ANNO XXXIV -N. 3 MAGGIO -GIUGNO 1982 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Pubblicazione bimestrale di servizio ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO ROMA 1982 -,.-:.ua=:x -,.-:.ua=:x ABBONAMENTI ANNO 1982 ANNO L; 22.000 UN NUMERO SEPARATO ................... 4.000 Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO Direzione Commerciale -Piazza G. Verdi, 10 -00100 Roma e/e postale n. 387001 Stampato in Italia -Printed in ltalv Autorizzazione Tribunale di Roma -Decreto n. 11089 del 13 lu1dlo 1966 (3219205) Roma, 1982 -Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato P.V. INDICE Parte prima: GIURISPRUDENZA Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura dell'avv. Franco Favara). . . . . . . . pag.447 Sezione seconda: GIURISPRUDENZA ZIONALE (a cura COMUNITARIA E INTERNAdel/' avv. Oscar Fiumara) . > 482 !ezione terza: GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE (a cura degli avvocati Carlo Carbone, Ce1rlo Sica e Antonio Cingolo) . . . . . . . 490 Sezione quarto: GIURISPRUDENZA CIVILE (a curq degli avvocati Adriano Rossi e Antonio Catricol) . . . 50 I Sezione sesta: GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (a cura dell'avvocato Carlo Bafle) . . . . . . . . . 568 ~ezione settima: GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI (a cura degli avvocati Sergio Laporta, Piergiorgio Ferri e Paolo Vittoria) . . . 606 Sezione ottava: GIURISPRUDENZA PENALE (a cura degli avvocati Paolo di Tarsia di Be/monte e Nicola Bruni) 621 Parte seconda: QUESTIONI -LEGISLAZIONE -INDICE BIBLIOGRAFICO CONSULTAZIONI -NOTIZIARIO QUESTIONI . . . . . . . . . . . . pag. 125 LEGISLAZIONE 152 La pubblicazione diretta dall'avvocato: UGO GARGIULO CORRISPONDENTI DELLA RASSEGNA DELEGATI PRESSO LE SINGOLE AVVOCATURE Avvocati Glauco NoRI, Ancona; Francesco Cocco, Bari, Giovanni CoNTU, Cagliari; Francesco GUICCIARDI, Genova; Marcello DELLA VALLE, Milano; Carlo BAFILE, L'Aquila; Giuseppe Orazio Russo, Lecce; Nicasio MANcuso, Palermo; Rocco BERARDI, Potenza; Maurizio DE FRANCHIS, Trento; Paolo SCOTTI, Trieste; Giancarlo MANn, Venezia. UN'INTERVISTA DELL'AWOCATO GENERALE SULLE RIFORME ISTITUZIONALI La nostra Costituzione o no adeguata alla realt italiana di oggi da un punto di vista politico, sociale, economico e culturale? La mia risposta positiva. Non nego la profonda diversit tra la societ in cui viviamo e quella in cui operarono i costituenti, ma proprio tale trasformazione il frutto, per quel che concerne la sua parte largamente positiva, di quanto la Costituzione ha voluto, sollecitato o consentito. N essa ha esaurito il suo potenziale costruttivo ed innovativo: i suoi principi non segnano soltanto i puntL di non ritorno al passato, ma tracciano, in proiezione finalistica, le linee di un disegno di sviluppo ancora inattuato. Occorre portare avanti il processo, ricco di prospettive inesplorate, di graduale estrazione dai principi costituzionali di ogni loro possibile implicazione (Sandulli). Si pensi, ad esempio, alla formula di sintesi dell'art. 1 (Repubblica fondata sul lavoro). La rivista Holding ha dedicato il suo numero di Agosto ad una serie di articoli ed interviste su di un argomento di scottante attualit: l'adeguatezza della Costituzione repubb.Zicana al mutato assetto politico, economico, sociale e culturale del Paese. Aperta da un messaggio del Presidente della Repubblica, la serie degli scritti pubblicati costituisce un eccezionale panorama delle opinioni espresse in proposito dai pi qualificati esponenti della politica, della scienza e della pratica del diritto, del sindacalismo e del management pubblico e privato: da De Mita a Perna, da Elia a Giugni, da Berri a Pescatore e Pirrani Traversari, da Storti a Giovannini, da Solustri a Pininf arina, per non citare che alcuni soltanto fra i tanti nomi illustri degli scrittori e degli intervistati. Fra le interviste condotte da Pierluigi Franz figura quella dell'Avvocato generale dello Stato, che la Rassegna ritiene opportuno pubblicare. In essa vengono sottolineati, da un lato, la ricchezza di potenziale evolutivo contenuto nella nostra Carta Costituzionale (il che ovviamente non preclude possibili meditate innovazioni), dall'altro la preoccupante situazione in cui si trova l'Avvocatura, chiamata ad assolvere -con insufficienti mezzi soprattutto di organico -a compiti sempre pi gravosi ed impegnativi. VI RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO E stato rilevato (Fanfani) che essa non un alibi retorico di ipotesi conservatrice, ma esprime l'ipotesi di una democrazia completa non solo politica ma anche economica, con stretta connessione, sottolineata nell'art. 3, tra quelli che sono stati definiti benefici di libert istituzionale e benefici di libert sostanziale (lngrao). Non va quindi trascurata, in primo luogo, la possibilit di tradurre correttamente la costituzione scritta nel diritto vivente della costituzione materiale con gli strumenti normativi ordinari ed attingendo in profondit alle indicazioni gi implicite nella Costituzione. Cos, ad esempio (senza voler prendere posizione di merito) si pensi all'art. 57, che enunzia il principio dell'elezione del Senato su basi regionali; all'art. 83, che indica il solo scrutinio segreto prescritto, dopo che Aldo Moro ne imped l'adozione come regola generale, qual'era nello Statuto albertino, all'art. 97, che sollecita innovazioni strutturali coerenti col pluridimensionalismo istituzionale; eccetera. Del resto anche alcune critiche di fondo, a ben guardare, si risolvono in problemi di corretto sviluppo dei valori di cui depositario il documento costituzionale. Cos la critica di chi (Crisafulli) ritiene la Costituzione datata perch, in reazione all'autoritarismo fascista, avrebbe creato situazioni frenanti di garanzia, concedendo troppo alle autonomie e alle libert. Cos, in diversa direzione, la critica di chi (Barbera) le imputa di offrire garanzie giuridiche di libert, senza per assicurare forme di liberazione. In replica stato giustamente osservato (Barile) che un testo costituzionale pu garantire solo situazioni di libert, spettandone l'attuazione allo sviluppo della costituzione materiale. Mi sono soffermato su esigenze e soluzioni pi immediatamente accessibili alla mia esperienza giuridica. Ma vi sono altri problemi, che non intendo sottovalutare, la cui precisa individuazione e soluzione affidata eminentemente alla meditazione delle forze politiche. Se queste troveranno ampie intese, anche proceduralmente necessarie (art. 138), la stessa Costituzione offre lo strumento della revisione per superare punti critici dell'assetto attuale. Ritiene adeguato l'attuale organico dell'Avvocatura dello Stato in relazione ai molteplici giudizi in cui deve per 1legge intervenire? La mia risposta no. Vorrei sottolineare il ruolo che nel sistema della costituzione materiale esercitano gli avvocati dello Stato. Lo Stato che l'Avvocatura difende, come bene precis l'on. Cossiga, allora Presidente del Consiglio, in occasione del mio insediamento nella carica, non lo Stato dell'assolutismo, non ha la dimensione autoritaria dell'oligarchia, non corrisponde all'apparato gestionale di una classe dominante: E lo Stato democratico, la comunit civile e libera dei NOTA REDAZIONALE vn cittadini eguali, lo strumento per la pace, la libera convivenza, lo sviluppo del popolo . L'assistenza alle amministrazioni dello Stato, come quella prestata alle Regioni e agli altri enti pubblici, assistenza agli interessi, in essi istituzionalizzati, di realizzazione degli obiettivi della Costituzione. Fra questi assume valore primario la realizzazione del fine di giustizia, al cui perseguimento concorre la funzione giustiziale che l'Avvocatura esercita insieme con quella di difesa giudiziale. Malgrado ogni contraria apparenza, difendere i poteri e le prerogative delle istituzioni significa difendere i presupposti concreti della pari dignit sociale, delle libert e dei diritti di tutti i cittadini, che trovano nella struttura dello Stato democratico, al di l di astrazioni utopistiche, il momento primo di loro effettivo riconoscimento. Cos la difesa, nei giudizi di costituzionalit, della norma adottata dal Parlamento repubblicano significa, fuori di strumentalizzazioni di parte, raccordarsi alla volont popolare che si 'esprime, direttamente o indirettamente, secondo il sistema maggioritario della nostra costituzione democratica. Accanto a queste considerazioni superfluo mettere in evidenza quanto numerosi e importanti siano i giudizi in cui interviene l'Avvoca tura dello Stato, nonch gli affari nei quali chiamata ad esercitare la sua funzione consultiva per l'attuazione in via preventiva della giustizia nell'Amministrazione. Per ci confido che, nell'auspicato sviluppo della Costituzione mate riale, il concorde impegno del Governo e di tutte le forze democratiche consenta anche di risolvere il problema dell'inadeguatezza dell'organico degli avvocati e procuratori dello Stato, insieme a quello, che di molto l'aggrava, della cronica carenza della struttura organica e funzionale del personale di collaborazione amministrativo. ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI Un"intervista dell'Avvocato Generale sulle riforme istituzionali . . . . pag. V C. BAFILE, Giurisdizione ordinaria e giurisdizione delle commissioni nella fase esecutiva I, 592 I. F. CARAMAZZA, Depenalizzazione e decriminalizzazione nel diritto comparato II, 125 E. CIARDULLI, I rapporti tra giurisdizione e pubblica amministrazione e la funzione dell'Avvocatura dello Stato . . . . . . . . . . . . II, 144 A. CINGOLO, Emittenti private locali e difetto assoluto di giuridisdizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I, 490 A. DE STEFANO, Funzioni del liquidatore dei beni nel concordato preventivo e legittimazione passiva nei giudizi di accertamento della situazione patrimoniale del debitore concordatario . . . . . I, 544 A. DE STEFANO, Natura giuridica della compravendita in danno II, 136 A. DE STEFANO, Un caso di compera in danno nei confronti di una Societ in amministrazione controllata . . . . . . . . . . . . . . I, 551 F. FAVARA, Obbligatoriet dell'azione penale, officialit dell'azione penale e cosiddetta pregiudiziale tributaria . . . . . . . . . . . I, 460 PARTE PRIMA INDICE ANALITICO -ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA APPALTO -Ap.palti di opere pubbliche -ru.serve -Onere generale -Eccemoni -Fatti dolosi o colposi -Condizioni, 606. -Appalti di opere pubbliche -Riserve -Sospensione derivante da fatto colposo -Onere -Sussiste, 600. -Appalti di opere pubbliche -Sospensione dei lavori -Allegazione di falsa causa -Non esclude l'onere della riserva, 606. -Appalti di opere pubbliche -Sospensione -Rapporto tra l'art. 30 d.P.R. 16 luglio 1962 n. 1063 e l'articolo 16 R.D. 25 maggio 1895 numero 350 -Onere della riserva Sussistenza, 606. -Appalto di opere pubbliche -R.D. 25 maggio 1895 n. 350 -Natura Regolamento delegato, 607. -Appalto di opere pubbliche -Riserve e decadenza -Previsione contenuta nel R.D. 25 maggio 1895 n. 350Illegittimit -Esclusione, 600. - Appalto di opere pubbliche -Sospensione -Riserva -Tempestivit -Condizioni, 600. COMUNIT EUROPEE -Agricoltura -Zucchero -Esportazione -Prelievi -Data di riscuotibHit, 485. -Unione doganale -Tariffa doganale comune -Farina di estrazione di soia brasiliana -Voce ex 23.04 -Organizzazione comune dei mercati nel settore dei grassi -Prodotto ivi contemplato, 482. CONTABILIT PUBBLICA -Contratti della pubblica amministrazione -Conclusione del contratto Approvazione del contratto quale condicio juris >>, con nota di A. DE STEFANO, 543. CORTE COSTITUZIONALE -Giudizio incidentale -Ordinanza di rinvio -Oggetto del sindacato di costituzionalit -Onere di individuazione -Incombe sul giudice a quo, 458. DEMANIO -Strada e passaggio a livello -Interruzione o soppressione a seguito di costruzione di opera pubblica Diritto all'indennizzo a favore del propmetanio frontista -AmrnisS!i.bilit -Valutazione -Limiti, 4%. -Strada Proprietari frontisti -Posizioni soggettive -Natura, 496. EDILIZIA POPOLARE ED ECONOMICA -Cessione alloggi in propriet. Determinazione del prezzo GiurisdiZ! ione ordinaria -Sussiste, 501. -Cessione alloggi in propriet. Diritto soggettivo all'assegnazione -Sussiste, 501. -"" Cessione alloggi in propriet. Norme per la determinazione del prezzo Imperativit -Violazione -Nullit del Contratto -Sussiste, 501. -Cessione alloggi in propriet. Nullit del contratto Responsabilit precontrattuale della P.A. -Non sussiste, 501. ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILIT -Ablazioni aventi carattere sanzionatorio Decadenza da concessione mineraria Indennizzo per l'ablazione delle pertinenze minerarie -Non garantito, 450. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO X -Costruzione di opera pubblica InPOSTE E TELECOMUNICAZIONI dennizzo corrisposto ai proprietari del fondo espropriato -Possibili mutamenti futuri dell'opera Pregiudizio ai proprietari -Configurabilit di altro diritto all'indennizzo, 496. FALLIMENTO -Amministrazione controllata e concordato preventivo Divieto di azioni esecutive individuali Limiti, con nota di A. DE STEFANO, 543. -Amministrazione controllata e concordato preventivo Principio della cristallizzazione dei crediti Applicabilit, con nota di A. DE STEFANO, . 543. -Concordato preventivo con cessione dei beni ai creditori Funzione del liquidatore dei beni e giudizi per l'accertamento delle passivit Legittimazione passiva del liquidatore e litisconsorzio necessario con il debitore concordatario, con nota di A. DE STEFANO, 543. -Concordato preventivo Giudizi per l'accertamento dei crediti nei confronti del debitore concordatario Ammissibilit, con nota di A. DE STEFANO, 543. - Notifica a societ in liquidazione Notifica personale all'ultimo liquidatore Condizioni Validit, con nota di A. DE STEFANO, 543. FONTI DEL DIRITTO -Decreto legislativo Disposizione riproduttiva di previgente disposizione -Testo unico -Ha efficacia abrogante, 481. GIURISDIZIONE CIVILE -Regolamento preventivo Questioni di legittimit costituzionale Accertamento Limiti, 542. PENA -Disposizione sanzionatrice comune a pi fattispecie -Principio di eguaglianza -Non violato, 447. -Radiotelevisione Emittente privata locale -Eseroi:llio d'impresa televisiva in difetto di autorizzazione -Interferenze provocate dalle trasmissioni RAI -Azione possessoria -Tutela in via d'urgenza Difetto di giurisdizione del giudice ordinario, con nota di A. CINGOLO, 490. PROCEDIMENTO PENALE -Giustizia militare -Officialit dell'azione penale -Richiesta di autorit militare -Legittimit costitu: llionale, con nota di F. FAVARA, 460. -Incidente di-esecuzione -Legittimo impedimento dell'imputato o condannato -Rd'levanza, 478. PROFESSIONI -Sanitario -Farmacista -Prestatore d'opera intellettuale -Convenzione nazionale Inam -Associazione categorfa Natura Effetti vincolanti Nozione, 522. PROPRIET -Concessioni traslative operate con i decreti marattiani e confermate con i decreti della monarchia borbonica Natura obbligatoria Conf.igurabifilt in un modus -Acquisto della propriet a titolo originario -Effetti, 529. -Usucapione Possesso solo animo Intestazione catastale Rilevanza, 528. REATO - Detenzione e porto d'arma -Pare. ri della commissione amministrativa sulla catalogazione delle armi Rilevanza ad fim penali -Legittimit costituzionale, con nota di F. FAVA RA, 460. -Reato valutario previsto dall'art. 2 legge 30 aprile 1976 n. 159 nel testo risultante dall'art. 3 della legge 8 ottobre 1976 n. 689 Confisca obbligatoria prevista dall'art. 1 del decreto- legge 4 marzo 1976 n. 31 nel INDICE DELLA GIURISPRUDENZA Xl testo risultante dall'art. 2 legge 23 dicembre 1976 n. 863 -Inapplicabi1it, 621. -Reato valutario previsto dall'art. 2 della legge 30 aprile 1976 n. 159 nel testo risultante dall'art. 3 della legge 8 ottobre 1976 n. 689 -Sanzioni di carattere amministrativo di cui all'art. 8 del decreto-legge 4 marzo 1976 n. 31 del testo risultante dalla legge di conversione 30 aprile 1976 n. 159 ed in relazione all'art. 2 R.D.L. 5 dicembre 1938 n. 1928 convertito nella legge 2 giugno 1939 n. 739 Inapplicabilit, 621. -Reato valutario previsto dall'art. 2 della legge 30 aprile 1976 n. 159 nel testo risultante dall'art. 3 della legge 8 ottobre 1976 n. 689 -Soggetto attivo - chiunque anche se non residente, 621. - Reato valutario previsto dall'art. 2 della legge 30 aprile 1976 n. 159 nel testo risultante dall'art. 3 della legge 8 ottobre 1976 n. 689 -Valore delle disponibilit valutarie o attivit di qualsiasi genere superiore ai quindici milioni di lire -Non costituisce circostanza aggravante ma ipotesi autonoma di reato, 621. REGIONE -Enti pubblici locali operanti in materie di competenza regionale -Attribuzioni legislative e amministrative della regione, 452. -Previdenza sociale -Legge regionale classificante attivit lavorative -Illegittimit costituzionale, 449. RESPONSABILIT CIVILE -Clausole di esonero da responsabilit -Limitazione della responsabilit per dolo o colpa grave -Nullit, 539. SANITARIO -Farmacista -Convenzione nazionale Inam -Associazione categoria -Termine di durata -Recesso prima della scadenza -Compatibilit -Fattispecie, 522. TRASPORTI PUBBLICI -Ferrovie e Tramvie -Incendio sviluppatosi nella stazione Termini di Roma -Presunzione di responsabilit delle Ferrovie dello Stato per danno cagionato da cose in custodia -Limiti, 539. -Ferrovie Trasporto per ferrovia Limiti di responsabilit Legittimit costiituzionale, 476. TRIBUTI ERARIALI DIRETTI -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Plusvalenza Realizzazione nel corso di procedura fallimentare Costituisce reddito tassabiiile, 574. -Imposte fondiarie Imposta sui fabbricati Agevolazione per le case di abitazione non di lusso -Conformit alla licenza edilizia - ri- chiesta, 579. -Soggetti passivi Capacit giuridica tributaria Organizzazioni di beni e di persone Attivit occasionale di un gruppo di persone -Sussiste, 577. TRIBUTI ERARIALI INDiiRETTI -Imposta di bollo -Copia di atto pubblico da presentare all'ufficio del registro per la registrazione -Esenz, ione Esclusione, 568. -Imposte doganali -Accertamento Revisione Nozione Termine Elementi diversi da qualificazione valore ed origine -Termine quinquennale, 581. TRIBUTI (IN GENERE) -Accertamento divenuto definitivo in via amministrativa -Non fa stato nei procedimenti penali, con nota di F. FAVARA, 459. -Contenzioso tributario Imposte indirette Opposizione all'esecuzione Foro dello Stato, con nota di C. BAFILE, 592. -Contenzioso tributario -Imposte indirette Opposizione all'esecuzione Giurisdizione ordinaria, con nota di C. BAFILE, 592. xn RASSEGNA DEI.L'AVVOCATURA DEI.LO STATO -Contenzioso tributario Procedimenti pendenti -Art. 44 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 -Ricorsi presentati dopo l'entrata in vigore prima dell'insediamento delle nuove commissfoni -Non si applica, 589. -Contenzioso tributario -Procedimento innanzi alle Commissioni -Partecipazione all'udienza -Sciopero del personale degli uffici tributari Nullit della decisione -Esclusione, 571. -Repressione penale degli illeciti tributari in materia di I.V.A. e di imposte dirette -Azione penale -Pre giudiziale necessaria -Legittimit costituzionale -Limiti, con nota di F. FAVARA, 459. VENDITA -Compravendita in danno -Non costituisce forma di esecuzione forzata -Sua ammissibilit in pendenza di un procedimento di amministrazione controllata, con nota di A. DE STEFANO, 543. -Compravendita in danno -Requisito della tempestivit -Conseguenze del ritardo, con nota di A. DE STEFANO, 543. INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA CORTE COSTITUZIONALE. 14 gennaio 1982, n. 1 16 febbraio 1982, n. 41 3 marzo 1982, n. SO 1 aprile 1982, n. 65 29 aprile 1982, n. 81 12 maggio 1982, n. 88 12 maggio 1982, n. 89 12 maggio 1982, n. 90 20 maggio 1982, n. 98 10 giugno 1982, n. 108 10 giugno 1982, n. 110 18 giugno 1982, n. 114 CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA' EUROPEE. Sez. Il, 111 marzo 1982, nella causa 129/81 Sez. I, 27 maggio 1982, nella causa 196/81 GIURISDIZIONI CIVILI CORTE DI CASSAZIONE Sez. I, 11 1gennaio 1982, n. 95 Sez. I, 13 gennaio 1982, n. 168 Sez. I, 14 gennaio 1982, n. 230 Sez. I, 14 gennaio 1982, n. 231 Sez. I, 26 gennaio 1982, n. 500 Sez. Un., 11 febbraio 1982, n. 835 Sez. I, 16 febbraio 1982, n. 957 Sez. I, 16 febbraio 1982, n. 958 . Sez. I, 17 febbraio 1982, n. 999 . Sez. Un., 19 febbraio 1982, n. 1050 Sez. Un., 19 febbraio 1982, n. 1051 Sez. I, 5 marzo 1982, n. 1382 . Sez. I, 17 marzo 11982, n. 1726 . . pag. 447 )) 449 )) 450 452 )) 458 )) 459 459 )) 476 478 460 481 460 pag. 482 485 pag. 568 571 574 )) 577 ,. 579 501 581 )) 522 )) 589 )) 592 )) 490 )) 528 )) 606 XIV RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO S!!z. III, 20 marzo 1982, n. 1817 . Sez. I, l aprile 1982, n. 2006 Sez. Un., 11 maggio 198'2, n. 2918 Sez. Un., 19 maggio 1982, n. 3085 pag. 539 {iJJ 542 496 TRIBUNALE DI BARI IV Sezione civile, 20 luglio 1981, n. 1568 543 GIURISDIZIONI PENALI TRIBUNALE DI ROMA Sez. IV, 28 ottobre 19&1 621 ! ! _,,,ari~~ PARTE SECONDA QUESTIONI Depenalizzazione e decriminalizzazione nel diritto comparato pag. 125 Natura giuridica della compravendita in danno . . . . 136 I rapporti tra giurisdizione e pubblica amministrazione e la funzione dell'Avvocatura dello Stato . . . . . ...... . 144 LEGISLAZIONE I -Norme dichiarate incostituzionali pag. 152 II -Questioni non fondate 154 III -Questioni proposte 156 PARTE PRIMA SEZIONE PRIMA GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE CORTE COSTITUZIONALE, 14 gennaio 1982, n. 1 -Pres. Elia -Rel. Malagugini -Saiani (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Azzariti). Pena -Disposizione sanzionatrice comune a pi fattispecie Principio dii eguaglianza -Non violato. (Cost., art. 3; I. 30 aprile 1962, n. 283, artt. S e 6). Nella materia penale, nella quale il principio di legalit impone la formulazione di fattispecie ben definite, ciascuna accompagnata dalla relativa sanzione, il principio di uguaglianza .non pu essere inteso nel senso che a ciascuna fattispecie debba corrispondere una sanzione diversa da tutte le altre (ci specie in un sistema quale il nostro, ispirato alla preferenza per pene edittali determinate fra un minimo e un massimo); detto principio pu ritenersi violato soltanto in presenza di sperequazioni radicalmente ingiustificate. (omissis) Il Pretore di Ferrara dubita de1la legittimit costituzionaile degli artt. 5, lett. g) e 6 (quarto comma) della legge 30 aprile 1962, n. 283 -modificata ed rintegrata con la legge 26 febbraio 1963, n. 441 -prospettandone il contrasto con l'art. 3 (primo comma) Cost. Ci perch il quarto comma dell'art. 6 della legge n. 283 del 1962 -prevedendo una unica sanzione per i contravventori alle disposizioni (del presente articolo e) dell'articolo precedente -punisce con identica pena l'aggiunta tanto di additivi chimici di qualsiasi natura non autorizzati con decreto del Ministro della Sanit, quanto di additivi chimici autorizzati, ma senza J'osservanza delle norme prescritte per hl loro impiego (art. 5 lett. g); nel caso di specie, senza l'indicazione dell'additivo usato sul (piombino del) prodotto preparato. Il giudice a quo reputa le due fattispecie di cos diversa gravH da sigere differenti trattamenti sanzionatori, e dubita, perci, che l'equiparazione quoad poenam operata dal legislatore violi il principio di uguaglianza di cui all'art. 3, primo comma, Cost. La questione non fondata. Questa Corte ha gi avuto occasione di rilevare -risolvendo analoga questione avente ad oggetto l'art. 5 lett. f) e l'art. 6 della medesima legge n. 283 del 1962 (sent. n. 99 del 1979) -che le disposizioni contenute nel testo legislativo anche ora in esame concernono la disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze aHmentari e delle bevande , e che le relative prescrizioni ((tendono a garantire la genuinit, 1 il buon stato di conservazione, la pulizia, la innocuit delle manipolazioni consentite, dei prodottri a11imentari e impongono, perci, l'osservanza di 448 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO regole, ritenute generalmente valide, alla stregua dell'esperienza e delle conoscenze tecnic0::scientifiche acquisii.te, al fine di scongiurare ogni pericolo per la salute. Nello stesso tempo, le norme in esame vogliono consentire agli organi di vigilanza, ma anche ai consumatori di conoscere immediatamente e facilmente se le sostanze alimentari sono state og. getto di manipolazioni... e di quali, per una scelta consapevole anche in I'elazione alle condiziond. soggettrive del singolo consumatore . Come con le disposizioni di cui all'art. 5 lett. f) della legge n. 283 del 1962, cosi come quelle di cui alla successiva lett. g) dell'articolo medesimo il legislatore ha fissato ad una soglia anticipata la tutela penale della salute, senza prendere in considerazione il pericolo cui concretamente pu dar luogo l'impiego di determinati additivi chimici; pericolo che non discende automaticamente e necessariamente dal solo fatto che l'uso di uno specifico additivo non sia stato autorizzato dal Ministro per la Sanit, con proprio decreto soggetto a revisione annuale, e viceversa non escluso, quanto meno, con riferimento ad un soggetto determinato, dall'uso di un additivo autorizzato. Le due fattispeoie contravvenzionali di cui alla lett. g) dell'art. 5 della legge n. 283 del 1962 non si pongono, quindi, reciprocamente in un rapporto di cosi marcata differente gravit da far ritenere l'uguale trattamento sanzionatorio viziato da illegittimit per contrasto con il principio di uguaglianza di cui all'art. 3, primo comma, Cost. Va, in proposito, ribadito che nella materia penale, nella quale il principio di legalit impone la formulazione di fattispecie ben definite, ciascuna accompagnata dalla relativa sanzione, il principio di uguaglianza non pu essere inteso' nel senso che a ciascuna fattispecie debba corrispondere una sanzione diversa da tutte le altre (ci specie in un sistema quale wl nostro, ispirato alla preferenza per pene edittali determinate fra un minimo ed un massimo). Perci -posto che la configurazione delle fattispecie criminose e le valutazioni sulla congruenza fra i reati e le pene appartengono alla politica legislativa, implicando scelte di valore -soltanto le sperequazioni che assumono una tale gravit da risultare radicalmente ingiustificate possono concretare un arbitrio del legislatore lesivo del principio di uguaglianza (sent. I. 26 del 1979). Quando, come nelle disposizioni di legge denunziate, in vista della tutela di un medesimo bene, che si vuole realizzata ad una soglia determinata, vengono presi in considerazione comportamenti diversi, ma tutti estrinsecantisi nella inosservanza delle prescrizioni poste dal legislatore a quel fine, non si pu certamente ritenere radicalmente ingiustificata e, per questo, arbitraria la comminatoria di una pena da determinarsi dal giudice nell'esercilJio della propria discrezionalit (vincolata ex artt. 132 . e 133 del codice penale, nonch, ora, ex artt. 53 e ss. della legge 24 novembre 1981, n. 689) entro gli stessi limiti minimo e massimo. PARTE I, . SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 449 CORTE COSTITUZIONALE, 16 febbraio 1982, n. 41 -Pres. Elia -Rei. La Pergola -INAIL (avv. Napolitano) e Regione Toscana (avv. Cheli). Regione Previdenza sociale Legge regionale classificante attivit lavora tive -Illegittimit costituzionale. (Cost., art. 117; I. reg. Toscana 2 settembre 1974, n. 55, articolo unico). Contrasta con l'art. 117 Cast. la legge regionale che classifichi una attivit lavorativa come agricolo-forestale agli effetti previdenziali. (omissis) Nel presente giudizio censurato l'articolo unico della legge Regione Toscana 2 settembre 1974, n. 55 (Norme transitorie per l'assunzione di manQ d'opera ai fini dell'esecuzione in amministrazione diretta dei lavori concernenti le opere di bonifica idraulico-forestali, idraulico-agrarie e di forestazione), cos testualmente formulato: In via transitoria, e comunque non oltre 'L'entrata in vigore delle norme per la disciplina organica della gestione di beni agrari e forestali della Regione e della delega riguardante le funzioni amministrative in materia di foreste e bonifica di cui al decreto del Presidente della Repubblica 15 gennaio 1972, n. 11, gli amministratori. incaricati della gestione dei suddetti beni e gLi ispettori ripartimenta'Li e distrettuali delle foreste possono impiegare, per l'esecuzione in amministrazione dretta dei lavori concernenti le opere di bonifica idraulico-forestali, idraulicoagrarie e di forestazione, lavoratori assunti cori contratto di diritto privato, nell'osservanza delle norme sul collocamento e delle leggi previdenziali in agricoltura e dei contratti ed accordi coHettivi sindacali di categorie . (omissis) ben vero che la normativa previdenziaile dello Stato avrebbe, nel silenzio del legislatore regionaile, pur sempre regolato il caso in esame. Ci non toglie, tuttavia, che nel campo in cui altrimenti opererebbe fa previsione della legge statale s'incontri la norma regiooale, della quale la Corte chiamata ad occuparsi. La disposizione censurata rinvia, certo, ailla J.egge dello Stato (e propriamente, si deve precisare, alJa fonte normativa statale: dunque, non soltanto alle norme da questa prodotte, ma anche alle altre, che possono per l'avvenire derivarne); ma ci, coo l'ulteriore prescriziooe che nell'assunzione della mano d'opera si osservino le norme dettate dallo Stato con speci~co riferimento al lavoro agricolo. Tale ultima statuizione appositamente posta per individuare -in seno alla vigente o futura legislazione statale, oggetto dfil rinvio -un certo 'regime normativo, al quale J.e attivit lavorative, contemplate da11a legge regionale, restano, quanto aiJ. trattamento previdenziale, necessariamente assoggettate. Ai fini della disciplina cos adottata, la classificazione delle suddette attivit quali agricole o forestali, non va, come vorrebbe la difesa della Regione, operata daLl'inteq>rete, alla stregua della legge statale richiamata; essa RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 450 si trova, invece, gi testualmente fissata neMa stessa ilegge 'regioo::i:ale: la quale ultima, proprio per aver disposto in questo 'senso, censurata davanti alla Corte. Nel merito, la questione fondata. Si deve tuttavia osservaxe che il puro e semplice richiamo della legge 'Statale non sarebbe bastato ad inficiare la legittimit dell'impugnata norma regionale. La violazione deLl'art. 117 Cost., sussiste, nella specie, in quanto, come si visto, il legislatore toscano ha configurato un :autonomo criterio di qualificazione delle attivit protette, I laddove fa disposiziOille rinviante avrebbe dovuto 'lasciarle, senza :residui, nell'ambito di applioazione delle norme previdenziali dello Stato: la legge regionale viene per questa via sovrapposta alla ilegge dello Stato, ila quale I per, secondo Costituzione, la 'sola fonte competente a dettare 1a disciplina della specie. Va infatti escluso che il qui censurato regolamento dei profili previdenziali ed assicurativi del ilavoro agricolo possa, iin virt di alouna connessione o derivazione strumentale, ricondursi alla potest legislativa garantita alla Regione in materia di agricoltura e foreste, ex art. 117 Cost. E non ii.mporta poi se, ai fini previdenziali, Je attivit lavorative, delle quailii. si occupa iLa norma in esame, siano, oppur no, oggettivamente attivit agricolo-forestaH: 1sempre ai suddetti fini, la legge regionale non poteva, ad alcun titolo, classificarle come tali, e farne comunque oggetto di proprie previsioni normative. La disposizione censurata va, in conclusione, dichiarata illegittima, per la parte in cui, nel richiamare la fogge previdenziale dello Stato, essa statuisce: m agricoltura; iil che, come si deduce ne11'011dinanza di rinvio, concreta, appunto, un'illegittima interferenza ne1la sfera di produzione normativa de1la fonte richiamata. CORTE COSTITUZIONALE, 3 marzo 1982, n. 50 -Pres. Elia -Rel. Paladin -S.p.A. Miniera Baccarato (n.p.) e Regione Sicilia (avv. Stato Angelini Rota). Espropriazione per pubblica utilit -Ablazioni aventi carattere sanzionarorio Decadenza da concessione mineraria Indennizzo per l'ablazione delle pertinenze minerarie Non garantito. (Cost., art. 42; I. reg. Sicilia 1 ottobre 1956, n. 54, art. 52). La garanzia del salvo indennizzo prevista dall'art. 42, terza comma, Costituzione non si estende alle ablazioni aventi carattere sanzionatorio, quale l'acquisizione al concedente delle pertinenze minerarie in caso di decadenza del concessionario. (omissis) U Tribunale di Palermo impugna l'art. 52 della legge regionale siciliana 1 ottobre 1956, n. 54, disciplinante la ricerca e la coltiva PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE zione delle sostanze minerali: con particolare riguardo al capoverso dell'articolo medesimo, che in tema di decadenza rimanda alle disposizioni dell'art. 42, ma non alle disposizioni degli artt. 43 e 44 della legge in questione, cUJi fa invece richiamo il primo comma, circa la rinuncia del concessionario e la revoca della concessione mineraria. Per conseguenza di tali distinti rinvii, nei casi di rinuncia e di revoca appartengono al concessionario cessante -come prevede il primo comma dell'art. 43 - gli oggetti destinati alla coltivazione che possono essere separati senza pregiudizio deHa miniera, salvo che l'Amministrazione regionale e il concessionario subentrante non .intendano ritenerti corrispondendone il valore; laddove, nel caso della decadenza, vale ad ogni effetto la statuizione dell'art. 42, primo comma, in base alla quale il concessionario deve consegnare la miniera e le sue pertinenze all'Amministrazione regionale o al nuovo concessionario . Cos interpretata, coerentemente con ci che ha ritenuto fa istessa Corte di cassazione, la norma impugnata sarebbe per altro lesiva dell'art. 42 Cost., nella parte in cui si esige che a favore del proprietario espropriato per motivi d'interesse generale sia disposto un indennizzo; e si porrebbe del pavi in contrasto con l'art. 117 Cost., vtiolando in particolar modo j;l principio fondamentaile desumibile dall'art. 43 del 1r.d. 29 luglio 1927, n. 1443, per cui il nuovo concessionario della miniera che sia stata oggetto di decadenza pu ritenere anche i beill. separabili senza pregiudizio della miniera medesima, purch ne corrisponda il prezzo al concessionario precedente . La questione infondata. Del tutto improprio si .dimostra, in primo luogo, il riferimento all'art. 117 Cost. Il limite dei princpi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, relativo ad ogni singola materia attribu:ita alla competenza legislativa delle Regioni ordinarie, infatti inestensibile alla legislazione esclusiva della quale dotata in materia d:i miniere l'Assemblea regionale siciliana, per espresso disposto dell'art. 14 ~ett. h) dello Statuto speciale. N si potrebbe elevare a principio generale dell'oroinamento, per fame comunque applicazione nella specie, fa .pretesa regola !in forza del1a quale sarebbe riservata al proprietario della cosa accessoria la facolt di far cessare il vincolo pertinenziale. In tema di pertinenze in genere, e di pertinenze minerarie in particolare, vale anzi il criterio -fissato dal primo comma dell'art. 818 cod. civ. -per cui la cosa accessoria rimane assorbita nelle vicende giuridiche della cosa principale; tanto vero che le stesse pertinenze minerarie separabili non possono venir liberamente asportate dal concessionario cessante, ma sono in ogni caso suscettibili di acquisizione da parte del nuovo concessionario, anche se questi tenuto al pagamento del prezzo (cfr. l'art. 36 della ricordata legge mineraria del 1927). 452 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO L'ipotesi in esame rimane, d'altra parte, estranea all'ambito di operativit dell'art. 42 Cost., l dove sd richiede che ogni espropriazione venga indennizzata. Vero che nell'art. 43, primo comma, della legge mineraria siciliana si stabilisce in via di principio che le pertinenze separabili continuino ad appartenere al concessionario cessante; sicch la contraria prescrizione risultante dal combinato disposto degli artt. 52, secondo comma., e 42, primo comma, rappresenta una deroga non connaturata al regime delle pertinenze medesime, per quanto esso sia particolare. Ma la deroga si giustifica, da:l momento che la decadenza non pu esser pronunciata dall'Amministrazione regionale, se non quando. si accerti e si contesti l'inadempimento del concessionario, nei casi puntualmente indicati dall'art. 48 della legge regionale e fatta sempre salva la forza maggiore. Resta per ci stesso escluso che ci si trovi in presenza di una vera e propria misura espropriativa, inquadrabile nella previsione dell'art. 42, terzo comma, della Costituzione. Trattasi, al contrario, di una ablazione avente un carattere sanzionatorio, giacch la perdita della propriet privata o del diritto di averne corrisposto il prezzo si ricollega ad un comportamento colpevole del concessionario (omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 1 aprile 1982, n. 65 -Pres. Elia -Rel. Paladin Regione Fniuli Venezia Giulia (avv. Pacia) e Presidente del Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Azzariti). Regione -Enti pubblici locali operanti in materie di competenza regionale Attribuzioni legislative e amministrative della regione. Gli enti pubblici locali operanti nelle materie di competenza propria di una regione (nella specie, a statuto speciale), pur restando distinti dagli enti strumentali o para-regionali, sono per vari aspetti assoggettati ai poteri regionali di supremazia e possono essere riorganizzati ad opera della Regione. (omissis) Il ricorso in esame investe l'intera legge riapprovata il 28 settembre 1976 dal Consiglio regionale del Friuli-Venezia Giulia, per disciplinare lo stato giuridico ed il trattamento economico del personale delle Camere di commercio, industria, artigianato ed agricoltura. Il Presidente del Consiglio assume che la legge sia viziata per incompetenza, in quanto alla Regione Friuli-Venezia Giulia farebbe difetto la potest legislativa in tema di ordinamento delle Camere di commercio e di stato giuridico ed economico del personale ad esse addetto. Da un lato, cio, le Camere stesse non potrebbero venir trattate alla stregua di enti strumentali della Regione, essendo invece dotate di un certo grado PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE di indipendenza nei confronti dell'apparato regionale, implicitamente garantito dall'art. 5 della Carta costituzionale. D'altro lato, la circostanza che le materie dell'agricoltura, dell'iniustria, del commercio. e dell'artigianato siano tutte attribuite alla Regione Friuli-Venezia Giulia dall'articolo 4, n. 2, n. 6 e n. 7, del relativo Statuto speciale, non comporterebbe uno specifico riconoscimento della competenza regionale nel settore considerato dalla legge impugnata: riconoscimento di cui non vi traccia -avverte il ricorrente -nelle disposizioni statutarie, diversamente da ci che si verifica nello Statuto del Trentino-Alto Adige. Sotto entrambi gli aspetti, la questione infondata. Non pertinente, anzitutto, il richiamo all'art. 5 della Costituzione~ per cui la Repubblica... riconosce e promuove le autonomie locali, adeguando i principi ed i metodi della sua legislazione -sia essa statale o regionale -alle esigenze dell'autonomia e del decentramento; n occorre addentrarsi, per: averne la dimostrazione, nella problematica riguardante la natura cl.elle Camere di commercio, accertando se sia dato assimilarle -ed eventualmente a quali effetti -agli enti territoriali minori, puntualmente menzionati dagli artt. 114 e 128 Cast., ovvero agli altri enti locali di cui si fa cenno negli artt. 118 e 130 della Costituzione. Determinante comunque la considerazione che, allo stato attuale: dell'ordinamento, le Camere di commercio non dispongono, quanto ali complessivo regime del loro personale, di alcuna autonomia normativa, suscettibile di venire lesa dalla legge regionale impugnata. Del resto, ben prima che fosse istituita la Regione Friuli-Venezia Giulia, il trattamento del personale delle Camere formava invece l'oggetto di regolamenti-tipo, imperativamente dettati -con riguardo a tutto il territorio nazionale -per mezzo di decreti interministeriali. Basti infatti ricordare il decreto del 1 marzo 1958, che sostituiva il regolamento-tipo del 26 maggio 1937 (e successive modificazioni). Ed significativo che questo testo recasse continui e sistematici riferimenti allo statuto degli impiegati civili dello Stato, approvato con il d.P.R. n. 3 del 1957, sia per fissare il trattamento economico dei dipendenti camerali, sia per regolare l'inizio del rapporto d'impiego e le carriere del personale medesimo, sia per disciplinare la cessazione del rapporto: senza mai consentire che siffatte disposizioni regolamentari fossero autonomamente derogabili da parte di ciascuna singola Camera. Sostanzialmente identica anche l'ispirazione del successivo regolamento- tipo, approvato con d.m. 16 marzo 1970 -in base all'espressa previsione dell'art. 3, secondo comma, della legge 23 febbraio 1968, n. 125 ed ancora vigente alla data del ricorso in esame, salve alcune modifiche non incidenti sui motivi del ricorso stesso. Gli artt. 3, quarto comma, 4, primo comma, 5, ultimo comma, 11, terzo comma, 12, primo comma, 21, primo e secondo comma, 25, ultimo comma, 26, secondo comma, 30, RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 454 33, ultimo comma, 37, 38, 39, 48, ultimo comma, 50, 55, ultimo comma, 60 cpv., 63, primo comma, 65, primo comma, 94, 96, primo comma, 100, 104 insistono infatti nell'equiparare il personale delle Camere di commercio al personale statale; tanto vero che la norma di chiusura contenuta nell'art. 105 richiama, per tutto quanto non esplicitamente stabilito nel presente regolamento, ... le disposizioni vigenti, in materia di stato giuridico, per .i dipendenti civili dello Stato. Ci che pi conta, il regolamento-tipo del 1970 ancor pi dettagliato che il corrispondente testo del 1958; e al pari di esso non lascia alle singole Camere significativi spazi di autoorganizzazione, interferenti con le norme generali in tema di stato giuridico ed economico del personale. N, sotto questo profilo, la situazione muta per effetto del sopravvenuto decreto interministeriale 2 marzo 1981, approvativo del nuovo regolamento-tipo per il personale deHe Camere stesse: sia perch tale testo riproduce in gran parte le disposizioni previgenti, e comunque ripresenta la struttura del regolamento del 1970; sia perch esso continua a rinviare alla disciplina dei dipendenti civili deHo Sttao, tanto per mezzo di una nutrita serie di specifici disposti, quanto con la norma di chiusura dell'art. 111. Cos stando le cose, chiaro che l'equiparazione progettata dal legislatore del Friuli-Venezia Giulia, per cui il trattamento dei dipendenti camerali dovrebbe esser disciplinato -in linea di massima -dalle norme concernenti il personale della Regione (secondo i criteri di inquadramento fissati dall'art. 2 della legge in questione), non verrebbe a privare le Camere di nessuna sfera di competenza e di autodeterminazione, che sia loro riservata sul piano nazionale. E non si pu dire che le Camere stesse risultino in sostanza degradate ad enti strumentali della Regione, per il solo fatto che lo stato del loro personale venga modellato sull'ordinamento dei dipendenti regionali. S'intende, viceversa, che i richiami alla legge regionale 5 agosto 1975, n. 48 ( Stato giuridico e trattamento economico del personale della Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia), non concretano altro che un punto di riferimento, allo stesso modo dei richiami allo statuto degli impiegati civili dello Stato, operati nei predetti decreti interministeriali. A loro volta, anzi, le due di'scipline cos richiamate possono considerarsi fondamentalmente affini, dato il principio dettato dall'art. 68, secondo comma, dello Statuto speciale del Friuli-Venezia Giulia, per cui le norme sullo stato giuridico ed il trattamento economico del personale del ruolo regionale devono uniformarsi alle norme sullo stato giuridico e sul trattamento economico del personale statale . D'altra parte, non fondato l'assunto che l'ordinamento delle Camere di commercio esorbiti dalle materie elencate nell'art. 4 dello Statuto speciale del Friuli-Venezia Giulia. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Vero che tale Statuto non inserisce le Camere stesse, n sotto il profilo funzionale n sotto il profilo strutturale, fra gli oggetti della competenza legislativa regionale piena o primaria (e nem:rp.eno vi accenna nei successivi articoli); sicch, per il Friuli-Venezia Giulia, manca una puntuale attribuzione statutaria, del genere di quella risultante dall'articolo 4, n. 8, del vigente Statuto per il Trentino-Alto Adige (come pure dall'art. 4, n. 13, dell'originario Statuto del 1948). Ma l'espressa previsione dell' ordinamento delle Camere di commercio rispondeva e risponde, nel caso del Trentino-Alto Adige, a ragioni del tutto peculiari, che non trovano riscontro nel caso del Friuli-Venezia Giulia. Secondo lo Statuto del 1948, le materie in cui agiscono le Camere venivano divise fra la Regione e le Province di Trento e di Bolzano, nel senso che alla competenza regionale appartenevano l' agricoltura e 1' incremento della produzione industriale e delle attivit commerciali, mentre alla competenza provinciale residuava l' artigianato; ed un'ulteriore sfasatura discendeva da ci che l' agricolturn rientrava fra le materie di competenza primaria, mentre l' incremento della produzione industriale... era fartto ricadere nella competenza ripartita: sicch risultava comunque opportuno chiarire a quale ente autonomo spettasse, ed a quale titolo, disciplinare le Camere di commercio. Ma questa esigenza si dimostra ancora pi pressante alla stregua dell'attuale Statuto, che affida alle Province sia 1' artigianato, sia l' agricoltura, sia il commercio e l' incremento della produzione industriale : con la conseguenza che, per mantenere la competenza regionale sull' ordinamento delle camere di commercio, si reso indispensabile continuare ad enuclearlo, separandolo nettamente dai settori pertinenti alle varie funzioni delle Camere medesime. Il che, viceversa, non si verifica affatto secondo lo Statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia, cui spettano tanto l' agricoltura e l' artigianato quanto l' industria e commercio (cfr. l'articolo 4, n. 2, n. 6 e n. 7), senza alcuna distinzione per ci ch riguarda il tipo della relativa competenza. Ne segue che dal silenzio delle disposizioni statutarie per il FriuliVenezia Giulia, circa l'ordinamento delle Camere di commercio, non pu trarsi alcuno spunto atto a risolvere la presente controversia. Al contrario, vale anche in tal campo la regola -gi messa in evidenza dalla Corte (nelle sentenze n. 62 e n. 178 del 1973) e poi canonizzata dall'art. 13 del d.P.R. n. 616 del 1977 -per cui gli enti pubblici locali operanti nelle materie di competenza propria delle Regioni, pur restando concettualmente distinti dagli enti strumentali o para-regionali, sono in vario senso assoggettati ai poteri regionali di supremazia, prestandosi dunque a venire riordinati e riorganizzati da parte delle Regioni medesime. Ed effettivamente, quanto alle Camere di commercio del Friuli 456 RASSEGNA DEIL'AVVOCATURA DELLO STATO Venezia Giulia, di questo criterio hanno fatto ripetuta applicazione le norme di attuazione statutaria e la giurisprudenza della Corte stessa. In un primo tempo, l'art. 8 del d.P.R. n. 1116 del 1965 ha trasferito all'Amministrazione regionale la generalit delle attribuzioni degli organi centrali e periferici dello Stato in materia di industria e commercio (nonch in tema di artigianato), con una formula implicitamente comprensiva dei poteri relativi all'assetto delle Camere di commercio: com'era confermato dall'art. 9 del decreto stesso, secondo il quale i poteri di vigilanza concernenti i compiti demandati alle Camere per esigenze statali continuano invece a venire esercitati dal Ministero dell'industria e del commercio, ed anche dal successivo art. 10, in cui s'attribuisce espressamente alla Regione -ma entro i limiti massimi previsti dalle leggi dello Stato, d'intesa col Ministero dell'industria e del commercio la determinazione dell' aliquota dell'imposta camerale, da applicare nella circoscrizione di ciascuna Camera. Su questa base, la Corte ha potuto -nella sentenza n. 82 del 1970 -definire le Camere di commercio del Friuli-Venezia Giulia quali enti pubblici locali... soggetti alla competenza regionale, sia pure nei limiti fissati dall.e norme statutarie e di attuazione , per la tutela di interessi generali . E ila Regione ha conseguentemente stabilito, nel periodo intercorso fra il 1968 ed il 1975, una serie di disposizioni legislative riguardanti le Camere, anche nel senso di dettare provvedimenti a favore del loro personale (mediante la legge 22 luglio 1969, n. 16). In un secondo tempo, per coinvolgere nel trasferimento alcune residue riserve di competenza statale e per troncare i dubbi interpretativi precedentemente insorti, l'art. 20, primo comma, del d.P.R. n. 902 del 1975 ha quindi precisato che in tutti i casi in cui le norme sull'ordinamento delle Camere ,di commercio, industria, artigiam.ato ed agricoltura e delle commissioni e degli uffci, costituiti presso le medesime, fanno riferimento a funzioni amministrative di organi centrali o periferici dello Stato, a questi s'intendono sostituiti gli organi della Regione . Di fronte ad un disposto cos chiaro, cui non si accompagnano eccezioni di sorta, non dato replicare -come fa la parte ricorrente -che la submateria dello stato giuridico ed economico del personale camerale non sarebbe interessata dal trasferimento; e che, in ogni caso, il passaggio delle funzioni amministrative non implicherebbe l'attribuzione delle corrispondenti potest legislative. Da un lato, non esatto che gli organi centrali dello Stato non siano titolari di funzioni amministrative pertinenti ai ruoli delle Camere ed al trattamento dei loro dipendenti: va infatti ricordato, nuovamente, che il Tegolamento-tipo per il personale in questione stato approvato e modificato per mezzo di decreti interministeriali, in cui si attribuiscono -del resto -specifiche funzioni al Ministero competente, sia quanto PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE alle dotazioni organiche delle Camere, sia quanto alle assunzioni nei posti disponibili, sia quanto alla cassa pensioni ed alla cassa di previdenza, sia quanto a tutte le deliberazioni concernenti il personale adottate dalla Giunta Camerale in veste di Consiglio di Amministrazione (cfr. gli articoli 2 cpv., 3~ terzo comma, 75, terzo comma, 80, penultimo.ed ultimo comma, 93 del citato d.m. 16 marzo 1970, vigente all'atto dell'entrata in vigore del d.P.R. n. 902 del 1975); e nulla consente di affermare che fun. zioni del genere siano state complessivamente sottratte al trasferimento, tanto pi che nell'ordinamento di un ente naturalmente incluso lo stato giuridico ed economico del suo personale (come la Corte ha chiarito, relativamente ai dipendenti delle Regioni ordinarie, sin dalla sentenza n. 40 del 1972). D'altro lato, la Corte ha pi volte riaffermato (da ultimo, nella sentenza n. 70 del 1981) la regola del parallelismo tra funzioni amministrative e legislative regionali, senza di che rimarrebbe insoddisfatta la stessa esigenza di legalit dell'amministrazione: regola che deve applicarsi nel caso in esame, non essendo in discussione che il trasferimento 'disposto dall'art. 20, primo comma, del d.P.R. n. 902 del 1975 riguardi funzioni amministrative statutariamente proprie della Regione Friuli-Venezia Giulia, non gi funzioni statali delegate. N giova ipotizzare -seguendo le argomentazioni svolte dall'Avvocatura dello Stato nella pubblica udienza -che il particolare trattamento del personale camerale del Friuli-Venezia Giulia, quale stato previsto dalla legge regionale impugnata, possa violare il combinato disposto degli artt. 3 e 36 della Costituzione. Qualunque sia la fondatezza di questa censura, essa non incide sulla competenza regionale in materia di ordinamento delle Camere di commercio, ma riguarda solo il modo di eser:izio della competenza stessa, che si assume lesivo -nella specie dei citati principi costituzionali. Posta in questi termini, pertanto, si tratta di una censura completamente nuova, che la Corte non pu prendere in esame, dal momento che essa non trova corrispondenza nei motivi del ricorso, collegandosi anzi a parametri del tutto diversi da quelli che il Presidente del Consiglio dei ministri aveva inizialmente richiamato. Fermo rimane, tuttavia; che il ricorso va rigettato alla stregua della disciplina legislativa statale attualmente in vigore. infatti ben noto che l'assetto delle Camere di commercio si presenta lacunoso e per diversi aspetti provvisorio, da quando le Camere stesse sono state ricostituite, in virt del decreto legislativo luogotenenziale n. 315 del 1944: non ha avuto 'un seguito compiuto il preannuncio di una nuova disciplina legislativa sulla costituzione, sul personale e sul funzionamento delle Camere, gi contenuto nell'art. 8, primo comma, del decreto predetto; e non stato neppure adempiuto l'ulteriore impegno di adottare RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 458 una legge cli riforma dell'ordinamento camerale e del relativo finanziamento , assunto dall'art. 64 cpv. del d.P.R. n. 616 del 1977. Ma la Regione Friuli-Venezia Giulia non pu vedersi precluso, in difetto di tale riforma, l'esercizio delle competenze che le spettano in materia. (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 29 aprile 1982, n. 81 -Pres. Elia -Rel. La Pergola -Coccia (avv. Baccelli), Turkish airlines (avv. Sparri) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Carafa). Corte Costituzionale -Giudizio incidentale -Ordinanza di rinvio -Oggetto del sindacato di costituzionalit -Onere di individuazione -Incombe sul giudice a quo . Il giudice a quo ha l'onere, a pena di inammissibilit della questione sollevata, di individuare la disposizione applicabile nella controversia e che si intende sottoporre a sindacato di costituzionalit. (omissis) La Corte ritiene di dover preliminarmente osservare che nell'ordinanza di rinvio non nemmeno individuata la norma applicabile alla controversia, di cui investito il giudice a quo: sono infatti denunziati, sia il disposto della Convenzione, sia queHo del codice della navigazione, ai quali si fatto sopra riferimento; e si dice da un canto che la regola desunta dalla Convenzione di Varsavia stata impugnata dalla parte attrice nel giudizio di merito, dall'altro che la societ convenuta deduce l'applicazione, nella specie, deHa norma del codice. Ma si tratta, va subito detto, di norme diverse, che non possono essere coinvolte nella censura di incostituzionalit unitamente e indistintamente allo stesso titolo, come si fa nel provvedimento di rimessione. Ciascuna delle regole censurate pone, precisamente, un proprio precetto, ed ha un autonomo campo cli operativit. Ch anzi, l'una pu ricevere applicazione nel caso in esame, solo ad esclusione dell'altra, secondo se la fattispecie sia ricondotta nella sfera in cui vengono in rilievo la Convenzione cli Varsavia e le successive modifiche, (sempre in quanto, beninteso, internamente efficaci), ovvero sia sussunta sotto la generale previsione del codice della navigazione. Una simile operazione ermeneutica, indispensabile perch l'oggetto del sindacato ,cli costituzionalit sia definito e la questione possa ritualmente salire innanzi a questa Corte, spetta, evidentemente, solo al giudice sottordinato; il Tribunale di Roma ha invece trascurato cli compierla, e cos ha anche mancato di delibare -come gli imponeva il vigente ordinamento -la rilevanza del proble PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE ma che si prospetta in questa sede, limitandosi ,ad un semplice e inconferente richiamo degli opposti assunti difensivi delle parti. iin ordine all'individuazione della norma regolatrice della specie. La questione deve essere quindi dichiarata inammissibile. (omissis) I CORTE COSTITUZIONALE, 12 maggio 1982, n. 88 -Pres. Elia -Rel. Reale -De Maria (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Angelini Rota). Tributi in genere Accertamento divenuto definitivo in via amministra tiva -Non fa stato nei procedimenti penali. (Cost., artt. 3, 24 e 101; I. 7 gennaio 1929, n. 4, artt. 21 e 60). I limiti al principio del libero convincimento del giudice penale contrastano con l'art. 101, comma secondo, Cast., sono pertanto costituzionalmente illegittimi gli artt. 60 e 21, terza comma, della legge 7 gennaio 1929, n. 4, nella parte in cui prevedono che l'accertamento dell'imposta e della relativa sovrimposta, divenuto definitivo in via amministrativa, faccia stato nei procedimenti penali per la cognizione dei reati preveduti dalle leggi tributarie in materia di imposte dirette. II CORTE COSTITUZIONALE, 12 maggio 1982, n. 89 -Pres. Elia -Rel. Reale -Placucci (avv. Nuvolone e Angelucci) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Angelini Rota). Tributi in genere -Repressione penale degli illeciti tributari in materia di I.V.A. e di imposte dirette -Azione penale Pregiudiziale necessaria Legittimit costituzionale -Limiti. (Cost., artt. 3, 53 e 112; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 58; d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 56). Il principio della obbligatoriet dell'azione penale, confermato dall'art. 112 Cast., pu subire deroghe, purch non ingiustificate e non irrazionali. costituzionalmente legittimo che l'azione penale abbia corso solo dopo che l'accertamento dell'imposta sia divenuto definitivo, quando da tale accertamento dipende se il reato esiste oppure non esiste. invece privo di giustificazione e perci incostituzionale il divieto di procedere penalmente prima del definitivo accertamento dell'imposta quando il reato (nella specie, falsa fatturazione ai fini I.V.A. di operazioni inesistenti) formale e di pericolo, e prescinde dalla commissione di un fatto RASSEGNA DEIL'AVVOCATURA DELLO STATO Concreto di evasione. Pertanto, non fondata la questione di legittimit costituzionale dell'art. 56, ultimo comma, in relazione al comma terzo, lett. e, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600; invece costituzionalmente illegittimo l'art. 58 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 nella parte in cui .dispone che l'azione penale .ha corso dopo che l'accertamento divenuto .definitivo anche nel caso del reato indicato nel quarto comma dell'art. 50 .dello stesso d.P.R. n. 633 (1). III CORTE COSTITUZIONALE, 10 giugno 1982, n. 108 -Pres. Elia -Rel. Conso -Taddei ed altri (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Carafa). Reato -Detenzione e porto d'arma Pareri della commissione amministrativa sulla catalogazione delle armi Rilevanza ai fini penali Legittimit costituzionale. (Cost., artt. 3, 24, 25, 70 e 101; 1. 18 aprile 1975, n. 110, art. 2). Non contrasta con gli artt. 3, 24, 25, 70 e 101 Cast. l'art. 2, terza comma, della legge n. 110 del 1975, nella parte in cui, anche per le armi ad aria .compressa sia lunghe che corte, attribuisce alla commissione consultiva .di cui all'art. 6 della stessa legge il potere di escludere, in relazione alle .caratteristiche proprie di tali armi, l'attitudine a recare offesa alla per. sana (2). IV .CORTE COSTITUZIONALE, 18 giugno 1982, n. 114 -Pres. Elia -Rel. Maccarone Ballocco ed altri (n.p.) . .Procedimento penale Giustizia militare Officialit dell'azione penale Richiesta di autorit militare Legittimit costituzionale. (Cost., art. 112; cod. pen. mil. pace, art. 260). Il principio della obbligatoriet dell'azione penale non implica un principio di necessaria officialit di detta azione: non contrastano con .l'art. 112 Cast. le disposizioni che condizionano il promovimento o la prosecuzione di essa anche in considerazione di interessi perseguiti dalla pubblica amministrazione (3). (1-3) Obbligatoriet dell'azione penale, offcialit dell'azione penale e cosid. detta pregiudiziale tributaria. Motivi di impaginazione hanno indotto a pubblicare l'articolo che segue m questa sede invece che nella parte II, che sarebbe stata I l i PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 461 I (omissis) Come si evince dalla narrativa, la Corte d'Appello di Palermo doveva giudicare della responsabilit penale di un contribuente che aveva denunciato nel 1971, con riferimento all'anno 1970, un reddito che -secondo le risultanze di un concordato fra un mandatario dello stesso contribuente e l'Ufficio delle Imposte -sarebbe stato invece prodotto nell'anno 1969 e avrebbe dovuto quindi essere denunciato nell'anno 1970. Il contribuente aveva chiesto in tribunale (dove era stato condannato), e chiedeva in appello, di essere ammesso a provare che in realt il reddito era stato percepito nel' 1970, e quindi la denuncia era stata tempestiva. Ma la Corte d'Appello rilevava che l'art. 60 della le~e 7 gennaio 1929, n. 4, (come interpretato dalla Cassazione), escludendo l'applicabilit alla materia delle imposte dirette dell'art. 22 della stessa legge, vincolava tassativamente il giudice penale all'esito di un procedimento amministrativo e quindi, nella specie, precludeva la prova invocata dal contribuente al fine di escludere il fatto-reato imputatogli. La Corte dubitava quindi della costituzionalit del detto vincolo che costituisce deroga a due principi fondamentali dell'ordinamento processuale penale: quello che affida l'accertamento dei fatti al libero convincimento del giudice, con esclusione assoluta, nel suo ambito, di prove legali; e quello che ammette rispetto al giudizio penale vincoli di pregiudizialit solo in rapporto a casi limitati di decisioni di altri giudici . La questione fondata. Occorre preliminarmente osservare che, pur avendo nel dispositivo invocato quali parametri soltanto gli artt. 3 e 24 della Costituzione, tutta l'impostazione dell'ordinanza, come espressamente risulta dalle proposizioni sopra citate, nelle quali si denuncia la vio1azione del principio del libero convincimento del giudice, chiama in causa anche l'art. 101, secondo comma, della Costituzione. Pertanto, in conformit di quanto gi la sua naturale. L'articolo stesso, infatti -cos come pi in particolare tutti gli scritti pubblicati nella parte II della Rassegna -esprime solo il pensiero del suo autore, come tale non riferibile a questa pubblicazione di servizio. Le questioni deoise con le sentenze in rassegna hanno in comune la tematica della collaborazione tra magistratura ordinaria ed altre pubbliiche autorit, ancor ch, come per le commissioni tributarie, reputate giurisdizionali. Tale tematica meriterebbe di per s una attenta analisi, che per non pu essere fatta in una breve nota; appare peraltro doveroso segnalare come sempre pi si tenda a considerare La repressione penale una materia a s stante affidata alfa gestione della magistratura, anzich un semplice (ed aggiuntivo) strumento per raggiungere obiettivi di convivenza civile e politica esterni alla giustizia (1). Questa tendenza si manifesta anche attraverso una enfiat.izzazione -rinve nibile nlle ordinanze su11e quali stata resa la sentenza Ii. 89 -del significato dell'art. 112 Cost. Mediante tale enfatizzazione si cerca di aggiungere al principio (1) Questa nota stata redatta prima dell'emanazione del d.l. n. 429 del 1982. 462 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO altre volte ritenuto daUa Corte (cfr. sent. n. 1 del 1971), la questione deve essere esaminata anche con riferimento all'art. 101, secondo comma, della Costituzione. Il fatto che U reddito del quale si discuteva fosse stato percepito nel 1969 (non nel 1970, come sostenuto dal contribuente) risultava da un concordato al riguardo intervenuto il 17 febbraio 1972 tra l'ufficio impositore e un legale da lui (hl contribuente) :incaricato. Esattamente H giudice a quo ha attribuito al concordato il valore di un atto amministrativo, contrapponendolo alle decisioni di altri giudici rispetto alle quali sarebbero ipotizzabil'i vincoli di pregiudizialit per il giudice penale. In effetti la giurisprudenza della Cassazione e della Commissione Centrale Tributaria e la prevalente dottrina, escludendo il carattere transattivo del concordato, lo qualificano come un atto di accertamento autoritativo cui il contribuente presti adesione; comunque, come atto amministrativo , che esclude ogni connotato del provvedimento giurisdizionale. Ora l'art. 60 della legge n. 4 del 1929, escludendo l'applicabilit ai tributi diretti dell'art. 22 della stessa legge, sostanzialmente conferma la disposizione del terzo comma dell'art. 21 ( per i reati previsti dalla legge sui tributi diretti l'azione penale ha corso dopo che l'accertamento dell'imposta e della relativa sovraimposta divenuto definitivo a norma delle leggi regolanti la materia), che, secondo la costante giurisprudenza, attribuisce a tale accertamento, anche quando si sia gi verificato in fase amministrativa, un'efficacia vincolante per il giudice penale, certamente incompatibile con il principio del libero convincimento, tanto pi rigoroso della obb1igatortlet dell'azione penale (art. 1 cod. proc. pen.). La prews1one di una fattispecie penale si tradurrebbe, dn sostanza, nell'attribuzione al potere giudiziario di una competenza piena su tutta una serie di affari , cos sottratti ad ogni altra potest pubblica ed aggregatli! alla materia penale. In realt, l'art. 112 Cost. enuncia unicamente che il pubblico ministero ha l'obbligo di esercitare l'azione penale; esso, come chiaramente risulta dagli atti della Costituente, si limita a dar forza costituzionale a norme preesistenti . (l'art. 74 del codice di procedura penale del 1930 e l'art. 74 dell'ordinamento giudiziario del 1941) indirizzate ai magistrati inquirenti, e volte a costituire vincolanti obblighi di servizio a loro carico, e non anche a determinare una pienezza incomprimibilit ed esclusivit delle loro potest di iniziativa penale. Il costituente si ben guardato dallo stabilire che l'iniziativa penale Ǐ riservata al pubblico ministero e non pu essere sottoposta a condizioni. Del resto, esistono nel nostro ordinamento istituti -primo fra tutti la querela della parte lesa -che condizionano l'azione penale e/o la punibilit dell'autore del fatto. E, almeno per la querela, nessuno ha mai dubitato della sua costituzionalit, come nessuno ha sollevato pregiudiziali obiezioni al recente ..~I- ~ -~ PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 463 in sede di giudizio penale. E anche l'art. 21, terzo comma, cos interpretato e applicato, deve perci intendersi compreso nella questione sollevata. Tale evidente violazione dell'art. 101, secondo comma, della Costituzione si combina con queLla degli artt. 24 e 3. I1l primo violato in quanto l'accertamento amministrativo che fa stato nel giudizio penale impedisce l'esercizio del diritto inviolabile della difesa. Il secondo perch la preclusione per il giudice penale, che deriva dall'accertamento amministrativo in materia tributaria, differenzia irrazionalmente la condizione degli imputati secondo che l'imputazione sia conseguente ad un accertamento amministrativo tributario o no e, nell'ambito degli accertamenti amministrativi tributari, sia relativa a imposte dirette o indirette. II (omissis) Come esposto in narrativa, la Cassazione era investita di ricorso avverso mandati di cattura spiccati nei confronti di tre imputati del reato di cui all'art. 50, quarto comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (falsa fatturazione e annotazione nel registro degli acquisti IVA): i Ticorrenti, peraltro in libert provvisoria, deducevano la nullit dei mandati per il reato tributario per difetto della condizione di procedibilit di cui all'art. 58, ultimo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972 , il quale stabilisce appunto che nelle ipotesi previste nell'art. 50 l'azione penale ha corso dopo che l'accertamento dell'imposta divenuto definitivo ampliamento del suo ambito di applicazione. N pare messa in discussione la costituzionalit dell'oblazione, che estingue il reato e quindi anche l'azione penale. Deve peraltro rilevarsi che in talune sentenze della Corte costituzionale dato rinvenire espressioni che -sul filo di una qualche ambiguit -operano una commistione tra principio di obbligatoriet dell'azione penale ,, (che, almeno in teoria, non subisce deroghe, ossia non lascia spazio ad una discrezionalit dei pubblici ministeri) e principio di officialit dell'azione penale (che invece ben pu essere sottoposto a condizioni, quali il verificarsi di determinati presupposti). Cos, nella sentenza n. 4 del 1965 Si legge -e trattasi, per di pi, di un palese obiter dictum -che sarebbero ecce:z;ionalmente dettati, e da norme costit=iona.M, i casi di deroga al pr.incipio dell'obbligatoriet deM'aziione del pubblico ministero... ; e oi in un caso nel quale era lin discussione la offdoialit e non la obbligatoriet>>, per la quale ultima del resto non avrebbe avuto senso parlare di deroghe salvo errore non previste da alcuna norma n costitutlonale n primaria. L'affermazione riferita stata ripetuta, per vero alquanto tralatiaiamente, nella sentenza n. 84 del '1979, ove peraltro poi sd nega che fa Costitu21ione riservi !'!iniziativa penale al pubblico ministero. Invero, come riconosciuto esplicitamente nella sentenza n. '114 ora in rassegna, la Costituzione non impedisce al legislatore ordinario di configurare l'iniziativa penale, in alcuni specifici casi ed anche in assenza di una esplicita auto RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 464 e la prescrizione del reato sospesa fino alla stessa data. La Cassazione, respingendo la interpretazione restrittiva del detto ultimo comma dell'art. 58, secondo la quale esso non riferibile anche alla ipotesi del quarto comma dell'art. 50 (e ci in ragione del generale rinvio che il richiamato ultimo comma dell'art. 58 fa a tutte le ipotesi dell'art. 50), riteneva dubbia, relativamente alla ipotesi considerata, la costituzionalit ex artt. 3 e 112 Cost. della norma. Negli stessi termini la questione, come si detto, veniva sollevata dal tribunale di Forli, che, nella motivazione, si riferiva all'ordinanza dehla Cassazione della quale si gi detto. (omissis) Giustamente i due giudici a quibus (chiamati ad esaminare casi nei quali la disposizione dell'art. 58, ultimo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972 aveva, in concreto, paralizzato sin dall'inizio l'azione penale) hanno rilevato (la Cassazione con espressa motivazione, richiamata dal tribunale) che la detta disposizione opera come una vera condizione di procedibilit che impedisce l'esercizio dell'azione penale. Tale opinione conforme alla prevadente dottrina, a numerose altre pronunzie anche della Cassazione nelle quali, sia in relazione alla normativa del 1929 che a quella entrata in vigore nel 1974, si afferma che il mancato accertamento definitivo impedisce l'instaurazione (o l'inizio) del procedimento penale; ed infine puntualmente confermata da una pronunzia della Cassazione, successiva all'ordinanza di rimessione, nella quale si nega l'operativit della citata disposizione rispetto a:lla ipotesi del quarto comma dell'art. 50 proprio sul rilievo che, diversamente, ci si troverebbe di fronte a una mera condizione di procedibilit , rizzazione del costituente, come subaltern,a e strumentale ad interessi diversi da quello -per vero astratto -all'applicazione della legge penale. A ben vedere, l'insieme delle norme penali costituisce anche, ed anzitutto, un programma delle attivit di repressione ( gi stato osservato che tutto nel mondo del dir.tto programma e che il diritto traduzione dn termind normativi di valutazioni ideologiche e di piani d'azione). Nel formulare tale programma il legislatore necessariamente formula anche previsioni quantitative: e, in funzione di queste, pu alternativamente: -o operare sulla fattispecie dd reato restringendole fino a renderle poco frequenti, -o subordinare le iniziative del pubblico ministero a stimoli provenienti dalle parti lese (anche se pubbliche amministrazioni), -o lasciare aperto il varco della oblazione, a libito dell'imputato o previa discrezionale ammissione al beneficio, -o ripartire tra pi ordini giudiziari, per questioni o altrimenti, il lavoro istruttorio e di decisione, mediante l'istituto della pregiudiziale necessaria idoneo in pratica ad operare anche come filtro. In corrispondenza con queste tecniche di dimensionamento del flusso degli affari possono immaginarsi altrettante aree di intervento (necessario o eventuale, immediato o differito) della repressione penale. Un ben calibrato e PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 465 L'art. 50 del d.P.R. n. 633 del 1972 prevede, come noto, quattro distinte ipotesi di reato: la prima concerne chi si sottrae nel corso di un anno solare al pagamento dell'imposta dovuta (IVA) per un ammontare superiore a lire cento milioni; la seconda chi, sempre nel corso deH'anno solare, consegue un indebito rimborso per un ammontare superiore a cinquanta milioni; la terza chi ha sottoscritto la dichiarazione annuale nelle due ipotesi precedenti; la quarta chi emette fatture per operazioni inesistenti o indica nelle fatture i corrispettivi e le relative imposte in misura superiore a quella reale. I quattro distinti reati, dei quali solo il terzo contravvenzionale, sono puniti con distinte pene edittali. Ma la differenza fondamentale fra i primi tre e il quarto sta nel fatto che dei primi elemento costitutivo l'ammontare della sottrazione al pagamento o dell'indebito rimborso; l'esistenza del quarto, invece, del tutto indipendente dall'ammontare delle false fatture o dalla misura, superiore a quella reale, dei corrispettivi indicati. opportuno, a questo punto, ricordare che il disegno di legge di delega al Governo per la riforma tributaria prevedeva ai punti ~4 e 15 dell'art. 11 l'applicazione dei principi di cui all'art. 22 della legge n. 4 del 1929 ai reati dolosi relativi a tutti i nuovi tributi e la istituzione di sezioni specia:lizzate della magistratura ordinaria competenti per i giudizi anche penali in materia tributaria. Ma il Parlamento non accolse tale previsione e dispose nel senso, poi concretizzato nella legislazione delegata, di attribuire alle Commissioni tributarie, organi giurisdizionali (con facolt alternativa di ricorso alla Commissione centrale o alla Corte di coordinato dosaggio del ricorso all'una o all'altra delle tecniche indicate appare da preferirsi ad opzioni secche e radicali, inevitabilmente troppo semplici, quali ad esempio un uso irrazionalmente generalizzato delle pregiudiziali necessarie, ovvero un dimagrimento delle fattispecie sanzionate tanto sapiente da rendere infrequente il loro realizzarsi. Comunque, nel tracciare un programma delle attivit di repressione penale, il legislatore dovrebbe aver sempre ben presente che prevedere una fatti.specie penale comportla aprire la strada: a) a:lla rrogazione di msure punitive ( questo per soliito l'unico aspetto considerato), b) all'esercizio dei poteri istruttori della magistratura inquirente e giudicante (poteri che -come noto -sono molto pi ampi di quelli attribuiti ad altri organi pubblici), e) ad una devoluzione di affari ai palazzi di giustizia (devoluzione rafforzata da obblighi di rapporto, a loro volta penalmente sanzionati) e ad una correlata compressione delle potest amininistrative eventualmente esistenti, d) ad una compressione anche delle potest decisionali delle autorit giurisdizionali non investite del magistero penale. In questo quadro va ad inserirsi la sentenza n. 89 ora in rassegna, ove si esclude un vulnus al principio della obbligatoriet dell'azione penale non gi -come sarebbe stato lineare ed esauriente -per la preliminare considerazione che il regime dei rapporti tra autorit giurisdizionali diverse, sia esso RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 466 Appello), la cognizione delle controversie tributarie, sottvaendo quindi al giudice penale ogni competenza ad accertare l'ammontare dell'imposta dovuta ed eventualmente sottratta all'Erario. Una volta adottato questo sistema, si comprende, ed costituzionalmente lecito, che nei casi in cui da quell'accrtamento dipende se. H reato esiste oppure no, l'azione penale abbia corso solo dopo che l'accertamento sia divenuto definitivo, come dispone l'ultimo comma dell'art. 58 del d.P.R. n. 633 del 1972. In questi casi non pu nemmeno propriamente parlarsi di una deroga al principio dell'obbligatoriet dell'azione penale, perch manca al P.M. -n egli ha facolt di determinarlo -un elemento essenziale della contestazione del reato, cio fa nozione di quell'elemento -il superamento del previsto ammontare del tributo evaso o del rimborso indebitamente ottenuto che costituisce la soglia oltre la quale il fatto diviene reato. E comunque ben potrebbe chiamarsi in causa per giustificare il mancato corso della azione penale, in attesa dell'accertamento definitivo del tributo, pure quell' esigenza fondamentale di evitare accertamenti 1discordanti anche a livello giurisdizionale dell'imposta dovuta, riconosciuta dalla Cassazione. Ma quando, come nel quarto comma dell'art. 50 del d.P.R. n. 633, il reato del tutto indipendente dalla entit del tributo, perch si tratta della falsa fatturazione di operazioni inesistenti, di indicazione in fattura di corrispettivi in misura superiore a quella reale, o delle relative registrazioni; quando cio si tratta, come si esprime la Cassazione, di un reato formale e di pericolo, indipendente da un fatto concreto di evasione regolato dal criterio della pregiudizialit o da altro criterio, rimane a monte dell'ambito di operativit dell'anzidetto principio, ma per la considerazione, per cos dire attinente al merito, della mancanza di un elemento essenziale della contestazione del reato . Come si vede, l'ambiguit circa l'effettiva portata del principio di obbligatoriet della azione penale, lungi dall'essersi dissolta, ha prodotto qualche altro guasto (fortunatamente privo di conseguenze pratiche). Per il resto, la sentenza n. 89 -che, nella sostanza, fa propria una soluzione cui gi la Corte di cassazione era pervenuta, seppur con qualche audacia -appa re da condividere, e sul piano giuridico e su quello che genericamente pu deno minarsi extra-giuridico. Sul piano giuridico, la pronuncia non ha potuto esaminare -perch costret ta da ordinanze di rimessione abbagliate dalla rivendicazione di una inter pretazione lata (e come si detto non consentita) dell'art. 112 Cost. -una ulteriore questione che forse avrebbe potuto essere posta in relazione all'art. 76 Cost., considerato che la legge delega n. 825 del 1971 non fa parola della pre giudiziale tributaria e che le norme previgenti concernevano solo le imposte dirette e non anche la I.V.A.; sicch, la generalizzazione della pregiudiziale tributaria stata opera di un legislatore delegato (anche in ci un po' troppo indulgente). Sul piano extragiuridico, una criminalizzazione immediata degli illeciti tri butari va inevitabilmente a scapito -per quanto si detto dianzi -di una loro pi estesa criminalizzazione, ed inoltre pone, ad una efficiente gestione dei tributi, pi problemi di quanti non contnbuisca a risolvere (basi pensare, ~ PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 467 e punibile cli per s a titolo di dolo generico; quando manca perfino ogni riferimento della pena edittale all'entit dell'evasione: allora certamente il divieto cli procedere fino a quando l'accertamento della imposta non sia divenuto definitivo integra una deroga, senza alcuna giustificazione, al principio dell'obbligatoriet dell'azione penale consacrato nell'art. 112 della Costituzione, il che basta a determinare l'illegittimit della norma denunciata e dispensa la Corte dall'esaminare la questione in relazione all'art. 3 della Costituzione. A questa conclusione la difesa della parte privata oppone una serie di considerazioni che si richiamano quasi interamente all'ultimo capoverso dell'art. 21 della legge n. 4 del 1929 e alle disposizioni del d.P.R. n. 61l0 del 1973, cio alla materia delle imposte dirette, per poi farne applicazione, con un salto logico non consentito, a tutti i reati in materia di imposte indirette, quaile l'IVA. Pertanto anche impropria e non producente la citazione della sentenza n. 32 del 1968 della Corte, la quale si riferisce all'art. 252 del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645 sulle imposte dirette e nega che esso abbia violato l'art. 76 della Costituzione per avere soppresso l'ultimo comma dell'art. 35 della legge cli delegazione n. 1 del 1956, che, in deroga dell'art. 21 della legge 7 gennaio 1929, n. 4, consentiva che per certi reati fiscali l'azione avesse corso senza il preventivo accertamento dell'imposta . La stessa difesa cerca conferma alla sua tesi nella tradizione legislativa che, invece, Ie contraria. ad esempio, all'eventualit che si creino accumuli di affari tributari puramente e semplicemente giacenti nelle segreterie e cancellerie giudiziarie, ed al possibile dilagare di segreti istruttori opponibili anche alla amministrazione finan' iiaria). Il dimensionamento ottimale della repressione penale degli illeciti \;ibutari operazione che richiede accorte calibrature e non pu essere risolta ~olpi di maglio o, peggio, sotto la pressione di rivendicazioni . ,N possono essere sottovalutati il rischio che, ad un elevato numero di rap \ trasmessi allo sbando e per scarico di responsabilit (cio per il ..,, neppur remoto, di una imputazione per omissione di rapporto), segua ~ato numero di pronunce assolutorie facenti stato nei processi tribu \ rischio che le possibilit di valorizzazione degli indizi, gi ridotte dalla 'te riforma tributaria del 1911 e dai decreti delegati che l'hanno attuata, ?er l'isultiare ulteriormente compresse per effetto delle comprensibili ~ appliowe sanzioni penald in assenza di prove adeguatamente con ~uti. Si gi osservato che negli Stati Uniti il fisco federale fa sottoporre a processo penale per evasione e frode fiscale mediamente poco pi di duecento persone all'anno, mentre i contribuenti che presentano dichiarazioni sono circa 90 milioni. Ci, ovviamente, non perch quasi tutti gli americani sono in regola con i loro obblighi tributari, e neppure perch in materia le ipotesi di reato siano tanto circoscritte da risultare raramente realizzate. La spiegazione di un cos limitato intervento repressivo si trova nel fatto che l'azione penale attivata soltanto quando la amministrazione ne fa richiesta. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO L'IVA, infatti, una imposta indiretta che ha sostituito l'IGE, vigente fino all'entrata in vigore del d.P.R. n. 633 del 1972. Ora la legge istitutiva dell'IGE (d.l. 9 gennaio 1940, n. 2, convertito nella legge 19 giugno 1940, n. 762) richiamava per l'applicazione delle sanzioni di carattere penale la legge n. 4 del 1929, cio, non trattandosi di imposta diretta, dava via libera per il procedimento penale prima all'intendente di finanza, poi, a seguito della sentenza n. 60 del 1969 della Corte, al tribunale. Infine la difesa della parte privata assume che, se l'azione penale non pu esercitarsi perch non sussistono i presupposti per il suo esercizio, non pu considerarsi violato l'articolo 112 della Costituzione. Senonch, nell'ipotesi di reato in esame, i presupposti sussistono perch il reato perfetto in tutti i suoi elementi indipendentemente da ogni accertamento dell'esistenza ed entit dell'evasione. Le considerazioni che precedono vanno tenute presenti anche per la soluzione delle questioni sollevate dai giudici dstruttori presso il tribunale di Napoli, presso il tribunale di Frosinone e presso il tribunale di Bologna..., nonch dal tribunale di Genova. Si tratta di questioni tutte relative a reati in materia di imposte dirette, riferite nelle tre prime ordinanze a disposizioni del d.P.R. n. 600 del 1973, nella quarta (quella del tribunale di Genova) al t.u. n. 645 del 1958 sulle imposte dirette e all'art. 21 della legge n. 4 del 1929. (omissis) Risulta pertanto da:L1a sovraesposta identificazione della questione, che la Corte chiamata a decidere se sia costituzionalmente legittimo in relazione al reato previsto nella lett. e del terzo comma del- In concreto, la richiesta viene presentata in pochi casi, accuratamente scelti, in esito a procedimenti decisionali complessi cui partecipano i legali dell'ammini strazione, sulla base di tre criteri: 1) disponibilit di prove tali da rendere quasi impossibile l'assoluzione dell'imputato; 2) prevedibile risonanza del processo attraverso i mass media, e quindi esemplarit ed efficacia deterrente della condanna per una gran massa di contribuenti; 3) presenza, nel comportamento illecito, di modalit particolarmente fraudolente. In sostanza, per l'ordinamento statunitense, la repressione penale degli illeciti tributari in un sistema fiscale che interessa grandi masse di contribuenti deve essere finalizzata non gi alla astratta attuazione delle leggi, ma ad un accrescimento -mediante appropriata deterrenza -del gettito delle imposte, e quindi deve essere impiegata nella misura e nei modi necessari e sufficienti per il raggiungimento di tale obiettivo; e sarebbe poco produttivo e persino controproducente far pervenire ai magistrati un flusso non controllato (nella quantit e nella qualit) di denunce, parte soltanto delle quali finirebbe per avere esiti punitivi. Coerente con questa impostazione la previsione di sanzioni penali pesanti per coloro che rimangono nella rete. Di qui la scelta di porre l'azione penale al servizio delle pretese tributarie e cio, come suol dirsi, dell'azione civile, e di rifiutare l'opposta raffigurazione di ! i I I I I I I PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 469 l'art. 56 del d.P.R. n. 600 del 1973 (fatti fraudolenti al fine di sottrarre redditi all'imposta sul reddito), l'ultimo comma dello stesso articolo (L'azione penale per i reati di cui ai commi precedenti non pu essere iniziata o proseguita prima che l'accertamento dell'imposta sia divenuto definitivo). La questione non fondata. Per tutti i reati previsti nel comma terzo l'art. 56 del d.P.R. n. 600 stabilisce la reclusione da sei mesi a cinque anni e la multa da lire duecentomila a due milioni. Ma il comma quarto del detto articolo dispone che se i fatti indicati alle lettere a, e ed e del comma precedente comportano evasioni di imposta per un ammontare complessivo eccedente cinque milioni di lire la multa applicata in misura pari all'imposta di tale ammontare e la reclusione non pu essere inferiore a due anni. Si applica soltanto la multa se i fatti indicati nel terzo comma comportano un'evasione di imposta di speciale tenuit. Il reato dunque punito con pena edittale diversa secondo l'ammontare della evasione. Il che comporta che nel caso della lett. e del comma terzo dell'art. 56 del d.P.R. n. 600 non solo il processo penale non pu essere definito, ma la stessa accusa non pu essere contestata prima che sia accertato se l'evasione dell'imposta superiore o inferiore a lire cinque milioni. In conseguenza, per le ragioni suesposte al n. 6, in questo caso non pu dirsi che il divieto, disposto nell'ultimo comma dell'art. 56, di iniziare o proseguire l'azione penale prima che l'accertamento della imposta sia divenuto definitivo, implichi una violazione del principio dell'obbligatoriet dell'azione penale. Che l'azione penale non possa essere questa come accessorio e sottoprodotto della repressione penale. Scelta che non si riduce ad una enunciazione di principio, ma si concreta in misure atte a dotare l'amministrazione di strumenti (norme, apparati, attrezzature) idonei allo svolgimento di un'attivit inquirente persino pi penetrante ed aggressiva di quella solitamente svolta per fini di normale polizia criminale. noto che non pochi boss mafiosi americani, irraggiungibili per fatti di sangue, sono stati spediti in galera per frodi fiscali. Anche in Italia l'ordinamento tributario ha -forse inopportunamente (ma su ci non il caso di soffermarsi ora) -costruito una finanza di massa: anche da noi quindi si realizzata una situazione oggettiva che dovrebbe consigliare un uso non generalizzato ma mirato e selettivo della repressione penale. Anzi, nel nostro Paese pi che negli U.S.A. risultano carenti ed ingolfate le strutture preposte a tale repressione; per il che non sarebbe da escludere a priori l'introduzione anche nel nostro ordinamento di un meccanismo che -sul presupposto della derogabilit del principio della officialit dell'azione penale lasciasse spai:io a selezioni operate dalla parte lesa o per conto di essa. Certamente, il ricorso a questa tecnica di dimensionamento della repressione penale pone qualche problema istituzionale e procedimentale, non per pi delicato di quelli da tempo risolti in relazione alla costituzione di parte civile delle amministrazioni statali. FRANCO FAVARA RASSEGNA DEU..'AVVOCATURA DELLO STATO iniziata o proseguita prima dell'accertamento definitivo dell'imposta, come prescrive la norma di legge in esame, e che sia inibito in sede penale simile accertamento necessario alla contestazione dell'accusa, deriva dalla scelta del legislatore in merito alla definizione degli accertamenti tributari, sottratta, appunto, alla sede penale. Non esiste, dunque, la violazione dell'art. 112 della Costituzione e nemmeno quella, pure denunciata nelle tre ordinanze in esame, dell'art. 3, n quella, denunciata dal solo giudice istruttore di Frosinone, dell'art. 53. (omissis) Il giudice istruttore di Bologna attribuisce la violazione del principio di eguaglianza al fatto che frequente che dalla valutazione dei medesimi fatti contabili traggano origine tanto reati fiscali che reati di altra natura (societari, di falso, di bancarotta). Poich tuttavia la procedibilit per alcuni fatti impedita, mentre pu procedersi per i reati di natura non fiscale, appare del tutto ingiustificata la diversit che in tal modo si determina . Ma la denunciata diversit di trattamento sia che si riferisca a reati diversi compiuti dalla stessa persona, sia che si riferisca ad autori diversi dd reati diversi, non sussiste perch non sono eguali le situazioni giuridiche poste a confronto. Infine il solo giudice istruttore di Frosinone invoca a parametro anche l'art. 53 della Costituzione e sostiene che concedendo la possibilit di procrastinare a lungo il pagamento del dovuto, il soggetto verrebbe a locupletare somme su quanto dovuto alla collettivit, non venendo cos a concorrere alla spesa pubblica in relazione alla propria capacit contributiva . Ora basta osservare (a parte ogni altra considerazione) che la possibilit di procrastinare il pagamento a causa del lungo iter degli accertamenti deriva non dalle norme denunciate, ma dal sistema degli accertamenti tributari e del suo concreto funzionamento, per escludere fa fondatezza della censura. (omissis) III (omissis) La questione, che chiama in causa una serie cospicua di parametri costituzionali (artt. 3, 24, 25, secondo comma, 70, 101, secondo comma, Cost.), a reciproca integrazione l'uno dell'altro, in una logica di stretta connessione, nasce dal disagio che molti giudici di merito provano di fronte alla parte conclusiva dell'art. 2, terzo comma, legge n. 110 del 1975: una norma in forza della quale una commissione consultiva del Ministero dell'interno, potendo escludere l'attitudine a recare offesa alla persona per singoli tipi di arma ad aria compressa, cos da estrometterli da[ novero dehle armi da sparo cui altrimenti apparterrebbero, verrebbe ad influire con interventi sporadici ed occasionali sul conte- t ~ f.: I I t ' PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE nuto dei precetti penali in materia di armi da sparo, delimitandone i confini a guisa di un legislatore delegato (di qui il riferimento all'art. 70 Cost.), nel senso di rendere pi ristretti i loro ambiti di applicazione ogni volta che per un tipo di arma sia ravvisata l'inidoneit; e comunque completando di volta in volta tali precetti in violazione del principio di legalit e tassativit delle norme penali (di qui un primo riferimento all'art. 25, secondo comma, Cost.), persino successivamente alla commissione del fatto e all'inizio dell'azione penale (di qui un altro riferimento all'art. 25, secondo comma, .in quanto vi sancita l'irretroattivit della legge penale), con conseguente subordinazione della valutazione del giudice oJXlinario, che pu averne dovuto magari sohlecitare l'intervento, alla valutazione dell'autorit 'amministrativa (di qui il riferimento all.'art. 101, secondo comma, Cost.), insuperabile aliunde tramite perizia (di qui il riferimento all'art. 24 Cost.), e non senza il rischio di gravi disparit di trattamento qualora la commissione consultiva escluda l'idoneit ad offendere per un tipo di arma che gi abbia formato oggetto di condanna penale irrevoca bile (di qui il riferimento all'art. 3 Cost.). Prima di pronunciarsi sulla fondatezza della questione, occorre verificare se la ricostruzione deil significato deHia disposizione lin esame cos come stato colto dai giudici a quibus ed il suo conseguente inquadramento nel nuovo sistema normativo in materia di armi comuni da sparo siano frutto di una puntuale interpretazione. A tal fine, si rendono necessarie alcune precisazioni, oggi agevolate dall'intervenuto assestamento del sistema lungo l'arco di un'ormai ampia attuazione. I poteri conferiti alla commissione consultiva centrale dalla legge n. 110 del 1975 sono idi due tipi: specifici e generici. Poich questi secondi si risolvono nel dare parere su tutte le questioni ad essa sottoposte dal Ministero dell'interno in ordine alle armi ed alle Inisure di sicurezza per quanto concerne la fabbricazione, la riparazione, il deposito, la custodia, il commercio, l'importazione, l'esportazione, la detenzione, Ja raccolta, la collezione, il trasporto e l'uso delle armi (art. 6, quinto comma, legge n. 110 del 1975), cos da presentarsi con connotati di mera eventualit, a caratterizzare istituzionalmente la cominissione restano i poteri specifici, esplicitati dal legislatore attraverso un conferimento diretto, non subordinato all'iniziativa del Ministero. Tali poteri, rispettivamente previsti dall'art. 2, terzo comma, ultima parte, e dall'art. 6, quinto comma, parte prima, legge n. 110 del 1975, e sempre destinati a tradursi in un parere al Ministero, riguardano l'uso l'esclusione dell'attitudine a recare offesa alla persona per le armi ad aria compressa, in relazione alle caratteristiche di esse, e l'altro la catalogazione delle armi prodotte o importate nello Stato, accertando che le stesse, anche per le loro caratteristiche, non rientrino nelle categorie contemplate nel prece RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 412 dente art. 1 , eme nella categoria delle armi da guerra o tipo guerra, la catalogazione riguardando le sole armi comuni da sparo. Quando si tratta di un'arma ad aria compressa [ due poteri risultano strettamente collegati, nel senso che l'esercizio del primo ha luogo in occasione dell'esercizio del secondo, nell'ambito e nel rispetto delle relative procedure, quali puntualmente descritte nell'art. 7 legge n. llO del 1975. L'art. 2, termo comma, ultima parte, va, quindi, letto in correlazione con gli artt. 6 e 7, e a tale stregua valutato in ordine a:lla sua legittimit costituzionale. Poich il catalogo nazionale delle armi comuni da sparo destinato a dar conto delle armi e soltanto delle armi delle quali ammessa la produzione o l'importazione definitiva, laddove in ordine alle armi non pi oggetto di produzione o di importazione dispone l'art. 37, secondo comma, legge n. llO del 1975, ne discende che il potere di escludere la idoneit ad offendere, con conseguente non inclusione dell'arma nel catalogo, esercitabile dalla commissione unicamente nei confronti di armi ad aria compressa da produrre o da importare definitivamente. Le regole dettate per la catalogazione garantiscono uno svolgimento ordinato e coerente delle varie operazioni, sia di quelle che sfoceranno nell'iscrizione a catalogo (oppure, qualora l'arma sottoposta all'esame della commissione dovesse risultare arma da guerra o tipo guerra, nel rifiuto d'iscrizione motivato in tali termini), sia di quelle che sfoceranno nell'esclusione dell'idoneit ad offendere la persona, con conseguente riconducibilit dello strumento ad aria compressa nella categoria delle armi giiocattolo (art. 5, quarto comma, legge n. llO del 1975). L'onere di avviare la procedura davanti alla commissione spetta al produttore o all'importatore interessato, ed un onere che, da quando ha avuto luogo la pubblicazione del catalogo (anteriormente a tale pubblicazione, la produzione e l'importazione delle armi comuni da sparo erano liberamente ammesse in via transitoria, salve le sole condizioni fissate dall'art. 37, primo comma, legge n. llO del 1975), impone al richiedente di soprassedere alla produzione o all'importazione sino a che la risposta della commissione non sia stata formalizzata. In caso contrario, diventa applicabile l'art. 23, legge n. 110 del 1975, che, nel n. 1 del suo primo comma, qualifica clandestine le armi comuni da sparo non catalogate ai sensi dell'art. 7, con tutti i rischi conseguenti. Per le armi ad aria compressa, il rivolgersi alla commissione un atto di parte privata che tende al conseguimento di un preciso titolo alla produzione o all'importazione come arma da sparo oppure come arma giocattolo, attraverso un meccanismo che si risolve in quel controllo preventivo sulla produzione o sull'importazione, ... e che solo pu garantire certezza, anzitutto ma non unicamente ai produttori, agli importatori e ai lor~ rivenditori, con determinazioni ufficialmente adottate PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE in sede tecnica prima che abbiano inizio la normale produzione od importazione e le conseguenti attivit commerciali. L'interpretazione dei modi tipici d'intervento della commissione recepita dai giudici a quibus, nessuno dei quali ha, peraltro, sottoposto a censura di legittimit l'art. 6, quinto comma, legge n. 110 del 1975, se deve dirsi esatta per quanto riguarda i significati implicitamente riconosciuti agli artt. 6 e 7, non pu dirsi tale per quanto riguarda l'art. 2, terzo comma, ultima parte, anche se non vi dubbio che alla sfasatura di visuale abbiano contribuito le iniziali incertezze di comportamento da parte della stessa commissione, e non solo di essa, per la ritardata pubblicazione del catalogo e gli equivoci che si erano venuti frattanto a creare. Istituita assai per tempo, senza che ancora le operazioni di catalogazione avessero inizio, la commissione era stata in alcune occasioni interpellata, ai fini dell'art. 2, terzo comma, ultima parte, non solo da produttori o importatori di armi giocattolo, ma anche da ufficiali di polizia giudiziaria e da magistrati circa la supposta idoneit ad offendere di taluni tipi di arma ad aria compressa: erano state fornite risposte autonome, variamente divulgate e comunque presentate come vincolanti, qualunque fosse il momento in cui la risposta veniva data rispetto a:l fatto oggetto di accertamento penale. Una volta avviata la catalogazione ed ancor pi una volta pubblicato il catalogo, gli equivoci sono venuti a poco a poco dissolvendosi in seguito alla normalizzazione del sistema, al raccordo con le operazioni di catalogazione, all'esigenza che ad interpellare la commissione siano i produttori o gli importatori interessati ed alfa divulgazione pi capillare delle conclusioni accertate. Anche se a quest'ultimo proposito sarebbe auspicabile che tali esclusioni venissero ormai pubblicate nella Gazzetta Ufficiale come il catalogo, i suoi aggiornamenti ed i rifiuti di inclusione per essere l'arma da sparo risultata arma da guerra o tipo guerra, pu ritenersi forma di pubblicit sufficiente quella ora in uso, con molteplici destinatari (prefetti, questori, ministeri vari, comandi militari e soprattutto il richiedente, che avr tutto l'interesse di fornire copia della delibera ad ogni suo rivenditore e, per quel tramite, ad ogni acquirente). Naturalmente, la generica possibilit di far richiedere dal Ministero dell'interno alla commissione pareri in ordine alle armi non impedisce ad un qualunque privato cittadino o ad un qualunque pubblico ufficiale di avvalersi di tale via informale per sollecitare un parere sull'eventuale inidoneit ad offendere di un'arma ad aria compressa. In tal caso, per, al parere che il Ministero ottenesse dalla commissione non potrebbe riconoscersi alcuna efficacia vincolante. Del resto, neppure nei confronti dei pareri tipici forniti, positivamente o negativamente, in sede di catalogazione precluso al giudice ordinario ogni controllo, data la RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO generale sindacabilit dell'atto amministrativo illegittimo da parte della autorit giudiziaria. Interpretata come si detto, la disposi:done di cui all'art. 2, terzo comma, ultima parte, legge n. 110 del 1975, sfugge a tutte le prospettate censure di incostituzionalit. Ed invero, una volta escluso che il giudice penale sia tenuto a rivolgersi alla commissione consultiva centrale per risolvere i dubbi eventualmente insorti sull'inidoneit offensiva del tipo di arma ad aria compressa cui appartiene lo strumento oggetto del capo di imputazione (quanto alla specifica inidoneit che, in caso di guasto o di parti mancanti, potrebbe inficiare quello stesso strumento, mai la commissione consultiva centrale sarebbe comunque legittimata a pronunciarsi) ed una volta precisato, altres, che i pareri della commissione sull'idoneit del tipo di rma, se espressi informalmente, non hanno alcuna efficacia vincolante, mentre, se espressi formalmente, non si sottraggono al sindacato di legittimit sull'atto amministrativo da parte del giudice penale, vien meno la possibilit di ravvisare l'esistenza di un contrasto con !'.art. 101, secondo comma, Cost., per quanto viguarda la posizione del giudice e di un contrasto con l'art. 24, secondo comma, Cost., per quanto riguarda la posizione dell'imputato. Allo stesso modo, non pu dirsi violato il precetto dell'art. 25, secondo comma, Cost., l dove sancisce !'>, n. 127, annotata da PUGLIESE in Giust. civ. 1964, I, 1099. Per le altre massime cfr. la giurisprudenza conforme citata in motivazione. 502 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Le norme dettate per la determinazione del prezzo di cessione hanno carattere imperativo ed inderogabile tanto da parte dell'assegnatario quanto da parte dell'ente proprietario. La nullit che investe la controprestazione del trasferimento del bene oggetto del contratto, riguardando un elemento essenziale del negozio e non una clausola dotata di autonoma assistenza, esclude l'applicazione dell'art. 1419, cod. civ., e comporta la nullit del contratto (3). In tal caso, non sorge il diritto a richiedere il risarcimento del danno ai sensi dell'art. 1338 cod. civ., quando l'assegnatario aderisce senza contestazioni al prezza determinato dall'Amministrazione (4). (omissis) 1. Deve essere per prima esaminata l'eocezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario adito, la proposizione della quale, da parte del ricorrente, ha determinato l'assegnazione del ricorso alle Sezioni Uni.te di questa Corte Suprema. Il ricorrente -convenuto, nel giufuio di merito, dall'Amministrazione statale interessata a invalidare la convenzione con cui era stata attuata la cessione in propriet dell'alloggio, nell'assunto di un'errata adozione del criterio legale di determinazione del prezzo -ha sostenuto, nella prima memoria presentata in questa sede, che non potrebbe essere chiesta al giudice ordinario alcuna revisione del prezzo determinato, appunto, ai fini della cessione; e, a sostegno dell'assunto, ha ricordato la pronuncia di queste stesse Sezioni Unite (sent. 25 maggio 1965, n. 1026), secondo cui il provvedimento di determinazione del prezzo avrebbe natura semplicemente amministrativa. . A tale eccezione ha resistito l'amministrazione finanziaria osservando che la pronuncia predetta aveva riferimento a una fattispecie diversa da quella ora all'esame, perch in quel caso la contestazione era caduta sui criteri tecnico-valutativi adottati (ai fini della determinazione del prezzo), mentre il caso presente riguarda solo l'individuazione della norma in base alla quale deve essere stabilito il criterio legale da seguire per i fini predetti. Delle due tesi appare, senz'altro, fondata quella prospettata dall'Amministrazione che, in definitiva, riallaccia la posizione giuridica delle parti al momento iniziale del complesso rapporto, caratterizzato, per quanto ora interessa rilevare, da una posizione di diritto soggettivo dell'assegnatario di un alloggio che, di quest'ultimo, domandi la cessione in propriet. Per un compiuto inquadramento della fattispecie, occorre ricordare che dal d.P.R. 17 gennaio 1959, n. 2, dopo le modifiche apportate dalla legge 27 aprile 1962, n. 231, erano contemplati tre tipi di alloggi, in relazione ai quali sussistevano differenti criteri di determinazione del prezzo. In un primo gruppo, erano quelli non contraddistinti da alcuna particolare specificazione, per i quali il prezzo di cessione doveva essere determinato PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE in base al valore venale, ridotto del 30 % e di un ulteriore 0,25 % per ogni anno di effettiva (precedente) occupazione (a titolo di locazione) da parte del richiedente. Nel secondo gruppo erano, invece, compresi gli alloggi costruiti con il contributo dello Stato (e ultimati dopo il 1 luglio 1961), per i quali il prezzo di cessione doveva essere determinato con riferimento al costo di costruzione. Nel terzo gruppo, infine, erano compresi gili alloggi costruiti a totale carico dello Stato per le categorie meno abbienti, nonch gli alloggi costruiti dall'UNRRACASAS, anche con i fondi ERP , per i quali il prezzo doveva essere pari al 50 % del costo di costruzione. Ai fini, poi, della determinazione concreta del detto prezzo, il sistema della legge prevedeva, appunto, un sub-procedimento per la valutazione del valore venale degli alloggi (artt. 6 del d.P.R. del 1959 e 4 della legge del 1962), di competenza di un'apposita commissione istituita a livello provinciale. E proprio perch a tale Commissione era affidata la determinazione del valore venale degli alloggi, si riteneva, in sede ministeriale, che essa avesse competenza solo in relazione al primo dei tre gruppi di alloggi sopra indicati; mentre, per quelli il cui prezzo doveva essere determinato in ragione del costo di costruzione -ultimo comma (aggiunto con l'art. 14 della legge del 1962) del d.P.R. del 1959 si riteneva che la determinazione del costo e la ripartizione di esso fra i vari alloggi (appartamenti) fossero di competenza degli uffici del Genio Civile (in tal senso, la circolare del Ministero dei Lavori Pubblici 30 luglio 1965, n. 4788), salve le competenze dell'Ufficio Tecnico Erariale in ordine alla valutazione dell'area, ai sensi dell'art. 14, primo comma, del d.P.R. 23 maggio 1964, n. 655. La Jegge (art. 7 del d.P.R. 17 gennaio 1959, n. 2) prevedeva, poi, una Commissione a livello regionale, competente in materia di ricorsi contro la determinazione del prezzo; ed alle decisioni di tale Commissione che si riferita la ricordata sentenza di queste Sezioni Unite (invocata dal ricorrente), allorch ha parlato di atto amministrativo che non di:r~etto ad attuare un diritto soggettivo dell'ente proprietario, ma si inserisce nel procedimento che conduce al trasferimento della propriet agili assegnatari e concorre all'attuazione dei fini istituzionali dell'ente stesso e dell'interesse pubblico da essi perseguito . Ora, posta -dalle parti -l'alternativa tra la giurisdizione del giudice ordinario e quella del giudice amministrativo, per ci che attiene alle controversie sorte circa la determinazione del prezzo di cessione, non resta che stabilire, ai fini della risoluzione del problema, se le parti del rapporto di cessione in propriet dell'alloggio versino in posizione di diritto sogfi!ettivo ovvero di interesse legittimo; e il criterio pi sicuro, com' stato ripetutamente enunciato dalla giurisprudenza di queste Sezioni 504 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Unite, quello volto alla individuazione della direzione delle norme vincolanti. Non v' dubbio, intanto, c]J.e l'attivit amministrativa che precede la stipulazione del contratto di cessione in propriet attivit vincolata, sia perch, nel concorso delle condizioni previste dalla legge, la Pubblica Amministrazione non pu rifiutare la cessione, sia perch anche la determinazione del prezzo di cessione deve essere fatta alla stregua dei criteri di commisurazione tassativamente previsti dalla legge con riferimento 504 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Unite, quello volto alla individuazione della direzione delle norme vincolanti. Non v' dubbio, intanto, c]J.e l'attivit amministrativa che precede la stipulazione del contratto di cessione in propriet attivit vincolata, sia perch, nel concorso delle condizioni previste dalla legge, la Pubblica Amministrazione non pu rifiutare la cessione, sia perch anche la determinazione del prezzo di cessione deve essere fatta alla stregua dei criteri di commisurazione tassativamente previsti dalla legge con riferimento alle ipotesi da essa distintamente contemplate. Si tratta, allora semplicemente di stabilire se le norme vincolanti sono di azione o di relazione, in base al criterio accettato, appunto, dalla giurisprudenza e dalla dottrina tradizionale. Norma di relazione, com' noto, quella che prende in specifica e diretta considerazione l'interesse di un (altro) soggetto determinato, anche ae ci avviene, pur sempre, in funzione di un interesse pubblico: in questa ipotesi, l'interesse contemplato, , senz'altro, un diritto soggettivo (proprio perch l'interesse predetto direttamente considerato dalla norma), per cui la giurisdizione in ordine alla controversia su di esso insorta appartiene necessariamente al giudice OJ1chlnario. Norma di azione , invece, quella che tutela in modo diretto e specifico l'interesse pubblico che fa capo alla Pubblica Amministrazione agente, anche se l'interesse privato ne risulti, in modo indiretto od occasionale, tutelato. cio, que11a !llorma che vincola, in qualche modo, l'attivit della Pubblica Amministrazione in funzione del solo pubblico interesse: in questa ipotesi, la posizione del privato , cui giovi l'osservanza della norma, configurabile come interesse legittimo, e la tutela di esso, da parte del giudice amministrativo, trova la sua ratio nel fatto che il comportamento della Pubblica Amministrazione, regolato dalla norma predetta (di azione) incide o, comunque, si riflette sulla sfera giuridica di altri soggetti, dando luogo, eventualmente, a rapporti giuridici con i medesimi. chiaro, quindi, che secondo l'imposizione tradizionale la distinzione predetta (tra norme di azione e norme di relazione) ha ragion d'essere proprio in correlazione a quella tra diritto soggettivo e interesse legittimo, nel senso che se la norma vincolante, per la sua specifica .direzione, di relazion~, si in presenza di un diritto soggettivo; mentre, se di azione, perch essenzialmente dettata in contemplazione di un interesse pubblico, l'interesse privato che si giovi dell'osservanza di essa , invece, un interesse legittimo. Applicando, quindi, tale criterio alla fattispeoie considerata, cio alla fase procedimentale di pre-cessione in propriet dell'alloggio, appare evidente che le norme regolatrici della materia sono norme di relazione, perch se anche dettate in funzione di un pubblico interesse mirante ad assicurar~, fra l'altro, una entrata che consenta il reimpiego delle PARIB I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 505 somme nel campo dell'edilizia abitativa, prendono sicuramente in diretta e specifica considerazione l'interesse del privato ad acquisire il diritto di propriet dell'alloggio precedentemente detenuto a titolo di semplice locazione. Anche, per, nella fase sub-procedimentale di quantificazione del valore venale o, secondo i casi, del costo di costruzione, demandata alla Commissione istituita a livello provinciale e, in sede di reclamo, alla Commissione istituita a livello regionale, l'attivit della Pubblica Amministrazione tale che non implica affatto esercizio di potere discrezionale -inteso questo in senso proprio -giacch consiste in indagini e valutazioni obiettive, ancorch di carattere meramente tecnico. Anche qliesta attivit della Pubblica Amministrazione deve, perci, essere qualificata come attivit vincolata, essendo indubitabile che il comportamento della Pubblica Amministrazione, in tema di determinazione del prezzo di cessione, sia interamente vincolato da norme giuridiche, per ci che attiene all'adozione del relativo criterio. Infatti -come gi si osservato -se l'alloggio richiesto in cessione da ricomprendere fra quelli che non sono contraddistinti da alcuna particolare specificazione, l'Amministrazione deve determinare il prezzo in base al valore venale, ridotto poi, del 30 % e di un ulteriore 0,25 % per ogni anno di effettiva (precedente) occupazione (a titolo di .locazione) da parte del richiedente. Se, invece, l'alloggio rientra fra quelli costruiti con il contributo dello Stato (e ultimati dopo il 1 luglio 1961), il prezzo di cessione deve essere determinato in base al costo di costruzione . Se, infine, rientra fra quelli costruiti a totale carico dello Stato per le categorie meno abbienti (o fra quelli costruiti dall'UNRRA-CASAS, anche con i fondi FRP), il prezzo deve essere pari al 50 % del costo di costruzione . Pertanto, essendo tali criteri assolutamente inderogabili, ovvio che in ordine all'adozione di ciascuno di essi difetta ogni potere discrezionale di scelta. Il solo apprezzamento (tecnico-discrezionale) che la legge concede all'Amministrazione, infatti, quello relativo alla scelta dei criteri di computo utili per la determinazione del valore venale (ovvero del calcolo del costo di costruzione); ed , proprio, per tale lhnitata valutazione che la legge ha istituito Je apposite Commissioni di cui gi si detto. Per quanto, poi, attiene alla direzione delle norme che disciplinano tale attivit vincolata (di determinazione del prezzo di cessione), non v' dubbio che trattasi di norme che prendono in specifica considerazione, sia pure in funzione dell'interesse pubblico, posizioni soggettive (reciproche) riferibili ai due potenziali soggetti del costituendo rapporto di cessione in propriet dell'a11oggio sicch trattasi di norme di relazione, in base alle quali assumono consistenza di diritti soggettivi sia l'interesse del privato (richiedente la cessione) che tenuto al paga 111r11111r11111111111f11:1111111~111t111;11111111111111111&1111111111111 506 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO mento del prezzo in corrispettivo della cessione stessa, sia l'interesse del506 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO mento del prezzo in corrispettivo della cessione stessa, sia l'interesse dell'ente cedente, cui il prezzo dovuto e che assume la veste di titolare di un diritto di credito. Infatti, il diritto soggettivo alla cessione in propriet dell'alloggio gi assegnato in locazione non ha contenuto circoscritto solo al simmetrico, corrispondente obbligo della . Pubblica Amministrazione di esaminare positivamente la domanda del richiedente, ma ha un contenuto ben pi ampio, perch comprende anche la pretesa del richiedente stesso c4 ottenere la cessione alle condizioni previste. dalla legge (sent. 30 marzo 1972, n. 1015): e non v' dubbio che fra tali condizioni compresa quella che, con riferimento al tipo di aliloggio, determina la scelta del criterio legale di quantificazione del prezzo. Infatti, l'interesse all'assegnatario (in locazione) a vedere classificato -ai fini della determinazione del prezzo -nell'una o nell'altra categori~ l'alloggio di cui ha chiesto la cessione, proprio per le riilevai:iti conseguenze che ne derivano in ordine alla determinazione del prezzo, deve trovare la stessa tutela che, nell'ordinamento, trova il diritto alla cessione >>. Non sembra, peraltro, inutile ricordare ancora che questo ultimo diritto inerisce non gi a uno qualunque degli alloggi di cui l'Amministrazione abbia la disponibilit, bens all'alloggio di cui il richiedente sia gi assegnatario (art. 4 del d.P.R. del 1959, con la sola eccezione stabilita dal secondo comma dell'art. 5); di modo che ovyio che se il richiedente ha diritto a che gli sia assegnato proprio quell'alloggio, non pu certo essergli disconosciuto il diritto a che il prezzo di cessione venga determinato in base all'effettiva situazione giuridica nella quale l'alloggio stesso si trova. , in definitiva, lo stesso diritto soggettivo alla cessione dell'alloggio che il richiedente '.!sercita allorch pretende che la determinazione del prezzo venga effettuata tenendo conto dell'appartenenza dell'alloggio alla categoria che gli propria. Ed ovvio che, se tale diritto viene leso, la tutela che l'ordinamento gli appresta sar esclusivamente quella della giurisdizione ordinaria. Stabilito, quindi, ch le norme esaminate sono norme di relazione (e che, peraltro, all'obbligo del cessionario di pagare il corrispettivo della cessione fa riscontro l'interesse, direttamente contemplato e tutelato, del medesimo a ottenere che il prezzo sia determinato in conformit alle prescrizioni legali e, quindi, contenuto nei limiti da. esse previsti) resta solo da concludere che l'obbligo dell'ente di consentire la cessione ha come necessario e giuridico risvolto il correlativo interesse dell'Amministrazione, anch'esso direttamente tutelato, di conseguire il giusto prezzo, da determinarsi, appunto, alla stregua dei criteri come sopra stabiliti dalla legge. ' Di fronte a tale impostazione, perci, cadono gli argomenti addotti a sostegno della tesi contraria, secondo cui la giusta, esatta e corretta PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE valutazione di tutti gli elementi rilevanti agli effetti della determinazione del prezzo sarebbe in funzione non tanto degli interessi patrimoniali delle Amministrazioni o degli Enti proprietari o, rispettivamente, dei privati assegnatari, quanto, piuttosto, della destinazione delle somme ricavate (dalla alienazione) alla costruzione di nuovi alloggi., ai sensi dell'art. 21 del d.P.R. 17 gennaio 1959, n. 2, modificato dall'art. 11 della legge 27 aprile 1962, n. 231 (destinazione in considerazione della quale era presumibilmente prevista in ogni caso, dall'art. 7, secondo comma, del citato d.P.R. del 1959, la legittimazione dell'Amministrazione dei lavori pubblici alla impugnazione delle deterininazioru della cominissione a livello provinciale). A siffatto rilievo, invero, pu agevolmente contrapporsi l'osservazione che l'inclusione di un alloggio nell'una o nell'altra delle categorie per le quali sono stabiliti diversi criteri di determinazione del prezzo attivit (che, peraltro, compete all'amministrazione attiva, non gi alle commissioni) sicuramente regolata da norme di relazione, in base a quanto fin'ora si detto; di modo che, quando si parla di un interesse dell'Amministrazione correlato alla destinazione delle somme ricavate, ci si riferisce, necessariamente, a un interesse che non esclude la diretta e immediata considerazione, da parte del legislatore, dell'interesse del soggetto privato. Una situazione di mero interesse legittimo, infatti, sarebbe configurablie solo se l'interesse privato fosse tutelato indirettamente, occasionalmente, mediante una norma (di azione) che, pur incidendo sulle posizioni dei privati (i richiedenti) vincolasse la Pubblica Amministrazione in funzione del solo interesse pubblico. Ma tale ipotesi, resta sicuramente esclusa dalla considerazione che la norma esaminata, tenuto conto della sua ratio, va considerata come essenzialmente volta al, diretto riconoscimento dell'interesse del privato richiedente: interesse che, perci, assurge al rango di diritto soggettivo. conseguente, quindi, ritenere che se sussiste un diritto soggettivo del richiedente alla determinazione del prezzo di cessione in conformit al tipo di alloggio richiesto, ogni contestazione ad esso relativa, da parte dell'Amministrazione cedente, deve trovare sede naturale davanti al giudice ordinario. L'assegnatario -come si detto -ha un diritto soggettivo alla cessione in propriet, il quale comprende anche l'interesse a che il prezzo venga determinato previa adozione del criterio stabilito dalla legge (interesse che, giova ripeterlo, trova protezione diretta per ci che attiene alla individuazione della norma regolatrice del prezzo). A tale diritto, ovviamente, corrisponde l'obbligo dell'Amministrazione di attuare la cessione col rispetto dei limiti o le modalit stabilite dalla legge, di modo che se i limiti o le modalit predetti non vengono rispettati, nel senso che la prestazione dell'Amministrazione (cessione in propriet) superi RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO per valore la controprestazione (prezzo della cessione), sorge ovviamente l'interesse dell'Amministrazione stessa a esperire i possibili rimedi. Cosicch, se l'inadeguatezza del prezzo trova causa nell'erronea individuazione del criterio legale di determinazione (in relazione alla quale le posizioni dei soggetti interessati sono specificamente e direttamente contemplate), anche l'interesse dell'Amministrazione dovr trovare tutela di_ retta, cio quella che l'Ordinamento appresta per i diritti soggettivi. Irrilevante, perci, si appalesa il richiamo fatto dal ricorrente alla .citata sentenza 9 maggio 1965, n. 1026 di queste Sezioni Unite, perch, .a prescindere da ogni altra considerazione, il richiamo predetto non n pertinente n decisivo, in quanto quel precedente si riferisce a una fattispecie diversa. Infatti, la questione allora dibattuta concerneva non :gi l'individuazione del criterio legale di determinazione del prezzo, bens la concreta applicazione di tale criterio, e cio la mera quantificazione .del valore venale, .e poneva perci in discussione, a istanza della stessa Amministrazione, la determinazione fattane in sede di reclamo dalla -Commissione istituita a livello regionale, alla quale -come si accennato - demandata non la soluzione di questioni giuridiche (anche se 1a legge istitutiva la dichiara competente a conoscere dei ricorsi contro la determinazione del prezzo ), ma una indagine di mera valutazione -che, al pari di quella istituita a livello provinciale, ha mero carattere tecnico. Pertanto, giacch, nel caso di specie l'Amministrazione aveva agito -per lamentare l'erroneit del criterio legale adottato ai fini della determinazione del prezzo (art. 26 del d.P.R. del 1959, come sostituito dall'art. 14 della legge del 1962, anzich art. 6 del d.P.R. del 1959, come modificato dagli artt. 4 e 5 della legge del 1962), la relativa domanda -doveva essere proposta davanti al giudice ordinario, del quale ultimo .deve, quindi, essere riaffermata la giurisdizione. L'eccezione proposta dal ricorrente va, quindi, rigettata; e i motivi .del ricorso devono perci, essere esaminati, posto che si riferiscono a statuizioni di merito pronunciate da!l giudice investito di giurisdizione. Va, per, ancora rilevato che -con la seconda de1le memorie illustrative presentate in questa sede il ricorrente ha pure sostenuto che la >, rispettivamente correlate alle vere due domande principali (tra di loro alternative): la prima rivolta alla distruzione (rectius: annullamento) di un atto amministrativo, e la seconda rivolta .alla formazione di un nuovo atto amministrativo . Si tratterebbe, quindi, di domande sottratte alla cognizione del giudice ordinario, al quale, invece, l'Amministrazione avrebbe chiesto: a) di affermare che il prov- vedimento di determinazione del prezzo sarebbe affetto dal vizio di vio-i] i:,. -~ ! r f PARm I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILI! lazione di legge: e il detto giudice non avrebbe giurisdizione su di una domanda siffatta, proposta come oggetto principale d,el giudizio ( proprio all'accoglimento di tale domanda principale, infatti, dovrebbe ricollegarsi la domanda conseguenziale di nullit del contratto); b) di assumere una funzione di amministrazione attiva, per stabilire un momento necessario e non dissociabile della determinazione del nuovo prezzo da valere per il contratto Pastorini, cio il momento che attiene ai criteri -con i quali tale determinazione dovrebbe essere fatta ( pertanto, l'accertamento oggetto della vera seconda principale, al quale si ricollega la domanda conseguenziale di pagamento del supplemento del prezzo, non pu essere conseguito davanti al giudice ordinario). Con la stessa memoria sostiene, infine, che il difetto di giurisdi zione del giudice ordinario sarebbe rilevabile anche nell'ipotesi che esi stesse la determinazione amministrativa del nuovo prezzo, formata dagli organi tecnici previsti dalla legge; e ci perch in tale ipotesi sarebbe dato al Pastorini di ricorrere aJ giudice amministrativo entro il termine di sessanta giorni dalla data in cui avesse avuto piena conoscenza di detta determinazione (restando parimenti esclusa la giurisdizione del giudice ordinario). E quand'anche risultasse che egli ne avesse avuta piena conoscenza gi in tempi remoti, ne conseguirebbe che la determi nazione sarebbe divenuta ormai inoppugnabile ed esisterebbe, cio, addi rittura il titolo definitivo, alla cui formazione rivolta la seconda vera domanda principale. Questa sarebbe, allora, non solo improcedibile, ma oltre tutto superflua . Anche siffatti rilievi sono, per, privi di fondamento. L'errore di impostazione in cui cade il ricorrente, com' ,chiaro,. con siste nel non avere individuat nella richiesta dichiarazione di nullit del contratto l'unico oggetto della domanda principale dell'Amministrazione (quella subordinata, di condanna al pagamento della somma risultante dall'applicazione del diverso criterio di determinazione del prezzo non viene in considerazione, non essendo stata neppure presa in esame dai giudici di merito). E non v' dubbio, proprio perch la domanda atte neva al contratto, che la stessa non poteva essere proposta se non da vanti al giudice ordinario. Giova, peraltro, ricordare che la giurisprudenza di queste Sezioni Unite ha chiarito, in tema di assegnazione (in locazione), che esaurita la prima fase (c.d. di preassegnazione ), caratterizzata a posizioni di interesse legittimo, la fase successiva, che si realizza con la conven zione tra l'ente assegnatario e in pu, per, nascere gi possessore se non per effetto di successione ad altro soggetto possessore: il che , peraltro, escluso nella specie, atteso che l'ente Provincia nacque ex novo. . In tale situazione, mancando da parte della Provincia la allegazione (non che la prova) di un titolo di acquisto o di un atto di inizio di possesso ex artt. 691 e 692 e.e. 1865 (per non dire, addirittura, che appare dubbia 532 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO detto pi ,avanti) possa essersi, ratione temporis, verificata fa prescrizione acquisitiva disciplinata dal codice civile del 1865. Per quanto attiene al fatto dell'intestazione catastale, le ricorrenti si affannano a dimostrare solo ch'essa sarebbe frutto di animismo burocratico , cio, in definitiva, dell'equivoco sorto dal fatto che, sotto la dominazione borbonica, vi sarebbe stata una intestazione catastale dell'immobile a favore della circoscrizione territoriale statale sede dell'Intendenza, pur essa chiamata provincia >>. Siffatto rilievo, per, ai fini della risoluzione de1la questione proposta, di nessuna importanza pratica, poich la controversia verte non gi in tema di prop11iet, bens di possesso e, soprattutto, di possesso solo animo : non occorre, quindi, in concreto discutere sull'efficacia indiziante di quel fatto, dovendosi semplicemente accertare, in questa sede, se sfa logica (e non contraria al diritto) l'affermazione dei giudici di merito secondo cui la Provincia, in virt di quel titollo , cominci a esercitare iJ. possesso con ~animus possidendi. In proposito, la sentenza ha affermato che l'intestazione catastale, qualunque fosse stato il motivo che l'aveva determinata, ha la sua rilevanza in quanto dimostra da un lato che la Provincia ha tratto e trae da essa motivo di conforto alla convenzione di essere proprietaria dell'immobile, del quale, per altro, ha sempre pagato le imposte (v. certificazione esibita) e dall'altro, come si vedr in seguito, che il titolare della propriet non si preoccupava e non intendeva preoccuparsi dell'esercizio la esistenza di un possesso attuale) non si comprende come possa affermarsi il compimento di una usucapione in suo favore. Di pi, capovolgendo del tutto immotivatamente una puntuale (anche se non del tutto esplicitata) intuizione del primo giudice, la Corte d'Appello dell'Aquila ha affermato che la Prefettura e la Questura fruirono dei locali de quibus ex art. 174 Legge 20 marzo 1865 n. 2248 All. A e 110 Reg. di esecuzione approvato con R.D. 8 giugno 1865 n. 2321 (da ci traendo ulteriori erronee illazioni, attraverso le quali, in via presuntiva viene affermata la prova del possesso in capo alla Provincia). Il vero , invece, che g;li uffici relativi e le connesse abitazioni dei funzionari allocarono nell'ex convento in virtt1 del combinato disposto dei decreti murattiani 16 e 19 novembre 1808, di quello borbonico 6 febbraio 1816 e dell'art. 252 della gi citata legge comunale e provinciale del 1865, che, per quanto concerne le amministrazioni provinciali e comunali e la disponibilit dei loro beni statuisce che: continueranno ad osservarsi le leggi speciali ... in quanto non contrarie alla presente legge. La locuzione si 1attaglia perfettamente aMa specie, in quanto trattasi di bene di propriet del Comune (di Chieti), per esso, peraltro, non disponibile in quanto vincolato ad un uso pubblico di utilit statuale da provve PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 533 del suo diritto, ben sapendo che il bene non figura~a in catasto al suo nome , L'affermaZJione, come si vede, sorretta da un rigoroso costrutto logico, in quanto ricollega al fatto della intestazione catastale il compi mento di atti continuativi di possesso (uti dominus), consistenti nell'as solvimento del carico fiscale, in relazione ai quali, peraltro, non stata mossa contestazione alcuna. Nel ragionamento svolto dai giudici di appello, in definitiva, J'intesta zione catastale rappresentava il titolo in forza del quale -secondo il disposto dell'art. 692 cod. civile del 1865 -l'antico possesso poteva essere desunto da quello attuale (contestato solo in questa sede e, per di pi, con un'asserzione che, in quanto immotivata, non merita neppure cli ~ssere presa in considerazione); il fatto del pagamento delle imposte (al pari degli altri che saranno qui appresso esaminati) rappresentava, a sua volta, l'effettivit, oltre che la continuativit, dell'esercizio del pos sesso predetto. Le esaminate censure, quindi, si appalesano infondate sia sotto il profilo della violazione di legge, sia sotto il profilo del vizio di rnotivazione . La seconda delle censure contenute in questo primo motivo di ricorso aggredisce la sentenza nel punto in cui trae argomento, per dimostrare lo animus possidendi, dal fatto che la Provincia non pagasse allo Stato la pigione prevista dall'art. 110 del Regolamento di Esecuzione della dimenti con forza e valore di leggi speciali (Oass. SS.UU. n. 2592 del 9 luglio 1976) non contrari alla legge comunale e provinciale, in quanto per obbligatoriet della spesa deve intendersi, certo, solo indeclina bilit di un onere con esonero, in ogni caso, dell'Amministrazione centrale dal correlativo peso. IJ che nella specie stato, appunto, realizzato con l'accollo del relativo peso economico in conto capitle ad un terzo: il Comune. Ne consegue la inapplicabilit alla specie dell'art. 110 del Regolamento del 1865, in quanto lo Stato non aveva sull'immobile un diritto di pro priet, ma solo un diritto reale pubblico di uso previsto da una norma speciale previgente e non abrogata da quelle generali successive. D'altronde, che l'utilizzazione dell'immobile in parte qua sia avvenuta ai sensi della previgente normativa, lo dimostra l'ovvia considerazione che venne mantenuto il vincolo di destinazione nella sua interezza con modalit congruenti solo con la normativa preunitaria e che non si atta gliano, invece, a quella del 1865. Come risulta, infatti, dal combinato disposto degli artt. 174 della legge del .1865, all. A, e dagli artt. 89 e 90 del successivo Regolamento, la spesa obbligatoria della Provincia aveva ad oggetto gli uffici di prefettura e sottoprefettura e gli alloggi dei funzionari ad essi preposti, non anche gli uffici di questura e gli alloggi dei questori, pure in pari data istituiti 1r11a1111111r111111111111,1111'r11111111111 534 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge comunale e provinciale 20 marzo 1865 n. 2248, allegato A, approvato col r.d. 8 giugno 1865 n. 2321. In virt di tale disposizione di legge, gravava sulle province l'onere di spesa per la fornitura allo Stato dei locali da adibire a uffici governativi: onere che doveva essere assolto o mediante la fornitura di locali propri, o mediante la fornitura di locali di terzi (la cui pigione doveva essere pagata dalle provincie), ovvero mediante il pagamento diretto della pigione allo Stato, qualora i locali predetti fossero di sua propriet. E poich, dii fatto, Jia Provincia di Chieti, non aveva mai pagato detta pigione., n allo Stato n a terzi, la Corte di appello ha tratto da ci argomento per confermare che la Provincia si comportava da proprietaria dell'edificio . Le Amministrazioni ricorrenti, per, censurano tale conclusione, assumendo che il fatto del mancato pagamento della pigione aveva causa nella concreta inapplicabilit della legge predetta, noich il rapporto doveva intendersi regolato dallo ius singulare costituito dal decreto murattiano del 1808 e da quello borbonico del 1816 (il cui perdurante vigore era richiamato, per ci che atteneva alla disponibilit dei beni enti autarchici territoriali, dall'art. 252 della citata legge comunale e provincia!le del 1865), in virt del quale ~'onere deUa fornitura dei focali in questione era stato addossato a1 Comune. Una siffatta costruzione, per, potrebbe reggersi -come correttamente fa osservare l'attenta difesa della resistente -solo ritenendo che i decreti murattiano e borbonico avessero attribuito allo Stato un diritto di godimento di natura reale, sopravvissuto, anche in ragione di tale (cfr. all. B alla stessa legge del 1865), mentre, come la Provincia di Chieti afferma e la Corte di Appello dell'Aquila conferma, fin dal 1865 Questura e Questore furono rispettivamente insediata ed alloggiato nell'immobile al pari di Prefettura e Prefetto. II che sarebbe inspiegabile alla stregua della legislazione italiana ma , invece, pienamente conforme al dettato di quella preunitaria: il vincolo di destinazione era, infatti, in favore della abitazione dell'Intendenza e di lei officine . Il che, tradotto in pi accettabile lingua, suona come uffici della Intendenza e alloggio dell'Intendente, Orbene, si visto come l'Intendente napoletano fosse organo a com petenza molteplice: tanto il Prefetto quanto il Questore furono, quindi, considerati suoi successori. Quanto sopra spiega forse anche -attraverso un curioso fenomeno di animismo buroeratico -la bizzarra natura delle liti quali quelle in esame, in cui un conflitto astratto fra Stato e Comune suole risolversi concretamente in favore di un terzo incomodo: la Provincia. L'Intendente napoletano, come si visto, oltre che organo locale del Governo con competenza plurima sul territorio della Provincia, era anche capo di un organismo locale a carattere corporativo (anch'esso denominato Pro PARm I, SBZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILB 535 natura, alle innovazioni legislative del Regno di Italia. Nessuna altra ultrattivit di tali norme pre~itarie sarebbe, invero, configurabile, se non sotto la specie de1l'attribuzione di un diritto soggettivo; ma anche a voler ammettere che tale diritto, di natura reale, fosse sopravvissuto al 1sopravvenire della legislazione unitaria, non perci sarebbe venuto meno l'obbligo della provincia di corrispondere ugualmente quella pigione di cui si detto, la quale, se dovuta quando l'edificio di propriet dello Stato, allo stesso modo dovuta quando, sull'immobile, lo Stato ha un altro diritto di natura reale. La situazione descritta dalla Corte di appello, pertanto, appare ben pi aderente alla realt giuridica: la Provincia ometteva il pagamento della pigione perch riteneva di P,ssere proprietaria dell'immobile; lo Stato, a sua volta, ometteva di richiederne il pagamento, perch accettava quella situazione di fatto; il Comune, infine, non richiedeva il pagamento (quale terzo fornitore dell'immobile), evidentemente perch ignorava che col decreto di concessione del 19 novembre 1808 (di Gioacchino Murat), confermato, poi, dal decreto 6 febbraio 1816 (di Ferdinando IV di Borbone), gli era stata attribuita la propriet dell'immobile. La quarta e ultima censura contenuta nel motivo di ricorso in esame si appunta sul Tagionamento della sentenza, secondo il quaile il pacifico possesso era dimostrato anche dal fatto che la Provincia aveva effettuato, nell'edificio, degli ampliamenti e una sopraelevazione. Le ricorrenti come gi stato esposto -sostengono che quel fatto non sarebbe probante, perch l'ampliamento (costruzione di una nuova ala del palazzo) sarebbe stato effettuato previo un accordo del Demanio dello Stato, come vincia), che, per non av.ere personalit giuridica, svolgeva, nondimeno, una serie di attivit che sarebbero state, poi, nella legislazione unitaria, deputate all'ente Provincia. Non occorre, dunque, troppo sforzo d'immaginazione per ricostruire il passaggio dal vecchio al nuovo regime, un passaggio che deve essere avvenuto senza traumi per gli uomini e senza spostamenti per le cose. Prooabilmente gJi stessi impiegati, nelle stesse stanze, avranno continuato ad occuparsi degli stessi affari, gli uni agilii ordini di un Prefetto o di un Questore invece che di un Intendente, gli altri alle dipendenze di una Provincia ente autarchico territoriale invece che di una Provincia ripartizione territoriale dello Stato e vaga corporazione. Ci spiega, tra l'altro, come all'intestazione catastale borbonica dell'immobile in capo ahla Provincia sia succeduta -con non innocua eterogenesi lessicale -l'omonima intestazione catastale sabauda, la cui valutazione come indizio ad opera dei giudici di merito appare viziata oltre che dall'errore di diritto sopra evidenziato da una conseguenziale msufficienza logica di motivazione. Lo stesso dicasi, naturalmente, per l'apprezzamento fatto in ordine al significato del mancato pagamento RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO esse stesse avrebbero gi dedotto con la comparsa conclusionale in grado di appello. In proposito, per, osserva giustamente la resistente che se veramente fosse esistita una convenzione con la quale lo Stato, agendo quale asserito proprietario dell'ex convento per cui causa, avesse regolato con la Provincia il diritto di operarvi sopraelevazioni e aggiunte, le amministrazioni oggi ricorrenti avrebbero avuto il preciso onere non gi di fame semplice e fugace menzione nella comparsa conclusionale di appello, bens di fornire la rigorosa prova, attraverso tempestiva e rituale produzione in giudizio del relativo documento. Aggiunge, comunque, fa resistente che se ile dette Amministrazioni avevano inteso rirerirsi alla convenzione del 1912, allegata agli atti di causa, la censura sarebbe sicuramente priva di fondamento, risultando da tale atto che lo Stato intervenne, nel negozio stipulato fra la Provincia e una confraternita religiosa per l'acquisto della Chiesa adiacente all'immobile in questione (la quale doveva essere demolita, al fine di consentire la costruzione della nuova ala), solo per concedere alla Confraternita predetta l'uso di un'altra Chiesa, di sua propriet. Lo Stato, cio, intervenne in quel negozio non gi manifestando l'intendimento di ritenersi, egli, proprietario dell'immobile per cui causa, ma confermando, se mai, il proprio convincimento che lla Provinda avesse, a quell'epoca, il pacifico possesso uti dominus dell'edificio, del cui ampliamento esso Stato si avvantaggiava, per poter concedere maggiore spazio agli uffici governativi che vi avevano sede. Tutto ci, peraltro, senza considerare che la convenzione predetta riguardava solo l'ampliamento dell'edificio, non anche la sua sopraelevazione e de11a pigione aihlo Stato, erroneamente condotto aHa luce della normativa italiana (inapplicabile alla specie) invece che alla stregua di quella preunitaria e per le c:onsiderazioni svolte sulla manutenzione dell'edificio, affrontata dalla Provincia, considerazioni che non tengono conto dell'onere di manutenzione derivante alla Provincia dall'art. 174 del.le [eggi Com. e Prov. del 1865, aggiuntivo rispetto a quello di messa a disposizione dell'immobile, specialisticamente derogato nella specie. L'ultimo elemento presuntivo addotto dalla Corte riguarda gli ampliamenti e le sopraelevazioni dell'edificio effettuate dalla Provincia. L'argomento appare inficiato da un vistoso vizio di omissione: ampliamento e soprne1evazioni furono, infatti, come pacifico fra le parti e mai contestato (cfr. conclusionale di 2 grado, pag. 21) regolati da una convenzione del 1912 cui partecip il demanio dello Stato. In definitiva e per concludere la Corte di Appello dell'Aquila, bench la Provincia attrice non avesse portato alcuna prova del proprio possesso ad usucapionem sulle porzioni di immobile adibite a Prefettura, Questura e relativi alloggi, ha ritenuto provato tale possesso attraverso PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 537 gli altri miglioramenti che la Provincia ha sempre affermato di avere effettuato in quanto riteneva di avere, appunto, titolo per possedere pacificamente l'immobile. Giova, peraltro, ricordare che, a conferma di ci, la Provincia aveva aggiunto di avere anche, senza opposizione da parte di alcuno, locato a terzi una parte dell'edificio; e quantunque anche da questo fatto la sentenza impugnata abbia tratto argomento per convalidare la tesi del possesso uti dominus, [e ricorrenti Ammlllistrazioni statali hanno completa mente omesso ogni censura al riguardo, evidentemente perch ogni opposizione era mancata allorch i relativi contratti furono stipulati. Col terzo motivo denunciano, ai sensi dell'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli articoli 1 e 3 legge 16 settembre 1960 n. 1014 ; nonch, ai sensi dell'art. 360 n. 5 cod. proc. civ., omessa motivazione su un punto decisivo. Dopo aver chiarito che questo motivo di ricorso viene proposto in via ancora pi subordinata (cio per l'ipotesi che venga riconosciuta natura obbligatoria al vincolo di destinazione preunitario), sostengono che all'obbligazione in esame dovrebbe quantomeno riconoscersi la natura di obbligazion.e propter rem gravante per legge in perpetuo (fino a provvedimento uguale e di segno contrario, di pari forza e valore) su qualunque proprietario dell'immobile . E ci escluderebbe -secondo le ricorrenti che possa applicarsi la norma di cui all'art. 3 in epigrafe, che contempla i locali di propriet delle Province distoglibili dalla loro attuale destinazione sulla base di una mera intesa fra le parti . Anche tali motivi -che, per la sostanziale unicit della questione trattata, possono essere trattati congiuntamente -sono infondati. presunzioni che si sono tutte dimostrate viziate nei modi sopra denunciati per falsa applicazione di norme di diritto ed incongruenza o insufficienza (quando non per carenza) di motivazione. Dalle risultanze di causa emerge, al contrario, una opposta realt: un godimento dell'immobile, da parte della P.A., con modalit pienamente conformi al vincolo di destinazione preunitario e senza soluzioni di continuit. Tale essendo la situazione, ed anche a voler prescindere dal come, quando e perch possa essere sorto l'animus possidendi in capo alla Provincia, resta da spiegare a far data da quale giorno e per quali ragioni lo Stato italiano sia divenuto -e coscientemente divenuto! -detentore nomine alieno in nome e per conto della Provincia (cfr. De Ruggero, Istituzioni di Diritto Civile, ed. 1926, pag. 733). Mancando tale spiegazione -e addirittura la correlativa conclusiva affermazione - errato il riconoscimento della propriet acquisita per usucapione in capo alla Provincia di Chieti. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 538 Il prol:ilema giuridico con essi proposto, invero, gi stato risolto da questa Corte (sent. 9 luglio 1976 n. 2591, delle Sezioni Unite) in senso tutt'altro che favorevole alla tesi delle ricorrenti, essendosi ritenuto che le limitazioni del contenuto delle concessioni traslative ai comuni, operate con i decreti murattiani e confermate con quelli della restaurata monarchia borbonica; in forza dei quali la concessione della propriet era accompagnata dal vincolo di destinazione degli immobili a sede di uffici governativi, hanno natura e portata obbligatoria, riconducibili, in senso lato alla categoria del modus apposto a un'attribuzione a titolo gratuito (quali furono, nella sostanza, le predette concessioni traslative della propriet), non gi natura reale. Nel caso, quindi, di acquisto per usucapione della propriet, da parte della Provincia, proprio perch l'acquisto avviene a titolo originario, lo stesso deve considerarsi svincolato dal modus che, appunto, era stato posto alla originaria concessione a favore del Comune. Da tale impostazione non sussiste' ragione alcuna per discostarsi, non potendo in alcun modo ritenersi (una volta escluso il diritto reale di uso) che il modus predetto possa essere sopravvissuto all'usucapione della propriet dell'immobile da parte della Provincia. Ci che, invece, pu ritenersi sopravvissuta all'usucapione la destinazione del bene allo specifico uso pubblico; ma il relativo potere lo Stato ha esercitato non gi per una sorta di ultrattivit dei decreti murattiano e borbonico, bens in virt della legge comunale e provinciale del 1865 che imponeva alla provincia di fornire a esso Stato la sede dei suoi uffici periferici; e, dopo l'innovazione legislativa del 1960, in forza della nuova legge che ha espressamente sancito, per d casi in cui i detti uffici siano situati in edifici di propriet delle provincie, i'l diritto dello Stato di mantenerne il godimento, con l'obbligo, per, di pagare alle provincie predette un congruo canone di affitto . Questa sopravvivenza della destinazione dell'edificio a quell'uso, per, riguarda solo l'aspetto giuspubblicistico della indisponibilit del bene (tanto che lo stesso fa parte del patrimonio indisponibile), non certo un potere di natura privatistico-patrimoniale dello Stato, avente ad oggetto il godimento del bene. Questa stessa considerazione, infine, toglie vaNdit alla tesi (subordinata) dell'esistenza di una obbligazione propter rem, la quale potrebbe reggersi -per superare l'ostacolo della tipicit delle obbligazioni reali solo ritenendo sussistente la sopravvivenza dello ius singulare che sarebbe .pecialmente in riferimento alla ipotesi del concordato per cessione dei beni ai creditori. Tale questione si inquadra d'altronde nel tema pi generale delle funzioni e dei poteri di tali organi, con particolare riguardo per quelli del liquidatore dei beni; e questo tema a propria volta correlato con lo stesso modo di intendere la procedura concordataria mediante cessione liquidativa. Il problema pu riassumersi in questi termini: chi identifica tale cessione dei beni con l'istituto civilistico previsto e disciplinato dagli artt. 1977 e segg. (2) Cfr., in proposito, Cass., 2 agosto 1977, n. 3391, cit.; Cass., 21 marzo 1977, n. 1098, in Foro it., Rep. 1977, voce cit., col. 483, n. 23; Trib. Firenze, 15 settembre 1976, in Giur. merito, 1977, p. 252. In dottrina, cfr. D. MAzzoccA, Manuale di diritto fallimentare, Napoli, 1980, pp. 553 e 569; P. PAJARDI, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 1976, pp. 729 e 761; G. DB SBMO, Diritto fallimentare, Padova, 1968, p. 545; R. PROVINCIAU, op. cit., p. 2050. 546 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO I SVOLGIMENTO DEL PROCESSO I Con contratto in forma pubblica/amministrativa rep. n. 19821 in data 1 febbraio 1972 la societ SICA -Societ Italiana Cioccolato Affini S.p.A., con sede in Bari si obbligava ad eseguire la fornitura di quintali I 1200 di cioccolato, per l'importo complessivo di L. 94.552.800, al Ministero I della Difesa. Resasi parzialmente inadempiente fa SICA e scaduto inutilmente il termine fissato alla medesima per l'approntamento e la consegna dei rimanenti quintali 741 di cioccolato puro, l'Amministrazione della Difesa, con fol. 148/1 del 5.2.74, comunicava alla societ fornitrice che, a norma dell'art. 72 delle Condizioni Generali di Oneri facenti parte integrante Idel contratto, era decaduta dal diritto di proseguire la fornitura relativamente alla consegna di quintali 741 a saldo della provvista e che, I conseguentemente, avrebbe acquistato il predetto quantitativo di merce in danno della societ medesima, a cui carico sarebbero state poste, I inoltre, le eventuali maggiori spese, salve le penalit per il ritardo e la mancata consegna prevista dall'art. 70 delle citate C.G.O. I W: Andate deserte una licitazione privata in data 28 maggio 1974 e due i ~ raccolte d'offerte in data 20.6.74 e 9.7.74, l'acquisto in danno della SICA ~= avveniva con contratto n. 23354 di Rep. dell'8.10.74 stipulato a trattativa privata con la S.p.A. De Licia -Compagnia Europea di produzioni Dolciarie , con sede in Gorizia, per fornitura di q. 740 di cioccolato puro I del Codice Civile, tende ad identificare il liquidatore nominato ex art. 182 l.f. ~ con il liquidatore della normale cessio bonorum, attribuendogli pertanto la ~ niera funzione del mandatario ad amministrare ed alienare i beni ricompresi nella cessione e conferendogli di conseguenza i soli poteri processuali che a lui I competono per questo specifico incarico: e cio, i soli poteri processuali che ineriscono alle azioni di carattere patrimoniale relative ai beni ceduti (arti colo 1979 C.C.), o alle azioni che concernono lo stesso svolgimento . delle opera Izioni di liquidazione; viceversa, chi tende a distinguere le due forme di cessione dei beni, pone implicitamente le premesse per differenziare anche le funzioni ed i poteri del liquidatore nelle due ipotesi, in ciascuna delle quali la capacit processuale sar rapportata alla specificit del relativo munus. II L'impostazione tradizionale appare chiaramente orientata verso la prima soluzione, nel presupposto di fondo che la sentenza omologativa apre una fase di carattere negoziale, sulla quale nessuna influenza possono svolgere gli % ! organi del procedimento di concordato, oramai esauritosi (3). Il carattere ~ negoziale della fase post-concordataria della liquidazione consente quindi di i parificare la cessione dei beni nel concordato preventivo alla cessione dei beni 1 di cui agli artt. 1977 e segg. C.C., con la conseguente unificazione della figura f: ~ giuridica del liquidatore. Questo indirizzo, -con i suoi logici riflessi sul pro blema della capacit processuale, che qui specificamente interessa, - stato recentemente riaffermato dalla S.C. di Cassazione, la quale ha ritenuto che (3) M. VASELLI, Concordato preventivo, cit., p. 517. I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 547 . .,,co~plessivo L. 137.640.000, ridotto a L. 137.295.900 per sul essendo inI, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 547 . .,,co~plessivo L. 137.640.000, ridotto a L. 137.295.900 per sul essendo in _.,.o dello 0,25 % prezzo unitario, stata accettata, , , .. :rtfog~ della cauzione, fideiussione bancaria. Per l'esatta copertura dell'acquisto in danno della merce non fornita dalla SICA (q. 741), l'Amministrazione, avvalendosi della facolt di cui all'art. 11 del R.D. 18.11.1923 n. 2440, ordinava alla De Licia, entro il limite del quinto dell'ammontare del succitato contratto 23354, la fornitura di un altro quintale di cioccolato per il maggiore importo di L. 186.000, ridotto per l'abbuono dello 0,25 % a L. 185.535. Dall'acquisto in danno veniva cos a risultare una maggiore spesa di L. 87.343.965 (di cui L. 79.095.080 per differenza prezzo della merce e L. 8.248.885 per IVA) da porsi -per effetto dell'art. 73 delle C.G.O. a carico della SICA, tenuta altres al pagamento delle ulteriori somme di L. 6.650.215 a titolo di penalit per ritardo nella consegna di q. 103 e per mancata esecuzione dell'approvvigionamento di q. 741 di cioccolato; di L. 1.222.025 IGE sull'importo di q. 240 e q. 116 di merce a suo tempo consegnati; nonch di L. 1.411.800 per maggiore spesa risultata dall'acquisto in danno di n. 17400 razioni di cioccolato energetico, effettuato con ordinativo in economia numero TRM2/7724-7841 Li-2 in data 8.10.1972 presso la ditta Alemagna a seguito di decadenza della SICA dall'intera fornitura della predetta merce, oggetto del contratto n. 18900 i di Rep. del 24.8.1971. \ l la legittimazione, sia attiva che passiva, a tali azioni spetta esclusivamente al creditore dell'imprenditore e all'imprenditore medesimo, mentre non spetta mai n al liquidatore dei beni ceduti ai creditori, e neppure al commissario l ~ giudiziale... Invero, la legge fallimentare, nel prevedere all'art. 182 la nomina del... liquidatore, non gli conferisce alcun potere di verifica della esistenza ed esigibilit reale dei crediti ammessi, n, tanto meno, di rappresentanza della massa dei creditori, sicch il suo compito deve intendersi strettamente limitato a realizzare i beni del debitore concordatario e a ripartirne il ricavato secondo le modalit stabilite nella sentenza di omologazione... In tale situazione, se da un lato non si pu dubitare della legittimazione passiva del liquidatore rispetto ad un giudizio in cui in sostanza lo si chiama... a rendere conto del proprio II operato di liquidazione, dall'altro lato deve invece escludersi la sua legittimazione a proporre questioni che esulano dalla pura e semplice esecuzione della sentenza di omologazione del concordato (4). La diversa soluzione adottata dal Tribunale di Bari nel caso di specie, si ispira, -coine si accennato, -ad una concezione alternativa della ces-?.AW (4) Cass., 18 dicembre 1978, n. 6042, cit. In senso analogo sono orientate Cass., 8 gennaio 1979, n. 78, in Foro it., Rep. 1979, voce cit., col. 466, n. 60; Cass., 11 novembre 1970, n. 2346, in Dir. fall., 1971, II, p. 445 ss.; Cass., 18 luglio 1960, n. 1994, in Foro it., 1960, I, p. 1948 ss. e Dir. fall., 1960, II, p. 838 ss.; Cass., 23 novembre 1959, n. 3440, in Foro it., Rep. 1959, voce cit., eol. 510, n. 13, nonch, nella giurisprudenza di merito, Trib. Firenze, 11 novembre 1978, in Giur. comm., 1980, II, p. 644 ss.; Trib. Milano, 20 settembre 1976, in Dir. fall., 1977, II, p. 143 ss.; Trib. Bologna, 27 dicembre 1969, in Giur. it., 1970, I, 2, p. 587 ss., ed ivi ampi richiami. In favore di questa soluzione si esprime, in dottrina, R. PROVINCIALI, p. 2126, n. 62, e pp. 2128-2129, n. 66, con ampi richiami giurisprudenziali. Manuale, cit., b,-,.:~ ,. ,,,z:.,A~ '::~:1:%J @@.:.:<::. ~l~itil 548 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO La complessiva somma di L. 96.528.005 dovuta dalla SICA veniva a ridursi a L. 59.732.400 per eseguita compensazione parziale con le minori somme spettanti alla cennata societ di L. 36.653.390 (IVA compresa) per la parziale esecuzione del contratto n. 19821 in data 1 febbraio 1972 e di L. 142.215 (giuste fatture n. 9028 del 17 luglio 1972 e n. 675 del 27 settembre 1972) per le provviste effettuate presso l'Aeroporto di Alghero e presso il Q.G. Aeroregione di Bari. Con atto di citazione 19 maggio 1977 l'Amministrazione della Difesa, (Direzione Generale di Commissariato), in persona del Ministro della Difesa in carica, premesso quanto innanzi esposto, assumeva che la SICA era tenuta al pagamento della somma di L. 59.732.400, nonch, in solido, per la parte afferente .i debiti dall'inadempimento del contratto 19821 in data 1 febbraio 1972 e limitatamente a L. 9.480.000, la Banca Nazionale della Agricoltura, sede di Milano, per l'obbligazione fideiussoria assunta nel cennato contratto; aggilllll.geva che la SICA, richiesta del pagamento, nel comunicare che, a termdne della procedura di amministrazione controllata, aveva proposto concordato preventivo con cessione dei beni ai creditori, aveva invocato a suo favore l'applicabilit dell'art. 168 l.f., e che la Banca Nazionale dell'Agricoltura, sollecitata ad eseguire il pagamento, non vi aveva provveduto n vi aveva dato riscontro; riferiva che, con sentenza 4 giugno 1975, il Tribunale di Bari aveva omologato il concordato preventivo proposto dalla SICA il 16 dicembre 1974 ed aveva nominato Commissario giudiziale il dr. Rino Formica e liquidatore l'avv. Francesco Troccoli; sione dei beni ai creditori nel concordato preventivo. L'istituto, in pratica, viene sottratto all'ottica meramente negoziale che caratterizza l'orientamento tradi . zionale, per essere piuttosto interamente ricondotto nella sfera del procedimento concorsuale a cui accede e di cui acquisisce l'impronta pubblicistica. In altri termini, la cessione liquidativa considerata non com~ un'attivit di attuazione del concordato rimessa alla semplice iniziativa privat, nelle forme previste per l'ordinaria cessio bonorum, ma come una fase della procedura concorsuale, assoggettata al controllo pubblicistiCo proprio di quest'ultima (5). Nell'ambito di questa concezione, la figura del liquidatore concordatario acquista ovviamente una sua peculiarit, con tutte le conseguenze del caso in (5) In dottrina, tale impostazione sostenuta in particolare da C. CELORIA e P. PAJARDI, nel Commentario della legge fallimentare, vol. II, Milano-Messina, 1960, p. 957 ss. Pare assurdo , -si legge nel testo, - che una procedura che nasce con chiari elementi puoblicistici... possa perdere per strada questo suo carattere per tFasformarsi in un semplice accordo tra privati, con una intromissione del Tribunale meramente estrinseca. Si cadrebbe, attraverso una simile concezione, nell'istituto della cessione dei beni previsto e regolatodagli artt. 1977 e segg. cod. civ., e non sareblie stato necessario creare un doppione. Si sarebbe rimasti fuori dall'equivoco di una situazione giuridicamente confusa: una procedura che prima affidata interamente al Tribunale per l'ammissione o la reiezione, poi, in caso di giudizio positivo, viene passata al vaglio dei creditori per l'approvazione, poi ripassata al Tribunale per l'omologa, ed infine rimessa ai creditori e al debitore, con l'intromissione del liquidatore (o dei liquidatori). Sono invece fermamente dell'opinione... che il concordato preventivo... rimane una procedura con forti tinte pubblicistiche. Se il legislatore ha ritenuto di darle una regolamentazione particolare e di inserirla tutta quanta nel corpo e nella struttura della leggefallimentar,e, vuol dire che ha ritenuto anche che gli i11teressi dei creditori e del debitore non potessero essere racchiusi e risolti in un ambito meramente privatistico, ma dovevano essere trasferiti in uno pubblicistico, anche se meno denso di quello del fallimento. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 549 esponeva che successivamente, con deliberazione dell'assemblea dei soci, la SICA S.p.A. era stata sciolta ed era stato nominato liquidatore l'ing. Mario Banfi. Ci premesso, al fine di conseguire le somme innanzi precisate, nonch i danni da svalutazione monetaria da precisarsi in corso di causa, conveniva in giudizio, dinanzi a questo Tribunale: 1) fa societ in concordato pre ventivo SICA Societ italiana Cioccolato Affi.nd -S.p.A., in liquidazione, in persona del suo liquidatore e legale rarppresentante ing. Mario Banfi e 2) la Banca Nazionale deH'Agricoltura per sentir cosi provvedere: a) dichiarare che la SICA S.p.A. in liquidazione tenuta a corrispon. dere all'Amministrazione della Difesa -Direzione Generale di Commissariato -per Je causali innanzi spiegate la complessiva somma di lire 96.528.005 (novantaseimilionicinquecentoventottomilacinque), ridotta, per parziale compensazione, a L. 59.732.400 (cinquantanovemilionisettecentotrentaduemilaquattrocento); b) dichiarare che la Banca Nazionale dell'Agricoltura tenuta a corri spondere alla medesima Amministrazione attrice, in solido con la SICA, la somma di L. 9.480.000 (novemilioniquattrocentottantamila); e) condannare fa Banca Nazionale dell'Agricoltura al pagamento della somma di cui al precedente capo oltre agli interessi, come per legge, dal 29 maggio 1975 al soddisfo; d) condannare la SICA S.p.A. in liquidazione al pagamento della somma di L. 59.732.400 (cinquantanovemilionisettecentotrentaduemilaquat ordine alla sua capacit processuale. Pi specificamente, tale figura. acquista una precisa impronta ufficiosa, in relazione all'esigenza che sia assicurato un efficace controllo sull'esecuzione delle operazioni concordatarie, a garanzia del l'equo contemperamento degli interessi creditori. Ci sembra che questo orientamento, oltre ad essere ispirato da una visione pi coerente del fenomeno in esame e da una sensibilit maggiore per le fina lit che esso tende a realizzare, confermato, -in via induttiva, -dalla stessa disciplina legale, dalla quale si pu desumere che il liquidatore del concordato possiede una funzione del tutto originale e pienamente . conforme alla dedotta ufficialit della propria figura. Egli infatti, -a differenza del liquidatore della normale cessio bonorum, -non ha il limitato compito di amministrare ed alie nare i beni ceduti, in rappresentanza dei creditori che abbiano aderito alla pro posta liquidativa, ma investito del pi ampio e significativo dovere di rea lizzare le attivit, di accertare il passivo mediante un procedimento ammini strativo che sostituisce l'equivalente procedimento giurisdi:l!ionale previsto per il fallimento, e di predisporre e comunicare un piano di riparto delle attivit liquidate, che ha effetto vincolante per i creditori, ivi compresi quelli assenti e dissenzienti: tutti compiti, -come ben si vede, -che consentono di para gonarlo per vari aspetti pi al curatore fallimentare che al mandatario della cessio bonorum. Sulla base della ritenuta ufficialit del proprio munus e della connessa pubblicit delle sue funzioni, non sar difficile trarre ormai le opportune con RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 550 trocento), oltre agli interessi come per legge, salvo a detrarre la somma di L. 9.480.000, nell'ipotesi di accoglimento delle conclusioni di cui ai capi b) e e); e) condannare la SICA -S.p.A. in liquidazione ai danni per svalutazione monetaria, da precisarsi in corso di causa; f) dichiarare, ove occorra, che l'Amministrazione della Difesa, creditrice concorsuale, ha diritto di essere soddisfatta per l'ammontare complessivo dei suoi crediti verso la societ SICA in concordato preventivo nella percentuale a risultare a seguito della liquidazione dei beni; g) condannare i convenuti alle spese tutte del giudizio. La citazione veniva notificata altres al dott. Rino Formica e all'avv. Francesco Troccoli, rispettivamente commissario giudiziario e liquidatore nel concordato preventivo della SICA S.p.A., per notizia e legale scienza. Dichiarata la contumacia delle convenute, in corso di giudizio il procuratore dell'attrice riduceva la domanda nei confronti della SICA a lire 49.130.375, avendo la SICA corrisposto L. 1.222.025 per IGE sull'importo df q.li 240 e 116 di merce a suo tempo consegnata a fronte del contratto n. 19821 idi rep. -del 1 febbraio 1972 ed avendo fa Banca Nazionale dell'Agricoltura versato la somma di L. 9.480.000-(59.732.480-1.222.025 -9.480.000) e limitava i capi b) e e) al pagamento, da parte della Banca Nazionale dell'Agricoltura, degli interessi legaiJ.i sulla somma di L. 9.480.000 dal 29 magseguenze applicative con riguardo al tema specifico della legittimazione processuale, dal quale siamo partiti e che qui interessa in modo particolare. i;'. infatti evidente che su tali basi occorrer riconoscere la sua autonoma ~d originaria capacit (ad agire e) a resistere nei giudizi attinenti alla situazione patrimoniale del debitore C()[]:cordatario, in quanto idonei a modificare la posizione dei creditori, alla cui dndifferemii:ata tutela egli .istituzionalmente tenuto a provvedere. Tale soluzione non d'altronde p11iva di precedenti, ma anzi conforme ad un indiI'izzo che, bench minm1itario, ha gi trovato autorevole ri.scontro nella giurisprudenza sia di !egiittimit (6) che idi merito (7). Per esaurire l'argomento della capacit processuale nei giudizi che investono la sfera patrimoniale del debitore concordatario, occorre infine considerare brevemente la posizione degli altri organi della procedura. A riguardo, non dovrebbe sembrare dubbia la legittimazione passiva del garante del concordato preventivo (da non confondere per con il garante dell'obbligazione in contestazione, anch'egli d'altronde pienamente legittimato, iure proprio, nel (6) Cfr. Cass., 19 dicembre 1978, n. 6083, cit. (7) Cfr. Appello Torino, 12 aprile 1974, in Giur. it., 1974, I, 2, p. 679 ss., Trib. Bologna, 13 dicembre 1969, ivi, 1970, I, 2, p. 587 ss., e Trib. Bologna, 7 febbraio 1963, ivi, 1963, I, 2, p. 434 ss. Nel senso che i liquidatori non sono litisconsorti, ma possono comunque intervenire volontariamente nel processo, si veda Trib. Firenze, 15 settembre 1976, cit. Pi radicale, in dottrina, la tesi sostenuta da D. MAzzoccA (Manuale, cit., p. 570), secondo cui, nel caso di concordato per cessione, tutti i poteri, anche processualmente, per recuperare e far valere ragioni attinenti alla integrit patrimoniale... passano ... ai creditori ed al liquidatore >>. t ! PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 551 gio 1975 al 2 settembre 1977. La causa veniva quindi rimessa al collegio e ritenuta per la decisione all'udienza del 22 gennaio 1979. Il Tribunale, con ordinanza collegiale 29 gennaio -6 febbraio 1979, sul rilievo che dal progetto analitico 26 settembre 1977 redatto dalla seconda sezione della Direzione Generale Commissariato non emergevano con chiarezza i procedimenti attraverso cui si era pervenuti ai risultati nello stesso indicati, invitava il procuratore dell'Amministrazione Difesa a dare chiarimenti in proposito. Depositate da parte deU'attrice deduzioni istruttorie datate 4 aprile 1979, la causa. veniva nuovamente rimessa al collegio che con ordinanza 28 maggio -8 giugno 1979, al fine di attuare l'economia dei giudizi e di evitare contraddittoriet di giudicati, ordinava l'integrazione del contraddittorio nei confronti dell'avv. Francesco Troccoli, liquidatore giudiziale della SICA S.p.A., ammessa al concordato preventivo con cessione di beni. Costituitosi in giudizio con comparsa 20 ottobre 1979, l'avv. Troccoli, nella detta qualit, deduceva finopponibilit dell'acquisto in danno alla societ contraente ai sensi degli artt. 168, 1 comma e 188 2 comma, .legge fallimentare. Subordinatamente, eccepiva la tardivit dell'acquisto esperito, affetto, di conseguenza, da inefficacia e, pi subordinatamente, che i prezzi da considerare avrebbero dovuto essere quelli vigenti al momento dell'inadempimento (30 gennaio 1974). Ancora pi subordinatamente, deduceva l'infodatezza della domanda di rivalutazione del credito, stante il principio della cristallizzazione dei giudizio di cog111z10ne relativo al credito), nonch quella del terzo assuntore del concordato. Non legittimato appare invece il commissario giudiziale, le cui funzioni dopo l'omologazione del concordato appaiono limitate alla mera vigi lanza sulla sua corretta esecuzione (8). (4) La massima conforme sia alla dottrina che alla giurisprudenza dominanti. Si veda, tra l'altro, A. BENNATI, Manuale di Contabilit di Stato, Napoli, 1977, p. 149 ss., e O. SEPE, Contratto (Diritto Amministrativo), in Encicl. Dir., vol. IX, Milano, 1961, p. 1010 ss., nonch Cass., 4 dicembre 1975, n. 4010, in Foro it., Rep. 1975, voce Contratti della P.A., col. 602, n. 36; Cass., 27 marzo 1973, n. 839, ivi, Rep. 1973, voce cit., col. 609, n. 33; Cass., 28 gennaio 1972, n. 244, ivi, 1972, I, p. 600 ss., e Cass., 16 aprile 1970, n. 1061, in Giust. civ., 1970, I, p. 1632 ss. Cfr. altres Avvocatura dello Stato, Il contenzioso dello Stato negli anni 1971-1975, vol. III, Roma, 1976, p. 174. (.5-8) Un caso di compera in danno nei confronti di una societ in amministrazione controllata. La fattispecie sottoposta all'esame del Tribunale di Bari, -relativa alla ammissibilit ed ai limiti di validit di una compera in danno eseguita nei confronti di una Societ posta in stato di amministrazione controllata, -con (8) Per quanto riguarda tali specifici profili, si rinvia alla nota di D. TEDESCHI gi citata, le cui osservazioni in merito appaiono pienamente condividibili. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO crediti nei confronti delle procedure concorsuali, nonch della richiesta d'interessi in contrasto con gli articoli 169 e 55 L.F.. Concludeva per il rigetto delle domande, perch inammissibili, infondate e comunque ingiustificate. Subordinatamente, chiedeva il contenimento delle .domande nei limiti del giusto e del provato. MOTIVI DELLA DECISIONE 1) Rileva innanzi tutto il collegio che rettamente stata dichiarata la contumacia delle convenute SICA S.p.A. in liquidazione e della Banca Nazionale dell'Agricoltura, ritualmente citate e non costituite. In relazione alla SICA, societ in liquidazione, vente quale liquidatore l'i.!ng. Mario Bainfi, cop:i!a dell'atto di citazione venne diall'UfficiaJe Giudooarrfo dapprima portato, Jl 23 maggio 1977, nella sede della predetta societ alla Vii.a Postiglione n. 26, ma non venne consegnata perch, come si legge nella relata, omessa notifica perch cessata la sua attivit . Altra copia venne portata nell'abitazione dell'ing. Mario Banfi, nella qualit di liquidatore della SICA, sita in Bari alla Via De Nicol n. 37, quivi consegnandola a mano del portiere Massaro Domenico, tale si qualifica, capace, per la sua precaria assenza e dei familiari. Bari 23 maggio 1977 . Il portiere Massaro provvedeva a firmare l'originale dell'atto di citazione. Altra copia venne portata nell'ufficio dell'ing. Mario Banfi (sempre nella qualit) sito in Bari alla P.zza Aldo Moro (Roma) n. 54, quivi conse sente di verificare criticamente una lunga serie di interessanti questioni che attengono alla disciplina di entrambi gli istituti. Un problema preliminare, -ancorch non suscitato in corso di causa, riguarda la stessa esigibilit della prestazione ineseguita, essendo chiaro che solo nell'ipotesi affermativa si potrebbe ammettere l'adozione di un rimedio quale la compera in danno, che presuppone un diritto attuale all'adempimento. Occorre dunque soffermarsi innanzi tutto sugli effetti della apertura del procedimento di amministrazione controllata sui rapporti giuridici pendenti, onde verificare se la parte adempiente avesse davvero il diritto di esigere la prestazione inadempiuta e potesse avvalersi degli strumenti ordinariamente concessi per il caso di inadempimento. Sotto questo profilo generale, giova preliminarmente puntualizzare che nell'ipotesi di apertura del procedimento di amministrazione controllata non pu ritenersi applicabile ai contratti in corso la disciplina dettata per il caso di fallimento, tenuto conto delle divergenze di natura e di finalirtl tra i due istituti: il primo riguardante il periodo della temporanea difficolt ad adempiere e diretto a ricostruire quelle condizioni di solvibilit dell'impresa che risultano momentaneamente compromesse; il secondo riferibile al tempo della definitiva insolvenza ed avente funzioni liquidative. Pertanto, -come insegna la pi recente giurisprudenza della S.C. di Cassazione, -occorre che nell'ipotesi di amministrazione controllata siano mantenuti... i rapporti gi costituiti, ... senza PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA; CIVILE PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA; CIVILE gnandola a mani del dipendente addetto alla ricezione Martiradonna Vittorio. Non sussiste, infatti, nella specie in esame violazione dell'art. 145 cod. proc. civ. (il quale determina la persona cui la copia dell'atto deve essere notificata quando la notifica deve essere effettuata nella sede della societ) ricorrendo l'eccezione prevista nell'ultimo capoverso del cennato articolo, secondo cui se la notificazione non pu essere eseguita a norma dei commi precedenti e nell'atto indicata la persona fisica che rappresenta l'ente, si osservano le disposizioni degli artt. 138, 139 e 141. Ha, infatti, insegnato il Supremo Collegio, con sentenza 16 maggio 1959 n. 1448 (Giust. Civ. 1960, I, p. 388), che quando trattasi di societ in liquidazione, che pur dovendo rispondere dei precedenti rapporti non ancora estinti, non compie, tuttavia, alcune nuove attivit e, quindi di regola non conserva pi la sua sede autonoma, stante l'impossibilit di rinvenire una sede separata propria della societ, dovr applicarsi l'ultimo capoverso dell'art. 145, e colui che rappresenta ancora la societ sostanzialmente non estinta, cio l'ultimo liquidatore, non potr che essere ricercato nella sua residenza, nel suo domicilio o nella sua dimora. Sulla scorta delle cennate osservazioni, pienamente rituale appare la notificazione effettuata presso l'abitazione e l'ufficio del liquidatore ing. Banfi e, conseguentemente, rettamente stata dichiarata la contumacia della cennata societ in liquidazione. Nessuna questione sorge in ordine alla ritualit della notificazione effettuata nei confronti della Banca Nazionale dell'Agricoltura, onde correttamente stata dichiarata la contumacia che vi sia per il debitore e per il commissario giudiziale una facolt di scelta, come quella prevista per il curatore del fallimento (1) . La ritenuta continuit delle. situazioni giuridiche pendenti non esaurisce tuttavia la nostra indagine, in quanto non si pu ignorare la necessit di adat tarne opportunamente la normativa alle circostanze sopravvenute e di armo nizzarle con la disciplina dell'amministrazione controllata: disciplina che ancora una volta, -nel solito, equivoco silenzio della legge, -dovr essere ricostruita (1) Cass., 5 giugno 1976, n. 2037, in Dir. fall., 1976, II, p. 698 ss., Foro it., 1977, I, p. 477 ss., e Giust. civ., 1976, I, p. 1638 ss. Conformi: Cass., 3 luglio 1980. n. 4217, in Giust. civ., 1980, .I, P; 244'.J ss., e Dir. fall., 1980, II, p. 590 ss.;. Cass., 14 febbrai? 19~9, n. 973 e n. 974, m Gmr. tt., 1979, I, l, p. 1680 ss.; Cass., 21 aprile 1972, n. 1267, m Dir. fall., 1972, Il, p. 578 ss. e Giur. it., 1972, I, 1, p. 1155 ss. In dourina, si veda R. PROVINCIALI, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 1970, vol. III, p. 2306, sec1ndo il quale i contratti non ancora eseguiti, in tutto o in parte, da entrambi i contraenti, continuano ... ; L. PAZZAGLIA, L'amministrazione controllata. Natura giuridica ed effetti. Milano, 1957, p. 145 ss.; S. SAITA, Amministrazione controllata, in Encicl. Dir., vol. Il, Milano, 1958, p. 188; D. MAzzoCCA, Manuale di diritto fallimentare, Napoli, 1980, p. 592. L'individuazione delle predette differenze, -sia sostanziali che di disciplina, -tra amministrazione controllata e fallimento, non contraddice l'indirizzo giurisprudenziale iniziato con la sentenza della Cassazione del 7 dicembre 1966, n. 2872 (in Foro it., 1977, I, p. 756), ed univocamente ribadito successivamente, in merito al rapporto di continuit , tra le due procedure, con la conseguente possibilit di identificare i concetti di temporanea difficolt ad adempiere e di insolvenza e di far risalire fino al primo momento gli effetti giuridici del dissesto fallimentare: tali considerazioni derivano infatti dalla constatazione postuma dell'esito negativo del risanamento tentato con l'amministrazione controllata, ma non escludono affatto le funzioni ontologicamente terapeutiche e sostanzialmente differenziate di quest'ultimo istituto. 554 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO di detta convenuta. Legittimo, n per altro contestato dall'attrice, appare l'intervento in causa iussu iudicis del liquidatore del concordato preventivo SICA S.p.A. al quale va riconosciuta una autonoma legittimazione, cos risolvendo l'antica disputa relativa alla legittimazione del. liquidatore del concordato preventivo nelle azioni cognitive che riguardano i crediti ed i debiti del debitore in concordato. La questione si pone perch il debitore concordatario, che resta in bonis, conserva la piena capacit processuale attiva e passiva, ed il liquidatore del concordato viene ritenuto un mandatario dei creditori con i soli poteri di realizzare e distribuire i valori sui quali si concordato, sia nel caso di concordato con percentuale predeterminata, sia nell'ipotesi di concordato per cessione di beni, con conseguente esclusione nel liquidatore della legittimazione passiva nei giudizi cognitivi sui crediti. Un pi approfondito. esame delle norme fallimentari, quale possibile dopo questi ultimi anni d'intensa sperimentazione dei procedimenti concordatari, deve indurre a modificare le sovraesposte tesi. Invero, posto che il concordato preventivo un procedimento di ufficio, al quale si attribuisce addirittura carattere inquisitorio (Trib. Roma, 8 luglio 1970, in Dir. fall. 1971, II, 89) e che, nell'ambito della ufficiosit, la nomina del liquidatore riservata al Tribunale (art. 182 L.F.) e che esso concordato, una volta omologato, obbligatorio per tutti i creditori, anche se assenti o dissenzienti (art. 184 L.F.), appare di tutta evidenza che per mezzo di interpretazione, tenuto sempre conto della natura e delle finalit dell'istituto. A questo riguardo, sembra da disattendere la tesi pi restrittiva, che limita al divieto di azioni esecutive individuali le deroghe alla normativa comune in tema di obbligazioni determinate dall'apertura della amministrazione control lata, rimanendo cos invariati gli obblighi dell'imprenditore di adempiere le proprie prestazioni alla scadenza pattuita e restando salvi tutti gli ordinari effetti previsti dalla legge o dal contratto per il caso di inadempimento. Viceversa, costituisce insegnamento costante della Corte Suprema che la tutela dei crediti, considerati non singolarmente, ma nel loro insieme, il fine comune di tutti gli istituti previsti dalla legge fallimentare e, quindi, anche della procedura della amministrazione controllata, e che la realizzazione di tale tutela, postulando la rigida applicazione della par condicio creditorum, esclude la possibilit che siano compiuti atti che alterino, a vantaggio di un creditore, la situazione esistente al momento dell'apertura della procedura e, in particolare, esclude che siano soddisfatti i crediti anteriori all'inizio della procedura stessa. E quanto a questo principio, non sembra dubbio che il divieto di pagamento di debiti preesistenti e venuti a scadenza in costanza della procedura concorsuale realizzi il duplice scopo di mantenere intatte le garanzie per tutti i creditori, inalterata la loro posizione ed aperta la via della solvenza per l'imprenditore... L'inammissibilit, invero, in pendenza della procedura di amministrazione controllata dei pagamenti dei debiti... scaturisce dalla natura stessa e dalle finalit dell'istituto, i quali... devono evitare che il patrimonio PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 555 la natura e la funzione del liquidatore del concordato preventivo sono diverse e pi ampie della natura e della funzione degli amministratoriliquidatori della cessio bonorum regolata dagli artt. 1977 e seg. cod. civ., ai quali le tesi innanzJi esposte e non condivise da questo Tribunale parificano la figura del liquidatore del concordato. Tale parificazione, gi contestata da qualche autore, a parere di questo Collegio, non sussiste perch, mentre il liquidatore della cessio bonorum di cui agli artt. 1977 e segg., che nominato dal debitore, deve compiere due sole operazioni costituite dalla realizzazione dell'attivo e dalla distribuzione del relativo ricavato tra i creditori che hanno aderito alla cessio, collocandosi e qualificandosi con .i loro crediti gi accertati negozialmente, il liquidatore del concordato, sia per percentuale che per cessione dei beni, ha funzioni pi ampie e tutte di natura ufficiosa,, che si estendono, nel concordato per cessione, all'accertamento dell'attivo e del passivo ed al realizzo dell'attivo. Il liquidatore poi, al pari del curatore fallimentare, ha l'obbligo di predisporre e comunicare un piano di riparto dopo aver portato a termine il complesso delle operazioni di liquidazione delle attivit, nonch dell'accertamento delle passivit (Cass., 6 settembre 1974, n. 2423, in Dir. Fall. 1975, II, 530). In proposito va ricordato che il concordato preventivo non ha la fase ufficiosa dell'accertamento delle passivit, come nel fallimento, onde tale compito demandato ufficiosamente al liquidatore. del debitore subisca manomissioni o ulteriori ingiustificate perdite... In questo sistema di garanzie, l'ammettere che il debitore possa a suo piacimento soddisfare i debiti precedentemente contratti, costituirebbe un'aperta contraddizione perch, da un lato, si impedirebbe ai creditori muniti di titolo esecutivo di realizzare in via forzata il loro diritto e di acquistare posizioni di privilegio, dall'altro si consentirebbe all'imprenditore una libert di pagamento dei debiti preesistenti, con sovvertimento di ogni principio di eguaglianza delle posizioni dei vari creditori (2) . Alla luce delle precedenti considerazioni, si deduce che il problema della disciplina dei rapporti giuridici pendenti al momento della apertura del procedimento di amministrazione controllata, consiste in sostanza nella conciliazione del principio della loro continuit con il divieto di pagamenti che alterino la par condicio creditorum. Ai fini di tale conciliazione, ci sembra co~retto ritenere che siano inesigibili le obbligazioni con prestazioni a carico della sola impresa controllata, che importino soddisfazione dell'altrui credito (2) Cass., 9 maggio 1969, n. 1588, in Foro it., 1969, I, p. 1709 ss. Analogamente, sostengono che l'impresa di amministrazione controllata goda di una moratoria e che i pagamenti eseguiti siano inefficaci rispetto agli altri creditori: Cass., 24 luglio 1980, n. 4798, in Foro it., 1981, I, p. 117 ss., e Cass., 8 aprile 1959, n. 1024, in Giust. civ., 1959, pp. 598-599. Conforme, in dottrina, R. PROVINCIALI, op. cit., p. 2283. Costituisce applicazione di tale principio il divieto di compensare debiti preesistenti con crediti divenuti esigibili nel corso della procedura di amministrazione controllata. Sul punto, cfr. Cass., 24 luglio 1980, cit.; Cass., 14 febbraio 1979, n. 975, in Giur. it., 1980, I, 1, p. 136 ss., con nota di RAGUSA MAGGIORE; Cass., 14 febbraio 1979, n. 974, cit.; Cass., 2 agosto 1977, n. 3421, in Giur. it., 1978, I, 1, p. 1572 ss., ed ivi note di richiami; Cass., 5 giugno 1976, n. 2037, cit. In dottrina, R. PROVINCIALI, op. cit., pp. 2302-2303, con note di richiami. 556 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Orbene, se vero ohe il concordato non priva il debitore della propria capacit patrimoniale e processuale e perci vero che, in caso di controversia circa l'esistenza e l'ammontare di un credito, non pu negarsi la sua legittimazione al relativo giudizio, non men vero che il >, secondo l'espresso disposto dall'art. 168 1. fall. Nessuna difficolt, !Il d'ordine logico, n d'ordine costruttivo, incontra invece la domanda attrice nell'ovvio presupposto che l'ammissione della soc. SICA S.p.A. alla procedura di amministrazione controllata non ha inciso sui rapporti giuridici preesistenti e, in modo specifico, sulla efficacia del contratto di compravendita stipulato con l'Amministrazione della Difesa in data 1 febbraio 1972. Resasi essa inadempiente all'obbligo di consegnare la merce venduta, l'Amministrazione acquirente, avendo la facolt o di ricorrere agli ordinari 1rimedi avverso l'inadempimento negoziale (e quindi di ricorrere all'azione d'inadempimento o a quella di risoluzione del contratto, oltre al risarcimento dei danni) o di ricorrere alla speciale procedura della compera in danno, che, secondo la dottrina dominante, costituisce un atto di autotutela contrattuale che rimpiazza il contratto inadempiuto e liquida prontamente l'ammontare del danno in ragione delle differenze di prezzo e delle spese dell'operazione, ha scelto la seconda soluzione, salva la necessit di ricorrere ad una azione di accertamento come la presente, nell'ipotesi in cui fossero stati contestati i presupposti del procedimento o il quantum della liquidazione. Rimane cos accertata la possibilit dell'Amministrazione di far ricorso a:lJ.a procedura di cui a!ll'art. 72 C.G,d'O., che crune si chiarito dnnanzi, costituisce solo una forma di liquidazione del danno, e giammai una forma di realizzazione satisfattiva del credito. 4) Deve a questo punto il Collegio esaminare la subordinata eccezione sollevata dal liquidatore del concordato relativamente agli effetti della affermata tardivit del contratto di acquisto in danno stipulato fra il PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 565 Ministero della Difesa e la S.p.A. De Licia nei confronti del Concordato della SICA S.p.A., considerando che, come si precisato innanzi, il termine perentorio ad adempiere fissato dall'Amministrazione alla SICA ebbe a scadere il 30 gennaio 1974 (v. missiva 5 febbraio 1974 prot. 148/1) e che l'acquisto in danno deve intendersi compiuto al momento della stipulazione del contratto di acquisto con la S.p.A. De Licia, ossia alla data 8 ottobre 1974. Invero, posto che l'Amministrazione della Difesa ha fondato la domanda di decadenza della SICA S.p.A. dal diritto di proseguire la fornitura relativa alla consegna di q. 741 di cioccolato a saldo della provvista prevista dal contratto 1 febbraio 1972 a norma dell'art. 72 delle Condizioni Generali d'Oneri, facenti parte integrante del contratto, e che conseguentemente si sarebbe proceduto ad acquistare il predetto quantitativo in danno della ditta medesima... , l'indagine del Collegio deve essere diretta ad accertare se la cennata consegna in danno sia tardiva e, nell'ipotesi affermativa, quali conseguenze derivino. Stabilendo il cennato art. 72 delle Condizioni Generali d'Oneri: si dichiara per patto espressamente convenuto che scaduto il termine utile fissato nel contratto per la consegna delle provviste o quello di gg. 10 specificato al n. 4 dell'art. 69, l'Amministrazione, assegnato all'assuntore un termine perentorio che sar da essa medesima insindacabilmente stabilito, anche in relazione alle esigenze di servizio, avr facolt (ove tale termine sia trascorso, per tutte o parte delle consegne scadute, infruttuosamente) indipendentemente dall'applicazione delle multe sopra indicate, di dichiarare decaduto il fornitore dal diritto di proseguire il contratto e di far eseguire, a conto e a rischio del fornitore stesso, anche a trattativa privata o ad economia, le provviste appaltate e non eseguite, senza che occorra altro avviso di costituzione in mora o giudiziale affidamento, ritiene il Tribunale che questa compera in danno debba essere effettuata con la massima sollecitudine, come appare evidente dall'inciso finale innanzi riportato che prevede la possibilit della Amministrazione (verificatesi le condizioni indicate nella prima parte dell'articolo in esame), di far eseguire le provviste appaltate e non eseguite senza alcun'altra ulteriore attivit da parte della P.A.. D'altronde il requisito della massima sollecitudine, quale risulta dal menzionato art. 72 delle C.Gid'O. contenuto nel R.D. n. 35 del 20 giugno 1930, trova riscontro nella successiva regolamentazione fatta dal cod. civ. del 1942 della vendita in danno e dell'acquisto in danno agli artt. 1515 e 1516, in cui si dispone che la compravendita deve avvenire senza ritardo, a parte l'osservanza di altre modalit ivi precisate, e ci al fine evidente, con riferimento alla seconda ipotesi, di evitare che la situazione del venditore venga aggravata. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Orbene, sulla scorta dei oennati rilievi, ritiene !il TribU!llaJ.e che l'acquisto in danno fatto dall'Amministrazione m data 8 ottohTe 1974 (ossia ad oltre otto mesi dalla scadenza del termine perentorio fissata da essa Amministrazione) non possa ritenersi effettuato tempestivamente, chiaro essendo che assolutamente irrilevanti rimangono i tentativi fatti dalla Amministrazione con la licitazione privata e due raccolte di offerte private effettuate in data 28 maggio 1974, 26 giugno 1974 e 9 luglio 1974. Ritiene in altri termini il Collegio che, scaduto il termine perentorio, l'Amministrazione avrebbe dovuto, se non immediatamente, ma con sollecitudine, quale possibile per una Pubblica Amministrazion, provvedere all'acquisto in danno e non attendere oltre otto mesi, perch indubbio che cos comportandosi ha notevolmente aggravato la posizione della societ venditrice, specie in considerazione della circostanza che nei primi mesi del 1974, come notorio, si verificato un forte aumento dei prezzi all'ingrosso. 5) Deve a questo punto il Collegio affrontare la questione avente ad oggetto gli effetti di questa tardiva compera in danno. Invero, precisato che detto istituto una forma privata di autotutela che rimpiazza il contratto inadempiuto e liquida prontamente H danno in ragione delle differenze di prezzo tra l'ammontare della spesa occorsa per l'acquisto ed il prezzo convenuto, e posto che tale rimedio, che si aggiunge alle ordinarie azioni giudiziali di condanna all'adempimento o di risoluzione, costituisce un mezzo sostitutivo dell'ordinaria azione civile intesa ad ottenere l'esecuzione o la risoluzione del contratto, di tutta evidenza che la tempestivit nell'esecuzione della compravendita in danno elemento essenziale di questa figura giuridica. La rapidit dell'esecuzione del contratto, infatti, mentre da un lato assolve la funzione di una immediata realizzazione del risultato a favore del contraente adempiente, garantisce il contraente inadempiente dagli effetti negativi delle variazioni dei prezzi sul mercato che potrebbero verificarsi tra la data ultima dell'adempimento ed una lontana data di compera in danno. Orbene, una volta affermato che la compera m danno ha come oggetto la liquidazione anticipata del danno ed una volta accertato ohe la stessa, nella specie in esame, stata effettuata ad oltre otto mesi dall'ultima diffida ad adempiere, ritiene il Collegio che i prezzi da considerare siano quelli del 30 gennaio 1974... (omissis). 6) Ci premesso va precisato, con riferimento alle domande accessori~ relative agli interessi, alle penali ed alla rivalutazione, che le stesse non possono trovare accoglimento. E principio ormai pacifico, come chiarito dalla Suprema Corte con sentenza 8 maggio 1969, n. 1588 (esibita in PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE forma integrale) che le procedure di amministrazione controllata e di concoridato preventivo importano, al pari del fallimento, la cristallizzazione tanto della posizione. patrimoniale del debitore quanto del creditore a far capo del momento del loro inizio (art. 168 e 188 [.f.), con la conseguenza che da quel momento non possono maturare penali, che altererebbero la par condicio. Non , pertanto, possibile riconoscere le penali. La richiesta degli interessi non pu trovare accoglimento rper il combinato 1disposto degli artt. 169 e 55 U., per la regola della par condicio creditorum. La stessa regola rende inutile ogni discorso sulla rivalutazione... (omissis). SEZIONE SESTA GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 11 gennaio 1982 n. 95 -Pres. Brancaccio - SEZIONE SESTA GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 11 gennaio 1982 n. 95 -Pres. Brancaccio - Est. Battimelli -P. M. Antoci (diff.). Salice (avv. Viola) c. Ministero delle Finanze (Avv. Stato Angelini Rota). Tributi erariali indiretti -Imposta di bollo -Copia di atto pubblico da presentare all'ufficio del registro per la registrazione -Esenzione Esclusione. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 642, tabella B, n. S; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, artt. 11 e 17). La copia conforme dell'atto pubblico che a norma dell'art. 11 del d.P.R. n. 634/1972 deve essere presentata, unitamente all'originale, per la registrazione, non ha la funzione di consentire l'accertamento e la riscossione dei tributi, bens quella di pubblicit e conservazione degli atti di cui all'art. 17; non di conseguenza applicabile a tale copia l'esenzione dell'art. 5 tabella B del d.P.R. sul bollo n. 642/1972 (1). (omissis) Il ricorso non va accolto, in quanto la sentenza impugnata appare corretta nel suo dispositivo, seppure ne vada, come si dir, parzialmente corretta la motivazione a sensi dell'art. 384, 2 comma, c.p.c. Ed invero, giustamente il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata abbia ritenuto di negare l'esenzione dal bollo della prima copia certificata conforme traendo argomento dall'art. 11 del nuovo testo dell'imposta di registro (D.P.R. n. 634 del 1972), secondo cui la seconda copia, da esibire in sede ,di registrazione idi atti compOTtanti trasferimento di diritti reali sui beni immobili, va redatta in carta libera, da ci argomentando che detta norma contenga l'implicita e sottintesa affermazione che la prima copia (quella da prodursi in via generale per la registrazione di tutti gli atti notadli) debba essere redatta in carta bollata. L'art. 11 suddetto, invero, incluso nel testo di una normativa attinente ad una diversa imposta, non pu essere utilizzato per ricavarne una disposizone in contrasto con la generale previsone di esenzione di cui aill'art. 5 della nuova legge di bollo (d.P.R. n. 642 del 1972), che specificamente disciplina la materia. L'art. 11 della nuova legge di registro, (1) Decisione esattissima di cui va segnalata la accurata esegesi delle norme esaminate. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA infatti, costituisce niente altro che la materiale trasposizione, effettuata dal legislatore delegato (nell'esercizio della funzione di coordinamento delle varie norme contenute nella complessa preesistente legislazione dell'imposta di registro), dell'art. 6 del r.d.I. 5 marzo 1942, n. 186, norma che prevedeva, nel complesso della nuova regolamentazione della procedura di accertamento di valore degli atti contenenti trasferimento di immobili, l'obbligo della presentazione all'ufficio del registro di una seconda copia in carta semplice, copia occorrente per l'invio ai competenti uffici ai fini dell'accertamento di valore. Non vi . dubbio, pertanto, che tale copia fosse uno di quegli atti presentati ai competenti uffici ai fini dell'applicazione delle leggi tributarie , per la quale, in mancanza di una generale esenzione ad hoc nella legge di bollo del 1923, in vigore allorch fu emanato il decreto del 1942, fu prevista una particolare esenzione. Detta norma, peraltro, non aveva pi ragione di esistere dopo che, con l'emanazione della legge di bollo del 1953, che all'art. 47 soppresse tutte le esenzioni previste in leggi diverse da quelle sul bollo, fu istituita, all'art. 9 della tabella all. B, una esenzione del tutto corrispondente a quella prevista nell'art. 5 della tabella B della nuova legge di bollo del 1972, esenzione, per quanto detto, pienamente applicabile alla seconda copia esibita ai fini dell'accertamento di valore, e cio, specificamente, ai fini dell'applicazione di un'imposta. La relativa disposizione dell'art. 11 della nuova legge di registro del 1972, pertanto, puramente pleonastica e superflua, frutto di un difetto di coordinamento da parte del legislatore delegato alla emanazione dei nuovi testi in materia tributaria. Non pu, pertanto, trarsi, dal suddetto art. 11, alcun argomento per la soluzione del problema che qui interessa. Ci chiarito, ne consegue che il problema va risolto in base all'interpretazione dell'art. 5 della tabella B della nuova legge di bollo del 1972, che prevede ,J'esenzione per gli atti presentati ai competenti uffici in funzione dell'applicazione di leggi tributarie, norma da interpretarsi in correlazione con l'art. 2 della Tariffa allegata alla stessa legge, secondo cui sono soggette a bollo le copie di atti notarili, certificate conformi dal notaio rogante; categoria, questa, in cui senza dubbio rientra la copia della cui esenzione qui si discute. A tal fine, va chiarito che il suddetto art. 2 del tutto corrispondente all'art. 3 della legge di bollo del 1953, norma, questa, a sua volta corrispondente alla previsione contenuta nella Tariffa della legge di bollo del 1923, e va precisato che ~ in errore il ricorrente allorch afferma, come argomento collaterale a sostegno della propria tesi, che solo la legge del 1923 prevedeva espressamente l'obbligo della bollatura per le copie conformi esibite agli uffici del registro, mentre tale obbligo sarebbe stato soppresso dalle successive normative del 1953 e del 1972; ed 570 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO invero il fatto che la sottoposizione a bollo delle copie conformi fosse prevista, nella legge del 1923, in un apposito articolo della tariffa, non dipendeva affatto dalla mancata previsione di tassazione in base ad altri articoli della stessa tariffa, ma pi semplicemente dal fatto che, all'epoca, erano previsti diversi valori di carta bollata per i vari atti, e che, mentre per le copie notarili conformi in genere era prevista una tassazione di lire 4 o lire 3, per le copie presentate agli uffici del registro fu prevista una minore tassazione di L. 2; soppressa, con la legge di bollo del 1953, la previsione di diversi valori di carta bollata, la norma dell'art. 24 della precedente tariffa non aveva pi ragione di sopravvivere, il che, peraltro, non comport una generica esenzione dal bollo per le copie presentate agli uffici di registro (rientrando esse -come anche per la nuova 1legge del 1972 -nella generica previsione di tassabilit di tutte le copie notarili conformi); l'esenzione, peraltro, era ammessa qualora ricorresse l'ipotesi di cui al gi ricordato art. 9 della Tabella B, corrispondente all'art. 5 della Tabella nuova legge del 1972 che, su tale punto, in nulla ha immutato al precedente regime. La questione, pertanto, va risolta senza che !':indagine possa o debba essere influenzata da richiami alla precedente normativa, ma unicamente in forza dell'interpretazione dell'art. 5 della Tabella della legge di bollo del 1972, secondo cui sono esenti da bollo, fra l'altro, le copie presentate ai competenti uffici ai fini dell'applicazione di leggi tributarie ; trattandosi di norma di esenzione, che non pu estendersi, come norma eccezionale, oltre i casi da essa espressamente previsti, l'interpretazione va fatta approfondendo l'indagine sulle espressioni adoperate dal legislatore, il quale non ha gi detto che l'esenzione spetti qualora le copie vengano presentate in occasione di una procedura di applicazione di una legge tributaria (ossia di una procedura cli imposizione), bens che essa spetta quando le copie siano necessarie ai fini di tale procedura: occorre, cio, che la funzione specifica della copia presentata sia quella di permettere l'espletamento della procedura di tassazione e pertanto, sotto tale angolazione, vanno esaminate le norme della nuova legge 'di registro del 1972, per accertare quale funzione espJ.ichino gli uffici del registro in conseguenza della presentazione della copia conforme, e, specularmente, quale funzione abbia detta copia. A tal fine, va ricordato che per la nuova legge di registro, come gi per quella precedente del 1923, la registrazione degli atti notarili avviene con la presentazione, all'ufficio del registro, dell'originale dell'atto e di una copia conforme, in genere; inoltre, per tutti gli atti che possano dare origine ad un procedimento di accertamento di valore, richiesta una seconda copia (la cui funzione quella di essere inviata agli uffici accertatori come documentazione necessaria per la procedura di valutazione). La registrazione in base alle risultanze dell'atto va effettuata PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 571 sull'atto originale, sul quale essa viene annotata, ed in base a quanto risulta dall'atto stesso. Ne consegue che la copia conforme, appunto perch tale, e quindi di nessun ausilio ai fini della lettura dell'atto originale, rispetto al quale non pu fornire alcun ulteriore utile elemento, non ha a.J.cuna funzione ai fini della tassazione: n per quella immediata, per la quale sufficiente la lettura dell'originale, n per quella eventuale futura, a completamento della registrazione e tassazione originarie, per la quale appositamente prevista una seconda copia. La prima copia, pertanto, viene trattenuta dall'ufficio per fini che necessariamen.te sono diversi da quelli dell'espletamento di una attivit di tassazione (ossia di applicazione di leggi tributarie), fini che si ricavano dalla lettura dell'art. 17 della nuova legge di registro; in base a detta norma, infatti, l'Ufficio trattiene presso di s la copia per dieci anni, trascorsi i quali la invia all'Archivio notarile, e inoltre rilascia, a richiesta di parte, copie delle note di trascrizione, svolge cio, una funZione vicaria di conservazione e una funzione di certificazione, che giustificano l'obbligo di presentazione della copia, a tali fini richiesta. Ne consegue che fa sentenza impugnata, seppure ha ritenuto a torto che la conservazione della copia serve ai fini di rilasciarne copie (il che non previsto per le copie di atti notarili, ma solo per le copie di scritture private, e in tali sensi, in applicazione dell'art. 384 c.p.c., va rettificata, anche su tale punto, la motivazione), ha comunque esattamente affermato che la presentazione della copia occorre ai fini previsti dall'art. 17, ossia a fini che non sono direttamenteconnessi alla applicazione del tributo, e correttamente, quindi, ha escluso la applicabilit dell'esenzione in questione. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 13 gennaio 1982, n. 168 -Pres: Mazzacane -Est. Ricciardelli -P. M. Gazzara (conf.) -Societ Cooperativa Lavoratori Luce (avv. Natoli) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Salimei). Tributi (in genere) -Contenzioso tributario -Procedimento innanzi alle . Commissioni Partecipazione all'udienza . Sciopero del personale degli uffici tributari Nullit della decisione -Esclusione. (r.d. 8 luglio 1937, n. 1516, artt. 28 e 29; d.l. 21 giugno 1961, n. 498).. La mancata comparizione del rappresentante dell'ufficio tributario a causa delta sciopero del personale non impedisce di adottare validamente la decisione (1). (1) Viene confermata, anche a seguito dell'esame di nuovi profili della que stione, la sentenza 4 gennaio 1978, n. 18, in questa Rassegna, 1978, I, 171. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 572 (omissis) La censura del ricorrente fa esplicito richiamo alla sentenza di questa Suprema Corte n. 18 del 4 gennaio 1978, la quale, affrontando per la prima volta la questione concernente le conseguenze del mancato intervento dell'organo dell'amministrazione finanziaria all'udienza di discussione del ricorso innanzi a:lla commissione, a causa dello sciopero del personale, ha affermato hl principio che, anche in caso di sciopero che blocchi tutta l'attivit dell'amministrazione, la legge non ricollega al mancato intervento del rappresentante dell'amministrazione l'assoluto impedimento per la Commissione di decidere. Le argomentazioni di quella decisione, integralmente recepite nel motivo di censura, riconoscendo che il diritto alla difesa, costituzionalmente tutelato, e l'esigenza del contraddittorio, come presupposto dell'esercizio della giurisdizione, non si esauriscono nel momento della valida instaurazione del rapporto processuale ma si sviluppano, e quindi vanno riguardati nella continuit della vicenda giudiziale, considerano tuttavia che la tutela di quelle situazioni si articola in modo diverso a seconda delle caratteristiche dei singoli procedimenti, e non si riferisce a tutte le possibili facolt concesse alle parti nei vari procedimenti, ma deve tener conto dei diversi poteri e facolt, nonch delle conseguenze derivanti dal loro mancato rispetto o dal loro mancato esercizio, con l'unico limite che la difesa e il contraddittorio non risultino vanificati. In questa prospettiva, l'art. 28 del decreto n. 1516 del 1937, il quale prevede che la mancata presentazione del contribuente, qualunque ne sia la causa, non impedisce alla Commissione di decidere, rivela un grado d'importanza non decisiva che la legge annette alla facolt d'intervento, sicch l'assenza del contribuente, pur determinata da una causa giustificata, non produce la nullit della discussione del reclamo. E poich la difesa dell'amministrazione non pu ricevere una tutela maggiore rispetto a quella del contribuente, in quanto si verrebbe a creare una disparit di trattamento contraria al principio costituzionale di uguaglianza, se la rilevanza che la legge conferisce alla presenza del contribuente nella fase della discussione quella pi sopra delineata, non pu negarsi che il mancato intervento del rappresentante delle finanze all'udienza di discussione, qualunque ne sia la causa, non impedisce alla Commissione di decidere. Questo collegio, facendo adesione al richiamato orientamento giurisprudenziale, ritiene che il ricorso fondato e merita, perci, accoglimento. Invero, le puntuali argomentazioni della sentenza innanzi richiamata, ancorch verificata alla luce delle critiche che le sono state mosse, restano tuttora valide e vanno confermate. Le posizioni critiche si fondano sostanzialmente su primo concerne la disciplina dei termini di prescrizione due rilievi; il e di decadenza j; i: ~: (: ji ! ! PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA e di quelli degli adempimenti e delle formalit riguardanti imposte e tasse a favore dell'Erario, scadenti durante il periodo di mancato o ivregolare funzionamento degli uffici a causa di eventi di carattere eccezionale. Se il d.l. 21 giugno 1961 n. 498 convertito nella legge 28 luglio 1961 n. 770, proroga i termini e gli adempimenti fino aJ. decimo giorno successivo alla data in cui viene pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il decreto ministeriale di accertamento del periodo di mancato o irregolare funzionamento, la mancata comparizione del rappresentante, verificatasi in uno di quei. periodi di irregolare funzionamento dell'ufficio, non costituirebbe, secondo questa posizione, l'esercizio di una facolt, bens la conseguenza di una forza maggiore. Il secondo rilievo prende invece le mosse dalle attivit consentite al contribuente nel contenzioso tributario regolato dal decreto n. 1516 del 1937 e cio, in particolare, della possibilit di esporre i motivi del gravame cosiddetto interruttivo con le note aggiunte da depositare fino a cinque giorni prima della seduta fissata per la discussione, per infe rirne l'importanza che oggettivamente deve annettersi alla partecipazione del rappresentante dell'ufficio fiscale alla discussione del rk:orso. Procedendo nell'ordine, appena il caso di rilevare che il regime della legge del 1961 riguarda i termini di prescrizione e di decadenza e quelli per il compimento delle attivit dell'amministrazione in materia di imposte e tasse e non dunque applicabile alla materia contenziosa e meno che mai. ai termini ordinatori che regolavano le attivit preordinate alla discussione della controversia tributaria, secondo la precedente disciplina di cui al decreto n. 1516 del 1937. chiaro, dunque, che, dalla normativa concernente la proroga di quei termini, nessun valido argomento giridico possa trarsi a sostegno della nullit della decisione adottata dalla commissione nel periodo durante il quale pe1idurava lo sciopero dei dipendenti dell'amministrazione finanziaria. Altrettanto deve dirsi in ordine al secondo rilievo. In realt il procedimento dinanzi alla commissione tributaria nel sistema anteriore alla riforma del 1972, prevedendo espressamente (articolo 28) che la mancata presentazione del contribuente, qualunque ne sia la causa, e quindi anche se egli sia legittimamente impedito, non preclude alla commissione di decidere, evidentemente regolato dal principio della non essenzialit del contraddittorio nella fase della di scussione; pertanto anche nei riguardi dell'amministrazione finanziaria, qualunque sia la causa della mancata comparizione del suo rappresen tante, l'applicabilit di quel principio non esclude che la commissione possa decidere. (omissis) RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 574 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 14 gennaio 1982, n. 230 -Pres. Granata Est. Pannella -P. M. Caristo (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Cevaro) c. Quorti. Tributi erariali diretti -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Plusvalenza -Realizzazione nel corso di procedura fallimentare -Costituisce reddito tassabile. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 81, 100, 106, 125). Costituisce reddito tassabile la plusvalenza realizzata in sede di liquidazione dell'attivo fallimentare di una impresa (1). (omissis) Col primo motivo di ricorso l'Amministrazione delle Finanze lamentando la violazione degli artt. 8, 81, 91, 100, 106 e 125 t.u. 645/58, dell'art. 2448 cfr. e degli artt. da 2449 a 2457 cod. civ. in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., censura la sentenza impugnata l dove essa afferma che, cessando con la dichiarazione di fallimento, l'esercizio dell'impresa commerciale, mancherebbe l'attivit produttiva di reddito, non potendosi equiparare la liquidazione fallimentare a quella volontaria. Sostiene, quindi, che, correttamente interpretando gli arti. 8, 81 secondo comma, 100 e 106 del t.u. n. 645/58, per i soggetti tassabili in base al bilancio, la plusvalenza sarebbe impossibile per il solo fatto della sua realizzazione, di l dai concetti di attivit speculativa o di esercizio di impresa; che la realizzazione di plusvalenza in sede fallimentare rappresenterebbe la conclusione dell'attivit commerciale dell'impresa e costituirebbe presupposto del tributo. Aggiunge che l'art. 125 del t.u. n. 645/58, prevede espressamente fa possibilit di realizzazione di imponibili puntualmente tassabili nell'ipotesi di liquidazione volontaria e non si spiegherebbe la esclus.ione di essa nel caso di liquidazione fallimentare, sul rilievo che anche se sussistono differenze tra i due tipi di liquidazione tuttavia essi hanno punti di contatto incentrati nell'identit del fine: quale la conversione dell'attivo in danaro, per il soddisfacimento delle ragioni dei creditori. Col secondo mezzo di impugnazione la ricorrente amministrazione censura la sentenza per violazione degli artt. 81, 91, 100, 106 e 125 t.u. n. 645/58 e dell'art. 42 r.d. 16 marzo 1942 n. 267, in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., nel punto in cui essa afferma che, con la perdita della qualit di imprenditore commerciale della societ dichiarata fallita, mancherebbe un presupposto necessario (requisito soggettivo) per la tassabilit della plusvalenza realizzata .in costanza della procedura (1) Un'opportuna riconferma della sentenza 19 luglio 1980, n. 4746, in questa Rassegna, 1980, I, 387. ' ., '"". PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 575 fallimentare. Sostiene, al contrario, che, anche se il fallimento determina la cessazione dell'impresa, tuttavia la liquidazione fallimentare costituirebbe la fase conclusiva della stessa attivit imprenditoriale e le plusvalenze sarebbero tassabili per il solo fatto di essere realizzate, indipendentemente dall'esercizio di qualsiasi attivit imprenditoriale. Col terzo motivo di ricorso censura la sentenza per violazione degli artt. 100 e 106 t.u. n. 645/58 in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., l dove essa esclude la tassabilit della-plusvalenza per difetto dell'intento speculativo. Sostiene che tale intento non richiesto dalla legge n per i soggetti tassabili in base al bilancio (art. 106) n per le imprese commerciali in genere (art. 100). Con sentenza n. 4746 del 19 luglio 1980, questa Corte ha gi avuto occasione di prendere in esame una fattispecie analoga a quella di cui qui si discute ed a pronunciarsi nel modo riassunto nella seguente massima: Le plusvalenze delle societ tassabili in base a bilancio, le quali sono tassabili per il solo fatto della loro realizzazione, indipendentemente dallo svolgimento dell'attivit speculativa e dall'esercizio di una impresa commerciale sono soggette all'imposta di r.m. ai sensi degli artt. 106 e 125 del d.P.R. 28 gennaio 1958 n. 645, sia che sopravvengano nel corso di una liquidazione ordinaria sia che si realizzino nel corso di una liquidazione fallimentare, in quanto il fallimento non fa perdere al fallito la propriet dei suoi beni e pertanto i vantaggi economici, realizzati nel corso della liquidazione fallimentare, si riflettono, indirettamente, sulla sua situazione patrimoniale . Ebbene, sia per la esistenza di un precedente cos specifico, dal quale non sussistono ragioni di allontanarsi, e sia per l'evidente intreccio delle questioni oggetto dei tre motivi, opportuno esaminare tali questioni congiuntamente, focalizzando in una breve sintesi i punti centrali di esse. intuitivo, da quanto sopra detto, che tutti e tre i motivi sono fondati. Va chiarito innanzi tutto che con la dichiarazione di fallimento l'imprenrutore commercia:le (persona fisica, societ di persone, societ di capitali) non perde immediatamente tale sua qualificazione, restando proprietario dei suoi beni e conservando la titolarit di tutti i rapporti giuridici, attivi e passivi, anteriori e posteriori a quella dichiarazione. Ci che dismette ila disponibilit dei beni stessi la cui amministra zione affidata all'ufficio fallimentare. Per quanto riguarda le societ, l'affermazione suddetta si presenta ancor pi aderente e chiara, sul rilievo che la dichiarazione di falli mento, essendo causa del loro scioglimento (artt. 2308, 2448, 2497 cod. civ.), fa sorgere Jo ,stato di iliquidazione con ila sola :rilevante conseguenza della mutazione dello scopo sociale: da scopo di realizzazione dell'og RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO getto sociale a scopo di liquidazione dei beni per il soddisfacimento delle ragioni dei creditori, con la restituzione dell'eventuale supero alla societ stessa, la quale -ritornata in bonis -potr distribuire quel supero tra i soci o anche riprendere la sua precedente attivit di ge stione commerciale. Dalla suesposta osservazione si deduce come i due tipi di liquida zione, volontaria e fallimentare, ovviamente differenti nella disciplina giuridica, hanno un'identit di scopo che li accomuna: sicch l'attivit dell'organo fallimentare, diretta a trasformare i beni in liquidit pecu niaria, sempre entro l'ambito della sfera giuridico-patrimoniale della societ fallita, produce effetti analoghi a quelli derivanti dalla attivit del liquidatore liberamente nominato dall'assemblea dei soci. In questa prospettiva si comprende come -rispetto al Fisco -i due tipi di liquidazione non potevano in passato, come non possono oggi, non essere considerati alla medesima stregua, soprattutto con riferimento alla realizzazione di imponibili . Ed invero, se, con lo scioglimento della societ, verificandosi la cessazione dell'attivit di gestione normale ritenere la mancanza di produzione di redditi di impresa, tuttavia non dato escludere che nella fase della liquidazione possono realizzarsi imponibili, come ad es. le plusvalenze , conseguen temente alla vendita di beni immobili. Certamente il legislatore con l'art. 125 t.u. n. 645/58, ebbe a tener presente una tale evenienza, riferendosi alla tassazione dei soggetti tas sabili in base al bilancio e che fossero in istato di liquidazione. N c' motivo di ritenere che egli ipotizzasse le sole liquidazioni volontarie. Con la recente riforma tributaria, il medesimo legislatore ha espres samente previsto la possibilit di tassazione di reddito di impresa nel caso di fallimento. Art. 10 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 598 e art. 73 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597. Va sottolineato che la realizzazione di imponibili nella fase di liquidazione volontaria o fallimentare delle societ accentua il concetto della persistenza dell'imprenditore commerciale, al quale si riannodano i residui del pregresso dinamismo dell'impresa. evidente che quegli imponibili costituiscono una nuova ric chezza, la quale non pu ritenersi esclusa dalla tassazione per il ::;olo fatto che destinata, in primo luogo, a soddisfare le ragioni dei creditori concorsuali, soprattutto se si tiene presente che tale destinazione non muta il fenomeno giuridico immediato, che quello dell'accrescimento del patrimonio sociale. L'ultimo argomento riguarda l'intento speculativo. Va chiarito che la norma giuridica trascurata dalla sentenza impu gnata quella del secondo comma dell'art. 81 del t.u. 29 gennaio 1958 Fo n. 645, che distingue tra le plusvalenze indicate dagli artt. 100 e 106 e ii fo i: ~ PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 577 le plusvalenze da chiunque realizzate in dipendenza di operazioni speculative. Tale distinzione pone in evidenza come le plusvalenze, le quali concorrono a formare il reddito imponibile delle imprese commerciali (art. 100) e dei soggetti tassabili in base al bilancio (art. 106), non sono condizionate, per la loro tassabilit, dalla verificazione di attivit speculative. A conforto di siffatta interpretazione si aggiunge che gli enunciati degli artt. 100 e 106 non fanno cenno alcuno dell'intento speculativo. Nella fattispecie in esame, essendo la Societ Immobiliare Urbani una societ a responsabilit limitata e come tale soggetto giuridico tassabile in base al bilancio, per l'accertamento della plusvalenza non si richiedeva affatto un'operazione speculativa, attribuibile al curatore del fallimento. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 14 gennaio 1982, n. 231 -Pres. Marchetti Est. Bologna -P. M. Nicita (conf.) -Russo ed altri (avv. Guidi) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Salimei). Tributi erariali diretti -Soggetti passivi Capacit giuridica tributaria Organizzazioni di beni e di persone -Attivit occasionale di un gruppo di persone -Sussiste. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 8). Poich la capacit giuridica di diritto tributario pi ampia di quella di diritto privato ed estesa a soggetti collettivi non personificati, legittimamente viene individuato come soggetto passivo un gruppo di persone, non costituenti societ, che abbia compiuto una singola ed occasionq.le operazione di mutuo rivelata dal rilascio di una cambiale con indicazione congiunta (1). (omissis) Con il primo motivo (violazione dell'art. 8 t.u. n. 645 del 1958) si deduce che erroneamente la Commissione Tributari.a Centrale avrebbe ritenuta la legittimit dell'accertamento unico a carico di tre distinti soggetti passivi del rapporto tributario, avendo omesso di consi (1) Sulla soggettivit tributaria, come definita nell'art. 8 del t.u. delle imposte dirette, in senso pi ampio di quella di diritto comune non sorgono dubbi. Ed anzi quelle anomale (altre) organizzazioni di persone o di beni cui fa riferimento la norma, sono qualcosa di pi inconsueto, giacch l'unione di persone costituita con il fine di compiere una operazione di speculazione, pu bene rientrare nello schema tipico della societ, sia pure occasionale. Per una analoga questione cfr. Cass. 22 luglio 1980, n. 4784, in questa Rassegna, 1981, I, 391. 578 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO derare che non tutti i rapporti plurisoggettivi danno ongme alle associazioni di fatto e/o agli enti previsti dal citato art. 8 ma soltanto quelli configuranti un inequivoco centro di imputazione di interessi comuni; comunque non dovrebbero essere considerati unico soggetto ai fini tributari i prenditori di una cambiale; e per effetto della inesistenza di una obbligazione tributaria unica e del vincolo di solidariet sarebbe da ritenere nullo faccertamento effettuato daill'Uffi.cio di Acireale nei confronti del Russo e del Pagani aventi domicilio fiscale fuori della circoscrizione dell'Ufficio stesso. La censura infondata. La capacit giuridica nel diritto tributario, nei suoi riflessi sulla configurabilit di soggetti passivi d'imposta, pi ampia di quella di diritto ..privato, essendo estesa al soggetto collettivo non personificato (Cass. 1971 n. 2645, 1964 n. 2808). Tale il significato dell'art. 8 t.u. n. 645 del 29 gennaio 1958, secondo cui sono soggetti passivi del rapporto tributario, oltre alle persone fisiche e giuridiche, alle societ ed associazioni, anche le altre organizzazioni di persone o di beni prive di personalit giuridica e non appartenenti a soggetti tassabili in base a bilancio, nei confronti delle quali il presupposto dell'imposta si verifichi in modo unitario ed autonomo. Come risulta dall'ampia e corretta motivazione della Commissione;> Tributaria Centrale, sulla base degli elementi di fatto acquisiti nel corso del procedimento tributario, era stato posto in essere tra Barbagallo Antonino, Gioacchino Russo ed Edoardo Pagani Mamiani Della Rovere un rapporto associativo, di fatto ed occasionale, per il compimento in comune di un singolo affare (mutuo garantito da cambiali) e risultante dalla indicazione congiunta (nelle cambiali) dei nomi dei prenditori e dalla inesistenza di una societ tra i medesimi; da tale rapporto era necessariamente derivata un'obbligazione tributaria unica a carico dei prenditori delle cambiali ed in solido tra lro, in quanto fondata su un presupposto unitario ed autonomo non scindibile e non suscettibile di distinte valutazioni rispetto ai singoli soggetti ed alle rispettive partecipazioni. A giudizio di questa Corte, a conclusione dei rilievi formulati nella decisione impugnata, anche il fatto che pi persone si associno per concedere in comune un mutuo con modalit e risultati identici per tutti, d luogo ad una organizzazione di persone anche .se occasionale; nei confronti di dette persone associate nel senso suddetto il presupposto dell'imposta si verificato in modo unitario ed autonomo. La conseguente legittimit dell'accertamento unico a carico dei soggetti associati comporta il superamento della questione relativa alla diversa individuazione dei domicili fiscali di Russo Gioacchino e di Edoardo Pagani. (omissis) PARIB I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 519 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 26 gennaio 1982, n. 500 -Pres. Marchetti -Est. Bologna -P. M. Sgroi. Reo (avv. Manfredonia) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Dipace). Tributi erariali diretti -Imposte fondiarie -Imposta sui fabbricati Agevo lazione per le case di abitazione non di lusso -Conformit alla licenza edilizia ~ richiesta. (1. 2 luglio 1949, n. 408, art. 13). L'agevolazione dell'art. 13 della legge 2 luglio 1949 n. 408 per le case di abitazione non di lusso, richiedendo la ultimazione e la dichiarazione di abitabilit, presuppone la. conformit della costruzione alla licenza edilizia (1). (omissis) Con il primo motivo di ricorso (violazione dell'art. 13 della legge 2 luglio 1949 n. 408) si deduce che l'esenzione venticinquennale dall'imposta sui fabbricati, di cui alla norma richiamata, spetta anche in caso di parziale ma definitiva -attuazione nel biennio -della costruzione prevista nella licenza di costru:zii.one, non riJevMl!do H raffronto tra la costruzione concretamente realizzata e la licenza edilizia. Con il secondo motivo (vizi della motivazione) si rileva che la decisione impugnata non avrebbe considerato che, sebbene fosse stata data parziale esecuzione alla !licenza edilizia, un'opera compiuta era stata realizzata nel biennio. Con il terzo motivo (violazione dell'art. 15 legge 6 agosto 1967 n. 765) si deduce che, poich l'inizio della costruzione risale all'anno 1957, non sarebbe rilevante il contrasto tra costruzione e licenza edilizia, contrasto invece che sarebbe stato sanzionato soltanto con Ja [egge !Il. 765 del 1967, intervenuta successivamente. Le censure, per 1a loro stretta connessione vanno esaminate congiuntamente e, debbono essere respinte. L'art. 13 della legge n. 408 del 1949 (applicabile alla fattispecie de qua riguardante la costruzione di un fabbricato di quattro piani autorizzata con licenza edilizia n. 184 del 5 febbraio 1957) disponeva che le case di abitazioni, le quali noo abbiano H carattere di abitazioni di lusso, la cui costruzione sia ultimata entro il biennio successivo all'inizio, fossero esenti per venticinque anni dall'imposta sui fabbricati e relative sovraimposte a decorrere dalla data della dichiarazione di abitabilit. (1) Un nuovo indirizzo di rilevante importanza. Era sempre stata ritenuta essenziale la licenza di abitabilit (Cass. 19 novembre 1979, n. 6028, in questa Rassegna, 1980, I, 441), ma non si escludeva che questa potesse (o dovesse) essere rilasciata per fabbricati rispondenti alle norme igieniche non assistiti da licenza edilizia. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO La norma esaminata pone l'accento sul fatto, richiesto al fine della esenzione venticinquennale dell'imposta sui fabbricati e relative sovraimposte della ultimazione della costruzione entro il biennio successivo alla data di inizio e fissa l'ini1io del periodo di esenzione dalla data della dichiarazione di abitabilit. L'accertamento di tale fatto (ultimazione) presuppone la conoscenza delJ'oggetto dei lavori di costruzione (natura, estensione, altezza, caratteristiche tecnico-costruttive etc.) in relazione ai quali l'ultimazione rappresenta l'evento rilevante ai fini suddetti. La conoscenza in questione, necessaria quale termine di .riferimento dell'accertamento della ultimazione e quale presupposto del riconoscimento del diritto alla esenzione fornita dalla licenza edilizia e dal suo ,contenuto, poich l'ultimazione e l'esenzione non possono riguardare qual siasi lavoro di costruzione di abitazioni a libito del costruttore (cfr. sent. 3505 del 1972 in sede di interpretazione dell'art. 14 della stessa legge). H requisito della conformit tra provvedimento autori.zzativo e costruzione realizzata quindi intrinsecamente postulata dalla norma esaminata, con la precisazione che la conformit stessa deve essere intesa anche come sopravvenuta, in quanto dipendente dalla successiva approvazione di varianti al progetto costruttivo autorizzato, di provvedimenti in deroga od in sanatoria, etc. La rilevanza del criterio di conformit tra licenza e costruzione per il riconoscimento del diritto all'esenzione confermata dai richiamo testuale alla dichiarazione di abitabilit al fine della concreta decorrenza della esenzione. Invero, la dichiarazione o licenza di abitabilit ai sensi dell'art. 221 r.d. n. 1265 del 1934 (testo unico delkleggi sanitarie) per gli edifici urbani o rurali di nuova costruzione o sopraelevati o modificati, emessa dall'autorit comunale, quando, previ i necessari controlli tecnici ed ispezioni sanitarie, risulti tra l'altro che la costruzione sia stata eseguita in conformit del progetto approvato. L'art. 15 della legge 6 agosto 1967, n. 765, che ha inserito nel testo della legge urbanistica n. 1150 del l7 agosto 1942 l'art. 41 ter, e secondo il quale le opere iniziate (dopo l'entrata in vigore della legge n. 765/1967) senza la licenza od in contrasto con la stessa ovvero sulla base di licenza successivamente annullata non beneficiano delle agevolazioni fiscali, dei contributi e provvidenze dello Stato e degli enti pubblici, e secondo il quale il contrasto tra licenza e costruzione deve riguardare violazioni di altezza, distacchi, cubature o superfici coperte in eccedenza, non applicabile nella specie n rilevante, contrariamente alla tesi del ricorrente. La norma redatta per le agevolazioni in genere ed avente quindi carattere generale non pu derogare ad una norma speciale anteriore, quale quella di cui all'art. 13 della legge n. 408 del 1949: ed in tal senso si i l PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 581 gi espressa quest Corte con sentenza n. 5722 del 1978, che peraltro ha adottato una diversa interpretazione dell'art. 13 citato. Inoltre, l'art. 15 in esame riguarda le costruzioni senza licenza e quelle contrastanti per eccesso il contenuto della licenza edilizia (in vista di una corretta attuazione delle prescrizioni urbanistiche), mentre l'art. 13, inserito in una legge diretta a garantire l'incremento delle costruzioni edilizie, submdina l'esenzione all'ultima:ZJi.one dei lavori cosi come previsti nella licenza edilizia e pertanto idonei a sfruttare le possibilit costruttive ,(previste dalla licenza) in vista dell'incremento delle costruzioni edilizie considerate. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 16 febbraio 1982 n. 957 -Pres. La Farina Est. Lipari -P. M. Sgroi (conf.). Facondini (avv. Romanelli) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Angelini Rota). Tributi erariali indiretti -Imposte doganali Accertamento -Revisione Nozione Termine Elementi divel."si da qualificazione valore ed ori gine Termine quinquennale. (d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, artt. 74, 84, 91). La revisione dell'accertamento dell'art. 74 del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, soggetta al termine semestrale di decadenza, ha per oggetto la qualit, la quantit e l'origine delle merci, ossia le questioni di identifi cazione merceologica o di quantit e di valore che concorrono a formare la base imponibile; tutte le altre rettifiche che, ferma restando la base imponibile, hanno riferimento, oltre che ad errori di calcolo, alla interpretazione della tariffa ed in genere all'applicazione della legge non sono soggette al termine semestrale di decadenza, ma al termine quinquennale di prescrizione sia per pretesa di un maggiore tributo (art. 84) sia per il rimborso di una somma non dovuta (art. 91) (1). (omissis) Con il primo mezzo l'importatore ricorrente, denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 74, 84, 57 e 91 del t.u. delle disposizioni legislative in materia doganale, approvato con d.P.R. 23 gennaio 1973 n. 43, sostiene relativamente alle bollette doganali di data posteriore all'entrata in vigore del d.P.R. medesimo (nell'implicito, ma (1) Sostanzialmente conforme la sentenza 10 novembre 1981, n. 5951 di cui si omette la pubblicazione. Vtiene riconfermato, con ampiezza di argomentazione, l'indirizzo di cui alla sentenza 26 febbraio 1980, n. 1330, in questa Rassegna, 1980, I, 830. Giova ricordare che la decadenza dell'art. 84 non opera nemmeno riguardo a merci non dichiarate, anche se materialmente passata attraverso la dogana (Cass. 29 aprile 1980, n. 2836). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO erroneo, presupposto che lo ius superveniens procedimentale non si applichi a fatti di esportazione precedentemente verificatasi, e comunque introducendo una distinzione non mai adombrata nelle precedenti fasi del giudizio di opposizione all'ingiunzione fiscale) che nella specie non si poteva prescindere dal procedimento di revisione dell'accertamento di cui all'art. 74 del d.P.R. n. 43 del 1973, soggetto al termine decadenziale di sei mesi dalla data in cui l'accertamento medesimo era diventato definitivo, gi ampiamente decorso, per operare la rettifica dell'inquadramento tariffario delle merci importate (semi di zucca) alla voc 12.03 (semi destinati alla semina) anzich alla voce 12.01 (semi oleosi). Secondo hl ricorrente la modifica deHa voce doganale equivale alla modifica della qualificazione giuridica della merce, e tale operazione costituisce una vera e propria revisione dell'accertamento; la rettifica, a prescindere dal procedimento di revisione, sarebbe stata possibile solo se rilevata e contestata nella fase compresa fra l'accettazione della dichiarazione e la liquidazione dei diritti regolati dall'art. 59 del t.u. Nell'accertamento relativo alla qualit si prendono in considerazione le qualit fiscalmente rilevanti della merce, riconoscendosi da parte della dogana l'esistenza, della merce varificata, di caratteristiche merceologiche e funzionali idonee a fare inquadrare la merce stessa in una delle voci e sottovoci della tariffa, conseguendone fa diretta correlazione fra intrinseca qualificazione merceologica ed applicazione della tariffa. L'articolo 84 si applica quando l'errore emerge dalla bolletta doganale come tale e non anche quando .non attiene alla compilazione della bolletta, ma alle valutazioni e classificazioni compiute nel corso dell'accertamento, che dovrebbe, pertanto, essere corretto con l'apposito procedimento di revisione. L'ambito di applicazione dell'ultimo comma dell'art. 84 sarebbe, pertanto, circoscritto alla riscossione (rispetto alla voce esattamente indi viduata dall'accertamento) di un diritto previsto per un'altra voce, o, nell'ambito della stessa voce, per causale diversa da quella esattamente corrispondente alla classificazione, essendo incorsa la dogana nell'errore materiale di collegare una determinata voce, o sottovoce tariffaria, a diritto diverso. Il motivo infondato. Occorre muovere per confutarlo dal riscontro dei testi normativi invocati. Il capo III del titolo II della vigente legge doganale (d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43) disciplina la procedura di accertamento che si correla alla dichiarazione doganale la quale deve contenere (fra l'altro), ai sensi dell'art. 57 lett. d), la descrizione delle merci, per ciascun collo, con l'indicazione, secondo le denominazioni della tariffa, della qualit, com posizione e quantit, e per le voci di tariffe che siano determinate con PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA decreto del Ministro per le finanze, con la :indicazione anche delle denominazioni commerciali. Il successivo art. 59 stabilisce che, accettata la dichiarazione, la dogana deve procedere, in contraddittorio con il proprietario, all'accertamento della qualit, della quantit, del valore e dell'origine delle merci che formano oggetto della dichiarazione stessa. Se la merce riconosciuta conforme alla dichiarazione, ovvero se l'operatore non contesta le difformit risultanti dall'accertamento, si procede alla liquidazione di diritti e si annota la dichiarazione nel registro, munendola del numero e della data (che segna il termine di definitivit dell'accertamento); la dichiarazione rgistrata assume valore di bolletta. Nel corso dell'accertamento possono sorgere contestazioni circa la qualificazione, il valore e l'origine della merce dichiarata (ovvero circa il regime di tara od il trattamento degli imballaggi), disciplinate al Capo IV dello stesso titolo, contenente altres l'art. 74, il quale stabilisce, sotto Ja rubrica Revisione dell'accertamento, che la dogana pu procedere alla revisione dell'accertamento divenuto definitivo, ancorch le merci che ne hanno formato oggetto siano state lasciate alla libera disponibilit dell'operatore, Tale revisione, sia se compiuta d'ufficio, sia se sollecitata dall'interessato, soggetta al termine decadenziale di sei mesi dalla data di definitivit dell'accertamento. Quando dalla revisione medesima emergano inesattezza, omissioni od errori, riguardanti gli elementi presi a base dell'accertamento, la dogana procede alla relativa rettifica e ne d comunicazione all'operatore interessato, notificandogli apposito avviso, e l'operatore pu contestare tale rettifica entro trenta giorni, provocando al riguardo una controversia doganale secondo le regole generali. (Sulla genesi ed ambito applicativo dell'art. 74 cfr. l'ampia trattazione contenuta nella sentenza n. 2836 del 1980, nonch la successiva decisione n. 4070/81). A sua volta l'art. 84 della legge doganale, che disciplina la prescri zione dei diritti doganali, stabilisce all'ultimo comma, che se il mancato pagamento dipende da erroneo od inesatto accertamento della qualit, della quantit, del valore, o dell'origine della merce, si applicano le dispo sizioni dell'art. 74, mentre prevede al comma 2 lett. a) che l'azione dello Stato per la riscossione dei diritti si prescrive in cinque anni (comma 1), decorrenti dalla data de1la bolletta doganale per i diritti in essa liqui dati e non riscossi in tutto o in parte per qualsiasi causa o dovuti in conseguenza di errori di calcolo nella liquidazione, o di erronea applica zione della tariffa . La tesi del contribuente che nel caso considerato l'inquadramento di un dato prodotto in una anzich in un'altra voce di tariffa, ferma ed incontestata la identit merceologica, integrando una questione coinvol gente inesattezze, omissioni ed errori riguardanti elementi presi a base 584 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dell'accertamento, dovrebbe ricondursi all'ipotesi della revisione ex art. 74 d.P.R., e non gi a .quella dell'art. 84 comma 2 lett. a), riguardante esclu sivamente il caso in cui, senza che venga in d.iscussione l'inquadramento tariffario, nell'operare la liquidazione si siano comm.essi errori, vuoi per non avere esattamente rilevato l'aliquota corrispondente, vuoi per avere operato malamente il relativo calcolo. Il ricorrente invoca a conforto del proprio assunto la circostanza che l'ultimo comma dell'art. 91 del t.u., in tema di rimborsi, opera esso pure un richiamo all'art. 74 se l'indebito pagamento dipende da erroneo od inesatto accertamento della qualit, della quantit, del valore o dell'origine della merce (mentre i precedenti commi circoscrivono la sfera di operativit della norma sui rimborsi alle somme pagate in pi del dovuto per errori di calcolo nella liquidazione, o per l'applicazione di un diritto diverso da quello fissato in tariffa per la merce descritta nel risultato dell'accertamento, parlando espressamente di errore di calcolo o di tassazione). Ritiene, pertanto, che l'espressione erronea applicazione delle tariffe usata nell'art. 84 abbia il medesimo significato della locuzione applicazione di un diritto diverso di quello fissato in tariffa che, si legge nell'art. 91, assumendo esclusivamente che la facolt di recupero consentita all'amministrazione dal suddetto art. 84, entro il termine di prescrizione, sia limitata all'erronea applicazione di un diritto doganale diverso da quello dovuto alla stregua della voce di tariffa cui si voleva fare riferimento, restandone esclusa l'ipotesi di inesatta inucleazione della congrua voce di tariffa, mediante sostituzione di quella risultante dalla bolletta doganale, essendo la correzione di un siffatto errore possibile soltanto attraverso la revisione dell'accertamento. 4. Con molta chiarezza il ricorrente contrappone l'errore di riscossione (rispetto alla voce esattamente individuata nell'accertamento) di un diriJto previsto per un'altra voce, o nello ambito della stessa voce per causale diversa da quella esattamente corrispondente alla operata classificazione (inquadrabile nel genus errore materiale, stante la indebita riconduzione di una determinata voce o sottovoce tariffaria a diritto diverso), all'errore che incide sulla stessa identificazione della voce tarif. faria concretamente applicabile, suscettibile di correzione solo in sede di accertamento, ovvero con la procedura di revisione. Ma proprio la chiarezza dell'impostazione seguita che ne mette in luce la insostenibilit giuridica, evidenziando l'equivoco di fondo che la travaglia: la mancata considerazione, nel novern delle controversie doganali, di quelle di classificazione (o di assimilazione) in contrapposizione a quelle di qualificazione merceologica e di accertamento del valore. Trattasi di nozioni che non hanno riscontro nominalistico nella vigente legge doganale, pur mantenendo, cos come sono state enucleate dalla dottrina, una loro attitudine a distinguere il momento fattuale dal ~ i ! I i ' . . I PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 585 momento pm propriamente qualificatorio, in senso tecnico-giuridico, del presupposto del tributo gi accertato nelle sue dimensioni merceologiche e valutative. Come noto, intorno agli anni 60, a seguito di una decisione della Corte cost. (n. 40 del 1958) che ebbe a dichiarare l'illegittimit costituzionale dell'art. 26 secondo comma del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato, si discusse in giurisprudenza sulla tutela giurisdizionale spettante a proposito di controversie doganali riguardanti la qualificazione delle merci e l'accertamento del valore; e, dopo qualche oscillazione, fin per. prevalere la tesi che postulava la competenza dell'AGO sulle questioni di estimazione doganaie sussistendo un diritto soggettivo del contribuente alla esatta determinazione del presupposto del tributo nelle sue dimensioni fattuali. Ma non si mai dubitato della competenza del giudice ordinario a conoscere delle controversie di classificazione, riguardanti l'applicazione a merci di qualificazione merceologica e di valore gi determinato dell'appropriato articolo di tariffa; poich non si compie al riguardo un giudizio estimatorio, ma si tratta di applicare al fatto gi accertato, senza margine di discrezionalit, la norma, attenendo il problema in discussione esclusivamente alla interpretazione di tale norma. Analoghe alle controversie di classificazione sono quelle di assimilazione, riguard;mti la classificazione di merci di qualificazione merceofogica gi determinata che, non essendo considerate specificamente da alcuna voce del repertorio o della tariffa, vanno ricondotte a quella maggiormente affine. Trattasi, all'evidenza, anche in questo caso, di risolvere un problema esclusivamente giuridico, senza alcuna componente estimatoria, ravvisabile, invece, nelle controversie di qualificazione merceologica ed in quelle di accertamento del valore. La enucleazione di pr<;>fili estimatori di merito, ovvero di profili qualificatori di puro diritto, si riflette non soltanto sul problema della giurisdizione, ma concorre a circoscrivere il proprium dell'accertamento doganale, in quanto inteso alla determinazione della base imponibile alla cui stregua applicare la tariffa. In questo senso prendono fondamentale rilievo le norme richiamate dal ricorrente le quali sottolineano tutte le componenti del giudizio estimatorio, che si radica sulla dichiarazione doganale nella quale deve essere contenuta anche l'indicazione della voce di tariffa cui ricondurre le merci importate, ma che fondamentalmente deve dare atto della qualit, composizione e quantit (cfr. art. 57), mentre l'accertamento di cui parola nell'art. 59 riguarda appunto qualit, quantit, valore, ed origine delle merci che formano oggetto della dichiarazione medesima. Su questa linea della qualificazione merceologica e della determinazione correlativa del valore, si sviluppa coerentemente la normativa che attraverso il prelevamento m1mKfllllltllllfrlllllllllllllrillllllllll1"lllllllllllfll 586 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO di campioni affida a periti doganali le fondamentali valutazioni merceologiche; perci il procedimento riguardante tali contestazioni, nella sua fase amministrativa, scandito dalla presenza di periti doganali il cui parere, a tutti i livelli di sviluppo delle contestazioni medesime, appare fondamentale. All'accertamento, inteso riduttivamente come determinazione della base imponibile risultante dalla qualificazione merceologica operata, si correla la specifica norma nella revisione, implicante, come emerge con sicurezza dal comma secondo dell'art. 74, una attivit ispettiva e valutativa da compiersi sulle merci per accertare con maggiore esattezza, e superando eventuali dubbi, qualit, quantit e valore. Scopo dell'accertamento in revisione, come risulta testualmente dal comma quarto del menzionato art. 74, la messa in evidenza di omissioni ed errori riguardo agli elementi posti a base dell'accertamento . Quando, invece, l'accertamento si compiuto senza contestazioni circa gli elementi di identificazione deHa base imponibile, ed assolutamente pacifico il tipo merceologico cui appartiene la merce, ai fini della corresponsione del tributo si tratta di operare il riscontro con le indicazioni della tariffa, che il pi delle volte si risolve puramente e semplicemente nel raffronto nominalistico; qualche problema potrebbe sorgere quando il tipo merceologico determinato a seguito dell'accertamento non figuri nelle tariffe, dovendosi assimilare la merce alla categoria nominata con cui ha maggiore affinit alla stregua della adeguata interpretazione della legge e della tariffa doganale. Tale giudizio di assimilazione non consiste in una interpretazione analogica, dato che il criterio applicativo scaturisce direttamente dalle norme positive e non deve essere creato dall'interprete, con strumenti ermeneutici integrativi, per colmare un vuoto di cui il legislatore era inconsapevole. A proposito di tariffe doganali, il legisfatore, anzich elencare tutte le possibili merci tassabili, accingendosi ad un compito sicuramente destinato all'insuccesso, pur avendo provveduto a minuziose indicazioni, ha avuto cura di precisare, con norma di chiusura del sistema, che in ognuna de1le voci espressamente indicate si dovessero ritenere comprese anche le merci aventi caratteristiche simili, configurando tutti gli articoli delle tariffe come norma e fattispecie non esclusiva, integrabHi, quindi, volta a volta alla stregua del criterio dell'assimilazione. L'individuazione de11a merce pi affine a quella in esame pu richiedere nell'interprete nozioni extragiuridiche, presentando una componente tecnica, ed il compimento di una operazione logica non diversa da quella richiesta per la qualificazione merceologica, nel compiere la quale, peraltro, il risultato finale cui si perviene rigorosamente qualificatorio in senso tecnico giuridico, operandosi alla stregua della ratio legis e quindi non I ! l ! .z.c.Z....'......'.........'.-................................................................. ......N.......-.......".'.'.'.'.'.'...-....................................... .....'.'....n..N.".'.'.".'.'.'.'.'.'.".'.'.'."...._. .................................................... ..., ........... '.'.'.'.'.'.'.'.'.'.''.'."....N.'.".'.".'.".'.".'.'.'.'.'.'.'.'....-..-........-. .J 11r11~~1f11flri1lilllririflri1;1rrr~rriifrflr;l!:rrgirlfrlllf~flt1tfllfl&1rlriflrlfidtillllirlr;1:1lfrllllllf'flfirl PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 587 soltanto in base al tipo merceologico (facendo leva sulle somiglianze fisico-chimiche), ma considerando la merce nella sua dimensione socioeconomica, applicando i criteri di politica economica fiscale che hanno presieduto alla formazione delle tariffe, e ne hanno ispirato Je statuizioni, venendo a configurarsi detta ratio come il fondamentale dato di lettura di cui l'interprete deve tenere conto. 5. Se, quindi, il momento dell'accertamento dei dati di base per la tassazione va tenuto distinto da quello dell'applicazione della tariffa da effettuare alla stregua della qualificazione merceologica, assume decisivo rilievo l'espressione contenuta nell'art. 84 comma 2 Jett. a) il quale, 1 nel riferirsi ad errori di applicazione della tariffa, sottolinea, secondo la lettera e lo spirito della locuzione, la cesura fra qualificazione merceologica, e riconduzione della specie all'una ovvero all'altra delle voci della tariffa medesima; nel campo doganale, invero, l'applicazione della tariffa si risolve puntualmente nell'dnquadramento di ogni fattispecie concreta, di ogni specifica merce presentata alla dogana al modello legale suo proprio, mentre fil ricorrente vorrebbe .interpretare riduttivamente la norma restringendone la portata alle ipotesi in cui, pur essendovi corrispondenza fra qualificazione merceologica e classificazione tariffaria, sia stato commesso un errore nel calcolo del tributo. La tesi non sostenibile. Basta leggere al riguardo, nella successione delle proposizioni in cui si articola, la norma che distingue errori di calcolo nella liquidazione, ed errori di applicazione della tariffa; tale distinzione verrebbe ad essere completamente appiattita se fosse esatto l'assunto del contribuente, giacch sarebbero ipotizzabili soltanto errori di calcolo. Quando nel presupposto dell'inquadramento della merce in una data voce di tariffa, la dogana impone un'aliquota diversa da quella rispondente all'operata classificazione o assimilazione, l'errore non riguarda l'applicazione della tariffa medesima come criterio che presiede alla classificazione, ma va annoverato fra gli errori materiali per non aver tratto dall'effettuato inquadramento gli esatti referenti numerici nella individuazione delle aliquote. In altre parole: la applicazione di una o di altra aliquota come corollario della classificazione d origine a controversie di classificazione; mentre l'inesatta individuazione della aliquota che corrisponde all'operata classificazione comporta errore di calcolo (a parte la pi banale ipotesi di errore di conteggio meramente aTitmetico per non rispond~nza del risultato rnggiunto dei dati posti a base del calcolo). Ma in entrambi i casi si sicuramente al di fuori del campo della revisione dell'accertamento che resta circoscritto alle contestazioni riguardanti la determinazione della base imponibile .individuata, nelle varie disposizioni della Jegge, con riferimento a:Ha qualit, alla quantit, od all'origine della merce. RASSEGNA DEI.L'AWOCATURA DELLO STATO 588 Ben si comprende, quindi, che rispetto ad un accertamento definitivo per quanto attiene alle connotazioni della merce risultanti dalla bolletta doganale le possibilit di revisione siano ristrette ad un termine decadenziale. quando, invece, si tratta di riesaminare la correttezza dell'operata tassazione su merci di indiscussa consistenza merceologica, e di quantit e valore ormai certi, non venendo pi in considerazione la base imponibile, ma la interpretazione della tariffa, sia da parte dello Stato (art. 84) sia da parte del contribuente (art. 91) consentito uno spatium temporis di cinque anni per ripristinare la corrispondenza alla legge della imposta dovuta, non occorrendo pi fare riferimento alla merce per risolvere la controversia. L'art. 91 contrappone con chiara evidenza il campo proprio di applicazione della norma sui rimborsi a quello della revisione ex art. 7 4 che viene in considerazione solo quando si tratta di incidere sulla base imponibile nelle sue componenti qualitative, quantitative, di valore e di origine: ed ancora una volta il presupposto della correzione della operata tassazione (a vantaggio del contribuente nell'ipotesi dell'art. 91) viene ad essere individuato non solo nell'errore di calcolo, ma anche nella applicazione di un diritto diverso da quello fissato in tariffa per la merce descritta nel risultato dell'accertamento. L'espressione estremamente precisa, conferma l'esattezza della interpretazione della dizione pi sintetica dell'art. 84, mettendo in evidenza che l' accertamento nella terminologia del t.u. doganale designa esclusivamente la determinazione della base imponibile, comportante anche la qualificazione merceologica alla stregua della quale (cos come risultante dall'accertamento medesimo) va applicata de plano la tariffa. Ora non vi dubbio che per porre riparo all'erronea applicazione della tariffa determinata da una classificazione (od assimilazione) impropria l'amministrazione pu attivarsi imponendo un'obbligazione aggiuntiva al contribuente, ed avvalendosi del procedimento dell'ingiunzione fiscale, venendo ad essere posticipato il contraddittorio, come appunto avvenuto nella specie, in cui si contesta da un lato il procedimento seguito, (e quindi la tempestivit della richiesta) e si sostiene dall'altro che l'originaria classificazione rispondeva alla qualificazione merceologica per la determinazione della quale non occorre procedere ad alcun !riscontro della merce, essendo incontestato che si tratta di semi di zucca destinati alla alimentazione umana per i quali la tariffa non prevede una puntuale collocazione, occorrendo conseguentemente operare l'assimilazione alla voce pi vicina (e consistendo il nucleo di merito della contestazione, non tradottosi peraltro in tempestive deduzioni, nello stabilire appunto se risulta pi congruo l'inquadramento alla voce 12.01 ovvero a quella 12.03 (restando pacifica la consistenza merceologica del prodotto .importato). (omissis) PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 589 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 17 febbraio 1982, n. 999 -Pres. Granata Est. Zappu1li -P. M. Cantagalili (conf.) -Ceci c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Angelini Rota). Tributi (in genere) -Contenzioso tributario -Procedimenti pendenti Art. 44 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 -Ricorsi presentati dopo l'entrata in vigore e prima dell.'insediamento delle nuove coJlllllissioni -Non s1 appli<;a. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 44). La norma transitoria dell'art. 44 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, che prevede l'estinzione dei procedimenti pendenti ove non sia presentata istanza per la trattazione, non si applica ai procedimenti introdotti dopo l'entrata in vigore del d.P.R. (1 gennaio 1973) ma prima della data di insediamento deUe commissioni (1). (omissis) Il ricorrente Ceci ha lamentato, con l'unico motivo del ricorso, la violazione nella decisione impugnata degli artt. 42, 43 e 44 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, deducendo che la decadenza prevista dall'art. 44 per la mancata presentazione dell'istanza di trattazione dei ricorsi innanzi le commissioni tributarie non poteva applicarsi ai ricor. si presentati alle stesse dopo l'entrata in vigore del citato decreto pur se prima del loro rispettivo insediamento cos come ritenuto nella decisione della commissione di secondo grado riformata da quella della commissione centrale. Il ricorso fondato. Invero, come recentemente affermato da questa Suprema Corte (sent. 11 novembre 1981 n. 5967) pure se l'art. 44 citato, nello statuire che il contribuente deve chiedere entro sei mesi dalla data di insediamento delle rispettive commissioni la trattazione del ricorso con istanza di retta alla commissione competente e presentata all'ufficio finanziario competente, non ha posto una specifica distinzione tra i ricorsi ante riori alla data di entrata in vigore del decreto medesimo (1 gennaio 1973 ex art. 47) e quelli presentati nel menzionato periodo intermedio poste riore. La precisa interpretazione di quell'articolo, in collegamento con le altre norme dello stesso capo e con i ben noti fini della norma, induce a ritenere che la citata disposizione applicabile solo ai primi. Invece, la decisione impugnata si limitata, con apodittica affermazione, ad affermare che dal combinato disposto degli artt. 42, 43 e 44 si evince chiaramente che l'obbligo (melius onere) della presentazione dell'istanza si applica a tutti i procedimenti tributari pendenti alla data di inse (1) Precisazione che invero appare del tutto logica. 11 590 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO diamento delle nuove commissioni, senza considerare che la statuizione' dell'art. 47 sulla entrata in vigore del decreto alla data del 1 gennaio 1973 poneva con norma generale, una necessaria distinzione tra i precedenti e i nuovi ricorsi, per la quale occorreva un adeguato esame dello stesso art. 44 in correlazione con le altre norme e col fine della specifica disposizione. Come posto in rilievo nella citata sentenza, una serie di elementi concordanti, quali di seguito indicati, inducono a ritenere la dedotta inapplicabilit del citato art. 44 ai ricrsi presentati nel menzionato periodo intermedio. A) La specifica istanza di trattazione per i medesimi sarebbe stata manifestamente inutile e contraddittoria perch la eventuale acquiescenza o rinunzia del contribuente ricorrente, implicitamente presupposta da quella norma, non poteva in alcun modo presumersi, a differenza che per i ricorsi precedenti alla nuova legge, per quelli presentati dopo l'entrata in vigore della stessa a causa dell'evidente contrasto con la intenzione di valersi della tutela giurisdizionale regolata dalla stessa manifestata con il ricorso successivamente presentato, tanto pi che la nuova disciplina richiedeva la indicazione dei motivi con una conseguente garanzia di maggiore seriet e precisione dei ricorsi rispetto alla precedente disciplina. N pu concepirsi la presentazione di un ricorso dopo quella data senza la contestuale volont di farlo trattare, pur in relazione alla nuova situazione, rimanendo, in ogni caso, sottintesa e assorbita in essi la istanza di trattazione. B) La presentazione dei successivi ricorsi destinati ad essere decisi proprio secondo la nuova disciplina escludeva che il contribuente si trovasse nelle condizioni di dover riesaminare la propria richiesta originaria in relazione ai mutamenti apportati dalla stessa e particolarmente secondo le nuove norme sulla competenza delle commissioni di cui all'art. 43 e che egli, perci, dovesse effettuare la scelta sulla prosecuzione del procedimento in rel!lZione alla sua convenienza o meno in base alle nuove norme. C) Il noto fine perseguito dal legislatore con la norma dell'art. 44 di draconiano rigore, tale da aver dato luogo a numerose censure nella dottrina, era quello di ridurre l'elevato numero dei procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore del nuovo testo legislativo, eliminando quelli per i quali i contribuenti, per la scarsa fondatezza del ricorso o per il suo mero fine dilatorio, non manifestassero l'intenzione e l'interesse di ottenerne fa definizione, mentre la gi rilevata presentazione dopo l'entrata in vigore delle nuove norme costituiva di per s una indubbia manifestazione dell'interesse suddetto. Inoltre lo scarso intervallo di tempo dalla presentazione non importava quegli inconve ! _......__! PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA nienti e quelle incertezze per i quali si era voluto lo sfoltimento delle precedenti pendenze. D) GJi ultimi comma degli artt. 42 e 43 statuivano che i :ricorsi diretti alle commissioni non ancora insediate, e pertanto presentati agli uffici finanziari, dovevano essere trasmessi con le relative deduzioni di questi ultimi alle segreterie delle stesse entro novanta giorni dal loro successivo insediamento mentre il termine per la presentazione della istanza di trattazione era di sei mesi con uguale inizio della decorrenza. A causa di tale diversit di termini, da un lato, i suddetti uffici non avrebbero potuto indicare in quelle deduzioni i propri rilievi sulla assenza o irregolarit delle istanze suddette, per le quali il termine non era decorso alla scadenza di quello per il suddetto adempimento dell'ufficio, e, dall'altro, la loro attivit istruttoria sarebbe stata inutile in tutti i casi in cui si fosse verificata, necessariamente in data successiva, l'ipotesi di decadenza prevista daH'art. 44 con l'estinzione del procedimento, mentre la nuova normativa era diretta ad evitare ritardi e inutili attivit degli uffici ai fini di una maggiore snellezza e rapidit delle procedure. E) Inversamente, infine, mentre la citata norma dell'art. 44 giustificata dal mutamento della disciplina intervenuto con vasti effetti e conseguenti incertezze per i ricorsi presentati secndo quella precedente, non si ravvisa per quale motivo quella disposizione dovrebbe essere applicata ai ricorsi proposti dopo l'entrata in vigore della nuova legge, e quindi in presunta conformit alla stessa o, comunque, con la sua conoscenza, con una ingiustificata limitazione a quel periodo transitorio e con notevole differenza di trattamento e di rischl e oneri processuali rispetto ai ricorsi analogamente presentati secondo la nuova legge ma dopo la fine di quel periodo. N pu indurre in diverso avviso l'obiezione posta in udienza dal difensore del Ministero resistente, secondo la quale la necessit della nuova istanza deriverebbe pure in questi casi dal secondo comma dello stesso art. 44, per il quale essa deve anche indicare la residenza o l'eventuale domicilio eletto ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 15 . Invero l'elezione di domicilio , in ogni caso, un adempimento autonomo e distinto dalla istanza medesima, pur se in essa contenuto, tanto che pu essere fatta anche separatamente. D'altra parte, proprio l'art. 15 citato dal medesimo comma prevede espressamente per il caso di mancata indicazione di esso o della residenza non una sanzione di decadenza o di inammissibilit del ricorso ma solo il particolare e diverso effetto di attribuire all'amministrazione finanziaria il potere di effettuare le comunicazioni o notificazioni presso la segreteria della commissione . (omissis) RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 592 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 19 febbraio 1982, n. 1050 Pres. Mirabelli -Est. Corda -P. M. Sgroi (conf.) -Vecchione c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Azzariti). Tributi (in genere) -Contenzioso tributario Imposte indirette -Opposizione all'esecuzione Giurisdizione ordinaria. Tributi (in genre) -Contenzioso tributario -Imposte indirette Opposizione all'esecuzione Foro dello Stato. (t.u. 30 ottobre 1933, n. 1611, art. 8; c.p.c., artt. 25 e 27). L'opposizione all'esecuzione, con la quale si contesta il diritto dell'AmministraZione finanziaria ad agire esecutivamente per il recupero di un credito per imposte indirette, soggetta alla giurisdizione ordinaria e non a quella delle commissioni (1). L'opposizione all'esecuzione, se pure estranea alle questioni sull'an e sul quantum dell'obbligazione tributaria, integra pur sempre una controversia di imposta riservata alla competenza del tribunale del foro dello Stato (2). (omissis) Nelle date 6 e 25 novembre 1975, l'Amministrazione Finanziaria dello Stato procedeva a esecuzione forzata immobiliare per il recupero di somme delle quali era creditrice, per imposta di registro, risultanti dai seguenti titoli: 1) art. 5240 Camp. A.C.: recupero della somma di lire 2.100.430, a titolo di imposta di registro, accessori e interessi, relativa all'atto pubblico Notaio Martini del 13 ottobre 1966 (registrato iri Pontedera il 25 ottobre 1966, n. 2157) col quale Giuseppe Magro aveva venduto un immobile (terreno edificabile) alla s.r.l. Niki (l'imposta era dovuta in (1-2) Giurisdizione ordinaria e giurisdizione delle commissioni nella fase esecutiva. (1) La pronunzia delle Sez. Unite, che per la prima volta tocca il problema della riemersione della giurisdizione ordinaria, sembra peccare di una (ottimistica) semplificazione del problema; essa riesce con-estrema facilit a tracciare una linea di discriminazione apparentemente netta, ma che nella realt non individuabile. In sostanza tutto il problema si ridurrebbe a questo elementare enunciato: le questioni sull'an e sul quantum dell'obbligazione tributaria (ovviamente per i tributi elencati nell'art. 1 del d.P.R. n. 636/1972) sono soggette alla giurisdizione delle commissioni; tutte le questioni che attengono all'esecuzione, nelle quali non pu pi discutersi dell'an e del quantum, sono devolute alla giurisdizione dell'A.G.O. Ma questa separazione appunto illusoria, perch ignora la difficolt che nel processo ordinario in genere e pi ancora nel processo tributario crea l'opposizione all'esecuzione, nella quale riaffiorano o possono riaffiorare questioni sull'an e sul quantum e comunque si dibattono questioni che concernono non . : . . PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 593 quanto l'acquirente era decaduta dai benefici fiscali concessi dalla legge 2 luglio 1949, n. 408, :avendo a sua volta rivenduto a Salvatore Vecchione, inedificato, il detto immobile); 2) art. 5241 camp. A.C.: recupero della somma di lire 2.823.400 a titolo di imposta di registro, accessori e interessi, relativa a un successivo atto pubblico Notaio Martini (registrato in Pontedera il 27 ottobre 1966, n. 2236) col quale la s.r.1. Niki aveva venduto (l'immobile predetto a Salvatore Vecchione (l'imposta era dovuta perch l'acquirente era decaduto dai benefici fiscali :di cui alfa legge sopra citata, avendo a sua volta rivenduto -con atto del Notaio Salemi, in data 5 dicembre 1969 -alla s.r.l. Niki, inedificato, lo stesso immobile); 3) articoli 922, 223, 489 camp. a.e. recupero di somme varie (il cui ammontare non risulta dagli atti); a titolo di imposta complementare di registro, relativa all'atto pubblico Notaio Salemi, sopra indicato. 1 In base al secondo e al terzo dei titoli predetti, l'Amministrazione procedeva al pignoramento dell'immobile di cui sopra. In pendenza del processo di esecuzione davanti al Tribunale di Pisa, Salvatore Vecchione -qualificandosi come terzo possessore>? dell'immobile (che sarebbe stato pignorato dall'Amministrazione in virt del privilegio di cui all'art. 97 della legge di registro 30 dicembre 1923, n. 3269) -proponeva soltanto il modo dell'esecuzione, ma il diritto di agire esecutivamente e quindi un diritto che ha gli stessi caratteri di quello fondamentale di credito. Se in generale il giudice competente per l'opposizione all'esecuzione non il giudice dell'esecuzione (art. 615 c.p.c.), deve almeno porsi il problema se, nel processo tributario, l'opposizione all'esecuzione non consista in una controversia in materia di imposta della stessa natura della tipica controversia sull'an e sul quantum del tributo. Evidentemente non pu persuadere l'affermazione che quando si contesta il diritto dell'Amministrazione ad agire esecutivamente, o a sottoporre a pignoramento un bene determinato, non si discute affatto (e non si pu discutere affatto) della d~benza del tributo. Nel caso deciso l'opponente sosteneva di non essere debitore dell'imposta di registro perch aveva stipulato l'atto come falsus procurator, perch il contratto era sottoposto a condizione sospensiva e perch il trasferimento doveva beneficiare dell'agevolazione, tutte questioni, che saranno state verosimilmente inammissibili e infondate, ma che evidentemente riguardano il se e il quanto del tributo. Ma su queste domande deve comunque intervenire una decisione; non si pu certo ritenere che, in base ad una generica e supposta improponibilit, il giudice ordinario possa considerare irrilevanti nella sede dell'opposizione all'esecuzione questioni che riguardano l'esistenza dell'obbligazione. Ma infine il Tribunale che a seguito della sen tenza della Sez. unite dovr decidere sulla opposizione proposta, si trover ad affrontare le dette questioni, che non potr dichiarare improponibili per difetto di giurisdizione e dovr decidere nel merito. Questioni di questo genere possono essere dedotte nel giudizio di opposizione all'esecuzione non soltanto, come nel caso deciso, per ostinata ripropo 594 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO opposizione ex art. 619 cod. proc. civ., deducendo: 1) che l'Amministrazione non aveva pi titolo (al momento del pignoramento) per far valere il privilegio di cui al citato art. 97 della legge di registro, in quanto ne era decaduta: in relazione ai crediti di cui ai primi due articoli di campione, per averlo esercitato nei confronti di un terzo possessore dell'immobile (diverso, cio, dalle parti intervenute nel contratto e, quindi, dal debitore d'imposta) oltre il termine previsto dalla norma citata; in relazione al credito di cui al terzo articolo di campione, per analogo motivo, posto che, trattandosi di negozio concluso da un falsus procurator, anche in relazione ad esso egli aveva assunto la veste di terzo (cio di persona diversa dal debitore d'imposta), 2) che in relazione aJ predetto terzo articolo di campione (cio in relazione al contratto di cui all'atto del Notaio Salemi, da intendersi -in quanto compiuto dal f alsus procurator -come sottoposto a condizione sospensiva) era insussistente il presupposto dell'imposizione (art. 17 della legge di registro); 3) che, sempre in relazione all'atto notarile da ultimo citato, non si era verificata l'asserita decadenza dal beneficio fiscale di cui alla legge 2 luglio 1949, n. 408, in quanto l'inedificazione del ter reno er:a da attribuire a causa di forza maggiore. Costituitasi in giudizio, l'Amministrazione Finanziaria eccepiva: 1) che l'opposizione proposta non poteva essere qualificata come di terzo sizione di una domanda gi proposta e decisa in altra sede, ma anche in modo del tutto corretto quando non esista ancora un titolo irrefutabile per la esecuzione o quando l'atto di natura esecutiva (ingiunzione e ruolo) non stato preceduto dall'accertamento. Ma anche le questioni diverse dall'an e dal quantum con le quali si con testa il potere di promuovere l'esecuzione danno luogo a controversie tribu tarie sottratte alla giurisdizione dell'A.G.O. Tutte le volte che si afferma che il titolo esecutivo non poteva essere formato in quel momento, per quell'am montare e nei confronti di quella persona, si propone una questione che, se pure non rientra nell'an e nel quantum del rapporto tributario, pur sempre una controversia di applicazione della norma tributaria. Queste semplici cons1derazioni sono suffilcienti per constatare come l'af fermazione della sentenza in esame sia inaccettabile tanto sul punto conclusivo che i giudizi di opposizione all'esecuzione sono soggetti alla giurisdizione or dinaria, quanto sul punto argomentativo che in questi giudizi non possono ! entrare questioni tipicamente tributarie. t (2) Passando ad un esame pi completo, possiamo rilevare che, come ! emerge dall'art. 16 del d.P.R. 636/1972, le controversie devolute alle commissioni I sono di due tipi fondamentali: controversie di accertamento dell'obbligazione, [ che sono occasionate da un atto di accertamento in senso ampio (compresi in l questa categoria l'ingiunzione e il ruolo non preceduti da altro atto, che hanno quindi funzione di accertamento); controversie relative alla riscossione, occa sionate dall'emissione dell'atto con funzione di titolo esecutivo (ingiunzione o I ruolo preceduti dall'accertamento) nelle quali ordinariamente non sono propo i nibili le questioni del primo tipo. 1 ! I PARIB I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 595 poich il Vecchione non aveva agito per reclamare la propriet del bene sottoposto a esecuzione (egli, infatti, risultava esecutato quale terzo proprietario del bene dal cui trasferimento aveva avuto origine l'obbligazione tributaria); 2) che non sussisteva la giurisdizione del giudice ordinario, essendo la materia delle controversie tributarie devoluta alle Commissioni; 3) che (in subordine) non sussisteva la competenza del Tribunale adito, sussistendo, invece, la competenza del Tribunale di Firenze, ossia quella del giudice del luogo in cui aveva sede l'ufficio dell'Avvocatura Distrettuale; 4) che, in ogni caso, era inammissibile l'opposizione per carenza di legittimazione attiva o di interesse dell'opponente; 5) che, infine, l'opposizione era infondata nel merito. Con sentenza del 1 marzo -2 maggio 1980, il Tribunale di Pisa dichiarava la propria incompetenza funzionale, in base alle seguenti osservazioni: 1) L'opposizione proposta dal Vecchione avrebbe potuto essere qualificata come di terzo solo rispetto al rapporto di cui all'art. di campione n. 5240 (il primo di quelli sopra indicati), in quanto relativo a un contratto di compravendita al quale l'opponente era rimasto del tutto estraneo: ma ci era in pratica irrilevante, poich l'Amministrazione non aveva agito esecutivamente (anche) per il credito di cui all'articolo di campione predetto. Meritano una particolare attenzione le controversie del secondo tipo, quelle che nel linguaggio dell'art. 16 sono le controversie per vizi propri dell'ingiunzione e del ruolo. Di questa categoria di controversie sembrerebbe che la sentenza in ras segna non riconosca l'esistenza. Se vero che il ricorso contro l'ingiunzione o il ruolo preceduti dall'accertamento non pu rimettere in discussione le questioni sull'an e sul quantum dell'obbligazione, e se vero che le questioni diverse da queste, riguardanti necessariamente la fase esecutiva, rientrano nella giurisdizione ordinaria, se ne dovrebbe dedurre che non esiste nel sistema l'idea del ricorso per vizi propri dell'ingiunzione e del ruolo. Essendo superfluo ogni commento su questo paradosso, sar pi opportuno tentare di definire i caratteri di questo tipo di controversia. I vizi propri dell'atto esecutivo vanno soprattutto individuati nei vizi sostanziali; questi si risolvono nel difetto di potere ad emettere l'atto esecutivo in quel momento, per quell'ammontare e contro quella persona; ma il tutto indipendentemente da questioni sull'an e sul quantum dell'obbligazione, comunque dedotte o deducibili contro un precedente atto di accertamento (in senso ampio). I detti vizi sostanziali non riguardano problemi attinenti al processo esecutivo come tali riconducibili nell'ambito del processo ordinario, ma sono all'evidenza materia della controversia di imposta. Pu essere utile qualche esemplificazione. Riguardo al momento della formazione deli'atto, si pu denunziare come vizio la prescrizione del credito gi accertato definitivamente o la decadenza stabilita per la formazione dell'atto, ovvero, al contrario, il mancato compimento del termine minimo (ad esempio il termine per adempiere di 60 giorni decorrente dall'avviso di liquidazione). 596 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 2) Con riferimento agli altri titoli per i quali era stata effettivamente iniziata l'esecuzione (ossia le ingiunzioni relative agli altri due articoli di Campione), l'opposizione predetta doveva essere qualificata come opposizione ex art. 615 cod. proc. civ. del debitore o del terzo ritenuto per legge debitore. 3) Era irrilevante l'eccezione di difetto di giurisdizione, in quanto: a) per alcune delle questioni sollevate con J'opposizione (e, in particolare, quella relativa alla negata decadenza dai benefici fiscali), le Commissioni erano state a suo tempo adite e avevano emesso ila foro pronuncia, ormai rdivenuta denitiva; b) per ,fo ,aJtre questioni (e, in particolare, quella dell'opponibilit al terzo possessore del credito tributario), erano ormai scaduti i termini per adire le Commissioni stesse. 4) Era, invece, fondata l'eccezione d'incompetenza, poich l'opposizione si sostanziava in una controversia sulla esigibilit del tributo nei confronti del Vecchione, sia esso considerato debitore principale, sia esso considerato debitore per legge: di modo che doveva trovare applicazione la disposizione .contenuta nell'art. 8 del irid. 30 ottobre 1933, n. 1611, ai sensi del quale appartiene al tribunale del luogo ove risiede l'ufficio deH'Avvocatura dello Stato (nel cui distretto trovasi l'ufficio che Riguardo all'ammontare, l'impugnazione pu riguardare o la totale mancanza (o la nullit~) dell'atto di accertamento che dato per presupposto o la difformit tra la somma portata nell'atto esecutivo e quella dell'accertamento o la eseguibilit !in via provv!i1soria del credito (come quando si discute se dn relazione alla natura suppletiva o complementare dell'imposta il ricorso contro l'accertamento abbia o meno prodotto effetto sospensivo o si discuta della esatta determinazione della frazione per la quale consentita la riscossione in pendenza del giudizio) o anche la definitivit dell'accertamento ove si discuta dell'esistenza di una impugnazione validamente proposta e coltivata. Infine quanto alla persona contro la quale l'atto di riscossione formato possono nascere questioni sulla esistenza del vincolo di coobbligazione o di responsabilit o di successione nel rapporto. Come ben si vede vi uno spazio ampissimo tra le questioni sull'an e sul quantum, o pi propriamente di accertamento dell'obbligazione, e le questioni propriamente esecutive, per loro natura non conciliabili con la giurisdi zione speciale delle commissioni; quella che la sentenza in esame considera una linea nett un ampio territorio. Questo territorio, sicuramente rientrante nei poteri decisori delle commissioni sotto la forma del ricorso per vizi propri (sostanziali) dell'atto di riscossione, si identifica per l'appunto con l'opposizione all'esecuzione del processo ordinario, o almeno con un rilevante settore di essa. (3) !testa ancora uno spa2lio per la g;iurisdfaiione ordinaria nella fase esecutiva? Il problema pu risultare pi facile iniziando l'esame delle imposte dirette per le quali non ammessa n l'opposizione all'esecuzione in sede ordinaria PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA ~97 ha liquidato la tassa o la sovratassa controversa) la decisione delle controversie giudizia:li :riiguardanti le tasse e sovratasse, anche se insorte in sede di esecuzione. Contro tale sentenza, il Vecchione ha proposto ricorso per regolamento di competenza. L'Amministrazione Finanziaria ha resistito per riproporre la questione di giurisdizione. Il P.G. presso questa Corte -richiesto delle conclusioni scritte sulla questione di competenza -ha sollecitato l'assegnazione del ricorso a queste Sezioni Unite, stante la pregiudizialit de1la questione di giurisdizione. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. -Con l'istanza per regolamento di competenza, il ricorrente Veochione sostiene che il Tribunale di Pisa avrebbe errato nel dichiarare Ja propria incompetenza (ex art. 8 del r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611), in quanto non avrebbe tenuto conto che l'opposizione all'esecuzione (cos qualificata dallo stesso Tribunale di Pisa) riguardava solo l'estraneit del ricorrente aHa procedura esecutiva ,instaurata dall'Amministrazione (art. 54 capov. d.P.R. n. 602/1973) n l'opposizione agli esecutivi dell'esattore (art 53 d.P.R. cit.). Esiste soltanto il ricorso contro il ruolo (art. 39) e il ricorso amministrativo all'intendente di finanza; si omette ogni approfondimento su questo problema sul quale a fugare dubbi di legittimit sono intervenute autorevoli pronunzie delle Sez. Unite (5 marzo 1980, n. 1471, in questa Rassegna, 1981, I, 345), e della Corte costituzionale (1 aprile 1982, n. 63). Quel che importa ora notare che il ricorso contro il ruolo assorbe tutte le questioni che comunque influiscono sul potere dell'Amministrazione di emettere il ruolo; tutte le questioni successive alla notifica del ruolo (cartella dei pagamenti) riguarderanno gli atti esecutivi dell'esattore (l'Amministrazione ormai estranea) sottratti al controllo giurisdizionale. Non esiste dunque una zona intermedia per l'inserimento del giudice ordinario; tutto ci che esorbita dal ricorso contro il ruolo materia di opposizione (non consentita) agli atti esecutivi. Resta soltanto al giudice ordinario la cognizione sulle opposizioni di terzo (art. 52 d.P.R. n. 602/1973), con l'avvertenza, per, che non sono considerati terzi il coniuge ed i parenti e affini entro il terzo grado relativamente ai beni mobili pignorati nella casa di abitazione del debitore. Naturalmente spetter al giudice ordinario la giurisdizione sull'azione di risarcimento del danno contro l'esattore proponibile dopo il compimento dell'esecuzione (art. 54, terzo comma), essendo questa un'azione oivile ord~naria. Il criterio ispiratore di questo tradizionale sistema di guarentigie dunque quello di devolvere allo stesso giudice della controversia tributaria tutte le questioni inerenti al potere dell'Amministrazione di emettere e consegnare al l'esattore il ruolo e di riservare alla stessa Amministrazione, in via di ricorso amministrativo, salvo l'ulteriore tutela innanzi al giudice amministrativo, le contestazioni contro gli atti dell'esattore. Si pu vedere in ci una ripartizione 598 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Finanziaria per la riscossione dell'assunto suo credito , Non si sostanziava, cio in una di quelle controversie giudiziali riguardanti le tasse e sovratasse, anche se insorte in sede di esecuzione, per le quali la norma citata prevede la competenza del foro erariale; di modo che la competenza avrebbe dovuto essere stabilita secondo il disposto dell'art. 27 cod. proc. civ. che, per le cause di opposizione all'esecuzione forzata di cui agli articoli 615 e 619, prevede la competenza del giudice del luogo dell'esecuzione. Con la propria scrittura difensiva l'Amministrazione finanziaria sostiene che sarebbe insussistente la giurisdizione del giudice ordinario, poich le controversie in materia di imposta di registro apparten gono alla giurisdizione delle Commissioni Tributarie, ai sensi dell'art. 1 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n._ 636. Censura la sentenza del Tribunale nel punto in cui ha dichiarato irrilevante l'eccezione predetta (che anche in quella sede era stata proposta), facendo notare che sarebbe erronea l'affermazione -contenuta, appunto, nella sentenza, -secondo cui alcune delle questioni sollevate dal Vecchione erano state decise dalle Commissioni, mentre altre delle predette questioni non potevano pi essere proposte in detta sede, per avvenuta decorrenza dei termini. Chiarisce che un giudizio siffatto sarebbe spettato alle Commissioni tributarie, non gi al giudice ordinario. che se pure non coincide perfettamente corrisponde in grandi linee alla distin zione tra opposizione alla esecuzione ed opposizione agli atti esecutivi. (4) Non molto dissimile il criterio seguito nelle imposte inddrette. H ricorso contro l'ingiunzione per vizi propri un'opposizione all'esecuzione diretta a contestare il potere di procedere esecutivamente emettendo l'ingiunzione. Nelle imposte indirette ammessa tuttavia l'opposizione agli atti esecutivi e per questa (ma per questa soltanto) riemerge la giurisdizione dell'A.G.O. piuttosto diffusa la convinzione che successivamente alla decisione delle commissioni, o in pendenza del relativo giudizio, l'ingiunzione possa essere impugnata innanzi al tribunale; ma questa eventualit, alla quale la sentenza in esame d esca, deve essere vivacemente contrastata, non essendo pensabile un rinserimento del giudice ordinario per decidere una questione sostanziai mente tributaria. Non potrebbe trarsi argomento dal fatto che per le imposte iindirette manca una norma, corrispondente all'art. 54 del d.P.R. n. 602/1973, che espressamente vdeta l'opposizione all'esecumone. Questa norma .invero superflua e si ritrova oggi nel testo legislativo solo perch negli articoli 52, 53 e 54 del d.P.R. n. 602 sono stati trasportati gli articoli 207, 208 e 209 del t.u. del 1958; una volta stabilito che le due giurisdizioni, ordinaria e delle commissioni, non si sovrap pongono come un tempo ma si escludono, quando con il ricorso contro fingiun zione per vizi propri viene attribuita alla commissione la cognizione dell'oppo sizione all'esecuzione, quella stessa materia viene sottratta al giudice ordinario. peraltro evidente il parallelismo che l'art. 16 del d.P.R. n. 636/1972 pone fra ruolo e ingiunzione e quindi il risultato non pu essere che analogo quanto alla esclusione dalla giurisdizione dell'A.G.O. per queste controversie. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 599 2. -Per risolvere le due questioni, di giurisdizione e di competenza, occorre per primo definire l'azione che, in concreto, era stata proposta dall'attuale ricorrente, proprio perch da tale definizione possono discendere conseguenze diverse, con riferimento sia alla giurisdizione che alla competenza. Tale definizione compete, ovviamente, alla Corte di Cassazione, come sempre avviene quando dalla definizione predetta discendono conseguenze rilevanti per la giurisdizione e per la competen.za. A ci, pertanto, non contraddice la regola, ripetutamente espressa con riferimento alle controversie in materia di esecuzione civile, secondo cui l'individuazione della domanda concretamente proposta (individuazione che, norma1mente, assume rilevanza allorch debbasi stabilire quale sia il mezzo di impugnazione esperibile in concreto contro fa pronuncia giudiziale che ha deciso sulla domanda predetta) compete esclusivamente al giudice di merito (cfr. fra le tante, la sent. 17 dicembre 1980, n. 6531). Tale regola, infatti., ha riguardo ai poteri, istituzionalmente limitati, che la legge attribuisce alla Corte di Cassazione, quale giudice della stretta legittimit; essa, perci non trova applicazione quando la Corte di Cassazione investita di questioni attinenti alla giurisdizione o alla competenza, proprio perch in detta materia la Corte predetta giudice anche del fatto nel senso che ha H poteredovere di accertare anche i presupposti di fatto della propria pronuncia. Solo l'opposizione sulla regolarit formale dei singoli atti dell'esecuzione ridiventa una comune opposizione soggetta a tutti gli effetti alle regole normali. (5) Ftin qui si parlato dei viri propri sostanziafil dell'atto di esecuzione. Qualche difficolt incontra la disamina sui vizi propri di natura formale. Secondo le regole comuni la cognizione di questi vizi (regolarit formale del titolo esecutivo e del precetto) sarebbe oggetto dell'opposizione agli atti esecutivi. Nelle imposte dirette esiste una netta scissione fra il ricorso contro il ruolo, che ancora rivolto contro l'ufficio dell'Amministrazione, e il ricorso contro gli atti dell'esattore subentrato nel momento in cui l'ufficio ha esaurito ogni sua funzione; consegue da ci, poich la legittimazione passiva non pu essere scavalcata, che con il ricorso alla commissione contro il ruolo sono deducibili tutti i vizi, ed anche quelli formali, imputabili all'ufficio; con il ricorso all'intendente che diretto contro l'esattore potranno essere impugnati soltanto gli atti da questi emanati. In questi sensi l'impugnazione contro il ruolo pi ampia de1l'opposione all'esecuzione; ed i.n tal modo anche per i vi2li formali del ruolo assicurata una tutela giurisdizionale innanzi alle commissioni. Nelle imposte indirette sempre lo stesso ufficio tributario che conserva la legittimazione per ogni tipo di opposizione: per di pi esiste una tutela giurisdi2Jionale in ogni fase de1l'esecu2lione, cosicch meno sentito l'dnteresse a ricomprendere nel ricorso per vizi dell'atto anche i vizi formali. Per queste ragioni non sembra ragionevole che le questioni sulla validit formale dell'ingiunzione siano decise dal1a commissione (a meno che !llon sd tratti di vizi tanto radicali da ri;olversi in un difetto di potere all'azione esecutiva), mentre pi apprezzabile sembrerebbe il proposito di far decidere dallo stesso giudice tutte le questioni di eguale natura riguardanti la regolarit formale di tutti gli atti dell'esecuzione, compresa l'ingiunzione. In favore di questo orientamento giova la considerazione 600 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Ora, nel caso concreto, non vi dubbio che l'azione a suo tempo esperita dall'attuale ricorrente debba essere definita come opposizione all'esecuzione proposta, ex art. 615 cod. proc. civ. da un debitore di imposta escusso dall'Amministrazione creditrice. Analoga definizione, peraltro, ne aveva sostanzialmente dato il Tribunale con la pronuncia (sulla competenza) impugnata in questa sede, allorch ha escluso che l'opposizione proposta potesse (per gli effetti previsti dall'art. 7 del r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611) essere qualificata come di terzo. In realt, si accertato (dal Tribunale) che in relazione al solo rapporto tributario nel quale il Vecchione assumeva effettivamente la veste di terzo (cio que1lo riferibile all'ingiunzione fiscale di cui al primo degli articoli di campione pi indietro ricordati) l'Amministrazione non aveva agito esecutivamente. La circostanza, quindi, che in relazione a tale rapporto il Vecchione potesse effettivamente assumere la veste di terzo possessore dell'immobile, oggetto dell'esecuzione, era assolutamente irrilevante. L'Amministrazione predetta, invero aveva agito esecutivamente in base alle ingiunzioni relative agli altri due articoli di campione, ,1e quali concernevano un rapporto di imposta di registro nel quale il Vecchione aveva assunto la veste di debitore d'imposta (rectius: di condebitore solidale). Occorre, peraltro, ricordare -per meglio chiarire l'assunto che l'ingiunzione, come pacifico, ha anche valore di precetto, si che sarebbe arduo sostenere la giurisdizione delle commissioni sui vizi formali di tale atto. Vi allora una coincidenza. pressoch assoluta con 1a distinzione tra opposizione all'esecuzione e opposizione agli atti esecutivi, e questa costituisce il criterio discriminatore della giurisdizione delle commissioni e dell'A.G.O. nelle imposte indirette. Naturalmente sono sempre soggette alla giurisdizione ordinaria le opposizioni di terzo non aventi natura tributaria. Si deve per predsare che l:e opposiZIorn del debitore sulla pignorabildi dei beni vanno sempre ricomprese fra l'opposizione agli atti esecutivi e saranno quindi deducibili innanzi all'A.G.O. nelle imposte indirette e con ricorso all'intendente nelle dirette. (6) Esatta la seconda massima. Secondo fermissima tradil'Jione, controversia di imposta, ai fini della competenza del foro dello Stato, quella che si svolge fra i due soggetti del rapporto tributario ed ha per oggetto, anche se insorta in sede di esecuzione, sia la sussistenza dell'obbligazione (oggi per sottratta alla giurisdizione dell'A.G.0.), sia l'estensione dei privilegi, sia la regolarit formale del procedimento di riscossione, anche se non vengono in discussione norme e principi di carattere tributario. Non vi ragione per modificare questo indirizzo. Se pure Ja giurisdizione ordinaria si di molto ristretta, ci non toccale regole della competenza. E non vi ragione nemmeno per mutare indirizzo sul punto che la competenza funzionale del foro dello Stato nelle controversie cli imposta (art. 8 del t.u. 30 ottobre 193~, n. 1611) prevale su quella, anch'essa fu=ionale, del foro de1l'opposizione all'esecuZIone (art. 3 t.u. 14 aprile 11910, n. 639). CARLO BAFILE PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA dell'odierno ricorrente -che per l'esazione delle imposte di registro lo Stato ha azione personale contro il contribuente e, di conseguenza, azione sui beni del debitore, nonch azione reale sui beni oggetto della contrattazione colpita da imposta, in forza del privilegio di cui agli articoli 97 della (veochia) legge di registro (r.d. 30 dicembre 1923, !Il. 3269), 2758 (booi mobili) e 2772 (beni immobili) cod. civile. E il Vecchione, tenendo a base del proprio assunto tali disposizioni ,di legge, aveva sostenuto che fa Finanza si era concretamente avvalsa del potere di esercitare l'azione reale e che tale azione non fosse pi esperibile (e questo egli deduceva come terzo possessore dell'immobile gravato dal privilegio) essendosi verificata l'estinzione dell'azione, ai sensi del secondo comma dell'art. 97 da ultimo citato. La realt, per, che fa Finanza aveva agito esecutivamente per il recupero di una imposta della quale il Vecchione era diretto debitore: avesse, quindi, o meno, la Finanza fatto esplicito riferimento al disposto dell'art. 97 della (vecchia) legge di registro, certo che essa esercit in concreto non gi l'azione reale, bens quella personale, proprio perch ag esecutivamente contro un bene del debitore di imposta. L'azione di opposizione proposta da quest'ultimo, perci non avrebbe mai potuto essere definita come di terzo; si trattava, infatti, della tipica opposizione del debitore proposta, ex art. 615 cod. proc. civ. per contestare il diritto della Finanza (il titolo) di agire esecutivamente (la questione, poi, se la Finanza potesse o meno pignorare il bene predetto riguardava esclusivamente il merito dell'opposizione, non gi la definizione giuridica dell'azione di esecuzione proposta). 3. -Definita in tal modo l'opposizione in concreto proposta, deve anzitutto essere risolta, per ovvie ragioni di logica giuridica, la questione di giurisdizione. Questione che, come evidente, va risolta con la negazione che la controversia possa considerarsi rientrante nella categoria delle controversie in materia di imposte di registro di cui all'art. 1 del d.P.R . .26 ottobre 1972, n. 636 (legge istitutiva delle nuove Commissioni tributarie). Tale norma, infatti, ha evidente riferimento alle controversie sull'an e sul quantum del tributo; mentre nel caso concreto non si discute affatto del rapporto giuridico d'imposta, ma solo del diritto dell'Amministrazione di agire esecutivamente, o meglio di sottoporre a pignoramento un bene determinato. Ad analoga conclusione, del resto, era gi pervenuto il Tribunale, allor ch ha dichiarato irrilevante l'eccezione di difetto di giurisdizione che, anche in quella sede, era stata sollevata dalla Finanza. La motivazione della sentenza di detto Tribunale (per la verit espressa in termini che si prestavano all'equivoco) stata, in realt, equivocata dall'Amministrazione, la quale in definitiva sostiene (in questa sede) che un'eccezione di difetto di giurisdizione potrebbe, bens, essere respinta, ma non dichiarata irrilevante. La realt per che la detta eccezione stata, proprio, 602 RASSEGNA DEIL'AVVOCATURA DELLO STATO respinta dal Tribunale, il quale ha, in definitiva dichiarato che in sede di opposizione all'esecuzione non potevano pi essere sollevate questioni attinenti all'an del tributo, di modo che irrilevante eccepire che le questioni a ci relative hl contribuente avrebbe dovuto proporle davanti alle Commission~ (come peraltro, aveva fatto, senza successo). In altri termini, se in alcune delle questioni sollevate dall'opponente l'Amministrazione intravedeva il tentativo di rimettere in discussione problemi relativi alla debenza dell'imposta, ci era assolutamente irrifovante, dal momento che le questioni predette non avrebbero mai potuto avere ingresso in quella sede, ove si discuteva solo del diritto della Finanza di sottoporre a pignoramento quel bene determinato. Per compiutezza d'indagine va, peraltro, osservato che l'eccezione di giurisdizione (della cui infondatezza si gi detto) era in concreto proponibile in questa sede anche in difetto di uno specifico gravame contro la statuizione del Tribunale, essendosi gi ritenuto, da queste stesse Sezioni Unite, che in sede di regolamento di competenza, ritualmente proposto a norma dell'art. 43 cod. proc. civ. in relazione a una pronuncia di primo grado che abbia deciso anche sulla giurisdizione, la Corte di Cassazione ha il potere-dovere di statuire sulla giurisdizione del giudice adito, tenuto conto che la relativa questione rilevabile, anche di ufficio, in qualunque stato e grado del processo ~sent. 18 luglio 1980, n. 4682). Non pu quindi, >, in Riv. it. dir. proc. pen., 1979, 920. (3) L. EMPREY, Correctional History in Alternatives to Prison, cit., 124 ss. (4) Consiglio d'Europa, in Report... cit., 55-56. 14 130 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO L'intervento sempre pi incisivo del pubblico potere in speciali set tori, soprattutto economici, comport il sorgere di normative speciali la cui osservanza si trov comodo garantire con fa sanzione penale (1), a volte solo per pigrizia mentale del legislatore, a volte per la pi o meno confessata ragione -da condannare per la sua visione grettamente monetaristica -che il garantire l'effettivit di un precetto con la comminatoda di sanzioni penali non comporta nuove o maggiori spese (2), per far fronte alle quali occorra reperire nuovi mezzi finanziari. Comporta, per, dei costi elevatissimi in termini sociali: con felice immagine il sistema penale stato, infatti, paragonato ad una lama senza manico, che ferisce per primo chi ['impugna. 4. L'ondata montante della criminalizzazione si finalmente fermata ai tempi nostri e l'ora attuale vede trionfare l'opposta tendenza, come risposta del diritto penale a quella terza grande crisi ancora in corso di svolgimento, il cui inizio possiamo datare alla fine degli anni 'SO o all'inizio degli anni '60 e che, con terminologia alla moda (anche se scarsamente significativa) possiamo indicare come quella del passaggio dalla societ del benessere alla societ postindustriale . Si tratta di una crisi gravissima, autorevolmente individuata in termini pessimistici dalle segunti caratteristiche: degradazione della convivenza a mera coesistenza e degenerazione del pluralismo in particolarismo, in una societ in cui la confusione dei linguaggi porta all'incomunicabilit ed il rifiuto del formalismo all'irrazionailit (3). L'umanit appare dunque minacciata dai mostri generati dal sonno della ragione, in una situazione inquietantemente simile nelle prospettive a quella degli anni '30. Non a caso, in termini quasi millenaristici, Massimo Severo Giannini ha parlato di fine dello Stato nazionale, giunto al termine del suo ciclo vitale e pronto a cedere il passo -dopo un travaglio di guerre e rivolu2lioni prossime venture -alla Repubblica Universale (4). Crisi profonda, dunque, e di difficile definizione perch, se per le prime due che abbiamo indicato possibile guardare come punti di riferimento -sia pure con approssimazione e semplificazione riduttiva -rispettivamente alla rivoluzione francese ed alla rivoluzione russa ed alle idee-forza relative, per questa attuale fatti specifici come i moti dell'universit di Berkeley o il maggio francese non sembrano sufficientemente rappresentativi, ed appaiono piuttosto sintomi di un grande rholgimento generale. Tentando (1) C.E. PALIERO, op. loc. ult. cit. (2) Consiglio d'Europa, in Report... cit., pag. 60. (3) A. FALZEA, Relazione introduttiva al Convegno di Messina del 3-8 novembre 1981, Giuffr, Milano 1982. (4) M. S. GIANNINI, Esperienza scientifica -Diritto amministrativo, Relazione al Convegno di Messina del 3-8 novembre 1981, Giuffr, Milano, 1982. PARTE II, QUESTIONI 131. di descriverla empiricamente ed in termini meno pessdmistici, potremmo notare come la combinazione dell'ideale politico dello Stato del benessere con un fenomeno economico di crescita vistosa e prolungata, grazie soprattutto a lunghi anni di energia disponibile a basso costo, abbia portato alla civilt consumistica di massa e, subito dopo, alla sua crisi (1). L'accesso di un numero enorme di persone (praticamente di tutti) a tutti (o quasi) i beni artificiali di consumo ha paradossalmente sottratto a tutti quei beni naturali che erano considerati una volta fuori commercio perch res communes omnium : il verde, l'aria pura, il mare limpido (2). Di qui l'avvio di una reazione di recupero dei valori profondi della persona umana, in una forma di nuovo umanesimo che vede in ciascun uomo, affrancato dai bisogni materiali e dai rischi il consapevole membro di una societ sostanzialmente egualitaria, partecipe dalla sua costruzione e del suo divenire politico ed economico (3). Ci ha comportato riflessi imponenti sul piano giuridico che sarebbe qui fuor di luogo anche solo elencare. Limitandoci ad alcuni aspetti soltanto del mutamento del diritto penale, giova rilevare che la crisi ha determinato, da un lato, il sorgere di nuove forme di criminalit economica (i c.d. delitti dei colletti bianchi, tra i quali vanno ricompresi anche quelli contro l'ambiente e la salute); dall'altro ha portato ad una ventata di rinnovamento che ha soffiato in tutti i Paesi nella direzione della decriminalizzazione, della depenalizzazione, dell'adozione di nuove tipologie sanzionatorie che muovono nella linea di tendenza di eliminare la reclusione di breve durata (4). In proposito da taluno si addirittura proclamato che l'istituto penitenziario ha ormai fatto il suo tempo e dovr presto essere totalmente sostituito con trattamenti di riabilitazione (5). Per non citare che akuni Paesi ed alcune leggi a titolo meramente esemplificativo, ricorderemo i nuovi codici penali' tedesco e austriaco entrati in vigore il 1.1.1975, la legge di riforma francese dell'll luglio 1975 e le attuali imponenti modifiche mitterandiane in gestazione, il Model penal Code americano del 1962 e le nuove leggi penali che, sulla sua base, si sono dati quasi tutti gli Stati della Confederazione, il Criminal (1) G. MANZARI, L'Avvocatura dello Stato -esperienza professionale. Relazione al Congresso di Messina del 3-8 novembre 1981, Giuffr, Milano, 1982. (2) A. CESSAR!, Aspetti della crisi del diritto del lavoro, in Sulla crisi del diritto a cura di E. Simonetto, Padova, 1973; S. RooOT, Introduzione a Il controllo sociale delle attivit private, Bologna, 1977, 20. (3) G. MANZARI, op. Zoe. cit. (4) J. ANDENAES, Punishement and deterrence, University of Michigan Press, 1974, 154. (5) M. G. RECTOR, Prefazione a Prison inside out di B. Alper, Bollioger Publishing Co. 1974, Cambridge Mass. 132 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ~ Justice Act ingiese del 1972 che, tra l'altro, ha sostituito in certi casi la pena detentiva con lavori di utilit sociale, il progetto di codice giapponese del 1974, i lavori del Codigo penal tipo per l'America Latina, la cui parte generale fu approvata a San Paolo nel 1971 (1). Tutto ci sembra il riflesso di un mutato approccio plitico e filosofico nei confronti della criminalit, concepita non pi come fenomeno marginale di patologia della societ ma come manifestazione di un conflitto sociale razionalmente spiegabile e che razionalmente va combattuto. Di fronte ad esso la societ deve reagire con i mezzi strettamente necessari alla tutela dell'ordine sociale (2), senza gravare n il colpevole n il Ii sistema pi di quanto non sia mdispensabHe (3) sia da un punto di vista individuale che da quello sociale del rapporto costi-benefici, e soprattutto senza utilizzare lo strumento della pena per la tutela di valori diversi da quem della difesa sociale. 5. Ne consegue una serie di spinte sinergiche verso una accentuata decriminalizzazione di quattro grandi gruppi di reati: quello in cui la sanzione penale si poneva a presidio di concezioni etico-religiose (segnatamente in tema di morale sessuale); quello in cui la sanzione mirava a proteggere un sistema sociale rigorosamente ordinato alla tutela di una classe dominante, intollerante di qualsiasi minima devianza (come per i casi di vagabondaggio o mendicit); quello in cui la sanzione mirava a proteggere il colpevole da s stesso (c.d. reati senza vittime, come il consumo di droga o il gioco d'azzardo); quello, infine, relativo alla criminalit economica minore, fondato su di una configurazione non pi attuale dell'istituto proprietario. Le relative filosofie di decriminalizzazione sono facilmente individuabili:. da quella pi generica dell'umanitarismo, che esige l'eliminazione di afflizioni non necessarie, a quella di razionalit che vuole punibili sc:Jilo fattispecie ben definite (si pu ricovdare aJ. riguavdo l'abolizione del delitto di plagio in Italia). Dall'approccio medico sociale, che vede neM'accattonaggio e nel vagabondaggio sintomi di una malattia da curare e nel drogato un soggetto innanzitutto da proteggere contro gli effetti perversi di un sistema punitivo inadeguato, ad un principio Hbertario di secolarizzazione del diritto penale (4), che deve svincolarsi da presupposti etici e religiosi, e che ha portato alla decriminalizzazione di (1) Cfr. H. HANS H. JESCHECK, Il significato del diritto comporato per la riforma penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1978, 803. (2) Consiglio d'Europa, Report... cit., 56. (3) H. JEsCHECK, cit. (4) M. ROMANO, Secolarizzazione, diritto penale moderno e sistema dei reati in Riv. it. dir. proc. pen., 1981, 477. PARTE II, QUESTIONI 131 adulterio, omosessualit, incesto, prostituzione, pornografia e simili tipi di reato. Da un principio di protezione della credibilit del sistema, infine (1), che non pu continuare a perseguire come reato un comportamento posto in essere da un numero troppo alto di consociati (come avvenuto per l'aborto) ad un mutamento degli istituti di riferimento, come l'istituto proprietario, che ha portato in taluni sistemi, come quello tedesco e francese, alla decriminalizzazione di reati mdnori contro il patrimonio (piccoli furti nei grandi magazzini, assegni a vuoto di modesto importo, ecc.). Nell'attuale travaglio di trasformazione appare, infatti, gravissima la crisi del diritto di propriet, istituto inidoneo alla tutela della sempre pi importante categoria degli interessi diffusi (2) e sempre meno importante in un mondo in cui la vera grande ricchezza non pi quella immobiliare, ma rappresentata da titoli azionari (3) ed manovrata da soggetti diversi dai proprietari (4). Il che rende drammaticamente inadeguato un sistema, quale il nostro attuale, che dedica quasi altrettanta attenzione al furterello della spigolatrice di spighe dopo la trebbiatura o al raspollatore di acini di uva dopo la vendemmia (art. 626 c. p.) di quanta non dedichi all'autore di imponenti manovre di aggiotaggio (art. 501 c. p.). 6. L'imponente ondata di decriminalizzazione de iure -cio di espresso intervento del legislatore per eliminare dall'ordinamento norme penali -che si va cos svolgendo, stata preceduta (e in certa misura anche causata) da una decriminalizzazione de facto, consistente nel comportamento del corpo sociale nelle sue varie espressioni, ferma la legge vigente: omessa denuncia dei cittadini agli organi di polizia o alla magistratura, omesso attivarsi degli organi di polizia iri relazione a fattispecie minori, esercizio di un potere discrezionale cli non prosecuzione da parte del P.M. quando il $istema -come ad es. negli Stati Unit.i, in Francia ed in Belgio, con iJ classement sans suite -lo consente, adozione di interpretazioni evolutive della legge da parte del giudice (si pu ricordare in proposito quella giurisprudenza italiana che derubrica in insolvenza fraudolenta il furto nel supermercato). (1) H.C. PACKER, I limiti della sanzione penale, in E. Dolcini, I limiti della sanzione penale -a proposito del vo~ume di H. C. Packer in Riv. it. dir. proc. pen., 11980, 458. (2) S. RooorA., Introduzione, cit. (3) G. KoLKO, La concentrazione del potere nelle societ anonime in Il dirtto privato nella societ moderna, a cura di S. Rodot, Bologna, 1975, 355 ss. (4) R. DAHRENOORF, Propriet e controllo: la scomposizione del Capitale in Il diritto privato , cit., 367 ss. ' ffi . ... .. . I 134 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO A met strada fra le due forme di decriminalizzazione, quella operata nei sistemi in cui, come nel nostro, operi una Corte Costituzionale che possa dichiarare l'illegittimit costituzionale di norme incriminatrici: oltre al caso del plagio possiamo ricordare quelli, famosi, delle infedelt coniugali. Nella decriminalizzazione de iure, poi, possiamo distinguere tre diverse ipotesi. Quella in cui il comportamento decriminalizzato non solo ha perso il suo originario connotato di disvalore sooiale, ma ne ha acquistato, anzi, uno di segno opposto, di meritevolezza; il caso, ad es:, della propaganda di metodi contraccettivi, un tempo incriminata in molti Paesi, oggi considerata fatto auspicabile in altrettanti. La seconda ipotesi quella in cui la decriminalizzazione segna il passaggio da un giudizio di disvalore ad un giudizio di ~ndifferenza: pu essere questo il caso dei Paesi in cui stato depenalizzato il rap I porto omosessuale fra adulti consenzienti e comunque tutti i casi in ~ I cui il sistema penale stesso preveda l'assoluzione quando un comportamento, pur astrattamente previsto come reato, non raggiunga certe ~ soglie di dannosit, pericolosit sociale, colpevolezza, riprovevolezza e simili, come accade negli ordinamenti austriaco, tedesco, cecoslovacco, polacco e statunitense, che contengono vere e proprie clausole gene I ,. rali di decriminalizzazione per i fatti penalmente meno rilevanti (1). La terza ipotesi risponde, invece, al caso in cui il comportamento decriminalizzato rimanga indesiderabile per la societ, che deve quindi apprestare adeguati strumenti (non penali) di prevenzione, di controllo e di repressione. La prevenzione ed il controllo possono spesso essere attuati senza bisogno di inglobare i comportamenti in questione in sistemi giuridici ~ostitutivi >>, attraverso riforme di servizi pubblici quali l'istruzione, la sanit, l'organizzazione del lavoro o attraverso sistemi di tecno-prevenzione, quali i sistemi di controllo elettronico nei grandi magazzini, sistemi antifurto in genere, sistemi di sicurezza nelle autovetture. Si verificano in proposito, talvolta, curiosi effetti collaterali imprevisti, cos ad es., in Olanda l'imposizione del casco ai motociclisti ha vidotto di oltve !H quaranta per cento i furti idi motoveicoli. Altre volte necessario invece -specie per realizzare il momento repressivo -ricorrere a sistemi giuridici sostitutivi di quello penale: il sistema a cui si fa talvolta ricorso quello civile, pi spesso quello amministrativo. L'inconveniente maggiore della trasformazione dell'illecito penale in mero illecito civile , infatti, il maggior costo deJila reazione per fa vittima dell'illecito, che dovr individuarne l'autore, anticipare le spese i (1) C.E. PALIERO, Note, cit., 956 ss. l I ! I I -! ~ PARTE II, QUESTIONI 135 di un processo, fornire le prove del suo diritto, affrontare il rischio di una soccombenza. Ci non accade in caso di depenalizzazione in senso stretto, cio in caso di sostituzione della sanzione amministrativa a quella penale che appare indubbiamente la soluzione pi appagante e completa del problema, caratteristica della tradizione mitteleuropea e che stata realizzata con la creazione di veri e propri sotto-sistemi punitivi di notevole completezza ed organicit, in Svizzera, Austria e, soprattutto, in Germania (1), e da cui il legislatore italiano ha tratto non poche ispirazioni. 7. La legge 689/81 ha dunque adottato sincreticamente, come si visto, istituti elaborati in sistemi giuridici diversi ed in svariati settori del sistema penale, muovendosi in sintonia con le leggi di tutti i Paesi civili, nella direzione di un addolcimento o ammorbidimento della giustizia punitiva, e ci non solo per sfollare le carceri e smaltire l'arretrato giudiziario -come pure purtroppo -ma anche perch la risposta del diritto penale sia pi adeguata alla mutata coscienza sociale, quale venuta ,evolvendo nel travaglio di quella Junga crisi interepocaJ.e (2) che abbiamo vissuto e forse stiamo ancora vivendo. Naturalmente nulla immutabile e presto o tardi il pendolo della storia riprender vichianamente il moto in senso opposto, in coincidenza con altri mutamenti sociali, economici e politici. Anzi, secondo alcuni studiosi, questa inversione di tendenza starebbe proptio verificandosi ai giorni nostri (3), 'aminsegna del riflusso. Ma questa, come direbbe Kipling, un'altra storia. IGNAZIO F. CARAMAZZA (1) E. DoLCINI-C. PALIERO, L'illecito amministrativo nell'ordinamento della Repubblica federale di Germania, in Riv. it. dir. pen., 1980, 1134; e.E. PALIERO, Il diritto penale amministrativo : profili comparatistici, in Riv. trim. dir. pubbl., 1980, 1254. (2) A. FALZEA, Relazione cit. (3) G. GuARNIERI, op. loc. cit. 136 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO NATURA GIURIDICA DELLA COMPRAVENDITA IN DANNO 1. La compravendita coattiva come forma di esecuzione forzata... 2.... e come ipotesi di risoluzione contrattuale. Critica. 3. Gli orientamenti della giurisprudenza. 4. La compravendita coattiva come fattispecie di autot1J,tela privata e come mezza di adempimento della prestazione dedotta in contratto. 1. Il problema della natura giuridica della compravendita coattiva disciplinata dagli artt. 1515 e 1516 cod. civ., non sembra ancora risolto in maniera soddisfacente dalla dottrina, sebbene le analisi sin qui compiute facciano registrare pluralit di orientamenti e variet di punti di vista. La tesi che appare prevalente tende a configurare tale istituto come una forma di esecuzione forzata in senso proprio, probabilmente per la suggestione esercitata dalla rubrica delle norme che ci interessano (esecuzione coattiva per inadempimento del compratore, ovvero per inadempimento del venditore). L'immediatezza e la spontaneit di tale assimilazione non reggono tuttavia ad un pi approfondito vaglio della critica. Per quanto riguarda la vendita in danno, infatti, non pu parlarsi di una vera e propria forma di espivpriazione mobiliare ex art. 513 e ss. cod. proc. civ., sia perch il venditore agisce non gi per conto proprio, ma piuttosto per conto dell'altro contraente, sia perch mancano del tutto i requisiti del titolo esecutivo e del prescritto controllo giurisdizionale, sia perch il venditore avr sempre bisogno di procurarsi un titolo esecutivo al fine di realizzare, sul patrimonio del debitore inadempiente, la differenza tra il prezzo dovuto e la somma ricavata (1). Per quanto concerne la compera in danno, invece, agevole convincersi che non si tratta di una forma speciale di esecuzione forzata per consegna operata per autorit privata, perch il compratore non aggredisce un bene del venditore, n si fa consegnare cose di propriet di costui, ma si procura altrove l'oggetto della sua pretesa. Ma neppure sembra corretto affermare -secondo una pur autorevole opinione (1) Per la vendita, ha per sostenuto che si tratta di una forma di esecuzione forzata per espropriazione. F. FERRARA JR., Esecuzione coattiva della vendita commerciale, Milano, 1937, p. 75 ss., (a differenza della compera di rimpiazzo, che realizzerebbe un adempimento in forma specifica). Ma la tesi non ha avuto seguito. PARTE II, QUESTIONI H7 che la compera in danno costituisce una particolare applicazione della forma di esecuzione forzata specifica prevista per gli obblighi di fare (in senso stretto), regolata dallo stesso meccanismo di quest'ultima figura, previsto dagli artt. 2931 cod. civ. e 612-614 cod. proc. civ. (1) . Osta infatti ad una ,simile configurazione la circostanza che nella ipotesi della espropriazione forzata richiesta l'esistenza di un titolo esecutivo, ed in quella della compera in danno il mero inadempimento; che l'esecuzione forzata si attua con provvedimento dell'autorit giudiziaria, e quella coattiva ex art. 1516 cod. civ. ad iniziativa del creditore insoddisfatto; che l'obbligo di fare eseguibile ex art. 2931 cod. civ. si concreta in un facere materiale, mentre la compera in danno mira alla acquisizione di un diritto di propriet (2). Oocorre inoltre rilevare che l'oridinamento processuale non prevede affatto l'eseguibilit in forma specifica degli obblighi dii consegna di una cosa generica -n ai sensi degli artt. 605 e ss. cod. proc. civ., n ai sensi degli artt. 612-614 cod. proc. civ., in guisa che il titolo esecutivo eventuailmente costituito a riguardo si deve convertire in un altro avente ad oggetto l'obbligo di dare la aesti matio rei (3); ragion per cui appare ancor meno giustificato che una tale possibilit possa configurarsi proprio quando il titolo esecutivo manchi del tutto, e possa essere perseguita mediante le forme di esecuzione previste per gli obblighi di fare, piuttosto che di consegnare. 2. In alternativa alla tesi che identifica la compravendita in danno con una forma di esecuzione, si manifestata in dottrina una distinta opinione, secondo la quale si tratterebbe di un mezzo particolare di risoluzione del contratto, comprendente un modo preventivo ed automatico di accertamento e di liquidazione dei danni. In particolare, si sostiene che l'effetto risolutivo emerge dalla circostanza che la parte adempiente trasferisce la cosa a terzi, ovvero si procura da un terzo la cosa dedotta (1) In tali termini, D. RUBINO, La compravendita, nel Trattato di Diritto civile e commerciale, diretto da C1cu e MEssINEO, Milano, 1952, p. 704. La tesi della esecuzione coattiva stata altres sostenuta, con varie argomentazioni, sotto il vigore del codice abrogato, da G. AULETIA, in Foro it., 1940, I, p. 715 ss., e S. PUGLIATII, Esecuzione forzata e diritto sostanziale, Milano, 1935, p. 204 ss., e, sotto quello vigente da F.U. DI BLASI Obbligazioni (parte speciale), Milano, 1950, p. 111 ss., e A. FALZEA, Offerta reale, Milano, 1947, pp. 355-356. (2) In tal senso, R. LUZZATO, La compravendita, Torino, 1961, p. 372 ss. (3) Cfr. Cass., 4 aprile 1950, n. 910, in Riv. dir. comm., 1951, II, pp. 22, e Cass., 21 maggio 1949, n. 1293, in Foro it., 1950, I, p. 197. Conformi, nella giurisprudenza di merito, App. Torino, 30 ottobre 1957, in Giust. civ., Rep. 1958, voce Esecuzione per consegna e rilascio, p. 1115, n. 2, e Trib. Ori:stano, 30 marzo 11962, in Rass. giur. sarda, 1982, p. 230. Contra: Cass., 21 luglio 1949, n. 1924, in Foro it., 1950, I, '.J?. 560, con osservamoni di P. PASCALINO e note di T. iPACIFICI, entrambe critiche. 138 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO in contratto, in guisa che l'unica conseguenza giuridica dell'originario rapporto sarebbe 1costituita dall'obbligo di risarcire ii danni, identificati in sostanza nel minor prezzo conseguito o nel maggior prezzo pagato, salvi gli eventuali danni ulteriori (1). Neppure questa tesi si presenta per immune da critica. In primo luogo, occorre osservare che l'istituto, cos considerato, finirebbe per perdere la sua singolarit e la sua specifica funzione rispetto alla speciale forma di risoluzione disciplinata dai successivi artt. 1517-1518 cod. civ. Ma l'ipotesi risolutiva risulta poi positivamente esclusa in base aJ.J.o stesso disposto normativo: nel caso della vendita coattiva, perch la sua esecuzione per conto del compratore presuppone ed implica l'avvenuta traslazione della propriet del bene compravenduto; nel caso della compera coattiva, perch il conseguimento della propriet del bene acquistato da parte del compratore a spese del venditore si rivela incompatibile con ilo scioglimento del vincolo contrattuale (2) (3). 3. Il panorama giurfaprudenziale non si rivela maggiormente utile ai fini della corretta individuazione della natura giuridica dell'istituto in esame. vero infatti che le decisioni e fo massime edite sembrano avvalorare in prevalenza il concetto di forma speciale di esecuzione forzata: per espropriazione , nel caso della rivendita; degli obblighi (1) In questo senso, cfr. F. CARNELUTTI, Processo di esecuzione, Padova, 1929, p. 13; T. AscARELLI, Appunti di diritto commerciale, Catama, 1931, I, p. 200 ss., ed in Foro it., 1932, I, p. 93; G. GoRLA, La compravendita e la permuta, nel Trattato di diritto civile, diretto da VASSALLI, VII, I, Torino, 1937, p. 202; N. DISTASO, Natura giuridica, forma, contenuto, luogo e tempo dell'esecuzione coattiva nella compravendita, in Giur. compl. Corte Cass., 1948, 3, p. 390; R. LuzZAro, La compravendita, cit., p. 372 ss. Una posizione intermedia assumono P. GRECO e G. Corrrno, Della vendita, nel Commentario del Codice Civile, a cura di SCIALOJA e BRANCA, Bologna--Roma, J.962, p. 320 ss., secondo i qualii. il!a compravendita in da!Ilno avrebbe carattere complesso '" avendo elementi sra dell'esecuzione forzata, sia della risoluzione. (2) A questo proposito, non rileva il fatto che nel secondo caso -a differenza che nel primo -il creditore insoddisfatto agisce per conto proprio, piuttosto che della controparte. La differenza non dndde infatti suhla natura giuridica de1le due fattispede, ma dipende dail!1a drcostanza meramente tecnica che neUa compera in danno Il compratore acquista per s, e non pu quindi agfre in rappresentanza c:Le1l'altro, mentre nehla vendita coattiva fil creditore aLiena una cosa gi passata dn propriet dcl compratme madempiente, e deve quindi agire ne1 suo nome. (3) Per quanto riguarda i corollari derivanti dalla critica esposta nel testo suil!la natura giuridica dei conguagi1i monetari che residuano alla esecuzione de11a compravendita coattiva, sii. veda infra, 4. :. PARTE II, QUESTIONI 119 di fare, 111el caso deHa compera coattiva (1) . per altrettanto vero che le formule solitamente adottate appaiono tralatizie, poco motivate e generalmente prive dri immediate conseguenze applicative, e non sono comunque in grado di superare i rilievi critici innanzi evidenziati. Nella insufficienza di tali profili rico~truttivi, maggiormente apprezzabile si rivela dunque una diversa tendenza giurisprudenziale, che mira ad anteporre agli aspetti astrattamente definitori l'analisi funzionale e strutturale dell'istituto. In quest'ottica, si cos posto in evidenza che le disposizioni degli artt. 1515 e segg. cod. civ. non prevedono ipotesi di esecuzione forzata propriamente detta, sebbene un procedimento coattivo commesso all'autonomia privata, un procedimento cio con cui si attua il soddisfacimento del creditre mediante sostituzione di costui a!l debitore inadempiente, allo scopo di realizzare una pi compiuta ed immediata tutela del primo, senza necessit del titolo esecutivo e senza autorizzazione del magistrato (2) . Con a:nalogo atteggiamento idi immediata proiezione verso la disciplina positiva, la Cassazione ha osservato altres che l'esecuzione coattiva... di cui all'art. 1515 cod. civ., in quanto si concreta nella realizzazione del diritto alla prestazione nascente dalla vendita a favore del venditore... non risolve l'obbligazione originaria, sostituendola con una diversa obbligazione (3) . E la giurisprudenza di merito, sviluppando ulteriormente questo concetto, ha puntualizzato che la compravendita coattiva costituisce un atto di autotutela contrattuale che rimpiazza il contratto inadempiuto e liquida prontamente l'ammontare del danno in ragione delle differenze di prezzo e delle spese dell'operazione,... salva la necessit di ricorrere ad una azione (giudiziaile) di accertamento,... nell'ipotesi in cui fossero contestati i presupposti del procedimento o il quantum della liquidazione . Pi in particolare, essa consente al creditore il conseguimento dell'oggetto della prestazione dell'originario rapporto, determinando per nel contempo una forma di perpetuatio obligationis, mediante la conversione dell'obbligo di pagamento o di consegna in quello di corrispondere la differenza di prezzo conseguito o pagato, oltre al risarcimento degli eventuali danni ulteriori (4) , (1) Si vedano, per un verso, Cass., 21 luglio 1953, n. 2422, in Giust. civ., [953, I, p. 2564 ss.; Cas1s., 26 febbraio 1965, n. 319, ivi, 1965, I, p. 1897 ss. e Giur. it., I, ;l, :pp. 1550.1551; Oass., l3 febbraio 11973, n. 437, in Foro it., Rep. 1973, voce Vendita, col. 2795, nn. 82-83, nonch, per un altro verso, Cass., 1.1 agosto 1961, n. 11958, ivi, Mass. 1961, p. 504. (2) App. Brescia, 19 novembre 1948, in Foro pad., 1949, II, p. 1. (3) Cass., 18 ottobre 1958, n. 333!.5, dn Foro it., Rep. 1958, voce Vendita, col. 28182819, n. 207. (4) Tmb. Bari, 20 luglio 1981, dn questa Rassegna, 1982 I, sez. IV, p. 543 ss. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 140 4. Nonostante la pertinenza e la propriet di questi ultimi rilievi giurisprudenziali, rimane comunque insoluto il problema dogmatico che ci siamo proposti, che consiste nel comprendere e definire l'intima natura e la funzione sostanziale che la vendita e la compera in danno realizzano ne11'011dinamento giuridico. La soluzione -a nostro modo di vedere pu essere facilitata adottando un criterio di interpretazione sistematica delle norme che ci interessano. Gli articoli del codice civile compresi tra il. 1515 ed il 1518, sembrano costituire infatti una puntuale specificazione -riferita al contratto di ve'.O!dita -dehla normativa generale disposta da:ll'art. 1453 cod. civ. per il caso di inadempimento .ella obbligazione contrattuale; e come questa norma concede al creditore insoddisfatto l'alternativa tra l'adempimento e la risoluzione, cos le disposizioni speciali in esame intendono consentire l'esercizio della stessa scelta, concedendo per ciascuna delk due possibilit un procedimento sommario, rimesso alla iniziativa dello stesso creditore insoddisfatto, salvo eventuailmente il successivo controllo giurisdizionale sulla correttezza del suo esercizio. Se questa impostazione corretta, potremo ritenere che alla particolare fattispecie di 11isoluzione prevista dagli artt. 15171518 cod. civ., si contrapponga l'ipotesi disciplinata dagli artt. 1515-1516 cod. civ., che appare quindi, di converso, uno speciale mezzo di adempimento dell'obbligazione. Sotto questo profilo, la compravendita in danno assorbe le finalit ed .i contenuti dell'azione esecutiva, ma non si identifica con essa, e neppure le somiglia, almeno dal punto di vista strutturale; costituisce piuttosto una forma sintetica di actio adimplendi contractus -comprensiva sia della fase di accertamento che di quella di esecuzione la cui specialit costituita dalla sua jntegrale rimessione alla potest del creditore insoddisfatto. L'analisi funzionale dell'istituto sembra convalidare simile ricostruzione, in quanto consente di individuare la presenza di tutti gli elementi che caratterizzano la generale azione di adempimento di cui all'art. 1453 cod. civ.: l'.iniziale inadempimento di un contraente, il conseguimento coattivo dell'oggetto della prestazione per volont dell'altro, il persistente diritto alla parte di obbligazione rimasta eventualmente insoddisfatta, i!l diritto al ristoro dei costi dell'operazione ed al risarcimento dei danni ulteriori. Evidente in primo luogo, nella compravendita in danno, l'elemento pregiudiziale dell'inadempimento di una parte, cos come ugualmente evidente l'obiettivo di conseguire l'oggetto del contratto (il prezzo della cosa venduta, ovvero fa cosa comperata). Il diritto alla prestazione residuale e a~ rimborso delle spese -che costituisce altro elemento essenziale dell'azione di adempimento -viene poi realizzato, nel caso di specie, mediante l'addebito della differenza tra PARTE II, QUESTIONI 141 il prezzo convenuto e il ricavo netto della vendita, ovvero tra l'ammontare dehla 1spesa occorso per l'acquisto ed il. prezzo convenuto. Contrariamente alle opinioni pi diffuse, .infatti, tali conguagli non costituiscono propriamente una forma di liquidazione automatica del danno derivante dall'inadempimento: tale concezione, in verit, collegata alla teoria della natura risolutiva della compravendita in danno e cade logicamente insieme con essa. In effetti, gli addebiti residuali o identificano una parte della obbligazione originaria non soddisfatta coattivamente -(nella vendita eseguita per un prezzo inferiore a, quello concordato) -ovvero costituiscono i costi dell'azione cli adempimento -(che comprendono sia il prezzo pagato per l'acquisto in danno, detratto per compensazione il prezzo convenuto negozialmente, sia le spese di procedura occorse) che per loro natura gravano sul patrimonio del debitore (1). Questi conguagli, quindi, da un lato avranno l'effetto di esonerare la parte adempiente dalle perdite o dai maggiori oneri derivati dall'operazione rispetto al profitto divisato o alla obbligazione assunta, e da un altro lato -sommati agli ulteriori costi che la vendita o la compera in danno hanno gi prodotto a carico dell'inadempiente (rispettivamente: la perdita del valore della cosa acquistata o del prezzo convenuto), produrranno come risultato finale esattamente il costo complessivo della prestazione assunta dal debitore. In altri termini, sia pure come sintesi aut-0matica di un procedimento complesso, si realizza anche nella fattispecie in esame l'effetto naturale dell'azione di adempimento, consistente nella conservazione delle reciproche obbligazioni nei termini originari e nell'addebito degli oneri relativi alle parti che ne avevano assunto la responsabilit. Avr invece carattere propriamente risarcitorio l'ulteriore sanzione per i maggiori danni subiti in conseguenza del ritardato conseguimento dell'oggetto della prestazione: sanzione prevista dall'ultimo inciso degli artt. 1515 e 1516 cod. civ., la quale costituisce una volta di pi un'applicazione specifica della previsione normativa posta in via generale daU'art. 1453, primo comma, cod. civ., per il caso di ricorso all'ordinaria azione di adempimento. Un pi approfondito esame del nostro tema ci consentit a questo punto di evidenziare e cli apprezzare meglio, sotto il profilo stmtturale, gli elementi di specialit insiti nel procedimento della compravendita in danno . In particolare, ci sembra opportuno porre in ampio rilievo la circostanza che in questo caso la tutela giuridica realizzata ad iniziativa dello stesso creditore insoddisfato, senza la mediamone del processo, salva l'eventualit del sindacato giurisdizionale nel caso in cui fossero contestati i presupposti o le modalit di svolgimento dell'operazione. (1) L'opinione espressa trova riscontro nella lettera della norma, che di!Spone che 1a compravendirta coattiva sia eseguita a spese della parte inadempiente. 