercizio di quelle funzioni ad uffici regionali, come gli Osservatri per le malattie delle piante, il ricorso va rigettato. Secondo una recente pronuncia di questa Corte (sent n. 216 del 1987) -che ha ribadito, peraltro, un principio gi affermato nella sentenza n. 35 del 1972 -non si pu dubitare della legittimit di disposizioni che consentono allo Stato, senza utilizzare l'istituto della delega all'ente di cui al secondo comma dell'art. 118 Cost., di avvalersi di uffici regionali. Per un verso, infatti, sarebbe assurdo negare allo Stato una facolt riconosciuta alle regioni nei confronti degli altri enti locali territoriali e, per un altro, questo principio, come ha pi volte affermato questa Corte (sentt. n. 359 del 1985 e n. 221 del 1988), risponde alle esigenze della leale cooperazione fra le componenti essenziali dello Stato regionale, che deve necessariamente caratterizzare i rapporti tra organi statali e regionali in un'amministrazione pubblica ispirata, a norma dell'art. 5 Cost., al riconoscimento delle autonomie nell'ambito di un disegno unitario. In siffatto quadro, questa Corte non pu esimersi dal sottolineare l'opportunit di intese, di accordi o di convenzioni tra lo Stato e le regioni interessate, allorquando dall'avvalimento degli uffici regionali derivino, per questi ultimi, particolari oneri ovvero particolari problemi incidenti sullo svolgimento delle proprie funzioni. II Prima di ogni altra, va esaminata la questione pregiudiziale se i conflitti di attribuzione sollevati con i ricorsi di cui in epigrafe, i quali attengono a funzioni amministrative delegate alle regioni a norma dell'art. 118, secondo comma, Cost., siano ammissibili. Con riferimento al caso di specie, la questione va risolta in senso positivo. Quello della delega amministrativa un fenomeno estremamente vario e complesso, per il quale non sembra possibile fornire soluzioni interpretative generali valide per ciascuna delle ipotesi che il diritto positivo disciplina come delegazione di funzioni amministrative. sufficiente considerare a tal fine che ipotesi di delegazione intervengono tanto nell'ambito di rapporti interorganici quanto in quello di rapporti intersubiettivi e, in quest'ultimo caso, tanto fra :soggetti dotati di autonomia costituzionale quanto fra soggetti che non lo sono. Inoltre, oggetto di delegazione talora la titolarit di funzioni o, addirittura, di attribuzioni (cio di un complesso di funzioni unitariamente considerato), talaltra il mero esercizio di determinate funzioni o il compimento di de - PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITPZIONALE 247 terminati atti o attivit. La delega, poi, pu essere frutto di una libera scelta del titolare di determinate funzioni ovvero pu dipendere dal ricor" rer di condizioni obiettive discrezionalmente valutabili dallo stesso soggetto o, ancora, pu esser configurata come un atto necessario o dovuto da parte del titolare per l'esercizio di determinate funzioni. N quelle considerate sono le sole alternative rilevanti ai fini della caratterizzazione giuridica della delegazione amministrativa. Nel diritto positivo, infatti, si riscontrano deleghe che comportano trasferimento di uffici (mezzi e personale) e deleghe che non lo comportano, ve ne sono alcune conferibili (o revocabili) solo esplicitamente e altre anche implicitamente, alcune che prevedono in capo al delegante un potere di supremazia (se pure impropria) o di direttiva e altre che non lo prevedono, alcune che autorizzano il delegante ad adottare istruzioni vincolanti ed altre sulla cui base possono essere adottate istruzioni aventi un'efficacia meramente dfoettiva, alcune che conservano al delegante un potere cli intervento concorrente sulla materia delegata e altre che lo escludono, aloune su oggetti determinati e altre su oggetti generici o indetevminati, alcune a tempo ~prestabilito e altre a tempo indeterminato. Si tratta, come appare evidente, di alternative in grado di caratterizzare il fenomeno della delega amministrativa in modo di volta in volta diverso e che, se si rimane legati al diritto positivo attualmente vigente, molto difficile, se non impossibile, razionalizzare secondo tipologie omogenee. Le alternative ricordate, infatti, non coincidono per nulla con la distinzione tra deleghe interorganiche e deleghe intersoggettive, ma si rinvengono, nella loro totalit, tanto all'interno dell'una ipotesi quanto all'interno dell'altra. Alcune cli loro anzi -e non certo quelle di importanza secondaria ai fini della caratterizzazione giuridica del fenomeno si rinvengono persino nell'ambito di uno stesso atto legislativo, come ne] caso qui considerato del d.P.R. n. 616 del 1977. Di modo che si impone comunque l'esigenza logica di procedere a un esame caso per caso allo scopo di enucleare, attraverso un'analisi empirica, i caratteri propri della particolare fattispecie di delegazione amministrativa dedotta in giudizio e di verificare, quindi, se i poteri oggetto della delega stessa vadano ad integrare, o meno, la sfera di autonomia costituzionalmente garantita alle regioni. Il problema dell'ammissibilit dei conflitti di attribuzione fra Stato e regioni vertenti su funzioni delegate gi pervenuto alla cognizione di questa Corte. In un primo caso, che riguardava la delega alle regioni del l'esercizio delle funzioni amministrative in ordine alle opere di ricostru zione nei territori colpiti da calamit naturali, le quali erano residuate alla competenza statale dopo il trasferimento delle attribuzioni proprie degli uffici del genio civile e dei provveditorati regionali (art. 13, d.P.R. 4 RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DBTLO STATO 248 15 gennaio 1972, n. 8), la Corte ha dichiarato l'inammissibilit del conmtto. A base di questa decisione stava l'argomento che, poich si trattava di una delega che lo Stato poteva conferire, o non, alle regioni (c.d. delega libera), non era minimamente possibile configurare tanto le norme che concretamente la prevedevano, quanto le competenze che da essa derivavano, come dirette a integrare la sfera di autonomia costituzionalmente garantita alle regioni, la cui lesione soltanto legittima queste ultime a tutelarsi mediante lo strumento processuale del conflitto di attribuzione, previsto dall'art. 134 Cost. (sent. n. 97 del 1977). In una serie di casi successivi, vertenti tutti sulla particolare disciplina prevista dalla delega di funzioni in materia di paesaggio (art. 82, d.P.R. n. 616 del 1977), la Corte giunta alla medesima conclusione ~sentt. nn. 359 del 1985, 152 e 153 del 1986). Tuttavia, in queste pronunzie, pur riaffermando il principio precedentemente enunciato, la Corte ha posto a base delle sue decisioni una massima differente, la quale si confaceva alla diversa ipotesi di delega dedotta nei giudizi in questione. Per riprendere le stesse parole allora usate, si affermato, pi precisamente, che le attribuzioni soltanto delegate alla Regione non sono, in linea di principio, defendibili col rimedio del conflitto di attribuzione (sent. n. 97 del 1977), e che, in particolare, non lo sono le attribuzioni devolute alla Regione con l'art. 82 dl d.P.R. n. 616 del 1977, in quanto caratterizzate dalla conservazione allo Stato di poteri concorrenti (sentt. nn. 152 e 15~ del 1986, nonch gi prima n. 359 del 1985). E, a chiarimento della stessa massima, si aggiunto subito dopo che la previsione di questi ultimi (poteri concorrenti), a fini di estensione e di effettivit della tutela del paesaggio, esclude infatti la garanzia costituzionale delle competenze delegate (v. spec. sent. n. 152 del 1986, che cita sul punto la sent. n. 359 del 1985). In altri termini, nel primo caso la Corte ha escluso che le competenze delegate rientrassero nell'autonomia costituzionalmente garantita alle regioni, in quanto la loro assegnazione a queste ultime, dipendendo da una libera scelta del legislatore statale (che, nel caso del d.P.R. n. 8 del 1972, era giustificata soltanto dall'opportunit di non conservare allo Stato le funzioni residuali svolte da uffici periferici trasferiti alle regioni), mancava di qualsiasi aggancio logico con le norme costituzionali concernenti la ripartizione di competenze fra Stato e regioni. Negli altri casi, invece, trovandosi di fronte a una disciplina che, come questa Corte ha ribadito anche in una recente pronunzia (sent. n. 302 del 1988), prevede sulla medesima materia la compresenza di poteri regionali e di poteri statali aventi lo stesso contenuto e oggetto (pur se i secondi previsti in posizione di supremazia, a estrema difesa del vincolo paesaggistico), la Corte ha dedotto da ci che, non essendosi lo Stato privato della piena titolarit della relativa funzione, i poteri delegati attenessero al mero RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO esercizio della funzione stessa (come, del resto, in altri casi precedenti: v. sentt. nn. 39 del 1957, 11 del 1959, 36 del 1960, 40 del 1972) o, se si preferisce, allo svolgimento di attivit rispetto alle quali non era stata nel contempo negata la competenza dello Stato, e che, pertanto, non potevano integrare in alcun modo la sfera di attribuzioni costituzion~lmente assegnata alle regioni. Il caso oggetto dei presenti giudizi, relativo alla delegazione alle re gioni delle funzioni amministrative concernenti i distributori di carbu rante (art. 52, lett. a, d.P.R. n. 616 del 1977), attiene a un'ipotesi di delega diversa dalle precedenti. Innanzitutto, si tratta di una delegazione mediante la quale la tito larit di una determinata funzione viene (temporaneamente) tolta dalla sfera di competenza dello Stato .e assegnata nel contempo a quella regio nale, con la conservazione in capo al primo del solo potere di indirizzo. Si tratta, in altre parole, di quella che in dottrina chiamata delega de volutiva o traslativa, la quale, come noto, costituisce l'ipotesi di dele gazione pi prossima al trasferimento di funzioni, in quanto in essa l'accrescimento di competenza del delegato consequenziale a una cor relativa diminuzione della stessa nel soggetto delegante. Tuttavia, la circostanza che la funzione delegata di cui si tratta sia entrata a far parte del patrimonio di competenze delle regioni, a seguito dell'art. 52 del d.P.R. n. 616 del 1977, una condizione necessaria, ma non sufficiente, perch i conflitti oggetto dei presenti giudizi siano ritenuti ammissibili. Infatti, come questa Corte ha costantemente ribadito (cfr., ad es., sentt. nn. 111 del 1976, 97 del 1977, 359 del 1985, 152 e 153 del 1986), appartengono alla competenza del giudice costituzionale, e soltanto ad essa, unicamente quei conflitti nei quali si controverte di lesioni prodotte sulla sfera di competenze de1lo Stato o delle regioni, semprech tale sfera risulti costituzionalmente garantita. E perch questa garanzia ricorra nel caso delle funzioni delegate non sufficiente, pur se ovviamente necessario, che l'atto legislativo contenente la delega medesima (nel caso il d.P.R. n. 616 del 1977) sia da consaderare, secondo la consolidata e costante giurisprudenza costituzionale (cfr., ad es., sentt. nn. 223 del 1984 e 217 del 1985), come esecutivo o integrativo di disposizioni formalmente costituzionali, per il fatto che, nell'ipotesi di funzioni delegate, l'astratta idoneit della norma che le dispone a fungere da parametro dei ~giudizi sui conflitti potrebbe esser neutralizzata in concreto, come ha gi riconosciuto questa Corte (sent. n. 97 del 1977), dal carattere puramente volontario o possibilistico della delega stessa (c.d. delega libera). Perch le funzioni delegate possano esser considerate parte integrante della sfera di competenze costituzionalmente garantita alle regioni c' bisogno di un ulteriore e decisivo elemento: che le competenze delegate, per il modo in cui sono disciplinate e per il fine in vista del quale sono iso RASSEGNA DELL'AVVOCATURA D::lLLO STATO conferite, costituiscano un'integrazione necessaria deH.e competenze ((proprie , di modo che la lesione delle prime comporti anche una menomazione delle seconde. Nell'interpretare il sistema costituzionale relativo alla ripartizione delle competenze fra Stato e regioni e nel dare ad esso attuazione positiva, il legislatore, attraverso la legge 22 luglio 1975 n. 382 e il d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616, ha previsto, tra l'altro, un particolare tipo di delega amministrativa, diretto essenzialmente a un duplice scopo: innanzitutto, costituire un modello organizzatorio dei rapporti fra Stato e regioni pi flessibile delle altre forme di separazione di competenze e tale da permettere indirizzi statali in grado di assicurare una maggiore uniformit su tutto il territorio nazionale, nonch una maggiore unitariet tra momento direttivo e momento attuativo; in secondo luogo, istituire uno strumento di ricomposizione delle competenze in capo alle regioni in grado di garantire lord un servizio organico delle funzioni trasferite. Sotto quest'ultimo profilo, sulla base di un preciso criterio dettato ~falla legge n. 382 del 1975 (art. l, lett. e), il d.P.R. n. 616 del 1977, nell'ambito di una disciplina diretta ad assicurare alle regioni un'amministrazione per programmi, ha provveduto a delegare alle stesse le funzioni amministrative ritenute necessarie per rendere loro possibile l' esercizio organico delle competenze trasferite. Si stabilita, cos, una saldatura funzionale fra le competenze delegate e quelle trasferite, che, sebbene smentita in alcune delle fattispecie previste (come il ricordato art. 82 o, per fare altri esempi, gli artt. 77, lett. b, e 111 secondo comma), pu tuttavia ritenersi affermata per la maggioranza delle deleghe conferite alle regioni con il d.P.R. n. 616 del 1977. Di modo che, ove tale legame non risulti contraddetto dalla particolare disciplina positiva prevista per ogni singola delega, si deve concludere che l'eventuale limitazione o invasione delle competenze delegate alle -regioni finisca per impedire o contraddire quell'esercizio organico che si voluto garantire alle funzioni proprie delle regioni e menomarne cos la consistenza costituzionale, come interpretata e attuata dalla legge n. 382 del 1975 e dal d.P.R. n. 616 del 1977. Del resto, essenzialmente con riguardo a questa loro funzione di completamento organico delle materie trasferite alle regioni che si giustifica la relativa stabilit assicurata alle deleghe qui considerate, stabilit che, oltre a ricavarsi dal loro carattere di deleghe a tempo indeterminato, pu agevolmente dedursi da una una serie di elementi della loro disciplina positiva. Innanzitutto, dal potere riconosciuto alle regioni di adottare nelle materie sulle quali sono state conferite funzioni delegate non solo provvedimenti amministrativi, ma anche norme legislative di organizzazione e di spesa, nonch norme di attuazione ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 117 della Costituzione (art. 7, primo comma, f. I ! --l PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 25l d.P.R. n. 616 del 1977). In secondo foogo, da>, intende circoscrivere quest'ultima espressione all'amministrazione statale. Solo se interpretata in tal senso, la disposizione impugnata assume un significato logico e coerente con le ricordate norme legislative, come del resto ha ,riconosciuto lo stesso Governo alilorch ha aggiornato le direttive in questione (v. art. 6 del d.P.C.M. 31 dicembre 1982). (omissis) La Regione Toscana, con due distinti ricorsi, impugna l'intero punto 4 del d.P.C.M. 8 luglio 1978 e gli artt. 6 e 7 del d.P.C.M. 31 dicembre 1982, in quanto ritiene le direttive ivi contenute troppo dettagliate e concrete, tali da eliminare ogni discrezionalit nello svolgimento delle funzioni delegate alle regioni cui si riferiscono. Analoga censura prospettata dalla Regione Lazio nei confronti del punto 15 del citato decreto del 1978. (omissis) Al contrario, vere e proprie direttive nei confronti dell'esercizio del1e funzioni delegate alle regioni s6no quelle contenute nell'art. 7 del d.P.C.M. 31 dicembre 1982 e nell'art. 15 del d.P.C.M. 8 luglio 1978 (salvo l'ultimo comma, che, riferendosi agli impianti ubicati sulle autostrade, assorbito dalle argomentazioni gi svolte in relazione al punto 8 dello stesso decre PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE to). Tuttavia, tanto nell'uno, quanto nell'altro caso, il Governo ha esercitato il proprio potere di indirizzo restando nei limiti propri di questo. : ben vero, infatti, che, allorch lo Stato formula direttive nei confronti dell'esercizio delle funzioni da esso delegate alle regioni, non pu spingersi fino al punto di enunciare criteri tanto dettagliati da dar corpo a un vero e proprio svolgimento diretto delle funzioni delegate; un tale comportamento avrebbe il significato di una revoca implicita della delegazione stabilita per via amministrativa, la quale, con riferimento al caso di specie, non potrebbe ritenersi consentita nei termini ipotizzati, sia perch, a norma dell'art. 118, secondo comma Cost., la revoca delle predette funzioni potrebbe essere compiuta soltanto con un atto di valore legislativo, sia perch, data la natura della delega disposta in materia dal d.P.R. n. 616 del 1977, vi sarebbe spazio soltanto per una revoca esplicita. Tuttavia i limiti appena enunciati non sono certo contraddetti n dal punto 15 del decreto del 1978, n dall'art. 7 di quello del 1982. Nel primo caso, infatti, si stabiliscono i livelli minimi degli orari di apertura dei distributori per il periodo invernale (non meno di nove ore e mezzo per ogni giorno feriale); si prevede, inoltre, la percentuale minima, in rela~ zione al territorio regionale, degli esercizi che devono restare aperti nei giorni festivi (non meno del 25 %) e durante la notte (non meno del 3 %); e, infine, si dispone l'apertura ininterrotta per gli impianti selfservice. Nel secondo caso, invece, si prevede che le regioni possono consentire il rilascio delle concessioni per l'installazione e l'esercizio degli impianti di distribuzione per uso privato all'interno di stabilimenti, cantieri e simili, purch si tratti di serbatoi con capacit superiori ai dieci metri cubi e si siano accertate le reali .fnalit in relazione all'attivit svolta dall'impresa e alla consistenza del relativo parco di automezzi. In tutte e due le ipotesi, insomma, l'autonomia delle regioni indubbiamente salvaguardata, poich, mentre in un caso sono stabiliti alcuni criteri essenziali perch le funzioni delegate siano svolte in modo uniforme in tutto il territorio nazionale con la garanzia di un sufficiente margine di discrezionalit a favore delle regioni, nell'altro sono previsti alcuni requisiti minimi perch il particolare regime ivi contemplato non dia luogo a disfunzioni o ad abusi, trattandosi di direttive rivolte, per un verso, a prevenire un'eccessiva polverizzazione degli impianti e, per un altro, a raccomandare severi controlli sulle effettive finalit delle relative attivit. Pi complesso, ma analogo, il giudizio da dare sul punto 4 del d.P.C.M. del 1978, peraltro integralmente sostituito, con disposizioni pi stringate, dall'art. 3 del successivo decreto del 1982. La maggioranza delle disposizioni ivi contenute stabiliscono criteri dotati di un basso grado di astrattezza, ma in esse si trovano formulate alcune esigenze 256 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEJ..O STATO relative all'efficacia del servizio, a un'adeguata distribuzione geografica degli impianti, e cos via, che lasciano comunque, in sede di attuazione, un sufficiente spazio di discrezionalit alle scelte regionali. Gli unici obblighi previsti sono quelli relativi alla necessit di adottare un piano di irazionalizzazione della rete distributiva nel territorio regionale, al dovere di predisporlo entro la data del 31 marzo 1979 e al susseguente obbligo di comunicarlo al Ministro dell'industria entro la stessa data. Ma, com' evidente, si tratta di comportamenti dovuti, peraltro non sanzionati, diretti a porre alcuni punti fermi essenziali relativi al modo di procedere da parte delle regioni affinch sia assicurato un coordinamento delle politiche regionali in materia, in mancanza del quale non sarebbe .neppure possibile la stessa funzione di indirizzo affidata dall'art. 52, lett. a, del d.P.R. n. 616 del 1977 al Governo. Del resto, affermare che le direttive non possono . costituire una forma, ancorch surrettizia, di esercizio diretto delle funzioni delegate, non significa certo che esse non possano prevedere doveri, come quello di predisporre un piano, ovvero termini temporali per l'adozione o la comunicazione dello stesso. Non si pu escludere, infatti, che il carat tere concreto e dettagliato o il vincolo puntuale eventualmente connessi a qualche disposizione possano riguardare singoli elementi della funzio ne interessata, al fine di ricondurla a parametri generali di uniformit e di coordinamento: ci che non permesso che la specifica funzione considerata possa essere complessivamente degradata, attraverso un uso improprio del potere di direttiva, a un'attivit vincolata, priva di un sufficiente grado di discrezionalit. i La Regione Veneto impugna i punti 10 e 11 del d.P.C.M. 8 luglio 1978, in quanto, anzich prevedere direttive sull'esercizio di competenze delegate, interverrebbero sul riparto di competenze fra comuni e regioni, affidando a queste ultime, con lo strumento improprio dell'atto amministrativo e pertanto in violazione della riserva di legge contenuta nell'art. 118, secondo comma, Cost., competenze che l'art. 54, lett. f, del d.P.R. n. 616 del 1977, assegna ai Comuni. Pi in particolare, il punto 10 dispone che le regioni, per il rilascio delle autorizzazioni ( ...) per l'installazione e l'esercizio degli impianti di distribuzione per uso privato, ubicati all'interno di stabilimenti, cantieri e simili , debbono accertare le reali finalit connesse al tipo di attivit svolta dagli operatori. Il punto 11 stabilisce, invece, che le regioni provvedono anche al rilascio della autorizzazione per l'installazione di impianti di distribuzione di carburanti destinati all'esclusivo rifornimento di natanti, ferme restando Ie facolt spettanti alla compe tente autorit marittima. Il problema che ambedue le disposizioni pongono le ricorrenti a sospettarne l'illegittimit deriva dal e che ha indotto fatto che, mentre I I II I ! I PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITZIONALE le statuizioni appena lette sembrano ritenere che l'autorizzazione alla installazione dei distributori di carburanti sia di spettanza delle regioni, al contrario l'art. 54, lett. f), del d.P.R. n. 616 del 1977 attribuisce ai comuni la competenza a rilasciare, sulla base delle prescrizioni del C.I.P.E. e nell'ambito di criteri generali determinati dalla regione, l'autorizzazione all'installazione di distributori di carburanti nel territorio comunale, ad eccezione di quelli ubicati sulle autostrade. In altri termini, poich le disposizioni impugnate sembrano operare una redistribuzione di competenze difforme tanto dalla norma legislativa appena menzionata, quanto dai principi di cui all'art. 118, secondo comma, Cost., se ne chiede l'annullamento. Tuttavia, di fronte a una formulazione tutt'altro che chiara, prima di accogliere eventuali censure d'illegittimit, l'interprete deve verificare, come si precedentemente ricordato, se le disposizioni impugnate possono esprimere almeno un significato non contrastante con le leggi ad esse sopraordinate e, in particolare, con l'art. 54, lett. f) del d.P.R. n. 616 del 1977, che prevede I' autorizzazione ..comunale per l'installazione e l'esercizio dei distributori di carburanti. Ad una considerazione sistematica dell'intero decreto appare chiaro che il Governo, nell'emanare l'atto impugnato, non ha inteso pretermettere il livello comunale con riferimento alla installazione dei distributori di carburante. Pertanto, le ambigue formule contenute nei punti 10 e 11, se non debbono essere interpretate in contraddizione con altre disposizioni del decreto stesso e con le leggi che ne stanno a fondamento, posson essere intese soltanto come un riconoscimento alle regioni di funzioni ulteriori in relazione al rilascio della predetta autorizza~ione , come quelle di stabilire indirizzi o criteri in ordine a tale provvedimento o, pi in generale, alla materia dei distributori oggetto della disciplina contenuta nelle disposizioni impugnate. Cos interpretate, le direttive formulate dal Governo nei punti contestati possono acquistare un senso che altrimenti non avrebbero, o, se lo avessero, sarebbe illegittimo: un senso che, mentre in un caso (punto 10), porta a configurarle come direttive vincolanti le regioni a prevedere severi accertamenti in relazione al rilascio della autorizzazione all'installazione dei distributori ad uso privato, nell'altro (punto 11), invece, come indirizzi vlti a esigere un coordinamento fra le competenze regionali in ordine ai distributori adibiti all'esclusivo rifornimento dei natanti e quelle conservate in materia alla competente autorit marittima. In ambo i casi si tratta, comunque, di direttive che rientrano perfettamente nei poteri propri dello Stato nei confronti dell'esercizio di funzioni delegate alle regioni. Anche l'ultima delle questioni proposte, quella relativa al punto 13 del d.P.C.M. 8 luglio 1978, comporta probleini analoghi. Le Regioni Lom 258 RASSEGNA DEIJ..'AVVOCATURA Dm.LO STATO bardia, Lazio, Veneto e Toscana ritengono che la disposizione impugnata, nel prevedere che l'autorizzazione prevista dall'art. 54, lett. f), del d.P.R. n. 616 del 1977 necessaria per il rilascio delle concessioni per l'installazione di nuovi distributori o di nuove attrezzature presso impianti gi esistenti ovvero per il rinnovo delle concessioni in scadenza o per il trasferimento degli impianti su nuove ubicazioni, contrasti con il predetto art. 54 e con l'art. 118, secondo comma, Cost. per una duplice e alternativa ragione: in quanto prevede una concessione regionale in luogo di quella comunale oppure in quanto ne subordina illegittimamente il rilascio a una preventiva autorizzazione comunale. Per questi profili i ricorsi vanno rigettati poich, anche in tal caso, la pur oscura formulazione del punto 13 pu ricevere un'interpretazione in armonia con le norme di legge e della Costituzione rispetto alle quali si suppone il contrasto. E questa interpretazione quella che conferisce al punto contestato un valore essenzialmente descrittivo, nel senso che con il punto 13 non si intende affatto introdurre, per via amministrativa; nuove competenze in ordine ai provvedimenti concessori collegati alla installazione o all'esercizio degli impianti di distribuzione dei carburanti, n subordinare ipotetiche concessioni regionali all'autorizzazione comunale, ma si mira semplicemente a descrivere, per via interpretativa, i casi in cui va adottata I' autorizzazione prevista dall'art. 54, lett. f), del d.P.R. n. 616 del 1977. Per essere pi precisi, va ricordato che, nel delegare alle regioni le funzioni amministrative sui distributori di carburante (art. 52, lett. a) e, nel contempo, nell'attribuire ai comuni il potere di rilasciare I' autorizzazione per l'installazione e l'esercizio dei distributori stessi (art. 54, lett. f), il d.P.R. n. 616 del 1977 ha effettuato una ripartizione di competenze conforme al disegno costituzionale, affidando alle regioni la programmazione e l'indirizzo e ai comuni l'amministrazione attiva e la gestione concreta del settore. Per non apparire in contrasto con tale quadro costituzionale, il punto 13 non pu essere interpretato come diretto a prevedere, per via amministrativa, una concessione regionale e, tantomeno, una concessione subordinata a una preventiva autorizzazione comunale (come potrebbe far pensare un'affrettata analogia con il vecchio parere comunale). Al contrario, esso pu e deve esser interpretato come una norma svolgente una funzione esplicativa e indicativa dei casi in cui I' autorizzazione spettante al comune, in base al ricordato art. 54, va rilasciata. N, in contrario, pu valere l'argomento letterale per cui il punto 13, al pari dell'art. 54, lett. f), del d.P.R. n. 616 del 1977, parla di autorizzazione , ritenendola 'lecessaria per il rilascio di una serie di concessioni (per nuove attrezzature, per il trasferimento di impianti, etc.). Come unanimemente riconosciuto in dottrina, il provvedimento che l'art. 54 e PARm I, SBZ. I, GIURISPRUDENZA cosnruZIONALB 259 la disposizione ora impugnata chiamano autorizzazione , in realt, una concessione. Di modo che, ove lo si intenda nel suo significato sostanziale, il punto 13 dice semplicemente che il provvedimento concessorio, di cui al predetto art. 54, va necessariamente adottato per tutte le susseguenti ipotesi di concessione ivi menzionate. E che quel provvedimento, come precisa ancora il richiamato art. 54, sia di spettanza del comune, non pu certo venir contraddetto dalla pretesa inidoneit di tale ente a valutare gli interessi sottesi alla materia, i quali non sono del tutto circoscrivibili all'ambito meramente locale. Infatti, contro questa assunzione sta, innanzitutto, il rilievo che il comune in ogni caso l'autorit pubblica preposta all'adozione dei provvedimenti amministrativi di disposizione e di uso concreto del territorio; in secondo luogo sta il fatto che le concessioni comunali si iscrivono, a norma del citato art. 54, in un tessuto di interessi gi delineato sia a livello nazionale (indicazioni del CIPE), sia a livello regionale (piano di razionalizzazione della rete dei distributori, indirizzi e criteri); e, infine, non si pu trascurare il rilievo che, anche coloro che intendono ridurre la competenza del comune a un atto interno al procedimento concessorio (che si assume, in ipotesi, di spettanza regionale), non negano che, comunque, l'espressione di una volont contraria del comune sia talmente decisiva da impedire il rilascio della concessione stessa. In definitiva, tanto un'interpretazione adeguatrice e sistematica della disposizione impugnata, quanto la collocazione degli interessi sottesi alla ripartizione di competenze fra regioni e comuni nella materia considerata, portano a conferire al punto 13 un senso meramente descrittivo delle ipotesi in cui appare necessario il provvedimento previsto nell'art. 54, lett. f), del d.P.R. n. 616 del 1977. Anche se si pu dubitare dell'efficacia di una disposizione del genere, resta il fatto che, solo se, interpretato in tal modo, il punto 13 non appare lesivo delle competenze delegate alle regioni in materia di distributori di carburanti (art. 52, 9 lett. a,' d.P.R. n. 616 del 1977). CORTE COSTITUZIONALE, 5 maggio 1988 n. 507 -Pres. Saja -Rel. Caianiello -Consorzio di credito oo.pp. (avv. Scoca), s.p.a. Dalmine Italsider e Finsider (avv. Lemme e Savarese), Camera di commercio di Milano (avv. Onida) e s.p.a. Italsider (avv. Lemme). Tributi in genere -Prestazioni patrimoniali imposte -Riserva di legge Elementi sufficienti. (Cost., art. 23; r.d. 20 settembre 1934 n. 2011, artt. 53 e 80). Ai fini dell'osservanza dell'art. 23 Cost. sufficiente che la legge ordinaria individui i soggetti obbligati alla prestazione patrimoniale imposta, RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DBll.O STATO 260 l'oggetto della stessa (ovvero oggettivi e razionali criteri per determinarlo), ed un adeguato modulo procedimentale per l'emanazione degli occorrenti provvedimenti amministrativi (1). (omissis) Nel merito le questioni non sono fondate. La giurisprudenza di questa Corte ritiene che il principio della riserva di legge, previsto dall'art. 23 Cost., sia rispettato anche in assenza di una espressa indicazione legislativa dei criteri, limiti e controlli sufficienti a delimitare l'ambito di discrezionalit de1l'amministrazione, purrch gli stessi siano desumibili dalla destinazione della prestazione, ovvero dalla composizione e dal funzionamento degli organi competenti a determinarne la misura (sentt. nn. 4 del 1957, 55 del 1963; 67 del 1973, 51 del 1%0 e 21 del 1969). Si esclude altres da questa Corte (sent. n. 34 del 1986) la violazione della norma costituzionale citata quando esista, per l'emanazione dei provvedimenti amministrativi concernenti il.e prestazioni, un modulo procedimentale a mezzo del quale si realizzi la collaborazione di pi organi, al fine di evitare eventuali arbitrii dell'amministrazione. La normativa oggetto della questione di costituzionalit risponde ai requisiti indicati dalla richiamata giurisprudenza costituzionale. Poich. come si detto, la norma istitutiva della prestazione in parola l'art. 7 del regolamento approvato con il R.D. 4 gennaio 1925, n. 29, -il cui contenuto, come si rilevato, ha assunto rango di legge ordinaria, per effetto del richiamo di cui all'art. 80 del R.D. 20 settembre 1934 - a tale norma che bisogna riferirsi per individuare gli elementi di detta prestazione patrimoniale imposta. Orbene, detta norma stabilisce che la Camera di commercio e indu stria provvede ai locali ed a quanto altro occorre per il funzionamento delle Borse di ommercio alle proprie dipendenze e dei relativi uffici forrnendo anche tutto il personale necessario sia per ie riunioni che per ' il funzionamento di detti uffici. Stabilisce altres che le spese relative alla pubblicazione del listino di borsa sono a carico della Camera di commercio e che le entrate sono, fra l'altro, costituite dai diritti di borsa che vengono ivi elencati, come si vedr in prosieguo. Quanto all'organo competente alla determinazione di quei diritti, la stessa norma prevede che le tariffe siano deliberate dailla Camera di commercio e che siano approvate con decreto del Capo dello Stato. (1) La sentenza conferma e puntualizza con chiarezza l'orientamento della Corte in ordine agU elementi sufficienti in presenza dei quali deve ritenersi osservata la riserva relativa di legge posta dall'art. 23 Cost. -Nella specie esaminata si trattato di prestazioni patrimoniali imposte (diritti inerenti ai servizi di borsa) ma non aventi carattere tributario; peraltro, come ovvio, il parametro costituzionale opera parimenti anche per i tributi. PARm I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTI1UZIONALE Quanto alla portata del secondo comma dell'art. 53 del t.u. del 1934, n. 2011 (che la norma denunciata in tutte le ordinanze di rinvio) va rilevato che in realt si in presenza di una disposizione dal contenuto meramente procedimentale, in quanto essa si limita a stabilire che l'indicato decreto del Capo dello Stato, per l'istituzione dei diritti inerenti ai servizi delle borse di commercio, promosso, per i diritti dile borse valori, dal Ministro delle finanze e per i diritti delle borse merci, dal Ministro per l'agricoltura e foreste di concerto con il Ministro dell'industria . Da quanto precede risulta dunque che, dal contesto in cui gli artt. 53 e 80 del t.u. del 1934 si collocano, certamente possibile desumere la presenza di quegli elementi che la giurisprudenza di questa Corte (in particolare da ultimo v. sul punto la sentenza n. 34 del 1986) ritiene sufficienti ai fini della rispondenza all'art. 23 Cost. dei tributi o comunque delle prestazioni imposte in genere. Tali elementi sono: i soggetti tenuti ailla prestazione e l'oggetto della stessa, razionali ed adeguati criteri per fa concreta individuazione dell'onere, e, infine, il modulo procedimentale che, come stato precisato da questa Corte nella sentenza per ultima richiamata, concorre ad escludere -l'eventualit di arbitrii da parte deM'amministrazione. Per quel che riguarda i soggetti, dal contenuto delle norme denunciate possibile individuarli in coloro che abbiano interesse rispetto ai servizi delle borse di commercio, dovendosi rilevare che l'art. 7 del R.D. del 4 gennaio 1925, n. 29, diversifica i diritti relativi a tali servizi: a) in quelli per la quotazione dei titoli sul listino di borsa; b) in quelli per iJ rilascio delle tessere d'ingresso ai recinti ed agli spazi riservati; c) in quelli per l'uso dei telefoni, di tavoli, cabine e per ogni servizio a disposizione delle borse. Da queste indicazioni risultano dunque ben individuabili i soggetti tenuti a tali prestazioni, cos per i diritti di quotazione nel listino, tali soggetti possono ravvisarsi nelle persone fisiche o societ, aventi appunto interesse alla quotazione dei titoli nel listino di borsa. Parimenti, dalle stesse indicazioni, chiaramente individuabile l'oggetto della prestazione patrimoniale imposta che ha, come punto di riferimento, gli elencati servizi di borsa, onde le prestazioni in parola devono avere attinenza con quei servizi e gravare perci sui soggetti che rispettivamente si avvalgono di tali servizi. Dalla individuazione di tali elementi discende, come automatica conseguenza, anche il requisito della desumibilit di criteri tecnici per la quantificazione delle tariffe, relative a ciascuno dei diritti di borsa indicati. Difatti i provvedimenti amministrativi, determinativi di tali tariffe, debbono prendere in considerazione il complesso delle spese sostenute dalle borse, ripartendo di conseguenza i diritti (rectius le prestazioni pa 262 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA D11U.O STATO trimoniali imposte) indicate sub a) b) e c), in misura ovviamente pro Iporzionale all'incidenza di ciascuna voce sul complesso di tali spese, attribuendo l'onere alle categorie di soggetti rispettivamente interessate e, facendolo infine gravare, nell'ambito di ciascuna categoria di destinatari ldei servizi, sui singoli soggetti, secondo criteri ispirati a princpi di ragio -~ nevolezza che esplicitamente o implicitamente siano desumibili dai decreti del Presidente della Repubblica che approvano le tariffe. Dalle elencate indicazioni risulta perci soddisfatta l'esigenza, posta in risalto dalla pi recente giurisprudenza di questi;t Corte (sentenza n. 34 del 1986) in tema di prestazioni patrimoniali imposte, secondo cui la delimitazione della potest amministrativa non deve necessariamente risultare dalla formula della norma stessa, ma ben pu risultare da tutto il contesto della disciplina relativa alla materia di cui essa fa parte. Anche l'esigenza di un modulo procedimentale, che metta al riparo dall'eventualit di arbitrii dell'amministrazione, rendendo possibile l'indagine sulle varie fasi del procedimento, appare nella specie soddisfatto. Basta al riguardo considerare che, secondo la normativa indicata, previsto, per i diritti sub a) e sub b) -che sono quelli aventi la maggiore rilevanza -una delibera della Camera di commercio nonch l'approvazione con decreto del Presidente della Repubblica (art. 7, comma quarto, R.D. n. 29 del 4 gennaio 1925), su proposta del Ministro competente (art. 53, comma secondo, t.u. 20 settembre 1934, n. 2011). Si dunque in presenza di un procedimento ben articolato che consente un adeguato controllo nel loro susseguirsi, delle varie fasi del procedimento per verificare fa ragionevolezza deHe dete11minazioni adottate. Quanto infine ai diritti indicati sub c), per i quali solo prevista la delibera della Camera di commercio, questa semplificazione procedimentale giustificata dalla natura dei servizi cui i dirittti in parola si riferiscono, perch essi concernono l'uso dei telefoni, dei tavoli, delle cabine e i di ogni altro servizio (chiaramente affine a quelli test elencati), cio di un complesso di prestazioni di carattere meramente materiale, rispetto I alle quali la garanzia procedimentale pu gi ritenersi soddisfatta, con la previsione della sola delibera della Camera di CORTE COSTITUZIONALE, 5 maggio 1988 n. 512 goni -Regione Valle d'Aosta (avv. Romanelli) dei Ministri (vice avv. gen. Azzariti). Regioni -Autorizzazione governativa agli acquisti per le regioni a statuto speciale. commercio. (omissis) I Pres. Saja -Rel. Men! ie Presidente Consiglio ! '~ 8 ~ I ~ -1. necessaria, anche Spetta allo Stato il potere di autorizzare le regioni, e in particolare ~ la Regione Autonoma Valle d'Aosta, ad acquistare beni immobili e ad I! I . 1 I I I PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITTTZIONALE 263 accettare lasciti o donazioni, quando l'acquisto sia deliberato con atto amministrativo della regione (1). Occorre precisare preliminarmente che l'assoggettamento delle regioni al requisito dell'autorizzazione governativa per gli acquisti di immobili a titolo oneroso e per l'accettazione di liberalit pu fondarsi soltanto sulla legge 5 giugno 1850 n. 1036 (c.d. legge Siccardi), applicabile a tutti i corpi morali , ossia come precisa l'art. 1 del regolamento di esecuzione approvato con r.d. 26 giugno 1864 n. 1817, a qualunque istituzione. Non sono applicabili alle regioni n la legge 21 giugno 1896 n. 218 e il regolamento di esecuzione approvato con r.d. 26 luglio 1896 n. 361, che riguardano le province, i comuni e le istituzioni pubbliche di beneficenza, n l'art. 17 cod. civ. e l'art. 5 delle disposizioni di attuazione, concernenti le sole persone giuridiche private (arg. ex art. 11 cod. civ.). Pertanto, nei confronti delle regioni l'istituto dell'autorizzazione agli acquisti -ritenuto applicabile dal Consiglio di Stato nel parere in data 19 maggio 1978, cui si conformata l'impugnata circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri -non implica la funzione tutoria di controllo della convenienza dell'acquisto e della disponibilit dei mezzi occorrenti, che per gli altri enti pubblici e le persone giuridiche private l'art. 2 n. 5 del r.d. n. 361 del 1896 e, rispettivamente, l'art. 5 disp. att. cod. civ. hanno aggiunto e quasi sovrapposto alla funzione originaria, identificata dalla sentenza n. 62 del 1973 di questa Corte nell' esigenza fondamentale e sempre attuale di contenere nei limiti del necessario gli acquisti patrimoniali destinati a mero scopo di investimento e di reddito. In questi termini il requisito dell'autorizzazione governativa compatibile con l'autonomia riconosciuta alle regioni dall'art. 115 Cost., e anche con l'autonomia riconosciuta alla Valle d'Aosta dall'art. 1 de11o statuto speciale. L'autonomia delle regioni, che, pur avendo carattere politico, non da confondere con la sovranit (C. cost. n. 143 del 1968), limitata alla valutazione e al perseguimento degli interessi specifici della regione. Invece l'autorizzazione agli acquisti, secondo la configurazione della legge Siccardi, ordinata alla tutela di un interesse della collettivit generale, della quale esponente lo Stato, e precisamente dell'interesse a (1) Sentenza di notevole interesse, ancorch dal tono un po' paleo-liberista laddove afferma in modo tranchant essere tuttora interesse della collettivit generale evitare una incontrollata espansione della mano pubblica (all'epoca della legge Siccardi reputata manomorta). L'Italia di oggi, affollata di uomini e di imprese produttive, ha grande bisogno di spazi di salvaguardia ambientale e in genere sottratti allo sfruttamento produttivo '" Inoltre, l'esperienza dell'ultimo sessantennio ha evidenziato sia la opportunit (anzi, sovente la necessit) di una ampia utilizzazione dello strumento proprietario da parte dello Stato e di enti pubblici, sia la molteplicit delle modalit di partecipazione della mano pubblica alle attivit produttive e commerciali. 5 264. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ridurre nella misura dello stretto indispensabile i mezzi patrimoniali destinati ad attivit non produttive, affinch la maggiore quantit possibile delle risorse economiche del paese possa concorrere ad aumentare la produzione e quindi la ricchezza nazionale . Alla stregua di questa ratio legis appare infondata la pretesa della Regione ricorrente che gli acquisti immobiliari delle regioni siano assoggettati a un regime analogo a quello dei beni statali, per i quali lo Stato stesso valuta l'opportunit dell'acquisto in relazione all'esigenza di evitare la costituzione di manomorte . D'altra parte non esatto che l'alternativa sia l'assoggettamento delle regioni a un regime analogo a quello degli enti locali : come si gi sottolineato, nei confronti delle regioni rimane estranea all'autorizzazione l'ulteriore funzione tutoria che essa svolge nei rapporti con gli altri enti, cio la funzione di un sindacato governativo sull'opportunit dell'acquisto dal punto di vista dell'interesse dell'ente, e di tutela degli eredi legittimi del testatore o del donante. Cade di conseguenza anche l'argomento che la ricorrente ritiene offerto dall'art. 15 del d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616, nel senso che se le regioni hanno competenza ad assentiire agli acquisti di enti locali e di persone giuridiche private, appare incongruo e privo di razionalit che si neghi ad esse la competenza di valutare l'opportunit dei propri acquisti immobiliari . Anzitutto il trasferimento delle funzioni amministrative previsto dalla norma citata riguarda soltanto gli enti pubblici locali operanti nelle materie di cui al presente decreto , restando esclusi in primo luogo le province e i comuni, i cui acquisti continuano ad essere soggetti all'autorizza,zione governativa. Secondariamente, tra l'autorizzazione agli acquisti immobiliari degli enti locali e l'autorizzazione agli acquisti della regione non vi simmetria, perch per quest'ultima il controllo non si estende all'opportunit dell'acquisto. Non sussistono nemmeno le altre violazioni dello statuto regionale lamentate dalla Valle d'Aosta. (omissis) Non violato l'art. 3 lett. c), che attribuisce alla Regione potest legislativa (concorrente) in materia di espropriazione per pubblica utilit per opere non a carico dello Stato . vero che l'espropriazione conduce inevitabilmente alla realizzazione di un acquisto immobiliare , ma ci significa soltanto che, alla condizione indicata, la norma statutaria estende, in via eccezionale, agli acquisti immobiliari mediante espropriazione per pubblica utilit l'esonero dalla necessit dell'autorizzazione governativa previsto dall'art. 5, primo comma, del r.d. n. 1817 del 1864 per gli acquisti a seguito di procedimenti di esecuzione forzata immobiliare. Altrettanto inconsistente la pretesa violazione degli artt. 5 e 6 dello statuto regionale. Il trasferimento al demanio o al patrimonio della Regione dei beni del demanio o del patrimonio dello Stato, disposto dalla legge costituzionale n. 4 del 1948, non esclude che atti successivi di acqui PARm I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITTTZIONALE sto di beni immobili, destinati a far parte del demanio o del patrimonio regionali, siano soggetti all'autorizzazione governativa richiesta per tutte le pubbliche istituzioni dalla legge n. 1037 del 1850. Non sussiste, infine, la lamentata violazione del principio di coincidenza tra competenza amministrativa e competenza legislativa della Regione, risultante dall'art. 4 dello statuto speciale. Con questo principio contrasterebbe, secondo la ricorrente, la possibilit di evitare la richiesta di autorizzazione governativa attraverso l'emanazione di una legge regionale , riconosciuta dalla circolare impugnata, la quale limita la necessit dell'autorizzazione governativa agli acquisti delle regioni che non vengono effettuati attraverso atti legislativi. Il detto principio non richiamato a proposito. L'autorizzazione governativa di cui si discute non si sovrappone alla competenza amministrativa della Regione in una materia inclusa nella sua competenza legislativa, bens si aggiunge alla delibera dell'amministrazione regionale come modalit del procedimento di formazione dell'atto negoziale col quale la Regione acquista un bene immobile o accetta un lascito o una donazione. I CORTE COSTITUZIONALE, 19 maggio 1988 n. 556 -Pres. Saja -Rel. Caia niello -Comune di Bosa (n.p.) e regione Sardegna (avv, Panunzio). Regioni Atti degli enti locali -Comminatoria della decadenza -Competenza regionale -Non sussiste. (Statuto Sardegna, artt. 3, 4 e 5; legge Sardegna 23 ottobre 1978 n. 62, art. 22). La previsione di una sanzione di decadenza per atti di enti locali non attiene alla materia dei controlli su tali atti; alla regione non spetta potest legislativa in materia. di ordinamento degli enti locali. II CORTE COSTITUZIONALE, 10 giugno 1988 n. 612 -Pres. Saja -Rel. Baldassarre -Regione Toscana (avv. Barile) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Azzariti). Regioni -Controllo sugli atti delle unit sanitarie locali -Attribuzione ai comitati regionali di controllo sulle province Legittimit costitu zionale. (Cost. artt. 117, 123 e 130; legge 26 aprile 1982 n. 181, art. 13). La materia dei controlli sugli atti degli enti locali non assimilabile a quella dell'ordinamento degli uffici ed enti regionali. In ordine ai controlli 266 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO si ha una ripartizione delle competenze fra Stato e regioni tale che, mentre al primo riservata la regolamentazione degli aspetti_ fondamentali e dei princpi (vale a dire, oltre alla composizion.e, le norme pi rilevanti sulla competenza e sulle procedure di controllo), spetta invece alle regioni la disciplina residuale e, in particolare, quella relativa al funzionamento dell'organo di controllo (1). I Oggetto della questione di legittimit costituzionale l'art. 22 della legge regionale della Sardegna, che commina la decadenza delle deliberazioni degli enti locali territoriali, nonch dei loro Consorzi e Comprensori, non pubblicate entro dieci giorni dall'adozione. Ad avviso del giudice a quo tale disposizione si porrebbe in contrasto con gli artt. 3, 4 e 5 dello Statuto regionale, che non attribuiscono alcuna competenza legislativa alla regione in materia di ordinamento degli enti locali. La questione fondata, si~ pure solo parzialmente. La norma denunciata, fatte salve le disposizioni di legge speciali che prevedono termini e periodi diversi di pubblicazione, stabilisce che le deliberazioni degli enti in parola sono pubblicate negli appositi albi entro dieci giorni dall'adozione e per la durata di quindici giorni, a pena di decadenza. Osserva la Corte che tale norma, per la parte che concerne l'obbligo della pubblicazione delle deliberazioni degli enti locali entro un certo termine, non pu considerarsi illegittima, in quanto la pubblicazione, nel dare notizia ai cittadini delle deliberazioni stesse, consente ad essi di partecipare, seppur indirettamente, alla funzione di controllo, mediante la proposizione di opposizioni ai competenti organi preposti a questa funzione che, anche attraverso tale strumento partecipativo, sono posti in grado di esercitare in modo pi ampio e completo. Nei sensi anzidetti trattasi di una previsione fra l'altro gi esistente nella legislazione statale, perch difatti l'art. 163 del regolamento di esecuzione della legge comunale e provinciale, approvato con r.d. 12 febbraio 1911 n. 297, stabiliva che il certificato dell'eseguita pubblicazione delle deliberazioni comunali e provinciali, deve far menzione se siansi prodotte opposizioni . (1) La Corte ha avuto cura di prendere le distanze dalla configurazione delle U.S.L. alla stregua di strutture operative dei comuni e delle comunit montane . Ed in effetti tale configurazione si palesa sempre meno congrua. Anzi, poco razionale -specie dopo che il numero delle U.S.L. sar ridotto appare il collegamento tra detti organismi e le realt dei comuni (singoli od associati); mentre questi sono sovraccarichi di funzioni, proprio la provincia ente di dimensione adeguata e non privo di una esperienza in materia. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE In quanto diretta a disciplinare i termini della pubblicazione che, per quel che si detto, assume rilievo anche con riferimento al controllo sulle deliberazioni, la disposizione rientra dunque nella competenza della regione cui spetta, neMa materia dei controlli, potest legislativa ai sensi dell'art. 46 dello Statuto regionale Sardegna. A diverse conclusioni devesi invece pervenire per quel che riguarda la comminatoria di decadenza prevista dall'articolo in esame, nell'ipotesi in cui non si provveda alla pubblicazione nei termini e per la durata indicata. Quella della decadenza difatti una previsione che non attiene alla materia dei controlli, bens alla disciplina dell'efficacia delle deliberazioni, in quanto il mancato adempimento delle formalit di pubblicazione determina appunto, secondo la norma denunciata, la decadenza degli effetti delle deliberazioni stesse. Sotto quest'ultimo aspetto la norma esula dalla competenza della Regione, cui non spetta la potest legislativa in materia di ordinamento degli enti locali, e, quindi, limitatamente alla previsione della decadenza, deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima. II La questione di costituzionalit posta al giudizio di questa Corte concerne l'art. 13 della legge 26 aprile 1982, n. 181, nella parte in cui, estendenqo la competeza dei comitati per il controllo sulle province (art. 55, 1. 10 febbraio 1953, n. 62) agli atti delle U.S.L., prevede che tale forma di controllo sia esercitata a livello regionale in unica sede . Da parte della Regione Toscana si dubita della legittimit costituzionale di tale disposizione per l'asserito contrasto con le seguenti disposizioni: a) l'art. 130 Cost., come attuato dall'art. 56 della legge 10 febbraio 1953, n. 62, in quanto attribuisce alle regioni e, pi in particolare, alla loro competenza statutaria la scelta di prevedere se il controllo sugli atti dei comuni debba esser svolto in forma accentrata o decentrata nei capoluoghi di provincia; b) l'art. 123 Cost., che affida la disciplina degli organi regionali, e quindi anche quella degli organi di controllo, alla competenza statutaria, la quale, nel suo svolgimento concreto (art. 70, secondo comma, St. Reg. Toscana), ha stabilito che il controllo sugli atti degli enti locali debba venir esercitato da un organo suddiviso in sezioni decentrate nei capoluoghi di provincia e dotato delle competenze stabilite dalla legge regionale; e) con l'art. 117, primo comma, Cost., che prevede la competenza legislativa delle regioni a statuto ordinario in materia di organi e di uffici regionali. Nei termini di cui si dir in motivazione, la questione non fondata. Come chiaramente stabilito dall'art. 130 Cost. e come questa Corte ha da tempo riconosciuto (v. sent. n. 40 del 1972), non vi pu esser dubbio 268 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO che sia riservata alla legge dello Stato la disciplina relativa al modo di composizione dei comitati regionali di controllo sugli enti locali minori. In pari tempo, questa stessa Corte ha pi in generale affermato, secondo la precisa sintesi contenuta in una successiva pronunzia (sent. n. 245 del 1984), che spetta in prima linea alle leggi della Repubblica, in attuazione dell'art. 130 Cost., l disciplina dei controlli sugli atti degli enti locali . Ci significa, in altre parole, che esiste in materia una ripartizione delle competenze fra Stato e regioni tale che, mentre al primo riservata la regolamentazione degli aspetti fondamentali e dei pincpi (vale a dire, oltre alla composizione, le norme pi rilevanti sulla competenza e sulle procedure di controllo), spetta invece alle regioni la disciplina residuale e, in particolare, quella relativa al funzionamento dell'organo di controllo. A differenza di quanto assume la ricorrente, questo quadro normativo non risulta scalfito o, comunque, modificato in conseguenza della pur necessaria interrelazione dell'art. 130 Cost. con gli artt. 117, primo comma, e 123, primo comma, Cost., che affidano, rispettivamente, alla competenza legislativa e a quella statutaria l'ordinamento degli uffici e degli enti regionali e l'organizzazione interna della Regione, poich, come ha ripetutamente affermato questa Corte, la materia dei controlli non del tutto assimilabile alle materie da ultimo menzionate, n, tantomeno, integralmente riassorbibile nelle stesse. E per la verit; non pu essere invocata nel senso ora contestato neppure la disposizione contenuta nell'art. 70 St. Reg. Toscana, poich quest'ultima, nel disporre che nei capoluoghi di provincia sono istituite sezioni decentrate dell'organo regionale di controllo, mentre non stabilisce affatto in relazione a quali forme di controllo o a quali atti debbano operare tali sezioni decentrate, nello stesso tempo rinvia la determinazione delle competenze dell'organo regionale_ di controllo e delle sue sezioni decentrate alla legge regionale, la quale, come noto, pu disciplinare la materia soltanto nel rispetto dei limiti costitu~ zionalmente previsti e, in particolare, nel rispetto del limite dei princpi stabiliti sulla materia dalle leggi dello Stato. Posta a confronto con tale complesso di norme costituzionali, la disposizione impugnata non appare illegittima. Nel corretto esercizio della propria competenza, lo Stato ha attuato l'art. 130 Cost. essenzialmente attraverso gli artt. 55 e 56 della legge 10 febbraio 1953, n. 62, stabilendo, nel_ primo, le norme fondamentali sul controllo degli atti delle province e, nel secondo, quelle relative al controllo sugli atti dei comuni. Soltanto in quest'ultimo caso, peraltro, la legge statale prevede che gli statuti regionali possano eventualmente prevedere sezioni distaccate del medesimo organo di controllo. Nell'istituire successivamente le Unit Sanitarie Locali, la legge 23 dicembre 1978, n. 833, ha previsto, all'art. 49, che il controllo sugli atti di PARm I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALB tali enti dovesse seguire le norme predisposte dall'art. 56 della legge n. 62 del 1953, sull'evidente presupposto che il regime degli atti adottati dalle U.S.L. dovesse essere assimilato a quello proprio degli atti dei comuni, in quanto le anzidette Unit sono da considerare strutture operative dei comuni medesimi (oltrech delle comunit montane). Questa scelta effettuata dal legislatore statale del 1978 stata modifiata dall'art. 13, quarto comma, della legge 26 aprile 1982, n. 181, che , appunto, la disposizione oggetto del presente giudizio. Come appare evidente dal fatto stesso del suo inserimento nella legge finanziaria del 1982, tale disposizione rientra in un complesso di norme vlto a rendere pi rigorosa la gestione della spesa pubblica imputata alle U.SL.. ~ in questo quadro che si giustifica, infatti, tanto l'inserimento di un rappresentante del_ Ministero del Tesoro nel Comitato di controllo, quanto l'accentramento in un'unica sede, a livello regionale, del controllo sugli atti delle U.S.L., a seguito dell'assimilazione di quest'ultimo a quello previsto per gli atti delle province (art. 55, I. n. 62 del 1953). Se, dunque, non appare irragionevole che il legislatore statale, nella sua discrezionalit politica, preveda una composizione dell'organo di controllo regionale ritenuta pi idonea a combattere gli eccessi di spesa pubblica nel settore sanitario (v. sent. n. 107, punto 6, del 1987), allo stesso modo non appare irragionevole che le regole cos stabilite, in attuazione dell'art. 130 Cost., possano comportare un mutamento dell'organizzazfone del controllo medesimo, diretto a facilitarne lo svolgimento nei modi anzidetti. Sotto questo profilo, la scelta del legislatore statale relativa all'accentramento in un'unica sede regionale del controllo sugli atti delle U.S.L. appare logicamente conseguenziale alle nuove regole previste sulla composizione dell'organo. E l'una e l'altra, come s' detto, sono giustificate dalla politica di contenimento della spesa pubblica nel settore sanitario, resasi necessaria in un periodo storico di forti disavanzi nel bilancio statale, che appesantiscono l'economia generale e le stesse possibilit di sviluppo e di progresso sociale. Resta il fatto che, finch le U.S.L. sono configurate nel diritto positivo come strutture operative dei comuni e delle comunit montane, ovvie esigenze di coerenza dovrebbero indurre il legislatore statale ad assimilare il controllo sugli atti delle U.S.L. a quello sugli atti dei comuni, con la conseguente possibilit, garantita dall'art. 56 della legge n. 62 del 1953, che le regioni organizzino il relativo controllo in forma decentrata. Tanto pi ci vale se si tiene conto del fatto che la disciplina oggetto della presente impugnazione pu essere fonte di effetti irrazionali sotto un duplice profilo. Innanzitutto per il fatto che l'accentramento in un'unica sede regionale degli atti di esercizio della gestione sanitaria introduce un criterio 270 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO cli ripartizione delle competenze nel sistema cli controllo degli atti degli enti locali il quale eterogeneo rispetto a quello contenuto nella legge n. 62 del 1953 (dipendente, com' noto, dal livello, provinciale o comunale, in cui collocato l'autore dell'atto). Inoltre, per il fatto che, essendo in Toscana le U.S.L. titolari anche di gran parte delle funzioni di assistenza sociale, anche gli atti adottati nell'esercizio di tale funzione finiscono per essere assoggettati, insieme alle deliberazioni in materia sanitaria, al controllo del Comitato regionale. Tuttavia, se esigenze legate a particolari contingenze storiche di primario interesse nazionale inducono a giustificare il fatto che il legislatore statale, nel legittimo esercizio deHe proprie competenze, preveda una particolare composizione dell'organo di controllo; e se da questa previsione discende logicamente che il controllo stesso possa pi efficacemente svolgersi ove sia esercitato in un'unica sede regionale, non si pu certo dubitare della legittimit costituzionale di una disposizione come quella impugnata fin tanto che quest'ultima sia funzionale, com' ora, alla particolare composizione dell'organo di controllo prescelta per meglio fronteggiare gli eccessi di spesa pubblica nel settore sanitario. CORTE COSTITUZIONALE, 10 giugno 1988, n. 613 -Pres. Saja -Rel. Baldassarre -Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato D'Amato) e Regione Toscana (avv. Barile). Regioni -Controlli sugli organi degli enti locali -Spettano allo Stato. Spettano allo Stato e non alle regioni i controlli sugli organi degli enti locali (nella specie, il potere di nomina del collegio commissariale di unit sanitaria locale). (omissis) Nel merito, il ricorso dello Stato va accolto, poich non si pu certo consid~rare come rientrante fra le attribuzioni regionali la nomina di un collegio commissariale per la gestione di un'Unit Sanitaria Locale che si trovi nell'impossibilit temporanea di funzionare. A base di tale decisione va posto il principio, costantemente affermato da questa Corte (v., specialmente, le sentt. nn. ,164 del 1972 e 245 del 1984), per il quale, mentre i controlli sugli atti degli enti locali sono di pertinenza delle regioni, che li esercitano per il tramite degli appositi comitati regionali (art. 130 Cost., nonch artt. 55 e segg. della legge 10 febbraio 1953, n. 62), al contrario i controlli sugli organi degli stessi enti locali rientrano nelle competenze dello Stato, in quanto espressione dell'indefettibile momento di unitariet proprio dell'ordinamento complessivo. E, poich le Unit Sanitarie Locali, quali strutture operative PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE dei comuni e delle comunit montane (ex artt. 13, primo e secondo comma, e 15, primo comma, della legge 23 dicembre 1978, n. 833), sono assimilate e sottoposte, in base all'espressa previsione dell'art. 49, primo e secondo comma, della legge istitutiva del servizio sanitario nazionale, allo stesso regime dei corrispondenti controlli disposto per i comuni e le province, ne consegue che il principio regolativo appena menzionato trova applicazione anche al caso di specie (sent. n. 245 del 1984). Che la nomina del Collegio commissariale per la gestione dei servizi dell'U.S.L. n. 7 -Val di Nievole , effettuata dal Consiglio regionale della Toscana con l'atto impugnato, debba esser considerata attivit rientrante nell'ambito del controllo sugli organi, e non gi in quello del controllo sugli atti, deriva da un duplice e concorrente rilievo. Innanzitutto, la stessa premessa della delibera da cui ha origine il presente conflitto pone in evidenza l'incontestabile collegamento della nomina del predetto Collegio commissariale con una decisione giurisprudenziale, come quella del T.A.R. per la Toscana precedentemente ricordata, che, avendo annullato l'elezione del Comitato di gestione della U.S.L. n. 7, ha direttamente colpito quest'ultimo organo, dichiarandone illegittima la sua stessa formazione, e non gi il compimento di singoli atti. Di modo che il presupposto della nomina del Cllegio commissariale qui in contestazione dato, non certo dall'inerzia o dal ritardo del Comitato di gestione nel compiere determinati atti, ma dal fatto che esso era disciolto e pertanto, come si legge testualmente nella stessa delibera di nomina, non era in grado di espletare alcuna funzione di amministrazione ordinaria o straordinaria . In secondo luogo, va osservato che la delibera impugnata, in piena coerenza con il presupposto da cui muove, non ha previsto un'ipotesi di commissariamento ad acta, come sostiene invece la difesa della Regione, ma ha dato vita, piuttosto, a una forma di sostituzione in ufficio, la quale risulta chiaramente dalle attribuzioni che la delibera medesima ha inteso conferire al predetto Collegio commissariale, consistenti nei poteri di ordinaria amministrazione propri degli organi dell'Unit Sanitaria Locale (se pure con la puntuale ed espressa esclusione di alcuni di essi). Da tutto ci deriva che l'attribuzione qui in contestazione rientra nell'ambito dei controlli sugli organi e, in particolare, nell'ambito dei poteri di sostituzione in ufficio spettanti allo Stato in base all'art. 19, quinto comma (ultima parte), del T.U.L.C.P. 3 marzo 1934, n. 383, che attribuisce al prefetto il potere di nominare commissari per reggere le amministrazioni degli enti locali -e quindi anche gli organi di gestione delle strutture .operative di questi ultimi -per il periodo di tempo strettamente necessario in cui non siano in grado, per qualsiasi ragione, di funzionare. (omissis) 272 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO I CORTE COSTITUZIONALE, 10 giugno 1988, n. 618 Pres. Saja -Rel. Corasaniti -Regione Veneto (avv. Ammassari) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Bruno). Regioni Turismo ed industria alberghiera Soggiorni brevi presso affittacamere Competenza regionale. Non spetta allo Stato di disporre le deroghe, previste dall'art. 3, comma secondo, della legge 16 giugno 1939, n. 1111, al divieto, posto dal primo comma del medesimo articolo, per gli affittacamere di fornire alloggio per un periodo inferiore a sette giorni. II CORTE COSTITUZIONALE, 10 giugno 1988, n. 625 -Pres. Saja -Rel. Corasaniti Regione Sicilia (avv. Aula) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Zagari). Sicilia Trasporti marittimi . Aumento tariffe passeggeri Parere della regione Necessit. Sicilia Trasporti marittimi internazionali Competenza statale. Non spetta allo Stato disporre l'aumento delle tariffe passeggeri ed auto al seguito sui collegamenti marittimi con la Sicilia, senza avere preliminarmente sentito il parere dell'amministrazione regionale. Spetta allo Stato disporre la variazione degli orari delle linee di navigazione tra il porto di Tunisi e la Sicilia, senza necessit di sentire preliminarmente il parere dell'amministrazione regionale. III CORTE COSTITUZIONALE, 10 giugno 1988, n. 627 -Pres. Saja Rel. Co- I1 rasaniti -Regione Sardegna (avv. Panunzio) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Favara). j f i f Sardegna Trasporti sulle ferrovie dello Stato Condizioni e tariffe Mof I ~ dificazioni di portata nazionale Competenza statale. f Spetta allo Stato determinare condizioni e tariffe per il trasporto delle persone e delle cose sulle ferrovie dello Stato senza la partecipa- l I I I ............... PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALl! zione della Regione Sardegna al relativo procedimento, qualora la Regione non possa vantare in proposito un interesse diretto e qualificato. I La Regione Veneto ha promosso conflitto di attribuzioni nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministr:i in ordine alla deliberazione della Commissione di controllo 14 aprile 1980, con la quale stato annullato il provvedimento n. 1430 del 18 marzo 1980 della Giunta regionale, diretto a disporre deroga al divieto, posto agli affittacamere con l'art. 3, comma secondo, legge 16 giugno 19391 n. 1111, di fornire alloggio per un periodo inferiore a sette giorni. Sostiene la regione che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Commissione di controllo, la competenza a disporre deroghe al detto divieto spetta ad essa regione in quanto rientrante nelle funzioni in materia di turismo e industria alberghiera, ad essa trasferite, in attuazione dell'art. 117 Cost., dal d.P.R. 14 gennaio 1972, n. 6 e, ora, dal d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616. La Commissione di controllo ha posto a base del proprio contrario avviso il tenore testuale dell'art. 3, comma secondo, della legge n. 1111 del 1939, secondo il quale deroghe giustificate al divieto posto dal comma primo del medesimo art. 3 possono essere disposte dal Prefetto, che " ne dar comunicazione all'Ente regionale per il turismo . Ora, finalit della limitazione della durata dell'alloggio soltanto quella di evitare fenomeni di concorrenza tra affittacamere ed alberghi, pensioni o esercizi similari, nella prospettiva del coordinamento fra attivit propriamente alberghiere ed attivit complementari, quali quella dell'affittacamere per brevi periodi. Le funzioni amministrative di vigilanza sull'osservanza delle disposizioni contenute nella suddetta legge, di cui fa menzione l'art. 11 della medesima, attengono pertanto alla materia del turismo e dell'industria alberghiera. Ma le funzini suddette, gi di competenza del Ministro del turismo e spettacolo, sono state trasferite alle regioni, in attuazione dell'art. 117 Cost., con il d.P.R. 14 gennaio 1972, n. 6. Con norma di chiusura, dettata all'art. 1, comma terzo, lett. 1), viene attribuita alle Regioni ogni altra funzione amministrativa esercitata dagli organi centrali e periferici dello Stato in materia, fatte salve le esclusioni contenute nei successivi articoli. Il trasferimento stato completato con l'art. 50 del d.P.R. n. 616 del 1977, che, all'art. 56, precisa il contenuto delle funzioni trasferite con formula assai ampia. Non rileva, dunque, che l'osservanza delle disposizioni contenute nella citata legge n. 1111 del 1939 fosse affidata al Prefetto -che fa esercitava avvalendosi indifferentemente dell'Autorit di pubblica sicu 274 RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO rezza -'-dall'art. 11 della stessa legge e, successivamente, dall'art. 24 del d.P.R. 28 giugno 1955, n. 630. Nel quadro della legge n. 1111 del 1939 tale attribuzione si spiega con la qualit del Prefetto di organo cui competeva nell'ambito della provincia l'esercizio dei poteri ministeriali, e cio, nel caso, del Ministro del turismo e spettacolo. E, ferma restando la materia, si spiega con la disciplina del decentramento, nel quadro del d.P.R. 28 giugno 1955, n. 630, anche esso anteriore peraltro al trasferimento delle funzioni statali in tema di turismo e industria alberghiera alle regioni come sopra operato. Ed appena da aggiungere che, poten dosi il prefetto servire indifferentemente dell'autorit di polizia, come era d'altronde normale in qualsiasi materia, e dei funzionari degli Enti provinciali per il turismo, solo l'impiego di questi ultimi era significante. N rirleva che relativamente all'attivit degli affittacamere siano pure previste funzioni di pubblica sicurezza. La previsione, infatti, non concerne l'osservanza delle disposizioni della legge n. 1111 del 1939, bens l'acquisizione, ai sensi degli artt. 108 t.u.l.p.s., dettato con R.D. 18 giugno 1931, n. 773, e 192 del relativo regolamento di esecuzione, dettato con R.D. 6 maggio 1940, n. 635, degli elementi obbiettivi (numero delle camere e dei letti offerti e, nel caso degli affittacamere, il mutamento di tali condizioni e della sede dell'azienda) necessari ad esercitare i controlli sulla identit delle persone alloggiate e sui loro movimenti: controlli, questi s, rientranti in quella vigilnza che il proprium della polizia di sicurezza. E analogamente deve ritenersi per l'acquisizione delle comunicazioni che l'affittacamere ha l'obbligo di effettuare all'autorit di pubblica sicurezza in occasione dei singoli soggiorni (art. 109 t.u.l.p.s.), obbligo esteso a chiunque ceda a terzi la propriet o il godimento di un alloggio per un tempo superiore a un mese con l'art. 12 d.l. 21 marzo 1978, n. 59, convertito nella legge 18 maggio 1978, n. 191. Disposizione, questa, che non innova affatto, contrariamente a quanto sostiene la Presidenza del Consiglio dei ministri, nel senso di attrarre la disciplina dell'attivit degli affittacamere racchiusa nella legge n. 1111 del 1939 nell'orbita della materia della pubblica sicurezza (art. 4 d.P.R. n. 616 del 1977). Che, poi, all'autorit di pubblica sicurezza sia utile venire a cono scenza delle deroghe al divieto eventualmente disposte per tenerne conto nell'organizzare la propria attivit di vigilanza, altro non vuol dire che sua cura sollecitare dalla regione notizie in proposito. E pu semmai ritenersi non sia estraneo all'osservanza del principio di leale cooperazione, cui devono essere informati i Tapporti fra Stato e re!one, che questa fornisca all'autorit di p.s., per agevolare alla medesima lo svolgimento dei suoi compiti, utili informazioni sulle deroghe adottate. Ma tutto ci non toglie che restino ferme le rispettive competenze, come sopra individuate. t I I PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COST:'TUZIONALB Il (omissis) Alla stregua delle considerazioni appare fondato il ricorso con il quale stato sollevato conflitto, ad opera della Regione Sicilia, avverso la nota del Ministro della marina mercantile, in data 9 maggio 1981, recante l'aumento delle tariffe passeggeri ed auto al seguito sui collegamenti marittimi con la Sicilia. Non vi dubbio, infatti, che la fattispecie rientra nell'ambito di applicazione degli artt. 22 dello Statuto speciale ed 8 del d.P.R. n. 1113/1953, sicch era necessaria la preventiva consultazione della Regione Sicilia, che invece illegittimamente mancata. (omissis) Con ricorso n. 5 del 1982, la Regione Sicilia ha sollevato conflitto avverso la nota del Ministro della marina mercantile, in data 20 febbraio 1982, n. 311/311, con la quale stata disposta, a seguito di determinazioni adottate dalle autorit marittime della Tunisia, la variazione degli orari delle linee di navigazione gestite dalla Societ Tirrenia tra il porto di Tunisi e la Sicilia. Lamenta infatti la ricorrente che, anche in questo caso, il provvedimento stato adottato dall Stato senza acquisire il parere della regione ai sensi degli artt. 22 dello Statuto speciale e 8 del d.P.R. n. 1113/1953. Il ricorso non fondato. Osserva la Corte che nella specie vengono in considerazione trasporti marittimi internazi.onali (tra l'Italia e la Tunisia), sicch non pu essere invocata l'applicazione delle suindicate disposizioni, che rigua'I'dano esclusivamente i servizi nazionali di comunicazione e trasporti terrestri, marittimi ed aerei. III La regione Sardegna ha proposto conflitto di attribuzione in ordine al decreto del Ministro dei trasporti 25 ottobre 1984 (Modificazioni alle condizioni e tariffe per i trasporti delle persone e delle cose sulle ferrovie dello Stato), del quale ha chiesto anche la sospensione. In particolare la regione lamenta la violazione degli artt. 3, lett. g), e 53 dello Statuto speciale per la Sardegna (legge Cost. 26 febbraio 1948, n. 3), nonch degli artt. 59, 61 e 67 del d.P.R. 19 giugno 1979, n. 348 (recante Norme di attuazione del medesimo Statuto in riferimento alla legge 22 luglio 1975, n. 382 ed al d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 ). Tanto, in ragione della mancata partecipazione della Regione al procedimento di formazione, partecipazione che si assume imposta in particolare dal menzionato art. 53 dello Statuto di autonomia. Il ricorso non fondato. Dispone l'art. 53 dello Statuto speciale che la Regione sia rappresentata nella elaborazione delle tariffe ferroviarie e della regolamentazione dei servizi nazionali di comunicazione e trasporti terrestri, marittimi ed aerei che possano direttamente interes RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELt..O STATO sarla , mentre gli artt. 65, 66 e 67 del citato d.P.R. n. 348 disegnano le forme della relativa partecipazione regionale (che si differenziano a seconda che i provvedimenti siano di competenza del Consiglio dei ministri, di una diversa sede collegiale, o di un organo individuale). Risulta cos dalla formazione del precetto statutario (ripresa dall'art. 65, comma primo, del d.P.R. n. 348 del 1979) che la partecipazione della Regione alla formulazione dei provvedimenti in materia di tariffe e di regolamentazione dei servizi di comunicazione e trasporto richiesta solo in presenza di interesse della regione particolarmente qualificato perch diretto. E non sembra che la formulazione medesima sia priva di significato, ove si consideri che essa anche pi restrittiva di quella contenuta nell'art. 22 dello Statuto della Regione siciliana, a tenore del quale la Regione ha diritto di partecipare con un suo rappresentante, nominato dal Governo regionale, alla formazione delle tariffe ferroviarie dello Stato ed alla istituzione e regolamentazione dei servizi nazionali di comunicazione e trasporti, terrestri, marittimi ed aerei, che possano comunque interessare la Regione . Occorre dunque domandarsi se un interesse diretto della regione Sardegna nel senso assunto dal precetto statutario possa configurarsi in relazione all'emanazione di un provvedimento come quello impugnato, concernente condizioni e tariffe per i trasporti delle persone e delle cose sulle ferrovie dello Stato, da valere uniformemente per l'intero territorio nazionale: se, cio, un siffatto interesse possa ravvisarsi in relazione alla circostanza che le condizioni e tariffe adottate, pur senza a:iguardare specificamente iii. territorio della regione, riguardassero anche il detto territorio, in quanto compreso in quello nazionale. Ma al quesito non pu darsi che risposta negativ, ove si consideri che un interesse diretto nel senso suindicato non pu individuarsi se non l dove esso si inscrive in un rapporto esclusivo, o particolarmente intenso, fra la materia, o l'affare, o la regolazione dell'una o dell'altro, e la singola regione ad autonomia speciale: ipotesi che qui non si verifica, versando la materia e la sua regolazione in un rapporto indifferenziato con tutte le regioni. Esattamente ricorda l'Avvocatura dello Stato che gi in precedenti occasioni (v. le sentt. nn. 34 e 166 del 1976) questa Corte ha avuto modo di sottolineare, in presenza di analoghe formule statutarie, l'esigenza di una differenziazione dell'interesse regionale, che giustifichi la partecipazione delle Regioni all'esercizio di competenze riservate allo Stato: in quelle evenienze si trattava dell'art. 40, comma secondo, dello Statuto per il Trentino-Alto Adige (il Presidente della Giunta regionale interviene alle sedute del Consiglio dei Ministri, quando si trattano questioni che riguardano la Regione) e dell'art. 21 dello Statuto siciliano (il Presidente della Regione col rango di Ministro partecipa al 1 1 l I I PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTIT'JZIONALE Consiglio dei ministri con voto deliberativo nelle materie che interessano la Regione). Tale esigenza va qui riaffermata con forza particolare, perch la formula statutaria in giuoco ancora pi rigida di quelle ora menzionate, e richiede espressamente che la Regione sia direttamente interessata alle determinazioni riservate alla competenza dello Stato. CORTE COSTITUZIONALE, 10 giugno 1988, n. 634 -Pres. Saja -Rel. Mengoni -Regione Sicilia (avv. Virga) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Laporta). Sicilia Assicurazioni Rischi entro i limiti territoriali dlla regione Nozione. Spetta allo Stato autorizzare imprese di assicurazione aventi sede in Sicilia a esercitare attivit assicurativa avente per oggetto l'assunzione di rischi che possono verificarsi fuori dal territorio della Regione siciliana, restando esclusa, per quanto riguarda specificamente l'assicurazione obbligatoria della responsabliit civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, ogni competenza della Regione in ordine all'esercizio di tale assicurazione, anche limitatamente al rischio connesso alla circolazione degli autoveicoli e dei natanti nell'ambito territoriale della Sicilia. (omissis) Nel merito il ricorso fondato. L'art. 17 lett. e) dello Statuto siciliano attribuisce alla Regione una competenza legislativa secondaria in materia, tra l'altro, di disciplina delle assicurazioni, entro i limiti dei principi e degli interessi generali cui si informa la legislazione dello Stato e al fine di soddisfare condizioni particolari e interessi propri della Regione; a norma dell'art. 20, le correlative funzioni esecutive e amministrative sono svolte dal Presidente e dall'assessore regionale. In attuazione di tali norme, l'art. 4, primo comma, del d.P.R. 5 novembre 1949, n. 1182, determina la misura in cui le attribuzioni del Ministero dell'industria sono trasferite all'Assessorato regionale indicando due criteri concorrenti, l'uno soggettivo, l'altro oggettivo: la competenza regionale circoscritta alle imprese di assicurazione che a) abbiano la sede in Sicilia, e b) assumano i rischi entro i limiti territoriali della Regione . Non viene qui in considerazione il limite ulteriore previsto dal secondo comma in ordine alle assicurazioni sulla vita e a quelle individuali sugli infortuni, contrariamente a quanto ritiene il ricorrente equivocando sulla natura dell'assicurazione-auto sotto il profilo della responsabilit per danni alle persone trasportate. 278 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA PELI.O STATO Il conflitto di attribuzione, oggetto del presente giudizio, nasce da un contrasto di interpretazioni del secondo criterio, indicato sub b). Il Ministero dell'industria -confortato da un parere del Consiglio di Stato in data 16 ottobre 1973, comunicato dal Ministro al Presidente della Regione siciliana in data 20 luglio 1974 -intende il criterio dell'assunzione territorialmente limitata del rischio come requisito di localizzazione dei rischi assicurati nel territorio della Regione. Questa, invece, lo intende come requisito di localizzazione nel detto ambito territoriale della stipulazione dei contratti di assicurazione. L'interpretazione caldeggiata dalla resistente insostenibile sia sul piano letterale, sia sul piano della ratio normativa. La frase entro i limiti territoriali della Regione qualifica sintatticamente i rischi assunti in s considerati, non gli atti (contratti) con cui l'impresa ass.icuratrice li assume obbligandosi a risarcire i danni sofferti dagli assicurati in conseguenza del loro verificarsi. Solo se interpretato come requisito di localizzazione geografica dei sinistri che costituiscono il contenuto potenziale del rischio assicurato il criterio sub b) riceve senso e valore dal punto di vista della ratio della norma, la quale risponde allo scopo di fissare dei criteri di individuazione della necessit di soddisfare condizioni particolari e interessi propri della Regione, prevista dall'art. 17 dello Statuto come requisito della competenza regionale in discorso. (omissis) In Unea genernle, con riferimento alle ass.icurazioni facoltative, si deve concludere che l'Assessorato regionale per l'industria competente ad autorizzare imprese aventi sede in Sicilia a esercitare attivit assicurativa limitatamente a rischi per loro natura localizzati nel territorio della Regione. Pertanto il decreto impugnato illegittimo in quanto autorizza la soc. Tuttolomondo ad assicurare rischi che possono verificarsi anche fuori del territorio della Regione siciliana, alla sola condizione che i relativi contratti di assicurazione siano stipulati in SicUa. Per quanto riguarda l' assicurazione auto >>, il vizio di illegittimit ancora pi grave, essendo sopravvenuta in questa materia, in seguito alla legge 4 dicembre 1969, n. 990, che ha sancito l'obbligatoriet della assicurazione, una specifica causa preclusiva di ogni competenza regionale, anche limitatamente al rischio connesso alla circolazione degli autoveicoli nel territorio della Regione. La legge citata ha rftdicalmente innovato la disciplina della respon sabilit civile derivante dalla cricolazione dei veicoli a motore e dei natanti, in funzione di interessi generali, uniformemente valutati, ai quali corrisponde un regime unitario e centralizzato comportante una competenza esclusiva dello Stato. Basti ricordare la necessit che i mas simali minimi, validi per tutto il territorio dello Stato, siano determinati da un unico organo, cio dal Ministro; cos pure unico deve essere PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE l'organo di controllo dell'adempimento degli obblighi assicurativi, dovendo il controllo essere ispirato a unit di indirizzo; inscindibili, infine, appaiono le attivit amministrative connesse all'istituzione presso l'Istituto nazionale delle assicurazioni di un conto consortile e di un Fondo di garanzia per le vittime della strada (artt. 14 e 19). A proposito di quest'ultimo la competenza esclusiva del Ministero dell'industria risulta chiaramente dall'art. 20, il quale dispone, tra l'atro, che spetta al Ministrd la designazione, per ogni regione, o per gruppi di regioni, del territorio nazionale, dell'impresa tenuta a liquidare agli aventi diritto le somme loro dovute a carico del Fondo. Perci la competenza regionale -che per i veicoli immatricolati in Sicilia presupporrebbe la frazionabilit del rischio, in guisa da assoggettarlo a una disciplina diversificata per la frazione corrispondente alla circolazione del veicolo nel territorio della Sicilia - gi esclusa in base al criterio dell'art. 17 dello Statuto siciliano, interpretato da questa Corte, nella sentenza n. 175 del 1975, come criterio di competenza esclusiva dello Stato quando esiste l'esigenza di garantire unit di indirizzo e armonica disciplina per l'intero territorio nazionale . Inoltre, come ha rilevato il Consiglio di Stato nel parere sopra richiamato, la competenza esclusiva dello Stato anche nell'ambito della Regione siciliana si fonda specificamente sulla valutazione del regime di assicurazione obbligatoria statuito dalla legge n. 990 come integrante gli estremi di una riforma economico-sociale della Repubblica , sia in ragione della preminenza dell'interesse generale alla tutela delle vittime della strada, sia per le correlative strutture istituzionali e normative qualificate dallo scopo di assicurare uniformit di trattamento. Sebbene la dizione usata dall'art. 14 dello Statuto siciliano (senza pregiudizio delle riforme agrarie e industriali deliberate dalla Costituente del popolo italiano) sia diversa da quella adottata per altre regioni ad autonomia speciale, non si pu dubitare che le norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica debbano essere rispettate anche dal legislatore e dall'amministrazione della Regione siciliana. SEZIONE SECONDA GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE NoTA La Corte di giustizia delle Comunit europee nel corso dell'an no 1988 ha pronunciato 206 sentenze (escluse quelle in cause di personale) 29 di queste sentenze hanno interessato cause alle quali ha partecipato l'Italia: sono stati risolti 14 ricorsi della Commissione delle C.E. contro l'Italia, 1 ri corso di altro Stato contro la Commissione con intervento dell'Italia, 11 domande pregiudiziali ai sensi dell'art. 177 del Trattato CEE, 2 domande pregiudiziali ai sensi del protocollo 3 giugno 1971 concernente l'interpretazione della convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968 sulla competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale. Numerose altre cause alle quali ha partecipato l'Italia si sono concluse in sede stragiudiziale con conseguente cancellazione dal ruolo. Oltre quelle pubblicate in questo numero e nei numeri precedenti della Rassegna, le sentenze in cause alle quali ha partecipato l'Italia sono state le seguenti: -14 gennaio 1988, nella causa 63/86, Commissione c. Italia, con la quale la Corte ha dichiarato che la Repubblica italiana venuta meno agli obblighi impostile dagli artt. 52 e 59 del Trattato CEE, riservando ai soli cittadini italiani, con varie disposizioni di diritto interno, l'accesso alla propriet e alla locazione di alloggi costruiti o restaurati mediante finanziamenti pubblici, nonch l'accesso al credito fondiario agevolato ; -4 febbraio 1988, nell~ causa 113/86, Commissione c. Italia, dove la Corte ha dichiarato che la Repubblica italiana, non trasmettendo entro i termini prescritti i dati statistici contemplati dall'art. 10 del reg. del Consiglio n. 2782/75, e dagli artt. 4, n. l, e 6 del reg. della Commissione n. 1868/77 (settore delle uova e del pollame), venuta meno agli obblighi impostile dal Trattato CEE ; -23 febbraio 1988, nella causa 429/85, Commissione c. Italia, dove la Corte ha statuito che la Repubblica italiana venuta meno agli obblighi impostile dal Trattato accordando agli importatori, in contrasto con l'art. 8, n. l, 1 comma, della direttiva del Consiglio n. 67/548, concernente il ravvicinamento .delle disposizioni di legge, di regolamento ed amministrative relative alla classificazione, all'imballaggio e all'etichettatura delle sostanze pericolose, come modificata dalla direttiva del Consiglio n. 79/831, l'esenzione dall'obbligo di notifica contemplato dall'art. 6 della stessa direttiva ; -2 marzo 1988, nella causa 309/86, Commissione c. Italia, con la quale stato dichiarato che non avendo adottato nel termine stabilito le disposizioni necessarie per conformarsi alla direttiva del Consiglio 31 marzo 1982, n. 82/242, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai metodi di controllo della biodegradabilit dei tensioattivi non ionici e recante modifica della direttiva n. 73/404/CEE, e alla direttiva del Consiglio 31 marzo 1982, n. 82/243, che modifica la direttiva n. 73/405/CEE, il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative di controllo della biodegradabilit dei tensioattivi anionici, la concernente ai metodi Repubblica \! ! I I I I ............... PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INIBRNAZIONALP. 281 italiana venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del Trattato CEE; -3 marzo 1988, nella causa 116/86, Commissione c. Italia, dove la Corte ha dichiarato che la Repubblica italiana venuta meno agli obblighi impostile dal Trattato CEE non adottando, entro il termine prescritto, le disposizioni necessarie per conformarsi agli artt. 6, punto b), secondo trattino, 7 e 8 della direttiva del Consiglio 24 gennaio 1979, n. 79/109, che modifica, per quanto riguarda la bruct'llosi, la direttiva del Consiglio 26 giugno 1964, n. 64/432, relativa a problemi di polizia sanitaria in materia di scambi intracomunitari di animali delle specie bovine e suine, e non adottando le disposizioni necessarie per autorizzare l'importazione di bovini assoggettati nello Stato membro di provenienza a controlli effettuati secondo metodi non adottati in Italia, ma adottati da altri Stati membri in base alla facolt di scelta autorizzata dagli artt. 1, 2, 3, 4, 5 e 9 della stessa direttiva; -8 marzo 1988, nella causa 9/87, Arcado s.r.l., con la quale stato stabilito che una controversia avente ad oggetto la disdetta arbitraria di un contratto di agenzia commerciale autonoma e il pagamento di provvigioni dovute in esecuzione di detto contratto costituisce una controversia in materia contrattuale ai sensi dell'art. 5, punto 1, della convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968 sulla competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale ; -21 aprile 1988, nella causa 338/85, F.lli Pardini s.p.a., con la quale la Corte ha dichiarato, in tema di fissazione anticipata di importi compensativi monetari, che la Commissione, con il regolamento 20 maggio 1983, n. 1245, ha validamente stabilito che gli adeguamenti degli ICM fissati in anticipo, di cui all'art. 7, n. l, del regolamento della Commissione 14 maggio 1982, n. 1160, in caso di modifica dei tassi rappresentativi, devono essere effettuate per tutte le prefissazl.oni la cui domanda stata depositata dopo il 16 maggio 1983, purch l'operazione di cui trattasi sia stata effettuata dopo il 22 maggio 1983 ; e che il combinato disposto dell'art. 4, n. l, 2 comma, del regolamento del Consiglio 30 luglio 1968, n. 1134, e dell'art. 4, n. 2, del regolamento del Consiglio 20 maggio 1983, n. 1223, dev'essere interpretato nel senso che l'annullamento delle prefissaziO!Ili. pu essere sempre ottenuto se ricorrono le con dizioni fissate da tali disposizioni; pertanto, il regolamento della Commissione 20 maggio 1983, n. 1244, invalido in quanto limita il diritto all'annulla mento alle prefissazioni operate prima del 17 maggio 1983 ; -27 aprile 1988, nella causa 225/86, Commissione c. Italia, on la quale la Repubblica italiana stata ritenuta inadempiente agli obblighi di cui all'art. 171 del Trattato CEE per non essersi conformata alla precedente sentenza della Corte 7 febbraio 1984, nella causa 166/82, in tema di fissazione del prezzo del latte; -24 maggio 1988, nella causa 122/87, Commissione c. Italia, dove la Corte ha statuito che la Repubblica italiana, esentando dall'imposta sul valore aggiunto le prestazioni rese dai veterinari nell'esercizio della loro professione, venuta meno agli obblighi che le incombono in forza della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, n. 77/388/CEE ; -9 giugno 1988, nella causa 56/87, Commissione c. Italia, con la quale stato dichiarato che la Repubblica italiana, adottando il nuovo metodo di determinazione dei prezzi delle specialit medicinali di cui al provvedimento del Comitato interministeriale dei prezzi 24 ottobre 1984 ed alla delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica 11 ottobre 1984, 282 R!SSEGNA DELL'AVVOCATURA '!ELLO STATO venuta meno agli obblighi che le incombono in forza dell'art. 30 del Trattato CEE; -21 giugno 1988, nella causa 257/86, Commissione c. Italia, con la quale la Corte ha stabilito che adottando e mantenendo in vigore una normativa che non esenta dall'IVA tutte le importazioni di campioni gratuiti di modico valore, che manca dei requisiti di chiarezza e precisione nei confronti dell'esenzione di talune importazioni di questi campioni e che, nel contempo, prevede l'esenzione dei medesimi campioni di produzione nazionale, la Repubblica italiana venuta meno agli obblighi che le incombono in forza degli artt. 95 del Trattato e 14 della direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, numero 77/388 ; -28 giugno 1988, nella causa 3/86, Commissione c. Italia, dove la Corte ha statuito che la Repubblica italiana, stabilendo, in fatto di imposta sul valore aggiunto e nell'ambito del regime forfettario dei produttori agricoli, al 15 % dal 1981, e poi, nel 1983, al 14 % le aliquote forfettarie di compensazione per i settori delle carni bovine, delle carni suine e del latte fresco, non concentrato e non zuccherato, e disponendo l'applicazione delle aliquote forfettarie di compensazione alle forniture e alle prestazioni di servizi destinate agli agricoltori, venuta meno agli obblighi che le incombono in forza del Trattato e dell'art. 25, nn. 3, 5 e 8, della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977 ; -12 luglio 1988, nella causa 326/87, Commissione c. Italia, con la quale si statuito che non adottando entro il termine prescritto le disposizioni necessarie per conformarsi alla direttiva della Commissione 28 luglio 1984, n. 84/414, per l'adeguamento al progresso tecnico della direttiva n. 76/764 per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai termometri clinici di vetro al mercurio del tipo a massima, la Repubblica italiana venuta meno agli obblighi che le incombono in forza del Trattato CEE; -12 luglio 1988, nella causa 322/86, Commissione c. Italia, con la quale la Repubblica italiana stata dichiarata inadempiente agli obblighi impostile dal Trattato CEE per aver omesso di adottare nei termini stabiliti i provvedimenti necessari per conformarsi alla direttiva del Consiglio 18 luglio 1978, n. 78/659, sulla qualit delle acque dolci che richiedono protezione o miglioramento per essere idonee alla vita dei pesci; -12 luglio 1988, nella causa 310/86, Commissione c. Italia, con la quale la Repubblica italiana stata dichiarata inadempiente agli obblighi impostile dal Trattato per non aver adottato entro il termine prescritto le disposizioni necessarie per conformarsi alla direttiva del Consiglio 29 gennaio 1982, n. 82/470, in tema di libert di stabilimento e libera prestazione di servizi per le attivit non salariate di taluni ausiliari dei trasporti e dei titolari di agenzie di viaggio; -27 settembre 1988, nella causa 189/87, Kalfelis, dove la Corte, in relazione alla convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 sulla competenza giurisdizionale e sull'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, ha dichiarato: 1. -Ai fini dell'applicazione dell'art. 6, n. 1, de1la Convenzione, deve sussistere tra le varie cause promosse da uno stesso attore nei confronti di diversi convenuti un legame di connessione tale che vi sia interesse a deciderle congiuntamente onde evitare soluzioni che potrebbero essere incom: patibili ove le cause siano decise separatamente; 2. -a) la nozione di materia f ~ di delitti o di quasi-delitti di cui all'art. 5, n. 3, della Convenzione deve i I I . II PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INl'ERNAZIONALE essere considerata come una nozione autonoma che comprende ogni domanda tendente all'accertamento della responsabilit di un convenuto, e che non si riallacci alla materia contrattuale di cui all'art. 5, n. 1; b) un giudice competente ai sensi dell'art. 5, n. 3, a conoscere della parte di una domanda basata su un fondamento extracontrattuale non competente a conoscere delle altri parti della stessa domanda basate su fondamentali non extracontrattuali ; -27 settembre 1988, nella causa 114/86, Regno Unito c. Commissione con intervento dell'Italia, con la quale la Corte ha ritenuto irricevibile il ricorso del Regno Unito in quanto diretto contro un atto della Commissione (in tema di determinazione delle liste dei candidati per gli appalti di servizi conclusi nell'ambito della seconda convenzione ACP-CEE di Lom) privo di contenuto decisorio e vincolante; -27 settembre 1988, nella causa 114/86, Regno Unito c. Commissione, Corte ha dichiarato, in tema di libera circolazione dei lavoratori, che: 1 -Ai sensi del Trattato CEE, fa parte dell'insegnamento professionale un anno di studi rientrante in un corso di studi che costituisca un insegnamento unitario per la preparazione ad ima qualifica professionale, a un mestiere o a un impiego specifico o che conferisca una particolare attitudine a esercitare detta professione, mestiere o impiego; 2. -L'art. 59 del Trattato CEE va interpretato nel senso che i corsi impartiti in un istituto tecnico rientranti nell'insegnamento secondario all'interno ciel sistema di istruzione pubblica non possono essere considerati servizi ai sensi del suddetto articolo; 3. L'art. 12 del regolamento del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunit, va interpretato nel senso che esso non osta a che uno Stato membro imponga un ' minerva!', quale condizione di accesso a corsi di insegnamento scolastico generale impartiti nel suo territorio, ai figli dei lavoratori migranti residenti in un altro Stato membro, anche se esso non imponga detto onere ai cittadini di questo stesso Stato membro ; -27 settembre 1988, nella causa 313/86, Lenoir, con la quale la Corte ha dichiarato, ancora in tema di libera circolazione dei lavoratori previdenza sociale, che il tenore dell'art. 77 del regolamento n. 1408/71, quale figura al l'allegato I del regolamento del Consiglio 2 giugno 1983, n. 2001/83, va interpretato nel senso che riserva al titolare delle prestazioni familiari, cittadino di uno Stato membro e residente nel territorio di un altro Stato membro, soltanto il beneficio del pagamento, da parte degli organismi di previdenza sociale del suo paese di origine, degli 'assegni familiari', restando escluse le altre prestazioni familiari, come gli assegni di ' inizio dell'anno scolastico' e di 1 stipendio unico contemplati dalla normativa francese; -27 settembre 1988, nella causa 235/87, Matteucci, con la quale stato dichiarato che l'art. 7 del regolamento n. 1612/68, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunit va interpretato nel senso che non consente alle autorit di uno Stato membro di rifiutare il beneficio di una borsa, per seguire studi in un altro Stato membro, ad un lavoratore che risiede ed esercita un'attivit dipendente sul territorio del primo Stato membro, ma che ha la nazionalit di un terzo Stato membro, per il motivo che tale lavoratore non ha la nazionalit dello Stato membro di residenza. Un accordo bilaterale che riserva il beneficio delle borse di cui trattasi ai soli cittadini dei due Stati membri, parti all'accordo, non pu opporsi all'applicazione della norma di parit di trattamento tra lavoratori nazionali e comunitari stabiliti sul territorio di uno di questi due Stati membri ; 284 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA LEIJ.O STATO -14 dicembre 1988, nella causa 269/87, Ventura, dove, sempre in tema di libera circolazione dei ,zavoratori -previdenza sodale, con la quale stato dichiarato che l'art. 44, n. 3, del regolamento n. 1408/71 dev'essere interpretato nel senso che le pensioni per orfani sono disciplinate esclusivamente dal capitolo 8 di detto regolamento, integrato, eventualmente, dagli altri capitoli del regolamento cui le disposizioni del capitolo 8 rinviano espressamente . CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT EUROPEE, Sed. plen., 14 luglio 1988, nelle cause 407/85 e 90/86 -Pres. Due -Avv. Gen. Mancini Domande di pronuncia pregiudiziale proposte dal Pretore di Bolzano, nella causa Drei Glocken GmbH e Kritzinger c. U.S.L. Centro Sud e Provincia autonoma di Bolzano, ,e dal Pretore di Milano, nel procedimento penale c. Zoni -Interv.: Governi italiano (avv. Stato Braguglia), francese (g. Guillaume) e olandese (ag. Fierstra) e Commissione delle C.E. (ag. De Marche e White). Comunit Europee Libera circolazione delle merci Paste alimentari Obbligo di usare esclusivamente grano duro. (Trattato CEE, artt. 30 e 36; legge 4 luglio 1967, n. 580, artt. 29, 33, 36 e 50~. L'estensione ai prodotti importati di un divieto di vendere pasta prodotta con grano tenero o con una miscela di grano tenero e di grano duro, come quello contenuto nella legge italiana sulle paste alimentari 4 luglio 1967, n. 580, incompatibile con gli artt. 30 e 36 del Trattato (1). (omissis) 1. -Con ordinanza 31 ottobre 1985, pervenuta nella cancelleria della Corte il 9 dicembre dello stesso anno, il Pretore di Bolzano ha sollevato, a norma dell'art. 177 del Trattato CEE, due questioni pregiucliziali relative all'interpretazioni degli artt. 30 e 36 del Trattato CEE, onde determinare la compatibilit con il diritto comunitario di una normativa nazionale che vieti la vendita di pasta prodotta con grano tenero o con una miscela di grano tenero e di grano duro. 2. -Dette questioni sono insorte nell'ambito di una controversia che oppone l'Unit Sanitaria Locale ad un produttore tedesco, La Drei Glocken, e ad un dettagliante italiano, la sig.ra Kritzinger. La Drei Glocken esportava in Italia pasta prodotta con una miscela di grano tenero e di grano duro, che la Kritzinger rivendeva. Poich l'U.S.L. intimava loro di pagare una sanzione amministrativa pecuniaria per violazione dell'art. 29 della legge 4 luglio 1967, n. 580 (G.U.R.I. n. 189 del 29 luglio (1) Si trascrive solo il testo della sentenza nella causa 407/85, identica essendo la motiv=ione della sentenza nella causa 90/86. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E IN:ERNAZIONALB 1967), che disciplina la produzione e il commercio delle paste alimentari (in prosieguo: legge sulle paste alimentari), la Drei Glocken e la Kritzinger proponevano ricorso dinanzi al Pretore di Bolzano. 3. -L'art. 29 della legge sulle paste alimentari dispone che per la produzione industriale di paste secche, che possono essere conservate per un certo tempo prima di essere consumate, deve essere usato esclusivamente grano duro. Gli artt. 33 e 50, 1 comma, di detta legge, autorizzano invece l'uso di grano tenero sia per la produzione artigianale di paste fresche, destinate al consumo immediato, sia per la produzione di pasta destinata all'esportazione. 4. -L'art. 36, primo comma, della legge sulle paste alimentari, vieta di vendere in Italia pasta avente caratteristiche diverse da quelle stabilite dalla legge, cio, in particolare, paste secche prodotte con grano tenero o con una miscela di grano tenero e grano duro. L'art. 50, secondo comma, della legge precisa che questo divieto di vendita si applica anche alle paste d'importazione. 5. -Come il Governo italiano ha osservato, il legislatore stato indotto ad imporre ai produttori di pasta di usare esclusivamente grano duro da due ordini di considerazioni. Il legislatore ha voluto, in primo luogo, garantire la qualit della pasta, poich quella prodotta esclusivamente con grano duro resiste molto meglio alla cottura. In secondo luogo, ha inteso favorire lo sviluppo della coltivazione del grano duro, i cui produttori hanno nella Comnit solo Io sbocco del mercato delle paste e, nelle regioni del Mezzogiorno ove sono stabiliti, non hanno alcuna possibilit concreta di riconvertirsi ad altre colture. 6. -A sostegno del ricorso, la Drei Glocken e la Kritzinger hanno asserito che l'applicazione dell'art. 29 della legge sulle paste alimentari alla pasta d'importazione incompatibile con l'art. 30 del Trattato. Stando cos le cose, il giudice nazionale ha sospeso il procedimento e ha sollevato due questioni pregiudiziali: 1) Se il divieto di misure aventi effetto di restrizioni quantitative all'importazione di cui all'art. 30 Trattato CEE vada interpretato p.el senso di escludere, in caso di importazione di pasta alimentare, l'applicazione delle disposizioni italiane in materia alimentare che vietano l'impiego di farina di grano tenero nella produzione della pasta alimentare, ove la medesima pasta sia stata lecitamente prodotta e messa in commercio in altro Stato membro della Comunit Europea; 2) se comunque il divieto di arbitrarie discriminazioni o di restrizioni travisate nel commercio tra Stati membri di cui all'art. 36, punto 2 del 286 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DI:t-LO STATO Trattato CEE, vada interpretato nel senso di escludere l'applicazione delle suddette disposizioni nazionali; . 7. -Per una pi ampia illustrazione degli antefatti della causa principale, dello svolgimento del procedimento e delle osservazioni presentate alla Corte, si fa rinvio a:Ila relazione d'udienza. Questi elementi del fa. scicolo sono riprodotti in prosieguo solo nella misura necessaria per il ragionamento della Corte. 8. -Le questioni sollevate dal giudice nazionale vertono, in sostanza, sulla compatibilit con gli artt. 30 e 36 del Trattato dell'estensione ai prodotti importati di un divieto di vendere pasta prodotta con grano tenero o con una miscela di grano tenero e di grano duro, come quello contenuto nella legge sulle paste alimentari. a) Sull'esistenza di un ostacolo alla libera circolazione delle merci. 9. - opportuno ricordare la giurisprudenza costante della Corte (anzitutto la sentenza 11 luglio 1974, causa 8/74, Dassonville, Racc. pag. 837), secondo cui il divieto di misure di effetto equivalente a restrizioni quantitative sancite dall'art. 30 comprende ogni normativa commerciale degli Stati membri che possa ostacolare direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, gli scambi intracomunitari . 10. -Risulta inoltre da una giurisprudenza costante della Corte (cfr. anzitutto la sentenza 20 febbraio 1979, causa 120/78, Rewe, Racc. pag. 649), che, in mancanza di una normativa comune, gli ostacoli per la circolazione intracomunitaria derivanti da disparit delle legislazioni nazionali relative alla composizione dei prodotti vanno accettati qualora tali normative nazionali, indistintamente applicate ai prodotti nazionali e a quelli importati, siano necessarie per rispondere ad esigenze imperative come la difesa dei consumatori e la lealt dei negozi commerciali. La Corte ha tuttavia precisato che dette normative debbono essere proporzionate agli scopi perseguiti e che, se uno Stato membro dispone di mezzi meno restrittivi che consentano di raggiungere gli stessi scopi, tenuto a farvi ricorso. 11. -Occorre constatare che un divieto di vendere pasta prodotta con grano tenero o con una miscela di grano tenero e di grano duro costituisce un ostacolo all'importazione di paste lecitamente prodotte con grano tenero o con una miscela di grano tenero e di grano duro in altri Stati membri. Pertanto resta da accertare se detto ostacolo possa essere giustificato da ragioni di tutela della salute pubblica ai sensi dell'art. 36 del Trattato o da esigenze imperative come quelle summenzionate. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 287 b) Sulla possibilit di giustificare l'ostacolo di cui causa per ragioni di tutela della salute pubblica. 12. -Il Governo italiano ha attirato l'attenzione della Corte sul problema dell'uso di additivi chimici e di coloranti che sarebbero spesso usati per conferire alla pasta prodotta con grano tenero o con una miscela di grano tenero e di grano duro le caratteristiche organolettiche e, in particolare, il colore ambrato, naturalmente proprie della pasta prodotta esclusivamente con grano duro. A suo parere, un sensibile assorbimento di detti additivi chimici e coloranti pu comportare effetti dannosi per la salute dell'uomo. 13. -In risposta ad un quesito posto dalla Corte, il Governo italiano ha tuttavia ammesso di non disporre di dati che gli consentano di affermare che la pasta prodotta con grano tenero o con una miscela di grano tenero e di grano duro contenga necessariamente additivi chimici o coloranti. 14. -Un divieto generale di smerdare paste d'importazione prodotte con grano tenero o con una miscela di grano tenero e grano duro pertanto in ogni caso contrario al principio di proporzionalit e non giustificato da ragioni di tutela della salute pubblica ai sensi dell'art. 36 del Trattato. c) Sulla possibilit di giustificare l'ostacolo di cui causa per talune esigenze imperative 15. -Si sostenuto che un divieto di vendere pasta prodotta con grano tenero o con una miscela di grano tenero e di grano duro necessario per tutelare i consumatori, per garantire la lealt dei negozi commerciali e, infine, per assicurare la piena efficienza dell'organizzazione comune dei mercati nel settore dei cereali. 16. -Il primo argomento, secondo cui la legge sulle paste alimentari intende tutelare i consumatori in quanto ha lo scopo di garantire la qualit superiore della pasta, prodotto italiano di antica tradizione, non pu essere accolto. certamente legittimo voler dare ai consumatori, che attribuiscono qualit particolari 'alla pasta prodotta esclusivamente con grano duro, la possibilit di operare la propria scelta sulla base di questo elemento. Tuttavia, come Ia Corte ha gi sottolineato (sentenze 9 dicembre 1981, causa 193/80, Commissione c/ Italia, Racc. pag. 3019 e 12 marzo 1987, causa 178/84, Commissione c/ Repubblica federale di Germania, non ancora pubblicata), tale possibilit pu essere garantita con mezzi che non ostacolino l'importazione di prodotti legalmente fab 288 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO bricati e posti in commercio in altri Stati membri e; in particolare, con l'obbligo di apporre un'etichetta appropriata, che specifichi le caratteristiche del prodotto venduto . 17. - opportuno osservare poi che il legislatore italiano pu non soltanto prescrivere che vengano elencati gli ingredienti, a norma della direttiva del Consiglio sull'etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari (G.U. n. L 33 deH'8 febbraio 1979, pag. 1), ma che inoltre nulla gli impedisce di riservare la denominazione di pasta di semola di grano duro alla pasta prodotta esclusivamente con grano duro. 18. -Dato che la pasta un prodotto che pu essere servito nei luoghi di ristorazione, si deve aggiungere che possibile adottare un sistema di informazione del consumatore relativamente alla natura della pasta che gli viene offerta. 19. -Si obiettato che un'etichettatura appropriata relativa alla natura del prodotto venduto non basterebbe a rendere i consumatori itlaliani sufficientemente attenti alla natura della pasta che acquistano, poich pasta significherebbe per loro un prodotto ottenuto esclusivamente con grano duro. 20. -Questa obiezione va respinta. Il termine pasta usato dal legislatore italiano stesso, come risulta dagli artt. 33 e 50 della legge sulle paste alimentari, per designare prodotti fabbricati con grano tenero o con una miscela di grano tenero e di grano duro, cio paste fresche e paste destinate all'esportazione. Inoltre, l'art. 29 determina che cosa debba intendersi per pasta di semola di grano duro . Il legislatore italiano stesso fa dunque ricorso alle parole semola di grano duro per specificare un tipo di pasta, il che dimostra che di per s il termine pasta ha un significato generico e non implica affatto che nella produzione sia stato usato solo grano duro. 21. -In secondo luogo, si sostenuto che, per quanto attiene alla pasta prodotta con grano tenero o con una miscela di grano tenero e di grano duro, un elenco degli ingredienti non basterebbe a garantire la lealt dei negozi commerciali. Allo stato attuale delle tecniche di analisi, non sarebbe possibile accertare l'esattezza delle indicazioni che vi compaiono, per cui , i produttori potrebbero indicare una proporzione di grano duro pi elevata di quella realmente presente nella pasta. Tenuto conto della differenza di prezzo tra il grano duro e il grano tenero, i produttori po~rebbero cos far pagare al consumatore un prezzo pi alto di quello giustificato dalla proporzione effettiva di grano duro impiegato. Stando cos le cose, solo il divieto di vendere pasta prodotta con grano I( tenero potrebbe prevenire una frode del genere. I\: 1 1 f. ; f ~ I ~ PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E :r.NTERNAZIONALE 22. -Anche questo argomento va respinto. E sufficiente osservare che il Governo italiano dispone, comunque, di un mezzo meno restrittivo per garantire la lealt dei negozi commerciali. Infatti, riservando la denominazione pasta di semola di g_rano duro alla pasta prodotta esclusivamente con grano duro, dar al consumatore italiano la possibilit di esprimere le sue preferenze per il prodotto al quale abituato e la certezza che la differenza di prezzo senz'altro giustificata da una differenza di qua:lit. 23. -In terzo luogo, si sostenuto che, garantendo uno sbocco ai coltivatori, la legge sulle paste alimentari integra la politica comune nel settore di cereali, la quale ha per finalit di garantire un reddito minimo ai coltivatori di grano duro grazie alla determinazione di un prezzo d'intervento nettamente pi elevato per il grano duro rispetto a quello stabilito per il grano tenero, nonch di incentivare la coltivazione del grano duro con la concessione di aiuti diretti alla produzione. L'abrogazione della legge sulle paste alimentari indurrebbe i produttori italiani ad usare grano tenero per la pasta destinata al mercato italiano. Il grano duro verrebbe cos ad essere progressivamente privato dei suoi sbocchi, il che provocherebbe eccedenze con la conseguenza di ulteriori acquisti d'intervento a carico del bilancio comunitario. 24. -Il Governo italiano ha sostenuto, inoltre, che senza uno sbocco garantito la coltivazione del grano duro scomparirebbe nelle regioni del Mezzogiorno dove praticata. Questa scomparsa comporterebbe l'abban dono della terra, dato ch le possibilit di riconversione sono, in quelle zone, quasi inesistenti e creerebbe un movimento di emigrazione con grave danno sociale ed ambientale. 25. -Occorre sottolineare anzitutto che in causa l'estensione della legge sulle paste alimentari ai prodotti di importazione e che il diritto comunitario non esige che il legislatore abroghi la legge per quanto attie ne ai produttori di pasta stabiliti sul territorio italiano. 26. -Si deve inoltre ricordare che, come risulta dalla sentenza delfa Corte 23 febbraio 1988 (causa 216/84, Commissione c/ Repubblica francese, non ancora pubblicata), una volta che la Comunit abbia istituito una organizzazione comune di mercato in un determinato settore, gli Stati membri devono astenersi da ogni provvedimento unilaterale, anche se atto a servire da sostegno alla politica comune della Comunit. Spetta alla Comunit cercare una soluzione al summenzionato problema nell'ambito della politica agricola comune, e non ad uno Stato membro. 27. -Occorre osservare infine che l'andamento della situazione sui mercati rl'~suortazione dimostra che la concorrenza attraverso la qualit 290 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEl.J.O STATO va a vantaggio del grano duro. Infatti, dai dati statistici forniti alla Corte risulta che la quota di meroato occupata dalla pasta prodotta esclusivamente con grano duro in altri Stati membri, dove subisce sin d'ora la concorrenza delle paste prodotte con grano tenero o con miscele di grno tenero e di grano duro, aumenta continuamente. I timori del Governo italiano quanto alla scomparsa della coltura del grano duro sono pertanto infondati. 28. -Stando cos le cose, le questioni sollevate dal giudice nazionale vanno risolte nel senso che l'estensione ai prodotti importati di un divieto di vendere pasta prodotta con grano tenero o con una miscela di grano tenero e di grano duro, come quello contenuto nella legge italiana sulle paste alimentari, incompatibile con gli artt. 30 e 36 del Trattato. (omissis) CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT EUROPEE, III sez., 22 settembre 1988, ne1'la causa 228/87 ~ Pres. Moitinho de Almeida -Avv. Gen. Lenz -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Pretore di Torino in procedimento penae contro ignoti -Interv.: Governo italiano (avv. Stato Ferri) e Commissione delle C.E. Comunit Europee -Sanit pubblica -Ravvicinamento delle legislazioni Qualit delle acque destinate al consumo umano. (Direttiva CEE del Consiglio 15 luglio 1980, n. 80/778, art. 10, n. 1; d.P.C.M. 8 febbraio 1988). L'autorizzazione del superamento delle concentrazioni massime ammissibili figuranti nell'allegato I della direttiva n. 80/778, sulla qualit delle acque destinate al consumo umano, contemplata dall'art. 10, n. 1, della stessa direttiva, deve essere concessa solo in presenza di una situazione d'urgenza in cui le autorit nazionali devono far fronte repentinamente a difficolt di approvvigionamento di acqua destinata al consumo umano. Detta autorizzazione dev'essere limitata al tempo normalmente necessario per il ripristino della qualit delle acque interessate, non deve comportare rischi inaccettabili per la salute pubblica ed possibile solo se l'approvvigionamento di acqua destinata al consumo umano non possa essere garantito altrimenti. 1. -Con ordinanza 22 luglio 1987, pervenuta in cancelleria il 27 luglio 1987, la Pretura unificata di Torino ha sottoposto a questa Corte, a norma dell'art. 177 del trattato CEE, una questione pregiudiziale relativa all'interpretazione dell'art. 10, n. l, della direttiva del consiglio 15 lu PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E :NTERNAZIONALE 291 glio 1980 n. 80/778/CEE, sulla qualit delle acque destinate al consumo umano (G.U. L 229, pag. 11). 2. -Detta questione stata sollevata nell'ambito di un procedimento penale contro ignoti, che il Pretore di Torino ha promosso dopo aver preso visione dei risultati dell'analisi di taluni campioni prelevati da una unit socio-sanitaria locale da acque destinate al consumo umano. Detta analisi metteva in evidenza Ia presenza, in alcuni pozzi, di atrazina in quantit superiore al valore limite (per componente separato) di 0,1 microgrammi per litro stabilito per gli antiparassitari dal decreto del presidente del consiglio dei ministri 8 febbraio 1985 (in prosieguo: dpcm), emanato per l'attuazione della direttiva sopramenzionata. 3. -Emerge dal fascicolo che, con varie ordinanze che derogavano al predetto dpcm, il ministro della sanit e le competenti autorit della regione Piemonte elevavano, per un periodo complessivo compreso tra il 25 giugno 1986 e il 31 dicembre 1987, il limite massimo di atrazina a 1 microgrammo per litro d'acqua destinata al consumo umano. In nuove ordinanze riferentisi ad un periodo co::nplessivo compreso tra il 3 aprile 1987 e il 31 marzo 1988 il ministro della sanit e la regione Piemonte riproducevano le disposizioni in precedenza adottate per l'atrazina e stabilivano il limite massimo consentito del molinate in 6 microgrammi e, rispettivamente, 3,5 microgrammi per litro d'acqua destinata al consumo umano. 4. -Il procedimento penale riguarda il reato di omissione di atti di ufficio contemplato dall'art. 328 c.p. italiano, che le pubbliche autorit avrebbero commesso non vietando il consumo umano di acque non rispondenti ai requisiti stabiliti dal sopramenzionato dpcm. Secondo il Pretore di Torino, la responsabilit penale delle pubbliche autorit sarebbe tuttavia esclusa qualora le deroghe al dpcm disposte dalle predette ordinanze fossero conformi alle deroghe consentite dalla direttiva n. 80/ 778. Per risolvere tale problema, il pretore ha ritenuto necessario sottoporre alla corte la questione se la direttiva n. 80/778/CEE e, in particolare l'art. 10, l, di tale direttiva, debba essere inteso nel senso che autorizzi gli Stati membri a introdurre deroghe -nei modi e nelle circostanze di cui alle ricMamate ordinanze del ministero della sanit e della regione Piemonte . 5. -Per un'ampia esposlZlone degli antefatti della causa principale, delle pertinenti norme nazionali e comunitarie, dello svolgimento del procedimento e delle osservazioni presentate alla Corte si rinvia alla relazione d'udienza. Detti elementi del fascicolo sono riprodotti in prosieguo solo se necessario al ragionamento della Corte. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEiO STATO 292 6. -Considerato il testo della questione sollevata dal Pretore cli Torino, si deve ricordare che la Corte, secondo la sua costante giurisprudenza, non competente, nell'ambito dell'applicazione dell'art. 177 del I trattato CEE, a statuire sulla compatibilit di una disposizione nazio~: nale con il diiritto comunitario (vedasi, da ultimo, sentenza 11 giugno 1987, causa 14/86, Pretore di Sal, non ancora pubblicata). I 7. -Tuttavia, la Corte pu ricavare dal testo delle questioni formulate dal giudice a quo, tenuto conto dei dati da questo forniti, gli elementi relativi all'interpretazione del diritto comunitario al fine di consentire a detto giudice di risolvere il problema giuridico sottopostogli. 8. -Dal testo dell'ordinanza di rinvio emerge che in sostanza il giudice a quo interroga la Corte sull'interpretazione dell'art. 10, n. 1, de1la direttiva, e, in particolare, sulle condizioni alle quali detta disposizione subordina l'autorizzazione del superamento delle concentrazioni massime consentite stabilite nell'allegato I. 9. -Occorre innanzitutto rilevare che la direttivia n. 80/778 impone agli Stati membri obblighi precisi per quanto riguarda la qualit delle acque destinate al consumo umano. Infatti, dette acque debbono essere almeno conformi ai valori indicati per i pariametri che figurano nell'allegato I (art. 7, n. 6) entro il termine di cinque anni dalla notifica della direttiva (art. 19). Per garantire il rispetto di detto obbligo, gli Stati membri debbono effettuare controlli regolari in conformit all'allegato II, adottando i metodi di analisi menzionati nell'allegato III (art. 12). 10. -Sono consentite deroghe alla direttiva solo alle condizioni contemplate dagli artt. 9, 10 e 20 della stessa. Dette disposizioni debbono essere interpretiate in senso restrittivo. 11. -Le deroghe contemplate dagli artt. 9 e 20 non riguardano la fattispecie di cui al procedimento principale. Innanzitutto le ordinanze non sono basate sulla natura e sulla struttura dei terreni dell'area di cui tributaria la risorsa idrica considerata, la loro adozione non dovuta a circostanze. ~etereologiche eccezionali e, contrariamente a quanto disposto dall'art. 9, n. 3, le deroghe riguardano sostanze tossiche (allegato I, sub D). Inoltre, la Repubblica italiana non si avvalsa della procedura contemplata dall'art. 20, che consente, sotto il control'lo della commissione del consiglio, di faT fronte a difficolt causate dalla trasposizione della direttiva entro il termine prescritto dall'art. 18. 12. -L'art. 10, n. 1, della direttiva n. 80/778 recita: In caso di circostanze accidentali gravi, le competenti autorit nazionali possono autorizzare, per un periodo di tempo limitato e fino al . ' PARm I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E Il-PLLO STATO siderazione che, come autorevolmente sostenuto in dottrina, il predetto art. 296, in quanto diretto a restringere la capacit o la libert delle persone, fisiche o giuridiche, non pu: essere applicato per analogia a casi non contemplati in modo espresso: e, quindi, neppure agli istituti di assistenza e beneficenza per il controllo dei cui atti v' una disciplina speciale (quella dettata dalla legge n. 6972 del 1890 qui pi volte richiamata), che ovviamente deroga a quella generale costitui,ta dalla legge comunale e provinciale. A ci consegue ovviamente l'irrilevanza (gi esattamente stigmatizzata in questa causa della sentenza del Tribunale) dell'inserimento negli atti dei quali qui trattasi della clausola intesa a subordinare la foro esecutoriet al visto prefettizio nell'evidente presupposto (erroneo) che esso fosse prescritto da11a legge (sulla mancanza dell'obbligo da parte degli enti di assistenza e beneficenza pubblica di comunicare le loro delibere al Prefetto vedi Cass. sent. 1131 del 1972). 3) L'annullamento da parte dell'organo tutorio di un atto in considerazione sia pure soltanto di una parte del suo contenuto, comporta diniego di approvazione dell'atto nella sua globalit e costringe, quindi, l'Ente a modificarlo e a sottoporlo nuovamente all'approvazione deH'organo tutorio, salvo il caso in cui, da un'attenta indagine sul contenJUto e sulle premesse de:l provvedimento preso da1l'organo tutorio, risultasse sia che anche la parte non annullata abbia costituito oggetto di esame riportando un'approvazione implicita, sia che la parte annullata abbia rautonomia sufficiente a rendere possibile la sua disapplicazione senza compromettere l'applicazione della residua parte. 4) Qualora gli atti posti in essere dall'Opera Pia nel 1977 dovessero ritenersi mancanti di approvazione da parte del CO.RE.CO. dovrebbero necessariamente considerarsi innanzitutto inefficaci essi medesimi, rendendo, cosi, del tutto vana la questione (su cui lungamente insiste la difesa dell'LC.A.G.) se in essi potesse ravvisarsi una convalida degli atti precedenti. L'indagine rimessa al giudice di rinvio sull'effettiva e controversa portata dei provvedimenti presi dal CO.RE.CO. in relazione ail rogito Badurina del 15 ottobre 1977 si rivela comunque decisiva anche in relazione al ricorso incidentale proposto dall'Opera Pia per contestare l'imposizione dell'INVIM conseguente alla registrazione di tale atto. (Questione questa sulla quale non si formato alcun giudicato in quanto, contrariamente a quanto sostenuto dall'Avvocatura Generale dello Stato net suo controricorso, 'l'Opera Pia ha proposto al riguardo ricorso incidentale autonomo, che risulta notificato alla Finanza presso la predetta Avvocatura il 16 dicembre 1987 e quindi ritualmente e tempestivamente tenuto conto che la sentenza impugnata risulta depositata il 2 giugno 1987 e non notificato). PARTE I, SBZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE Pi specificamente, con l'unico motivo del ricorso incidentale l'Opera Pia Collegio Nazareno denunzia la violazione degli artt. 14 e 36 D.P.R. n. 634/1972 e dell'art. 296 del R.D. n. 383/1934 in relazione a11'art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c., lamentando che i giudici di merito si siano rifiutati di far discendere dall'annuHamento dell'atto di vendita la non debenza dell'INVIM senza considerare che: A) l'Opera Pia non pu considerarsi parte del negozio annullato, avendo negoziato un terzo, e, cio, il presidente dell'Opera, del tutto privo del relativo potere; B) gli atti soggetti ad approvazione o ad omologazione, quali quel!.i dei quali qui trattasi, sono da registrare solo dopo che i relativi provvedimenti amministrativi siano validamente intervenuti, iii che, nella specie, certamente non sarebbe avvenuto. In riferimento a quest'ultima considerazione contenuta nel Ticorso, incidentale, risulta evidente che, se il giudice di rinvio ritenesse il contenuto del rogito Baidurina privo di approvazione da parte dell'organo tutorio, si avrebbe che, ai sensi degli artt. 14 e 26 del D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 634 disciplinante l'imposta di registro e in vigore all'epoca, il termine per la Tichiesta di Tegistrazione dell'atto non sarebbe mai iniziato a decorrere e, comunque, prima di tale scadenza sarebbe stata dovuta la sola imposta fissa di registro non considerandosi ancora avvenuto agli effetti fiscali quel trasferimento dei diritti che il presupposto non solo dell'imposta di registro, ma anche dell'INVIM. Si sarebbe cos verificato un caso di non debenza del tributo richiesto, ben pi radicale di quello previsto dall'art. 36 della medesima legge (non debenza dell'imposta di registro quando l'atto sia stato dichiarato nullo o annullato per causa non imputabile alle parti contraenti con sentenza emessa in contraddittorio anche con l'amministrazione Finanziaria e non sia ,suscettibile d\ ratifica, convalida o conferma). Ma, nonostante la diversit della norma di legge d'applicare e la riserva generale di giurisdizione a favore del giudice tributario, il giudice ordinario di merito potr ben fare applioazione nella specie dei citati artt. 14 e 26, sia perch spetta al giudice individuare ila norma di legge pi direttamente applicabile alla fattispecie per accogliere o negare la pretesa sostanziale fatta valere dall'una contro l'altra (nel caso, in esame, appunto la debenza dell'INVIM), sia perch l'eadem ratio che ispira l'~t. 36 (l dove rimette al giudice ordinario di decidere sulla nullit o sull'annullamento dell'atto soggetto al tributo con un'unica sentenza valevole anche agli effetti fiscali purch emessa in contTaddittorio anche con 1a Finanza) sussiste, e quindi si applica al caso indubbiamente analogo in cui si debba decidere, sempre in materia di imposte dovute per la registrazione di un atto (qual' l'INVIM di cui qui trattasi), se esso sia RASSEGNA DEU..'AVVOCATURA DllLLO STATO 334 stato o meno approvato dall'organo tutorio come previsto dalla legge e sia, quindi, efficace. innegabile, infatti, che anche in questo caso vi sia l'opportunit, per evitare sconcertanti contrasti di giudicati e, per economia di giudizi, di avere un'unica decisione in esito al contraddittorio e alla cognizione pi ampi possibili. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 12 dicembre 1988, n. 6759 Pres. Sandulli Rel. Senese P. M. Minetti (conci. conf.) Ministero dell'Interno e Prefettura di Frosinone (avv. Stato Palatiello) c. S.r.l. CISA (avv. Casavola). Lavoro lnvaldi Assunzioni obbligatorie Contravvenzione all'obbligo di richiesta di assunzione Definizione amministrativa Decreto prefettizio ex art. 24 legge n. 482/1968 Opposizione Giurisdizione del giudice civile Non sussiste trattandosi di materia riservata al giudice penale. I decreti con i quali il Prefetto determina, a norma dell'art. 24 legge n. 482/1968, l'ammontare delle somme dovute per la definizione ammini strativa delle contravvenzioni all'obbligo di richiesta di assunzione di lavoratori invalidi non sono suscettibili di opposizione dinanzi al giudice civile, in quanto ineriscono a violazioni che -non rientrando tra quelle depenalizzate dalla legge n. 689/1981 -sono riservate alla cognizione del giudice penale (1). Con il primo motivo, si denuncia violazione degli artt. 23 e 24 legge n. 482/1968, 12, 22, 23, 32 e 34 legge n. 689/1981, I c.p.c., difetto di giurisdi zione o almeno di competenza funzionale (il tutto con riferimento all'art. 360 nn. 1 e 2 stesso codice) e si deduce che erroneamente il pretore avrebbe ritenuto opponibili ai sensi degli artt. 22 e 23 della legge n. 689/1981 i decreti con i quali il Prefetto di Frosinone aveva determinato, a norma dell'art. 24 legge n. 482/1968, l'ammpntare della somma dovuta per la definizione amministrativa delle contravvenzioni all'obbligo di richiesta di assunzione, da parte della societ CISA, di lavoratori invaHdi. Tali decreti, infatti, -prosegue il ricorrente -non potrebbero in alun modo esser assimilati all'ordinanza-ingiunzione prevista dall'art. 18 della legge n. 689/1981, in quanto la violazione dell'obbligo posto dagli artt. 11 e 16 della legge sulle assunzioni obbligatorie d'invalidi, punita a termini dell'art. 23/2 stessa legge con la pena dell'ammenda, non rientra tra quelle che la ricordata legge n. 689/1981 ha trasformato in illeciti (1) Decisione di evidente esattezza, di cui non constano precedenti. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILB amministrativi, s che l decreto del Prefetto di cui al citato art. 23 legge n. 482/1968 non costituisce provvedimento di applicazione di una sanzione amministrativa ma semplice atto di determinazione della somma che la citata legge n. 482 ammette il contravventore a pagare, entro i termini dalla stessa disposizione previsti, a titolo di oblazione con effetto estintivo del reato. Il motivo fondato. La legge n. 689/1981, nel prevedere all'art. 32/1 che non costituiscono reato e sono soggette alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma di danaro ,tutte le violazioni per le quali prevista la sola pena dell'ammenda... , ha tuttavia escluso dall'ambito di applicazione generale di tale disposizione una serie d'ipotesi di reato, tra le quali rientra anche la contravvenzione di cui agli artt. 11, 16 e 23/2 della legge n. 482/1968. Dispone, infatti, il successivo art. 34 della legge n. 689/1981 che la disposizione del primo comma dell'art. 32 non si applica ai reati previsti: ... omissis... dalle leggi relative ai rapporti di lavoro, anche per quanto riguarda l'assunzione dei lavoratori e le assicurazioni sociali, salvo quanto previsto dal successivo art. 35... . Non contestabile che la legge su11e assunzioni obbligatorie sia una legge relativa ai rapporti di lavoro, ed in particolare all'assunzione dei lavoratori, che -gi regolata in via generale come materia di una pubblica funzione (v. legge n. 264/1949) -ha costituito oggetto di numerosi interventi legislativi in favore di particolari categorie e di una disciplina generale sulle assunzioni obbligatorie presso le pubbliche amministrazioni e le aziende private, dettata con la legge in esame. N la suddetta legge n. 482/1968 pu esser confusa con Je Jeggi in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie, in relazione alle cui violazioni, purch punite con la sola ammenda, l'art. 35 legge n. 689/1981 (dchiamato come deroga al disposto dell'art. 34 lett. m) estende la depenalizzazione. Anzi, proprio l'espressa previsione di tale eccezione all'operativit del precetto di cui al ricordato art. 34 lett. m), costituisce ulteriore conferma del carattere onnicomprensivo di tale precetto e della sua estensione (salve le esplicite eccezioni poste dalla legge stessa) e tutte le violazioni delle norme comunque attinenti alla materia del lavoro. Del resto, la giurisprudenza di questa Corte Suprema non ha avuto dubbi nel ritenere sottratte alla depenalizzazione le violazioni, penalmente sanzionate, alle disposizioni della legge n. 482/1968 (cfr. cass. pen., sez. III, 6 maggio 1985, imp. Ottone; cass. pen., sez. III, 31 maggio 1986, imp. Cancarini; Cass. pen., sez. III, 12 giugno 1986, rie. Vagnoli; ca:ss. pen. sez. III, Della Sala rie., ove si affronta anche il problema del rapporto tra procedura conciliativa e procedimento penale; e, sulla portata generale della formula di cui all'art. 34 lett. m legge n. 689/1981, cass. pen., sez. III, 20 marzo 1984, imp. Di Benedetto). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA Dli.LO STATO 336 N a diverse conclusioni mai pervenuta la dottrina. Deve pertanto concludersi che i decreti prefettizi di cui causa (che del resto, non contengono alcuna ingiunzione e si lintano a determinare fa somma dovuta dal contravventore in conformit di quanto previsto dall'art. 24/2 legge n. 482/1968) non erano suscettibili di opposizione dinanzi al giudice civile; e che il soggetto, nei cui confronti sono stati emessi, ovie avesse ritenuto di contestarne i presupposti, non avrebbe avuto altro da fare che astenersi dal versare le somme in tali provvedimenti indicate e far valere le proprie ragioni dinanzi al giudice penale, cui gLi atti avrebbero dovuto esser trasmessi una volta scaduto inutilmente il termine di cui all'ultimo comma dell'art. 24 legge n. 482/1%8. Correlativamente, il giudice civile, adito per l'opposizione a tali decreti, avrebbe dovuto declinare la propria competenza giurisdizionale in materia. La sentenza impugnata, che ha invece dtenuto di poter conoscere di una controversia riservata al giudice penale, dev'esser, pertanto, cassata senza rinvio (art. 382/3 c.p.c.). Restano assorbiti gli ulteriori motivi del ricorso, con i qua1i il ricorrente denuncia violazione dei limiti della giurisdizione del giudice civile nei confronti della P.A. (secondo motivo), violazione delle norme sulla chiamata in giudizio delle amministrazioni dello Stato (terzo motivo) e violazione della normativa in materia di computo degli invalidi da assumere obbligatoriamente (quarto motivo). SEZIONE QUINTA GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 27 agosto 1988, n. 1006 -Pres. Laschena Est. Luce -Ministero defila Pubblica Istruzione (avv. Stato Palatiello) c. Fiori e Tavola Valdese (avv.ti Barile e Mauceri). Istruzione e Scuole -Pubblica istruzione -Insegnamento della religione cattolica -Attivit alternative -Obbligatoriet -Legittimazione al ri corso Tavola Valdese :Il: legittimata. Istruzione e scuole Pubblica istruzione Insegnamento della religione cattolica -Attivit alternative Obbligatoriet per chi ha scelto di non avvalersi dell'insegnamento religioso Legittimit. Istruzione e scuole Pubblica istruzione Insegnamento della religione cattolica Eccezione di illegittimit costituzionale :Il: manifestamente infondata. (Legge 25 marzo 1985, n. 121, art. 9; legge 11 agosto 1984, n. 449, art. 9; Cost., artt. 2, 3, 19, 21, 33, 97). La Tavola Valdese, in quanto ente posto quale rappresentante isti tuzionale delle chiese di culto valdese, soggetto esponenziale degli interessi di cui tali chiese sono portatrici; perci essa legittimata ad impugnare le circolari ministeriali che regolano l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole statali, essendo la sua azione sorretta dal peculiare intento di salvaguardare le sue stesse primarie finalit culturali. Il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica non violato dall'imposizione dell'obbligo, per chi abbia scelto di non avvalersene, di frequentare le c.d. attivit alternative, perch l'esigenza di non discriminazione tra l'avvalente e il non avvalente impone che ogni alunno abbia, in eguale misura, diritti e doveri: e cio, la stessa quantit di tempo scuola, nonch, nei limiti del possibile, la stessa opportunit educativa e formativa. E manifestamente infondato il dubbio di illegittimit costituzionale dell'art. 9 della legge n. 121/85, con riferimento ai princpi costituzionall che sanciscono la tutela dei diritti fondamentali (art. 2), l'eguaglianza di tutti i cittadini (art. 3), la libert religiosa (art. 19), la libert di coscienza (art. 21), la libert d'insegnamento (art. 33), l'organizzazione della P.A. 338 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA LELLO STATO (art. 97), perch la laicit dello Stato non esclude la possibilit dell'insegnamento religioso (1). (omissis) 1. -Quanto al ricorso n. 1572/87, l'Amministrazione appellante ripropone, preliminarmente, l'eccezione di inammissibilit del ricorso stesso, gi dedotta in primo grado e disattesa dal T.A.R., secondo cui l'obbligo di frequenza delle attivit integrative e la collocazione dell'insegnamento della religione cattolica nel quadro dell'orario ordinario delle lezioni discendeva, pi che dalla circolare impugnata n. 302 del 29 ottobre 1986, gi dalla legge, nonch dai programmi scolastici e da precedenti circolari, non impugnati dall'appellata. L'eccezione infondata e legittimamente il T.A.R. l'ha respinta. Come osservato dalla Tavola Valdese, le attivit integrative, alternative all'insegnamento deHa religione cattolica, hanno assunto carattere (1) A titolo di commento, si ritiene opportuno pubblicare la memoria redatta dall'avv. Antonio Palatiello (compresa la parte dedicata al fatto, che d conto degli esatti termini del problema dibattuto). L'insegnamento della religione cattolica nelle scuole di Stato (omissis) Con ricorso notificato il 22 dicembre 1986, la Tavola Valdese chiese al T.A.R. Lazio l'annullamento, previa sospensione, della circolare del Ministero della Pubblica Istruzione 29 ottobre 1986, n. 302, nella parte in cui prevede, per gli alunni che non abbiano dichiarato di avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica, attivit alternativa all'insegnamento religioso, con obbligo di frequenza da parte degli alunni stessi. Sostenne la ricorrente che l'art. 9 della legge 11 agosto 1984, n. 449, imporrebbe la collocazione dell'orario di insegnamento della religione cattolica in tempi tali da permettere a chi non se ne avvale di essere assente e di non partecipare all'attivit alternativa, di per s discriminante: la circolare impugnata violerebbe tale Jiisciplina legale sia perch pone l'insegnamento della reli gione come opzionale invece che facoltativo, sia perch obbliga chi non ha scelto di avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica a frequentare l'attivit integrativa, data come alternativa. La circolare impugnata, in particolare, violerebbe l'accordo bilaterale sot toscritto dal Governo e dalla Tavola Valdese il 21 febbraio 1984, che, recepito nella legge n. 449/84, imporrebbe la collocazione del:l'insegnamento religioso fuori dal quadro ordinario delle lezioni. Il Ministero intimato si costituiva in giudizio. Intervennero ad adiuvandum la Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia ed altri enti esponenziali delle rispettive confessioni religiose . Con sentenza n. 1274/87 il T .A.R. ha annullato l'impugnata circolare n. 302/ 1986 nella parte in cui sancisce, per chi abbia scelto di non avvalersi dell'insegnamento religioso cattolico, l'obbligatoriet degli insegnamenti integrativi o della frequenza nella libera attivit di studio, offerti in opzione, rispetto ad esso, nelle scuole pubbliche di ogni ordine e grado . Il T.A.R. Lazio, con la sentenza oggi all'esame, ha svolto il seguente ragionamento sul quale ha fondato il parziale accoglimento del ricorso: premesso che la Tavola Valdese trarrebbe la propria legittimaZ:ione ad agire dal pecu PARTB I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMIN1STRATIVA 339 obbligatorio nei confrnnti di tutti gli alunni soltanto con la circolare impugnata n. 302 del 1986, la quale di:spone, tassativamente, il che non era avvenuto nelle precedenti circolari, l'obbligatoriet della frequenza delle attivit stesse per gli alunni che comunque non avessero dichiarato di avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica. L'avverbio (comunque) impiegato, escludendo a priori qualsiasi eccezione, consente quindi l'imposizione coattiva deHe attivit integrative anche agli alunni che abbiano esercitato lo specifico diritto, riconosciuto dall'art. 9 della legge 449 del 1984, di non avvalersi delle pratiche e dell'insegnamento religioso , conoretizzando la lesione deH'interesse fatto valere dalla Tavola Valdese; solo con tale circolare, pertanto, si affermata l'obbligatoriet della frequenza delle attivit integrative anche per gli alunni che non si avvalgono dell'insegnamento della religione cattolica, perch appartenenti alle Chiese rappresentate dalla Tavola medesima che, quindi, legittimamente solo dopo ta:le circolare ha proposto ricorso. liare intento di salvaguardia delle sue stesse primarie finalit culturali, ed atteso che l'obbligo di frequenza della scuola (per le attivit alternative e per lo studio individuale) sarebbe stato introdotto per la prima volta con la circolare n. 302/86, sarebbe illegittimo porre il detto obbligo a carico di chi abbia scelto di non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica perch, in buona sostanza, non previsto da alcuna lgge: la legge, infatti, darebbe solo la facolt di scegliere tra l'avvaiersi e non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica, senza oneri alternativi in ragione della scelta da ciascuno liberamente operata; nemmeno potrebbe invocarsi, a detta del T.A.R., l'esigenza dell' eguale tempo scuola, perch, oggi, il tempo scuola sarebbe quello che risulta senza considerare l'ora di religione, facoltativa, e perci aggiuntiva'" con il chiarimento che per aggiuntivo si intende, nel caso in esame, un quid pluris, che si aggiunge per gli avvalenti agli altri insegnamenti curriculari ... (che) pur collocati nelle normali fasce orarie e non al di fuori di esse ... costituisce un di pi, offerto agli avvalenti, senza, peraltro, alcun correlativo onere di frequenza di altri insegnamenti per i non avvalenti. La sentenza del T.A.R. Lazio stata fatta oggetto di tempestivo appello da parte del Ministero della Pubblica Istruzione, che ha riproposto le ecceziorii preliminari, pregiudiziali e di merito gi sollevate, ed ampiamente illustrate, in prima cure. Il Consiglio di Stato ha, per quanto di ragione, accolto la domanda inci dentale di sospensione dell'esecutivit della sentenza impugnata. La causa viene oggi all'esame del Collegio per il merito. * * * Con ricorso notificato 1'8 gennaio 1987 Fiori Gian Mario, genitore esercente la potest sui figli minori Stefano e Flavia, alunni di scuola media, impugnava davanti al T.A.R. Lazio l'orario delle lezioni adottato dal Preside della S.M.S. Tacito di Roma-Vitinia per l'anno scolastico 1986-87, delle relative deliberazioni del Collegio dei docenti, non conosciute, e delle conseguenti disposizioni del Preside della predetta S.M.S., per quanto concerne l'obbligo degli alunni che hanno scelto di non avvalersi dell'I.R.C. ad essere presenti a scuola per le c.d. attivit alternative e l'utilizzazione del personale docente per tali attivit, nonch delle CC.MM. n. 368 del 20 dicembre 1985, n. 130 del 3 maggio 1986, n. 211 del 24 luglio 1986, e n. 302 del 29 ottobre 1986, e, per quanto di RASSEGNA DELL'AWOCATURA IJELLO STATO 340 Sempre in via preliminare, nello stesso ricorso n. 1572/87, l'Amminif: strazione appellante ripropone, ulteriormente, l'eccezione di inammissibilit 'dell'originario ricorso per carenza di legittimazione attiva della I ~ Tavola Valdese. Anche ta!le eccezione infondata e legittimamente stata respinta dal T.A.R. La Tavola Valdese ente morale dotato di capacit giuridica per antico possesso di stato ed ente esponenziale delle chiese valdesi; ed in tale qualit, ha stipulato l'intesa con lo Stato italiano che alla base della legge n. 449/1984. Correttamente, pertanto, il T.A.R. ha osservato che, essendosi l'ente posto come rappresentante istituzionale delle chiese di culto valdese e cio come soggetto esponenziale degli interessi di cui tali chiese sono ragione, del D.P.R. del 16 dicembre 1985, con cui stata data esecuzione all'in tesa tra il Ministero P.I. e il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana del 14 dicembre 1985, in parte de qua, e della deliberazione del Consiglio dei Ministri con cui stato autorizzato il Ministro P.I., nonch di ogni altro atto presup posto, connesso e conseguente . Premessa la trascrizione delle norme che disciplinano l'insegnamento della religione cattolica, e riportato il contenuto degli atti impugnati per la parte ritenuta rilevante, il ricorrente chiariva che i propri figli frequentavano la Scuola Media Tacito ed avevano scelto di non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica; egli si doleva del fatto che, mentre gli altri ragazzi seguivano l'ora di religione, i suoi figli erano costretti a restare a scuola, im pegnati nelle c.d. attivit alternative. Osservando che il sistema, per come organizzato dalle disposizioni impu gnate, si risolverebbe in una oggettiva discriminaziOllle in odio a coloro che hanno scelto di non avvalersi dell'insegnamento della religione, il ricorrente affi. dava il gravame ad otto motivi di ricorso. Con i primi tre motivi il ricorrente lamentava la violazione dell'art. 9 della legge 25 marzo 1985, n. 121, dell'art. 5 del relativo Protocollo, dell'art. 9 della legge 11 agosto 1984, n. 449, con riferi mento agli artt. 2, 3, 8, 19, 21, 33 della Costituzione; lamentava altres il vizio di eccesso di potere. In buona sostanza affermava che la legge 121/85, e, prima, la legge 449/84, avrebbero disposto il principio della facoltativit dell'insegnamento della religio. ne cattolica; tale principio sarebbe stato violato prima dall'Intesa, di cui al D.P.R. n. 751/85, e poi dalle circolari ministeriali, perch queste avrebbero introdotto il diverso criterio della opzione obbligatoria senza alternativa; a suo dire, insegnamento facoltativo sarebbe quello che si sceglie in aggiunta agli insegnamenti obbligatori per tutti, e che quindi dovr essere collocato in orario aggiuntivo; gli atti impugnati-avrebbero invece trasformato tale insegnamento facoltativo in insegnamento opzionale che si sceglie obbligatoriamente in alternativa ad altro insegnamento, entrambi collocati in orario obbligatorio per tutti. In concreto, le disposizioni impugnate avrebbero violato la legge nella parte in cui questa configurerebbe l'insegnamento della religione cattolica come un insegnamento che deve essere esplicitamente richiesto in aggiunta agli insegnamenti obbligatori per tutti; l'aver invece collocato tale materia nell'orario obbligatorio per tutti avrebbe dato vita, ad avviso del ricorrente, PARTB I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMlNISTRATIVA 341 portatrici, l'azione da essa proposta a tutela di quegli interessi, appare sorretta da una chiara posizione legitt!Illamente, donde l'ammissibilit del :ricorso in relazione aU'eccezione esaminata, atteso che la Tavola Valdese non agisce quale mero sostituto processuaile dei propri fedeli, bens per un concreto interesse proprio (e delle chiese da essa rappiresentate) qualificato non da1'1a ricerca del mero rispetto della norma pattizia, bens dal peculiare intento di salvaguardia de11e sue stesse primarie finalit culturali. Sempre in via preliminare, infine, nel ricorso 1572/84, viene riproposta l'eccezione, anch'essa da ritenere infondata, di improponibilit del ricorso stesso per diretto di giurisdizione del giudice amministrativo. Non si pu condividere, infatti, l'assunto deM'appellante secondo cui ia Tavola Valdese avrebbe fatto valere un interesse di mero fatto, ovvero un diritto soggettivo, dru momento che l'ente ha inteso censurare le moda- ad un vizio di impostazione, che si rifletterebbe sui seguenti aspetti dell'organizzazione, di conseguenza illegittimi: a) sull'obbligo di chi non si avvale dell'insegnamento predetto di frequentare l'attivit alternativa; b) sul dovere dei docenti, pur nei limiti del loro orario di servizio, di svolgere l'attivit alternativa o quella di assistenza agli alunni che scelgono lo studio individuale. Tutto ci rivelerebbe l'intento ministeriale di spingere la scelta in favore della religione cattolica, con chiaro eccesso di potere e con effetti discriminatori per i non avvalenti. Con il quarto motivo si osservava che l'attivit alternativa (ed anche, per le scuole superiori, lo studio individuale) offerta a chi dichiara di non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica, sarebbe stata inventata dall'Amministrazione, con un fiat" creativo che l'ordinamento non conosce; e ci sarebbe tanto pi illegittimo, in quanto l'organizzazione dell'attivit didattica sarebbe di competenza esclusiva degli Organi collegiali (Collegio dei docenti: art. 4 D.P.R. n. 416/74; Consiglio di circolo o d'istituto art. 6 D.P.R. n. 416/74) in ordine alle cui determinazioni il Ministero non avrebbe potere d'alcun genere. Con il quinto motivo, il ricorrente lamentava la violazione di alcune norme della Costituzione: a suo dire, se la legge n. 121/85 dovesse interpretarsi nel senso indicato dal Ministero (doversi cio collocare l'insegnamento della religione cattolica nell'orario obbligatorio per tutti), la stessa legge risulterebbe incostituzionale perch, di fatto, quell'insegnamento sarebbe obbligatorio con possibilit di esonero , con violazione dei princpi costituzionali della libert di coscienza, della libert di insegnamento, dell'eguaglianza e dell'efficiente organizzazione del servizio pubblico. Con il sesto motivo si disse che l'orario di servizio e le funzioni dei docenti sono disciplinati per legge; gli atti impugnati avrebbero disapplicato la legge (in particolare, gli artt. 2, 3, 88 D.P.R. n. 417/74, e gli artt. 14 e 17 della legge n. 270/82) la quale vorrebbe che il docente sia utilizzato esclusivamente nell'attivit di insegnamento nella classe assegnatagli, salve le eccezioni tassativamente previste; dunque, continuava il ricorrente, aver imposto agli organi collegiali l'organizzazione delle c.d. attivit alternative ed aver imposto l'utilizzazione del personale docente per tali attivit diverse dall'insegnamento, o addirittura per assistere al c.d. studio individuale sarebbe illegittimo; e ci risulte 342 RASSEGNA DEI.L'AVVOCATURA DrLLO STATO lit di esercizio deil potere, riconosciuto all'Amministrazione della Pubblica Istruzione, di organizzare e gestire con atti autoritativi il servizio scolastico, lamentando, pertanto, la lesione di un vero e proprio interesse legittimo, la cui tutela affidata rulla cognizione del giudice amministrativo. 