ANNO XXVIII -N. 3 MAGGIO-GIUGNO 1976 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Pubblicazione bimestrale di servizio ROMA ISTITUTO POLIGRAFICO DELLO STATO 1976 ABBONAMENTI ANNO L. 12.750 UN NUMERO SEPARATO ............... . 2.250 Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: LIBRERIA DELLO STATO -PIAZZA G. VERDI, 10 -ROMA e/e postale 1/2640 Stampato in Italia Printed in Italy Autorizzazione Tribunale di Roma -Decreto n. 11089 del 13 lu11!0 1966 (6219051) Roma, 1976 -Istituto Poligrafico dello Stato P.V. INDICE Parte prima: GIURISPRUDENZA Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura del/'avv. Giuseppe Angelihi-Rota) pag. 309 Sezione seconda: GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE (a cura del/'avv. Arturo Marzano) 349 Sezione terza: GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE (a cura del/'avv. Benedetto Baccari e del/'avv. Carlo Carbone) 384 Sezione qu.arta: GIURISPRUDENZA CIVILE (a cura de/l'avvocato Adriano Rossi) . , . , 398 Sezione quinta: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (a cura del/'avv. Ugo Gargiulo) , . , , . 408 Sezione sesta: GIURISPRUDENZA TRIBUTAR~A (a cura de/l'avvocato Carlo Bafile) 415 Sezione settima: GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI (a cura del/'avv. Arturo Marzano, per gli appalti e dell'.avv. Paolo Vittoria, per le acque pubbliche) 426 Sezione ottava: GIURISPRUDENZA PENALE (a cura dell'avv. Paolo Di Tarsia di Be/monte) , . 444 '~rte seconda: QUESTIONI -LEGISLAZIONE INDICE BIBLIOGRAFICO CONSULTAZIONI -NOTIZIARIO 'NE pag. 53 "'ULT AZIONI 71 NOTIZIARIO . 78 INDICE BIBLIOGRAFICO I04 La pubblicazione diretta dall'avvocato: UGO GARGIULO CORRISPONDENTI DELLA RASSEGNA DELEGATI PRESSO LE SINGOLE AVVOCATURE Avvocati Glauco NoRI, Ancona; Francesco Cocco, Bari; Michele DIPACE, Bologna; Giovanni CONTU, Cagliari; Americo RALLO, Caltanissetta; Filippo CAPECE MINUTOLO DEL SASSO, Catanzaro; Raffaele TAMrozzo, Firenze; Francesco GUICCIARDI, Genova; Adriano Rossr, L'Aquila; Giuseppe Orazio Russo, Lecce; Giuseppe MINNITI, Messina; Marcello DELLA VALLE, Milano; Aldo ALABISO, Napoli; Nicasio MANCUSO, Palermo; Pier Giorgio LIGNANI, Perugia; Rocco BERARDI, Potenza; Umberto GIARDINI, Torino; Maurizio DE FRANCHIS, Trento; Paolo Scorrr, Trieste; Giancarlo MAND, Venezia. ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI LA REDAZIONE, Congresso giuridico internazionale in occasione del centenario dell'Avvocatura dello Stato . . . . . . . . . . . I, 444 LAMBERTI C., Cenni sull'applicabilit della proroga delle locazioni agli immobili urbani di cui sia conduttrice la Pubblica Amministrazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . II, 77 MARZANO A., Politica commerciale e competenze della CEE I, 401 PAJNO A., Ancora in tema di giurisdizione . . . . . . . . I, 349 TAMIOZZO R., Elaborazione giurisprudenziale del Consiglio di Stato in tema di competenza e giurisdizione dei Tribunali Amministrativi Regionali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 390 TAMIOZZO R., Il sistema sanzionatorio nella tutela dei beni culturali e ambientali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I, 408 PARTE PRIMA INDICE ANALITICO -ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA ACQUE PUBBLICHE ED ELETTRICIT -Acque sottrranee -Contrasto del l'art. 1 t.u. 11 dicembre 1933, numero 1775 con gli artt. 41, 42 e 43 Cost. -Questione di costituzionalit manifestamente infondata, 437. -Acque sotterranee -Idoneit ed usi di pubblico generale interesse -Effetto dell'opera dell'uomo -Preclusione della pubblicit -Non sussiste, 437. -Elenchi delle acque pubbliche -Natura ed effetti, 437. -Elenchi delle acque pubbliche -Ricorso avverso l'iscrizione -Oggetto del giudizio Accertamento della demanialit -Vincolo delle :c:agioni dell'iscrizione -Non sussiste, 437. -Natura pubblica dell'acqua -Accertamento giudiziale -Giudizio di fatto, 437. -Natura pubblica dell'acqua -Ac-. certamento giudiziale -Motivazione -Congruit -Fattispecie, 437. ANTICHIT E BELLE ARTI -Tutela del patrimonio archeologico Danni -Costituzione di parte civile del Ministero per i beni culturali e ambientali -Ammissibilit Tutela amministrativa, con nota di R. TAMIOZZO, 444. APPALTO -Appalto di opere pubbliche Risoluzione del rapporto per frode dell'appaltatore Indipendenza dall'accertamento penale della colpevolezza dell'appaltatore Contrasto con l'art. 27 della Costituzione -Questione di legittimit costituzionale Manifesta infondatezza, 426. -Appalto di opere pubbliche -Risoluzione di ufficio Contestazioni dell'appaltatore Giurisdizione del giudice ordinario, 426. -Appalto di opere pubbliche Risoluzione di ufficio per frode dell'appaltatore Riferimento della frode alla persona dell'appaltatore e non alle vicende del contratto -Effetti Rilevanza della frode nei rapporti di appalto diversi da quello cui la frode si riferisce -Preventivo accertamento penale della colpevolezza dell'appaltatore Necessit -Esclusione, 426. -Appalto di opere pubbliche -Risoluzione per frode dell'appaltatore Preventiva contestazione -Necessit -Esclusione, 426. -Appalto di opere pubbliche -Situazione soggettiva dell'appaltatore Controversie -Giurisdizione del giudice ordinario, 426. COMPETENZA E GIURISDIZIONE -Competenza territoriale dei T.A.R. Impiego pubblico Criteri. di individuazione della competenza -Sede centrale dell'Ente -Rilevanza, con nota di R. TAMIOZZO, 413. -Competenza territoriale dei T.A.R. in tema di atti plurimi Annullamento di provvedimenti di collocamento a riposo di dipendenti l.N. P.S. ex combattenti -Competenza territoriale del T.A.R. della circoscrizione in cui rientra la sede dell'Ente nella quale il dipendente prestava e prester servizio dopo il richiamo Sussiste, con nota di R. TAMIOZZO, 412. INDICE VII -Fallimento -Foro fallimentare Vis attractiva -Ambito di operativit -Limiti -Fattispecie, 426. -Ferrovie in concessione: gestione governativa -Instaurazione di rapporti di pubblico impiego fra il personale ed il Ministero dei Trasporti Domanda per la cessazione della condotta antisindacale -Improponibilit assoluta, 388. -Giurisdizione ordinaria ed amministrativa -Atti di attribuzione da parte della P.A. dei diritti patrimoniali del dipendente -Mancata esecuzione -Giurisdizione del giudice amministrativo, con nota di A. PAJ NO, 390. -Giurisdizione ordinaria ed amministrativa -Cancelliere: diritto alle percentuali sui proventi costituiti dai crediti recuperati all'erario Giurisdizione esclusiva dl giudice amministrativo, 384. -Impiego pubblico -Controversie per licenziamenti individuali -Giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo -Illegittimit costituzionale -Esclusione, 312., -Impiego pubblico Esodo volontario dei dirigenti dello Stato Giurisdizione del giudice amministrativo -Sussiste, con nota di R. TA MIOZZO, 408. -Limiti della competenza territoriale del T.A.R. -Efficacia diretta e indiretta dell'atto Criteri di individuazione, con nota di R. TAMIOZZO, 410. -Provvedimento di espropriazione Criterio di individuazione del T .A.R. competente -Circoscrizione in cui si trova il bene Competenza -Sussiste, connota di R. TAMIOZZO, 410. -T.A.R. per la Regione Siciliana -Sfe. ra cli competenza in relazione alla dee. n. 61/1975 della Corte Costituzionale, con nota di R. TAMrozzo, 410. -Tribunali amministrativi regionali Competenza territoriale e competenza funzionale Applicabilit -Effetti e limiti, con nota di R. TAMrozzo, 408. -Tribunali amministrativi regionali Ricorsi in materia di giurisdizione esclusiva proposti prima del decorso del termine di tre mesi di cui all'art. 38 I. n. 1034/1971 -Inammissibilit del ricorso -Sussiste, con nota di R. TAMIOZZO, 408. COMUNIT EUROPEE -Agricoltura Organizzazioni comu. ni dei mercati -Cereali -Regime delle cauzioni all'importazione -Perdita della cauzione -Criterio di determinazione della somma da incamerare, 378. -Norme comunitarie -Interpretazione -Obbligo del giudice nazionale di ultima istanza -Portata e limiti, 378. -Politica commerciale ~ Autorizzazione della Commissione CEE ad adottare misure di protezione -Deroghe al divieto di restrizioni quantitative -Ammissibilit, con nota di A. MARZANO, 349. -Politica commerciale -Autorizzazione della Commissione CEE ad adottare misure di protezione -Deroghe al divieto di restrizioni quantitative -Interpretazione ed applicazione restrittiva, con nota di A. MARZANO, 349. -Politica commerciale -Autorizzazione della Commissione CEE ad adottare misure di protezione -Obblighi della Commissione CEE, con nota di k MARZANO, 349. -Politica sociale -Principio della parit di retribuzione -Art. 119 del trattato CEE -Diretta applicabili . t -Decorrenza, 356. -Politica sociale -Principio della parit di retribuzione -Art. 119 del trattato CEE -Diretta applicabilit -Decorrenza -Diversi termini previsti in direttiva del Consiglio Irrilevanza, 356. -Politica sociale -Principio della parit di retribuzione -Art. 119 del trattato CEE -Efficacia diretta Deducibilit Limiti, 356. VIII RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO -Politica sociale -Principio della parit di retribuzione -Attuazione Competenza esclusiva del legislatore nazionale -Esclusione, 356. -Politica sociale -Principio della parit di retribuzione -Diretta applicabilit dell'art. 119 del trattato CEE, 356. CONCESSIONI -Concessioni -Contratto -Negozio bilaterale -Funzione -Disciplina privatistica -Inapplicabilit -Diritto di prelazione -Ex articolo 2, legge n. 13 del 1963 -Inammissibilit, 328. CORTE COSTITUZIONALE -Conflitto di attribuzioni -Interesse a ricorrere -Requisito dell'attualit, 329. IMPIEGO PUBBLICO -Dipendenti da enti pubblici non economici -Licenziamenti individuali -Applicabilit dell'art. 1 legge numero 604 del 1966, 312. -lmpignorabilit ed incedibilit della retribuzione -Legittimit costituzionale, 318. IMPOSTA DI REGISTRO -Agevolazione per le case di abitazione non di lusso -Villa con costruzioni separate di carattere accessorio -Unico complesso -Determinazione del rapporto di superficie in relazione a singole costruzioni -Esclusione, 419. IMPOSTA DI SUCCESSIONE -Successione per rappresentazione dei figli legittimi dell'adottato -Applicabilit delle aliquote previste per gli estranei -Illegittimit costituzionale -Esclusione, 344. IMPOSTE E TASSE IN GENERE -Imposte indirette -Condono di cui al d.l. 5 novembre 1973, n. 660 -Rigetto della domanda in sede amministrativa -Decisione da parte del giudice adito della legittimit del provvedimento di rigetto -Ricorso del contribuente alla Commissione -Irrilevanza, 415. -Imposte indirette -Condono di cui al d.l. 5 novembre 1973, n. 660 -Sospensione del giudizio a seguito di presentazione dell'istanza -Rigetto della istanza di sospensione -Pronunzia da parte del giudice innanzi al quale pende il giudizio, 415. LAVORO -Agenti e rappresentanti di commercio -Requisito della iscrizione in ruolo - costituzionalmente legittimo, 335. LOCAZIONE DI IMMOBILI URBANI -Proroga -Applicabilit della P.A. Ammissibilit, con nota di C. LAM BERTI, 401. ORDINAMENTO GIUDIZIARIO -Ufficio del pubblico ministero e componenti di detto ufficio -Rapporti interni e garanzia costituzionale, 322. PROCEDIMENTO PENALE -Impugnazioni -Restituzione in termini -Non anche per la presentazione dei motivi -Legittimit costituzionale, 317. -Posizione del pubblico ministero Raffronto alla posizione delle par ti, 321. -Variazioni della competenza penale -Applicabilit ai processi pendenti Illegittimit costituzionale -Esclusione, 345. INDICE IX PROPRIET -Esercizio della caccia e ripresa di fotografie di animali -Possibilit di ingresso nei fondi altrui -Solo per l'esercizio della caccia, 327. PUBBLICA AMMINISTRAZIONE -Ricorso principale -Errore scusabile -Mancanza di obiettiva dubbiezza -Applicabilit dell'istituto della rimessione in termini -Non sussiste, con nota di R. TAMIOZZO, .408. REATO -Falsit in atti -Falsit ideologica in atti pubblici -Bolletta doganale Natura di atto pubblico -Obbligo del privato di attestare fatti veri, 460. -Reati comessi e giudicati all'estero Rinnovamento del giudizio -Deroga al divieto del ne bis in idem -Illeggittimit costituzionale -Esclusione, 338. -Sanit pubblica -In genere -Provvedimenti urgenti del medico provinciale -Inosservanza -Violazione dell'art. 650 cod. pen. -Configurabilit, 461. REATI FINANZIARI -Militari della Guardia di finanza Collusione ~on estranei per frodare la finanza Illegittimit costituzionale -Esclusione, 342. REATI MILITARI -Processo penale militare -Sospensione feriale -Inapplicabilit, 321. REGIONI -Tranvie e autolinee di interesse regionale Distinzione di tale materia da quella dei trasporti ferroviari, 329. -Tranvie e autolinee di interesse regionale -Navigazione e Regioni Porti lacuali -Distinzione di tali materie dalla materia della sicurezza pubblica, 329. SICUREZZA PUBBLICA -Insegnamento dello sci -Regolamento per l'esecuzione del t.u. delle leggi di P.S. -Insindacabilit ad opera della Corte Costituzionale, 326. STAMPA -Diffusione del pensiero -Diritto di autore -Inibitoria e sequestro a protezione di detto diritto -Legittimit costituzionale, 336. TRENTINO-ALTO ADIGE -Coordinamento tra finanza statale e finanza locale -Cessazione della materia del contendere, 311. -Provvedimenti contingibili ed urgenti -Presidente della Giunta provinciale e Sindaco -Sono ufficiali di Governo, 309. INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA CORTE COSTITUZIONALE 16 marzo 1976, n. 45 16 marzo 1976, n. 46 16 marzo 1976, n. 47 16 marzo 1976, n. 48 16 marzo 1976, n. 49 16 marzo 1976, n. SO 16 marzo 1976, n. 51 16 marzo 1976, n. 52 25 marzo 1976, n. 57 25 marzo 1976, n. 58 25 marzo 1976, n. 59 25 marzo 1976, n. 60 8 aprile 1976, n. 69 8 aprile 1976, n. 70 8 aprile 1976, n. 71 8 aprile 1976, n. 72 CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT EUROPEE 8 aprile 1976, nella causa 29/75 8 aprile 1976, nella causa 43/75 GIURISDIZIONI CIVILI CORTE DI CASSAZIONE Sez. Un., 18 dicembre 1975, n. 4162 Sez. Un., 18 dicembre 1975, n. 4163 Sez. I, 10 marzo 1976, n. 824 Sez. I, 13 marzo 1976, n. 909 Sez. Un., 8 aprile 1976, n. 1224 Sez. I, 12 aprile 1976, n. 1271 Sez. Un., 22 aprile 1976, n. 1445 Sez~ Un., 28 aprile 1976, n. 1507 Sez. I, 14 maggio 1976, n. 1702 ' PRETURA PALERMO, 16 maggio 1974 BARI, 30 aprile 1976 pag. 309 311 312 317 318 321 326 322 327 329 335 336 338 342 344 345 pag. 349 356 pag. 384 388 415 419 426 415 378 437 398 pag. 390 401 Xl INDICE GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE CONSIGLIO DI STATO Sez. IV, 9 dicembre 1975, n. 1203 pag. 408 Sez. VI, 2 dicembre 1975, n. 657 410 Sez. VI, 5 dicembre 1975, n. 674 412 413 Sez. VI, 19 dicembre 1975, n. 707 GIURISDIZIONI PENALI CORTE DI CASSAZIONE Sez. III, 20 dicembre 1974, n. 9733 pag. 444 Sez. III, 24 gennaio 1975, n. 176 )) 460 Sez. VI, 30 settembre 1975, n. 1586 461 PARTE SECONDA ll'v7JICE ANALITICO -ALFABETICO DELLE CONSULTAZIONI ACQUE PUBBLICHE -Nuova concessione di derivazione Compenso a carico del nuovo utente -Determinazione -Posizione del precedente concessionario -Natura, 71. AMMINISTRAZIONE PUBBLICA -Societ -Partecipazione statale -Liquidazione -Poteri del Ministro del Tesoro -Liquidatore, 71. APPALTO -Riserve -Determinazioni dell'Amministrazione -Dichiarazione adesiva dell'appaltatore -Transazione -Configurabilit, 71. ASSICURAZIONE -Imposta di pubblicit -Targhe assicurazione incendi -Mancata denuncia -Esonero dal tributo, 71. ATTI AMMINISTRATIVI -Ente pubblico soggetto a controllo -Provvedimento -Ricorso giurisdizionale -Amministrazione vigilante -Posizione di controinteressato Esclusione, 72. CONCESSIONI AMMINISTRATIVE -Concessione di autoservizi di linea -Contributi -Criteri di liquidazione -Diversit di linee con unica concessione -Costi di esercizio diversi -Determinazione, 72. CONSIGLIO DI STATO -Ente pubblico soggetto a controllo -Provvedimento -Ricorso giurisdizionale -Amministrazione vigilante -Posizione di controinteressato Esclusione, 72. CONTABILIT GENERALE DELLO STATO -Contabilit Generale dello Stato: Contratti della P.A. -Licitazione privata: invito alla gara: modalit, 72. -Locazioni di complessi elettronici Possibilit per l'Amministrazione conduttrice di corrispondere in via anticipata quota parte dei canoni annuali: esclusione, 72. DANNI DI GUERRA -Danni di guerra; indennizzo, aziende comunali, 73. -Indennizzo, Comuni beni delle aziende municipalizzate, 73. DAZI DOGANALI -Spedizioniere doganale -Solidariet tributaria -Debitore principale Preventiva escussione -Obbligo, 73. DEMANIO -Chiesa di propriet dello Stato Uso pubblico a fini di culto -Ente ecclesiastico titolare -Concessione Possibilit limiti, 73. -Demanio marittimo -Occupazione abusiva -Invasione di terreni o edifici altrui -Applicabilit, 73. INDICE Xlll -Demanio marittimo -Occupazione abusiva -Invasione di terreni o edifici altrui -Applicabilit, 73. -Demanio marittimo -Occupazione abusiva -Invasione di terreni o edi: fici altrui -Applicabilit, 73. -Strade statali Tratti compresi nei centri abitati minori -Autotutela amministrativa -Riduzione in pristino -Competenza, 74. DIFESA DELLO STATO -Camere di commercio -Avvocatura dello Stato Patrocinio, 74. -Enti diversi dallo Stato Opera Nazionale di Assistenza per il Personale dei Servizi Antincendi e della Protezione Civile Patrocinio erariale -Spettanza -Limiti, 74. -Istituti professionali di Stato Patrocinio dell'Avvocatura Esclusione, 74. EDILIZIA ECONOMICA E POPOLARE -Alloggi F.S. -Cessione in propriet Danneggiamento o distruzione ripristino -Mutuo agevolato -Accensione di ipoteca, 74. ELETTRICIT ED ELETTRODOTTI -Elettrodotto a servizio di ferrovia -Concessione d'uso della linea elettrica Prescrizione estintiva Decorrenza, 75. ENTI E BENI ECCLESIASTICI -Chiesa di propriet dello Stato Uso pubblico a fini di culto -Ente ecclesiastico titolare -Concessione Possibilit limiti, 75. ESECUZIONE FORZATA -Esecuzione forzata Pignoramento Beni successivamente dichiarati impignorabili Ius superveniens, 75. ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILIT -Espropriazione parziale Immobile aziendale Determinazione dell'in dennit Deprezzamento valore commerciale -Computo, 75. -Espropriazione per pubblica utilit Espropriazione parziale -In dennit aggiuntiva per coltivatore diretto e fittavolo, 75. FERROVIE -Alloggi F.S. -Cessione in propriet Danneggiamento o distruzione ripristino -Mutuo agevolato -Accensione di ipoteca, 76. -Autostrade -Distanze per l'edificazione -Costruzione di linee ferroviarie, 76. -Elettrodotto a servizio 'di ferrovia Cessazione d'uso della linea elettrica -Prescrizione estintiva -Decorrenza, 76. -Ferrovie -Condizioni per l'immatricolazione e la circolazione dei carri privati F.S. -Accordo internazionale U .I.C. (Unione Internazionale delle Ferrovie) UIAP (Unione internazionale associazione propriet carri privati) -Sviamento carro privato -Rimessa in efficienza -Oneri, 76. -Imposte e tasse -Imposta sul valore aggiunto -Azienda Autonoma F.S. -Vendita a terzi di beni mobili e immobili, 76. - Responsabilit civile -Obbligo dell'ente proprietario di approntare difese per una protezione laterale delle strade Limiti, 76. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO LEGISLAZIONE QUESTIONI DI LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE I) Norme dichiarate incostituzionali Il) Questioni dichiarate non fondate III) Questioni proposte . . . . . INDICE BIBLIOGRAFICO NOTIZIARIO pag. 53 ll> 54 58 pag. 104 pag. 77 PARTE PRIMA 310 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO attribuita al Presidente della giunta provinciale sarebbe esclusiva e, quindi, non consentirebbe il potere di sostituzione del Commissario del Governo nel caso di inadempienza del Presidente della Provincia. Alle Province di Trento e di Bolzanosono attribuite forme e condizioni particolari di autonomia secondo lo Statuto della Regione (art. 3, terzo comma, t.u. Statuto 31 agosto 1972, n. 670 cit.) e l'art. 87 dello stesso t.u. stabilisce, nel n. 1, che al Commissario del Governo spetta di coordinare, in conformit alle direttive del Governo, lo svolgimento delle attribuzioni dello Stato e, nel n. 3, di compiere atti gi demandati al Prefetto in quanto non siano stati affidati dallo statuto o da altre leggi ad organi della Regione e delle Province o ad altri organi dello Stato. Non giustificato il riferimento, nel ricorso, all'art. 46, secondo comma, legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 5 (testo originario dello Statuto) -che attribuisce al Presidente della giunta provinciale il potere di adottare i provvedimenti contingibili e urgenti -e all'art. 6, nn. 1 e 10, legge costituzionale n. 1 del 1971, che conferisce alle Province il potere di emanare norme legislative in materia di polizia locale e di igiene e sanit. Invero i provvedimenti contingibili ed urgenti sono disciplinati dall'art. 55 r.d. 3 marzo 1934, n. 383, testo unico della legge comunale e provinciale, richiamato in vigore dall'art. 25 legge 9 giugno 1947, n. 530, per quanto concerne le attribuzioni dei Consigli e delle giunte comunali. Il citato art. 55 attribuisce al sindaco il potere di emanarli nelle materie di sicurezza pubblica e di igiene, come pacifico in dottrina e in giurisprudenza, in considerazione della esigenza dell'urgenza. Deve ritenersi -nel caso che la situazione di pericolo riguardi due comuni della stessa provincia -giustificata, nell'interesse preminente dello Stato, l'attribuzione della competenza al Presidente della giunta provinciale, quale ufficiale del Governo, senza escludere quella del sindaco in caso di situazione di pericolo per un solo comune. E come il sindaco, in tale qualit, non pu essere considerato in senso tecnico-giuridico funzionario del comune, come pure pacifico in dottrina e in giurisprudenza, cos nemmeno pu essere considerato tale il Presidente della giunta provinciale quando adotta i provvedimenti contingibili e urgenti a termine dell'art. 46, secondo comma, dello Statuto del 1948 e del secondo comma dell'art. 52 t.u. citato del 1972. E, poich i provvedimenti del sindaco non hanno carattere definitivo, in considerazione dei loro stessi presupposti, non lo hanno nemmeno i provvedimenti del Presidente della giunta provinciale. Ci posto, l'urgenza e la temporaneit connesse alla situazione di pericolo escludono che possa essere vulnerata la post legislativa di cui trattasi (art. 8 e 9 t.u. citato del 1972). Consegue che l'art. 12 impugnato ha, conformemente alla sua funzione di norma di attuazione, integrato la norma del secondo comma dell'art..46 e del secondo comma dell'art. 52 citati, nei limiti consentiti dal loro contenuto. -(Omissis). PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE CORTE COSTITUZIONALE, 16 marzo 1976, n. 46 -Pres. Oggioni -Rel. Ros sano -Provincia di Bolzano (Avv. Coronas) c. Presidente Consiglio dei Ministri (sost. avv. gen. dello Stato Zagari). Trentino-Alto Adige -Coordinamento tra finanza statale e finanza locale Cessazione della materia del contendere. (I. cost. 10 novembre 1971, n. 1, art. 68 ter; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 651). Il sopravvenire del d.P.R. 28 marza 1975, n. 473, contenente norme di attuazione dello Statuto locale, ha fatto venir meno l'interesse a ricorrere avverso il d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 651, istitutivo di un fondo speciale per il risanamento dei bilanci dei comuni <; delle province. (Omissis). -Il d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 651, impugnato, ha istituito un fondo speciale -da impiegare per il graduale e proporzionale risanamento dei bilanci dei comuni e delle province che non sono in pareggio economico -fondo amministrato da un comitato, che ha sede presso il Ministero delle finanze, Direzione generale per la finanza locale (art. 1); presieduto dal Ministro per le finanze o dal Sottosegretario di Stato da lui delegato ed composto: da funzionari dei Ministeri delle finanze, dell'interno, del tesoro, del bilancio; da quattro amministratori provinciali e otto amministratori comunali (art. 8). Lo stesso decreto prescrive, negli artt. 4, 5, 6 e 7, che i comuni e le province predispongono un piano di risanamento e, con istanza motivata, lo sottopongono all'esame del comitato; e che l'integrazione del bilancio dei comuni e delle province, deliberata dal comitato, disposta con decreto del Ministro per le finanze. Secondo la Provincia di Bolzano, ricorrente, le disposizioni del decreto impugnato violerebbero le norme richiamate nel ricorso ed i princpi della autonomia costituzionale della stessa Provincia e non rispetterebbero l'ob bligo di adeguare i metodi della legislazione nazionale alle esigenze d~lla autonomia perch: a) non riservano, in base a parametri oggettivi, una quota del fondo nazionale ai comuni delle Regioni a statuto speciale; b) non affidano la distribuzione di tale quota alle autorit regionali e provin ciali competenti; c) non prevedono il conferimento dei mezzi necessari alle Province autonome attraverso l'accordo tra Governo e province per la determinazione annua della quota variabile dei tributi, ai sensi dell'art. 68 ter legge costituzionale n. 1 del 1971. La Corte osserva che nel corso del presente giudizio sopravvenuto il d.P.R. 28 marzo 1975, n. 473, contenente norme di attuazione dello statuto per la Regione Trentino-Alto Adige in materia di finanza locale. Questo decreto prescrive, nell'art. l, che le attribuzioni dell'Amministrazione dello Stato in ordine alle autorizzazioni in materia di finanza locale e alle integrazioni, anche ai fini del risanamento, dei bilanci dei comuni, esercitate 312 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO sia direttamente dagli organi centrali e periferici dello Stato, sia per il tramite di enti e di istituti pubblici a carattere nazionale o sopraprovin ciale e quelle gi spettanti alla Regione Trentino-Alto Adige nelle stesse materie, sono esercitate, per il rispettivo territorio, dalle province di Tren to e di Bolzano, con l'osservanza delle norme del presente decreto. Lo stesso deereto, poi, prescrive, nell'art. 2 che nella vigilanza e tutela di cui all'art. 54, n. 5, del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (T.U. delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige) si intendono compresi tutti i provvedimenti di controllo in materia di finanza locale ; e, nell'art. 6, che al fine del coordinamento, le province di Trento e di Bolzano comunicano annualmente i propri programmi, nei settori della finanza locale, dei lavori pubblici e dell'edHizia comunque sovvenzionata, al Ministro per il tesoro che, sentiti i competenti organi della Cassa depositi e prestiti, indica il limite dei mezzi che la Cassa sar presumibilmente in grado di destinare nelle rispettive province in base ai criteri generali stabiliti per i propri interventi . Per effetto della emanazione del d.P.R. n. 473 del 1975 -che risponde positivamente alle esigenze fatte valere dalla Provincia di Bolzano con il ricorso in epigrafe, come ha espressamente dichiarato il difensore della stessa Provincia all'udienza del 26 novembre 1975 - venuto meno l'interesse a ricorrere e deve, quindi, procedersi alla conseguente declaratoria. {Omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 16 marzo 1976, n. 47 -Pres. Oggioni -Rel. De Stefano Agostini ed altri (n. c.) e Presidente Consiglio dei Ministri (sost. avv. gen. dell Stato Angelini Rota). Impiego pubblico Dipendenti da enti pubblici non economici -Licenziamenti individuali Applicabilit dell'art. 1 legge n. 604 del 1966. (cost., artt. 3, 4, 35; 1. 15 luglio 1966, n. 604, art. 1). Competenza e giurisdizione Impiego pubblico -Controversie per licen ziamenti individuali -Giurisdizione esclusiva del giudice amministra tivo Illegittimit costituzionale Esclusione. (cost., artt. 3, 4, 24 e 35; I. 15 luglio 1966, n. 604, art. 6, ultimo comma). L'art. 1 della l. 15 luglio 1966, n. 604 sui licenziamenti individuali usa l'espressione "enti pubblici" nel significato pi ampio, e generalizza il principio del licenziamento causale estendendolo anche a quei dipendenti da enti pubblici non economici ai quali non fossero in precedenza state riconosciute garanzie di stabilit o semi-stabilit del rapporto di lavoro. Disciplina sostanziale dei rapporti di lavoro e riparto tra le giurisdizioni ordinaria e amministrativa operano su piani distinti. La applicabi PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 313 lit a pubblici dipendenti (da enti pubblici non economici) della disciplina sostanziale dei licenziamenti individuali dettata dall'art. 1 della legge n. 604 del 1966 non porta necessariamente con s l'applicabilit per le relative controversie dell'art. 6, ultimo comma, della stessa legge, ove attribuita al pretre una competenza per materia; al contrario, dette controversie rientrano nella giurisdizione esclusiva dei giudici amministrativi (1). La giurisdizione esclusiva dei giudici amministrativi in materia di pubblico impiego garantisce una tutela giurisdizionale non meno appagante e penetrante della tutela giurisdizionale offerta in materia di impiego privato, dai giudici ordinari; e l'istituto della sospensione dell'esecuzione dell'atto impugnato rimedio di efficacia sostanzialmente pari alle possibilit di intervento cautelare di urgenza riconosciute ai giudici ordinari (2). (Omissis). -3. -Innanzi tutto, in ordine logico, la Corte prende in esame l'art. 1 della legge n. 604 del 1966, che traccia l'mbito di operativit del divieto di licenziamento ad nutum del prestatore di lavoro, disponendo che nel rapporto di lavoro a tempo indeterminato, intercedente con datori di lavoro privati o con enti pubblici, ove la stabilit non sia assicurata da norme di legg:e, di regolamento e di contratto collettivo o individuale, il licenziamento del prestatore di lavoro non pu avvenire che per giusta causa ai sensi dell'art. 2119 del codice civile o per giustificato motivo. La questione proposta dal pretore di Cagliari non fondata. Essa pone a sua base una interpretazione che non pu essere condivisa: e cio l'assunto che con la espressione enti pubblici non siasi inteso comprendere tutti gli enti pubblici, ma soltanto gli enti pubblici economici . In .aggiunta al profilo letterale (che _pur merita la dovuta attenzione, se vero che il lessico legislativo ben riconosce_ ed applica, la ormai consueta dicotomia, s che resterebbe inspiegabile il ricorso in questa occasione all'uso del genus in luogo di una delle due species), la mens legis, a sostegno del pi ampio significato, pu desumersi dal concorso di altri elementi. Dai lavori parlamentari, dove fu esplicitamente emendato l'originario testo (che prescriveva la giustificazione del licenziamento solo rispetto al contratto di lavoro inerente all'esercizio dell'impresa) e fu poi respinta la proposta del ritorno alla primitiva dizione. Nella quale erano gi per (1-3) Le ordinanze di rimessione dei pretori di Tagliacozzo, di Cagliari e di Asti sono pubblicate in Gazzetta Ufficiale, rispettivamente del 29 agosto 1973, n. 223 del 10 ottobre 1973, n. 263 e del 3 gennaio 1975, n. 3. Nel senso che la competenza attribuita dall'art. 6 della legige n. 604 del 1966 non pu esorbitare dai limiti della giurisdizione ordinaria, per cui tale competenza sussiste solo per le controversie per le quali sia parte un datore di lavoro privato o un ente pubblico economico, e non anche un ente pubblico non eco 314 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO implicito compresi gli enti pubblici economici, di tal che superflua sarebbe stata la introdotta modifica, se solo a questo fine preordinata. Ma soprattutto pu desumersi dalla linea evolutiva della vigente normativa posta a tutela del rapporto di lavoro. Giova in proposito ricordare che la Corte aveva gi avuto occasione di rilevare (sentenza n. 7 del 1958 e n. 45 del 1965) come il potere illimitato del datore di lavoro di recedere dal rapporto a tempo indeterminato non costituisce pi un principio generale del nostro ordinamento; e di affermare che l'indirizzo politico di prog.ressiva garanzia del diritto al lavoro, dettato dall'art. 4 Cost. nell'interesse di tutti i cittadini, esigeva che il legislatore adeguasse la disciplina dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato al fine ultimo di assicurare a tutti la continuit del lavoro, circondando di doverose garanzie e di opportuni temperamenti i casi in cui si rendesse necessario far luogo a licenziamenti. Ora, nel settore dell'impiego pubblico, la garanzia della stabilit o semi-stabilit del rapporto, pur essendone un aspetto caratterizzante, non trovava, anteriormente alla legge n. 604 del 1966, onnicomprensiva applicazione. Elemento un tempo differenziatore tra il personale di ruolo >>, che ne godeva, e quello avventizio , che ne era privo, si era poi propagato a quest'ultimo, nell'mbito delle amministrazioni dello Stato, mediante. la trasformazione del licenziamento ad nutum in licenziamento causale, sancita dal r.d.l. 4 febbraio 1937, n. 100 (convertito nella legge 7 giugno 1937, n. 1108) e ribadita dal d.lgt.c.p.s. 4 aprile 1947, n. 207. Era stato poi esteso al personale non di ruolo degli enti pubblici locali (comuni, province, consorzi, istituzioni pubbliche di _assistenza e di I I ,, beneficenza, nonch istituti ed aziende in gestione diretta da essi dipendenti), per effetto del d.lg.vo 5 febbraio 1948, n. 61, che faceva loro obbligo di introdurre nei regolamenti organici norme conformi a quelle disciplinatrici dello status del personale non di ruolo statale. Rimanevano, peraltro, ancora licenziabili ad nutum, non soltanto i dipendenti dagli e!lti pub- I I nomico, era gi in precedenza la giurisprudenza della Corte di Cassazione (S.U., 23 maggio 1969, n. 1811, in Cons. St., 1970, II, 243; S.U., 22 agosto 1972, n. 2702, ivi, 1972, Il, 1295; e S.U. 21 agosto 1973, n. 2373). I La sentenza in esame si rivela invece interpretativa di rigetto per quanto i attiene all'enunciazione di cui alla prima massima. ! In senso contrario, infatti, in precedenza la giurisprudenza del Consiglio di Stato (VI, 14 novembre 1969, n. 714), in Cons. St., 1969, I, 2303; V, 9 febbraio 1971, ! n. 48, ivi, 1971, I, 237; IV, 4 luglio 1972, n. 438, ivi, 1972, I, 1442; C. si., 14 novembre 1974 n. 440, ivi, 1974, I, 1573; V, 12 ottobre 1973, n. 679, in Foro it., 1974, III, I 74; ed altre). In dottrina cfr. CANFORA, Pubblico impiego, legge 15 luglio 1966, n. 604 e Statuto dei lavoratori, in Dir. lav., 1970, I, 297, e PIRANI, Rapporto di pubblico impiego e limiti di applicabilit della legge 15 luglio 1966, n. 604, in Riv. giur. lav., 1969, I, 353. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE blici economici, per i quali non si fosse provveduto in sede di contrattazione collettiva, ma anche i dipendenti da enti pubblici non territoriali, a cui non fossero state estese, con decreto presidenziale, le norme del citato decreto n. 207 del 1947, e che continuavano, quindi, ad essere regolati dalle norme sull'impiego privato. Una volta che il principio del licenziamento causale -mutuato dal rapporto d'impiego e di lavoro pubblico ed esteso al rapporto d'impiego e di lavoro privato, per effetto della smsi in corso tra le ~ue discipline assurto, con la legge n. 604 del 1966, a principio di carattere generale, il riferimento agli enti pubblici contenuto nell'art, 1 di detta legge non pu non essere inteso nel senso che gli proprio, immune, cio, dall'asserita restrizione, che lascerebbe ingiustificatamente scoperta l'area innanzi indicata dei dipendenti dagli enti pubblici non territoriali. N a ci ostano conclamate imperfezioni tecnico-giuridiche della legge in questione, della quale alcune disposizioni -per effetto del laborioso iter parlamentare -non appaiono in armonia con le modifiche apportate al testo originario dell'art. 1, facendo esclusivo riferimento al rapporto di lavoro inerente all'esercizio di una impresa, essendo compito dell'interprete (ove la normativa non sia opportunamente coordinata dal legislatore) valutare secondo la definitiva mens legis se la loro applicazion~ resti in tal senso circoscritta o debbasi intendere estesa al pi ampio mbito tracciato dall'art. 1. 4. -La sfera di operativit del principio sancito dall'art. 1 della legge n. 604 del 1966, non comporta, dunque, necessariamente che eguale dimensione debba riconoscersi a tutte le altre norme della stessa legge, ed in particolare -per ci che interessa i presenti giudizi -all'art. 6, ultimo comma, che dichiara competente il pretore a conoscere delle controversie derivanti dalla sua applicazione. Esatta appare la interpretazione che ne ha fornito la Corte di cassazione, affermando che la competenza attribuita al pretore dalla norma in esame non esorbita dai limiti della giurisdizione ordinaria, di cui il pretore stesso fa parte, e non deroga alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nella materia del pubblico impiego. Da ci hanno preso le mosse i pretori di Tagliacozzo e di Asti per inferire il dubbio di costituzionalit innanzi puntualizzato. Il dubbio non ha per ragion d'essere. Va preliminarmente precisato che tra gli argomenti addotti a sostegno dell'asserita violazione del principio di eguaglianza, alcuni (maggiore one rosit del ricorso al Consiglio di Stato, perdita di un grado di giurisdizione) appaiono superati per effetto della istituzione e del concreto funzionamento dei tribunali amministrativi regionali, previsti dal secondo comma dell'ar ticolo 125 della Costituzione. Si assume, nondimeno, che la norma de qua, e correlativamente (per i soli dipendenti degli enti locali) l'art. 2, primo comma, lettera a) della 316 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 6 dicembre 1971, n. 1034, sulla istituzione dei detti tribunali, violerebbero un complesso di princpi, desumibili dagli artt. 3, 4, 24 e 35 della Costituzione. Sarebbe soprattutto leso il principio di effettivit, cui devono essere informati le azioni ed i poteri giudiziari riconosciuti al lavoratore licenziato, e risulterebbe non soddisfatta la esigenza di specialit delle azioni e degl'interventi d'urgenza predisposti a tutela della conservazione del posto di lavoro. In altri termini, mentre ai lavoratori dipendenti da privati o da enti pubblici economici il procedimento innanzi al pretore offrirebbe strumenti processuali contrassegnati da una particolare spedi tezza, tempestivit ed efficacia, di analoghi strumenti non potrebbe giovrsi il lavoratore dipendente da ente pubblico non economico, costretto ad adire il giudice amministrativo. Trattasi di argomentazioni che nn trovano conferma nel vigente ordinamento, nel quale, per effetto del rinvio operato dal secondo comma dell'art. 7 della citata legge n. 1034 del 1971, all'art. 29 del t.u. 26 giugno 1924, n. 1054, ed all'art. 4 del t.u. 26 giugno 1924, n. 1058, e successive modificazioni, i tribunali amministrativi regionali esercitano giurisdizione esclusiva, tra l'altro, nei casi di ricorsi relativi al rapporto di impiego, prodotti dagl'impiegati dello Stato, degli enti od istituti pubblici sottoposti a tutela o anche a sola vigilanza dell'amministrazione centrale dello Stato, e dagli impiegati dipendenti dai comuni, dalle provincie, dalle istituzioni pubbliche di beneficenza o da qualsiasi altro ente o istituto pubblico sottoposto . a tutela o anche a sola vigilanza dell'amministrazione pubblica locale. Tale giurisdizione esclusiva, mediante il sindacato esercitabile sotto il profilo non solo della incompetenza e della violazione di legge, ma altres dell'eccesso di potere, ed in virt del potere di annullamento dell'atto impugnato, garantisce ai dipendenti dagli ent(pubblici non economici, avverso l'illegittimo licenziamento, appagante e penetrante tutela. In proposito va ricordato che pu ascriversi a suo merito proprio l'aver precorso ed orientato la legislazione volta a garantire agli avventizi dipendenti dello Stato e dagli enti pubblici locali un rapporto di lavoro meno precario. N esatto manchi la possibilit di far luogo ad interventi di urgenza, onde soddisfare la giusta esigenza di consentire al lavoratore l'attesa del risultato dell'azione da lui esperita per la reintegrazione nel rapporto di lavoro, senza incorrere nella necessit di fatto di trovare altra occupazione per ricavare il suo sostentamento; l'istituto della sospensione della esecuzione dell'atto impugnato, mediante ordinanza emessa in camera di consiglio, previsto dall'art. 21, ultimo comma, della legge istitutiva dei tribunali amministrativi regionali, consente, infatti, di porre sollecito rimedio alla svantaggiosa posizione del ricorrente sino alla definitiva pronuncia. In conclusione, la esclusione dall'mbito della giurisdizione ordinaria (e in seno a questa dalla competenza del pretore) delle controversie inerenti alla validit dei licenziamenti dei dipendenti degli enti pubblici non economici, la cui cognizione resta affidata al giudice amministrativo, per PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 317 effetto degli artt. 2, primo comma, lett. a, 3, primo comma, e 7, secondo comma, della legge n. 1034 del 1971, e dell'art. 6, ultimo comma, della--legge n. 604 del 1966, interpretato nei sensi dianzi esposti, non contrasta con i principi desumibili dai citati articoli della Costituzione; s che non fondate sono le proposte questioni. -(Omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 16 marzo 1976, n. 48 -Pres. Oggioni -Rel. Rossi -Commatteo (n. c.). Procedimento penale -Impugnazioni -Restituzione in termini -Non anche per la presentazione dei motivi -Legittimit costituzionale. (cost. art. 3 e 24; c.p.p., art. 183 bis). La limitazione della restituzione in termini solo alla presentazione della dichiarazione di impugnazione e non anche alla presentazione dei motivi non contrasta con gli artt. 3 e 24 della Costituzione (1). (Omissis). -La Corte costituzionale deve decidere se l'art. 183 bis, terzo comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui ammette la restituzione in termini per proporre il gravame, e non anche per presentare i motivi, contrasti o meno con gli artt. 24, secondo comma, e 3, primo comma, della Costituzione. Non sussiste anzitutto la denunciata violazione del diritto di difesa. Il legislatore del 1955, n!;l reintrodurre un istituto eccezionale, come quello della restituzione nei termini prescritti a pena di decadenza, pur ampliando la tutela sostanziale del diritto di difesa rispetto alla disciplina del codice di procedura del 1913, ha tenuto conto di altri interessi, parimenti rilevanti, i quali esigono che i processi siano portati a compimento entro congrui tempi perch la giurisdizione penale assolva alla sua fondamentale funzione. La limitazione della restituzione in termini all'impugnativa va considerata in riferimento alla circostanza che i motivi, quando non siano enunciati nello stesso atto di impugnazione, possono venir presentati dal difensore nominato, dal difensore del dibattimento di primo grado, ed infine trasmessi, anche dallo stesso interessato, a mezzo di rac_comandata postale (art. 201 c.p.p. ed art. 151 del testo vigente a seguito della sentenza n. 96 del 1971). La pluralit degli strumenti esistenti a tufela della parte che abbia proposto gravame dimostra che non v' lesione del diritto di difesa e giu stifica pienamente la norma impugnata. -(Omissis). (1) L'ordinanza di rimessione del Tribunale di Campobasso pubblicata in Gazzetta Ufficiale 17 luglio 1974, n. 187. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 318 CORTE COSTITUZIONALE, 16 marzo 1976, n. 49 -Pres. Oggioni -Rel. Reale -Bigi ed altri (n. c.). Impiego pubblico -Impignorabilit ed incedibilit della retribuzione Legittimit costituzionale. (cost., artt. 3, 24 e 28; c.p.c., art. 545; d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, art. 1). Non sono fondate, con riferimento agli artt. 3, 24, primo comma, e 28 della Costituzione, le questioni di legittimit costituzionale dell'art. 545, quarto e ultimo comma c.p.c. e dell'art. 1 d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, sulla impignorabilit delle retribuzioni dei pubblici dipendenti, dato che, nonostante il processo di osmosi tra disciplina del rapporto di pubblico impiego e disciplina del rapporto di lavoro privato, permangono fra di esse sensibili divergenze e dato che detta impignorabilit (come la 11.mitata cedibilit) posta a garanzia del buon andamento degli uffici e della continuit dei servizi pubblici (1). (Omissis). -4. -I giudici a quibus, pur dando atto che le suddette questioni sono state gi dichirate da questa Corte non fondate con la sentenza n. 88 del 1963 e manifestamente infondate con le ordinanze n. 131 del 1967, 37 del 1970 e 189 del 1973, le ritengono tuttavia meritevoli di un nuovo esame in quanto sussisterebbero elementi di valutazione tali da renderle, oltre che pregiudizialmente rilevanti, non manifestamente infondate. Con speciale riferimento all'art. 3 Cost., si assume che le differenze tra i due tipi di rapporto di lavoro, di diritto pubblico e di ,diritto privato, sono attualmente molto attenuate rispetto alla situazione cui hanno avuto riguardo le precedenti pronunzie di questa Corte sopra richiamate, in quan to gli aspetti vantaggiosi per i lavoratori cos del rapporto di pubblico im piego (stabilit, trattamento pensionistico, garanzie cosiddette giusti ziali) come di lavoro privato (indennit di liquidazione, tutela sindacale, diritto di sciopero etc.) sono andate progressivamente trasfondendosi dal l'uno all'altro tipo di rapporto. Questa evoluzione sarebbe particolarmente evidente nella determinazione della retribuzione, sia per l'orma~ incontro versa applicabilit, anche ai pubblici dipendenti, dei princpi enunciati nel l'art. 36 Cost., sia e soprattutto, per l'estensione, al. pubblico impiego, del sistema, caratteristico del rapporto di lavoro privato, di trarre il contenuto delle disposizioni sul trattamento economico dagli accordi collettivi (arti colo 24 legge 28 ottobre 1970, n. 775, ora sostituito dall'art. 9 della legge 22 luglio 1975, n. 382). (1) Le ordinanze di rimessione sono pubblicate in Gazzetta Ufficiale 6 novembre 1974, n. 289 e 9 luglio 1975, n. 181. Le sentenze n. 88 del 1963 e n. 209 del 1975 richiamate in motivazione sono pubblicate in Foro it., 1963, 1, 1093 e 1975, 1, 1573. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Di qui l'irragionevolezza delle disparit di trattamento che, in ordine alla pignorabilit delle retribuzioni, le norme impugnate crano, da un lato, tra pubblici e privati dipendenti e, dall'altro, tra i titolari di diritti di credito (diversi da quelli, sopra ricordati, per i quali ammessa dall'art. 2 d.P.R. citato una limitata pignorabilit) nei confronti di pubblici dipendenti e i titolari di analoghi diritti di credito verso privati dipendenti. Secondo il tribunale di Vicenza, poi, come si gi accennato, dette norme sarebbero da ritenersi in contrasto anche con l'art. 24, primo comma, Cost. (avuto riguardo alle difficolt che il creditore di soggetto cui concesso opporre l'impignorabilit della retribuzione, potrebbe incontrare nella realizzazione dei propri diritti) e con l'art. 28 Cost., poich esse consentirebbero restrizioni, in ordine alla responsabilit dei pubblici dipendenti, tali da eluder~ concretamente la responsabilit medesima. 5. -La parziale novit delle argomentazioni e gli innegabili mutamenti, nel frattempo intervenuti circa la disciplina dei rapporti di lavoro, inducono la Corte a riprendere in esame le questioni. Esse, peraltro, risultano tuttora infondate. certo esatto che le differenze tra il rapporto di pubblico impiego e quello di lavoro privato sono oggi molto ridotte rispetto al passato. Basti pensare aHa stabilit nel posto di lavoro che in conseguenza delle leggi 15 luglio 1966, n. 604, e 20 maggio 1970, n. 300, venuta a informare -sia pure entro certi limiti -anche il rapprto di lavoro privato o, per converso, al riconoscimento della possibilit di un'attivit sindacale in seno alla amministrazione statale (artt. 45 e segg. legge 18 marzo 1968, n. 249) e all'applicazione a dipendenti civili dello Stato o di aziende autonome statali del sistema di far precedere qualsiasi regolamentazione sul loro trattamento economico da accordi tra pubblica Amministrazione e organizzazioni sindacali (art. 9, legge 22 luglio 1975, n. 382, che ha sostituito l'art. 24, legge 28 ottobre 1970, n. 775). Ma da ci sarebbe arbitrar~o dedurre che le norme impugnate difet tino di ragionevolezza e siano conseguentemente lesive del principio di uguaglianza. Non solo perch, nonostante il processo di osmosi cui si precedentemente accennato, permangono ancor oggi sensibili divergenze tra la disciplina del rapporto di impiego pubblico e quello di diritto privato (vedi anche la sentenza n.. 209-75) ma soprattutto perch, come fatto palese dalla evoluzione storica della normativa concernente l'impignorabilit delle retribuzioni dei pubblici dipendenti e dalla stessa formulazione dell'art. 1 del d.P.R. n. 180 del 1950, la ratio di quest'ultima disposizione, pi che nelle differenze di disciplina dei due rapporti, va individuata nell'sigenza di garantire il buon andamento degli uffici e la continuit dei servizi della pubblica Amministrazione. In effetti, l'impignorabilit non che l'aspetto particolare di una normativa volta ad assicurare, nell'interesse precipuo RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO della p.a., l'indisponibilit giuridica -sia pure non assoluta -delle retribuzioni dei pubblici dipendenti e di coloro che comunque sono addetti a taluni pubblici servizi, il cui regolare funzionamento stato ritenuto di primaria importanza. La legge, infatti, non si limita a sancire l'impignorabilit degli stipendi ma ne vieta, altres, come si ricordato, oltre che il sequestro, la cessione, salvo che agli istituti indicati nell'art. 15 del d.P.R. citato, e con i limiti e le modalit in esso d.P.R. specificati. In passato, anzi, il divieto di cessione fu assoluto e solo in un secondo momento, per venire incontro alle esigenze dei dipendenti, i quali altrimenti sarebbero venuti a trovarsi nell'impossibilit di contrarre mutui per far fronte a gravi esigenze anche di carattere familiare, fu introdotta la possibilit di una limitata cessione, dando vita a provvidenze che nel tempo hanno poi assunto i caratteri di una vera e propria assistenza creditizia nei confronti dei dipendenti delle pubbliche Amministrazioni. Il che conferma che il legislatore, pi che alla natura del rapporto, ha avuto riguardo al carattere pubblico (o, comunque, di interesse generale) della funzione o del servizio esplicati attraverso il med('!simo, preoccupandosi di escludere, salvo talune eccezioni tassativamente previste, la possibilit di sottrazione o di distrazione, anche legittima, della retribuzione dovuta ai dipendenti, nell'intento che ci valga ad assicurare il regolare svolgimento della loro attivit nell'espletamento dell'ufficio o del servizio cui sono preposti. Premessi questi rilievi, appare evidente che la progressiva convergenza della disciplina dei rapporti di lavoro pubblico e privato non vale ad inficiare di irragionevolezza la denunciata disparit di trattamento tra i dipendenti privati"ed i dipendenti degli enti e delle imprese elencate nell'art. 1 del d.P.R. n. 180 del 1950. Le due situazioni non sono infatti identiche poich, come si gi osservato, nel secondo caso ricorre -a differenza che nel primo -un interesse pubblico a garantire il buon andamento di taluni uffici o servizi. E tanto basta ad escludere, secondo i princpi costantemente enunciati da questa Corte, che le norme impugnate concretino una violazione del principio di uguaglianza, in s considerato e nella specificazione che di esso fatta nell'art. 24, comma primo, della Costituzione. 6. -Ad escludere l'esistenza di ogni contrasto con l'art. 28 della Costituzione poi sufficiente osservare che detta norma se, da un lato, enuncia il principio della responsabilit personale dei dipendenti pubblici verso i danneggiati, dall'altro non esclude la possibilit che per quella dei medesimi vengano introdotte regole particolari e diverse rispetto ai princpi comuni in materia (sentenze n. 123 del 1972 e n. 2 del 1968), sempre che la disciplina adottata non sia tale da comportare un'esclusione pi o meno manifesta di ogni responsabilit (sentenza n. 4 del 1965). Il che non pu dirsi delle disposizioni impugnate, le quali non toccano n esplicita PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 321 mente n implicitamente il principio della diretta responsabilit del pubblico dipendente verso i danneggiati per gli atti compiuti in violazione dei diritti, limitandosi a sottrarre al~'!;zione esecutiva dei creditori, e per validi motivi, la retribuzione ed ogni altra indennit da essi percepita per effetto ed in conseguenza dell'opera prestata. Del resto, come questa Corte ha gi posto in rilievo nella gi ricordata sentenza n. 88 del 1963, la responsabilit patrimoniale del pubblico dipendente ben pu trovare attuazione rispetto ad altri beni e crediti esistenti nel patrimonio del debitore. -(Omissis). I. CORTE COSTITUZIONALE, 16 marzo 1976, n. 50 Pres. e Rel. Oggioni - Bertin (n. c.) e Presidente Consiglio dei Ministri (sost. avv. gen. dello Stato Gozzi). Procedimento penale -Posizione del pubblico ministero -Raffronto alla posizione delle parti. (cost., artt. 3 e 24; c.p.p., artt. 76 e 423 e segg.). Reati militari -Processo penale militare -Sospensione feriale -Inapplicabilit. (cost., artt. 3 e 24; I. 7 ottobre 1969, n. 742, art. 1). La garanzia costituzionale del diritto di difesa opera anche a favore del pubblico ministero, la cui posizione nel processo deve essere considerata pari a quella delle altre parti (1). La speciale composizione dei tribunali militari, la sollecitudine delle relative procedure, e le altre peculiari connotazioni del processo penale militare, quali la esclusione della possibilit di costituzione di parte civile e la mancanza del giudizio di appello, sono giustificate dalla esigenza di garantire l'osservanza dell'ordine giuridico militare. Dal pari giustificata la non applicabilit, al processo penale militare, della sospensione dei termini durante le ferie (2). (1-3) Le ordinanze di rimessione del Tribunale supremo militare e del Tribunale di Milano sono pubblicate in Gazzetta Ufficiale, 30 aprile 1975, n. 114 e 14 novembre 1973, n. 294. Le sentenze in rassegna (e sopratutto la n. 52) .risultano significative, per la problematica sulla collocazione costituzionale e sull'organizzazione degli uffici del Pubblico Ministero. Con la sentenza 9 aprile 1963, n. 40 (in Foro It., 1963, I, 1043), la Corte ha negato al P,M. la facolt di promuovere il processo di legittimit costituzionale. E con la sentenza 27 novembre 1963, n. 148 (ivi, 2265) ha precisato che nella nozione di giudice naturale di cui all'art. 25 Cost. non deve ritenersi compreso il Procuratore della Repubblica, e che l'art. 108 Cost. . ha separato la figura del P.M. da quella degli altri magistrati; nello stesso RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO II. CORTE COSTITUZIONALE, 16 marzo 1957, n. 52 -Pres. Rossi -Rel. Capalozza -Balugani ed altro (n. c.) e Presidente Consiglio dei Ministri (sost. avv. gen. dello Stato Carafa). Ordinamento giudiziario -Ufficio del pubblico ministero e componenti di detto ufficio -Rapporti interni e garanzia costituzionale. (cost., artt. 101, 107 e 108; r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 70). Le garanzie a tutela del pubblico ministero si riferiscono all'Ufficio unitariamente inteso e non ai singoli componenti di esso; la determinazione del contenuto di tali garanzie rimessa al legislatore ordinario. Deve distinguersi tra fasi istruttoria e predibattimentale e fase dibattimentale: in quelle prime fasi vi sono, tra il titolare dell'Ufficio e i dipendenti magistrati, rapporti di carattere amministrativo e ,non giurisdizionale. Non fondata la questione di legittimit costituzionale dell'art. 70 dell'ordinamento giudiziario (3). I. (Omissis) -1. -Con la suindicata ordinanza di rimessione a questa Corte, il tribunale supremo militare ha sollevato, di ufficio, questione di legittimit costituzionale dell'art. 1 della legge 7 ottobre 1969, n. 742, sulla sospensione dei termini processuali nel periodo feriale. L'ordinanza premette che, in relazione a sentenza assolutoria emessa, nel luglio 1974, dal tribunale militare territoriale di Padova nei confronti del.brigadiere di p.s. Bertin Egidio, il Procuratore militare aveva proposto tempestivo ricorso, notificato tuttavia fuori termine. Ci posto, il tribunale supremo ha osservato che la inapplicabilit, al caso, del computo senso anche la sentenza 2 aprile 1964 n. 32 (ivi, 1964, I, 689) in tema di avocazione da parte del Procuratore Generale. Nella sentenza 16 dicembre 1970, n. 190 (ivi, 1971, I, 8) la Corte ha definit\) la posizione del PM. come quella di un magistrato appartenente all'ordine giudiziario, collocato in posizione di istituzionale indipendenza rispetto ad ogni altro potere, e che non fa valere interessi particolari ma agisce esclusivamente a tutela dell'interesse 1generale dell'osservanza della legge, perseguendo fini di giustizia. Nella stessa sentenza stato peraltro confermato per il P.M. il ruolo di parte nel processo penale; per stato affermato che la peculiare posizione istituzionale e la funzione assegnata al primo (al P.M.) ovvero esigenze connesse alla corretta amministrazione della giustizia e di rilievo costituzionale possono giustificare una disparit tra parte privata e P.M., purch giustificata e ragionevole. Sono seguite le sentenze 17 novembre 1971, n. 177 (ivi, 1971, I, 2918), sulla illegittimit costituzionale dell'appello incidentale del P .M., e 17 febbraio 1972, . ' PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 323 della sospensione di diritto dei termini processuali, riservato soltanto alle giurisdizioni ordinarie e amministrative dalla citata legge del 1969 e non alla giurisdizione militare, che ha carattere speciale, condurrebbe al riconoscimento che il predetto sistema normativo sarebbe viziato da illegittimit, sia in relazione all'art. 3 Cost. (non razionale diversit di trattamento) sia in relazione all'art. 24 Cost. (difficolt di esercizio del diritto di difesa dell'imputato durante il decorso del periodo feriale). 2. L'Avvocatura dello Stato eccepisce preliminarmente la inammissibilit della questione perch irrilevante, in quanto nel processo a quo sarebbe oggetto di esame soltanto la tempestivit del ricorso del pubblico ministero, mentre le norme costituzionali in discussione riguarderebbero soltanto le posizioni dei cittadini e non degli organi giurisdizionali , L'eccezione non fondata. Basti ricordare che questa Corte ha pi volte avuto occasione di raffrontare la posizione giuridica del pubblico ministero e quella delle parti, ai fini del controllo sulla tutela del principio di eguaglianza, considerando parimenti l'uno e le altre, nella dialettica del processo, come parti (sentenza n. 190 del 1970, n. 177 del 1971, n. 27 del 1972). Pertanto, sono da escludere l'asserita dualit di posizioni e la conseguenza che se ne vorrebbe trarre, ai fini della rilevanza. 