142 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Il meccanismo attraverso il quale consentito il raggiungimento di un simile risultato, si direbbe costituito da un particolare effetto naturale del contratto di compravendita: il conferimento, ope legis, a beneficio di entrambi i contraenti, di una vera e propria potest di soddisfarsi autoritativamente in caso di inadempimento della controparte, salvi i gi richiamati diritti ail ristoro per i minori utili conseguiti o i maggiori oneri sostenuti ed al risarcimento degli eventuali danni. possibile per tale via perseguire con efficacia e con sollecitudine l'interesse dedotto in contratto, sintetizzando in un unico contesto le due fasi normali dell'ordinaria azione di adempimento (giudizio di accertamento e successiva azione di esecuzione). Inoltre, nel caso della compera in danno, sar possibile perseguire un risultato specifico (il conseguimento della propriet del bene acquistato), che l'azione giurisdizionale non normalmente in grado di assicurare, tenuto conto del gi richiamato orientamento giurisprudenziale che nega l'eseguibilit in via forzata delle obbligazioni di dare una cosa di genere (1). In definitiva, dal nostro tentativo di ricostruire dogmaticamente l'istituto della compravendita in danno emergono da un lato -dal punto di vista funzionale -la tendenza alla tempestiva soddisfazione dell'interesse creditorio, e da un altro lato -sotto il profilo strutturale -la realizzazione di tale interesse al di fuori degli schemi del giudizio, merc il conferimento in favore del creditore della potest di. incidere sulla sfera patrimoniale del debitore, in forme che possono essere comunque assoggettate al successivo controllo giurisdizionale. Questi elementi, tuttavia, potrebbero essere ritenuti indici significativi di una pi ampia categoria giuridica, nella quale la compravendita coattiva sarebbe conseguentemente inquadrata e della quale costituirebbe anzi un esempio paradigmatico: la categoria della cosiddetta autotutela privata, caratterizzata dalla rimessione della tutela giuridica alla potest dello stesso creditore, per vie che esulano dai meccanismi dell'azione processuale (2). (1) V. supra, nota 4. (2) In verit, la dottrina ha gi da tempo evidenziato la collocazione dell'istituto della compravendita in danno nella categoria dell' autotutela privata, senza per questo contribuire efficacemente aHa precisazione deMa sua natura giuridica. In proposito, si vedano C.M. BIANCA, Vendita (Diritto vigente); in Noviss. Dig. It., vol. XX, Torino, 1975, p. 634, e La vendita e la permuta, nel Trattato di diritto civile, diretto da VASSALLI, vol. VII, Torino, 1972, p. 957 ss.; V. DENTI, Esecuzione in forma specifica, MUano, 1953, p. 32 ss.; G. TATARANO, nel Codice Civile annotato, a cura di P. I'ERLINGIERI, vol. IV, sub. art. 1515-1516, Torino, 1980, p. 758 ss.; D. RUBINO, La compravendita, cit., p. 676. In giurisprudenza, parlano della compravendita in danno come di una forma di autotutela privata, App. Brescia, 19 novembre 1948, cit.; Cass., 11 luglio 1%8, n. 2444, in Foro it., 1969, I, p. 112 ss.; Trilb. Bar.i, 20 lugHo 1981, cit. PARTE II, QUESTIONI 143 In tale prospettiva, i caratteri dell'istituto qm m considerazione ed i risultati dell'analisi fiino ad ora svolta potrebbero ritenersi applicabili, quanto meno in via di ipotesi, anche ad altre situazioni giuridiche analoghe, che siano tutte riconducibili nell'ambito del medesimo genere. Conseguentemente, l'indubbio interesse che la presente fattispecie riveste -in relazione ai profili di praticit ed insieme di garantismo che la tipicizzano -potrebbero incoraggiare il tentativo dottrinario di meglio definire i lineamenti ed i contenuti della categoria cui essa appartiene che in verit appaiono ancora alquanto incerti ed iindeterminati -in guisa da tradurre in una regola pi generale quehla che oggigiorno pu essere ritenuta soltanto un'ipotesi specifica (1). Avv. ALESSANDRO DE STEFANO (1) Tra i pi recenti tentativi di definire i profili della autotutela privata nell'odierno ordinamento giuridico si vedano E. BETII, Autotutela (Diritto privato), in Encicl. Dir., vol. IV, Milano, 1959, p. 529 ss., che riunisce in un'unica categoria varie ipotesi tra loro eterogenee, e L. BIGLIAZZI GERI, Profili sistematici dell'autotutela privata, I, Milano, 1971, che esclude la possibilit di individuare un principio generale in ordine alla realizzazione personale e diretta dell'interesse creditorio. Sul tema si vedano altres, in vda generaile, M. GIORGIANNI, Il negozio di accertamento, Mhlano, 1939, p. 23 ss.; F. MEssINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, I, Milano, 1957, p. 162; S. ROMANO, Autonomia privata, Milano, 1957, p. 52 ss, 75; In. Ordinamento sistematico del diritto privato, I, Napoli, p. 163 ss., 215 ss.; SANTI ROMANO, Frammenti di un dizionario giuridico, Mhlano, 1947, p. 179. I RAPPORTI TRA GIURISDIZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E LA FUNZIONE DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (*) SOMMARIO: 1) I rapporti tra i poteri. dello Stato nell'ottica odierna. -2) Il dibattito sulle cause del deterioramento. -3) La crisi del rapporto tra potere esecutivo e potere giurisdizionale. -4) I perkoli e i rimedi. -5) La psizione dell'Avvocatura delJ.o Stato nel rapporto tra P.A. e giurisdizione. -6) La funzione equilibratrice dell'Avvocatura dello Stato. -7) L'Avvocatura dello Stato come produttrice di giusti.zia. -8) Come collaboratrice di giustizia. -9) Come riparatrice di giustizia. -10) Conclusioni. 1) L'evoluzione dei rapporti tra giurisdizione e Pubblica Amministrazione appare, nell'ottica odierna, intimamente correlata alla situazione generale di instabilit in cui versa da alcuni anni a questa parte l'azione pubblica ed Jmplica un'analisi complessa, sotto certi aspetti inquietante. Alla trasformazione profonda che ha subito la realt sociale del nostro Paese nell'ultimo ventennio, sotto la spinta degli impulsi storico- politici di carattere interno ed internazionale, e delle esJgenze dell'economia, ha corrisposto una crisi, non meno profonda, delle strutture pubbliche. Tale crisi, determinata in gran parte da una sorta di immobilismo ordinamentale e, per altro verso, dalla incapacit di adeguare gli apparati pubblici e la loro funzione alle sempre pi complesse istanze della societ, ha finito per appannare il quadro di coesistenza istituzionale tra i vari poteri dello Stato, per corroderne gradualmente i confini ed il reciproco rispetto: il ricorso, sempre pi frequente al decreto-legge, aI).corch non sussistano le ragioni di straordinaria necessit ed urgenza indicate nell'art. 77 della Costituzione d un'eloquente dimostrazione della tendenza dell'Esecutivo a voler superare la crisi profonda in cui versa il Parlamento, espropriandolo di attribuzioni sue proprie. Mentre, dalraltro verso, una dilagante proliferazione di norme interpretative di disposizioni di legge emanate in precedenza, esprime chiaramente la diffidenza del legislatore verso i non sempre uniformi e talvolta inaspettati processi interpretativi e l'intendimento di interferire, sia pure legittimamente attraverso la cosiddetta interpretazione autentica, con la vocazione istituzionale del giudice, che appunto quella di interpretare la legge. E cos, ancora, vanno ricordate le frequenti previsioni legislative di funzioni consultive o di vigilanza, affidate ad organi di estrazione parla (*) Relazione dell'avvocato dello Stato, Enzo Ciardulli, al XVII Congresso . Nazionale dei Magistrati. - PARTE II, QUESTIONI mentare ma destinati ad operare nell'ambito di poteri, quale ad esempio quello regolamentare, o di aree, come quella deJ.l'informazione, tradizionalmente riservati all'Esecutivo, con evidente sconfinamento delle at tribuzioni proprie del Parlamento. In campo giudiziario, l'espansione del sindacato giurisdizionale verso settori riferibili fino a ieri alle funzioni legislative ed amministrative fin troppo evidente: basti pensare, quanto al primo aspetto, a certe decisioni di cos detta giurisdizione domestica che, a prescindere da ogni altra apprezzabHe valutazione, sono state emanate per finalit perequative onde supplire a carenze e ad inerzie legislative in materia di pensioni, o di perequazione economica tra le magistrature, o nell'equiparazione dei magistrati a questa o quella categoria dirigenziale; e quan to al secondo aspetto, alla crescente tendenza giurisprudenziale al sempre minor riconoscimento dei margini di disrezionalit nell'azione amministrativa e della insindacabilit dei poteri discrezionali della Pubblica Amministrazione. Sintomatica appare a questo proposito ;l'istanza, tutt'ora in itenere, di un nuovo ordinamento del processo amministrativo che vorrebbe esteso l'attuale sindacato giurisdizionale sull'atto impugnato anche al rapporto che tale atto ha determinato; e certe decisioni di taluni giudici di merito, modificative se non addirittura sostitutive di atti della Pubblica Amministrazione; e infine, la moltiplicazione delle inchieste preliminari o dei procedimenti penali su fatti inerenti al funzionamento della Pubblica Amministrazione o in ordine ai quali la Pubblica Amministrazione titolare di una propria funzione di tutela o vigilanza. 2) Si fatto un gran parlare, negli ultimi tempi, sulle ragioni di questa sintomatologia patologica dell'esercizio dei poteri dello Stato; taluni ritengono di doverle focalizzare nella inadeguatezza dei sistemi di democrazia parlamentare di tipo europeo a corrispondere tempestivamente alla complessit delle esigenze e dei fermenti della societ odierna, altri in una profonda crisi istituzionale del nostro Paese, soffocato dalla sua realt partitocratica, o nelle spinte a carattere corporativo in cui tendono a degenerare i movimenti di massa, e che finiscono per estendersi ai vertici dello Stato, o nel ruolo di supplenza che portato tendenzialmente ad assumere un poteie, nella latitanza degli altri con i quali titolare part-time dell'esercizio della sovranit, o infine, e ci riguarda particolarmente l'ordine giudiziario, nella atomizzazione del potere giurisdizionale e nella con,,t:guente dissociazione della politica giudiziaria dalle scelte politiche dell'Esecutivo. Non mi sembra che, in questa sede, si possano superare i limdti dell'informazione storica sul dibattito sopraccennato ed affrontare un pro blema che ci porterebbe assai lontano dalla tematica della nostra tavola 146 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO rotonda. certo, per, che una corretta analisi dei rapporti tra giurisdizioni e Pubblica Amministrazione non pu che ricollegarsi al quadro di generale deterioramento sopraccennato, non fosse altro che per l'esigenza di considerare la realt odierna per quel che essa , e misurarne l'ambito di conduzione in ogni risvolto dell'intervento pubblico. 3) Che il rapporto di convivenza tra l'attivit pubblica amministrativa e quella giur,isdizionale versi in una fase particolarmente difficile mi sembra fuori di discussione: la tendenza dell'indagine giudiziaria ad espandersi verso settori di pertinenza della Pubblica Amministrazione rischia di porre una mina vagante suHa strada delle scelte discrezionali spettanti agli organi amministrativi; mentre certe decisioni giurisdizionali, soprattutto se discordi e ancor peggio l'abuso del provvedimento d'urgenza ex art. 700 c.p.c., spesso adottato quale espediente per modificare o correggere atti della P.A. tendono a provocare un clima di incertezza nell'azione pubblica, con effetti talora paralizzanti. D'altra parte occorre considerare che l'esigenza prioritaria della Pubblica Amministrazione -che essenzialmente operativa perch richiede soluzioni immediate di problemi della vita sociale sempre pi mutevoli e complessi -rischia quotidianamente di naufragare nel dedalo delle sue stesse strutture e delle leggi, per lo pi vecchie entrambe ed inadeguate; ci che spinge gli organi amministrativi a privilegiare a volte la scorciatoia della forzatura interpretativa, se non dei voli pindarici, che non sempre dato al giudice di comprendere o di connettere con l'interesse pubblico tutelabile. Constatazione, questa, che ripetendosi nel tempo accumula un dato negativo di esperienza e determina negli organi giurisdizionali il convincimento che l'oggettivazione propria del potere amministrativo sia portata spesso a non corrispondere all'oggettivazione giuridica, propria dell'ordinamento al quale, invece, l'esercizio di tale potere avrebbe dovuto ispirarsi. Amministrazione e giurisdizione divengono in tal modo partecipi di una realt i cui connotati divaricanti comportano una potenziale conflittualit nella tensione verso i rispettivi fini istituzionali: che nel primo caso consistono nel conseguimento del risultato amministrativo, e nel secondo nella verifica che tale risultato sia conforme all'ordinamento giuridico e sia stato ottenuto in osservanza dei principi di legalit e di imparzialit. 4) Ho accentuato volutamente il rilievo sui segnali di un'antitesi in atto tra Pubblica Amministrazione e giurisdizioni perch questo aspetto patologico del rapporto suona come un campanello d'allarme sui pericoli di una sua generalizzazione che, ove si verificasse, finirebbe per travolgere l'intero sistema. Ma vorrei anche dire, con una punta d'ottimismo, che il recupero alla condizione fisiologica del rapporto in que PARTE II, QUESTIONI stione sarebbe facilmente ottenibile, non soltanto se si maturi finalmente una volont politica tendente ad adeguare in modo organico ordinamenti amministrativi, giurisdizionali e relative strutture alle esigenze del divenire sociale, quanto se si determini una comune presa di coscienza sui limiti invalicabili dell'azione amministrativa e di quella giurisdizionale, nella ricomposizione dell'unit dello Stato; una presa di coscienza che liquidi il sistema della contrapposizione dei poteri, riaffermando nella osservanza dei principi della compartecipazione nel potere pubblico e nella identit dei suoi fini, la fondamentale condizione per la realizzazione dello Stato di diritto al quale il disegno costituzionale ci ispira. 5) Il difficile rapporto che attualmente si evidenzia tra giurisdizione e Pubblica Amministrazione chiama necessariamente in causa l'Avvocatura dello Stato che, appunto per il ruolo assegnatole dall'ordinamento istituzionale si presenta in tale rapporto come un'interlocutrice necessaria e privilegiata. Non certo questa la sede per fare riepiloghi e tanto meno per condurre un'indagine storico-giuridica sull'evoluzione dell'Avvocatura dello Stato nell'ordinamento italiano. Basti solo ricordare -per quanto qui interessa -che l'Istituto, nato nel 1876 da una scissione degli Uffici del Pubblico Ministero per corrispondere alle esigenze di difesa in giudizio degli interessi erariali, andato via via evolvendo le sue funzioni, in parallelo con la trasformazione della nostra societ. Il graduale passaggio di questa dal modello agriolo -fondato essenzialmente sulla tutela dell'istituto proprietario -a quelli pi avanzati, propri della societ industriale e neo-capitalista e la conseguente progressiva espansione dell'ingerenza dello Stato nei rapporti economici e sociali, ispirava infatti alle esigenze di questo la istituzione di un proprio organo legale capace di concorrere, in via generale ed in piena autonomia funzionale, alla legalit dell'azione amministrativa e di difendere gli interessi dello Stato in giudizio. Fu cos che, con il R.D. 30 novembre 1933, n. 1611, l'allora esistente Avvocatura Erariale venne trasformata nell'Avvocatura dello Stato, accedendo pi che a mutamento di carattere meramente nominalistico, all'acquisizione di pi ampie funzioni che ne facevano, alla pari del Consiglio di Stato e della corte dei Conti un organo ausiliario dello Stato con compiti di consulenza generale in materia giuridico-amministrativa e di rappresentanza delle Pubbliche Amministrazioni, anche se ad ordinamento autonomo, nelle controvresie giudiziali. Non importante stabilire qui il come ed il perch la legge istitutiva dell'Avvocatura dello Stato avesse garantito, malgrado l'ispirazione auto ritaria dei tempi; la piena autonomia funzionale dell'Istituto, pur inqua drandolo amministrativamente nell'ambito della Presidenza del Consiglio. 148 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO fil I Quello che conta rilevare, invece, che la suddetta trasformazione permise di precisare il carattere giustiziale della funzione esercitata dall'Avvocatura dello Stato; carattere che gi affiorava nel patrocinio innanzi I le istituite sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, ma che la visione " globale dell'interesse pubblico consentita dal potenziamento dei suoi 11 compiti e la vocazione istituzionale al richiamo alla legalit dell'azione amministrativa rendevano ormai indubbio. L'avvento della Costituzione repubblicana, i profondi mutamenti II apportati alla forma istituzionale dello Stato ed alle sue strutture organizzative, ed i nuovi e pi impegnativi compiti derivati all'Istituto -che, I ~ per comune accezione, ne hanno fatto un organo di rilevanza costituzionale -non hanno modificato il prevalente aspetto di giustizialit della funzione dell'Avvocatura dello Stato che, anzi, proprio nel nuovo e pi significativo suo rango appare confermata ed accentuata; la partecipazione ai giudizi di legittimit costituzionale in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei Ministri, il patrocinio dello Stato innanzi alla I I f: Corte di giustizia delle Comunit europee, alla Corte Europea dei diritti {: dell'uomo e dinanzi a varie Commissioni di conciliazione e Collegi Arbitrali internazionali -procedimenti tutti in cui l'investitura dell'Istituto I non limitatamente rappresentativa dello Stato-Apparato ma va riferita I ~ allo Stato-Comunit -esaltano i connotati della funzione di collaboratrice di giustizia che gi si desumevano dai compiti tradizionali dell'Avvocatura dello Stato. ~ f 6) da questa rapidissima ma necessaria sintesi delle funzioni e ~ I f del ruolo dell'Istituto -le quali hanno trovato nella recente relazione fatta dall'Avvocato Generale al Convegno tenutosi a Messina dal 3 al1' 8 no_vembre dello scorso anno una eloquente quanto approfondita illustrazione -che si desume la rilevanza dell'attiv.it dell'Avvocatura dello I Stato nel rapporto tra giurisdizione e Pubblica Amministrazione. L'attivit consultiva e contenziosa che l'Istituto svolge quotidiana I mente a cagione dei suoi compiti viene infatti a porsi come un elemento di equilibrio tra i due poteri ed acquista un rilievo determinante, a I volte risolutivo, nel potenziale conflitto in cui l'attuale confusione nella quale versa la funzione pubblica tende a coinvolgerli. In tali attivit l'Istituto utilizza infatti l'esperienza che gli deriva dalla sua contestuale e costante partecipazione alla realt della Pubblica Amministrazione ed a quella della macchina giudiziaria, trasmettendo alle prime le indicazioni che vanno man mano scaturendo dalla evoluzione giurisprudenziale, ed alla seconda i fermenti del divenire sociale che la Pubblica Amministrazione via via raccoglie nell'adempimento della funzione esecutiva. Non a caso stato affermato che l'Avvocatura dello Stato ricopre un ruolo di cerniera tra il potere esecutivo e quello giurisdizionale, assumendo una posizione intermediaria che tende a fare ritrovare nella PARTE II, QUESTIONI comune subordinazione alla legge, il momento ricompos.itivo della loro unit. Per quanto qui interessa rilevare, si pu aggiungere che tale posizione ha anche carattere originale e totalizzante: originale perch mantiene connotati di autonomia tal.i da renderla inconfondibile, totalizzante in quanto presenzia all'intero arco del rapporto, nella sua triplice caratterizzazione di produttrice di giustizia, di collaboratrice di giustizia e di riparatrice di giustizia. 7) Indubbiamente l'Avvocatura dello Stato produttrice di giustizia per l'Amministrazione., Il problema della giustizia nei confronti della Pubblica Amministrazione infatti solo un aspetto di quello pi ampio e complesso della giustizia nell'Amministrazione, che si realizza sollecitando o verificando l'osservanza del principio di legalit nell'azione dell'apparato amministrativo. La funzione consultiva svolta dall'Istituto nella generalit delle competenze che si desumono daLl'art. 13 del T.U. del 1933, !Il. 1611 e la sua vocazione giustiziale concorre, in parallelo all'analoga attivit del Con. siglio di Stato, a potenziare se non a sostituire la cos detta giustizia interna dell'Amministrazione che con la istituzione dei Tribunale Regio nali Amministrativi ed il correlativo nuovo regime di impugnazione degli atti, si sostanzialmente vanificata. L'estensione di tale funzione a tutto il complesso dell'attivit del potere esecutivo, compresa quella normativa e contrattuale, la competenza a pronunciarsi su reclami e materie di possibile litigio, su componimenti stragiudiziali nonch, per effetto delle pi ampie funzioni attribuite dall'art. 15 della legge di riordinamento n. 103 del 1979, su eventuali carenze legislative, si traducono in altrettanti ammonimenti all'osservanza della legalit; e questi seppure non producono effetti costitutivi, rappresentano manifestazioni di giustizia sostanziale, la cui inosservanza rischia di coinvolgere la responsabilit amministrativa, contabile e politica dei suoi destinatari. Si viene cos a delineare un modello giustiziale di cui l'Avvocatura dello Stato protagonista, che sta per cos dire a monte del rapporto tra giurisdizione ed Amministrazione ma vi appare intimamente connesso non fosse altro che per Ja sua potenziale capacit di escludere o di pervenire lo svolgimento di tale rapporto. Basta citare esemplificativamente -tanto per fare cenno a qualcuno degli ultimi pronunciamenti -la consultazione n. 11460 del 1982, ben nota per la sua eco di stampa, con cui il Comitato Consultivo dell'Avvocatura ha affrontato il problema dell'assoggettabilit dei Buoni Ordinari del Tesoro ai tributi successori suggerendo altres un chiarimento legislativo di tale problema; o la consultazione n. 8458 del 1982, 150 RASSEGNA DELL'AVVOCATURX DELLO STATO con cui l'Istituto si espresso per l'ammissibilit degli allievi di sesso maschile negli Istituti Tecnici femminili; o ila consultazione n. 16651 del 1981, con cui si invitata l'Amministrazione finanziaria a prestare acquiescenza all'indirizzo giurisprudenziale -che si condiviso -relativo alla estensione degli effetti del condono ex legge n. 823 del 1973 a tutti i condebitori solidali; o ancora la consultazione n. 1652 del 1981 con cui si preso atto dell'orientamento della giurisprudenza della Autorit Giudiziaria ordinaria ed amministrativa in tema di inclusione tra le componenti della retribuzione dei dipendenti pubblici, ai fini della liquidazione del compenso per Javoro straordinario, delle mensilit aggiuntive e di altre indennit aventi i caratteri della obbligatoriet, della corrispettivit, della continuit e della determinatezza o determinabilit e si determinato l'abbandono dei giudizi in corso; basti ricordare infine le varie recenti consultazioni sulla controversa problematica dei porti e degli approdi turistici, ed in materia di opere pubbliche in generale o di disciplina espropriativa, per rendersi conto della tendenziale connotazione della attivit consultiva dell'Avvocatura dello Stato alla risoluzione dei rapporti di pubblica amministrazione su piani giustiziali che si muovono al di fuori del terreno dello scontro giudiziario. 8) Non occorrono molte parole per illustrare il ruolo di collaboratrice di giustizia che l'Avvocatura dello Stato assolve ogni qualvolta sia parte in giudizio un'Amministrazione dello Stato e che attiene, d'altronde, alla sua vocazione tradizionale ed originaria. Il fatto che, in tale ipotesi, l'Istituto ripeta direttamente dalla legge la sua investitura rappresentativa che la rende partecipe del rapporto processuale, consente di individuare gli aspetti particolari che, nell'esercizio di questa sua funzione si riflettono sul rapporto tra giurisdizione e Pubblica Amministrazione. Si esattamente osservato che l'attivit contenziosa dell'Avvocatura dello Stato , in un certo senso, la prosecuzione ed il completamento dell'attivit consultiva perch, con l'insorgere di una controversia, l'am bito della legittimit viene, per cos dire, portato fuori dall'Amministra zione ed devoluto agli organismi giudiziari. Questo trasferimento, attributivo della competenza giurisdizionale ed istitutivo del rapporto tra giurisdizione e Pubblica Amministrazione, altres operante di una specifica attribuzione dell'Avvocatura dello Stato, che quella di svol gere il suo compito difensivo nella visione costante dell'interesse pub blico. E come lo Stato, pur comparendo in giudizio quale parte tuttavia si distingue dalle altre perch titolare di interessi pubblici e generali, cos l'Avvocatura dello Stato, pur svolgendo in giudizio compiti profes sionali alla stregua degli altri difensori, si distingue tuttavia rispetto ad essi perch portatore e tutore a sua volta di quegli interessi pubblici PARTE II, QUESTIONI e generali che lo obbligano a far rispettare, nell'ambito dello stesso rapporto processuale, come al di fuori di questo i limiti derivanti dall'osservanza dei principi di legalit e di imparzialit. In questa visione delle cose l'apporto collaborativo di giustizia dato dall'Istituto nell'espletamento del suo ruolo difensivo acquista un significato del tutto particolare scaturendo dal delicato compito di orientare per una soluzione conforme a leggi le vicende sottoposte al vaglio giuri sdizionale, e soprattutto i rapporti tra potere esecutivo e potere giudiziario, e tra gli stessi giudici. Le innumerevoli tesi prospettate dall'Avvocatura dello Stato agli organi di giurisdizione sia ordinaria che amministrativa, e da questi condivise e confermate in ripetute decisioni -si ricordano per gli aspetti che qui interessano, i temi portati a tutela della sfera di autonomia della Pubblica Amministrazione e quindi dell'insindacabilit dell'azione amministrativa, le questioni relative ai limiti di competenza giurisdizionale tra giudice ordinario e giudice amministrativo, e sulla improponibilit assoluta o relativa, delle azioni giudiziarie nonch ai limiti di legittimit del giudizio amministrativo, ed i contributi portati nella problematica dell'interesse tutelabile e del rapporto tra diritto ed interesse -testimoniano l'incidenza dell'azione dell'Istituto sulla linea di frontiera esistente tra giurisdizione e Pubblica Amministrazione. 9) Resta da esaminare -sempre nei limiti del tema del dibattito l'ultimo degli aspetti propri del ruolo cui assolve l'Avvocatura dello Stato: quello di riparatric edi giustizia. In questo suo ruolo si inquadra l'iniziativa di elevare il conflitto di attribuzioni e proporre il regolamento preventivo di giurisdizione ogni qualvolta si determini da parte di un organo del potere giudiziario o di quello esecutivo un'usurpazione di campo. Un'iniziativa che evidenzia una finalit ripristinatoria dell'ordine costituzionale nella sua visione pluralistica e democratica dell'organizzazione dello Stato, e che mira perci a recuperare nel rapporto tra giurisdizione ed Amministra21ione gli alti contenuti di giustizia che risultano violati. tardi e vorrei concludere. Nel clima di tensione che va sfociando in una schermaglia sempre pi vistosa e spesso inelegante tra potere esecutivo e giudiziario, la ricerca di un momento di mediazione pu rappresentare il punto di partenza per la ricomposizione del conflitto. Il quadro funzionale dell'Avvocatura dello Stato pu prestarsi a questo scopo. Ma occorre soprattutto che a tale astratta idoneit corri sponda una volont politica che se ne renda conto e la valorizzi. E che ci sia, a monte, una effettiva volont di coesistenza. Non tutto, ma sarebbe gi abbastanza. ENZO CIARDULLI LEGISLAZIONE I NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI codice di procedura penale, art. 630, secondo comma, nella parte in cui non prevede il rinvio della trattazione dell'incidente di esecu_zione, ove l'imputato o il condannato, che abbia fatto domanda di essere udito personalmente, non compaia per legittimo impedimento. Sentenza 20 maggio 1982, n. 98, G.U. 26 maggio 1982, n. 143. codice penale militare di pace, art. 186, secondo comma, limitatamente alle parole e la reclusione da sette a quindici anni, se il superiore non un ufficiale . Sentenza 27 maggio 1982, n. 103, G.U. 2 giugno 1982, n. 150. codice penale militare di pace, art. 186, ultimo comma, limitatamente alle parole con la reclusione militare non infriore a cinque anni se il superiore un ufficiale e con la stessa pena da tre a dodici anni se il superiore non un ufficiale . Sentenza 27 maggio 1982, 11. 103, G.U. 2 giugno 1982, n. 150. codice penale militare di pace, art. 189, primo comma, limitatamente alle parole con la reclt1sione militare da tre a sette anni, se il superiore un ufficiale, e da uno a cinque anni, se il superiore non un ufficiale . Sentenza 27 maggio 1982, 11. 103, G.U. 2 giugno 1982, n. 150. legge 9 gennaio 1929, n. 4, artt. 21, terzo comma, e 60, nella parte in cui prevedono che l'accertamento dell'imposta e della relativa sovrimposta, divnuto definitivo in via amministrativa, faccia stato nei procedimenti penali per la cognizione dei reati preveduti dalle leggi tributarie in materia di im poste dirette. Sentenza 12 maggio 1982, n. 88, G.U. 20 maggio 1982, n. 137. legge 24 marzo 1958, n. 195, art. 23, secondo comma [come sostituito dalla legge 22 dicembre 1975, n. 695, art. 3], nella parte in cui prevede che i posti riservati ai magistrati di Cassazione possano essere assegnati a magistrati che abbiano conseguito la rispettiva nomina, ancorch non esercitino le rispettive funzioni. Sentenza 10 maggio 1982, n. 87, G.U. 20 maggio 1982, n. 137. legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2, secondo comma, lett. a), nella parte in cui esclude per i titolari di pensione diretta dello Stato l'integrazione al mi nimo della pensione di riversibilit INPS, qualora per effetto del cumulo sia superato il trattamento minimo garantito. Sentenza 27 maggio 1982, n. 102, G.U. 2 giugno 1982, n. 150. I I I I I I PARTE II, LEGISLAZIONE 1f3 legge 9 gennaio 1963, n. 9, art. 1, secondo comma, nella parte in cui esclude per i titolari di pensione diretta dello Stato l'integrazione al minimo della pensione di invalidit erogata dal fondo speciale per i coltivatori diretti, mezzadri e coloni, qualora per effetto del cumulo sia superato il trattamento minimo garantito. Sentenza 27 maggio 1982, n. 102, G.U. 2 giugno 1982, n. 150. legge 22 luglio 1966, n. 613, art. 19, secondo comma, nella parte in cui esclude per i titolari di pensione diretta statale l'integrazione al minimo della pensione di invalidit erogata dalla gestione speciale commercianti, qualora per effetto del cumulo sia superato il trattamento minimo. garantito. Sentenza 27 maggio 1982, n. 102, G.U. 2 giugno 1982, n. 150. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 58, nella parte in cui dispone che l'azione penale ha corso dopo che l'accertamento divenuto definitivo anche nel caso del reato indicato nel quarto comma dell'art. 50 dello stesso decreto del Presidente della Repubblica n. 633. Sentenza 12 maggio 1982, n. 89, G.U. 20 maggio 1982, n. 137. legge 20 dicembre 1973, n. 831, art. 7, nella parte in cui prevede che la conseguita valutazione favorevole comporti la nomina a magistrato di Cassazione, indipendentemente dal conferimento delle relative funzioni, anzich la sola attribuzione del corrispondente trattamento economico e la dichiarazione dell'idoneit ad essere ulteriormente valutato, ai fini della successiva nomina. Sentenza 10 maggio 1982, n. 86, G.U; 20 maggio 1982, n. 137. legge 20 dicembre 1973, n. 831, art. 10, relativamente alle parole secondo l'ordine di collocamento in ruolo e nella parte in cui non prevede che la nomina a magistrato di Cassazione, quanto ai magistrati dichiarati idonei ai sensi dell'art. 7, sia contestuale al conferimento delle relative funzioni. Sentenza 10 maggio 1982, n. 86, G.U. 20 maggio 1982, n. 137. legge 20 dicembre 1973, n. 831, art. 16, nella parte in cui si riferisce ai magistrati di Cassazione che raggiungano una anzianit di otto anni dalla nomina a tale categoria, anzich ai magistrati che raggiungano una anzianit di otto anni dalla dichiarazione di idoneit, di cui all'art. 7. Sentenza 10 maggio 1982, n. 86, G.U. 20 maggio 1982, n. 137. legge 20 dicembre 1973, n. 831, art. 17, nella parte in cui prevede che la dichiarazione di cui al precedente articolo comporti, in difetto di vacanze, la nomina alle funzioni direttive superiori, indipendentemente dal conferimento di un corrispondente ufficio, anzich la sola attribuzione del .trattamento economico previsto per i magistrati di Cassazione nominati a tali funzioni e la idoneit ad essere ulteriormente valutato, ai fini della successiva nomina. Sentenza 10 maggio 1982, n. 86, G.U. 20 maggio 1982, n. 137. 16 RASSEGNA .OBLL'AVVOCATURA .DBI,LO STATO legge 20 dicembre 1973, n. 831, art. 19, secondo comma, relativamente alle parole assegnandovi i magistrati, anche dopo la nomina, secondo l'ordine di collocamento in ruolo >>, e nella parte in cui non prevede che la nomina alle funzioni direttive superiori, quanto ai magistrati dichiarati . idonei ai sensi dell'art. 16, sia contestuale al conferimento del relativo ufficio. Sentenza 10 maggio 1982, n. 86, G.U. 20 maggio 1982, n. 137. legge regione Emilia-Romagna 8 marzo 1976, n. 10, art. 5, secondo comma. Sentenza 12 maggio 1982, n. 91, G.U. 20 maggio 1982, n. 137. II QUESTIONI DICHIARATE NON FONDATE codice penale, art. 688 (artt. 3, 32 e 27, secondo oomma, della Costituzione). Sentenza 27 maggio 1982, n. 104, G.U. 2 giugno 1982, ri. 1150. codice di procedura penale, art. 51 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Sentenza 29 aprile 1982, n. 77, G.U. 5 maggio 1982, n. 122. codice penale militare di pace, art. 260, secondo comma (art. 112 della Costituzione). Sentenza 18 giugno 1982, n. 114, G.U. 23 giugno 1982, n. 171. legge 7 gennaio 1929, n. 4, art. 21, ultimo comma (artt. 3 e 53 della Costituzione). Sentenza 12 maggio 1982, n. 89, G.U. 20 maggio 1982, n. 137. legge 17 agosto 1942, n. 1150, artt. 7 (nn. 2, 3 e 4), 34, 36 e 40 (art. 42, terzo comma, della Costituzione). Sentenza 12 maggio 1982, n. 92, G.U. 20 maggio 1982, n. 137. legge 21 marzo 1958, n. 267, art. 5, secondo comma (artt. 3, 10, primo comma; 11 .e 53 della Costituzione). Sentenza 20 maggio 1982, n. 96, G.U. 26 maggio 1982, n. 143. legge 24 marzo 1958, n. 195, art. 23, secondo comma [come sostituito dalla legge 22 dicembre 1975, n. 695, art. 3] (artt. 3, primo comma, 104, quarto comma, e 107, terzo comma, della Costituzione). Sentenza 10 maggio 1982, n. 87, G.U. 20 maggio 1982, n. 137. d.P.R. 30 marzo 1961, n. 197, artt. 50, n. t, lettera e) e 52, prime comma (artt. 3, 70, 77, primo comma, e 28 della Costituzione). Sentenza 12 maggie 1'982, n, 90, G.U. 20 maggio ,J:982, n. U7. PARTE II, LEGISLAZIONE 1Jf d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 112, secondo comma (artt. 24, 76 e 77 della Costituzione). Sentenza 10 giugno 1982, n. 110, G.U. 16 giugno 1982, n. 164. legge 19 novembre 1968, n. 1187, artt. 1, 2 e 5 (artt. 3, 42, terzo comma, 136 della Costituzione, e art. 14 statuto regione Sicilia). Sentenza 29 aprile 1982, n. 82, G.U. 5 maggio 1982, n. 122. legge 24 dicembre 1969, n. 990, art. 19, primo comma, lettera c) (art. 3 della Costituzione). Sentenza 29 aprile 1982, n. 84, G.U. 5 maggio 1982, n. ,122. legge 24 dicembre 1969, n. 990, art. 19, secondo comma (art. 3 della Costituzione). Sentenza 29 aprile 1982, n. 84, G.U. 5 maggio 1982, n. 122. dl. 26 ottobre 1970, n. 745, art. 31 [come modificato dalla legge 18 dicembre 1970, n. 1034] (art. 3 della Costituzione). Sentenza 29 aprile 1982, n. 78, G.U. 5 maggio-1982, n. 122. dP.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 56, ultimo comma (artt. 3, 53 e 112 della Costituzione). Sentenza 12 maggio 1982, n. 89, G.U. 20 maggio 1982, n. 137. legge regione Sicilia 5 novembre 1973, n. 38 (artt. 3, 42, terzo comma, 136 della Costituzione, e art. 14 statuto regione Sicilia). Sentenza 29 aprile 1982, n. 82, G.U. 5 maggio 1982, n . .122. legge 30 novembre 1973, n. 756, art. 1 (artt. 3, 42, terzo comma, 136 della Costituzione, e art. 14 statuto regione Sicilia). Sentenza 29 aprile 1982, n. 82, G.U. 5 maggio 1982, n. 122. legge regione Lazio 2 luglio 1974, n. 30, artt. 1, lett. a) e b), 2, 3 e 8 (artt. 3 e 117, primo comma, della Costituzione). Sentenza 29 aprile 1982, n. 83, G,U. 5 maggio 1982, n. 122. legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 2, terzo comma (art. 3 della Costi~u::ione). Sentenza 10 giugno 1982, n. 109, G.U. 16 giugno 1982, n. 164." legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 2, terzo comma (artt. 3, 24, secondo comma, 25, secondo comma, 70 e 101, secondo comma, della Costituzione). Sentenza 10 giugno 1982, n. 108, G.U. 16 giugno 1982, n. 164. legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 4, secondo comma (artt. 13 e 25 della Costituzione). Sentenza 29 aprile 1982, n. 79, G.U. 5 maggio 1982, n. 122. 1f6 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 4, secondo comma (artt. 13, terzo comma, 17, primo comma, e 25 della Costituzione). Sentenza 29 aprile 1982, n. 79, G.U. 5 maggio 1982, n. 122. legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 4, secondo comma (art. 25 della Costituzione). Sentenza 29 aprile 1982, n. 79, G.U. 5 maggio 1982, n. 122. legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 4, secondo e terzo comma (artt. 3 e 25 della Costituzione). Sentenza 29 aprile 1982, n. 79, G.U. 5 maggio 1982, n. 122. legge 28 gennaio 1977, n. 10, artt. 1, 3, 4, 6, 11, 12 e 13 (art. 42, terzo comma, della Costituzione). Sentenza 12 maggio 1982, n. 92, G.U. 20 maggio .1982, n. 137. III -QUESTIONI PROPOSTE codice civile, artt. 2758, secondo comma, e 2772, terzo comma [modificati dalla legge 29 luglio 1975, n. 426] (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Udine, ordinanza 12 novembre 1981, n. 35/82, G.U. 12 maggio 1982, n. 129. codice di procedura civile, art. 152 disposizioni di attuazione (art. 3 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 2 gennaio 1982, n. 71, G.U. 9 giugno 1982, n. 157. Pretore di Roma, ordinanza 29 dicembre 1981, n. 72/82, G.U. 9 giugno 1982, n. 157. Pretore di Roma, ordinanza 28 dicembre 1981, n. 83/82, G.U. 23 giugno 1982, n. 171. codice penale, art. 57 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanze (due) 14 novembre e 31 ottobre 1981, nn. 33 e 34/82, G.U. 12 maggio 1982, n. ,129. codice penale, art. 314 (artt. 3 e 47 della Costituzione). Tribunale di Asti, ordinanza 26 novembre 1981, n. 39/82, G.U. 20 maggio 1982, n. 137. codice penale, art. 688 (artt. 3 e 32 della Costituzione). Tribtmale di Venezia, ordinanza 25 novembre 1981, n. 96/82, G.U. 30 giugno 1982, n. 178. ff'l PARTE II, LEGISLAZIONE codice di procedura penale, artt. 88 e 497 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Mantova, ordinanza 6 novembre 1981, n. 15/82, G.U. 5 maggio 1982, n. 122. codice di procedura penale, art. 387 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 29 settembre 1981, n. 63/82, G.U. 2 giugno 1982, n. 150. codice di procedura penale, artt. 441, 423, 424 e 426 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Tribunale di Venezia, ordinanza 30 novembre 1981, n. 93/82, G.U. 23 giugno 1982, n. 171. codice di procedura penale, art. 513, n. 2 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 8 ottobre 1981, n. 67/82, G.U. 26 maggio 1982, n. 143. codice di procedura penale, artt. 553, primo comma, n. 1, e 554, primo com ma, n. 1 (art. 3 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 116 ottobre 1981, n. 47/82, G.U. 5 maggio 1982, n. 122. codice di procedura penale, art. 596 (artt. 3 e 25 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 16 giugno 1981, n. 26/82, G.U. 12 maggio 1982, n. 129. codice di procedura penale, art. 63S e segg. [in relazione artt. 231, 233 e 234, ultimi commi, codice penale] (art. 3, primo comma, della Costituzione). Magistrato di sorveglianza Tribunale per i minorenni di Torino, ordinanza 10 dicembre 1981, n. 75/82, G.U. 16 giugno 1982, n. 164. codice penale militare di pace, art. 186, ultimo comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale militare di Padova, ordinanza 4 settembre 1981, n. 838, G.U. 5 maggio 1982, n. 122. Tribunale militare di Padova, ordinanza 25 settembre 1981, n. 839, G.U. 26 maggio 1982, n. 143. Tribunale militare di Padova, ordinanza 25 settembre 1981, n. 840, G.U. 26 maggio 1982, n. 143. codice penale militare di pace, artt. 186, ultimo comma, e 189, primo comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale militare di Padova, ordinanza 23 settembre 1981, n. 841, G.U. 12 maggio 1982, n. 129. 118 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO codice penale militare di pace, art. 189, primo comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale militare di Padova, ordinanza 11 settembre 1981, n. 842, G.U. 5 maggio 1982, n. 122. r.d. 26 giugno 1924, n. 1054, artt. 29, n. 1, e 39 (artt. 3, 24 e 25 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 6 ottobre 1981, n. 69/82, G.U. 9 giugno 1982, n. 157. Corte di cassazione, ordinanza 6 ottobre 1981, n. 70/82, G.U. 16 giugno 1982, n. 164. r.d.I. 12 marzo 1936, n. 375, artt. 1 e 25 (artt. 3 e 47 della Costituzione). Tribunale di Asti, ordinanza 26 novembre 1981, n. 39/82, G.U. 20 maggio 1982, n. 137. r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 100 (art. 24 della Costituzione). Corte d'appello di Messina, ordinanza 15 ottobre 1981, n. 101/82, G.U. 30 giugno 1982, n. 178. r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 217 (artt. 3 e 27 della Costituzione). Tribunale di Genova, ordinanza 21 ottobre 1981, n. 265/82, G.U. 12 maggio 1982, n. 129. legge 8 febbraio 1948, n. 47, artt. 1, 9 e 13 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanze (due) 14 novembre e 31 ottobre 1981, nn. 33 e 34/82, G.U. 12 maggio 1982, n. 129. legge 2 marzo 1949, n. 143, art. 18 (art. 3 della Costituzione). Corte d'appello di Potenza, ordinanza 17 novembre 1981, n. 84/82, G.U. 23 giugno 1982, n. 171. legge 23 maggio 1950, n. 253, art. 8 [modificato dal d.l. 1 giugno 1974, n. 236, art. 2-quinquies, convertito in legge 12 agosto 1974, n. 351] (art. 3 della Costituzione). Pretore di Reggio Calabria, ordinanza 27 novembre 1981, n. 87/82, G.U. 30 giugno 1982, n. 178. legge 20 febbraio 1958, n. 75, art. 4, n. 2 (artt. 3 e 25, secondo comma, della Costituzione). Giudice istruttore Tribunale di Grosseto, ordinanza 4 dicembre il981, n. 54/82, G.U. 20 maggio 1982, n. 137. legge 24 marzo 1958, n. 195, art. 23, secondo comma [come sostituito dalla legge 22 dicembre 1975, n. 695, art. 3] (artt. 3, 104 e 107 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 14 gennaio 1982, n. 284, G.U. 16 giugno 1982, n. 164. r. ..~ PARTE II, LEGISLAZIONE d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 91, sesto e ottavo comma (artt. 3 e 27, secondo comma, della Costituzione}. Pretore di Gubbio, ordinan7..a 16 ottobre 1981, n. 38/8~. G.U. 12 maggio 1982, n. 129. d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 121, terzo comma [come modificato dalla legge 5 maggio 1976, n. 313, art. 5] (artt. 3 e 27, primo e terzo comma, della Costituzione). Tribunale di Caltanissetta, ordinanza 7 maggio 1981, n. 53/82, G.U. 20 maggio 1982, n. 137. legge 9 gennaio 1963, n. 9, art. 1, secondo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Prato, ordinanza 14 dicembre 1981, n. 45/82, G.U. 20 maggio 1982, n. 137. Pretore di Teramo, ordinanza 13 gennaio 1982, n. 85, G.U. 23 giugno 1982, n. 171. legge 9 gennaio 1963, n. 9, art. 1, secondo comma (artt. 3. e 38, secondo comma, della Costituzione). Pretore di Viterbo, ordinanza 3 novembre 1981, n. 50/82, G.U. 20 maggio 1982, n. 137. legge 15 settembre 1964, n. 756, art. 9 (artt. 3 e 42 della Costituzione). Pretore di Mesagne, ordinanza 21 dicembre 1981, n. 90/82, G.U. 2 giugno 1982, n. 150. Pretore di Mesagne, ordinanza 21 dicembre 1981, n. 91/82, G.U. 2 giugno 1982, n. 150. d.P.R. 12 febbraio 1965, n. 162, art. 76 (art. 3 della Costituzione). Corte d'appello di Lecce, ordinanza 11 dicembre 1981, n. 49/82, G.U. 20 maggio 1982, n. 137. dP.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 16, quinto comma (art. 24 della Costituzione). Pretore di Genova, ordinanza 22 dicembre 1981, n. 86/82, G.U. 30 giugno 1982, n. 178. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 209 (artt. 3 e 38 della Costituzione). Pretore di Fermo, ordinanza 20 maggio 1981, n. 844, G.U. 5 maggio 1982, n. 122. legge 9 ottobre 1967, n. 973 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Tribunale di L'Aquila, ordinanza 18 novembre 1981, n. 60/82, G.U. 26 maggio 1982, n. 1143. 160 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 1 marzo 1968, n. 188, art. 1 (artt. 3 e 42 della Costituzione). Pretore di Mesagne, ordinanza 21 dicembre 1981, n. 90/82, G.U. 2 giugno 1982, n. 150. Pretore di Mesagne, ordinanza 21 dicembre 1981, n. 91/82, G.U. 2 giugno 1982, n. 150. legge 20 maggio 1970, n. 300, art. 28 (artt. 3, 24 e 25 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 6 ottobre 1981, n. 69/82, G.U. 9 giugno 19!32, n. 157. Corte di cassazione, ordinanza 6 ottobre 1981, n. 70/82, G.U. 16 giugno 1982, n. 164. legge 25 maggio 1970, n. 364, art. 19 (art. 81, quarto comma, della Costituzione). Tribunale di Bologna, ordinanza 20 ottobre 1981, n. 52/82, G.U. 20 mag If.: gio 1982, n. 137. f: legge reg. Sicilia 23 marzo 1971, n. 7, art. 52, primo comma (art. 3 della f: Costituzione). Corte dei conti, ordfoanza 2 luglio 1981, n. 65/82, G.U. 2 giugno 1982, n. 150. I I f~ f.f legge reg. Sicilia 23 marzo 1971, n. 7, art. 52, primo comma (artt. 5 e 97 della Costituzione e 1 e 14 statuto speciale re11:. siciliana). Corte dei conti, ordinanza 2 luglio 1981, n. 65/82, G.U. 2 giugno 1982, n. 150. legge 6 dicembre 1971, n. 1034, artt. 2 e 7. secondo comma