ANNO XXXV -N. 3 MAGGIO -GIUGNO 1983 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Pubblicazione bimestrale di servizio ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO ROMA 1983 ABBONAMENTI ANNO 1983 ANNO L. 29.000 UN NUMERO SEPARATO 5.300 Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO Direzione Commerciale -Piazza G. Verdi, 10 -00100 Roma e/e postale n. 387001 Stampato in Italia -Printed in ltal, Aucor11ZU!one Tribunale di Roma -De~reto n. 11089 del 13 1...Uo 1966 (4219246) Roma, 1983 -Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato -P.V. INDICE Parte prima: GIURISPRUDENZA Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura del /'avv. Franco Favara) . . . . . . . . . . . . . pag. 433 Sezione seconda: GIURISPRUDENZA ZIONALE (a cura COMUNITARIA del/'avv. Oscar E INTERNA- Fiumara) et. . 458 Sezione terza: GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE (a cura degli avvocati Carlo Carbone, Carlo Sica e Antonio Cingolo) ~ . . . . . '":'-: . . . . 482 Sezione quarta: GIURISPRUDENZA Antonio CatricJltlJ. CIVILE (a cura dell'avvocato . . . . . . . . . . . . . . )) 491 Sezione quinta: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (a cura degli avv. Raffaele Tamiozzo e G. P. Palizzi) 502 Sezione sesta: GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (a cura dell'avvocato Carlo Bafife) . . . . . )) 506 Sezione settima: GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI (a cura degli avvocati Sergio Laporta, Piergiorgio Ferri e Paolo Vittoria) . . . 563 Sezione ottava: GIURISPRUDENZA PENALE (a cura degli avvocati Paolo di Tarsia di Be/monte e Nicola Bruni) . . 580 Parte seconda: QUESTIONI -LEGISLAZIONE -INDICE BIBLIOGRAFICO CONSULTAZIONI -NOTIZIARIO LEGISLAZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 53 La pubblicazione diretta dall'avvocato: UGO GARGIULO CORRISPONDENTI DELLA RASSEGNA DELEGATI PRESSO LE SINGOLE AWOCATURE Avvocati Glauco NoRI, Ancona; Francesco Cocco, BaT'i; Giovanni CoNTU, Cagliari; Francesco GmccIARDI, Genova; Marcello DELLA VALLE, Milano; Carlo BAFILE, L'Aquila; Giuseppe Orazi.o Russo, Lecce; Nicasio MANcuso, Palermo; Rocco BERARDI, Potenza; Maurizio DE F'RANCHIS, Trento; Paolo SCOTTI, Trieste; Giancarlo MAND, Venezia. \ PARTE PRIMA INDICE ANALITICO -ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA L . -~ -Appalto d'opere pubbliche Addizioni e variazioni -Opere relative a fondazioni -Variazioni in aumento contenute .nel sesto quinto dell'itnporto totale del contratto, ma eccedenti il quinto della quantit originaria -Equo compenso ex art. 13, comma 5, d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063 -Spettanza, 567. -Appalto di opere pubbliche Arbitrato -Capitolato generale d'appalto per le opere cli competenza del Mi nistero dei lavori pubblici Facolt cli esclusione della competenza arbi trale Competenza dell'Avvocatura dello Stato Sussiste, S/7. -Appalto cli opere pubbliche Clausola compromissoria Richiamo alle disposizioni contenute nel capitolo IV del d.P.R. 16 luglio .1962, n. 1063 Valore, 577. -Appalto d'opete pubbliche Protrazione dell'esecuzione oltre il termine contrattuale Per causa itnputa bile all'amministrazione Risarcimento del danno Diritto all'accredito dell'alea scontata in sede cli revisione del prezzo Condizioni, 572. -Appalto d'opere pubbliche Protrazione dell'esecuzione oltre il termi ne contrattuale Per causa itnputabile all'amministrazione Risarcimento del danno Diritto al pagamento di somma corrispondente al ribasso d'asta Esclusione, 571. ARBITRATO -Lodo Impugnazioni Revocazione Ammissibilit Limiti, 563. -Proponibilit della domanda Condizioni Collaudo Necessit Li miti, 565. ATTO AIMMINISTRATIVO -Discrezionalit Rifiuto o sospensione della patente di guida Motivazione, 439. COMPETENZA CIVJJLE . -Difetto assoluto cli giurisdizione Nozione, 492. -Impiego pubblico Segretariato generale della -Presidenza della Repub blica Indennit di fine rapporto Contributi sull'indennit aggiuntiva percepita ai fini del conseguitnento di una maggiore base pensionabile Giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo Sussiste, 492. COMUNI -Compresi gli amministratori locali Indennit per speciali compiti Cumulabilit, 445. COMUNIT EUROPEE -Comunit europea del carbone e dell'acciaio (CECA) Crediti della CECA Prelievi per la produzione d'acciaio Riscossione Privilegio Insussistenza, 472. -Libera circolazione delle merci Riordinamento del monopolio nazionale dei tabacchi lavorati Determinazione dei margini cli commer cializzazione, 476. -Unione doganale .Libera circolazione delle merci Organizzazione comune del mercato vitivinicolo Importazione di vino italiano in Fran cia, con nota di I. M. BRAGUGLIA, 458. CORTE COSTITUZIONALE -Conflitto di attribuzione Sospensione dell'atto impugnato Atto della Commissione cli controllo Ininfluenza della sospensione, 414.2. -Conflitto di attribuzione Sospensione dell'atto impugnato Autotutela dello Stato nei confronti cli una Regione Recupero graduale Non sussistono le gravi ragioni , 442. -Conflitto di attribuzione Sospensione dell'atto impugnato Insuscettibilit di esecuzione dell'atto Man VI RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO canza di presupposto per la sospensione, 442. -Conflitto di attribuzione -Sospensione dell'atto impugnato :Minore redditivit di disponibilit finanziarie Non sussistono le gravi ragioni , 441. -Ricorso dello Stato avverso delibera legislativa regionale riapprovata Motivi diversi da quelli del previo rinvio governativo -Inammissibilit, 438. DEIMANIO -Acquisto di bene per fini pubblici 1Sospensione dell'uso pubblico Persistenza della destinazione potenziale del bene a servire all'uso pubblico Mancata perdita della demanialit, con nota di G. STIPO, 491. -,Potere di autotutela della P.A. Ingiunzione di rilascio -Legittimit anche nel caso di rivendicazione, con nota di G. STIPO, 491. EDILIZIA ECONOMICA E POPOLARE -Diritto soggettivo del privato alla cessione in propriet -Alloggi ammessi od esclusi dal riscatto -Giurisdizione ordinaria, 489. Gl'UiRISDIZIONE CIVILE -Difetto assoluto -Nozione -Prestazioni lavorative ad Ente Pubblico non economico Inserimento nella struttura organizzativa dell'Ente Atti equipollenti alla noinina Giurisdizione amministrativa, 482. -Enti pubblici -Appalto di manodopera Rapporto diretto con l'ente :~~~~:n:G. ~=~~~9~cistica, -Giudicato -Formazione, 483. -Nomina a console in base al d.P.R. 5 gennaio 1967, n. 18 -Rapporto di servizio volontario -Difetto di professionalit e retribuzione predeterminata -Servizio onorario -Domanda di costituzione di posizione assicurativa -Difetto assoluto di giurisdizione, 483. -Pronuncia di merito -Mancata impugnazione del capo di sentenza - Rilevabilit del difetto di giurisdizione dell'A.G.O. in sede di lgittimit -Preclusione, 488. -iRapporto di lavoro di diritto privato extra legem -Difetto assoluto di giurisdizione -Non sussiste Operaio giornaliero assunto ex articolo 3 legge 26 febbraio 1952, numero 67 -Natura pubblicistica del rapporto -Giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, 483. -Sentenza denegativa -Qualificazione del rapporto dedotto in lite Giudicato endoprocessuale, 483. IMPIEGO PUIBiBLICO. -Omnicomprensivit del trattamento econoinico -Limiti, 445. ISTRUZIONE E SCUOLE. -Scuola materna Insegnanti di sesso maschile -Esclusione -IllegittiInit costituzionale, 453. LAVORO -Applicazione del rito del lavoro a controversia cui non si applica Nullit -Non sussiste, 492. -Diritto di sciopero -Coazione della pubblica autorit mediante sciopero -Illegittimit costituzionale J.. imiti, 452. . -Messo di conciliazione e pubblica amministrazione -Rapporto -Non sussiste -1Svalutazione -Risarcimento del danno -Non spetta, 492. -Rapporti di lavoro -Convenzioni enti mutualistici -:Medici esterni Blocco tariffe -Nuove convenzioni, 501. PENSIONI -Orfano maggiorenne di dipendente statale -Decisione della Corte dei Conti di riconoscimento del diritto a pensione -Efficacia per il periodo successivo al provvedimento di diniego -Insussistenza, con nota di G. STIPO, 502. INDICE DBLLA GIURISPRUDENZA vn PROCEDIMENTO CIVIILE -Lavoro -Intervento v9lontario Fissazione cli nuova udienza -Necessit, 455. PROCEDIIMENTO PBNALE -Garanzie patrimoniali cli esecuzione -Competenza della Procura della Repubblica presso il Tribunale a richiedere iscrizione cli ipoteca legale successivamente al deposito della sentenza emessa dal Tribunale e fino all'effettiva trasmissione degli atti al giudice della impugnazione Sussiste, 580. -Garanzie patrimoniali cli esecuzio ne -iRicorso per cassazione dell'im putato avverso provvedimento emes so dal Tribunale quale giudice del~ l'esecuzione in tema cli iscrizione cli ipoteca legale -Omessa notifica del ricorso alle altre parti del processo Inammissibilit della impugnazio ne, 580. -Reato ministeriale -Messa in istato cli accusa Autonomia delle procedure parlamentari, 450. -Ricusazione del giudice -Incidente di legittimit costituzionale Non legittimazione del giudice ricusato, 448. PROPR!IETA -Usucapione abbreviata -Titolo idoneo all'acquisto -Corrispondenza tra l'oggetto del titolo e l'oggetto del possesso -Deve sussistere, 500. -Usucapione abbreviata Valutazione degli elementi costitutivi -Indagine cli fatto, 500. REATO -Reati valutari -Reato previsto dal l'art. 2, primo comma, della legge 30 aprile 1976, n. 159, sostituito dal l'art. 3 della legge 8 ottobre 1976, n. 689 Inapplicabilit, in caso cli condanna, quale pena accessoria, della sanzione amministrativa cli cui all'art. 8 del D.L. 4 marzo .1976, n. 31, sostituito dall'art. 1 della legge 30 aprile 1976, n. 159, 582. - Reati valutari -Reato previsto dal l'art. 2, primo comma, della legge 30 aprile 1976, n. 159, sostituito dal l'art. 3 della legge 8 ottobre 197'6, n. 689 -Omessa dichiarazione all'Uf ficio italiano dei cambi entro il ter mine previsto cli immobile sito in Italia fittiziamente trasferito a societ estera -Sussistenza, 581. RESPONSABILITA CIVILE -Criteri di imputazione Risarcimento del danno Limiti, 496. -Esteriorizzazione del fatto costituti vo -Conoscibilit dell'evento dan noso ai fini del decorso della prescrizione, 496. - Prova liberatoria Requisiti, 496. TRIBUTI IN GENERE -Accertamento tributario -Notificazioni -Persona giuridica -Impossi bilit di notifica presso la sede legale -Omessa ricerca della legale rappresentante -iDeposito presso la casa comunale -Nullit, 533. -Contenzioso tributario -Giudizio di terzo grado -Questione sulla natura agricola o edificatoria dei suoli Inammissibilit, 5~. -Contenzioso tributario -Giudizio cli terzo grado Ricorso alla corte d'Appello Principio della domanda Pronuncia di ufficio -Esclusione, 542. -Contenzioso tributario -Procedimento innanzi alle commissioni Ufficiosit -Esclusione -Principio della domanda -Si applica, 536. -Contenzioso tributario -Ripartizione di potest tra commissioni cli primo e secondo grado e corte d'appello questione cli competenza funzionale e non di giurisdizione, 552. -Prescrizione Interruzione con effetto permanente Domanda cli insinuazione nel passivo fallimentare Interruzione fino alla chiusura del fallimento, 558. TRIBUTI ERARIALI DliRETTI -Accertamento -Bilancio -Rettifica delle poste attive Obbligo dell'ufficio cli adeguare anche le poste passive -Esclusione -Onere della prova Applicazione, 559. vm RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO -Contenzioso tributario -Rimborso di ritenuta Domanda contro l'Amministrazione finanziaria Giurisdizione delle commissioni, con nota di C. BAFILB, 506. -Contenzioso tributario Rim'borso di ritenuta Domanda del contribuente contro il sostituto Giurisdizione delle commissioni -Esclusione, con nota di C. BAFILB, 506. -Imposta sui redditi di ricchezza mobile Plusvalenza -Determinazione Accertamento induttivo -Riferimento ai valori accertati ai fini dell'im posta di registro -Legittimit, 545. -Imposta sui redditi di ricchezza mobile Plusvalenza -Operazione di speculazione Trasformazione e lottizzazione di terreni Art. 76 d.P .R. 29 settembre 1973., n. 597 Nuova fattispecie impositiva -Esclusione, 545. -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Soggetti passivi -Organizzazione di persone non costituenti societ tale, 545. -Imposta unica sul reddito delle persone fisiche Reddito dei fabbricati Regime particolare per il biennio 1974-75 Non esclude l'accertamento del reddito effettivo, 520. -Imposte fondiarie -Imposta sui fabbricati Agevolazioni per le case di abitazione non di lusso -Decadenza -Eccedenza di volumetria -Volumi tecnici -Sono compresi nella tolleranza del 2 per cento, 535. -Imposte fondiarie -Imposta sui fabbricati Reddito effettivo -:Accertamento Esclusione Comparazione con canoni locatizi di fabbricati analoghi Impossibilit, 519. -Imposte fondiarie Imposta sui fabbricati -Reddito effettivo superiore al reddito catastale Determinazione in via di comparazion Ammissibilit, 520. -Imposte fondiarie Imposta sui fab bricati Reddito effettivo superiore al reddito catastale -Determinazione in via di comparazione Esclusione Reddito risultante da contratto di locazione il solo rilevante, 518. TRIBUTI ERARIALI IINDiiRETTI -Imposta di registro Agevolazione per le case di abitazione non di lusso Acquisto area Decadenza Parziale violazione di licenza edilizia Corpo di fabbrica indipendente Riduzione proporzionale del valore da assoggettare all'imposta, 543. -Imposta di successione Deduzione di passivit -Conto corrente bancario Legge 24 dicembre 1969, n. 1038 -Parere di anteriorit effettiva e ammontare del debito, 531. -Imposta sulle successioni e donazioni -Passivit ereditarie -Saldo passivo di conto corrente bancario Limiti di deducibilit, 433. -Imposte di fabbricazione -Respon I sabile d'imposta Dipendente di societ preposto al servizio -Assoluzione in sede penale -Esclusione, I 538. TRIBUTI LOCALI -Imposta locale sui redditi -Societ di persona Accertamento Notifica a socio fallito -Necessit, 550. INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA CORTE COSTITUZIONALE 14 luglio 1982, n. 130 . . . 21 aprile 1983, n. 103 21 aprile 1983, n. 107 . . . 28 aprile 1983, n. 109 . . . 29 aprile 1983, n. 119 (ord.) 29 aprile 1983, n. 121 (ord.) 29 aprile 1983, n..122 (ord.) 29 aprile 1983, n. 125 (ord.) 16 maggio 1983, n. 138 . . 31 maggio 1983, n. 147 (ord.) 13 giugno 1983, n. 161 13 giugno 1983, n. 165 16 giugno 1983, n. 173 29 giugno 1983, n. 193 CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA EUROPEE 22 marzo 1983, nella causa 42/82 . . . . . . . 17 maggio 1983, nella causa 168/82 7 giugno .1983, nella causa 78/82 . . . . . . . GIURISDIZIONI CIVILI COR11E DI CASSAZIONE Sez. Il, 18 marzo 1981, n. 1603 Sez. I, 19 luglio 1982, n. 4237 . Sez. I, 30 luglio 1982, n. 4360 Sez. I, .10 agosto 1982, n. 4473 Sez. Lav., 2 febbraio 1983, n. 899 Sez. Un., 17 febbraio 1983, n . .1203 Sez. Un., 19 febbraio 1983, n. 1295 Sez. Ili, 24 febbraio 1983, n. 1442 Sez. I, 26 febbraio 1983, n. 1466 Sez. I, 26 febbraio 1983, n. 1468 Sez. I, 25 marzo 1983, n. 2083 Sez. I, 25 marzo 1983, n. 2088 Sez. I, 29 marzo 1983, n. 2230 pag. 445 433 438 439 441 442 442 .. 442 448 450 445 452 453 .,, 455 pag. 456 472 476 pag. 491 563 520 565 492 492 506 496 567 sn 518 5\31 520 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO X Sez. I, 29 marzo 1983, n. 2232 Sez. I, 29 marzo 1983, n. 2237 Sez. I, 30 marzo 1983, n. 2290 Sez. I, 30 marzo 1983, n. 2291 Sez. I, 30 marzo 1983, n. 2296 Sez. I, 30 marzo 1983, n. 2298 Sez. I, 30 marzo 1983, n. 2301 Sez. I, 30 marzo 1983, n. 2304 Sez. Un., 31 marzo 1983, n. 23<50 Sez. I, 7 aprile 1983, n. 2449 .. Sez. I, 7 aprile 1983, n. 2451 .. Sez. Un., 27 aprile 1983, Sez. Un., 2 maggio 1983, Sez. Un., 2 maggio ,1983, Sez. Un., 2 maggio 1983, Sez. Un., 9 maggio 1983, Sez. Un., 9 maggio 1983, n. 2889 n. 3000 n. 3000 n. 3006 n. 3146 n. 3151 Sez. Un., 16 maggio 1983, n. 3358 Sez. I, 9 giugno 1983, n. 3947 . Sez. Lav . 17 giugno 1983, n. 4184 TRIBUNALE DI ROMA Sez. I, 30 aprile 11983. n. 6688 GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE CONSIGLIO DI STATO Sez. IV, 27 aprile 1982, n. 264 GIURISDIZIONI PENALI CORTE DI OAISSAZIONE Sez. II, Ord. 10 agosto 19&2, n. 2115 Sez. III, 26 febbraio 1983, n. 1764 . pag. 519 533 535 538 542 543, 545 550 552 558 559 506 482 482 483 488 489 489 500 501 pag. 577 pag. 502 pag. 580 581 PARTE SECONDA INDICE DELLA LEGISLAZIONE LEGiiSLAZIONE I. Norme dichiarate incostituzionali II. Questioni dichiarate non fondate III. Questioni proposte . . . . . . . ~%1tU..:~~: . pag 53 54 55 I f; i; i I ! PARTE PRIMA SEZIONE PRIMA GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE CORTE COSTITUZIONALE, 21 aprile 1983, n. 103 -Pres. Elia -Rel. Malaigugini -Colognesi (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri e Ministero delle finanze (avv. Stato Angelini Rota). Tributi erariali indiretti -Imposta sulle successioni e donazioni -Passivit ereditarie -Saldo passivo di conto corrente bancario -Limiti di deducibilit. (Cost., art. 53; d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 637, art. 13). Non pu dirsi che la configurazione di una prova legale rigorosa equivalga a dare una base fittizia alla imposizione tributaria: la prova legale mira a garantire la certezza dei rapporti giuridici e, in materia tributaria, anche a tutelare l'interesse generale alla riscossione dei tributi contro ogni tentativo di evasione; e rientra nella discrezionalit del legislatore -il cui apprezzamento, ove non trasmodi in palese arbitrariet o irrazionalit, sfugge al sindacato del giudice costituzionale -la scelta dei meccanismi probatori che si ritengano maggiormente idonei a conseguire tale risultato. L'art. 13, terzo e quarto comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637 non contrasta con l'art. 53 Cost. (1). 1. -In materia di imposte sulle successioni, Ia deducibilit dei debiti ereditari regolata dalle norme di cui agli artt. 12 e segg. del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637. Ai sensi dell'art. 12, i debiti esistenti alla data di apertura de1Jla successione costituiscono passivit deducibili alle condizioni e nei limiti. di cud ai successivi articoli. . L'art. 13, poi, precisa che si considerano esistenti alla data di apertura della successione i debiti risultanti da atti scritti che abbiano data certa anteriore a quella di apertura della successdone, quelli' la cui esistenza per causa anteriore alla data stessa ,risulti da provvedimenti giu (1) L'importanza del principio affermato dalla Corte Costituzionale e riportato nella prima parte della massima evidente e trascende di molto l'ambito della particolare controversia. Il diritto tributario attende ancora una trattazione approfondita ed una disciplina organica della prova e delle attivit istruttorie, in grado di operare e per i procedimenti amministrativi di accertamento e per il processo tributario (ovvie ragioni -e soprattutto la esigenza di evitare che l'intervento della giurisdizione assuma carattere necessitato -ostano a che vi siano differenze tra istruttoria amministrativa ed istruttoria giurisdizionale). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO risdizionali divenuti definitivi (primo comma) ed i debiti risultanti da cambiali o vaglia cambiari, se anteriormente al.la data di apertura della successione ,siano stati annotati nelle scritture contabili del debitore regolarmente tenute od obbligatorie a norma di legge , ovvero m quelle del trattario o prenditore, qualora il debitore non sia obbligato alla tenuta delle scritture contabili (secondo comma). Ai sensi del terzo comma dello stesso art. 13, la test citata disposizione riguardante i debiti cambiari vale anche per gli addebitamenti dipendenti da as,segni emessi negli ultimi dodici mesi :in base a contratt:i di apertura di credito in conto corrente bancario . n success:ivo comma quarto dispone, infine, che l'ammontare degli assegni emessi dal defunto computato in diminuzione di quello degli accreditamenti effettuati su.11.o stesso conto, a condizione che l'assegno sia stato presentato al pagamento almeno quattro giorni prima dell'apertura della successione e che l'avvenuto pagamento risulti da un estratto delle scritture contabili obbligatorie dell'istituto, dal quale emerga l'integrale svolgimento del conto negli ultimi dodici mesi anteriori all'apertura della successione. L'amministrazione finanziaria pu chiedere fa esibizione, m originale o in copia autenticata, degli assegni o idi alcuni degili assegni indicati nell'estratto. Ai fini della dimostrazione dei debiti, dl successivo art. 16 stabilisce poi che per i debiti risultanti da atti scritti o da provvedimenti giurisdizionali occorre la produzione del titolo, in originale o in copia autent: ica (comma primo n. 1); che per i debiti cambiarti occorre produrre oltre al titolo, un estratto notarile delle scritture contabi'li obbligatorie del debitore o del prenditore o trattario (comma primo n. 2); e che per i debiti ne:i confronti di aziende o istituti di credito, oltre alla presentazione dell'estratto di cui all'art. 13, quarto comma, ed alla dichiarazione di sussistenza del debito al tempo dehl.'apertura della successione, deve essere prodotto anche un certificato dal quale risultino tutti i rapporti debitori e creditori in atto tra il defunto e l'istituto di credito alla data di apertura della successione (comma terzo). Tale essendo la normativa vigente, la Commissione tributaria di secondo grado dii Rovigo dubita che contrastino con :il principio della capacit contributiva, di cui all'art. 53 Cost., ~e disposizioni dei commi terzo e quarto del citato art. 13 del d.P.R. n. 637 del 1972. Ci perch, secondo l'interpretazione del giudice a quo -conforme peraltro a quella adottata dall'Amministrazione finanziaria, da ultimo con la risoluzione ministeriale n. 321052 del 21 dicembre 1976 -, per quanto attiene ai contratt:i di apertura di credito in conto corrente ban cario stipUll.ati dal defunto, le norme denunziate consentirebbero di de durre dall'attivo ereditario il saldo passivo risultante rispetto ai versa menti effettuati nel medesimo periodo ai soli assegni emessi ne:i dodici mesi anteriori. all'apertura della successione. Non si potrebbe, quindi, tener conto degli addebitamenti dipendenti da assegni emessi :in epoca l ! I II PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE precedente, n, conseguentemente, dedurre dalil'attivo ereditario lil saldo passivo :risultante dall'integrale svolgimento del conto corrente bancario. Anzi, secondo il giudice a quo, di saldo del conto corrente, attivo o passivo che sia, verrebbe determinato in termini difformi da quelLi risultanti dai dati .reali :in base 1ai quali. soltanto pu rettamente stabilirsi la capacit contributiva degli eredi. La questione non fondata. Essa, infatti, presuppone una lettura delle disposi2lioni di legge denunmaite che questa Corte, iin conformit all'opinione espressa, sul punto, dalla prevalente dottrina non ritiene di poter condiviidere. Giova in proposito, cos come ha fatto la difesa degli intervenuti, Presidente del Consiglio dei Ministri e Ministro delle finanze pro tempore, prendere le mosse dafil'abrogata legge tributaria ,sulle successionii (r.d. 30 dicembre 1923, n. 3270). Il legislatore del 1923, dopo aver posto come 1regola generale la deducibilit dei debiti certi e liqukld. risultanti da atto scritto in data certa anteriore all'apertura della successione (art. 45, commi primo, secondo e quarto), aveva dettato regole speciali volte ad attenuare il rigore formale della prova :in tal modo richiesta tenendo conto della particolare natura dii taluni tipi di passiiwt. Tra queste regole viene qui in considerazione quella di cui al quinto comma del medesimo art. 45 che, per la deducibild.t dei debiti di commercio o risUJltanti da cambiali od altri effettli all'ordine, stabiliva essere sufficiente che fossero annotati nei libri idi commercio, regolarmente tenuti a norma di legge, del d,ebitore o del creditore. Questa diisposizione agevolativa non fu in giurisprudenza giudicata applicabile all'emissione di assegni in 1c/c, per i quailii si riteneva perci necessal1ia la prova non della sola esistenza dell'assegno qUJietrunzato, bens anche dell'esistenza del rapporto sottostante e ci nei modi previsti dal:la regola generale di cui ai commi primo, secondo e quarto dell'art. 45. Siffatto rigore probatorio fu per fortemente attenuato con l'articolo unico della legge 24 dicembre 1969, n. 1038 (contenente norme interpretative ed integrative del citato articolo 45) che sostitu -rper la deduzione dei debiti derivanti da saldo passivo .di conto corrente bancario, originato da emissione di assegni alla dimostrazione del mpporto contrattuale di base mediante aitto di data certa ( quale che sia iii rapporto contrattuale sottostante ) quella dell'integrale svolgimento del conto a partire dal 31 dicembre dell'anno anteriore aill'apertum della successione o dall'ultimo saldo attivo del conto ; dimostrazione da darsi mediante 1dichiarazione dell',1stituto di credito o estratto notarile sulla base delle registrazioni operate anche per riassunto nei libri !inventari e giornale dello stesso istlituto di credito ed integrata con fa produzione degli assegni e con una dichiarazione di sussistenza del deblito. Rispetto a tale regolamentazione, quella !introdotta con il d.P.R. n. 637/1972, da un lato, ha mantenuto sostanzialmente, sul piano della RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 436 documenta2Jio~e I1ichiesta ai fini probatori, le disposizioni agevolative di cui alla legge n. 1038/1969 (peraltro escludendo dal computo glii assegni presentati aJl pagamento meno dii quattro giorni prima dell'apertura della successione e rendendo solo eventuale la .produzione degli assegni); dall'altro, ha limitato l'applicabilit di tali disposizioni ai sol.i assegni emessi mbase a contratti ,di apertura idi credito in conto corrente bancario (con esclusione di altri contratti bancari, come il deposito in conto corrente). Soprattutto -per quanto qui interessa -la normativa vigente ha circoscritto agili addebitamenti da assegni emessi nell'ultimo anno di vita del defunto la regola probatoria, meno !Ili!gorosa, della quale si discute. Dli conseguenza, mentre ~n base alla legge n. 1038/1969 era sempre possibile la 1dimos,trazione dell'esistenza di un saldo passdvo attraverso le ,scritture contabili delila banca, in quanto J:a ricostruzione delle vicende del conto corrente ere lin ogni caso effettuata a partire da un saldo attlivo (quello del 31 1dicembre dell'anno anteriore ,all'apertura della successione, ove risultasse, appunto, attivo, ovvero il saldo attivo anteriore a tale data, in caso contrario), con ila nuova normativa l'idoneit probatoria di tali scritture contabilli liimtata agli addebitamenti ed accreditamenti degli ultimd dodici mesi, sicch un eventuale saldo passivo preesistente non rpro~abile allo stesso modo. Non possono per ritenersi mutati, rispetto alla disciplina preesistente, n la natura dehle disposizioni dettate nell:a materia esaminata n il tipo dli rapporto strutturale intercorrente tra di esse. Tutte le disposizioni contenute nell'art. 13 d.P.R. n. 637/1972 sono, infattli, dirette a discip1inare non la rilevanza, ai fini dell'imposta sulle suocessioni, dei debiti nelle stesse considerati, bens fa prova che di taili deblitli occorre fornire perch essi siano deducibi1i dall'attivo ereditario. L'intero art. 13 contiene, cio, un s[stema 1di predeterminazione legale dei mezzi di prova che il legislatore, al fine di evitare evasioni fiscali e possibili collusioni dirette a realizzarile, ritiene necessarii per fa dimostra2lione della preeslistenza del debito all'apertura della ,successione e quindi per la sua deducibilit dall'attivo ereditario. In secondo luogo, non mutato, rispetto alla disciplina prees~stente, il rapporto intercorrente tra la regola genemle dettata nel primo comma dell'art. 13 (corrispondente al primo comma dell'art. 45 r.d. n. 3270/ 1923) e Je regole particolari che in materia di debiti cambiari e ,di debitli dipendenti da emissione di assegni sono poste dal secondo, dal terzo e dal quarto comma del medesimo articolo (corrispondenti rispettivamente, al quinto comma del citato art. 45 ed all'articolo unico della il. 1038/ 1969). Tra la Prima regola e le successive vi cio pur sempre, anche in base al1a nuova dli.sciplina, un :rapporto di suss1diariet, nel senso che le seconde, per agevolare l'assolvimento dell'onere probatorio, derogano alla prima ponendo requisiti meno rigorosi; il che comporita, ove questi uiltimi requisiti non ricorrano, non gi l'irrilevanza del debli.to, PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE ma il suo assoggettamento alla regola pirObatoria generale. T'anto i debiti cambiari che quelli dripendenti da emissione di assegni sono, infatti, di per s suscettibili di dimostn1zione attraverso la prova del ,rapporto contrattuale sottostante, SIcch ove questo sia documentato in un atto scritto di data certa anteriore all'apertura della successiione non vi ragione per escluderli dall noveirO di quelli la cui prova pu essere fornita alla istregua della norma generale. Non si tratta, cio, isotto il profilo in esame, di una diversa categoria di debi1li ed il fatto che, a propos[to dei debiti cambiari, non sia stata ripetuta nell'art. 13 la locuzione esplicitante ti1 rnpporto dii sussliidiarl.et contenuta nel quinto comma deil citato art. 45 r.d. n. 3270 del 1923 ( qualora non si trovino nelle condizioni previste nei p:rieoedentii capoversi) 111.on toglie che in sede di irnterpretazione logico-siistematica tale rapporto, secondo la comune opdn! ione della dottrina, debba essere pur sempre :riiconosduto sussistente. Ne consegue che altrettanto deve dirsi per i debiti dipe:ndentii da emissione di assegnl avvenuta in base a contratti di apertum di credito in conto corrente bancario, posto che per essi ~"art. 13, terzo comma estende espressamente ~a dliisposizione del comma precedente dettata per i debiti cambiar-i. Conclusivamente, non pu essere condii.visa la iinte:ripretazione delle dispoSti.zioni di legge denunziate dalla quale muove la Commissione tributaria di secondo grado di Rovigo per sollevare la questione di legittimit costituzionale di che trattarsi. Al contrario, si deve ritenere che, ove alla data di apertura della successione, in base a contratto dri apertura di credito in conto corrente bancario risulti un sai1do passivo (e cio un debito del defunto verso la banca) derivante -in rutto o iin parte da assegni emessi oltre un anno prima, la prova di questi addebitamenti potr essere offerta nei modi prevtism dal primo comma dell'art. 13, ferma restando rapplioabilit della ,regola ,di cui ,al quarto comma del medesimo art. 13 per gli addebitamentii iinfoannuailii. Le suesposte considera:z;iOnl conducono ad escludere che le norme impugnate configurino un presuipposto d'iimposta non corrispondente alla effettiva capacit contributiva degli eredi, dal momento che non precludono la computabilit, 1a finl ,dJi. deduzione, degli addebitamenti ultrannua1i. n fatto che per questi sia richiesta una prova pi rigoirOsa e, che, conseguentemente, l'erede possa non essere m grado ,di fornlrla non si pu addurre a motivo di incostituzionallit della norma che la pretende. Come fa Co!'te ha gi avvertito -in riferimento al citato art. 45 r.d. n. 3270/1923 -nella sentenza n. 50 del 1965, fimpossibiJit materiale di fornire la prova richiesta si risolve in un impedimento di mero fatto, come tale estraneo alla problematica costituzionale; e d'altm parte, ove tale impossibtiibit sia inco1pevole torne!'anno applicabili le ,disposizioni dettate, in via generale, dall'art. 2724 cod. oiv. N pu dirsii. che la 00!11 figurazione di una prova legale rigorosa equivalga a dare una base fit RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 438 tizia all':imposizdone tributaria. La prova legale mira a garantire la certezza dei raippor1li giuraidici e, in materia tributaria, anche a tutelare l'interesse generale aLla riscossione dei tributi contro ogni tentativo di evasione; e rientra nella discrezionalit del legislatore -H oui apprezzamento, ove non trasmodi in palese 'arbitrariet o irrazionalit, sfugge al sindacato di questa Corte -la scelta dei meccarll.sm:i probatori che si Titengano maggiormente ~donei a conseguire tale risultato. CORTE COSTITUZIONALE, 21 aprile 1983, n. 107 Pres. Elia Rel. Paladin -Presidente ConsigLio dei Ministrii (vdce avv. gen. Stato Azza. riti) e Regione Lombardia (avv. Pototsching). Corte Costituzionale Ricorso dello Stato avverso delibera legislativa regionale riapprovata Motivi diversi da quelli del previo rinvio governativo Inammissibilit. inammissibile il ricorso dello Stato avverso delibera legislativa regionale riapprovata quando non intercorre, neppure nelle linee essenziali, una corrispondenza tra motivi del previo rinvio governativo e le censure esposte nel ricorso (1). (omissis) Quanto 1ail primo motivo, esso non trova a:lcun riscontro nelle vagioni che hanno dspimto il previo rinvio governativo, disposto ai sensi dell'art. 127, terzo comma, della Costituzione. Dal testo del telegriamma ,di rinvio, trasmesso alla Regione Lombardia in data 17 marzo 1979, si ricaVla unicamente che da rparte Consiglio regionale non sunt stati adeguatamente valutati pareri espressi in ordine v'ariaziione territoriale da Consiglio comunaJle Trevdolo et Consiglio provinciale Bergamo; ed appunto per 1Jale motivo che Governo habet rinviato legge cui trattasi . Ora, una tale censura non prean nuncia per nulla quel diifietto 'di consultazione delle popolazioni :interessate, per la mancata osservianza della [egge reg:iona:le n. 12 del 1977, sul quale il ricorirente fa poggiare la gran parte delle proprie argomentazioni; sicch non 'sussiste, sotto questo aspetto, la necessaria corrispondenza, sia ipure sintetica e n:elle Mnee essenziali, che deve ntercor (1) La sentenza in rassegna riafferma in termini molto rigorosi (anche andando al di l di quanto sostenuto dalla difesa della Regione) il principio di corrispondenza tra motivi di previo rinvio e motivi di ricorso. Tale necessit di corrispondenza palesa la necessit di anticipare il momento di intervento dell'Avvocatura generale dello Stato, e di superare in qualche modo la separatezza da essa dell'ufficio (o dipartimento) addetto al controllo sulla legisla zione regionale. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE rere -secondo la cos:fJante giumsprudenza di questa Corte (mbadita, da ultimo, nelJla sent. n. 212 del 1976) - tra motiw del rin.Vii.o e censure esposte nel successivo ricorso. (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 28 aprue 1983, n. 109 -Pres. Blia -Rel. Malagugini -Ciabatti ed altri (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Siconolfi.). Atto amministrativo -Discrezionalit -Rifiuto o sospensione della patente di guida -Motivazione. (Cost. artt. 3, 4 e 35; d.P.R. 15 giugno 1959 n. 393, art. 91). Il provvedimento del prefetto con cui si nega o sospende la patente a soggetti diffidati (o in istato di libert vigilata) deve enunciare i motivi ulteriori che giustificano l'autonoma valutazione del prefetto. (omissis) Secondo i giudici a quibus la disposizione di legge in questione, conferendo al Prefetto, in tema di sospensione della patente a soggetti diffidati, un potere del tutto discrezionale, contrasterebbe: a) con l'art. 3, comma primo, Cost. in quanto rende possibile un trattamento disuguale tra soggetti tutti diffidati o, anche, tra soggetti diffidati, da un lato, e non diffidati, dall'altro; b) con l'art. 3, comma secondo, Cost. in quanto pone ostacolo allo svolgimento di oneste attivit lavorative, cos limitando di fatto ila libert e l'uguagHanza dei cittadini; e) con l'art. 4 ovvero con l'art. 35, primo e secondo comma, Cost., in quanto pu venirne vanificato il diritto al lavoro {per il quale sia richiesta la patente di guida) o eluso l'obbligo della Repubblica di tutelare fil lavoro stesso in tutte le sue forme ed applicazioni dal momento che la sospensione della patente al diffidato non subordinata all'accertamento che la patente medesima costituisce per il diffidato stesso indispensabile ed onesto mezzo di lavoro . Le censure proposte dai giudici rimettenti vanno esaminate nel contesto della disciplina vigente in materia di guida degli autoveicoli, per esercitare la quale -come risaputo - necessario ottenere uno snecifico titolo abilitativo, da rilasciarsi dal Prefetto. Il conseguimento della patente di guida subordinato all'accertamento dell'esistenza, in capo al soggetto interessato, dei requisiti e delle condizioni all'uopo stabilii.ti dalla legge, che attengono alla capacit tecnica, alla idoneit fisica e a quella morale, dell'aspirante alla guida. I requisiti morali sono indicati, in negativo, dai commi primo e secondo dell'iart. 82 del Codice della strada. Nelle situazioni ivi specificate l'esercizio del (preesistente) diritto del singolo a circolare RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 440 liberamente alla guida di autoveicoli -subordinato, in via generale, all'accertamento, da parte dell'autorit, dell'esistenza, nel soggetto interessato dei requrisiti di idoneit fisica e tecnica -incontra un limite posto a tutela della sicurezza pubblica: in termini vincolanti, nei oasi previsti dal primo comma dell'art. 82 del Codice della strada; in seguito ad una valutazione, negativa, discrezionalmente espressa dall'autorit prefetti.zia, nelle ipotesi di cui al second comma del medesimo art. 82. Si consideri, dunque, la patente di guida una vera e propria autorizzazione di polizia, secondo l'opinione prevalente, oppure una abilitazione, ovvero ancora un provvedimento di natura mista, comunque indubbio che il potere del Prefetto, di negare o di sospendere la patente stessa ai soggetti previamente diffidati dal questore ha carattere discrezionale, concretandosi dn un apprezzamento di merito, della situazione del diffidato, con riferimento specifico all'uso da parte sua del mezzo automobilistico. (omissis) Vero che i giudici a quibus si dolgono proprio della discrezionalit che, nell'ipotesi di cui all'art. 91, secondo comma (nonch dell'art. 82, secondo comma) del Codice della strada, come nell'esercizio di ogni altra attivit estrinsecantesi in una valutazione di merito, connotato naturale anche dell'azione amministrativa. Ci nell'erroneo presupposto che la discrezionalit debba o possa impunemente tradursi in mero arbitrio della autorit prefetti.zia, la quale viceversa, tenuta a rispettare i canoni della razionalit, dell'imparzialit e dell'uguaglianza di trattamento, la cui violazione deducibile con tutti i mezzi di gravame esperibili in vJa amministrativa e in via giurisdizionale. Ora, con la .gi ricordata sentenza n. 87 del 1971, questa Corte ha rilevato che il secondo comma dell'art 91 del Codice della strada considera la diffida presupposto necessario, ma non sufficiente di per s perch possa disporsi la sospensione della patente, a legittimare la quale occorre che l'autorit prefettizia accerti il sussistere di ulteriori elementi dai quali emerga l'esigenza di sospendere la patente (ovvero, nell'ipotesi di cui all'articolo 82, secondo comma, Codice della strada, di negarne il rilascio) a tutela della sicurezza pubblica. In altre parole, la mancanza o il venir meno dei requisiti morali non pu dedursi in modo meccanico ed automatico, soltanto dalla condizione di diffidato del soggetto interessato, ma occorre invece accertare se l'esercizio da parte sua del dimtto di circolare alla guida di autoveicoli possa ragionevolmente ritenersi in cont:r~asto con esigenze di tutela della sicurezza pubblica, cui preposta la P.A. e della quale appunto le qualit momli -da accertare l!lell'aspivante alla guida -si presume possano ga rantire il rispetto. Ci comporta che il provvedimento del Prefetto con cui si nega o sospende la patente nelle ipotesi considerate non potr essere basato sul puro PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE e semplice richiamo alla preesistente diffida del questore, ma, appunto perch facoltativo e discrezionale, dovr enunciare, sia pure succintamente, motivi ulteriori che giustificano l'autonoma valutazione del Prefetto. (omissis) Quanto alle diverse censure proposte dai giudici a quibus in riferimento agli artt. 3, secondo comma, 4 e 35, primo e secondo comma, Cost. va preliminarmente osservato che la pretesa violazione deg1i indicati parametri costituzionali presuppone l'intangibilit del diritto a circolare alla guida di automezzi, del diritto a conseguire e conservare la patente, tutte le volte che l'eserC2l.o di questo diritto appaia strumentalmente necessario pr non porre ostacoli limitativi di fatto della libert e dell'uguaglianza dei cittadini e per l'esercizio del diritto al lavoro, tutelato in tutte le sue forme e manifestazioni. Un siimile modo di argomentare non pu per essere accolto perch riconosciuta la legittimit costituzionale di limitazioni, legislativamente poste, nei limiti fissati dalla CostitUZJi.one stessa, ad uno dei diritti fondamentaM garantiti dalla Carta, non possono poi giudicarsi invece illegittime le conseguenze che da quelle limitazioni legislative abbiano a derivare nell'esercizio di altri diritti ai quali sia apprestata uguale garanzia. Nelle ipotesi che ci occupanb una volta riconosciuta e ribadita fa legittimit costituzionale delle limitazioni poste dalla legge, in via generale e per motivi di sicurezza, ial diritto di guidare autoveicoli -o, se si vuole, al diritto di circolare liberamente anche alla guida di autoveicoli -le censure ora in esame si dimostrano chiaramente infondate. Del resto, n l'art. 3, secondo comma, n l'art. 4, n l'art. 35 Cost. escludono che il legislatore possa, per l'esercizio di determinate attivit, imporre modalit e limiti a tutela di altri interessi ed esigenze di evidente rilievo costituzionale, quale indubbiamente la sicurezza pubblica. (omissis) I CORTE COSTITUZIONALE, 29 aprile 1983, n. 119 (ord.) -Pres. Elia -Rel. Paladiin -Regione Sardegna (avv. Guarino) e Pres.idente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Vittoria). Corte Costituzionale -Conflitto di attribuzione -Sospensione dell'atto hnpugnato -Minore redditivit di disponibilit finanziarie -Non sussistono le gravi ragioni , La minore redditivit delle somme destinate a riaffluire nella tesoreria statale, rispetto a quella che si avrebbe presso le aziende di credito, non basta a concretare le gravi ragioni di cui all'art. 40 della legge n. 87 del 1953. 442 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO II CORTE COSTITUZIONALE, 29 aprile 19~3, n. 121 (ord.) Pres. Elia Rel. Saja -Regione Marche e Presidente Consiglio dei Ministri. Corte Costituzionale Conflitto di attribuzione Sospensione dell'atto im pugnato Atto della Commissione di controllo Ininfluenza della sospensione. Non pu essere disposta la sospensione di un atto di controllo sospensivamente condizionante l'efficacia dell'atto cont,rollato. III CORTE COSTITUZIONALE, 29 aprile 1983, n. 122 (ord.) Pres. Elia Rel. Roehrssen -Regione Friuli Venezia Giulia e Presidente Consiglio dei Ministri. Corte Costituzionale Conflitto di attribuzione Sospensione dell'atto im pugnato Insuscettibilit di esecuzione dell'atto -Mancanza di presupposto per la sospensione. Presupposto per la proponibilit di una istanza di sospensione dell'atto che occasiona il conflitto di attribuzione la suscettibilit di effettiva esecuzione dell'atto stesso. IV CORTE COSTITUZIONALE, 29 aprile 1983, n. 125 (ord.) Pres. Elia Rel. Gallo -Regione Friuli Venezia Giu1ia (avv. Pacia) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato D'Amato). Corte Costituzionale Conflitto di attribuzione Sospensione dell'atto im pugnato Autotutela dello Stato nei confronti di una Regione Recupero graduale -Non sussistono le gravi ragioni . La rateizzazione del recupero di una somma indebitamente corrisposta dallo Stato ad una Regione esclude il sussistere delle gravi ragioni di cui all'art. 40 della legge n. 87 del 1953. l (omissis) ... per l'annullamento, previa sospensione dell'esecuzione, del decreto 30 luglio 1981 del Ministro del Tesoro ( Modificazione alla percentuale delle disponibi1it degld enti che le aziende di credito possono dete PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALB nere, nonch delle modalit di riafflusso nella tesoreria statale delle eccedenze di disponibilit); ritenuto che la Regione Saroegna, con il ricorso indicato in epigrafe, ha sollevato confldtto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei Ministri, impugnando il decreto 30 luglio 1981 del Ministro del tesoro, emanato in applicazione dell'art. 40 della legge 30 marzo 1981, n. 119; ed ha prodotto contestuale istanza di sospensione, adducendo che l'esecuzione dell'atto impugnato in pendenza di ricorso, darebbe luogo ad evidenti gravi pregiudizi per l'interesse pubblico, imponendo il trasferimento delle disponibilit finanziarie della Regione Sardegna, nella quasi totalit al tesoro con la perdita per la Regione delle entrate relative ai fondi stessi... ; considerato che, successivamente alla sentenza n. 95 del 1981, richiamata a sostegno del ricorso in esame, la Corte ha dichiarato non fondata, con la sentenza n. 162 del 1982, le questioni di legittimit costituzionale dei commi primo, secondo, quarto, quinto e decimo dell'art. 40 della citata legge n. 119 del 1981, sollevate -fra l'altro -daUa Regione Sardegna; considerato, d'altronde, che la minore redditivit delle somme destinate a riaffluire nella tesoreria statale, rispetto a quella che si avrebbe presso le aziende di credito, non basta a concretare le gravi ragioni di cui all'art. 40 della legge n. 87 del 1953. II (omissis) ...per l'annullamento, previa sospensione dell'esecuzione, dell'atto in data 26 marzo 1982, n. 8069, con cui la Commissione governativa di controllo sull'amministrazione della Regione Marche ha annullato la delibera n. 3251 del 9 settembre 1981 (nonch il successivo atto di chiarimenti n. 816 del 12 marzo 1982), di attribuzione, da parte della Giunta regionale, del trattamento economico al direttore generale dell'Ente di sviluppo delle Marche, dopo la precedente approvazione della sua nomina decisa dal presidente e assentita dal consiglio d'amministrazione dell'ente stesso; ritenuto che l'istanza di sospensione non pu essere accolta, in quanto si tratta di un atto i(di controllo) che ha annullato un provvedimento non immediatamente eseguibile (relativo al trattamento economico di un pubblico funzionario), sicch, anche se fosse disposta la sospensione di detto atto, il provvedimento controllato rimarrebbe pur sempre privo di efficacia, non potendo la sospensione sostituire l'atto approvativo da cui dipende l'efficacia del provvedimento predetto. III (omissis) ...ritenuto che il Pretore di Monfalcone ha promosso un giudizio penale nei confronti del Sindaco e del presidente dell'Azienda auto 444 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO noma di soggiorno di Grado imputandoli del reato di cui all'art. 1161, n. l, cod. nav., entrambi per avere impedito l'uso pubblico del demanio marittimo, sottoponendo l'intera spiaggia di Grado ed il lido, gestiti in regime di concessione, a recinzione completa e continua, inibendo qualsiasi accesso al mare da parte del pubblico; ili1 secondo anche per essersi sostituito nella gestione di una spiaggia al concessionario senza l'autorizzazione richiesta dall'art. 46 cod. nav.; che con sentenza n. 92 del 1982, emessa il 18 marzo 1982, il Pretore di Monfalcone ha accertato la sussistenza di detti fatti ed ha ritenuto che essi integrino estremi oggettivi di reato, ma ha prosciolto gli imputati per carenza del requisito della coscienza de1l'antigiuridicit della loro azione; che in detta sentenza il Pretore di Monfalcone ha affermato: Sar tuttavia attendersi per l'avvenire un diverso atteggiamento degli imputati e della stessa P. A. concedente, alla quale andr opportunamente notificata, per tutte le determinazioni di competenza, copia della presente sentenza passata in giudicato; che con ricorso notificato al Presidente del Consiglio dei Ministri il 15 giugno 1982, il. Presidente della Giunta regionale del Friuli-Venezia Giulia, ravvisando nell'affermazione anzidetta una sostanziale intimidazio. ' ne a rendere libera la spiaggia di Grado, ha chiesto la sospensione di tale . . . intimazione e l'annullamento della sentenza nella parte in cui contiene codesta .intimazione dichiarando che non spetta al pretore il potere di I impartire prescrizioni sulle modalit d'uso della spiaggia di Grado . 11 considerato che la suddetta sentenza 18 marzo 1982 del Pretore di Monfalcone nella parte in cui contiene la censurata intimazione non in alcun modo suscettibile di esecuzione e, quindi, di produrre il danno che costituisce il presupposto della richiesta sospensione. IV (omissis) ...per l'annullamento, previa sospensione dell'esecuzione, del provvedimento enunciato nella lettera 26 novembre 1982 n. 2159 (pervenuta alla Regione il 6 dicembre 1982) del Ministero delle Finanze -Direzione Generale per la finanza locale -; provvedimento con il quale detto Ministero ha rilevato che l'IGE all'importazione non andava compresa nella previsione dell'art. 49 n. 5 dello Statuto speciale di autonom'!a del Friuli- Venezia Giulia; ha accertato la conseguente maggiore corresponsione alla detta regione, sugli importi sostitutivi dell'IGE (art. 8 D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 638) e per il periodo 1973-1982, della somma complessiva di L. 186 milia1di e 438.158,718; ed ha disposto il recupero di detta somma nei confronti della Regione Friuli-Venezia Giulia; cosi violando, secondo ila ricorrente, il principio costituzionale del divieto di autotutela nei rapporti fra PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Stato e Regioni, desumibile dall'art. 134 della Costitu~ione, nonch gli artt. 65 e 29 dello Statuto speciale di autonomfa della Regione Friuli-Venezia Giulia; considerato che non sussiste l'obiettiva impossibilit di restituzione in pristino qualora il giudizio di merito dovesse risolversi a favore della ricorrente, n d"altra parte appare irreparabile il danno che la Regione verrebbe a subire a seguito del parziale recupero frattanto disposto dal Ministero deHe Finanze, posto che -secondo le dichiarazioni rese a verbale dall'Avvocato dello Stato in Camera di Consiglio -il recupero stato programmato dal Ministero per il corso di un decennio, attraverso una parziale e graduale compensazione annua con le somme che lo Stato sar via via per erogare alla Regione; che, pertanto, non sussistono le gravi ragioni richieste dall'art. 40 della ilegge 11 marzo 1953, n. 87. I CORTE COSTITUZIONALE, 14 luglio 1982, n. 130 P,res. Elia -Rel. Roehrssen -Frigento ed altri (avv. Schwarzenberg) e Presidente Consdglio dei Ministri (vice avv. gen Stato Cavalli). Impiego pubblico -Omnicomprensivit del trattamento economico -Li miti. {Cost., art. 3; d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, art. 12). La omnicomprensivit retributiva non pu comprendere i compensi di attivit non aventi una connessione oggettiva con la funzione prima ria del dipendente pubblico. Contrasta con l'art. 3 Cost. l'art. 12, ultimo \ comma, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, nella parte in cui esclude dal diritto ai compensi per la partecipazione alla decisione dei ricorsi in ma teria tributaria i componenti delle commissioni t'ributarie di I e II grado che siano impiegati amministrativi dello Stato con trattamento omnicomprensivo. Il CORTE COSTITUZIONALE, 13 gdugno 1983, n. 161 -Pres. De Stefano - Rel. Gallo Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Laporta) e Regione Friuli Venezia Giulia (avv. Paoia). Comune Compresi gli amministratori locali -Indennit per speciali com piti -Cumulabilit. (Cost., art. 97; Statuto Friuli Venezia Giulia, art. 5; 1. reg. Friuli Venezia Giulia 16 settem bre 1980 n. 98 bis). Agli amministratori di enti locaJ.i della regione Friuli Venezia Giu Zia pu essere attribuita una indennit aggiuntiva in relazione agli spe RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 446 ciali compiti per la ricostruzione delle zone colpite dal sisma del 1976; la circostanza che una prima indennit sia corrisposta a compenso di attivit svolte a tempo pieno di per s non determina n una omnicomprensivit n una incompatibilit con altre attivit qualitativamente diverse dalle anzidette. I (omissis) L'art. 12, ultimo comma, del D.P.R. n. 636 del 1972 esplicitamente esclude la corresponsione di compensi per la partecipazione ai lavori delle commissioni tributarie agli impiegati dello Stato che fruiscono del trattamento onnicomprensivo, partendo ovviamente dal presupposto che la onnicomprensivit abbracci ogni attivit che venga posta in essere dall'impiegato amministrativo nell'ambito della organii.zzazione statale. Senonch, come riconosciuto dalla giurisprudenza amministrativa, la onnicomprensivit non pu razionalmente avere estensione tale da comprendere ogni e qualsiasi attivit che, pure svolgendosi nel quadro statale, non abbia una connessione a rapporto oggettivo con la funzione primaria del dipendente statale. Ci posto, ad escludere, nella specie, questa connessione sufficiente osservare che l'attivit delle cmmissioni tributarie di cui al citato D.P.R. n. 636, ha natura giurisd.izionale (cfr. le sentenze n. 287/1974 e n. 215/1976 ,di questa Corte): tale qualificazione non pu non comportare che l'impiegato amministrativo, a qualsiasi Amministrazione statale appartenga, quando viene inserito nella organizzazione della giurisdizione tributaria, chiamato ad esercitare un'attivit qualitativamente ben diversa da quella che la sua propria sulla base dell'atto di nomina all'impiego statale e che lo stipendio che gli corrisposto in relazione al rapporto d'impiego non pu coprire l'attivit che deve essere svolta in seno alle commissioni tributarfo. Ne consegue, ovviamente, che viene meno il presupposto sulla cui base il legislatore ha escluso ogni compenso per i componenti delle commissioni tributarie di I e II grado che siano impiegati statali soggetti alla onnicomprensivit e che la diversit di trattamento economico esistente fra costoro ed ogni altro componente le dette commissioni rimane priva di ogni giustificazione. L'art. 12, ultimo comma, predetto, viola qu.indi, nella parte suddetta, il disposto dell'art. 3, primo comma, della Costituzione e va dichiarato illegittimo sotto tale profilo, restanto assorbita la questione relativa alla violazione dell'art. 35 Cost. II Con atto 1 ottobre 1980, notificato fil 3 suceessivo, e depositato presso questa Corte il 13 stesso mese, il Presidente del Consiglio dei ministri, PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedeva dichiararsi l'illegittimit costituzionale della l.r. Friuli-Venezia Giulia, riapprovata il 16 settembre 1980 nel testo gi approvato il 23 luglio precedente. Tale legge reca norme per la corresponsione di una indennit a taluni amministratori di enti locali in relazione all'attivit extraistituzionale dagli stessi svolta per conto dell'Amminristrazione regionale medesima quali funzionari delegati all'attuazione degli speciali e straordinari compiti di cU! alle leggi regionali in materia di ricostruzione delle zone colpite dagli eventi sismici del 1976 : e ci per il periodo !intercorrente dall'attribuzione delle dette funzioni delegate al 31 dicembre 1978. (omissis) ben vero, infatti, che l'art. 11 dello Statuto regionale prevede com' ovvio -la delegazione a Province e Comuni cli funzioni am~inistrative come espressione del normale esercizio delle funzioni regionali. Ma evidente che si tratta delle ordinarie funzioni istituzionali, che le Regioni hanno appunto il potere di delegare agli Enti territoriali della propI1ia circoscrizione. La delega, invece, di cui si parla nell'art. 1 della legge impugnata, di ben altra natura. Essa intanto non si riferisce agli Enti, come quella dell'art. 11 ora citato, bens alle persone preposte a quelli e ad altri enti territoriali, e ad attivit -come si detto - extra-istituzionali che gli stessi svolgono per conto dell'Amministrazione regionale quali funzionari delegati all'attuazione degli speciali e straordinari compitli di cui alle leggi regionali in materia di ricostruzione delle zone colpite dagli eventi s1iismici del 1976 . Quali fossero in concreto siffatte speciali e straordinarie attivit extra-istituzionali che la Regione, gi prima, ma particolarmente dopo la L. statale 8 agosto 1977, n. 546, delegava ai singoli funzionari preposti a quegli Enti, risulta dalle disposizioni legislative richiamate sia nell'atto di costituzione della Regione che nella successiva memoria difensiva. Si tratta di un servizio singolare di funzionario delegato quale ordinatore secondario di spesa: servizio che l'amministrazione regionale dovrebbe svolgere direttamente a mezzo di propri agenti contabili o di propri funzionari delegati a' sensi dell'art. 56 e s. del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, ma che eccezionalmente il legislatore regionale ha consentito di attribuire anche a funzionari estranei all'organizzazione regionale. La possibilit di tale deroga, infatti, prevista dalla lett. h) dell'art. 1 della citata legge statale 8 agosto 1977, n. 546, dove sancito che con legge regionale saranno anche determinate le modalit degl'interventi e delle iniziative, nonch le procedure relative, anche in deroga alle norme vigenti, ivi comprese quelle sulla contabilit generale dello Stato , Ebbene, le dette delegazioni agli ordinatori secondari di spesa sono state effettuate mediante aperture di credito a loro nome (e non dunque RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 448 degli Enti), sulla base di particolari leggi regionali via via emanate, e gli ordinatori sono tenuti a risponderne personalmente e a rendere il conto direttamente alla Regione. (omissis) Non sii tratta, dunque, di duplicazione dell'indennit di cui alla legge regionale n. 31 del 1976 e seguenti. Rileva, tuttavia, altres l'Avvocatura che queste ultime leggi regionali hanno elargito un emolumento a compenso di compiti svolti a tempo pieno il quale, non essendo evidentemente ulteriormente dilatabile, postula la ricomprensione nel suo ambito di ogni altra attivit conferita ai detti amministratori.. Tant' vero -si soggiunge -che le ulteriori disposizioni contenute nella legge regionale 18 agosto 1980, n. 36, che detta la nuova disciplina dell'indennit straordiinaria, esplicitamente prescri vono la non cumulabilit della predetta con qualsiasii altra indennit, proprio perch corrispettivo di un incarico a tempo pieno. Il rilievo penetrante ma non puntuale. A parte, infatti., la considerazione che esso sarebbe esclusivamente riferibile agli amministratori che lo hanno avuto conferito, l'ovvia indilatabilit del cosiddetto tempo pieno presuppone il confronto con attivit omogenee su di un piano quantlitativo. Ma, quando si tratti di at tivit qualitativamente diverse, non sussiste incompatibilit coll'espleta mento di quelle a tempo pieno. La riprova si ha in una pi attenta lettura proprio dell'art. 2 comma secondo della invocata l.r. 18 agosto 1980, n. 36, il quale effettivamente di.vieta la cumulabilit dell'indennit straordinaria con qualsiasi altra indennit, ma semprech sii tratti di in dennit previste per l'assolvimento di incarichi presso lo stesso Ente o presso enti, comunit, aziende, consorzi cui partecipi l'Ente di appartenenza . S' visto, invece, che si tratta di incarichi extra-iistituzionali di ordinatori secondari di spesa, conferiti dalla Regione nell'ambito di attivit sue proprie, di norma riferibili all'area della sua stessa organizzazione. Non esiste, pertanto, contrasto della legge impugnata con l'art. 97 Cost. (omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 16 maggio 1983, n. 138 Pres. Elia Rel. Gallo Dovicchi (n. p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (Vlice avv. gen. Stato Chiarotti). Procedimento penale Ricusazione del giudice Incidente di legittimit costituzionale Non legittimazione del giudice ricusato. (Cost., art. 107; cod. proc. pen., art. 64). E inammissibile la questione di legittimit costituzionale sollevata da giudice ricusato in ordine all'incidente di ricusazione che lo riguarda. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (omissis) Secondo il Pretore, la soluzione della questione di legittimit si porrebbe come preliminare rispetto agli adempimenti di cui agli artt. 66 e seg. cod. proc. pen. Senonch, nel detto articolo non si leggono adempimenti che concernano attivti.t giurisdizionale del Pretore nell'am bito del~a procedura di ricusazione. L'art. 66 citato prevede soltanto che la dichiarazione di ricusazione sia presentata, assieme ai documenti che vi si rifeniscono, al cancelliere del Giudice che istruisce o che procede al dibattimento o che deve deliberare in Camera di Consiglio. Il magistrato ricusato, pertanto, non destinatario della presentazione stessa, e tantomeno dell'atto di ,ricusazione sul quale, a' sensri dell'art. 68 cod. proc. pen., sono competenti a giudicare organi diversi. Quegli adempimenti, 'pertanto, si sostanziano nell'atto dovuto de11a mera trasmissione del fascicolo concernente la ricusazione al giudice competente, ad iniziativa ed opera del Cancelliere: e non pu esservi, quindi, rispetto ad essi, veruna pregiudizialit. Questo assunto trova conferma proprio nel sistema delineato dal codice di rito che non ammette sospensione del processo principale in corso per H solo fatto della presenta2lione dell'atto di ricusazione. Secondo il disposto di cui all'art. 69 cod. proc. pen., infatti, dopo che il giudice competente a giudicare sulla ricusazione ne abbia riconosciuto l'ammissibilit, e ordinato che ne sia avvertito il ,giudice ricusato, questi -dopo tale notizia -pu compiere soltanto atti urgenti d'istruzione. Il che significa che, salvo tali atti, solo da quel momento il processo prinoipale resta di fatto sospeso, fino a quando l'incidente di ricusazione non sia stato comunque risolto. Infatti, se la ricusazione venisse accolta, il giudice che l'ha decisa, designerebbe altro magistrato a surrogare il ricusato (art. 70, terzo comma cod. proc. pen.). Ammettendo il giudice a quo a sollevare questiorni di legittimit co stitu2lionale in ordine aWincidente di ricusazione che lo riguarda, gli si consentirebbe d'infrangere virtualmente un siffatto sistema, !in quanto si farebbe dipendere dalla sua discrezione la sospensione del processo principale, che il legislatore ha invece riservato di fatto all'intervento del giudice competente dopo la valutazione dell'ammdssibilit dell'atto di ri cusazione. Tutto ci, d'altm parte, conseguenza dell'autonomia del giudizio incidentale di ricusazione rispetto a quello del processo principale. In fatti, se il giudice del1a ricusazione, favorevolmente valutata l'ammissi bilit, ritenesse di sollevare a quel punto la questione di legittimit co stituzionale, sarebbe l'incidente di ricusa2tlone a rimanere sospeso. Il pro cesso principale, invece, resterebbe sospeso di fatto e soltanto indiretta mente, salvo gli atti indifferibili, sempre a causa della notizia del posi tivo giudizio di ammissibilit de11a ricusazione pronun2tlata dal giudice competente. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 450 Anche in tal caso, quindi, la conseguente indiretta sospensione del processo principale resterebbe comunque affidata al provvedimento del giudice della ricusazione e alla notizia che questi ne fa dare al giudice ricusato. Del resto, anche a tener conto di quella parte non pacifica della giurisprudenza ordinaria secondo cui al giudice ricusato competerebbe la delibazione delle palmari cause di inammissibilit ictu oculi, non pu di sconoscersi che una questione di legittimit che coinvolge ardue e contrastate problematiche sulla complessa natura dell'attivit pretorea non pu in alcun modo essere paragonata a quelle situazioni d'intuitiva evidenza. Altro , infatti, dichiarare l'inammissibilit di un'istanza di ricusazione sicuramente presentata fuori .termine, o da chi manifestamente non le~ittimato, per proseguire nel giudizio principale, altro , invece, sospenderlo per investire la Corte Costituzionale a seguito di un giudizio di non manifesta infondatezza. CORTE COSTITUZIONALE, 31 maggio 1983, n. 147 (ord.) Pres. Elia Rel. La Pergola Presidente Consiglio dei Ministri (wce avv. gen. Stato Chiarotti). Procedimento penale Reato ministeriale . Messa in istato di accusa Autonomia delle procedure parlamentari. (Cast., artt. 90 e 96; 1. cast. 11 marzo 1953 n. 1, art. 12; 1. 10 maggio 1978 n. 170, art. 4). Qualsiasi procedimento instaurato avanti agli organi parlamentari, ai fini di un eventuale giudizio di accusa, del tutto autonomo rispetto ai procedimenti penali avanti agli organi giurisdizionali. Ritenuto che con ordinanza 30 maggio 1979 il Pretore di Genova ha proposto questione d:i legittimit costituzionale dell'art. 4, prlln.o comma, della legge 10 maggio 1978, n. 170, e degli artt. 17, 18 e 26 del relativo regolamento parlamentare in rifermento agli artt. 90 e 96 Cost. e 12 legge Cost. n. 1 dell'll marzo 1953; che detta questione sollevata dal giudice a quo nel corso di indagini da lui condotte sul mancato rinnovo delle cariehe direttive della Cassa di Riisparmio di Genova, perch si configurerebbero indizi di reati (mnis,sione ed abuso innotninato di atti di ufficio) in capo ai ministri componenti il Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio all'epoca in cui la Banca d'Italia aveva, in relazione al caso in esame, trasmesso gli elementi necessari e sufficienti per l'emanazione dei provvedimenti di loro competenza; PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE che, ad avviso del Pretore di Genova, pur trattandosi nella specie di un'ipotesi di reato ministeriale, di fronte alla quale egli sul punto di spogliarsi degli atti (per trasmetterli al Parlamento), sussiste la rilevanza della dedotta questione: le norme denunciate, che disciplinano il giudizio in sede parlamentare, si applicherebbero al medesimo fatto, che stato oggetto del giudizio in questa prima fase; l'assetto delle competenze, sarebbe poi cos congegnato, che il giudice ordinario, trasmessi gli atti in Parlamento, pu essere successivamente smentito dalla Corte Costituzionale -davanti la quale la Commissione inquirente abbia intanto promosso conflitto negativo di attribuzioni -e cos riavere il processo, eventualmente modificato dalle deliberazioni adottate dalla Commissione , anche con riguardo alla riunione o separazione dei procedimenti, rispettivamente a carico dei ministri e dei cosiddetti coimputati laici; infine, la rilevata continuit del processo innanzi agli organi parlamentari e al giudice ordinario conferirebbe a quest'ultimo il titolo per promuovere il giudizio di costituzionalit anche in limine, come accade nella specie, all'instaurazione, in sede parlamentare, delle procedure di accusa per gli illeciti ministeriali; che la non manifesta infondatezza della questione sostanzialmente argomentata in base al rilievo che l'art. 4 della legge n. 170 del 1978, e fo connesse statuizioni del regolamento parlamentare sui giudizi di accusa, attribuiscono alla Commissione poteri deliberanti che, secondo Costituzione, spetterebbero esclusivamente al Parlamento in seduta comune; che l'art. 26, ultimo comma, di detto regolamento poi censurato in quanto prescrive la maggioranza assoluta per la messa in stato di accusa dei ministri, mentre si assume che tale aggravamento procedurale valga soltanto per .le accuse elevate nei rigua11di del Capo dello Stato; ritenuto altres che nel presente giudizio ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei Ministri per il tramite dell'Avvocatura dello Stato; che l'Avvocatura eccepisce in via preliininare l'inaminissibilit della questione, la quale li.nvestirebbe disposizioni, che non possono venir applicate nel giudizio a quo, o che addirittura, dove le censure di incostituzionalit riguardano previsioni del regolamento parlamentare, devono ritenersi sottratte al sindacato della Corte; che l'Avvocatura cos deduce, nel merito, l'infondatezia della que stione: a) la disciplina in esame ha sostanzialmente modificato quella in precedenza dettata dalla legge n. 20 del 1962, ai sensi della quale la Com missione disponeva dei poteri del pubblico ministero nell'istruzione e dello stesso giudice istruttore, mentre ora risulta accentuata la sua fisio noinia di organo referente, che pu soltanto archiviare le notizie mani festamente infondate o altrimenti riferire al Parlamento, per le delibe razioni di sua competenza; b) l'aver previsto il suddetto potere di archi RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 452 viazione, a parte le cautele procedurali che ne circondano l'eserci2iio, non urterebbe comunque contro l'art. 12 legge costituzionale n. 1 del 1953, dovendosi detta statuizione !intendere nel senso che essa prescriva l'intervento del Parlamento in seduta comune solo nel caso in cui la Commissione abbia deciso per la messa in stato d'accusa degli inquisiti; c) il parametro test richiamato non sarebbe offeso nemmeno dal disposto dell'art. 26 del regolamento parlamentare, che per l'accusa dei ministri stabilisce il requisito della maggioranza assoluta: l'invocata statuizione, di rango costiituzionale, consentirebbe, invero, la censurata soluzione procedurale, del resto non preclusa dagli artt. 90 e 96 Cost., abilitando specificamente la fonte regolamentare a prevedere nella specie l'adozione di qualsiasi maggioranza, anche aggravata; considerato che occorre preliminarmente esaminare le eccezioni di inammissibilit proposte dall'Avvocatura dello Stato; che il giudice a quo denuncia norme afferenti alle attribuzioni della Commissione inquirente e alle modalit del procedimento di messa in stato di accusa dei mirnistri; epper qualsiasi procedimento che, ai fini di un eventuale giudizio di accusa, fosse instaurato avanti agli organi parlamentari, sarebbe, dive11Samente da come si asserisce nell'ordinanza di rlinvio, del tutto autonomo da quello di cU!. conosce il Pretore di Genova; che allora evidente come nel giudizio a quo non possano trovare applicazione le norme oggetto del presente giudizio; che ci basta ad escludere che la questione sia stata ritualmente prospettata alla Corte, e quindi assorbe ogni altro rildevo dedotto, in punto di ammissibilit, dall'Avvocatura. CORTE COSTITUZIONALE, 13 giugno 1983, n. 165 -Pres. Elia -Rel. Saja -Ardizzone {n. p.). Lavoro . Diritto di sciopero -Coazione della pubblica autorit mediante sciopero Illegittimit costituzionale -Limiti. (Cost., art. 40; cod. pen., art. 504). Contrasta con l'art. 40 Cost. l'art. 504 cod. penale nella parte in cui punisce lo sciopero avente lo scopo di costringere l'autorit a dare o ad omettere un provvedimento o lo scopo di influire sulle deliberazioni di essa, a meno che non sia diretto a sovvertire l'ordinamento costituzionale ovvero ad impedire o ostacolare il libero esercizio dei poteri legittimi nei quali si esprime la sovranit popolare. Nel corso di un procedimento penale a carico di... imputati del reato di coazione della pubblica autorit mediante sciopero (art. 504 cod. penale), essendosi astenuti dal loro lavoro di dipendenti della Banca d'Ita PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE llia per protestare contro l'emissione di un mandato di cattura nei confronti del vice direttore generale e del governatore della Banca, il Pretore di Enna sollevava questioni di legittimit costituzionale dell'art. 504 cit... (omissis) Va ricordato che con sentenza 27 dicembre 1974 n. 290 questa Corte ha dichiarato parzialmente illegittimo, per contrasto con gli artt. 3 e 40 Cast., l'art. 503 cod. penale, il quale puniva lo sciopero per fini non contrattuali, nella considerazione che rientra nella previsione dell'art. 40 della Costituzione anche lo sciopero non avente finalit economiche, a meno che non sia diretto a sovvertire l'ordinamento costituzionale ovvero ad impedire o ad ostacolare il libero esercizio dei poteri legittimi nei quali si esprime la sovranit dello Stato. La medesima ratio ricorre per il reato in esame, previsto dal successivo art. 504 cod. penale. .(omissis) Intuitivamente, anche nell'ipotesi considerata, li1 diritto di sciopero non ammesso senza limitazioni, ma il suo esercizio va coordinato con gli ltri beni costituzionalmente protetti, sicch la previsfone dell'art. 504 risulta illegittima solo parzialmente, come la ricordata sentenza ha ritenuto rispetto al cit. art. 503 cod. penale; rimane pertanto illecito lo sciopero diretto a sovvertire l'ordinamento costituzionale ovvero ad impedire od ostacolare il libero esercizio dei poteri legittimi nei quali si esprime la sovranit popolare. Ed appena il caso di soggiungere che spetta al giudice ordinario accertare, nella multiforme variet dei casi concreti, quando ricorrano tali limiti e pertanto la condotta dell'imputato continui a costituire illecito penale. dichiara l'illegittimit costituzionale dell'art. 504 cod. penale nella parte in cui punisce lo sciopero il quale ha lo scopo di costringere l'autorit a dare o ad omettere' un provvedimento o lo scopo di influire sulle deliberazioni di essa, a meno che non sia diretto a sovvertire l'ordinamento costituzionale ovvero ad impedire o ostacolare il libero esercizio dei poteri legittimi nei quali si esprime la sovranit popolare. CORTE COSTITUZIONALE, 16 giugno 1983, n. 173 -Pres. Elia -Rel. La Pergola -Orioli (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri. (avv. Stato Angelini Rota). Istruzione e scuole -Scuola materna -Insegnanti di sesso maschile Esclusione Illegittimit costituzionale. (Cost., artt. 3 e 34; r.d. 5 febbraio 1928 n. 577, artt. 39 e 41; r.d. 11 aprile 1933 n. 1286, artt. 1 e 6; l. 18 marzo 1968 n. 444, artt. 8, 9, 10, 11, 18, 19, 20 e 28; !. 9 aprile 1978 n. 463, art. 9). Anche la scuola materna ha funzioni educative e di formazione; la presenza di una componente maschile nel corpo insegnanti pu arricchire RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO la scuola materna del contributo di pi varie risorse educative. Sono costituzionalmente illegittimi: a) l'art. 39 del r.d. 5 febbraio 1928, n. 577, e l'art. 41 dello stesso decreto (come modificato dall'art. 1 del r.d. 11 agosto 1933, n. 1286, e dall'art. 1 della legge 3 aprile 1958, n. 470), nonch l'art. 6 del citato r.d. n. 1286 del 1933 e l'art. 9 della legge 18 marzo 1968, n. 444, nella parte in cui tali disposizioni escludono gli alunni e candidati privatisti di sesso maschile rispettivamente dalla frequenza della scuola magistrale e dai relativi esami di abilitazione e gli insegnanti di sesso maschile dall'attivit didattica della scuola statale del grado preparatorio; b) gli artt. 8, 10, 11, secondo comma, 18, terzo comma, 19, 20 e 28 della citata legge n. 444 del 1968, nonch l'art. 9 della legge 9 agosto 1978, n. 463, nella parte in cui tali disposizioni si riferiscono alle insegnanti, invece che al corpo docente di ambo i sessi. (omissis) Ingiustificata, in primo luogo, l'esclusione degli allievi maschi dalla frequenza delle scuole magistrali, giacch non pu certo presumel'Si che alcun discente sia, in funzione del sesso, inidoneo all'ordine o al tipo di studi qui considerato. La norma che determina la censurata discriminazione confligge dunque con il principio di eguaglianza, prima ancora che con il precetto dell'art. 34 Cost., in forza del quale la scuola aperta a tutti . Lesiva dell'art. 3 Cost. poi, a pari titolo, la statuizione che si riferisce alle sole privatiste, e cos esclude implicitamente dagli esami di abilitazione i candidati dell'altro sesso. Essa non trae, va precisato, alcun razionale supporto nemmeno dall'essere, come si diceva, intimamente connessa con l'altra norma, che per la scuola materna contempla soltanto insegnanti donne. Anche la soluzione adottata a quest'ultimo proposito dal legislatore , .infatti, rincompatibile col principio di eguaglianza. Quanto si or ora affermato risulta chiaro, solo che si consideri come l'istruzione del grado preparatorio sia collocata nel quadro della scuola statale. Il fatto che essa sia vocata ad operare in una sfera, nella quale possono riflettersi altri valori costituzionalmente garantiti, diversi da quelli che ineriscono alla scuola -quali, per esempio, la famiglia e il diritto-dovere dei genitori di educare ed istruire i figli (art. 30, primo comma, Cost.), o la tutela dell'infanzia (art. 31, secondo comma, Cost.) nulla toglie alla sua (funzione educativa e formatrice: semmai, ne rischiara l'importanza, del resto attestata dalla lunga esperienza che anche all'estero si fatta di scuole analoghe alla materna (Ecole maternelle francese, Kindergarten statunitense, Nursery o Infant School britannica), e dal costante interesse della scienza pedagogica ai problemi de1la corrispondente fascia dell'et infantile. Ai sensi della legge n. 444 del 1968, che ne ha configurato l'assetto, la scuola materna statale accoglie i bambini nell'et pre-scolastica dai 3 ai 6 anni e si propone fini di educazione e di PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE sviluppo della personalit infantile, di assistenza e di preparazione della scuola dell'obbligo, integrando l'opera della famiglia. Gli orientamenti dell'attivit educativa, adottati con decreto del Presidente della Repubblica (10 settembre 1969, n. 647) in conformit ed attuazione dell'art. 2 della stessa Jegge, stabiliscono che l'insegnante promuove e dirige con libert di metodo lo sviluppo della personalit del bambino nelle molteplici sfere dell'educazione (religiosa, affettiva, morale e sociale, intellettuale, fisica e sanitaria), nel gioco, nell'attivit costruttiva e di vita pratica, e nella espressione grafico-pittorica e plastica. Il modello di scuola ivi disegnato deve inoltre rispondere agli odierni bisogni della collettivit. Non occorre indagare le basi scientifiche di queste prescrii;ioni, perch si veda che nulla impedisce di affidare i risultati prefigurati dal legislatore anche all'opera degli insegnanti maschi: una volta, beninteso, che questi siano provv;isti della preparazione specialistica e dell'esperienza professionale, prescritte per il conseguimento del relativo titolo abilitante. La presenza di un componente maschile nel corpo insegnante pu anzi arricchire la scuola materna del contributo di pi varie risorse educative e di una maggiore apertura di tutta l'attivit didattica alla realt sociale. (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 29 giugno 1983, n. 193 -Pres. De Stefano -Rel. Andrio1i -Cammarota ed altri (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Cavalli). Procedimento civile Lavoro -Intervento volontario -Fissazione di nuova udienza -Necessit. (Cost., artt. 3 e 24; cod. proc. civ., art. 419). Contrasta con l'art. 24 Cast. l'art. 419 (sub art. 1 l. 11 agosto 1973, n. 533) c.p.c. nella parte in cui, ove un terza spieghi intervento volontario, non attribuisce al giudice il potere dovere di fissare -con il rispetto del termine di cui all'art. 415 comma quinto (elevabiJe a quaranta giorni allorquando la notificazione ad alcuna delle parti originarie contumaci debba effettuarsi all'estero) -una nuova udienza, non meno di dieci giorni prima della quale potranno le parti originarie depositare memoria, e di disporre che, entro cinque giorni, siano notificate alle parti originarie il provvedimento di fissazione e la memoria dell'interveniente, e che sia notificato a quest'ultimo il provvedimento di fissazione della nuova udienza. (omissis) La considerazione della disciplina positiva .degli interventi nel rito speciale del lavoro consente di constatare che, mentre gli artt. 416 e 419 impongono all'interveniente volontario lo stesso termine di dieci giorni prima dell'udienza di discussione senza distinguere a seconda che RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO l'interveniente proponga domanda contro tutte le parti originarie (intervento principale) ovvero contro il solo attore o il solo convenuto (intervento adesivo autonomo) oppure si limiti a sostenere le ragioni di alcuna delle parti alla vittoria della quale ha interesse (intervento adesivo semplice o dipendente), l'art. 420 prescrive al comma nono che nel caso di chiamata in causa a norma degli artt. 102, secondo comma, 106 e 107, il giudice fissa una nuova udienza e dispone che, entro cinque giorni, siano notificati al terzo il provvedimento nonch il ricorso introduttivo e l'atto di costituzione del convenuto, osservati i termini di cui ai commi terzo, quinto e sesto dell'art. 415. Il termine massimo entro il quale deve tenersi la nuova udienza decorre dalla pronuncia del provvedimento di fissazione , e al comma decimo che il terzo chiamato deve costituirsi non meno di dieci giorni prima dell'udienza fissata, depositando la propria memoria a norma dell'art. 416 . (omissis) Se si riflette sulla ampliatio della cognizione propria dell'originaria lite provocata non solo nelle ipotesi di 1iHsconsorzio necessario, di comunanza obiettiva tra parti originarie e terzo e di chiamata in garanzia, ma anche nelle aree in cui affondano le radici degli interventi volontari. principale e adesivo autonomo (aree che -sul piano della legittimazione ad agire e a contraddire -si identificano con l'ambiente sostanziale dal quale prendono le mosse gli interventi principale ed adesivo autonomo) nonch dello stesso intervento adesivo dipendente non si vede perch il diritto di difesa delle parti principali, contro le quali si appuntano le pretese degli iintervenienti volontari e dell'avversario del coadiuvato dall'interveniente adesivo dipendente, debbano essere garantite in guisa diversa e meno incisiva del modo con cui al legislatore parso giusto assicurarlo allorquando ha plasmato il nono e di decimo comma dell'art. 420. Come al terzo, di cui agli artt. 102, 106 e 107, debbono essere notificati il provvedimento di fissazione di una nuova udienza nonch il ricorso introduttivo e l'atto di costituzione del convenuto e, in primis et ante omnia d'uopo fissare una nuova udienza, nella quale parti o:riiginarie e interveniente, anche sulla base della memoria del terzo, siano posti in grado di discutere, nelle nuove sue dimensioni, la causa, cos allorquando un terzo spiega intervento volontario da attribuire al giudice il rpotere dovere di fissare -con d.I rispetto del termine di cui all'art. 415 comma quinto (elevabile a quaranta giorni allorquando la notificazione ad alcuna delle parti originarie contumaci debba effettuarsi all'estero) -una nuova udienza, non meno di dieci giorni prima della quale potranno le parti originarie depositare memoria, e di disporre che, entro cinque giorni, siano notificati alle parti originarie il provvedimento di fissazione e la memoria dell'interveniente, e che sia notificato a quest'ultimo il provvedimento di fissazione della nuova udienza. PARTI! I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Cos giudicando la Corte amplia la declaratoria d'incostituzionalit del l'l.i:. 419 dalla specie dell'intervento adesivo, dalla quale han preso le mosse le ordinanze pretorili, all'altra dell'intervento principale senza operare distinzione tra la parte originaria, contro la quale spiegato l'intervento del terzo, e l'altra o le altre parti originarie, sul riflesso che la pretesa del terzo, anche se diretta contro una sola parte, non pu non influire sull'.intera vicenda processuale in cui si muovono anche l'altra le altre parti originarie. N ad escludere dalla declaratoria d'incostituzionalit della norma impugnata la specie dell'intervento adesivo semplice giova il rilievo che oggetto ne sia non domanda coinvolgente un diritto sibbene il sostegno prestato alle ragioni della parte alla cui vittoria il terzo ha interesse, perch l'attivit dell'adiuvante non pu non incidere sulla originaria prospettazione delle ragioni della controparte dell'adiuvato. Insomma quel che viene in primaria considerazione non il principio di eguaglianza tra le parti, sibbene il diritto di difesa delle parti originarie, che deve essere garantito nel contrasto con il terzo interveniente volon tarlo e coatto e con il litisconsorte necessario originariamente preter messo. (omissis) SEZIONE SECONDA GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT EUROPEE, 22 marzo 1983, SEZIONE SECONDA GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT EUROPEE, 22 marzo 1983, nella causa 42/82 -Pres. Mertens de Wilmars -Avv. Gen. Slynn Commissione delle Comunit europee (ag. Sch), con intervento adesivo del Governo italiano (avv. Stato Braguglia) c. Repubblica francese (ag. Museux). Comunit europee -Unione doganale -Libera circolazione delle merci Organizzazione comune del mercato vitivinicolo -Importazione di vino italiano in Francia. (Trattato CEE, artt. 30 e 36; regolamenti CEE del Consiglio 5 febbraio 1979, n. 337, art. 64; 5 febbraio 1979, n. 355, art. 46; 5 febbraio 1979, n. 359, artt. 3, 4 e 8; e della Commissione 30 aprile 1975, n. 1153, art. 12). Ritardando, con le modalit di controllo e di regolarizzazione dei documenti d'accompagnamento V A 1 ed i controlli sistematici mediante analisi, la messa in consumo di vini da tavola importati sfusi dall'Italia e limitando cos, fra l'agosto 1981 ed il marzo 1982, tali importaziani di vini da tavola, la Repubblica francese ha trasgredito gli obblighi impostile dall'art. 30 del trattato CEE e dalla normativa comunitaria vitivinicola (1). (1) Come risulta dalla sentenza in rassegna, i fatti sui quali la Corte stata chiamata a giudicare erano numerosi e di diversa natura. A tali fatti, oggetto del ricorso proposto dalla Commissione, si sono aggiunti in corso di causa quelli che il Governo francese ha dedotto per tentare di giustificare i blocchi alla frontiera del vino sfuso in importazione dall'Italia e quelli che l'intervenuto Governo italiano ha dovuto addurre per contrastare il tentativo della convenuta. Esisteva dunque un notevole rischio che la causa si diluisse in una serie di accertamenti su fatti e documenti specifici, perdendosi cos di vista l'insieme del comportamento tenuto dalla Repubblica francese, nell'agosto-settembre 1981 e nel gennaio-febbraio 1982, riguardo alle importazioni di .vino sfuso in provenienza dall'Italia. Merito della Corte di giustizia stato quello di non lasciarsi trascinare in questa serie impossibile di accertamenti, su presunti episodi di frodi risalenti ad anni addietro ovvero su un notevolissimo numero di documenti di accompagamento V A 1 che si pretendevano irregolari. Pare infatti che la Corte abbia valutato complessivamente il comportamento della Repubblica francese, cogliendo appieno il carattere pretestuoso delle motivazioni, che la convenuta intendeva dare, a posteriori, a giustificazione dei blocchi delle importazioni. Da un lato infatti la Corte riafferma la necessit del rispetto della regolamentazione viti-vinicola comunitaria, dall'altro per essa PARm I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 459 (omissis) 1. -Con atto depositato nella cancelleria della Corte il 4 febbraio 1982, la Commissione ha proposto, ai sensi dell'art. 169 del Trattato CEE, un ricorso volto a far dichiarare che la Repubblica francese ha trasgredito gli obblighi impostile dalla normativa comunitaria vitivinicola e dall'art. 30 del Trattato CEE: -sottoponendo le operazioni di sdoganamento dei vini da tavola italiani a ritardi che superavano notevolmente il tempo necessario alla realizzazione delle operazioni materiali ammissibili e subordinando lo sdoganamento a un'analisi sistematica; -avendo omesso di intraprendere rapidamente la procedura di regofarizzazione dei trasporti di un certo numero di partite di vini italiani, non appena i documenti d'accompagnamento erano stati presentati per lo sdoganamento ai posti di frontiera; -subordinando, in molti casi, la regolarizzazione del trasporto dei vini italiani bloccati ai posti di frontiera alla trasinissione da parte delle autorit italiane dei documenti e delle pezze sui quali dette autorit basavano i loro attestati; -ritardando lo sdoganamento anche nei casi regolarizzati. 2. -Secondo la Commissione, sostenuta dal Governo italiano interveniente, a causa delle suddette pratiche si sono riscontrati notevoli ritardi nella messa in consumo del vino da tavola sfuso importato in Francia dall'Italia, dal mese d'agosto del 1981 e 'di nuovo dalla fine di gennaio del 1982, e grandi quantitativi di vini da tavola italiani, che superavano in certi momenti hl. 1.000.000, sono rimasti bloccati per diverse settimane ed anche per parecchi mesi in vari posti di frontiera in Francia. mostra di aver ben compreso che le reali ragioni dei blocchi delle importazioni nulla avevano a che vedere con detta necessit. Ricostruendo l'intera vicenda nell'ottica indicata, la Corte ha seguito anche argomenti addotti e dimostrati da parte del Governo italiano: come quello circa la prassi, bruscamente interrotta da parte francese, di tollerare certe irregolarit nella compilazione dei modelli VA 1 (cfr. paragrafi 35/38 della sentenza); quello circa i notevoli ritardi, documentati, nella richiesta di regolarizzazione dei modelli suddetti (cfr. paragrafi 39/41); quello infine, decisivo, secondo il quale ... da qualche irregolarit o infrazione accertata in precedenza per singoli casi non si pu desumere un dubbio generalizzato contro tutte le importazioni di vino italiano (cfr. paragrafo 32). Evidente era infatti il tentativo francese, non riuscito, di passare da accusato ad accusatore, mettendo in dubbio la lealt e qualit del vino italiano e la stessa efficienza dei sistemi di controllo operanti in Italia. Per una precedente controversia relativa alle importazioni di vino italiano in Francia, cfr. la sentenza della Corte 20 aprile 1978, nelle cause 80-81/TI, i.Es FILS DE HENRI RAMEL , in questa Rassegna, 1978, I, 311. l.M.B. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 460 Le pratiche di cui causa sarebbero state adottate dalle autorit francesi al fine di ostacolare le importazioni dall'Italia di vino da tavola sfuso e di ridurne l'entit, considerata eccessiva rispetto al fabbisogno del mercato. Si tratterebbe quindi di misure d'effetto equivalente a restrizioni quantitative all'importazione, vietate dall'art. 30 del Trattato CEE. 3. -U Governo francese contesta che le pratiche di cui causa abbiano lo scopo di ridurre l'entit delle importazioni e sostiene che esse mirano a garantire l'osservanza della normativa comunitaria in materia vitivinicola nonch la tutela dei consumatori, della salute e della vita delle persone contro atti di frode e pratiche vietate e nocive per la salute. 1. Sugli antefatti e lo svolgimento delle pratiche di cui causa. 4. -Prima di esaminare pi dettagliatamente le pratiche di cui causa, opportuno ricordare le circostanze connesse alla lqro instaurazione. 5. -Per 1anni le formalit da adempiere prima della messa in consumo dei vini importati in Fvancia dall'Italia non hanno creato difficolt particolari. 6. -Fra l'aprile del 1980 ed il 1981, .le autorit francesi hanno inviato alle autorit italiane alcune comunicazioni relative ad irregolarit o ad infrazioni constatate in trasporti di vini italiani ed, in particolare, a casi d'inquinamento di partite di vino dovuti all'uso di mezzi di trasporto inidonei. La questione se le autorit italiane abbiano reagito adeguatamente e tempestivamente a tali comunicazioni controverso fra le parti. 7. -Nell'estate del 1981, la situazione del mercato vitivinicolo in Francia era caratterizzata da un forte aumento delle importazioni di vini da tavola dall'Italia. Tale aumento comportava l'abbassamento dei prezzi sul mercato. Per protestare contro tale situazione, si sono avute manifestazioni violente negli ambienti dei viticultori del Mezzogiorno della Francia. 8. -Dai documenti esibiti alla Corte dalla Commissione risulta che nel luglio del 1981, il Comit national du commerce communautaire des vins et spiritueux, proseguendo una prassi gi instaurata da parecchi anni, proponeva di limitare, con accordi d'autodisciplina, le importazioni di vini da tavola italiani ad un volume ritenuto accettabile, fissato in hl. 425.000 al mese. La questione se e in quale misura n ministro francese dell'agricoltura abbia partecipato e abbia sostenuto tali proposte rimasta controversa fra le parti. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 9. -Dalla met d'agosto del 1981, le autorit francesi intensificavano i controlli sulle importazioni di vini da tavola italiani. Da un lato, esse rifiutavano d'accettare molti documenti d'accompagnamento dei trasporti dei vini di cui trattasi e, dall'altro, prima di mettere in consumo le partite de quibus, sottoponevano sistematicamente il vino a controlli sanitari ed enologici mediante analisi. Tali pratiche avevano la conseguenza di bloccare alla frontiera grandi quantitativi di vino .da tavola. 10. -A causa di tali pratiche, la Commissione instaurava due procedimenti di trasgressione nei quali inviava al Governo francese due pareri motivati. 11. -Col primo parere motivato 2 ottobre 1981, la Commissione sosteneva che, avendo omesso di avviare sollecitamente la procedura di regolarizzazione dei .trasporti di un certo numero di partite, subo1dinando in parecchi casi la regolarizzazione all'invio, da parte delle autorit italiane, dei documenti e delle pezze su cui dette autorit basavano i loro attestati, e ritardando lo sdoganamento anche nei casi regolarizzati, la Repubblica francese aveva trasgredito gli obblighi impostile dalla normativa comunitaria vitivinicola e dall'art. 30 del Trattato. 12. -Col secondo parere motivato 9 ottobre 1981, la Commissione sosteneva che il fatto di sottoporre le operazioni di sdoganamento dei vini da tavola italiani a dilazioni che superavano di molto i tempi necessari per effettuare le operazioni materiali ammissibili e di subordinarne la messa in consumo all'analisi sistematica costituiva una misura d'effetto equivalente ad una restrizione quantitativa all'importazione, vietata dall'art. 30 del Trattato CEE ed una trasgressione degli obblighi imposti a1la Repubblica francese dal regolamento del Consiglio n. 337 del 1979. 13. -Le autorit francesi provvedevano a liberare i trasporti cosi bloccati solo progressivamente, sino alla fine dell'anno, in seguito ad un acco1do col Governo italiano concluso il 13 ottobre 1981 a Pisa. Tale accordo prevedeva in particolare lo svincolo entro due mesi del vino bloccato nonch l'intervento dei due Governi interessati presso la Commissione perch tale svincolo fosse accompagnato da aiuti comunitari ai contratti d'immagazzinamento. Secondo i documenti presentati dalla Commissione, parallelamente allo sblocco, veniva effettuato dai membri del Comit national du commerce communautaire des vins et spiritueux, nell'ambito dell'accordo di autolimitazione, l'arresto completo delle operazioni di carico del vino in Italia. 14. -Nello stesso periodo, il Governo francese comunicava alla Commissione a proposito delle analisi sino ad allora effettuate sistematica 462 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO mente su tutte le partite di vino importate, che le autorit .francesi si sarebbero ormai accontentate di analisi per campione su una operazione ogni dieci. 15. -Nel gennaio del 1982, le messe in consumo di vino da tavola importato dall'Italia raggiungevano di nuovo un livello molto elevato, cio oltre hl. 875.507. Alla fine di gennaio, si verificavano nuove manifestazioni violente nell'ambiente vitivinicolo del Mezzogiorno della Francia. 16. -All'inizio di febbraio, le autorit francesi intensificavano nuovamente i controlli sulle importazioni di vino da tavola italiano, rifiutando di accettare documenti d'accompagnamento perch irregolari o sottoponendo ad analisi tre partite su quattro. La comunicazione inviata, con telex 2 febbraio 1982, dal Governo francese alla Commissione a proposito di tali controlli intensificati contiene in merito, fra l'altro, il brano seguente: Viva preoccupazione sorta negli ambienti vitivinicoli del Mezzogiorno a seguito della forte progressione di importazioni di vino dall'Italia nel mese di gennaio 1982, a prezzi molto inferiori a quelli di mercato. Di conseguenza, il Governo ha adottato sin dal 30 gennaio i provvedimenti necessari perch, prima dell'immissione sul mercato, siano eseguite un maggior numero di analisi qualitative da parte degli uffici amministrativi competenti. Contrariamente a quanto affermato da certi organi di stampa, le importazioni non sono state fermate, ma rallentate in attesa di tornare ad un ritmo mensile normale . Notevoli quantit di vino da tavola proveniente dall'Italia venivano di nuovo bloccate alla frontiera in seguito a detti controlli intensificati. 17. -Il 4 marzo 1982, la Corte, statuendo in via provvisoria su una istanza della Commissione, ha disposto quanto segue: 1. Nelle more della causa principale, la Repubblica francese tenuta ad osservare i limiti di seguito specificati per quanto dguarda le pratiche relative alla messa in consumo in Francia di vini importati dall'Italia. a) Salvo casi particolari o indizi specifici che possano .giustificare il sospetto di frodi, la frequenza delle analisi prima della messa in consumo delle partite non deve superare il 15 per cento delle partite presentate alla frontiera. b) La durata delle analisi effettuate prima della messa in consumo delle partite non deve superare i 21 giorni a decorrere dalla presentazione delle partite e dei documenti alla .frontiera, a meno che motivi particolari giustifichino eccezionalmente analisi specifiche. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE e) La messa in consumo di partite di vino pu essere rifiutata per motivi d'irregolarit dei documenti d'accompagnamento solo se si tratta di irregolarit sostanziali. d) Quando irregolarit sostanziali sono accertate dalle autorit francesi, queste devono informarne subito, con la documentazione necessaria, le autorit italiane. Le partite il cui documento d'accompagnamento sia stato regolarizzato dalle autorit italiane devono immediatamente essere messe in consumo. 2. Quando la messa in consumo di quantitativi di vino provenienti dall'Italia che superino un totale di 50.000 hl. rifiutata per pi di 21 giorni per motivi vuoi di anali:si, vuoi di irregolarit dei documenti di accompagnamento, le autorit francesi dovranno informare la Commissione delle ragioni di tale rifiuto . 18. -Dopo questa ordinanza, le importazioni di vino italiano in Francia non hanno pi creato difficolt particolari. 2. Sull'oggetto del procedimento di trasgressione. 19. -Con le quattro censure formulate nel ricorso la Commissione mira essenzialmente a far dichiarare che le autorit francesi hanno limitato la quantit di vino da tavola importato sfuso dall'Italia, ritardando la messa in consumo delle partite con i due tipi di pratiche oggetto dei pareri mo1Ji.vati 2 e 9 ottobre 1981, cio rifiutando i documenti d'accompagnamento per i trasporti di vino italiano e sottoponendo i vini importati a controlli mediante analisi sistematiche. 20. -Va osservato che una parte dei ritardi contestati, cio lo sblocco progressivo e rallentato delle partite trattenute alla frontiera in seguito all'accordo intervenuto il 13 ottobre 1981 fra i Governi francese ed italiano e la ripresa delle pratiche di cui causa all'inizio di febbraio e proseguita poi sino al marzo del 1982, si verificata successivamente al parere moth~ato. Tuttavia, appurato che si tratta di fatti vuoi gi contestati nei pareri motivati e protrattisi ulteriormente, vuoi di fatti successivi a detti pareri, ma della medesima natura di quelli considerati nei pareri motivati e che costituiscono uno stesso comportamento. 3. Sul rifiuto dei documenti d'accompagnamento. 21. -Vanno esamiriati anzitutto i ritardi derivati dall'atteggiamento delle autorit francesi in mer.ito ai documenti d'accompagnamento ed alla procedura di regolarizzazione degli stessi. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 22. -La Commissione, sostenuta dal Governo italiano, assume che i documenti d'accompagnamento che le autorit francesi hanno rifiutato d'accettare dalla met d'agosto del 1981 non presentavano effettivamente irregolarit sostanziali che giustificassero tale riifiuto alla luce della normativa comunitaria. 23. -11 Governo francese sostiene che i documenti erano irregolari e che esso era quindi autorizzato a rifiutarli. Spetterebbe, inoltre, alla Commissione il provare che i documenti rifiutati erano regolari, cosa che la Commissione non sarebbe riuscita a dimostrare. 24. -Secondo il regolamento della Commissione 30 aprile 1975, n. 1153, che stabilisce nel settore vitivinicolo i documenti d'accompagnamento e gli obblighi dei produttori e dei commercianti diversi dai rivenditori al minuto (G.U. n. L 113, pag. 1), ogni trasporto di vino nella Comunit d luogo alla compilazione di un documento d'accompagnamento vitivinicolo su un modulo conforme ai modelli allegati allo stesso regolamento. Per i rprodotti comunitari, salvo i vini di qualit prodotti in regioni determinate ed i vini alcolizzati, si tratta del modello VA 1. I documenti d'accompagnamento e le loro eventuali copie sono compilati dall'ente o dagli enti competenti dello Stato membro nel quale ha inizio il trasporto o dall'autorit abilitata a tal fine, secondo le indicazioni fornite dallo speditore e sotto la responsabilit dello stesso, nella debita forma e secondo le disposizioni rigorose di detto regolamento. 25. -'Da tale normativa si desume che le autorit francesi avevano il diritto di controllare che ogni trasporto di vino sfuso proveniente dall'Italia presentato alla frontiera fosse effettivamente accompagnato da un documento V A 1 debitamente compilato, emesso dagli uffici italiani competenti. 26. -Tuttavia, le suddette disposizioni vanno interpretate alla foce del secondo considerando del regolamento n. 1153 del 1975, secondo cui l'esigenza dei documenti d'accompagnamento non deve tradursi in un ostacolo per gli scambi o per lo smercio dei prodotti del settore. Ne consegue che solo gli errori o le irregolarit di un documento che hanno ca:mttere sostanziale e che sono di conseguenza atti a renderlo inidoneo ad adempiere la sua funzione di fornire, sotto forma di documento ufficiale, le necessarie informazioni sulla natura del prodotto, possono giustificare obiezioni contro il documento stesso e giustificare quindi gli ostacoli all'importazione. 27. -Dal fascicolo si desume che le irregolarit invocate dalle autorit francesi sono state, secondo i casi, di natura e di rilevanza diversa. Cos, contrariamente a quanto prevede il regolamento n. 1153 del 1975, f ~ .. I: PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE sembra che, in alcuni casi, i documenti non siano stati compilati a macchina o in stampatello, pur essendo leggibili, o che siano stati compilati in modo .incompleto, pur contenendo indirettamente tutte le informazioni necessarie. Irregolarit del genere non possono per essere considerate sostanziali e non possono giustificare obiezioni contro il documento. 28. -In altri casi, invece, come stato ammesso all'udienza dalla Commissione e dal Governo italiano, in un certo numero di modelli V A 1 la mancanza delle indicazioni richieste era atta a rendere tali documenti d'accompagnamento inidonei a svolgere la summenzionata funzione. Cos, in alcuni casi, mancava la gradazione alcolica o l'indicazione dell'autorit italiana che aveva emesso il documento, in altri casi detta indicazione era illeggibile, in altri ancora il documento non riportava indicazioni nemmeno .indirette che consentissero d'identificare lo Stato membro di origine. Irregolarit del genere vanno considerate sostanziali e giusitficano obiezioni contro il documento. 29. -Nel nostro caso, non stato possibile accertare se tutti i documenti contestati fossero irregolari e se tali irregolarit avessero carattere sostanziale, poich tanto la Commissione, qanto il Governo francese hanno dichiarato di non essere in grado di esibire detti documenti. ~ tuttavia possibile ammettere che almeno parte dei documenti presentava irregolarit tali da permettere, in via di principio, di sollevare obiezioni contro di essi. 30. -L'art. 12, n. 2, del regolamento n. 1153/75 dispone che qualora si constati che dei prodotti circolano privi di documento di accompagnamento ovvero con un documento irregolare, l'organismo competente dello Stato membro nel quale fatta la constatazione o un altro organismo incaricato del controllo adotta i provvedimenti necessari per regolarizzare ed eventualmente sanzionare questo trasporto irregolare . Se ne desume che, per non ostacolare in modo ingiustificato gli scambi, le autorit che accertano delle irregolarit devono anzitutto provvedere a regolarizzarle .. 31. -Tale regolarizzazione deve essere effettuata applicando il regolamento del Consiglio 5 febbraio 1979, n. 359, relativo alla collaborazione diretta tra i servizi incaricati dagli Stati membri di controllare l'osservanza delle disposizioni comunitarie e nazionali nel settore vitivinicolo (G.U. n. L 54, pag. 136). L'art. 4 di questo regolamento dispone che, in caso di dubbio, il servizio competente chieda al servizio competente dello Stato membro di origine di verificare i documenti nonch le annotazioni nei registri. A norma dell'art. 3 il servizio competente pu richiedere 466 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO qualsiasi .informazione utile ed in particolare la trasmissione di documenti e giustificativi, qualora esista un dubbio fondato che il prodotto non sia conforme alle disposizioni vitivinicole. 32. -Il dubbio fondato ai sensi del suddetto art. 3 che consente di chiedere indagini approfondite e la trasmissione dei documenti giusti ficativi deve essere basato su indizi concreti relativi ad un singolo trasporto. Contrariamente alla tesi sostenuta dal Governo francese, da qualche irregolarit o infrazione accertata in precedenza per singoli casi non si pu desumere un dubbio generalizzato contro tutte le importazioni di vino italiano. In nessun caso, semplici errori di forma nei documenti d'accompagnamento possono giustificare un dubbio fondato. In mancanza di un dubbio fondato in un caso concreto, le autorit francesi potevano quindi pretendere solo semplici verifiche e conferme da parte delle autorit italiane al fine di regolarizzare i trasporti interessati. 33. -Dalle v:arie comunicazioni con cui il Governo francese ha fatto alle autorit italiane le richieste relative ai modelli V A 1 irregolari risulta che tali domande riguardavano sistematicamente, senza che fosse addotto il minimo dubbio fondato, richieste di studi approfonditi e mi I ravano essenzialmente ad ottenere i documenti d'accompagnamento uniti alla merce durante i precedenti trasporti in Italia, fra il luogo di pro i ~= duzione ed i magazzini dai quali essa era poi stata avviata verso la Fran~ cia, in quanto le autorit francesi si erano rifiutate di considerare sufficiente la semplice conferma delle autorit italiane via telex, a seguito di verifica, dei documenti V A 1. I . 34. -Da ci consegue che ai fini .della regolarizzazione dei docu. lr menti irregolari le autorit francesi hanno stabilito condizioni che non rientravano nella normativa comunitaria in materia. 35. -Il Governo italiano ha sostenuto inoltre che, secondo una prassi reciproca delle autorit francesi ed italiane instaurata da molti anni, irregolarit come quelle accertate dalla met d'agosto del 1981 nella compilazione dei documenti V A 1 erano frequenti ed accettate dalle autorit dei due Stati membri. Le autorit francesi avrebbero modificato, bruscamente e senza preavviso, tale prassi in materia di controllo dei documenti. A sostegno di detto argomento, il Governo italiano ha presentato alla Corte una serie di documenti VA 1 anteriori all'epoca di cui causa, compilati in parte dalle autorit francesi ed in parte da quelle italiane, che, nonostante le irregolarit del tipo sopra descritto, sono stati accettati dalle autorit dei due paesi senza suscitare contestazioni. Il Governo francese non ha addotto alcun argomento tale da mettere in dubbio l'esistenza di siffatta prassi. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 36. -Al fine d'evitare ostacoli per Je importazioni, J'obbligo di collaborazione fra gli Stati membri connesso al sistema comunitario esige che in un caso come questo di modifica di una prassi sia dato alle autorit dello Stato membro interessato avviso della nuova procedura, per non metterle nell'impossibilit di prepararsi alla stessa e di tenerne conto nella compilazione dei documenti VA 1. 37. -Inoltre, avrebbe dovuto essere seguita nella fattispecie la procedura prevista dall'art. 8 del suddetto regolamento n. 359/79, secondo cui i rappresentanti degli Stati membri si riuniscono regolarmente :in seno al comitato di gestione per i vini onde esaminare i problemi sollevati dall'applicazione del regolamento stesso ed ogni altro problema concernente il controllo uniforme delle disposizioni comunitarie nel settore vitivinicolo. Tale procedura mira infatti ad evitare le difficolt che possono derivare da provvedimenti unilaterali o dalla mancanza d'uniformit nell'applicazione della normativa comunitaria od i conseguenti ostacoli per la libera circolazione delle merci. 38. -Da ci deriva che modificando bruscamente la prassi consolidata, le autorit francesi hanno trasgredito un obbligo imposto loro dal diritto comunitario. 39. -La Commissione ed il Governo italiano hanno altres dedotto che le domande rivolte alle autorit italiane da quelle francesi .in merito ad irregolarit dei modelli VA 1 riguardavano in parte operazioni di parecchi mesi o parecchie settimane prima. 40. -Quando viene accertata un'irregolarit di documenti d'accompagnamento, l'art. 12, n. 2, del regolamento n. 1153/75, impone alle autorit nazionali competenti l'obbligo di adottare immediatamente i provvedimenti necessari per consentire l'eventuale regolarizzazione del trasporto irregolare, al fine d'evitare ritardi ingiustificati nella messa in consumo del vino di cui .trattasi. 41. -Nel nostro caso, il Governo francese non ha contestato le allegazioni particolareggiate del Governo italiano sui notevoli ritardi nelle richieste rivolte alle autorit italiane in taluni casi. Va quindi ammesso che, anche sotto questo profilo, il comportamento delle autorit francesi in materia di controllo dei documenti d'accompagnamento non era, in tutti i casi, conforme alla normativa comunitaria. 42. -La Commissione ed il Governo italiano hanno infine sostenuto che, anche nei casi regolarizzati, le autorit francesi non hanno proceduto a mettere in consumo i trasporti di vino bloccati. 468 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 43. -In proposito, va osservato che lo svincolo dei trasporti blocI cati dal mese d'agosto del 1981 avvenuto, indipendentemente da qualsiasi regolarizzazione dei documenti, secondo le modalit dell'accordo po I ~:, litico raggiunto fra il Governo francese e quello italiano il 13 ottobre :: 1981, a Pisa. 44. -Le autorit francesi hanno quindi, anche su questo punto, trasgredito l'obbligo, imposto loro dalla normativa comunitaria vitivinicola, di regolarizzare i trasporti di vini accompagnati da documenti irregolari. 45. -Da quanto precede risulta che l'operato delle autorit francesi per quanto riguarda il controllo dei documenti era contrario alla normativa vitivinicola. Esso costituisce nello stesso tempo una trasgressione dell'art. 30 del Trattato CEE il quale vieta le restrizioni quantitative all'importazione, nonch tutte le misure d'effetto equivalente. 4. Sui controlli enologici mediante analisi sistematiche. 46. -Vanno esaminati, in secondo luogo, i ritardi nella messa in consumo. determinati dalla prassi delle autorit francesi di sottoporre sistematicamente ad analisi, prima di metterle in consumo, le partite di vino italiano. 47. -Secondo la Commissione ed il Governo italiano, .le autorit francesi avrebbero svolto analisi sistematiche prima della messa in consumo per ritardare la stessa e ridurre il volume delle importazioni. Non sarebbe comunque necessario ai fini del controllo enologico bloccare grandi quantit di vino alla .frontiera e la durata delle analisi, di parecchie settimane, avrebbe di gran lunga superato il termine ammissibile, che sarebbe di qualche giorno. 48. -Il Governo francese sostiene che le analisi hanno avuto lo scopo di garantire il rispetto della normativa comunitaria vitivinicola, la tutel dei consumatori e la salute e la vita delle persone. I tempi necessari per tali operazioni dipenderebbero dalla natura di dette analisi. 49. - assodato che le autorit francesi hanno sistematicamente sottoposto ad analisi il vino da tavola importato sfuso dall'Italia cio, nel primo periodo di cui trattasi, tutte le partite di vino italiano e, dall'inizio di febbraio del 1982, in ragione di tre partite su quattro; che esse hanno fatto dipendere la messa in consumo di una determinata partita PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 4~9 dai risultati delle analisi e che tali risultati erano resi noti solo dopo parecchie settimane a causa del tempo occorrente per la procedura applicata. SO. -In proposito va detto anzitutto che controlli enologici del genere sono atti a rendere le importazioni pi difficili e pi onerose, a causa in particolare degli indugi e delle maggiori spese di magazzinaggio che possono determinare per l'importatore. Da ci consegue che tali procedure -sistematiche o meno -costituiscono misure d'effetto equivalente a restrizioni quantitative ai sensi dell'art. 30 del Trattato CEE, vietate da questa disposizione, salve le eccezioni previste dal diritto comunitario e, in particolare, dall'art. 36 del Trattato. 51. -A norma dell'art. 36 del Trattatto, l'art. 30 lascia :impregiudicate le restrizioni all'importazione giustificate, in particolare, da motivi di tutela della salute e della vita delle persone. Tuttavia, una restrizione del genere, in quanto deroga al principio della libera circolazione delle merci, conforme ai trattati solo nella misura in cui necessaria per raggiungere quei dati fini e in cui non costituisce n un mezzo di discriminazione arbitraria, n una restrizione dissimulata del commercio fra Stati membri. 52. -Non si pu escludere che, in certi casi, controlli sanitari mediante analisi possano essere un mezzo adeguato per prevenire i rischi che derivano, ad esempio, da pratiche enologiche vietate o dall'uso di mezzi di trasporto inidonei e possano servire a garantire la tutela della salute e della vita delle persone. 53. -Va aggiunto che varie disposizioni della normativa comunitaria in materia vitivinicola, come l'art. 64 del regolamento del Consiglio 5 febbraio 1979, n. 337, relativo all'organizzazione comune del mercato vitivinicolo (G.U. n. L 54, pag. 1) e l'art. 46, n. 2, del regolamento del Consiglio 5 febbraio 1979, n. 355, che stabilisce le norme generali per la designazione e la presentazione dei vini e dei mosti di uve (G.U. n. L 54, pag. 99), demandano alle autorit nazionali la responsabilit di garantire l'osservanza della normativa comunitaria. Anche in questo contesto, controlli mediante analisi possono essere un utile mezzo per scoprire infrazioni della suddetta normativa. 54. -Tuttavia, i controlli effettuati devono essere necessari per raggiungere i fini perseguiti e non devono comportare ostacoli per l'importazione sproporzionati rispetto a tali fini. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 55. -In merito alla frequenza ammissibile dei prelievi per analisi, va osservato che essa ha subito molte modifiche durante il periodo considerato. Mentre nell'agosto del 1981 tutte le partite di vino erano sottoposte a prelievi per l'analisi, dopo l'accordo raggiunto a Pisa nell'ottobre del 1981 venivano ritenuti sufficienti controlli per campione nel 10 per cento dei casi, frequenza portata successivamente di nuovo al controllo di tre partite su quattro alla fine di gennaio deJ. 1982. Il Governo francese non ha potuto fornire alcuna giustificazione per tali cambiamenti, che non sembrano quindi connessi ad esigenze imperative derivanti dai fini summenzionati. Tali prelievi per analisi sono stati effettuati senza che vi fossero fatti concreti che giustificassero, nei singoli casi, un sospetto di frode o d'irregolarit. 56. -La frequenza dei prelievi per analisi era di gran lunga superiore ai controli occasionali effettuati sui trasporti di vino francese all'interno del paese. assodato che anche le autorit italiane effettuano controlli per garantire sia la conformit alla normativa comunitaria dei vini prodotti in Italia, sia la tutela dei consumatori, della salute e della vita delle persone. Le autorit francesi avevano l'obbligo di tener conto dell'esistenza di questi controlli nel paese d'origine del vino. Adulterazioni o irregolarit acce11tate in singoli casi in epoca anteriore a quella di cui trattasi non possono assolutamente giustificare un sospetto generalizzato nei confronti di tutte le importazioni di vini italiani, n consentire prelievi per analisi sistematiche, dal momento che non esiste alcuna prassi analoga per il vino francese. 57. -Ne consegue che le autorit francesi non avevano il diritto di effettuare controlli sistematici mediante analisi e, in mancanza di qualsiasi dubbio fondato su indizi concreti in casi specifici, dovevano ldmitars! aControlli per campione. 58. -Lo stesso Governo francese ha dichiarato in seguito al parere motivato che erano sufficienti analisi in un caso su dieci. Tenuto conto di tale valutazione, le analisi sistematiche effettuate dalle autorit francesi su tutte le partite o in ragione di tre partite su quattro superano la frequenza ammissibile dei coilltrolli mediante analisi e costituiscono un trattamento discriminatorio rispetto ai controlli a cui sottoposto in Francia il vino di produzione nazionale. 59. -Per quanto riguarda la durata di qualche settimana delle operazioni materiali d'analisi, va osservato che la durata di analisi di questo genere per il vino pu variare a seconda delle circostanze, in particolare t !E E ' PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE secondo la natura delle analisi da effettuare. Nella presente fattispecie, la Corte, non dispone di dati sufficienti circa lo svolgimento delle analisi nei singoli casi per poter stabilire se il tempo trascorso fra i prelievi per le analisi e le comunicazioni dei risultati sia stato pi lungo del necessario. 60. -Va tuttavia constatato che quando i prelievi per le analisi sono effettuati sui vini francesi, ci non comporta automaticamente il blocco del vino fino al momento in cui siano noti i .risultati delle analisi in quanto la normativa comunitaria sui registri e sui documenti d'accompagnamento permette, di norma, una volta conosciuti i risultati delle analisi, di ritrovare e di identificare un trasporto di vino. 61. -In caso d'analisi per campione sui trasporti di vino importato, il fatto di trattenere alla frontiera il trasporto di vino finch non siano noti i risultati delle analisi costituisce un ostacolo sproporzionato e discriminatorio per le importazioni, poich tali analisi richiedono tempi notevoli, che superano alcuni giorni, ed inoltre possibile ritrovare ed identificare il trasporto di vino. Cos non sarebbe solo se le analisi fossero eseguite in un caso specifico per un dubbio fondato di frode o d'irregolarit del prodotto considerato. Ora, il Governo francese non ha in dicato casi specifici in cui esistesse un dubbio del genere. 