3. Nel merito, la questione non fondata. La dedotta differenziazione di disciplina non comporta violazione del principio di uguaglianza. Questa Corte ha costantemente affermato che, in tanto pu ritenersi sussistente tale violazione, in quanto si tratti di giudicare di regolamentazioni diverse di situazioni obbiettivamente omogenee, e in quanto non possa rilevarsi una razionale giustificazione per, la detta differenziazione. Il limite alla discrezionalit del legislatore , quindi, segnato esclusiva- n. 27 (in questa Rassegna, 1972, I, 29), sulla illegittimit costituzionale della presenza del P.M. alle deliberazioni del Consiglio nazionale forense in sede disciplinare, sentenze entrambe basate sul ruolo di parte dell'ufficio del P.M. Particolarmente importante la sentenza 29 aprile 1975, n. 96 (in questa Rassegna, 1975, I, 299), ove stato enunciato che nell'attivit giurisdizionale deve intendersi compresa non solo l'attivit decisoria, che peculiare e propria del giudice, ma anche l'attivit di esercizio dell'azione penale, che con la prima si coordina in un rapporto di compenetrazione organica. La sentenza n. 52, che qui si commenta, afferma che le garanzie di indipendenza previste dall'art. 101 Cost. si riferiscono all'Ufficio unitariamente inteso e non ai singoli componenti di esso '" e nel pervenire a tale affermazione trae argomento a contrario dall'art. 1, n. 61, della legge 3 aprile 1974, n. 108, ove si detta al legislatore delegato il principio della eliminazione dell'incidenza gerar chica nell'esercizio della funzione di accusa nella fase dibattimentale >>. Sulle garanzie riconosciute ai magistrati del P.M., cfr. anche SPAGNA Musso, Problemi costituzionali del pubblico ministero, in Riv. It. dir. proc. pen. 1963, pp. 407-408; DE MATTIA, Ipotesi di lavoro per la riforma del pubblico ministero, 324 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO mente dalla ragionevolezza della differenziazione, limite che, nella specie, certamente salvo in vista delle peculiari caratteristiche del processo penale militare nel quale si inserisce la figura di quel pubblico ministero, ripetendone ovviamente la peculiarit. La legge processuale penale militare, invero, tende a garantire l'osservanza dell'ordine giuridico militare, cio di uno dei dati salienti della funzionalit delle Forze armate, strumento di attuazione del principio proclamato con forza tutta particolare dell'art. 52 Cost., secondo cui La difesa della Patria sacro dovere del cittadino. E la portata di tale principio non si limita alla conservazione dell'organismo militare come tale, bens si estende alla garanzia dell'intera comunit statuale dalle offese che, coi;nunque, possano esserle arrecate. Risponde, fra l'altro, all'importanza tutta particolare della funzione cos garantita, la speciale composizione dei tribunali militari, in relazione alla quale sancita l'investitura di ufficiali ordinari come giudici, nonch la sollecitudine delle relative procedure, la cui pecualiarit , d'altra parte, caratterizzata da alcune fondamentali connotazioni, quali la esclusione della possibilit di costituzione di parte civile e la mancanza del giudizio di appello. Le descritte caratteristiche, unitamente al fatto che le norme penali militari sono contenute in un codice diverso dal codice penale comune e sono intese a disciplinare la condotta di persone che rivestono la particolare qualit di militari, sono sufficienti per ritenere la specialit del diritto penale militare, ed esdudono, quindi, l'applicabilit al processo penale militare della sospensione dei termini durante il periodo feriale. D'altra parte, il legislatore stesso, pur seguendo lo scopo di tutelare il riposo feriale, ci intese fare non in modo totalitario ed incondizionato ma tenendo anche conto dell'esigenza di non sacrificare a tali fini anche situazioni che pi gravemente avrebbero inciso sui diritti delle parti (sent. n. 130 del 1974), ed all'uopo ha sancito una serie di eccezioni alla e CARABBA F., Il pubblico ministero nell'ordine costituzionale, negli A.tti del citato convegno. Non affrontato stato il problema della compatibilit con la Costituzione dell'art. 39 del regio dcreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511, ove disposto che il pubblico ministero esercita, sotto la vigilanza del Ministro per la grazia e la giustizia, le funzioni che la legge gli attribuisce . Connesso a tale problema il tema delle attribuzioni deigli uffici del P.M. nel processo civile, attribuzioni che non sono previste da disposizioni costituzionali. In proposito, cfr. VIGORITI, Il P.M. nel processo civile italiano, in Riv. dir. proc. 1974, I, 296, ove tra l'altro si osserva che semplice fatto della proposizione della domanda al giudice fa acquistare al p.m. la qualifica di parte, qualifica che la dottrina ha cercato di precisare ulteriormente facendola seguire da espressioni come sui generis, meramente formale , artificiale, imparziale , ecc. Resta comunque che, proponendo la domanda, il p.m. si pone in una relazione dialettica e antagonistica con i titolari (o almeno con alcuni di essi) del rapporto sostanziale dedotto in giudizio; diventa contradditore delle parti private; al pari di questo ricorre a tutti i mezzi previsti dalla legge per fare valere l'interesse che egli deve tutelare. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE sospensione (artt. 2 e 3 legge 7 ottobre 1969, n. 742). E', quindi, del pari, ed anzi a maggior ragione, giustificabile l'esclusione della sospensione per i processi penali militari, la cui peculiarit , appunto, segnata da riflessi su interessi di ordine generale, di quella penetrante portata ed incisivit sopra indicate. -(Omissis). II. (Omissis). -2. -La questione, ritualmente proposta, , tuttavia, infondata. E' da premettere che la Costituzione, nell'art. 108, secondo comma, ha distinto gli organi del pubblico ministero da quelli della giuris9-izione e, nell'art. 112, ha attribuito al pubblico ministero la titolarit dell'azione penale, che ben diversa dalla potest di giudicare (vedansi le sentenze nn. 40 e 148 del 1963), pur coordinandosi con l'attivit decisoria in un rapporto di compenetrazione organica a fine di giustizia (vedasi la motivazione della sentenza n. 96 deL1975). Orbene, se pur vero che questa Corte, con sentenza n. 190 del 1970, ha definito la posizione del pubblico ministero come quella di un magistrato appartenente all'ordine giudiziario, che, fornito di istituzionale indipendenza rispetto ad ogni altro potere, non fa valere interessi particolari, ma agisce esclusivamente a tutela dell'interesse generale all'osservanza della legge, perseguendo fini di giustizia; altrettanto vero che le garanzie di indipendenza del pubblico ministero sancite, a livello costituzionale, dall'art. 107, vengono rimesse, per la determinazione del loro contenuto, alla legge ordinaria sull'ordinamento giudiziario. Le cui disposizioni non possono essere ritenute illegittime se per alclini momenti processuali, in cui pi pronunciato il carattere impersonale della funzione, atteggiano a criteri gerarchici l'attivit dell'organo. Infatti, a differenza delle garanzie di indipendenza previste dall'articolo 101 Cast. a presidio del singolo giudice, quelle che riguardano il pubblico ministero si riferiscono all'ufficio unitariamente inteso e non ai singoli componenti di esso. Del resto, nella fase istruttoria e predibattimentale, vi sono rapporti, tra il titolare dell'ufficio e i dipendenti magistrati , di carattere amministrativo e non giurisdizionale ben diversi da quelli che coinvolgono la sfera di compentenza del giudice (vedansi le sentenze n. 110 del 1963 e n. 32 del 1964, che hanno dichiarato illegittimi, in riferimento all'art. 25 Cost., rispettivamente agli artt. 234, secondo comma, e 392, terzo comma, ultima parte, del codice di procedura penale). Mette conto far presente che la legge delega per la riforma del codice di procedura penale, col sancire l'autonomia gerarchica e la insostituibilit del pubblico ministero d'udienza, implicitamente questa e quella esclude nelle altre fasi: legge 3 aprile 1974, n. 108, art. l, n. 61. -(Omissis). 326 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE COSTITUZIONALE, 16 marzo 1976, n. 51 -Pres. Rossi -Rel. Oggioni -Rulfi ed altri (avv. Comba) e Presidente Consiglio dei Ministri (sost. avv. gen. dello Stato Giorgio Azzariti). Sicurezza pubblica -Insegnamento dello sci -Regolamento per l'esecuzione del t.u. delle leggi di p.s. -Insindacabilit ad opera della Corte Costituzionale. tcost., art. 33; I. 1 dicembre 1971, n. 1051). L'applicazione che di una disposizione legislativa dta ad opera di un regolamento di esecuzione non ha rilevanza ai fini del giudizio di legittimit costituzionale (1). (Omissis) -Con la suindicata ordinanza di rimessione, viene solle-. vata questione di legittimit costituzionale dell'art. 123 del testo unico n. 773 del 1931 della legge p.s., nonch dell'articolo unico della legge n. 1051 del 1971, modificativo e integrativo del prece'dente art. 123, dai quali risulta che, per l'abilitazione all'insegnamento dello sci, necessario ottenere la licenza del Questore. Si assume in ordinanza che, poich trattasi di licenza subordinata all'accertamento della capacit tecnica del richiedente (citato art. 123, terzo comma) e poich tale accertamento , a sua volta, subordinato al rilascio di un certificato di idoneit da rilasciarsi dalla Federazione italiana sport invernali (F.I.S.I.) come previsto dall'art. 238 del Regolamento n. 635 del 1940 per l'esecuzione delle leggi di p.s., ne conseguirebbe l'illegittimit della normativa in quanto condizionata all'intervento di detta Federazione, organo non dotato dei necessari crismi di ufficialit e imparzialit, che, per l'abilitazione ad un esercizio professionale, potrebbero essere garantiti soltanto da un esame di Stato. -(Omissis). L'ordinanza, nel porre la questione di legittimit dell'articolo, in s considerato, non solleva dubbi circa la sua legittimit, sia per quanto ri guarda l'esigenza del rilascio di licenza da parte del Questore, sia per quan to riguarda l'esigenza di un previo accert.amento di capacit tecnica del ri chiedente: ossia (ed esattamente), non disconosce la legittimit del conte nuto normativo, quale posto in questione. Tuttavia, l'ordinanza, al di l dei limiti di questa normativa, aggiunge rilievi critici sul punto riguardante le modalit regolamentari di accertamento delle dette capacit tecniche, sotto il profilo di una loro non rispondenza ai richiamati principi fondamentali di raffronto, ci come assunto (1) L'ordinanza di rimessione pubblicata in Gazzetta Ufficiale del 25 giugno 1975, n. 166. Pu risultare interessante rilevare che, mf'.ntre rilevante l'interpretazione giurisprudenziale delle norme primarie, non ha rilvanza l'applicazione e l'interpretazione delle norme stesse ad opera di disposizioni regolamentari. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 327 che valga, di riflesso, a coonestare la sollevata questione di legittimit. Ma questa prospettazione, a parte che, secondo giurisprudenza (sentenze nn. 38 del 1961; 49 del 1962; 121 del 1963; 66 del 1966; 102 del 1972), disposizioni regolamentari, anche integrative .ed esecutive, di una disposizione di legge, non possono attrarre nell'ambito della competenza di questa Corte atti che, per loro natura, sono sottratti al controllo di costituzionalit, non vale a modificare i termini della sollevata questione. La modificazione aggiuntiva tanto pi evidente, laddove, col dispositivo della ordinanza, si precisa di voler sollevare la questione di legittimit dell'articolo di legge nella parte in cui si subordina la licenza al rilascio del certificato della Federazione mentre questa parte nell'articolo non si rinviene, se non come palese forzatura del testo. -(Omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 25 marzo 1976, n. 57 -Pres. Rossi -Rel. Oggioni -Caruso ed altri (n. c.) e Presidente Consiglio dei Ministri (sost. avv. gen. dello Stato Zagari). ' Propriet Esercizio della caccia e ripresa di fotografie di animali -Possi bilit di ingresso nei fondi altrui -Solo per l'esercizio della caccia. (cast., artt. 3, 33 e 42; cod. civ., art. 842). Per l'esercizio della caccia, la quale attivit sportiva non priva di positivo rilievo, essenziale la possibilit di ingresso nei fondi altrui; tale possibilit non invece essenziale per la ripresa di fotografie di animali vaganti. Pertanto, costituzionalmente legittimo l'art. 842 cod. civ., che consente e delimita la facolt di accesso nei fondi altrui (1). (Omissis) -Seguendo q~est'ordine di esame, si rileva che il giudice a quo, dopo aver negato il valore sociale della caccia, afferma che l'impo sizione, al proprietario di fondi, dell'obbligo sancito dall'art. 842 cod. civ. di consentire l'ingresso a terzi a scopo vnatorio, costituirebbe violazione dell'art. 42 Cost. perch si risolverebbe in una limitazione della propriet privata, imposta in difetto dei fini, previsti, invece, al riguardo, dalla norma costituzionale predetta. Deve osservarsi che il fenomf1!1o della caccia, pur se indubbiamente pre senta oggi caratteri socialmente diversi da quelli originari, non per questo pu essere considerato privo di positivo rilievo s da essere ritenuto non idoneo a giustificare eventuali limitazioni della propriet che il legislatore (1) Le due ordinanze di rimessione, entrambe del Pretore di Civitanova Marche, sono pubblicate su Gazzetta Ufficiale del 12 febbraio 1975, n. 41 e del 18 giugno 1975, n. 159. La sentenza 27 giugno 1973, n. 93, menzionata in motivazione, pubblicata in questa Rassegna, 1973, I, 1048, con nota di richiami. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ritenga di imporre per renderne possibile l'esercizio, a norma dell'art. 42, secondo comma, della Costituzione. Se pu ammettersi, invero, che non sono pi attuali le finalit e gli scopi primordiali di ordine essenzialmente economico e di difesa che caratterizzarono l'attivit venatoria nelle sue origini, come esercizio di un diritto naturale, deve altres darsi atto che, successivamente, ne stata sempre riconosciuta la rilevanza sociale, pur se progressivamente restringendone e condizionandone l'ambito in vista della necessaria coordinazione con altre esigenze ed altri diritti. Si cos giunti alla precisazione della sua natura di diritto di libert individuale, opportunamente disciplinato, come reso palese dall'analitica regolamentazione posta in essere a cominciare dalla legge 24 giugno 1923 n. 1420 fino al testo unico n. 1016 del 1939, modificato dalla legge n. 799 del 1967, con cui si progressivamente pubblicizzato il settore, inserendp definitivamente la caccia fra le libere manifestazioni sportivo-agonistiche ad interesse nazionale (sentenze nn. 69 del 1962, 59 del 1965, 93 del 1973) salvi il rispetto dell'incolumit delle persone, la doverosa protezione della fauna e dell'ambiente nonch la tutela dei prodotti e delle coltivazioni agricole. E mentre noto che lo sport un'attivit umana cui si riconosce un interesse pubblico tale da richiederne la protezione e l'incoraggiamento da parte dello Stato, deve ricordarsi che l'ingresso nei fondi altrui regolato dall'art. 842 cod. civ. elemento essenziale per l'esercizio del diritto di caccia, costituendone un necessario presupposto, giacch evidente che non ,sarebbe possibile cacciare senza la facolt di spostarsi alla ricerca della selvaggina. Trattasi, d'altra parte, di una facolt limitata ai fondi non recintati, esercitabile cio solo nei confronti di quei proprietari i quali non abbiano ritenuto di avvalersi dello jus prohibendi, connaturale al diritto di.propriet, e manifestato, qualora si tratti di terreni in attualit di coltivazione , mediante l'apposizione di particolari tabelle di divieto (art. 30 r.d. n. 1016 del 1939 modificato dall'art. 9 legge n. 799 del 1967); il che costituisce espressione di un ragionevole contemperamento fra la tutela del diritto dominicale di cui viene lasciata la piena disponibilit al titolare, a condizione che manifesti la sua volont in un determinato modo, e la garanzia del diritto di libert di cacciare. Tutto ci premesso, lecito ravvisare la presenza di giustificati motivi di ordine sociale alla limitazione a carico del proppetario prevista dall'art. 842 cod. civ., il che esclude il lamentato contrasto con l'art. 42 Cost. sotto il profilo delineato nell'ordinanza di rinvio del 25 gennaio 1975. 3. -. Vanno ora esaminate le censure sollevate dal giudice a quo nell'ordinanza del 6 novembre 1974 con riferimento agli artt. 2, 3, 9, 33 e 42 Cost., nel presupposto che la implicita esclusione della facolt di introdursi nei fondi altrui da parte di chi intenda svolgervi attivit artistico-culturali (fotografie di animali vaganti) costituisca violazione dei diritti dell'uomo, della parit di trattamento, del promovimento della ricerca scientifica, della PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE libert dell'arte e d~lla scienza, nonch del contenuto del diritto di propriet. Sotto tali profili, deve anzitutto osservarsi che le libert invocate, come tutti i diritti di libert, nascono limitate, essendo il concetto di limite insito nel concetto di diritto, come questa Corte ha affermato fin dalla sent. n. 1 del 1956. Il che, appunto, sta a significare la possibilit della determinazione della sfera di azione dei vari soggetti entro condizioni tali che ne risultino garantiti i diritti altrui egualmente meritevoli di protezione costituzionale. Richiamando a questo punto la gi illustrata essenzialit della facolt di spostamento ai fini dell'esercizio effettivo del diritto di caccia e-la riconosciuta utilit sociale che all'esercizio stesso connaturata, evidente che, mentre la facolt suddetta si palesa razionalmente insopprimibile, l'eventuale facolt di ingresso in un fondo altrui per esercitarvi, invece, le attivit artistico-culturali in esame, non investe un parallelo carattere di essenzialit, restando pur sempre le libert invocate suscettibili di attuazione con diverse modalit, data la loro complessa e multiforme sostanza di ricerca ed elaborazione scientifica, mista all'esercizio di attivit tendenti al raggiungimento di fini di carattere prevalentemente estetico. L'esclusione lamentata trova indubbio fondamento nel rispetto del diritto di propriet, quale costituzionalmente garantito. -(Omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 25 marzo 1976, n. 58 -Pres. Rossi -Rel. Astuti -Regione Calabria (avv. Sorrentino) c. Ministero dei Trasporti (sost. avv. gen. dello Stato Giorgio Azzaritti). Regioni -Tranvie e autolinee di interesse regionale -Navigazione e Regio ni -Porti lacuali -Distinzione di tali materie dalla materia della sicu rezza pubblica. (cost., artt. 117 e 118; d.P.R. 14 gennaio 1972, n. 5, artt; 3 e 9; d.P.R. 18 ottobre 1957, n. 1367, art. 33). Corte Costituzionale -Conflitto di attribuzioni -Interesse a ricorrere Requisito dell'attualit. (cost., art. 134). Regioni -Tranvie e autolinee di interesse regionale -Distinzione di tale materia da quella dei trasporti ferroviari. (cost., artt. 117 e 118; d.P.R. 28 giugno 1955, n. 771, art. 46; d.P.R. 14 gennaio 1972, n. 5, artt. 1, 2 e 9; I. 23 dicembre 1963, n. 1855, art. 3, e I. 18 marzo 1968, n. 368). In materia di tranvie e linee automobilistiche di interesse regionale nonch di navigazione e porti lacuali, spettano allo Stato attribuzioni in tema di sicurezza degli impianti dei veicoli e dei natanti e di accertamento dell'idoneit tecnica del personale addetto, attribuzioni che vanno ri 330 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO condotte alla materia della pubblica sicurezza, concernente l'interesse generale alla incolumit dei cittadini; parimenti spettano allo Stato le attri buzioni di vigilanza sulla sicurezza dei trasporti, e in particolare i poteri di accertmento delle contravvenzioni previste dalle leggi relative ai diversi mei di trasporto (1). L'interesse a ricorrere per conflitto di attribuzione deve presentare il requisito della attualit. N_on attuale l'interesse a ricorrere avverso una circolare amministrativa, per la parte di essa che non incide sull'attivit amministrativa (2). Spettano allo Stato le attribuzioni amministrative per il coordinamento tra strada e rotaia, in quanto funzionalmente collegate alla materia delle linee ferroviarie, e per la gestione dei servizi automobilistici integrativi delle ferrovie calabro-lucane, per avere il legislatore ordinario assoggettato tali servizi al regime giuridico delle linee ferroviarie e comunque per il loro carattere interregionale (3). ' (Omissis). -4. L'art. 2 del d.P.R. n. 5 del 1972 dichiara che le linee ferroviarie in concessione, o in gestione commissariale governativa, nonch le ferrovie secondarie gestite dall'azienda autonoma FF.SS., che a giudizio del Governo dl?lla Repubblica non siano pi utili alla integrazione della rete primaria nazionale possono essere trasferite, con legge dello Stato, alla Regione nel cui territorio si svolgono . La Regione ricorrente lamenta che la circolare ministeriale abbia affermato, in conformit al parere espresso dal Consiglio di Stato, che la norma dell'art. 2, non rientrando le ferrovie tra le materie elencate nell'art. 117 della Costituzione, deve essere intesa come diretta ad indicare al legislatore un orientamento di preferenza per l'ulteriore delega alle Regioni (anzich per il trasferimento) di funzioni sta tali in materia. di ferrovie in concessione e in gestione governativa . E poi (1-3) La distinzione tra. interessi regionalmente localizzati e interessi unitari ... non suscettibili di frazionamento territoriale (Corte Cost., 24 lu glio 1972, n. 138, in questa Rassegna, 1972, I, 955) e il principio, pi volte affer mato, secondo cui una volta individuato con criteri obbiettivi il contenuto delle singole materie assegnate alle Regioni, ia connessione teleologica con la cura degli interessi pubblicistici ad esse inerenti non giustifica un ampliamento della com petenza fino a comprendervi materie o settori obbiettivamente diversi (cos, ad esempio, Corte Cost., 27 luglio 1972, n. 154, ivi, 1041) sono i criteri di fondo cui si ispirata la sentenza in rassegna. In motivazione, a materie attribuite alle Regioni vengono dialetticamente contrapposte materie rimaste attribuite allo Stato (la materia della sicu rezza pubblica e quella dei trasporti ferroviari). E' questo un modo di argomen tare dei cui limiti bene avere consapevolezza, posto che, com' ovvio, di ma terie ,, obbiettivamente individuate e delimitate pu parlarsi solo con riguardo alle attribuzioni regionali. Significativo peraltro il riconoscimento al legislatore ordinario statale del potere di determinare quali autolinee siano di interesse regionale e quali.invece PARm I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 331 ch l'art. 2 parla cli trasferimento e non cli delega, si assume che la circolare ministeriale si risolve in una inammissibile critica al decreto delegato , con violazione dell'art. 117 della Costituzione. La difesa dello Stato ha posto in dubbio l'interesse della Regione a sollevare la questione in ordine a tale interpretazione dell'art. 2, contenuta in una circolare, e quindi priva cli qualsiasi efficacia vincolante, anche come mero orientamento, nei confronti del legislatore, unico destinatario della norma. Deve riconoscersi che questo punto della circolare non presenta materia attuale cli conflitto, non avendo nessuna incidenza sulla attribuzione delle funzioni amministrative prevista dal d.P.R. n. 5 del 1972, oggetto del ricorso, e non pu conseguentemente dar luogo, allo stato, ad alcuna pronuncia di questa Corte. 5. -La Regione ricorrente contesta l'applicabilit nei suoi confronti della disposizione dell'art. 46, ultimo comma, del d.P.R. 28 giugno 1955, n. 771, per cui la concessione di linee automobilistiche il cui percorso interferisca comunque con servizi pubblici cli trasporto ad impianti fissi gestiti o concessi c).allo Stato subordinata al preventivo assenso del Ministero dei trasporti. Questa disposizione, tuttora vigente per le autolinee di concessione comunale, non potrebbe pi applicarsi nei confronti delle Regioni per effetto dell'avvenuto trasferimento delle funzioni amministrative esercitate dagli organi centrali e periferici dello Stato in materia di linee automobilistiche di interesse regionale, a norma dell'art.1 del d.P.R. n. 5 del 1972. L'assenso ministeriale dovrebbe ritenersi incompatibile con la autonomia amministrativa delle Regioni in tema cli concessione delle linee automobi- G listiche cli loro competenza, e le esigenze di coordinamento delle attivit amministrative regionali con quello dello Stato, o di altre Regioni, dovrebbero comunque attuarsi, ai sensi dell'art. 17 della legge 16 maggio 1970, si integrino con il sistema ferroviario; il che altro non se non una conferma del riconoscimento al legislatore ordinario statale del potere di distinguere interessi regionalmente localizzati da interessi nazionali unitari. Un altro profilo della sentenza sembra opportuno evidenziare: impugnata dalla Regione con ricorso per conflitto di attribuzioni una circolare statale interpretativa di atti di legislazione primaria (il decreto del Presidente della Repubblica n. 5 del 1972, l'art. 46 del decreto del Presidente della Repubblica 28 giugno 1955, n. 771) non impugnati dalla Regione stessa, la Corte ha finito per sottoporre al proprio giudizio, congiuntamente e indistintqmente, sia la circolare che i provvedimenti legislativi da essa interpretati. Il che pu, sotto certi aspetti, essere considerato un superamento dell'orientamento in forza del quale la Corte pu -alla stregua di giudice a quo -introdurre davanti a se stessa questioni di legittimit costituzionale in via incidentale. In sostanza, per tale via si pu pervenire .a riconoscere uno speciale trattamento alle disposizioni legislative incidenti sulle attribuzioni regionali e statali, disposizioni queste sindacabili in ogni tempo nell'ambito dei giudizi sui conflitti di attribuzione. 332 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO n. 281 (ora dell'art. 3 della legge 22 luglio 1975, n. 382), solo mediante direttive di carattere generale, e non con provvedimenti di assenso caso per caso, lesivi della competenza delle Regioni. La circolare ministeriale, in cui si afferma l'ulteriore vigenza del disposto dell'art. 46 anche nei confronti delle Regioni, confligerebbe con l'art. 117 della Costituzione, in relazione agli artt. 3 e 9 del d.P.R. n. 5 del 1972. Anche questa censura non appare fondata, perch, come ha osservato la difesa dello Stato, il decreto delegato di trasferimento nulla ha innovato I rispetto ai poteri proprii dello Stato, e per esso del Ministero dei trasporti, t in materia di coordinamento tra strada e rotaia. Bench detto decreto non. ~ contenga un'espressa riserva allo Stato dell'attribuzione relativa al rilascio ! dell'assenso previsto dall'art. 46 del d.P.R. n. 771 del 1955, il Consiglio di I Stato ha giustamente rilevato che essa funzionalmente ricollegata alla 1 1 materia delle linee ferroviarie, che non rientra tra quelle demandate alla 1 potest legislativa ed amministrativa regionale. Occorre d'altra parte ricorf dare che l'art. 9, primo comma, del d.P.R. n. 5 ha mantenuto ferme, in linea generale, tutte le attribuzioni degli organi statali che, pur essendo eser I i: citate in relazione alle attivit di cui al presente decreto, riguardano ma (.f. terie non comprese nell'art. 117 della Costituzione. ;: i~ Non sussiste nemmeno la denunciata violazione del bisogno dell'art. 3 I: " del decreto delegato, col quale sono state trasferite alle Regioni le funzio1 t= ni riguardanti la concessione all'impianto ed esercizio delle linee automobil listiche, gi attribuite ad organi statali: altro la concessione, ed altro il l' controllo della compatibilit di una nuova linea automobilistica il cui per ~~ corso interferisca con servizi ferroviari di competenza dello Stato. E si pu r infine osservare che nell'ipotesi in cui il Ministro dei trasporti rifiutasse f: f senza giusti motivi l'assenso alla istituzione di una linea automobilistica f: di interesse regionale, la Regione avrebbe ogni possibilit di tutela nella != i competente sede giurisdizionale amministrativa. l 6. -La Regione denuncia la lesione della propria competenza ammini~ ~ strativa anche per quanto concerne la riserva agli organi statali dell'accer1 .tamento delle contravvenzioni previste dalle leggi speciali relative ai vari f ~ modi di trasporto. L'accertamento di dette contravvenzioni non rientre)' ~ rebbe nelle funzioni di polizia giudiziaria in senso proprio, n avrebbe ad f f. oggetto reati, trattandosi pi semplicemente di attivit di polizia amminif f. f. strativa, funzio~almente connessa con il rapporto di concessione, onde si ~ i reprimono per tale via le infrazioni alle regole circa la sicurezza e la regof larit dei trasporti . La competenza ad accertare infrazioni di carattere penale non potrebbe essere attribuita ad organi amministrativi n regionali n statali, come invece dispongono le leggi speciali in questione, ad esempio l'art. 36, terzo comma, della legge 28 settembre 1939, n. 1822, per cui l'accertamento delle contravvenzioni spetta esclusivamente ai funzionari dell'Ispettorato generale MCTC , i quali, se fossero agenti di polizia giudi 1 1 I PARTE I, SEZ., I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE ziaria dovrebbero essere a disposizione dell'autorit giudiziaria, ai sensi dell'art. 109 della Costituzione, il ehe non . Anche questa censura priva di fondamento: come ha esattamente di chiarato il Consiglio di Stato, l'accertamento delle contravvenzioni alle leggi speciali riguardanti i servizi di trasporto e l'iniziativa dei relativi procedimenti penali costituiscono tipiche funzioni di polizia giudiziaria, e come tali sono espressamente riservate agli organi dello Stato dal primo comma dell'art. 9 del d.P.R. n. 5 del 1972. Inesattamente la difesa della Regione fa richiamo all'articolo 36, terzo comma, della legge n. 1822 del 1939 sulla disciplina degli autoservizi di linea (ora abrogato e sostituito dall'art. 1, terzo comma, della legge 29 ottobre 1949, n. 826), per sostenere che tutte le contravvenzioni, il cui accertamento ivi attribuito alla competenza esclusiva dei funzionari dell'ispettorato MCTC, hanno natura di mera polizia amministrativa. L'art. 36, come risulta anche dagli artt. 20 e seguenti della stessa legge, ha ad oggetto le infrazioni alle disposizioni dirette a garantire la regolarit e la sicurezza dell'esercizio dei servizi pubblici automobilistici , e pertanto, mentre deve riconoscersi che la vigilanza sulla regolarit dell'esercizio stata trasferita alle Regioni a norma dell'art. 3, lett. e, del decreto delegato n. 5, si deve invece ritenere che la vigilanza sulla sicurezza spetta alla competenza degli organi statali, i quali, nell'esercizio di detta funzione, svolgono attivit di polizia giudiziaria, ed assumono la qualifica di ufficiali o agenti di polizia giudiziaria ai sensi dell'art. 221, ultimo comma, del codice di procedura pe nale, in posizione di dipendenza funzionale rispetto all'autorit giudiziaria. Nei limiti sopra indicati, -e la circolare ministeriale fa espresso rife rimento proprio e soltanto all'accertamento dei reati previsti nelle leggi speciali relative ai vari modi di trasporto-, deve escludersi che sussista1 alcuna lesione della competenza attribuita alle Regioni dal ricordato art. 3, lett. e, del decreto n. 5 del 1972. Occorre del resto aggiungere che la riserva di competenza degli organi statali quanto alle funzioni di polizia giudizia ria non esclude n impedisce che l'accertamento delle contravvenzioni possa avvenire anche su rapporto degli organi regionali cos come di altri organi di polizia statale, spettando peraltro all'autorit giudiziaria di richiedere agli ispettorati MCTC i necessari e dovuti accertamenti a premessa del promovimento dell'azione penale, cos come questa Corte ha avuto occa sione di precisare con sentenza n. 218 del 1975. 7. -La Regione denuncia infine la violazione dell'art. 117 della Costituzione in relazione agli artt. 1 e 2 del d.P.R. n. 5 del 1972, in quanto la circolare ministeriale esclude dal trasferimento le autolinee integrative delle ferrovie calabro-lucane. Poich l'art. l, lett. b, del decreto delegato ha disposto il trasferimento alle Regioni di tutte le linee automobilistiche di servizio pubblico, anche se sostitutive di linee tranviarie e ferroviarie in concessione e di linee delle ferrovie dello Stato definitivamente soppresse, e RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ci sebbene le autolinee sostitutive siano assoggettate in via di principio alla disciplina propria dei servizi ferroviari, la Regione osserva che non vi sarebbe motivo di imporre un diverso trattamento per le cosiddette autolinee integrative di servizi ferroviari, le quali non esistono come categoria a s stante, ma sono ordinari servizi automobilistici, disciplinati dalla legge generale sulle autolinee del 28 settembre 1939, n. 1822; e appunto per questo il decreto di trasferimento non ne avrebbe fatto espressa menzione, comprendendole nella categoria generale delle linee automobilistiche di servizio pubblico . Nella specie, si tratterebbe di una vasta rete di linee automobilistiche d'interesse esclusivamente regionale, di sviluppo incomparabilmente superiore a quello delle ferrovie calabro-lucane, la cli assunzione da parte dello Stato avrebbe avuto origini del tutto contingenti, per essere state rilevate in base a titolo diverso dal riscatto delle anzidette ferrovie, e con carattere provvisorio. Non vi sarebbe quindi plausibile ragione per sottrarre alla competenza regionale tanta parte dei servizi automobilistici locali, conservando una gestione governativa in aperto contrasto con il disposto dell'ar 1 del decreto di trasferii:;nento. Occorre precisare al riguardo che le ferrovie calabro-lucane furono oggetto di riscatto e gestione commissariale a norma della legge 23 dicembre 1963, n. 1855, la quale prevedeva all'art. 3 il contemporaneo rilievo, dalla stessa data del 10 gennaio 1964, degli autoservizi di linea integrativi di dette ferrovie; e che con successiva legge 18 marzo 1968, n. 368, il Ministero dei trasporti stato autorizzato a procedere al rinnovamento, ammodernamento e potenziamento di tutti i 'servizi di trasporto esercitati per mezzo della gestione governativa delle ferrovie calabro-lucane ed autoservizi integrativi, al fine di porli in grado di soddisfare nella maniera pi razionale e conveniente, secondo un piano quadriennale e per l'importo di sedici miliardi di lire le esigenze del traffico nel quadro dello sviluppo economico e sociale delle Regioni interessate . L'art. 6 di questa legge ha inoltre autorizzato il Ministero dei trasporti ad esercitare per mezzo della stessa gestione governativa anche altri autoservizi. integrativi del!a rete ferroviaria o servizi di trasporto filoviario, al fine di realizzare il coordinamento della rete delle ferrovie calabro-lucane con altri servizi di trasporto, eliminando situazioni concorrenziali e servizi superflui . Con riferimento a questa speciale situazione, il Consiglio di Stato nel gi ricordato parere la osservato che se in via generale le cosiddette autolinee integrative dei servizi ferroviari sono soggette alla medesima disciplina giuridica delle autolinee ordinarie, tale regola non pu essere, perattro, considerata valida per le autolinee integrative delle ferrovie calabrolucane , in quanto, come risulta chiaramente dalla lettera e dalla ratio delle citate leggi del 1963 e del 1968, esse sono state assunte direttamente dallo Stato a me~zo della gestione governativa alla pari delle linee ferroviarie; sono state, cio, inserite in un contesto unitario, soggetto al diverso PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 335 regime giuridico delle linee ferroviarie in gestione commissariale, e che, comunque, per il suo carattere interregionale, trascende gli interessi di una singola Regione . Queste argomentazioni appaiono ineccepibili, specie in considerazione del fatto che la legge n. 368 del 1968 ha disposto l'attuazione di un piano organico di rinnovamento, ammodernamento e potenziamento dell'intero complesso di servizi affidato alla gestione governativa, talch lo scorporo delle linee auto~obilistiche aventi carattere integrativo della rete ferroviaria in questione potrebbe compromettere il conseguimento delle finalit di interesse pubblico, statale e regionale, anzi interregionale, volute dal legislatore. Non sussiste dunque la prospettata violazione dell'art. 117 della Costituzione, in relazione all'art. 1 del decreto delegato n. 5, cos come non violato il disposto dell'art. 2 del decreto stesso, dato che spetta proprio al legislatore, e ad esso soltanto, di provvedere, se e quando lo ritenesse opportuno, all'eventuale trasferimento alle Regioni Calabria e Lucania delrintera rete ferroviaria e autotranviaria in discorso, secondo quanto stato suggerito dalla Commissione parlamentare per le questioni regionali, al n. 4, lett. b, del suo gi ricordato parere. Devesi infine osservare che qualora sussistessero in Calabria singole linee automobilistiche d'interesse regionale, in gestione governativa ma non aventi carattere integrativo rispetto alla rete delle ferrovie calabrolucane, di fronte ad eventuali situazioni anomale e prive di giustificazione la Regione potrebbe sempre rivendicare il proprio titolo ad ottenere il trasferimento a' sensi dell'art. 1, lett. b, del d.P.R. n. 5 del 1972 nella competente sede giurisdizionale. -(Omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 25 marzo 1976, n. 59 -Pres. Rossi -Rel. Gionfrida -Soc. Ass. Sutoria (n. c.) e Presidente Consiglio dei Ministri (sost. avv. gen. dello Stato Angeli:ni Rota). Lavoro -Agenti e rappresentanti di commercio -Requisito della iscrizione in ruolo - costituzionalmente legittimo. (cost., artt. 4, 35 e 41; 1. 12 marzo 1968, n. 316 artt. 1 e 9). L'iscrizione,. in un ruolo .aperto, degli agenti e rappresentanti di commercio non contrasta con il diritto al lavoro e con la libert di iniziativa economica (1). (1) L'ordinanza di rimessione 4 luglio 1973 del Tribunale di Milano pubblicata, in Gazzetta Ufficiale, 6 marzo 1974, n. 62. La sentenza 21 maggio 1970, n. 82, richiamata in motivazione pubblicata in questa Rassegna, 1970, I, 523. Cfr. anche le sentenze 26 gennaio 1957, n. 3, per i dottori commercialisti, 16 giugno 1968, n. 102 e 29 aprile 1971, n. 89, per i consulenti del lavoro, 15 marzo 1972, n. 43, per i geometri e i ragionieri, 23 marzo\1968, n. 11 e 10 luglio 1%8, n. 98 per i giornalisti, e 10 luglio 1973, n. 120, per i tecnici di radiologia medica. 336 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (Omi$sis). -2. -La questione non fondata. La normativa denunziata non ostacola, invero, n comprime in modo alcuno la libera esplicazione dell'attivit di agente o rappresentante di commercio, bens si limita a disciplinarne l'esercizio: prescrivendo (al duplice fine di dare pubblica notizia dei soggetti che svolgono la detta attivit e di accertare i requisiti di idoneit morale e tecnica degli stessi) I' iscrizione in un apposito ruolo aperto a tutti coloro che siano cittadini italiani, di uno Stato membro della CEE o stranieri residenti, abbiano il godimento dei diritti civili, non siano interdetti, inabilitati, falliti o incorsi in condanne per determinati reati e siano in possesso del titolo di scuola secondaria di primo grado . La rispondenza di tale disciplina ad esigenze di tutela (nell'un tempo) degli interessi professionali degli stessi agenti e rappresentanti e degli interessi, altres, di quanti, in genere, partecipano ai settori della produ zione e dello scambio, evidente; ed stata, comunque, gi ritenuta, da questa Corte, anche in considerazione sia del carattere fiduciario dell'attivit (dagli agenti e rappresentanti) svolta nell'interesse degli imprenditori e della pubblica fede, sia delle esigenze del mercato internazionale, in particolar modo di quello della Comunit economica europea, nei cui confronti vigono per lo Stato italiano speciali impegni. (Cfr. la sentenza della Corte costituzionale 21 maggio 1970 n. 82). -(Omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 25 marzo 1976, n. 60 -Pres. Rossi Rel. Volterra -Soc. Newton Compton, editori ed altri (n. c.) e Presidente Consi glio dei Ministri (sost. avv. gen. dello Stato Giorgio Azzariti). Stampa Diffusione del pensiero Diritto d'autore -Inibitoria e sequestro a protezione di detto diritto -Legittimit costituzionale. (cost., art. 21; I. 22 aprile 1941, n. 633, artt. 156 e 161). Con la dizione legge sulla stampq. (art. 21, comma terza Cast.) il legislatore costituzionale ha indicato il complesso delle norme primarie riguardanti la materia della stampa e, in genere, della diffusione del pensiero, pertanto, non v' alcuna esclusione costituzionale per l'applicabilit delle misure di interdizione e di sequestro previste negli artt. 156 e 161 della legge sul diritto d'autore (1). (1) Le ordinanze di rimessione sono pubblicate in Gazzetta Ufficiale del1' 8 maggio 1974, n. 119 e del 9 aprile 1975, n. 95. La sentenza 9 luglio 1970, n. 122, della Corte pubblicata in Foro it., 1970, I, 2294; in essa stato affermato che la norma contenuta nel 3o comma dell'art. 21 Cost. copre l'intera area del sequestro, qualunque sia il contrapposto interesse col quale la stampa entra in collisione . Le sentenze 19 gennaio 1972, n. 4 e 12 aprile 1973, n. 38 sono pubblicate in questa Rassegna, rispettivamente 1972, I, 4 e 1973, I, 655, con note di richiami. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (Omissis) -Fondamento dell'una e dell'altra questione l'interpretazione restrittiva che il giudice a quo d al comma terzo dell'art. 21 della Costituzione e pi precisamente all'espressione legge sulla stampa , ritenendo che costituisca fonte abilitante ad autorizzare il provvedimento previsto nel comma citato non un qualunque atto legislativo, ma soltanto una legge disciplinante espressamente questa materia, la quale sotto quella speciale intitolazione raccolga ogni disposizione regolativa attinente alla stampa. Tale, secondo il medesimo giudice, non sarebbe la legge 22 aprile 1941, n. 633, intitolata protezione del diritto d'autore e di altri diritti connessi al suo esercizio, alla quale appartengono gli articoli denunziati. 3. L'esposta interpretazione dell'art. 21, comma terzo, si appalesa errata. Essa condurrebbe infatti implicitamente e conseguentemente a ritenere che la legge indicata nel detto articolo dovesse essere regolatrice esclusiva della stampa nel senso di non ammettere che altri atti legislativi possano introdurre modifiche o disposizioni diverse rispetto alla medesima materia. Il significato e la portata dell'art. 21, comma terzo, della Costituzione sono stati chiaramenteindicati da questa Corte nella sentenza n. 4 del 1972, escludendosi che con la dizione legge sulla stampa il legislatore costituzionale abbia voluto dar vita ad un tipo speciale di riserva di legge, risultando anzi agli stessi lavori preparatori la piena equivalenza fra la dizione legge e quella di legge sulla stampa . Ed invero, ha aggiunto la Corte, obbiettivamente considerata, la formula dell'art. 21 non cos univoca da potersene argomentare la volont di introdurre una riserva qualificata di legge, potendo invece venire interpretata come indicativa del complesso delle norme riguardanti la materia, anche all'infuori della loro riunione formale in unica sede . Non sussiste pertanto nessuna esclusione costituzionale per l'applicabilit delle misure di interdizione e di sequestro previste negli artt. 156 e 161 della legge n. 633 del 1941, ove ricorrano entrambi i presupposti costituzionali previsti per il sequestro di stampati o per altre misure cautelari analoghe e cio l'espressa previsione di legge e la qualificazione dell'ipotesi come delittuosa. 4. -E' superfluo per la risoluzione della questione di legittimit costituzionale sollevata dal giudice a quo indagare se l'art. 21 che tutela la liber-. t di manifestare liberamente il proprio pensiero, sia anche rivolto a tutelare la manifestazione del pensiero altrui sotto il profilo dell'informazione la quale abbia luogo senza o contro la volont dell'autore. -(Omissis). 338 RASSE~NA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE COSTITUZIONALE, 8 aprile 1976, n. 69 -Pres. Rossi -Rel. Astuti - Zennaro (n. c.). Reato -Reati commessi e giudicati all'estero -Rinnovamento del giudizio Deroga al divieto del ne bis in idem -Illegittimit costituzionale Esclusione. (cost., artt. 10 e 24; c.p., art. 11, secondo comma). Non fondata,' con riferimento all'art. 10, primo comma, e all'art. 24, secondo comma, della Costituzione, la questione di legittimit costituzionale dell'art. 11, secondo comma, del codice penale, in base al quale, nei casi di reati commessi all'estero indicati negli articoli 7, 8, 9 e 10 dello stesso codice, il cittadino o lo straniero, che sia stato giudicato all'estero, giudicato nuovamente nello Stato, qualora il Ministro della giustizia ne faccia richiesta (1). (Omissis) 1. -Con l'ordinanza di rimessione viene sollevata, in riferimento agli artt. 10; primo comma, e 24, secondo comma, della Costituzione, la questione di legittimit costituzionale dell'art. 11, secondo comma, del codice penale. Questa disposizione, per cui nei casi di reati commessi all'estero indicati negli artt. 7, 8, 9 e 10 dello stesso codice, il cittadino o lo straniero, che sia stato giudicato all'estero, giudicato nuovamente nello Stato, qualora il Ministro della giustizia ne faccia richiesta , violerebbe -secondo il giudice a quo -sia il principio del ne bis in idem, facente parte delle norme internazionali generalmente riconosciute la cui osservanza imposta dall'art. 10, primo comma, della Costituzione, sia anche i princpi del processo giusto, da considerarsi tra i diritti inviolabili dell'uomo ai sensi degli artt. 2 e 24, secondo comma, della Costitu.zione. L'ordinanza osserva al riguardo che da una parte il Patto internazionale dei diritti civili e politici del 1966, all'art. 14/7, prevede il divieto del bis in idem come norma di carattere internazionale e pone detto divieto tra le garanzie fondamentali dell'uomo quale requisito del proesso giusto , dall'altra parte la Convenzione europea sul valore internazionale delle sentenze penali, all'art. 53, prevede espressamente la stessa garanzia, come noto pi pregnante quando la previa sentenza irrevocabile sia -come nel caso in esame -di assoluzione; ed aggiunge che non dovrebbe attribuirsi rilievo alla circostanza che dette convenzioni non sono ancora operanti per non essere stati perfezionati i relativi strumenti di ratifica, dal momento che i princpi del processo giusto sono stati recepiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libert fondamentali del 1950, ratificata dall'Italia con legge 4 agosto 1955, n. 848. (1) La sentenza 18 aprile 1967, n. 48, richiamata in motivazione pubblicata in questa Rassegna 1967, 1, 344 con nota. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 2. La questione non fondata. Questa Corte ha gi avuto occasione di pronunciarsi sulla questione di legittimit del primo comma dell'art. 11 del codice penale, per cui nel caso di reati commessi nel territorio dello Stato il cittadino o lo straniero giudicato nello Stato, anche se sia stato giudicato all'estero . Anche per tale analoga ipotesi di rinnovamento del giudizio in Italia, era stata proposta la questione di costituzionalit in riferimento all'art. 10 della Costituzione; questione di cui fu ritenuta la non fondatezza con sentenza n. 48 del 1967, sulla base di motivi interamente validi ed applicabili anche in relazione al disposto del secondo comma dell'art. 11, che la Corte giudica meritevoli di piena conferma. Fu osservato nella ricordata sentenza che il divieto del bis in idem con riferimento alle sentenze pronunciate all'estero non ha il valore di ,principio comune alla generalit degli ordinamenti statuali moderni, e non pu pertanto considerarsi come una delle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute , a cui l'ordinamento,italiano si conforma giusta il disposto dell'art. 10 della Costituzione. Per vero, la adozione del ne bis in idem come principio regolatore delle relazioni tra due giudizi di organi giurisdizionali appartenenti al medesimo ordinamento statuale, e il riconoscimento della sua validit anche nell'ordinamento internazionale per le sentenze dei tribunali internazionali ( come richiesto, per i rapporti giuridici internazionai, dalle medesime esigenze che sono a fondamento del principio nei rapporti interni), non comporta affatto quale logica conseguenza l'applicabilit del medesimo principio come norma generale regolatrice delle relazioni tra le competenze giurisdizionali e le decisioni in materia penale di organi giudiziari appartenenti ad ordinamenti. diversi. Al contrario, l'ordinamento italiano, come quelli della maggior parte degli Stati moderni, si ispira ai principi della territorialit ed obbligatoriet generale della legge penale, secondo i criteri stabiliti dagli artt. 6 e seguenti del codice penale; e in particolare prevede la punibilit anche dei delitti comuni commessi all'estero, sia da cittadini sia da stranieri, quando il reo sia presente nel territorio italiano, nei casi e alle condizioni indicate negli artt. 9 e 10, con la possibilit di rinnovamento del giudizio, indipendentemente dall'esito del processo gi svoltosi all'estero, la cui sentenza, anche di proscioglimento, non ha efficacia preclusiva all'applicazione della legge penale italiana. Questi prirtcpi, a cui si informano entrambe le disposizioni del primo e del secondo comma dell'art. 11, hanno una obbiettiva giustificazione nella difforme realt della disciplina penale e processuale penale nei diversi ordinamenti giuridici positivi, nei quali la valutazione sociale e politica dei fatti umani, in ispecie nel campo penale, si manifesta con variazioni molteplici e spesso profonde da Stato a Stato, con la conseguente tendenza a mantenere come regola, nell'autonomia dei singoli ordinamenti, il principio della territorialit. Una efficacia preclusiva della sentenza penale in campo internazionale presupporrebbe d'altronde, oltre la gi rilevata identit RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO di riflessi sociali e politici, anche una assai larga uniformit di previsione delle varie fattispecie penali, e una pressoch identica valutazione, nella coscienza dei popoli, delle varie forme delittuose e della entit e pericolosit della delinquenza in ciascuno Stato: condizioni che non sussistono o non sussistno in misura adeguata. Il che spiega e d fondamento attuale al permanere del principio della territorialit nelle varie legislazioni (sentenza n. 48 del 1967). 3. -Il principio ne bis in idem non pu dunque considerarsi, rispetto alle sentenze straniere, come principio generale di dirjtto riconducibile alla categoria delle norme del diritto internazionale generalmente riconosciuto, oggetto di recezione automatica ai sensi dell'art. 10 della Costituzione. Ci confermato dal fatto che solo ai nostri giorni questo principio divenuto oggetto di accordi internazionali, e che la sua affermazione anche in via convenzionale ha finora incontrato difficolt molteplici, pur nell'applicazione circoscritta alle sentenze in materia penale. L'ordinanza di rimessione ricorda l'art. 1417 del Patto internazionale sui diritti civili e politici di New York del 1966: ma il richiamo non pertinente perch l'enunciativa di principio ivi contenuta concerne il divieto del bis in idem con riferimento ai rapporti tra le decisioni giudiziarie di un medesimo Stato, e non fra quelle di Stati diversi. Il principio non si rinviene n nella Convenzione di Roma per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libert fondamentali del 1950, n nel Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, stipulato a Parigi nel 1952, e nemmeno nella Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale, firmata a Strasburgo nel 1959. Solo la Convenzione cmropea sul valore internazionale delle sentenze penali, firmata all'Aja nel 1970, regola nelle due sezini del tit. III l'applicazione del principio ne bis in id~m (artt. 53-55), e la presa in considerazione delle sentenze penali straniere (artt. 56-57), riconoscendo alfart. 53, sotto precise condizioni e riserve, l'efficacia preclusiva del giudizio svoltosi in altro degli Stati contraenti. Ma, a parte la circostanza che quest'ultima Convenzione non stata ancora ratificata dall'Italia, e che l'Annesso I/f prevede la facolt dei singoli Stati di accettare l'applicazione del tit. III solo per una delle due sezioni, occorre qui ricordare che queste convenzioni sono fonte di obblighi e responsabilit internazionali per gli Stati contraenti, ma non possono acquistare efficacia nell'ordinamento int~rno senza le necessarie norme di adattamento, la cui mancanza non comporta violazione n dell'art. 10, n di altri precetti costituzionali. Questa Corte, nella ricordata sentenza n. 48 del 1967, ebbe gi a dichiarare che ponendosi in una prospettiva ideale, che gi trova fervide iniziative e convinti sostenitori, si pu auspicare per il futuro l'avvento di una PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE forma talmente progredita di societ di Stati da rendere possibile, almeno per i fondamentali rapporti della vita, una certa unit di disciplina giuridica e con essa una unit, e una comune efficacia, di decisioni giudiziarie . Ed certo degna del migliore apprezzamento la sempre pi chiara e sicura tendenza verso queste mete ideali di armonizzazione degli ordinamenti della giustizia penale, sostanziale e processuale, di cui offrono testimonianza le convenzioni internazionali dianzi ricordate, ed in particolare l'ultima dell'Aja del 1970. Si deve peraltro rilevare che alle enunciative di principio sull'efficacia delle sentenze penali straniere dovrebbero accompagnarsi, nell'assoluta mancanza di principi generali di diritto consuetudinario comunemente riconosciuti ed accettati, precise norme convenzionali regolatrici della competenza giurisdizionale dei diversi Stati in materia di repressione penale. In difetto di tali norme, e di criteri uniformi nella legislazione dei singoli Stati, appare evidente che non potrebbe ritenersi appagante, n sufficiente, il mero criterio temporale della prevenzione, collegata al fatto casuale che l'imputato si trovi in uno Stato o in un altro. 4. -A giudizio di questa Corte, non appare nemmeno giustificata l'affermazione dell'ordinanza di rimessione che la inosservanza del principio ne bis in idem, garanzia di processo giusto, lederebbe in ogni caso i diritti inviolabili dell'uomo, riconosciuti dall'art. 2 della Costituzione, e il diritto di difesa, sancito dall'art. 24. Le considerazioni gi svolte consentono di escludere che quel principio, con riferimento all'efficacia delle sentenze penali straniere, debba essere riconosciuto come inerente ai diritti inviolabili della persona umana in base alla Convenzione europea del 1950 per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libert fondamentali, ratificata dall'Italia con legge 4 agosto 1955, n. 848. Non sembra nemmeno possibile considerare detto principio quale espressione di una insopprimibile esigenza di giustizia, in senso assoluto, s da ravvisare nella sua inapplicabilit in determinate situazioni una violazione della garanzia costituzionale del diritto di difesa. E' infatti necessario tener presente, di l dal fondamento sostanziale del principio, per cui non giusto che uno stesso fatto possa essere punito due volte, il suo valore processuale, in _funzione di esigenze non solo di giustizia ma anche di certezza giuridica: il ne bis in idem si ricollega infatti essenzialmente all'efficacia preclusiva del giudicato in senso formale o processuale. Le disposizioni dell'articolo 11, primo e secondo comma, del codice penale contengono solo una circoscritta deroga al principio processuale nei riguardi delle sentenze straniere concernenti determinate ipotesi di reati pi rilevanti e, per i reati commessi all'estero, con l'ulteriore garanzia della richiesta di procedimento da parte del Ministro per la giustizia; mentre l'art. 138 dello stesso codice limita opportunamente gli effetti sostanziali di tale deroga, prescriyendo il computo della eventuale carcerazione preventiva o della pena gi scontata all'estero. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Non sussiste comunque la pretesa violazione del diritto di difesa. Al proposito, non sar superfluo ricordare come analogamente, nel nostro ordinamento, la preclusione sancita dall'art. 90 del codice di procedura penale non trovi appliazione, secondo l'interpretazione comunemente accolta, nell'ipotesi di concorso formale di reati, e come anche in tale ipotesi la reiterazione del processo in ordine ad uno stesso episodio, ma con riguardo ai diversi fatti in cui esso possa scindersi, non confligga con il diritto di difesa dell'imputato, perch, nel caso, la tutela che a quel diritto riservata, non viene limitata o esclusa in alcun modo, come questa Corte ha dichiarato con la sentenza n. 6 di quest'anno 1976. -(Omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 8 aprile 1976, n. 70 -Pres. Rossi -Rel. Reale - Ciaramitaro, Busiello, Di Gaspero (n.c.) e Presidente Consiglio dei Mi. nistri (sost. avv. gen. dello Stato Giorgio Azzariti). Reati finanziari -Militari della Guardia di finanza -Collusione con estranei per frodare la finanza -Illegittimit costituzionale -Esclusione. (cost., art. 3; I. 9 dicembre 1941, n. 1383, art. 3). Non fondata, con riferimento all'art. 3 della Costituzione, la questione di legittimit costituzionale dell'art. 3 legge 9 dicembre 1941 n. 1383 il quale punisce on particolare rigore il reato di collusione con estranei per frodare la finanza commesso dagli appartenenti al Corpo della Guardia di finanza. Costoro, difatti, in considerazione della caratterizzazione militare del Corpo cui appartengono e dei compiti specifici di polizia tributaria ad essi affidati, hanno una posizione diversa da quella del dipendente civile dell'Amministrazione finanziaria e da quella del pubblico ufficiale appartenente ad altri corpi di pubblica sicurezza. (Omissis). -3. -La questione non fondata. E' certo esatto che la violazione delle leggi finanziarie compiuta dagli appartenenti al Corpo della guardia di finanza punita con parti colare rigore. Questi militari per il solo fatto di essersi accordati con estranei per frodare la finanza rispondono, come si rilevato, del delitto di collusione, previsto dalla norma impugnata, oltre che del reato finan ziario eventualmente commesso. Se poi a tal fine ricevono o concordano un compenso incorrono, altres, nel reato di corruzione (art. 319 cod. pen.). Invece i dipendenti civili dell'Amministrazione finanziaria o altri militari (quali gli appartenenti all'Arma dei carabinieri o al Corpo delle guardie di P.S.) che concorrano con un estraneo nella violazione di una legge finan ziaria non sono soggetti alle gravi sanzioni comminate per il delitto di collusione ma, tutt'al pi, solo all'aumento di pena (nel massimo 1/3), stabi lito per la circostanza aggravante di cui all'art. 61, n. 9, cod. pen. e appli cabile per i diversi reati di cui essi siano dichiarati responsabili. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE La maggior gravit della normativa concernente gli appartenenti al Corpo della guardia di finanza indubbia e tale rimasta anche dopo la recente riforma della disciplina del concorso formale dei reati, attuata con il decreto legge 11 aprile 1974, n. 99 (convertito nella legge 7 giugno 1974, n. 220). 4. -Ci non basta tuttavia a far ritenere la norma impugnata inficiata d'irragionevolezza e quindi lesiva del principio di uguaglianza, il quale non esclude che il legislatore possa dettare norme diverse per regolare situaz~ oni che egli ritenga diverse, entro un margine di discrezionalit che giustifichi razionalmente il criterio adottato. Orbene, il Corpo della guardia di finanza, pur essendo funzionalmente lnquadrato nell'Amministrazione finanziaria (il Comandante del Corpo dipende dal Ministro delle finanze) presenta una spiccata caratterizzazione militare di vero e proprio corpo armato, che di per s gi pu giustificare l'applicazione di una disciplina pi rigorosa di quella riservata ai funzionari civili dello Stato. A ci si aggiunga che compito specifico, anche se non esclusivo, degli appartenenti al Corpo della guardia di finanza proprio quello di prevenire, ricercare e denunziare le violazioni delle leggi finaziarie (art. 1 legge 23 aprile 1959: n. 189). I suddetti militari, inoltre, accentrando nella loro azione le facolt della polizia tributaria e della polizia giudiziaria dispongono di un complesso di poteri che non ha riscontro negli altri Corpi di polizia, come quello di accedere negli esercizi pubblici ed in ogni locale adibito ad un'azienda commerciale o industriale, al fine di eseguire verificazioni e ric;erche (art. 35, legge 7 gennaio 1929, n. 4, e -in riferimento alle recenti innovazioni in materia tributaria -gli artt. 33, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e 63, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633). 5. -La posizione del componente il Corpo della guardia di finanza pertanto diver~a da quella del pubblico ufficiale appartenente agli altri Corpi di pubblica sicurezza e del dipendente civile dell'Amministrazione finanziaria. Ci spiega perch la violazione delle leggi finanziarie compiuta dagli appartenenti alla guardia di finanza sia valutata con maggiore severit. In tal caso, infatti, si viene meno non soltanto al vincolo di fedelt che incombe su tutti coloro 'che esercitano pubbliche funzioni (v. art. 54, comma secondo, Cost.) ma anche a quei particolari doveri inerenti alla tutela degli interessi finanziari dello Stato, la cui cura, come si visto, istituzionalmente affidata al Corpo della guardia di finanza. D'altra parte, nel diritto penale non mancano casi nei quali colui che viola i doveri inerenti alla funzione a lui specificamente affidata in relazione all'ufficio o al servizio cui preposto, assoggettato a sanzioni penali speciali e pi gravi, come ad esempio nell'ipotesi prevista dall'art. 619 del codice penale. 344 RASSEGNA DEIL'AVVOCATURA DEILO STATO E' perci da escludere che la norma impugnata contrasti con il principio di uguaglianza garantito dall'art. 3 della Costituzione. 6. -Come si gi accennato, la violazione dell'art. 3 prospettata dal giudice istruttore presso il tribunale di Tolmezzo, anche sotto il profilo che la norma impugnata non prevede un trattamento di minore rigore nel caso di collusione effettuata non per fine di lucro personale ma per consentire al Corpo della guardia di finanza un risparmio di spesa ovvero per conferire ad esso un particolare lustro. Tale censura, per, oltre a non avere precisa relazione con i fatti commessi dagli imputati, involge, come esattamente rilevato dall'Avvocatura, profili generali di politica criminale riguardanti l'opportunit di attribuire per un singolo reato speciale rilievo ai motivi a delinguere o quella di evitare la previsione di un minimo di pena morto elevato. Ma ovvio che la scelta fatta dal legislatore nell'ambito della propria discrezionalit non risulta sindacabile sotto il profilo del principio di uguaglianza rettamente inteso. E tanto basta per ritenere la infondatezza della questione sotto quest'ultimo aspetto. -(Omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 8 aprile 1976, n. 71 -Pres. Rossi -Rel. Gionfrida -Amministrazione delle finanze c. Bongiomo (n.c.). Imposta di successione Successione per rappresentazione dei figli legittimi dell'adottato -Applicabilit delle aliquote previste per gli estranei Illegittimit costituzionale -Esclusione. (cast., art. 3; r.d. 30 dicembre 1923, n. 3270, art. 10; d.1.1. 8 marzo 1945, n. 90, art. 1, ultimo comma; 1. 