2. -Passando, ora, all'esame del merito dei due ricorsi, va rilevato che l'insegnamento della religione cattolica nella scudla italiana risale alla legge sarda (Casati) del 13 novembre 1859, n. 3725 e fu ribadito nell'art. 3 del R.D. 1 ottobre 1923, n. 2185 (riforma Gentile) secondo cui a fondamento e coronamento dell'istruzione elementare in ogni suo grado posto l'insegnamento della dottrina cristiana secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica . rebbe ancora pi evidente ove si consideri che la legge n. 93/83 ha riservato al procedimento degli accordi l'organizzazione del lavoro. N si potrebbe dire, continuava il ricorrente, che le attivit alternative rientrano nella tipologia dei corsi di recupero o di integrazione o delle attivit parascolastiche o interscolastiche di r.ui parla l'art. 88 D.P.R. n. 417/74, perch questi ultimi, a differenza delle prime, rappresenterebbero una prosecuzione dell'attivit di insegnamento curriculare . In particolare, per le scuole superiori, l'alternativa dello studio individuale data a chi, dichiarando di non avvalersi dell'insegnamento della religione, neppure vuole fruire dell'attivit alternativa, finisce con il comportare, a carico dei docenti, un onere di vigilanza ben diverso da quello coessenziale all'attivit di insegnamento, e, dunque, un compito non previsto dal mansionario . Con il settimo motivo, il ricorrente osservava che l'organizzazione della c.d. attivit alternativa, per la parte in cui si prevede la possibilit di accorpare gli alunni oltre che per classi parallele anche in senso verticale, darebbe luogo ad altra ragione di illegittimit, perch esautorerebbe gli Organi collegiali e, soprattutto, si porrebbe in contrasto con il principio del rapporto docente-classe, cos come configurato dagli artt. 2 e 3 e pi in generale con l'attuale organizzazione dell'attivit didattica, con ulteriore discriminazione dei non avvalenti. Con l'ottavo motivo il ricorrente osservava che gli atti impugnati violerebbero alcune norme dei D.P.R. 31 maggio 1974 n. 416 e 417, perch avrebbero dimenticato che, in materia di formulazione dell'orario delle lezioni e di svolgimento delle altre attivit scolastiche, la competenza esercitata dal Capo d'Istituto su proposta del Collegio dei docenti, il quale deve tener conto dei criteri generali indicati dal Consiglio d'Istituto. Gli atti impugnati avrebbero del tutto dimenticato la competenza del Consiglio d'Istituto e si sarebbe omesso di sentire le proposte del Collegio dei docenti. Il ricorrente, in conclusione, chiedeva l'annullamento degli atti impugnati e, in ipotesi , domandava che sia ritenuta non infondata la questione di illegittimit costituzionale della legge 25 marzo 1985, n. 121, in parte de qua (e segnatamente l'art. 9 dell'Accordo e n. 5 del protocollo addizionale) per violazione degli artt. 2, 3, 19, 21, 33, 97 della Costituzione. Con sentenza in data 3-26 giugno 1987, pubblicata il 7 luglio 1987, n. 1273/87, il T.A.R. adito ha accolto per quanto di ragione il ricorso, ritenendolo inam PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMI1USTRATIVA 343 Principio, quello indicato, successivamente confermato con l'art. 27 del R.D. 5 febbraio 1928, n. 577 che configurava, anch'esso, ila dottrina cristiana, secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica, come fondamento e coronamento dell'istruzione elementaTe . L'insegnamento, concretamente discirplinato da[ regolamento di cui al R.D. 26 aprile 1928, n. 1297 (artt. 108-112 e allegato B) veniva configurato come obbligatorio, anche se era consentita l'esenzione dei fanciulli i cui genitori dichiaravano di volervi provvedere personalmente (4 comma detto art. 27 R.D. n. 577/1928). Con il Concordato dell'll febbraio 1929, reso esecutivo con la legge 27 maggio 1929, n. 810, si provivedeva ad una maggiore estensione dell'insegnamento in discorso (art. 36) considerato, questa volta, fondamento e coronamento dell'istruzione pubblica (non solo elementare). missibile per il resto, annullando la C.M. 29 ottobre 1986 n. 302 laddove implica, per la scuola media, l'obbligo di frequenza alle attivit integrative'" nonch l'orario delle lezioni in quella sede gravato nella parte in cui implica l'obbligatoriet di tali insegnamenti . La motivazione di tale sentenza eguale, per quanto interessa, alla coeva n. 1274, prima riassunta. L'Amministrazione ha proposto tempestivo appello. Il Consiglio di Stato ha accolto, per quanto di ragione, la domanda incidentale di sospensione dell'esecutivit della sentenza impugnata. La parte appellata ha notificato appello incidentale, per riproporre tutti i motivi di censura che nella sentenza appellata sono stati dichiarati inammissibili e, a quanto sembra, anche le prospettazioni dichiarate infondate. Nell'appello incidentale si sostiene, in sintesi, quanto segue: 1) l'ora di religione meramente facoltativa, e non opzionale; essa va dunque collocata fuori dell'orario scolastico obbligatorio per tutti, cio in un orario aggiuntivo" per tale dovendosi intendere quello che si tiene quando le altre attivit didattiche sono sospese; 2) chi ha scelto di non avvalersi dell'insegnamento predetto non pu essere obbligato ad alcuna scelta alternativa; 3) l'attivit alternativa comunque discriminante, perch di contenuto vago ed ambiguo, per di pi individuata nelle e.cl. attivit integrative, di cui all'art. 7 della legge n. 517/77, che hanno tutt'altro scopo; 4) l'attivit alternativa illegittimamente organizzata, sia perch si sono ignorate le competenze degli Organi collegiali, sia perch si preteso di im porre a carico dei docenti un'attivit non prevista dai mansionario, sia perch, infine, si disposto l'accorpamento, in un unico gruppo, di alunni appartenenti a classi diverse; 5) se, poi, l'insegnamento della religione fosse da collocare nell'orario ordinario, gli artt. 9 della legge n. 121/85 e 5 del Protocollo si porrebbero in contrasto con gli artt. 2, 3, 19, 21, 33, 97 Cost., sia perch violerebbero i fonda mentali princpi della libert religiosa, sia perch introdurrebbero un sistema organizzativo di manifesta irrazionalit. DIRITTO I due appelli principali, e quello incidentale del Fiori, vengono oggi all'esame del Collegio per il merito. 10 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA rw.o STATO 344 Veniva, perci, consentito che lo stesso avesse un ulteriore sviluppo nella scuola media, secondo programmi da stabilirsi di comune accordo tra la Santa Sede e lo Stato italiano. Era, cos, emanata la legge 5 giugno 1930, n. 824 che (art. 1) istituiva negli istituti medi d'istruzione olassica, scientifica e magistrale, nelle scuole e negli istituti artistici l'insegnamento religioso. Restava salva (art. 2) la dispensa dall'obbligo di frequentare l'inseg0amento in esame per gli alunni i cui genitori o chi ne fa le veci, ne facciano richiesta per iscritto al capo d'istituto all'inizio dell'anno 1scolastico . Con successivo R.D. 10 luglio 1930, n. 1015, venivano, poi, elaborati i programmi della materia, che erano, quindi, riveduti con l'istituzione della scuola media unificata e che erano fissati con D.M. 24 aprile 1963. ~utti i suocessivi provvedimenti volti ad introdurre riforme dei corsi Essi propongono, nel loro insieme, il problema (dell'insegnamento della religione cattolica nella scuola italiana) nella sua globalit: nel loro insieme gli appelli affrontano il tema in tutti i suoi vari profili e implicazioni, sicch opportuna la redazione di un'unica memoria. :E!. tuttavia necessario, prima di trattare il tema di fondo, dare la debita attenzione alle questioni pregiudiziali esaminate dal T.A.R. con la sentenza n. 1274/87, riguardante il ricorso della Tavola Valdese, puntualmente riproposte in appello. * * * Si sollevata in primo grado, e si riproposta in appello, l'eccezione di inammissibilit del ricorso della Tavola Valdese, perch l'obbligo di frequenza dell'attivit alternativa, e la collocazione dell'insegnamento della religione cattolica nel quadro orario delle lezioni, non sono affatto disposti dalla impugnata circolare, derivando, invece, in parte dalla legge, in parte dai programmi ministeriali, in parte dalle precedenti circolari. L'insegnamento della religione cattolica nell'orario ordinario delle lezioni disposto dall'art. 9 della legge 25 marzo 1985, n. 121, dal relativo protocollo e dal D.P.R. 16 dicembre 1985, n. 751; dall'art. 2 della legge n. 1859/62 per la scuola media e dal D.M. 9 febbraio 1979; dal D.P.R. 14 giugno 1955, n. 503, di recente sostituito dal D.P.R. 12 febbraio 1985, n. 104 per le elementari; dal D.P.R. 10 settembre 1969, n. 647, di recente sostituito dal D.P.R. 24 giugno 1986, n. 539, per la materna. L'attivit integrativa, come alternativa per chi non si avvalso dell'insegnamento della religione cattolica, disposta con carattere di obbligatoriet dalla C.M. 3 maggio 1986 n. 129 (per le elementari) e dalla coeva circolare n. 130 (per le medie), con disposizioni ribadite dalla C.M. 24 luglio 1986, n. 211. 11 T.A.R. Lazio ha rigettato tale eccezione esaminandola insieme con il merito'" per tale essendosi inteso il problema interpretativo delle c.d. novme neo-concordatarie. L'eccezione di inammissibilit stata mal valutata, e tautologicamente risolta: non basta, invero; dire che le norme concordatarie vietano l'imposizione di oneri a carico del non avvalente per inferirne che quindi,. le circolari che precedettero la 302 non avessero imposto simili oneri: le circolari che precedettero la 302 storicamente nacquero, come meglio si dir tra poco, dall'esigenza di dare esecuzione o, almeno, seguito, alla Risoluzione della Camera dei Deputati del 15 gennaio 1986, con la quale si era sottolineata la necessit di assicurare la scelta tra alternative entrambe note e definite PARTB I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 345 cli istruzione, ovvero ad istituire nuove scuole compresero sempre, tra le materie curriculari, l'insegnamento della Teligione cattolica; per~tro, con la facolt della dispeil!sa. Da sottolineare ohe alle solenni enunciazioni di principio, contenute nell'art. 36 del Concovdato del 1929, cui si ricdllega tutta l'evoluzione della successiva legislazione, non faceva riscontTo un adeguato piano attuativo, dal momento che iJ.e leggi le quali, concretamente, attuavano i principi enunciati nel Concordato, riconoscevano un ruolo ma'l'ginale all'insegnamento della religione nella scuola, dato che lo Stato consentiva soltanto la sua introduzione nei programmi delle scuole secondarie superiori, sempre, per, quasi considerandolo estraneo ana funzione pubblica in ma- che doveva essere garantita a tutti gli interessati; in particolare, tra queste circolari precedenti la 302 , vi la 211 , la quale segue la legge del 18 giugno 1986, n. 281 (del tutto ignorata dal T.A.R.) la quale dispone: Gli studenti della scuola secondaria inferiore esercitano personalmente ... il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica ... Le scelte in ordine ad insegnamenti opzionali e ad ogni altra attivit culturale e formativa sono effettuate personalmente dallo studente... " La cronologia dei provvedimenti dimostra che l'onere della scelta e dei conseguenti doverosi comportamenti era gi previsto nelle circolari che precedettero la 302 , ed in particolare in quella, 211 , destinata a portare a compimento il sistema faticosamente emergente: ci, a torto o a ragione che sia stato (e, come si vedr oltre, a ragione), certo avvenne ben prima della circolare 302 , che si limit a dichiarare quanto era gi contenuto negli atti precedenti. Il ricorso della Tavola Valdese doveva dunque essere dichiarato inammissibile, perch rivolto contro un atto amministrativo meramente dichiarativo della volont, in ipotesi anche solo provvedimentale o discrezionale, contenuta neJ1e circolari del maggio '86 e nella 211 " * * * Si sollev in primo grado, e si riproposta in appello, l'eccezione di inammissibilit 'del ricorso per difetto di legittimazione attiva, perch la Tavola Valdese rappresenta le Comunit valdesi, ma non ha il potere di agire in giudizio in sostituzione processuale " per le persone che professano quella fede. Si rilev, ancora, in primo grado, con eccezione riproposta in appello, l'improponibilit del ricorso per difetto di giurisdizione, per la parte in cui si lamentava la lesione dell'interesse proprio della Tavola, che si sarebbe avuta per la violazione dell'Intesa: questa posizione non ha sicuramente la natura di interesse legittimo: o un diritto soggettivo di tipo contrattuale, oppure -pi verosimilmente - interesse di fatto, giacch l'Intesa trova il filtro della legge. Il T.A.R. Lazio ha risposto a tali eccezioni cos argomentando: a) la Tavola Valdese agisce in giudizio nella qualit di contraente nell'Intesa di cui alla legge 11 agosto 1984, n. 449 ; b) la circolare viola, nella prospettazione di parte, i principi contenuti nella citata legge 449 , la quale legge vuole evitare discriminazioni in danno delle Chiese valdesi e dei loro fedeli ; c) dunque la Tavola, come soggetto esponenziale degli interessi di cui le Chiese (valdesi) sono portatrici ... (ben pu agire) a tutela di quegli inte 346 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA QELLO STATO teria cli istruzione: attribuendogli, cio, un ruolo che venne segnato sin dalla legge 5 giugno 1930 n. 825, attuathra del Concordato stesso, che disponeva che per tale insegnamento non vi sarebbero stati, comunque, n voti, n esame, n frequenza assolutamente obbl]jgatoria (art. 2). L'ambiguit del sistema si spiegava con l'esigenza, da un lat~, di armonizzazione dell'intero ordinamento e, quindi, anche di quello scolastico, al principio del confessionismo statale, che con hl. Concordato veniva riaffermato; dall'altro lato, con la contraddizione che la proclamata funzione attribuita all'insegnamento della religione conf'liggeva con la concezione. idealistica dello Stato etico allooa imperante, e con il ruolo preminente nell'educazione che da tale concezione derivava e che rivendicava il diritto de11o Stato di educare in piena autonomia del magistero della Chiesa. ressi '" qualificati non dalla ricerca del mero rispetto della norma pattizia, ma dal peculiare intento di salvaguardia delle sue stesse primarie finalit culturali,., L'argomento sub a) inutilmente tautologico: nessuno ha mai contestato alla Tavola di essere contraente dell'Intesa sulla base (art. 8 Cost.) della quale la legge 11 agosto 1984, n. 449, dett norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e le Chiese rappresentate dalla Tavola Valdese. Degli argomenti sub b) e sub e) sorprende non tanto l'erroneit, quanto I il paralogismo che alla base dell'errore; quegli argomenti, infatti, postulano la configurabilit di leggi statali non rivolte a tutti i cittadini, non invoca~. bili, indistintamente, da qualunque membro della collettivit, generali ed astratfil te, ma invocabili e utilizzabili solo da determinate categorie di persone; ci sarebbe la legge dei Valdesi, e quella dei Cattolici; correlativamente - fecito presumere -ci sarebbe la legge dei lavoratori e quella degli impren* ditori; la legge degli inquilini e quella dei proprietari d'alloggi, e cosi via I all'infinito. Non cosi: almeno da quando gli Stati cessarono d'essere confederazione di tribus o di familiae , non esiste la legge di questo o di quello; la legge sempre dello Stato, e tutti vincola al rispetto ed I a tutti destinata; cosi come legge dello Stato -e non dei Cattolici quella di ratifica del Concordato con la Santa Sede, cosi non la legge dei I Valdesi, ma dello Stato, rivolta a tutti, e da tutti da osservare, la 449/84. Ci che dispone l'art. 9 di questa legge deve, ovviamente, essere osservato dall'Amministrazione, parola per parola, virgola per virgola; tutto e bene; con lealt e correttezza. Ma quello che dice l'art. 9 vale per il valdese come per l'ebreo, per il cattolico, come per l'ateo, o il musulmano; qualunque alunno ha diritto di veder garantita la libert di coscienza e quindi, ex art. 9, ha diritto di non avvalersi delle pratiche e dell'insegnamento religioso (cattolico) . Nelle scuole della Repubblica non vi sono alunni la cui coscienza libera valga di pi di quella di altri; i Valde.si meritano, ovvio, ogni rispetto, ma non sono loro i soli destinatari dell'art. 9, il quale va osservato (anche) dallo Stato, tutto e bene, con lealt e correttezza, non perch esso fu preceduto da un pattQ stipulato tra un Presidente del Consiglio e un Pastore d'anime, ma perch quell'art. 9 legge dello Stato. E se cosi, se l'art. 9, del quale la Tavola ha lamentato la lesione, vale tutto e per intero per qualunque cittadino, in quanto legge dello Stato, se, in una parola, l'art. 9 non la legge dei Valdesi, ma la legge di tutti, allora bisogna ammettere che PARTE I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 347 3. -Completamente diversa fa motivazione dell'insegnamento, nelle scuole pubbliche, della religione cattolica, adottata dai Concordato revisionato. Il che, se comporta un evidente superamento delle precedenti ambiguit e contraddizioni, implica, tuttavia, una diversa chiave interpretativa delle relative disposizioni e delle modalit concernenti la loro attuazione. Al punto 2 dell'art. 9 del nuovo accordo tira la Repubblica Italiana e la Santa Sede, reso esecutivo con legge 25 marzo 1985, n. 121, si afferma, innanzitutto, il riconoscimento da parte della Repubblica Italiana della cultura religiosa (di ogni specie di religione). Lo Stato, cio, pur nella sua laicit, non resta indifferente al fenomeno religioso (intesa l'espressione in senso lato ed a prescindere dalla soluzione che ai problemi posti dalla religione ognuno intenda daire); adegua, bens, i suoi fini essenziali, relativi al miglioramento dell'uomo, l'aspettativa al rispetto dell'art. 9 non vede i Valdesi in posizione giuridica differenziata rispetto a quella di qualsiasi altro cittadino, o ente esponenziale, o associazione culturale, che voglia, come tutti devono volere, il pieno rispetto della legge. Dopo l'Intesa tra il Governo e la Tavola c' stata la legge; l'ordinamento deve rispettare la legge, in favore e nei confronti di tutti; e tutti (Valdesi o meno) sono portatori dei diritti attribuiti dall'art. 9. La mancanza di situazione differenziata in capo alla Tavola Valdese rendeva dunque inammissibile il ricorso di primo grado, rivolto, come era, ad eccepire l'illegittimit della circolare 302 (rivolta a tutti) per violazione dell'art. 9 della legge n. 449/84, e di altre norme di legge, relative a tutti. * * * Nel merito le due sentenze del T.A.R. sono sicuramente errate. Il diritto di non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica implicherebbe, secondo il primo Giudice, la necessit di escludere che sia prevista come obbligatoria la frequenza a corsi di insegnamento per cos dire alternativi... sicch l'alternativa ad una facolt verrebbe, in effetti, a convertirsi in obbligo (per di pi imposto solo) ai non avvalenti ; la facoltativit dell'insegnamento della religione cattolica dimostrerebbe che il relativo orario sarebbe aggiuntivo >>, per cui il tempo-scuola si sarebbe, dal momento dell'introduzione del sistema della facoltativit, automaticamente ridotto in proporzione; liberi, dunque, i non avvalenti di non essere a scuola durante l'ora di religione, o di fruire dei servizi loro offerti in alternativa, o di restare a scuola senza far nulla, con l'onere dell'Amministrazione di garantire un idoneo servizio di vigilanza. Il modulo organizzativo proposto dal T.A.R. nella quadriplice possibilit (dell'ora di religione, della mera assenza, dell'ora alternativa, e dell'ora che si potrebbe definire del nulla vigilato) e lo schema logico che quel modulo dovrebbe sorreggere (dato dall'equazione facoltativit = aggiuntivit, ma con il dovere della scuola di garantire almeno la sorveglianza) non hanno precedenti noti nell'esperienza giuridica delle altre Nazioni civili, che, a quanto risulta, n considerano la Scuola quale ospizio d'adolescenti, n tollerano che siano le scelte individuali a condizionare l'organizzazione. Ma soprattutto ,. 348 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA l>ELLO STATO considerandone la connaturnle religiosit nel quadro delle finalit della scuola. D'a!ltra parte (seconda enunciazione contenuta nell'indicata norma) tiene anche conto ,che i principi del cattolicesimo fanno parte del patri monio storico del popolo italiano, Che tali principi, cio, hanno, tuttora, un rfilevante radicamento nehla cosciel12Ja (quanto meno della maggioranza) del popolo italiano, che trova, essenzialmente, neUa cwturn, nella tradizione e nella vita quotidiana i segni ed i simboli di tale tipo di religione; con la conseguenza che non possono essere ignorati da una scuola, la cui funzione anche quella di interpretare e povtare a livello di conoscenza individuale i fenomeni pi diffusi della realt socia'le. Scaturisce la conseguenza che l'insegnamento della religione cattolica non pi considerato come est!l"aneo alla scuola pubblica; non pi una da dire che il confuso modello immaginato dal TA.R. non trova il bench minimo supporto nel diritto positivo vigente. * * * L'insegnamento della religione cattolica nella scuola italiana ha ongme preconcordataria. L'art. 315 della legge sarda 13 novembre 1859, n. 3725 (c.d. legge Casati), che certamente non di ispirazione clericale, e poi l'art. 3 del r.d. 1 ottobre 1923, n. 2185 (c.d. riforma Gentile) dispongono tale insegnamento nella scuola elementare, con l'affermazione che esso fondamento e coronamento di quell'istruzione. L'art. 27 del R.D. 5 febbraio 1928, n. 577, pone, sempre per la scuola elementare, la dottrina cristiana secondo la forma ricevuta da!lla tradizione cattolica " come fondamento e coronamento dell'istruzione; l'insegnamento in dettaglio disciplinato dalle norme del relativo regolamento di cui al R.D. 26 aprile 1928, n. 1297 (in particolare, artt. 108, 112 e allegato B). L'insegnamento in esame impartito come obbligatorio, salva la facolt di esonero. Con l'art. 36 del Concordato, di cui alla legge 27 maggio 1929, n. 810, l'Italia considera fondamento e coronamento dell'istruzione pubblica l'insegnamento della dottrina cristiana secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica e perci (quasi a sottolineare l'autonomia della scelta) consente che l'insegnamento religioso ora impartito nelle scuole pubbliche elementari abbia un ulteriore sviluppo nelle scuole medie, secondo programmi da stabilirsi d'accordo tra la Santa Sede e lo Stato . Fu dunque emanata la legge 5 giugno 1930, n. 824, con la quale venne istituito negli istituti medi d'istruzione classica scientifica e magistrale, nelle scuole e negli istituti d'istruzione tecnica e nelle scuole e negli istituti d'istruzione artistica l'insegnamento religioso (articolo 1) con facolt di chiederne la dispensa (art. 2). L'insegnamento religioso Ǐ impartito secondo i programmi approvati con decreto reale per un'ora settimanale in ogni classe di ciascun istituto ... (art. 3). Seguono norme sulla valutazione (art. 4), sull'affidamento degli incarichi (art. 5), sui diritti e i doveri degli insegnanti (art. 6 segg.). Con R.D. 10 luglio 1930, n. 1015, vennero elaborati i programmi di insegnamento religioso. PARTE I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMI1{ISTRATIVA 349 mera concessione fatta alla Chiesa cattolica, rientrando, bensl, a titolo proprio, nelle finalit dello Stato in ordine alla elevazione defila cultura e della coscienza del singolo cittadino. La Repubblica Italiana, pertanto (terzo enunciato dell'anzidetto punto 2 dell'art. 9 della legge n. 121/1985), in tale diversa prospettiva continuer ad assicurare, nel quadro delle fimdit della scuola, l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado, Come dato dedurre dalle norme richiamate e come, poi, sar ribadito nel relativo protocollo addizionale, il nuovo testo del Concordato non ha accolto il suggerimento di sostituire all'insegnamento della religione un insegnamento 'sulla religione: suggerimento teso a trasformare l'insegnamento stesso in un corso di cultura religiosa, o di storia delle \I'eligioni o di sociologia religiosa che, forse, avrebbe reso pi agevole il successivo operato dell'Amministrazione della Pubblica Istruzione. Con l'istituzione della media unificata,. fu necessario rivedere quei programmi che vennero dunque stabiliti, per la media inferiore, con il D.M. 24 aprile 1963. I provvedimenti che, negli anni, furono rivolti a riforme dei corsi d'istruzione, o all'istituzione di nuove scuole, non dimenticarono mai di espressamente prevedere, tra gli insegnamenti curriculari, quello della religione, sempre con la facolt di chiederne la dispensa (ad esempio, legge 15 giugno 1931, n. 889, sul riordinamento dell'istruzione tecnica: la religione insegnamento curriculare; D.P.R. 1 maggio 1972, n. 825, per l'Istituto Tecnico per Geometri; D.P.R. 22 aprile 1972, n. 556 per il corso di arti grafiche dell'Istituto Tecnico Industriale, e cos via). I programmi dell'insegnamento della religione nelle scuole superiori, gi determinati dal R.D. 10 luglio 1930, n. 1015, vennero riformulati con il D.P.R. 30 giugno 1967, n. 756 (restato in vigore fino all'adozione dell'attuale D.P.R. 21 luglio 1987, n. 339), dove si legge: tale insegnamento intende contribuire all'armonico ed integrale sviluppo dell'alunno, nel rispetto delle esigenze personali proprie della sua et e della sua vocazione (art. 1). Nelle avvertenze particolari il D.P.R. in esame valorizza particolarmente l'aspetto formativo del dialogo che, sui temi religiosi, deve essere impostato tra il docente e la classe. Per la scuola media 1;J.Ilificata i programmi, originariamente previsti dal D.M. 24 aprile 1963, sono stati rielaborati con il D.P.R. 6 febbraio 1979, n. 50 (rimasto in vigore fino all'adozione dell'attuale D.P.R. 21 luglio 1987, n. 350), che mette in risalto il valore formativo di tale insegnamento e i suoi aspetti di interdisciplinariet, nel quadro di un armonico sviluppo dell'alunno. Per la scuola elementare i programmi, originariamente previsti dal d.lgt. 24 maggio 1945, n. 459, furono sostituiti da quelli contenuti nel D.P.R. 14 giugno 1955, n. 503; l'insegnamento della religione cattolica, qui definito come fondamento e coronamento di tutta l'opera educativa , non ha una individualit netta, specie per le prime due classi, a motivo dell'esigenza di apprendimento dei bambini pi piccoli. Il programma dell'insegnamento religioso ha acquistato la propria individualit con il D.P.R. 12 febbraio 1985 n. 104. 350 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA tEI.J..0 STATO stato, cio, indiscutibilmente ribadito il carattere confessionale dell'insegnamento della religione cattolica. Ci ha comportato la necessit di salvaguardare la libert di coscienza dei singoli cittadini, di cui all'art. 19 della Costituzione stessa; e proda mata, del resto, anche nella dichiarazione conciliare Dignitatis humanae. Conseguentemente, pertanto, al secondo comma dell'art. 9 del Con cordato rinnovato, si affermato l'ulteriore principio secondo cui nel rispetto della libert di coscien1Ja e della responsabilit educativa dei genitori, garantito a ciascuno il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi di detto insegnamento , aggiungendosi che all'atto della iscrizione gli studenti o i loro genitori eserciteranno tale diritto, su richie sta dell'autorit scolastica, senza che la loro scelta pos1sa dar luogo ad alcuna forma di discriminazione . I L'esplicita enunciazione, quindi, del principio secondo cui la scelta di avvalersi o di non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica I Per la scuola materna i programmi (che qui si chiamano Orientamenti) I vennero stabiliti con D.P.R. 10 settembre 1969, n. 647 (restati in vigore fino alla loro sostituzione avvenuta con il D.P.R. 24 giugno 1986, n. 539). Anche questi Orientamenti del 1969 sottolineavano la necessit che l'educazione reli l giosa avvenisse nel pieno rispetto delle esigenze del bambino; e si affermava I" che tale educazione consente il pieno e arn;10nico sviluppo della sua personalit, l'affinamento del suo senso morale e dei valori, e radica in lui sentimenti di autentica socialit, animati, cio, dal rispetto e dall'amore f per il prossimo e dall'ideale della pace tra gli uomini . :E;: interessante notare f f come il D.P.R. del 1969 avvertiva essere indispensabile che l'educatrice sia ~ sempre guidata dalla piena consapevolezza della possibile presenza in classe di bambini che provengono da famiglie con diverse concezioni religiose o con ! orientamento non religioso... . In questi Orientamenti l'aspetto pi stretta mente confessionale particolarmente sfumato, preferendosi dare al bambino I ~ il senso degli aspetti universali della religiosit e insieme quelli specifici delle varie forme religiose pi che i contenuti dogmatici della sola dottrina cattolica. Alla vigilia degli Accordi con la Santa Sede del 18 febbraio 1984, dunque, l'insegnamento della religione cattolica era caratterizzato dai seguenti elementi: a) si trattava di insegnamento curricurale, inserito nel quadro orario ordinario delle lezioni, con diritto di dispensa per chi non volesse seguirlo; b) l'insegnamento era impartito nel rispetto della personalit degli alunni; questa esigenza era sottolineata nei programmi delle scuole di ciascun ordine, in relazione alle cui caratteristiche trovava concreta attuazione; e) la confessionalit dell'insegnamento trovava temperamento nella di sposta valorizzazione degli aspetti per cosi dire universali della dottrina, e, in particolare, degli elementi di amore, fratellanza, solidariet; d) attraverso l'insegnamento della religione cattolica, secondo i pro grammi e gli orientamenti, lo Stato operava, pi che una scelta culturale, una opzione educativa, essendo i principi fondamentali del cattolicesimo coincidenti con i principi fondamentali del comune sentire. In questa dimensione storica e logica deve essere interpretata la norma pattizia contenuta nell'Accordo del 18 febbraio 1984, introdotta nell'ordina PARTB I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 351 non deve dar luogo ad alcuna forma di discriminazione costituisce un altro dei principi fondamentali del concordato revisionato. L'avvalersi o il non avvalersi di detto insegnamento non deve portare ad alcuna forma di differenziazione di trattamento per gli alunni. Il servizio scolastico, cio, non deve essere organizzato in modo da differenziare il non avvalente; ma non deve nemmeno risolversi in un aggravio per chi, invece, dell'insegnamento religioso intende avvalersi. Ed in tale prospettiva che deve interpretarsi il 2 comma lett. b dell'art. 5 del protocollo aggiuntivo al nuovo Concordato secondo cui: con successiva intesa tra la competente autorit scolastica e la Conferenza episcopale italiana verranno determinate...; 2) le modalit di organizzazione di tale insegnamento, anche in relazione aHa collocazione nel quadro orario deMe Jezioni . mento dalla legge 25 febbraio 1985, n. 121, quasi in parallelo con l'adozione della legge 11 agosto 19B4, n. 449 che ha dato norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e le chiese rappresentate dalla Tavola Valdese, Tanto nell'art. 9 della legge n. 449/84, quanto nell'art. 9 dell'Accordo, introdotto nel sistema con la legge n. 121/85, si dice che la Repubblica Italiana assicura l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche (non universitarie) di ogni ordine e grado; nell'art. 9 della legge 121 si fa premettere, a tale affermazione, il riconoscimento del valore della cultura religiosa e del fatto che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano ; si fa inoltre espresso richiamo al quadro delle finalit della scuola . Dunque, l'insegnamento della religione cattolica continua ad essere impartito nelle scuole italiane ad opera dello Stato, nel quadro delle finalit della scuola: l'insegnamento non esce dalla scuola, per tornarvi praticato soltanto nei locali di essa; quell'insegnamento continua ad essere impartito agli studenti in quanto tali, e non gi ai ragazzi in et scolare fuori dagli ordinari ritmi della comunit scolastica. L'obbligo che lo Stato si assunto con la Santa Sede, che attuato con la legge n. 121 e che ricognito dalla legge 449, il medesimo obbligo preesistente: quello di insegnare la religione cattolica a scuola e agli alunni, non solo nei locali della scuola o ai ragazzi in et scolare. Quando si sostiene che l'insegnamento della religione cattolica dovrebbe avvenire fuori dell'orario scolastico, su espressa richiesta degli alunni o .dei loro genitori, si svolge un discorso che non tien conto del dato positivo: se lo Stato si limitasse a mettere a disposizione i propri mezzi (personali e reali) per l'insegnamento in parola, fuori dell'ordinaria vita scolastica, non rispetterebbe il patto concordatario, n le leggi citate, perch, invece di assicurare, nel quadro delle finalit della scuola, l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado , finirebbe con il surrogarsi alla Parrocchia nell'organizzare corsi di catechesi aventi, di scolastico , non molto di pi dei locali (la mattina adibiti a scuola e, per esempio, di pomeriggio o di sera utilizzati per il corso di catechismo): e ci in contrasto: a) con l'impegno d'insegnare la religione cattolica a scuola (e non nei locali della scuola), e agli alunni (e non ai ragazzi fino a diciotto anni); b) con il riconosciuto valore della cultura religiosa che, come tale, ben merita di restare a pieno titolo nel processo educativo scolastico; RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DBl..LO STATO 352 Quindi, nessuna marginalizzazione dell'ora di religione ha voluto introdUNe il nuovo Concordato, considerando, anzi, la materia alla stessa stregua degli aJtri insegnamenti e demandando ad un futuro accordo fa sua , collocazione nel quadro orario delle lezioni. Accordo, peraltro, che stato puntualmente redatto, successivamente, tra il Miniistro della Pubblica istruzione dell'epoca e :la Conferenza episcopale e tradotto, dopo l'autorizzazione del Consiglio dei Ministri alla sottoscrizione, nel D.P.R. n. 751 del 16 dicembre 1985. Aocordo in cui, nelle premesse (2.1.), stato esplicitamente cribadito ed ulteriormente chiarito che H diritto Se arvvalersi o non avvalersi dell'insegnamento della religione cattdlica assicurato dallo Stato non deve determinare alcuna forma di discriminazione, neppure in relazione ai criteri per la formazione delle classi, ana durata dell'orario scolastico gior e) con l'affermata ricognizione dei principi del cattolicesimo quali facenti parte del patrimonio storico del popolo italiano (e che quindi ben meritano di essere considerati nel momento formativo degli studenti); d) con l'indubbia statalit degli insegnanti, che quindi non possono restare estranei all'organizzazione della scuola (art. 5 del Protocollo); e) con la prevista collocazione nel quadro orario delle lezioni (e non a margine o in appendice: art. 5 del Protocollo). Se dunque la scelta dello Stato, non certo estemporanea, n improvvisa, n nuova, stata quella di impegnarsi all'insegnamento della religione cattolica a scuola (e non solo nei locali scolastici), nel quadro dell'attivit educativa in favore degli alunni (e non dei ragazzi minori di diciotto anni) appare di assai dubbia credibilit la pretesa sostanziale azionata dagli odierni appellati, quella cio di far uscire l'insegnamento della religione cattolica dalla scuola per relegarlo nei locali delle scuole, e per indirizzarlo non gi agli alunni, ma, ben diversamente, ai ragazzi minori di diciotto anni che ne facciano richiesta (quasi che la Chiesa Cattolica non avesse in Italia la capacit di organizzarsi da sola i propri corsi parrocchiali o diocesani di catechesi!). In questo contesto va interPretata la disposizione che compare nell'art. 9 della legge 121/85, secondo cui nel rispetto della libert di coscienza e della responsabilit educativa dei genitori, garantito a ciascuno il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi di detto insegnamento . Che questo diritto sia strettamente legato allo status di studente reso palese dal riferimento alle modalit di esercizio, che deve avvenire all'atto dell'iscrizione, su richiesta dell'autorit scolastica. La disposizione, letta nel contesto in cui inserita, sta chiaramente ad indicare che l'organizzazione dell'insegnamento della religione cattolica precede la singola scelta individuale e ne prescinde; la scuola offre a tutti i suoi alunni detto insegnamento, e, all'atto dell'iscrizione, ciascuno chiamato a dire se intenda avvalersene o non avvalersene. La scelta coinvolge la responsabilit educativa dei gnitori , ed data a tutela della libert di coscienza ; una scelta che ha ad oggetto un insegnamento offerto , e perci gi organizzato e previsto nei programmi curriculari; quello che l'utente fa non di chiedere che venga attivato l'insegnamento della religione, ma di scegliere se vuole avvalersene o meno. Quando gli appellati affermano che l'art. 9 darebbe loro la mera facolt di domandare l'insegnamento della religione cattolica per inferirne che questo non farebbe pi parte degli insegnamenti curriculari, e quindi dovrebbe essere PAR.TB I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMI~ISTRATIVA 353 naliero ed alla cdllocazione di detto insegnamento nel quadro orario delle lezioni. Specificandosi, poi, (2.2.) che neHe souole secondarie di primo e secondo gr~.do, compresi i licei artistici e gli istituti d'arte, l'insegnamento della religione cattolica organizzato attribuendo ad esso, nel quadro dell'orario settimanale, '1e ore di lezione previste dagli ordinamenti didattici attualmente in vigore, salvo successive intese. La collocazione oraria, inoltre, di tali 'lezioni effettuata dal cape d'Istituto sulla base delle proposte del collegio dei docenti, secondo il normale criterio di equi1ibrata distribuzione delle diverse discipline nella giornata e neila settimana, nell'ambito della scuola e per ciascuna classe. Nulla di diverso rispetto a quanto sin qui ricordato si rinviene, poi, nell'intesa tra lo Stato itarliano e la Tavola Valdese di cui alla legge n. 449 dell'll agosto 1984, che ribadisce, anch'essa, il principio secondo il quale relegato, al pi, nei locali della scuola, in orario pomeridiano e serale, esasperano il momento soggettivo della scelta e di conseguenza lo enfatizzano, scoordinandolo dall'aspetto organizzativo dell'istituzione scolastica e dall'obbligo che lo Stato si assunto con la Santa Sede. :E!. certamente vero che ciascuno ha il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi di detto insegnamento; ma altrettanto vero che la scelta cade su una realt preesistente: la legge, in altre parole, non d il diritto di chiedere che lo Stato organizzi l'ora di religione; la legge, ben diversamente, offre a tutti la possibilit di scegliere se avvalersi o non avvalersi dell'ora di religione, gi prevista dai programmi e obbligatoriamente organizzata. r * * * Questa scelta, dice la legge, non pu dar luogo ad alcuna forma di discriminazione (art. 9 u.c. legge n. 121/85). :E!. logico che sia cosi, dato il coinvolgimento dei fondamentali valori della libert di pensiero e di coscienza. La non discriminazione, se vuole essere piena e reale, oltre a:ll'esigenza del pieno rispetto della scelta operata, comporta due momenti di attenzione: al negativo, non discriminare significa non emarginare a motivo della scelta; al positivo, non discriminare significa dare l'equivalente educativo e formativo di ci che l'interessato ha legittimamente disvoluto. L'aspetto negativo della non discriminazione stato, per primo, considerato nell'art. 9 della legge 449/84: chi sceglie di non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica non pu trovarsi a dover subire quell'insegnamento in ma niera criptica .o subdola, o ad esser costretto ad affrontare orari discriminanti. Al positivo l'esigenza della non discriminazione richiede che non sia dato dalla scuola di meno al non avvalente rispetto a quanto dato all'avvalente, e viceversa; e siccome la scuola d istruzione, educazione e cultura, non discriminare significa dare al non avvalente l'equivalente di istruzione, educa zione e cultura che l'avvalente riceve dall'insegnamento della religione; e, vice versa, dare all'avvalente l'equivalente di ci che dato all'altro. L'esigenza di impostare l'organizzazione in modo che l'ovvia necessit di non discriminare trovasse piena attuazione, nella sua duplice valenza oggettiva e soggettiva (che impone una sostanziale parit di trattamento tra gli avva lenti e i non avvalenti) ha trovato considerazione nella stessa legge 121, che ha segnato le direttive generali dell'azione successiva. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DBU.0 STATO 354 la Repubblica Italiana, nell'assicurare l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche, materne, elementam, medie e secondarie superiori, riconosce agli alunni di dette scuole, al fine di garantire la libert di coscienza di tutti, il diritto di non avvalersi delle pratiche e dell'insegnamento religioso, per loro dichiarazione, se maggiorenni o, altrimenti, per dichiarazione di uno dei loro genitori. Ed aggiunge che, per dare reaile efficacia all'attuazione di tale diritto, l'ordinamento scolastico provvede a che l'insegnamento ireligioso ed ogni eventuale pratica religiosa, nel.'la classe in cui sono presenti alunni che hanno dichiarato di non avvalersene, non abbiano luogo in oocasione dell'insegnamento di altre materie, n secondo orari che abbiano per detti alunni effetti comunque discniminanti. Da richiamare, infine, ancora sull'argomento fa legge 18 giugno 1986, n. 281, secondo cui (art. 3) le scelte 'in ordine ad .insegnamenti opzionali Il problema, che il Legislatore ha espressamente considerato, era quello di adeguare. l'organizzazione preesistente dell'insegnamento religioso al garantito diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi di detto insegnamento pur rimanendo questo nel quadro delle finalit della scuola,. e nella scuola; la legge 121, peraltro, apprezza la complessit del tema a livello operativo; e infatti il Protocollo addizionale, il quale parte della legge 121, mentre chiarisce che la religione cattolica impartita in conformit alla dottrina della Cihesa " (cosi ribadendo la vocazione prettamente educativa della materia, escludendo che essa sia ridotta ad insegnamento sulla religione e cio ad un capitolo di storia) e nel rispetto della libert di coscienza degli alunni (che vanno educati , e non costretti), prevede che una successiva intesa bilaterale tra l'Autorit scolastica e la Conferenza Episcopale determini i vari aspetti di quell'insegnamento (i programmi, le modalit di organizzazione, la collocazione nel quadro orario delle lezioni, i criteri per la scelta dei libri di testo, i profili della qualificazione professionale degli insegnanti). Questi vari aspetti sono rimessi alla successiva Intesa perch propongono temi prevalentemente operativi; la cornice entro la quale detti aspetti sono destinati a trovare concreta disciplina chiaramente fissata dalla legge 121, la quale, come si accennato, vuole l'insegnamento religioso a scuola, nel quadro delle finalit di essa, come insegnamento specialmente formativo ed educativo, nel pieno rispetto della coscienza di coloro che se ne avvalgono (che vanno educati, ma non costretti) e di coloro che non se ne avvalgono (che non devono trovarsi a subirlo subdolamente o cripticamente). L'importanza dell'Intesa, destinata a rappresentare il momento attuativo ed operativo dei princpi del Concordato, non poteva ovviamente sfuggire nelle sedi istituzionali; e infatti, gi nella seduta del 20 marzo 1985, in occasione del definitivo esame della legge di ratifica ed esecuzione dell'Accordo, la Camera dei Deputati impegn il Governo a sottoporre preventivamente al Parlamento ogni proposta o ipotesi di intesa concernente... l'attuazione di principi sanciti dall'accordo concordatario al fine di consentire alle Camere di esercitare in tempo utile i propri poteri di indirizzo (Atti Camera IX Legislatura pag. 26241). Il Ministro della Pubblica Istruzione, quindi, port all'esame del Parlamento lo schema dell'Intesa con la CEI in corso di perfezionamento: questo esame inizi il giorno 10 dicembre 1985 davanti all'VIII Commissione permanente della Camera (Bollettino Commissione, pag. 73). PARTE I, SBZ. V, GIURISPRUDBNZA AMMINISTRATIVA 355 e ad ogni altra attivit culturale e formativa sono effettuate personalmente dallo studente. Da sottolineare, infine, per quanto pu valere sulla complessiva interpretazione del sistema, la mozione parlamentare della Camera dei Deputati del 16 gennaio 1986, la quale, tra l'altro, impegna il Governo a fissare natura, indirizzi, modalit di svolgimento e di valutazione delle attivit cultua:-alii e formative offerte dalla scuola nei suoi diversi gradi a chi intende non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica, al fine di assicurare la scelta tra alternative entrambe note e definite predisponendo, entro il 30 aprile, le misure di conseguenza necessarie, anche con eventmtle provvedimento di legge. 