62. -Va inoltre detto che dal summellionato telex 2 febbraio 1982 e dall'insieme dei fatti si evince che i prelievi per analisi erano volti a ritardare la messa in consumo dei trasporti di cui trattasi ed a ridurre in tal modo la quantit di vino importato dall'Italia. 63. -Ne consegue che sia a causa della frequenza delle analisi, sia a causa del fatto che i trasporti cos controllati venivano comunque trattenuti alla frontiera, l'operato delle autorit francesi in materia di controllo mediante analisi sistematiche era contrario alle prescrizioni degli artt. 30 e 36 del Trattato CEE. 64. -Da quanto precede risulta che si deve dichiarare che, ritardando, con le modalit di controllo e di regolarizzazione dei documenti d'accompagnamento VA 1 ed i controlli sistematici mediante analisi, la messa in consumo di vini da tavola importati sfusi dall'Italia e limitando cos, fra l'agosito 1981 ed il marzo 1982, le importazioni di detti vini da tavola, la Repubblica francese ha trasgredito gli obblighi impostile dall'art. 30 del Trattato CEE e dalla normativa vitivinicola comunitaria. (omissis). 472 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT EUROPEE, 17 maggio 1983, nella causa 168/82 -Pres. Mertens de Wilmars -Avv. Gen. Reischl Domanda cli pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale di Milano nella causa fra la Comunit europea del carbone e dell'acciaio c. Fallimento Ferriere Sant'Anna S.p.A. (avv. Luzzatto) -lnterv.: Governi italiano (avv. Stato Caramazza) e del Regno unito (ag. Goldsmith) e Commissione delle Comunit europee (ag. Toledano-Lareto, avv.ti Ubertazzi e Capelli). Comunit europee -Comunit europea del carbone e dell'acciaio (CECA) Crediti della CECA -Prelievi per la produzione d'acciaio -Riscossione -Privilegio -Insussistenza. (Trattato CECA, artt. 31, 41, 49, 50 e 92; cod. civ., artt. 1741, 2752 e 2759). I crediti per prelievi CECA non godono di privilegi di rango uguale a quello dei crediti simili degli Stati membri (1). (omissis) 1. -Con ordinanza 22 aprile 1982, pervenuta alla Corte il 14 giugno 1982, il Tribunale di Milano, a norma dell'art. 41 del Trattato CECA, ha proposto una domanda di pronuncia pregiudiziale vertente sulla validit della decisione della Commissione 10 dicembre 1981, n. 1887, nella parte in cui, nell'art. 2, stabilisce che i crediti della CECA verso la societ Ferriere Sant'Anna S.p.A. sono crediti priVlilegiati di rango eguale a quello dei simili crediti dello Stato. 2. -La questione stata sollevata nell'ambito della controversia relativa all'iscrizione, come credito privilegiato, al passivo del fallimento della societ Ferriere Sant'anna S.p.A. -fallimento aperto il 14 maggio 1980 dal Tribunale di Milano -della somma di Lit. 27.383.405 dovuta da detta societ alla CECA a titolo di prelievi sulla produzione d'acciaio e di maggiorazioni per il ritardato pagamento degli stessi. (1) In corso di causa la Commissione ha precisato che lo scopo e la portata della sua decisione, con la quale aveva affermato la natura privilegiata del suo credito, aveva valore dichiarativo e non costitutivo del privilegio, eliminando cos il dubbio insorto che con la decisione stessa si fosse voluto introdurre una nuova normativa del rango dei crediti per prelievi nell'ambito dei sistemi giuridici nazionali. Escluso il carattere generale e normativo della decisione, la Corte agevolmente pervenuta al disconoscimento del privilegio, non rinvenendosi nell'ordinamento comunitario (oltre che nell'ordinamento nazionale) alcuna norma attributiva del carattere privilegiato ai crediti della CECA. iLa sentenza della Corte 27 marzo 1980, nelle cause 67, 127 e 128/79, MERIDIONALE INDUSTRIA SALUMI, citata nella motivazione, pubblicata in questa Rassegna, 1980, I, 535, con nota di MARZANO. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 3. -Dopo la dichiarazione di fal1imento della societ, la Commissione, con lettera 19 novembre 1980, ha comunicato al curatore l'importo del suo credito chiedendo che lo stesso fosse considerato come credito privilegiato. 4. -Con decisione del giudice delegato 20 maggio 1981, il credito della CECA stato ammesso al passivo del fal1imento solo in via chirografaria. 5. -Il 29 giugno 1981, la Commissione, a norma dell'art. 98 della legge fallimentare italiana, ha proposto opposizione avverso la decisione del giudice delegato e ha chiesto al Tribunale di riconoscere carattere privilegiato al suo credito o, dn subordine, di sottoporre la questione alla Corte di giustizia delle Comunit Europee. 6. -In pendenza del procedimento introdotto a norma dell'art. 98 summenzionato, la Commissione, in forza degli artt. 49 e 50 del Trattato CECA, ha adottato una decisione individuale destinata alla societ Ferriere Sant'Anna S.p.A. L'art. 2 di tale decisione stabilisce che i crediti di cui trattasi sono crediti privilegiati di rango eguale a quello dei simili crediti dello Stato . A richiesta della Commissione, la decisione stata munita della formula esecutiva da parte del ministro italiano competente. 7. -All'udienza del 4 aprile 1982, dinanzi al Tribunale di Milano, la Commissione ha concluso chiedendo, in base alla suddetta decisione, che il suo credito fosse ammesso in via privilegiata e, in subordine -in caso di reiezione della domanda principale -, che la causa fosse rimessa alla Corte affinch essa, ai sensi dell'art. 41 del Trattato CECA, statuisse sulla validit della decisione stessa. 8. -Il Tribunale di Milano, a norma del suddetto articolo, ha proposto alla Corte la seguente questione pregiudiziale: Se la decisione della Cominissione delle Comundt Europee 10 dicembre 1981, n. C (81) 1887 def., sia valida nella parte in cui (art. 2) stabilisce che i crediti della CECA verso la societ Ferriere Sant'Anna S.p.A. (per prelievi CECA e relatiVli interessi) debbono essere considerati "crediti privilegiati di rango eguale a quello dei simili crediti dello Stato" . 9. -Invitata daJ.la Co11te a precisare, prima dell'udienza, lo scopo e la portata della sua decisione 10 dicembre 1981, ed in particolare dell'art. 2 'della stessa, riguardo al procedimento principale >>, la Commissione ha risposto che la qualificazione del credito come privilegiato ha valore dichiarativo e non costitutivo, in quanto il carattere privilegiato deriva dai prinoipd e dalle norme di diritto comunitario evocati nella memoria della Commissione . RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 474 10. -Vista tale risposta e le circostanze in cui la decisione di cui causa stata adottata dalla Commissione, il Governo del Regno Unito e fa curatela della Ferriere Sant'Anna S.p.A. hanno messo in dubbio la sussistenza stessa dei requisiti di applicazione dell'art. 41 del Trattato CECA. Essi hanno osservato in particolare che, se lo scopo dell'atto di cui causa solo, come Sostiene la Commissione, quello di dichiarare qual il diritto comunitario in vigore, tale atto deve essere considerato come semplice parere della Commissione e non come vera e propria decisione, ci che comporta l'incompetenza della Corte nel procedimento pregiudizliale previsto dall'art. 41 del Trattato. 11. -Tale tesi non pu essere accettata. L'art. 41 del Trattato CECA prevede, infatti, che soltanto la Corte competente a giudicare, a titolo pregiudiziale, della validit delle deliberazioni dell'Alta Autorit e del Consiglio, qualora una controversia proposta avanti a un Tr1ibunale nazionale metta in causa tale validit . Bench non sia contestato che, a norma dell'art. 92 del Trattato CECA, non pu pi venir eccepita la validit della decisione di cui causa, per quanto riguarda l'entit delle obbligazioni pecuniarie che essa comporta, ciononostante, con l'art. 2, essa diretta a produrre, nell'ambito del procedimento fallimentare pendente dinanzi al giudice nazionale,. effetti giuridici nei confronti di terzi ed, in particolare, degli altri creditori dell'impresa. Poich detto giudice ha ritenuto necessar1io, per poter decidere la causa, di sottoporre alla Corte una questione pregiudiziale vertente sulla validit dell'art. 2 della decisione, sussi stono le condizioni stabilite dall'art. 41 del Trattato CECA. 12. -La Commissione sostiene che la decisione di cui causa va considerata valida alla luce delle norme e dei principi generali del diritto comunitario, in forza dei quali ciascuno Stato membro tenuto a conce dere ai prelievi CECA gli stessi privilegi riconosciuti ai simili crediti dello Stato. 13. -Essa sottolinea, da un lato, che il Trattato CECA, agli artt. 49 e SO, legittima l'Alta Autorit ad esercitare poteri fiscali, nei quali rientra la possibilit di istituire, di determinare entro certi limiti e di percepire direttamente dalle imprese un'imposta di cui, ai sensi dell'art. 92, pu ottenere H pagamento anche con esecuzione forzata. Da ci deriverebbe che i prelievi CECA vanno sottoposti ad una regolamentazione che ne garantisca l'effettiva riscossione in qualsiasi circostanza e che essi devono pertanto fruire degli :stessi privilegi delle imposte statali simili. 14. -Non si pu certo negare l'importanza dei poteri fiscali riconosciuti all'Alta Autorit (ora alla Commissione) dagli artt. 49 e 50 del Trattato CECA al fine di consentirle di adempiere, nelle migliori condi PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE zioni possibili, la missione affidatale dal Trattato. Non risulta tuttavia necessariamente dalla natura e dagli scopi conferiti ai prelievi dai suddetti articoli che, in caso di fallimento dell'impresa debitrice, essi debbano automaticamente fruire degli stessi privilegi che le legislazioni degli Stati membri riconoscono alle imposte nazionali simili. 15. -Da uno studio comparativo dei diritti nazionali risulta infatti che, nella misura in cui, nella Uquidazione di fallimenti, sono riconosciuti dei privilegi a determinarti crediti, questi possono risultare solo da disposizioni di legge specifiche e prestabilite, in quanto essi pregiudicano il principio generale dell'uguaglianza dei creditori. In mancanza di dispo-, sizioni particolari relative, nella liquidazione dei fallimenti, all'esistenza di un privilegio a favore del1a Commissione per i crediti derivanti dai prelievi, un privilegio del genere non pu essere ammesso. 16. -La Commissione sostiene, inoltre, che dal principio generale di uguaglianza si desume che la CECA non deve essere svantaggiata nel recupero dei prelievi rispetto a crediti d'imposta analoghi ai quali gli Staiti membri riconoscono un rango privilegiato. 17. -A sostegno della sua tesi, la Commissione invoca la giurisprudenza della Corte, ,specialmente la sentenza 27 marzo 1980 {Meridionale Industria Salumi, cause 66, 127 e 128/79, Racc. 1980, pag. 1237), secondo la quale gli Stati membri non possono rendere il sistema di riscossione delle tasse e degli oneri comunitari meno efficace di quello relativo alle tasse ed agli oneri nazionali dello stesso tipo. 18. -Se vero che uno Stato membro non pu sottoponre la ;riscossione degli oneri comunitari del debitore a condizioni o a modalit diverse da quelle previste per oneri nazionali analoghi, il principio di uguaglianza di trattamento non implica, tuttavia, di per se stesso, che, in mancanza di una norma comunitaria chiara e precisa che stabili.sca, fra l'altro, il rango del prelievo e l'imposta nazionale a cui esso dev'essere equiparato, gli Stati membri sono tenuti, in caso di fallimento del debitore, a concedere ai prelievi della CECA gli stessi privilegi riconosciuti ai cred1ti simili dello Stato. 19. -Si deve quindi concludere che, in mancanza di ,una norma come quella sopra descritta, adottata dal legislatore comunitario nell'ambito di quanto previsto dal Trattato, la Corte di giustizia non pu per mezzo della sua giurisprudenza introdurre un criterio volto a stabilire un privilegio del tipo di quello rivendicato dalla Commissione. Come la Corte ha avuto occasione di affermare nella sentenza 5 marzo 1980 (Ferwerda, causl:!-265/78, Racc. 1980, pag. 617) non possibile supplire, in via giuri RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO sprudenziale, alla mancanza di una normativa che ha necessariamente carattere tecnico e particolareggiato. 20. -Stando cos le cose, la questione proposta deve essere risolta nel senso che la decisione della Commissione del 10 dicembre 1981 non !I valida nella parte in cui dispone, all'art. 2, che i crediti per prelievi CECA nei confronti della societ fallita sono crediti privilegiati di rango uguale a quello dei simili crediti dello Stato. (omissis) I CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT EUROPEE, 7 giugno 1983, I nella causa 78/82 -Pres. Mertens de Wilmars -Avv. Gen. Rozs -Commissione delle C.E. (ag. Beraud e de March) c. Repubblica ataliana (avv. Stato Fiumara). Comunit europee -Libera circolazione delle merci -Riordinamento del monopolio nazionale dei tabacchi lavorati -Determinazione dei mar gini di commercializzazione. (Trattato CEE, artt. 37 e 90; l. 13 luglio 1965 n. 825; l. 10 dicembre 1975 n. 724). Stabilire margini commerciali fissi per la vendita al minuto, in regime di monopolio, di tabacchi lavorati (aggio dell'8% ai rivenditori fissato in Italia per tutti i prodotti nazionali e di importazione) non costituisce una discriminazione nei confronti dei prodotti importati e non pregiudica la libera circolazione delle merci in condizioni normali di concorrenza (1). (1) La Corte ha pienamente accolto le tesi difensive sostenute dal Governo italiano, nelle quali si era sostenuto che non v' discriminazione, perch l'aggio applicato in modo uniforme, sia al prodotto nazionale sia al prodotto importato, non solo non mette alcun operatore in una situazione diversa, ma al contrario, essendo rappresentato da una percentuale riferita al prezzo del prodotto ven duto, consente all'operatore di valutare in tutte le sue componenti il prezzo da lui liberamente scelto. Le regole cui soggetto il prodotto importato sono le stesse applicabili per il prodotto nazionale e l'Amministrazione nazionale dei monopoli soggetta alla stessa disciplina cui sono soggetti gli altri operatori. L'uni formit dell'aggio appare la conseguenza pi logica e pi corretta dell'esistenza di un monopolio di vendita al dettaglio (legittimo perch riordinato ai sensi dell'art. 37 del Trattato). L'indispensabile corollario della esclusiva della vendita, infatti, non tanto la liceit di un margine di remunerazione minimo (come sostenuto dalla Commissione), bens proprio la necessit di un margine uniforme, per evitare che il dettagliante monopolista discrimini il consumatore o il produttore che richiedano od offrano il prodotto la cui vendita remunerata con aggio inferiore: e ci proprio in attuazione della parit di trattamento che deve essere assicurata dal titolare di un monopolio legale (il quale, viceversa, potrebbe avvantaggiarsi della sua posizione proprio in un regime di aggi liberi). La sentenza citata in motivazione, 3 febbraio 1976, nella causa 59/75, MANGHERA, sul riordinamento dei monopoli nazionali a carattere commerciale, leggesi PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 477 (omssis) 1. -Con ricorso depositato nella cancelleria della Corte il 24 febbraio 1982, la Commissione ha proposto, a norma dell'art. 169 del Trattato CEE, un ricorso diretto a far dichiarare che, mantenendo un sistema di margini fissi per la commercializzazione dei tabacchi lavorati, la Repubblica italiana venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell'art. 37 del Trattato CEE. 2. -In Ltalia, i tabacchi lavorati costituiscono oggetto di un monopolio di Stato che riguarda sia la produzione, sia la distribuzione dei prodotti. Per quanto si riferisce in particolare alla vendita al minuto, il monopolio consiste nel riservare tale vendita a dettaglianti abilitati dall'amministrazione fiscale, il cui numero di circa 80.000. I dettaglianti sono .tenuti a vendere i tabacchi lavorati ai prezzi di vendita al pubblico risultanti dalla tariffa stabilita dalla legge. 3. -La tariffa comprende un'ampia gamma di prezzi di vendita al minuto, ciascuno dei quali ripartito in tre quote, una per coprire la retribuzione del fabbricante e la distribuzione all'ingrosso, una spettante all'erario ed una spettante al rivenditore. Tale ultima quota pari all'8% del prezzo di vendita al pubblico. L'amministrazione del monopolio, in qualit di fabbricante, e gli importatori scelgono liberamente per ciascun loro prodotto uno dei prezzi di vendita al pubblico previsti dalla tariffa o anche un prezzo in essa non previsto, che vi viene successivamente incluso. in questa Rassegna, 1976, I, 199, con nota di BRAGUGLIA, L'art. 37 del Trattato CEE ed il monopolio italiano dei tabacchi. Sulla giurisprudenza della Corte riguardo a provvedimenti nazionali che disciplinano la fissazione dei prezzi in generale, cfr. la nota in questa Rassegna, 1980, I, 41. Esaminando contemporaneamente un ricorso presentato dalla Commissione contro la Francia, la Corte, con la sentenza 21 giugno 1983, nella causa 90/82, ha ritenuto che il potere riservato dalle norme francesi all'autorit di determinare i prezzi di vendita al minuto dei tabacchi manifatturati ad un livello diverso da quello stabilito dai produttori o importatori, incompatibile con il diritto comunitario (artt. 30 e 37 del trattato CEE e direttiva 72/464/CEE), in quanto influisce sulle relazioni concorrenziali fra il tabacco importato e il tabacco distribuito dal monopolio nazionale. Un siffatto sistema, ha osservato la Corte, non giustificato, ai sensi dell'art. 5 n. 1 della direttiva suddetta, n da esigenze di controllo del livello dei prezzi, non essendosi in presenza di una normativa nazionale di carattere generale destinata a frenare l'aumento dei prezzi, n da esigenze di rispetto dei prezzi imposti , in quanto sono prezzi imposti quelli (come avviene in Italia) che vanno rigorosamente osservati una volta fissati liberamente dal produttore o dall'importatore e approvati dall'autorit. Ancora in tema di prezzi imposti per la vendita al minuto di tabacchi manifatturati, per effetto del sistema tributario olandese, cfr. le cause 177 e 178/82, nelle quali imminente la pronuncia della Corte. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 478 4. -Il 13 novembre 1980, la Commissione ha inviato alla Repubblica italiana, ai sensi dell'art. 169, 1 comma, del TD:"attato, un parere motivato col quale constatava che la stessa, mantenendo qeterminate modalit di monopolio, era venuta meno all'obbligo di riordinare il suo monopolio di vendita dei itabacchi lavorati in conformit all'art. 37 del Trattato. Una delle modalit contestate era la fissazione di margini fissi per la commercializzazione. In seguito al parere motivato, il Governo italiano e la Commissione si accordavano su una serie di adeguamenti del monopolio. Il Governo italiano rifiutava invece, di abbandonare il sistema di margini commeroiali fissi per la vendita al minuto. 5. -La Commissione ha quindi proposto il presente ricorso -che riguarda esclusivamente il mantenimento dei suddetti margini fissi per la commercializzazione -al fine di far dichiarare contrario all'art. 37 il sistema sopra descritto. 6. -Secondo l'art. 37, n. 1, del Trattato, gli Stati membri procedono a un progressivo riordinamento dei monopoli nazionali che presentano un carattere commerciale, in modo che venga esclusa, alla fine del periodo transitorio, qualsiasi discriminazione fra i cittadini degli Stati membri per quanto riguarda le condizioni relative all'approvvigionamento e agli sbocchi. 7. -La Commissione sostiene che costituisce un provvedimento discriminatorio la fissazione di margini commerciali fissi per la vendita al minuto da parte di uno Stato, il cui monopolio si estende anche alla produzione dei prodotti considerati. Da un lato, lo Stato sarebbe necessariamente portato a preferire i suoi prodotti nazionali a quelli dei concorrenti stranieri ed a fissare il margine ad un livello che favorisca lo smercio dei 1suoi prodotti. D'altra parte, costituirebbe una discriminazione il fatto che il monopolio italiano possa esportare negli altri Stati membri scegliendo liberamente la sua politica di promozione-commerciale, mentre i produttori stranieri sono tenuti, nelle vendite in Italia, a rispettare il margine commerciale fisso stabilito dallo Stato. 8. -La Commissione sostiene inoltre che il margine fisso atto a falsare le condizioni di concorrenza ed a pregiudicare le possibilit dei prodotti importati da altri Stati membri. Esso avrebbe intrinseco effotto anti concorrenziale in quanto impedirebbe ai produttori stranieri di concedere premi di penetrazione e li obbligherebbe ad adottare gli stessi metodi commerciali del monopolio cli produzione italiano. PARm I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 9. -Il Governo italiano sostiene che il sistema di margini commerciali fissi non comporta alcuna discriminazione. Si trartterebbe di un provvedimento da applicare indifferentemente a tutti i prodotti, nazionali o esteri, diretto ad evitare che i rivenditori di tabacchi possano sottoporre a discriminazioni i consumatori o i produttori. Il margine dell'8 per cento costituirebbe una retribuzione giusta e sufficiente per i .rivenditori di tabacchi e non sarebbe determinato secondo una politica di vendita a favore dei prodotti naziona1i. In mancanza di un'organiz2lazione comune dei mercati, ciascuno Stato membro potrebbe adottare proprie disposizioni, diverse da quelle vigenti in altri Stati membri. 10. -Il Governo italiano assume inoltre che presunte alteraz.oni di concorrenza non possono essere esaminate nell'ambito dell'art. 37 del Trattato. Esso contesta, peraltro, che vi sia una limitazione della concorrenza e sottolinea che il provvedimento contestato costituisce sostanzialmente un intervento nella formazione dei prezzi al minUJto ammesso dalla giurisprudenza della Corte. In via subordinata, il Governo italiano sostiene che l'art. 90, n. 2, del Trattato autorizza una deroga a quanto disposto dal Trattato, poich il monopolio italiano di vendita al minuto dei tabacchi lavorati un monopolio fiscale e l'abolizione dei margini commerciali fissi osterebbe all'adempimento della sua specifica missione. L'invM"iabilit dei margini garantirebbe la trasparenza dei prezzi, impedirebbe la lotta dei margini e contribuirebbe a limitare il 'Contrabbando. 11. -Va anzitutto ricordato che, come ha affermato la Corte, in particolare nelle sentenze 3 febbraio 1976 (59/75, Manghera, Racc. 1976, pag. 91) e 13 marzo 1979 (91/78, Hansen, Racc. 1979, pag. 935), l'art. 37 del Trattato non impone l'abolizione assoluta dei monopoli nazionali che presentano carattere commerciale, ma dispone il loro riordinamento in modo da escludere qualsiasi discrimina2lione fra i cittadini degli Stati membri per quanto riguarda le condizioni relative all'approvvigionamento. Tanto dal testo dell'art. 37, quanto dalla sua collocazione nel sistema del Trattato si desume che questo articolo mira a garantire l'osservanza del principio fondamentale della libera circolazione delle merci in tutto il mercato comune, abolendo in particolare le restrizioni quantitative e le misure d'effetto equivalente negli scambi fra gli Stati membri, ed a mantenere in tal modo normali condizioni dd concorrenza fra le economie dei vari Stati membri qualora, nell'uno o nell'altro di detti Stati, un determinato prodotto sia soggetto ad un monopolio nazionale di carattere commerciale. 12. -Trattandosi di una normativa da applicare indifferentemente ai prodotti nazionali ed a quelli importati, va quindi considerato se la normativa di causa sia cionondimeno atta ad avere effetti discrimina RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO tori, a falsare la concora"enza riducendo le importazioni di tabacchi lavorati e ad ostacolare in tal modo il commercio intracomunitario. 13. -La Commissione ritiene che, in considerazione del divieto generale di pubblicit posto dalla legge italiana, nell'impossibilit per i produttori stranieri di concedere ai rivenditori ma11gini commerciali superiori per incitarli a vendere i loro prodotti, lo smercio dei prodotti importati risulti svantaggiato. 14. -Tale censura non pu tuttavia essere accolta. L'impossibilit di concedere premi di penetrazione sussiste sia per il monopolio italiano di produzione del tabacco, sia per i produttori stranieri. Inoltre, la Commissione non ha dimostrato che la concessione di premi di penetrazione costituisce il solo metodo commerciale che consenta a prodotti stranieri di affermarsi sul mercato, tanto pi che resta aperta la concorrenza sul prezzo di vendita al minuto. Vuoi i dati forniti dalla Commissione, vuoi quelli presentati dal Governo italiano -che la Commissione non ha contestato pur ,discutendone la interpretazione -in merito alla evoluzione delle importazioni di tabacco in Italia ed alla parte di mercato tenuta dai prodotti importati rispetto ad altri Stati membri, non sono peraltro tali da rafforzare la tesi secondo cui, a differenza dei prodotti nazionali, i prodotti importati possono efficacemente entrare in concorrenza sul mercato solo mediante premi di penetrazione per i rivenditori. 15. -Va sottolineato inoltre che il margine commerciale stabilito dalla legge da anni rimasto invariato all'8 % del prezzo di vendita al minuto. In materia non sono riconosciuti n potere decisionale n margine discrezionale all'amministrazione, che non interviene nella determinazione del margine commerciale. Nulla consente di affermare che tale margine tiene conto delle particolari esigenze dei prodotti del monopolio italiano secondo la situazione del mercato. La Commissione non ha pertanto dimostrato in che cosa la fissazione di detto margine potrebbe, in questo stato di cose, favorire lo smercio dei soli prodotti nazionali. 16. -Per quanto si riferisce alla questione se la normativa di causa riduca le importazioni di prodotti stranieri, bene ricordare, come ha pi volte ribadito la Corte (v. sentenze 26 novembre 1976, 65/75, Tasca, Racc. 1976, pag. 291; 24 gennaio 1978, 82/77, van Tiggele, Racc. 1978, pag. 25; 6 novembre 1979, 16-20/79, Danis, Racc. 1979, pag. 3327), che provvedimenti nazionali che disciplinano la fissazione dei prezzi, da applicare indistintamente ai prodotti nazionali ed a queUi importati, non costituiscono di per s una misura di effetto equivalente ad una restrizione quantitativa, ma possono tuttavia divenire tali qualora, a causa del livello di prezzo stabilito, essi svantaggino i prodotti importati, in particolare PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE perch il vantaggio concorrenziale che risulta dal minore prezzo di costo viene neutralizzato o perch il prezzo massimo fissato ad un livello talmente basso che -tenuto conto della situazione generale dei prodotti importati rispetto a quella dei prodotti nazionali -gli operatori i quali intendano importare i prodotti di cui trattasi nello Stato membro considerato possono farlo soltanto in per;dita. 17. -Nella presente fattispecie, la normativa in causa non pregiudica la libert dei produttori di stabilire i prezzi di vendita al minuto dei loro prodotti. .La concorrenza pu svolgersi pienamente nel settore essenziale del prezzo di vendita al minuto. I produttori stranieri di tabacchi lavorati sono liberi sia di trarre vantaggio dai prezzi di costo pi concorrenziali, sia di ripercuotere integralmente il maggior prezzo di costo. Non contestato che il margine fisso costituisce per .i rivenditori di tabacchi una retribuzione sufficiente per la vendita al minuto dei tabacchi lavorati, che si tratti di prodotti importati o di prodotti nazionali. 18. - vero che la normativa in causa ha l'effetto di vincolare i produttori stranieri all'osservanza sul mercato italiano di un margine commerciale fisso, mentre non vi un obbligo analogo per i prodotti di monopolio italiano sui mercati stranieri. Una situazione del genere non costituisce tuttavia una discriminazione ai sensi dell'art. 37 del Trattato. Essa solo la conseguenza dell'esistenza di un monopolio vente carattere commerciale, che comporta la regolamentazione dei margini commerciali, mentre in altri Stati membri non vi sono simili monopoli e simili regolamentazioni. Se da questa disparit delle normative nazionali in materia di margini commerciali per la vendita al minuto dei tabacchi lavorati dovessero derivare degli inconvenienti per 1a concorrenza sul mercato comune, spetterebbe alle istituzioni comunitarie competenti eliminare tali inconvenienti, mediante un ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri. 19. -Da quanto sopra risulta che la Commissione non ha dimostrato che la normativa in causa costituisce una discriminazione nei confronti dei prodotti importati e che pregiudica la libera circolazione delle merci in condizioni normali di concorrenza. Il ricorso va pertanto respinto perch infondato. (omissis) SEZIONE TERZA GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 2 maggio 1983, n. 3000 Pres. Moscone -Rel. Panzarani -P. M. Corasaniti -Ente di Sviluppo in Campania c. Ciriello e altri. Giurisdizione civile -Difetto assoluto -Nozione -Prestazioni lavorative ad Ente Pubblico non economico -Inserimento nella struttura organizzativa dell'Ente -Atti equipollenti alla nomina -Giurisdizione amministrativa. Si ha difetto assoluto di giurisdizione solo nel caso in cui la pretesa fatta valere in giudizio non sia rapportabile ad alcuna norma o principio giuridico che astrattamente la tutelino, sicch essa si ponga al di fuori di ogni rilevanza giuridica in modo tale da non poter essere ricondotta ad alcuna fattispecie legale (1). Nell'ipotesi di prestazioni lavorative rese da privati nei confronti di un Ente Pubblico non economico, ai fini della individuazione della reale natura del rapporto, mentre non pu essere determinante la qualificazione che di esso sia stata fatta da una delle parti, compito precipuo del giudice accertare la sussistenza della volont da parte dell'Ente di inserimento del dipendente nella propria struttura organizzativa, risultante da atti equipollenti al provvedimento di nomina, anche a prescindere dalle espressioni usate e perfino dalla dichiarazione dell'Ente stesso negativa della sussistenza del detto rapporto (2). (1) Cfr. Cass. Sez. Un. 22 febbraio 1978 n. 863 in questa Rassegna, 1978, I, 542. (2) La pronuncia, in parte qua, ribadisce l'orientamento gi espresso, principalmente, da Cass. 5 marzo 1977 n. 905 in Foro It., 1977, I, 596 e Cass. Sez. Un. 26 maggio 1979 n. 3070, in Foro It. 1979, I, 1708 (ambedue con osservazioni di C. M. BARONE). Va invece ricordato che in precedenza aveva prevalso l'indi rizzo di ritenei:e indispensabile, ai fini della costituzione del rapporto di pub blico impiego, l'atto formale di nomina (vedi ad es. Cass. 8 febbraio 1977 n. 542, in Foro lt., 1977, I, 313). In termini generali sulla questione della rilevanza del l'atto formale di nomina, cfr. I giudizi di costituzionalit e il contenzioso dello Stato negli anni 1971-1975 , II, 175 ss. PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 483 CORTE DI CASSAZIONE, Sez Un., 2 maggio 1983, n. 3001 -Pres. Moscone - Rel. Onnis -P. M. Corasaniti -Tripalo (avv. Sgueglia) c. Ministero Affari Esteri (avv. Sitato Favara). Giurisdizione civile -Rapporto di lavoro di diritto privato extra legem Difetto assoluto di giurisdizione -Non sussiste -Operaio giornaliero assunto ex art. 3 legge 26 febbraio 1952 n. 67 Natura pubblicistica del rapporto -Giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. L'improponibilit assoluta deUa domanda ravvisabile solo nel caso di assoluta mancanza di una norma o di un principio di diritto che astrattamente tuteli la posizione soggettiva dedotta in giudizio, la quale si ponga al di fuori di ogni rilevanza giuridica, cos da non. poter essere ricondotta ad alcuna fattispecie legale (1). Nella risoluzione della questione di giurisdizione vale il principio che gli atti costitutivi del rapporto debbono essere qualificati ed interpretati dal giudice non gi con riferimento alla denominazione ad essi attribuita dalla pubblica amministrazione, ma in base al loro contenuto sostanziale ed agli eff ett>i che da esso derivano. Ha pertanto natura pubblicistica, e rientra nella cognizione esclusiva del giudice amministrativo, il rapporto di lavoro quale operaio giornaliero assunto con contratti trimestrali stipulati ai sensi dell'art. 3 della legge 26 febbraio 1952, n. 67. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 2 maggio 1983, n. 3006 -Pres. Mirabelli -Rel. Schermi -P. M. Fabi -Barenghi (avv. Bellini) c. Ministero degli Affari Esteri (avv. Stato Carbone) e I.N.P.S. (avv. Picich). Giurisdizione civile -Sentenza denegativa -Qualificazione del rapporto dedotto in lite -Giudicato endoprocessuale. Giurisdizione civile -Giudicato -Formazione. Giurisdizione civile -Nomina a console in base al d.P.R. 5 gennaio 1967, n. 18 -Rapporto di servizio volontario -Difetto di professional~t e retribuzione predeterminata -Servizio onorario -Domanda di costituzione di posizione assicurativa -Difetto assoluto di giurisdizione. La formazione del giudicato sulla giurisdizione non comporta la definitiva qualificazione del rapporto dedotto in lite, trattandosi di pronuncia, con effetto meramente endoprocessuale, funzionale all'accertamento della giurisdizione. (1) Cfr. Cass. Sez. Un., 22 febbraio 1978, n. 863 in questa Rassegna, 1978, I, 542, nonch, da ultimo, Cass. Sez. Un., 2 maggio 1983, n. 3000. 5 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 484 Il giudicato sulla giurisdizione con effetto esterno si forma solo in funzione della statuizione delle sezioni unite della Corte di cassazione in sede di regolamento preventivo o di ricorso ordinario per motivi attinenti alla giurisdizione, ovvero in funzione del passaggio in giudicato di una statuizione di merito che contenga il riconoscimento, sia pure implicito, della giurisdizione del giudice che l'ha pronunciata. La nomina a console, disposta in base al D.P.R. 5 gennaio 1967, n. 18, d vita ad un rapporto di servizio onorario, e non, mancando i requis.iti della professionalit, intesa come esclusivit o prevalenza dell'attivit lavorativa in favore dello Stato, e della retribuzione predeterminata, non avendo l'indennit corrisposta funzione di corrispettivo, a un rapporto di pubblico impiego; di tal che, non essendo nella specie configurabile un rapporto di lavoro pubblico o privato che presupposto necessario dell'obbligo della costituzione di posizione assicurativa a favore del prestatore di lavoro, questi non titolare di alcuna situazione soggettiva giuridicamente tutelata. Il Ministero degli Affari Esteri, con l'unico motivo del ricorso incidentale, ripropone il suo assunto secondo cui si sarebbe formato il giudicato sul punto della decisione del TAR del Lazio in cui fu esclusa la configurabilit di un rapporto di pubblico impiego, con la conseguenza che il Tribunale di Roma avrebbe dovuto dichiarare, anzich il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, la inammissibilit od improponibilit della domanda del Barenghi, basata sulla dedotta esistenza di un rapporto di pubblico impiego, esclusa dal giudicato. Assunto, questo, che infondato. La questione della configurabilit o :meno, nella specie, di un rapporto di pubblico impiego fu esaminata e risolta dal TAR del Lazio in funzione della questione se la controversia portata al suo esame .rientrasse o meno nella sfera della sua giurisdizione. Pertanto, H giudicato, per difetto di impugnazione, si form non sull'accertamento, funzionale a quel fine, della non configurabilit di un rapporto di pubblico impiego, bens, e soltanto, sulla dichiarazione di difetto di giurisdizione. (}iudicato, questo, meramente interno, endoprocessuale, non producente effetti al di fuori di quel processo; perci non preclusivo del riesame, in altri processi, della questione di giurisdizione, previa nuova ~ndagine, ad essa finalizzata, della natura del rapporto costituito fra il Ministero degli Esteri ed il Barenghi. Invero, il giudicato sulla giurisdizione con rilievo esterno, cio con effetto preclusivo in altri processi, si forma soltanto in funzione della statuizione delle sezioni unite della Corte di Cassazione in sede di regolamento preventivo o di ricorso ordinario per motivi attinenti alla giurisdizione, ovvero in funzione del passaggio in giudicato di una statuizione di merito che contenga il riconoscimento, sia pure implicito, della giurisdizione del giudice che l'ha pronunciata (Cass., s.u., 4 gennaio 1979, n. 4). PARTE I, SBZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE In assenza di preclusione da giudicato, dunque, jJ Tribunale di Roma poteva e doveva qualificare il rapporto intercorso tra il Ministero degli Affari Esteri ed il Barenghi, in funzione delle due domande proposte da quest'ultimo, le quali si ricollegavano entrambe al presupposto che il detto Ministero avesse violato l'obbligo, che gli incombeva quale datore di lavoro, di costituire una posizione assicurativa ad esso ricorrente. a) Con la prima domanda il Barenghi chiese che il Ministero fosse condannato alla regolarizzazione della posizione contributiva presso l'INPS versando la complessiva somma di L. 47.334.380, o quella maggiore o minore che fosse risultata dai conteggi dell'INPS. E tale Isti.tuto, chiamato anch'esso in causa dal Barenghi, chiese la condanna del Ministero a pagargli la complessiva somma di L. 49.233.992 per contributi omessi e dovuti per il.dipendente Barenghi e per sanzioni civili. b) Con la seconda domanda il Barenghi chiese che H Ministero fosse condannato a risarcirgli i danni per la parte di contribuzione assicurativa eventualmente prescritta. In relazione a siffatte domande, il Tribunale di Roma ha ritenuto che fosse stato costituito e si fosse svolto fra il Ministero degli Affari Esteri ed il Barenghi un rapporto di pubblico impiego, traendone la conseguenza del difetto di giurisdizione del giudice ordinario. Del che si duole il Barenghi con l'unico motivo del ricorso principale, sostenendo che si trattava di controversia previdenziale e pertanto sussisteva la competenza del giudice del lavoro (presupponente la giurisdizione del giudice ordinario). Ha errato il TJ:"ibunale di Roma nel qualificare di impiego pubblico il rapporto volontario di servizio costituitosi e svoltosi tra il Ministero degli Affari Esteri ed il Barenghi sol perch era stata attribuita a questi una funzione pubblica (consolare), s che svolse un'attivit a favore di detta Amministrazione direttamente inerente ai suoi fini istituzionali, ed il rap porto aveva avuto origine da decreti ministeriali di incarico i quali in astratto -ha osservato il Tribunale -avrebbero potuto configurare un atto formale di nomina. Il rapporto di servizio volontario si configura come impiego pubblico quando un soggetto assume verso lo Stato od un ente pubblico non economico l'obbligo, dietro una retribuzione predeterminata, di effettuare, in modo continuo e professionale (nel senso di esclusivit o, quanto meno, prevalenza o precedenza dell'attivit lavorativa del soggetto in favore dello Stato o dell'ente pubblico rispetto ad altre attivit lavorative del medesimo soggetto), ed in posizione di subordinazione gerarchica, determinate prestazioni in correlazione con uno o pi fini istituzionali dello Stato o dell'ente. In presenza di tutti questi elementi, configurandosi il rapporto di pubblico impiego, il prestatore d'opera inserito nella struttura orga RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO nizzativa .predisposta dallo Stato o dall'ente pubblico non economico per la realizzazione dei suoi fini, intesa quale predisposizione del personale adibito, in modo continuativo e professionale, all'esercizio delle pubbliche funzioni o delle mansioni interne: inserimento, dunque, sul piano strutturale, in relazione ed al fine dell'esercizio, da parte dell'impiegato, delle funzioni pubbliche o delle mansioni interne ad esso conferite. Quando esista, invece, un rapporto di servizio volontario con attribuzione di funzioni pubbliche, ma in assenza degli elementi caratterizzanti l'impiego pubblico, si ha la figura del funzionario onorario. In siffatta ipotesi, manca la professionalit, .poich non fatto obbligo al funzionario onorario di svolgere la sua attivit in favore dello Stato o di un ente pubblico non economico in modo esclusivo o prevalente o con precedenza rispetto ad altre sue attivit; e manca la retribuzione predeterminata, essendo pagata al funzionario onorario, se prevista, un'indennit che non ha funzione di corrispettivo per l'attivit 'Svolta. Elemento genetico del rapporto di servizio volontario tra lo Stato od un ente pubblico non economico ed il funzionario onorario il provvedimento di conferimento delle funzioni a .titolo onorario (provvedimento di incarico), che si differenzia dall'atto formale di nomina, originante il rapporto di impiego pubblico. Invero, come queste s.u. hanno di recente precisato in una analoga vicenda (sent. 7 ottobre 1982, n. 5129), per effetto di quel provvedimento, il funzionario onorario immesso nell'ambito del- l'organizzazione dello Stato o dell'ente pubblico non economico, ma limitatamente al piano funzionale, non anche sul piano strutturale, mancando l'inserimento nella predisposta struttura organizzativa. Il Barenghi consegu la nomina a console generale in base al combinato disposto degli artt. 264 e 169 del D.P.R. 5 gennaio 1967, n. 18 (e prima ancora in base al R.D. 28 gennaio 1866, n. 2084, che conferiva all'AmministraziOiile degli Affari Esteri poteri analoghi): a norma dell'art. 264, primo comma, per un periodo di cinque anni dall'entrata in vigore del decreto, il Ministro degli Affari Esteri poteva, con le modalit ed alle condizioni previste dall'art. 169, cio per particolari esigenze di servizio e su parere favorevole del Consiglio di amministrazione, incaricare persone estranee all'Amministrazione, in possesso di idonei requisiti, della direzione di uffici consolari di I categoria (ai quali, per l'art. 42, deve essere preposto un funzionario di carriera, mentre agli uffici consolari di II categoria preposto un funzionario onorario); ed a norma dell'ultimo comma dello stesso articolo, le persone gi incaricate della direzione di ufficio consolare di I categoria alla data di entrata in vigore del decreto potevano continuare nel loro incarico per un. periodo complessivo di sei anni ai sensi e con le modalit dell'art. 169 (situazione, questa, che si verific per il Barenghi). PARm I, SBZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE La norma transitoria dell'art. 264 parla di perisone estranee all'Amministrazione , che potevano essere incaricate della direzione di uffici consolari di I categoria; e persone estranee all'Amministrazione erano quelle gi incaricate della direzione di un ufficio consolare di I categoria alla data di entrata in vigore del decreto, le quali, per l'ultimo comma dello stesso articolo, potevano continuare nell'incarico per il periodo suddetto. La norma dell'art. 169 inserita nel titolo VII della parte II del decreto, intitolato Utilizzazione temporanea di persone estranee all'Amministrazione degli affari esteri . La stessa legge, dunque, parla di persone estranee all'Am.min!i.strazione degli affari esteri , La quale espressione non pu essere mtesa se non nel senso che quei funzionari, incaricati della direzione di uffici consolari di I categoria, non sono inseriti nella struttura organizzativa dell'Amministrazione degli affari esteri predisposta per la realizzazione dei relativi fini istituzionali, ma sono immess! nell'ambito ovganizzativo di quell'Amministrazione limitatamente al piano funzionale. Per quei funzionari, in quanto persone estranee all'Ammin!strazione degli affari esteri, non esiste una norma, generale o specifica, che imponga l'obbligo della professioo.alit, intesa nel senso suddetto. Ed inoltre manoa una retribuzione predeterminata. Il secondo comma dell'art. 203 del citato D.P.R. d!i.spone che alle persone estranee all'Amministrazione degli affari esteri in servcizio all'estero compete, se incaricate delle funzioni di capo di ufficio consolare di I categoria, il trattamento previsto dagl!i. artt. 171, 173, 174, 178, 180, 182, 186, 188, 207 e 208, nonch quello previsto dal titolo II della parte II. L'art. 171 attribuisce l'mdennit di servizio all'estero, precisando che non ha natura retributiva essendo destinata a sopperire agli oneri derivanti dal servizio all'estero ed ad ess!i commisurata . Le altre norme, poi, riguardano altre indennit aggiuntive e rimborsi vari. Si tratta, dunque, di funzionari onorari. E funzionario onorario fu il Barenghi nel periodo in cui sii svolse il detto rapporto volontario dli servizio con attribuzione delle funzioni di console, preposto ad uffici consolari di I categoria. Ed allora, se il rapporto dedotto in giudizio va qualificato, in base alle allegazioni della parte, come rapporto di servizio ono:mrio, non sono configurabili nella specie, ill astratto, n un rapporto di impiego pubblico n un rapporto privato di lavoro subo11dinato. E poich l'esistenza di un rapporto di lavoro pubblico o privato il presupposto necessario dell'obbligo, incombente al datore di lavoro, di costituire una posizione assicurativa al prestatore d'opera subordinata, ne deriva, in base alla stessa deduzione di parte, carenza di azione per non configurabilit, in astratto, di 488 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO una situazione soggettiva giuddicamente tutelata. Onde il difetto assoluto di giurisdizione, che va, appunto, dichiarato. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 9 maggio 1983, n. 3148 -Pres. Greco - Rel. Menichino -P. M. Sgroi -Istituto Poligralfco dello Stato (avv. Stato Fienga) c. Mendolicchio (avv. Diana). Giurisdizione civile -Pronuncia di merito -Mancata impugnazione del capo di sentenza -Rilevabilit del difetto di giurisdizione dell'A.G.O. in sede di legittimit -Preclusione. I Il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, in favore della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, non pu essere rilevato per la prima volta in sede di legittimit, qualora la sentenza di primo grado non sia stata investita dell'appello nella parte in cui abbia provveduto lI su una o alcune pretese del dipendente, acquistando cos autorit di giudicato, implicitamente, anche in ordine alla giurisdizione (1). I Deve poi rilevarsi che, con il rigetto del motivo di ricorso inerente g a tale dichiarazione di inammissibilit dell'appello dello Istituto, va ~ riconosciuta l'ormai intervenuta pronuncia definitiva di merito del giudice del lavoro del Tribunale sulla spettanza a favore del dipendente del I preavviso e dei benefici combattentistici. Stante tale giudicato, sul merito I ~ di due pretese del medesimo dipendente, si formato anche il giudicato i= sulla giurisdizione dell'Autorit giudiziaria ordinaria quale necessario presupposto della decisione adottata su detti capi di sentenza, e quindi, sulla spettanza alla stessa A.G.O. a conoscere della controversia. Sussiste quindi la preclusione, -per tale pronuncia di merito -circa l'esame della questione di giurisdizione sulla controversia; e ci in conformit alla costante giurisprudenza idi queste Sezioni Unite per la quale il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, in favore della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, non pu essere rilevato per la prima volta in sede di legittimit, qualora la sentenza di primo grado non sia stata investita dall'appello, nella parte in cui abbia provveduto su una od alcuna delle pretese del dipendente, acquistando cos autorit di giudicato, implicitamente, anche in ordine alla giurisdizione (v. per tutte, sent. 2 aprile 1980 n. 2127). PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 489 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 9 maggio 1983, n. 3151 -Pres. Mirabelli -Rel. Lipari -P. M. Fabi -Pretto e Indelicato (avv. Dragogna) c. Min. Trasporti (avv. Stato Sernicola). Edilizia popolare ed economica -Diritto soggettivo del privato alla cessione in propriet -Alloggi ammessi od esclusi dal riscatto -Giurisdizione ordinaria. L'assegnatario di alloggio di t~po popolare ed economico di cui al d.P.R. 17 gennaio 1959 n. 2, risulta titolare nei confronti dell'ente od amministrazione concedente di un diritto soggettivo perfetto alla cessione in propriet del medesimo. Rientra nella competenza giurisdizionale dell'A.G.O. la controversia volta a stabilire se un determinato alloggio sia da annoverare tra quelli ammessi o esclusi al riscatto, dal momento che la potest giurisdizionale del G. O. opera non solo in positivo ma anche in negativo e quindi anche quando si tratti di accertare se ricorra una ipotesi di esclusione del diritto alla cessione in propriet (1). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 16 maggio 1983 n. 3358 -Pres. Gambogi -Rel. Tondo -P. M. Fabi {conf.). -I.N.A.M. (avv. Stato Bruno) c. Florio (n.c.). Giurisdizione civile -Enti Pubblici -Appalto di manodopera -Rapporto diretto con l'ente interponente -Natura pubblicistica. (art. 1, I. 3 ottobre 1960 n. 1369). Il divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni lavorative, previsto dall'art. 1 l. 3 ottobre 1960, n. 1369, ed applicabile anche nei confronti degli enti pubbl~ci sia economici che non economici, in relazione alle attivit di contenuto imprenditoriale da essi svolte, comporta, nel caso di trasgressione, che il rapporto di lavoro si costituisce ex lege con l'ente interponente ed assume la natura propria di tutti gli (1) Giurisprudenza consolidata richiamata in motivazione. Cfr. per tutte, Cass. Sez. Un., 2 ottobre 1975, n. 3100, Foro lt., 1976, I, 74, con nota di richiami. Per il riparto di giurisdizione tra la fase precedente e quella posteriore all'assunzione, cfr. Cass. Sez. Un., 5 novembre 1981, n. 5826 in questa Rassegna, 1981, I, 729; cfr. anche I giudizi di costituzionalit e il contenzioso dello Stato negli anni 1971-1975 , II, ;104, Conforme la sentenza, di pari data n. 3150. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 490 altri rapporti originariamente e direttamente da esso posti in essere per lo svolgimento di tali attivit (1). Giova premettere che la giurisprudenZ1a di questa Suprema Corte, abbandonato un primo indirizzo, del quale costituiscono espressione le sentenze S.U. 5 agosto 1974, n. 2330, 3 febbraio 1976, n. 355, 25 maggio 1976, n. 1883, ormai costantemente orientata nel senso che il divieto di intermediazione ed inte:r.p9sizione nelle prestazioni lavorative, stabilito dall'art. 1 della legge 23 ottobre 1960, n. 1369 ed applioabile pur nei confronti. degli enti pubblici, sia economici, che non economici, in relazione alla attivit di contenuto IIIlprenditoriale dai medesimi svolte, comporta, in ipotesi di trasgressione, che il rapporto di lavoro si costituisce ex lege con l'ente interponente ed assume la natura propria di tutti gli altri rapporti originariamente e direttamente da esso posti in essere per lo svolgimento delle dette attivit (v. per tutte, sent. S.U. 1 ottobre 1979, n. 5019; 22 ottobre 1980, n. 5684; 25 maggio 1981, n. 3404; 28 giugno 1982, n. 3897). Alla stregua di questi principi -dai quali il Collegio non ha motivo di discostarsi -l'istanza dell'I.N.A.M. fondata, perch l'ipotizzata violazione del divieto di interposizione, in considerazione della indubbia natura di ente pubblico non economico dello stesso Istituto, por.rebbe in essere un rapporto di pubblico impiego, devoluto alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. (1) La Cassazione, con questa sentenza, si uniforma ai principi gi pre cedentemente enunciati in Cass., Sez. Un., 1 ottobre 1979, n. 5019, in Foro lt., 1980, I, 716 con ampia nota di O. MAzzoTTA; Cass., Sez. Un., 22 ottobre 1980, n. 5684, in Mass. 1980; Cass., 25 maggio 1981, n. 3404, in Dir e giur., 1982, 144; Cass., 28 giugno 1982, n. 3897, in Mass., 1982. Peraltro, con la sentenza n. 5019 cit., la Cassazione ha completamente mutato l'orientamento sin allora seguito (e per il quale cfr. Cass., Sez. Un., 5 agosto 1974, n. 2330, in Foro lt., 1974, I, 3334, con nota di A. TALLARIDA; Cass. 3 febbraio 1976, n. 355, in Giust. civ., I, 483; Cass., 25 aprile 1976, n. 1883, in Foro lt., 1976, I, 1462; e nel campo amministrativo cfr. Cons. Stato, V sezione, 6 lu glio 11979, n. 487, in Cons. Stato, 1979, I, 1063), in base al quale, in ipotesi di rapporti di lavoro indiretti, si riteneva si creasse fra l'ente pubblico interponente -da un lato -e lavoratori dipendenti dall'intermediario -dall'altro una relazione giuridica privatistica e non un rapporto di pubblico impiego. Sul problema della giurisdizione cfr. Cass., 22 luglio 1980, n. 4789, in questa Rassegna 1981, I, 55, con nota di SERNICOLA. In dottrina cfr. VELA, La giurisprudenza della Corte di Cassazione sul rapporto di lavoro presso gli enti pubblici, in Riv. giur. lav., 1979, I, 3 e ss., che sostiene il carattere privatistico del rapporto conseguente ad assunzione illecita presso un ente pubblico; Palermo, Lavoro a favore di terzi, interposizione e rapporti indiretti di lavoro, in Dir. lav., 1967, I, 183 e, infine, MAZZOTTA, Rapporti interpositori e contratto di lavoro, 1979, passim. GABRIELLA PALMIERI SEZIONE QUARTA GIURISPRUDENZA CIVILE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. II, 18 marzo 1981, n. 1603 -Pres. Moscone - Rel. Iofrida -P. M. Valente (conf.) -Squilla (avv. Materazzi) c. Azienda F.S. (avv~ Stato Stipo). De"riiiio': Potere cli autotutela della P. A. Ingiunzione cli rilascio . Legittimit anche nel caso cli rivendicazione. Demanio Acquisto cli bene per fini pubblici Sospensione dell'uso pub blico Persistenza della destinazione potenziale del bene a servire all'uso pubblico Mancata perdita della demanialit. consentito alla Amministrazione dello Stato procedere per la restituzione di un terreno demaniale, attraverso ingiunzione di rilascio, in quanto, ai sensi dell'art. 823 e.e. la P.A., per la tutela dei beni che fanno parte del demanio pubblico, ha facolt sia di procedere in via amministrativa sia di valersi dei mezzi ordinari a difesa della propriet e del possesso, in essa inclusa l'azione di rivendicazione contro un privato per la restituzione di un immobile ritenuto demaniale (1). Non vale a far perdere la natura demaniale di un bene ed quindi irrilevante l'eventuale sospensione, anche per lungo tempo, dell'uso pubblico, perch sussista la possibilit di riviviscenza dell'uso stesso, essendo incontestabile che, anche mancando un uso attuale e contingente, pu ognora pers,istere la destinazione, se vi ancora attitudine potenziale a servire all'uso diretto e generale della collettivit (2). (1-2) Le due massime valgono a confermare principi che ormai possono ritenersi acquisiti in giurisprudenza. Particolare interesse tuttavia presenta la seconda massima, con la quale si pone in evidenza come la natura demaniale di un bene non deriva dalla destinazione attuale e concreta del bene stesso all'uso pubblico, bens dalla potenzialit a soddisfare pubbliche esigenze. Pertanto se un'area di propriet della P.A., ancorch non utilizzata, , per le sue caratteristiche naturali e di luogo, suscettibile di servire e completare una area sulla quale in concreto esercitato l'uso pubblico, il carattere demaniale non pu essere negato. G. STIPO RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 492 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Lav., 2 febbraio 1983, n. 899 -Pres. Rubinacci -Rel. Chiavetti -P. M. Zema (concl. diff.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Ferri) c. Montesano Michele (avv. Ca:ridillo e Quaremba). Lavoro -Applicazione del rito del lavoro a controversia cui non si applica -Nullit -Non sussiste. (art. 489 c.p.c.). Lavoro -Messo di conciliazione e pubblica amministrazione -Rapporto Non sussiste -Svalutazione -Risarcimento del danno -Non spetta. L'applicazione dell'art. 409 c.p.c. ad un rapporto nel quale non doveva applicarsi il rito del lavoro non comporta di per se alcuna nullit a meno che, a seguito dell'applicazione del rito suddeto, non ne derivi una nullit specifica prevista dalla legge (ad es. violazione di norme sulle prove) (1). Il risarcimento del danno per svalutazione previsto dalla legge solo per crediti di lavoro e non pu riconoscersi in riferimento ad un eventuale rapporto tra messo di conciliazione e pubblica amministrazione (2). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un. 17 febbraio 1983 n. 1203 Pres. Mira belli P. P. Rel. Menichino -P. M. Corasaniti (conci. parz. conf.) -Presidenza della Repubblica (avv. Stato D'Amato) c. Isidori, Guidi, Caniara, Fadda. Competenza civile -Difetto assoluto di giurisdizione -Nozione. Competenza civile Impiego pubblico Segretariato generale della Presidenza della Repubblica Indennit di fine rapporto . Contributi sull'indennit aggiuntiva percepita ai fini .del conseguimento di una maggiore base pensionabile Giurisdizione esclusiva del giudice am ministrativo Sussiste. L'improponibilit della domanda per difetto assoluto di giurisdizione sussiste solo quando venga invocata l'attivit giurisdizionale per una situazione soggettiva non qualificabile n come diritto soggettivo, n come interesse legittimo in mancanza nell'ordinamento di una norma che astrattamente la tuteli; e non anche, qualora in presenza di una norma di tale potenziale contenuto, si controverta sulla portata e sulla interpre (1) Cfr., in proposito, Cass., 6 novembre 1954, n. 4192. (2) Cfr. Cass., 16 gennaio 1979, n. 321. I I i ! r1tr11r1rrlrxrrrJ~1f11r11;~1ff:imrrlrifr!riirfrff[r:lt~ri[ififtrtrfr1wt:1;1:1;i1ta1tttlrlfBllti1tr~~rr11 PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 493 tazione della medesima, per stabilire la riconducibilit concreta ad essa della pretesa azionata (1). Rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo la domanda diretta al conseguimento di una indennit di fine rapporto, aggiuntiva a quella a carico dell'E.N.P.A.S. e commisurata alla indennit c.,d. di comando, percepita durante il servizio svolto nella qualit di dipendente di una Amministrazione Statale distaccato (nel caso di specie, presso il Segretariato Generale della Presidenza della Repubblica) perch trattasi di una domanda inerente alla qualit di pubblico impiegato chiamato a prestare servizio presso un'altra Amministrazione pubblica. Rientra altres nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di pubblico impiego la controversia inerente all'obbligo del Segretariato generale della Presidenza della Repubblica a versare al Fondo Tesoro del Ministero del Tesoro i contributi sull'indennit aggiuntiva percepita, c.d. di comando, perch poi questa possa essere inserita nella nuova e maggiore entit della base pensionab.ile perch non si tratta di questione relativa ai provvedimenti dell'Amministrazione che concedono, rifiutano o riducono il trattamento di quiescenza (2). L'Amministrazione ricorrente sostiene che i dipendenti intimati erano vincolati con rapporti di impiego instaurati e disciplinati sino alla loro conclusione dalle varie amministrazioni statali di rispettiva appartenenza organica, e che per 1a loro posizione funzionale di comando presso il Segretariato generale della Presidenza della Repubblica non era sostenibile che si fosse costituito :un secondo loro rappor.to d'impiego con tale organo, in quanto il comando incide sullo stato giuridico dell'impiegato soltanto per l'esercizio del potere gerarchico che temporaneamente esercitato dalla amministrazione presso cui svolto il servizio, diversa da quella di provenienza. Pertanto il Segretariato ricorrente deduce, in primo luogo, il difetto assoluto di giurisdizione in o:ridine alle domande che presuppongono la costituzione di un rapporto di impiego con esso ente, ma ci in contrasto con le stesse allegazioni degli attori. (1) Cfr. in proposito le sentenze 13 luglio 1976, n. 2690; 14 ottobre 1977, n. 4371; 23 febbraio 1979, n. 1196; 23 maggio 1980, n. 3397; 24 marzo 1981, n. 1678; 1 luglio 1981 n. 4256. (2) In riferimento alla giurisprudenza che afferma sussistere la giurisdizione esclusiva della Corte dei Conti soltanto in ipotesi di impugnativa di provvedimenti dell'Amministrazione che concedno, rifiutano o riducono il trattamento di quiescenza o in ipotesi di provvedimento gi intervenuto per il pregresso rapporto di impiego del dipendente cfr. le sentenze della Cassazione 29 ottobre 1974, n. 3246; 28 maggio 1975, n. 2155; 27 febbraio 1976, n. 630; 12 maggio 1976, n. 1656; 27 ottobre 1979, n. 5507; 7 gennaio 1981, n. 77. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 494 Inoltre esso Segretariato sostiene che, non essendo configurabile, nell'ambito del rapporto di pubblico impiego, una indennit di fine rapporto diversa dalla buonuscita a carico dello E.N.P.A.S., ugualmente sussisterebbe il difetto assoluto di giurisdizione. Ove poi la questione relativa alla configurabilit del preteso diritto alla indennit di comando dovesse essere ritenuta attinente al merito, la competenza giurisdizionale a conoscerne spetterebbe al Giudice Amministrativo in via esclusiva, vertendosi in tema di pubblico impiego. E sussisterebbe invece fa giurisdizione della Corte dei Conti per quella parte della domrun:da che si risolve in una richiesta di adeguamento della base retributiva ai fini del trattamento di quiescenza. La prima questione che deve essere esaminata riguwda l'eccezione dell'Amministrazione ricorrente di difetto assoluto di giurisdizione per mancanza di una normativa ohe consenta o preveda la costituzione di un rapporto di impiego diretto fra il dipendente pubblico che sia distaiccato presso un'altra Amministrazione, e questa stessa come beneficiaria delle di lui prestazioni; ed inoltre per la mancanza di altre norme che prevedano l'erogazione di indennit di buonuscita ulteriori, rispetto a quella a carico dello E.N.P.A.S., per i dipendenti pubblici. Tale eccezione non ha fondamento, perch, secondo il costante orientamento di queste Sezioni Unite, l'improponibilit della domanda, per difetto assoluto di giurisdizione, sussiste solo quando venga invocata la 1 attivit giurisdizionale per una situazione soggettiva non quali.fcabile n come diritto soggettivo, n come interesse legittimo in mancanza nell'ordinamento di una norma che astrattamente la tuteli; e non anche, pertanto, qualora in presenza di una norma di tale potenziale contenuto, si controverta sulla portata e sulla intenpretazione della medesima, per stabilire la riconducibilit concreta ad essa della pretesa azionata {sent. 13 luglio 1976 n. 2690; 14 ottobre 1977 n. 4371; 23 febbraio 1979 n. 1196; 23 maggio 1980 n. 3397; 24 marzo 1981 n. 1678; 1 luglio 1981 n. 4256). Orbene, nella presente fattispecie, la pretesa degli odierni intimati quella diretta ad ottenere, quali dipendenti pubblici distaccati presso il Segretariato generale della Presidenza della Repubblica, il trattamento economico, per la indennit di buonuscita e per la base pensionabile del trattamento di quiescenza, uguale a quello degli impiegati dello stesso Segretariato generale, ai sensi delle norme di legge che .regolano tale ultimo rapporto di impiego (art. 9, 1. 9 agosto 1948 n. 1077; art. 17 Regolamento approvato con d.P.R. 10 settembre 1956). Pertanto la applicabilit o meno, nei loro confronti, di tale disciplina costituis.ce una controversia per la cui decisione deve fairsi riferimento a tali norme, cosicch essa non del tutto estranea all'ambito della giurisdizione. Passandosi, quindi, ad individuare il giudice investito di questa relativamente a detta controversia, devesi rilevare che tale soltanto il Giu PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE dice Amministrativo. Per quanto concerne la spettanza o meno di una indennit di fine rapporto, aggiuntiva a quella a carico dello .E.N.P.A.S., e commisurata alla indennit c.d. di comando percepita da ciascuno degli intimati durante il servizio, svolto in qualit di dipendente di una Amministrazione statale distaccato presso detto Segretariato generale, trattasi di una domanda inerente alla qualit di pubblico impiegato chiamato a prestare servizio presso un'altra Amministrazione pubblica. Pertanto la decisione sul punto se la particolare disciplina regolante il rapporto, anche circa la misura della buonuscita, fra tale ultima Amministrazione ed i propri dipendenti, direttamente assunti ed inquadrati nel relativo organico, sia estensibile, ed in quali eventuali limiti, anche ai dipendenti estrianei, ma 'distaccati dalle altre di loro provenienza, e di rispettivo loro inquadramento organico, concerne lo status di pubblico impiegato. Il presupposto ed il fondamento della pretesa attengono infatti alla esistenza del rapporto di pubblico impiego che, essendo sorto, ed essendo disciplinato dalle norme regolanti il medesimo neH'ambito della P. A., deve pure svolgeI'si ed esaurirsi in conformit al relativo ordinamento. Da quanto sopra consegue che le questioni relative al permanere del detto rapporto, e quelle connesse all'eventuale influenza, su di esso, della normativa particolare del diveI'So rapporto dei dipendenti dell'Amministrazione presso la quale operato il distacco, costituiscono delle controversie sul rapporto di pubblico impiego che rientrano nella giurisdizione esclusiva del Giudice Amminis.trativo (art. 6 Legge 6 dicembre 1971 n. 1034). Altrettanto deve statuirsi sulla ulteriore richiesta dell'obbligo del Segretariato generale anzidetto a versare al Fondo Tesoro del Ministero del Tesoro i contributi. sull'indennit aggiuntiva percepita, c.d. di comando , perch poi questa possa essere inserita nella nuova e maggiore entit della base pensionabile. Trattasi, invero, di una questione che non comporta una controversia relativa ai provvedimenti dell'Amministrazione che concedono, rifiutano o riducono il trattamento di quiescenza, e che non concerne il provvedimento gi intervenuto per il pregresso rapporto di impiego di ciascuno dei dipendenti, odierni intimati, con l'Amministra2lione di provenienza nei sensi gi ipredsati. Al contrairio la questione inerisce ad una nuova obbligazione contributiva della diversa e distinta Amministrazione presso fa quale i medesimi dipendenti avevano prestato servizio, in virt del provvedimento di relativo distacco, e che perci presuppone pur sempre l'esistenza di un ulteriore, distinto rapporto con questa, ovvero la modifica di quello con l'Amministrazione di appartenenza per effetto dell'applicabilit della ,diveI'sa disciplina di impiego presso la Amministrazione di distacco , RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 496 Orbene soltanto in ipotesi di impugnativa dei provvedimenti del primo tipo, come gi detto, pu sussistere la giurisdizione esclusiva della Corte dei Conti (sent. 29 ottobre 1974 n. 3246; 28 maggio 1975 n. 2155; 27 febbraio 1976 n. 630; 12 maggio 1976 n. 1656; 27 ottobre 1979 n. 5507; 7 gennaio 1981 n. 77). Ma tale ipotesi non ricorre 111el caso in esame, a differenza di quanto prospettato nel ricorso e nella discussione dalla Amministrazione ricorrente, e di quanto pure sostenuto nelle proprie conclus.oni dal Procuratore Generale. E ci perch una pretesa -come quella in esame -inerente all'obbligo contributivo di una P. A., per la successiva declaratoria di pensionabilit di una indennit a carico di essa, involge sempre un giudizio sulla configurabilit di un rapporto fra le parti che, incidendo su quello di p'li.bblico .mpiego gi esistente fra un dipendente ed un'altra Ammln1strazione, richiede la definizione e la individuazione dell'eventuale disciplina applicabile. Anche tale tipo di controversia, perci, appartiene alla giurisdizione esclusiva del G.A., in materia di pubblico impiego. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. III, 24 febbraio 1983, n. 1442 -Pres. Lo Surdo -Rel. Ruperto -P. M. Sg.roi (conf.) -Istituto Tecnico Industriale A. Panella (avv. Stato Catrical) c. Orlando Giuseppe (avv. Grillo Zappia -avv. Fresa) -Falcomat Gaetano (avv. Pannuccio). Responsabilit civile -Esteriorizzazione del fatto costitutivo -Conoscibilit dell'evento dannoso ai fini del decorso della prescrizione. Responsabilit civile -Prova liberatoria -Requisiti. Responsabilit civile -Criteri di imputazione -Risarcimento del danno Limiti. La responsabilit extracontrattuale sorge quando il fatto costitutivo si esteriorizza, e, quindi, il dies a quo della prescrizione, ai sensi del1' art. 2947, primo comma, cod. civ., decorre dal momento in cui si esteriorizza e diventa conoscibile l'evento dannoso {1). La prova liberatoria, di cui all'ultimo comma dell'art. 2048 cod. civ., consiste nella prova di non aver potuto impedire il fatto ; se si in presenza, quindi, di una prova che miri a dimostrare dati evidentemente (1) Il principio di diritto era gi stato pi volte enunciato dalla precedente giurisprudenza in materia: cfr., da ultimo, Cass. 24 marzo 1979, n. 1716; con la sentenza 6 maggio 1971, n. 1282 la Cassazione aveva puntualizzato inoltre, che, ai fini della prescrizione, l'aggravarsi di precedenti lesioni personali o il verificarsi di nuove lesioni rende possibile l'esercizio di azioni autonome rivolte ad ottenere il risarcimento del nuovo danno. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE .f97 inidonei ad integrare una totale impossibilit, a giudizio insindacabile della Corte del merito, la prova liberatoria si considera come non offerta (2). Nel caso in cui l'incapace subisca un danno in conseguenza di un fatto illecito altrui che concorra eziologicamente col suo fatto colposo, l'indagine del giudice va limitata all'esistenza della serie causale concorrente alla produzione dell'evento dannoso, a prescindere dalla non imputabilit del soggetto danneggiato, ed il risarcimento dovuto dal terza danneggiante solo nella misura in cui l'evento medesimo possa farsi risalire a colpa di quest'ultimo, restando esclusa la parte di danno ascrivibile al comportamento dell'incapace (3). Col primo motivo di entrambi i ricovsi si denunzia violazione dell'art. 2935 e.e., censurandosi l'impugnata sentenza per aver disatteso la eocezione di prescrizione sull'erroneo argomento che questa decorresse, nella specie, non dal momento del verificarsi dell'infermit conseguita alla pretesa azione dannosa, bens da quello successivo dell'aggravamento dell'i111fermit medesima. La censu["a infondata. La Corte del merito partita da un'esatta premessa giuridica, nel motivare il suo convincimento in ordine al dies a quo della prescrizione: applicando il principio pi volte enunciato da questo Supremo Collegio, secondo cui la responsabilit extracontrattuale sorge quando il fatto costitutivo si esteriorizza, in particolare quando si esteriorizm e diventa conoscibile l'evento dallllloso (v., da ultimo, Cass. 24 marzo 1979 n. 1716). All'uopo essa ha tenuto a sottolineare che, ai fini della prescrizione, non ha rilevanza un successivo aggravamento del danno, salvo il caso che le ulteriori conseguenze dannose del fatto lesivo si manifestino in epoca posteriore come un'entit nuova e autonoma. Affermazione, quest'ultima, aderente a quanto puntualizzato dalle Sezioni unite civili con sentenza 6 maggio 1971 n. 1282. ben vero che, poi, nello svolgimento ulteriore della motivazione la Corte del merito incorsa in qualche apora, che giustifica le critiche del {2) Cfr., in senso conforme, Cass., 13 febbraio 1973, n. 449; Cass., 2 ottobre 1976, n. 3725. (3) In senso conforme Cass., Sez. Un., 17 febbraio 1964, n. 351 e, da ultimo, Cass., III Sez. Civ. 11 febbraio 1978, n. 630. La Corte del merito, invece, contrariamente al principio di cui in massima, aveva sostenuta la tesi secondo la quale il comportamento della persona incapace si traduce sostanzialmente, anche rispetto all'agente, in un fortuito, cio in un fatto puramente fisico, insuscettibile di essere attribuito a titolo di colpa a chi lo pone in essere (la Cassazione aveva, peraltro, sostenuto siffatta tesi con la sentenza n. 1650 del 3 giugno 1959 e n. 291 del 10 febbraio 1961). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ricorrente Falcomat sotto il profilo logico. Ma trattasi di vizio che non infirma la sostanziale esattezza del giudizio reso, comportando soltanto la necessit di una correzione ai sensi dell'art. 384, secondo comma, c.p.c. All'uopo da rilevare che la stessa Corte ha precisato in punto di fatto che l'Or.lando rimase ingessato, a seguito dell'incidente occorsogli, per duecento giorni. n che significa che, quantomeno per tutto tale periodo, successivo alla data del 13 novembre 1961, il danno permanente fatto valere cn la domanda giudiziale non si esteriorizz s da rendersi conoscibile; e che tale rpot divenire non prima dello spirare del periodo medesimo, coincidente con la rimozione della ingessatura. E dUil!que la decorrenza del termine prescrizionale non sarebbe comunque potuta !iniziare prima .del giugno 1962; con la conseguenza che a;l momento della notificazione dell'atto introduttivo del giudizio (20 gennaio 1967) non era sicuramente trascorso il quinquennio previsto dall'art. 2947, primo comma, codice civile. Tale constatazione, ricavabile -si dpete -dalla parte motiv.a della stessa impugnata sentenza, rende inconferente tutto il ragionamento della Corte d'appello che si rivela viziato sotto il profilo logico; bastando da sola a dimostrare l'esattezza della decisione, a stregua del suesposto principio di diritto. Principio, che questo Supremo Collegio ancora una volta intende ribadire, non potendosi ovviamente connettere rilevanza giuridica, quale elemento generico di una relazione intersoggettiva, ad un evento dannoso, il quale, pur oggettivamente esistente, non si sia esteriorizzato e quindi non si sia reso conoscibile a chi della relazione stessa debba avvalersi. Col secondo motivo del suo ricorso il Falcomat, sempre in tema di rigetto de1l'eccez;ione di prescrizione, denunzia alm-es violazione dell'art. 2942, n. l, e.e., censurando ancora la Corte d'appello perch, nonostante abbia dato atto che il minore Orlando all'epoca del sinistro non era privo di rappresentante legale per cui erroneamente il T["ibunale aveva escluso la decorrenza del termine prescrizionale nei suoi confronti, ha tuttavia omesso di pronunciare sulla doglianza dn proposito mossa alla prima sentenza con l'atto d'appello. La censura inconsistente, giacch risulta manifesto che fa Corte d'appello, disattendendo quanto ritenuto dal Tribunale in ordine alla sospensione ex art. 2942, n. l, e.e., ha implicitamente accolto la doglianza dell'appellante, peraltro senza un utile risultato per quest'ultimo, giacch l'eccezione di prescrizione stata poi come sopra respinta per altra ragione. Col secondo motivo del ricorso dell'Istituto Panella e col quarto del ricorso di Falcomat si denunzia violazione dell'art. 2948 e.e., nonch dell'art. 345, secondo comma, c.p.c., censurandosi l'impugnata sentenza per aver ritenuto non offerta nella speaie la prov.a liberatoria, quando PARIB I, SEZ. IV, GIURISPRuDENZA CIVILE invece era stata ritualmente formulata in grado d'appello una specifica prova testimoniale sul punto. Anche tale censura infondata. La prova '.liberatoria di cui all'ultimo comma dell'art. 2048 e.e., infatti, consiste nella rprova di non aver potuto imrpedire il fatto; mentre quella articolata ne1l'atto d'arppello del Falcomat mirava a dimostrare dati evidentemente inidonei ad integrare una totale impossibilit, a giudizio insindacabile della Corte del merito, che quindi non scorrettamente ha parlato di prova liberatoria non offerta . , Fondati sono, invece, il terzo motivo del ricorso dell'Istituto Panella ed il quinto del rico11so di FaJcomat, con i quali si denunzia violazione degli artt. 2048 e 2055 e.e., in relazione all'art. 360, n. 3 e n. 5 c.p.c., censurandosi l'iimpugnata sentenza per aver completamente omesso di valutare la corresponsabilit del danneggiato, in subordine dedotta dai convenuti. La Corte del merito, infatti, non ha per nulla esaminato la precisa doglianza contenuta al riguardo nell'atto d'appello. N tale omissione pu giustificarsi, 'SOtto U profilo giuridico, rifacendosi alla tesi, secondo cui il comportamento della persona incapace si traduce sostanzialmente, anche rispetto all'agente, in un fortuito, cio in un fatto puramente fisico, insuscettibi!le di essere attribuito a titolo di colpa a chi lo pone in essere. 'tale tesi, infatti, accolta in passato da due sentenze (la n. 1650 del 3 giugno 1959 e la n. 291 del 10 febbraio 1~61) innovativa rispetto ad una costante tradizione giurisprudenziale, stata definitivamente abbandona: ta dalla Suprema Corte con la sentenza 17 febbraio 1964 n. 351 delle Sezioni unite civili, in cui stato enunciato un principio (ribadito da ultimo con 1sentenza 11 febbraio 1978 n. 630 di questa Sezione), che la Corte di Reggio Calabria avrebbe appunto dovuto applicare prendendo in esame fa censura del Falcomat avverso la sentenza di primo grado. Ed invero, quando l'incapace subisca danno in conseguenza di un fatto illecito altrui che concorra eziologicamente col suo fatto colposo, l'indagine del giudice va 1imitaita all'esistenza della serie causale concorrente alla produzione dell'evento dannoso, a prescindere dalla non imputabilit del soggetto danneggiato, ed il risarcimento dovuto dal terzo danneggiante solo nella misura in cui l'evento medesimo possa farsi risalire a colpa di quest'ultimo, restando esclusa la parte di danno ascrivibile al comportamento dell'incapace. L'impugnata sentenza quindi da cassare, sul rpunto, con rinvio per nuovo esame ad altro giudice, che dovr conformarsi a detto principio di diritto. Pure fondato il terzo motivo del ricorso di Falcomat, col quale si denunzia violazione dell'art. 4 r.d. 17 agosto 1935 n. 1765 e del T.U. approvato con d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124 , in relazione all'art. 360, n. 3 e 5, RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELl.O STATO c.p.c., per non avere la Corte d'appello speso neppure una parola e fornito alcuna motivazione in merito alle richieste di prova .testimoniale relative al fatto dedotto da esso Falcomat, che ~'infortunio dell'Orlando era coperto da assicurazione obbligatoria presso l'l.N.A.l.L., il quale aveva infatti indennizzato i periodi di invalidit totale. All'uopo va osservato che effettivamente l'Istituto Panella in primo grado ed anche il Falcomat in appello avevano dedotto quel fatto per contrastare la domanda di risarcimento proposta nei Joro confronti, senza ottenere che i giudici del merito esaminassero la relativa questione, di cert.o rilevante ai fini del giudizio. Non v' dubbio, invero, che l'Orlando fosse compreso a pieno titolo nella assicurazione obbligatoria con tro gli infortuni sul lavoro, a norma dell'art. 4 D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (sul tema v. Cass., 26 foglio 1974 n. 2245): assicurazione, di cui peraltro risulta pacifico che egli abbia in certa misura goduto i benefici. Ora, in linea di massima, tale assicurazione esonera il datore di lavoro (nefila specie, l'Istituto PaneHa e, di riflesso, il prof. Fakomat) dalla responsabilit civile, a norma dell'art. 10 del citato provvedimento legislativo, che tuttavia fa sa:lvo il caso in cui sussista responsabilit penale per iJ fatto dal quale l'infortunio derivato ed il reato non sia procedibile solo a querela. I giudici del merito, dunque, essendo ormai sicuramente estinta per prescrizione l'eventuale azione penale, av.rebbero dovuto accertare se in concreto sussistessero le condizioni come sopra legislativamente previste rper l'esistenza d'una responsabilit civile pur in presenza d'un fatto dannoso coperto da assicurazione obbligatoria: mancando Je quali condizioni, essi avrebbero dovuto rigettare la domanda dell'attore. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I 9 giugno 1983, n. 3947 -Pres. Granata - Rel. BoJogna -P. M. Benanti (conf.) -Falzone (avv. lacona e Grande) c. A.N.A.S. (avv. Stato Cingolo). Propriet -Usucapione abbreviata -Valutazione degli elementi costitutivi Indagine di fatto. Propriet -Usucapione abbreviata Titolo idoneo all'acquisto -Corrispondenza tra l'oggetto del titolo e l'oggetto del possesso Deve sussistere. L'accertamento dell'esistenza e la valutazione della rilevanza degl.i elementi della fattispecie delineata dall'art. 1159 e.e. (acquisto a non domino, buona fede, titolo idoneo a trasferire il diritto, trascrizione), che, con il decorso del decennio, legittimano l'acquisto del diritto a mezza di usucapione abbreviata, costituisce una indagine di fatto demandata al giudice PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 501 di merito e, pertanto, incensurabile se basata su corretta e congrua motivazione (1). Al fine della legittimazione all'acquisto del diritto per usucapione ab breviata necessaria la perfetta corrispondenza tra l'oggetto del titolo (bene acquistato anche se a non domino) e l'oggetto del possesso da parte di colui che deduce l'usucapione decennale (2). CORTE DI CASSAZIONE, Sezione Lavoro, 17 giugno 1983, n. 4184 Pres. Afel1lra Est. P.icazio -P. M. (concl. conf.) Leo Ministero del Tesoro ufficio liquidazioni <(avv. Stato Caraanazza) Cernigliaro (avv. Paolo Camassa). Lavoro Rapporti di lavoro Convenzioni enti mutualistici Medici esterni . Blocco tariffe Nuove convenzioni. L'art. 8 sesto comma della L. 17 agosto 1974, n. 386, modificativo dell'art. 8 D.L. 8 luglio 1976, n. 264, comprende il blocco delle tariffe stabilite nel richiamato accordo sindacale del 13 luglio 1973 nella loro globalit, e quindi sia per quanto riguarda la misura che nell'accordo stesso sia fis sata, sia per quanto concerne il meccanismo di indicizzazione delle tariffe (3). L'art. 11 L. 29 giugno 1977, n. 349 prevede la soppressione del blocco delle tariffe posto dall'art. 8 L. 386 del 1974, sempre che siano sopravvenute le nuove convenzioni e tariffe previste dalla stessa L. 349 del 1977 (4). (1) Nel senso della massima cfr., oltre la sentenza citata nel testo, Cass., 26 luglio 1966, n. 2077, in Giust. civ., Mass. 1966, 1188; Cass., 10 aprile 1970, n. 988, ivi, 1970, 550; Cass., 15 novembre .1973 n. 3047 ivi, 1973, 1587. (2) La giurisprudenza ormai consolidata nell'affermare il principio enunciato Cfr. per tutte, Cass., 16 luglio 1966, n. 1923, in Giust. civ., Mass. 1966, 1093; Cass., 20 dicembre 1969, n. 4012, ivi, 1969, 2017; Cass., 3 aprile 1971, n. 965, ivi, 1971, 516; Cass. 15 novembre 1973, n. 3047, ivi, 1973, 1587). In dottrina cfr. per tutti: Massimo FRANCESCO, Manuale di Diritto civile e commerciale, Milano, Giuffr, 1965, p. 400 e autori ivi citati. (3) In senso conforme Cass., sez. lav., 111 giugno 1981, n. 3087, in Mass. Foro lt., 1981; Cass. Sez. Lav., 5 giugno 1981 in Foro It., 1981, I, 513. (4) In senso sostanzialmente conforme Cass., Sez. Lav., 11 dicembre 1982 in Rep. Giur. lt., 1982, n. 2424, 308; Cass., Sez. Lav., 25 novembre 1982, n. 6390 in Rep. Giur., 1982, cit. n. 309; Cass., Sez. Lav., 12 giugno 1982, in Rep. Giur. It., cit. 309. SEZIONE QUINTA GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 27 aprile 1982, n. 264 -Pres. Mezzanotte Est. Santoro -Manganaro (avv. Giiallombardo) c. Azienda F.S. (avv. Stato Stipo). Pensioni Orfano maggiorenne di dipendente statale Decisione della Corte dei Conti di riconoscimento del diritto a pensione Efficacia per il periodo successivo al provvedimento di diniegQ Insussistenza. L'Amministrazione nel dare esecuzione al giudicato della Corte dei Conti che riconosce il diritto a pensione in favor.e di orfano ma&giorenne di dipendente statale, legittimamente liquida le rate mturate fino alla data di adozione del provvedimento negativo di pensione, con riserva di corrispondere le mte successive non appena l'interessato ha prodotto la dichiarazione che le condizioni di nullatenenza sono sussistenti anche nel periodo successivo (1). Con decreto del 6 aprile 1979, n. 3895 del Ministero dei Trasporti stata respinta la domanda di pensione di riversibilit proposta dalla signora Caterina Manganaro. Contro detto decreto l'interessata ha proposto ricorso alla Corte dei Conti, sezione III giurisdizionale, e quest'ultima, con decisione n. 45734 del 2 giugno 1980 ha accolto il ricorso, riconoscendo in capo alla ricorrente la sussistenza di tutti i requisiti di legge per il riconoscimento del diritto al1a chiesta pensione di riversibilit, assegnando all'Amministrazione il termine di 90 gg. per l'esecuzione della decisione suindicata. , La ricorrente agisce ora per l'esecuzione del giudicato, ai sensi dell'art. 27 n. 4, T.V. 26 gennaio 1924, n. 1054 assumendone l'inesecuzione, nonostante il termine fissato ne:tla decisione della Corte dei conti, deposi (1) Il T. U. 29 dicembre 1973, n. 1092 sul trattamento di quiescenza dei dipendenti statali riconosce la pensione di riversibilit agli orfani maggiorenni inabili a proficuo lavoro o in et superiore a sessanta anni, conviventi a carico del dipendente o del pensionato e nullatenenti (art. 82). : inoltre stabilito che le condizioni soggettive per il conseguimento del diritto al trattamento di riversibilit devono sussistere al momento della morte del dipendente o del pensionato , aggiungendosi poi che qualora dette condizioni vengano meno, la pensione di riversibilit revocata (art. 86). Orbene sorta questione se, qualora l'orfano ha impugnato un decreto negativo di pensione ed ottenuto una sentenza favorevole, il trattamento pen PARm I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 503 tando altres in questo giudizio copia di tale decisione e la diffida per il pagamento di quanto dovutole in forza della medesima, diffida notificata in data 24 febbraio 1981. Il Mlltlstero dei Trasporti ha depositato in questo giudizio una relazione del 16 ottobre 1981 nella quale si afferma che, in seguito alla predetta decisione della Corte dei conti, stato emanato un :provvedimento di liquidazione della pensione di riversibilit a favore della ricorrente dal primo giorno della domanda (1 maggio 1973), fino alla data di adozione del provvedimento negativo impugnato dalla ricorrente dinanzi la Corte dei Conti (6 aprile 1979), e ci perch essendo il diritto artla pensione di riversibilit ordinaria revocabile per il venir meno delle condizioni richieste per il suo conseguimento, non era pervenuta dall'interessata fa dichiarazione, di cui all'art. 24 L. 13 aprile i977, n. 114, dei redditi conseguiti nel periodo successivo a quello dell'impugnato decreto dalla medesima, al fine di dimostrare il possesso del requisito della nulltenenza. Con successiva memoria depositata il 5 novembre 1981 la ricorrente ha Sostenuto che il decreto di liquidazione della pensione a suo favore, con l',anz~detto limite ad quem , sostanzialmente elusivo e parzialmente esecutivo del giudicato della decisione della Corte dei Conti, la quale avrebbe accertato definitivamente la sussistenza del requisito della nullatenenza in capo alla ricorrente. Come risulta dall'esposizione in fotto, dopo la proposizione del ricorso per ottemperanza in esame, l'Amministrazione ha liquidato a favore della ricorrente il trattamento pensionistico di rivel'ISibilit, al quale questa aveva diritto in forza della sentenza di cui qui si chiede l'esecuzione. L'Amministrazione, peraltro, in tale provvedimento di liquidazione pensionistica, ha posto quale termine finale per la corresponsione del re- sionistico debba comunque competere nel periodo tra la data del decreto e quella della sentenza. :B noto che il procedimento giurisdizionale difficilmente si esaurisce entro l'anno, anzi normalmente la sentenza interviene a distanza di pi anni dalla impugnazione. :B evidente pertanto che durante la pendenza del processo, le condizioni di reddito dell'interessato possono mutare e quindi verificarsi la perdita del re quisito della nullatenenza. La decisione del Consiglio di Stato in rassegna ha voluto pertanto evitare che potesse aver luogo un indebito arricchimento in favore dell'interessato, il quale, accogliendosi la tesi contraria, si troverebbe a percepire il trattamento pensionistico anche dopo la data del venir meno del requisito della nullatenenza. In mancanza di una espressa statuizione, non si pu attribuire alla sen tenza una efficacia per un periodo successivo a quello esaminato; anche se la decisione intervenuta a distanza di tempo dal decreto impugnato, tuttavia il giudice ha esaminato e giudicato quel decreto, ma non ha esteso oltre la sua indagine e la sua valutazione. G. STIPO 504 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO lativo trattamento, quello della data di adozione del provvedimento di rifiuto, originariamente opposto alla ricorrente, della pensione di riversibilit, impugnato dalla ricor.rente alla Corte dei conti. L'Amministrazione, inoltre si anche riservata di corrispondere alla ricorrente le rate di pensione maturate successivamente a quel termine, non appena le pervenga la dichiarazione sostitutiva del certificato dei redditi della ricorrente medesima, dal quale risulti che essa non gode di un reddito imponibile superiore a L. 900.000 ru.mue, come richiesto -a pena di revoca del beneficio pensionistico de quo -dall'art. 86 del T.U. 29 dicembre 1973, n. 1092. Ci premesso, la Sezione osserva che, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente nella memoria del 5 novembre 1981, il provvedimento, adottato dalllamministrazione in seguito alla proposizione del ricorso in ottemperanza, non ha carattere elusivo del giudicato nascente dalla decisione della Corte dei Conti. Invero, in tale decisione riconosciuta la sussistenza in capo alla ricorrente di tutti i requisiti per ottenere la pensione di riversibilit, compreso quello delle condizioni economiche di cui all'art. 85 t.u. n. 1092 del 1973. L'accertamento delle condizioni economiche della ricorrente, compiuto nella decisione, non pu tuttavia, sostituirsi a quello per il quale l'art. 24, primo comma, L. 13 aprile 1977, n. 