20 novembre 1955, n. 1123, articolo unico). Non fondata, con riferimento all'art. 3 della Costituzione, la questione di legittimit costituzionale dell'art. l, ultimo comma, d.l.l. 8 marzo 1945, n. 90 in base alquale, nel caso in cui all'addottante succedano per rappresentazione i figli legttimi dell'adottato, le aliquote da applicare per la liquidazione dell'imposta di successione sono quelle previste per gli estranei. Ci in quanto fra l'adottante e la famiglia dell'adottato non esiste alcun rapporto civile, onde la posizione dei discendenti del figlio adottivo nei confronti dell'adottante non omogenea rispetto alla situazione che intercorre fra genitore e discendenti del proprio figlio, la quale si incentra su di un vero e proprio rapporto di parentela in linea retta (1). (1) Nel senso che il favore della legge tributaria per le successioni fra adottante e figlio adottivo non possa estendersi alle successioni fra adottante e discendenti del figlio adottivo cfr. SERRANO: Le imposte sulle successioni, Torino, 1968, pag. 292. Ii i ~ ____,..__.__ PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (Omissis). -2. -La questione non fondata. A norma dell'art. 300 cpv. del codice civile -la legittimit del quale non posta in discussione -deve, infatti, escludersi che sussista (al di fuori delle eccezioni di cui agli artt. 87, lett. a, 468 del codice civile, che,' per, non riguardano la fattispecie disciplinat~ dalla normativa impugnata) alcun rapporto civile tra l'adottante e la famiglia dell'adottato. La posizione, in particolare, dei discendenti dell'adottivo nei confronti dell'adottante risulta quindi -proprio per l'inesistenza tra tali soggetti di un qualsiasi vincolo familiare -evidentemente non omogenea rispetto alla situazione che intercorre tra genitore e discendenti del proprio figlio, la quale, invece, si incentra su un vero e proprio rapporto di parentela in linea retta (ex art. 74 cod. civ.). Epper deve conseguentemente allora ritenersi che non irrazionalmente -sul presupposto di tale rilevata diversit di situazione -ha operato il legislatore tributario, stabilendo, ai fini del pagamento della imposta successoria, aliquote differenziate per i discendenti, rispettivamente, dei figli legittimi e degli adottivi, che succedano al de cuius per rappresentazione. N tale disciplina viene, d'altra parte, in contraddizione con la assimilazione (disposta dalla sopravvenuta legge n. 1123 del 1955) del trattamento fiscale degli adottivi a quello dei figli legittimi, nel caso di successione diretta; giacch l'unificazione delle aliquote si giustifica, in tale ultimo caso, in considerazione proprio dell'esistenza, tra adottante ed adottato, di una relazione -equivalente a quella di parentela (che intercorre tra genitore e figlio) -dipendente dal vincolo appunto (di natura civile) della adozione: vincolo che, come gi detto, non si estende, per, ai discendenti (ed alla famiglia in genere) dell'adottato. ~ (Omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 8 aprile 1976, n. 72 -Pres. Rossi -Rel. Amadei - Marotta ed altri (n.c.) e Presidente Consiglio dei Ministri (sost. avv. gen. dllo Stato Giorgio Azzariti). Procedimento penale -Variazioni della competenza penale -Applicabilit ai processi pendenti -Illegittimit costituzionale -Esclusione. (cost., art. 25, primo comma, e 24, secondo comma; I. 14 ottobre 1974, n. 497, art. 1; r.d. 15 ll!arzo 1942, n. 262, artt. 10 e 11; d.l. 10 gelilaio 1975, n. 2, artt. 1, 2 e 3). Non sono fondate, con riferimento agli articoli 25, primo comma, e 24, secondo comma, della Costituzione, le questioni di legittimit costituzionale dell'art. 1 l. 14 ottobre 1974 n. 497 il quale, abrogando il primo capoverso dell'art. 29 del codice di procedura penale, ha sottratto alla competenza della Corte di assise la cognizione dei delitti di rapina aggravata, di estorsione aggravata, di sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione. Tale variazione di competenza, bench applicabile anche ai processi 346 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO in corso alla data di entrata in vigore della relativa legge, non viola il principio del giudice naturale perch la designazione a posteriori del giudice non operata in relazione ad una determinata controversia, ma in via generale e per effetto di un nuovo ordinamento che il legislatore, nell'esercizio del suo insindacabile potere di merito, sostituisce a quello vigente. La stessa variazione non viola il diritto di difesa perch questo non muta da giudice a giudice e da tipo a tipo di procedimento (1). (Omissis). -3. -In ordine alla violazione del principio sancito nell'art. 25, primo comma, della Costituzione, tutte le ordinanze assumono come presupposto che la norma costituzionale non consentirebbe una mutazione a posteriori della comptenza per materia e funzionale in quanto questa, una volta radicata nei confronti di un soggetto che ha )commesso un reato, non sarebbe pi suscettibile di modifica avendo gi acquisito l'imputato il diritto ad essere giudicato dal giudice che l'ordinamento giuridico prestabiliva al momento in cui stata violata la norma penale. Ci rientrerebbe nel quadro di quelle garanzie poste dalla Costituzione a tutela del cittadino e che troverebbe il suo fondamento nella acquisizione da parte dello stesso della certezza a priori del giudice che dovr giudicarlo. 4. -La tesi secondo la quale la mutazione della compentenza con norma generale, senza che il legislatore tenga conto della posizione processuale acquisita da chi abbia commesso il fatto reato anteriormente all'entrata in vigore della legge di modifica, sarebbe in contraddizione con il principio costituzionale che vieta di distrarre dal giudice naturale prestabilito per legge, non pu essere accolta. Moltissime le decisioni della Corte in tema di garanzia di precostituzione del giudice. Gi con la sentenza n. 29 del 1958 sono stati fissati i limiti e la portata della locuzione giudice naturale ritenuta corrispondente a quella di giudice precostituito per legge , e riferibile al giudice istituito in anticipo in base a criteri generali e non in vista di determinate controversie, e ci al fine di dare al cittadino la certezza circa il giudice che lo deve giudicare. Detti limiti sono stati ribaditi, applicabili e sviluppati dalla Corte in ulteriori decisioni in relazione a fattispecie diverse. Particolare rilevanza assume, nei casi sottoposti all'attuale giudizio, la sentenza n. 56 del 1967. Secondo l'ordinanza del pretore di Salerno, che aveva posto la questione di legittimit costituzionale dell'art. 9 del d.P.R. 31 dicembre 1963, n. 2105 -Modificazioni delle circoscrizioni territoriali degli uffici giudiziari -, in riferimento proprio all'art. 25, primo comma, della Costituzione, qualsiasi innovazione in tema di competenza avrebbe dovuto lasciare ferma ' (1) Le sentenze 5 maggio 1967, n. 56 e 3 dicembre 1969, n. 146 richiamate in motivazione sono pubblicate in questa Rassegna 1967, l, 357 e 1969, 1, 1006. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE la disciplina in vigore sia per i procedimenti pendenti, sia per quelli che potessero sorgere in futuro pr fatti verificatisi prima dell'entrata in vigore della nuova disciplina. La Corte, nel ritenere non fondata la questione, ha stabilito che l'articolo 25 della Costituzione, implica la necessit che la competenza giudiziaria, individuabile in base a criteri generali direttamente posti dalla legge, non venga derogata da atti insindacabili dei pubblici poteri e vuole che la stessa legge debba uniformarsi, nel regolare la materia, ad una esigenza fondamentalmente unitaria, quella, cio che la competenza degli organi giudiziari venga sottratta, al fine di una rigorosa garanzia della loro imparzialit, ad ogni possibilit di arbitrio . Ha, altres, precisato che illegittima sottrazione della regiudicanda al giudice naturale precostituito per legge si verifica tutte le volte in cui il giudice venga designato a posteriori in relazione ad una determinata controversia o dal legislatore in via di eccezione singolare alle regole generali, ovvero attraverso atti di altri soggetti .ai quali la legge attribuisce tali poteri al di l dei limiti che la riserva impone . Sulla base dei princpi di carattere generale sopra enunciati, la Corte, con la ricordata sentenza, ha ritenuto .che tale diritto viene rispettato quando la legge, sia pure con effetto anche sui processi in corso, modifica in generale i presupposti o i criteri diretti ad individuare il giudice competente, poich in tali casi lo spostamento della competenza non avviene in conseguenza di una deroga alla disciplina generale, che sia adottata in vista di una determinata o di determinate controversie, ma per effetto di un nuovo ordinamento -e, dunque, della designazione di un nuovo giudice naturale -che il legislatore, nell'esercizio del suo insindacabile potere di merito, sostituisce a quello vigente. Con la legge 14 ottobre 1974, n. 497, il legislatore ha operato una riforma dell'art. 29, secondo comma, del codice penale, trasferendo la competenza per determinati reati da un giudice ad un altro giudice, ossia dalla Corte di assiste al tribunale, e ci per una esigenza intimamente legata alla necessit di una pi sollecita definizione giudiziaria dei procedimenti relativi a fenomeni delinquenziali particolarmente gravi e con preoccupante ricorrenza. E' in questa prospettiva che deve essere esaminato il problema sul quale la Corte chiamata a decidere in quanto la ratio legis colora di ragionevolezza l'intervento del legislatore e il buon uso da .esso fatto di quel potere di discrezionalit politica che gli proprio. La legge che modifica la competenza oltre ad operare in termini g~nerali e per interessi generali e ad avere per oggetto fatti penali di una notevole rilevanza sociale, si collega, anche, ad una insopprimibile esigenza di giustizia, che l'attuale ordinamento giuridico stenta a soddisfare, quella, cio, della rapidit di giudizio, che oltre a salvaguardare la societ dagli aspetti pi gravi della criminalit, concorre inoltre a tutelare anche l'imputato incolpevole, per cui il suo operare retroattivamente non lede nella sostanza quelle garanzie che ~48 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO stanno alla base dell'art. 25, primo comma, della Costituzione. Non ha d'altra parte rilevanza che la legge 1974 non si dia carico di enunciare norme transitorie in ordine ai procedimenti in corso alla sua entrata in vigore, in quanto in tal caso subentrano i princpi generali enunciati dagli artt. 10 e 11 delle disposizioni sulla legge in generale, dei qual{ le norme di attuazione di singole leggi non costituiscono che un aspetto particolare di logica e armonica applicazione. 5. -Quanto sopra pienamente riferibile anche alla questione di legittimit costituzionale delle disposizioni transitorie (d.l. 10 gennaio 1975, n. 2) alla legge n. 497 del 1974, prospettata in riferimento all'art. 25, primo comma, della Costituzione. Tale decreto legge costituisce, nella sostanza, una deroga agli artt. 10 e 11 delle disposizioni sulla legge in generale limitando l'estensione delle nuove norme sulla competenza ai casi in cui la regiudicanda si trovi, all'entrata in vigore della legge, in una predeterminata fase processuale. In ordine alla asserita violazione del diritto di difesa (articolo 24, secon do comm, Cost.), alla quale le ordinanze precisate nella premessa fanno generico riferimento, da rilevare che esso non muta -e, d'altra parte, non pu mutare -da giudice a giudice, da tipo a tipo di procedimento. Non si pu sostenere che, in linea di principio, il procedimento davanti alla Corte di assise, per la diversa composizione del giudice, assicuri una maggiore e incisiva garanzia di quella che possa offrire il giudizio davanti al tribunale. La difesa si svolge e sviluppa in un complesso di presenze attive ed efficaci delle parti e, in particolare, per quanto attiene al processo penale, dell'imputato che lo accompagnano in ogni stato o fase del procedimento, qualunque sia il giudice chiamato a decidere secondo la ripartizione della competenza nei suoi vari aspetti. Se, poi, norme specifiche proprie di questa o quella fase, di questo .o di quel grado, di questo o di quel tipo di procedimento si presentino come suscettibili di violazione del diritto, saranno le singole norme a dover essere impugnate e non gi la composizione del giudice, come tale, che a quelle norme sia eventualmente soggetto. Per quanto riguarda l'aspetto della questione che investe il procedimento direttissimo la Corte non ha che da riportarsi alla decisione di cui alla sentenza n. 146 del 1969 che tale giudizio ha ritenuto compatibile tanto con l'art. 25, comma primo, quanto con l'art. 24, comma secondo, della Costituzione. Infine, quanto detto in ordine alla caratterizzazione del giudice naturale quale giudice precostituito, .si estende a quell'aspetto della ordinanza n. 113 del 1974, emessa dalla Corte di assise di Venezia, diretta ad allargare la questione di legittimit costituzionale, sotto il profilo della distrazione dal giudice naturale , anche ai fatti commessi dopo l'entrata in vigore della legge modificatrice della competenza: funzionale. -(Omissis). SEZIONE SECONDA GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT EUROPEE, 8 aprile 1976, nella causa 29175 -Pres. Lecourt -Avv. gen. Warner -Kaufhof AG (avv. Ehle, Feldmann e Wiedmann) c. Commissione delle Comunit europee (ag. Al?recht). Comunit europee -Politica commerciale -Autorizzazione della Commissione CEE ad adottare misure di protezione -Deroghe al divieto di restrizioni quantitative -Ammissibilit. (Trattato CEE, artt. 9, 30 e 115, primo comma). Comunit europee -Politica commerciale -Autorizzazione della Commissione CEE ad adottare misure di protezione -Deroghe al divieto di restrizioni quantitative -Interpretazione ed applicazione restrittiva. (Trattato CEE, artt. 9, 30 e 115, primo comma). Comunit europee -Politica commerciale -Autorizzazione della Commissione CEE ad adottare misure di protezione -Obblighi della Commissione CEE. (Trattato CEE, art. 115, primo comma; decisioni della Commissione CEE 12 maggio 1971, n. 202, 9 marzo 1973, n. 55, e 20 gennaio 1975, n. 71). L'autorizzatione di cui all'art. 115, primo comma, ultima parte, del trattato CEE pu, in ispecie, derogare al combinato disposto degli articoli 9 e 30 del Trattato, dai quali si desume che il divieto di restrizioni quantitative all'importazione e di qualsiasi provvedimento di effetto equivalente vale, non solo per i prodotti originari degli Stati membri, ma anche per quelli provenienti da Paesi terzi che si trovino in libera pratica negli Stati membri (1). (1-3) Politica commerciale e competenze della CEE. 1. -Le prime due massime confermano princpi gi enunciati, e negli stessi termini, nella sentenza 23 novembre 1971, resa nella causa 62/70, BOCK (Racc., 897) e relativa a controversia del tutto analoga a quella decisa con la sentenza in rassegna; e proprio con riferimento a tale precedente sentenza (con la quale era stato espressamente affermato che il singolo che abbia gi presentato domanda di importazione legittimato ad impugnare la decisione con la quale lo Stato membro sia autorizzato a rifiutare anche le importazioni chieste prima dell'istanza di autorizzazione) la Commissione CEE ha ritenuto di non contestare la ricevibilit del ricorso. Al principio di cui alla terza massima, desunto dall'ultima parte della motivazione, e che avrebbe dovuto comportare, nella specie, l'annullamento RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 350 Le deroghe al combinato disposto degli artt. 9 e 30 del trattato CEE ammesse dall'art. 115, dato che costituiscono non solo un'eccezione a detti articoli, i quali sono d'importanza fondamentale per il mercato comune, ma anche un ostacolo per l'instaurazione della politica commerciale comune contemplata dall'art. 113 del Trattato, vanno interpretate ed applicate in modo restrittivo (2). Ai fini dell'autorizzazione prevista dall'art. 115, primo comma, seconda parte, del trattato CEE la Commissione delle Comunit europee ha l'obbligo di sindacare le ragioni addotte dallo Stato membro per giustificare i provvedimenti di politica commerciale che esso desidera adottare, e non pu estendere l'autorizzazione alle domande gi presentate, senza tener conto della rilevanza o irrilevanza delle partite oggetto delle domande (3). (Omissis). -In diritto. -Con atto depositato nella cancelleria di questa Corte il 17 marzo 1975 (il procedimento stato temporaneamente dell'intera decisione impugnata (come del resto chiesto dalla societ ricorrente nelle sue conclusioni), non sembra del tutto conseguenziale il dispositivo della sentenza, con il quale la decisione stata annullata nella parte relativa alle merci per le quali, al momento della presentazione della richiesta di autorizza~ zione, le domande di licenza erano pendenti dinanzi all'amministrazione tedesca : limitazione essa stessa, del resto, priva di conseguenze pratiche, considerato che la decisione impugnata (conforme alle precedenti del 14 gennaio 1974, n. 54, e del 7 agosto 1974 n. 427, e, tranne che nel preambolo, alla successiva del 17 aprile 1975) aveva gi esaurito i suoi effetti, che la ricorrente era stata medio tempore autorizzata ad importare le merci di cui si discuteva, e che alla definizione giudiziale della controversia si in effetti pervenuti, come risulta dalle conclusioni dell'avv. gen. Warner, per non aver le parti in causa raggiunto un accordo sulle spese del procedimento. 2. ::...._ La sentenza in rassegna va segnalata, peraltro, per quanto se ne desume in ordine all'applicabilit dell'art. 115, primo comma, seconda parte, del trattato CEE anche dopo la scadenza del periodo transitorio ed anche relativamente ai prodotti agricoli per i quali non risulta sviluppata una politica agricola comune: applicabilit che deve invero ritenersi affermata quantomeno per implicito, dovendosi escludere che la Corte di giustizia abbia potuto considerare i riscontrati vizi della decisione di rilevanza assorbente anche rispetto alla stessa eventuale carenza di potere della Commissione, e. dovendosi escludere, di conseguenza, che la ritenuta superfluit di esaminare i restanti mezzi dedotti possa assumersi riferita alla stessa contestata applicabilit dell'art. 115, primo comma, del Trattato. Tra le parti in causa, invero, si era discusso soprattutto della efficacia dell'art. 115 del Trattato dopo la scadenza del periodo transitorio. La societ ricorrente aveva sostenuto, infatti, che la scadenza del termine stabilito nel Trattato per l'attuazi0ne di una politica agricola comune avrebbe privato la Commissione CEE dei poteri ad essa attribuiti dall'art. 115 del Trat tato, fosse stata o no tale politica comune in concreto attuata: impostazione fondata, evidentemente, sul criterio in base al quale la Corte di giustizia ha com' noto pi volte affermato che la scadenza dei termini stabiliti nel Trattato per il conseguimento di determinate finalit rende le disposizioni riferite a tali PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 351 sospeso ad istanza delle parti) la ricorrente ha chiesto l'annullamento della decisione 20 gennaio 1975 (75171/CEE) con cui la Commissione ha autorizzato la Repubblica Federale di Germania ad escludere dal trattamento comunitario le preparazioni e conserve di fagiolini (voce 20.02 ex G della tariffa doganale comune) originari della Repubblica Popolare di 'Cina e messe in libera pratica negli altri Stati membri, per le quali le licenze d'importazione erano state chieste dopo il 10 gennaio 1975. Il 2 gennaio 1975, la ricorrente presentava al Bundesamt filr Ernfillrung und Forstwirtschaft (Ufficio Federale per l'Alimentazione e la Silvicoltura) una domanda di licenza d'importazione per 5.000 cartoni di dette conserve, che erano state messe in libera pratica nei Paesi Bassi. Il Governo della Repubblica Federale di Germania, avendo ricevuto due altre domande di licenza -l'una del 2 gennaio 1975 e relativa a 39.803 DM termini direttamente operanti allorquando, alla scadenza del termine, l'obbligo imposto agli Stati membri o alle Istituzioni comunitarie non sia stato adempiuto (cfr., per tutte, sent. 21 giugno 1974, nella causa 2/74, Racc., 631, e in questa Rassegna, 1974, I, 881, con nota di commento e richiamo ai precedenti a pag. 886). Come risulta ricordato nella parte espositiva della sentenza in rassegna, la Commissione CEE aveva peraltro rilevato che alcuni provvedimenti nazionali possono richiedere l'applicazione dell'art. 115, primo comma, anche dopo il termine del periodo di transizione, finch cio i "princpi uniformi" di cui all'art. 113 non hanno avuto pratica realizzazione, in quanto la Comunit non ha ancora esercitato la propria competenza in tutti i settori . :opo aver rilevato che nel settore non esiste ancora una politica commerciale comune e che la complessit della materia aveva impedito di rispettare il termine al riguardo stabilito all'art. 7 del regolamento del Consiglio 28 giugno 1968, n. 865 (quindi restano in vigore le disposizioni nazionali), la Commissione CEE aveva in definitiva sostenuto che la competenza della Comunit non di per s sufficiente, perch si giunga ad un regime comune in materia di politica commerciale, ma per di pi dovrebbe venir esercitata. L'automatismo impossibile. Il contenuto di detto regime deve anzitutto venir determinato dalle istituzioni comunitarie e finch non saranno' stati adottati provvedimenti comunitari, gli Stati membri devono aver facolt di mantenere in vigore i provvedimenti nazionali. Questo pure l'orientamento della sentenza 13 dicembre 1973 (Sociaal Fonds voor de Diamantarbeiders c. Jndiamex e de Belder, 37 e 38/73, Racc. 1973, pag. 1609) che verte sulle tasse nazionali di effetto equivalente a dazi doganali. Finch -senza contravvenire al Trattato -sono applicabili nei confronti dei Paesi terzi provvedimenti nl!zionali di politica commerciale, resta applicabile l'art. 115 . 3. -A tale impostazione di principio risultano ispirate anche le conclusioni dell'avv. gen. Warner, nelle quali viene escluso sia che l'art. 115, primo comma, del trattato CEE abbia esaurito i suoi effetti con la fine del periodo transitorio, sia che a tale conclusione debba pervenirsi relativamente ai prodotti agricoli. Certamente -aveva infatti osservato l'avv. gen. Warner, quanto alla questione di fondo, e dopo aver sottolineato il letterale argomento desumibile dal secondo comma della disposizione (espressamente riferito al periodo transitorio) -il Trattato prescrive agli Stati membri di realizzare, entro la fine del periodo RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 352 di conserve che si trovavano in libera pratica nei Paesi Bassi, e l'altra del 7 gennaio 1975 e relativa a 36.349 DM di conserve che si trovavano in libera pratica nel Belgio -si valeva dell'art. 115 del Trattato per chiedere alla convenuta, con telex 14 gennaio 1975, di essere autorizzata ad escludere dal trattamento comunitario le preparazioni e conserve di fagiolini di cui alla voce 20.02 ex G ii della tariffa doganale comune, n. 2002-65 della nomenclatura delle merci delle statistiche del commercio estero, Nimexe n. 2002-95, originarie della Repubblica Popolare di Cina e messe in libera pratica negli altri Stati membri, nel caso in cui le domande siano posteriori al 1 gennaio 1974 (sic). La Repubblica Federale di Germania motivava la richiesta col fatto che dette tre domande erano gi state presentate al detto Ufficio e che ci si doveva aspettare che ne venissero presentate delle altre. transitorio, una situazione in cui fosse possibile adottare una politica commerciale comune, ma gli autori del Trattato erano uomini pratici e, secondo me, sarebbe assurdo ritenere he essi si aspettassero che, alla fine di tale periodo, . tutti gli Stati membri avrebbero trattato nello stesso preciso modo le importazioni di qualsiasi merce da qualsiasi paese terzo. Dopo tutto, la realizzazione di una siffatta situazione implicava, se non altro, la modifica di molti accordi commerciali ed intese con numerosi paesi terzi, nessuno dei quali era vincolato dal termine contenuto nel Trattato. In realt va osservato che l'art. 111, n. 5, del Trattato prescrive soltanto che gli Stati membri "si prefiggono come obiettivo di uniformare tra loro i propri elenchi di liberazione nei confronti di paesi terzi o di gruppi di paesi terzi al livello pi elevato possibile". N, a mio avviso, va sottovalutata la questione sollevata dalla Commissione, secondo cui il risultato inevitabile, in pratica, dell'intempestiva scomparsa dei poteri conferiti dall'art. 115 sarebbe l'allineamento dell'intera Comunit, in ciascun caso, sulla politica dello Stato membro pi liberale con conseguente indebolimento della posizione della Comunit nei negoziati con i paesi terzi . Quanto al secondo aspetto della questione, l'avv. gen. Warner, contestando la rilevanza degli argomenti prospettati dalla societ ricorrenti con riferimento all'art. 40, n. 1, del trattato CEE ed ai princpi enunciati dalla Corte di giustizia nella sentenza 10 dicembre 1974, resa nella causa 48/74, CHARMASSON (Racc., 1383), aveva rilevato che una volta ammesso che l'art. 111 del Trattato, stanti i suoi termini e la realt degli scambi internazionali, non pu venir interpretato nel senso che, dalla fine del periodo transitorio, tutti gli Stati membri avrebbero applicato esattamente il medesimo trattamento alle importazioni di tutti i prodotti da tutti i paesi terzi, e che l'art. 115, n. l, deve quindi rimanerne ulteriormente in vigore nei settori in cui non sia stata ancora raggiunta la perfetta uniformit, non vi motivo, a mio avviso, di fare una distinzione tra prodotti agricoli ed altri prodotti . 4. -Certamente, la tesi sostenuta dalla Commissione CEE e dall'avv. gen. Warner, aderente alla realt degli scambi commerciali>>, ed implicitamente avallata dalla stessa Corte di giustizia, non pu non essere condivisa; e ci nonostante i contrari argomenti desumibili dall'art. 40, n. 1, del trattato CEE (che impone agli Stati membri di instaurare la politica agricola comune al pi tardi alla fine del periodo transitorio), dal regolamento del Consiglio 28 giugno 1968, n. 865 e dalle decisioni del Consiglio 19 dicembre 1972, n. 455 e 2 dicembre 1974, n. 652 (che secondo l'avv. gen. Warner, invece, mostrano che il PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 353 In ysito a detta richiesta, con decisione 20 gennaio 1975 la convenuta autorizzava la Repubblica Federale di Germania ad escludere dal trattamento comunitario le merci di cui trattasi. Basandosi su tale autorizzazione, il giorno stesso l'Ufficio respingeva la domanda di licenza presentata dalla ricorrente. Questa si duole che la convenuta abbia esorbitato dai poteri attribuitile dall'art. 115 del Trattato CEE ed abbia quindi violato il .principio della proporzionalit degli atti amministrativi. Data l'irrilevanza delle partite di fagiolini che la ricorrente aveva chiesto d'importare, non sarebbe stato necessario estendere l'autorizzazione alle domande di licenza pendenti nel momento in cui ci si era rivolti alla Commissione. Dal 10 luglio 1968, data di entrata in vigore del regolamento del Consiglio 865/68 CEE (G.U. n. L 153/68, pag. 8), per qu~nto riguarda le merci di cui trattasi sono vietate nel commercio interno della Comunit le restrizioni quantitative e le misure di effetto equivalente. A norma Consiglio si sforzava di raggiungere l'uniformit tra gli Stati membri, senza tuttavia pervenirvi), dalla sentenza resa nella causa 48/74, CHARMASSON (secondo cui una organizzazione nazionale di mercato nel settore agricolo non pu essere conservata oltre la fine del periodo transitorio), e dallo stesso art. 111 del trattato CEE (la cui applicabilit risulta espressamente limitata al periodo transitorio). La immediata operativit, alla scadenza dei termini entro i quali le Istituzioni comunitarie o gli Stati membri avrebbero dovuto provvedere, dei princpi stabiliti dal trattato CEE, e quindi l'applicazione del criterio giurisprudenziale sopra ricordato potranno essere ammesse, infatti, relativamente a norme suscettibili di esplicare concreti effetti indipendentemente dalle iniziative adottate (o non adottate) dalle Istituzioni comunitarie o dagli Stati membri per la loro attuazione; e ci pu invero essere riconosciuto per gli artt. 9, 13, n. 2, 16, 37, n. 1, 52, 53, 59, e 95, n. 1, del trattato CEE, ai quali appunto riferibile il principio secondo cui le disposizioni che contemplano un obbligo che gli Stati membri o le Istituzioni comunitarie devono adempiere entro un prestabilito termine divengono direttamente efficaci allorquando, alla scadenza del termine, l'obbligo non sia stato adempiuto. Quando per il consegimento di un determinato fine costituisca il presupposto di applicabilit di una norma (o come nella specie per il venir meno della sua efficacia) evidente che la sola scadenza del termine preventivato per la realizzazione del fine non pu assumersi sufficiente, se tale fine non sia stato in concreto conseguito; ed evidente, perci, che le norme volte ad operare in difetto di una politica commerciale comune vanno riconosciute rilevanti ed applicabili fin quando tale politica commerciale comune non risulti di fatto instaurata, e non certo nei soli limiti temporali entro i quali si sarebbe l'indicato obiettivo dovuto conseguire. 5. -Se deve riconoscersi che la Commissione CEE pu tuttora esercitare, in difetto di una politica commerciale comune, ed anche in tema di prodotti agricoli, i poteri ad essa conferiti dall'art. 115, primo comma, del Trattato (ed la stessa Commissione CEE ad ammettere che quindi restano in vigore le disposizioni nazionali ), lo stesso criterio logico che tale conclusione impone dovrebbe assumere rilievo, peraltro, anche relativamente alle norme che presup 354 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dell'art. 115, primo comma, del Trattato, per assicurare che l'esecu zione delle misure di politica commerciale adottate dagli Stati membri... non sia impedita da deviazioni di traffico, ovvero qualora delle disparit nelle misure stesse provochino difficolt economiche in uno o pi Stati , la Commissione pu, fra l'altro, autorizzare gli Stati membri ad adottare le misure di protezione necessarie definendone le condizioni e le modalit , restando tuttavia inteso che -come dice il terzo comma dello stesso articolo - in ordine di priorit, devono essere scelte le misure capaci di provocare il minore turbamento possibile nel funzionamento del mercato comune . Detta autorizzazione pu, in ispecie, derogare al combinato disposto degli artt. 9 e 30 del Trattato, dai quali si desume che il divieto di restri zioni quantitative all'importazione e di qualsiasi provvedimento di effetto equivalente vale, non solo per i prodotti originari degli Stati membri, ma anche per quelli provenienti da Paesi terzi che si trovino in libera pratica negli Stati membri. Le deroghe ammesse dall'art. 115, dato che pongono la ( tempestiva) realizzazione delle condizioni necessarie all'attuazione di una politica commerciale comune, dovendosi anche in tal caso ritenere che la sola scadenza dei termini al riguardo stabiliti dal Trattato irrilevante se le condizioni necessarie per 'tale politica commerciale comune non risultino ancora in concreto sussistenti. Con l'impostazione di principio sopra commentata, e condivisa, appare quindi incompatibile, in effetti, la tesi con la quale la Commissione CEE rivendica, sulla base della lettera dell'art. 113 del Trattato, e cio a decorrere dalla sca denza del periodo transitorio, la esclusiva competenza a negoziare accordi con i Paesi terzi: esclusiva competenza che stata peraltro gi riconosciuta, in sede consultiva, dalla Corte di giustizia. La Commissione CEE invero, con riferimento ad una convenzione internazionale da stipulare in seno all'O.C.S.E. in tema di crediti all'esportazione, e poich taluni Stati membri avevano affermato la propria esclusiva competenza al riguardo (ed uno escludeva anche la stessa partecipazione della Comunit CEE), ha ritenuto di investire della questione la Corte di giustizia, ai sensi dell'art. 228, secondo com.ma, del Trattato. In effetti, la richiesta di parere, in quanto volta a conoscere non se l'accordo in discussione fosse compatibile con le disposizioni del Trattato, quanto piuttosto se i singoli Stati membri o la Comunit fossero competenti a stipularlo, stato fondato non sull'art. 228, secondo comma, del Trattato, ma sull'art. 106, 2, del regolamento di procedi.Ira della Corte di giustizia (secondo cui il parere pu riguardare tanto la compatibilit con le disposizioni del Trattato CEE di un accordo progettato, quanto la competenza della Comunit o delle sue Istituzioni a concludere tale accordo), e qUindi su norma della cui stessa legittimit sembra potersi quantomeno discutere, considerato che a suo mezzo sono state ampliate, in contrasto con il criterio stabilito dall'art. 4, secondo comma, del Trattato (e secondo ratio e finalit diverse da quelle considerate dall'art. 228, secondo comma, del Trattato), le attribuzioni conferite alla Corte di giustizia con l'art. 228, secondo comma, del Trattato); e gi in via li principio, del resto, sembrerebbe doversi escludere a priori, ed in base agli stessi caratteri essenziali della funzione giurisdizionale, che la Corte di giustizia PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 355 costituiscono non solo un'eccezione a detti articoli -i quali sono d'importanza fondamentale per il mercato comune -ma anche un ostacolo per l'instaurazione della politica commerciale comune contemplata dall'art. 113, vanno interpretate ed applicate in modo restrittivo. Dalle dichiarazioni fatte dall'agente della convenuta nel corso della discussione orale si desume ch'essa ritiene di dover concedere l'autorizzazione richiestale se il provvedimento di politica commerciale adottato dallo Stato membro compatibile col Trattato, senza dover tener conto delle ragioni che giustificano detto provvedimento e, quando si tratta di un divieto assoluto d'importare, senza dover tener conto della quantit, rilevante o trascurabile, delle domande gi presentate. Omettendo di sindacare le ragioni addotte dallo Stato membro per giustificare i provvedimenti di politica commerciale che esso desidera , possa essere investita, in sede consultiva, di questione in merito alla quale potrebbe essere chiamata poi a pronunciarsi in sede contenziosa. La Corte di giustizia comunque, nonostante le contrarie argomentazioni prospettate, anche relativamente all'ammissibilit stessa della richiesta di parere, dai vari Stati membri interessati, ha ritenuto di affermare, nella materia, la esclusiva competenza della Comunit economica europea, con il parere 1/75 dell'll novembre 1975 (Racc., 1355). Certamente, il parere espresso in argomento dalla Corte di giustizia (per la prima volta interessata in sede consultiva) risulter determinante al fine di accelerare il processo di instaurazione di una politica commerciale comune, in ritardo rispetto ai termini preventivati nel Trattato. Anche a prescindere dal fatto che una convenzione internazionale stipulata dalla Comunit in tema di politica commerciale potrebbe assumersi vincolante per tutti gli Stati membri nei confronti dei Paesi terzi contraenti, ma non nei reciproci rapporti (ipotesi teoricamente possibile, proprio per la mancata realizzazione di una effettiva politica commerciale comune, e proprio in quanto i singoli Stati membri potrebbero considerarsi parti contraenti nei confronti dei Paesi terzi, ma non nei rapporti reciproci), non pu non essere considerato, tuttavia, che l'impostazione di principio sopra commentata, ed argomentazioni del tutto analoghe a quelle con le quali stata sostenuta l'attuale applicabilit dell'art. 115, primo comma, del Trattato potrebbero indurre invece a ritenere che la reale sussistenza delle condizioni necessarie all'attuazione di una politica commerciale comune, e non la sola scadenza del termine al riguardo preventivato, costituisca condizione necessaria per ammettere la esclusiva competenza della Comunit a negoziare e stipulare accordi con i Paesi terzi in tema di politica commerciale: criterio la cui validit appare implicitamente confermata, del resto, dalla prassi in argomento formatasi (sia pur per una mancata precisa definizione dei rapporti tra diritto comunitario e diritto internazionale), ed in particolare dal fatto che le convenzioni internazionali sono state di norma stipulate dalla Comunit, anche dopo la fine del periodo transitorio, con la partecipazione dei singoli Stati membri, e con entrata in vigore condizionata alla ratifica, nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti costituzionali, da parte di ciascuno degli Stati membri. A. M. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO adottare, la Commissione ha violato l'obbligo, impostole dall'art. 115, di controllare se si tratti di provvedimenti adottati conformemente al Trattato e se i provvedimenti protettivi richiesti siano necessari ai sensi dello stesso articolo. Estendendo l'autorizzazione alle domande gi presentate, senza tener conto della rilevanza o irrilevanza delle partite oggetto delle domande, la Commissione del pari uscita dai limiti del suo potere discrezionale. La decisione impugnata va pertanto annullata, senza che sia necessario esaminare i restanti mezzi dedotti. (Omissis). CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT EUROPEE, 8 aprile 1976, nella causa 43/75 -Pres. Leocurt -Avv. gen. Trabucchi -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla e.orte del lavoro di Bruxelles nella causa Defrenne (avv. Cuvelliez) c. soc. SABENA (avv. de Keyser) -Interv.: Commissione delle Comunit europee (ag. Jonczy), Governo inglese (avv. Scott), e Governo irlandese (ag. Lysaght). Comunit europee -Politica sociale Principio della parit di retribuzione Diretta applicabilit dell'art. 119 del trattato CEE. (Trattato CEE, art. 119). Comunit europee Politica sociale -Principio della parit di retribuzione Art. 119 del trattato CEE Diretta applicabilit Decorrenza. (Trattato CEE, art. 119). Comunit europee Politica sociale Principio della parit di retribuzione Art. 119 del trattato CEE -'Diretta applicabilit -Decorrenza Diversi termini preVisti in direttiva del Consiglio Irrilevanza. (Trattato CEE, art. 119; direttiva del Consiglio 10 febbraio 1975, n. 117). Comunit europee Politica sociale Principio della parit di retribuzione Attuazione Competenza esclusiva del legislatore nazionale Esclusione. (Trattato CEE, art. 119). Comunit europee -Politica sociale Principio della parit di retribuzione Art. 119 del trattato CEE -Efficacia diretta Deducibilit Limiti. (Trattato CEE, art. 119). Il principio della parit di retribuzione, di cui all'art. 119 del trattato CEE, pu essere fatto valere dinanzi ai giudici nazionali e questi devono garantire la tutela dei diritti che detta disposizione attribuisce ai singoli, in particolare nel caso di discriminazioni che traggano direttamente origine da norme di legge gennaio 1973 -nelle disposizioni dell'art. 3, n. 3, di detto atto. Il problema del se e in quali limiti i sei Stati della vecchia Comunit la considerassero sempre in vigore a questa data resta aperto, poich l'accordo non mai stato messo in atto integralmente. evidente che il Regno Unito, nel 1973, non poteva mettere in atto il testo letterale della risoluzione: nel provvedimento si raccomandava di prendere taluni provvedimenti entro il 1964, ma gli stessi Stati membri che hanno adottato la risoluzione non li hanno presi. Dopo il 1973 il Regno Unito ha partecipato ufficialmente alle trattative condotte nell'ambito delle istituzioni comunitarie circa l'applicazione dell'art. 119, sfociate nella direttiva del Consiglio 75/117, cui il Regno Unito si conforma pienamente. Secondo il Governo irlandese l'attribuzione di efficacia immediata all'art. 119, con effetto retroattivo al 1<> gennaio 1973 implicherebbe un insostenibile onere finanziario per lo Stato irlandese. Anche se l'efficacia diretta fosse ammessa solo per quel che riguarda i rapporti tra singoli e Stato, l'onere finanziario 'per l'Irlanda sarebbe sempre estremamente pesante. Nel settore privato non possibile calcolare a priori l'entit dell'onere; comunque le pi colpite dovrebbero essere le societ di capitali private e le piccole imprese, le attivit professionali nei settori tessile, abbigliamento, calzature, alimentare, piccole RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 368 a nrma del quale la politica commerciale della Comunit basata su princpi uniformi . Se si attenuasse questa nozione, fino al punto di ridurla al rango di indicazione vaga, si metterebbero quindi indirettamente in forse le basi stesse della Comunit e la coerenza delle sue relazioni esterne. Nemmeno dato trarre argomento dal fatto che l'art. 119 menziona espressamente solo gli Stati membri . Come questa Corte ha gi affermato in altre occasioni, infatti, la circostanza che determinate disposizioni del Trattato si rivolgano formalmente agli Stati membri non esclude affatto che, al tempo stesso, vengano attribuiti dei diritti ai singoli interessati all'osservanza degli obblighi cos precisati. Dallo stesso tenore dell'art. 119 si evince che questo impone agli Stati un risultato obbliga- officine meccaniche, cartario, editoria ed alcuni commercianti al minuto, c10e i settori in cui la maggior parte della manodopera potrebbe rivendicare l'adeguamento delle retribuzioni. L'aumento medio della massa salariale conseguente all'immediata applicazione del principio della parit di remunerazione tra personale maschile e femminile nell'industria si potrebbe valutare al 5%; nei settori pi vulnerabili potrebbe essere, ancora maggiore. L'art. 6 del Trattato CEE impone a tutte le istituzioni della Comunit, compresa la Corte, di vegliare a che non sia compromessa la stabilit finanziaria interna degli Stati membri. Quanto all'efficacia diretta, opportuno rilevare che n la nozione di parit di retribuzione n quella di identico lavoro sono sufficientemente precisate perch l'art. 119 possa considerarsi direttamente applicabile. Il fatto che la disposizione possa applicarsi nel settore pubblico non cambia nulla quanto alla sua interpretazione: una norma non pu essere chiara e precisa in un settore e non esserlo in un altro. D'altro canto, una simile differenziazione creerebbe una patente discriminazione a favore del settore pubblico: ai pubblici dipendenti l'art. 119 conferirebbe diritti, mentre ai dipendenti del settore privato i diritti sarebbero attribuiti solo dalle norme interne d'esecuzione. Gli Stati membri, come datori di lavoro, non sono soggetti a maggiori vincoli dei datori di lavoro privati. L'Irlanda considera estranei al presente procedimento gli obblighi che potrebbero derivarle dalla risoluzione del 30 dicembre 1961 e dall'Atto di adesione. Comunque essa ritiene che la risoluzione dovesse considerarsi ormai priva di efficacia al momento dell'adesione ed ogni eventuale obbligo che avrebbe potuto scaturirne stato eliminato dalla direttiva 75/117. La Commissione, in risposta alle varie domande postele dalla Corte, ha sostanzialmente osservato quanto segue: a) Il principio della parit di retribuzione tra i due sessi per chi svolge lo stesso lavoro, per la sua natura ed il suo contenuto, non pu venir invocato dinanzi al giudice, quanto meno dai lavoratori del settore privato. Nel settore pubblico, le nozioni di retribuzione e di identit del lavoro non sono difficili da determinare, giacch gli stipendi corrispondono a speciali classificazioni degli impieghi (gradi, classi, scatti) stabilite per lo pi dalla legge, indipendentemente dal sesso di chi svolge dette mansioni. Nel settore privato la situazione diversa. La nozione di salario o trattamento normale di base o minimo di cui all'art. 119 sufficientemente chiara. I suoi riflessi pongono per molte diffi PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 369 torio da conseguirsi entro un termine tassativamente indicato. L'efficacia di questa disposizione non pu essere affievolita dalla circostanza che l'obbligo imposto dal Trattato non stato osservato in determinati Stati membri e che le istituzioni comuni non hanno adeguatamente reagito contro tale inadempienza. L'ammettere il contrario rischierebbe di fare della violazione del diritto un canone interpretativo, atteggiamento che la Corte non potrebbe assumere senza porsi in contrasto con il compito assegnatole dall'art. 164 del Trattato. Infine, nel riferirsi agli Stati membri, l'art. 119 considera questi Stati nell'esercizio di tutti i poteri che possono contribuire all'attuazione del principio della parit di retribuzione. Contrariamente a quanto stato sostenuto nel corso del procedimento, detta disposizione ben lungi dall'esaurirsi in un rinvio alla competenza dei poteri legislativi nazionali. Il fatto che l'art. 119 si riferisca agli Stati membri non pu quindi essere interpretato nel senso di escludere l'intervento dell'autorit giudiziaria, per l'applicazione diretta del Trattato. colt, connesse da un lato all'autonomia delle parti contraenti ed alla loro libert di trattativa nel settore salariale, dall'altro alla diversit dei sistemi tradizionali di formazione delle retribuzioni e alla grande diversit nei regimi di classificazione professionale. L'art. 119 lascia pure irrisolta la questione del se i fattori che influiscono sul costo dei singoli posti o sul rendimento della manodopera femminile possano o meno venir presi in considerazione. La nozione di tutti gli altri vantaggi pagati... dal datore di lavoro al lavoratore n ragione dell'impiego di quest'ultimo tanto pi difficile da delimitare in quanto la recente evoluzione della nozione di retribuzione caratterizzata dalla sempre maggiore complessit delle prestazioni di cui fruiscono i dipendenti per effetto della loro prestazione di lavoro e per il fatto che il diritto contemporaneo tiene anche conto degli aspetti sociali ed economici della remunerazione dei lavoratori subordinati nel senso di una socializzazione della retribuzione. La nozione di identit di lavoro nel settore privato ancor pi difficile da delimitare e si presta difficilmente a raffronti. Essa fa pure sorgere il problema del se l'applicazione del principio della parit retributiva debba venir limitato alle funzioni miste svolte simultaneamente, nella stessa impresa ed alle stesse condizioni, da uomini e donne o se, in una visione pi ampia della portata dell'art. 119, sia opportuno che i livelli delle retribuzioni siano fissati in rapporto alla funzione o al posto di lavoro ed indipendenti non solo dal sesso di chi occupa il posto, ma anche (per i lavori remunerati a tempo) dal risultato del lavoro svolto. Nella raccomandazione del 20 luglio 1960, la Commissione ha precisato che, se stabilita una retribuzione minima obbligatoria, per legge o per convenzione, essa deve essere identica per maschi e femmine, e che se le retribuzioni sono fissate secondo un qualsiasi criterio di classificazione professionale, le categorie devono essere uguali per entrambi i sessi ed i criteri di classificazione devono applicarsi nello stesso modo ai dipendenti maschi ed alle dipendenti femmine. Tuttavia, anche con questa visione ampia, illustrata dalla risoluzione del 30 dicembre 1961, il principio dell'art. 119 non consente ad una dipendente, che svolge un determinato lavoro in un'impresa di un certo settore, - 370 RASSEGNA DELL'AWOCATUP.A DELLO STATO Neppure pu essere accolta l'obiezione tratta dal fatto che l'applicazione, da parte dei giudici nazionali, del principio della parit di retr~buzione, avrebbe la conseguenza di modificare quanto le parti hanno convenuto con atti rientranti nell'autonomia privata o professionale, quali i contratti individuali e i contratti collettivi di lavoro. Dato che l'art. 119 di natura imperativa, il divieto di discriminazione tra lavoratori di sesso maschile e di sesso femminile riguarda infatti non solo le pubbliche autorit ma vale del pari per tutte le convenzioni che disciplinano in modo collettivo il lavoro subordinato, come pure per i contratti fra singoli. La prima questione va quindi risolta nel senso che il principio della parit di retribuzione, di cui all'art. 119, pu essere fatto valere dinanzi ai avente sede in una certa localit di un certo paese, di reclamare la parit di stipendio rispetto ai colleghi maschi che svolgono eventualmente lo stesso lavoro od un lavoro equivalente o di pari valore in un'altra impresa di un altro settore di attivit in una regione diversa o in un altro paese. Questo optimum di parit salariale (ugual lavoro, ugual retribuzione) non sussiste nemmeno tra i posti occupati dagli uomini. Una posizione realistica e abbastanza soddisfacente quella degli artt. 3 e 4 della legge olandese del 20 marzo 1975, che riflettono l'art. 1 della direttiva 75/117 il cui tenore il, seguente: Il principio della parit delle retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile... implica, per uno stesso lavoro o per un lavoro al quale attribuito un valore uguale, l'eliminazione di qualsiasi discriminazione basata sul sesso in tutti gli elementi e le condizioni delle retribuzioni. . In particolare, qualora si utilizzi un sistema di classificazione professionale per determinare le retribuzioni, questo deve basarsi su princpi comuni per i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile ed essere elaborato in modo da eliminare le discriminazioni basate sul sesso . b) Trascorso il termine concesso agli Stati membri per dare pratica applicazione 'all'art. 119, esso ha acquisito efficacia immediata nei rapporti tra Stati e singoli. Esso contiene tutti gli elementi di diritto sostanziale necessari alla sua applicazione da parte del giudice, per quanto riguarda il rapporto di pubblico impiego, giacch in questo settore non sussistono problemi interpretativi o di raffronto delle nazioni di remunerazione e di identit di lavoro. Per le imprese pubbliche, semipubbliche o parastatali, il criterio da seguire per stabilire l'applicabilit diretta dell'art. 119 nei rapporti tra Stato e singoli, quello del grado di partecipazione della pubblica autorit alla gestione di dette imprese e, pi particolarmente, alla determinazione della loro politica salariale. Si deve cio stabilire se gli accordi sulle retribuzioni nell'ambito dell'impresa o del settore economico siano discussi ed applicati liberamente; se tali accordi, pur se liberamente discussi, possano venir applicati solo previa autorizzazione, approvazione o omologazione da parte della pubblica autorit che esercita il sindacato o se i lavoratori delle imprese di cui trattasi siano disciplinati da uno statuto pi o meno analogo a quello che disciplina i rapporti di pubblico impiego. e) La risoluzione della conferenza degli Stati membri del 30 dicembre 1961 non poteva validamente modificare un termine stabilito dal Trattato senza seguire il procedimento contemplato per la revisione del Trattato stesso. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 371 giudici nazionali e che questi devono garantire la tutela dei diritti che detta disposizione attribuisce ai singoli, in particolare nel caso di discriminazioni che traggano direttamente origine da norme di legge o da contratti collettivi di lavoro, come pure nel caso di retribuzione diversa di lavoratori di sesso femminile e di lavoratori di sesso maschile per lo stesso lavoro, qualora questo venga svolto nella stessa azienda o ufficio, privato o pubblico. Sulla seconda questione (attuazione dell'art. 119 e competenze rispettive della Comunit e degli Stati membri). Con la seconda questione si chiede se l'art. 119 sia divenuto applicabile nel diritto interno degli Stati membri in forza di atti adottati da organi della CEE ovvero si debba ammettere in materia la competenza esclusiva del legislatore nazionale . Come detto sopra, opportuno esaminare insieme a detta questione il problema della data a partire dalla quale l'art. 119 deve ritenersi direttamente efficace. Le circostanze che hanno indotto gli Stati membri ad adottare tale risoluzione, mette in luce il fatto che essa comportava una soluzione di compromesso, che consentiva sia il passaggio alla seconda tappa, sia l'applicazione dell'art. 119 nella sua interpretazione ampia, stabilendo un nuovo calendario per la realizzazione progressiva del principio della parit retributiva. d) Per quel che riguarda l'attuazione del diritto alla parit di retribuzione da parte delle legislazioni o discipline nazionali, la situazione nei vari Stati membri la seguente; -In Germania, l'art. 3 della legge fondamentale afferma che maschi e femmine hanno pari diritti e nessuno pu essere svantaggiato o favorito a motivo dl suo sesso . Il principio del divieto di discriminazioni riaffiora nella legge sull'organizzazione delle imprese, entrata in vigore il 19 gennaio 1972 e nella legge 5 agosto 1955 sulla rappresentanza del personale. -In Italia l'art. 37 della Costituzione stabilisce che la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parit di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Da tale disposizione scaturisce un diritto soggettivo alla parit retributiva, tutelabile da parte del giudice. Disposizioni specifiche esistono per le pubbliche dipendenti, per le operaie delle imprese statali e per alcune categorie professionali. -Nel Belgio il Regio Decreto n. 40 del 24 ottobre 1967, sostituito dalla legge 16 marzo 1971, all,'art. 14 dispone che conformemente all'art. 119 del Trattato CEE... ogni lavoratrice ha facolt di adire il giudice competente per far applicare il principio della parit retributiva tra lavoratori e lavoratrici . Una legge del 5 dicembre 1968 consente al Ministro dell'Impiego e del Lavoro di negare l'efficacia vincolante di una convenzione collettiva discriminatoria. -In Francia, il preambolo della Costituzione del 1946, confermato da quello della Costituzione del 1958, stabilisce, in termini generali, che la legge garantisce alla donna, in tutti i campi, la parit di diritti rispetto all'uomo . In applicazione della legge 13 luglio 1971, gli accordi collettivi che possono venir estesi devono includere clausole ~he determinano le modalit d'applica -- 372 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Di fronte a questo complesso di problemi, si deve anzitutto considerare la cronologia degli atti adottati nell'ambito comunitario per garantire l'attuazione della disposizione da interpretare. A norma dello stesso articolo 119, l'applicazione del principio della parit di retribuzione doveva essere uniformemente garantita, al pi tardi entro la fine della prima tappa del periodo transitorio. Dai dati forniti dalla Commissione emerge che la realizzazione di questo principio mostra tuttavia divergenze e disparit temporali rilevanti fra i vari Stati. Mentre in determinati Stati membri il principio era gi in gran parte applicato prima ancora dell'entrata in vigore del Trattato, in forza vuoi di espresse disposizioni costituzionali e legislative, vuoi di prassi -sanzionate dai contratti collettivi di lavoro, in altri Stati la sua piena realizzazione stata a lungo ritardata. Di fronte a questa situazione, il 30 dicembre 1961, alla vigilia della scadenza stabilita dall'art. 119, gfi Stati membri adottavano una risoluzione relativa alla parificazione delle retribuzioni maschili e femminili, avente lo scopo di precisare, sotto determinati profili, il contenuto del principio della parit di retribuzione, pur rinviandone l'attuazione secondo un programma scaglionato nel tempo. A norma di questa risoluzione, qualsiasi discriminazione, diretta o indiretta, avrebbe dovuto essere completamente eliminata entro il 31 dicembre 1964. Dai dati forniti dalla zione del principio a lavoro uguale, retribuzione uguale . La legge 22 dicembre 1972 sulla parit retributiva tra i sessi a parit o a equivalenza di lavoro costituisce un valido fondamento giuridico della facolt di adire il giudice competente, consente di irrogare sanzioni in caso di infrazione e dichiara nulle tutte le disposizioni di un contratto di lavoro, di una convenzione collettiva, di un accordo salariale, di un regolamento o di una tariffa salariale contrari al principio di uguaglianza. Un decreto del Consiglio di Stato, del 27 marzo 1973, determina il procedimento da seguire in caso di contestazioni. -Nel Lussemburgo, fu applicazione dell'art. 4 della legge 12 giugno 1965, ogni accordo collettivo in materia di lavoro deve stabilire le modalit d'applicazione del principio della parit retributiva. La legge 26 giugno 1963, che determina il sistema di stipendi per i pubblici dipendenti, sancisce il principio di non discriminazione nei rapporti di pubblico impiego. La legge 12 marzo 1973, che riforma il sistema di retribuzione sociale minima ha ribadito tale principio, generalizzato dal regolamento granducale del 10 luglio 1974 relativo alla parit retributiva tra i sessi. -Nei Paesi Bassi non vi erano leggi o regolamenti di portata generale prima dell'approvazione della legge 20 marzo 1975 sulla parit retributiva tra i due sessi. Fino all'entrata in vigore di detta legge, il diritto alla parit retributiva poteva venir conferito solo da una convenzione collettiva o da un contratto singolo di lavoro. -In Danimarca una legge del 1921 sancisce la parit retributiva tra i due sessi nei rapporti di pubblico impiego. Una legge del 7 giugno 1958 ha soppresso una differenza di trattamento per quel che riguarda l'assegno di capo-famiglia. Nel settore privato, il livello degli stipendi contrattuali per lavoratori e lavoratrici si vieppi unificato negli ultimi dieci anni nell'ambito dei contratti collettivi stipulati nella maggior parte dei settori d'attivit. Il principio PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 373 Commissione risulta tuttavia che vari vecchi Stati membri non osservavano detta risoluzione e che per questo motivo la Commissione veniva indotta, nell'espletamento dei compiti affidatile dall'art. 155 del Trattato, a riunire i rappresentanti dei governi e i rappresentanti dei datori di lavoro e dei lavoratori allo scopo di esaminare la situazione e di concordare i provvedimenti atti a favorire la marcia verso il pieno consegui . mento dello scopo fissato dall'art. 119. Questi lavori davano luogo alla stesura successiva di relazioni sulla situazione negli Stati membri originari, la pi recente delle quali porta la data del 18 luglio 1973 e riassume i dati nei loro complesso. In esito a questa relazfone la Commissione rendeva nota l'intenzione di iniziare, in forza dell'art. 169 del Trattato, dei procedimenti per infrazione contro gli Stati membri che adetta data non avevano ancora adempiuto gli obblighi imposti dall'art. 119, senza che tuttavia questo avvertimento avesse delle conseguenze. In seguito ad analoghi contatti con le competenti autorit dei nuovi Stati membri, nella relazione 17 luglio 1974 la Commissione dichiarava che, dal 10 gennaio 1973, l'art. 119 era pienamente efficace per quanto riguarda questi Stati e che questi si trovavano quindi, a partire da tale data, nella stessa situazione degli Stati membri originari. della parit retributiva con efficacia immediata stato ammesso e posto in atto sia nel settore privato che in quello pubblico, dopo la stipulazione dell'accordo nazionale dell'aprile 1973. -In Irlanda, specie nel settore del pubblico impiego e dell'insegnamento, il personale femminile meno retribuito, sia in considerazione del matrimonio che del sesso. Nel settore privato le discriminazioni salariali sono molto praticate nei contratti collettivi di tutti i settori. Il 25 giugno 1974 il Parlamento ha adottato l' Anti-discrimination (Pay) Act 1974 >>, che entrato in vigore il 31 dicembre 1975, il cui art. 2 stabilisce che, se una lavoratrice svolge, presso lo stesso datore di lavoro, un lavoro simile a quello svolto da un uomo, nella stessa sede di lavoro, ha diritto ad una retribuzione pari a quella del collega maschio. -Nel Regno Unito la maggior parte dei contratti collettivi del settore pubblico hanno abolito le discriminazioni salariali. Nel settore privato, la legge del 1970 sulla parit retributiva (equal pay Act 1970) ha. disposto la soppressione di ogni discriminazione nei contratti collettivi entro la fine del 1975. Essa stabilisce la parit retributiva per le donne che svolgono lavori uguali o all'incirca equivalenti a quelli svolti dagli uomini oppure che -pur essendo diversi -risultino di pari valore secondo il parametro adottato nel sistema di valutazione delle mansioni (job evaluation). La legge vieta altres ogni discriminazione nei contratti collettivi, e nelle decisioni con cui i datori di lavoro mutualmente stabiliscono i livelli remunerativi o i criteri per la determinazione degli stipendi. Dal lo gennaio 1976 le lavoratrici possono rivendicare i loro diritti in materia retributiva dinanzi al giudice, ma non possono richiedere arretrati di stipendio. e) Dal tenore dell'art. 119 risulta che gli obblighi che da esso scaturiscono incombono agli Stati membri e spetta al legislatore nazionale adeguare l'ordinamento interno alle disposizioni di detto articolo. 