4) Cos ricostruito il complessivo sistema normativo, la sua interpretazione, letterale, logica, storica e sistematica, ad opinione del Col e in questa sede che per la prima volta si delinea il problema della c.d. alternativa da offrire a coloro che abbiano scelto di non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica. Il tema trova una certa attenzione nelle sedute dell'll e del 12 dicembre 1985 (Giurite e Commissioni, pag. 24 segg.; Bollettino Commissioni, pag. 38 segg.), ma trattato ad un livello, per cosi dire, problematico, domandandosi, pi che affermando, da alcuni degli oratori, se non sia il caso che la scuola offra al non avvalente una qualche alternativa ; dagli interventi traspare, da un lato, che il tema non considerato di pressante urgenza e dall'altro che esso potr essere esaminato in occasione della riforma della scuola. Quello che preme ai deputati, intervenuti nel dibattito, sottolineare l'esigenza che l'Intesa rispetti il Concordato e che la scelta garantita da questo non sia, di fatto, sterilizzata a mera domanda di esonero. Il Ministro della Pubblica Istruzione propone, dunque, al Consiglio dei Ministri di essere autorizzato a firmare l'Intesa; il Consiglio dei Ministri auto- rizza nella riunione del 14 dicembre 1985, e pertanto l'Intesa viene sottoscritta nella medesima data, ed ottiene la piena ed intera esecuzione" con D.P.R. 16 dicembre 1985, n. 751. A questo punto il Ministro adotta la prima circolare sull'insegnamento della religione, in data 20 dicembre 1985, n. 368; con essa si dispone in ordine alle modalit della scelta, alla formazione dell'orario settimanale, ai programmi, ai libri di testo, nell'intenzione di dare operative disposizioni in attuazione delle nuove norme; e si fa un cenno in ordine all'alternativa, dove si dice che la scuola... assicura agli alunni che non si avvalgono dell'insegnamento della religione cattolica ogni opportuna attivit culturale e di studio con l'assistenza degli insegnanti, escluse le attivit curriculari comuni a tutti gli allievi . Si dice ancora nella circolare che ii diritto di scelta va esercitato all'atto della iscrizione, cio (per le prime classi della materna, dell'elementare e della media) entro il 25 gennaio 1986. Si dispone, ancora, che l'orario settimanale dell'insegnamento religioso, che quello vigente, possa, per l'elementare e la materna, essere frazionato in periodi inferiori all'ora. Questa circolare ha l'effetto di portare alla diretta attenzione di tutte le componenti sociali e politiche il problema dell'insegnamento religioso; l'impatto di enorme portata. Piovono le osservazioni, le critiche, le proteste, le adesioni; c' chi imputa al Ministro di non aver rispettato l'Intesa, e chi si duole della eccessiva corrivit; vi sono molti che sostengono che il non avvalente ha diritto 356 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DBJ.J..O STATO legio, porta, in sintesi, a ritenere ohe l'insegnamento deMa religione cattolica nelle ,scuole secondarie non universitarie sia, oggi, materia curriculare, che lo Stato obbligato a praticare in quanto ritenuta attinente alle finalit della scuola ed in quanto inerente al patrimonio storico del popdlo italiano. Trattasi, peraltro, di insegnamento facoltativo, nel solo senso, per, ohe data facolt aglli a>, o alle tematiche relative ai valori fondamentali della vita e della convivenza civile>>, o, dovendo concorrere al processo formativo della personalit degli alunni>>, saranno particolarmente rivolte all'approfondimento di quelle parti dei programmi... che hanno pi stretta attinenza con i documenti del pensiero e dell'esperienza umana relativi ai valori fondamentali della vita e della convivenza civile. Se dunque i programmi di religione sono mirati all'educazione e alla formazione del giovane nella sua dimensione sociale, non pu dirsi sostanzialmente diversa da tale finalit -e quindi discriminante -l'impostazione dell'attivit alternativa, riservata a chi, avendo scelto di non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica, nondimeno destinato a ricevere, con lo stesso impegno, l'attenzione dell'opera educativa e formativa dello Stato. * * * Anche il TAR ammette che :l'insegnamento religioso cattolico... non ha cessato di essere materia collocantesi nel normale quadro orario delle lezioni ; ed logico che sia cos, data la vocazione formativa di tale insegnamento la quale, a pieno titolo, lo rende degno di partecipare al momento dell'educazione e dell'istruzione, nel quadro delle finalit della scuola (art. 9 legge n. 121/85) per il riconosciuto valore della cultura religiosa (art. 9 cit.). L'aggiuntivit dell'insegnamento religioso rispetto agli altri insegnamenti curriculari non va dunque vista in relazione alla funzione formativa, educativa ed istruttiva che la legge gli assegna ma, ben diversamente, ai contenuti che liberamente possono essere voluti o disvoluti. Ci che l'ordinamento riconosce a tutti il diritto d'avvalersi o di non avvalersi del ridetto insegnamento ma non certo il diritto di rinunciare ad una porzione del tempo-scuola. Se la scuola realizza la sua funzione attraverso dei ritmi temporali .che la legge ad indicare (i c.d. orari minimi: art. 9 della legge 9 agosto 1978, n. 463, per la Materna; art. 88 D.P.R. 31 maggio 1974, n. 417, per l'Elementare; art. 3 della legge 31 dicembre 1962, n. 1859, come modificato dall'art. 2 della legge 16 giu 362 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEIJ.O STATO Come ben messo in evidenza dall'Avvocatura dello Stato, l'insegnamento della religione cattolica non oggi un quid pluris, un qualcosa, cio, di aggiuntivo per gli alunni che di tale insegnamento intendano avvalersi, bens, come osservato precedentemente, un valore culturale e didattico riconosciuto dalla scuola, che il giovane ha non solo iil diritto ma .anche il dovere di acquisire (ovviamente fatta salva la sua libert di coscienza in materia) per la realizzazione delle finalit della scuola che devono essere, indefettibilmente, perseguite in conformit dell'orario curriculare. Per non discriminare, pertanto, il non avvalente, appare necessario offrirgli un'alternativa che abbia il massimo possibile di equivalen2la, sotto ii profilo del valore didattico e formativo, dell'insegnamento della religione cattolica, in modo da attuare, anche per esso, il principio so- lennemente enunciato nel primo inciso del punto 2 dell'art. 9 del nuovo I gno 1977, n. 348, per la Media; art. 47 R.D. 30 aprile 1924, n. 965, che fa rinvio f, ai singoli decreti di approvazione degli orari e dei programmi dei vari tipi r: di scuola: per esempio, D.P.R. 1 maggio 1972, n. 825, per le Superiori) e se I l'insegnamento religioso ed rimasto ad occupare una o due di quelle ore, non assolutamente lecito dire che il tempo-scuola si ridotto di una o di due i ore per effetto del diritto di scelta a ciascuno accordato in ordine all'insegna f: mento in questione; chi sceglie di avvalersene fruisce di un insegnamento ):' curriculare perch nei programmi e nell'ordinario tempo scolastico; chi non ~ f ' se ne avvale esercita il diritto di non fruire di tale insegnamento, ma non I f: gi di rinunciare ad una parte del tempo-scuola. La legge permette a ciascuno, sul piano soggettivo, di credere o non cre dere al valore della cultura religiosa ; di confidare o non confidare nella validit di un insegnamento religioso impartito dallo Stato; di dubitare della I coerenza di un apparato laico che si fa maestro di dottrine trascendenti; di ~ non guardare con favore l'atteggiamento di una Scuola di tutti che insegna ad I onorare il Dio di alcuni; di aver paura di un Dio obbligatorio ; di comporff tarsi di conseguenza sul piano della scelta individuale; ma ci che la legge non f ~ d di mettere in discussione la valutazione legislativa dei ritmi necessari per la realizzazione del fine formativo ed educativo della Scuola. Le ripetute norme neoconcordatarie, cos come l'art. 9 della legge 449/84, danno il diritto di scelta tra l'avvalersi o il non avvalersi del ridetto insegnamento, non tra l'avvalersi e il non avvalersi di una porzione del tempo normativamente stabilito per il processo formativo ed educativo della scuola. In una parola, ogni alunno deve essere a scuola per il tempo minimo previsto dai programmi; di una por zione di quel tempo ciascuno pu legittimamente disvolere i contenuti curricu lari; e siccome si dichiaratamente superato il sistema della dispensa, quel disvolere non pu pi significare mera assenza; l'alunno, che disvuole i conte nuti dell'insegnamento religioso, ha oggi il diritto (e il dovere) di aspettarsi dallo Stato (e di dedicarsi a) qualcosa di equivalente a quello che ricevono coloro che abbiano invece scelto di avvalersi dell'ora di religione. Una delle novit del sistema neoconcordatario proprio questa: fermo l'insegnamento religioso nel quadro delle finalit della scuola, e nel curriculum scolastico, fermi il valore della cultura religiosa e la vocazione educativa e formativa di quell'insegnamento, chi sceglie di non avvalersene non visto come un dispensato, ma come uno che, avendo esercitato un diritto, non va sotto . . ..lit . , .. ,;.,, .x PARTE I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 363 Conco1idato, secondo cui la Repubblica riconosce il valore della cultura religiosa. D'altra parte, poi, se si volesse aderire alla tesi prospettata dagli appellati, cui sottesa la inammissibile concezione della scuola non come luogo di cultura e di formazione, ma come luogo di sofferente costrizione, allora la discriminazione si realizzerebbe per coloro che dell'insegnamento della religione cattolica abbiano dichiarato di volersi avvalere, perch ad un maggior onere di orario per essi deriverebbe un maggior sacrificio di carattere personale. Inoltre, se cos fosse, si favorirebbe un mascherato disimpegno dalla frequenza dell'insegnamento della religione cattolica che ne usciTebbe mat; ginalizzata; cosa certamente non voluta dal nuovo Concordato e che, oltrettutto, vanifioherebbe il riconoscimento da parte dello Stato del va:lore della cultura .religiosa. posto ad alcuna forma di discriminazione, c10e uno che non deve avere n di pi n di meno di quello che gli altri ragazzi, in quanto alunni, hanno nell'organizzazione scolastica. Non deve stupire allora che, tra le soluzioni possibili, lo Stato abbia fatto sua quella di cui oggi si parla, e cio abbia dato l'attivit alternativa al non avvalente nel tempo e per il tempo concesso all'avvalente. La risposta data dallo Stato al grave problema nei termini predetti, di confermare l'identit, per ciascuno, del tempo-scuola, la cui obbligatoriet deriva dalla valutazione legale dei ritmi quantitativi del processo educativo, coonestata dalla legge 18 giugno 1986, n. 281, alla quale il TAR non ha prestato alcuna attenzione. Questa legge dispone nell'art. 1 che gli studenti della scuola secondaria superiore esercitano personalmente all'atto dell'iscrizione... il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi dell'insegnamento della reli gione cattolica. Aggiunge l'art. 1 che le scelte in ordine ad insegnamenti opzionali e ad ogni altra attivit culturale e formativa sono effettuate perso nalmente dallo studente. I moduli relativi alle scelte di cui ai precedenti commi devono essere allegati alla domanda di iscrizione . Questa legge dimostra senza ombra di dubbio quantomeno una cosa: e cio che la soluzione data al pro blema da parte dell'Amministrazione scolastica era una delle soluzioni possi bili, cio consentite dal nuovo sistema normativo; forse l'unica; certo la pi opportuna, se . si considera che dare a tutti l'eguale significa, nell'organizza zione della scuola, dare a tutti gli stessi doveri e gli stessi diritti in ordine al processo di apprendimento e di educazione. E se l'avvalente riceve dalla scuola istrtizione e cultura per 24 o per 30 ore settimanali, anche il non avvalente ha il diritto e il dovere di ricevere dalla scuola istruzione e cultura per 24 o per 30 ore settimanali, in difetto di che sia l'avvalente che il non avvalente -a seconda del punto di vista -si vedrebbero l'un l'altro con (( un'ora di meno , o con un'ora di pi : la logica un po' curiosa di chi valuta mezzo vuoto o mezzo pieno il bicchiere colmo a met, a seconda delle sue soggettive inclinazioni, non pu trovare alcuno spazio in un tema tanto grave. Non , insomma, una frazione di tempo ci che la legge consente di volere o non volere; , ben diversamente, H contenuto curriculare di quella frazione di tempo, cio, appunto, l'insegnamento della religione cattolica. * * * Secondo il TAR colui che sceglie di non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica dovrebbe essere considerato libero di starsene a casa du RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 364 Occorre, poi rilevare, come sottolineato da autorevole dottrina, che oggi il sistema appare,. tra l'.altro, aperto alla possibilit di un insegna mento sulla religione introdotto dallo Stato nella sua sovrana autonomia non avente oarattere confessionale. Insegnamento che potrebbe raocordaire, efficacemente, i due parametri introdotti dall'art. 9 del nuovo Concordato: vale a dire quello della ritenuta essenzialit dell'approccio con la problematica religiosa per il perseguimento delle fina1it pTOprie della scuola, che presuppone la non facoltativit dell'approccio stesso attraverso un insegnamento curricu fare e quello della confessionalit dell'insegnamento della religione cattolka, che presuppone la non obbligatoriet della sua frequenza dal punto di vista soggettivo dello studente, ma al tempo stesso la sua ritenuta idoneit a soddisfare ana pi generale esigenza didattica dell:a scuola nei confronti del fenomeno religioso. rante l'ora di religione: e questa libert deriverebbe, in particolare, dalla corretta interpretazione dell'art. 9-della legge 11 agosto 1984, n. 449. Questa norma dispone che nelle classi in cui sono presenti alunni che hanno dichiarato di non avvalersi ddle pratiche e dell'insegnamento religioso cattolico l'ordinamento scolastico provvede a che l'insegnamento religioso ed ogni eventuale pratica religiosa ... non abbiano luogo in occasione dell'insegnamento di altre materie, n secondo orari che abbiano per detti alunni effetti comunque discriminanti: dunque, secondo il TAR, mentre si svolge l'ora di religione, il non avvalente dovrebbe non essere costretto a stare a scuola per l'attivit alternativa. Questa interpretazione non pu assolutamente essere condivisa, neppure se fosse possibile leggere la norma in modo del tutto avulso dal sistema nel quale essa inserita, di cui gi s'. detto. Ai fini della retta interpretazione della ripetuta norma, non si pu comun que prescindere dalla considerazione del contesto in cui la disposizione andava ad inserirsi anche se potesse ignorarsi la successiva normazione. All'epoca, come si ricordato, l'insegnamento della religione cattolica, con le sue pratiche di culto, costituiva il coronamento dell'educazione del cittadino, ed era impartito, specie nella scuola materna e nena scuola elementare, in modo che ad alcuni appariva diffuso e pervasivo . Vigeva, bensi, all'epoca l'istituto della dispensa '" in virt del quale chiunque ne facesse richiesta aveva il diritto di essere esonerato dall'insegnamento della religione cattolica; ma da molte parti veniva segnalato che la dispensa non raggiurigeva pienamente il suo scopo, perch, specialmente per la materna e I' elementare, i programmi erano nel loro complesso imbevuti di cattolicit (si vedano in proposito le dichiarazioni di principio contenute nel D.P.R. 10 settembre 1969, n. 47 per la materna; nel D.P.R. 14 giugno 1955, n. 503, per le elementari). La preoccupazione del legislatore del 1984, in un momento in cui peraltro era gi stato firmato l'accordo del 18 febbraio 1984 con la Santa Sede (che sostituiva l'antico sistema della dispensa con il pi moderno strumento della scelta) era quella di rendere concretamente operante la facolt di scegliere tra l'avvalersi e il non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica; si voleva cio evitare che chi avesse scelto di non avvalersi dell'insegnamento della religione potesse egualmente trovarsi a presenziare pratiche di culto o di educazione cattolica in occasione dell'insegnamento di altre materie o PARTB I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 365 Va ritenuto, pertanto, che la distinzione tra materie obbligatorie, opzionali e facoltative, sui cui si basa tutta la costruzione degli appellati, una distinzione puramente nominalistica e che, comunque, non pu riferirsi, nella sua astratta e rigorosa formulazione, all'insegnamento della religione cattolica. E che, peraltro, la facoltativit dell'insegnamento della religione cattolica, alla stregua della esaminata normativa, non possa essere intesa nel senso voluto dagli appellati, anche dimostrato dal dibattito parlamentare che ha preceduto e seguito l'iter del nuovo concordato e che, sul punto, stato, essenzialmente, teso ad individuare le materie alternative da offrire in opzione ai non avvalenti. E del resto, del problema sembra avere preso piena coscienza lo stesso legislatore che, nella menzionata legge n. 281/1986, quasi mostrando di Tecepire le critiche derivanti dalla asserita contraddittoriet tra fa- comunque nell'ordinario svolgersi della vita scolastica: preoccupazione non remota per le materne e le elementari, e non del tutto teorica neppure per le medie, dove, pur avendo la religione cattolica una sua precisa e individua collocazione (ex art. 2 della legge n. 1859/62 e D.M. 9 febbraio 1979), non era certo sconosciuta la consuetudine di pratiche cattoliche (si pensi all'uso della recita di preghiere all'inizio e alla fine della giornata scolastica). L'art. 9 della legge n. 449/84 si preoccupa, dunque, di avvertire, con disposizione coordinata con quella contenuta nell'art. 9 dell'Accordo con la Santa Sede gi firmato il 18 febbraio 1984, e con l'art. 5 del relativo Protocollo Addizionale, che il diritto riconosciuto a ciascuno di scegliere se avvalersi o non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica, non solo non deve dar luogo a discriminazioni (il che , in buona misura, tautologico) ma impegna l'ordinamento scolastico ad una conseguente riconsiderazione dell'impostazione dei programmi, per togliere da questi gli elementi di cattolicesimo confessionale " diffuso la cui sopravvivenza avrebbe potuto rendere, in concreto, meno significativi i risultati dell'esercizio del diritto di scelta. L'esigenza di ridurre l'insegnamento cattolico ad una dimensione specifica ed individua, subito anticipato dalle relative circolari, ha trovato attuazione nei pi volte ricordati D.P.R. 24 giugno 1986, n. 539 (per la materna) e D.P.R. 12 febbraio 1985, n. 104 (per le elementari); per la scuola media, dove un problema normativo di ridimensionamento non esisteva perch gi il D.M. 9 febbraio 1979 collocava l'insegnamento della religione cattolica in un quadro orario specifico ed individuo (un'ora settimana;le), si poneva la diversa, operativa necessit di non far debordar~ l'educazione confessionale cattolica da quell'ora settimanale; ed a ci si subito provveduto con le circolari in esame. L'esigenza, avvertita dal legislatore, nel momento in cui veniva approvato !'art. 9 della legge n. 449/84, fu dunque quella di anticipare l'effetto della disciplina allora in via di elaborazione: evitarsi, cio, che, attraverso l'educazione confessionale "diffusa'" si frustrasse l'esercizio del diritto di non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica. In questa dimensione storica e logica, l'art. 9 della legge n. 449/84 sta a dire: a) nelle classi in cui sono presenti alunni che hanno dichiarato di non avvalersi delle pratiche e dell'insegnamento religioso, quelle pratiche e quell' 366 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO co'ltativit della materia ed obbligo di seguire le materie stesse ovvero le pratiche alternative, pare propenso a riqualificare l'insegnamento della religione cattolica come opzionale e non facoltativo. 6) Quanto rilevato precedentemente circa la collocazione nel quadro orario delle lezioni dell'insegnamento della religione cattolica e drca la obbligatoriet delle materie, ovvero delle attivit culturali e formative ad esso alte:mative, comporta, sul punto, l'accoglimento dell'appello princi pale dell'amministrazione. Comporta, altresl, la reiezione dell'appello incidentale proposto dai Fiori, il oui primo motivo specificato come asserita violazione del l'art. 9 e dell'art. 5 del protocollo aggiuntivo della legge 25 marzo 1985, n. 121, nonch de1l'art. 9 della legge 11 agosto 1984, n. 449, con riferimento agli artt. 2, 3, 19, 21 e 33 della Costituzione, nonch eccesso di potere insegnamento non devono avvenire in occasione dell'insegnamento di altre materie: tanto per fare un esempio, nell'ora di italiano non pu essere recitata I' Ave Maria; n, nell'ora di storia, pu insegnarsi che, tra le religioni storiche, l'unica vera la cattolica; b) l'orario dell'insegnamento e delle pratiche di religione non pu essere emulativo : non si pu, tanto per fare un esempio, frantumare l'ora di religione in frazioni di pochi minuti nell'arco della settimana, tali da costringere i non avvalenti ad un odioso andirivieni dalla classe; n si pu, tanto per fare un. altro esempio, pretendere che la giornata scolastica inizi o termini con la preghiera, facend9si allontanare il non avvalente . Quello che la norma sicuramente non d, il divieto di organizzare attivit alternative in favore di coloro che abbiano dichiarato di non avvalersi dell'insegnamento cattolico, o il diritto per questi ultimi di essere esonerati dalla frequenza scolastica per il tempo corrispondente all'insegnamento della religione cattolica. La norma non pu essere letta come contenente tale divieto o tale diritto, non solo perch di essi non c' cenno nella disposizione, ma soprattutto perch simili contenuti precettivi sarebbero antistorici e di dubbia costituzionalit: antistorici, perch reintrodurrebbero l'istituto della dispensa dichiaratamente superato dal ben pi chiaro sistema del diritto di scelta; di dubbia costituzionalit, perch finirebbero con il dare un diverso temposcuola a seconda della scelta operata, cos discriminando i non avvalenti D'altronde, il tempo-scuola di per s educativo, giusta le valutazioni operate dal legislatore (delle quali si gi parlato: art. 1 della legge n. 1859/62; legge 348/77; dichiarazioni di principio contenute nel D.M. 9-2-1979: la socializzazione, cio il vivere nella comunit scolastica, un momento qualificante I dell'educazione) che ha voluto la scuola elementare e media obbligatoria come indicato dall'art. 34 Cost. e quella Superiore di libera scelta, ma con onere di frequenza obbligatoria. !! Obbligatoriet della scuola obbligatoria frequenza del tempo-scuola ,, nel quale essa si svolge e, come si gi detto, il tempo '" fissato dalla I legge, vuoi quando essa direttamente imponga certi ritmi (come fa l'art. 2 della L. 1859/62 che indica le materie di insegnamento) vuoi quando essa rimetta all'autorit scolastica la programmazioe di attivit scolastiche d'integrazione anche . .a carattere interdisciplinare come fanno gli artt. 2 e 7 della L. 517/77 I al . dichiarato fine di agevolare l'attuazione del diritto allo studio, e la piena I I I I I I PARTE I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 367 per illogicit, contraddittoriet e sviamento, dal momento che all'indicata conclusione si pervenuti proprio sulla base dell'interpretazione delle norme sostanziali richiamate dall'appellante incidentale, le quali non appaiono contrastare con a1cuna delle indicate norme costituzionali, in quanto salvaguardano comunque la libert di coscienza. Infondato , poi, anche il secondo' motivo dell'appello incidentale proposto dallo stesso Fiori di asserita violazione e falsa appHcazione dell'art. 9 legge 11 agosto 1984, n. 449, eccesso di potere, particolarmente sotto il profilo dello sviamento, atteso che la previsione di cui all'art. 9 della richiamata L. 449/84, 'I.a quale esclude che l'insegnamento della religione cattolica possa realizzare, per gli alunni che 'dichiarino di non avvalersene secondo .orari che abbiano effetti comunque discriminanti , soprattutto se interpretata sistematicamente con la legge n. 121/85, impli cherebbe necessariamente il caratteTe facoltativo pieno dell'insegnamento formazione della personalit degli alunni ; attivit che, una volta stabilite, non possono non essere obbligatorie per gli alunni, perch entrano a far parte del processo di istruzione e di educazione. Quello che in realt, con la pretesa di rendere facoltativa la partecipa zione all'attivit alternativa, viene chiesto, una cosa che nella sede odierna non pu in nessun caso essere concessa: la modifica, cio, dell'organizzazione del servizio scolastico, con particolare riguardo al tempo-scuola: si finirebbe infatti con il discriminare gli avvalenti dai non avvalenti, perch, da un lato, per i primi si avrebbe un impegno educativo di durata superiore, e dall'altro all'onere dJ. frequeJ1,Za della religione (imposto a chi ha scelto di avvalersene) corrisponderebbe un non-onere di frequenza dell'equivalente attivit alternativa. L'esigenza di non discriminare esigenza di imporre a tutti gli stessi doveri e riconoscere a tutti gli stessi diritti: a cominciare dall'onere della frequenza (che un obbligo per le prime otto classi) cui si sottopone, nel quadro dell'organizzazione, chi chiede di essere ammesso a scuola. Far restare a casa, come oggi si chiede, i ragazzi che hanno scelto di non avvalersi dell'insegnamento religioso, non sarebbe certo per loro pi proficuo, in una obiettiva valutazione delle cose, perch si farebbe loro intendere che la scuola italiana chiude le porte in faccia al giovinetto non cattolico, e rischierebbe di far loro credere che la scelta dei loro genitori motivo di repulsa della comunit scolastica. N proficua per i ragazzi, o razionale .per l'organizzazione, sarebbe la mera facolt di partecipare o non partecipare all'attivit alternativa (mentre gli altri hanno l'onere di seguire l'insegnamento della religione) perch risul terebbe messa in serio dubbio la sostanziale equivalenza educativa e formativa tra l'attivit alternativa e l'ora di religione: quasi che quella fosse un quid minus rispetto a questo. * * * L'appellante incidentale Fiori, pur dichiarando di volere per il non avavvalente un trattamento equivalente a quello dato all' avvalente, sostiene che il delineato sistema non sarebbe idoneo allo scopo, perch l'ii.ttivit alternativa sarebbe stata introdotta senza il supporto di una, a suo dire indispensabile, disposizione legislativa. Questo discorso di difficile comprensione, perch se si vuole l'attivit alternativa non si vede quale sia l'interesse (proces RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO medesimo e la sua collocazione in orario che permetta agli alunni che dichiarino di non avvalersene di non partecipaTe alle attivit stessa (in modo che egli pemi qualifica pedissequamente ripetitivo di questa), non costituisce atto di imposizione in quanto privo di autonomo contenuto volitivo ed avente perci carattere meriamente esecutivo dell'autoliquidazione effettuata dallo stesso contribue,nte. Ma gi la Corte di Bologna ha esattamente rilevato, senza che sul punto siano state dedotte nuove argomentazioD!i. in contrario, che costituisce atto di accertamento dell'imposta anche quello cui l'Amministriazione perviene, nella fase di controllo della denunzia fiscaile, quando fa proprio l'imponibile dichliarato dal contribu~ nte, perch al momento ritenuto corretto, determinando dn conformit l'ammontare del tributo. E l'iscrizfone dell'imposta che conseguenzialmente viene fatta nei ruoli costitlllisce, anche nel sistema antecedente al regime dell'autotassazione poi introdotto, :atto di imposizione promanante dall'Amministrazione finanziaria e non mero atto esecutivo dell'autoliquidazione fatta dai! contvibuente in via di cooperazione con l'Amministrazione predetta, cui istituzionalmente dservata la facolt impositiva. Ci salvo la facolt di rettificazione che, ai sensi dell'art. 43, 3 comma d.P.R. n. 600/1973, compete alLa stessa amministra7lione quando venga a conoscenza di nuovi fotti impositivi, entro il 31 dicembre del 5 anno successivo a que!Jo della presentazione della dichiarazione dei redditi. Non tuttavia lecito (come il Fantini fa col secondo mezzo di ricorso) fare Tichiamo a tale potere di rettificazione dell'Ufficio al fine di arguire un corrispondente potere del contribuente di rettifica della propria dichiarazione entro lo stesso termine, a prescindere dall'eventuale accertamento d'imposta nel frattempo compiuto dall'amministrazione, anche se divenuto dei;Wtivo. In realt, il potere di 'rettificazione spettante agli uffici delle imposte, in sede di controllo del:le dichiara zioni presentate dai contribuenti; si giustifica, anche quanto all'ampiezza del termine concesso, per la necessit di procedere al riscontro delle numerose dichiarazioni che affiluiscono ogni anno, in base alla quali l'imposta venne iscritta a ruolo e che riflettono situazioni disparate, tutte ignote agli uffici; laddove ben diversa la posiziione dei singoli contribuenti, i quali -come lecito presumere -conoscono bene la PART!l I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA propria situazione economica e possono in tempi brevi avvedersi della erroneit dei dati indicati nella denuncia dei redditi, cos come possono avegolmente, dopo la notifica dell'atto impositvo, segnalare l'errore a mezzo dell'impugnazione alle Commissioni, naturalmente per entro termini di decadenza all'uopo previsti. Non esiste dunque un potere del contl'ibuente di apportare rettifilche (cio di correggere ed eliminare errori) alla dichiarazione dei redditi nel periodo ~di cinque anni) con cesso dall'art. 43, 3 comma, in via esclusiva a:ll'Ufficio per effettuare accertamenti suppletivi, dopo che sia decorso il termine per proporre ricorso alle Commissioni contro l'iscrizione a ruolo (o l'accertamento. principale o altra forma di atto d'imposizione). N conseguentemente, possibile, una volta intervenuta la decadenza da detta impugnazione e l'incontestabilit deUa ptretesa fiscale, chiedere il rimborso di imposte per re~diti erroneamente dichiarati e pagati quando l'eI"rore non sia stato tempestivamente denunciato a mezzo di ricorso contro il ruolo, come confermato dagli artt. 37 e ss. del d.P.R. 602/1973, che per i iiedditi iscritti a ruolo (art. 39 e 40) fanno richiamo al disposto dell'art. 16 del d.P.R. n. 636/1972 sopra riportato oiiica la necessit del ricorso e prevedono rimborsi (salvo che nel caso di omessa dichiarazione di ritenute d'acconto) solo in consegue~a della decisione delle commis sioni tributarie favorevoli al contribuente, mentre per i versamenti diretti (art. 37 e 38) prescrivono (conformemente alla disciplina dell'art. 16, 3 comma d.P.R. n. 636/1972) il rkorso alle Commissioni solo contro il silenzio-rifiuto formatosi sull'istanza di rimborso. Parimenti priva di fondamento giuridico la censura di cui al terzo mezzo di ricorso, concernente H riconoscimento del debito che l'amministrazione avrebbe effettuato nelle osservazioni difensive presentate davanti alla Commissione di secondo grado; 'la proponibilit deH'azione di ripetizione d'indebito di cui all'art. 2033 e.e. (come pure l'azione generale di arricchimento senza causa di cUI al successivo arti colo 2042, azione peraltro nel presente giudizio prima d'ora enunciata) esdusa, per quanto sopra osservato, come rimedio di carattere generiale extra ordinem rispetto al sistema del contenzioso tributario e in particolare rispetto ai rimedi di cui a:ll'art. 16 d.P.R. n. 600/1973. (nel testo antecedente alle modifiche introdotte dal d.P.R. n. 739/1981, non applicabili alla specie in esame) quando sia divenuto incontestabile l'accertamento o l'iscrizione a ruolo per intervenuta decadenza dal rico~so al giudice tributario e data la inammissibilit di un nuovo giudizio, nei termini ordinari di presmizione (art. 2946 e.e. sulla doman da di rimborso), che implicherebbe un accertamento negativo circa la debenza del tl'ibuto in contrasto non solo con quanto gi accertato in via definitiva e non pi contestabile dal giudice tributario, ma anche da parte di una diversa giurisdizione. Ci a parte le pur giuste considera I 428 RASSEGNA DEIL'AWOCATURA DELLO STATO I zioni fatte dalla Corte di Bologna in ordine al valore di un riconoscimento di debito che avrebbe dovuto desumersi da scritti difensivi !j! fatti dall'Amministrazione davanti alla Commissione di secondo grado. Deve pertanto considerarsi corretta la dichiarazione di inammissi ' bilit dell'impugnazione per tardivit, pronunciata dalle Commissioni di primo e secondo grado e confermata dalla Corte di Appello di Bologna. (omissis) II (omimissis) 1. -Il presente ricorso e altri discussi nella stessa udienza sottopongono all'esame de1la Corte, per la prima volta in modo puntuale, la complessa problematica relativa ag1i effetti della sentenza della Corte costituzionale 25 marzo 1980, n. 42,, dichiarativa deH'i1legittimit costituzionale dell'art. 4 n. 1 della legge di delega per la riforma tributaria (legge 9 ottobre 1971, n. 825) e dell'art. 1 del decreto delegato istitutivo dell'imposta locale sui redditi (d.P.R. 29 settembre 1973, numero 599) nella parte in cui assoggettaV'allo al tributo i redditi di lavoro autonomo non assimilabili a quelli di impresa. La questione -che ha dato luogo a decisioni contrastanti nella giurispruden2'!a delle commissioni tributar1ie -concerne il diritto dei percettori di reddito di lavoro autonomo di ottenere il rimborso dell'imposta pagata prima della pubblicazione della sentenza costituzionale; in particolare, occorre stabilire se e in quali casi i'efficacia della pronuncia incontri il limite del rapporto esaurito, con riferimento sia ai pagamenti eseguiti in base a ruolo, sia a quelli eseguiti mediante versamenti diretti. Nel sistema di riscossione dell'l.LO.R., infatti, si sono sucedute due diverse discipline: fino al 1976 (in pratica, per gli anni 1974, 1975 e 1976) l'imposta veniva riscossa mediante ruoli esattoriali emessi in base ai redditi esposti in dichiarazione; a partire dall'anno 1977, invece, il tributo viene riscosso mediante autotassazione, cio con versamenti diretti dei contribuenti nel termine stabilito per la dichiarazione (salvo in ogni caso il potere dell'ufficio finanziario di procedere ad accertamento entro cinque anni dalla dichiarazione, ex art. 43 (del d.P.R. n. 600 del 1973). Quanto alla prima vicenda solutoria, l'orientamento dell'Amministrazione -riproposto e diffusamente argomentato con H ricorso che si esamina - nel senso che la 1senten2la deMa Corte Costittrai.onale non opera rispetto ai pagamenti eseguiti in forza di iscrizione a ruolo che, alla data della pronuncia, era diventata definitiva perch non impugnata nel termine di sessanta giorni dalla notificazione della cartella esattoriale; e ci secondo la disciplina .risultante dagli artt. 39 del I PARm I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA d.P.R. n. 602 del 1973 e 16 del d.P.R. n. 636 del 1972, per cui il rimborso delle somme corrisposte in base a ruolo si pu ottenere solo attraverso fimpugnativa del medesimo, che, una volta divenuto inoppugnabile, rende jncontestabile H pagamento. Quanto alle fattispecie di versamento diretto l'Amministrazione ritiene che la definitivit, o meno, del rapporto tributario debba essere verifioata alla stregua dell'art. 38 del d.P.R. n. 602 del 1973, per cui nel caso di errore materiale, duplicazione ed inesistenza totale o parz~ ale dell'obbligo di versamento , il rimbovso deve essere chiesto con istanza presentata all'Intendenza di finanza nel termine di decadenza di diciotto mesi dal versamento medesimo; pertanto la sentenza costituzionale non opera rispetto ai pagamenti per i quali, alla data della stessa, era scaduto il termine suddetto. 2. -Per contro, l'esaurimento del rapporto in tali situazioni viene negato da una parte della dottrina e della giurisprudenza tributaria in base ad un duplice ordine di argomenti, che si trovano trasfusi, in sostanza, nella decisione impugnata. Da un lato, si sostiene che nel pagamento eseguito in forza di una norma dichiarata incostituzionale, perci invalida fin dall'origine, si configura un indebito oggettivo cui non si applicano le norme proprie del rapporto tributario, bens quelle relative 'a11'ordinaria condictio indebiti, di cui all'art. 2033 e.e., con la. conseguenza che l'azione pu essere proposta in qualsiasi tempo, con il solo limite della presecrizione decennale; dall'altro, l'inapplicabilit delle preclusioni suddette viene so . stenuta alla stregua della stessa disciplina del rapporto, in base ad una serie di ragioni che saranno pi oltre esaminate. 3. -L'equivoco che inficia il primo di questi airgomenti, che fa perno sulla natura di indebito oggettivo del pagamento eseguito in base alla norma poi dichiarata incos1li.tuzianale, si coglie agevolmente in ci, che da tale qualifica si pretende di desumere l'inapplicabilt delle regole proprie del rapporto tributario, senza considerare che -secondo i principi riguardanti l'effilcacia nel tempo delle ,sentenze di incostituzionalit (anche) in materia tributaria -la possibilit di accertare la qualit di indebito del pagamento in concreto effettuato presuppone che H rapporto cui questo si riferisce non sia ancora definito, cio che non si siano verificate quelle stesse preclusioni, stabi1ite dalla legge del medesimo rapporto, che si vorrebbero ritenere irrilevanti. Il riferimento tout court alla disciplina dell'indebito, con conseguenziale ivrilevanza della legge del rapporto, potrebbe in ipotesi avere fondamento se la sentenza di accoglimento operasse alla stregua di una pronuncia di annullamento, in modo da 'travolgere tutti gli atti compiuti e i rapporti conclusi secondo i parametri della legge incosti 430 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO tuzionale, sicch residuerebbe soltanto un pagamento che, risultando essere sine causa direttamente in virt della pronuncia costituzionale, potrebbe dn ogni caso formare oggetto di condictio indebiti. Ma ormai pi non si dubita, in via generale, che il c.d. effetto retroattivo della sentenza costituzionale di accoglimento consiste nella disapplicazione della norma dichiarata illegittima nci .rapporti anteriori in cui essa risulti comunque potenzialmente appliicabile; che tale efficacia incontra, quindi, il limite del rapporto esaurito, quale deve in tendevsi queUo in cui !'applicazione della norma incostitumonale non pu essere rimessa in discussione per l'effetto ostativo di altre disposizioni, diverse da quella illegittima, le quali rispetto allo stesso rappor to renderebbero irrilevante la questione di costituzionalit anche se non fosse stata gi decisa; e che conseguentemente si sottraggno agli effetti della pronuncia, oltre ai rapporti oggetto di una decisione passata in giudicato, le situazioni giuridiche divenute intangibili in conseguenza del verificarsi di una prescrizione o dell'operare di preolusioni stabilite da regole non colpite dalla pronuncia di incostituzionalit. In particolare, nella materia tributaria, l'orientamento di questa Corte -elaborato principalmente in relaz.one alle vicende, l?er molti aspetti analoghe a quelle che oggi si considerano, originate dalla dichiarazione di illegittimit costituzionale dell'art. 25, secondo comma, della legge 5 marzo 1963, n. 246, istitumva dell'imposta sulle aree fabbricabili, pronunciata dalla Corte Costituzionale con la sentenza 23 maggio 1%6, n. 44 -si consolidato nel senso che la pronuncia di incosti tuzionallit della norma impositiva incide anche sud rapporti tributari precedentemente sorti e non ancom esauriti alla data di pubblicazione della stessa, qua
  • ficua forma di reimpiego, perch ne manchi la prova, e d'altra ,parte debba escludersi una utilizzazione non reddituale del denaro (come appunto, nel caso concreto) -l'unica residuale forma di reimpiego, che quella del deposito bancario, non costituisce pi una ipotesi , ma assume, per esclusione, connotati di specifica certezza. L'ipoteticit postula, infatti, l'individuazione tra pi fatti possibili e deve essere superata mediante l'attribuzione ad uno di essi della probabilit del verificarsi, si che, quando sia invece I eliminata ogni possibile alternativa tra pi fatti diversi, quello di essi, che rimanga come l'unico e l'ultimo possibile, acquista inevitabilmente I carattere di certezza. Accertato, quindi, il titolo del reimpiego, ne conseguiva la presun I zione d'interessi posta daH'art. 86, 2 comma del T. U. che la Commis I sione centrale ha calcolato in misura adeguata a[ titolo stesso. (omissis) ~ CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 18 giugno 1988, n. 4178 -Pres. Vela . Est. Senofonte -P.M. Martinelli (conf.). Ministero deille Frinanze (Avv. Stato D'Amico) c. Marcantonio. . ' Tributi in genere -Contenzioso Tributario -Procedimento -Intervento in I:) appello Inammissibilit. (c.p.c., art. 344 e 404). ' Tributi in genere -Contenzioso Tributario Ricorso per cassazione -Cassazione senza rinvio Ammissibilit. (c.p.c., art. 382). ;) I Nel processo speciale tributario non ammesso l'intervento in appello (1). Nel processo tributario applicabile l'art. 382 c.p.c. in forza del quale I la Corte di Cassazione cassa senza rinvio quando ritiene che la causa w non poteva essere proposta o il processo proseguito (2). ~ 1:: ~== f f:: (1-2) La prima massima da condividere non tanto perch gli artt. 344 e ;: 404 non sono collocati nel primo libro cod. proc. civ., ma piuttosto perch essendo il processo ancorato a ricorso contro atti capaci di diventare irretrat-I~ fil r= ,,.,,.,,., ~,,,,.41 PARTB I, SBZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 449 (omissis) -La ricorrente denuncia: 1) Violazione e falsa applicazione degli artt. 344 e 404 cod. proc. civ. e dell'art. 39 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, perch a suo avviso non ammesso, nel processo tributario, l'intervento di terzi, che , istituto processuale previsto nel secondo libro del codice di rito ordinario, del quale non stata prevista iJ.'applicabilit nel processo tributario. 2) Violazione e falsa applicazione dell'art. 44 del citato decreto presidenziale, nonch deH'art. 1306 cod. civ., sostenendo che la prima norma impedisce che l'opposizione del contribuente, una volta dichiarato estinto il processo per omessa presentazione della istanza di trattazione, possa risorgere nella forma di intervento di terzo o in qualsiasi altro modo, mentre la seconda non pu cancellare il principio che ove i condebitori solidali abbiano instaurato separati giudizi, vale per ognuno degli attori l'esito del giudizio da lui instaurato, non di quello promosso dal coobbligato. 3) Contraddittoriet di motivazione, avendo la Commissione centrale fondato l'ammissibilit dell'intervento dei Pugliese sulla supposta necessit di evitare le conseguenze, per essi pregiudizievoli, 'dell'eventuale soccombenza della societ venditrice, fraintendendo cos la portata della sentenza n. 48 del 1968 delila Corte costi>. L'ipotesi del reato doloso come causa di interruzione del rapporto organico tra P.A. e dipendente presa in esame anche da Cass. civ. 28 gennaio 1985 n. 485 (pubblicata per esteso e con nota adesiva in Resp. civ. e prev. 1986, 73 ss.) secondo la quale il reato commesso da un dipendente della P.A. per scopi egoistici privati interrompe il rapporto organico e la possibilit di riferire la sua attivit illecita alla P.A. stante l'assoluta incompatibilit tra il fine persom~ le dell'autore dell'appropriazione (nella specie si trattava di reato di peculato) e quelli istituzionali dell'Amministrazione>>. Entrambe le decisioni appaiono conformi al generale principio affermato nella subiecta materia secondo il quale perch sussista la responsabilit della Pubblica Amministrazione per fatti illeciti dei suoi dipendenti, devono concorrere due elemnti: il nesso di causalit obiettiva tra il comportamento del dipendente e l'evento dannoso, nonch la riferibilit all'Amministrazione del fatto del dipendente autore del comportamento. L'attivit del dipendente pu essere riferita all'ente pubblico e costituisce fonte di responsabilit diretta, in quanto sia e si manifesti come esplicazione dell'attivit dell'ente stesso, cio sia diretta al conseguimento dei suoi fini istituzionali nell'ambito delle attribuzioni dell'ufficio o del servizio al quale il dipendente addetto; si verifica, viceversa, una frattura del rapporto organico, con esclusione della responsabilit della Pubblica Amministrazione, allorquando il funzionario agisca come semplice privato per una finalit strettamente personale, configurandosi in tal caso l'attivit da lui posta in essere come del tutto estranea all'amministrazione e priva di ogni collegamento con i poteri propri dell'agente (Cass. III, 17 dicembre 1986 n. 7631. Massima ufficiale parzialmente divergente nell'articolazione letterale da quella pubblicata in Giust. civ. Mass. 1986, p. 2187). Numerosi, invece, sono i casi nei quali la giurisprudenza ha affermato la responsabilit risarcitoria dell'Amministrazione per illecito colposo del dipendente ritenendo 'Sussistente, nelle ipotesi decise, un collegamento sia pure anomalo tra l'abuso di funzioni e la realizzazione dei fini istituzionali dell'ente di appartenenza (v. tra :le moltissime Trib. S. Maria Capua Vetere 9 maggio 1978, Ragazzino e altro in Foro it. 1981, Il, 170 che ha affermato la responsabilit risarcitoria del Ministero di Grazia e Giustizia per i danni provocati agli internati in caso di omessa vigilanza e sorveglianza del direttore e degli agenti di custodia; Cass. IV, 19 dicembre 1979 Rocco e altro in Foro it. 1981, Il, 145 che ha ritenuto la responsabilit diretta del Ministero di Grazia e Giustizia per ille . .. . I 464 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO I valente della S.C., lo Stato pu essere chiamato a rispondere per la i ~~ condotta dei suoi dipendenti quando la stessa sia stata posta in essere ~:: nel raggiungimento di un fine proprio dell'Amministrazione di apparten. enza, oltre che 1a 'causa e nell'esercizio delle funzioni di cui titolare l'agente; mai nell'ipotesi in cui ['attivit del soggetto concreti gli estremi di un reato doloso, per definizione commesso con viola:ztlone dei doveri e con abuso dei poteri inerenti ad una pubbblica funzione, sia perch in tale caso non dato parlare neppure in astratto di un raggiungimento dei fini propri della Pubblica Amministrazione, 1sia perch quest'ultima I cito imputabile a medico incaricato del carcere; Cass. Sez. IV, 11 dicembre 1980, Rossi in Giur. it. 1982, Il, 225 che ha affermato sussistere la responsabilit del Ministero della Difesa per lesioni colpose cagionate da un carabiniere ausiliario che, scaricando la pistola d'ordinanza, accidentalmente faceva partire un colpo che attingeva un commilitone in violazione delle disposizioni che facevano divieto di tenere l'arma carica in caserma; Cass. IV, 14 aprile 1981 Di Palo, in Cass. pen. 1983, 312 la quale ha affermato la responsabilit risarcitoria del Ministero della Difesa per lesioni colpose provocate a commilitone da militare addetto a servizio di guardia armata; Cass. Ili, 18 giugno 1983 n. 4195, F. S. c. Giovannelli in Arch. giur. circol. sinistri 1983, 740 che ha affermato la responsabilit dell'Azienda Ferroviaria per i danni verificatisi a seguito dell'investimento di un veicolo da parte di un treno ad un passaggio a livello custodito negando rilevanza alla circostanza che il casellante aveva aperto il passaggio a livello al di fuori dell'orario di servizio e su richiesta di terzi; Cass. III, 22 ottobre 1984 n. 5333 Tartagli c. Ministero Difesa in Giust. civ. Mass. 1984, 1742 che, in ipotesi di incidente stradale ha escluso la responsabilit risarcitoria dell'Am ministrazione mancando un collegamento immediato e diretto del viaggio (posto in essere dal dipendente) con incombenze e compiti istituzionali (nella specie si trattava di mero rientro in citt, all'approssimarsi della scadenza delle ferie con libera scelta del giorno, del mezzo e del percorso); Trib. Messina 6 giugno 1984, D'Amma e altro c. Ministero Interno in Giust. merito 1985, 320 che ha affermato la responsabilit del Ministero dell'Interno nel caso di eccesso colposo nell'uso legittimo delle Armi da parte di appartenenti a corpi di Polizia; Cass. IV, 14 giugno 1984, Cipriani in Giust. pen. 1986 Il, 396 ss. relativa ad ipotesi di lesioni colpose gravi cagionate a terzi durante un servizio di vigilanza armata; Cass. III 5 settembre 1985 n. 4620 Coni c. Blasevich in Giur. it. 1986, I, 863 ss. con nota di riferimenti). Al concetto di occasionalit necessaria, peraltro, fa anche esclusivo riferimento altra pronunzia della S. C. (Cass. I, 2 settembre 1982 Leanza in Cass. pen. 1984, 912 ss.) affermando il principio; esposto nella massima ufficiale, secondo il quale neppure il dolo del dipendente costituirebbe causa di interruzione del rapporto organico. L'interpretazione, peraltro, non pu essere condivisa proprio alla luce dei principi costantemente affermati dalla giurisprudenza; il mero abuso di poteri e funzioni da parte del dipendente non appare infatti sufficiente ad integrare la riferibilit del comportamento delittuoso alla P.A. dovendosi anche accertare se l'illecito costituisca lo strumento, sia pure anomalo, per la realizzazione delle finalit istituzionali dell'ente pubblico. FRANCESCO MENARINI PARTB I, SBZ, VIII, GIURISPRUDENZA PENALE potrebbe addirittura avere subito un danno conseguente alla rottura del rapporto di immedesimazione orgamca. L'assunto ha certamente maggior valore nell'ipotesi in cui, come nel caso di specie, l'attivit del dipendente risulta essere stata caratterizzata, almeno allo stato degli atti, dalla volont di raggiungere finalit personali e soggettive, in assoluto contrasto con i fini istituzionali dell'Amministrazione di appartenenza, alla quale incombe il compito di individuare i veri responsabili di azioni delittuose. L'appartenenza all'arma dei CC. risulta pertanto essere stata unicamente una condizione soggettiva dolosamente sfruttata, da considerarsi ircostanza di collegamento meramente occasionale, idonea ad agevdlare la condotta delittuosa, ma non ad attribuirne la responsabilit alla Pubblica Amministrazione. N per giustificare una diversa conclusione potrebbe farsi riferimento all'addebito eventualmente ascrivibile alla P. A. di mancato controllo, addebito che farebbe sorgere una responsabilit a titolo diverso, incapace di proporsi come proiezione di un danno immediato e diretto conseguente a11a commissione dell'illecito penale del dipendente. Queste le conclusioni alle quali iJl Tribunale tenuto a pervenire de iure condito . La soluzione del problema rende superflua ogni determinazione sulle altre eccezioni dell'Avvocatura dello Stato, comportando di rper s la estromissione dei responsabili civili. ~ r, I ~ II I" Ii II i I I i II I I PARTE SECONDA I I I! I I \ i 1 I ! ! II ! I QUESTIONI IL DIRITTO CIVILE E POLITICO DEL CITTADINO NELLA COGNIZIONE DELL'AUTORIT GIUDIZIARIA ORDINARIA: IPOTESI DI GENESI STORICA DELL'INTERESSE LEGITTIMO Il presente articolo tratto da una relazione presentata al Settimo Convegno di Studi giuridici organizzato dalla Sezione Toscana del CISA, intitolato Contributi per la storia dell'interesse legittimo (Legge 31 marza 1889, n. 5992) e tenutosi a Firenze in date 2-3 dicembre 1988. SOMMARIO 1. -PREMESSA: L'interesse legittimo. Ipotesi di genesi storica. 2. -LA LEGGE ABOLITRICE DEL CONTENZIOSO AMMINISTRATIVO. 3. -I RELATIVI LAVORI PREPARATORI. 4. -L'INTERPRETAZIONE GIURISPRUDENZIALE: a) i diritti civili e politici; b) la disapplicazione; e) il criterio di riparto delle competenze. 5. -CONFRONTO CON L'ESPERIENZA BELGA. 6. -IPOTESI EZIOLOGICHE. 7. -L'AWOCATURA ERARIALE. 8. -LA RIFORMA CRISPI E L'INTERESSE LEGITTIMO. Storia di una genesi ed attualit di una crisi. Auspicio di superamento. 