6 374 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Il Consiglio dal canto suo, onde affrettare l'integrale attuazione dell'art. 119, il 10 febbraio 1975 adottava la direttiva n. 75/117 sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative all'applicazione del principio della parit di retribuzione fra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile (G.U. L n. 45, pag. 19). Questa direttiva precisa sotto determinati aspetti la portata dell'articolo 119 e contiene inoltre varie disposizioni miranti essenzialmente a rafforzare la tutela giurisdizionale dei lavoratori che fossero lesi dalla mancata applicazione del prindpio della parit di retribuzione stabilita dall'art. 119. L'art. 8 di detta direttiva concedeva agli Stati membri il termine di un anno per emanare le leggi, i regolamenti e i provvedimenti amministrativi del caso. Dal preciso tenore dell'art. 119 emerge che l'applicazione del principio della parit di retribuzione fra lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile doveva.essere garantita in modo pieno e definitivo alla fine della prima tappa del periodo transitorio, cio il 10 gennaio 1962. La risoluzione degli Stati membri in data 31 dicembre 1961, salvi restando gli Ci per non significa che la Commissione sia dispensata dall'applicare l'art. 169 se uno Stato membro non rispetta gli obblighi impostigli dall'art. 119. Il fatto che l'attuazione dell'art. 119 sia di competenza degli Stati membri, non rende per nulla superfluo il ravvicinamento delle legislazioni, delle dispo-. sizioni regolamentari ed amministrative onde garantire, nell'ambito della Comunit allargata, un'applicazione armonica dei principio della parit retributiva. Il Consiglio quindi competente ad adottare, in forza dell'art. 100 del Trattato, una direttiva per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri, qualora le divergenze tra dette legislazioni rallentino l'instaurazione o il funzionamento del mercato comune. Su questo stata adottata la direttiva 75/117. Il provvedimento non intende solo garantire la parit retributiva per uno stesso lavoro, ma anche il rispetto delle disposizioni della convenzione n. 100 dell'organizzazione internazionale del lavoro; la nozione di lavoro di pari valore>>, secondo la Commissione, ha portata pi ampia del tenore dell'art. 119. La direttiva riguarda d'altro canto il problema delle classificazioni professionali, precisando che il sistema va fondato su criteri comuni per lavoratori e lavoratrici. Infine, la direttiva impone agli Stati membri degli obblighi di informazione e di tutela dei lavoratori che non sono espressamente citati dall'art. 119. Era quindi giusto concedere agli Stati membri il termine di un anno per fare quanto era necessario onde adeguarsi alla direttiva. La Defrenne commenta le risposte fornite alla Corte dalla Commissione e dai Governi del Regno Unito e dell'Irlanda. a) La nozione di remunerazione riaffiora anche nell'art. 48 del Trattato CEE; non si capisce perch questa nozione, precisata e delimitata nell'art. 119, possa far sorgere problemi di definizione allorch si tratta delle lavoratrici, mentre chiara per quel che riguarda i lavoratori migranti. Nella fattispecie l'identit di lavoro non crea problemi: pacifico che non vi differenza di mansioni tra hostess e steward-di bordo. b) Il rigore giuridico dell'iter logico della Commissione appare dubbio: la distinzione che essa opera tra settore pubblico e privato si risolve, in diritto, in una confusione tra il fatto e la sua prova. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 375 effetti che essa ha potuto avere per quanto riguarda il favorire e l'accelerare la piena attuazione dell'art. 119, non poteva modificare il termine stabilito dal Trattato. Il Trattato non pu infatti essere modificato salve restando le disposizioni specifiche -se non mediante una revisione da effettuarsi ai sensi dell'art. 236. Se ci non bastasse, da quanto precede discende che, in mancanza di disposizioni transitorie, il principio di cui all'art. 119 pienamente efficace per i nuovi Stati membri a partire dall'entrata in vigore del Trattato di adesione, cio dal 1 gennaio 1973. Questa situazione giuridica non poteva essere modificata dalla direttiva n. 75/117 la quale, adottata in forza dell'art. 100 relativo all'armonizzazione delle legislazioni, si propone di favorire, mediante un complesso di provvedimenti da adottarsi nell'ambito nazionale, la corretta applicazione dell'art. 119, specialmente onde eliminare le discriminazioni indirette, ma non pu diminuire l'efficacia di detto articolo n modificarne l'effetto nel tempo. Bench l'art. 119 si rivolga espressamente agli Stati membri imponendo loro l'obbligo di garantire, entro un determinato termine, e di tenere in seguito ferma l'applicazione del principio della parit di retri- Per di pi tale distinzione crea una nuova discriminazione, in quanto le pubbliche dipendenti fruiscono dell'efficacia immediata dell'art. 119, mentre quelle del settore privato non hanno tale garanzia finch gli Stati non abbiano introdotto nell'ordinamento interno il principio della parit remunerativa. e) :!. opportuno trarre conseguenze giuridiche dal fatto che la risoluzione della conferenza degli Stati membri del 30 dicembre 1961 non ha potuto validamente modificare il Trattato. Essa non ha solo inteso modificare le tappe di cui all'art. 8 del Trattato, ma, se fosse considerata valida, implicherebbe la soppressione dei sistemi di controllo e di sanzione previsti dal Trattato. d) Quanto ai provvedimenti di attuazione adottati dagli Stati membri per mettere in atto l'art. 119, non si possono definire tali le norme della Costituzione, le leggi e i regolamenti gi in vigore anteriormente al Trattato. Nel Belgio possono considerarsi, in linea generale, norme di attuazione dell'art. 119 solo l'art. 14'del D.R. n. 40 del 24 ottobre 1967 e la convenzione collettiva elaborata nell'ambito del Consiglio nazionale del lavoro. e) Quanto alle iniziative della Commissione, restano da spiegare la sua timidezza e il suo ritardo nell'avvalersi dei poteri che le conferiscono gli artt. 155 e 169. f) Nel valutare l'onere relativo all'applicazione del principio della parit retributiva in Irlanda e nel Regno Unito, si deve tener conto anche della neces sit di salvaguardare l'equilibrio rispetto alla Danimarca, che in materia di parit retributiva molto progredita e opera in questo senso da vari anni. I dati relativi al costo di, un riconoscimento con effetto retroattivo del l'efficacia immediata dell'art. 119 si prestano a riserve: essi nascondono d'al tronde il problema reale. In Danimarca si visto che non la migliore remu nerazione delle lavoratrici quella che mette in pericolo l'economia di uno Stato. g) La Corte di Giustizia pu reperire nella propria giurisprudenza lo spunto per fornire una soluzione semplice e chiara, che ristabilisca la certezza del diritto per l'amministrato europeo. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO buzione, questo obbligo assunto dagli Stati non esclude la competenza in materia della Comunit.' Al contrario, la 'competenza della Comunit si desume dal fatto che l'art. 119 fa parte degli scopi del Trattato nell'ambito della politica sociale, oggetto del titolo III il quale a sua volta collocato nella t~rza parte, dedicata alla politica della Comunit. In mancanza di qualsiasi espresso richiamo, nell'art. 119, ai compiti eventualmente spettanti alla Comunit per la realizzazione della politica sociale, conviene rifarsi al sistema generale del Trattato ed agli strumenti che esso ha creato, agli artt. 100, 155 e, se del caso, 235. Nessuna norma d'attuazione, sia essa adottata dalle istituzioni della Comunit o dalle autorit nazionali, pu tuttavia menomare l'efficacia diretta dell'art. 119, indicata nella soluzione della prima questione. La seconda questione va quindi risolta nel senso che l'applicazione dell'art. 119 doveva essere pienamente garantita dai vecchi Stati membri a partire dal 10 gennaio 1962, inizio della seconda tappa del periodo transitorio, e dai nuovi Stati membri a partire dal 1 gennaio 1973, data di entrata in vigore del Trattato d'adesione. Il primo di questi termini non stato modificato dalla risoluzione degli Stati: membri in data 30 dicem- IV. Procedimento orale. La Defrenne, appellante nella causa principale, con l'avv. Marie-Thrse Cuvelliez, del foro di Bruxelles; la societ SABENA, appellata, con l'avv. Philippe de Keyser, del foro di Bruxelles; il Governo del Regno Unito, rappresentato dall'avv. Denys Scott; il Governo Irlandese, rappresentato dal sig. Liam J. Lysaght, Chief State Solicitor; e la Commissione, rappresentata dal proprio consigliere giuridico, sig.na Marie-Jose Jonczy, hanno svolto osservazioni orali all'udienza del 3 dicembre 1975. La Societ SABENA ha sostenuto che l'art. 119 costituisce chiaramente un obbligo assunto da ciascuno Stato membro, ma non conferisce diritti, n impone obblighi, direttamente ai singoli, datori di lavoro e lavoratori, cittadini degli Stati membri. Questo assunto dettato sia dal tenore dell'art. 119 che dal fatto che l'art. 119, da un lato, consente agli Stati membri di adeguare il loro ordinamento entro un certo termine, poi prorogato al 31 dicembre 1964, d'altro lato impone loro di mantenere in seguito il principio della parit retributiva. Quest'obbligo non avrebbe senso se l'art. 119 conferisse automaticamente un diritto ai lavoratori che, indipendentemente dalla legislazione interna, potrebbero adire il giudice nazionale per far rispettare il principio della parit di retribuzione. Lo Stato belg'a, per ottemperare ai dettami dell'art. 119, doveva emanare una norma che sancisse il rispetto della parit retributiva; questa stata una delle finalit perseguite dal D.R. n. 40 del 24 ottobre 1967. Circa il prop~io stato giuridico, essa osserva di essere una societ anonima di diritto privato, disciplinata dalla legge belga sulle societ commerciali. Essa gestisce in concessione un servizio pubblico ed il suo capitale sociale in gran parte detenuto dallo Stato belga. Ci non toglie che essa sia una societ privata ed i rapporti con i suoi dipendenti siano disciplinati non gi da uno statuto ad indole regolamentare, emanato unilateralmente, bens da contratti di diritto privato. -(Omissis). PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE bre 1961. La direttiva del Consiglio n. 75/117 non osta all'efficacia diretta dell'art. 119, come indicata nella soluzione della prima questione, e il termine stabilito da detta direttiva non influisce affatto sui termini fissati dall'art. 119 del Trattato CEE e, rispettivamente, dal Trattato d'adesione. Nemmeno nei campi in cui l'art. 119 non ha efficacia diretta, detta disposizione pu essere interpretata nel senso che essa riservi al legislatore nazionale la competenza esclusiva per l'attuazione del principio della parit di retribuzione, dato che tale attuazione pu risultare, in quanto occorra, dalla concomitanza di norme comunitarie e nazionali. ,Sull'efficacia nel tempo della pr~sente sentenza. I governi irlandese e del Regno Unito hanno posto in rilievo le con seguenze di carattere economico che potrebbero derivare dall'afferma zione, da parte della Corte, dell'efficacia diretta dell'art. 119, per il fatto che una siffatta pronunzia potrebbe dare origine, in numerosi settori economici, a rivendicazioni con effetto retroattivo alla data a partire dalla quale tale efficacia sarebbe insorta. Tenuto conto del numero rilevante delle persone interessate, siffatte rivendicazioni, che le aziende non pote vano prevedere, potrebbero avere gravi conseguenze per la situazione fi, nanziaria di queste, al punto di portarne alcune al fallimento. Bench le conseguenze pratiche di ogni pronunzia giurisdizionale va dano accuratamente soppesate, non si pu tuttavia spingersi fino a di storcere l'obiettivit del diritto od a comprometterne la futura applica zione, per tener conto delle ripercussioni che un provvedimento giurisdi zionale pu avere per il passato. Cionondimeno, di fronte al comporta mento di vari Stati membri ed agli atteggiamenti assunti dalla Commis sione e portati ripetutamente a conoscenza degli ambienti interessati, opportuno tener conto, in via eccezionale, del fatto che gli interessati sono stati indotti, per un lungo periodo, a tener ferme pratiche in contrasto con l'art. 119, bench non ancora vietate dal rispettivo diritto nazionale. Il fatto che la Commissione non abbia promosso, nei confronti di deter minati Stati membri, dei ricorsi per infrazione ai sensi dell'art. 169, nono stante gli avvertimenti da essa dati, stato atto a corroborare un'opi nione erronea circa l'efficacia dell'art. 119. Stando cos le cose, si, deve ammettere che, nell'ignoranza del livello complessivo al quale le retribu zioni sarebbero state fissate, considerazioni imprescindibili di certezza del diritto riguardanti il complesso degli interessi in gioco, tanto pubblici quanto privati, ostano in modo assoluto a che vengano rimesse in discus sione le retribuzioni relative al passato., Di conseguenza, l'efficacia diretta dell'art. 119 non pu essere fatta valere a sostegno di rivendicazioni rela tive a periodi di retribuzione anteriori alla data della presente sentenza, eccezion fatta per i lavoratori che abbiano gi promosso un'azione giudi ziaria o proposto un reclamo equipollente. -(Omissis). 378 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 22 aprile 1976, n. 1445 -Pres. Stella Richter -Rel. Bile -P. M. Berri (conf.) -Soc. I.C.I.C. (avv. Catalano) c. Ministero del commercio con l'estero (avv. Stato Braguglia). Comunit europee -Norme comunitarie -Interpretazione -Obbligo del giudice nazionale di ultima istanza -Portata e limiti. (Trattato CEE, art. 177, terzo comma). Comunit europee -Agricoltura -Organizzazioni comuni dei mercati - Cereli -Regime delle cauzioni all'importazione -Perdita della cauzione -Criterio di determinazione della somma da incamerare. (Regolamenti del Consiglio 13 luglio 1967, n. 120, e 21 agosto 1967, n. 473; regolamento della Commisione 7 aprile 1970, n. 638). L'obbligo previsto dall'art. 177, terzo comma, del trattato CEE per le giurisdizioni nazionali di ultima istanza pu considerarsi senza contenuto quando la questione di interpretazione sia identica ad altra, sollevata in relazione ad analoga fattispecie, che sia stata gi decisa in via pregiudiziale, in virt dell'autorit dell'interpretazione in tal modo gi fornita dalla Corte di giustizia delle Comunit europee, e salvo comunque il potere del giudice nazionale, ove lo ritenga opportuno, di deferire nuovamente la questione alla Corte di giustizia, per ottenere una diversa decisione (1). L'entit della somma da incamerare ai danni di un importatore italiano, nella ipotesi di mancata importazione di cereali nella CEE entro il periodo di validit del titolo all'uopo rilasciata (anteriormente all' entrata in vigore del regolamento del Consiglio 7 aprile 1970, n. 638) ai sensi dell'art. 12 del regolamento del Consiglio 13 giugno 1967, n. 120, determinata dall'art. 8, paragrafo 3, lett. b, del regolamento del Consiglio 21 agosto 1967, n. 473, nel quale l'espressione prelievo fissato in anticipo va riferita al prelievo relativo al mese indicato per l'importazione dal richiedente (2). (l-2) La decisione si riferisce alla controversia che ha dato ongme alla questione di legittimit costituzionale decisa dalla Corte costituzionale con la nota sentenza 30 ottobre 1975, n. 232 (in questa Rassegna, 1975, I, 812); ed aderente all'interpretazione della norma fornita dalla Corte di giustizia con la sentenza 10 marzo 1971, resa nella causa 58/70, COMPAGNIE CONTINENTALE, Racc. 163, e Foro lt., 197, IV, 137). Come risulta dalla mo'fivazione della sentenza, la questione in discussione tra le parti in causa stata poi differentemente risolta, in sede legislativa, ma con norma ritenuta non interpretativa, con il regolamento della Commissione 7 aprile 1970, n. 638, con il quale stato fatto riferimento (secondo il criterio gi affermato dai giudici di merito con riferimento all'art. 3, lett. b, del d.m. 28 maggio 1968) al prelievo fissato in anticipo applicabile nell'ultimo mese di validit del titolo di importazione . PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE (Omissis). -1. -Con il primo motivo -deducendo omessa pronuncia su punto decisivo della controversia, nonch violazione e falsa applicazione dell'art. 4 dell'allegato E alla legge 20 marzo 1865, n. 2248, e dell'art. 134 Cost. -la ricorrente lamenta che la sentenza impugnata non abbia esaminato il motivo di appello secondo cui il Tribunale aveva errato nel dichiarare non disapplicabile il d.m. 28 maggio 1968, ritenendolo quindi implicitamente infondato, malgrado l'evidente illegittimit del provvedimento per contrasto con i regolamenti comunitari n. 120 e n. 473 del 1967. Con il secondo motivo -deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 177 e 189 del trattato istitutivo della C.E.E. -la ricorrente critica poi la sentenza impugnata per non aver rimesso alla Corte di giustizia delle Comunit europee l'interpretazione delle citate norme comunitarie. Con il terzo motivo -deducendo sotto altro aspetto violazione delle stesse norme prima citate -la ricorrente afferma che la Corte di Appello ha interpretato il regolamento comunitario n. 473 del 1967 in senso difforme rispetto alla decisione resa dalla Corte di giustizia nella causa n. 58170. Infine con il quarto motivo la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione del regolamento comunitario n. 638 del 1970, cui la Corte di Appello ha erroneamente riconosciuto natura interpretativa e non innovativa, senza rimettere la relativa questione alla Corte di giustizia. 2. -I quattro motivi di ricorso propongono tutti, sotto diverse angolazioni, una sola questione di fondo, circa l'errore in cui i giudici del merito sarebbero incorsi identificando le norme da applicare ai fini della decisione nel d.I. 20 febbraio 1968, n. 59, e nel d.m. 28 maggio 1968, anzich nei regolamenti comunitari n. 120 e n. 473 del 1967. Siffatta censura fondata. A seguito dell'ordinanza pronunziata dalle ~ezioni Unite nel corso del presente giudizio, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 232 del 1975, ha ribadito i princpi gi affermati nella precedente decisione n. 183 del 1973, in ordine: a) alla possibilit di fondare l'attribuzione di potest normativa agli organi delle Comunit europee e la corrispondente limitazione di quella propria dello Stato italiano, sul precetto di cui all'art. 11 Cost.; b) ai rapporti fra il diritto delle Comunit e il diritto interno d~i singoli Stati membri, configurati come sistemi giuridici autonomi e distinti ancorch coordinati secondo la ripartizione di competenze .stabilita dai trattati istitutivi; c) alla piena efficacia obbligatoria ed alla diretta applicazione delle norme comunitarie negli Stati membri, senza alcuna necessit di leggi di ricezione e adattamento; d) all'idoneit dei regolamenti comunitari aventi completezza di contenuto dispositivo a porsi come fonte immediata di diritti e di obblighi per gli Stati e per i loro cittadini, senza 380 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO bisogno di provvedimenti statali a carattere riproduttivo, integrativo e esecutivo, salva beninteso la necessit di emanare norme esecutive di organizzazione richieste dai regolamenti o comunque indispensabili o di provvedere alla copertura finanziaria. Sulla base di queste premesse -e condividendo l'impostazione data al problema dell'ordinanza di rimessione -la Corte costituzionale ha poi affermato che, per quanto concerne in particolare le norme interne successive, il giudice italiano non solo non ha il potere di dichiararne la nullit (in: quanto il trasferimento della potest legislativa agli organi comunitari fa sorgere il diverso problema della legittimit costituzionale degli atti normativi interni), ma neppure pu disapplicare la legge statale a seguito di una scelta tra fonte comunitaria e fonte interna (in quanto nel vigente ordinamento esula dalle attribuzioni giurisdizionali l'acertamento di una incompetenza assoluta del legislatore statuale); e pertanto il giudice, di fronte ad una legge o ad un atto .avente forza di legge riproduttivi di regolamenti comunitari direttamente applicabili, tenuto a sollevare la questione della loro legittimit costituzionale. Nel merito la Corte ha riconosciuto fondato il rilievo formulato dalle Sezioni Unite, secondo cui le disposizioni dei regolamenti comuntari n. 120 e n. 477 del 1967, concernenti (l'imposizione della cauzione per l'importazione dei cereali e) la determinazione della misura del suo incameramento nell'ipotesi di mancata tempestiva importazione, hanno evidente completezza di contenuto dispositivo, onde la riproduzione del primo regolamento nel d.l. 20 febbraio 1968, n. 59 e del secondo nel d.m. 28 maggio 1968 dovuta soltanto al disconoscimento dell'efficacia immediata e diretta delle norme comunitarie in Italia, in contrasto con i princpi sanciti dal trattato istitutivo della C.E.E., nell'ambito della previsione dell'art. 11 Cost. E conseguentemente la Corte ha dichiarato l'illegittimit ostituzionale del secondo comma dell'art. 13 del decreto legge n. 59 del 1968, nonch del terzo comma dello stesso articolo, limitatamente alla parte in cui ha reso possibile al Governo di emanare norme regolamentari non necessarie per l'applicazione dei regolamenti comunitari n. 120 e n. 473 del 1967; ed ha esplicitamente precisato che spetta all'autorit giudiziaria accertare quali norme regolamentari interne abbiano contenuto riproduttivo e debbano quindi essere disapplicate ai sensi dell'art. 5 dell'allegato E alla legge 20 marzo 1865, n. 2248, in quanto illegittimamente autorizzate e quali invece continuino ad avere piena validit ed efficacia, in quanto effettivamente necessarie per l'applicazione dei regolamenti della C.E.E. 3. -L'illegittimit cost~tuzionale dell'art. 13, comma 3 del decreto legge n. 59 del 1968 -per la parte in cui ha demandato al Ministro per il commercio con l'estero la determinazione dell'entit della cauzione da incamerare per il caso di mancata importazione, malgrado essa fosse puntualmente contenuta nell'art. 8, paragrafo 3, punto b), del regolamento .PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 381 comunitario n. 473167 -incide certamente sul decreto 28 maggio 1968 (con cui il ministro ha provveduto in concreto a quella determinazione), implicando la caducazione della norma primaria attributiva alla pubblica amministrazione del potere di emanare in materia provvedimenti amministrativi generali di natura regolamentare. Per effetto della sentenza quindi cessata (ex art. 136 Cost.) l'efficacia del titolo normativo sul quale il decreto ministeriale era fondato e nel vigore del quale esso era stato emesso. D'altro canto dall'ipotesi in esame esula assolutamente la problematica relativa ai limiti che l'incidenza della decisione di incostituzionalit sull'atto amministrativo emanato in virt della horma illegittima incontra nell'eventuale esaurimento, in epoca anteriore alla pubblicazione della pronunzia della Corte costituzionale, degli effetti dell'atto medesimo. Pertanto nella specie dopo l'intervento della Corte residuano -da un lato -una posizione di diritto soggettivo dell'importatore, disciplinata direttamente dal regolamento comunitario, avente come contenuto la pretesa di subire l'incameramento soltanto nei precisi limiti da questo fissati e -dall'altro -un comportamento dell'amministrazione che deve ormai ritenersi qualificato dalla carenza di potere. In una situazione del genere, evidente che -ai fini dell'identificazione delle norme alla stregua delle quali la controversia deve essere decisa -occorre negare ogni rilevanza al decreto ministeriale in questione e fare esclusivo riferimento alle disposizioni contenute nei citati regolamenti comunitari. 4. -Il problema interpretativo dibattuto nel presente giudizio si risolve nel dilemma se l'art. 8, paragrafo 3, lettera b), del regolamento della Commissione della C.E.E. n. 473 del 21 agosto 1967 -nel porre, fra gli elementi da considerare nel complesso calcolo per la determinazione della misura della cauzione che deve essere incamerata, nell'ipotesi di mancata importazione entro il termine previsto dal titolo, anche il prelievo fissato in anticipo -abbia inteso riferirsi al prelievo indicato per il mese designato dall'importatore come quello nel quale l'importazione sarebbe avvenuta, ovvero quelle indicate per l'ultimo mese di validit del titolo, che pi alto rispetto al primo, essendo maggiorato dei cd. scatti di soglia, aumenti automatici mensili collegati al progressivo allontanamento dell'operazione dall'epoca della campagna di raccolta dei cereali. Ove dovesse accogliersi la prima alternativa, si porrebbe un ulteriore problema, circa la portata del regolamento della Commissione della C.E.E. n. 638 del 7 aprile 1970 -perci successivo ai fatti di causa -che ha modificato la lettera b) del paragrafo 3 dell'art. 8 del regolamento n. 473/67, parlando esplicitamente .di prelievo fissato in anticipo applicabile nell'ultimo mese di validit del titolo di importazione: l'eventuale riconoscimento della 382 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO natura meramente interpretativa di questo regolamento avrebbe evidentemente un'incidenza determinante ai fini della decisione. Trattandosi di questioni relative all' interpretazione di atti compiuti da istituzioni della Comunit>>, la Corte di cassazione deve fare applicazione dell'art. 177 del trattato istitutivo della C.E.E., reso esecutivo in Italia con I. 14 ottobre 1957, n. 1203, che in casi del genere prevede, al terzo comma, l'obbligo delle giurisdizioni nazionali avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno di rivolgersi alla Corte di giustizia delle Comunit europee per ottenere da essa, in via pregiudiziale, una pronunzia di carattere interpretativo degli atti medesimi. Ma da tempo la Corte di giustizia ha affermato che l'obbligo previsto dall'art. 177 del trattato per le giurisdizioni nazionali di ultima istanza pu essere considerato senza contenuto quando la questione sia identica ad altra, sollevata in relazione ad analoga fattispecie, che sia stata gi decisa in via pregiudiziale, in virt dell'autorit dell'interpretazione in tal modo gi fornita dalla Corte -cui dal trattato commesso il compito di garantire l'unit dell'interpretazione del diritto comunitario in tutti gli Stati membri, mentre l'applicazione alla fattispecie delle norme interpretate rimane riservata al giudice nazionale -salvo comunque il potere di quest'ultimo, ove lo ritenga opportuno, di deferire nuovamente la questione alla Corte, per ottenere una diversa decisione (cfr. sentenza 27 marzo 1963, in cause n. 28, 29 30/62). Secondo la lettura propostane dalla Corte di giustizia quindi, l'art. 177 del trattato conferisce all'organo giurisdizionale nazionale le cui pronunzie non siano ulteriormente impugnabili il potere di procedere ad un'autonoma delibazione sul punto se l'esistenza di una precedente decisione in termini della Corte consenta di escludere che il dubbio interpretativo raggiunga la soglia di opinabilit necessaria per assurgere al rango di questione. Relativamente alle importazioni di cereali, in epoca non lontana la Corte di giustizia ha avuto occasione di affermare esplicitamente che nel l'art. 8, paragrafo 3, lett. b), del regolamento n. 473167, nella versione in vigore fino all'adozione del regolamento n. 638170, l'espressione prelievo fissato in anticipo deve intendersi riferita al prelievo del mese previsto per l'importazione indicato nel titolo e non a quello dell'ultimo mese di validit del titolo stesso (sentenza del 10 marzo 1971, in causa n. 58/70). Una tale decisione elimina ogni possibile dubbio, anche perch la stringente motivazione che la sorregge confuta efficacemente l'unico argo mento che la Corte di appello di Roma -pur risolvendo il problema esclusivamente sulla base della normativa statale -aveva, ad abundan tiam, ritenuto di poter trarre, senza peraltro nominarlo, dall'art. 9 del rego lamento comunitario n. 140 del 1967, che si riferisce ad un'ipotesi (prelievo dovuto per un'importazione effettuata non nel mese indicato) affatto distinta da quella in esame (incameramento della cauzione per un'impor PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE tazione non avvenuta, interamente o parzialmente, entro il termine). N si pone il quesito della natura interpretativa o innovativa del regolamento n. 638/70, in quanto, come si detto, la Corte di giustizia ha espressamente avvertito che oggetto della sua decisione la disciplina applicabile nel periodo anteriore all'entrata in vigore del regolamento stesso, onde la situazione di fatto e di diritto da essa allora considerata assolutamente identica a quella che ha dato luogo alla presente controversia. Pertanto le Sezioni Unite -escluso che nella specie si ponga, in senso tecnico, una questione di interpretazione di un atto di autorit comunitario -si. ritengono esonerate dall'obbligo di rivolgersi alla Corte di giustizia, ai sensi dell'art. 177, comma 3, del trattato istitutivo della C.E.E. (cfr. la sentenza n. 1773 del 1972). 5. -In conclusione, la Corte di Appello di Roma ha erroneamente deciso la controversia alla stregua di norme statali riproduttive di disposizioni comunitaril:!, senza avvertire che il decreto legge n. 59 del 1968 si poneva in contrasto con la Costituzione e che tale contrasto si riverberava conseguenzialmente sul d.m. 28 maggio 1968. La sentenza impugnata quindi, in accoglimento del ricorso, deve essere cassata con rinvio ad altra sezione della stessa Corte, la quale si uniformer al seguente principio di diritto: l'entit delle somme da incamerare ai danni di un importatore italiano, nella ipotesi di mancata importazione di cereali nella C.E.E. entro il periodo di validit del titolo all'uopo rilasciato (anteriormente all'entrata in vigore dal regolamento e.E.E. n. 638170), ai sensi dell'art. 12 del regolamento n. 180/67, determinata dall'art. 8, paragrafo 3, lett. b), del regolamento n. 473/67, nel quale l'espressione prelievo fissato in anticipo va riferita al prelievo relativo al mese indicato per l'importazione del richiedente . -(Omissis). SEZIONE TERZA GIURISPRUDENZA SEZIONE TERZA GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 18 dicembre 1975, n. 4162 -Pres. Caporaso -Rel. Persico -P. M. Trotta (concl. conf.) -Ministeri di Grazia e Giustizia e Finanze (avv. Stato Conti) c. Rositani Gabriele ed altri (avv. del Castillo). Competenza e giurisdizione -Giurisdizione ordinaria ed amministrativa Cancelliere: diritto alle percentuali sui proventi costituiti dai crediti recuperati all'rario -Giurisdizone esclusiva del giudice amministrativo. (r.d. 26 giugno 1924, n. 1054, artt. 29, 30; I. 9 aprile 1948, n. 6; I. 6 dicembre 1971, n. 1034, art. 7; I. 15 novembre 1973, n. 734). Appartiene alla materia del pubblico impiego con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo, la controversia con la quale un cancelliere chieda l'accertamento del diritto a percepire le percentuali sui proventi costituiti dai crediti recuperati all'erario, assumendo che esse non sono assorbite dall'assegno perequativo istituito in sostituzione di ogni altro compenso dalla legge 11 734 del 1973 (1). (Omissis). -Nel merito l'istanza fondata e deve essere dichiarata la giurisdizione del giudice amministrativo sulla causa. Anzitutto (contro la tesi del resistente ed in conformit della recentissima sentenza n. 3311/75 di queste Sezioni Unite) va ribadito che la legge n. 533/73, con la disposizione di .cui all'art. 409 n. 5, non ha operato modificazioni innovative in materia di giurisdizione, bens in materia di competenza dei giudici ordinara entro l'ambito della loro preesistente giurisdizione: trattasi di riproduzione testuale delle locuzioni gi adoperate nell'art. 429 n. 4 c.p.c. e la sostituzione dell'espressione semprecch all'altra che manifesta univocamente la volont di non innovare nel detto campo. Pu, inoltre, aggiungersi che tale volont in consonanza con l'intenzione del legislatore, quale si evince dalla reiezione degli emendamenti intesi ad attrarre nella giurisdizione del giudice (1) Si pubblica integralmente l'interessante decisione che risolve una questione con particolari caratteristiche di novit. Anche in questo caso stato. correttamente applicato il consolidato principio secondo cui la giurisdizione esclusiva in materia di pubblico impiego si estende a tutte le controversie derivanti dal rapporto di lavoro con l'ente pubblico ogni volta che la pretesa dedotta in giudizio abbia per titolo il rapporto di pubblico impiego nel senso che questo, considerato nella sua costituzione o nel suo svolgimento, funzioni da momento genetico ed immediato della pretesa. PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 385 ordinario le controversie di lavoro e di impiego degli Enti pubblici anche non economici e dalle dichiarazioni di rammarico per la mancata estensione (Atti VI legislatura: Camera sedute 18-10 e25 ottobre 1972, pag. 7/8; 21:40 e 46; Senato: sedute 28 luglio 1973 pag. 8670 e 8689; 30 luglio 1973 pag. 8707; 1 agosto 1973 pag. 8824 e 8829). La questione da risolvere consiste, quindi, nello stabilire se la materia controversa rientri in quella di cui agli artt. 29 e 30 1. 26 giugno 1924 n. 1054, se vi sia, cio, un collega)llento causale fra la pretesa dedotta ed. il rapporto di pubblico impiego o, viceversa, una relazione meramente formale che nulla tolga alla sostanziale autonomia dell'interesse oggetto di tutela; con l'avvertenza che, al detto fine, la nozione di rapporto di impiego d intendersi (come stata sempre intesa) in senso lato (per la confluenza di posizioni di diritto e di interesse nell'orbita della giurisdizione esclusiva) e che essa sicuramente coinvolta quando la controversia concerne la stessa estensione del rapporto e dei diritti, anche patrimoniali, dal medesimo derivanti, che si assumono disconosciuti con atto o comportamento omissivo della pubblica amministrazione (sent. 2124/74; 6/73; 2297/72). Il resistente, onde affermare l'esistenza di un nesso meramente occasionale e non causale, fa leva da un lato su un'asserita estraneit al servizio di istituto delle mansioni oggetto della pretesa (estraneit che dovrebbe emergere dall'essere l'Erario il titolare delle somme recuperate, dal provvedere esso solitamente a mezzo di propri organi-Uffici del registro od incaricati Esattori -, dal potere di concedere il servizio in appalto 1. 29 giugno 1882, Il 825 -, dall'uso di registri e moduli predisposti, intestati e vidimati dal Ministero delle Finanze, nonch dai controlli a mezzo degli ispettori demaniali), dall'altro su un'asserita natura del compenso (ad aggio -art. 232 e.d. 23 dicembre 1865, n. 2701 -sul prelievo del corrispettivo pel servizio di riscossione dovuto al Ministero di Grazia e Giustizia quale sgravio delle corrispondenti spese di ufficio, cos come previsto anche da circolari -es. n. 40 del 9 ottobre 1974 del Ministero Finanze; n. 3972 del 27' luglio 1974 della Procura Generale Palermo -successivo alla legge n. 734/73, de qua e sui criteri di ripartizione dei proventi (per quote capitarie uguali nell'ambito di ciascuna Corte di appello e disuguali tra le varie Corti): e ne desume che, trattandosi di incarico suscettibile di cessare in qualsiasi momento, esso coevo ma non inerente al rapporto di impiego (del tipo di quelli .assumibili presso seggi elettorali o commissioni tributarie, epperci da devolvere nelle controversie, alla giurisdizione ordinaria. Queste Sezioni Unite ritengono che la questione vada risolta (in conformit dell'ormai remota pronunzia n. 1896 del 1933), nel senso della dipendenza non occasionale della domanda dal rapporto di impiego, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo; non valendo a far mutare avviso n gli argomenti sviluppati dal resistente, n l'asserita evoluzione giurisdizionale nei sensi dal medesimo caldeggiati. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO In ordine a quest'ultima sar sufficiente rilevare che l'unica pronunzia richiamata (sent. n. 1422/66) non tanto non pertinente (attesa la diversit di ratio decidendi: insussistenza di qualsivoglia rapporto di impiego tra Vigile urbano -attributario, perch agente di P.S. di nomina prefettizia, di proventi sulle contravvenzioni punibili con pena pecuniaria -e Stato), quanto espressamente ribadisce che le controversie tra Cancellerie e Segreterie giudiziarie e Stato in tema di proventi c.d. di cancelleria pongono in discussione proprio le norme che regolano, sotto l'aspetto patrimoniale, il rapporto d'impiego; mentre dalle altre rinvenibili, una (sent. n. 785/42) coordina l'affermata giurisdizione ordinaria al venir meno della condizione per l'attivabilit di quella speciale esclusiva (e cio alla mancanza di questioni tanto sulla inerenza al rapporto di impiego del diritto ai proventi di cancelleria, quanto sulla esigibilit dei medesimi (S.U.: sent. n. 712/67) quale emergente dall'oggetto del giudizio (applicabilit a quei proventi dei provvedimenti di riduzione emanati nel 1930 e 1934 con r.d. rispettivamente n. 1491 e 561), un'altra risolve bens soltanto censure (le uniche) sul merito di un giudizio di opposizione ad ingiunzione fiscale (pel recupero di proventi indebitamente incamerati da Ufficiali giudiziari) ma senza che sia dato verificare l'eventuale preclusione da giudicato formale della questione di giurisdizione, e la pi recente (la gi richiamata sent. n. 3311/75) ribadisce, relativamente alle questioni sui proventi spettanti agli Ufficiali giudiziari, la giurisdizione speciale esclusiva del giudice amministrativo. In ordne, poi, ai nuovi argomenti sviluppati dal resistente, deve affermarsene l'inaccettabilit o non risolutivit, tanto se riguardanti nell'angolazione delle competenze del Ministero di dipendenza, quanto se in quella del contenuto del rapporto col medesimo. Sotto il primo punto di vista, la stessa esaltazione in senso autonomistico dell'articolazione dell'Amministrazione statale per branche operative differenziate per funzioni (-della quale espressione la teocirca, forse qu presupposta, della c.d. individualit giuridica dei vari Dicasteri -) non varrebbe a risolvere l'unica soggettivit giuridica dello Stato, al quale immediatamente ed unitariamente riferibile il complesso degli interessi positivamente attesi dai singoli dicasteri; sicch, pur configurandosi i Ministeri (al pari _di ogni altro Ufficio statale) come centri di competenze (insieme di mansioni, poteri e funzioni), la identificazione concreta dei compiti assegnati a cascuno di essi non pu che farsi per rilevazione positiva delle ripartizioni e non per riferimento aprioristico a modelli organizzativi ideali, sicch rientrano nei compiti istituzionali anche quelle attivit che, correlate ad un interesse proprio di altro dicastero, vi siano state comprese per esigenze di pratica operativa. (Rimanendo vicenda interna al!' Amministrazione il sistema di sgravio per le spese di ufficio e il modo di retribuzioni particolari del personale dipendente abidito all'espletamento del servizio). PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE In una tale angolazione, mentre da riconoscere che l'attivit di riscossione delle pene pecuniarie e delle spese giudiziarie rientra positivamente nei compiti di istituto dell'Amministrazione di grazia e giustizia (del resto anche per ragioni di continuit storica (-mai essendosi fatto ricorso all'appalto del servizio -) e perch si inserisce organicamente nell'attivit amministrativa di esecuzione delle sentenze di condanna, pur refluendo nel risultato all'Erario: ci che spiega le interferenze del dica stero deputato all'amministrazione del patrimonio pubblico), , viceversa, da escludere la stessa configurabilit di un rapporto (collaterale a quello di pubblico impiego del Cancelliere o Segretario) del tipo ipotizzato dai resistenti, attesa l'impossibilit di distinguere, sulla base della natura dell'interesse amministrato (in tesi pertinente al dicastero delle finanze), una doppia veste dell'Amministrazione di grazia e giustizia, l'una delle quali indossata da una distinta soggettivit. Ma anche dal secondo punto di vista l'ipotetica esclusione dell'attivit di riscossione richiesta al Cancelliere da quella istituzionale del Ministero di dipendenza, non sarebbe valsa ad eliminarne l'inerenza al rapporto di impiego, poich, come esattamente hanno sottolineato le Amministrazioni ricorrenti, quell'attivit integra pur sempre (anche, ed a volte in via esclusiva) ad un tempo il contenuto del rapporto ed il titolo per la prestazione del corrispettivo. Ch, anzi, le stesse note caratterizzanti delineate dai resistenti servono ad ulteriormente accentuare tale inerenza: come le modalit di ripartizione della quota di proventi, per ci che prescindono da criteri rigorosamente economici 'di corrispettivit ed assicurano la compartecipazione di tutti i Cancellieri e Segretari, anche di quelli che non svolgono in concreto alcuna attivit di recupero e finanche dei fuori ruolo (tramite il Fondo nazionale, alimentato proporzionalmente da tutti i Distretti); o come la dipendenza funzionale, dal Ministero delle Finanze, limitatamente all'attivit in esame, e la responsabilit personale (coordinate, peraltro, ad analoga responsabilit od all'ingerenza del detto Ministero per tutti i funzionari incaricati della riscossione e del maneggio del danaro pubblico). Assolutamente non Pyrtinente, infine, il riferimento a situazioni ri spetto alle quali l'esistenza del rapporto di pubblico impiego costituisce soltanto il titolo di legittimazione per il conferimento di pubbliche fun zioni (Uff. elettorali; Comm.ni tributarie, ecc.) assolutamente estranee a] ~ontenuto del rapporto, che si svolgono al di fuori di esso e che trovano la fonte della loro disciplina, anche patrimoniale, nell'atto di nomina; o che, riconducendosi allo schema delle imprese esercitate da enti pubblici ex art. 2093 e.e. (scuole private gestite fuori dei propri fini istituzionali), difettano dello stesso rapporto di impiego pubblico e del conseguente in serimento organico. In accoglimento del ricorso, va, quindi, dichiarata la giurisdizione del giudice amministrativo. -(Omissis). 388 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 18 dicembre 1975, n. 4163 -Pres. Maccarone -Rel. Vela -P. M. Di Majo (concl. conf.) -Unione Provinciale CISNAL di Pescara (avv. Antico) c. Gestione Governativa della Ferrovia Penne-Pescara (avv. Stato Savarese). Competenza e giurisdizione Ferrovie in concessione: gestione governa tiva Instaurazione di rapporti di pubblico impiego fra il personale ed il Ministero dei Trasporti Domanda per la cessazione della condotta antisindacale Improponibilit assoluta. (cod. proc. civ. art. 37; r.d. 9 maggio 1912, n. 1447, art. 184; r.d. 4 giugno 1936, n. 1336, art. 1; 1. 20 maggio 1970, n. 300, art. 28 e 37). L'art. 28 della legge n. 300 del 1970 non si applica a tutela delle organizzazioni sindacali costituite nell'ambito dell'impiego statale; pertanto deve essere dichiarato il difetto di giurisdizione sulla domanda proposta per ottenere la cessazione della condotta antisindacale della gestione governativa di una linea ferroviaria in concessione. (Omissis). -A seguito di ricorso proposto il 21 aprile 1973 della Unione provinciale della Confederazione Italiana Sindacati Nazionali Lavoratori (Cisnal), la quale si doleva che la Gestione Governativa della ferrovia Pescara-Penne aveva omesso di indire le elezioni per il rinnovo della commissione interna aziendale, il Pretore di Pescara, applicando l'art. 28 della legge 20 maggio 1970 n. 300, ordinava alla predettta Gestione di cessare dalla denunciata condotta antisindacale e discriminatoria e dava disposizioni per le elezioni. La Gestione, in persona del Ministro dei trasporti difesa dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, proponeva opposizione innanzi al Tribunale dell'Aquila ritenuto territorialmente competente in base alle disposizioni sul foro erariale. E quel Giudice, rigettata un'eccezione pregiudiziale della CISNAL, tendente a far affermare la competenza del Tribunale di Pescara, accoglieva l'opposizione, dichiarando inefficace il decreto pretorile. (1) L'importante decisione risolve esattamente il problema della natura giu ridica del rapporto d'impif~go che si instaura con la cessazione della concessione di pubblico servizio e con l'assunzione da parte dello Stato della gestione governativa. Le SS.UU., a parte il caso -qui non ricorrente -di c.d. gestione governativa provvisoria in danno (art. 184 t.u. n. 1147 del 1917) attuata dallo Stato, hanno deciso per la natura d'impiego pubblico statale ribadendo le precedenti decisioni 3 novembre 1975 n. 2853 e 2854, in questa Rassegna 1975, 1, 3. Da ci deriva l'inapplicabilit dell'art. 28 dello Statuto dei lavoratori che, secondo consolidata giurisprudenza, non applicabile a tutela delle organizzazioni sindacali costituite nell'ambito dell'impiego statale. PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE Con particolare riguardo alla questione di competenza, il Tribunale, dopo aver ricordato che la Corte Costituzionale aveva respinto, con la sentenza 22 dicembre 1964, n. 118, il dubbio sulla legittimit degli artt. 6 e 7 del testo unico relativo alla rappresentanza e difesa dello Stato in giudizio, avvertiva di dover prescindere dalla nuova disciplina delle controversie di lavoro e di previdehza ed assistenza obbligatorie, recata dalla legge 11 agosto 1973, n. 533, perch essa n espressamente, n implicitamente ha modificato il procedimento predisposto a tutela della libert sindacale dall'art. 28 della legge 20 maggio 1970, n. 300. E proseguiva osservando che, in tale procedimento, la fase pretorile e quella, eventuale, di opposizione innanzi al tribunale danno luogo a due autonomi giudizi, cosicch non v' ragione per negare l'applicabilit nel secondo dell'art. 6 (e non dell'art. 7) del sopra citato testo unico, rivolto a concentrare presso un ristretto numero di sedi giudiziarie la trattazione delle cause in cui parte lo Stato, a vantaggio dell'intera collettivit. Contro la sola statuizione sulla competenza insorge la CISNAL, con istanza di regolamento a norma dell'art. 43 c.p.c. Il ricorso stato rimesso a queste Sezioni Unite dopo che in sede di esame da parte della prima Sezione civile stata rilevata la proponibilit d'ufficio di una questione di giurisdizione. MOTIVI DELLA DECISIONE Nella sentenza denunciata, la qualit di organo dell'Amministrazione statale, propria della Gestione Governativa, stata considerata unicamente per la sua incidenza sulla disputa sorta in ordine all'individuazione del Tribunale competente a pronunciarsi sull'opposizione al decreto pretorile. Invece essa pone, anzitutto, un problema di giurisdizione, il quale, essendo rilevabile d'ufficio in qgni stato e grado del processo (art. 37, primo comma, cod. proc. civ.) e condizionando la stessa questione di competenza, deve ora essere risolto prima di ogni altro (Sez. Un. 17 aprile 1971, n. 1106). L'origine del problema data dalla giurisprudenza ormai consolidata di queste Sezioni Unite, secondo cui l'art. 28 1. 20 maggio 1970, n. 300 non applicabile a tutela delle organizzazioni sindacali costituite nell'ambito dell'impiego statale, sia perch lo Stato non risulta menzionato, n lo si volle menzionare, nell'art. 37 della legge, fra gli enti ai cui rapporti d'im piego questa si dirige, sia perch, e sopratutto, fra la legge ed il vigente ordinamento sostanziale e processuale dell'impiego statale manca ogni coordinazione (sentt. 6 maggio 1972, n. 1380; 3 novembre 1973, n. 2853; 9 novembre 1974, n. 3476; 27 novembre 1974, n. 3872; 8 aprile 1975, n. 1267; 27 aprile 1975, n. 1158; 6 agosto 1975, n. 2992). Peraltro, di-tale orientamento non pu valutarsi la rilevanza nel caso in esame, senza prima verificare se, a seguito della assunzione dell'eser 390 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO c1z10 della ferrovia Pescara-Penne da parte del Ministero dei trasporti, i rapporti di lavoro del personale addetto al servizio abbiano conservato il carattere privato che indubbiamente avevano quando la gestione era affidata al concessionario, oppure siano divenuti pubblici. Ed al riguardo o~corre richiamare le sentenze 3 novembre 1975, n. 2853 e 2854, con le quali queste Sezioni Unite hanno gi rilevato che, a parte il caso particolare -e non riscontrabile nella specie -di gestione gover nativa provvisoria in danno attuata dallo Stato a norma dell'art. 184 t.u. 9 maggio 1912, n. 1147, modific. dall'art. 1 r.d. 4 giugno 1936, n. 1336, la gestione governativa, che sopravvenga al cessare della concessione, implica l'instaurazione di rapporti di pubblico impiego, fra il Ministero dei trasporti ed il personale della ferrovia, ancorch inizialmente assunto da un privato concessionario. Questo essenzialmente in base al rilievo che il ca rattere peculiare dell'ente gestore del servizio ferroviario si ripercuote in modo diretto e con effetti qualificanti, sulla natura dei rapporti di lavoro, indipendentemente dalla disciplina sostanziale cui sono sottoposti. L'applicazione di questi concetti alla fattispecie concreta, induce a concludere che la CISNAL, chiedendo di essere tutelata nei confronti di un'amministrazione dello Stato a norma dell'art. 28 dello statuto dei lavoratori, ha avanzato una pretesa non azionabile in sede giudiziaria. Ci realizza l'ipotesi di difetto di giurisdizione delineata nell'art. 382 terzo comma, prima parte, c.p.c. ed impone la dichiarazione di tale difetto e la cassazione senza rinvio della sentenza impugnata. -(Omissis). PRETURA DI PALERMO, 16 maggio 1974 -Est. Criscuoli -Scir ed altri (avv. Fundar) c. Presidenza Regionale Siciliana (avv. Stato Pajno). Competenza e giurisdizione Giurisdizione ordinaria ed amininistrativa . Atti di attribuzione da parte della P.A. dei diritti patrimoniali del dipendente Mancata esecuzione -Giurisdizione del giudice amministrativo. Nell'ipotesi in cui la P.A. emetta un provvedimento con il quale attribuisca al dipendente pubb~ico un beneficio economico e poi non esegua tale provvedimento, non pu ipotizzarsi esplicito riconoscimento del diritto; pertanto la relativa controversia rientra nella giurisdizione del giudice amminis,trativo. ANCORA IN TEMA DI GIURISDIZIONE (1) La sentenza che si annota merita di essere segnalata per l'interesse notevole che riveste. Essa infatti una delle prime che viene emanata dal giudice del lavoro secondo i nuovo rito, introdotto con la legge 11 agosto 1973, n. 533, tenden~e a realizzare, secondo i dettami di Chiovenda, gli obiettivi della concentrazione, del PARTE I, SEZ. !Il, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 391 (Omissis) -Con ricorso depositato il 29 gennaio 1974, Scir Alessandro Gestivo Giuseppe, Lo Verso Girolamo e Renna Giuseppe, premettendo di essere impiegati presso la Regione Siciliana, esponevano, che, in seguito alla entrata in vigore dei d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1077 e 1099, avevano chiesto che la Regione Siciliana estendesse loro i benefici previsti per gli impiegati statali con i citati decreti. Precisavano che tale loro richiesta era stata rigettata con delibera del 23 marzo 1971, della Giunta Regionale (da loro impugnata qinanzi al Consiglio di Giustizia amministrativa della Regione Siciliana), ma che successivamente, nelle more del giudizio dinanzi al detto Consiglio l'Assessore delegato dal Presidente della Regione Siciliana, con decreti del 30 marzo 1973, e registrati alla Corte dei Conti il 23 giugno 1973, aveva riconosciuto loro il diritto a beneficiare delle particolari ricostruzioni di carriera previsti dai decreti :presidenziali sopra richiamati. Aggiungevano che la Regione Siciliana, bench sollecitata, non aveva provveduto a notificare i decreti assessoriali ai singoli interessi n a corrispondere i benefici economici che da detti provvedimenti scaturivano. Chiedevano, pertanto, che la medesima, in persona del suo presidente pro-tempore, venisse condannata al pagamento nei confronti di ciascuno di essi della somma di L. 2.391.225 per differenza stipendio dal 1 luglio l'immediatezza e dell'oralit, ed affronta problemi peculiari in materia di giu risdizione. E' opportuno, a questo punto, al fine di meglio evidenziare tali aspetti, ricor dare brevemente i fatti che hanno dato origine alla controversia. Con ricorso al giudice del lavoro alcuni dipendenti dell'amministrazione r~gio nale siciliana, appartenenti alla carriera direttiva, chiedevano che l'Ammini strazione venisse condannata a pagare determinate somme quali differenze di stipendio dall'l luglio 1970 al 31 dicembre 1973. I ricorrenti, infatti, avevano, precedentemente al giudizio, sollecitato che nei loro confronti venissero ricono sciuti i benefici previsti per gli impiegati statali dai decreti del Presidente della Repubblica n. 1077 -1079 del 1970. Con delibera in data 23 marzo 1971, n. 59, la Giunta Regionale aveva per rilevato che, di seguito all'entrata in vigore della legge 21 marzo 1971, n. 7, i decreti invocati non potevano trovare appli cazione nei confronti degli impiegati regionali. Tale delibera era stata dai ricor renti impugnata dinanzi al Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regio ne Siciliana. Durante il giudizio amministrativo erano per intervenuti dei decreti dell'As sessore delegato dal Presidente della Regione, con i quali veniva (erroneamente) riconosciuto, per i ricorrenti, il diritto a beneficiare delle particolari disposi zioni di carriera ed economiche previste dai succitati decreti del apo dello Stato. Ai provvedimenti assessoriali, regolarmente registrati dalla Corte dei Conti, appunto perch fondati su un erroneo convincimento, l'Amministrazione regionale non aveva per mai dato esecuzione. Convenuta in giudizio, secondo il nuovo rito sul processo del lavoro, per il pagamento delle differenze di stipendio formalmente attribuite dai decreti as sessoriali, l'Amministrazione eccepiva, fra l'altro, il difetto di giurisdizione del giudice del lavoro, costituendo quello dedotto in giudizio un rapporto di pub 392 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 1970 al 31 dicembre 1973, oltre alla differenza maturanda nel corso del giudizio, gli interessi e salvi i maggiori danni. Disposta la comparizione delle parti, la Regione Siciliana, regolarmente costituitasi, preliminarmente eccepiva la estinzione del processo, in quanto il ricorso introduttivo, entro il termine parentorio di dieci giorni prescritto dall'art. 415 c.p.c., anzicch essere notificato presso gli Uffici dell'Avvocatura Distrettuale, era stato notificato presso gli uffici della Regione Siciliana. Eccepiva, altres, il difetto di giurisdizione del giudice adito, poich, trattandosi di materia concernenti il rapporto di pubblico impiego, la competenza a conoscere della stessa spettava al giudice amministrativo. Nel merito, infine, deduceva la legittimit dei decreti assessoriali, del marzo 1973, sia perch il contrasto con la legge regionale del 7 dicembre 1973, n. 45, sia perch la normativa ~ontenuta nei d.f.R. n. 1077 e 1079 del 1970 non era applicabile agli impiegati regionali. All'udienza del 10 aprile 1974, precisate le conclusioni nei termini trascritti in epigrafe, veniva data lettura del dispositivo della sentenza. blico im.!,'iego, riservato alla giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo; e tale eccezione veniva accolta con la decisione che qui si annota. La narrazione dei fatti che hanno dato origine alla controversia, ed il tenore della sentenza in questione evidenziano gli aspetti pi interessanti della decisione annotata. Anzitutto ci sembra che la vicenda si manifesti come elemento sintomatico di una tendenza; quella di utilizzare il nuovo rito del processo del lavoro, con tutti i vantaggi che lo stesso presenta rispetto agli altri giudizi ordinari, civili o amministrativi, per tentare di sottrarre taluni rapporti giuridici (come quello di pubblico. impiego), alla cognizione del giudice che la legge per essi prevede. Il successo di tale tentativo raggiungerebbe un duplice scopo: quello di svuotare di contenuto l'ambito di applicazione del processo giurisdizionale am ministrativo, con la garanzia che esso offre sia al privato che alla amministrazione (e ci assume un valore particolarmente pregnante quando, come nel caso in cui si riferisce la decisione commentata, la pretesa del privato palesemente priva di fondamento); e quella di sfruttare la particolare struttura del rito del lavoro, per vedere pi celermente riconosciute pretese la cui natura non giustifica il ricorso a tale tipo di processo, funzionalmente orientato alla tutela di ben altri e diversi interessi. Sotto questo profilo, occorre dire che la nuova legge sul processo del lavoro, soprattutto per l'assoluta indeterminatezza di certe disposizioni, contribuisce in qualche modo ad incoraggiare iniziative di tal fatta. Se infatti indubbio che il legislatore, con il n. 5 del nuovo testo dell'art. 409 c.p.c., non ha voluto innovare nel sistema della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di impiego pubblico, altres vero, peraltro, che ha attribuito alla competenza pretorile, i rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici ed altri rapporti di lavoro pubblico (art. 429, n. 5). Ora, se si considera che la legge ha jnteso far salva la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di pubblico impiego, risulta veramente difficile riempire di contenuto concreto i rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici e soprattutto gli altri PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 393 MOTIVI E' perfettamente giudiziale e va subito esaminata la prima eccezione proposta dal resistente nella memoria difensiva di costituzione. Rileva, con essa, il Presidente della Regione Siciliana, che la mancata notifica del ricorso in esame all'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Palermo entro il termine perentorio di 10 giorni, prescritto dall'art. 415 c.p.c. importa la estinzione del processo. Detta eccezione non ha pregio e va disattesa. Appare opportuno al riguardo chiarire che per la notifica della complessa vacatio in jus, prevista dal nuovo art. 415 c.p.c. da effettuarsi a cura dell'attore, vale la disciplina generale del codice sulla notifica e sulla sua nullit sanatoria. La notifica successiva ai dieci giorni dalla data di pronuncia del decreto non sar causa n di vizi n di irregolarit, ma solo di una procedura rapporti di lavoro pubblico che il nuovo testo dell'art. 409 c.p.c. ha attribuito al nuovo giudice. Non si pu dire che le rapide note di commento e le frettolose interpretazioni che hanno accompagnato l'entrata in vigore della legge .n. 533 del 1973, hanno contribuito sostanzialmente a chiarire la questione. Si ad esempio, recentemente sostenuto (Montesano -Mazziotti, Le controversie del lavoro e della sicurezza sociale, Napoli 1974, f. 39 e segg.) che nell'ambito della dizione rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici di cui al n. 5 dell'art. 409 c.p.c. potrebbero farsi rientrare i rapporti di lavoro subordinato non costituiti con un formale atto di nomina, e ci in relazione all'orientamento giurisprudenziale secondo il quale necessario, perch possa aversi un rapporto di pubblico impiego, un atto formale di nomina; mentre, negli altri rapporti di lavoro pubblico di cui al citato art. 409 n. 5, potrebbero farsi rientrare i rapporti, genericamente di lavoro autonomo, del privato con gli enti pubblici. Senonch, ad una riflessione pi approfondita, non sfugge_ la portata discutibile, di siffatti tentativi di interpretazione; cos, per quanto riguarda le situazioni che si fanno rientrare nei c.d. rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici di cui al n. 5 dell'art. 409, (e che evidentemente non sono quelli intercorrentj con gli enti pubblici economici, che sono dallo stesso articolo previsti al n. 4) facile replicare che, a prescindere da quell'altro orientamento giurisprudenziale che ravvisa l'esistenza di un atto di nomina nello stesso comportamento concludente delle parti, alla loro identificazione nei c.d. rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici >>, osta l'impossibilit concettuale di ipotizzare l'esistenza di rapporti di lavoro subordinato con enti pubblici, impossibilit, questa, peraltro avvalorata dall'insegnamento del Consiglio di Stato che ha sempre escluso la possibilit dell'esistenza di un rapporto di lavoro con un ente pubblico non qualificabile come pubblico impiego (si veda, per tutto, da ultimo Cons. Stato, Sez. VI, 30 maggio 1972, n. 277, in Cons. Stato 1972, I, 1148). Per quanto riguarda i rapporti, che si fanno rientrare negli altri rapporti di lavoro pubblico di cui al n. 5 dell'art. 409 c.p.c. cit. che consisterebbero, come si innanzi detto, nei rapporti genericamente di lavoro autonomo con gli enti pubblici, facile in primo luogo notare che non basta l'esistenza di un rappor RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 394 meno celere. La chiamata in causa viziata soltanto quando non vengono rispettati i termini in cui al comma quinto dell'art.. 415. A tale vizio va applicata con interpretazione sistematica la norma dell'art. 164 c.p.c. Ora, nel caso in esame, non vi vizio nella chiamata in causa giacch stato rispettato il termine non minore di trenta giorni disposto dal quinto comma dell'art. in esame bens un mero ritardo non produttivo di vizi dai quali se ne possa fare conseguire l'estinzione del processo. Va ora esaminata la seconda eccezione con la quale si rilevato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario a conoscere la presente controversia relativa a rapporti di pubblico impiego. Come risulta, dall'esposizione del fatto ed incontroverso fra le parti, a seguito di reiterate richieste dei ricorrenti sono stati emessi il 30 marzo 1973 dall'Assessore delegato dal Presidente della Regione Siciliana provvedimenti amministrativi con i quali si estendevano agli stessi odierni ricorrenti i benefici previsti dai d.P.R. 1077 e 1079 del 1970. Di detti decreti per l'amministrazione regionale ometteva di notificarli agli interessati e di darne concreta attuazione. Lamentano ora, in questa sede, i ricorrenti la lesione del loro diritto ad avere corrisposto le differenze di stipendi e di indennit loro attribuiti con i decreti emessi e non eseguiti e, in conse to di lavoro autonomo con un ente pubblico, o con una pubblica amministra zione, per far qualificare lo stesso come lavoro pubblico , consistendo sem mai la pubblicit. del lavoro, se cos pu dirsi (il carattere pubblico del la voro), in tutte quelle caratteristiche quali l'inserzione nella pianta organica dell'ente pubblico, la destinazione della prestazione fornita ai fini istituzionali dell'ente, ecc., che in concreto possono riscontrarsi soltanto nel rapporto di pubblico impiego, e mai, in un rapporto di lavoro autonomo con un ente pub blico, dal momento che i casi, che di quest possono darsi, e per alcuni dei quali esiste addirittura una esplicita previsione legislativa (si pensi, ad esempio, a quanto disposto dall'art. 5 t.u. n. 1611 del 1933), mai possono avere caratteristiche tali da farli definire pubblici . Quanto precede, ancora, avvalorato da un'altra considerazione; e cio che una attivit di lavoro pu considerarsi pubblica solo quanto essa entri a far parte della stessa organizzazione dell'ente pubblico; il che appunto, in concreto, avviene solo per il pubblico impiego e mai per il lavoro autonomo. Tali considerazioni sottolineano l'importanza e al contempo l'incertezza del le questioni relative alla determinazione della sfera di competenza attribuita al Giudice del lavoro, in relazione a rapporti di lavoro con le amministrazioni pubbliche. Ma maggiormente interessa, nel caso di specie, un altro aspetto, che co stituisce forse il risvolto pi significativo della decisione che si annota. Con essa, il pretore in funzione di giudice del lavoro ha dichiarato il proprio difetto di giurisdizione, ed ha ritenuto non essere, quelle dedotte in giudizio, questioni attinenti ai c.d. diritti patrimoniali conseguenziali , in quanto tali rientranti nelle attribuzioni del giudice ordinario: . e ci perch in discussione era diret tamente la legittimit o meno dei provvedimenti amministrativi che riconosce vano ai ricorrenti i miglioramenti economici previsti dai decreti del Presidente della Repubblica 1077 -1079 del 1970. E, la decisione particolarmente interes sante in relazione a tale particolare situazione di fatto ad essa preesistente e PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE , 395 guenza, chiedono che venga condannata l'Amministrazione Regionale a corrispondere quanto indicato nei decreti e gli arretrati maturatisi. Ci posto nella controversia in esame, a seguito dell'eccezione di difetto di giurisdizione deve accertarsi se, trattandosi di questione comunque relativa a rapporti di pubblico impiego, come assume la resistente, si verte in materia di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell'art. 29 del T.U. sul Consiglio di Stato, ovvero se, come asseriscono i ricorrenti, a seguito dell'emanazione degli atti amministrativi che hanno riconosciuto il diritto dei pubblici impiegati, non si verte pi in materia di pubblico impiego bens di diritti patrimoniali di competenza del giudice ordinario. Non inutile, a questo punto, rilevare che la giurisprudenza ormai pacifica afferma che la giurisdizione del Consiglio di Stato in materia di pubblico impiego si estende a tutte le controversie attinenti a situazioni di diritto soggettivo o interesse legittimo, comprese quelle aventi contenuto patrimoniale e sussiste ogni qual volta vi sia un collegamento causale fra il rapporto di pubblico impiego e la pretesa dedotta in giudizio; il che si verifica quando tale rapporto, nella sua consistenza e nel suo svolgimento, operi quale momento genetico diretto ed immediato della pretesa stessa, all'orientamento della precedente giurisprudenza dlla S.C. in relazione alle questioni relative ai cosiddetti diritti patrimoniali cons~guenziali. Come noto, l'art. 30 del t.u. delle Leggi sul Consiglio di Stato, nel ribadire che nelle materie deferite alla esclusiva giurisdizione del giudice amministrativo, questo conosce di tutte le questioni relative a diritti, precisa, al secondo comma, che rimangono sempre riservate all'A.G.O. le questioni attinenti a diritti patrimoniali conseguenziali alla pronunzia di legittimit dell'atto o provvedimento contro cui si ricorre. S'intende, ovvio, che tale pronunzia di legittimit rimane riservata al Consiglio di Stato (o ad altro giudice amministrativo). La giurisprudenza della Suprema Corte ha in seguito ampliato, con un procedimento di interpretazione estensiva, l'originaria previsione legislativa, e pur ribadendo il principio generale che la giurisdizione del Consiglio di Stato in materia di pubblico impiego si estende a tutte le controversie attinenti a situazioni di dirit to soggettivo o di interesse legittimo, compresa quelle aventi contenuto patrimoniale, ha statuito, a proposito delle questioni attinenti ai diritti patrimoniali conseguenziali, che, qualora la P.A. abbia riconosciuto il diritto reclamato dal pubblico in:ipiegato, vien meno il presupposto della giurisdizione esclusiva, ed il riconoscimento, tenendo luogo della pronuncia di legittimit, costituisce il presupposto di ogni altra pronuncia sui diritti patrimoniali conseguenti, spettante al giudice ordinario (Cass. 20 febbraio 1962, n. 346; Cass., Sez. Un. 3 giugno 1969, n. 1667). Ora, proprio a proposito del riconoscimento , di cui parla la giurisprudenza sopra citata, e dalla cui esistenza si fa dipendere la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario, che la sentenza annotata, tenendo conto dei fatti precedenti l'istaurazione del giudizio, assume una particolare rilevanza. E' la prima volta, infatti, se non si va errati, che per determinare la sussistenza o meno del riconoscimento, il giudice non si limita a considerare se, in merito alle pretese vantate, l'Amministrazione abbia o meno emanato provvedimenti in senso ricognitivo, ma si fa riferimento al comportamento dell'amministra 396 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO quando cio si controverta sulla sussistenza di tale rapporto, sulla sua estenzione o su diritti da esso derivanti che si assumano non essere stati in tutto o in parte riconosciuti. Alla luce di questa valida giurisprudenza chiaro che non pu farsi derivare la competenza del giudice ordinario da una mera sussistenza di diritti ad una maggiore retribuzione e ad altre indennit e ci data la tutela che la giurisdizione esclusiva offre a situazioni giuridiche, relative sia a diritti che ad interessi legittimi, direttamente ed immediatamente collegate con il rapporto di pubblico impiego. N la diversa prospettazione della domanda pu influire sulla determinazione ed individuazione della giurisdizione e della competenza. L'unica ipotesi in cui la giurisprudenza, pur trattandosi di questioni patrimoniali relative a rapporti di pubblico impiego, ammette la competenza del giudice ordinario quella in cui sia stato interrotto il collegamento cau.sale e diretto tra il rapporto di pubblico impiego e la pretesa dedotta in giudizio. Ci quando vi sia stato un riconoscimento da parte dell'amministra zione del diritto del pubblico impiegato: quando, quindi, il riconoscimento zione successivo all'emanazione dei provvedimenti stessi, attribuendo un valore determinante al comportamento complessivo tenuto dall'amministrazione. Due sembrano, a questo proposito, gli elementi significativi che possono trarsi dalla decisione annotata. Anzitutto, una definizione ben precisa del riconoscimento, che viene , descritto come la risultante indubbia di una coerente serie di atti comporta mentali, il che vale ad attribuire ad esso un contenuto concreto. Il riconosci mento della pretesa non viene pi apoditticamente identificato in un singolo atto, ma in una serie di atti, costituenti un comportamento univoco. E ci, indubbiamente, costituisce una seria garanzia sia per l'amministra zione che per il pubblico impiegato. In secondo luogo -e ci un corollario della definizione sopra menzio nata -assai importante l'affermazione di quello che potrebbe definirsi il prin cipio della rilevanza del comportamento conseguente all'emanazione dei prov vedimenti dell'amministrazione. La decisione infatti importante proprio perch stabilisce che il comporta mento dell'Amministrazione, susseguente all'emanazione del provvedimento, non indifferente, privo di effetti giuridici, ma anzi significativo, idoneo cio a pale sare la volont della Amministrazione stessa, e come tale capace di produrre effetti, addirittura in senso opposto e preclusivo rispetto a quelli del prece dente atto formale. Naturalmente, perch tale comportamento possa essere considerato rilevan te, necessario che esso manifesti una propria logica interna, di segno opposto a quella manifestata in precedenza. E' owio che, perch sussista un comportamento di tal fatto, non sar certo sufficiente una semplice omissione dell'amministrazione nell'attuare l'atto for male di ricognizione, ma ci si deve trovare di fronte ad una serie di atti che siano idonei a manifestare inequivocabilmente la volont opposta. ALESSANDRO PAJNO PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 397 abbia interrotto il collegamento tra la pretesa e rapporto di pubblico impiego e, a sua volta, sia divenuto esso stesso la causa petendi della domanda. Sicch, soltanto in questa ipotesi viene ad escludersi la competenza del giudice amministrativo giacch viene a mancare il presupposto di detta giurisdizione mentre il riconoscim_ento tenendo luogo della pronuncia di legittimit costituisce il presupposto di ogni altra pronuncia sui diritti patrimoniali di competenza del giudice ordinario. Resta da esaminare quindi, se nel caso che ci occupa vi sia stato da parte dell'Amministrazione regionale un riconoscimento dei diritti asseriti dai ricorrenti e, particolare, se un simile riconoscimento possa riscontrarsi nei decreti c.d. paritetici sui quali i ricorrenti fondano la loro pretesa. Orbene, pur apparendo ad un primo esame che detti atti amministrativi possano importare un riconoscimento della pretesa dei ricorrenti e ci per la loro stessa formazione, la registrazione della Corte dei Conti e la presunzione di legittimit di cui sono dotati, non si ritiene che possa pervenirsi ad una analoga definitiva conclusione. Non superfluo rilevare che il i-iconoscimento da parte di un soggetto di un diritto altrui deve essere pieno, valido e univoco e deve essere la risultante indubbia di una coerente serie di atti comportamentali. Ora, nel caso in esame, non v' chi non veda che nel comportamento della Regione Siciliana, ed in particolare negli atti che hanno proceduto ed hanno eseguito l'emissione di detti decreti del 30 marzo 1973, non vi sia nulla di coerente e di conseguente dal quale possa desumersi un univoco ed irrevocabile riconoscimento dei diritti dei ricorrenti. Infatti oltre a evidenziarsi che il comportamento dell'amministrazione non si manifestato soltanto nell'emissione dei detti atti ma si con cretato in concreti atti precedenti e susseguenti deve affermarsi che la omissione, nonostante le diffide, della notifica agli interessati degli atti e la mancata esecuzione degli stessi, per un notevole lasso di tempo, nonch la resistenza in questo giudizio alle domande dei ricorrenti fanno chiara mente desumere una volont del tutto contraria al riconoscimento del di ritto che d'altra parte potrebbe dedursi dalla lettera dei decreti di cui ci si occupa. Un tale contraddittorio comportamento dell'amministrazione (nella coerente condotta contraddittoria) che conseguentemente culmina con l'eccezione di illegittimit degli stessi provvedimenti avanzata nel pre sente giudizio 'non pu far di certo ritenere che la Regione Siciliana abbia inteso pienamente riconoscere i diritti dei ricorrenti. Da ci consegue, non ritenendosi esistente detto riconoscimento, che la questione patrimoniale prospettata in ricorso in diretto collegamento col rapporto di pubblico impiego e rientra quindi nella giurisdizione del giudice amministrativo. Pertanto deve dichiararsi il difetto di giurisdizione di questo giudice -(Omissis). SEZIONE QUARTA GIURISPRUDENZA CIVILE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 14 maggio 1976, n. 1702 -Pres. Rossi Este. Scanzano -P. M. Raya (conf.) -SARF (avv. Santini) c. Ministero dei Trasporti (avv. Stato de Francisci). Concessioni Concessioni Contratto -Negozio bilaterale Funzione Disciplina privatistica Inapplicabilit Diritto di prelazione : Ex arti colo 2, legge n. 13 del 1963 -Inammissibilit. Nella concessione-contratto il negozio bilaterale, pur essendo autonomo nel processo formativo e nel contenuto rispetto alla concessione, ha la funzione di dare attuazione alla deliberazione della p.a. inerente all'esplicazione del pubblico servizio, in quanto realizza un intimo collegamento che unifica le due entit, in uno strumento giuridico complesso. Di consegue7Jza, l'u.so dei locali, oggetto del contratto, funzionalmente collegato all'attivit svolta per il soddisfacimento delle esigenze pubbliche (servizio ferroviario) e non pu essere disciplinato dai principi privatistici, tra i quali rientra, verificatasi la scadenza della concessione, il diritto di prelazione ai sensi dell'art. 2 della legge 27 gennaio 1963, n. 13 (1). (Omissis). -La ricorrente non contesta che il presupposto necessario per l'applicabilit della legge n. 19 del 1963 sia l'esistenza di un contratto di locazione di immobile: cio che del resto risulta in termini testuali dai limiti che a detta legge sono assegnati dal suo art. 1. Orbene I~ Corte di merito, dopo avere identificato il contenuto materiale del rapporto controverso (in termini che in verit non sono neppure oggetto di censura), ha fatto esatta applicazione di principi giuridici quando ne ha negato, la natura di locazione e Io ha ricondotto allo schema della concessione, pur se in un passaggio della motivazione (non decisivo (1) La sentenza conforme a un indirizzo giurisprudenziale ormai costante cfr. SS.UU. 25 maggio 1968, n. 1604,-in Giust. Civ. Mass., 1968, 811 con richiami, nonch Cass. 9 gennaio 1973, n. 8, Foro lt. 1973, I, 1098, con nota di riferimenti anche in dottrina; ed in questa Rassegna, 1973, 833. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE rispetto alla portata globale di essa) ha parlato di un negozio come oggetto della concessione , con un accenno di cui la ricorrente ha colto l'impropriet. Secondo la sentenza impugnata, l'Amministrazione delle Ferrovie dello Stato, a seguito di trattativa p~ivata, concesse alla SARF. l'esercizio del pubblico servizio di caff-ristorante nella Stazione di Milano Centrale, ed in attuazione del relativo provvedimento amministrativo stipul con la stessa, il 21 giugno 1954, una convenzione che richiamava il capitolato generale emanato dal Ministero dei Trasporti per la disciplina uniforme dei rapporti del genere: i quali sono riconducibili allo schema della concessione-contratto, traendo appunto origine da un atto unilaterale on cui la P.. delibera di affidare ad un privato l'esercizio di un'attivit a s riservata, e da un negozio bilaterale che attraverso la determinazione dei diritti ed obblighi reciproci, stabilisce le modalit di esecuzione del servizio. Tale negozio bens autonomo quanto a processo formativo (che richiede la partecipazione di entrambi i soggetti) e quanto a contenuto (che di norma autosufficiente ai fini della determinazione della rispettiva posizione delle parti), ma la funzione che lo distingue, costituita dalla finalit di dare attuazione alla deliberazione della P.A. (Cass., 1894/67 e 902/66) realizza, rispetto a questa, un intimo collegamento che unifica le due entit in uno stmmento giuridico complesso. Da ci deriva che, nell'ambito di ques.to, il negozio bilaterale non pu essere isolato per' essere assoggettato in toto alla disciplina del diritto privato, perch se anche esso ricalchi lo schema di un analogo contratto di diritto privato, la causa (che necessario identificare ai fini della qualificazione e del trattamento giuridico) non pu essere svincolata dall'atto di concessione.. Ora, avendo riguardo agli elementi di fatto evidenziati dall'impugnata sentenza e considerando che al pubblico servizio ferroviario consen ziale il funzionamento di stazioni organizzate anche per le esigenze per sonali dei viaggiatori, appare chiaro: a) che la P.A., affidando ad un privato l'attivit svolta al soddisfa cimento di una di tali esigenze, ha agito in funzione del pubblico ser vizio e (trattandosi di attivit a s riservata per legge) ha posto in essere una concessione (appunto di servizio); b) che l'uso da parte del concessionario di locali funzionalmente destinati all'esercizio di detta attivit strumentale rispetto a questa e non pu perci essere retto da una causa indipendente. In altri termini, chiaro che la causa di quell'uso non lo scambio del godimento di beni verso un corrispettivo (ci che nella locazione caratterizza appunto il tipo negoziale ed esaurisce le fondamentali reciproche aspettative delle 400 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO parti) ma la sostituzione, da parte della P.A., di un privato a se stessa nella cura di uno degli aspetti inerenti ad un pubblico servizio,. necessariamente implicante come mezzo al fine l'uso di detti locali. Non si volle, cio, far luogo alla concessione per consentire tale uso (e non si tratt quindi neanche di concessione di beni), ma questo uso si consent per realizzare la finalit primaria della concessione, costituit dallo svolgimento di un pbblico servizio. Se, inoltre, si considera che oggetto di un negozio di mero diritto privato possono essere solo i beni del patrimonio disponibile dello Stato (e tali certamente non sono le pertinenze del demanio ferroviario, come i locali di cui si discute) mentre l'uso dei beni demaniali e patrimoniali indisponibili ricade sotto la disciplina del diritto pubblico (Cass., 9 gennaio 1973, n. 8; 25 maggio 1968, n. 1604; 12 febbraio 1963, n. 269) appare pienamente corretta l'opinione del giudice di merito che, con riferimento all'uso di quei locali, ha negato potersi isolare una locazione di natura privatistica. Che nell'ambito di tale uso possano emergere aspetti e modalit in tutto simili a quelli propri del contratto di locazione, e che riguardo ad essi la convenzione od il capitolato possano ricalcare la disciplina del predetto contratto od addirittura richiamare quella che per esso I detta il codice civile, un dato tanto possibile quanto irrilevante. Esso dimostra solo che, sul piano della valutazione economica di quei particolari aspetti, viene -tra l'altro -in evidenza un interesse che coincide 1 con quello che giustifica la disciplina dei corrispondenti profili della w locazione, ma non sufficiente a giustificare l'identificazione dei due rapporti sul piano della causa giuridica, la quale - bene ripetere non pu prescindere, nel caso considerato, dall'obiettivo finale che si volle perseguire, cio lo svolgimento di un pubblico servizio mediante affidamento della relativa gestione ad un soggetto privato. L'opinione in tal senso espressa dalla Corte di merito riceve con forto dagli ulteriori rilievi da essa svolti circa la facolt dell'Ammini strazione ferroviaria di modificare la consistenza ed ubicazione dei locali (che estranea quanto meno agli schemi usuali della locazione) ed i penetranti poteri d'ingerenza dell'Amministrazione stessa sulla condizione dell'esercizio: poteri che, consentendo ad essa di esercitare controlli sulla qualit dei 'prodotti smerciati e sui loro prezzi ed esprimere .apprezza menti sulla condotta in genere della gestione, dimostrano la persistenza di una posizione preminente della P.A. anche al di l dell'atto autori tativo di concessione, e dimostrano soprattutto che la causa dell'intero rapporto era permeata dall'esigenza che quella gestione, lungi dall'essere un fatto di esclusivo interesse della SARF, realizzasse un ordinato ed efficiente servizio di ristoro, quale elemento integrativo della funzionalit dello scalo ferroviario. -(Omissis). PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 401 PRETURA DI BARI, 30 aprile 1976 -Est. D'Innella -Scivittaro (avv. Tonzo rella) c. Ente Sviluppo Puglia e Lucania (avv. Stato Carino). Locazione di immobili urbani -Proroga Applicabilit della P.A. Am missibilit. La proroga dei contratti di locazione immobili urbani disposta dai provvedimenti legislativi in materia, applicabile anche ai contratti di cui sia parte la pubblica Amministrazione in qualit di conduttrice (1). (Omissis). -La controversia ha un solo punto di discussione: se il contratto di locazione in questione vada o meno ricompreso tra quelli che beneficiano della proroga legale. (1) Cenni sull'applicabilit della proroga delle locazioni agli immobili urbani di cui sia conduttrice la Pubblica Amministrazione. L'interesse per la sentenza che si annota, discende dalla circostanza di essere la prima in cui un giudice di merito si sia pronunciato sulla difficile questione dell'applicabilit delle leggi di proroga alla P.A.: nota essendo la difficolt con cui tali problemi giungono all'esame della Corte di Cassazione, preferendo le parti raggiungere un accordo in sede stragiudiziale, dopo magari esperito il primo grado di giudizio, con l'acconciarsi il conduttore al rilascio dell'immobile, oppure ad un accordo pi o meno coartante con il proprio locatore. Per la P.A. il problema assume toni particolarmente impegnativi, sia per la nota difficolt che le singole amministrazioni incontrano nella corresponsione dei canoni per le more cui soggetto il relativo procedimento (che spesso induce il locatore a chiedere il rilascio dell'immobile su cui v. peraltro l'ordinanza del Pretore di Roma del 16 febbraio 1976 est. Natale), sia per le incertezze che un'evenienza di tal fatta comporta sull'attivit di uffici che si trovano, per quanto riguarda la sede, a volte esposti alla opinione quanto mai oscillante della giurisprudenza pretorile, mancando, nel silenzio della Corte di Cassazione, una sicura guida nel sistema normativo in materia. Volendo tracciare, in via di prima approssimazione, uno scheletrico schema delle disposizioni in vigore, baster porre in evidenza che l'ultima normativa organica risale oramai al dl. 24 luglio 1973, n. 426 (conv. in 1. 22 dicembre 1973, n. 841); nonch al d.l. 19 giugno 1974, n. 236 (conv. in l. 12 agosto 1974, n. 351), prorogato con d.l. 25 giugno 1975, n. 255 (conv. 1. 31 luglio 1975, n. 363), prorogato, a sua volta, sino al 31 dicembre 1976 con d.l. 13 maggio 1976, n. 228. L'art. 1 del dl. n. 236 del 1974, nel disporre che i contratti di locazione e di sublocazione degli immobili urbani in corso dalla data in vigore del provvedimento sono prorogati... opera in materia con valore di clausola generale, rendendo la. proroga applicabile a qualsiasi soggetto purch -come specificato dallo stessa legislatore -la locazione riguardi un immobile urbano (per la definizione cfr. LAZZARO, PREDEN VARRONE, Le locazioni in regime vincolistico, Milano, 1975, 31) e risulti in corso (cfr. per la definizione di locazione in corso Cass. 21 novembre 1972, n. 3463, in Foro it. Rep. 1972, 1766). Di qui l'illazione, che sinora risulta chiara in dottrina, ed affermata dalla sentenza che si riporta, dall'applicabilit del beneficio anche alla P.A. in veste di conduttrice di immobili urbani in propriet di privati: operando infatti l'Amministrazione jure privatorum, non si vede il motivo per cui la tutela ad 402 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO La tesi negativa di parte attrice trae spunto da un parere del Consiglio di Stato (n. 1218 dell'll maggio 1973), il quale, rifacendosi alla relazione al disegno di legge di iniziativa governativa (atto n. 1806 Camera dei deputati) e relativi lavori parlamentari, poneva l'accento sul preminente interesse pubblico della legge vincolistica, tesa a tutelare le classi meno abbienti sulle quali ricadono i disagi derivanti dalla precaria situazione dell'edilizia del nostro paese. Sicch, logica appare la escl.sione da questa tutela per quelle C(;\tegorie di persone che non versino in disagiate condizioni economiche, ricomprese in queste quelle giuridiche e tra queste certamente gli enti pubblici. essa accordata dovrebbe manifestarsi inferiore da quella spettante a qualsiasi altro privato conduttore. Detto avviso, espresso per la prima volta in sentenza dal Pretore di Bari, aveva trovato gi conforto in opinioni di dottrina, che consideravano nei provvedimenti in vigore un'estensione indiscriminata della proroga a qualsiasi immobile destinato ad uso diverso dall'abitazione, a prescindere dal reddito del conduttore (cfr. Annunziata, M. La proroga delle locazioni al 30 giugno 1975, in Giust. Civ. IV, 1975, pag. 1972 e segg.). Del resto, completamente superato dalla normativa attuale apparso anche il parere del Consiglio di Stato n. 1218 dell'll maggio 1975, volto ad escludere dal beneficio in parola gli Enti Pubblici perch la legge in materia tutelerebbe solo il locatore poco abbiente (per una critica del richiamato parere cfr. BIANCHI, L.: Pu un Ente pubblico fruire del blocco dei canoni? Riv. Giur. Ed, 1975). Infatti, a parte il vizio logico sito in principio in un simile ragionamento perch il vincolo delle locazioni esteso agli enti pubblici ed alla P.A. giova anche ai conduttori poco abbienti, eliminando uno dei motivi di lievitazione dei prezzi dei beni e dei servizi, da osservare che detto avviso venne espresso dal Consiglio di Stato sotto l'imperio della legge 26 novembre 1969, n. 833, la cui ratio, come noto, si fonda su motivi ben diversi dagli attuali. La disciplina delle proroghe delle locazioni stabilite con il d.l. n. 426 del 1973 e successive si muove infatti su binari completamente differenti, essendo il beneficio regolato alla stregua di principio generale e le limitazioni ridotte al rango di eccezioni, con il palese fine di tutelare non tanto il conduttore quale contraente pi debole, ma le condizioni complessive della economia, inserendo la proroga delle locazioni nel quadro di una politica antinflazionistica diretta a contenere le lievitazioni di prezzi dovute a qualunque causa: e non c' dubbio che nell'attuale momento economico il libero gioco delle contrattazioni nel campo dell'edilizia, accrescendo la rendita cosiddetta _ parassitaria si presenta uno dei fattori pi rilevanti della spinta dei prezzi verso l'alto (cfr. sul punto, Pretura Bassano del Grappa, 2 novembre 1974, in Giust. civ. 1975, e Cass. 9 dicembre 1974, n. 4173, ivi, 611 e segg.). In questo ambito, due quindi possono considerarsi le eccezioni alla generalissima regola della proroga dei contratti di locazioni degli immobili urbani: -l'una -gi sopra accennata -che concerne quelli adibiti ad uso di abitazione, ove il conduttore non rientri nelle condizioni di cui al secondo inciso dell'art. 1, dl. n. 426 del 1973 (e cio inquilini iscritti per una somma superiore ai 4 milioni nei ruoli dell'imposta complementare nel 1973 -cifra che attualmente -si presenta alquanto inadeguata a tutelare efficacemente il PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 403 Di contro a questa tesi vi ha quella di parte convenuta, che individua la ratio della legge nella volont politica di introdurre misure contro la lievitazione dei prezzi, al fine di evitare spinte inflazionistiche che finirebbero per danneggiare le classi con minori disponibilit economiche in r~lazione al problema della casa e del locale di lavoro. Trattasi, com' evidente, di argomenti validissimi che lasciano insoluto il problema, per la cui soluzione non resta che rifarsi al dettato della legge. Orbene, la lettura di questa fa ritenere l'applicabilit del beneficio anche alle persone giuridiche,' private o pubbliche, non potendosi conte medio redditiere che percepisce un'entrata uguale oppure marginalmente superiore); -l'altra prevista dalla I. 23 maggio 1950, n. 253 (che, al contrario della precedente, pu colpire anche la P.A.), il cui art. 4 dispone la decadenza dalla proroga qualora si verifichi l'urgente e improrogabile necessit del locatore di destinare l'immobile stesso, a qualunque uso adibito (e pertanto anche a pubblico ufficio) ad abitazione propria o a quella dei propri congiunti. Dubbia rimane poi la fattispecie in cui la P.A., contrattando jure privatorum sia conduttrice di un alloggio da destinare ad un pubblico dipendente in relazione alle funzioni da esso esercitate (ad es. alloggio di servizio). La soluzione sar diversa (cfr. LAZZARO, le locazioni, cit., 71) a seconda che si dia preminente importanza all'uso effettivo dell'immobile (abitazione della persona fisica); nel qual caso il beneficio subordinato alla prova che l'occupante rientri nei limiti di reddito richiesti dal d.l. n. 426 del 1973. Ovvero si valuti la destinazione ad alloggio di servizio quale strumento per il perseguimento dei fini dell'ente, ove la locazione va considerata per uso diverso dalla abitazione, e di conseguenza assoggettata a proroga in quanto rientrante nella regola qi applicabilit generale. L'ipotesi di specie offre inoltre l'occasione per trattare di due ulteriori temi oggetto di attenzione in ordine ad un rapporto di locazione di ui sia parte una pubblica Amministrazione: l'uno, particolare, e relativo all'inapplicabilit di un diverso canone di locazione in caso in cui la P.A. succeda ad altro conduttore, e l'altro, pi generale, relativo alla immutabilit dei canoni, in persistenza del rapporto di locazione. Relativamente alla prima di tali questioni, occorre far richiamo all'art. 1, quarto comma, della 1. 22 dicembre 1973, n. 841, che -rimanendo nei precedenti canoni ermeneutici -dovrebbe essere interpretato nel senso della generalizzazione del divieto di aumento del canone di locazione qualora l'immobile venga dato ad altro conduttore, persona fisica o giuridica che esso sia, ad uso non abitativo e abitativo, con la sola limitazione, in quest'ultima ipotesi, che il conduttore incontri le condizioni di cui all'art. 1 del dl. n. 426 del 1973. Non v' pertanto da dubitare che in tal caso la P.A. pu usufruire di tal sorta di novazione soggettiva del rapporto locatizio, che rimane per il resto -e pertanto anche per il canone -immutato, con il solo limite del1' identit dell'oggetto dedotto in contratto, nel senso che ove questo dovesse variare in maniera apprezzabile, o comunque risultare addirittura diverso, non opererebbe la appena ricordata disciplina. Di difficile interpretazione poi la questione relativa alla specificazione dell'identit dell'oggetto, anche qui in mancanza di precisi orientamenti della giurisprudenza (per due casi di specie, cfr. Cass. 15 giugno 1965, n. 1231, in Foro it. Rep. 1965, 1790 e Cass. 4 gennaio 1966, n. 81, in Giust. civ., 1966, I, 916): 404 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO stare la generalizzazione della proroga disposta dagli ultimi decreti-legge. Ed in vero, l'art. 1, 1. 31 luglio 1975, n. 363, cos come l'art. 1 della 1. 12 agosto 1974, n. 351, parla genericamente di contratti di locazione e di sublocazione di immobili urbani, ricompresi in questi quelli adibiti e non ad abitazione, tant' che, quando la legge fa riferimento ad immobili adibiti ad uso di abitazione, lo dice espressamente per indicare, solo per questi, non pare comunque che la destinazione dell'immobile dall'uso primitivo di abi tazione a quello successivo di ufficio ad uso della P.A. possa apportare modifi cazioni dell'oggetto del rapporto che rimane sempre e comunque di locazione. Pi grave appare invece l'altro problema relativo all'applicabilit del cosiddetto blocco degli affitti alla P.A., affrontato sinora da diverse pronunzie di merito ed oggetto di esame anche da parte della Corte Costituzionale (cfr. Sent. citate n. 3 e n. 4 del 1976). Per una corretta impostazione della tematica, importa innanzitutto stabilire se il blocco in questione sia collegato intimamente con la proroga delle locazioni, nel senso che debbano ritenersi bloccati i fitti degli immobili le cui locazioni siano prorogate a sensi dei provvedimenti sopra menzionati; e poi esaminare i limiti eventuali cui il blocco stesso sia soggetto, in specie riguardo alle diverse clausole (la pi frequente quella dell'aggancio dei canoni all'indice prezzi l.S.T.A.T.) con cui si sinora tentato di eluderlo. Relativamente al primo dei due quesiti, deve osservarsi che la stessa impostazione concettuale offerta dal legislatore lascerebbe postulare per l'autonomia dei menzionati benefici: infatti se la legge avesse. voluto collegare la proroga delle locazioni col blocco dei canoni, non avrebbe previsto -come invece dato rilevare nella legge 26 novembre 1969, n. 633 e successive -una normativa ad hoc. Del resto, il concetto di proroga del contratto, postula gi, di per se stesso, un perdurare nel tempo del rapporto, immutato in tutti i suoi elementi, soggettivo ed oggettivo; in pratica un divieto legale di novazione del negozio da cui ha origine del rapporto locatizio, sia per quanto riguarda il contenuto, nel senso che i soggetti non sono abilitati ne unilateralmente (n, si noti (!) bilateralmente (stante l'inefficacia delle pattuizioni di cui all'art. 8 della legge n. 833 del 1969) ad alterare il canone di locazione; sia per ci che concerne i soggetti, in quanto non consentito (salvo volont del conduttore) l'applicazione unilaterale da parte del locatore del meccanismo di cui all'art. 1596, secondo comma, del Codice civile. Ciq postula pertanto un'autonomia concettuale del blocco dei canoni rispetto alla proroga, nello specifico senso che sono da ritenere immutabili ape legis tutti i canoni di locazione, sia degli immobili prorogati che di quelli non soggetti a proroga: in quest'ultimo caso il locatore potr dare per disdetta al proprio conduttore e rinnovare alla scadenza il contratto con un diverso soggetto, sempre che si tratti di locazione abitativa e che il reddito del conduttore superi i 4 milioni al 1973. In caso contrario riprende vigore la regola del divieto legale di novazione. Detta conseguenza -che a prima vista appare (ed effettivamente) aberrante -dimostra con quanta fretta ed imperfezioni sul piano tecnico-giuridico siano strutturate le attuali norme in materia. Per quanto concerne le Pubbliche Amministrazioni, comunque, il problema non riveste eccessiva rilevanza in quanto, dovendosi considerare prorogate le PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 405 il limite di applicabilit della proroga (reddito netto non superiore a 4 milioni). Sicch, la prima considerazione che tutti i contratti sono prorogati, la seconda che il limite di applicabilit della proroga riguarda solo le persone fisiche e non anche quelle giuridiche. Questa esclusione, che per parte attrice sta a significare la non applicabilit del beneficio alle persone giuridiche per l'ovvia considerazione che i bilanci di queste sono di gran lunga superiore al limite previsto dalla legge per le persone fisiche, trova invece un'altra giustificazione. Interpretando storicamente le varie leggi vincolistiche che si sono succedute, dall'art. 6, quarto comma, della 1. 26 novembre 1969, n. 833 si rileva come il legislatore un tempo locazioni in cui la P.A. conduca l'immobile ad uso diverso dall'abitazione, insieme al blocco dovr considerarsi (anche se distintamente) operante la proroga. Un qualche concreto significato verr ad assumerlo invece qualora l'immobile risulti condotto per motivi di servizio della P.A. a favore di un agente, nell'ipotesi in cui la giurisprudenza finisca per orientarsi nel primo dei sensi sopra accennati (cio considerando la locazione ad uso di sola abitazione): in questo caso o la amministrazione conduttrice si orienter a novare il contratto ad un canone maggiorato (rivelandosi elusivo il blocco) o sar costretta a rilasciare l'immobile salvo naturalmente il caso in cui l'occupante abbia percepito un reddito iscritto nel 1973 nei ruoli della imposta complementare per una somma inferiore ai 4 milioni. Peraltro, sempre in aderenza alla interpretazione dei motivi di servizio riportata al capoverso precedente, rimane da notare che la P.A. potr comunque agevolarsi nel caso di nuova locazione del disposto di cui all'art. 2 della l. n. 833 del 1969, nei limiti in cui sancisce il divieto di aumento dei canoni per gli immobili urbani adibiti ad uso di abitazione qualora il contratto sia rinnovato con altro conduttore. Ci significa che la P.A., in qualit di conduttrice di un immobile destinato ad alloggio di servizio per un proprio funzionario, potr sempre opporre al locatore il canone pattuito al precedente contratto, riducendone autonomamente ed unilateralmente l'importo, senza incorrere in alcuna sanzione. Veniamo infine a trattare della problematica relativa all'aumento dei canoni, facendo anzitutto presente come il punto sia tra i pi controversi nella giurisprudenza di merito, presentandosi come uno dei tentativi pi ricorrenti di eludere il blocco e la proroga. Di frequente infatti il locatore -in specie se proprietario di un solo appartamento, non ha interesse a concederlo a questo o a quel conduttore (e perci anche alla P.A.) ma soltanto di trarvi il maggior reddito possibile. Di qui l'alta percentuale di litigiosit, congiunta al frequente uso di strumenti, giuridici e non, tutti tendenti ad adeguare il canone nominale al prezzo reale di mercato degli immobili. Vale a dire al potere di acquisto della moneta, che ha assunto negli ultimi tempi oscillazioni imprevedibili. Questo comporta l'inserzione in numerosissimi contratti di locazione -di cui parte anche la P.A. -delle cosiddette clausole di salvaguardia, che agganciano il canone al prezzo di un determinato bene o servizio a fattori oppure altri beni il cui valore suscettibile di rimanere inalterato. Delle numerosissime (baster ricordare le clausole oro-valore o moneta estera-valore), la 8 406 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO si anche preoccupato di dare disposizioni per quei contratti nei quali conduttore fosse una societ costituita secondo il libro V del codice civile, escludendo queste ed altre imprese commerciali, iscritte nei ruoli di imposta di ricchezza mobile per una somma superiore ai dieci milioni, dal beneficio della proroga. Il silenzio delle leggi successive in ordine a queste categorie di persone non pu essere interpretato come esclusione totale dal beneficio senza espresso riferimento della legge, bens come abolizione di quella previsione con applicabilit del beneficio a tutte le persone giuridiche, private e pubbliche. pi diffusa attualmente consiste nel prendere a parametro l'indice dei prezzi al consumo risultante dalla media rilevata periodicamente dall'Istituto Centrale di Statistica (cd. clausola I.S.T.A.T.). La giurisprudenza si presenta sul punto divisa. La tendenza che, nel puntuale momento, pare debba considerarsi prevalente, quella espressa efficacemente da due pronuncie del Tribunale di Roma (v. conf. Cass. 3 marzo 1976, n. 711, in Foro it. 1976, I, 970, Trib. Roma, sez. III, Est. Cherubini 29 settembre 1975, in Foro it. 1976, I, 226; e sez. III, Est. Pafundi, 21 ottobre 1975, in Nuovo diritto, 1976, 44), secondo le quali: la legge 26 novembre 1969, n. 833 non ha reso inefficaci le clausole di adeguamento del canone al costo della vita, apposte ad un rapporto locativo preesistente anche se destinate ad operare in caso di rinnovazione del contratto, successiva alla sua entrata in vigore . Le cosiddette clausole numero indice ISTAT, vanno ricomprese tra le clausole di adeguamento dei canoni di locazione, dirett< a compensare gli effetti della svalutazione monetaria, di cui all'art. 1, quai to comma, del d.l. 24 luglio 1973, n. 426 prevede l'inefficacia a far tempo dalla sua entrata in vigore. La clausola di adeguamento ISTAT, stipulata per mantenere costante il valore della prestazione del locatario non costituisce aumento del canone e rimane, perci, valida ed efficace nel periodo di blocco dei canoni sino all'entrata in vigore del d.l. 24 luglio 1973, n. 426, che ne ha sospeso l'efficacia. Si pu, da quanto riportato, costatare la tendenza, da parte della giurisprudenza, a salvare per quanto possibile il contenuto delle clausole di salvaguardia monetaria, anche col distinguere I' aumento dall' adeguamento del canone, travalicando cos il dettato ed il fine delle leggi di blocco, ove gi all'art. 8, primo comma, del d.l. 833 del 1960, si stabiliva la nullit di ogni aumento del canone di locazione... qualunque ne fosse il contenuto apparente . La perentoriet del dettato legislativ' non sarebbe pertanto suscettibile di incertezze: eppure l'espediente della distinzione formale tra aumento (vietato dalla legge) ed adeguamento (consentito) ha permesso ad una certa giurisprudenza, che al momento attuale da considerarsi prevalente, di estendere la legittimit dell'aumento dei canoni locatizi connessi all'apposizione sul contratto della clausola ISTAT sino all'entrata in vigore della d.l. n. 426 del 1973, che ne ha definitivamente stabilito l'inefficacia con espressa normativa di interpretazione autentica. La decorrenza degli effetti della disposizione surricordata dall'entrata in vigore del decreto>>, fondata sull'evidente proposito di non turbare eccessivamente l'andamento del mercato delle locazioni -delicatissimo a quell'epoca -ha purtroppo sancito la legittimit di siffatta interpretazione, che PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 407 Il fondamento di questa interpretazione consiste nella tutela di queste persone giuridiche che, agendo in un mercato con limitate disponibilit di immobili a libera contrattazione, finirebbero per dover sottostare inevitabilmente a contratti strozzati, soprattutto se si tien conto delle difficolt di organizzazione e di sistemazione che queste persone incontrano per la loro attivit, per cui un trasferimento in altra sede creerebbe problemi non facilmente risolvibili; e ci eancor pi vero per gli enti pubblici (per tutti valga l'esempio delle scuole pubbliche sistemate in immobili privati). La tutela quindi duplice; evitare che queste persone, che svolgono attivit comme,rciali e che forniscono servizi sociali si trovino nella condizione di dover sborsare ingenti somme a beneficio di alcuni privilegiati proprietari, e nel contempo contenere, attravers9 la limitata contratta.zione degli immobili liberi, la spinta inflazionistica. Alla stregua di queste considerazioni si ritiene di rigettare la domanda proposta dall'attrice. -(Omissis). aveva peraltro incontrato diversi consensi m dottrina (cfr. la nota redazionale ne Il nuovo diritto 1976, pagg. 46, nonch in Foro it. 1976, cit. 226; ed anche Clausole di salvaguardia monetaria ed aumenti del canone di locazione in Temi romana, 1972) oltre che nella giurisprudenza del Pretore (cfr, Pretura Milano 12 aprile 1973, Est. Stassavo e 21 marzo 1975, Est. Laudati, Monitore dei Tribunali 1975, 373). Non sono peraltro mancate comunque voci discordi ed orientate in senso favorevole ai conduttori: argomentando infatti che nel d.I. n. 833 del 1969, il legislatore ha inteso eminentemente sacrificare in via eccezionale l'interesse che mira a realizzare l'immutabilit del contenuto economico del rapporto tra prestazione e controprestazione, dinanzi al preminente interesse pubblico consistente nella necessit, per salvaguardare il sistema economico-sociale di evitare le conseguenze negative connesse con l'aggravarsi del fenomeno inflazionistico, la giurisprudenza di merito si pronunziata per la nullit ab origine di dette clausole (cfr. Pret. Milano, 21 marzo 1974, Est. Motta; Pret. Roma, 30 luglio 1973, Est. Pivetti, entrambe in Riv. Giur. 'Edil. 1975, 46, segg. e la giur. cit. in Monitore dei Tribunali, 1975, 373). Mette conto rilevare in tale contesto, come, la Corte Costituzionale, che con sentenze n. 3 e 4 dell'anno 1976 ha avuto occasione di pronunziarsi sull'argomento -in seguito alla denunciata illegittimit del blocco dei canoni per supposta violazione dell'art. 42 della Costituzione -ha posto esattamente in luce come il Costituente avesse riservato alla legge -e, tra l'altro all'impugnata norma dell'art. 8 del dJ. n. 833 del 1969 -il potere di determinarne i limiti al fine di realizzarne la funzione sociale. Tutto ci, interpretato in riferimento della tendenza giurisprudenziale sfavorevole al conduttore, dovrebbe indurre i giudici a recedere dalla prima delle opinioni sopraricordate, equiparando il regime di blocco dei fitti antecedente alla dJ. n. 426 del 1973 a quello successivo, per ci che concerne il divieto di aumento dei canoni. CESARE LAMBERTI SEZIONE QUINTA GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA(*) CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 9 dicembre 1975, n. 1203 -Pres. De Capua Est. Giovannini -Asta (avv. Andrioli) c. Ministero lavori pubblici (avv. Stato Ferri) e Regione Lazio (avv.ti Amata e Lagonegro) (Appello, T.A.R. Lazio I Sez. 19 luglio 1974 n. 29: conferma). Competenza e giurisdizione Impiego pubblico Esodo volontario dei diri genti dello Stato Giurisdizione del giudice amministrativo -Sussiste. Competenza e giurisdizione Tribunali amministrativi regionali Ricorsi in materia di giurisdizione esclusiva proposti prima del decorso del termine di tre mesi di cui all'art. 38 L. n. 1034/1971 -Inammissibilit del ricorso -Sussiste. Competenza e giurisdizione Tribunali amministrativi regionali Competenza territoriale e competenza funzionale -Applicabilit Effetti e limiti. Pubblica amministrazione -Ricorso principale -Errore scusabile Mancanza di obiettiva dubbiezza Applicabilit dell'istituto della rimessione in termini -Nort sussiste. Ai sensi dgli artt. 67 d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748 e 2 e 3 della legge 24 maggio 1970, n. 336 i provvedimenti amministrativi relativi al collocamento a riposo anticipato non involgono solo il diritto a pensione ma incidono altres sul diritto alla liquidazione della indennit di buonuscita che rientra nella girisdizione esclusiva del Consiglio di Stato ai sensi dell'art. 29 n. 1 del R.D. 26 giugno 1924, n. 1054 (1). (1-9) Elaborazione giurisprudenziale del Consiglio .di Stato in tema di competenza e giurisdizione dei Tribunali Amministrativi Regionali. Le quattro decisioni che si annotano costituiscono espressione e, in parte, conferma dei principi e canoni interpretativi degli articoli 2, 3 e 4 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, istitutiva dei Tribunali Amministrativi . Regionali; la prima, in particolare, con il sancito collegamento fra l'art. 38 e l'art. 4 pone, risolvendolo, un ulteriore problema di diritto transitorio. Invero, della particolare disciplina transitoria della legge istitutiva dei T A.R. e dei vari aspetti trattati in sede giurisprudenziale amministrativa si gi occupata questa Rassegna (si rinvia, in particolare, alle decisioni annotate IV Sez. (*) Alla redazione delle massime e delle note di questa sezione ha collaborato l'avv. R. TAMIOZZO. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 409 Gli artt. 2 e 3 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 comprendono anche tutti gli atti e i provvedimenti amministrativi rientranti nella giurisdizione esclusiva dei giudici amministrativi; n pu sostenersi che il legislatore abbia voluto attribuire ai T.A.R. competenza immediata in materia di giurisdizione esclusiva e competenza differita in materia di giurisdizione genet: ale di legittimit, perch altrimenti l'art. 38 l. 1034/1971 avrebbe richiamato non solo gli artt. 2 e 3, ma anche l'art. 4 nella parte in cui, attraverso il riferimento alla tutela di interessi di persone fisiche o giuridiche quest'ultimo tipo di giurisdizione trova in principio la sua definizione: di contra, il criterio adottato stato quello della fissazione di regole in relazione alla diversa provenienza degli atti e provvedimenti amministrativi, quale che sia il tipo di giurisdizione (amministrativa) cui questi siano assoggettati. Ne consegue la incompetenza del T.A.R. a decidere un ricorso in materia di giurisdizione esclusiva, proposto prima del l aprile 1974 (2). 23 aprile 1974, n. 315 e V Sez. 29 novembre 1974, n. 567, rispettivamente 1974, I, 1428, e 1975, I, 537). Vediamo ora i nuovi profili, meritevoli di interesse, offerti dalle presenti decisioni. La prima (1203 della Sez. IV) risolve, pregiudizialmente, la questione della natura dei diritti scaturenti dagli artt. 67 d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748 e 2 e 3 I. 24 maggio 1970, n. 336, sull'esodo volontario dei dirigenti statali, confermando la sottoposizione al Consiglio di Stato, o meglio alla giurisdizione amministrativa, del diritto alla liquidazione dell'indennit di buonuscita in quanto diritto compreso nell'ambito della giurisdizione esclusiva dei medesimi organi giurisdizionali amministrativi. Tale soluzione, del resto, trova conferma anche in una precedente decisione della stessa Sezione (19 febbraio 1974, n. 194, in Il Consiglio di Stato 1974, I, 214), secondo la quale, qualora si verta in tema di pretese patrimoniali che non si riferiscono solo all'ammontare del trattamento pensionistico ma anche all'indennit di buonuscita, e precisamente al suo ammontare (di cui il ricorrente lamenti una errata, pregiudizievole determinazione), la relativa controversia rientra nella giurisdizione esclusiva del Consiglio di Stato e non in quella della Corte dei Conti. A tale riguardo aggiungiamo che, a nostro avviso, le controversie concernenti l'equo indennizzo e l'indennit di buonuscita di dipendenti statali dopo la cessazione dal servizio debbono essere sempre attribuite alla competenza del T.A.R. nella cui circoscrizione ha sede l'ufficio in cui l'impiegato prestava servizio al momento della cessazione, e ci in relazione al 2o comma dell'art. 3 che, come noto, individua il foro speciale del pubblico impiego e che, mentre non pu trovare applicazione con riferimento agli atti ~ provvedimenti relativi alle operazioni anteriori alla costituzione del rapporto di servizio (come, ad esempio, per i procedimenti di concorso ecc.), non potendosi configurare la qualifica di impiegato prima della nomina, non altrettanto sembra giustificare una interpretazione in senso cos rigido della norma, tale da escludere la applicabilit di detto foro speciale proprio in ordine ai provvedimenti relativi alla buonuscita (o all'equo indennizzo), che non solo postulano necessariamente il riferimento all' impiegato>>, ma altres rappresentano il corrispettivo di un diritto maturato in servizio dallo stesso impiegato, e quindi direttamente e inscin 410 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO L'appello.proposto al Consiglio di Stato contro la decisione di un T.A.R. che abbia dichiarato la inammissibilit del ricorso per incompetenza funzionale (in quanto la controversia rientrava nella competenza prorogata del Consiglio di Stato ex art. 38 l. 1034/1971) non pu essere considerato alla stregua di una semplice riproposizione dell'originario ricorso e ci in relazione al principio secondo cui le norme fissate dall'art. 50 c.p.c. e dall'art. 31 l. 1034/1971 non sono suscettibili di interpretazione analogica (3). L'istituto della rimessione in termini pu trovare applicazione solo laddove sussista una' situazione di obiettiva dubbiezza, la sola idonea a giusti ficare il riconoscimento della scusabilit dell'errore (4). CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 2 dicembre 1975, n. 657 Pres. Aru, Est. Iannelli Soc. Esercizi Elettrici (avv. Sorrentino) c. Ministero industria, commercio ed artigianato (avv. Stato Lancia) ed ENEL (avv. Guarino). Competenza e giurisdizione T.A.R. per la Regione Siciliana Sfera di competenza in relazione alla dee. n. 61/1975 della Corte Costituzionale. Competenza e giurisdizione Limiti della competenza territoriale dei T.A.R. Efficacia diretta e indiretta dell'atto -Criteri di individuazione. Competenza e giurisdizione Provvedimento di espropriazione . Criterio di individuazione del T .A.R. competente Circoscrizione in cui si trova il bene Competenza -Sussiste. La Corte Costituzionale con sentenza n. 61 del 12 marzo 1975 ha dichiarato la illegittimit costituzionale dell'art. 40 l. 1034/1971 nella parte in cui dibilmente collegato alla prestazione del serv1z10 medesimo e solo cronologi camente rinviato, quanto all'effettivo godimento., ad epoca successiva alla ces sazione (contra Andreani, La competenza per territorio dei Tribunali Ammini strativi Regionali, Milano 1974, 136 e segg.). L'indagine sulla natura del diritto alla indennit di buonuscita fornisce l'oc casione per un esam, ex professo, della questione se la materia assogettata alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sia compresa o meno ne_lle materie a competenza differita, previste dall'art. 38, lo comma, della citata legge 1034/1971. Con una motivazione di tutta chiarezza (che costituisce, del resto, pregi> ricorrente dell'estensore della decisione) la IV Sezione precisa la funzione degli artt. 2 e 3 della legge in esame, volti per l'appunto non gi a circoscrivere l'am bito della giurisdizione di legittimit dei T.A.R., ma pi propriamente a deter minare i criteri di individuazone della sfera di competenza territoriale di tali organi giurisdizionali. Il criterio onnicomprensivo degli artt. 2 e 3 spiega, cos, il perch del richiamo ai medesimi limitato da parte dell'art. 38, il quale, infatti, non cita anche l'art. 4, e non gi perch quest'ultimo contempli, in ipotesi, gli atti e i provvedimenti amministrativi rientranti nella giurisdizione esclusiva laddove gli PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMJNIS~RATIVA 411 limit la competenza del T.A.R. per la Regione Siciliana alle materie indicate nell'art. 2 lett. a) e nell'art. 6 della legge medesima; pertanto attualmente il T.A.R. per la Regione Siciliana ha la stessa competenza generalizzata di tutti gli altri T.A.R. (5). Per gli atti emanati da organi centrali dello Stato, la cui efficacia sia peraltro limitata territorialmente alla circoscrizione di un solo Tribunale Amministrativo Regionale la competenza del T.A.R. medesimo: l'efficacia cui fa riferimento la legge (art. 3 l. 1034/1971) l'efficacia diretta, essendo irrilevanti, ai fini d ella ripartizione dlle competenze, gli eventuali effetti indiretti del provvedimento in esame (6). In tema di provvedimenti di espropriazione diretto destinatario dell'atto ablatorio il titolare del bene che viene espropriato, non gi il soggetto a favore del quale l'espropriazione viene pronunciata (7). artt. 2 e 3 andrebbero limitati ai soli atti compresi nella giurisdizione di legittimit. N potrebbe sorreggere una diversa conclusione l'evidente impropriet dell'espressione iniziale dell'art. 4 nelle materie indicate... , e ci in relazione alla indiscussa e gi sottolineata clausola generale sulla competenza, contenuta nella normativa di cui agli artt. 2 lett. b) e 3 (l'impropriet in parola venne evidenziata gi in sede di prima applicazione della I. 1034/1971 da CANNADABARTOp, Diritti edl interessi nell'art. 4 della legge sui .Tribunali Amministrativi Regionali, in Foro Amm.vo 1972, Ili, 9, il quale, fra l'altro, esclude che l'art. 4 preveda la giurisdizione esclusiva, espressamente contemplata al 20 comma del successivo art. 7; cfr. al riguardo anche SEPE-PEs; Le nuove leggi di giustizia amministrativa, Milano 1972, 112 e segg.). L'art. 4 non va, comunque, esente da critiche anche laddove pretende di individuare nei diritti e negli interessi l'oggetto dei ricorsi giurisdizionali amministrativi: invero, oggetto del ricorso normalmente l'accertamento del vizio dell'atto impugnato, con il suo conseguente annullamento; il diritto e l'in teresse costituiscono, pi propriamente, le condizioni dell'azione (cfr. VIRGA, La tutela giurisdizionale nei confronti della Pubblica Amministrazione, Milano 1966, 153 e segg.). Anche l'art. 7 della I. 1034/1971 viene qualificato dalla prima delle decisioni annotate per quello che effettivamente esso rappresenta, e cio quale concreta delimitazione della riserva prevista dall'art. 4 della l~gg, non gi norma che con templi e disciplini una categoria di atti e provvedimenti non ricompresi nei precedenti artt. 2 e 3. Sostanzialmente anche l'art. 38 costituisce una ulteriore conferma del cri terio adottato dal legislatore in sede di disciplina della competenza territoriale, criterio che fa riferimento solo alla diversa provenienza degli atti e dei provve dimenti, con l'esclusione, di conseguenza, dalla competenza immediata di tutti, indistintamente, gli atti e i provvedimenti emanati dagli organi centrali dello Stato. Merita, inoltre piena adesione la 1203 anche in ordine al mancato ricono scimento dell'errore scusabile, che conferma, sia pure sotto il limitato aspetto della gi intervenuta emanazione, all'epoca della presentazione del ricorso, di molteplici decisioni, da parte del Consiglio di Stato, su ricorsi relativi alla giu risdizione esclusiva, presentati dopo l'entrata in vigore della I. 1034/1971) la 412 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 5 dicembre 1975, n. 674 Pres. Daniele Est. Roselli -I.N.P.S. (avv.ti Loi, Coccopani e Sacerdoti) c. Campus (avv. Tarello) -(Regolamento di competenza). Competenza e giurisdizione -Competenza territoriale dei T.A.R. in tema di atti plurimi -Annullamento di provvedimenti di collocamento a riposo di dipendenti I.N.P.S. ex combattenti -Competenza territoriale del T.A.R. della circoscrizione in cui rientra la sede dell'Ente nella quale il dipendente prestava e prester servizio dopo il richiamo - Sussiste. Il provvedimento con cui il Comitato esecutivo dell'I.N.P.S. dispone l'annullamento dei provvedimenti di collocamento a riposo di dipendenti ex combattenti, adottati con decorrenza posteriore al 30 giugno 1974, costituisce atto plurimo che incide sulla posizione dei vari impiegati, il cui rapporto di impiego non ha peraltro subito -sotto il profilo giuridico -al- restrittiva interpretazione dell'istituto de quo in altra sede da noi gi sostenuta (cfr. in questa Rassegna, 1974, I, 1437 in nota; una ipotesi di riconosciuta applicabilit dell'errore scusabile nella disciplina transitoria ex art. 38 I. 1034/1971 cfr. Sez. V, 4 luglio 1975, n. 990, in Il Consiglio di Stato 1975, I, 864); giover, a tale proposito, ricordare, altres, che il Consiglio di Stato ha costantemente ritenuto infondata la questione di costituzionalit, in relazione agli artt. 3, 24, Io e 2o comma; e 113, 20 comma, Costituzione, dell'art. 38 cpv., il quale, disponendo la perpetuatio competentiae del Consiglio di Stato per i giudizi ivi previsti, esclude il _loppio grado di giurisdizione (cfr. ad es. IV Sez., 8 luglio 1975, n. 675, in Il Consiglio di Stato 1975, I, 771; VI Sez. 9 maggio 1975, n. 158, ivi 1975, I, 647; Sez. V, 10 aprile 1973, n. 363, ivi, 1973, I, 569; Sez. V, 14 novembre 1972, n. ivi, 1972, I, 2032; Sez. V, 26 maggio 1972, n. 409, ivi, 1972, I, 1015; in dottrina cfr. LUBRANO, Aspetti interpretativi e costituzionali dell'attuazione &ella legge sui T.A.R., in Riv. Amm. 1972, 1). Quanto alla decisione 657/1975 della Sez. \TI, giova anzitutto rilevare che essa costituisce una delle prime applicazioni della nuova normativa connessa alla declaratoria di incostituzionalit dell'art. 40, to comma, della legge 1034/1971 nella parte in cui limitava la competenza del T .A.R. per la Regione Siciliana, pronunciata dalla Corte. Costituzionale con sentenza 12 marzo 1975, n. 61, per violazione degli artt. 3 e 125 della Costituzione (in Foro lt. 1975, I, 785; in dottrina cfr. GIALWMBARDO, In margine alla sentenza della Corte Costituzionale 12 marzo 1975, n. 61, sulla competenza del Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, in Foro Amm.vo 1975, Il, 198; GIANNINI, Il Tribunale regionale amministratfvo della Sicilia feliciter restitutum, in Giur. Cost. 1975, 1070). Tale seconda decisione pone, poi, un criterio di individuazione della particolare natura della efficacia dell'atto, contemplata dall'art. 3, 2o comma, I. 1034/1971: l'efficacia eia prendere in considerazione, ai fini della individuazione della competenza territoriale, solo la efficacia diretta, essendo esclusa ogni rilevanza degli eventuali effetti indiretti del provvedimento. E' cos sostanzialmente accolta la tesi del VIRGA (I Tribunali Amministrativi Regionali, Milano 1972, 31); in dottrina stato peraltro rilevato lo scarso approfondimento teorico della nozione dell'efficacia diretta dell'atto (cfr., per una PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 413 cun mutamento anche in relazione al luogo di ~volgimento del servizio; di tal che competente a conoscere dell'impugnativa di detta deliberazione in sede giurisdizionale amministrativa di detta deliberazione in sede giurisdizionale amministrativa il T.A.R. della circoscrizione in cui compresa la sede dell'Ente nella quale l'impiegato prestava e prester servizio dopo il richiamo (8). CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 19 dicembre 1975, n. 707 Pres. Aru Est. Coraggio -I.N.A.I.L. (avv.ti Cataldi, Schillaci e Sircasso) c. Mitri (avv. Vinciguerra) (Regolamento di competenza). Competenza e giurisdizione Competenza territoriale dei T.A.R. -Impiego pubblico Criteri di individuazione della competenza . Sede centrale dell'Ente Rilevanza. Ai sensi del 2 comma dell'art. 3 l. 1034/1971, la competenza territoriale spetta al T.A.R. della circoscrizione in cui il pubblico dipendente presta ser approfondita analisi critica del problema, ANDREANI, op. cit., 117 e segg.; sui limiti del concetto di efficacia spaziale del provvedimento cfr. GIANNINI, Corso di Diritto Amministrativo, Milano, 1970, I, 592; sul rapporto fra i concetti di efficacia e di validit del provvedimento cfr. VIRGA, Il Provvedimento Amministrativo, Milano 1972, 367 e segg.; _sulla riferibilit dell' efficacia al concreto rapporto amministrativo disciplinato dall'atto cfr. STELLA