1. -Premessa: l'interesse legittimo. Ipotesi di genesi storica. L'interesse legittimo, da sempre singolare protagonista del nostro diritto amministrativo, oggi al centro di una rinnovata attenzione ed stato detto in proposito che se prematuro parlare di morte del diritto amministrativo non per prematuro formulare una prognosi infausta a breve scadenza per l'interesse legittimo. La sua affollata rivisitazione cui oggi stiamo assistendo, assomiglia quindi molto all'affannarsi di medici al capezzale di un morente nella speranza che almeno in punto di morte ,si arrivi a cogliere la misteriosa essenza della informe creatura (1) malata. Una informe creatura che, a parte questa non certo lus[nghiera qualificazione, ha meritato, nei quasi cento anni della sua storia, anche quelle di inesistente quiddit (2), criterio inafferrabile ed dmponderabile (3), dil'itto soggettivo sottosviluppato (4), fantasma (5), oggetto misterioso (6), esclusiva e poco invidiabile peculiarit del nostro sistema (7), figura mitologica che non si pu n comprendere n discutere (8), pseudo-concetto di misteriosofia giuridica (9), allu cinazione (10), per non citarne che alcune in ordine cronologico. Sembra ormai ooncordemente accettata, in ogni caso, l'affermazione che nelle radici storiche degli istituti che vanno individuate le ragioni de1la ,singolarit del nostro sistema e deH'attuale crisi del processo amministrativo. Effettivamente soltanto la storia pu spiegare come, fra tante decine di Paesi a regime amministrativo, con un giudice amministrativo distinto dal giudice ordinario, solo il nostro abbia elaborato la singolarissima categoria dell'interesse legittimo, situazione soggettiva sostanziale ancipite fra diritto ed. interesse, le cui intime contraddizioni si sono andate facendo sempre pi evidenti nel nuovo corso del giudizio amministrativo introdotto dalla istituzione dei Tribunali regionali. La profonda evoluzione subita dal giudizio ammini:strativo negli ultimi tre lustri, non poteva, d'altronde lasciare intoccato il suo oggetto, attesa, in generale, la necessaria interrelazione che sempre esiste fra (1) G. BERTI, Amministrazione atonoma e giustizia amministrativa nella legislatura unificatrice del 1865: il contributo del deputato Francesco Borgatti, in L'unificazione amministrativa e i suoi protagonisti, a cura di F. Benvenuti e G. Miglio, Milano, 1969, 418. (2) G. D. TIEPOLO, La giustizia amministrativa e il discentramento, in Giustizia amministrativa, III, 1892, 103. (3) V. E. ORLANDO, Contenzioso Amministrativo, in Il Digesto Italiano, voi. VIII; prt. 2a, Torino, 1895-98, 988. (4) M. S. GIANNINI -A. PIRAS, Giurisdizione amministrativa, in Enciclopedia del diritto, XIX, 281. (5) E. FAZZALARI, Il futuro del processo amministrativo visto da un processualcivilista, Foro amm., 1985, II, 349. (6) E. FAZZALARI, op. loc. cit. (7) F. LoNGO, proposta per una riforma del supremo organo regolatore del riparto delle giurisdizioni e delle questioni di attribuzione giurisdizionale, in Studi per il centocinquantenario del Consiglio di Stato, Roma, 1981, III, 1368. (8) M. NIGRO, Ma che cos' questo interesse legittimo? Illlterrogativi vecchi e nuovi spunti di riflessione, in Foro it., 1987, V, 470. (9) R. CARBONI, Gli aiuti comunitari fra diritto soggettivo e interesse legittimo, in Diritto comunitario e degli scambi internazionali, 1985, 137. (10) F. SCOCA, Relazione alla Tavola Rotonda Ma cos' questo interesse legittimo? '" Foro Amm. 1988, 331. 88 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO diritto sostantivo e divitto processuale; considerata, in particolare, la singolare vicenda, di tipo simbiotico, che lega storicamente in Italia la categoria giuridica dell'interesse legittimo al g1udizio dinanzi al giudice amministrativo (11). La prima affermazione ovvia: ogni tipo di giudizio congruente con le rispettive materie giudicabili e non con altre, tanto che la stessa verit processuale un concetto relativo, correlato alla ,regola di giudizio applicabile in un certo tipo di processo (12). La seconda poggia sulle vicende storiche ben note (ma mai abbastanza ricordate) che condussero a quella singolarissima -e per tanti versi ambigua -costruzione del giudizio dinanzi al Consiglio di Stato italiano, nato nell'amministrazione ed evoluto nella giurisdizione per giudicare di un interesse legittimo considerato come situaziione Sostan- ziale fino alle soglie del giudizio, al cui accesso legittimava, per perdere poi in esso tale connotato, in quanto la natura cassatoria della pronuncia non riconosceva o disconosceva alcun bene della vita, limitandosi ad annullare -o non annullare -un atto amministrativo. Quello che certo, comunque, che la categoria giuridica dell'interesse legittimo, con tutte le sue contraddizioni gi in embrione, nasce dalla insoddisfacente tutela offerta agli amministrati dalla legge del 1865 -o meglio dalla interpretazione che ne fu data -e dal tipo di rimedio offerto, un quarto di secolo dopo, dalla riforma Crispi. 2. -La legge abolitrice del contenzioso amministrativo Passando all'esame della legge abolitrice del contenzioso amministrativo, giover osservare subito come anche la legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E, che, come noto, abol i Tribunali ordinari del contenzioso amministrativo, devolvendo alla giurisdizione ordinaria . . . tutte le materie nelle quali si faccia questione di un diritto civile o politico, comunque vi possa essere interessata la pubblica amministrazione e ancorch siano emanati provvedimenti del potere esecutivo o dell'autorit amministrativa non sfugga al bizzarro destino che proprio di tante leggi in materia amministrativa: quello di provocare effetti paradossalmente opposti ai fini avuti di mira dal legislatore. Il primo e pi vistoso esempio di tale anomalia addirittura quello delle leggi francesi, a cavallo fra '700 e '800, che costituirono la matrice prima del diritto amministrativo. Un diritto il cui nascere fu valutato da Alexis de Tocqueville (13) come espressione di dispotismo ed ebbe la funzione, secondo gli studiosi pi accreditati, di fornire a:lla borghesia emergente nuovi manici per meglio maneggiare antiche mannaie (14). Fatto si per, che da quelle leggi, che costruivano una amministrazione senza giudice seppe evolversi un sistema di giustizia amministrativa capace di fornire cospicue garanzie agli amministrati. (11) I. F. CARAMAZZA, La riforma del processo amministrativo, in Atti della Tavola Rotonda 19 aprile 1980, in Riv. Amm. 1980. (12) I. F. CARAMAZZA -M. L. GUIDA, La prova nel processo amministrativo, in Rass. Avv. Stato, 1985, II, 87. (13) A. de TOCQUEVILLE, Scritti politici, a cura di N. Matteucci, Torino 1%9, I, 234 ss. (14) M. S. GIANNINI, Diritto amministrativo, voce della Enciclopedia del Diritto, XII 855. PARTE II, QUESTIONI 89 Il contrario sembra essere avvenuto per la legge italiana abolitrice del contenzioso amministrativo, riforma di schietto stampo liberale e progressivo e che segn per, nei fatti, una perdita di tutela da parte degli amministrati rispetto al previgente sistema del contenzioso (15). Sul punto, noto, non tutte le opinioni concordano. Sembra, per -e torneremo sul punto poco pi avanti -che cos la ratio ispiratrice, come la voluntas legislatoris come la stessa lettera della legge avrebbero postulato una stia interpretazione in termini ben pi liberali di quanto non sia accaduto nella realt. I Tribunali del contenzioso esistenti negli Stati italiani preunitari erano stati tutti ispirati al sistema francese introdotto nel periodo napoleonico (e non certo un caso che i vari sovrani assoluti restaurati trovassero comodo adottare il nuovo strumento, bench figlio de1la Rivoluzione del 1789). Il sistema piemontese -che pi da vicino riguarda il nostro problema -dopo l'ultima riforma del 1859, prevedeva l'affidamento ad un plesso di giudici ordinari. del contenzioso (Consigli di Governo in primo grado e Consiglio di Stato in appello) del compito di conoscere di tutte le controversie fra cittadini e Stato, che non fossero di puro diritto privato, restando invece queste ultime riservate al giudice ordinario. L'attribuzione di competenza non era per clausola generale, ma per enumerazione di materie in ordine alle quali la giurisprudenza ammetteva una modesta estensione analogica, purch per sempre si restasse in tema di amministrazione contenziosa (o regolata, o libellata ) a fronte della quale si poneva un diritto dell'amministrato. Nessuna tutela che non fosse quella da cercare presso gli stessi organi di amministrazione attiva era invece offerta, in via di principio, contro gli atti di amministrazione pura o discrezionale o graziosa , che potevano ledere semplici interessi. Nel regolare il rapporto sottoposto al loro esame, i Tribunali del contenzioso non avevano alcun potere sull'atto amministrativo, che non poteva essere n sospeso, n annullato, n revocato. I Tribunali del contenzioso si presentavano quindi come un foro d'eccezione (o di privilegio) qualificato dalla natura, pubblica invece che privata, di una delle parti e della normativa regolatrice del rapporto e caratterizzato dal suo inserimento nel plesso dell'esecutivo e dalla carenza di quelle (pur imperfette) garanzie di indipendenza di cui godeva il giudice ordinario. In tale situazione non sorprende che essi venissero considerati espressione di dispotismo amministrativo da 1sopprimere come tutti gli altri fori speciali del passato. La spinta abolizionista -connaturata con l'ideologia liberale e caratterizzante infatti le rivoluzioni di met secolo -precede d'altronde, e non di poco, l'unificazione. Gi il progetto Galvagno del 2 dicembre 1850 (forse sotto l'influenza della costituzione di Francoforte del 1849) prevedeva tout court il passaggio al giudice ordinario di tutte le competenze del sopprimendo giudice del contenzioso amministrativo. (15) S. SPAVENTA, La giustizia nell'amministrazione, in Codice della giustizia amministrativa (per cura dell'avv. Ranieri Porrini), Firenze, 1900, 29. 90 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Sulla stessa linea il testo del Progetto Minghetti del 1862 che, all'articolo 2 (relazione Panattoni) (16), prevedeva: appartengono ... alla giurisdizione ordinaria tutte le questioni che fin qui erano conosciute e decise dai Consigli e Tribunali del contenzioso amministrativo . L'approfondimento del problema port presto per ad emersione la constatazione del fatto che nell'esercizio delle proprie competenze per materia i Tribunali del contenzioso conoscevano talvolta, per necessaria connessione connaturata a particolari settori dell'amministrazione, anche di atti discrezionali (di amministrazione cio pura, secondo la terminologia del tempo) e quindi tutelavano in tali casi interessi semplici oltre che diritti (17). Da tale constatazione furono tratte due conseguenze: la prima si risolveva in una ulteriore ragione di soppressione dei Tribunali del contenzioso che o giudicavano di diritti -e prevaricavano allora sulla naturale competenza del giudice ordinario -o giudicavano di interessi ed invadevano allora la sfera riservata all'amministrazione attiva (18). La seconda fu che, per rispetto al principio della divisione dei poteri, solo la materia dei diritti doveva essere devoluta al giudice ordinario. Si arriva cos alla formula dei diritti civili e politici del disegno che doveva diventare quella della legge abo'litrice, accompagnata dal divieto di revoca e modifica degli atti amminist-rativi (ferma la cognizione degli effetti dell'atto in relazione all'oggetto dedotto in giudizio) e dal divieto di applicare atti e regolamenti se non conformi alle leggi. Legge_ ispirata, come noto, ai principi contenuti nella Costituzione belga del 1831. Sono ben conosciute le tante diverse opinioni in proposito. Da quella dei propugnatori della legge, Mancini per primo, che videro in essa il successo di un principio di libert sul dispotismo amministrativo, a quella dei suoi oppositori contemporanei (Crispi, Rattazzi e Cordova, per tutti) che vi ravvisarono una operazione peggio che gattopardesca, in quanto volta non a conservare intatta ma addirittura a ridurre l'area delle garanzie del cittadino sotto le mentite spoglie di un apparente suo ampliamento (sotto colore di progredire si fa un regresso,) (19). Dalla . storiografia classica, che vi ravvisa una riforma liberale tradita dai suoi interpreti ad alcuni recenti ripensamenti che vedono nella riforma del 1865 una scelta di campo in favore dell'amministrazione e delle sue prerogative; scelta di campo effettuata addirittura scontando, con machiavellica preveggenza, le timidezze, i timori e le connivenze della magi .stratura e quindi la giurisprudenza che si sarebbe formata (20). La nostra opinione, che cercheremo di illustrare adesso, che sia da condividere l'ipotesi de11a riforma liberale tradita dai suoi interpreti. (16) Rel. 8 aprile 1862, Atti parlamentari Camera dei Deputati, Sessione 1861-1862, I Ed., 1080. (17) M. MINGHE'ITI, Rel. al Progetto omonimo, Atti ult. cit., Doc. n. 46, 2a ristampa, 79 ss.; M. NIGRO, Giustizia Amministrativa, Bologna, 1983, 76. (18) Per tutti, P. S. MANCINI, Discorso 9 giugno 1864, Atti parlamentari Camera dei Deputati, I ed., Voi. dal 20 marzo al 29 giugno 1864, 5157. (19) F. CRISPI, ivi, 2900-2901. . (20) S. SAMBATARO, L'abolizione del contenzioso nel sistema di giustizia amministrativa, Milano 1977, 64. PARm II, QUESTIONI 91 3. -I relativi lavori preparatori Suole comunemente dirsi che il legislatore del tempo non avesse le idee chiare sul significato della locuzione diritti civili e politici sulla scorta dell'autorit del Cammeo, che parla appunto di intenzioni non chiaramente spiegate (21). L'affermazione del chiaro autore va per intesa, a noi pare, solo con riferimento a qualche ambiguit lessicale ed in particolare ad una certa tendenza di alcuni parlamentari a qualificare gli interessi come diritti minori (22). Il difetto di chiarimento attiene quin.di solo ad un problema terminologico: chiarissima invece la voluntas legislatoris nel senso di intendere la . locuzione nella sua massima estensione possibile. Cos ad esempio il Mancini, parlando dei diritti politici, li definisce come quelli che al cittadino sono assicurati dalla costituzione di un paese libero; la libert individuale, la libert di coscienza, la libert di stampa, la libera associazione, il diritto della nazione di concorrere al voto delle imposte (23), precisando anche come fossero comprensivi di tutti i rapporti giuridici che si possono concepire in qualunque guisa esistenti fra i privati e la pubblica amministrazione (24). I membri della Commissione della Camera investita del Progetto, in particolare, erano tutti convinti che la formula diritti civili e politici equivalesse a quella diritti di qualunque natura (25). E se t anniversario della istituzione del Consiglio di Stato, Milano, 1983, 391. 104 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO La forza delle cose ha imposto quindi al nuovo giudice amministrativo di soddisfare un'esigenza di giustizia sostanziale. La richiesta sempre crescente montante dalla societ era che egli si trasformasse da giudice dell'atto in giudice del rapporto per la conseguibilit nel processo amministrativo di quel bene della vita che dovrebbe pur essere conseguibile se vero che l'interesse legittimo una situazione sostanziale. Orbene, bench stretto nelle angustie di una giurisdizione generale di legittimit che rimane pur sempre una giurisdizione di annullamento, il giudice amministrativo riuscito a rendere giustizia nel rapporto attraverso lo strumento cautelare. Il fenomeno troppo noto perch vi si debba indugiare; basti ricordare come in buona sostanza il processo amministrativo oggi si risolva con la concessione o il diniego della sospensiva (85). Da un lato ci pu essere ricondotto a quella funzione di supplenza cui ogni tipo di giurisdizione oggi chiamata da un eccesso di domanda di giustizia. Non occorre, in proposito, ricorrere a raffinate analisi sociologiche per constatare come al giudice italiano tocchi in sorte pagare il prezzo di colpe non sue, l'eccesso di contenzioso essendo dovuto ad una carenza o ad un difetto di funzionamento di quei meccanismi fisiologici della j societ e delle istituzioni che dovrebbero ridurre a sparuta eccezione i casi di mancato spontaneo adeguamento dell'essere del fatto al dover essere della norma (86). I Chiamato a porre rimedio alla preoccupante forbice che .si va aprendo tra evolvere della realt ed evolvere dell'ordinamento, il giudice I italiano si trovato costretto -il pi delle volte per necessit e non I i~ per scelta protagonistica -ad esercitare una funzione di vera e propria supplenza. La via maestra imboccata stata quella del ricorso alla misura cautelare: non potendo dare risposta definitiva in tempi ragionevoli, il nostro giudice d risposta provvisoria in tempi giusti, privilegiando l'efficacia rispetto alla meditazione. Questo vero sia in sede I di giudizio civile, dove Fazzalari ha parlato di settecentizzazione della giustizia (87) con riferimento all'uso e all'abuso che il pretore fa dell'art. 700 c.p.c. vero, purtroppo, nel processo penale, come anno I tava malinconicamente Andrioli (88), in cui troppo spesso la vera pena non quella che segue alla condanna, ma quella scontata dagli imputati in sede di custodia preventiva, colpevoli o innocenti che siano. vero, infine, nel processo amministrativo, dove la curva statistica della percentuale di sospensive si impenna a freccia, divaricandosi da quella, pur montante, dei ricorsi (89). E questo induce a certo non confortanti considerazioni. (85) M. NIGRO, in Atti parlamentari -audizioni cit., seduta 16 ottobre 1984. (86) I. F. CARAMAZZA -M. G. MANGIA, Le misure cautelari nel processo amministrativo in Rass. Avv. Stato, 1986, II, 87. (87) E. FAZZALARI, Il futuro del procedimento amministrativo visto da un processualcivilista, cit., 349. (88) V. ANDRIOLI, Relazione, in Atti tavola rotonda romana , 1982, 1688 cit. in M. E. Schinaia, Brevi note sul giudizio amministrativo cautelare, in Riv. amm., 1985, I, 591-604. (89) I. F. CARAMAZZA -M. G. MANGIA, Le misure cautelari nel processo amministrativo, cit. PARTE II, QUESTIONI 10J D'altro lato, per, occorre rilevare come nel momento cautelare il giudice amministrativo diventi fisiologicamente giudice del rapporto e quindi del bene della vita da riconoscere o da negare. . Nella fase di merito, infatti, tradizionalmente, la valutazione dell'interesse sostanziale tutelato ha sempre condizionato solo l'ammissibilit del giudizio: nella fase cautelare, dovendo il giudice conoscere della gravit e irreparabilit del pregiudizio, la valutazione dell'interesse sostanziale condiziona anche il merito della decisione: decisione che regola, dunque, il rapporto (90). L'evoluzione della giurisprudenza amministrativa in tema di sospensiva (e in sede di giurisdizione generale di legittimit) nell'ultimo decennio troppo nota perch vi si debba indugiare: stata, infatti, affermata e sistematizzata la sospendibilit di una serie di atti amministrativi (quali dinieghi di ammissione, atti intermedi di procedimenti, atti negativi di controllo, ecc.) esclusi dalla sospendibilit secondo le teorie classiche perch atti negativi. Oltretutto, il giudice amministrativo ha utilizzato con estrema duttilit lo strumento cautelare, piegandolo, per esempio, a fini istruttori o mirandolo meglio al fine attraverso l'introduzione di elementi accessori come il termine o la condizione. Si cos giunti a soddisfare, in sede di sospensiva, non solo interessi oppositivi , ma anche interessi pretensivi (quanto meno quelli a soddisfazione pre-regolata ) (91), restando quindi esclusi, come posizioni sostanziali conoscibili, soltanto quegli interessi pretensivi per la cui soddisfazione l'Amministrazione conservi margini di discrezionalit in ordine all'an, al quomodo ed al quando. E ne restano esclusi, a nostro avviso, perch posizioni sostanziali non sono, non potendo preesistere ad una nascita condizionata da quella vera e propria variabile indipendente che l'esercizio della discrezionalit amministrativa (92). Da quanto sopra sembra potersi trarre la conclusione che si accomunino sotto la stessa etichetta di interesse legittimo, come gi si accennato, situazioni assolutamente eterogenee. Interessi oppositivi e interessi pretensivi a soddisfazione preregolata sembrnno infatti presentare tante analogie con i diritti soggettivi da chiedersi se, per caso -e quanto meno in gran parte -diritti soggettivi non siano (o non siano divenuti) (93) e se tali non siano stati. considerati sin dal 1865 solo per quell'eccessivo self-restraint adottato dal giudice ordinario nell'interpretare la legge abolitrice del contenzioso amministrativo, di cui si detto. Certo, per tale via, il giudice amministrntivo sconfina un po' da quel mero effetto anticipatorio della pronuncia di merito che dovrebbe avere la decisione cautelare alla luce dell'insegnamento chiovendiano secondo cui il tempo necessario ad avere ragione nel processo non deve (90) E. FoLLIERI, Giudizio cautelare amministrativo e interessi tutelati, Milano, 1981, 46 ss. (91) E. Fou.1ERI, op. loc. cit. (92) S. GIACCHETTI, L'oggetto del giudizio amministrativo in Studi per il centocinquantenario cit., III, 1489-1490. (93) V. ALLEGRETTI, Pubblica Amministrazione e ordinamento democratico, in Foro it. 1985, V, 206 ss. 106 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO tornare a danno di chi ha ragione (94). In qualche modo il giudice amministrativo rimedia con quelle prescrizioni ordinatorie o ad effetto conformativo (95) che costituiscono idoneo ponte fra le attuali conquiste dell'evoluzione giurisprudenziale e le emanande norme di riforma del processo amministrativo che, sintomaticamente, prevedono una statuizione del giudice pienamente satisfattiva dell'interesse del ricorrente ad eccezione dei casi in cui alla pubblica amministrazione siano attribuiti poteri discrezionali in ordine alle modalit ed al tempo dell'adozione dell'atto o del comportamento (%). Al fenomeno sopra accennato (e che per dovrebbe indurre il giudice della cautela amministrativa a motivare anche sul fumus boni juris) si accompagna una nettissima tendenza all'mpliamento delle materie attri buite al giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva. La legge istitutiva dei T.A.R. segn l'avvio, con l'attribuzione a detta competenza della materia delle concessioni, cos attaccando per la prima volta un criterio di ripartizione non pi basato sulla contrapposizione (o, nella specie, possibile confusione) fra diritto e interesse legittimo ma su una distinzione di blocchi di materie (97). Sulla stessa via sembra d'altronde essersi posta la Corte di Cassazione (98), in una linea di tendenza che sembra destinata a privare del suo principale significato quella distinzione di situazioni soggettive che tradizionalmente segna il discrillline fra le due giurisdizioni (99). Il tendenziale aumento dei casi di giurisdizione esclusiva (confermato dalle leggi 28 gennaio 1977, n. 10, 20 marzo 1980, n. 75 e 24 marzo 1981, n. 145) (100) riceve una corposa conferma dal testo dell'ultimo disegno di legge-delega (101) che prevede una estensione della giurisdizione esclusiva alle materie connesse e conseguenti a quelle a tale (94) G. CHIOVENDA, Nota a Cass. Roma 7 marzo 1921 in Giur. civ. comm. 1921, 362 ss. (95) Fra le pi tipiche decisioni in tal senso vedasi T.A.R. Toscana 21 giugno 1978, n. 344, in. I T.A.R. 1978, I, 349, che recita, in parte qua: L'accogli mento del ricorso giurisdizionale per vizi di carattere sostanziale non comporta soltanto l'annullamento dell'atto impugnato, ma altres l'accertamento della situazione giuridica fatta valere dinanzi al giudice amministrativo, ossia in un certo modo la situazione giuridica controversa; pertanto, allorch l'annullamento dell'atto non sia pienamente satisfattorio della pretesa di ulteriori provvedimenti dell'amministrazione, quest'ultima soggiace, nella rinnovazione dell'atto annullato, al vincolo, derivante dal giiudicato, di non pregiudicare l'interesse del ricorrente, nei limiti in cui dalla decisione sia stato riconosciuto giuridicamente protetto. (96) Art. 1-3-N-2 del disegno di legge di iniziativa parlamentare presentato dai deputati Martinazzoli ed altri il 9 luglio 1987 (Camera dei Deputati n. 788) intitolato Delega al Governo per l'emanazione di norme sul processo amministrativo di;nanzi ai Tribunali Amministrativi regionali, al Consiglio di Stato ed al Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana, nonch sul ricorso straordinario al Presidente della Repubblica e sui ricorsi amministrativi '" Il relativo testo riproduce quello approvato in sede referente dalla I Commissione nella IX Legislatura (A. C. 1353-1803-A). (97) F. BENVENUTI, Atti parlamentari ult. cit., seduta del 24 ottobre 1984. (98) M. NIGRO, Atti parlamentari ult. cit., seduta del 16 ottobre 1984. (99) A. NOCCEI.LI, Prinipio di partecipazione e funzione del giudice amministrativo, in Studi per il centocinquantenario cit., III, 1671-1672. (100) M. NIGRO, Giustizia Amministrativa, Bologna, 1983, 103. (101) cfr. nota (96). PARTE II, QUESTIONI 107 giurisdizione gi attribuite, all'espropriazione e all'occupazione di urgenza e alle prestazioni dei "-Pubblici servizi di sanit, istruzione e assistenza pubbliche (102). Altra conferma viene dall'ultimo disegno di legge governativo sul procedimento, che riserva alla giurisdizione esclusiva le controversie in materia di accordi (103). Ove si ponga mente al fatto che normalmente la giurisdizione per materie una giurisdizione piena (104), sembra potersi concludere che in via tendenziale attraverso l'evoluzione della giurisprudenza ed in via conclusiva attraverso le riforme legislative in itinere e che sembrano ormai mature (105), gran parte delle situazioni soggettive sostanziali finora qualificate come interessi legittimi avviata a trovare nel processo amministrativo quella soluzione pienamente satisfattiva che il tradizionale giudizio rigorosamente cassatorio non assicurava se non in alcuni casi di degradazione o di affievolimento. N a tale tipo di conclusione potrebbe opporsi il dettato della Costituzione in materia di situazioni soggettive e di riparto di giurisdizioni.A parte l'ovvia considerazione che ogni problema, anche formale, risulterebbe superato con l'ampliamento dell'area della giurisdizione esclusiva (la cui forza espansiva non sembra limitata in modo categorico dal costituente) (106), giova osservare come il compito del legislatore costituzionale sia quello di porre delle norme di principio e non quello di scrivere un dizionario giuridico: i termini ed i concetti usati nella Costituzione del '47 rispecchiano i dati semantici che la cultura del tempo forniva (107); riflettono, quindi, ovviamente un diritto vivente che era, in tema di interesse legittimo e di processo amministrativo, come si accennato, tutto una intima anche s elegante contraddizione. Sembra sussistere dunque per l'interprete un largo margine di manovra anche in materia di ridefinizione dei concetti di diritto e di interesse. In realt, in materia di tutela giurisdizionale e di riparto delle giurisdizioni, fa voluntas legis del costituente mir soprattutto (se non soltanto) ad assicurare il massimo di garanzia della giurisdizione per ogni possibile situazione giuridica soggettiva rilevante (diritti e interessi legittimi fu l'endiadi ritenuta esaustiva) e nei confronti di tutti gli atti della p. a. con esclusione di tutte quelle eccezioni (per categorie di atti e per mezzi di impugnazione) di cui il precedente regime autoritario aveva offerto ricco florilegio (108). (102) Art. 1-3-b-3 del disegno di legge delega n. 788 cit. a nota (96). (1Q3) Art. 12 del disegno di legge presentato dal Presidente del Consiglio dei Ministri il 19 novembre 1987 (Camera dei deputati n. 1913), intitolato Nuove . norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi " (104) F. MERUSI, Atti parlamentari ult. cit., seduta del 23 ottobre 1984. (105) Cfr. disegni di legge precedentemente citati. (106) F. LoNGO, Proposte per una riforma cit., 1350, nota 22. (107) A. ROMANO, IJ giudice amministrativo di fronte alla tutela degli interessi c.d. diffusi, Foro it., 1979, V, 8. (108) Sembra opportuno riportre la dichiarazione formulata in occasione della discussione dell'art. 103 del Presidente Ruini: Non occorre che ricordi da quali criteri era stata dettata la disposizione. Vi stata, durante il fascismo, .}'abitudine di privare del ricorso giurisdizionale molte categorie di atti dell'autorit amministrativa lesivi degli interessi . e dei diritti dei privati. Ad ogni pi sospinto veniva una legge e pi spesso un decreto-legge fascista 108 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Per un prossimo definitivo superamento della crisi del processo amministrativo sembra dunque doversi trarre favorevole auspicio dalla evoluzione della giurisprudenza e dalle innovazioni normative prossime venture in tema di processo e di procedimento. Il quadro della giustizia amministrativa ohe va delineandosi in pro spettiva prevede infatti innanzitutto una piena tutela delle situazioni sostanziali qualificabili come diritti soggettivi e interessi legittimi oppo sitivi o pretensivi a soddisfazione preregolata, con riparto di competenza giurisdizionale fra il giudice ordinario e un giudice amministrativo for nito di poteri istruttori, cautelari e decisori atti a garantire il consegui mento del bene della vita (un giudice amministrativo operante, quanto meno tendenzialmente, in sede di giurisdizione esclusiva) (109). Prevede in secondo luogo -soprattutto attraverso la tutela degli interessi dif fusi e di quelli procedimentali in genere (110) -una indiretta tutela di tutti quegli interessi non contemplati nell'ordinamento come posi zioni sostanziali attraverso la (possibile) partecipazione ad un procedi mento connotato da caratteristiche giustiziali ed il cui atto terminale comunque assoggettato ad un sindacato giurisdizionale di tipo cassatorio affidato al giudice amministrativo a garanzia del rispetto delle regole del giusto procedimento. Mutatis mutandis il quadro appare singolarmente somigliante all'as setto dettato dal legislatore del 1865/1889 'letto, naturalmente, in chiave evolutiva. Teoria dei corsi e ricorsi storici messa da parte, questo un para dosso che dimostra quanto in anticipo sui tempi fossero quelle riforme e quanto restrittiva fosse l'interpretazione a suo tempo fattane. Una interpretazione liberale degli artt. 2, 3, 4 e 5 della legge abolitrice del contenzioso amministrativo ben avrebbe consentito, infatti, al giudice ordinario italiano -come analoga normativa aveva consentito .al suo collega belga -di conoscere di diritti civili ancorch direttamente aggrediti da atti amministrativi illegittimi (111) e di interpretare la locuzione diritti politici nel senso dei diritti soggettivi pubblici della dottrina tedesca (112). 81 sarebbe cos realizzata una accettabile tutela di quelli che si qualificherebbero oggi interessi oppositivi e interessi pretensivi a. sod disfazione preregolata (o quanto meno di buona parte di essi) restando riservata la tutela degli interessi condizionati dal potere discrezionale che diceva: per questi atti non ammesso alcun ricorso n davanti ai tribunali n davanti al Consiglio di Stato. Ci ha preoccupato la Commissione ed abbiamo di conseguente stabilito che non si pu togliere ai cittadini, per segmento di materie e di atti, la garanzia del ricorso giurisdizionale. Nessun dubbio che filn qui tutti noi della Assemblea siamo d'accordo (M. RUINI, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell'assemblea Costituente, vol. V, Camera dei Depu tati, p. 4194). (109) cfr. G. BERTI, Momenti della trasformazione della giustizia amministrativa, Riv. Trim. dir. pubbl., 1972, 1861. (110) I. F. CARAMAZZA -F. SCLAFANI, Interesse legittimo e procedimento, in Rass. Avv. Stato 1988, Il, 1. (111) Cass. Napoli, 24 f~bbraio 1876, in Foro it., 1876, I, 202; G. GRECO, L'accertamento autonomo del rapporto nel giudizio amministrativo, Milano, 1980, 77. (112) F. BENVENUTI, op. cit., 600. PARTE II, QUESTIONI 109 della p. a. al procedimento quasi giudiziale contemplato dall'art. 3 de1la Jegge del 1865, cui la riforma del 1889 doveva poi offrire l'ulteriore garanzia del contro11o cassatorio della IV Sezione del Consiglio di Stato. Le cose, come si sa, andarono diversamente. Probabilmente la legge abolitrice del 'contenzioso, come ha notato un autorevolissimo studioso della materia (113), era troppo in anticipo sui tempi. Speriamo che le leggi prossime venture che riformeranno il processo amministrativo e regoleranno il procedimento non siano troppo in ritardo. I. F. CARAMAZZA -F. QUADRI (113) M. NIGRO, op. ult. cit., 86. ! ! ~ I I ! I I I ~ RASSEGNA DI LEGISLAZIONE QUESTIONI DI LEGITTIMIT COSTITUZIONALE I -NORME PICHIARATE INCOSTITUZIONALI codice di procedura civile, art. 404, nella parte in cui non ammette opposi zione di terzo avverso l'ordinanza con la quale il Pretore dispone l'affranca zione del fondo ex art. 4, legge 22 luglio 1966, n. 607. Sentenza 20 dicembre 1988, n. 1105, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. codice penale, art. 219, terzo comma, nella parte in cui, per i casi ivi previsti, subordina il provvedimento di ricovero in una casa di cura e di custodia al previo accertamento della pericolosit sociale, derivante dalla seminfermit , di mente, soltanto nel momento in cui la misura di sicurezza viene disposta e non anche nel momento della sua esecuzione. Sentenza 13 dicembre 1988, n. 1102, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. codice penale, art. 626, primo comma, n. 1, nella parte in cui non estende la disciplina ivi prevista alla mancata restituzione, dovuta a caso fortuito o forza maggiore, della cosa sottratta. Sentenza 13 dicembre 1988, n. 1085, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. codice di procedura penale, art. 399, primo comma [come sostituito ad opera dell'art. 11 della legge 31 luglio 1984, n. 400] nella parte in cui esclude il diritto dell'imputato di proporre appello, ai fini e nei limiti dell'art. 152, secondo comma, del codice di procedura penale, avverso la sentenza del pretore che lo abbia prosciolto per estinzione del reato per prescrizione. Sentenza 28 luglio 1988, n. 922, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. codice di procedura penale, art. 399, primo comma [come sostituito dal l'art. 11 della legge 31 luglio 1984, n. 400], nella parte in cui esclude il diritto dell'imputato di proporre appello, ai fini e nei limiti dell'art. 152, secondo comma, del codice di procedura penale, avverso la sentenza del pretore che lo abbia prosciolto per estinzione del reato per amnistia. Sentenza 28 luglio 1988, n. 922, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. legge 13 giugno 1912, n. 555, art. 8, ultimo comma, e cLP.R. 14 febbraio 1964, n. 237, art. l, lett. b), nella parte in cui non prevedono che siano esentati dall'obbligo del servizio militare coloro che abbiano perduto la cittadinanza italiana a seguito dell'acquisto di quella di un altro Stato nel quale abbiano gi prestato servizio militare. Sentenza 19 ottobre 1988, n. 974, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. 112 RASSEGNA DEU.'AV.VOCATURA DELLO STATO r.d. 3 marzo 1934, n. 383, art. 247 [nel testo sostituito con legge 27 giugno 1942, n. 851]. Sentenza 14 ottobre 1988, n. 971, G. U. 19 ottobre 1988; n. 42. r.dJ. 4 ottobre 1935, n. 1827, art. 128 e legge 30 aprile 1969 n. 153, art. 69, nella parte in cui non consentono, entro i limiti stabiliti dall'art. 2 n. 1 del d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, la pignorabilit per crediti alimentari delle pensioni corrisposte dall'INPS. Sentenza 30 novembre 1988, n. 1041, G. U. 7 dicembre 1988, n. 49. r.d.l. 3 marzo 1938, n. 680, art. 69, primo comma [conv. in legge 9 gennaio 1939, n. 41], nella parte in cui non prevede la facolt di riscattare i periodi corrispondenti alla durata legale di corsi speciali di perfezionamento, il cui diploma di specializzazione sia stato richiesto, in aggiunta alla laurea, quale condizione necessaria per l'ammissione in servizio. Sentenza 9 novembre 1988, n. 1016, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 190, secondo comma, nella parte in cui fa decorrere il termine di decadenza di dieci giorni per il reclamo avverso il provvedimento del giudice delegato di cessazione degli effetti dell'amministrazione controllata, dalla data del decreto anzich dalla sua rituale comunicazione all'inI teressato. fil Sentenza 26 luglio 1988, n. 881, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. ili .J I d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, art. 2, primo comma, n. 3, nella parte in cui non prevede la pignorabilit e la sequestrabilit degli stipendi, salari e retribuI zioni corrisposti dallo Stato, fino alla concorrenza di un quinto, per ogni credito vantato nei confronti del personale. I Sentenza 26 luglio 1988, n. 878, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. I ~ legge 10 agosto 1950, n. 648, art. 64, secondo comma, limitatamente alle parole non oltre il termine di un anno dalla cessazione dello stato di guerra'" Sentenza 21 luglio 1988, n. 828, G. U. 27 luglio 1988, n. 30. legge prov. aut. di Bolzano 12 agosto 1951, n. 1, art. 6 [modificata dalla legge provinciale 1 settembre 1971, n. 12], nella parte in cui prevede che i due rappresentanti degli artigiani nella commissione per l'assistenza creditizia all'artigianato IIsiano scelti da due terne designate dall'Associazione provinciale dell'artigianato anzich dalle organizzazioni artigiane pi rappresentative della provincia. Sentenza 19 ottobre 1988, n. 975, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. f: {: f: d.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1067, art. 39, primo comma, lett. c), e quarto comma, t ' nella parte in cui non prevede che la sospensione di diritto abbia a cessare quando venga concessa la libert provvisoria. ! I Sentenza 7 luglio 1988, n. 766, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. ! f r . I! i ,.....,,,,,,,,.,,,,.,.j! f ~ PARm II, RASSEGNA DI LBGISLAZIONB 1.H dJ. P .R.S. 29 ottobre 1955, n. 6, art. 122, primo, secondo, terzo e quarto com m11 [riapprovato con legge regionale 15 marzo 1963, n. 16]. Sentenza 3 novembre 1988, n. 1007, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. d.l.p. reg. sic. 29 ottobre 1955, n. 6, art. 236, nella parte in cui non prevede, in luogo del provvedimento di destituzione di diritto, l'apertura e lo svolgimento del procedimento disciplinare. Sentenza 14 ottobre 1988, n. 971, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. legge reg. Trentino-Alto Adige 17 maggio 1956, n. 7, art. 34, terzo comma, nella parte in cui prevede la notificazione dell'atto di opposizione alla stima all'espropriante e all'espropriato. Sentenza 7 luglio 1988, n. 767, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 85, lett. a), nella parte in cui non prevede, in luogo del provvedimento di destituzione di diritto, l'apertura e lo svolgimento del procedimento disciplinare. Sentenza 14 ottobre 1988, n. 971, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 89, ultimo comma e 140, ultimo comma, nella parte in cui non prevedono che dall'imponibile da assoggettare ad imposta vada detratta anche una somma pari alla percentuale dell'indennit di buonuscita corrispondente al rapporto esistente, alla data del collocamento a riposo, tra il contributo posto a carico del pubblico dipendente e l'aliquota complessiva del contributo previdenziale obbligatorio versato all'INADEL. Sentenza 26 luglio 1988, n. 877, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. legge 18 marzo 1958, n. 311, art. 12, secondo comma, nella parte in cui non richiama, ai fini della sua applicazione ai professori universitari di ruolo, anche l'art. 120 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3. Sentenza 22 dicembre 1988, n. 1128, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. d.P.R. 15 dicembre 1959, n. 1229, art. 66, lett. a). Sentenza 14 ottobre 1988, n. 971, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. legge 22 novembre 1962, n. 1646, art. 24, nella parte in cui non prevede, per le vigilatrici d'infanzia munite di diploma rilasciato dalle scuole convitto di cui all'art. 7 della legge 19 luglio 1940, n. 1098, la facolt di riscatto del biennio corrispondente al relativo corso di studi, purch il predetto diploma sia stato prescritto per l'ammissione ad uno dei posti occupati durante la carriera. Sentenza 7 luglio 1988, n. 765, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. d.P.R. 14 febbraio 1964, n. 237, art. 1, lett. b) e legge 13 giugno 1912, n. 555, art. 8, ultimo comma, nella parte in cui non prevedono che siano esentati dall'obbligo del servizio militare coloro che abbiano perduto la cittadinanza italiana 11.4 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO a seguito dell'acquisto di quella di un altro Stato nel quale abbiano gi prestato servizio militare. Sentenza 19 ottobre 1988, n. 974, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 1 e 4, nella parte in cui non prevedono l'assicurazione obbligatoria a favore degli artigiani italiani che lavorano all'estero. Sentenza 26 luglio 1988, n. 880, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 215, primo comma, nella parte in cui, per i casi di infortunio sul lavoro in agricoltura, richiede, ai fini della corresponsione della rendita, un grado di inabilit permanente parziale superiore al quindici per cento, anzich al dieci per cento. Sentenza 22 dicembre 1988, n. 1129, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. legge 22 luglio 1966, n. 613, art. 19, secondo comma, nella parte in cui non consente l'integrazione al minimo della pensione di riversibilit erogata dalla Gestione Speciale Commercianti per i titolari di pensione diretta INPS. Sentenza 13 dicembre 1988 G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 2 primo comma, lett. a), b), e c), nella parte in cui prevede che il dipendente iscritto all'INADEL consegue il diritto all'indennit premio di servizio qualora abbia almeno due anni di iscrizione all'ente ed abbia prestato servizio per un periodo variabile da quindici a venticinque anni, secondo la causa di cessazione dal servizio medesimo. Sentenza 30 giugno 1988, n. 763, G. U. 6 luglio 1988, n. 27. legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 3, nella parte in cui subordina il diritto dei collaterali dell'iscritto all'INADEL all'erogazione dell'indennit premio di servizio nella forma indiretta alle condizioni della loro inabilit a proficuo lavoro, della nullatenenza e della convivenza a carico dell'iscritto stesso. Sentenza 14 luglio 1988, n. 821, G. U. 20 luglio 1988, n. 29. legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 69 e r.d.I. 4 ottobre 1935, n. 1827, art. 128, nella parte in cui non consentono, entro i limiti stabiliti dall'art. 2, n. 1 del d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, la pignorabilit per crediti alimentari delle pensioni corri sposte dall'INPS. Sentenza 30 novembre 1988, n. 1041, G. U. 7 dicembre 1988, n. 49. legge 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 15, primo comma, nella parte in cui esclude dal diritto all'indennit giornaliera pari all'80% della retribuzione, per il periodo compreso tra la fine del terzo mese dopo il parto e la fine del settimo mese dopo il parto, la lavoratrice madre addetta a lavori pericolosi, faticosi e insalubri che, non potendo essere spostata ad altre mansioni, sia costretta ad assentarsi dal lavoro per avviso del competente Ispettorato del lavoro. Sentenza 19 ottobre 1988, n. 972, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. PARIB II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE t1J legge prov. di Bolzano 20 agostp 1972, n. 15, art. 14 [nel testo modificato' dall'art. 8 della legge prov. di Bolzano 22 maggio 1978, n. 23] nella parte in cui prevede la notificazione all'espropriante dell'atto di opposizione alla stima. Sentenza 7 luglio 1988, n. 767, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. legge prov. di Bolzano 20 agosto 1972, n. 15, art. 14, primo comma [nel testo modificato dall'art. 8 della I. prov. 6 maggio 1976, n. 10], nella parte in cui prevede che l'opposizione alla stima dell'ufficio tecnico provinciale sia proposta davanti alla Corte d'appello competente per territorio . Sentenza 7 luglio 1988, n. 767, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. legge 2 febbraio 1973, n. 12, art. 20, primo comma, lett. a), nella parte in cui esclude dal diritto a pensione di riversibilit il coniuge superstite quando sia stata pronunciata sentenza di separazione legale per colpa dello stesso . Sentenza 3 novembre 1988, n. 1009, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 1 [quale sostituito ad opera dell'art. 45 della legge 14 aprile 1975; n. 103], nella parte in cui ricomprende nella previsione del suo primo comma gli apparecchi radioelettrici ricetrasmittenti di debole potenza di tipo portatile indicati nell'art. 334, primo comma, dello stesso d.P.R., anzich includerli tra le ipotesi di assoggettamento ad autorizzazione contemplate dal secondo comma del medesimo art. 1. Sentenza 15 novembre 1988, n. 1030, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 6, nella parte in cui dispone che il concessionario del servizio telefonico non tenuto al risarcimento dei danni per le interruzioni del servizio dovute a sua colpa, al di fuori dei limiti fissati nell'art. 89, secondo comma, del r.d. 19 luglio 1941, n. 1198. Sentenza 20 dicembre 1988, n. 1104, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 183, primo comma [quale sostituito ad opera dell'art. 45 della legge 14 aprile 1975, n. 103], nella parte in cui prevede l'assogget tamento a concessione, anzich ad autorizzazione, degli apparecchi contemplati dall'art. 334, primo comma, dello stesso d.P.R. Sentenza 15 novembre 1988, n. 1030, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 195 [quale sostituito ad opera dell'art. 45 della legge 14 aprile 1975, n. 103], nella parte in cui comprende gli apparecchi contemplati dall'art. 334 dello stesso d.P.R. tra gli impianti radioelettrici soggetti a concessione, anzich tra quelli sottoposti ad autorizzazione. Sentenza 15 novembre 1988, n. 1030, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 334, terzo, quarto, quinto e sesto comma4 nella parte in cui assoggetta gli apparecchi contemplati dal primo comma del medesimo articolo alla concessione anzich all'autorizzazione. Sentenza 15 novembre 1988, n. 1030; G. U. 23 novembre 1988, n. 47. 116 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 13 maggio 1975, n. 157, art. 1, secondo comma. Sentenza 14 ottobre 1988, n. 971, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. legge 7 febbraio 1979, n. 29, art. 2, terzo comma, e legge 7 luglio 1980, n. 299, art. 4, primo comma, nella parte in cui non prevedono che il calcolo della riserva matematica ai fini della determinazione del contributo per la ricongiunzione dei periodi assicurativi sia effettuato anche per i dipendenti pubblici di sesso femminile secondo le tabelle predisposte, in applicazione dell'art. 13, ultimo comma, della legge 12 agosto 1962, n. 1338, per i dipendenti di sesso maschile. Sentenza 7 luglio 1988, n. 764, G.U. 13 luglio 1988, n. 28. d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, art. 57, lett. a). Sentenza 14 ottobre 1988, n. 971, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, tabella allegato 2, nella parte in cui non prevede l'inquadramento nella posizione funzionale di assistente sociale coordinatore del personale proveniente dagli enti locali e trasferito alle UU.SS.LL. che, alla data del 20 dicembre 1979, abbia prestato attivit di servizio per almeno otto anni con la qualifica di assistente sociale nell'ente di provenienza. Sentenza 21 luglio 1988, n. 827, G. U. 27 luglio 1988, n. 30. I legge reg. Sicilia 4 gennaio 1980, n. 1, art. 13, ultimo comma, nella parte in cui prescrive che le convenzioni ivi previste sono stipulate prescindendo I dal parere prescritto dall'art. 5 del regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440, e ~ f:: successive modificazioni . I ~ Sentenza 27 ottobre 1988, n. 991, G. U. 2 novembre 1988, n. 44. legge 11 febbraio 1980, n. 19, nella parte in cui non contempla tra i desti I natari dei benefici in essa previsti i pensionati della C.P.D.E.L. che fruiscano di pensioni o assegni privilegiati nella misura e per le infermit previste dall'art. 1 di detta legge. Sentenza 26 luglio 1988, n. 875, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. I legge 7 luglio 1980, n. 299, art. 4, primo comma, e legge 7 febbraio 1979, n; 29, art. 2, terzo comma, nella parte in cui non prevedono che il calcolo della riserva matematica ai fini della determinazione del contributo per la ricongiunzione dei periodi assicurativi sia effettuato anche per i dipendenti pubblici di sesso femminile secondo le tabelle predisposte in applicazione dell'art. 13, ultimo comma, della legge 12 agosto 1962, n. 1338, per i dipendenti di sesso maschile. Sentenza 7 luglio 1988, n. 764, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. legge 20 settembre 1980, n. 576, art. 2, sesto comma. Sentenza 3 novembre 1988, n. 1008, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. I I I PARTE II, RASSEGNA DI UlGISLAZIONB legge 20 settembre 1980, n. 576, art. 2, ottavo comma, nella parte in cui dispone che il supplemento della pensione, spettante a coloro che dopo la maturazione del diritto a pensione continuano per cinque anni l'esercizio della professione, pari, per ognuno di tali anni, alla met delle percentuali di cui al primo e al quinto comma, riferite alla media dei redditi professionali risultanti dalle dichiarazioni successive a quelle considerate per il calcolo del pensionamento anzich alle percentuali intere. Sentenza 3 novembre 1988, n. 1008, G. u, 9 novembre 1988, n. 45. legge regione Valle d'Aosta riapprovata il 17 ottobre 1980. Sentenza 15 novembre 1988, n. 1029, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. legg reg. Veneto 31 ottobre 1980, n. 88, art. 39, primo comma, lett. b). Sentenza 27 ottobre 1988, n. 993, G. U. 2 novembre 1988, n. 44. legge reg. Liguria approvata il 16 settembre 1981, art. 4, quinto comma. Sentenza 30 giugno 1988, n. 728, G. U. 6 luglio 1988, n. 27. d.