RICHTER, La competenza territoriale nel giudizio amministrativo, Milano 1975, 19 e segg.) e pertanto auspicabile che, in un prossimo futuro, una pi approfondita meditazione, anche in sede giurisprudenziale, del concetto in esame possa offrire validi e pi consi stenti argomenti di ermeneutica. Con ben pi convincente motivazione la decisione della VI Sezione n. 674 fissa i limiti di competenza territoriale in tema di atto plurimo che incida sulla posizione di vari impiegati specificamente elencati, dei quali sia stato annullato il provvedimento di collocamento a riposo; viene riconosciuto competente il T.A.R. nella cui circoscrizione rientra la sede dell'Ente nella quale il dipendente richiamato in servizio prestava e presta, dopo il richi11mo, la propria attivit: questa una puntuale applicazione della normativa in tema di atti plurimi, ipotesi che ricorre quando, sotto forma di un unico atto formale, sussistano vari atti di un unico agente e di contenuto identico, ma rivolti a destinatari diversi, sicch il provvedimento pu concettualmente scindersi in una somma di atti particolari: da ci la qualificazione di atto scindibile in via esclusiva riservata all'atto plurimo, in contrapposizione all'atto generale (con destinatari non determinati e non determinabili) e all'atto collettivo (che provvede. in forma unitaria e indivisibile nei confronti di un complesso di soggetti legati da un rapporto necessario di interdipendenza), quale, ad esempio, la graduatoria di un concorso, fattispecie sottoposta all'esame della VI Sezione nell'ultima delle decisioni annotate (n. 707), la quale ha cosi fatto esatta e puntuale applicazione, a sua volta, dei principi elaborati in subiecta materia, proprio con riferimento all'ambito soggettivo di efficacia del provvedimento impugnato il quale, esplicando i suoi RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 414 vizzo: tale norma, risolvendosi in una disposizione di particolare favore per i pubblici dipendenti, non solo esige una interpretazione rigorosa ma-va altres disattesa, con conseguente applicabilit della disciplina prevista dall'ultimo comma dell'art. 3 legge citata, qualora interessati al ricorso siano pi dipendenti di un Ente residente in circoscrizioni diverse; in tale ipotesi, infatti, competente per territorio sar il T.A.R. della circoscrizione nella quale si trova la sede centrale dell'Ente (9). effetti in modo unitario e inscindibile nei confronti di una pluralit di destinatari , impiegati in servizio presso uffici compresi nella circoscrizione di T.A.R. . diversi, non pu che comportare, di necessit, la applicazione, ai fini della determinazione della competenza territoriale ex art. 3 I. 1034/1971, non del secondo, bensi del terz> comma di detto articolo, con esclusione, quindi, in siffatta ipotesi, del foro speciale del pubblico impiego. RAFFAELE TAMIOZZO SEZIONE SESTA GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA I CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 10 marzo 1976, n. 824 -Pres. Rossi Est. Lipari -P. M. Minetti (conf.) -Viotto c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Tomasicchio). Imposte e tasse in genere -Imposte indirette -Condono di cui al d.l. 5 novembre 1973, n. 660 -Sospensione del giudizio a seguito di presentazione dell'istanza -Controversia non rientrante nella previsione della norma -Rigetto della istanza di sospensione -Pronunzia da parte del giudice innanzi al quale pende il giudizio. (d.!. 5 novembre 1973, n. 660 convertito nella legge 19 dicembre 1973, n. 823, art. 11). Spetta al giudice innanzi al quale pende il giudizio stabilire se esso debba essere sospeso quando sia stata presentata domanda di condono, non essendo la sospensione una conseguenza automatica della presentazione della domanda; pertanto il giudice legittimamente rigetta la domanda di sospensione, senza con ci invadere la sfera di attribuzione della Amministrazione sulla applicazione del beneficio, quando la controversia (nella specie di imposta successione non attinente alla estimazione) non rientra fra quelle che possono beneficiare del condono (1). II CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 12 aprile 1976, n. 1271 -Pres. Giannattasio Est. Sposato -P. M. Trotta (diff. in parte) -Parisi (avv. Aureli) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Angelini Rota). Imposte e tasse in genere -Imposte indirette -Condono di cui al d.l. 5 novembre 1973, n. 660 -Rigetto della domanda in sede amministrativa -Decisione da parte .del giudice adito della legittimit del provvedimento di rigetto -Ricorso del contribuente alla Commissione Irrilevanza. (d.!. S novembre 1973, n. 660 convertito nella legge 19 dicembre 1973, n. 823, art. 11). (1-2) Le due sentenze hanno apportato un importante chiarimento al dubbio, recentemente sorto, sull'individuazione del giudice che deve pronunciarsi sulla spettanza del condono, quando non sia stato riconosciuto in sede amministrativa (Cass. 20 gennaio 1976, n. 159, in questa Rassegna, 1976, I, 116). La prima sentenza esattamente precisa che il giudice non vincolato rigorosamente a 416 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO .Spetta al giudice investito della decisione sulla fondatezza di un 416 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO .Spetta al giudice investito della decisione sulla fondatezza di un diritto conoscere i fatti modificativi e estintivi di quel diritto e quindi se il condono che influirebbe sul diritto controverso sia stato a ragione o a torto negato; di conseguenza dopo che sia stata rigettata la domanda di condono in sede amministrativa, il giudice innanzi al quale la causa pendente (ed anche la Corte di Cassazione) deve decidere incidentalmente sulla legittimit del provvedimento di rigetto, aY1,che se il contribuente abbia proposto ricorso alla Commissione di primo grado (2). I (Omissis). -Nel corso del presente giudizio di cassazione il ricorrente ha chiesto, ai sensi dell'art. 11 del d.l. 5 novembre 1973, n. 660, convertito, con modificazioni, nella legge 19 dicembre 1973, n. 823, la sospensione del giudizio medesimo a seguito della presentazione di richiesta dell'applicazione di condono all'Ufficio tributario competente; e nella memoria insiste nella richiesta, alla quale si oppone l'Avvocatura dello Stato, osservando che la causa non riguarda una questione di estimazione, ma la risoluzione di questioni giuridiche, trattandosi di conoscere della pretesa dell'erede di escludere dall'asse parte di un fabbricato di cui assume di essere proprietario e quindi di non dovere corrispondere il tributo all'uopo richisto senza che ne venga in considerazione l'adeguatezza in termini di corrispondenza alla base imponibile. Il rilievo dell'Avvocatura coglie la effettiva portata della controversia. Su un fondo di propriet esclusiva della moglie stato costruito, a cura e spese del marito, un edificio, catastalmente intestato ad entrambi. Venuta a mancare ai vivi la donna, in sede successoria il coniuge superstite ha denunciato solo met dlla casa, pretendendo di essere ab origine proprietario dell'ltra met. La finanza ha richiesto il pagamento del tributo sull'intero cespite, ma il marito, agendo anche per i figli minori, ha contestato l'operativit dell'accessione, invocando il divieto di donazioJ;J.e fra coniugi, e sostenendo di aver diritto, comunque, a portare in detrazione il proprio credito ex art. 936 e.e. E rimasto soc sospendere il giudizio quando sia presentata domanda di condono; se infatti spetta incontestabilmente alla Amministrazione applicare il condono, il giudice certamente pu accertare che non sussistono i presupposti della sospensione valutando se la controversia astrattamente suscettibile di essere definita con condono. La seconda pronunzia si lega alla prima; spetta sempre al giudice adito verificare se sul diritto fatto valere vengano ad incidere fatti modificativi o estintivi e quindi lo stesso giudice deve giudicare della legittimit del provvedimento che rigetta l'istanza di condono, perch ci attiene alla estinzione del processo che deve pronunciare il giudice di quel processo (e quindi anche la Corte di Cassazione se in quella sede sopravvenuta la legge di condono) e non un giudice diverso (la Commissione adita con un nuovo ricorso). PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA combente ha impugnato in proprio la sentenza, ed ha invocato la necessaria partecipazione anche dei figli minori al giudizio, previa nomina di un curatore speciale. In questa sede di legittimit, abbandonata la richiesta di restituzione della stessa imposta principale, quale esclusivo proprietario dell'intero edificio, il Viotto ripropone le restanti tesi gi sostenute senza fortu,na davanti alla Corte di appello. Cos individuata la materia del contendere appare evidente che la controversia non rientra fra quelle per le quali la legge ammette il condono, in quanto non si discute della valutazione di cespiti, ma si deve stabilire principalmente se un determinato cespite rientri o meno nell'asse ereditario. Si quindi al di fuori _della previsione dell'art. 6, primo comma, secondo periodo,. del d.l. n. 660, introdotto dalla legge di conversione 19 dicembre 1973, n. 823, secondo la quale le controversie di valutazione pendenti alla data di entrata in vigore del presente decreto e relative a successioni apertesi o donazioni pattuite ant~riormente al 1 gennaio 1973 sono definite, su richiesta del contribuente, con la riduzione del 60% del valore presunto dall'ufficio... senza applicazioni di sopratasse o pene pecuniarie . Di fronte al chiarissimo dettato normativo non ha fondamento la tesi difensiva del Viotto che vorrebbe precludere all'autorit giudiziaria di delibare la congruenza della richiesta di condono con la astratta fattispecie della legge, postulando l'automaticit della sospensione per il mero fatto della presentazione della richiesta, e fino alla reiezione di questa da parte della amministrazione finanziaria. Nel giudicare dei limiti del condono, ristretto alle sole questioni di valutazione, l'autorit giudiziaria non invade la sfera di attribuzioni spettante alla amministrazione poich non provvede, in sua vece, ad applicare il beneficio, ma esercita i propri poteri di qualificazione della controversia in termini non riconducibili alla mera estimazione. E dell'esattezza di tale qualificazione nella specie non pu dubitarsi alla stregua delle considerazioni che precedono, contro le quali non giova il richiamo alla narrativa contenuta nella domanda di condono che non pu evidentemente spostare i termini della materia del contendere risultanti dalla effettuata puntualizzazione e che saranno sviluppati pi innanzi nella confutazione dei motivi. -(Omissis). II (Omissis). -I) -I ricorrenti hanno fatto presente nella loro memoria -ed hanno esibito in proposito idonea documentazione -di aver chiesto l'applicazione del condono di cui nel d.l. 5 novembre 1973, RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 418 n. 660, convertito con modificazioni nella I. 19 dicembre 1973, n. 823; che il competente Ufficio ha respinto la loro istanza per l'addotta ragione che il condono non si applica agli interessi relativi ad imposte a suo tempo pagate; e che contro tale provvedimento di diniego hanno pro posto, in data 20 gennaio 1975, ricorso alla Commissione Tributaria di primo grado. E ci avendo esposto, hanno chiesto che il presente giudizio venga sospeso in attesa della definizione di quello iniziato davanti alla detta Commissione. L'istanza di sospensione carente di giuridico fondamento. Secondo la previgente normativa sul contenzioso tributario le opposizioni alle ingiunzioni sono state ritualmente proposte davanti alla autorit giudiziaria ordinaria, che nei due gradi di merito ed ora in sede di legittimit, ha deciso, e deve decidere, sulla loro ammissibilit e sulla loro fonda tezza. Costituendo il condono un fatto modificativo del diritto fatto valere, dalla Finanza con le ingiunzioni, ovvio che della sussistenza di tale fatto -come di qualsiasi altro fatto che estingua o modifichi i diritti per i quali si fa questione davanti ad esso -competente a conoscere, per affermarlo o negarlo, lo stesso giudice che deve affermare o negare J.a sussistenza di quel diritto. Di conseguenza in questa sede che bisogna accertare, per trarne le dovute conclusioni in ordine al giudizio sulla legittimit delle ingiunzioni, se il condono chiesto dai ricorrenti sia stato a ragione o a torto negato. II) . Questa Corte Suprema ritiene che l'applicazione del condono sia stata negata legittimamente dall'Ufficio finanziario. Come si gi avuto occasione di affermare (v. la sentenza 15 marzo 1975, n. 1015) la esclusione dell'applicabilit del condono fiscale previsto dalla citata legge del 1973 al debito degli interessi moratori deriva dalle disposizioni degli artt. 6 e 10 di codesta legge. Difatti l'art. 6, per quanto riguarda le im poste indirette, circoscrive la possibilit di fruire del condono alle sole controversie, pendenti alla data di entrata in vigore del decreto n. 660 del 1973, in ordine all'applicazione del tributo; e, pi in generale, l'art. 10 esonera il contribuente dal pagamento degli interessi moratori limitatamente a quelli che sarebbero dovuti sulle imposte da corrispondere in applicazione del condono. Invero, come stato osservato (nella ricordata sentenza), il provvedimento di condono fiscale ha una duplice finalit, cio l'eliminazione delle controversie e l'immediata riscossione dei tributi, sia pure in misura ridotta. L'intrinseco collegamento fra le due finalit evidente giacch la rinunzia da parte dell'Erario a far valere per intero i diritti che formano oggetto delle controversie pendenti trova, nel meccanismo del provvedimento di condono, un compenso nella pronta, bench parziale, realizzazione di quei diritti. E s'intende che il detto collegamento verrebbe del tutto a mancare se il condono, contro la lettera e la ratio ! i: I I ~' I ~~~dh0~~~J PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA della legge, dovesse trovare applicazione rispetto ai tributi gi riscossi, sia pure ai soli effetti dell'esonero dal pagamento degli interessi moratori ad essi relativi. III) -I ricorrenti sostengono, in via subordinata, che, se interpretate nella maniera dianzi esposta, le norme della legge di condono contrasterebbero con il principio di eguaglianza enunciato dall'art. 3 della Costituzione, in quanto porrebbero il contribuente che abbia gi pagato il tributo in una posizione addirittura deteriore rispetto a quello di chi abbia preferito rimandarne il pagamento mediante l'instaurazione di una lite, spesso del tutto ingiustificata, con la Finanza. Ma la questione d'incostituzionalit cos formulata si manifesta del tutto priva di fondamento giacch sostanzialmente diversa la posizione della Finanza rispetto al contribuente ~l cui obbligo tributario, comunque definito, non pu essere pi oggetto di discussione, da quella che essa ha nei confronti del contribuente la cui contestazione sia ancora sub iudice. Naturalmente, prima che la controversia sia definita, nessuno in grado di affermare se la pretesa del contribuente sia avventata oppure meritevole di riconoscimento, e tanto meno un'affermazione siffatta pu essere assunta, in un senso o nell'altro, in via generale, dal legislatore come presupposto dei suoi provvedimenti. pertanto da escludere che un trattamento diverso sia stato previsto per un'identica situazione, e che il legislatore abbia predisposto una normativa pi favorevole per chi meno meritevole di favore. Si aggiunga che una questione analoga a quella ora prospettata dai ricorrenti stata gi esaminata e risolta, nel senso della infondatezza, in relazione ad altro provvedimento di condono fiscale, dalla Corte Costituzionale con la sentenza 15 dicembre 1967, n. 148. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 13 marzo 1976, n. 909 -Pres. Giannattasio -Est. Lipari -P. M. Minetti (conf.) -Wagner (avv. Asquini) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Tomasicchio). Imposta di registro -Agevolazione per le case di abitazione non di lusso Villa con costruzioni separate di carattere accessorio -Unico complesso -Determinazione del rapporto di superficie in relazione a singole costruzioni Esclusione. (I. 2 luglio 1969, n. 408, art. 13 e 14). Per la determinazione della caratteristica di lusso in base al rapporto tra superficie utile della costruzione e superficie del circostante giardino o parco, una villa padronale con costruzioni separate di carattere pertinenziale (nella specie casa del custode) va considerata come unico complesso (nel quale le superfici delle abitazioni vanno sommate) e non come RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO separate case di abitazione per ognuna delle quali valga un distinto rapporto con la superficie circostante (1). (Omissis). -1. -In base all'art. 14 della I. 2 luglio 1949, n. 408, contenente disposizioni per l'incremento delle costruzioni edilizie sono concessi il beneficio dell'imposta ipotecaria per gli acquisti di aree edifi cabili e per i contratti di appalto quando abbiano per oggetto la 'costru~=~ zione delle case di cui al precedente art. 13 vale a dire le case di abitazione, anche se comprendano uffici e negozi che non al;>biano il carattere di abitazioni di lusso , le quali, nel concorso di altre condi < 1"' zioni circa i tempi dell'edificazione, erano ammesse a godere dell'esen ' zione venticinquennale dall'imposta sui fabbricati, mentre i materiali im I piegati nella loro costruzione restavano esenti da imposta di consumo. ~ I ~ Il complesso di agevolazioni previste dalla legge n. 408, sulla quale successivamente si andranno ad innestare ulteriori disposizioni i_n tema di edilizia (e, per quel che qui .specificamente interessa, la I. 2 feb~ I0 braio 1960, n. 35), si impernia, dunque, sul concetto di case di abitazione non di lusso . La legge non definisce la nozione di casa di abitazione, ma si preoccupa di stabilire il concetto di case di lusso stabihl lendo, al secondo comma del citato art. 13, che nel termine di sei mesi ~: dalla pubblicazione della presente legge, con decreto del Ministero per i ;:: f:'. lavori pubblici, saranno fissate le caratteristiche per la classifica delle ;:: abitazioni di lusso . Fu cos emanato il decreto ministeriale 7 gennaio 1950, sostituito 111 dopo un decennio, dal decreto 4 dicembre 1961 applicabile alle fattiV specie. lii facile cogliere la ratio dell'agevolazione e del suo limite rappresentato dalle case di lusso: si voleva sopperire con nuove costruzioni l! alla deficienza di abitazioni, determinata sia dagli eventi bellici, per le (:'. t: avvenute distruzioni e la correlativa stasi del settore edilizio; sia dal I i: l'incremento della popolazione, e dal fenomeno dell'urbanismo, per assicurare ai cittadini il bene primario della casa; ma tale essenziale primariet veniva meno quando l'abitazione considerata, per essere appunto ili di lusso, rispondeva alla ulteriore esigenza di fornire qualcosa di pi di un idoneo ed igienico appartamento, secondo una particolare misura I di comodit e di pregio indice di prosperit economica, sicch non appa I ~ riva giustificata in alcun modo al riguardo l'adozione di misure tributarie in favore. Nasce cos -come regolamento delegato -il decreto ministeriale li chiamato a dettare, con specificazioni prevalentemente tecniche, le carat \' teristiche proprie delle case di lusso, e che assume pregnante rilievo in ' ~ r 1 (1) Massima di evidente esattezza. Non constano precedenti. ! -I I f ! PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA tema di locazioni vincolistiche (essendo stato recepito dall'art. 2, lett. a), della 1. 21 dicembre 1960, n. 1521, sulla disciplina transitoria delle locazioni degli immobili urbani che prevede appunto la cessazione dei vincoli rispetto agli immobili considerati di lusso ai sensi del decreto 7 genna} o 1950; ed in tale direzione si sono avuti i pi numerosi interventi della gi4risprudenza di questa Corte volti a fissare i concetti di superficie utile e superficie coperta, nonch quello della Corte Costituzionale, che con sentenza n. 23 del 1965, ha dichiarato infondata la questione di legittimit della citata norma della legge n. 1521). Al decreto del 1950 ha fatto seguito, abrogandolo esplicitamente, quello del 4 dicembre 1961 il quale enuclea con maggiore rigorosit i caratteri della casa di lusso motivando il mutamento con l'opportunit di. rivedere le disposizioni contenute nel decreto stesso, in considerazione della intervenuta evoluzione della tecnica costruttiva, del pi elevato tenore di vita della popolazione, e delle mutate condizioni del mercato dei materiali; ed in effetti gli anni dal 1950 al 1960 rappresentano un periodo di sensibile espansione dell'economia nazionale sicch appare giustificato, con l'elevarsi del tenore medio di vita degli italiani, il corrispondente aggravamento di requisiti richiesti per qualificare un'abitazione come casa di lusso, in quanto corredata di pregi chiaramente esorbitanti dal migliorato standard abitativo. 2. -La risoluzione della controversia sottoposta all'esame di questa Suprema Corte comportava la verifica della esattezza della inclusione fra le case di lusso -indipendentemente dalle risultanze catastali della villa edificata dai ricorrenti Wagner in n terreno panoramico che si affaccia sulla baia di Grignano presso Trieste, alla stregua del n. 2 del decreto ministeriale 4 dicembre 1961 che comprende, secondo la formula testualmente riprodotta nella narrativa che precede le case di abitazione costituenti un unico alloggio padronale di superficie utile complessiva superiore ai 200 mq., circondata da giardino, o parco, o area scoperta, dalla superficie di oltre sei volte l'area coperta. Le commissioni tributarie ed i giudici di primo e di secondo grado hanno univocamente ritenuto di poter annoverare l'atto della cui tassazione si controverte, in relazione alla sistemazione costruttiva realizzata, fra gli acquisti di aree edificabili per la. realizzazione di case di lusso ed hanno conseguentemente riconosciuto legittima la pretesa della finanza di imposta suppletiva per decadenza dai benefici medesimi. I contribuenti ripropongono in questa sede il loro assunto, particolarmente insistendo nella memoria sul mancato accatastamento dei fabbricati. Ma la sentenza denunciata, nonostante talune oscurit di forma che ne rendono a tratti difficile l'intelligenza, nell'essenziale nucleo argomentativo, messo in evidenza e riassunto pi sopra, resiste alle critiche dei ricorrenti. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Per l'esatto inquadramento di queste occorre tenere distinto il momento ricognitivo della situazione dei luoghi, da quello valutativo dei fatti cos accertati. Sotto il primo profilo la Corte d'appello, prendendo le mosse dalle note esibite dall'amministrazione, redatte dall'ufficio tecnico erariale, del 19 settembre, 2 e 29 novembre 1962 e dalla stessa relazione tecnica stra I giudiziale esibita dai contribuenti, ha accertato: a) che sul fondo continuo risultante dalla giustapposizione delle I I! aree trasferite con i due atti di compravendita (rispettivamente dell'8 aprile e del 14 giugno 1960) complessivamente della superficie di mq. 6.055, sorgevano costruzioni coperte per soli mq. 316, secondo una proporzione di uno a diciannove; b) che le costruzioni coperte risultavano da tre addendi: la Ii villa padronale, la casa del custode e le cabine in muratura; e) che non concorreva alla determinazione dell'area coperta la strada che si snodava nel fondo per mq. 1.830; I d) che, invece, andavano inclusi nella misura dell'area scoperta i sia i terreni a destinazione agricola sia la parte del fondo scoscesa a I { digradante verso il mare; \ e) che era superfluo soffermarsi a qualificate come area scoperta 1 la serra ed i letti di concime, la cui considerazione non avrebbe com' f i portato in alcun modo il ridimensionamento della proporzione al disotto I del sesto. l ! I ricordati dati rappresentativi non sono contestati dai ricorrenti i f quali si limitano a rilevare l'arbitrariet della collocazione della cas~ del custode accanto al cancello di ingresso della villa, e sostanzialmente fanno leva sulla duplicit delle costruzioni (villa padronale e casa del custode) e sul mancato censimento dei fabbricati, adombrando la tesi I i di fondo che in mancanza di accatastamento n l'amministrazione finan ziaria n i giudici potrebbero accertare la sussistenza dei requisiti delle I case non di lusso. I Ma poich l'articolazione dei motivi ha un ambito pi vasto, il Col l i legio non pu esimersi dalla analitica confutazione di tutt~ le censure I I dedotte. I 3. -Con il primo mezzo si lamenta una assoluta ed insanabile contraddizione fra quanto trovarsi affermato nella ordinanza collegiale 27 no1 vembre 1970 ed al contrario avviso a cui la sentenza definitiva pervenuta ! sul valore documentale attribuito alla informativa dell'UTE di data 29 novembre 1962, n. 20181 (ed a quella del 19 settembre). Con detta ordinanza, come specifica l'impugnati;t sentenza, la Corte, sulla premessa della difettosa documentazione della situazione obiettiva ... consentendo alla richiesta istruttoria degli appellanti, ordinava ali'ammi PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 423 nistrazione di produrre in giudizio atti e documenti relativi agli accertamenti fatti dai suoi organi tecnici, in relazione alle costruzioni ed al ter feno di cui causa; e l'amministrazione provvedeva al relativo deposito, '~ntre a loro volta i contribuenti integravano la documentazione di con\~ rte, risultando agli atti, fra l'altro, la nota 19 settembre 1962 richia ."m motivazione e da cui sono tratti i dati di base. '\~lldono i ricorrnti di cogliere in fallo la Corte per avere con-.,,~ ente .ritenuto, nell'emettere l'ordinanza, la inidoneit proba-.\~ enti che le sono invece apparsi sufficienti per fissare i .\fatto al momento di stendere la motivazione della impu =-'\::.: '\imlta del tutto sfuocata e non producente: sia perch ---~itoriet fra ordinanza istruttoria e sentenza defi\~ o di applicazione dell'art. 360 n. 5 c.p.c. ( noto, \,~asto fra un'ordinanza, comunque motivata, e "\~ solo che la pronuncia di merito costituisce ...,_'\~ll'ordinanza, e non d luogo perci ad vione; e che la contraddittoriet argo ,~unciabile in cassazione deve emer ~a: Cass. nn. 2453 e 1305 del 1974; '~-sia perch la pretesa contrad\~ non essendo dubbia la non "\.iomento della emanazione ''\ il giudice pot disporre '\tutto perch una pro\:~! a specie in assenza "''i. della fattispecie .azioni, la seconda delle quali adibita a casa ,.:tlttura di tre, ove si considerino anche le cabine _.Jagni). ~a Corte (senza occuparsi delle cabine il cui carattere della villa appare indiscutibile, e su cui del resto i ricor RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO renti non si soffermano) ha ritenuto, alla stregua del concetto di globalit funzionale, che la casa del custode fosse a servizio della villa padronale, e ne ha addizionato la superficie coperta a quella della villa constatando un'enorme sproporzione (da 1 a 19) fra area coperta e scoperta. Secondo i ricorrenti la Corte cos argomentando avrebbe errato perch l'interprete deve limitarsi a constatare e giudicare se le costruzioni erette sul terreno de quo sono costituite da una o pi case, uno o pi fabbricati indipendenti ed autonomi, senza che possa venire in evidenza il richiamo alla globalit funzionale. Ritiene, invece, il Collegio eh.e, attraverso questa espressione, i giudici di merito hanno adottato una interpretazione del tutto coerente con lo scopo della norma sottolineando che la villa dei ricorrenti deve considerarsi come un complesso unitario il cui carattere di abitazione di lusso viene ad essere corroborato dagli elementi accessori che concorrono a dar pregio al complesso in chiave di maggiore COJilOdit e sicurezza, ubicando le cabine in riva al mare per agevolare i bagni, e prevedendo un appbsito edificio per la custodia della casa padronale e del circostante parco. E nella prospettiva di diritto tributario non necessario cogliere la qualificazione civilistica che sottende tale unitariet, incensurabilmente accertata, attraverso una valutazione di fatto, rispondente alla nozione di casa di lusso tenuta presente dal legislatore. La giurisprudenza di questa Corte non stata aliena dal configurare non meramente pertinenziale la relazione che si instaura fra il garage e la casa cui il medesimo accede considerando talvolta garages addirittura parti integranti delle costruzioni (Cass. 1899 del 1974, n. 245 del 1971, 2947 del 1964). Ed un nesso di pertinenza, o se si vuole, di accessoriet in senso lato, va ravvisato fra il giardino che la circonda e la villa. Appunto da questo legame fra un'area scoperta, specie se adibita a giardino o parco, e la casa di abitazione muove il decreto nel fissare la qualifica di lusso per i vantaggi che ne conseguono all'abitazione di una certa consistenza (superficie complessiva utile superiore a mq. 200); d'altra parte la circostanza che l'unico alloggio padronale risulti scorporato in distinti elementi strutturali, secondo moduli costruttivi suggeriti da un certo progetto architettonico non fa venir meno l'unitariet del complesso ravvisabile secondo una valutazione funzionale; e correlativamente il fatto che certi servizi siano decentrati rappresenta un elemento che sottolinea se mai il carattere di pregio della costruzione. Sarebbe aberrante escludere la qualificazione di lusso di una villa con parco solo perch si rinvengono nel complesso talune aree edificate non facenti corpo con l'edificio principale, ma chiaramente coordinate al servizio di quello (scuderie, garages, sale per giochi, piscina coperta, padiglione di caccia, alloggi per la servit o per custode etc.). Se ci fosse vero, sarebbe sufficiente erigere una costruzione aggiuntiva purchessia, anche minima, per paralizzare la PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRI~UTARIA operativit della norma, la quale, invece, deve ritenersi pienamente applicabile anche se, accanto alla villa padronale, sussistano nel compendio considerato costruzioni da ritenere accessorie, secondo l'incensurabile apprezzamento del giudice di merito, fra cui specificamente un alloggio per il custode, fermo restando che anche dell'area coperta dalle costruzioni accessorie e si deve tener conto per verificare il rispetto dell'indice di proporzionalit di almeno un sesto fra area coperta e scoperta. Risulta perci giuridicamente ineccepibile il ragionamento del giudice di merito il cui apprezzamento non censurabile laddove ritiene sussistente l'accessoriet per la destinazione e la ridotta estensione della seconda costruzione (che non sono contestate), mentre non sembra decisivo l'eventuale errore circa l'ubicazione della casa del custode a ridosso del cancello, poich quella collocazione non riveste essenziale e determinante rilievo nell'espresso giudizio in termini di unitariet del complesso e di accessoriet della casa 'medesima quale elemento concorrente alla valorizzazione della villa con parco che i contribuenti hanno realizzato su terreno il cui acquisto stato inizialmente registrato con i benefici della I. n. 408 del 1949. Ed in questa prospettiva non pare centrata l'obiezione che fa leva sul mancato accatastamento dei fabbricati per ipotizzarne la possibile duplicit ed autonomia, in quanto un'eventuale separata considerazione degli immobili ai fini catastali non potrebbe in alcun modo incidere sul giudizio espresso dai giudici di merito che hanno escluso l'equivalenza, sul piano funzionale, dei due edifici e subordinato la casa del custode alla villa padronale, ravvisandovi una componente che accresce il tono del complesso e ne sottolinea il carattere privilegiato come residenza di persone largamente abbienti che se ne avvalgono per soggiorni sporadici di vacanza e si preoccupano di tenere in loco personale che custodisca la villa disabitata o accudisca al parco. L'utilizzazione a questo fine di un'unit immobiliare autonoma, anzich di parte non dell'unica villa scelta che non vale certo a qualificare il complesso, ma anzi tendenzialmente appare indice di maggiore disponibilit economica dei proprietari, implicando una soluzione di maggiore costo. Comunque il margine di opinabilit delle considerazioni espresse dalla sentenza, e qui sopra riprese ed avallate, attiene all'apprezzamento di screzionale del giudice di merito, di cui si verificata la ragionevolezza per escludere il vizio di mtivazione, ferma restando l'esattezza del punto di diritto che si risolve nel postulare la sussistenza delle caratteristiche di lusso di una villa con parco che rispetti i dati numerici di cui al citato decreto anche se accanto all'edificio principale di superficie superiore a 200 metri vi sia una ulteriore costruzione di carattere accessorio (tale accessoriet ravvisando in concreto rispetto all'alloggio del custode). - (Omissis). SEZIONE SETTIMA GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 8 aprile 1976, n. 1224 Pres. Stella Richter Rel. Valore P. M. Di Majo (diff.) Fallimento Calcaterra (avv. De Notaris) c. I.S.E.S. (avv. Stato Di Tarzia di Belmonte). Appalto Appalto di opere pubbliche Situazione soggettiva dell'appaltatore Controversie Giurisdizione del giudice ordinario. Appalto Appalto di opere pubbliche Risoluzione di ufficio Co11testazioni dell'appaltatore Giurisdizione del giudice ordinario. (L. 20 marzo 1865, n. 2248, all. F, art. 340). Competenza e giurisdizione Fallin1ento Foro fallimentare Vis attrae tiva Ambito di operativit Limiti Fattis:(>ecie. (R.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 24). Appalto Appalto di opere pubbliche Risoluzione di ufficio per frode dell'appaltatore Riferimento della frode alla persona dell'appaltatore e non alle vicende del contratto Effetti Rilevanza della frode nei rapporti di appalto diversi da quello cui la frode si riferisce Preventivo accertamento penale della colpevolezza dell'appaltatore Necessit Esclusione. (L. 20 marzo 1865, n. 2248, all. F, art. 340; r.d. 25 maggio 1895, n. 350, art. 26). Appalto Appalto di opere pubbliche Risoluzione del rapporto per frode dell'appaltatore Indipendenza dall'accertamento penale della colpevolezza dell'appaltatore Contrasto con l'art. 27 della Costituzione . Questione di legittimit costituzionale Manifesta infondatezza. (Cost., art. 27; legge 20 marzo 1865, n. 2248, ali. F, art. 340; r.d. 25 maggio 1895, n. 350, art. 26). Appalto Appalto di opere pubbliche RisolZione per frode dell'appaltatore Preventiva contestazione Necessit Esclusione. (L. 20 marzo 1865, n. 2248, ali. F, art. 340; r.d. 25 maggio 1895, n. 350, artt. 26, 27 e 28). Dal contratto di appalto di opere pubbliche, salvo le particolari ipotesi in cui la legg.e conferisca espressamente alla pubblica amministrazione appaltante un potere di supremazia, nascono rapporti dai quali scaturiscono diritti e doveri tra le parti, come nell'appalto stipulato tra privati, per cui, in genere, le situazioni giuridiche favorevoli di cui titolare PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 427 l'appaltatore assumono la natura di veri e propri diritti soggettivi, ai quali corrispondono doveri per l'amministrazione committente, e che sono suscettibili di tutela dinanzi al giudice ordinario (1). Nel caso in cui l'amministrazione committente abbia di autorit risolto il contratto di appalto nelle ipotesi previste dall'art. 340 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. F, l'appaltatore pu dedurre davanti al giudice ordinario la illegittimit del provvedimento, sia per ragioni sostanziali (mancanza dei presupposti previsti dalla legge), sia per ragioni procedu. rali (mancato rispetto dell'iter stabilito dalla legge), ma soltanto al fine dl ottenere il risarcimento del danno, e non anche per l'annullamento o la revoca del provvedimento amministrativo di risoluzione del rapporto (2). Poich nell'ambito di operativit dell'art. 24 del r.d. 16 marzo 1942, n. 267, vanno incluse soltanto le azioni che hanno nel fallimento la loro causa determinante, e non quelle in rapporto di mera occasionalit con le finalit e le operazioni fallimentari, non sono soggette alla vis attractiva del foro fallimentare le azioni promosse dal curatore sulla base di diritti gi spettanti al fallito (nella specie stata esclusa dalla competenza del foro fallimentare l'azione di risarcimento danni con la quale si contesti la legittimit del provvedimento di risoluzione di ufficio del rapporto di appalto di opera pubblica) (3). Nel contratto di appalto di opere pubbliche, nel quale l'intuitus personae gioca un ruolo molto pi marcato che negli appalti di diritto privato e deve persistere in ogni momento del rapporto o dei rapporti contrattuali, la frode dell'appaltatore, collegata non alle vicende del contratto ma alla persona dell'appaltatore, e tale da far venir meno la credibilit dell'appaltatore e da rompere il rapporto fiduciario, legittima la risolu (1) Principio consolidato. Da ultimo, cfr.: Cass., Sez. Un., 5 novembre 1973, n. 2856, Cons. Stato, 1974, II, 115; Sez. Un., 7 luglio 1969, n. 2498, in questa Rassegna, 1969, I, 744; Sez. Un., 27 giugno 1969, n. 2317, ibidem, 743. In argomento, cfr.: Rel. Avv. Stato, 1971-1975, III, pag. 206 e seguenti. (2) Conf.: Cass., 19 maggio 1972, n. 1531, Giur. it., 1973, I, 1, 424. Sulle varie questioni in tema di risoluzione di ufficio del rapporto di appalto di opere pubbliche cfr.: Rel. Avv. Stato, 1971-1975, III, 274-286. Va in argomento rilevato, in particolare, che la legittimit del provvedimento di risoluzione non pu essere esclusa per vizi diversi da quelli dedotti dall'appaltatore (Cass., 19 maggio 1972, n. 1531, cit.), e pu essere invece riconosciuta, com' ribadito anche nella decisione in rassegna, anche per motivi diversi da quelli considerati dall'amministrazione committente (Cass., 17 maggio 1974, n. 1470, in questa Rassegna, 1974, I, 1468). (3) Il principio costituisce espressione del pi recente indirizzo giurisprudenziale, orientato ad una restrittiva interpretazione dell'art. 24 del r.d. 16 marzo 1942, n. 26~, e che riceve con la decisione in rassegna l'autorevole e motivato avallo delle Sezioni Unite. Da ultimo: Cass., 19 novembre 1974, n. 3719; 5 gennaio 1972, n. 4. 428 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO zione del rapporto, a norma dell'art. 340 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. F, anche quando si riferisca ad altri rapporti di appalto, e senza necessit del suo preventivo accertamento in sede penale (4). manifestamente infondata la questione di legittimit costituzionale degli artt. 340 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. F, e 26 del r.d. 25 maggio 1895, n. 350, in riferimento all'art. 27 della Costituzione, trattandosi di norme che non inibiscono al soggetto passivo del" provvedimento di risoluzione di promuovere, nella opportuna sede, il controllo autonomo del provvedimento e di chiedere il risarcimento dei danni subiti per effetto della risoluzione nel caso in cui la pubblica amministrazione abbia agito fuori delle ipotesi previste dalla legge, ovvero senza osservare le formalit essenziali (5). La risoluzione del rapporto di appalto di opere pubbliche per frode dell'appaltatore non condizionata alla preventiva contestazione degli addebiti (6). (Omissis). -Atteso il suo carattere assorbente, va esaminata con priorit l'eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario a conoscere della domanda, sollevata dal resistente I.S.E.S., il quale sostiene che l'atto con il quale si decreta la risoluzione del contratto a norma del citato art. 340 della legge n. 2248 del 1865 un atto amministtativo, preso dalla P.A. a tutela dell'interesse pubblico. Una volta che ricorrano le circostanze previste da detta norma, cessa la posizio~e paritetica del rapporto contrattuale fra appaltatore e Amministrazione concedente e subentra un potere di imperio di quest'ultima, che agisce applicando una norma di azione. L'illegittimit dell'atto amministrativo avrebbe dovuto, quindi, essere fatta valere, nei termini previsti, innanzi al giudice ammi (4) L'affermazione di princ1p10, gi enunciata dalla decisione di appello (App. Napoli, 23 settembre 1972, Dir. giur., 1974, 134), fondata sulla rilevanza che assume, nell'appalto di opere pubbliche, I'intuitus personae: rilevanza che indurrebbe invero anche a dubitare, come si gi altre volte osservato (Rel. Avv. Stato, 1971-1975, III, 224), dell'applicabilit dell'art. 81, primo comma, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 al contratto di appalto di opere pubbliche. (5) Valutazione di indubbia esattezza, specialmente se considerata in correlazione ai principi sull'autonomia dell'accertamento consentito, in argomento, al giudice ordinario e sulla rilevanza della frode dell'appaltatore, comunque, indipendentemente dal suo accertamento in sede penale, talch non necessaria un'affermazione di colpevolezza, e tanto meno necessaria una sentenza di condanna divenuta definitiva. Nella specie, l'appaltatore, condannato in primo grado, era stato assolto in appello per insufficienza di prove, con sentenza impugnata sia dall'imputato sia dal pubblico ministero. (6) Principio imposto dalla chiara norma dell'art. 27 del r.d. 25 maggio 1895, n. 350, che prescrive la preventiva contestazione degli addebiti per il (solo) caso di risoluzione per inadempimento. PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI nistrativo, talch una azione del genere improponibile innanzi all'A.G.O., sia pure al solo fine di chiedere la condanna dell'amministrazione appal tante al risarcimento dei danni. L'eccezione priva di fondamento. principio pacifico che, al fine di accertare se sussista la giurisdizione del giudice ordinario, bisogna aver riguardo, pi che al petitum, alla causa petendi, al cosiddetto petitum sostanziale, cio all'intrinseca consistenza dell'interesse dedotto in lite in relazione alla reale protezione accordata dall'ordinamento giuridico alla posizione soggettiva dell'attore prescindendo, qufo.di, dalla prospettazione fattane dallo stesso, onde stabilire se detta protezione sia diretta alla tutela di un diritto soggettivo, mentre, se la stessa protezione diretta alla tutela di un interesse legittimo, la controversia rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo (Cass., Sez. Un., 5 novembre 1973, n. 2856; 4 dicembre 1971, n. 3519; 29 marzo 1971, n. 900 ed altre precedenti). Orbene, in tema di contratto di appalto di opere pubbliche, pur dovendosi convenire che l'Amministrazione si riserva, in relazione alle fina. lit per le quali agisce, una posizione preminente e direttiva, non viene con ci alterata la corrispettivit delle prestazioni, n viene mutata la funzione, cio la causa in senso giuridico del negozio, che quella di conseguire un opus, funzione questa essenzialmente privatistica anche se l'opera appaltata sia destinata alla realizzazione di fini pubblici (Cass., Sez. Un., 5 novembre 1973, n. 2856; 13 maggio 1963, n. 1178). Da tale contratto, salvo le particolari ipotesi in cui la legge conferisca espressamente alla P.A. appaltante un potere di supremazia. nascono, quindi, rapporti dai quali scaturiscono diritti e doveri tra le parti, come nell'appalto stipulato tra privati, per cui, in genere, le situazioni giuridiche favorevoli di cui titolare l'appaltatore assumono la natura di veri e propri diritti soggettivi, ai quali corrispondono doveri per l'Amministrazione. Ne consegue che le relative controversie rientrano normalmente nella giurisdi zione del giudice ordinario. E poich i poteri attribuiti (dal Capitolato Generale per le opere dipendenti dal Ministero dei LL.PP. approvato con d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063) all'ente appaltante diverso dallo Stato (nella specie l'I.S.E.S.) trovano la loro radice nella volont contrattuale (Cass., n. 2856 del 1973, cit~ta; 12 dicembre 1967, n. 2928), l'illegittimo esercizio dei poteri stessi, risolvendosi in una lesione del diritto nascente dal contratto di appalto di opere pubbliche, il quale ha, come si detto, natura di negozio di diritto privato, soggetto al sindacato dell'Autorit giudiziaria ordinaria. Pertanto, nel caso in cui la P.A. abbia di autorit risolto il contratto di appalto nelle ipotesi previste dall'art. 340 citato, l'appaltatore pu dedurre davanti al giudice ordinario la illegittimit del provvedimento, sia per ragioni sostanziali (mancanza dei presupposti previsti dalla legge), sia RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO per ragioni procedurali (mancato rispetto dell'iter stabilito dalla legge), ma soltanto al fine di ottenere il risarcimento del danno, e non anche per l'annullamento o la revoca del provvedimento amministrativo di risoluzione del rapporto (Cass., 19 maggio 1972, n. 1531). Nel caso in esame, l'appaltatore ha in effetti attaccato il provvedimento di rescissione sotto entrambi i profili, negando, sul piano sostanziale, la sussistenza degli elementi addotti ad integrare la frode prevista dall'art. 340 e contestando che alla risoluzione in via di autotutela si fosse giunti attraverso un iter procedimentale rispettoso della vigente normativa; ed ha chiesto, di conseguenza, il risarcimento dei danni. L'eccepito difetto di giurisdizione, quindi, non sussiste. Con il primo mezzo il ricorrente -lamentando la violazione dell'art. 24 del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 -sostiene, per la prima volta in questa fase del giudizio, che, sopravvenuto, in primo grado, il fallimento dell'attore Calcaterra, fa competenza a conoscere della controversia spettava ormai al Tribunale fallimentare, ai sensi del citato art. 24. Invoca, a suffragio del motivo, alcune pronunce di questa Suprema Corte, secondo le quali tutte le azioni che incidono sull'attivo o sul passivo appartengono alla competenza funzionale del Tribunale fallimentar (Cass. nn. 225 e 2279 del 1969; 3935 del 1974). La censura non si ravvisa fondata. Non vi dubbio che una corrente giurisprudenziale ha manifestato la tendenza ad ampliare la portata del citato art. 24 ( Il Tribunale che ha dichiarato il fallimento competente a conoscere di tutte le azioni che ne derivano... eccettuate le azioni reali immobiliari... ), ricomprendendovi non gi le sole azioni che si originano dal dissesto e dall'insolvenza, ma anche quelle che influiscono sulla procedura concorsuale, nella quale si realizzano l'unit dell'esecuzione sul patrimonio del fallito e la par condicio creditorum, ma del pari innegabile che la pi autorevole dottrina e la pi recente giurisprudenza hanno criticato siffatta tendenza, includendo nell'ambito dell'art. 24 solo le azioni che hanno nel fallimento la loro causa determinante, e non quindi quelle in rapporto di mera occasionalit con le finalit e le operazioni fallimentari. Espressione di quest'ultimo orientamento sono, tra le altre, le decisioni della Corte Suprema 30 giugno 1969, n. 2403, 22 dicembre 1969, n. 4032, 6 dicembre 1971, n. 3528, 5 gennaio 1972, n. 4, 19 novembre 1974, n. 3719. Queste Sezioni Unite sono d'avviso che il primo dei due orientamenti non sia conforme allo spirito delle disposizioni legislative (anche se ispirato alla r_agione funzionale di garantire la par condicio creditorum) per quanto riguarda quelle azioni, nei confronti dei terzi, che il fallimento trova gi nel patrimonio del fallito. Emerge dalla Relazione alla legge fallimentare che il legislatore del 1942 ritenne opportuno non modificare la formula generale dell'art. 685 PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI del codice di commercio, ma solo risolvere in concreto i casi pi dubbi, e perci mantenne la competenza del Tribunale fallimentare per le azioni che derivano dal fallimento e cio per tutte le azioni che sono promosse contro il fallimento relative ad atti della procedura fallimentare, o dirette a far valere un diritto nei confronti della massa creditoria, e per quelle azioni per le quali sono previsti particolari procedimenti (artt. 93-103), aggiunge le azioni relative a rapporti di lavoro e la revocatoria ordinaria (artt. 66 cpv.), escluse le azioni reali immobiliari e afferm che tutte le altre azioni promosse dal fallimento, sia reali che personali, seguono le ordinarie norme di competenza. Orbene il concetto di azioni che derivano dal fallimento non pu avere la latitudine che talvolta, come si detto, gli stata attribuita, in quanto -a prescindere dal manifestato intento del legislatore di non distogliere i terzi etranei al fallimento dal loro giudice naturale -relativamente ai rapporti giuridici attivi che preesistevano al fallimento, non :iiu fondatamente sostenersi che l'azione esercitata derivi dal fallimento, giacch tale azione quella stessa che spettava al fallito e che viene dal fallimento recepita, n i rapporti suddetti subiscono, a seguito del fallimento, alcuna modifica sostanziale, salva la sostituzione della curatela nella legittimazione prima spettante al fallito. La connessione col fallimento puramente storica ed occasionale, giacch le azioni in questione sono indipendenti dal dissesto e dalla .preceduta concorsuale ed avrebbero potuto essere esercitate indipendentemente dall'apertura del fallimento. Conferma ulteriore della validit di siffatta interpretazione desumibile dal citato art. 66 cpv. L'azione revocatoria ordinaria un'azione che non deriva dal fallimento del debitore e il legislatore non avrebbe avuto necessit di riservarla espressamente alla competenza del Tribunale fallimentare, se tale competenza fosse gi derivata dalla regola generale dell'art. 24 per il solo fatto che trattasi di azione eserciti:J,ta dal curatore al fine di incrementare e realizzare interamente l'attivo fallimentare. La specifica disposizione dell'art. 66 va considerata, quindi, come eccezione al principio della disciplina processuale di tutte le altre azioni che, esercitate dal curatore, non derivino dal fallimento nel senso anzidetto. A conclusione di siffatte considerazioni, devono pertanto escludersi dalla vis attractiva le azioni promosse dal curatore sulla base di diritti gi 'spettanti al fallito, come nel caso di specie, e deve conseguentemente rigettarsi il primo mezzo del ricorso. Con il secondo, terzo e quinto mezzo -he possono essere esami nati congiuntamente perch connessi -il ricorrente denuncia la viola zione dei citati artt. 340 della legge e 26 del Regolamento, dell'art. 1321 e segg. e.e. e dei principi generali sui contratti, nonch insufficiente e con 432 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO traddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (articolo 360, nn. 3 e 5, c.p.c.). In particolare sostiene che le vicende attinenti ad un contratto di appalto (quello relativo ai lavori da eseguire in Calabria) non potevano influire su altro contratto (quello relativo ai lavori di Secondigliano); e ci sia per la formulazione delle norme suddette (artt. 340 e 26) che fanno riferimento ad un determinato contratto, sia perch trattavasi di contratti autonomi, sia ancora perch, diversamente opinando, si confonderebbero due istituti diversi, e cio quello della rescissione del contratto, fondato, appunto, su vicende inerenti allo stesso, e quello della cancellazione dell'appaltatore dall'Albo delle imprese (art. 7, legge 10 giugno 1937, n. 1139), fondato sul comportamento complessivo dell'appaltatore. In ogni caso, comunque, la rescissione deve essere fondata su elementi obiettivi -e non su qualit negative dell'appaltatore -elementi che la Corte del merito non ha indicato e che non potevano essere tratti dalle sentenze penali emesse nei confronti del Calcaterra che non avevano efficacia di giudicato. Da esse, poi, non si potevano trarre solo gli elementi sfavorevoli all'imputato trascurando quelli favorevoli. Infine il ricorrente deduce che la Corte di merito non avrebbe tenuto conto dell'art. 27 della Costituzione, considerando colpevole degli addebiti mossigli colui che aveva la qualit di imputato e non di condannato. Anche queste cerisure sono prive di consistenza, in quanto la Corte napoletana pervenuta alla decisione impugnata attraverso una motivazione ampia e limpida, scevra da vizi logici e giuridici. Dispone l'art. 340 della legge sui lavori pubblici del 1865 che l'Amministrazione in diritto di rescindere il contratto quando l'appaltatore si renda colpevole di frode o di grave negligenza e contravvenga agli obblighi e alle condizioni stipulate . In questi casi l'appaltatore avr ragione soltanto al pagamento dei lavori eseguiti regolarmente, e sar passibile del danno che provenisse all'Amministrazione dalla stipulazione di un nuovo contratto o dalla esecuzione d'ufficio . L'art. 26 del Regolamento per la direzione, contabilit e collaudazione dei lavori (r.d. n. 350 del 1895) stabilisce che ogni qualvolta si verifichi un fatto a carico dell'appaltatore che possa dar luogo ad un procedimento penale per frode, oppure quando consti ~he questo procedimento sia stato iniziato dall'autorit giudiziaria per denuncia di terzi, se ne dovr riferire, dall'ingegnere capo, per mezzo dell'Ispettore del compartimento, al Ministero affinch esamini se convenga dichiarare la rescissione del contratto a termini dell'art. 340 della legge sui lavori pubblici. L'autotutela della P.A., che intesa a risolvere autoritativamente i conflitti potenziali o attuai~ insorgenti con gli altri soggetti in relazione PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI ai suoi provvedimenti od alle sue pretese, si manifesta come autotutela decisoria, quando la pretesa dell'Amministrazione viene ad essere soddisfatta mediante l'esplicazione di un'attivit decisoria, implicante la produzione di un dato effetto giuridico, o come autotutela esecutiva, quando si concreta in un comportamento materiale o in una operazione, che realizza un'attivit volta alla produzione di un effetto materiale. Esempio tipico di autotutela decisoria, in tema di appalto di opere pubbliche, la risoluzione di autorit del rapporto da parte dell'Amministrazione committente. Orbene, il caso di risoluzione per frode presenta delle caratteristiche peculiari che lo differenziano da ogni altra ipotesi di risoluzione autoritativa. Invero il fatto che l'art. 26 del Regolamento autorizzi la risoluzione sol che si verifichi un fatto a carico dell'appaltatore che possa dar luogo ad un procedimento penale per frode (ed anche nel caso in cui l'atto fraudolento sia stato perpetrato a danno di terzi) mostra chiaramente -come ben ha inteso la Corte di merito -che la legge, non solo non ha collegato la frode all'inadempienza, ma non richiede neppure alcun collegamento tra la frode ed il singolo contratto. Come anche la dottrin~ ha posto in evidenza, il bene che la norma vuol tutelare con la sanzione della rescissione, quello del corretto svolgimento del rapporto di appalto, corretto svolgimento ch qualsiasi frode commessa dall'appaltatore (in danno dell'Amministrazione o di terzi) incrina, non gi per una soggettiva valutazione dell'Amministrazione medesima, ma per la obiettiva esistenza di un fatto che vale ad interrompere il rapporto fiduciario sul quale essenzialmente si basa il rapporto di appalto. Nei contratti di appalto dr opere pubbliche, infatti, l'intuitus personae gioca un ruolo molto pi marcato che negli appalti di diritto privato. Oltre che nell'idoneit tecnica dell'impresa di cui l'appaltatore titolare, la P.A. ripone un particolare affidamento nelle qualit personali dell'appaltatore, affidamento che, se esiste in tutti i contratti nei quali predomina un'obbligazione di fare, speciale considerazione assume negli appalti pubblici, in relazione alle finalit ed agli interessi che vi sono connessi. N esatto che l'intuitus personae abbia rilevanza solo ai fini della iscrizione nell'Albo nazionale degli appaltatori di pere pubbliche, essendo vero, invece, che esso deve persistere in ogni momento del rapporto o dei rapporti contrattuali. Aderendo alla tesi del ricorrente, si perverrebbe all'assurdo che unico rimedio, di fronte al verificarsi di fatti anche gravissimi ma inerenti ad un separato contratto di appalto, sarebbe la cancellazione dall'Albo, mentre alla P.A. sarebbe inibito di prendere tempestivamente il provvedimento che l'art. 340 prevede. Ne consegue che, a differenza dell'ipotesi dell'inadempimento dell'appaltatore nel singolo contratto (che impone di attenersi, nel deliberare i RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO conseguenti provvedimenti, a quel contratto e non agli eventi che si riferiscono ad altri eventuali contratti), l'ipotesi della frode, non essendo collegata alle vicende del contratto, ma alla persona dell'appaltatore, fa venir meno la credibilit di quest'ultimo e, pi che incrinare, rompe il rapporto fiduciario. Dovendosi, quindi, escludere che possa farsi riferimento ai principi e alle norme del codice civile che regolano i contratti nella loro autonomia -onde desumerne l'illegittimit di un provvedimento amministrativo preso in relazione al complesso della gestione dei contratti stipulati dal Calcaterra -correttamente la Corte napoletana, in aderenza alla lettera ed alla ratio dei ripetutamente citati artt. 240 e 26, ha ritenuto che le vicende attinenti al contratto di appalto relativo ai lavori da ese_guire in Calabria influissero sul contratto relativo ai lavori di Secondigliano. La doglianza, poi, che comunque, la rescissione sarebbe stata fondata non su elementi obiettivi, ma su apprezzamenti soggettivi della P.A., , pur essa priva di pregio, in quanto si fonda su un errato presupposto, e cio che il provvedimento di risoluzione per frode possa essere adottato dall'Amministrazione solo dopo che la frode medesima sia stata penalmente accertata, o, quanto meno, a seguito della condanna dell'imputato. La lettera della legge abbastanza chiara perch occorra immorare su tale censura. Invero ogni eventuale dubbio interpretativo cui potrebbe dar luogo la formulazione dell'art. 340 ( quando l'appaltatore si renda colpevole ), viene fugato dall'art. 26, secondo il quale, perch possa farsi luogo all'indagine amministrativa che pu culminare nel provvedimento di rescissione, sufficiente che si verifichi un fatto che possa dar luogo ad un procedimento, penale per frode, oppure che consti che questo procedimento sia stato iniziato dall'Autorit giudiziaria per denuncia di terzi; talch non rtecessai;ia un'affe.rmazione di colpevolezza, e tanto meno necessaria una sentenza di condanna divenuta irrevocabile. Ci posto, se vero, come questa Suprema Corte ha di recente affermato (Cass. 17 maggio 1974, n. 1470), che in tema di risoluzione del contratto di appalto ai sensi del citato art. 340 e dell'art. 27 del regolamento, l'accertamento, da parte del giudice del merito, dei presupposti stabiliti da dette norme per l'esercizio del diritto di autotutela della P.A., autonomo, e non vincolato alle risultanze sulle quali l'Amministrazione si basata per far valere il suo diritto potestativo di risoluzione -il che conferma l'ampia portata del giudizio sulla legittimit della risoluzione del pari innegabile che la Corte del merito ha correttamente proceduto all'indagine che le era demandata, ravvisando la sussistenza dei presupposti necessari per farsi luogo al provvedimento di risoluzione -espressione del potere di autotutela adottato in via autoritativa e non nella q_ualit di parte contraente __:_ nella denuncia del Calcaterra per i reati PARTE I, SBZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI di truffa e falso ideologico, nell'emissione a suo carico di ordine di cattura e nello stato di carcerazione preventiva. N ha fondamento la dedotta mancata valutazione della rilevanza del provvedimento di concessione della libert provvisoria (disposta ancor prima che fossero state approvate dagli organi tutori e notificate all'interessato le delibere di risoluzione), in quanto, sul punto, la Corte ha argomentato che detta concessione non poteva incrinare la legittimit del provvedimento di risoluzione, sia perch inidonea a porre nel nulla la contestazione originaria dei reati e sia per la revocabilit della concessione medesima, non precludente quest'ultima la emissione di nuovi ordini o mandati restrittivi della libert personale; talch detta concessione non era di per s sufficiente a sanare la situazione determinatasi nel rapporto negoziale per effetto dell'azione penale iniziata contro il Calcaterra per reati di indubbia gravit. La Corte stessa ha, poi, con logiche argomentazioni, negato che dalle sentenza penale potessero trarsi elementi di suffragio alla tesi dell'odierno ricorrente circa l'insussistenza della frode, considerando: che la sentenza della Sezione Istruttoria della Corte di Appello di Catanzaro dell'll dicembre 1967 aveva prosciolto il Calcaterra dal delitto di truffa perch il fatto non costituisce reato, sul riflesso che, pur sussistendo tutti i requisiti obiettivi (ossia i fatti materiali relativi alla formazione e all'emissione l.i falsi stati di avanzamento dei lavori) mancava l'elemento subiettivo del dolo in ordine alla realizzazione del profitto; che la sentenza di assoluzione per insufficienza di prove dal reato di falsit ideologica, pronunziata dalla Corte di Appello di Catap.zaro il 19 febbraio 1971 (in riforma della sentenza di condanna emessa dal Tribunale) e non ancora irrevocabile (in quanto gravata di ricorso per Cassazion, sia da parte dell'imputato che del P.M.), non consentiva di attingere elementi tali .da svalutare quelli di accusa e di escludere il dubbio sulla responsabilit del~ l'imputato. Infine, la Corte ha giustamente disatteso la ventilata incostituzionalit degli artt. 340 e 26 sotto il profilo dell'art. 27 della Costituzione, se si considera che le suddette norme della legge sui lavori pubblici, che stabi liscono i presupposti necessari per consentire alla P.A. l'esercizio .del potere di autotutela -non inibendo al soggetto passivo del provvedi mento di rescissione di promuovere, nella opportuna sede,~ il controllo autonomo del provvedimento stesso e di chiedere il risarcimento dei danni, subiti per effetto della rescissione, nel caso in cui la P.A. abbi3: agito fuori delle ipotesi previste dalla legge, ovvero senza osservare le formalit essenziali -non contrastano con il citato art. 27 della Costituz~ one, che enuncia soltanto il principio fondamentale di civilt che vieta di considerare colpevole, ad ogni effetto, l'imputato prima della condanna definitiva. / 436 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Maggior fondamento non ha il quarto mezzo, con il quale, diffusa mente, il ricorrente -lamentando la violazione di numerose norme del Regolamento citato e denunciando l'omessa motivazione su fatti deci sivi -sostiene che la Corte non ha rilevato che egli non poteva aver commesso la falsificazione dei documenti relativi agli stati di avanza mento, in quanto tal.i stati dovevano essere redatti dal direttore dei lavori e dai suoi assistenti. Al riguardo basta rilevare che il reato in questione stato addebitato anche ai funzionari dell'I.S.E.S. e che -come esatta mente osserva il resistente -la Corte ha basato il suo convincimento della partecipazione del Calcaterra al falso su argomentazioni di fatto, desunte dal principio del cui prodest. Anche l'ultimo mezzo di impugnazione, con cui si denuncia la viola zione degli artt. 340 e 26 citati, sostenendo che la procedura prevista dagli artt. 27 e 28 del regolamento, ivi compresa la contestazione degli addebiti, avrebbe dovuto essere applicata anche alla .rescissione per frode, non ha maggior pregio dei precedenti. Come la sentenza impugnata ha correttamente posto in rilievo, dalle , . norme in esame si desume la netta differenza tra l'ipotesi della risolu zione per frode e quella della risoluzione per inadempimento (contravven zione agli obblighi e alle condizioni stipulate, tale da compromettere la buona riuscita dell'opera; irregolarit o negligenza nel progresso dei lavori, tale da determinare ritardo nella loro ultimazione), spiegabile col fatto che, in quest'ultima, l'obbligo della contestazione ha una ragione funzio nale, non potendo l'appaltatore venire a conoscenza delle inadempienze che gli si addebitano se non attraverso le specifiche contestazioni. Nella prima, invece, basta l'atto di frode per la risoluzione del contratto. Lo stesso ricorrente finisce per riconoscere che la legge prevede l'obbligo della contestazione solo per l'ipotesi dell'inadempienza prevista dagli artt. 340 e 341 della legge sui lavori pubblici, quando sostiene che gli artt. 27 e 28 del Regolament9 dovrebbero trovare applicazione per analogia nel caso di frode. Peraltro anche la dottrina pi qualificata rico nosce non necessaria la previa contestazione nella fattispecie in esame. La questione di costituzionalit, infine, dedotta in subordine con la memoria, sotto il profilo della menomazione del diritto di difesa, garan tito dall'art. 24, secondo comma, della Costit~ione, priva di rilevanza nella specie, in quanto il Calcaterra ebbe piena conoscenza degli addebiti con la notificazione del mandato di cattura. E poich la sentenza impugnata correttamente e congruamente mo tivata in ordine alla sussisten;za dei presupposti idonei alla legittima ado zione dell'atto amministrativo di risoluzione, il ricorso va rigettato con le pronunce conseguenziali. -(Omissis). llmfifi11?1:~==l@1~rf:#=====~11=====1=~~w1ili:ilirJt!~====~riiwitfiflfi'iffiUff&&illiill~ill~.11&Mfit11:1::rt=irrri~@;mrt.r.~.-r~.:;r.;~.~r.:r.;r..;~.~~.~r.:;._r.~.-;.;r.~_:~.~.:~r.:r-.~.r;.rr~~~.rrt~rrfillt?-.i.tfr1r-.r0~wmmrr~~r11 .. ..;0 ..... .. .. .. .. .. ..:.w .-. .:-:.:.:-:-:--:-:-:-:-:-:-:-:-:::::-:-:-:- PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 437 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 28 aprile 1976, n. 1507 -Pres. Boccia Est. Carotenuto -P. M. Pedace (conf.) -Patern Castello di Carcaci ed altri (avv. Gazzoni e Pacelli) c. Ministero dei lavori pubblici (avv. Stato Albisinni). Acque pubbliche ed elettricit -Elenchi delle acque pubbliche -Natura ed ~ffetti. (T.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 1; r.d. 14 agosto 1920, n. 1285, artt. 1, 2 e 3). Acque pubbliche ed elettricit -Elenchi delle acque pubbliche -Ricorso avverso l'iscrizione -Oggetto del giudizio -Accertamento della demanialit -Vincolo delle ragioni dell'iscrizione Non sussiste. (T.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, artt. 1 comma quarto, e 140, lett. a). Acque pubbliche ed elettricit -Natura pubblica dell'acqua -Accertamento giudiziale Giudizio di fatto. Acque pubbliche ed elettricit -Natura pubblica dell'acqua -Accertamento giudiziale Motivazione -Congruit -Fattispecie. (T.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. l, comma primo). Acque pubbliche ed elettricit -Acque sotterranee -Idoneit ed usi di pubblico generale interesse -Effetto dell'opera dell'uomo -Preclusione della pubblicit -Non sussiste. (T.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, artt. l, comma primo, e 103, comma secondo). Acque pubbliche ed elettricit -Acque sotterranee -Contrasto dell'art. 1 t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775 con gli artt. 41, 42 e 43 Cost. -Questione di costituzionalit manifestamente infondata. (Cost., artt. 41, 42 e 43; t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, artt. 1, 103 e 104). L'atto col quale la P.A. iscrive un'acqua nell'elenco delle acque pubbliche costituisce atto terminale di un procedimento dichiarativo che pu essere inquadrato nella figura delle certazioni e la sua funzione quella di rendere conoscibile alla collettivit che l'acqua viene considerata pubblica ed quindi soggetta al correlativo regime amministrativo (1). (1-2) La qualificazione dell'elenco delle acque pubbliche come certazione, la funzione assegnata all'atto e le conseguenze desuntene con riguardo all'oggetto del giudizio derivano dall'ordine di concetti elaborato da GIANNINI M. S. in tema di procedimenti dichiarativi, funzione degli atti creativi di certezze pubbliche e relative misure di verificazione (Diritto amministrativo, Milano, 1970, II, cap. V, passim, e in particolare, pagg. 962 ss., 994 ss., 1013 ss.; Accertamento (dir. cost. e amm.), Encicl. del diritto, Milano, 1958, I, pag. 219 ss.; Certezza pubblica, Encicl. del diritto, Milano, 1960, I, pag. 769 ss.). 10 438 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Il ricorso contro l'iscrizione di un'acqua nell'elenco delle acque pubbliche introduce un giudizio, il cui oggetto l'accertamento della qualit dell'acqua con riferimento ai requisiti stabiliti dalla legge e non quello della legittimit dell'atto amministrativo d'iscrizione. Ne deriva che il giudice specializzato pu ritenere sussistente la natura pubblicq dell'acqua anche in base ad elementi di fatto ulteriori rispetto a quelli considerati rilevanti dall'Amministrazione (2). L'accertamento circa la sussistenza delle condizioni stabilite dalla legge per il riconoscimento del carattere demaniale di un'acqua costituisce l'oggetto di un'indagine di fatto, che riservata ai giudici di merito (3). congrua la motivazione della sentenza che dichiari pubblica un'acqua tenendo conto della sua portata complessiva con riguardo alle particolari necessit idriche della zona e dando rilievo all'appartenenza al bacino di un fiume ed alla utilizzazione in atto per la irrigazione di un vasto comprensorio e l'approvvigionamento idrico della popolazione di un comune (4). Anche per le acque sotterranee vale il principio che la demanialit collegata alla utilizzabilit delle acque per fini di pubblico interesse, mentre indifferente che questa sia riconducibile ad un'attivit umana di Le argomentazioni confutate dalla Corte di cassazione relativamente all'oggetto del giudizio ed ai poteri del tribunale delle acque traggono sostanzialmente spunto da affermazioni contenute nella sentenza confermata (Trib. sup. acque, 18 gennaio 1973, n. 2, in questa Rassegna, 1973, I, 466) che aveva respinto per altro verso le istanze dei ricorrenti osservando che la competenza tecnica del Tribunale superiore delle acque pubbliche non comporta il potere di questo di sostituirsi alla P.A. nell'esercizio della sua discrezionalit tecnica, conducendo indagini per proprio conto e sostituendo alla motivazione del provvedimento una motivazione opposta... La competenza tecnica del giudice ordinario specializzato, intanto attribuita e voluta dal legislatore, in quanto detto giudice stato posto in grado di vagliare la fondatezza tecnica delle ragioni addotte a sostegno della motivazione dell'atto amministrativo, e non gi per l'esercizio di un inesistente potere sostitutivo, insanabilmente in contrasto col principio delle ben differenziate attribuzioni, rispettivamente, del potere amministrativo e del potere giudiziario... . Problemi analoghi s'erano posti ed hanno per trovato soluzione opposta in tema di controllo sugli atti di delimitazione dei bacini imbriferi montani a norma dell'art. l, comma primo, 1. 27 dicembre 1953, n. 959 (cfr. Cass., Sez. Un., 15 gennaio 1966, n. 216, in questa Rassegna, 1966, I, 90 con nota di ALBISINNI; Cass., Sez. Un., 15 gennaio 1966, n. 222, Giust. civ., 1966, I, 667). In tema di elenchi di acque pubbliche, cfr. poi la giurisprudenza richiamata in nota a Trib. sup. acque, 1 ottobre 1974, n. 16, in questa Rassegna, 1975, I, 599. (3) In termini, Cass., Sez. Un., 25 maggio 1971, n. 1534, Giust. civ. 1971, I, 1384 e in questa Rassegna, 1971, I, 1252. (4) Cfr. sul punto la giurisprudenza richiamata in nota a Trib. sup. acque, 1 ottobre 1974, n. 16, in questa Rassegna, 1975, I, 599. PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 439 estrazione, di sistemazione e di incremento, anzich ad una condizione naturale (5). Nel giudizio introdotto dal ricorso avverso l'iscrizione di acque sotterranee in un elenco di acque pubbliche ed in cui l'unica norma di cui si debba fare applicazione l'art. 1 del t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, non pu dare luogo ad una questione di legittimit costituzionale di tale norma per contrasto con gli artt. 41, 42 e 43 Cost. l'assunto -per cui la disciplina della situazione soggettiva dello scopritore non assicurerebbe sufficiente tutela all'impresa estrattiva potendosi risolvere in una sua espropriazione o acquisizione od in un trasferimento senza indennizza; tale profilo infatti estraneo all'ambito dell'efficacia normativa della disposizione dettata dall'art. 1 del t.u. 1775 del 1933 che attiene unicamente alla disciplina 'dei requisiti che l'acqua deve possedere per essere considerata pubblica (6). (Omissis). -Col primo motivo i ricorrenti denunciano violazione delle norme sulle attribuzioni dei tribunali delle acque pubblich~ (art. 140 e seg. del t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775), in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c. e deducono che, avendo l'Amministrazione dei LL.PP. motivato il provvedimento di iscrizione delle sorgenti Ficarazza e Acquanova nell'elenco delle acque pubbliche esclusivamente con la considerazione della loro appartenenza al bacino del fiume Simeto, il Tribunale regionale di Palermo e, successivamente, il Tribunale Superiore non potevano ritenere il carattere .pubblico delle acque in base alla diversa motivazione che esse, derivanti dalla riunione e dal convogliamento in superficie di numerose scaturigini sotterranee, tutte di modesta entit, avevano, a seguito dell'opera dei ricorrenti, acquistato l'idoneit a soddisfare pubblici, generali interessi. L'insufficiente motivazione dell'atto amministrativo comportava -secondo i ricorrenti -la declaratoria d'illegittimit dello stesso, salvi gli ulteriori provvedimenti dell'autorit amministrativa, ma non consentiva l'adozione, da parte del Tribunale delle acque, di una diversa motivazione, al fine di ritenerlo ugualmente legittimo. La censura priva di fondamento in quanto basata su una erronea opinione circa la natura dell'atto di iscrizione negli elenchi delle acque (5) In termini, Cass., Sez. Un., 25 gennaio 1952, n. 217 (richiamata in motivazione), Acque bonif. costruz., 1952, I, 215 ed ivi le conclusioni del P.G. EuLA, Demanialit delle acque sotterranee; Cass., Sez. Un., 25 maggio 1971, n. 1534, cit.; Trib. sup. acque, 18 gennaio 1973, n. 2, cit. (6) Sulla questione di costituzionalit, dichiarata manifestamente infondata e che avrebbe peraltro dovuto pi correttamente definirsi come non rilevante, cfr. le sentenze richiamate alla nota 5. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO pubbliche e circa i poteri dei tribunali delle acque in materia di accer tamento della demanialit delle acque. L'atto col quale la P.A. iscrive un'acqua nell'elenco delle acque pubbliche (art. 1, secondo comma, del t.u. n. 1775 del 1933) non un provvedimento che abbia natura dispositiva (nel senso che implichi l'esercizio di una facolt di disposizione dell'Amministrazione circa la propriet delle acque) o costitutiva (nel senso che attribuisca alle acque che ne formano oggetto una qualit giuridica che esse prima non avevano). Esso l'atto terminale di un procedimento dichiarativo, che pu essere inquadrato nella figura delle certazioni, la cui funzione quella di rendere conoscibile alla collettivit che l'acqua viene considerata come pubblica e che quindi soggetta al correlativo regime amministrativo. Pertanto, poich l della utilizzabilit che deve aversi essen ziale riguardo, mentre indifferente che essa sia riconducibile ad un'atti vit umana di estrazione, di sistemazione e di incremento, anzich ad una con.dizione naturale. Invero la stessa condizione naturale non determinata da fattori statici, non modificabili nel corso del tempo, dal momento che anche eventi materiali non riconducibili al fatto dell'uomo (movimenti geologici di assestamento, fenomeni vulcanici ed altro) possono determinare delle modificazioni per effetto delle quali vengono a rendersi utilizzabili delle acque che prima non lo erano. E, sia nell'ipotesi di opera dell'uomo, sia nell'ipotesi di mutamenti naturali, non pu affermarsi che l'acqua sia creata, come bene economico, da tali fattori, trovando in questi elementi dinamici solo l'occasione per manifestare la sua originaria attitudine. Deve pertanto concludersi che, una volta accertata l'idoneit di acque determinate a soddisfare pubblici interessi, il carattere demaniale di esse non pu essere fatto dipendere dalla natura della causa immediata (natu rale oppur no) che ha rivelato quella idoneit. Con l'ultimo motivo i ricorrenti, denunciando violazione degli artt. 41, 42 e 43 Cost. in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., deducono che l'inter pretazione dell'art. 1 del t.u. del 1933 nel senso sopra indicato contrasta con le norme costituzionali che garantiscono l'iniziativa e la propriet privata, dal momento che, attraverso essa, si perviene ad una espropria zione o requisizione o trasferimento di impresa senza indennizzo. Non pu infatti -secondo i ricorrenti -essere considerata come indennizzo (contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale Superiore) la previsione degli artt. 103 e 104 dello stesso t.u. circa la preferenza, da accordare allo scopritore, nella concessione per l'utilizzazione dell'acqua e circa il rimborso delle spese sostenute per la ricerca e l'attribuzione allo scopri tore di un adeguato compenso nell'ipotesi che la concessione non venga effettuata a suo favore. La questione di legittimit costituzionale dell'art. 1 del t.u. sulle acque pubbliche, che, col motivo in esame, viene sollevata, manifesta mente infondata. Gli stessi ricorrenti precisano, nella memoria, che la pretesa espro priazione ad opera della P.A. non riguarda l'acqua, di cui non si pro prietari, ma le strutture destinate agli incessanti lavori di scavo e di convogliamento nonch di estra;done, le quali non possono configurarsi altrimenti se non come beni aziendali .della impresa di estrazione. E PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI invero l'accertamento della demanialit delle acque, in quanto dichiarativa dell'originaria appartenenza di esse allo Stato, non pu configurarsi come un atto espropriativo. Ma l'art. 1 del t.u. in esame -del quale soltanto il Tribunale Superiore ha fatto applicazione -concerne esclusivamente l'accertamento della demanialit delle acque, sicch qualsiasi problema che si ponga al di fuori di tale accertamento (come quello sollevato dai ricorrenti in relazione alla propriet delle attrezzature di estrazione, che estraneo all'oggetto dell'opposizione all'iscrizione delle sorgenti Ficarazza e Acquanova nell'elenco delle acque pubbliche) non rientra nell'ambito dell'efficacia normativa di tale disposizione di legge e non pu, pertanto, dare luogo ad una questione di legittimit costituzionale della stessa. Ancl:J,e ammesso, pertanto, che le attrezzature in questione siano assolutamente necessarie per l'utilizzazione delle acque, l'accertamento della demanialit di queste non coinvolge (n pregiudica) il problema del diritto di propriet sulle stesse attrezzature. -(Omissis). SEZIONE OTTAVA GIURISPRUDENZA PENALE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. III, 20 dicembre 1974, n. 9733 -Pres. Marmo -Rel. Lombardo -P. M. Sangiorgio (conf.) -Rie. Verni Luigi. Antichit e belle arti . Tutela del patrimonio archeologico Danni osti tuzione di parte civile del Ministero per i beni culturali e ambientali Ammissibilit Tutela amministrativa. (art. 59, I. 1 giugno 1939, n. 1089). La previsione di una tutela amministrativa mediante la speciale procedura di liquidazione dei danni subiti dal patrimonio storico e archeologico, prevista dql precitato art. 59 della legge n. 1089 del 1939, non di ostacolo alla proposizione davanti al giudice ordinario dell'azione di risarcimento del danno (1). (Omissis). -In ordine al motivo (n. 1) che censura l'avvenuta ammissione della costituzione di parte civile del Presidente della Regione II sistema sanzionatorio nella tutela dei beni culturali e ambientali. (1) Nella decisione che si annota vi~ne anzitutto valutato criticamente l'assunto del ricorrente secondo cui nessun danno deriverebbe allo Stato dalla violazione delle norme contemplate dall'art. 59 1. 1 giugno 1939, n. 1089 sulla tutela delle cose di interesse artistico o storico, in quanto lo Stato gi provvede alla tutela dei beni di interesse archeologico, storico ed artistico per mezzo dei suoi organi amministrativi e di quelli preposti all'esercizio dell'azione penale. Secondo la Corte, la tesi contrasterebbe con la stessa norma contenuta nel citato art. 59 in quanto detto articolo, oltre a prevedere sanzioni penali per il trasgressore, pone a carico di costui l'esecuzione di quei lavori ritenuti occorrenti per la riduzione in pristino e la riparazione dei danni, o, in mancanza, e cio quando la riduzione in pristino non sia possibile, l'obbligo del pagamento allo Stato di una somma pari al valore della cosa perduta o alla diminuzione del valore subita dalla cosa in conseguenza della violazione di legge compiuta. Si tratterebbe -sempre secondo la Corte -di una obbligazione civile del trasgressore, cui corrisponderebbe un diritto soggettivo dello Stato alla prestazione dell'oggetto, che pu essere fatto valere nel processo penale mediante costituzione di parte civile della stessa Amministrazione. Precisa ancora la Corte che la previsione di una tutela amministrativa mediante la speciale procedura di liquidazione dei danni subiti dal patrimonio storico e archeologico, prevista dal precitato art. 59... non di ostacolo alla proposizione davanti al giudice ordinario dell'azione di risarcimento del danno , PARTE I,. SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 445 siciliana quale organo decentrato del Ministero della P.I., la Corte osserva che il provvedimento che ammette o esclude la costituzione di parte civile non impugnabile, ma il giudice conserva il potere di verificare l'esistenza del diritto sotto il profilo oggettivo e soggettivo e altres l'esistenza della connessione materiale tra l'azione penale ed azione civile (artt. 100 e 190 c.p.p.) vedi in tal esenso da ult. massime (125.013-1~4.497). Rileva la Corte che sostanzialmente il ricorrente col motivo mira a far valere il difetto di legitimatio ad causam contro la condanna al risarcimento dei danni, eccezione che, peraltro, non ha fondamento. Invero assume il ricorrente che nessun danno deriverebbe allo Stato il quale gi provvede alla tutela dei beni di interesse archeologico, storico ed artistico per mezzo dei suoi organi amministrativi e di quello preposti all'esercizio dell'azione penale. Tale tesi contrasta con la norma di cui all'art. 59 della legge 1 giugno 1939, n. 1089 sulla tutela delle cose d'interesse artistico o storico. Essa, oltre a prevedere sanzioni penali per il trasgressore, pone a carico di costui l'esecuzione di quei lavori ritenuti occorrenti per la ripa- Viene quindi fissata la esclusione del cumulo della tutela giurisdizionale ordinaria di cui all'art. 2, l. 20 marzo 1865, n. 2248; all. E, con l'autotutela amministrativa, nel senso che una volta accertato il fatto lesivo in sede giudiziaria, la determinazione del quantum debeatur non potrebbe poi avvenire anche in via amministrativa. Le considerazioni svolte dalla Corte sul punto suscitano alcune perplessit, a superare le quali sembra necessario un breve approfondimento della materia, che costituisce uno dei numerosi aspetti -e non fra quelli di pi agevole soluzione -.della tutela dei beni culturali (secondo la pi moderna e acquisita accezione, sostitutiva della categoria dei beni di interesse artistico o storico). E poich la tutela dei beni culturali non pu ritenersi disgiunta da quella dei beni ambientali (accezione questa sostitutiva delle bellezze naturali e panoramiche), proprio da questi ultimi prenderemo le mosse, per poi tentare i possibili raffronti. Per consolidato insegnamento dottrinario e giurisprudenziale, la sanzione pecuniaria prevista dall'art. 15, l. 29 giugno 1939, n. 1497 sulla protezione delle bellezze panoramiche e naturali ha carattere amministrativo e non penale, con la conseguenza che l'impugnativa contro il provvedimento che la irroga va proposta innanzi ai competenti organi della giustizia amministrativa. Per le infrazioni alla legge per la tutela delle bellezze naturali la sanzione pecuniaria alternativa rispetto all'ordine di demolizione delle opere e la scelta dipende esclusivamente da quello che il Ministro per i beni culturali e ambientali reputer pi opportuno nell'interesse della protezione di detti beni: nell; operare tale scelta appare indubbio che ci si trovi di fronte alfa esplicazione di un potere discrezionle, in funzione della valutazione di uno specifico interesse pubblico. Le sanzioni di carattere riparatorio (cosiddette, ma impropriamente, sanzioni civili), previste dall'art. 15, l. 1497/1939, integrano le sanzioni penali: esse vanno qualificate pi propriamente come sanzioni amministrative con carattere alternativo, e cio o una sanzione pecuniaria o la demolizione a spese dell'ina RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 446 razione dei danni e la riduzione in pristino, o in mancanza, quando la riduzione in pristino non sia possibile, l'obbligo del pagamento allo Stato di una somma pari al valore della cosa perduta o alla diminuzione del valore subito dalla cosa in conseguenza della violazione di legge com piuta. A tale ~bbligazione civile del trasgressore corrisponde un diritto sog gettivo dello Stato alla prestazione dell'oggetto che pu essere fatto valere nel processo penale mediante costituzione di p.c. (cfr. Cass., Sez. III, 13 dicembre 1965, rie. Perrone in Giust. pen. 1966, II, 825). E con valuta zione incensurabile delle risultanze probatorie il giudice di merito pro nunziando la condanna generica al risarcimento dei danni, s' limitato ad una mera declaratoria iuris di un fatto potenzialmente produttivo di conseguenze dannose. La previsione di una tutela amministrativa mediante la speciale pro cedura di liquidazione dei danni subiti dal patrimonio storico e archeo logico, prevista dal precitato art. 59 della legge n. 1089 del 1939, non dempiente delle opere abusivamente eseguite (cfr. Grisolia, Voce Bellezze natu rali, Enc. Dir. Giuffr V, 90). Nella decisione, 24 ottobre 1972, n. 591 della Sezione VI del Consiglio di Stato (in Il onsiglio di Stato, 1972, I, 1755) si ribadisce esplicitamente che la sanzione del pagamento della indennit inflitta ai sensi dell'art. 15, quale forma di repressione di un illecito avente efficacia privativa >>, ha natura amministrativa ed nettamente distinta dalle sanzioni previste nel codice pe nale e nelle altre leggi di natura penale; pertanto, poich la garanzia del citta dino prevista dall'art. 24 della Costituzione (diritto alla difesa) concerne unica mente i procedimenti giurisdizionali, manifestamente infondata l'eccezione di illegittimit costituzionale dell'art. 15 citato sotto il profilo dell'art. 24 della Costituzione. Infatti, trattandosi di sanzioni amministrative irrogate nell'ambito di un procedimento amministrativo, contro di esse il cittadino ben pu tutelarsi me diante la proposizione dei rimedi giuridici previsti dall'ordinamento. Invero, il provvedimento ministeriale con il quale viene ordinato, ai sensi dell'art. 15, il pagamento di una somma di danaro quale sanzione per il danno recato alle bellezze naturali di una localit implica un apprezzamento necessa riamente discrezionale, quantomeno in ordine alla effettiva ricorrenza di circo stanze turbative della bellezza naturale vincolata, alla imputabilit di tale tur bativa al soggetto destinatario del vincolo, alla possibilit di un ripristino, alla convenienza di un indennizzo o risarcimento, nonch, da ultimo, ai criteri di determinazione quantitativa dell'indennizzo in relazione alla valutazione del danno inferto alla bellezza naturale che l'interesse pubblico voleva incontami nata: valutazioni queste di carattere squisitamente discrezionale, le cui relative controversie rientrano per l'appunto nella giurisdizione -amministrativa (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 8 novembre 1972, n. 1034 in Il Consiglio di Stato 1972, I, 1947). L'ampiezza della sfera di discrezionalit riservata all'Amministrazione in subiecta materia trova ulteriore conferma nella decisione della Sez. VI del Consiglio di Stato n. 888 del 22 novembre 1966 (in Foro Amministrativo 1966, I, 2, 1929), con la quale sono stati ritenuti inammissibili -in quanto attinenti PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 447 di ostacolo alla proposizione davanti al giudice ordinario dell'azione di risarcimento del danno. Al riguardo sembra opportuno puntualizzare che nelle conclusioni presentate dal rappresentante della p.c. al dibattimento di primo grado, l'avvocato dello Stato chiese esplicitamente la liquidazione del danno da risarcire in separata sede; il che esclude il cumulo della tutela giurisdizionale ordinaria di cui all'art. 2, 1. 20 marzo 1865, n. 2248, all. 2, con l'autotutela amministrativa che, peraltro, sotto il profilo di una eventuale questione di illegittimit costituzionale, potrebbe far sorgere serie perplessit, demandando l'art. 59 suddetto alla P.A. quale parte offesa di stabilire insindacabilmente e in modo irrevocabile la somma dovuta dal trasgressore a titolo di risarcimento danni. Chiarito quanto sopra, ovviamente non regge l'argomento avanzato dall'Avvocatura di Stato che la determinazione del quantum debeatur, una volta accertato il fatto lesivo in sede giudiziaria, potrebbe poi avvenire in seguito anche in via amministrativa. Passando all'esame delle questioni di illegittimit costituzionale, gi dichiarate manifestamente infondate dai giudici di merito e riproposte al merito -i motivi del ricorso giurisdizionale diretto contro il provvedimento sanzionaforio previsto dall'art. 15 per violazione degli obblighi imposti dal vincolo di bellezza naturale, motivi con i quali si pretendeva sostenere che le opere realizzate erano inidonee ad arrecare un danno estetico alla zona vincolata. Cos chiarito l'ambito di applicazione dell'art. 15, esso andr quindi correlato alle sanzioni comminate dal codice penale. Per la sussistenza degli estremi del reato previsto dall'art. 734 c.p. necessaria la preesistenza dell'atto amministrativo ed sufficiente che l'immobile sia incluso negli elenchi di cui all'art. 3, I. 1497/1939, approvati dal Ministro per i beni culturali e per l'ambiente (cfr. Cass., Sez. III, 5 dicembre 1968, Bucci, in Giust. Pen. 1969, II, 838; Cass. Pen. Mass. 1969, 1483; Cass. 3 febbraio 1%8, Fittabile, ivi, 1968, 340): ci sta a significare che la disposizione dell'art. 734 c.p. ha carattere meramente sanzionatorio, perch essa non stabilisce direttamente l'obbligo giuridico del soggetto di non distruggere o alterare le bellezze naturali, ma fornisce soltanto la sanzione penale per la violazione di tale obbligo, imposto dall'Autorit Amministrativa in base alla legge 29 giugno 1939, n. 1497; in virt di tale legge proprio e solo l'Autorit Amministrativa (Ministro per i beni culturali e per l'ambiente) che notifica ai privati proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo (art. 3) che le cose loro appartenenti sono state sottoposte a vincolo in quanto ritenute di notevole interesse pubblico (art. 1). L'art. 734 costituisce dunque una norma penale in bianco in quanto, per la sua applicabilit, presuppone l'atto amministrativo di riconoscimento dell'immobile come bellezza della natura e come tale meritevole di speciale protezione giuridica (cfr. in dottrina Manzini, Trattato di diritto penale, X, Torino, 1952, 1031; Cantucci, La tutela giuridica delle cose di interesse artistico o storico, Padova, 1953, 332; Grisolia, voce Bellezze naturali in Enc. Dir. Giuffr V, 91). Per la concreta applicabilit dell'art. 734 c.p. si rende necessaria o la distruzione o la alterazione, quest'ultima poi non necessariamente grave posto che, allorquando il mezzo impiegato cagioni l'evento indicato nella norma, RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 448 in modo pi approfondito, in questa sede, la Corte osserva che ragioni di opportunit consigliano di procedere ad una trattazione globale delle stesse questioni di legittimit costituzionale, come sopra rias.sunte nella parte relativa allo svolgimento del processo. In effetti le censure del ricorrente si riducono a lamentare il VIZIO d'incostituzionalit dell'art. 2-bis della I. 28 settembre 1966, n. 749, sia pure sotto diversi profili. Da parte del ricorrente si assume in primo luogo che la norma denunciata sarebbe costituzionalmente illegittima per essere in contrasto con gli artt. 20 e 14, lett. n), dello Statuto siciliano che conferiscono alla Regione i poteri legislativo ed amministrativo in materia di tutela del paesaggio, conservazione delle antichit e delle opere artistiche. Rileva la Corte in proposito che, in sede di conflitto di attribuzioni sollevato dalla Regione siciliana nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, la Corte costituzionale con sentenza dell'll aprile 1969, n. 74, pur riconoscendo che la Regione siciliana ha, per l'art. 14, lett. n), dello Statuto, speciale competenza legislativa esclusiva in materia di tutela del paesaggio e di conservazione delle antichit e delle opere arti- nulla importa che la visione della bellezza naturale sia pi o meno sensibilmente alterata. Valterazione -sulla quale giover indugiare brevemente, poich la distruzione non comporta una grossa problematica essendo intuitivamente di ben pi agevole indagine -ricorre principalmente (se non esclusivamente) proprio quando il godimento estetico viene ad essere limitato; in particolare, il reato pu sussistere nche per il solo fatto della alterazione dell'equilibrio fra natura e area coperta, cio edificata, e il danno si verifica anche quando l'opera pu essere rimossa e la bellezza ripristinata, e cio in quanto pu escludersi alterazione, e quindi danno, solo quando la alterazione stessa si risolva in un fatto decisamente momentaneo o, comunque, di una durata tale da non nuocere sensibilmente all'interesse tutelato. La contravvenzione di cui all'art. 734 in esame ha natura di reato di danno; pertanto, ai fini della sussistenza dello stesso non sufficiente n la esecuzione di opere senza l'autorizzazione del Soprintendente, n la semplice alterazione momentanea dello stato delle cose soggette a vincolo: occorre che tale alterazione abbia determinato distruzione o deturpamento della bellezza naturale, ed al giudice penale che spetta l'obbligo di accertare se sussista in concreto la distruzione o il deturpamento della bellezza naturale. Il. reato di cui all'art. 734 c.p. esige, infatti, fra gli altri elementi costitutivi l'evento (la dichiarazione della autorit che sottopone a vincolo determinati luoghi costituisce un presupposto>>, non un elemento essenziale del reato), che si sostanzia nella distruzione o nella alterazione reale ed effettiva della bellezza naturale del luogo soggetto a vincolo; si impone, pertanto, il preciso obbligo per il giudice di accertare in concreto la sussistenza o meno di siffatto evento, che deve essere di danno e non di mero pericolo (cfr. Cass. 20 febbraio 1960 in Giust. Pen. 1962, II, 559). In relazione alle modalit e al comportamento del trasgressore, nonch alle conseguenze dannose, il reato di cui all'art. 734 c.p. un reato commissivo, PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE .o ,u.\ e 11iP. stiche , ha tuttavia escluso che attualmente si siano realizzate le condizioni per l'esercizio di tale competenza in quanto la norma statutaria .on contiene una puntuale precisazione della sfera delle attribuzioni 'egionali. Invero secondo la consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato lella Corte costituzionale il passaggio dei poteri amministrativi dello \to alla Regione, nelle materie di competenza esclusiva di quest'ultima, \avviene automaticamente per effetto della entrata in vigore dello \ito, ma soltan'to dopo che siano state emanate le apposite norme ~uazione. Tali norme sono espressamente previste dalla VIII Dispo.' f transitoria della Costituzione che si applica a tutte le regioni, \~to ordinario o speciale. Ci stato chiarito dalla Corte costitu. con la sentenza 18 maggio 1959, n. 30. Al riguardo essa rileva porme di semplici regolamenti (amministrativi) sia per la loro \ sia per la forma rivestita, n sono di mera esecuzione degli \>ich costituiscono atti con carattere e veste legislativa, e quindi '>re di legge; si pongono su un piano diverso e superiore rispetto '~a emanare nelle materie da essa regolate, ma non per questo \ttere di legge costituzionale . .,___ \iona nel momento in cui sono state compiute le demolizioni, ~!tre opere, quando cio cessata l'attivit che la legge proibisce; :peo nell'ipotesi di distruzione di bellezze naturali; invece reato \effetti permanenti nell'ipotesi di alterazione. \ natura del giudizio tecnico dell'organo amministrativo e alla '~r il giudice penale, la Corte di Cassazione, con la decisione l (Basile, in Giurisprudenza lt. 1969, II, 577) ha stabilito che, )lsabilit penale ex art. 734 c.p., il giudizio tecnico del Soprin\ rnenti circa il deturpamento delle bellezze naturali non \udice il quale, sulla base degli accertamenti svolti nel proce~ sprirnere un. diverso giudizio, che censurabile in Cassa~ rofilo della mancanza di motivazione o della motivazione ko-giuridici, ma nan per quanto attiene alla discrezionalit "'tanto il giudice penale pu escludere l'elerntmto del danno '~ssere vincolato dall'accertamento della Soprintendenza ando che il reato in esame -come si detto -reato \e citata ha suscitato non poche perplessit sulle conset> ossibilit che il giudic penale esprima un giudizio -~tto a quello della Amministrazione: se, infatti, a que\' ultirna r~servato il riconoscimento della bellezza '1:0 luogo, ad essa e solo ad essa dovrebbero essere \;ioni concrete che, ad integrazione di quell'iniziale '~tabilire caso per caso quali azioni vanno impedite \a bellezza naturale (cfr. al riguardo I Giudizi di ~oso dello Stato anni 1966-1970 -A.G.S. -Poligrafico \g.). .ento della questione potr forse contribuire a o,sistenza delle due pronunzie (dell'Autorit Aromi 450 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Gi in precedenza la questione specifica sottoposta all'esame di questo 450 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Gi in precedenza la questione specifica sottoposta all'esame di questo Supremo Collegio ha formato oggetto di altra decisione della Corte costituzionale (sentenza 16 dicembre 1959, n. 65) con riferimento allo Statuto siciliano in cui ebbe ad escludere che potesse ritenersi realizzato il trasferimento dei poteri dello Stato alla Regione in materia di pubblica istruzione. Essa, infatti, osserv che in materia di protezione delle bellezze naturali non essendo intervenute norme di attuazione delle disposizioni statutarie (art. 14, lett. n), e 20 st.si.) il Ministro per la P.I. ha la potest di emanare i provvedimenti previsti dalla 1. 29 giugno 1939, n. 1497, anche nel territorio della Regione siciliana; detto potere rimar.r al Ministro per la P.I. fino a quando non vi sia il trasferimento con il procedimento stabilito dall'art. 43 st.si. o in altra guisa giuridicamente efficace, d'intesa con la Regione siciliana . E tale indirizzo la stessa Corte lo ha ribadito, di recente, con la sentenza dell'll maggio 1971, n. 94, dichiarando manifestamente infondata -in riferimento all'art. 14, lett. n), dello st. si. la questione di legittimit costituzionale dell'art. 2-bis, 1. 28 settembre 1966, n. 749, sollevata dal Pretore di Agrigento -secondo il quale la norma violerebbe l'art. 14 precitato in materia di conservazione delle antichit e delle opere artistiche, provvedendo a dichiarare la Valle dei Templi nistrativa e del Giudice Penale) e offrir spunti per l'indagine da cui siamo partiti. In effetti la difformit di valutazione fra il giudice penale e l'organo amministrativo determina sostanzialmente la coesistenza di due provvedimenti logicamente contrastanti: ad esempio, da un lato la sentenza di proscioglimento emessa in sede penale, dall'altro il provvedimento ex art. 15 con il quale il Ministro dei beni culturali ingiunge di demolire l'opera abusivamente eseguita (e se il trasgressore non demolisce nei termini, il Ministro pu procedere d'ufficio ai S(!nsi del secondo comma dell'art. 15) o di pagare una indennit equivalente alla maggior somma fra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la commessa trasgressione. La coesistenza dei due provvedimenti ammessa come possibilit dallo stesso art. 15, il quale dispone per l'appunto che la sanzione pu essere inflitta indipendentemente dalle sanzioni comminate dal codice penale. Che si possa parlare di contrasto logico fra due pronunzie e che esso costituisca certo un inconveniente del sistema fuori discussione (cfr. ad es. in dottrina BAROSIO, Distruzione o deturpamento di bellezze naturali: discrezionalit del giudice nella valutazione dell'elemento materiale, in Giur. It. 1969, II, 577); tali considerazioni, peraltro, non possono indurre a ritenere possibile una dipendenza del giudice penale dal provvedimento amministrativo, e ci in quanto il processo penale dominato dai noti principi della ricerca della verit reale, della subordinazione del giudice solo alla legge (e non ad un provvedimento amministrativo), della garanzia del contraddittorio e, non ultimo, del diritto della difesa: e abbiamo gi visto che il Consiglio di Stato ha ritenuto manifestamente infondata l'eccezione di illegittimit costituzionale dell'art. 15 in relazione all'art. 24 della Costituzione, proprio perch contro la sanzione amministrativa esistono i rimedi giurisdizionali specifici, e ci in quanto la sanzione PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 451 di Agrigento zona archeologica di interesse nazionale in quanto nell'ordinanza di rinvio non erano stati addotti nuovi motivi rispetto a quelli ritenuti infondati con la sopra cennata sentenza 11 aprile 1969, n. 74. Pu dirsi pacifico, quindi, allo stato attuale della legislazione, di fronte al ripetuto esame del problema da parte della Corte costituzionale, che nel settore di cui trattasi alcun trasferimento dei poteri dello Stato stato operato. Ed significativo che il Presidente della Regione siciliana, costituendosi parte civile nel procedimento penale a carico di Vermi Luigi, intervenuto quale organo decentrato dello Stato, cio, in termini pi precisi, dell'Amministrazione della Pubblica Istruzione, respingendo quanto enunciato dal ricorrente nelle proprie deduzioni. Difatti, egli esercita in virt del d.l.c.p.s. n. 567 del 1947 di decentramento burocratico dello Stato, le attribuzioni del Ministero per la P.I. in materia di tutela del paesaggio e delle cose di interesse storico e artistico in Sicilia (in tale senso Corte cost., 7 luglio 1962, n. 83 e Cons. di Stato, Sez. VI, 29 novembre 1961, n. 1024), cio i poteri gi spettanti amministrativa pu ben coesistere insieme e indipendentemente dalla sanzione . penale. Ma se il giudice penale non vincolato all'acceFtamento della Soprintendenza circa la sussistenza del danno al paesaggio (cfr. Cass., Sez. VI, 22 giugno 1968, P.M. c. Russo, in Cass. pen. Mass. 1969, 1483, n. 2274; Sez. VI, 28 novembre 1968 P. M. c. Basile, in Riv. Pen. 1969, II, 585; Giur. It. 1969, II, 577 gi citata), non altrettanto pu dirsi libera l'autorit amministrativa rispetto all'accertamento operato in sede penale, nel senso cio che anche il Soprintendente dovr ritenersi vincolato all'accertamento del giudice penale che abbia escluso non solo l'effetto dannoso (alterazione o distruzione della bellezza naturale) ma anche il fatto nella sua materialit. Al di fuori di detta ipotesi, invece, la sussistenza degli estremi della sanzione amministrativa sembra senz'altro possibile anche in presenza di una sentenza assolutoria in sede penale, che abbia in ipotesi escluso solo l'elemento psicologico o l'evento dannoso e non il fatto della modificazione dello stato di un luogo soggetto a vincolo panoramico senza la prescritta autorizzazione della Soprintendenza: in tali ipotesi, infatti, non operer la previsione di cui all'art. 734 c.p. con le conseguenti sanzioni, ma ben potr e dovr riteneri operante il disposto di cui all'art. 15 della legge 1497. Da tali considerazioni scaturisce l'ulteriore conseguenza che la Soprintendenza, chiamata a valutare preventivamente se procedere all'inoltro del rapporto alla Autorit Giudiziaria ai sensi dell'art. 2 c.p.p. o infliggere la semplice sanzione amministrativa -in relazione al prudente accertamento della situa. zione concreta e particolarmente in ordine all'evento dannoso, in ipotesi non ricorrente -ben potr limitarsi ad adottare la misura della sanzione, salva beninteso rimanendo una diversa valutazione del fatto da parte del giudice penale, qualora il medesimo ne venga per altra via investito. Concludendo questa prima parte dell'indagine, quando i privati effettuano in zone vincolate lavori che danneggiano il paesaggio, non vi dubbio che agli stessi possano essere applicate le sanzioni previste sia dalla legge 1497/1939 452 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO all'Alto Commissario per la Sicilia, istituito con decreto luogotenenziale 25 giugno 1944. Posto ci, ne deriva, cos come ha statuito la Corte costituzionale (da ultimo nella precitata decisione dell'll maggio 1971, n. 94, Ferlisi) che manifestamente infondata la qustione di legittimit costituzionale dell'art. 2-bis, 1. 28 settembre 1966, n. 749 (che converte in legge, con modificazioni, il d.l. 30 luglio 1966, n. 590, recante provvedimenti a favore della citt di Agrigento, in conseguenza del movimento franoso verificatosi il 19 luglio 1966) secondo cui la Valle dei Templi di Agrigento dichiarata zona archeologica di interesse nazionale, restando affidata ad un decreto, da emanarsi dal Ministro per la P.I., di concerto con quello per i lavori pubblici, la determinazione del perimetro della zona, delle prescrizioni d'uso e dei vincoli di inedificabilit. Ed in virt della delega legislativa i predetti Ministri ebbero ad emanare il d.m. 16 maggio 1968, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 131 del 24 maggio successivo, previa accurate indagini della Commissione costituita con decreto del Ministro dei Lavori che dall'art. 734 c.p. Qualora, poi, la Soprintendenza segnali all'Autorit Giudiziaria le infrazioni che, a suo parere discrezionale, hanno comportato distruzione o deturpamento del paesaggio, non pu ritenersi precluso al Giudice Penale di giudicare -contrariamente all'organo amministrativo -che nella concreta fattispecie non sussista penale responsabilit (si pensi all'esclusione dell'elemento psicologico, basato sulla falsa presupposizine della esistenza della autorizzazione). Al limite, non potrebbe neppure escludersi che, pur in presenza del nulla osta della Soprintendenza, e quindi in difetto di rapporto della medesima all'Autorit Giudiziaria, il giudice penale -che abbia avuto comunque notizia di un fatto che costituisca distruzione o deturpamento di belleza naturale pronunci sentenza di condanna a carico del trasgressore, in assoluto difetto quindi di ogni valutazione dell'organo amministrativo in merito al fatto concreto e sul solo presupposto (necessario -come gi detto -ai fini della configurabilit del reato ex art. 734 c.p.) della esistenza del provvedimento di vincolo: tale ipotesi peraltro appare decisamente difficile a realizzarsi, e sembra limitata ai casi in cui il privato sia riuscito ad ottenere fraudolentemente il nulla osta. Anche l'ultima fattispecie ipotizzata altro non che una ulteriore conferma della enucleata possibilit di coesistenza delle due diverse valutazioni. Che il legislatore abbia voluto escludere la pregiudizialit fra l'accertamento compiuto dall'Amministrazione nell'atto amministrativo e quello compiuto dal giudice nell'atto giurisdizionale si desume, del resto, proprio dal pi volte citato art. 15, il quale conferisce alla Pubblica Amministrazione la facolt di disporre la demolizione o il pagamento di una indennit indipendentemente dalle sanzioni del codice penale. dunque lo stesso legislatore a dichiarare la sussistenza di una diarchia, amministrativa e giudiziaria, con previsione di autonome facolt e autonomi poteri (cfr. la gi citata decisione della Cassazione 28 novembre 1968). Sembra cos potersi affermare che per le ipotesi per le quali, trattndosi di semplici infrazioni amministrative, non possa ritenersi sussistente, secondo PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 453 Pubblici, 3 agosto 1966, n. 12795 con il compito di effettuare indagini, PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 453 Pubblici, 3 agosto 1966, n. 12795 con il compito di effettuare indagini, in dipendenza del movimento' franoso verificatosi nell'abitato di Agri gento il 19 luglio 1966, in merito alla situazione urbanistico-edilizia della predetta citt e di avanzare concrete proposte in' ordine ai provvedimenti da adottare . Va rilevato, poi, che nella normativa dello Stato sulla Tutela delle cose di interesse artistico e storico di cui alla legge 1 giugno 1939, n. 1089, la conservazione di queste, cio la sola materia attribuita nello Statuto alla Regione siciliana, forma oggetto, unicamente, di una parte delle disposizioni, cio quelle di cui al capo Il, mentre i capi successivi della predetta legge riguardano l'alienazione gli altri modi di trasmissione delle cose, l'esportazione e l'importazione, i ritrovamenti e le scoperte, le riproduzioni e il godimento pubblico e, infine, le sanzioni. Pertanto non si pu non convenire che la conservazione delle cose artistiche e storiche solo un aspetto della loro tutela . Ne deriva dunque la necessit che siano precisati i limiti della competenza regio- i criteri tecnici e le valutazioni discrezionali dell'organo amministrativo pre posto, n la alterazione n tantomeno la distruzione della bellezza naturale vincolata, non sussista neppure alcun obbligo di rapporto all'Autorit Giu diziaria. Altrettanto fondatamente sembra potersi affermare che sussiste senz'altro la possibilit che venga applicata la sanzione alternativa minore del pagamento della indennit prevista dall'art. 15, 1. 1497/ 1939 in dette ipotesi, posto che tale . indennit ha natura esclusivamente amministrativa e non penale e che per essa -ripetesi -l'ordinamento contempla specifici mezzi di impugnativa da proporsi innanzi ai competenti organi della giustizia amministrativa (cfr. Cass. SS.UU., 14 giugno 1971, n. 1824, in Foro It. 1971, I, 1857). Il giudizio sulla scelta fra la possibilit di infliggere una sanzione pecu niaria o di ordinare la demolizione dell'opera del tutto insindacabile. in quanto impinge nel merito della valutazione; per la legittimit del provvedi mento adottato, nell'uno o nell'altro senso, sufficiente che da esso risulti che la possibilit di scelta stata tenuta presente (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 10 lu glio 1968 n. 447, in Il Consiglio di Stato 1968, I, 1165; La Settimana Giuridica 1968, I, 408; Foro Amm. 1968, I, 2, 947). Dopo aver tentato di chiarire i rapporti fra l'art .15, 1. 1497 e l'art. 734 c.p., vediamo brevemente quali rapporti intercorrano fra l'art. 59, 1. 1 giugno 1939, n. 1089 e l'art. 733 c.p. Giover anzitutto premettere che il reato contemplato nell'art. 733 c.p. non si pone affatto in un rapporto di genere a specie rispetto a quello di cui all'art. 59 legge speciale, ostandovi sostanziali diversit sotto il profilo dell'elemento psicologico, dell'oggetto, dei presupposti, delle condizioni obiettive di punibilit, nonch, infine, della condotta (cfr. in dottrina, fusius, Grisolia, La Tutela delle Cose d'Arte, Soc. Ed. Foro It., Roma 1952, 424 e segg.; Caramazza, In tema di repressione penale dei danneggiamenti recati al patrimonio sotrico, artistico ed archeologico nazionale, in R.A.S. 1966, I, 744 e segg.). L'art. 59 della legge speciale non richiede affatto come condizione necessaria il danneggiamento, ma si limita ben pi semplicemente a colpire la non 11 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 454 nale, anche in riferimento al suo oggetto, e che sia stabilit> un coordi namento della funzione di conservazione, attribuita alla Regione, con le altre forme di tutela delle cose artistiche e storiche, prevista dalla legislazione dello Stato (vedi sent. n. 74!69 Corte cost.). Giova ricordare che questa Suprema Corte, con sentenza n. 1475172 (ud. 12 ottobre 1972) rie. Riccioli ed altri, ha riaffermato il principio enunciato nella decisione 26 gennaio 1952 (Commissario dello Stato -Presidente della Regione Siciliana) dell'Alta Corte Siciliana per cui le leggi della Repubblica hanno immediata efficacia in tutto il territorio dello Stato, compreso la Sicilia, pure nei casi in cui la potest legislativa sia attribuita in modo esclusivo alla Regione, senza che occorra una legge regionale, cos detta di ricezione. Il Supremo Collegio nella menzionata pronunzia ha altres sottoli~ neato che il legislatore regionale vincolato, anche nelle materie che lo Statuto per la Regione siciliana attribuisce alla competenza legislativa esclusiva della Regione medesima, al rispetto delle norme costituzionali osservanza degli obblighi dalla stessa legge speciale contemplati (preventiva autorizzazione, approvazione, etc.); inoltre esso punisce chiunque incorra nelle violazioni dal medesimo contemplate, e non i soli proprietari (si ricordi che al danneggiamento di cose altrui in sede di tutela penale generale trova comunque applicazione non il 733 c.p. ma il 635 dello stesso codice, che contempla fra l'altro una ipotesi di delitto e non di contravvenzione, quindi una ipotesi pi grave del 733). Mentre l'art. 734 c.p. costituisce una integrazione, in ultima analisi, delle sanzioni di tipo diverso, previste dall'art. 15, 1. 1497, pur con le particolari caratteristiche e qualificazioni sopra evidenziate, l'art. 733 c.p. non si ricollega affatto esplicitamente alla normativa speciale, non una norma penale in bianco, ma configura direttamente ed espressamente la fattispecie legale sanzionata, caratterizzandosi cos con una duplice funzione (costitutiva e sanzionatoria) in relazione al divieto imposto. L'esclusione di un diretto collegamento con !a normativa speciale comporta anzitutto una indubbia, maggiore ampiezza della sfera di applicazione dell'art. 733: esso invero pu (e deve) essere utilizzato anche a fini di tutela diretta e immediata di opere d'arte contemporanea, intesa quest'ultima accezione nel senso di opere non contemplate dall'art. 1, ultimo comma, 1. 1089, bastando allo scopo da un Iato che l'opera danneggiata sia di propriet dell'autore del danno e dall'altro che al proprietario sia noto il rilevante pregio dell'opera (e, come esattamente rileva il Grisolia nella voce Arte Enc. Dir. II, 110 e segg., l'art. 733 introduce nel campo della tutela pubblica il criterio della notoriet dell'interesse artistico o storico del bene protetto, criterio che non trova riscontro nella legge speciale n. 1089 ). Quando il reato ex art. 733 si sia verificato nei suoi presupposti soggettivi e oggettivi, l'avvenuto danneggiamento sia stato in effetti accertato, e benin teso non si tratti di opera d'arte contemporanea (nel senso chiarito test) e non sia stata ordinata la confisca contemplata dal secondo comma dell'art. 733, appare indubbia la applicabilit anche dell'art. 59 legge speciale (si ricordi, a tale proposito che il primo comma dell'art. 59 in esame, ai sensi dell'art. 16 PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 455 e dei princ1p1 dell'ordinamento giuridico dello Stato, in conformit di quanto sancito dalla Corte cost. con la sent. n. 13 del 2 marzo 1962. Incontestabilmente l'interesse nazionale alla protezione della zona archeologica della Valle dei Templi gi riconosciuto -Protezione delle bellezze panoramiche naturali -dall'art. 70 del Regofamento edilizio del Comune di Agrigento, approvato con decreto n. 4261 del 18 marzo 1958 dell'Assessore regionale ai Lavori pubblici il cui testo integrale contenuto nella relazione al Ministro dei LL.PP. del tempo, on. Giacomo Mancini, della Commissione di indagine sulla situazione urbanistico-edilizia di Agrigento, presentata 1'8 ottobre 1966 (comunemente denominata relazione Martuscelli , prendendo nome dal Presidente della Commissione stessa dr. Michele Martuscelli, direttore generale dell'Urbanistica). Detta norma subordina alle autorizzazioni del Ministero della P.I. su parere favorevole della Soprintendenza ai Monumenti del Sindaco del Comune -su conforme parere della Commissione edilizia -tra l'altro i lavori all'interno e all'esterno dei fabbricati e ville di speciale pregio artistico che ne modifichino la disposizione di parti di essi e ne alterino la forma, le linee architettoniche e le parti ornamentali, quali nuove della legge lo marzo 1975, n. 44, concernente misure intese alla protezione del patrimonio archeologico, artistico e storico nazionale, del seguente testuale tenore: Chiunque trasgredisca le disposizioni contenute negli artt. 11, 12, 13, 18, 19, 20 e 21 della presente legge punito con l'arresto da sei mesi ad un anno e con l'ammenda da L. 750.000 a L. 37.500.000 : con tale riforma stata solo in parte, quantomeno sotto il profilo della gravit delle sanzioni, sanata la notevole discordanza che aveva rilevato, fin dal 1952, il Grisola, op. cit. 1952, 430 in nota, fra l'art. 59 della legge speciale e l'art. 733 c.p. laddove, configurandosi il reato previsto dall'art. 59 come delitto, veniva ritenuto il danneggiamento compiuto meno dannoso della mancata autorizzazione ed approvazione: attualmente permane la distinzione sotto il profilo quantitativo della misura massima e minima delle pene, ma i reati sono unificati entrambi nella categoria contravvenzionale; inoltre, la nuova e ben pi intensa forza cogente dell'art. 59 legge speciale si porr senz'altro quale sicuro -sia pure indiretto deterrente anche in relazione al reato di cui all'art. 733 c.p.: ed questo l'auspicio di tutti coloro che hanno a cuore le sorti del nostro patrimonio culturale). Passiamo ad un altro aspetto che pure ha formato specifico oggetto di indagine nella decisione che si annota: quello, cio, del coordinamento fra la tutela ordinaria giurisdizionale ex art. 2, I. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E e l'autotutela amministrativa. questo il terzo problema di coordinamento che ci si pone e che sostan zialmente si identifi~a nel coordinamento fra l'art. 59 legge speciale da un lato e i mezzi a disposizione anche della pubblica amministrazione per l'azione ordinaria di risarcimento dall'altro. Esaminiamo l'art. 59, I. 1089/1939. Fermo restando che il primo comma di detto articolo pu e deve essere applicato solo dal giudice penale con le garanzie del processo, il secondo comma sembra, invece, aprire la strada alla determinazione, a mezzo degli strumenti di autotutela amministrativa, delle modalit riparatorie o risarcitorie ,, con RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 456 costruzioni, sopraelevazioni, chiusure e spostamenti di vani, variazioni di cornici e di altre membrature architettoniche, nuove tinteggiature e simile, avuto anche riguardo all'interesse riflesso nei rapporti di prossimi edifici monumentali e del paesaggio . Come risulta dalla relazione Martuscelli (Appendice p. XIV) sin dal 28 dicembre 1964 il Ministero della P.I. invit il Presidente della Regione a convalidare il vincolo apposto con d.m. 12 giugno 1957 , con decreto controfirmato dall'Assessore al Turismo, e di tener conto del deliberato ' della Commissione Provinciale in -data 8 gennaio 1964, mostrandosi vivamente preoccupato della situazione denunziata anche dalla stampa, che si va creando in Agrigento, in seguito a sorgere di iniziative edilizie che ' determinano grave, irreparabile pregiudizio all'interesse paesistico e archeologico , tanto pi che lo stesso Ministero della P.I. con nota 1051 in data 20 febbraio 1964 aveva impartito al Presidente della Regione siciliana le direttive in materia di tutela artistica e paesistica (vedi Appendice Rei. M. p. XII). Anche tali precedenti suffragano la legittimit dell'intervento dello Stato per la finalit di tutelare la zona archeologica nell'interesse nazionale contro l'insorgenza di costruzioni abusive insediatesi nell'area vin l'avverbio inoltre (Il trasgressore tenuto inoltre ad eseguire quei lavori che il Ministro ... etc.). Come rettamente si rileva in sentenza, il giudice di merito pronunziando (in sede penale) la condanna generica al risarcimento dei danni si limitato ad una mera declaratoria iuris di un fatto potenzialmente produttivo di conseguenze dannose . Peraltro, se la norma speciale rimette all'Amministrazione la determinazione dei lavori necessari per riparare ai danni prodotti dal responsabile alla cosa, non per questo sembra doversi escludere la possibilit per l'Amministrazione stessa di ricorrere anche all'A.G.O. in sede civile, sia pure al solo limitato scopo di determinare concretamente la misura e l'entit dei danni: da un lato, infatti, vi sono i danni che devono essere riparati, dall'altro i lavori destinati a riparare quei danni; e se l'Amministrazione a determinare questi ultimi, ben pu invece l'Amministrazione voler rimettere la determinazione dei primi al giudice ordinario civile: l'art. 59 non preclude affatto tale possibilit. Se rileggiamo ora il secondo comma dell'art. 59, noteremo l'esattezza della distinzione: sono solo i lavori l'entit da determinarsi, laddove i danni debbono essere gi determinati; pi precisamente, solo una volta determinati i secondi, potr intervenire l'Amministrazione ad imporre, con la particolare procedura prevista nel secondo comma e seguenti, l'esecuzione dei primi. :E! vero che i danni ben possono essere determinati gi in sede penale, ma -come la stessa esperienza insegna -non sempre ci avviene, essendo precipua preoccupazione del giudice pnale accertare la sussistenza degli estremi del reato ai fini della dichiarazione di colpevolezza e della determinazione della misura ed entit della sanzione (penale); la misura e la entit della sanzione amministrativa sono invece necessariamente collegate ad una preventiva, pre PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 457 colata della Valle dei Templi, per l'inerzia delle autorit comunali e regionali (vedi pag. 118 rel. citata). appena il caso di ricordare che la Repubblica Italiana, aderente a far parte di Organizzazioni internazionali intergovernative come le Nazioni Unite, l'U.N.E.S.C.O. ed il Consiglio d'Europa nell'intento di salvaguardare i diritti culturali dell'uomo, ha assunto l'obbligo giuridico e morale di provvedere alla tutela ed alla valorizzazione del patrimonio storico, archeologico, artistico e del paesaggio del nostro Paese. E di recente, in data 16 settembre 1974, in base ad autorizzazione disposta con 1. 