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737, art. 8, lett. a). Sentenza 14 ottobre 1988, n. 971, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. legge provincia di Trento 26 aprile 1982, n. 8. Sentenza 26 luglio 1988, n. 876, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. legge 29 maggio 1982, n. 297, art. 3, ottavo comma, nella parte in cui non prevede, per i lavoratori prossimi alla pensione al momento della sua entrata in vigore, o gi pensionati, il mantenimento in vigore, ai fini della liquidazione della pensione stessa, dei criteri dettati dall'art. 26, terzo comma, della legge 3 giugno 1975, n. 160. Sentenza 14 luglio 1988, n. 822, G. U. 20 luglio 1988, n. 29. legge 27 dicembre 1983, n. 730, art. 32, quarto comma, e legge 22 dicembre 1984, n. 887, art. 15, nella parte in cui non consentivano -con le stesse modalit ivi contemplate ai fini della assunzione della spesa a carico del Servizio sanitario nazionale -fa eseguibilit delle prestazioni di diagnostica specialistica ad alto costo anche presso strutture private convenzionate, allorch queste ultime fossero le uniche detentrici delle relative apparecchiature e gli inerenti accertamenti risultassero indispensabili. Sentenza 27 ottobre 1988, n. 992, G. U. 2 novembre 1988, n. 44. legge reg. Emilia-Romagna 14 marzo 1984, n. 12, art. 23, quarto comma (artt. 108 e 117 della Costituzione). Sentenza 30 giugno 1988, n. 727, G. U. 6 luglio 1988, n. 27. 20 118 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 22 dicembre 1984, n. 887, art. 15 e legge 27 dicembre 1983, n. 730, art. 32, nella parte in cui non consentivano -con le stesse modalit ivi contemplate ai fini della assunzione della spesa a carico del Servizio sanitario nazionale la eseguibilit delle prestazioni di diagnostica specialistica ad alto costo anche presso strutture private convenzionate allorch queste ultime fossero le uniche detentrici delle relative apparecchiature e gli inerenti accertamenti risultassero indispensabili. Sentenza 27 ottobre 1988, n. 992, G. U. 2 novembre 1988, n. 44. legge reg. Liguria riapprovata il 25 marzo 1985. Sentenza 20 dicembre 1988, n. 1103, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. legge interpretativa della regione Lombardia 27 marzo 1985, n. 22, art. 1, terzo comma, lett. b), nella parte in cui, vincolando l'interpretazione dell'art. 36, comma quarto, lett. c/3 della l.r. 29 novembre 1984, n. 60, stabilisce che nel l'espressione analoghi '" riferita ai centri regionali di formazione professionale, si debbano considerare esclusivamente i centri e le scuole della Regione, e non anche quelli organizzati a livello comunale. Sentenza 26 luglio 1988, n. 879, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. legge 17 maggio 1985, n. 210, artt. 20 e 21, nella parte in cui non prevedono l'applicazione della disciplina normativa vigente per la provincia autonoma di Bolzano, in materia di proporzionale etnica e di parit linguistica. Sentenza 7 luglio 1988, n. 768, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. legge reg. Sardegna approvata il 4 febbraio 1986 e riapprovata il 15 mag gio 1986 (artt. 51, primo comma, e 97, terzo comma, della Costituzione). Sentenza 30 giugno 1988, n. 726, G. U. 6 luglio 1988, n. 27. legge 5 dicembre 1986, n. 856, art. 3, quarto comma, nella parte in cui, ai fini del pensionamento anticipato obbligatorio del personale esuberante, fissa per le donne un limite d'et (cinquant'anni) diverso ed inferiore rispetto a quello (cinquantacinque anni) stabilito per gli uomini. Sentenza 20 dicembre 1988, n. 1106, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. d.l. 9 dicembre 1986, n. 832, art. 1, ultimo comma [convertito in legge 6 feb braio 1987, n. 15]. Sentenza 26 luglio 1988, n. 882, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. legge reg. Veneto approvata il 28 febbraio 1986 e riapprovata il 19 dicembre 1986, art. 3, secondo comma. Sentenza 19 ottobre 1988, n. 973, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. d.l. 31 agosto 1987, n. 359, art. 23, quarto comma [conv. in legge 29 ottobre 1987, n. 440], nella parte in cui dispone che le somme dovute a titolo di riliquidazione della indennit premio di servizio non danno luogo a corresponsione di interessi . Sentenza 6 dicembre 1988, n. 1060, G. U. 14 dicembre 1988, n. 50. m ' ; . Z . :.::,_? ;'.. @. .x PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE dJ. 7 settembre 1987, n. 371, art. 1, lett. a) [conv. dall'art. 1, primo comma, della legge 29 ottobre 1987, n. 449], nella parte in cui si riferisce ai musei e biblioteche di enti locali . Sentenza 28 luglio 1988, n. 921, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. legge reg. Campania approvata il 2 luglio 1986 e riapprovata il 27 novembre 1987. Sentenza 6 dicembre 1988, n. 1061, G. U. 14 dicembre 1988, n. 50., legge reg. Emilia-Romagna 13 gennaio 1988, n. 131. Sentenza 30 novembre 1988, n. 1042, G. U. 7 dicembre 1988, n. 49. legge reg. Liguria riapprovata il 27 gennaio 1988. Sentenza 22 dicembre 1988, n. 1127, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. II -QUESTIONI DICHIARATE NON FONDATE Codice civile, art. 2120, terzo comma [modificato dalla legge 29 maggio 1982, n. 297] (art. 52, secondo comma, della Costituzione). Sentenza 14 luglio 1988, n. 802, G. U. 20 luglio 1988, n. 29. codice civile, art. 2947, terzo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). Sentenza 30 giugno 1988, n. 732, G. U. 6 luglio 1988, n. 27. codice penale, art. 528 (artt. 3, primo comma, e 21, primo e secondo comma, della Costituzione). Sentenza 6 dicembre 1988, n. 1063, G. U. 14 dicembre 1988, n. 50. codice penale, art. 724, primo comma (artt. 2, 3, 7, 8 e 19 della: Costituzione). Sentenza 28 luglio 1988, n. 925, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. codice penale, art. 724, primo comma (art. 25 della Costituzione). Sentenza 28 luglio 1988, n. 925, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. codice di procedura penale, art. 26 (artt. 3, 25, primo comma, e 103, secondo comma, della Costituzione). Sentenza 7 luglio 1988, n. 773, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. R.D.L. 3 marzo 1938, n. 680, art. 5, lett. p) (art. 117 della Costituzione). Sentenza 19 ottobre 1988, n. 979, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. 1.20 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 24 (artt. 3 e 25 della Costituzione). Sentenza 7 luglio 1988, n. 778, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 101, secondo comma (artt. 3 e 34 della Costituzione). Sentenza 30 novembre 1988, n. 1045, G. U. 7 dicembre 1988, n. 49. legge 11 gennaio 1943, n. 138, art. 6, ultimo comma (artt. 3 e 38 della Costituzione). Sentenza 9 novembre 1988, n. 1021, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. legge 2 marzo 1949, n. 144, art. 15 (artt. 3 e 35 della Costituzione). Sentenza 6 dicembre 1988, n. 1064, G. U. 14 dicembre 1988, n. 50. dJ. 5 maggio 1957, n. 271, art. 13, primo comma [conv. in legge 2 luglio 1957, n. 474] (art. 3 della Costituzione). Sentenza 26 luglio 1988, n. 887, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. legge 12 agosto 1962, n. 1338, artt. 2, 4 e 5 (artt. 3 e 38 della Costituzione). Sentenza 20 dicembre 1988, n. 1109, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. legge 29 novembre 1962, n. 1680, art. 1, ultimo comma (art. 3 della Costituzione). Sentenza 20 dicembre 1988, n. 1113, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. legge reg. Sicilia 3 febbraio 1968, n. 1, art. 4, terzo comma (artt. 5, 114 e 128 della Costituzione e 14 statuto spec. reg. siciliana). Sentenza 3 novembre 1988, n. 1010, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. legge 2 aprile 1968, n. 482, art: 5 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 13 dicembre 1988, n. 1088, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. legge 1 dicembre 1970, n. 898, art. 9, secondo comma [modif. dall'art. 13 della legge 6 marzo 1987, n. 74] (art. 3 della Costituzione). Sentenza 7 luglio 1988, n. 777, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. legge reg. siciliana 23 marzo 1971, n. 7, art. 52, primo comma (artt. 3 e 97 della Costituzione e 14 statuto reg. Sicilia). Sentenza 15 novembre 1988, n. 1032, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. legge 22 ottobre 1971, n. 865, artt. 12, primo comma, e 17, secondo comma (art. 42, terzo comma, della Costituzione). Sentenza 9 novembre 1988, n. 1022, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748, art. 50 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 9 novembre 1988, n. 1018, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. legge prov. Bolzano 20 agosto 1972, n. 15, art. 14 [nel testo modificato dal l'art. 8 della 1. prov. Bolzano 22 maggio 1978, n. 23], nella parte in cui prevede la notificazione dell'atto di opposizione alla stima alla Provincia di Bolzano (artt. 108, 116, 117 della Costituzione e 4, 8, 9 dello statuto spec. Trentino-Alto Adige). Sentenza 7 luglio 1988, n. 767, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 1 e 183 [quali sostituiti ad opera dell'art. 45 legge 103 del 1975] (artt. 3, 15, 21 e 41 della Costituzione). Sentenza 15 novembre 1988, n. 1030, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 1 e 183 [quali sostituiti ad opera dell'art. 45 della legge 14 aprile 1975, n. 103] (art. 21 della Costituzione). Sentenza 15 novembre 1988, n. 1030, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, combinato disposto artt. 1, 183 e 195 (artt. 21, primo comma, 41, primo comma, 9, 33 e 34 della Costituzione). Sentenza 14 luglio 1988, n. 826, G. U. 20 luglio 1988, n. 29. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183, 195 e 334 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 15 novembre 1988, n. 1030, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 195 [quale sostituito ad opera dell'art. 45 legge 103 del 1975] (art. 21 della Costituzione). Sentenza 15 novembre 1988, n. 1030, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 195, 183, 213, 322, 190, 191 e 218 [i primi due quali sostituiti dall'art. 45 della legge 103 del 1975] (artt. 41 e 43 della Costi tuzione). Sentenza 15 novembre 1988, n. 1030, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. legge 12 giugno 1973, n. 349, art. 7, ultimo comma (artt. 3 e 36 della Costituzione). (Sentenza 6 ottobre 1988, n. 958, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. legge prov. di Trento 30 settembre 1974, n. 26, art. 8 (artt. 4 e 8 dello statuto Trentino-Alto Adige). Sentenza 20 dicembre 1988, n. 1107, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. legge 20 marzo 1975, n. 70, art. 8 (artt. 3 e 97 della Costituzione). Sentenza 28 luglio 1988, n. 928, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. 122 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 17 luglio 1975, n. 355, articolo unico (artt. 3, primo comma, e 21, primo e secondo comma, della Costituzione). Sentenza 6 dicembre 1988, n. 1063, G. U. 14 dicembre 1988, n. 50. legge 26 luglio. 1975, n. 354, art. 22 (artt. 3 e 36 della Costituzione). Sentenza 13 dicembre 1988, n. 1087, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. d.P.R. 4 luglio 1977, n. 436 (artt. 8, n. 4; 9, n. 2; 16, 19 e 68 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige). Sentenza 30 giugno 1988, n. 741, G. U. 6 luglio 1988, n. 27. legge 11 agosto 1977, n. 675, artt. 4, sesto comma; 5, quinto comma; 22, penul timo comma; 29, ultimo comma (artt. 8 n. 23, 9 nn. 4 e 5; 15 e 16 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige). Sentenza 30 giugno 1988, n. 734, G. U. 6 luglio 1988, n. 27. legge 27 dicembre 1977, n. 968, artt. 1, 2 e 11 (artt. 8, nn. 15 e 16 dello statuto spec. Trentino-Alto Adige e 116 della Costituzione). Sentenza 27 ottobre 1988, n. 1002, G. U. 2 novembre 1988, n. 44. legge reg. Abruzzo approvata il 30 dicembre 1977 (art. 117 della Costituzione). Sentenza 30 giugno 1988, n. 735, G. U. 6 luglio 1988, n. 27. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 59 e 60 (artt. 3, 10, 42 e 47 della Costituzione). Sentenza 9 novembre 1988, n. 1028, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. legge reg. Abruzzo, riapprovata il 22 novembre 1978 (artt. 51, 97 e 117 della Costituzione). Sentenza 27 ottobre 1988, n. 997, G. U. 2 novembTe 1988, n. 44. legge reg. Toscana 13 dicembre 1978, n. 79, art. 1 (art. 117 della Costituzione). Sentenza 7 luglio 1988, n. 772, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. legge reg. Piemonte 20 febbraio 1979, n. 6, art. 16 (art. 117 della Costituzione). Sentenza 7 luglio 1988, n. 772, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. legge reg. Sicilia 4 gennaio 1980, n. 1, artt. 3 e 32 (art. 14, lett. l, dello statuto reg. Sicilia). Sentenza 27 ottobre 1988, n. 991, G. U. 2 novembre 1988, n. 44. legge 21 febbraio 1980, n. 28, art. 4, ultimo comma (artt. 3 e 97 della Costi tuzione). Sentenza 25 ottobre 1988, n. 990, G. U. 2 novembre 1988, n. 44. PARTB II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 1.21 legge 21 febbraio 1980, n. 28, artt. 12, lett. o) e 4, lett. c) (artt. 3, 36 e 97 della Costituzione). Sentenza 9 novembre 1988, n. 1019, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. legge 31 marzo 1980, n. 126, artt. 2 e 3 (artt. 8 n. 25, 9 n. 10, 16, primo comma e 18, secondo comma dello statuto prov. Trento e Bolzano). Sentenza 13 ottobre .1988, n. 963, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, artt. 6 e 36, secondo, terzo e quarto co~ (art. 3 e 97 della Costituzione). Sentenza 25 ottobre 1988, n. 990, G. U. 2 novembre 1988, n. 44. d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 36 (artt. 3, 36 e 97 della Costituzione). Sentenza 9 novembre 1988, n. 1019, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 36, ottavo comma (art. 36 della Costituzione). Sentenza 9 novembre 1988, n. 1019, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. legge 23 aprile 1981, n. 154, art. 2, n. 8 (artt. 3 e 97 della Costituzione). Sentenza 9 novembre 1988, n. 1020, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. legjge reg. Veneto 30 aprile 1981, n. 16, art. 8, secondo comma (artt. 1170 primo e secondo comma, e 128 della Costituzione). Sentenza 3 novembre 1988, n. 1012, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. d.l. 6 giugno 1981, n. 283, artt. 11 e 11-ter [conv. in legge 6 agosto 1981, n. 432] (artt. 3, 36 e 97 della Costituzione). Sentenza 9 novembre 1988, n. 1019, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. d.l. 6 giugno 1981, n. 283, artt. 11 e 11-ter [conv. in legge 6 agosto 1981, n. 432] (art. 76 della Costituzione). Sentenza 9 novembre 1988, n. 1019, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. legge reg. Toscana riapprovata il 30 giugno 1981 (art. 117 della Costituzione). Sentenza 21 luglio 1988, n. 829, G. U. 27 luglio 1988, n. 30. legge 15 ottobre 1981, n. 590, (artt. 8, nn. 13, 17, 21, 24; 16, primo comma; 107 e seguenti dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige). Sentenza 13 ottobre 1988, n. 965, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. legge 14 novembre 1981, n. 648, art. 3 (artt. 3, lett. p), dello statuto reg. sardo e 4, n. 10, dello statuto reg. Friuli-Venezia Giulia). Sentenza 28 luglio 1988, n. 924, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. 124 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO d.l. 22 dicembre 1981, n. 786, art. 13, quarto, quinto e sesto comma [conv. in legge 26 febbraio 1982, n. 51] (artt. 100 e 130 della Costituzione e artt. 15 e 23 dello statuto reg. Sicilia). Sentenza 13 ottobre 1988, n. 961, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. legge prov. autonoma di Bolzano, riapprovata il 15 gennaio 1982 (artt. 5 e 9, n. 10, dello statuto spec. Trentino-Alto Adige). Sentenza 3 novembre 1988, n. 1011, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. legge 22 gennaio 1982, n. 6, art. 1 (artt. 3, 36 e 97 della Costituzione). Sentenza 9 novembre 1988, n. 1019, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. d.l. 23 gennaio 1982, n. 9, artt. 6, 7, 8 e 9 [conv. in legge 25 marzo 1982, n. 94] (art. 3, lett. f) statuto reg. Sardegna e art. 117 della Costituzione). Sentenza 15 novembre 1988, n. 1033, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. legge 25 gennaio 1982, n. 17, art. 4 undicesimo comma (art. 3 della Costituzione). Sentenza 19 ottobre 1988, n. 978, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. legge reg. Friuli-Venezia Giulia, approvata il 16 ottobre 1981 e riapprovata il 1 febbraio 1982 (artt. 117 della Costituzione e 4, n. 4, dello statuto FriuliVenezia Giulia). Sentenza 19 ottobre 1988, n. 976, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. legge reg. Liguria 17 febbraio 1982, n. 8, art. 4 (artt. 3 e 97 della Costituzione). Sentenza 30 giugno 1988, n. 733, G. U. 6 luglio 1988, n. 27. legge reg. Puglia 19 marzo 1982, n. 12, art. 77 (art. 117 della 'Costituzione). Sentenza 19 ottobre 1988, n. 979, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. legge reg. Lombardia 28 giugno 1982, n. 29, art. 2, terzo comma (artt. 3, 4, 5, 97 e 117 della Costituzione). Sentenza 26 luglio 1988, n. 879, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. legge reg. Lombardia 30 giugno 1982, n. 30, art. 1, secondo comma (artt. 3, 4, 51 e 97 della Costituzione). Sentenza 13 ottobre 1988, n. 964, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. legge 14 agosto 1982, n. 590, art. 34 (art. 33, ultimo comma della CostitU7jone). Sentenza 9 novembre 1988, n. 1017, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. legge 13 settembre 1982, n. 646, [cosi come sostituito dall'art. 1 della legge 12 ottobre 1982, n. 726] (artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione), Sentenza 9 novembre 1988, n. 1023, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE d.I. 27 settembre 1982, n. 681, art. 1 [conv. in legge 20 novembre 1982, n. 869] (artt. 3, 36 e 97 della Costituzione). Sentenza 9 novembre 1988, n. 1019, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. d.I. 27 settembre 1982, n. 681, art. 1, ultimo comma [conv. in legge 20 novembre 1982, n. 869] (art. 76 della Costituzione). Sentenza 9 novembre 1988, n. 1019, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. legge 31 dicembre 1982, n. 979, art. 1, ultimo comma (artt. 4, nn. 3, 10, 12 e 5, n. 16, dello statuto spec. reg. Friuli-Venezia Giulia). Sentenza 15 novembre 1988, n. 1031, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. legge 31 dicembre 1982, n. 979, artt. 1, 25, 26, 27, 28 e 31 (artt. 4, nn. 3, 10, 12 e 5, n. 16, dello statuto spec. reg. Friuli-Venezia Giulia). Sentenza 15 novembre 1988, n. 1031, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. legge 31 dicembre 1982, n. 979, artt. 25, 26, 27, 28 e 31 (artt. 117 della Costituzione). Sentenza 15 novembre 1988, n. 1031, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. cl.I. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 6 [conv. in legge 25 marzo 1983, n. 79] (artt. 3 e 31 della Costituzione). Sentenza 6 dicembre 1988, n. 1067, G. U. 14 dicembre 1988, n. 50. legge reg. Lombardia riapprovata il 19 maggio 1983 (art. 117 della Costituzione). Sentenza 20 dicembre 1988, n. 1108, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. d.I. 12 settembre 1983, n. 463, art. 6, ottavo comma [conv. in legge 11 novem bre 1983, n. 638] (artt. 3 e 38, secondo comma, della Costituzione). Sentenza 20 dicembre 1988, n. 1118, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. legge prov. Trento 23 novembre 1983, n. 41, art. 7 (artt. 4 e 8 dello statuto Trentino-Alto Adige). Sentenza 20 dicembre 1988, n. 1107, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. legge 19 dicembre 1983, n. 696, art. 1 (artt. 8, n. 9; 9, n. 8; 15; 16; 78 e 79 dello statuto spec. Trentino-Alto Adige). Sentenza 14 luglio 1988, n. 7%, G. U. 20 luglio 1988, n. 29. legge reg. Emilia-Romagna 14 marzo 1984, n. 12, art. 23, primo comma, lett. b) (art. 117 della Costituzione). Sentenza 30 giugno 1988, n. 727, G. U. 6 luglio 1988, n. 27. 1.26 "RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge reg. Emilia-Romagna 14 marzo 1984, n. 12, art. 26, primo e secondo comma (art. 117 della Costituzione). Sentenza 20 dicembre 1988, n. 1115, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. d.l. 17 aprlle 1984, n. 70, art. 2, secondo comma [conv. in legge 12 giugno 1984, n. 219] (artt. 3 e 31 della Costituzione). Sentenza 6 dicembre 1988, n. 1067, G. U. 14 dicembre 1988, n. SO. legge 16 maggio 1984, n. 138, art. 5, primo e ultimo comma (art. 3, lett. a) statuto spec. Sardegna). Sentenza 27 ottobre 1988, n. 998, G. U. 2 novembre 1988, n. 44. legge 12 giugno 1984, n. 222, art. 2, primo comma, e 12, primo comma (artt. 3 e 38 della Costituzione). Sentenza 20 dicembre 1988, n. 1116, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. legge 4 agosto 1984, n. 424, art. 1 (art. 117 della Costituzione). Sentenza 30 giugno 1988, n. 729, G. U 6 luglio 1988, n. 27. legge 6 agosto 1984, n. 425, art. 4, terzo, quarto, ottavo e tredicesimo eomma (artt. 3, 36 e 97 della Costituzione). Sentenza 13 dicembre 1988, n. 1089, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. legge reg. siciliana 10 agosto 1984, n. 46, art. 9 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 28 luglio 1988, n. 923, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. legge reg. siciliana 21 agosto 1984, n. 67, art. 1 (art. 17 dello statuto regionale della Sicilia e artt. 2, 3, 25, secondo comma, e 32, primo comma, della Costituzione). Sentenza 19 ottobre 1988, n. 981, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. d.I. 6 dicembre 1984, n. 807, artt. 3, primo, secondo e terzo comma, e 4, <:omma terzo bis [come conv. in legge 4 febbraio 1985, n. 10] (artt. 3 e 21 della Costituzione). Sentenza 14 luglio 1988, n. 826, G. U. 20 luglio 1988, n. 29. d.l. 6 dicembre 1984, n. 807, art. 4, comma terzo bis [conv. in legge 4 febbraio 1985, n. 10] (art. 3 della Costituzione). Sentenza 15 novembre 1988, n. 1030, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. legge prov. Trento 28 dicembre 1984, n. 17, art. 2 (artt. 4 e 8 dello statuto Trentino-Alto Adige). Sentenza 20 dicembre 1988, n. 1107, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. . PARm II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONB legge 17. maggio 1985, n. 210, artt. 1, 2, 14, 15, 18, 22 e 25 (artt. 3; 8, nn. 5, 18 e 29; 14; 16; 68 e 107 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige). Sentenza 7 luglio 1988, n. 768, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. d.I. 2 dicembre 1985, n. 688, art. 4 [conv. in legge 31 gennaio 1986, n. 11] (artt. 3, primo comma, 42, 81 e 119 della Costituzione). Sentenza 30 giugno 1988, n. 742, G. U. 6 luglio 1988, n. 27. dJ. 6 gennaio 1986, n. 2, art. 1, sesto comma [conv. in legge 7 marzo 1986, n. 60] (artt. 3 e 35 della Costituzione). Sentenza 20 dicembre 1988, n. 1114, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. dJ. 18 giugno 1986, n. 282, artt. 7, primo e terzo comma; 16; 18, primo e terzo comma; 20; 23 [conv. in legge 7 agosto 1986, n. 462] (artt. 2, 8, nn. 1 e 21; 9, n. 10; 16 e 78 dello statuto spec. per il Trentino-Alto Adige). Sentenza 30 giugno 1988, n. 745, G. U. 6 luglio 1988, n. 27. legge reg. Marche approvata il 29 luglio 1986 e riapprovata il 2 dicembre 1986 (art. 117 della Costituzione). Sentenza 30 giugno 1988, n. 746, G. U. 6 luglio 1988, n. 27. legge reg. Veneto, approvata il 28 febbraio 1986 e riapprovata il 19 dicembre 1986, art. 2 (artt. 97 e 117 della Costituzione). Sentenza 19 ottobre 1988, n. 973, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. legge 28 febbraio 1987, n. 56, art. 5, lett. b) e d) (artt. 117 e 118 della Costituzione). Sentenza 14 luglio 1988, n. 799, G. U. 20 luglio 1988, n. 29. legge 3 marzo 1987, n. 61, art. 1, tredicesimo comma (art. 3 della Costi tuzione). Sentenza 26 luglio 1988, n. 885, G. U. 3 agosto 1988. n. 31. dJ. 4 agosto 1987, n. 326, art. 2, quarto comma, e 3, primo comma [nel testo sost. dalla legge 3 ottobre 1987, n. 403] (artt. 14, lett. q, 17, lett. i, 19 e 36 dello statuto reg. siciliana). Sentenza 6 ottobre 1988, n. 959, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. dJ. 31 agosto 1987, n. 359, art. 23, quarto comma [conv. in legge 29 ottobre 1987, n. 440], nella parte in cui dispone che le somme dovute a titolo di riliquidazione delle indennit premio di servizio non danno luogo a rivalutazione monetaria (artt. 3, 24, 36, 38, 97 e 113 della Costituzione). Sentenza 6 dicembre 1988, n. 1060, G. U. 14 dicembre 1988, n. 50. 1.28 RASJSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO d.I. 31 agosto 1987, n. 359, art. 30 [conv. in legge 29 ottobre 1987, n. 440] (art. 77 della Costituzione). Sentenza 6 dicembre 1988, n. 1060, G. U. 14 dicembre 1988, n. 50. d.I. 7 settembre 1987, n. 371, artt. 1, lett. b) e c), 2 e 4, commi secondo, terzo, quarto e quinto [come convertito in legge 29 ottobre 1987, n. 449] (artt. 117, 118 e 119 della Costituzione). Sentenza 28 luglio 1988, n. 921, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. d.l. 19 settembre 1987, n. 384, [conv. in legge 19 novembre 1987, n. 470] (artt. 8, primo comma, nn. 5, 9, 10, 13, 18, 20, 21; 9, primo comma, nn. 3, 8, 11; 16, primo comma; 52 e 79 dello statuto speciale Trentino-Alto Adige). Sentenza 13 ottobre 1988, n. 966, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. d.I. 2 febbraio 1988, n. 22, artt. 1, quarto e sesto comma, 2, primo comma, 5, primo comma, 6, primo e secondo comma, 7, terzo comma, e 8, secondo com ma (artt. 9, n. 11, 16 e da 69 a 86 dello statuto spec. Trentino-Alto Adige). Sentenza 20 dicembre 1988, n. 1111, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. I d.l. 2 febbraio 1988, n. 22, art. 1, quinto comma (artt. 9, n. 11, 16 e da 69 fil a 86 dello Statuto speciale Trentino-Alto Adige). fil Sentenza 20 dicembre 1988, n. 1111, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. ' , d.l. 1 aprile 1988, n. 103, art. 1 [conv. in legge 1 giugno 1988, n. 176] (artt. 117, 118, 119, 77 e 97 della Costituzione). ' ! Sentenza 30 novembre 1988, n. 1044, G. U. 7 dicembre 1988, n. 49. fil legge reg. Valle d'Aosta riapprovata il 6 aprile 1988 (artt. 3, 5, 41, 81, 97, primo comma, 120 e 127 della Costituzione e 3 e 51 dello statuto speciale Valle d'Aosta). I Sentenza 6 dicembre 1988, n. 1066, G. U. 14 dicembre 1988, n. 50. I III QUESTIONI PROPOSTE II Codice civile, artt. 2086, 2087, 2095, 2099 e 2103 (art. 41 della Costituzione). Pretore di Napoli, ordinanza 18 novembre 1986, n. 370/88, G. U. 14 settem~ bre 1988, n. 37. codice civile, art. 2120, terzo comma (art. 52 della Costituzione). Pretore di Brunico, ordinanza 4 maggio 1988, n. 454, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. codice civile, art. 2909 (artt. 3, 24, 102 e 106 della Costituzione). Pretore di Torino, ordinanza 9 marzo 1988, n. 418, G. U. 28 settembre 1988, n. 39. . i ,,,,,...,,,,,,,,,,,,,.,, PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 129 di!lposizioni attuazione codice civile, artt. 64, 118, 119 e 120 (artt. 3 e 101 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 2 giugno 1988, n. 557, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. codice di procedura civile, artt. 44 e 45 (art. 25 della Costituzione). Pretore di Torino, ordinanza 14 marzo 1988, n. 419, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. codice di procedura civile, art. 103, secondo comma (art. 25 della Costituzione). Pretore di Torino, ordinanza 14 marzo 1988, n. 419, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. codice di procedura civile, artt. 113, secondo comma e 324 (artt. 3, 24, 102 e 106 della Costituzione). Pretore di Torino, ordinanza 9 marzo 1988, n. 418, G. U. 28 settembre 1988, n.. 39. codice di procedura civile, art. 131 (artt. 3 e 28 della Costituzione). Tribunale di Biella, ordinanza 10 maggio 1988, n. 327, G.. U. 27 luglio 1988, n. 30. codice di procedura civile, art. 131 [nel comma aggiunto dalla legge 13 aprile 1988, n. 117, art. 16, secondo e terzo punto] (artt. 3, 97, 101 e 108 della Costi tuzione). Commissione tributaria di primo grado di Roma, ordinanza 3 maggio 1988, n. 448, G. U. 5 ottobre 1988, n. 40. codice di procedura civile, art. 131, ultimo comma [aggiunto dall'art. 16, secondo comma, della legge 13 aprile 1988, n. 117] (artt. 3, 97, 101 e 1041 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 12 maggio 1988, n. 681, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. Tribunale di Roma, ordinanze (due) 10 e 2 maggio 1988, nn. 721-722, G. U. 7 dicembre 1988, n. 49. Tribunale di Catanzar, ordinanza 2 maggio 1988, n. 762, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. codice di procedura civile, art. 131, ultimo comma [introdotto dall'art. 16, secondo comma, della legge 13 aprile 1988, n. 117] (artt. 3, 101 e 104 della Costituzione). Tribunale di Catanzaro, ordinanza 2 maggio 1988, n. 350, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. " ,,,,.11,111ra1W111111..,.,,,,.,, HO RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO Tribunale di Catanzaro, ordinanze (sette) 4 maggio 1988, nn. 599-605, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. Tribunale di Catanzaro, ordinanze (due) 4 maggio 1988, nn. 635 e 636, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. Tribunale di Catanzaro, ordinanze (tre) 2 maggio 1988, nn. 766-768, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. codice di procedura civile, art. 131, ultimo comma [aggiunto dalla legge 13 aprile 1988, n. 117, art. 16, secondo comma] (artt. 101 e 104 della Costitu zione). Tribunale di Roma, ordinanza 4 maggio 1988, n. 326, G. U. 27 luglio 1988, n. 30. codice di procedura civile, art. 382, primo comma (art. 25 della Costituzione). Corte d'appello di Milano, ordinanza 13 aprile 1988, n. 642, G. U. 23 novem bre 1988, n. 47. codice di procedura civile, art. 644 (art. 24 della Costituzione). Pretore di Militello Val di Catania, ordinanza 12 marzo 1988, n. 563, G. U. 2 novembre 1988, n. 44. codice di procedura civile, art. 650 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Tribunale di Monza, ordinanza 13 aprile 1988, n. 643, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. codice di procedura civile, art. 738, primo comma (artt. 97 e 101 della Costituzione). Giudice relatore del tribunale di Firenze, ordinanza 25 giugno 1988, n. 634, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. codice penale, artt. 9, secondo comma, e 11, secondo comma (artt. 3, 107 e 110 della Costituzione). Tribunale di Padova, ordinanza 23 maggio 1983, n. 668/88, G. U. 30 novem bre 1988, n. 48. codice penale, art. 157 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 2 maggio 1988, n. 724, G. U. 7 dicembre 1988, n. 49. codice penale, art. 177, primo comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale di sorveglianza di Genova, ordinanza 27 maggio 1988, n. 739, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. codice penale, art. 266 (art. 3 della Costituzione). Corte d'assise di Roma, ordinanza 10 giugno 1988, n. 451, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. PARm II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE Ht codice penale, art. 341 (artt. 3 e 27 della Costituzione). Pretore di Sampierdarena, ordinanza 23 giugno 1988, n. 646, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. codice penale, art. 649 (artt. 3 e 31 della Costituzione). Pretore di Bologna, ordinanza 23 febbraio 1988, n. 322, G. U. 27 luglio .1988, n. 30. codice penale, art. 724 (artt. 3, 7 e 8 della Costituzione). Pretore di Monfalcone, ordinanza 18 febbraio 1988, n. 376, G. U. 14 settem bre 1988, n. 37. codice di procedura penale, art. 28 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 4 giugno 1988, n. 682, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. codice di procedura penale, art. 41-bis (art. 3 della Costituzione). Pretore di Trieste, ordinanza 5 aprile 1988, n. 449, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. codice di procedura penale, artt. 91, 93, 94, 101, 102 e 106 (artt. 3, 24 e 101 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 2 giugno 1988, n. 557, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. codice di procedura penale, art. 261 (art. 13 della Costituzione). Giudice istruttore presso tribunale di Perugia, ordinanza 3 maggio 1988, n. 368, G. U. 14 settembre 1988, n. 37. codice di procedura penale, art. 272, settimo comma (art. 24 della Costi tuzione). Corte di cassazione, ordinanza 27 giugno 1988, n. 606, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. codice di procedura penale, art. 387, terzo comma (artt. 3 e 24 della Costi tuzione). Corte di cassazione, ordinanza 25 maggio 1988, n. 769, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. codice di procedura penale, art. 399 (artt. 3, 24 e 136 della Costituzione). Sezione istruttoria corte d'appello di Trento, ordinanza 20 maggio 1988, n. 687, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. codice di procedura penale, art. 399, primo comma [come modificato dal l'art. 11 della legge 31 luglio 1984, n. 400] (art. 24 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 19 aprile 1988, n. 383, G. U. 21 settembre 1988, n. 38. 1J2 RASSEGNA D!lLL'AVVOCATURA DELLO STATO codice di procedura penale, artt. 431 e 432 (art. 24 della Costituzione). Pretore di Montebelluna, ordinanza 3 maggio 1988, n. 336, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. codice di procedura penale, art. 513, n. 2 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 29 marzo 1988, n. 738, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. codice di procedura penale, art. 532, 533, 534 e 536 (artt. 3, 24 e 101 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 2 giugno 1988, n. 557, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. codice penale militare di pace, art. 90 (artt. 3 e 27, terzo comma della Costituzione). Tribunale militare di Padova, ordinanza 27 aprile 1988, n. 335, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. codice penale militare, art. 170 (artt. 2, 3, 13 e 52 della Costituzione). Tribunale militare di Padova, ordinanza 17 marzo 1988, n. 303, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. r.d. 23 dicembre 1865, n. 2701, art. 103 (artt. 3 e 42 della Costituzione}. Tribunale di Bologna, ordinanze (tre) 16 giugno 1986, nn. 617-619/88, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. r.d. 21 febbraio 1895, n. 70, art. 123 [modificato dalla legge 19 n. 135] (artt. 2 e 3 della Costituizone). Corte dei conti, ordinanza 5 giugno 1985, n. 301/88, G. U. 13 n. 28. r.d. 17 agosto 1907, n. 642, art. 26 (artt. 3 e 24 della Costituzione1. aprile 1906, luglio 1988, Tribunale amministrativo regionale della Valle d'Aosta, ordinanza 29 gennaio 1988, n. 436, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. r.d.l. 3 dicembre 1922, n. 1584, artt. 10 e 14 (art. 5 della Costituztone7. Tribunale di Aosta, ordinanza 5 maggio 1988, n. 31. r.d. 30 dicembre 1923, n. 3282, art. 29, ultimo Costituzione). Pretore di Palestrina, ordinanza 19 luglio 1988, n. 49. n. 347, G. U. 3 agosto 1988, comma (artt. 2, 3 e 24 della n. 712, G. U. 7 dicembre 1988, I I ~ I ~ Ii ! i ~ PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 1H r.d. 26 giugnQ 1924, n. 1054, art. 44, primQ comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale della Valle d'Aosta, ordinanza 29 gennaio 1988, n. 436, G. U. 12 ottobre 1988, ~ 41. r.d. 28 agosto 1924, n. 1422, art. 80, terzo comma (artt. 3 e 38 della Costituzione). Pretore di Ferrara, ordinanza 21 ottobre 1988, n. 743, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. d.P.R. 30 ottobre 1933, n. 1611, art. 6 (art. 24 della Costituzione). Pretore di Vercelli, ordinanza 5 febbraio 1988, n. 433, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. t.u.Lc.p. 3 marzo 1934, n. 383, art. 247, terzo comma (artt. 3, 24, 35, 97 e 113 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ordinanza 13 novembre 1987, n. 399/88, G. U. 21 settembre 1988, n. 38. r.d. 3 marzo 1934, n. 383, art. 254 (art. 3 della Costituzione). Corte d'appello di Bologna, ordinanza 27 maggio 1988, n. 568, G. U. 2 novembre 1988, n. 44. r.d. 3 marzo 1934, 'n. 383, art. 254 (artt. 3, 24, 28, 97 e 103 della Costituzione). Corte dei conti, ordinanza 5 maggio 1987, n. 465/88, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. r.dl. 20 luglio 1934, n. 1404, art. 9, primo comma (art. 25 della Costtuzione). Corte d'appello di Torino, ordinanza 10 maggio 1988, n. 351, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. r.d.I. 4 ottobre 1935, n. 1827, art. 28 [conv. in legge 6 aprile 1936, n. 1155] (artt. 3 e 29 della Costituzione). Pretore di Venezia, ordinanza 11 giugno 1988, n. 675, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, artt. 34, primo e secondo comma, e 38 (art. 106 della Costituzione). Pretore di Gravina in Puglia, ordinanze (sette) 28 luglio, 4, 12, 13, 25, 28 agosto 1988, nn. 660-666; G. U. 30 novembre 1988, n. 48. r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 48 (artt. 97 e 101 della Costituzione). Giudice relatore del tribunale di Firenze, ordinanza 25 giugno 1988, n. 634, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. 21 114 ' RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO r.d. 9 settembre 1941, n. 1022, art. 1 (artt. 3, 13, 28, 97, 101 e 105 della Costituzione). Tribunale militare di Padova, ordinanza 3 maggio 1988, n. 304, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. Tribunale militare di Padova, ordinanze (due) 5 maggio 1988, nn. 331 e 332, G. U. 27 luglio 1988, n. 30. Tribunale mHitare di Padova, ordinanze (otto) 3 e 5 maggio 1988, nn. 337-344, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. r.d. 9 settembre 1941, n. 1022, art. 1 (artt. 3, 13, 28, 97, 105, 107 e 108 della Costituzione). Tribunale militare di Padova, ordinanza 3 maggio 1988, n. 333, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. Tribunale militare di Padova, ordinanze (tre) 17 maggio 1988, nn. 386-388, G. U. 31 agosto 1988, n. 35. Tribunale militare di Padova, ordinanze (quattro) 19 maggio 1988, nn. 389-392, G. U. 7 settembre 1988, n. 36. Tribunale militare di Padova, ordinanze (trentaquattro) 26 maggio 1988, nn. 515-548, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. r.d. 9 settembre 1941, n. 1022, art. 1, primo comma, n. 1 (artt. 101, 103 e 108 della Costituzione). Tribunale militare di La Spezia, ordinanze (diciassette) 24 maggio 1988, nn. 479-495, G. U. 28 settembre 1988, n. 39. Tribunale militare di La Spezia, ordinanze (sedici) 22 giugno 1988, nn. 496-511, G. U. 5 ottobre 1988, n. 40. Tribunale militare di La Spezia, ordinanze (quattro) 22 giugno 1988, nn. 571-574, G. U. 2 novembre 1988, n. 44. Tribunale militare di La Spezia, ordinanza 23 giugno 1988, n. 726, G. U. 14 dicembre 1988, n. 50. Tribunale militare di La Spezia, ordinanza 23 giugno 1988, n. 758, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. r.d. 9 settembre 1941, n. 1022, art. 1, primo comma, n. 1, 3 e 25 (artt. 3, 13, 28, 97, 101 e 105 della Costituzione). Giudice istruttore presso il tribunale militare di Padova, ordinanza 30 giugno 1988, n. 595, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. r.d. 9 settembre 1941, n. 1022, artt. 3 e 25 (artt. 3, 13, 28, 97, 101 e 105 della Costituzione). Giudice istruttore presso tribunale militare di Padova, ordinanze (quindici) 17 giugno 1988, nn. 580-594, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. Giudice istruttore presso tribunale militare di Padova, ordinanza 20 giugno 1988, n. 658, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. PARTB II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONB HJ r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 54 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Torino, ordinanza 5 luglio 1988, n. 720, G. U. 7 dicembre 1988, n. 49. r.d. 16 marzo 1942, n. 267, artt. 54, terzo comma, e 55, primo comma (artt. 3 e 36 della Costituzione). Tribunale di Monza, ordinanza 18 febbraio 1988, n. 452, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. r.d. 16 marzo 1942, n. 267, artt. 55, primo comma, e 54, terzo comma (artt. 3 e 36 della Costituzione). Tribunale di Savona, ordinanza 5 maggio 1988, n. 550, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 101, secondo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 27 gennaio 1988, n. 329, G. U. 27 luglio 1988, n. 30. r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 236, cpv, n. 1 (art. .3 della Costituzione). Tribunale di Macerata, ordinanza 11 aprile 1988, n. 560, G. U. 2 novembre 1988, n. 44. d.l.C.p.S. 13 settembre 1946, n. 233, art. 21 [ratificato con legge 17 aprllej 1956, n. 561] (artt. 3, 23 e 38 della Costituzione). Pretore di Firenze, ordinanza 20 giugno 1988, n. 667, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. di. 4 marzo 1948, n. 137, art. 11 (artt. 2, 3 e 38 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 1 luglio 1987, n. 562/88, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. legge 2 marzo 1949, n. 143, art. 9, quarto comma (art. 3 della Costituzione). Corte d'appello di Torino, ordinanza 8 aprile 1988, n. 445, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. . d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, artt. 1 e 2 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di La Spezia, ordinanza 19 gennaio 1988, n. 514, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, artt. 1 e 2, primo comma, n. 3 (art. 3 dell~ Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 27 febbraio 1988, n. 367, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. :116 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, art. 2, primo comma, n. 3 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Taranto, ordinanza 16 febbraio 1988, n. 409, G. U. 21 settembre 1988, n. 38. legge 23 maggio 1950, n. 253, art. 4, n. 1 , (art. 3 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 1 aprile 1987, n. 352/88, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. legge reg. Sicilia 20 marzo 1951, n. 29, art. 10, primo comma, n. 4, e ultima comma (art. 51 della Costituzione). Corte d'appello di Palermo, ordinanza 24 giugno 1988, n. 477, G. U. 28 settembre 1988, n. 39. legge 23 febbraio 1952, n. 92, art. 2 (artt. 2, 3 e 38 della Costituzione). Pretore di .Roma, ordinanza 1 luglio 1987, n. 562/88, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. legge 4 aprile 1952, n. 218, art. 10, quinto comma (artt. 3 e 38 della Costitu zione). Pretore di Messina, ordinanza 16 dicembre 1987, n. 442/88, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. legge 4 aprile 1952, n. 218, art. 29, terzo comma (artt. 3 e 47 della Costituzione). Giudice conciliatore di Ferrara, ordinanza 20 luglio 1988, n. 638, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. legge 2 luglio 1952, n. 703, art. 47, ultimo comma (art. 108 della Costituzione). Corte di Cassazione, ordinanza 3 marzo 1988, n. 607, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. legge 11 marzo 1953, n. 87, art. 27 (artt. 3, 4, 24, 35, 97 e 113 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ordinanza 18 dicembre 1987, n. 398/88, G. U. 21 settembre 1988, n. 38. Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ordinanza 13 novembre 1987, n. 399/88, G. U. 21 settembre 1988, n. 38. legge 27 dicembre 1953, n. 968, art. 52, primo comma (artt. 3 e 35, quarto comma, della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 23 maggio 1988, n. 678, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 117 legge 12 novembre 1955, n. 1137, art. 26 (artt. 3, 52, 97 e 113 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanza 16 marzo 1988, n. 473, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 85 (artt. 3, 4, 24, 35, 97 e 113 della Costi. tuzione). Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ordinanza 18 dicembre 1987, n. 398/88, G. U. 21 settembre 1988, n. 38. d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 2 maggio 1988, n. 724, G. U. 7 dicembre 1988, n. 49. legge 2 luglio 1957, n. 474, art. 13, primo comma (art. 3, primo comma, della Costituzione). Pretore di Cividale del Friuli, ordinanza 4 ottobre 1988, n. 752, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. legge 15 febbraio 1958, n. 46, art. 11 (artt. 3, 36 e 38 della Costituzione). Corte dei conti, ordinanza 15 aprile 1987, n. 371/88, G. U. 14 settembre 1988, n. 37. legge 15 febbraio 1958, n. 46, art. 12, sesto comma (artt. 2 e 3 della Costi tuzione). Corte dei Conti, ordinanza 5 giugno 1985, n. 301/88, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. legge 20 febbraio 1958, n. 93, art. 2 (artt. 3 e 38 della Costituzione). Tribunale di Enna, ordinanza 5 aprile 1985, n. 719/88, G. U. 7 dicembre 1988, n. 49. d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, art. 9-bis, terzo comma (artt. 3 e 51 della Costituzione). Tribunale di Lecce, ordinanza 10 ottobre 1988, n. 729, G. U. 14 dicembre 1988, n. 50. decreto presid. reg. Sicilia 20 agosto 1960, n. 3, art. 5, n. 3 (artt. 3 e 51 della Costituzione). Tribunale di Trapani, ordinanza 14 novembre 1985, n. 393/88, G. U. 21 settembre 1988, n. 38. decreto presid. reg. Sicilia 20 agosto 1960, n. 3, art. S, nn. 3 e 7 (artt. 3 e 51 della Costituzione). Tribunale di Catania, ordinanze (tre) 26 aprile e 8 novembre 1985, nn. 402404/ 88, G. U. 21 settembre 1988, n. 38. .::/ .. *:: - H8 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO d.P.R. 2 gennaio 1962, n. 483 (art. 76 della Costituzione). Pretore di Milano, ordinanza 23 giugno 1988, n. 611, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2, secondo comma, lett. a) (artt. 3 e 38 della Costituzione). Pretore di Messina, ordinanza 16 dicembre 1987, n. 442/88, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 9, ultimo comma (artt. 3 e 38 della Costituzione). Pretore di Messina, ordinanza 16 dicembre 1987, n. 442/88, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. legge 12 agosto 1962, n. 1339, art. 1 (artt. 3 e 38 della Costituzfone). Pretore di Milano, ordinanza 15 marzo 1988, n. 349, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. legge 12 agosto 1962, n. 1339, art. 1, secondo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Siena, ordinanza 2 settembre 1988, n. 576, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. Pretore di Siena, ordinanze (due) 30 settembre 1988, nn. 735 e 736, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. legge 22 novembre 1962, n. 1646, art. 24 (art. 3 della Costituzione). Corte dei conti, ordinanza 4 novembre 1987, n. 615/88, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. legge 9 gennaio 1963, n. 9, art. 1, secondo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Lucca, ordinanza 2 febbraio 1988, n. 413, G. U. 28 settembre 1988, n. 39. Pretore di Siena, ordinanze (due) 2 settembre 1988, nn. 576 e 598, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. Pretore di Modena, ordinanze (tre) 30 maggio 1988, nn. 696-698, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 1 e 4 (artt. 3, 35 e 38 della Costituzione). Pretore di Firenze, ordinanza 27 gennaio 1988, n. 417, G. U. 28 settembre 1988, n. 39. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 80 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Vigevano, ordinanza 26 febbraio 1988, n. 672, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. legge 13 luglio 1965, n. 836, art. 5 (artt. 3 e 42 della Costituzione). Tribunale di Bologna, ordinanze (tre) 16 giugno 1986, nn. 617.{)19/88, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. PARTB II, RASSEGNA DI LBGISLAZIONB 1J9 legge 22 luglio 1966, n. 613, art. 19, secondo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Siena, ordinanza 30 settembre 1988, n. 734, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. legge 23 dicembre 1966, n. 1147, art. S (artt. 3 e 51 della Costituzione). Tribunale di Lecce, ordinanza 10 ottobre 1988, n. 729, G. U. 14 dicembre 1988, n. 50. legge 3 maggio 1967, n. 315, art. 26 (art. 3 della Costituzione). Corte dei conti, ordinanza 11 dicembre 1987, n. 711/88, G. U. 7 dicembre 1988, n. 49. legge 2 aprile 1968, n. 482, art. 10, primo comma (artt. 2, 3 e 4 della Costituzione). Pretore di Bologna, ordinanza 17 giugno 1988, n. 731, G. U. 14 dicembre 1988, n. 50. legge 2 aprile 1968, n. 482, artt. 10, primo comma, e 16, quarto comma (artt. 2, 3 e 4 della Costituzione). Pretore di Bologna, ordinanza 1 marzo 1988, n. 631, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. Pretore di Bologna, ordinanza 5 aprile 1988, n. 654, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. d.P.R. 27 aprile 1968, n. 488, art. 18, primo e secondo comma (artt. 3 e 38 della Costituzione). Pretore di Bologna, ordinanza 9 febbraio 1988, n. 655, G. U. 23 novembre 1988, n. 47.. legge 5 novembre 1968, n. 1115, art. 2 (artt. 3, 4 e 41 della Costituzione). Pretore di Milano, ordinanze (due) 18 gennaio 1988, nn. 608-609, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 69 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 10 febbraio 1988, n. 297, G. U. 6 luglio 1988, n. 27. Pretore di Roma, ordinanza 10 gennaio 1988, n. 297, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. legge 24 maggio 1970, n. 336, art. 4 (artt. 3, 41 e 53 della Costituzione). Pretore di Ascoli Piceno, ordinanza 16 luglio 1987, n. 745/88, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. legge 10 dicembre 1970, n. 898, art. 12-sexies (artt. 3 e 25 della Costituzione). Pretore di Napoli, ordinanza 12 luglio 1988, n. 763, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. 140 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 30 marzo 1971, n. 118, art. 12, ultimo comma (artt. 3, 24 e 38 della Costituzione). Pretore di Modena, ordinanze (nove) 28 marzo, 29 febbraio e 19 maggio 1988, nn. 699-707, G. il. 30 novembre 1988, n. 48. legge 13 aprile 1971, n. 114, artt. 4, 5, primo comma, 17 e 20 (artt. 3, 29, 30, 31 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Foggia, ordinanza 17 febbraio 1988, n. 305, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. legge 9 ottobre 1971, n. 82, art. 6 (artt. 3, 41 e 53 della Costituzione). Pretore di Ascoli Piceno, ordinanza 16 luglio 1987, n. 745/88, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. legge 11 novembre 1971, n. 1046, art. 2, secondo comma (artt. 3 e 38 della Costituzione). Pretore di Vercelli, ordinanza 8 giugno 1988, n. 558, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. d.P.R. 31 dicembre 1971, n. 1432, art. 10 (artt. 3 e 38 della Costituzione). Pretore di Torino, ordinanza 6 luglio 1988, n. 685, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. legge 8 agosto 1972, n. 464, art; 1 (artt. 3, 4 e 41 della Costituzione). Pretore di Milano, ordinanze (due) 18 gennaio 1988, nn. 608-609, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, art. 4, lett. e) (artt. 11 e 76 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Pinerolo, ordinanze (due) 22 settembre 1986, nn. 430 e 431/88, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, art. 4, lett. e), tar. ali. A (art. 76 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Milano, ordinanza 4 marzo 1987, n. 375/88, G. U. 14 settembre 1988, n. 37. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, art. 80, secondo comma (artt. 3 e 47 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Roma, ordinanza 6 maggio 1986, n. 302/88, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Genova, ordinanza 23 marzo 1988, n. 645, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. PARm II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 2, secondo comma (artt. 3 e 76 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Verbania, ordinanza 26 ottobre 1987, n. 364/88, G. U. 14 settembre 1988, n. 37. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 2, settimo e ottavo comma (artt. 76, 77, 108 e 110 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Verbania, ordinanza 21 dicembre 1987, n. 355/88, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, artt. 13 e 13-bis (artt. 108 e 110 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Verbania, ordinanza 21 dicembre 1987, n. 355/88, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, artt. 20, terzo comma e 28, primo comma (artt. 3 e 108 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Verbania, ordinanza 21 marzo 1988, n. 356, G. U. 3 agosto 1988, n. 31, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 35, quinto comma (art. 24, secondo comma, della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Verbania, ordinanza 12 ottobre 1987, n. 561/88, G. U. 2 novembre 1988, n. 44. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 39, primo comma (art. 101 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Verbania, ordinanza 21 marzo 1988, n. 357, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637, artt. 6 e 55 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Messina, ordinanza 9 maggio 1988, n. 765, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637, art. 39 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Catania, ordinanza 28 ottobre 1985, n. 421/88, G. U. 28 settembre 1988, n. 39. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, artt. 3, 6, 14 e 15 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Roma, ordinanza 2 novembre 1987, n. 597/88, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 23, primo comma (art. 76 della Costituzione). Commissione tributaria centrale di Roma, ordinanza 7 novembre 1985, n. 298/88, G. U. 6 luglio 1988, n. 27. (art. 3 della Costitu 30 marzo 1988, n. 366, (art. 3 della Costitu 30 marzo 1988, n. 366, , .X . @ ~-x 1.42 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO legge 15 dicembre 1972, n. 772, art. 5, primo comma zione). Giudice istruttore Tribunale di Rimini, ordinanza G. U. 14 settembre 1988, n. 37. legge 15 dicembre 1972, n. 772, art. 8, secondo, terzo e ultim!> comma (artt. 2, 3, 13, 25, 27 e 103 della Costituzione). Tribunale militare di Napoli, ordinanze (otto) 5 maggio 1988, nn. 459, 466-472, G. U. 28 settembre 1988, n. 39. legge 23 gennaio 1973, n. 43, art. 301 (artt. 3, 24 e 42 della Costituzione). Corte d'appello di Salerno, ordinanza 29 aprile 1988, n. 306, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 74 (art. 81 della Costituzione). Pretore di Castelfranco Veneto, ordinanza 24 maggio 1988, n. 621, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183 e 195 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Sannicandro Garganico, ordinanza 5 febbrao 1988, n. 330, G. U. 27 luglio 1988, n. 30. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 195 (artt. 25 e 76 della Costituzione). Pretore S. Vito al Tagliamento, ordinanza 23 giugno 1988, n. 649, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 195, n. 2 (artt. 3 e 27 della Costituzione). Pretore di Cavalese, ordinanza 2 giugno 1988, n. 657, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. d.I. 24 luglio 1973, n. 426, art. 1, quarto comma [conv. in legge 4 agosto 1973, n. 495] (art. 3 della Costituzione). Pretore di Padova, ordinnza 29 ottobre 1985, n. 624/88, G. U. 16 novembre ~a~ , d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 10 (artt. 3, 42 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria centrale di Roma, ordinanza 3 dicembre 1987, n. 295/88, G. U. 6 luglio 1988, n. 27. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 10 e 15 (artt. 3, 29, 30, 31 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Foggia, ordinanza 17 febbraio 1988, n. 305, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. PARm II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 14; d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, art. 4, terzo comma (artt. 76 e 77 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Milano, ordinanza 15 dicembre 1987, n. 674/88, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36-bis (art. 24 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Napoli, ordinanza 16 dicembre 1987, n. 623/88, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 46, primo comma (art. 3 della Costi tuzione). Commissione tributaria di primo grado di Lecce, ordinanza 1 dicembre 1987, n. 620, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 47, in relazione agli artt. 9, ultimo comma, e 12 dello stesso decreto (art. 3 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Mantova, ordinanza 25 maggio 1988, n. 626, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 56, ultimo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). Tribunale di Pistoia, ordinanza 9 febbraio 1988, n. 288, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. Tribunale di Pistoia, ordinanza 20 settembre 1988, n. 730, G. U. 14 dicem bre 1988, n. 50. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 56, ultimo comma (art. 112 della Costituzione). ' Giudice istruttore presso tribunale di Bologna, ordinanza 7 marzo 1988, n. 374, G. U. 14 settembre 1988, n. 37. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, art. 32, secondo comma (artt. 3 e 47 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Roma, ordinanza 6 maggio 1986, n. 302/88, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, art. 34 (art. 3 della Costituzione). Commissione tributaria" di primo grado di Savona, ordinanze (tre) 5 giugno 1979, nn. 748-750/88, G; U. 21 dicembre 1988, n. 51. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 44-bis [introdotto dalla legge 31 maggio 1977, n. 247, art. 3] (art. 3 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Genova, ordinanza 8 marzo 1988, n. 412, G. U. 28 settembre 1988, n. 39. 144 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 52 (artt. 3 e 24 della Costituzione). I I Pretore di Francavilla Fontana, ordinanza 3 maggio 1988, n. 474, G. U. 28 settembre 1988, n. 39. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 54 (art. 24 della Costituzione). :: Pretore di Vercelli, ordinanza 5 febbraio 1988, n. 433, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 92, primo comma (artt. 3, 76 e 77 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Pesaro, ordinanza 4 marzo 1988, n. 613, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. legge 10 dicembre 1973, n. 804, art. 7 (artt. 3 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 11 aprile 1988, n. 708, G. U. 7 dicembre 1988, n. 49. combinato disposto legge 14 dicembre 1973, n. 829, art. 14 e legge 17 mag gio 1985, n. 210 art. 21, quarto comma (artt. 3, 36 e 38 della Costituzione). Pretore di Firenze, ordinanza 13 giugno 1988, n. 610, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. legge 14 dicembre 1973, n. 829, artt. 14, 15, 16 e 36 (art. 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Firenze, ordinanza 3 maggio 1988, n. 679, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. legge 14 dicembre 1973, n. 829, art. 44, terzo comma (art. 3 della 'Costitu zione). Pretore di Bologna, ordinanza 31 marzo 1988, n. 648, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 13, primo comma (art. 3 della Costi tuzione). Tribunale amministrativo regionale dell'Emilia-Romagna, ordinanza 22 aprile 1980, n. 411/88, G. U. 28 settembre 1988, n. 39. d~P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 83 (artt. 2 e 3 della Costituzione). Corte dei conti, ordinanza 5 giugno 1985, n. 301/88, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 83 (artt. 3, 36 e 38 della Costituzione). Corte dei conti, ordinanza 15 aprile 1987, n. 371/88, G. U. 14 settembre 1988, n. 37. d.P.R. 31 maggio 1974, n. 417, artt. 4 e 124 (artt. 3, 36, 76 e 97 della Costi tuzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 21 marzo 1988, n. 549; G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. PARm II, RASSEGNA DI LEGISIAZIONB legge 20 marzo 1975, n. 70, art. 13 (artt. 3, 36 e 38 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale della Liguria, ordinanza 12 febbraio 1987, n. 348/88, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. legge 20 maggio 1975, n. 164, art. 20 (artt. 3, 4 e 41 della Costituzione). Pretore di Milano, ordinanze (due) 18 gennaio 1988, nn. 608-609, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 54 (artt. 3 e 27 della Costituzione). Tribunale . di sorveglianza di Torino, ordinanza 30 maggio 1988, n. 710, G. U. 7 dicembre 1988, n. 49. legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 54, primo comma (artt. 3 e 27 della Costituzione). Tribunale di sorveglianza di Torino, ordinanza 18 aprile 1988, n. 559, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. legge 23 dicembre 1975, n. 698, art. 9 (artt. 3 e 36 della Costituzione). Tribunale amrn'.inistrativo regionale del Lazio, ordinanze (due) 24 giugno 1987, n. 461 e 462/88, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. legge 23 dicembre 1975, n. 698, art. 9 (artt. 3, 36, 42 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 29 ottobre 1986, n. 381/88, G. U. 21 settembre 1988, n. 38. Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 28 maggio 1986, n. 555/88, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. legge 12 novembre 1976, n. 751, art. 1, terzo comma (artt. 3, 29, 30, 31 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Foggia, ordinanza 17 febbraio 1988, n. 305, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. legge 13 aprile 1977, n. 114, art. 17, ultimo comma (artt. 3, 24, 29 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Terni, ordinanza 9 marzo 1985, n. 628/88, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. legge 13 aprile 1977, n. 114, art. 17, ultimo comma (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Terni, ordinanza 28 settembre 1987, n. 627/88, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. d.l. 4 maggio 1977, n. 187, art. 5, secondo comma [conv. in legge 11 luglio 1977, n. 395] (artt. 3 e 53 della Costituzione). Pretore di Catania, ordinanza 1 luglio 1988, n. 641, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. .X w:: , . ,,;' m :X, .. . . *. X X - . ~ RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 1.46 legge 8 agosto 1977, n. 532, artt. 6 e 7 (artt. 3, 24 e 101 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 2 giugno 1988, n. 557, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. legge 12 agosto 1977, n. 675, art. 2 (artt. 3, 4 e 41 della Costituzione). Pretore di Milano, ordinanze (due) 18 gennaio 1988, nn. 608-609, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. legge 9 dicembre 1977, n. 903, art. 4, primo comma, (artt. 3, 4, 37 e 38 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 28 maggio 1987, n. 637/88, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. legge 22 maggio 1978, n. 194, art. 12, secondo comma (artt. 24 e 30 della Costituzione). Giudice tutelare presso la pretura di La Spezia, ordinanza 26 novembre 1987, n. 372/88, G. U. 14 novembre 1988, n. 37. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 6, primo comma (artt. 2. e 3 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 24 maggio 1988, n. 718!) G. U. 7 dicembre 1988, n. 49. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 12 e 14 (artt. 41 e 42 della Costituzione). Pretore di Acireale, ordinanza 16 marzo 1988, n. 300, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. Pretore di Acireale, ordinanza 27 aprile 1988, n. 420, G. U. 28 settembre 1988, n. 39. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 69, ultimo comma [come sost. dal dJ. 9 dicembre 1986, n. 832, art. 1, conv. in legge 6 febbraio 1987, n. 15] (artt. 3 e 42 della Costituzione). Pretore di Bari, ordinanza 30 giugno 1988, n. 747, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. legge 3 agosto 1978, n. 405, art. 1! (artt. 3 e 24 della Costituzione). Tribunale di Piacenza, ordinanza 12 gennaio 1988, n. 307, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. legge 5 agosto 1978, n. 457, art. 35 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Pretore di Bologna, ordinanza 27 febbraio 1988, n. 647, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. legge 5 agosto 1978, n. 457, art. 35, lett. a) (artt. 3 e 53 della Costituzione). Pretore di La Spezia, ordinanza 19 maggio 1988, n. 513, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. PARm II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915, artt. 62, primo comma, e 64, secondo comma (artt. 2 e 3 della Costituzione). Corte dei conti, ordinanza 5 giugno 1985, n. 301/88, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. legge 11 gennaio 1979, n. 12, art. 40 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Treviso, ordinanza 17 marzo 1988, n. 353, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. legge reg. Sardegna 5 luglio 1979, n. 59, artt. 4 e 5 (art. 27 statuto spec. reg. Sardegna). Pretore di Alghero, ordinanza 20 aprile 1988, n. 553, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. d.P.R. 27 settembre 1979, n. 506, art. 2 (artt. 76 e 77 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Milano, ordinanza 15 dicembre 1987, n. 674/88, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, allegato 2 (artt. 3 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Veneto, ordinanza 28 gennaio 1988, n. 299, G. U. 6 luglio 1988, n. 27. d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, art. 29, primo, secondo e terzo comma (artt. 3, 36 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, ordinanza 19 ottobre 1987, n. 435/88, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. d.l. 30 dicembre 1979, n. 663, art. 2 [conv. in legge 29 febbraio 1980, n. 33] (artt. 3 e 38 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 13 ottobre 1987, n. 728/88, G. U. 14 dicembre 1988, n. 50. legge 21 febbraio 1980, n. 28, art. 7, ottavo comma, lett. g) (art. 3 della Costituzione). Consiglio di Stato, ordinanza 5 giugno 1987, n. 379/88, G. U. 21 settembre 1988, n. 38. legge 21 febbraio 1980, n. 28, art. 12, primo comma, lett. o) (art. 76 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Veneto, ordinanza 14 gennaio 1988, n. 354, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. legge 29 febbraio 1980, n. 33, art. 2, secondo comma (art. 38 della Costituzione). Tribunale di Siena, ordinanza 7 settembre 1988, n. 759, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 20 marzo 1980, n. 75, art. 6, primo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Bologna, ordinanza 31 marzo 1988, n. 648, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. legge 11 luglio 1980, n. 312, art. 162 (artt. 3 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 1 luglio 1987, n. 294/88, G. U. 6 luglio 1988, n. 27. d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 28 (artt. 3, 35 e 97 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 23 marzo 1988, n. 569, G. U. 2 novembre 1988, n. 44. d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 36 (artt. 76 e 77 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Veneto, ordinanza 14 gennaio 1988, n. 354, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 58, primo comma, lett. b) (art. 3 della Costituzione). Consiglio di Stato, ordinanza 5 giugno 1987, n. 379/88, G. U. 21 settembre 1988, n. 38. legge 20 settembre 1980, n. 576, art. 10, terzo comma (artt. 3 e 38 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 9 giugno 1988, n. 677, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. legge 20 settembre 1980, n. 576, artt. 17, 18 e 23 (artt. 3, 24 e 53 della Costituzione). Pretore di Pisa, ordinanza 1 agosto 1988, n. 676, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. legge 10 aprile 1981, n. 151, art. 4, ultimo comma (artt. 3, 117, 118, 119 e 120 della Costituzione). Corte d'appello di Milano, ordinanza 12 luglio 1988, n. 733, G. U. 14 dicembre 1988, n. 50. legge 23 aprile 1981, n. 155, art. 19 (artt. 3, 36 e 38 della Costituzione). Tribunale di Torino, ordinanza 4 maggio 1988, n. 362, G. U. 14 settembre 1988, n. 37. legge 7 maggio 1981, n. 180, artt. 1 cpv. 2, primo e secondo comma (artt. 101, 103 e 108 della Costituzione). Tribunale militare di La Spezia, ordinanze (diciassette) 24 maggio 1988, nn. 479-495, G. U. 28 settembre 1988, n. 39. PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE Tribunale militare di La Spezia, ordinanze (sedici) 22 giugno 1988, nn. 496-511, G. U. 5 ottobre 1988, n. 40. Tribunale militare di La Spezia, ordinanze (quattro) 22 giugno 1988, nn. 571574, G. U. 2 novembre 1988, n. 44. Tribunale militare di La Spezia, ordinanza 23 giugno 1988, n. 726, G. U. 14 dicembre 1988, n. 50. Tribunale militare di La Spezia, ordinanza 23 giugno 1988, n. 758, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. legge 7 maggio 1981, n. 180, artt. 1, primo comma, e 5, ultimo comma (art. 108 della Costituzione). Procuratore militare della repubblica di Cagliari, ordinanza 10 giugno 1988, n. 401, G. U. 21 settembre 1988, n. 38. legge 7 maggio 1981, n. 180, art. 2 (artt. 3, 13, 28, 97, 101 e 105 della Costituzione). Tribunale militare di Padova, ordinanza 3 maggio 1988, n. 304, .G. U. 13 luglio 1988, n. 28. Tribunale militare di Padova, ordinanze (due) 5 maggio 1988, n. 331 e 332, G. U. 27 luglio 1988, n. 30. Tribunale militare di Padova, ordinanze (otto) 3 e 5 maggio 1988, nn. 337-344, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. legge 7 maggio 1981, n. 180, art. 2 (artt. 3, 13, 28, 97, 101, 105, 107 e 108 della Costituzione). Tribunale militare di Padova, ordinanze (tre) 17 maggio 1988, nn. 386-388, G. U. 31 agosto 1988, n. 35. Tribunale militare di Padova, ordinanze (quattro) 19 maggio 1988, nn 389-392, G. U. 7 settembre 1988, n. 36. Tribunale militare di Padova, ordinanze (trentaquattro) 26 maggio 1988, nn. 515-548, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. legge 7 maggio 1981, n. 180, art. 2 (artt. 3. 13, 28, 97, 105, 107 e 108 della Costituzione). Tribunale militare di Padova, ordinanza 3 maggio 1988, n. 333, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. legge 7 maggio 1981, n. 180, art. 2, secondo comma, n. 3 (artt. 3, 101 e 108 della Costituzione). Tribunale militare di Padova, ordinanze (due) 27 aprile 1988, nn. 334 e 335, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. legge 7 maggio 1981, n. 180, art. S, ultimo comma (artt. 3, 13, 28, 97, 101 e 105 della Costituzione). Giudice istruttore presso il tribunale militare di Padova, ordinanza 30 giugno 1988, n. 595, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. ifO RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO d.L 6 giugno 1981, n. 283, art. 17, terzo comma [conv. In legge 6 agosto 1981, n. 432] (artt. 3, 36 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale della Toscana, ordinanza 15 gennaio i 1987, n. 625/88, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. dJ. 29 luglio 1981, n. 402, art. 13, ultimo comma (art. 3 della Costituzione). I Pretore di Piacenza, ordinanza 3 giugno 1988, n. 632, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. d.P.R. 3 novembre 1981, n. 739 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Genova, ordinanza 23 marzo 1988, n. 645, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. legge 22 aprile 1982, n. 168, art. 3 (artt. 3 e 45 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Lecce, ordinanza 19 febbraio 1988, n. 753, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. legge 20 maggio 1982, n. 270, artt. 34 e 57 (artt. 3 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 26 ottobre 1987, n. 725/88, G. U. 7 dicembre 1988, n. 49. legge 20 maggio 1982, n. 270, art. 76 (artt. 3, 35 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, ordinanza 5 novembre 1986, n. 671/88, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. legge 29 maggio 1982, n. 297, art. 1 (art. 52 della Costituzione). Pretore di Brunico, ordinanza 4 maggio 1988, n. 454, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. legge 29 maggio 1982, n. 297, art. 3, ottavo comma (artt. 3 e 38 della Costituzione). ( Pretore di Torino, ordinanza 6 luglio 1988, n. 685, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. legge 29 maggio 1982, n. 297, art. 3, tredicesimo comma (artt. 3, 36 e 38 della Costituzione). Tribunale d Torino, ordinanza 4 maggio 1988, n. 362, G. U. 14 settembre 1988, n. 37. legge 29 maggio 1982, n. 297, artt. 4 e 5 (artt. 3, 36 e 38 della Costituzione). Pretore di Messina, ordinanza 6 febbraio 1986, n. 443/88, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. PARTB II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE d.l. 10 luglio 1982, n. 429, art. 12 [conv. in legge 7 agosto 1982, n. 516] (artt. 2, 3, 24 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Bergamo, ordinanza 2 novembre 1987, n. 434/88, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. d.l. 10 luglio 1982, n. 429, art. 12, primo comma [conv. in legge 7 agosto 1982, n. 516] (artt. 2, 3 e 25 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Mantova, ordinanze (due) 3 ottobre 1986, nn. 384 e 385/88, G. U. 21 settembre 1988, n. 38. cl.I. 10 luglio 1982, n. 429, art. 12, primo comma [conv. in legge 7 agosto 1982, n. 516] (artt. 3 e 24 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Fermo, ordinanza 13 febbraio 1987, n. 432/88, G. U 12 ottobre 1988, n. 41. Commissione tributaria di primo grado di Taranto, ordinanze (quattro) 24 giugno 1987, nn. 564-567/88, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. dl. 10 luglio 1982, n. 429, art. 26 [conv. in legge 7 agosto 1982, n. 516] (artt. 3 e 97 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Catania, ordinanza 23 febbraio 1988, n. 378, G. U. 31 agosto 1988, n. 35. d.I. 10 luglio 1982, n. 429, art. 26, primo comma [come conv. in legge 7 agosto 1982, n. 516] (artt. 3 e _97 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Palermo, ordinanze (quattro) 28 maggio 1987, nn. 424427/88, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. legge 7 agosto 1982, n. 516, art. 2, ultimo comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Teramo, ordinanza 7 aprile 1988, n. 423, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. legge 7 agosto 1982, n. 516, art. 4, n. 7 (artt. 3 e 25 della Costituzione). Tribunale di Verbania, ordinanza 26 aprile 1988, n. 346, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. Tribunale di Verbania, ordinanze (due) 13 maggio 1988, nn. 457 e 458, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. Tribunale di Foggia, ordinanza 7 giugno 1988, n. 475, G.U. 19 ottobre 1988, n. 42. Tribunale di Monza, ordinanza 29 giugno 1988, n. 556, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. Sezione istruttoria della Corte d'appello di Venezia, ordinanza 2 maggio 1988, n. 614, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. Tribunale di Genova, ordinanza 14 giugno 1988, n. 686, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. Tribunale di Verbania, ordinanza 22 luglio 1988, n. 740, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. RASSEGNA DEll'AVVOCATURA DELLO STATO Tribunale di Salerno, ordinanza 5 ottobre 1988, n. 742, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. Tribunale di Lodi, ordinanza 22 settembre 1988, n. 746, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. legge 7 agosto 1982, n. 516, art. 4, n. 7 (art. 25 della Costituzione). Tribunale di Torino, ordinanza 11 aprile 1988, n. 394, G. U. 7 settembre 1988, n. 36. Tribunale di Torino, ordinanza 11 aprile 1988, n. 395, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. Tribunale di Torino, ordinanze (otto) 18 e 29 aprile, 24 giugno e 7 luglio 1988, nn. 688-695, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. Tribunale di Torino, ordinanze (quattro) 7 luglio 1988, nn. 754-757, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. legge 7 agosto 1982, n. 516, art. 4, primo comma, n. 7 (artt. 3 e 25 della Costituzione). Tribunale di Alba, ordinanza 22 aprile 1988, n. 440, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. Corte d'appello di Torino, ordinanza 1 giugno 1988, n. 441, G. U. 12 ottobre 1988, Il. 41. Tribunale di Mondov, ordinanze (due) 26 maggio 1988, nn. 463464, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. Tribunale di Livorno, ordinanza 6 maggio 1988, n. 551, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. Tribunale di Trieste, ordinanza 3 maggio 1988, n. 570, G. U. 2 novembre 1988, n. 44. Tribunale di Isernia, ordinanza 11 maggio 1988, n. 616, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. Corte d'appello di Torino, ordinanza 16 maggio 1988, n. 446, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. Corte di cassazione, ordinanza 12 febbraio 1988, n. 683, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. Tribunale di Isernia, ordinanze (due) 21 settembre 1988, nn. 714 e 715, G. U. 7 dicembre 1988, n. 49. Tribunale di Isernia, ordinanza 25 maggio 1988, n. 761, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. legge 7 agosto 1982, n. 516, art. 4, primo comma, n. 7 (art. 25 della Costituzione). Tribunale di Vicenza, ordinanza 18 aprile 1988, n. 363, G. U. 14 settembre 1988, n. 37. Tribunale di Lanusei, ordinanza 23 settembre 1988, n. 717, G. U. 7 dicembre 1988, n. 49. legge 7 agosto 1982, n. 516, art. 31 (art. 3 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Caserta, ordinanza 2 dicem bre 1987, n. 554/88, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. I ! I I I PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE tJJ d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, art. 25, primo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Castelfiorentino, ordinanza 13 aprile 1988, n. 640, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. d.I. 30 settembre 1982, n. 688, art. 19 [conv. in legge 27 novembre 1982, n. 873] (artt. 3, 23 e 24 della Costituzione). Tribunale di Torino, ordinanza 23 febbraio 1988, n. 723, G. U. 7 dicembre 1988, n. 49. d.I. 30 settembre 1982, n. 688, art. 19, primo e secondo comma [conv. in legge 27 novembre 1982, n. 873] (artt. 3 e 24 della Costituzione). Tribunale di Torino, ordinanza 12 aprile 1988, n. 716, G. U. 7 dicembre 1988, n. 49. legge 20 novembre 1982, n. 890, art. 7 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Morbegno, ordinanza 21 marzo 1988, n. 439, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. legge 20 novembre 1982, n. 890, art. 8, ten:o comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Gallipoli, ordinanza 8 giugno 1988, n. 653, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. dJ. 28 febbraio 1983, n. 55, art. 24, quinto comma [conv. in legge 26 aprile 1983, n. 131] (artt. 3 e 53 della Costituzione). Tribunale di Pinerolo, ordinanza 13 maggio 1988, n. 737, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. legge 26 man:o 1983, n. 84, artt. 1, 2 e 3 (artt. 3 e 10 della Costituzione). Tribunale di Genova, ordinanza 7 luglio 1988, n. 673, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. d.I. 12 settembre 1983, n. 463, art. 5, sesto comma [conv. in legge 11 novem bre i983, n. 638] (artt. 3 e 38 della Costituzione). Pretore di Lecce, ordinanza 19 marzo 1988, n. 437, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. legge 27 dicembre 1983, n. 730, art. 12 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Tribunale di Pinerolo, ordinanza 13 maggio 1988, n. 737, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. legge reg. Emilia-Romagna 14 man:o 1984, n. 12, artt. 19, secondo e terzo comma, e 23, primo comma, lett. d) (art. 3 della Costituzione). Pretore di Bologna, ordinanza 9 novembre 1987, n. 612/88, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. 1J4 RASSEGNA DEI.L'AVVOCATURA DELLO STATO I legge reg. Emilia-Romagna 14 marzo 1984, n. 12, art. 26, primo e secondo comma (artt. 117 della Costituzione). Pretore di Ferrara, ordinanze (quattro) 26 aprile 1988, nn. 405-408, G. U. I 21 settembre 1988, n. 38. I legge 9 maggio 1984, n. 118 (artt. 3, 41 e 53 della Costitlizione). Pretore di Ascoli Piceno, ordinanza 16 luglio 1987, n. 745/88, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. legge 16 luglio 1984, n. 326, artt. 1 e 19 (artt. 3 e 97 della Costituzione). Tribunale amm~nistrativo regionale per la Toscana, ordinanza 15 ottobre 1986, n. 669/88, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. legge 16 luglio 1984, n. 326, art. 3, secondo comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, ordinanza 5 febbraio 1987, n. 670/88, G. U. 30 novembre 1988, n. 48: r legge 6 agosto 1984, n. 425, artt. 1, secondo comma, e 8 (artt. 3 e 36 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Friuli-Venezia Giulia, ordinanza 27 aprile 1988, n. 596, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. legge 6 agosto 1984, n. 425, art. 4 (artt. 3 e 36 della Costituzione). Consiglio di Stato, ordinanza 26 gennaio 1988, n. 345, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. legge reg. Liguria 27 agosto 1984, n. 44, art. 27, secondo, quinto, sesto, decimo e sedicesimo comma (artt. 3, 35, 36, 51, 97 e 117 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale della Liguria, ordinanza 9 aprile 1987, n. 512/88, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. legge 28 febbraio 1985, n. 47, artt. 13 e 22 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Sorrento, ordinanza 21 aprile 1988, n. 456, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. Pretore di Sorrento, ordinanza 18 luglio 1988, n. 732, G. U. 14 dicembre 1988, n. 50. legge 28 febbraio 1985, n. 47, art. 22 (art. 112 della Costituzione). Pretore di Avola, ordinanza 29 giugno 1988, n. 293, G. U. 6 luglio 1988, n. 27. Pretore di Avola, ordinanza 11 marzo 1988, n. 428, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. PARm lI, RASSEGNA DI LEGISLAZIONB 1.JJ legge 28 febbraio 1985, n. 47, artt. 31, 34, 35,, 38 e 44 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Trentola, ordinanza 30 giugno 1988, n. 633, G. U. 23 novem bre 1988, n. 47. legge 28 febbraio 1985, n. 47, artt. da 31 a 44 (artt. 3, 77 e 128 della Costi tuzione). Pretore di Pietrasanta, ordinanza 29 giugno 1987, n. 397/88, G. U. 21 settem bre 1988, n. 38. . legge 28 febbraio 1985, n. 47, art. 38, primo comma (art. 112 della Costi tuzione). Pretore di Cagliari, ordinanza 13 ottobre 1988, n. 764, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. legge 28 febbraio 1985, n. 47, art. 4o (art. 3 della Costituzione). Pretore di Capri, ordinanza 9 maggio 1988, n. 652, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. legge 25 marzo 1985, n. 121, art. 5, lett. b), n. 2, prob. add. (artt. 2, 3 e 19 della Costituzione). Pretore di Firenze, ordinanza 30 marzo 1987, n. 575/88, G. U. 2 novembre 1988, n. 44. legge 25 marzo 1985, n. 121, art. 9, punto 2 (artt. 2, 3 e 19 della Costituzione). Pretore di Firenze, ordinanza 30 marzo 1987, n. 575/88, G. U. 2 novembre 1988, n. 44. , legge 15 aprile 1985, n. 140, art. 6, n. 1 (artt. 2, 3 e 38 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 1 luglio 1987, n. 562/88, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. legge 15 aprile 1985, n. 140, art. 6, secondo comma (art. 3 della Costituzione), Pretore di Torino, ordinanze (due) 1 giugno 1988, nn. 577 e 578, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. legge 15 aprile 1985, n. 140, art. 9 (artt. 3, 36 e 38 della Costituzione). Tribunale di Torino, ordinanza 4 maggio 1988, n. 362, G.U. 14 settembre 1988, n. 37. d.l. 23 aprile 1985, n. 146, art. 8-quater [convertito in legge 21 giugno 1985, n. 288] (art. 3 della Costituzione). Pretore di Avola, ordinanza 11 marzo 1988, n. 429, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. Pretore di Sortino, ordinanza 18 aprile 1988, n. 438, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. 156 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 17 maggio 1985, n. 210, art. 23 (artt. 3 e 25 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale della Toscana, ordinanza 19 febbraio 1987, n. 325/88, G. U. 27 luglio 1988, n. 30. legge 21 giugno 1985, n. 298, art. 8-quater (art. 3 della Costituzione). Pretore di Sorrento, ordinanza 21 aprile 1988, n. 456, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. Pretore di Sorrento, ordinanza 18 luglio 1988, n. 732, G. U. 14 dicembre 1988, n. 50. legge 24 luglio 1985, n. 409, artt. 4, 5 e 20 (artt. 3, 4 e 33 della Costituzione). Tribunale di Verona, ordinanza 10 luglio 1987, n. 365/88, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. legge 8 agosto 1985, n. 443, art. 13, sesto comma (artt. 3, 38 e 116 della Costituzione). Pretore di Trieste, ordinanza 13 settembre 1988, n. 727, G. U. 14 dicembre 1988, n. 50. legge 26 settembre 1985, n. 482, artt. 2 e 4 (art. 3 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Bergamo, ordinanza 26 aprile 1988, n. 639, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. legge 26 settembre 1985, n. 482, artt. 2 e 4, primo e quarto comma (artt. 3, 38 e 53 della Costituzione). Pretore di Firenze, ordinanza 16 giugno 1988, n. 644, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. legge 26 settembre 1985, n. 482, artt. 2 e 4, primo e quarto comma (art. 53 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 25 marzo 1988, n. 328, G. U. 27 luglio 1988, n. 30. d.l. 30 dicembre 1985, n. 789, art. 25 [sost. dal d.l. 28 febbraio 1986, n. 47, art. 26] (artt. 3 e 53 della Costituzione). Tribunale di Pinerolo, ordinanza 13 maggio 1988, n. 737, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. legge 28 febbraio 1986, n. 41, art. 31 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Firenze, ordinanza 14 dicembre 1987, n. 416/88, G. U. 28 settembre 1988, n. 39. legge 28 febbraio 1986, n. 41, art. 31, ottavo, nono, decimo, tredicesimo e quattordicesimo comma (artt. 3 e 53, primo comma della Costituzione). Pretore di Lodi, ordinanza 6 luglio 1987, n. 369/88, G. U. 24 agosto 1988, n. 34. PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 1.f7 legge 28 febbraio 1986, n. 41, art. 31, ottavo, decimo, tredicesimo e quattordicesimo comma (artt. 3, 53 e 81 della Costituzione). Pretore di Messina, ordinanza 17 marzo 1987, n. 444/88, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. legge 28 febbraio 1986, n. 41, art. 31, decimo, tredicesimo e quattordicesimo comma (art. 53, secondo comma, della Costituzione). Pretore di Lodi, ordinanza 6 luglio 1987, n. 369/88, G. U. 24 agosto 1988, n. 34. legge 5 dicembre 1986, n. 856, art. 3, quarto comma, in relazione al secondo comma (artt. 3, 4, 35 e 37 della Costituzione). Pretore di Venezia, ordinanza 15 aprile 1988, n. 629, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. d.l. 9 dicembre 1986, n. 832, art. 1 [conv. in legge 6 febbraio 1987, n. 15] (art. 3 della Costituzione). Pretore di Rimini, ordinanze (due) 17 marzo e 27 gennaio 1988, nn. 323 e 324, G. U. 27 luglio 1988, n. 30. Pretore di Rimini, ordinal'!-za 14 aprile 1988, n. 380, G. U. 21 settembre 1988, n. 38. Pretore di Rimini, ordinanza 14 aprile 1988, n. 476, G. U. 28 settembre 1988, n. 39. d.l. 9 dicembre 1986, n. 832, art. 1 [conv. in legge 6 febbraio 1987, n. 15] (artt. 3 e 42 della Costituzione). Pretore di Rimini, ordinanza 22 giugno 1988, n. 659, G. . 30 novembre 1988, n. 48. legge 13 dicembre 1986, n. 912, art. 1, primo comma (artt. 3, 24 e 38 della Costituzione). Pretore di Modena, ordinanze (nove) 28 marzo, 29 febbraio e 19 maggio 1988, nn. 699-707, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. legge 17 dicembre 1986, n. 880, art. 11 (artt. 3, 53 e 97 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Novara, ordinanza 18 aprile 1988, n. 447, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 17, primo comma (artt. 3, 38 e 53 della Costituzione). Pretore di Firenze, ordinanza 16 giugno 1988, n. 644, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. legge 6 febbraio 1987, n. 15, art. 1 (artt. 3 e 42 della Costituzione). Pretore di Ailbano Laziale, ordinanza 24 agosto 1988, n. 741, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. 1f8 ' RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 18 febbraio 1987, n. 34, art. 3 (artt. 79 e 87 della Costituzione). Tribunale di Teramo, ordinanza 27 febbraio 1988, n. 410, G. U. 21 settembre 1988, n. 38. legge 28 febbraio 1987, n. 56, art. 21, settimo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Milano, ordinanza 19 marzo 1988, n. 377, G. U. 21 settembre 1988, n. 38. legge 6 marzo 1987, n. 74, art. 23 (artt. 3 e 29 della Costituzione). Pretore di Venezia, ordinanza 11 giugno 1988, n. 675, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. d.P.R. .13 aprile 1987, art. 1 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Salerno, ordinanza 10 dicembre 1987, n. 373/88, G. U. 24 agosto 1988, n. 34. Pretore di Salerno, ordinanze (due) 1 marzo 1988, nn. 650 e 651, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. d.I. 31 agosto 1987, n. 359, art. 23 [conv. in legge 29 ottobre 1987, n. 440] (artt., 3 24 e 113 della Costituzione). Pretore di Bari, ordinanza 6 giugno 1988, n. 630, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. d.I. 31 agosto 1987, n. 359, art. 23 [conv. in legge 29 ottobre 1987, n. 440] (artt. 3, 36 e 38 della Costituzione). Tribunale di Pistoia, ordinanze (quattordici) 13 gennaio 1988, nn. 308-321, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. Tribunale di Pistoia, ordinanza 13 gennaio 1988, n. 455, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. d.I. 31 agosto 1987, n. 359, art. 23 [conv. in legge 29 ottobre 1987, n. 440] (artt. 3 e 38 della Costituzione). Pretore di Firenze, ordinanza 23 novembre 1987, n. 296/88, G. U. 6 luglio 1988, n. 27. d.l. 31 agosto 1987, n. 359, art. 23 quarto comma [conv. in legge 29 ottobre 1987, n. 440] (art. 3 della Costituzione). Corte di Cassazione, ordinanza 8 aprile 1988, n. 770, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. d.l. 31 agosto 1987, n. 359, art. 23, quarto comma [convertito in legge 29 ot tobre 1987, n. 440] (artt. 3 e 38 della Costituzione). Pretore di Pisa, ordinanze (due) 2 febbraio 1988, nn. 359-360, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. PARTB II, RASSEGNA DI. LBGISLAZIONB 1J9 Pretore di Firenze, ordinanza 10 dicembre 1987, n. 361/88, G. U. 24 agosto 1988, n. 34. Pretore di Firenze, ordinanze (due) 16 novembre 1987, n. 414 e 415/88, G. U. 28 settembre 1988, n. 39. d.I. 25 settembre 1987, n. 393, art. 2 [conv. in legge 25 novembre 1987, n. 478] (artt. 3 e 42 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 14 aprile 1988, n. 478, G. U. 28 settembre 1988, n. 39. Tribunale di Roma, ordinanza 1 giugno 1988, n. 656, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. d.I. 30 dicembre 1987, n. 536, art. 5, nono comma [conv. in legge 29 feb braio 1988, n. 48] (art. 3 della Costituzione). Pretore di Trento, ordinanza 20 luglio 1988, n. 751, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. d.I. 30 dicembre 1987, n. 536, art. 5, nono comma [conv. in legge 29 feb braio 1988, n. 48] (artt. 3, 38 e 116 della Costituzione). Pretore di Trieste, ordinanza 13 settembre 1988, n. 727, G. U. 14 dicembre 1988, n. 50). d.I. 8 febbraio 1988, n. 25, art. 1, primo comma (artt. 3, 24, 38 e 113 della Costituzione). Pretore di Parma, ordinanza 8 aprile 1988, n. 453, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. legge 11 marzo 1988, n. 67, art. 9, punto 5 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Piacenza, ordinanza 3 giugno 1988, n. 632, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. legge 11 marzo 1988, n. 67, art. 11 (artt. 3, 36, 38 e 101 della Costituzione). Pretore di Parma, ordinanza 7 giugno 1988, n. 744, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. legge 11 marzo. 1988, n. 67, art. 22, secondo comma (artt. 3 e 53 della Costituzione). Pretore di La Spezia, ordinanza 19 maggio 1988, n. 513, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. legge 8 aprile 1988, n. 108, artt. 1 e lbis (art. 3 della Costituzione). Pretore di Gravina in Puglia, ordinanza 11 settembre 1988, n. 684, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. legge 13 aprile 1988, n. 117, artt. 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9 e 16 (artt. 3, 10, 16, 101, 104 e 108 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, ordinanza 12 maggio 1988, n. 460, G. U. 5 ottobre 1988, n. 40). 160 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 13 aprile 1988, n. 117, artt. 1, 2, S, 7 e 8 (artt. 3, 28, 101, 103, 108 e 113 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ordinanza 12 mag. gio 1988, n. 579, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. legge 13 aprile 1988, n. 117, artt. 1, 7, terzo comma, e 8, quarto comma! (artt. 3, 24 e 25 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Ravenna, ordinanza 28 aprile 1988, n. 422, G. U. 28 settembre 1988, n. 39. legge 12 aprile 1988, n. 117 artt. 1 e 16, cpv., terzo comma (artt. 36, 101 cpv., 104, primo comma, e 107 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Brescia, ordinanza 7 luglio 1988, n. 760, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. legge 13 aprile 1988, n. 117, art. 1, secondo comma, 2 e 16 (artt. 3 e 28 della Costituzione). Tribunale di Biella, ordinanza 10 maggio 1988, n. 327, G. U. 27 luglio 1988, n. 30. legge 13 aprile 1988, n. 117, art. 1, secondo comma e 16, secondo, quinto, e sesto comma (artt. 3, 24, 101 e 104 della Costituzione). Corte d'appello di Trento, ordinanza 2 settembre 1988, n. 622, G. U. 16 no vembre 1988, n. 46. legge 13 aprile 1988, n. 117, artt. 2, 7, 9 e 16 (artt. 101, 103 e 108 della Costi tuzione). Tribunale militare di La Spezia, ordinanze (diciassette) 24 maggio 1988, nn. 479-495, G. U. 28 settembre 1988, n. 39. Tribunale militare di La Spezia, ordinanze (sedici) 22 giugno 1988, nn. 496.511, G. U. 5 ottobre 1988, n. 40. Tribunale militare di La Spezia, ordinanze (quattro) 22 giugno 1988, nn. 571 574, G. U. 2 novembre 1988, n. 44. Tribunale militare di La Spezia, ordinanza 23 giugno 1988, n. 726, G. U. 14 di cembre 1988, n. 50. Tribunale militare di La Spezia, ordinanza 23 giugno 1988, n. 758, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. legge 13 aprile 1988, n. 117, artt. 2, terzo comma, lett. b) e c), e 7, terzo comma (artt. 101, 102, 104, 107 e 108 della Costituzione). Tribunale di Bari, ordinanza 2 maggio 1988, n. 396, G. U. 21 settembre 1988, n. 38. legge 13 aprile 1988, n. 117, artt. 2, terzo comma, lett. b) e c), e 16, primo e terzo comma (artt. 3 e 101 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 2 giugno 1988, n. 557, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONll legge 13 aprile 1988, n. 117, artt. 7 e 16 (artt. 10 e 101 della Costituzione). Tribunale di Firenze, ordinanza 13 maggio 1988, n. 450, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. legge 13 aprile 1988, n. 117, art. 7, primo e terzo comma (artt. 3, 101 e 108 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 18 maggio 1988, n. 709, G. U. 7 dicembre 1988, n. 49. legge 13 aprile 1988, n. 117, art. 7, terzo comma (artt. 3, 101, secondo comma e 108 secondo comma, della Costituzione). Tribunale militare di Padova, ordinanze (due) 27 aprile 1988, nn. 334 e 335, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. legge 13 aprile 1988, n. 117, artt. 7, terzo comma, e 2, terzo comma (art. 3 delle Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 2 maggio 1988, n. 358, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. legge 13 aprile 1988, n. 117, artt. 7, terzo comma, e 8, quarto comma (art. 3 della Costituzione). Commissione tributaira di primo grado di Aosta, ordinanza 30 aprile 1988, n. 552, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. legge 13 aprile 1988, n. 117, art. 9 (artt. 3, 13, 28, 97, 101, 105, 107 e 108 della Costituzione). Tribunale militare di Padova, ordinanze (tre) 17 maggio 1988, n. 386-388, G. U. 31 agosto 1988, n. 35. Tribunale militare di Padova, ordinanze (quattro) 19 maggio 1988, n. 389-392, G. U. 7 settembre 1988, n. 36. Tribunale militare di Padova, ordinanze (trentaquattro) 26 maggio 1988, nn. 515-548, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. legge 13 aprile 1988, n. 117, art. 16 (artt. 3 e 97 della Costituzione). Corte d'appello di Trieste, ordinanza 26 aprile 1988, n. 382, G. U. 21 settembre 1988, n. 38. legge 13 aprile 1988, n. 117, art. 16, secondo comma (artt. 97 e 101 della Costituzione). Giudice relatore tribunale di Firenze, ordinanza 25 giugno 1988, n. 634, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. d.P.R. 24 maggio 1988, n. 203, artt. 4, 6, 7, 8, 10, 11, 12, 13, 14, 15 e 17 (artt. 76, 117 e 118 della Costituzione). Regione Liguria ricorso 19 luglio 1988, n. 21, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. 162 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge reg. Piemonte, 16 giugno 1988 (art. 118, 119, 121 e 128 della Costituzione). Presidente Consiglio dei Ministri, ricorso 16 luglio 1988, n. 20, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. legge prov. aut. di Trento 18 luglio 1988 (art. 8, punto 1, statuto spec. Trentinolto Adige). Presidente Consiglio dei Ministri, ricorso 11 agosto 198.8, n. 22, G. U. 5 ottobre 1988, n. 40. legge reg. Marche, 26 luglio 1988 (delibera CIPE 19 novembre 1981, paragrafo 3, sub f). Presidente del Consiglio dei Ministri, ricorso 20 agosto 1988, n. 23, G. U. 5 ottobre 1988, n. 40. legge reg. Lazio, 27 luglio 1988 (legge 7 febbraio 1979, n. 29, art. 2). Presidente Consiglio dei Ministri, ricorso 26 agosto 1988, n. 25, G. U. 5 ottobre 1988, n. 40. legge reg. Lazio 27 luglio 1988 (artt. 97 e 117 della Costituzione). Presidente Consiglio dei Ministri, ricorso 26 agosto 1988, n. 27, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. legge reg. Abruzzo 28 luglio 1988 (artt. 3, 5, 117 e 128 della Costituzione). Presidente Consigilio dei Ministri, ricorso 26 agosto 1988, n. 26, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. legge reg. Abruzzo 28 luglio 1988 (artt. 97, 117 e 121 della Costituzione). Presidente Consiglio dei Ministri, ricorso 23 agosto 1988, n. 24, G. U. 5 ottobre 1988, n. 40. legge S agosto 1988, n. 330, art. 7 (artt. 13, 102, 107 e 112 della Costituzione). Giudice istruttore presso tribunale di Cagliari, ordinanza 12 settembre 1988, n. 713, G. U. 7 dicembre 1988, n. 49. legge 23 agosto 1988, n. 400, artt. 2, secondo comma, lettera d), h), e p), e 24, primo comma, lett. c) (art. 117, 118 e 125 della Costituzione). Regione Veneto, ricorso 19 ottobre 1988, n. 33, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. legge 23 agosto 1988, n. 400, artt. 2, lettera d), e), h) e p), primo comma, lett. e, e secondo comma, 19, lett. p), 23, sesto comma, e 24, primo comma, lett. c) (art. 116 della Costituzione e artt. 4, 5, 16, 41, 44, 87 e 88 dello statuto reg. Trentino-Alto Adige). Reg. Trentino-Alto Adige, ricorso 19 ottobre 1988, n. 34, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. PARTB II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 16J legge 23 agosto 1988, n. 400, art. 2, terzo comma, lettere d) e p) (artt. 4, 5, 58 e 60 dello statuto speciale reg. Friuli e 115 della Costituzione). Giunta reg. Friuli-Venezia Giulia ricorso 18 ottobre 1988, n. 30, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. legge 23 agosto 1988, n. 400, art. 2, terzo comma, lettere d) e p) (artt. 5, 115, 125, 126 e 134 della Costituzione e 3, 8, 9, 16, 33, ,38, 52, 97 e 107 dello statuto regionale). Prov. aut. di Trento, ricorso 18 ottobre 1988, n. 29, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. legge 23 agosto 1988, n. 400, artt. 2, terzo comma, lettere d) e p), 5, secondo comma, lettere e) e f), e 12, quinto comma, lettera b) (art. 134 della Costituzione e art. 3 e 6 dello statuto reg. Sardegna). Regione. Sardegna, ricorso 18 ottobre 1988, n. 32, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. legge 23 agosto 1988, n. 400, artt. 2, terzo comma, lett. d) e p), 12, quinto comma, lett. b), e settimo comma, 13, primo comma, lettere b) ed e), e secondo comma, 19, primo comma, lett. p), e 24, primo comma, lett. c) (artt. 3, 4, 5, 8, 9, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 19, 33, 38, 49, 61, 78, 87, 88, 90, 91, 92, 97, 98, 103, 104, 107 dello statuto regione Trentino-Alto Adige e artt. 5, 6, 116, 125 e 134 della Costituzione). Prov. aut. di Bolzano, ricorso 18 ottobre 1988, n. 31, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. legge 23 agosto 1988, n. 400, art. 2, terzo comma, lett. p) (artt. 5, 115, 118, 125, 126 e 134 della Costituzione). Regione Lombardia, ricorso 18 ottobre 1988, n. 28, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. legge reg. Marche 29 settembre 1988, n. 148 (artt. 3, 97 e 117 della Costituzione). Presidente Consiglio dei Ministri, ricorso 27 ottobre 1988, n. 35, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. legge reg. Molise 18 ottobre 1988 (artt. 3 e 97 della Costituzione e legge reg. Molise 3 gennaio 1983, n. 1). Presidente Consiglio dei Ministri, ricorso 17 novembre 1988, n. 36, G. U. 7 dicembre 1988, n. 49.