12 apriie 1973, n. 202, ha provveduto al deposito dello strumento di ratifica della Convenzione europea per la protezione del patrimonio archeologico, firmata a Londra il 6 maggio 1969 ed entrata in vigore per l'Italia, ai sensi dell'art. 10, par. 3, il 17 dicembre 1974 (vedi Gazzetta Ufficiale 21 novembre 1974). Detta Convenzione nel Preambolo riconosce che la responsabilit morale della protezione del patrimonio archeologico europeo, prima fonte della storia d'Europa, seriamente minacciato dalla distru cisa e definitiva determinazione dell'entit dei riflessi dannosi, che ne costituiscono il necessario presupposto logico e ontologico. una siffatta determinazione che, a nostro avviso, pu e deve essere rimessa, ove non risulti gi determinata o determinabile sulla base delle risultanze acquisite in sede penale, dalla P.A. al giudice in sede civile, sia pure sotto il limitato e lumeggiato profilo del solo accertamento, che altro non che un accertamento costitutivo del quantum damni, del tutto indipendente dal problema concernente le modalit dell'intervento riparatorio, questo s rimesso alla valutazione discrezionale dell'Amministrazione. Tuttavia, anche sotto quest'ultimo profilo, non neppur vero che l'art. 59 demandi alla P.A., quale parte offesa, di stabilire insindacabilmente e in modo irrevocabile la somma dovuta dal trasgressore a titolo di risarcimento. Infatti, il quarto comma dell'art. 59 conferisce tale facolt insindacabilmente e irrevocabilmente non alla P.A. (come leggesi nella decisione che si annota), ma ad una Commissione composta di tre membri, da nominarsi uno dal Ministro, l'altro dal trasgressore ed il terzo dal presidente del tribunale: trattasi di un organo con caratteristiche obiettive di imparzialit e con attribuzioni giurisdizionali insindacabili dall'A.G.O. (cfr. Cass. Pen. 8 marzo 1940, in Giur. Jt. Rep. 1940, 32 e Riv. Dir. Pubbl. 1942, fase. 2o), il quale viene chiamato a decidere sulla determinazione non del quantum damni, ma del quantum debeatur da parte del trasgressore quando la riduzione in pristino sia preclusa (sulla natura di tali commissioni cfr. Grisolia, op. cit. 1952, 444 e segg.): solo in tali limiti, pertanto, pu essere condivisa l'opinione del Manzini (op. cit. X, 1049, 1029) secondo il quale dovrebbe essere escluso l'intervento dell'Autorit Giudiziaria a mezzo della proposizione di azione riparatoria allorch si adotta il procedimento amministrativo di cui si trattato per la riparazione dei danni previsti dalla 1. 1089/1939 (cfr. in dottrina anche Cantucci, op. cit., 317-334; per una contestazione della tesi, anche con riferimento all'art. 15, I. 1497/1939 cfr. Grisolia, voce Bellezze naturali in Enc. Dir. Giuffr, 92). RAFFAELE TAMIOZZO 458 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO zione, pur rientrando in primo luogo fra i doveri dello Stato interessato, incombe sull'insieme degli Stati europei. Perci anche sotto il profilo di una responsabilit internazionale dello Stato per la protezione dei beni culturali si appalesa doveroso il suo intervento nell'ambito di tutto il territorio della Repubblica allo scopo -di assicurare la tutela del patrimonio archeologico, in modo adeguato agli impegni assunti in sede internazionale. Premesso quanto sopra, rimane da esaminare la doglianza relativa alla violazione dell'art. 21, ultimo comma, st.si. La mancata partecipazione del Presidente della Regione siciliana al Consiglio dei Ministri che deliber l'adozione del d.I. 30 luglio 1966, n. 748, convertito nella legge 28 settembre 1966, ed alle successive sedute parla mentari, renderebbe costituzionalmente illegittimo l'art. 2-bis della legge di conversione precitata. Palesemente l'eccezione non ha alcun fondamento. Tutti gli atti legislativi sono assistiti dalla presunzione di legittimit. ,Incombeva. quindi al ricorrente di frnire la prova del suo assunto, a prescindere poi dal rilievo che l'art. 2-bis di cui trattasi fu introdotto ex novo dal Parlamento nel corso dell'iter legislativo, mancando nel testo del d.I. emanato dal Governo. Si soggiunga che l'art. 21 riguarda solo le riunioni del Consiglio dei Ministri e non le sedute del Parlamento alla cui attivit i Presidenti delle Regioni non partecipano. Osserva la Corte che deve essere disatteso il terzo motivo col quale si denunzia l'illegittimit per eccesso di potere del d.I. 16 maggio 1968 (detto comunemente Gui-Mancini ) sulla delimitazione del perimetro della Valle dei Templi per un preteso contrasto tra le premesse ed il dispositivo del decreto che includerebbe nel comprensorio vincolato zone estranee alla descrizione contenuta nelle premesse medesime e tra esse terreni -come quello del ricorrente -che non sono visibili dai templi o dagli altri monumenti archeologici della Valle. Ne deriva, a giudizio del Vermi, la disapplicazione dell'atto amm1m strativo da parte dell'autorit giudiziaria con la conseguente assoluzione dell'imputato. Rileva la Corte che il sindacato di legittimit del giudice ordinario penale sull'atto amministrativo non pu estendersi al merito fino alla valutazione intrinseca del potere discrezionale riservato alla P.A. Esso pu e deve esercitarsi in ordine ai tre vizi che possono determinare l'illegittimit dell'atto e, quindi, non concerne solo la incompetenza e la violazione di legge, ma si estende anche all'eccesso di, potere, col lin:iite del divieto di rivalutare l'atteggiamento concreto dell'esercizio del potere discrezionale inerente all'apprezzamento delle esigenze di necessit, convenienza ed opportunit precluse al giudice ordinario dal PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE l'art. 5, I. 20 marzo 1965, n. 2248, all. E (Cass., Sez. III, 8 febbraio 1972, Rie. P. M. in proc. Belpusi -Mass. (120.084). Ora nel caso in esame intuitivo che l'Amm.ne Pubblica aveva il potere discrezionale di stabilire in concreto quali fossero le aree che costituiscono cornice insostituibile ed ambiente integrante della zona archeologica. Le esigenze di tutela ambientale di un vasto complesso come quello della Valle dei Templi di Agrigento possono rendere opportuno -e la relazione della Commissione di indagine sulla situazione urbanistico-edilizia di Agrigento, con ampia documentazione lo comprova -di estendere il vincolo anche ad aree non immediatamente adicenti ai templi o visibili da essi, misura ritenuta indispensabile per la salvaguardia integrale di quanto ancora resta dell'antica A-kragas e del paesaggio naturale circostante . Pertanto non pu considerarsi viziato di eccesso di potere l'imposizione del vincolo su aree che, secondo l'apprezzamento discrezionale della P.A., devono essere incluse per la protezione del comprensorio vincolato ai fini della conservazione dei famosi Templi di Agrigento e degli altri monumenti archeologici dell'antica citt di Agrigento. Osserva la Corte_ che neppure ha pregio il quarto motivo col quale si deduce che il d.m. 16 maggio 1968 non sarebbe operante in quanto non venne notificato ai proprietari interessati, come prescritto dalla legge 1089 del 1939, omettendosi pure di trascriverlo nei registri immobiliari come sancisce l'art. 19 stessa legge. Considera la Corte che il vincolo imposto ai privati proprietari o possessori dei terreni trovantisi nella zona dei Templi non deriva dalla legge 19 giugno 1939, n. 1089, ma si fonda direttamente sull'art. 2-bis della legge 28 settembre 1966, n. 749, per cui non sono applicabili nella fatti specie le norme della legge n. 1089 del 1939 riguardanti la notifica dei provvedimenti del Ministero della P.I. istitutivi dei vincoli di tutela archeo logica. Oggetto della protezione costituito dall'intero comprensorio delimi tato dal d.m. 16 maggio 1968 e, trattandosi di atto amministrativo gene rale emanato in base alla legge n. 749 del 1966, devesi ritenere sufficiente ai fini della pubblicit, come di norma per gli altri atti amministrativi a carattere generale -la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Re pubblica che avvenuta nel n. 131 del 24 maggio 1968. Rivolgendosi questa alla generalit dei soggetti, per presunzione di legge, la normativa si ritiene conosciuta, sia dai cittadini in genere che dagli abitanti della Regione siciliana, non necessitando, per l'osservanza della stessa, alcuna pubblicazione sulla Gazzetta della Regione siciliana. Rileva la Corte che nemmeno il quinto motivo col quale il Vermi si duole della mancata applicazione del d.P.R. 22 maggio 1970, n.-283, RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO nonch di un difetto di motivazione sulla richiesta di concessione delle attenuanti generiche e della riduzione della pena al minimo, ha fon damento. Con motivazione incensurabile il Tribunale ha escluso l'assunto dell'imputato che la costruzione abusiva sarebbe stata completata, e quindi la permanenz~ del reato cessato, anteriormente al 6 aprile 1970, termine di efficacia del provvedimento di clemenza in quanto l'affermazione non era sorretta da idonea prova ed addirittura smentito dal riscontro obiettivo delle prove assunte. Al riguardo la impugnata pronunzia s' riferita alle risultanze del sopralluogo eseguito alla data del 7 luglio 1970 dal tecnico accertatore del Comune di Agrigento. Essendo la contestazione dei reati ascritti al Vermi avvenuta con decreto di citazione del Pretore della citt in data 3 maggio 1971, da tale data deve ritenersi cessata la permanenza dei reati di cui trattasi -non essendo stata fornita la prova che l'attivit edilizia abbia avuto termine alla data del 7 luglio 1970 con la volontaria interruzione. Quanto alla misura della pena inflitta ed llla mancata concessione delle attenuanti generiche, il Tribunale ha ritenuto manif~stamente infondato le censure rivolte all'operato del primo giudice. Invero risulta dal verbale di dibattimento di primo grado che alcuna richista venne formulata in tale senso e con motivazione implicita, riferendosi al comportamento processuale dell'imputato, ha ritenuto congrua la pena irrogata al Vermi che ebbe gi a beneficiare della sospensione condizionale della pena per entrambi i reati e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. III, 24 gennaio 1975, n. 176 -Pres. Marmo - Rel. Clemente di San Luca -P. M. Sevorino (conf.) Rie. Cellieri ed altri; Reato Falsit in atti Falsit ideologica in atti pubblici Bolletta doga nale -Natura di atto pubblico Obbligo del privato di attestare fatti veri; (cod. pen., art. 483). (I. 25 settembre 1940, n. 1424). La bolletta doganale ha natura di atto pubblico, per la qualit dei soggetti che la formano, per la sua struttura, il contenuto e la sua causa tipica. Si tratta di fattispecie documentale a formazione progressiva, in relazione alla quale il privato ha l'obbligo giuridico di attestare veridicamente i fatti dichiarati, che vengono enunciati nel provvedimento. PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 461 (Fattispecie relativa a reato di falsit ideologica commessa da privato in atto pubblico) (1). (1) V. nello stesso senso, Cass. 23 giugno 1971 in Cass. pen. mass. annotato 1972, p. 1570, n. 2248, che ha affermato la natura di atto pubblico facente fede fino a querela di falso della bolletta doganale per quanto concerne il suo contenuto mentre, per quanto concerne le falsit che cadono sulle girate della bolletta, che sono puniti a norma dell'art. 491 c.p. V. arn:;he Cass. 17 ottobre 1967, ivi 1968, p. 1658, n. 1076. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. VI, 30 settembre 1975, n. 1586 -Pres. Ugazzi -Rel. Fornari -P. M.-Capecelatro (conf.). Rie. Pasquali ed altro. Reato -Sanit pubblica -In genere Provvedimenti urgenti del medico provinciale -Inosservanza Violazione dell'art. 650 cod. pen. Configurabilit. (cod. pen., art. 650). (r.d. 27 Iuglio 1934, n. 1265, art. 24). In virt delle attribuzioni a lui demandate per motivi di igiene e sanit dall' 24 t.u. leggi sanitarie (r.d. 27 luglio 1934, n. 1265), il medico provinciale pu emettere legalmente provvedimenti di divieto di immissione nelle acque pubbliche di rifiuti industriali fintantoch la competente autorit sanitaria comunale non abbia verificato ed approvato un idoneo impianto di depurazione dei rifiuti stessi. (Applicazione in tema di inosservanza dell'art. 650 cod. pen.) (1). (1) La decisione applicazione del principio, pacifico in giurisprudenza, che l'art. 630 c.p. . norma surrogatoria di carattere generale, applicabile in talune ipotesi di intervento autoritativo e in particolare in materia di igiene, ogni volta che l'inosservanza di un ordine legalmente dato dalla pubblica autorit non risulta gi sanzionata da una specifica disposizione penale. V. in questo senso Cass. 9 dicembre 1970, in Cass. pen. mass. annotato, 1972, p. 858, m. 1143; 26 novembre 1971 ivi p. 1622, m. 2318. PARTE SECONDA LEGISLAZIONE QUESTIONI DI LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE I -NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI Codice di procedura civile, art. 650, primo comma, nella parte in cui non consente l'opposizione tardiva lell'intimato che, pur avendo avuto conoscenza del decreto ingiuntivo, non abbia potuto, per caso fortuito o forza maggiore, fare opposizione entro il termine fissato nel decreto. Sentenza 20 maggio 1976, n. 130, G. V. 26 maggio 1976, n. 139. codice penale, art. 164, ultimo comma. Sentenza 28 aprile 1976, n. 97, G. V. 5 maggio 1976, n. 118. d.l.C.p.S. 4 aprile 1947, n. 207, art. 9, primo e secondo comma, nella parte in cui dispone che l'indennit dovuta in caso di cessazione del rapporto commisurata alla sola retribuzione e nella parte in cui prevede la correspon sione dell'indennit di preavviso per il solo caso di licenziamento per motivi non disciplinari e non anche per quello di decesso del dipendente. Sentenza 20 maggio 1976, n. 116, G. V. 26 maggio 1976, n. 139. d.P.R. 22 settembre '1950, n. 768, limitatamente alla parte in cui dispone il trasferimento dei terreni di cui alle particelle 34, 35 del foglio di mappa 25 ed il fabbricato ivi esistente, in quanto risultino rispettivamente la destinazione industriale e il carattere urbano .dei detti beni. Sentenza 26 maggio 1976, n. 136, G. V. 3 giugno 1976, n. 145. legge 21 marzo 11953, n. 161, art. 5, nella parte in cui non esteride ai giudizi in mteria di pensioni privilegiate militari l'esenzione del pagamento della tassa fissa, istituita con il primo comma dello stesso art. 5, della legge n. 161. Sentenza 6 maggio 1976, n. 103, G. V. 12 maggio 1976, n. 125. legge 21 marzo 1953, n. 161, art. 5, terzo comma, nella parte in cui non estende l'esenzione dal pagamento della tassa fissa a tutti i giudizi in genere in materia di pensioni civili e militari. Sentenza 6 maggio 1976, n. 103, G. V. 12 maggio 1976, n. 125. d.P.R. 27 aprile 1968, n. 488, art. 20, primo comma lettera cJ. Sentenza 28 aprile 1976, n. 97, G. V. 5 maggio 1976, n. 118. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO legge reg. Campania 6 marzo 1974. Sentenza 22 giugno 1976, n. 140, G. U. 30 giugno 1976, n. 170. legge reg. Abruzzo, riappr. 25 luglio 1974. Sentenza 28 aprile 1976, n. 92, G. U. 5 maggio 1976, n. 118. legge reg. Piemonte appr. 5 febbraio 1975 e riap.pr. 27 marzo 1975. Sentenza 20 maggio 1976, n. 126, G. U. 26 maggio 1976, n. 139. legge reg. Molise appr. 5 marzo 1975 e riappr. 23 aprile 1975. Sentenza 20 maggio 1976, n. 127, G. U. 26 maggio 1976, n. 139. legge reg. Sicilia appr. z,1 maggio 11975. Sentenza 6 maggio 1976, n. 107, G. U. 12 maggio 1976, n. 125. II QUE;STIONI DICHIARATE NON FONDATE Codice civile, art. 1886 (artt. 3 e 38, secondo comma, della Costituzione). Sentenza 28 aprile 1976, n. 91, G. U. 5 maggio 1976, n. 118. codice civile, art. 2054, primo e secondo comma (art. 3 della Costituzione). Sentenza 28 aprile 1976, n. 93, G. U. 5 maggio 1976, n. 118. codice di procedura civile, art. 647 (art. 24, secondo comma, della Co stituzione). Sentenza 22 giugno 1976, n. 141, G. U. 30 giugno 1976, n. 170. codice di procedura civile, art. 651 (artt. 24, primo comma, e 3, primo comma, della Costituzione). Sentenza 22 giugno 1976, n. 142, G. U. 30 giugno 1976, n. 170. codice penale, artt. 102 e 109, secondo comma (art. 111, primo comma, della Costituzione). Sentenza 22 giugno 1976, n. 143, G. U. 30 ~ugno 1976, n. 170. codice penale, art. 162 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Sentenza 26 maggio 1976, n. 135, G. U. 3 giugno 1976, n. 145. codice penale, art. 224, terzo comma (art. 3 della Costituzione). Sentenza 20 maggio 1976, n. 119, G. U. 26 maggio 1976, n. 139. PARTE II, LEGISLAZIONE JJ codice penale, art. 495, terzo comma, n. 2 (art. 24, secondo comma, della Costituzione). Sentenza 6 maggio 1976, n. 108, G. U. 12 maggio 1976, n. 125. codice penale, art. 501 (art. 21 della Costituzione). Sentenza 20 maggio 1976, n. 123, G. U. 26 maggio 1976, n. 139. codice di .procedura penale, arff. 226 bis, 226 ter e 226 quater e 339 (artt. 3, primo comma, 101, 102, 107, terzo e quarto comma, 108, secondo comma 109 e 112 della Costituzione). Sentenza 28 apriile 1976, n. 98, G. U. 5 maggio 1976, n. 118. codice di procedura penale, art. 372 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Sentenza 6 maggio 1976, n. 112, G. U. 12 maggio 1976, n. 125. codice di procedura penale, art. 596, terzo cpv. (artt. 3 e 87, penultimo comma, della Costituzione). Sentenza 26 maggio 1976, n. 134, G. U. 3 giugno 1976, n. 145. codice della navigazione, art. 345 (artt. 3, 4, 18, 35, 39 e 76 della Costituzione). Sentenza 26 maggio 1976, n. 129, G. U. 3 giugno 1976, n. 145. r.d. 28 maggio 193;1, n. 602, art. 25 (art. 24, secondo comma, della Costituzione). Sentenza 6 maggio 1976, n. 108, G. U. 12 maggio 1976, n. 125. r.d. 18 giugno 1931, n. 773, art. 41 (artt. 14 e 24 della Costituzione). Sentenza 6 maggio 1976, n. 110, G. U. 12 maggio 1976, n. 125. legge 22 febbraio 1934, n. 370, art. 3, terzo comma (art. 36, terzo comma, della Costituzione). Sentenza 28 aprile 1976, n. 102, G. U. 5 maggio 1976, n. 118. r.d. 16 maggio 1942, n. 267, artt. 42 e 44 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Sentenza 26 maggio 1976, n. 135, G. U. 3 giugno 1976, n. 145. r.d.I. 31 maggio 1'946, n. 511 (artt. 101, secondo comma, 104, primo comma, e 107, primo e secondo comma, della Costituzione). Sentenza 22 giugno 1976, n. 145, G. U. 30 giugno 1976, n. 170. 56 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO d.I. C.p.S. 16 dicembre 1947, n. 1434, artt. 627 (artt. 21, 23, 41 e 42 della Costituzione). Sentenza 28 aprile 1976, n. 96, G. U. 5 maggio 1976, n. 118. d.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1068, art. 47 (artt. 76 e 77 della Costituzione). Sentenza 22 giugno 1976, n. 139, G. U. 30 giugno 1976, n. 170. d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 205 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 28 aprile 1976, n. 100, G. U. 5 maggio 1976, n. 118. legge 24 marzo 1958, n. 195 (artt. 101, secondo comma, 104, primo comma, e 107, primo e secondo comma, della Costituzione). Sentenza 22 giugno 1976, n. 145, G. U. 30 giugno 1976, n. 170. legge 2 aprile 1958, n. 339, artt. 1O, secondo comma, lettere aJ e bJ; 16, primo comma, lettere aJ e bJ; 17, lettere aJ e bJ (artt. 3 della Costituzione). Sentenza 20 maggio 1976, n. 117, G. U. 26 maggio 1976, n. 139. d.P.~. 16 settembre 1958, n. 916 (artt. 101, secondo comma, 104, primo comma, e 107, primo e secondo comma, della Costituzione). Sentenza 22 gfogno 1976, n. 145, G. U. 30 giugno 1976, n. 170. d.P.R. 15 dicembre 1959, 11, 1229, artt. 140, 142, secondo comma, e 143, primo e secondo comma {art. 36, primo comma, della Costituzione). Sentenza 26 maggio 1976, n. 131, G. U. 3 giugno 1976, n. 145. legge prov. Bolzano 1 O luglio 1960, n. 8, art. 32 (artt. 42, terzo comma, della Costituzione). Sentenza 6 maggio 1976, n. 106, G. U. 12 maggio 1976, n. 125. legge prov. Bolze1no 3 gennaio 1964, n. 1, art. 2:1 (art. 42, terzo comma, della Costituzione). Sentenza 6 maggio 1976, n. 106, G. U. 12 maggio 1976, n. 125. legge 15 luglio 1966, n. 604, artt. 1. e 1 O (artt. 3, 4, 18, 35, 39 e 76 della Costituzione). Sentenza 26 maggio 1976, n. 129, G. U. 3 giugno 1976, n. 145. legge 20 marzo 1968, n. 304 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 6 maggio 1976, n. 104, G. U. 12 maggio 1976, n. 125. PARTE II, LEGISLAZIONE legge 2 aprile 1968, n. 482, art. 10, terzo comma (art. 24, primo e secondo comma, della Costituzione). Sentenza 20 maggio 1976, n. 124, G. U. 26 maggio 1976, n. 139. legge 20 maggio 1970, n. 300, artt. 18 e 35 (artt. 3, 4, 18, 35, 39 e 76 della Costittizione). Sentenza 26 maggio 1976, n. 129, G. U. 3 giugno 1976, n. 145. legge 20 maggio 1970, n. 300, art. 37 (!lrtt. 3 e 24 della Costituzione). Sentenza 20 maggio 1976, n. 118, G. U. 26 maggio 1976, n. 139. legge 1 dicembre 11970, n. 898, art. 3, primo comma, ultima parte (art. 42 della Costituzione). Sentenza 28 aprile 1976, n. 99, G. U. 5 maggio 1976, n. 118. legge 11 febbraio '1971, n. 1'1, art. 17 (artt. 41, 42 e 44 della Costituzione). Sentenza 20 maggio 1976, n. 121, G. U. 26 maggio 1976, n. 139. legge 28 luglio 1971, n. 558, artt. 1 e 9 (artt. 4 e 41 della Costituzione). Sentenza 28 aprile 1976, n. 94, G. U. 5 maggio 1976, n. 118. d.P.R. 20 gennaio 1973, n. H 6, art. 7 (artt. 2, 4, 9 e 98 della statp.to spe ciale della regione Trentino Alto Adige). Sentenza 28 aprile 1976, n. 101, G. U. 5 maggio 1976, n. 118. legge 4 agosto 1n3, n. 495, art. 1 (artt. 41 e 42 della Costituzione). Sentenza 6 maggio 1976, n. 109, G. U. 12 maggio 1976, n. 125. legge 22 dicembre 1973, n. 841, art. (art. 41 e 42 della Costituzione). Sentenza 6 maggio 1976, n. 109, G. U. 12. maggio 1976, n. 125. d.P.R. 29 dicembre 11973, n. 1082, art. 129, secondo e terzo comma (art. 3 della Costituzione). Sentenza 22 giugno 1976, n. 144, G. U. 30 giugno 1976, n. 170. legge 8 aprile 1974, n. 98, art. 5 (artt. 3, primo comma, 101, 102, 107, terzo e quarto comma, 108, secondo comma, 109 e 112 della Costituzione). Sentenza 28 aprile 1976, n. 98, G. U. 5 maggio 1976, n. 118. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO III QUESTIONI PROPOSTE Codice civile, art. ~096, terzo comma (artt. 3, 4, 35 e 41, secondo comma, della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 12 febbraio 1976, G. U. 30 giugno 1976, n. 170. codice civile, (art. 2948, n. 4 (art. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 12 gennaio 1976, G. U. 9 giugno 1976, n. 151. codice di procedura civile, art. 292, primo comma (art. 24, secondo comma, della Costituzione). Pretore di Salerno, ordinanza 2 marzo 1976, G. U. 23 giugno 1976, n. 164. codice di procedura civile, art. 395 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Salerno, ordinanza 15 marzo 1976, G. U. 23 giugno 1976, n. 164. codice di .procedura civile, art. 665 (artt. 2, 3, primo comma, e 24 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 13 febbraio 1976, G. U. 16 giugno 1976, n. 158. codice penale, art. 124 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Chiavenna, ordinanza 3 febbraio 1976, G. U. 3 giugno 1976, n. 145. codice penale, art. 176 (art. 27, secondo comma, della Costituzione). Giudice di sorveglianza del Tribunale di Firenze, ordinanza 14 marzo 1976, G. U. 9 giugno 1976, n. 151. codice penale, art. 290 (artt. 3 e 21 della Costituzione). Giudice istruttore del Tribunale di Torino, ordinanza 18 marzo 1976, G. U. 23 giugno 1976, n. 164. codice penale, art. 598, primo comma Cartt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 9 dicembre 1975, G. U. 16 giugno 1976, n. 158. codice penale, art. 707 (art. 3, primo comma, 24, secondo comma, e 27, secondo comma, della Costituzione). Tribunale di Milano, ordinanza 3 ottobre 1975, G. U. 16 giugno 1976, n. 158. PARTE II, LEGISLAZIONE codice della navigazione, artt. da 591 a 598 e 603 (art. 3, primo comma, della Costituzione). Pretore di Capri 26 gennaio 1976, G. U. 5 maggio 1976, n. 118. codice penale militare di pace, art. 264 (artt. 3, 25, primo comma, e 103, ultimo comma, della Costituzione). Tribunale militare di Padova, ordinanza 26 febbraio 1976, G. U. 16 giugno 1976, n. 158. t.u. 21 febbraio 1895, n. 70, art. 184, secondo e terzo comma (artt. 3 e 36 della Costituzione). Corte dei conti, terza sezione giurisdizionale, ordinanza 29 novembre 1973, G. U. 26 maggio 1976, n. 139. r.d. 16 marzo 1912, n. 267, art. 209, ultimo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). Tribunale di Milano, ordinanza 23 ottobre 1975, G. U. 23 giugno 1976, n. 164. r.d.I. 9 maggio 1920, n. 749, artt. 1 e 2 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Arezzo, ordinanza 21 gennaio 1976, G. U. 5 maggio 1976, n. 118. r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 93, n. 1 (art. 53, primo comma, della Costituzione). Tribunale di Cagliari, ordinanza 7 febbraio 1975, G. U. 19 maggio 1976, n. 132. legge 7 gennaio 1929, n. 4, art. 20 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Como, ordinanze (sessanta) 1 ottobre 1975, n. 132; 9 giugno 1976, n. 151; 23 giugno 1976, n. 164. legge 27 maggio 1929, n. 847, art. 17 (artt. 2, 3, 7, 24, 25, 29, 101 e 102 della Costituzione). Corte d'appello di Roma, ordinanze 12 e 13 febbraio 1976, G. U. 30 giugno 1976, n. 170, e 23 giugno 1976, n. 164. r.d. 12 ottobre 1933, n. 1364, art. 29 (artt. 3, 24, 101, secondo comma, 107, terzo comma, e 108, secondo comma, della Costituzione). Corte dei conti, sezioni riunite, ordinanza 10 dicembre 1975, G. U. 12 maggio 1976, n. 125. t.u. 3 marzo 1934, n. 383, art. 252 (artt. 3, 24 e 97 della Costituzione). Corte dei conti, seconda sezione giurisdizionale, ordinanza 18 ottobre 1975, G. U. 3 giugno 1976, n. 145. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 7 marzo 1938, n. 141, art. 78, secondo e ultimo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione) .. Tribunale di Milano, ordinanza 23 ottobre 1975, G. U. 23 giugno 1976, n. 164, e 13 novembre 1975 (due), G. U. 23 giugno 1976, n. 164. r.d.I. 14 aprile 1939, n. 636, art. 13 (art. 3, primo comma, della Costituzione). Pretore di Trento, ordinanza 26 febbraio 1976, G. U. 26 maggio 1976, n. 139. r.d.I. 14 aprile 1939, n. 636, art. 13 (artt. 3 e 29, secondo comma, 31, primo comma, 37, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione). Tribunale di Ravenna, ordinanza 18 marzo 1976, G. U. 16 giugno 1976, n. 158. legge 6 luglio 1939, n. 1035, art. 26, lettera dJ (art. 3 della Costituzione). Corte dei conti, terza sezione giurisdizionale, ordinanza, 16 gennaio 1974, G. U. 9 giugno 1976, n. 151. legge 19 gennaio 1942, n. 22, art. 5 (artt. 3 e 32 della Costituzione). Pretore di Rovigo, ordinanza 24 febbraio 1976, G. U. 26 maggio 1976, n. 139. r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 209 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Milano, ordinanza 13 novembre 1976, G. U. 23 giugno 1976, n. 164. legge 17 luglio 1942, n. 907 (art. 43 della Costituzione). Corte d'appello di Venezia, ordinanza 29 settembre 1975, G. U. 9 giugno 1976, n. 151. legge 17 luglio '1942, -n. 907, artt. 45 e seguenti (artt. 32, 41 e 43 della Costituzione). Corte d'appello di Bologna, ordinanza 17 gennaio 1976, G. U. 9 giugno 1976, n. 151. legge 17 luglio 1942, :n. 907, artt. 45 e seguenti (artt. 41 e 43 della Costituzione). Corte di Cassazione, ordinanze 28 febbraio e 16 maggio 1975, G. U. 3 giugno 1976, n. 145, e 9 giugno 1976, n. 151. Corte d'Appello di Bari, ordinanze (sette) 19 maggio, 19 settembre, 12, 21 e 26 novembre 1975, G. U. 30 giugno 1976, n. 170. Corte d'Appello di Milano, ordinanza 27 ottobre 1975, G. U. 19 maggio 1976, n. 132. PARTE II, LEGISLAZIONE Corte d'Appello di Campobasso, ordinanza 4 dicembre 1975, G. U. 23 giugno 1976, n. 164. Corte d'appello di Trento, ordinanza 31 marzo 1976, G. U. 23 giugno 1976, n. 164. Tribunale di Roma, ordinanza 5 dicembre 1974, G. U. 16 giugno 1976, n. 158. Tribunale di Trani, ordinanze (nove) 30 settembre, 3, 6, 10 e 17 ottobre, 7 novembre 1975, G. U. 3 giugno 1976, n. 145 e 9 giugno 1976 n. 151. Tribunale di Como, ordinanze (sessanta) 1 ottobre 1975, G. U. 5 maggio 1976, n. 118; 19 maggio 1976, n. 132; 9 giugno 1976, n. 151, e 23 giugno 1976, n. 164. d.I. C,p.S. 1 aprile 1947, n. 273, art. 1, lettera a) (artt. 43 e 44 della Costituzione). Tribunale di Brescia, ordinanza 23 gennaio 1976, G. U. 3 giugno 1976, n. 145. d.I. C.p.S. 4 aprile 1947, n. ,207, art. '18, prima parte (artt. 3 e 36 della Costituzione). Consiglio di Stato, sesta sezione giurisdizionale, ordinanza 15 ottobre 1975, G. U. 23 giugno 1976, n. 164. d'.I. 12 febbraio 1948, n. 147, art. 11, terzo comma, ultima parte (artt. 3, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione). Tribunale di Rovigo, ordinanza 13 febbraio 1976, d: U. 12 maggio 1976, n. 125. legge 23 maggio 1950, n. 253, art. 8, secondo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Rovereto, ordinanza 10 marzo 1976, G. U. 9 giugno 1976, n. 151. legge 10 agosto 1950, n. 648, art. 61, primo comma, (art. 3 della Costituzione). Corte dei conti, seconda sezione giurisdizionale, ordinanza 5 marzo 1976, G. U. 3 giugno 1976, n. 145. legge 8 marzo '1951, n. 122 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Bassano del Grappa, ordinanza 27 settembre 1975, G. U. 5 maggio 1976, n. 118. Pretore di Viareggio, ordinanza 25 marzo 1976, G. U. 23 giugno 1976, n. 164. legge 30 ottobre '1953, n. 841, art. 7 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Rovigo, ordinanza 24 febbraio 1976, G. U. 26 maggio 1976, n. 139. d.P.R. 30 maggio 1955, n. 797, art. 73 (artt. 3, 38 e 53 della Costituzione). Pretore di Bergamo, ordinanza 2 febbraio 1976, G. U. 5 maggio 1976, n. 118. 62 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO d.P.R. 11 gennaio 1956, n. 20, artt. 2, primo . secondo e terzo comma, 5 e 6, primo comma (artt. 3, 36, primo comma, e 38, primo e secondo comma, della Costituzione). Corte dei conti, terza sezione pensioni civili, ordinanza 18 aprile 1973, G. U. 19 maggio 1976, n. 132. d:P.R. 30 marzo 1957, n. 361 (art. 3 della Costituzione). Pretore di San Miniato, ordinanza 21 gennaio 1976, G. U. 19 maggio 1976, n. 132. d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361, art. 119 (artt. 3, 51 e 53 della Costituzione). Pretore di Bassano del Grappa, ordinanza 27 settembre 1975, G. U. 5 maggio 1976, n. 118. d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361, art. H9 (artt. 3, primo comma, e 53, primo comma, della Costituzione). Pretore di Viareggio, ordinanza 25 marzo 1976, G. U. 23 giugno 1976, n. 164. legge 15 febbraio 1958, n. 46, artt. 11, secondo comma, e 19 (artt. 3, 29, primo comma, 31, primo comma, 36, primo comma, e 38 della Costituzione). Corte dei conti, sezione terza giurisdizionale, ordinanza 10 aprile 1974, G. U. 9 giugno 1976, n. 151. d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 87, settimo comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Grosseto, ordinanza 10 marzo 1976, G. U. 9 giugno 1976, n. 151. d.P.R. 15 giugno 1959, n. 343, art. 91. (art. 35 della Costituzione). Pretore di Misilmeri, ordinanza 3 dicembre 1975, G. U. 16 giugno 1976, n. 158. d.P.R. 15 giugno 1959, n. 343, art. 91, secondo comma (artt. 3 e 4 della Costituzione). Pretore di Prato, ordinanza 26 febbraio 1976, G. U. 26 maggio 1976, n. 139. d.P.R. 15 giu~no 1959, n. 393, art. 83, quinto comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Bassano del Grappa, ordinanza 6 febbraio 1976, G. U. 3 giugno 1976, n. 145. d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Viareggio, ordinanza 25 marzo 1976, G. U. 23 giugno 1976, n. 164 Pretore di Bassano del Grappa, ordinanza 27 settembre 1975, G. U. S maggio 1976, n. 118. PARTE II, LEGISLAZIONE legge 14 marzo 1961, n. 132, art. 1 (art. 3 della Costituzione). Corte dei conti, terza sezione pensioni civili, ordinanza 18 dicembre 1974, G. U. 19 maggio 1976, n. 132. legge reg. Sardegna 23 marzo 1961, n. 4, art. 79 (artt. 3, 51 e 53 della Co stituzione). Pretore di Bassano del Grappa, ordinanza 27 settembre 1975, G. U. 5 mag gio 1976, n. 118. legge reg. Valle d'Aosta 5 agosto 1962, n. 1257, art. 2 (artt. 3, 51 e 53 della Costituzione). Pretore di Bassano del Grappa, ordinanza 27 settembre 1975, G. U. 5 mag gio 1976, n. 118. legge reg. Sicilia 5 marzo 1963, n. 16 (artt. 103, secondo comma, 97, primo comma, e 3 della Costituzione). Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la regione siciliana, ordinanza 17 gennaio 1976, G. U. 3 giugno 1976, n. 145. legge 3 febbraio 1964, n. 3, art. 3 (artt. 3, 51 e 53 della Costituzione). Pretore di Bassano del Grappa, ordinanza 27 settembre 1975, G. U. 5 mag gio 1976, n. 118. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 3 (artt. 3 e 38 della Costituzione). Pretore di La Spezia, ordinanza 13 ottobre 1975, G. U. 30 giugno 1976, n. 17Q. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 28 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Bergamo, ordinanza 31 marzo 1976, G. U. 30 giugno 1976, n. 170. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 89, secondo comma (art. 3 della Costi tuzione). Tribunale di Cagliari, ordinanza 13 febbraio 1976, G. U. 9 giugno 1976, n. 151. legge 21 luglio 1965, n. 903, art. 22 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Trieste, ordinanze (due) 14 febbraio e 5 marzo 1976, G. U. 3 giugno 1976, n. 145, e 16 giugno 1976, n. 158. legge 15 luglio 1966, n. 604,. art. 1 O (artt. 3, 4, 35 e 41, secondo comma, della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 12 febbraio 1976, G. U. 30 giugno 1976, n. 170. 64 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 13 luglio 1967, n. 583, art. 22 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 30 marzo 1976, G. U. 23 giugno 1976, n. 164. legge 12 febbraio 1968, n. 132, art. 43 (art. 3 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, ordinanze (due) 26 novembre e 11 dicembre 1975, G. U. 16 giugno 1976, n. 158, e 30 giugno 1976, n. 170. legge 17 febbraio 1968, n. '108 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Bassano del Grappa, ordinanza 27 settembre 1975, G. U. 5 maggio 1976, n. 118. Pretore di Vjareggio, ordinanza 25 marzo 1976, G. U. 23 giugno 1976, n. 164. legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 17 (art. 3 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale dell'Umbria, ordinanza 23 gennaio 1976, G. U. 9 giugno 1976, n. 151. legge 18 marzo 1968, n. 3'13, art. 49, primo comma (art. 3 della Costituzione). Corte dei conti, seconda sezione giurisdizionale, ordinanza 5 marzo 1976, G. U. 3 giugno 1976, n. 145. legge 20 marzo 1968, n. 369, art. unico (artt. 3 e 53 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 30 marzo 1976, G. U. 23 giugno 1976, n. 164. legge reg. FrlullYenezla Giulia 27 marzo 1968, n. 20, art. 49 (artt. 3, 51 e 53 della Costituzione). Pretore di Bassano del Grappa, ordinanza 27 settembre 1975, G. U. 5 maggio 1976, n. 118. d.P.R. 27 marzo 1969, n. 129, art. 3 (art. 3 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, ordinanza 11 dicembre 1975, G. U. 16 giugno 1976, n. 158. d.P.R. 27 marzo 1969, n. 130, artt. 24 e 133 (art. 3 della.Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, ordinanza 11 dicembre 1975, G. U. 16 giugno 1976, n. 158. legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 24 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Trieste, ordinanze (due) 14 febbraio e 5 marzo 1976, G. U. 3 giugno 1976, n. 145, e 16 giugno 1976, n. 158. PARTE II, LEGISLAZIONE legge 1 O ottobre 1969, n. 69,1, art. 4 (artt. 3, 24, 101, secondo comma, 107, terzo comma, e 108, secondo comma, della Costituzione). Corte dei conti, sezioni riunite, ordinanza 10 dicembre 1975, G. U. 12 maggio 1976, n. 125. legge 15 ottobre 1969, n. 746, art. unico (art. 3 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale dell'Umbria, ordinanza 23 gennaio 1976, G. U. 9 giugno 1976, n. 151. legge 24 dicembre 1969, n. 990, art. 21, primo, secondo e terzo comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Pinerolo, ordinanza 5 marzo 1976, G. U. 23 giugno 1976, n. 164. legge 20 maggio 1970, n. 300, art. 32, secondo comma (artt. 51, primo e terzo comma, 3, primo e secondo comma, e 36, primo comma, della Costituzione). Pretore di Firenze, ordinanza 28 gennaio 1976, G. U. 12 maggio 1976, n. 125. legge 24 maggio 1970, n. 336, artt. 1 e 4 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Sampierdarena, ordinanza 4 marzo 1976, G. U. 23 giugno 1976, n. 164. legge 25 maggio 1970, n. 352, art. 50 (artt. 3, 51 e 53 della Costituzione). Pretore di Bassano del Grappa, ordinanza 27 settembre 1975, G. U. 5 maggio 1976, n. 118. legge 10 novembre 1970, n. 869, art. 1 (artt. 3 e 36 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 10 novembre 1975, G. U. 23 giugno 1976, n. 164. d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1077, artt. 115, tabella XV e nota (a), e 118, tabella XVI (artt. 76 e 77 della Costituzione). Consiglio di Stato, sesta sezione giurisdizionale, ordinanza 9 dicembre 1975, G. U. 23 giugno 1976, n. 164. legge 14 agosto 1971, n. 817, art. 3, secondo comma, n. 2 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Pinerolo, ordinanza 5 marzo 1976, G. U. 23 giugno 1976, n. 164. legge 22 ottobre 1971, n. 865, art. 16 (artt. 3 e 42, terzo comma, della Costituzione). Corte d'appello di Bologna, ordinanza 23 gennaio 1976, G. U. 3 giugno 1976, n. 145. Corte d'appello degli Abruzzi, ordinanza 11 febbraio 1976, G. U. 9 giugno 1976, n. 15L RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge ,22 ottobre 1971, n. 865, artt. 16 e 17 (artt. 3 e 42, terzo comma, della Costituzione). Corte d'appello di Torino, ordinanza 16 gennaio 1976, G. U. 19 maggio 1976, n. 132. legge 6 dicembre 1971, n. 1044, art. 6 (a~tt. 97, 117 e 128 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 5 novembre 1975, G. U. 3 giugno 1976, n. 145. legge 6 dice~bre 1971, n. 1053 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Rovigo, ordinanza 24 febbraio 1976, G. U. 26 maggio 1976, n. 139. d.P.R. 31 dicembre 1971, n. 1432, art. 5 (artt. 76 e 77 della Costituzione). Pretore di Milano, ordinanza 26 gennaio 1976, G. U. 3 giugno 1976, n. 145. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, artt. 2, 3, 9 e 35 (artt. 3, 24 e 108, secondo comma, della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Ravenna, ordinanze (quattro) 3 dicembre 1975, G. U. 16 giugno 1976, n. 158. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, artt. 25, 26 e 40 (artt. 3, 24, 76, 102, secondo comma, 111, secondo comma, e VI disp. trans. della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Ravenna, ordinanze (quattro) 3 dicembre 1975, G. U. 16 giugno 1976, n. 158. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, artt. 35 e 39 (artt. 3, 24 e 113 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Avezzano, ordinanza 12 febbraio 1976, G. U. 16 giugno 1976, n. 158. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 44, primo, secondo, terzo e quarto comma (artt. 3, 24 e 76 della Costituzione). Commissione tributaria di 1 grado di Trani, ordinanza 29 novembre 1975, G. U. 9 giugno 1976, n. 151. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 6 (art. 53, primo comma, della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Ancona, ordinanza 22 gennaio 1976, G. U. 19 maggio 1976, n. 132. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, artt. 14 e 15 (artt. 3, 53 e 42 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Trento, ordinanza 22 gennaio 1976, G. U. 26 maggio 1976, n. 139. PARTE II, LEGISLAZIONE d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 296 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Como, ordinanza 1 ottobre 1975, G. U. 12 maggio 1976, n. 125. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 1, 183 e 195 (artt. 3, 21, 41 e 43 della Costituzione). Pretore di Udine, ordinanza 19 gennaio 1976, G. U. 26 maggio 1976, n. 139. Pretore di Ravenna, ordinanza 11 febbraio 1976, G. U. 30 giugno 1976, n. 170. d.P.R. 29 marzo 1973, n. ,156, artt. 1, 183, primo comma, e 195, primo comma (artt. 3, 21, primo comma, 41, primo comma e 43 della Costituzione). Pretore di Bari, ordinanza 13 gennaio 1976, G. U. 12 maggio 1976, n. 125. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 304 (artt. 3, 23, 41, secondo e terzo comma, e 53, primo comma, della Costituzione). Pretore di Sampierdarena, ordinanza 4 marzo 1976, G. U. 9 giugno 1976, n. 151. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 304 (art. 23 della Costituzione). Pretore di Gallarate, ordinanza 23 febbraio 1976, G. U. 9 giugno 1976, n. 151. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 304 (artt. 23 e 53, primo comma, della Costituzione). Pretore di Lodi, ordinanza 2 marzo 1976, G. U. 9 giugno 1976, n. 151. legge reg. Trentino-Alto Adige 23 luglio 1973, n. 9 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Bassano del Grappa, ordinanza 27 settembre 1975, G. U. 5 maggio 1976, n. 118. d.P.R. 23 settembre 1973, n. 602, art. 23 (art. 24 della Costituzione). Pretore di Abbiategrasso, ordinanza 14 gennaio 1976, G. U. 26 maggio 1976, n. 139. d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 69, primo comma (artt. 3 e 38 della Costituzione). Corte dei conti, terza sezione giurisdizionale, ordinanza 2 ottobre 1974, G. U. 9 giugno 1976, n. 151. d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, artt. 112 e 118, secondo comma (artt. 3 e 36 della Costituzione). Corte dei conti, terza sezione giurisdizionale, ordinanza 11 dicembre 1974, G. U. 19 maggio 1976, n. 132. d.I. 19 gi!19nc 1974, n. 236, art. 1-bis, primo c,omma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Chiavenna, ordinanza 3 gennaio 1976, G. U. 3 giugno 1976, n. 145. 68 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge reg. Toscana 4 luglio 1974, n. 35, art. 55, primo comma (artt. 3, 5, .., 68 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge reg. Toscana 4 luglio 1974, n. 35, art. 55, primo comma (artt. 3, 5, .., f. .. C: 25, secondo comma, 117 e 118 della Costituzione). t ~== Pretore di Orbetello, ordinanza 14 novembre 1975, G. U. 12 maggio 1976, j n. 125. i: I ~ . ? d.I. 8 luglio 1974, n. 261, art. 6, secondo e terzo comma (artt. 4, 13 e 35 della Costituzione). Pretore di Agrigento, ordinanza 15 gennaio 1976, G. U. 9 giugno 1976, n. 151. I m I i; legge reg. Lazio 17 agosto 1974, n. 41, -art+. 3, 4, 8, 13 e 14 (artt. 97, 117 e 128 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 5 novembre 1975, G. U. 3 giugno 1976; n. 145. legge reg. Lazio 17 agosto 1974, n. 41, artt. 4, 8 e 13 (artt. 97, 117 e 12~ I della Costituzione). (-: Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 16 novembre 1975, ~ ~~ G. U. 3 giugno 1976, n. 145. i: ~= m legge 14 ottobre 1974, n. 497, artt. 14, 10 e 12 (art. 3 della Costituzione). f:j i=: Tribunale di Varese, ordinanza 24 novembre 1975, G. U. 3 giugno 1976, n. 145. i:: r.:: ~ i i:, legge 14 aprile 1975, n. 103 (artt. 3, secondo comma, 10 e 21 della Costitu zione). >" r== Pretore di Cuneo, ordinanza 26 gennaio 1976, G. U. 26 maggio 1976, n. 139. ~ m r:l ,. ~~ )-'. legge 14 aprile 1975, n. 103, art. 1 (artt. 21, 41 e 43 della Costituzione). ~i Pretore di Ravenna, ordinanza 11 febbraio 1976, G. U. 30 giugno 1976, n. 170. ! ~: legge 14 aprile 1975, n. 103, artt. 1 e 2 (artt. 2, 3, 10, 21, 41, 43 della Costir: i= tuzione). I 1: Tribunale di Firenze, ordinanza 20 ottobre 1975, G. U. 16 giugno 1976, n. 158. legge 14 aprile 1975, n. 103, art+. 1, 2 e seguenti (artt. 2, 21, 41 e 43 della ,f:,. Costituzione). 1= ~ Pretore di Bra, ordinanza 19 novembre 1975, G. U. 12 maggio 1976, n. 125. (: {:' legge 14 aprile 1975, n. 103, art+. 1, .2, 3, 4, 45, 46, 47, 48 e collegati (artt. 1, 2, 3 cpv., 9, 11, 16, 21, 33, 49, 138 della. Costituzione). Pretore di Ancona, ordinanza 23 dicembre 1975, G. U. 5 maggio 1976, n. 118: PARTE II, LEGISLAZIONE legge 14 a.prile 1975, n. 103, artt. 1, 2 e 45 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Napoli, ordinanza 27 novembre 1975, G. U. 3 giugno 1976, n. 145. legge 14 aprile 1975, n. 103, artt. 1, 2 e 45 (artt. 21, 41 e 43 della Costituzione). Pretore di Pontedera, ordinanza 19 novembre 1975, G. U. 26 maggio 1976, n. 139. Pretore di Enna, ordinanza 26 marzo 1976, G. U. 23 giugno 1976, n. 164. legge 14 aprile 1915, n. 103, art. 45 (artt. 3, 21, primo comma, 41, primo comma e 43 della Costituzione). Pretore di Bari, ordinanza 13 gennaio 1976, G. U. 12 maggio 1976, n. 125. legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 36 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 13 febbraio 1976, G. U. 19 maggio 1976, n. 132. legge 22 maggio 1975, n. 152, art. 1 (art. 3 della Costituzione). Tribunale per i minorenni di Torino, ordinanza 9 dicembre 1975, G. U. 3 giugno 1976, n. 145. legge 22 maggio 1975, n. 152, art. 1, teno comma (artt. 13, secondo comma, e 27, secondo comma, della Costituzione). Tribunale di Torino, ordinanza 23 gennaio 1976, G. U. 23 giugno 1976, n. 164. legge 3 giugno 19751 n. 160, art. 24 (art. 38, secondo comma, della Costituzione). Pretore di Pistoia, ordinanza 20 dicembre 1975, G. U. 5 maggio 1976, n. 118. legge 17 luglio 1975, n. 355, art. unico (artt. 3, 21, ultimo comma, e 31 della Costituzione). Pretore di Palermo, ordinanza 6 marzo 1976, G. U. 16 giugno 1976, n. 158. legge 22 luglio 1975, n. 319, art. 9 e tabella. F (artt. 3, 4 e 38 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 3 febbraio 1976, G. U. 3 giugno 1976, n. 145. legge 31 luglio 1975, n. 363, art. 1 (art. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Firenze, ordinanza 13 dicembre 1975, G. U. 26 maggio 1976, n. 139. legge 22 dicembre 1975, n. 685, art. 98 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Venezia, ordinanza 12 febbraio 1976, G. U. 16 giugno 1976, n. 158. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 24 dicembre 1975, n. 706, art. 16 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Bologna, ordinanza 1 marzo 1976, G. U. 16 giugno 1976, n. 158. legge 12 febbraio 1976, n. 2, art. 1 (art. 24 della Costituzione). Giudice di sorveglianza del Tribunale di Firenze, ordinanza 14 marzo 1976, G. U. 9 giugno 1976, n. 151. legge 16 aprile 1976, n. 1~6 (artt. 3, lettera i, 4, lettera i, e 6 dello statuto regionale). Presidente della giunta regionale della Sardegna, ricorso depositato il 31 maggio 1976, n. 19, G. U. 23 giugno 1976, n. 164. legge prov. Bolzano 21 aprile 1976. Presidente del Consiglio dei Ministri, ricorso ciepositato il 17 maggio 1976, n. 18, G. U. 26 maggio 1976, n. 139. legge reg. Sicilia appr. 28 aprile 1976. Commissario dello Stato per la regione siciliana, ricorso depositato il 15 maggio 1976, n. 16, G. U. 26 maggio 1976, n. 139. legge reg. sic. 29 aprile 1976, artt. 1, 2, 3, 4, 5, 6, 8 e 13. Commissario dello Stato per la regione siciliana, ricorso. depositato il 15 maggio 1976, n. 17, G. U. 25 maggio 1976, n. 139. legge reg. Lazio 30 aprile 1976 (artt. 117 e 128 della Costituzione). Presidente del Consiglio dei Ministri, ricorso depositato il 7 giugno 1976, n. 20, G. U. 23 giugno 1976, n. 164. legge 2 maggio 1976, n. 183, artt. 3, 15 e 16, primo, secondo e terzo comma (art. 4, n. 6, dello statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia). Presidente della giunta regionale del Friuli-Venezia Giulia, ricorso deposi tato il 14 giugno 1976, n. 22, G. U. 23 giugno 1976, n. 164. legge 2 maggio 1976, n. 183, art. 6, quinto, ottavo, nono e sedicesimo comma (artt. 3, 4, 6 e 56 dello statuto regionale). Presidente della Giunta regionale della Sardegna, ricorso depositato 16 giugno 1976, n. 23, G. U. 30 giugno 1976, n. 170. legge 2 maggio 1976, n. 183, artt. 6, ottavo comma, e 16 (artt. 3 e 116 della Costituzione). Presidente della giunta regionale siciliana, ricorso depositato 1'11 giugno 1976, n. 21, G. U. 23 giugno 1976, n. 164. CONSULTAZIONI ACQUE PUBBLICHE Nuova concessione di derivazione -Compenso a carico del nuovo utente Determinazione -Posizione del precedente concessionario -Natura -(r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 47}. Se, ai sensi dell'art. 47 del t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, sulle acque pubbliche, che dispone la corresponsione di un compenso da parte del nuovo utente di una concessione di derivazione di acque a favore degli utenti precedenti, da determinarsi secondo la valutazione discrezionale dei Ministeri competenti, la posizione del precedente concessionario sia da configurare come di interesse legittimo o di diritto soggettivo (n. 114). AMMINISTRAZIONE PUBBLICA Societ -Partecipazione statale -Liquidazione -Poteri del Ministro del Tesoro -Liquidatore -(l. 4 dicembre 1956, n. 1404, artt. 1 e 6). Quali siano i poteri attribuiti al Ministro del Tesoro nel caso di liquidazione di societ di diritto privato nella quale lo Stato abbia la propriet dell'intero capitale sociale o della maggioranza di esso, e .se, nel suddetto caso, le funzioni di liquidatore debbano essere necessariamente attribuite a funzionari dell'Ufficio liquidazione previsto dall'art. 1 della legge 4 dicembre 1956, n. 1404 (n. 381). APPALTO Riserve -Determinazioni dell'Amministrazione -Dichiarazione-adesiva dell'appaltatore -Transazione -Configurabilit -(cod. civ., art. 1965; circ. min. LL.PP. 13 marzo 1953, n. 616). Se possa riconoscersi carattere di transazione a una dichiarazione liberatoria rilasciata alla Amministrazione da parte della ditta appaltatrice quale mero atto di adesione della ditta stessa alla determinazione precedentemente adottata dall'Amministrazione sulle riserve avanzate dalla ditta (n. 384). ASSICURAZIONE Imposta di pubblicit -Targhe assicurazione incendi -Mancata denuncia Esonero dal tributo -(d.P.R. 24 giugno 1954, n. 342, art. 7; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 90). Se debbano essere esonerate dal pagamento dell'imposta di pubblicit per le targhe delle assicurazioni contro gli incendi quelle imprese assicuratrici che, oltre a non distribuire targhe, non abbiano presentato la prescritta denuncia volontaria o l'abbiano presentata solo a seguito di specifico invito dell'Ufficio finanziarilineare la difficolt di svincolarsi dalla soggettivit derivante dal contesto nel quale ogni singola istituzione nazionale opera, per impostare il discorso in termini generali, ha affermato che il concetto -di per s relativo di interesse pubblico, quale specificamente considerato nella realt di ogni singolo ordinamento, si riflette in modo immediato sulla struttura organizzativa degli organi legali. Nei limiti in cui tale interesse non debba individuarsi con quello soggettivizzato nell'apparato amministrativo appare indispensabile una adeguata garanzia della posizione di autonomia dell'istituzione rispetto alla stessa Amministrazione. Tale autonomia non potrebbe discendere, infatti, come effetto naturale, dal carattere della funzione espletato n potrebbe essere semplicemente salvaguardata, in astratto, dalla capacit dialettica dell'organo legale, ma deve invece realizzarsi positivamente attraverso appropriate misure organizzative normativamente definite. Come ha poi sottolineato il delegato della Tunisia, il collegamento esistente tra interesse tutelato e la posizione dell'istituzione si rivela nella collocazione costituzionale-amministrativa di questa, che, nei vari paesi, risulta inserita nell'organizzazione del Ministero della Giustizia, ovvero in quella del Ministero delle finanze, ovvero in quella dell'organo di vertice dell'esecutivo quale la Presidenza del Consiglio. Ci, appunto, in funzione della specifica angolazione sotto la quale viene apprezzato, nei vari ordinamenti l'interesse pubblico del quale l'isti tuzione tutrice. In numerosi interventi stata ribadita l'esigenza dell'autonomia del l'organo legale, spesso affermata con definizioni tassative di quelli che ne dovrebbero essere i connotati essenziali. Una sicura garanzia di autonomia stata ravvisata, secondo l'espe rienza anglosassone, nell'abito mentale professionale dei membri dell'is tuzione. In particolare, i delegati dell'Irlanda, della Gran Bretagna e degli Stati Uniti, oltre a porre l'accento sull'importanza che nella strut tura organizzativa della difesa dello Stato assumono fattori diversi dallo stesso ordinamento costituzionale, quale, ad esempio, l'esistenza di una stampa libera, che svolga un ruolo fondamentale nel controllo dell'ese cutivo, hanno posto in rilievo come un marcato carattere professionale dell'attivit dell'organo legale risulti garantito, nei loro paesi, dell'appar tenenza dei membri delle istituzioni, al pari dei magistrati investiti delle pi <1;lte funzioni, ad una classe forense di elevato livello il cui affinamento e prestigio assicurato dal costante interscambio tra settore scientifico e settore pratico professionale. Proprio nella carenza di una classe forense esperta, alla quale poter attingere per l'affidamento delle funzioni di consulenza e difesa degli organismi pubblici, stato individuato uno dei maggiori problemi del RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO suo paese dal delegato dell'Uganda, il quale ha ricordato come lo Stato sia per ora costretto a reclutare in blocco, per un periodo minimo di cinque anni, tutti coloro che annualmente si laureano in giurisprudenza. L'Avv. Olmi, Direttore Generale Aggiunto del Servizio Giuridico della Commissione delle Comunit Europee, facente parte del Comitato di Coordinamento, ha posto in rilievo come l'apparente contrapposizione tra le grandi famiglie dei sistemi di common law ed ibero-americani da un lato, nei quali il ruolo di difesa della collettivit viene svolto in funzione dell'obiettiva attuazione della legge, ed i sistemi nei quali l'organo di difesa dello Stato si pone come -tutore degli interessi particolari dell'Amministrazione trovi il punto di raccordo nell'espletamento della funzione consultiva, che in questi ultimi sistemi si pone come momento (logicamente e cronologicamente pregiudiziale) dell'attuazione della giustizia nell'Amministrazione. Di qui l'importanza che il personale prestigio dei membri dell'Istituzione, dotati di adeguato senso dello Stato e del giusto spirito di indipendenza, assume ai fini della garanzia di un efficace espletamento della funzione ed in particolare dell'attivit di consulenza, dallo stesso Olmi accostata ad una forma di controllo (o di collaborazione all'autocontrollo) che costituisce una fase essenziale per l'attuazione del diritto da parte degli organi dello Stato. Ha ribadito Olmi quanto gi affermato dal lelegato d'Israele: affiancare all'Amministratore e, in gene!e ai pubblici poteri, il giurista, significa, in definitiva, consentire l'inserimento nell'area del potere del living spirit of the law , garanzia dei diritti di tutti e dell'autentico spirito democratico dell'Ordinamento. L'accentuazione della funzione consultiva come forma di controllo sugli atti e sull'attivit stata operata dai delegati della Colombia e dell'Equador con specifico riferimento al settore dell'attivit contrattuale. Una funzione di controllo, esercitata peraltro in modo generalizzato e capillare, in una con l'attivit di orientamento dei vari organismi anche locali, quella assolta dai membri delle Istituzioni nei paesi di democrazia popolare, nei quali il concetto di interesse pubblico dalle stesse Istituzioni perseguito viene identificato in quello dell'attuazione della legalit socialista . Particolare interesse hanno presentato, al riguardo, gli interventi dei delegati dei paesi dell'Est Europa e di Cuba (la cui riuova legge costituzionale, approvata dal Referendum 15 febbraio 1976, entrer in vigore il 2 dicembre 1976, ventesimo anniversario dello sbarco per la liberazione). L'esigenza di assicurare la stabile affermazione dei principi sociali dei quali sono portatrici le forze politiche al potere stata espressa in modo pi marcato dai delegati dei paesi di recente pervenuti ad ordinamenti democratici (come il Portogallo, il cui rappresentante si soffermato nell'illustrazione della minuziosa articolazione dei principi codificati PARTE II, NOTIZIARIO nella recentissima Carta Costituzionale) e dei paesi del cosiddetto terzo mondo, i quali ultimi, per la massima parte, si trovano impegnati nella trasformazione in senso socialista delle loro strutture. Indicativa al riguardo la funzione attribuita, in Somalia, al Consiglio della Rivoluzione (dalla cui Presidenza dipende l'Avvocatura Generale), di sindacare le stesse pronunzie di ultima istanza degli organi giudiziari interessanti l'Amministrazione, per. disporne l'eventuale annullamento ove non ritenute rispondenti ai principi della rivoluzione. Particolare interesse ha suscitato l'intervento del delegato dell'India, il quale ha co~testato quella che a suo avviso appariva una eccessiva esaltazione di un astratto principio di legalit, connessa con una esasperata rilevanza del potere di revisione giudiziale, possibile causa di soffocamento del concreto principio di socialit ispiratore dell'azione amministrativa dello Stato. Contro precedenti affermazioni di principio circa l'indispensabilit dell'uguaglianza delle parti pubblica e privata nel processo come condizione prima di una vera giustizia (sostenuta con veemenza, tra gli altri, dal delegato della Grecia) e disconoscendo l'esigenza di assicurare in modo sostanziale e non meramente formale una tale uguaglianza (sulla quale si era soffermato in particolare il delegato della Repubblica Federale tedesca), l'Attorney Generai dell'India ha dichiarato di non comprendere l'anzidetto concetto di uguaglianza in giudizio tra Stato e cittadino, portatori di interessi qualitativamente e quantitativamente diversi, ed ha sottolineato la peculiare significazione che assume la funzione dell'Avvocato chiamato a difendere avanti agli organi della giustizia l'attivit legislativa e l'attivit amministrativa per evitare che rimanga frustrato da una azione conservatrice dei giudici lo slancio delle riforme volte a riscattare milioni di persone da condizioni nelle quali l'esistenza umana non ha nessuna importanza . Proprio cogliendo il valore relativo dei concetti, da pi parti espressi, di giustizia, legalit, socialit, ha osservato il delegato del Marocco che il giusto equilibrio tra tirannia ed impotenza deve ricercarsi, nel momento dell'organizzazione, in relazione alle finalit perseguende da ciascuna societ nazionale e tenendo conto della concreta situazione socioeconomica di ogni paese. Pu quindi dubitarsi dell'esistenza di un'unica formula universale per il raggiungimento di tale equilibrio. In sostanziale sintonia con tali affermazioni si posto l'intervento del delegato dell'Iraq, il quale peraltro, prese l!'! mosse dal carattere relativo del concetto di Stato, ha fatto presente che le forze politiche attualmente al potere nel paese sono impegnate nella riforma totale della legislazione ed ha quindi invitato i delegati delle varie Istituzioni ad esporre non soltanto gli aspetti positivi dei rispettivi sistemi ma 102 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO anche e soprattutto le lacune. di questi, onde offrire un panorama con102 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO anche e soprattutto le lacune. di questi, onde offrire un panorama concreto delle effettive esperienze. Il problema della compatibilit della funzione di difesa dello Stato con un'autonoma tutela da parte del medesimo organo legale degli interessi degli organismi decentrati nei quali la stessa struttura statale pu risultare articolata venuto particolarmente in rilievo nell'intervento del delegato jugoslavo, il quale si soffermato sulla tutela assicurata dall'organo legale, oltre che allo Stato federale, ai vari Stati federati anche nei confronti di Stati ed istituzi~ni estere. Al termine del dibattito congressuale stata votata all'unanimit la seguente mozione: I delegati delle Istituzioni partecipanti al Congresso . internazionale organizzato dall'Avvocatura dello Stato che si tenuto a Roma dal 10 al 14 maggio 1976 sul tema La difesa in giudizio delle Amministrazioni dello Stato , rilevano che le discussioni sulla base delle relazioni generali e dei rapporti nazionali presentati dalle Istituzioni hanno illustrato molti aspetti del tema congressuale mettendo, in particolare, in evidenza la posizione di responsabilit che le Istituzioni occupano nei diversi ordinamenti giuridici e sociali. affermano l'importanza del ruolo delle Istituzioni al fine di assicurare che l'Amministrazione persegua i suoi fini nel pieno rispetto della legge auspicano che i vari aspetti e la posizione delle Istituzioni nei rispettivi ordinamenti giuridici siano esaminati in modo approfondito attraverso scambi di informazione con particolare riguardo alle pi importanti funzioni esercitate dalle Istituzioni dichiarano che i lavori del Congresso giuridico internazionale hanno dimostrato l'importanza di mantenere su una base permanente i contatti stabiliti tra le Istituzioni ritengono che sarebbe utile a tal fine stabilire un centro permanente di collegamento invitano l'Avvocatura dello Stato Italiana a realizzare nell'ambito della propria organizzazione il Centro e i membri del Comitato di presidenza del Congresso ad assistere a tal fine l'Avvocatura dello Stato nei modi opportuni. PARTE II, NOTIZIARIO A conclusione della manifestazione il dott. Trimmel, Presidente del Comitato di Presidenza, ha voluto esprimere, a nome dello stesso Comitato e di tutti i partecipanti, compiacimento ed apprezzamento per i risultl;lti conseguiti, rivolgendo un caloroso ringraziamento all'Avvocatura dello Stato, all'Avvocato Generale Zappal, al Segretariato del Congresso, del quale ha particolarmente sottolineato il meritorio sforzo organizzativo; ad esso ha risposto l'Avvocato Generale ringraziando a sua volta il dott. Trimmel per l'egregia opera svolta e tutte le delegazioni per l'adesione e l'entusiasmo della partecipazione, auspicando che il Congresso celebrato sia destinato ad essere solo il primo di fecondi incontri a livello mondiale tra le istituzioni, ed impegnandosi a pubblicare gli atti del Congresso stesso. INDICE BIBLIOGRAFICO delle opere acquisite alla biblioteca dell'Avvocatura Generale dello Stato ARIC G., L'ordinanza nel processo penale, ovene, Napoli, 1974. 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