114 (recante modificazioni alla disciplina dell'I.R.P.E.F.), prevede la dichiarazione sostitutiva ex L. 4 gennaio 1968, n. 15, da parte dell'interessato. Se si accedesse, infatti, all'opposta interpreta:llione, sostenuta dalla ricorrente, si produrrebbe l'iillogica conseguenza in base alla quale il riconoscimento del requisito delle condizioni economiche, ad opera della decisione della Corte dei Conti di accoglimento della domanda di pensione di riversibilit, diverrebbe intangibile ed insensibile all'eventuale successivo miglioramento delle condizioni economiche del beneficiario della pensione, e ci in evidente contrasto con il capoverso dell'art. 86 del T.V. n. 1092 del 1973, che dispone invece la cessazione del beneficio qualora venga meno anche solo quel requisito. Opportunamente, pertanto, l'amministrazione ha dato esecuzione alla decisione della Corte dei conti sino alla data di adozione del provvedimento negativo dinanzi a questa impugnato, ritenendo esattamente che -l'accertamento delle condizioni economiche della ricorrente, compiuto in quella sede giurisdizionale, non potesse che limitarsi al periodo di tempo del quale la Corte medesima era in grado di conoscere, cio sino al momento dell'adozione del provvedimento impugnato. Ed opportunamente, inoltre, l'amministrazione si riservata di dare corso alla liquidazione del trattamento pensionistico per il periodo successivo a quella data, non appena l'interessata produrr, sotto la propria PARm I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIV~ responsabilit rpenale, la dichiarazione .sostitutiva del prorp.rio reddito imponibile annuo, di cui ag:li artt. 24 primo comma, L. n. 114 del 1977 ed 85, iterzo comma, T.U. n. 1092 del 1973. Ne consegue che il provvedimento di liquidazione della pensione di riversibilit, adottato daill'amministrazione nei confronti della ricorrente, non elusivo, ma invece attuativo del giudicato della decisione della Corte dei Conti in epigrafe indicata e che il ricorso per l'esecuzione di quest'ultimo divenuto, per il sorprnggiungere di ta:le provvedimento, improcedibile iper sopravvenuto difetto d'interesse. SEZIONE SESTA GIURISPRUDENZAj TRIBUTARIA I CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 19 febbraio 1983, n. 1295 Pres. Greco SEZIONE SESTA GIURISPRUDENZAj TRIBUTARIA I CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 19 febbraio 1983, n. 1295 Pres. Greco Est. Corda -P. M. Corasanniti (conf.) Ministero delle Finanze (avv. D'Amato) c. I.N.P.S. (avv. Petrina) e Calitri (avv. Tucci). Tributi erariali diretti -Contenzioso tributari.o -Rhnborso di ritenuta Domanda contro l'Amministrazione finanziaria Giurisdizione delle commissioni. La giurisdizione delle commissioni tributarie generale anche per quanto concerne i rimborsi di somme pagate senza accertamento. Cortseguentemente appartiene alla giurisdizione della commissione la domanda di ripetizione contro l'Amministrazione di imposte versate dal sostituto guentemente appartiene alla giurisdizione della commissione la domanda proposta dal contribuente contro il sostituto (1). II CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 27 aprile 1983, n. 2889 -Pres. Greco Est. Zappulli -P. M. Corasanniti (conf.) Banca del Lavoro (avv. Gallo) c. Da Rios (avv. Da Rios) e Ministero delle Finanze (avv. Stato D'Amato. Tributi erariali diretti Contenzioso tributario Rimborso di ritenuta Domanda del contribuente contro il sostituto Giurisdizione delle commissioni Esclusione. Sulla domanda di rimborso di ritenuta rivolta all'Amministrazione, sia essa proposta dal contribuente o dal sostituto, la giurisdizione spetta alla commissione tributaria la quale non ha per potere per decidere sulla domanda del contribuente sostituito contro il sostituto diretta ad ottenere il pagamento di somme che si assumono illegittimament~ ritenut.e (2). (l-2) Sull'assai importante problema della giurisdizione sulle controversie di rimborso delle ritenute le Sez. Unite sono intervenute due volte a breve intervallo, riportando entro pi rigorosi confini la tematica che si era avviata verso PARm I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 507 (omissis) 1. -Con il primo motivo (deducendo, ai sensi dell'art. 360, n. l, cod. rproc. civ., difetto di giurisdizione; violazione degli articoli l, 16 e 43, comma quinto, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, nonch degli ulteriori principi su:l contenzioso tributario) l'Amministrazione Finan ziaria sostiene: a) che il Tribunale avrebbe dovuto tener distinte la causa promossa dal dipendente contro l'I.N.P.S., 1avente ad oggetto fintegrale pagamento della pensione, e quella promossa dal predetto Istituto contro essa Amministrazione Finanziaria, avente ad oggetto la ripetizione di somme che erano state {legittimamente) versate a titolo di imposta di ricchezza mobile, in base all'originario titolo della prestazione pensionistica; b) che questa seconda causa poneva un problema di natura tributaria, poich si controverteva sulla opponibilit, o meno, alla Finanza dei successivi mutamenti convenzionali dei titoli dei pagamenti (erogazioni pensionistiche) tassati, n '1a natura di essa causa poteva restare influen zata dall'azione proposta dal dipendente deJl'I.N.P.S., il quale, peraltro, non aveva avanzato alcuna domanda nei confronti di essa Amministrazione Finanziaria; e) che, pertanto, la giurisdizione andava stabilita non gi tenendo conto che H rimborso dell'imposta versata era giustificato da un asserito difetto dello ius impositionis, ma semplicemente tenendo conto che si trattava di una controversia tra il sostituto d'imposta (che aveva trattenuto le somme sui ratei di pensione e le aveva versate all'Erario a titolo di imposta di ricchezza mobile) e l'Amministrazione Finanziaria: si trattava, cio, di una controve11sia che andava decisa secondo la disci plina prevista dal vigente sistema del contenzioso tributario. L'eccezione fondata. Come risulta dalla parte espositiva, J'I.N.P.S., convenuta in giudizio, davanti al giudice del lavoro, da un dipendente che ne aveva chiesto la pericolosi indirizzi. In passato era stato affermato che tanto la domanda (c.d. di adempimento) del contribuente sostituito contro il sostituto diretta a con testare la legittimit della ritenuta, tanto la domanda del sostituto contro l'Am ministrazione diretta al rimborso della imposta versata (che spesso assumeva forma di azione di garanzia alla prima domanda) non avevano natura tribu tarla e restavano deferite al giudice avente giurisdizione sul rapporto sostan ziale che ha occasionato la ritenuta (Cass. 10 febbraio 1975, n. 511 in questa Ras segna, 1975, I, 724; 16 febbraio 1978, n. 747 in Dir. Prat. Trib., 1979, II, 320 con nota di TESAURO; 27 marzo 1979, n. 1776 in Foro lt., 1979, I, 1972 che, sia pure implicitamente, conferma l'indirizzo con riferimento alle norme successive alla riforma tributaria). Venivano cos ad essere investiti della controversia sull'obbligo di ritenuta tutti i giudici (e perfino gli arbitri) e principalmente, sulla materia che pi frequentemente alimenta la questione -il lavoro subordinato privato e pubblico -il pretore e il TAR, due giudici tradizionalmente estranei alle controversie di imposta. Da questo orientamento oggi ci si discosta decisamente: la domanda di rimborso dei versamenti diretti rivolta all'Amministrazione sia dal contribuente sostituito che dal sostituto da origine a una controversia di imposta sicura RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 508 condanna al pagamento di somme trart:tenute a titolo di imposta di rie chezza mobile sui ratei di pensione, aveva proposto azione di garanzia impropria nei confronti dell'Amministrazione Finanziaria, affermando che le trattenute, effettuate nella qualit di sostituto d'imposta, erano state eseguite erroneamente. Dopo avere ricordato che Je pensioni a carico del Fondo pensione lavoratori dipendenti (assicurazione generale obbligatoria) non erano soggette all'imposta di ricchezza mobile (art. 124 del r.d.I. 4 ottobre 1935, n. 1827), mentre lo erano, invece, quelle a carico del Fondo interno di previdenza; e dopo avere premesso che, nel caso concreto, la pensione del dipendente era stata inizialmente caricata sul Fondo interno di previdenza (per cui era stata effettuata la trattenuta per imposta di Ticchezza mobile, il cui importo era stato successivamente versato arJ.l'Erario), ma era stata, poi, con effetto .retroattivo, posta a carico del Fondo pensione lavoratori dipendenti, l'I.N.P.S. aveva sostenuto che, in caso di sua condanna nei confronti del dipendente, aveva diritto di essere rimborsata dall'Amministrazione Finanziaria. Da c si evince che la causa, come instaurata davanti al Pretore di Bari, aveva ad oggetto due :distinte domande: a) una, proposta dal dipendente nei confronti dell'I.N.P.S., avente ad oggetto la richiesta del pagamento integrale della pres1tazione previdenziale dovuta; b) l'altra, proposta dall'I.N.P.S. nei confronti dell'Amministrazione Finanziaria, avente ad oggetto la ripetizione di somme versate (quale sostituto d'imposta) a titolo di ricchezza mobile. sui pagamenti effettuati prima che il carico di pensione venisse (retroart:tivamente) gravato sul Fondo pensione lavoratori dipendenti, imperniata sull'assunto che il versamento era avvenuto in difetto di un potere impositivo. mente appartenente alla giurisdizione (generale) delle commissioni; ci desumibile non tanto dall'art. 16 del d.P.R. 636/1972, sul quale maggiormente si sofferma la prima sentenza (che era stata preceduta dalla sent. 11 aprile 1981, n. 21.18 in Foro lt., 1981, I, 2206), ma soprattutto dall'art. 38 del d.P.R. n. 602/1973. E cade molto opportuna la precisazione che una residua giurisdizione dell'A.G.O. su una tale domanda non pu essere ricercata con l'espediente dell'indebito oggettivo, escluso per altra via e in termini pi generali con la sent. 10 marzo 1982, n. 1544, (in questa Rassegna, 1982, I, 816). La prima sentenza, pur senza approfondire l'argomento, presuppone che sia invece deferibile al giudice del rapporto sostanziale la domanda di adem pimento del contribuente contro il sostituto. Di ci si occupa specificamente la seconda sentenza che esclude, in modo ineccepibile, che tale controversia, alla quale estranea l'Amministrazione, sia deferibile innanzi alle commissioni. Le due sentenze, certamente esatte sulle due essenziali statuizioni, non han no per risolto in modo completo il problema e soprattutto non si sono preoc cupate della grave situazione in cui viene a trovarsi il sostituto d'imposta che, pur non avendo un interesse proprio, resta esposto alla domanda di adempi mento del contribuente; se esegue la ritenuta, ed all'accertamento e all'iscri zione a ruolo se la omette, con il rischio di rimanere soccombente in ambedue le diverse sedi e senza la possibilit di collegare le due liti per ottenere un PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 509 Ora, mentre non sussisteva dubbio che la prima di tali domande appartenesse alla giurisdizione del giudice o~dinario (e alla competenza del giudice del 'lavoro), per la seconda era'stato, fin dall'inizio, posto dall'Am ministrazione Finanziaria il ,problema della giurisdizione del giudice adito, nell'assunto che, :trattandosi di una controversia di natura tributaria, la stessa, per effetto d.ella riforma, rimaneva devoluta alla giurisdizione delle Commissioni istituite col d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636. Il problema, per, stato 'risolto in maniera errata (nel senso di avere ritenuto .la giurisdizione del giudice ordinario) dai giudici di primo e di secondo grado, sul rilievo che la controversia non aveva natura tributaria, avendo ad oggetto una semplice ripetizione di indebito, correlata a un denunciato difetto del potere impositivo. I giudici di secondo grado, in particolare, hanno giustificato codesta loro affermazione richiamandosi alla giurisprudenza di questa Corte Suprema, la quale aveva costan temente affermato {da ultimo, sent. 18 ottobre 1978, n. 4668) che spettava al giudice ordinario di conoscere della azione promossa dal sost~tuto d'imposta contro fa Amministrazione Finanziaria per il rimborso di somme pagate in carenza del potere impositivo (e, nel caso della sentenza citata, si trattava, proprio, di imposta di ricchezza mobile). Senonch, ai giudici di appello totalmente sfuggito che quella giurisprudenza si era formata nel vigore dell'art. 188 del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, e dell'art. 22 del r.d.l. 7 agosto 1936, n. 1639; e che, invece, nel caso sottoposto al foro esame, la giurisdizione doveva essere regolata a:lla stregua di un diverso ordinamento positivo, in quanto il d.P.R. n. 645, del 1958, giudicato che faccia stato sia verso il contribuente che verso l'Amministra zione. Certamente per superare questa situazione non si pu tornare indietro a riproporre una unificazione delle giurisdizioni o nel senso di assorbire nella giurisdizione del giudice comune del rapporto sostanziale anche la lite tribu tarla o in quello della attrazione nella giurisdizione speciale tributaria della controversia tra sostituito e sostituto. Le due sentenze che si commentano hanno ormai in modo definitivo escluso ambedue queste possibilit. Occorre per riflettere sulla proponibilit dell'azione di sostituito contro il sostituto. Questa, che non pu essere considerata una domanda di adempi mento dell'obbligazione sottostante, anch'essa una controversia tributaria che ha per oggetto esclusivamente il rimborso dell'imposta versata e che attiene al rapporto tributario. Trattasi di una domanda di rimborso proponibile soltanto contro il sog getto che al rimborso pu essere tenuto (l'Amministrazione) e che, se non accolta in sede amministrativa pu essere devoluta soltanto alle commissioni tributarie; ci si deduce chiaramente dall'art. 38 del d.P.R. n. 602/1973 che di sciplina compiutamente il procedimento di rimborso. Il contribuente che ha subto la ritenuta ed ha ricevuto il relativo certifi cato, se non ritiene di imputare il versamento in conto dell'imposta dovuta sul suo reddito complessivo e se assume che la ritenuta non doveva essere ese guita, pu domandare soltanto contro l'Amministrazione il rimborso, e in caso RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 510 per la parte concernente Ja riscossione delle imposte dirette, stato sostituito dal d.P.R. 29 settemhre 1973, n. 602, e il rdl. n. 1639, del 1936, stato sostituito dal d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636. Peraltro, gi prima dell'instaurazione del presente giudizio (cio anche prima dell'instaurazione della causa davanti al giudice di primo grado) queste stesse Sezioni Unite avevano chiarito (sent. 8 marzo 1977, n. 942) che il d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, sulla revisione del contenzioso tributario, regola compiutamente iJ sistema del contenzioso predetto, onde la tutela giurisdizionale dei diritti del contribuente si esplica esclusivamente mediante i ricorsi alle Commissioni, contro specifici atti (dell'Amministrazione Finanziaria) di accertamento, di imposizione, ovvero di :rifiuto 'di restituzione di somme riscosse (e proprio dalla premessa della esistenza di un tale sistema organico di tutela, quella sentenza aveva tratto la conseguenza che ['azione del contribuente per ottenere in via preventiva l'accertamento negativo del debito d'imposta, fn quanto non previsto dalla disciplina legislativa del contenzioso dinanzi le Commissioni, non era proponibile neppure davanti l'autorit giudiziaria ordinaria). ~ chiaro, quindi, che gi in tale enunciato della giurisprudenza esisteva quanto sarebbe stato sufficiente per far intendere, ai giudici predetti, che una volta operata la doverosa distinzione fra le due domande (nel senso che si prima precisato), avrebbero dovuto negare la foro competenza giurisdizionale in ordine alla seconda, anche tenuto conto del principio, pure enunciato da queste stesse Sezioni Unite (sent. 28 ottobre 1976, n. 3939), secondo cui un rapporto di garanzia impropria non pu modificare la competenza del giudice (poich, in quel caso, si trattava di questioni attinenti alla competenza; ma ovvia l'applicabilit di tale principio anche, e a fortiori, nel caso in cui si discuta della giurisdizione), cli rifiuto (o di silenzio) ricorrere alla commissione ..Questa azione riconosciuta da una norma espressa, non cumulabile o alternativa con altra azione di eguale contenuto in altra sede e contro altro soggetto. Si deve cio ritenere improponibile la c. d. domanda cli adempimento contro il sostituto innanzi al giudice comune per difetto di legittimazione passiva e per difetto di giuri sdizione. Saranno cos superate varie altre incongruenze che diversamente si veri ficherebbero quali la possibilit di scelta della giurisdizione lasciata alla parte che assume l'iniziativa, il superamento della decadenza stabilita nel menzio nato art. 38, la variabilit del termine di prescrizione in ragione del rapporto sul quale la ritenuta accede, e soprattutto la eventualit che la controversia sul diritto al rimborso della ritenuta sia discussa tra parti estranee al rapporto tributario dopo che la ritenuta stata in concreto imputata in conto dell'ob bligazione del contribuente. Ad eguale conclusione dovrebbe pervenirsi ex art. 37 d.P.R. n. 602/1973 per la ritenuta diretta. CARLO BAFILE PARIB I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA ma pu solo consentire la riunione delle cause, se queste sono di competenza dello stesso giudice . Nelle more del ricorso (proposto, come si detto, daH'Amministrazione Finanziaria) , poi, intervenuta fa sentenza 11 aprile 1981, n. 2118, sempre di queste Sezioni Unite, la quale, risolvendo un caso del tutto analogo a quello ora all'esame {anche in quel caso, infatti, si trattava della domanda ;proposta, al Pretore di Bari, quale giudice del lavoro, da un gruppo di dipendenti dell'I.N.P.S. che avevano negato la legittimit della trattenuta per imposta di riochezza mobile, per analoga ragione; nonch della domanda di garanzia impropria esplicata dall'I.N.P.S. nei confronti della Finanza), ha negato la griurisdizione del giudice ordinario (nella specie, del lavoro) a conoscere la predetta domanda di garanzia impropria. Tale sentenza, ribadendo la validit del principio affermato dalla sentenza n. 942 del 1977 {pi sopra citata), ha dichiarato i seguenti due punti fondamentali. Il primo che la regolamentazione introdotta dal D.P.R. n. 636 del 1972 contempla, espressamente, anche l'ipotesi :di azione di ripetizione di somme al cui rimborso il contribuente {e, perci, anche il sostituto d'imposta) ritenga di avere diritto: l'art. 16 del decreto, infatti, dopo avere ancorato alla data della notifica dell'avviso di accertamento, o dell'ingiunzione, o del ruolo (cartella esattoriale), ovvero del provvedimento che irroga .Je sanzioni pecuniarie, il ,termine per la rproposirione del ricorso alle Commissioni, stabilisce (terzo comma) che qualora il contribuente affermi essere sopravvenuto il diritto al rimborso, si considera imposizione , ai fini del decorso del termine :predetto, il rifiuto della restituzione della somma, ovvero il silenZlo dell'Amministrazione per novanta giorni dalla intimazione fa provvedere. E gi iJl rilievo dell'esistenza di questa norma fa giustizia -nel caso ora all'esame -deldell'affermazione dei giudici di merito secondo cui la sopravvenuta (come asserito dall'I.N.P.S. e dal suo dipendente) mancanza dello ius impositionis avrebbe fatto veniT meno la competenza giurisdizionale delle Commissioni predette: tale competenza, infatti, dalla norma affermata con rifenimento a ogni e qualunque ipotesi in cui il contribuente affermi essere sopravvenuto il diritto al rimborso . Il secondo punto -parimenti rilevante nel caso concreto - che il ;principio generale pi sopra espresso vale anche per l'imposta di ricchezza mobile, bench la stessa non sia compresa nella elencazione delle imposte .Je cui controversie sono devolute alle Commissioni tributarie contenuta nell'art. 1 del D.P.R. n. 636 del 1972 (e, in realt, l'imposta d1 ricchezza mobile stata abolita, a decorrere dal 18 gennaio 1974, dall'art. 82, lettera a, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, istitutivo dell'im posta sul reddito delle persone fisiche), poich l'o1"dinamento positivo 512 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO mostra chiaramente di voler assoggettare alla giurisdizione delle Commissioni anche le controversie in materia di rimborso di somme pagate a titolo di imposta di ricchezza mobile. In via generale, infatti, l'instaurazione di un sistema organico, e in s compiuto di tutela giurisdizionale per tutte le imposte le cui controversie erano precedentemente attribuite alla cognizione, variamente ar.ticolata, delle Commissioni e dell'Autorit giudiziaria ordinaria, persegue l'iintento di razionalizzare e rendere pi efficace il contenzioso tributario; e queste finalit sarebbero sicuramente frustrate, sia pure in parte, ove permanesse una diversa giurisdizione per le controversie concernenti le imposte soppresse, con le conseguenti deplorevoli incertezze del contribuente in ordine all'identificazione del giudice cui rivolgersi per ottenere giustizia. Conclusione, questa, che trova indiretta conferma nel disposto del quinto comma dell'art. 43 del D.P.R. n. 636 del 1972, il quale dispone che, dopo la data di insediamento delle (nuove) Commissioni, le norme deil decreto si applicano anche alle controversie relative ai tributi soppressi, .gi di competenza delle Commissioni distrettuali, provinciali e centrale. Infatti, se anche la norma si riferisce, nella sua focmulazione testuale (solo) alle controversie concernenti tributi soppressi che fossero pendenti avanti le Commissioni costituite secondo la precedente disciplina, essa certamente tes1limonia dell'intenzione del legislatore di concentrare tutte le controversie presso gli organi appositamente previsti da:l decreto n. 636. Appare chiaro, del resto, come una diversa soluzione, per i procedimenti promossi successivamente all'insediamento di tali organi comporterebbe -nell'ambito della medesima categoria di controversie (relative a tributi soppressi) -una disparit di trattamento di cui non sarebbe agevole 1rendere ragione. Nella propria memoria illustrativa, la attenta difesa dell'Amministrazione non ha, certo, omesso di citare la sentenza predetta come precedente giurisprudenziale che risolve il caso in senso favorevole alla tesi da essa sostenuta. L'l.N.P.S., per, replica (nella propria memoria) che quello arresto non sarebbe pertinente al caso di specie, posto che: a) nel caso precedente si trattava di giudicare di una domanda di rimborso autonomamente proposta dall'l.N.P.S. contro la Finanza, dopo che l'Istituto predetto era stato condannato al conguagilio della pensione corrisposta al proprio dipendente, mentre nel caso n esame la domanda di rimborso stata proposta, come domanda di garanzia impropria, nello stesso giudizio promosso dal d~pendente verso l'l.N.P,S.; b) una volta stabilito che la domanda contro la Finanza era stata proposta (nella presente causa) come domanda di garanzia, la sua cognizione non potrebbe che appartenere al giudice della domanda principale, essendo tale principio applicabile non solo al caso in cui fra la causa principale e quella accessoria vi sia identit di titolo, ma anche quando fra le PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA due domande ricorra una connessione obiettiva di titolo, nel senso che l'uno concatenato all'altro, ovvero quando sia unico il fatto generatore della responsabilit prospettata con l'azione principale e_ con quella di garanzia. In contrario , per, agevole osservare quanto segue. a) Nel caso definito con Ja sentenza n. 2118 del 1981, l'I.N.P.S. aveva proposto la domanda di garanzia impropria nell'ambdto della stessa causa principale; ed era stato il Pretore a rilevare che, in ordine alla predetta domanda di garanzia impropria, sussisteva il difetto della propria competenza (ritenendo che la materia rientrasse nella competenza del tribunale, ai sensi dell'art. 9 cod. proc. civ.). P.roposto, quindi, dalla Finanza il ricorso per regolamento di giurisdizione, queste Sezioni Unite hanno accolto il ricorso predetto enunciando i principi di diritto pi sopra riferiti e attribuendo, quindi, la competenza giurisdizionale alle Commissioni tributarie. Il caso, perci, concerneva una fattispecie del tutto analoga a quella ora in esame. b) Il principio di attrazione, nella causa principale, della causa accessoria introdotta con la domanda di garanzia impropria opera, come si in precedenza accennato, quando entrambe ,le domande rientrano nella competenza del giudice adito; laddove chiaro che se fa domanda di garanzia impropria appartiene alla competenza, o alla competenza giurisdi:monale, di un altro giudice, la ragione di connessione cede neces sariamente alle normali regole di determinazione della competenza o della giurisdizione. L'assunto, infine, sostenuto dai giudici di merito, e ripreso dal resistente I.N.P.S. nel controricorso, che la controversia fra il predetto Istituto e l'Amministrazione Finanziaria non avrebbe natura tributaria (di modo che cadrebbe la necessit di affermare Ia competenza giurisdizionale delle Commissioni Tributarie), in quanto avrebbe ad oggetto semplicemente la ripetizione di un indebito oggettivo, non tiene conto (oltre quanto gi si detto a proposito dell'art. 16, secondo comma, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636) che allorch si agli.sce contro l'Amministrazione Finanziaria per ottenere il rimborso di una somma che si era {indebitamente) pagata, ci che vale a qualificare come tributaria la controversia il titolo in base al quale il pagamento era stato effettuato. Di modo che se quella somma era stata pagata a titolo di tributo, la controversia avr sempre natura tributaria, qualunque sia la ragione della domanda di ripetizione (e, quindi, anche nel caso che questa sia imperniata su11'assunto di una pretesa sopravvenuta carenza dello ius impositionis). In conclusion~, ql.lindi, deve essere accolto il primo motivo del ricorso proposto dall'Amministrazione Finanziaria e, conseguentemente, 514 I RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ti deve essere cassata senza rinvio (art. 382, terzo comma, cod. proc. civ.) i" -l'impugnata sentenza nel capo relativo all'accoglimento della domanda !.I di rimborso dell'imposta di ricchezza mobile, proposta dall'l.N.P.S. nei confronti dell'Amministrazione .Finanziaria, perch in relazione ad essa il giudice 011dinario difettava di giurisdizione. (omissis) II (omissis) 1) La banca ricorrente, con il primo motivo del ricorso, ha censurato la sentenza iimpugnata per violazione dell'art. 64 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e ha dedotto che non era manifestamente infondata l'eccezione di illegittimit costituzionale di quella norma per contrasto con gli art. 3 e 53 della Costituzione. Essa ha, inoltre, sostenuto che ha errato il giudice di merito nell'affermare che a causa della sostituzione personale di imposta prevista dalla citata norma, unico soggetto passivo di quel rapporto tributario H sostituto (la banca) in capo al quale esso sorge direttamente con conseguente natura privatistica di quello di ammiruistrazione tra il sostituto medesimo e il soggetto sostituito (il correntista Da Rios). Secondo la ricorrente, invece, l'art. 64, attraverso la sostituzione da esso regolata, pone in essere solo un congegno giuriddco diretto a facilitare all'Amministrazione finanziaria l'accertamento e la riscossione del tributo senza alterare la situazione sostanziale per la quale il debito di imposta so~ge in capo al soggetto al quale si riferisce il presupposto, tenuto a concorrere alle spese pubbliche secondo la propria capacit contributiva ai sensi dell'art. 53 della Costituzione. Da ci consegue per la ricorrente che quest'ultimo (hl sostituto) legittimato a prendere parte al procedimento di accertamento, per il quale la controversiia di competenza delle commissioni tributarie mentre, diversamente, vi violazione dei suddetti art. 53 e 3 della Costituzione per la diversit del soggetto di imposta .rispetto al titolare del reddito e per la disparit di trattamento tra i diversi contribuenti. Il motivo non pu essere accolto mentre l'eccezione di illegittimit costituzionale della citata norma appare manifestamente infondata. Infatti, pur vero che il principio secondo il quale il rapporto di imposta sorge in capo al sostituto diretto a facilitare l'accertamento e la riscossione del tributo ma esso non esclude che quest'ultimo incida in sostanza e definitivamente sul reddito del soggetto sostituito, e non pu negarsi che anche costwi adeguatamente tutelato dal legislatore attraverso mezzi e possibilit di difesa attribuiti a entrambi. Il legislatore, pur avendo assicurato una maggiore efficacia dit all'azione finanziaria, attraverso la particolare disciplina, e rapi- non ha ~ i: i~ ~ f:;: PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA disconosciuto quella duplicit di soggetti passivi nel rapporto tributario al quale si riferisce la sostituzione regolata dal citato art. 64. In primo luogo, fo stesso concetto di rivalsa, secondo la menzione di tale norma, presuppone una diversit di .soggetti e una prima e im.. mediata tutela attribuita al sostituito dal secondo comma di quell'articolo, in virt del quale egli ha facolt di intervenire nel procedimento di accertamento dell'imposta . Questa tutela integrata ed estesa, inoltre, dagli artt. 37 e 38 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, sulla riscossione delle imposte sui redditi, per i quali anche il percipiiente delle somme assoggettate a ritenuta pu presentare istanza all'intendenza di finanza di rimborso dell'imposta pagata con la previa ritenuta per inesistenza totale o par1 ziale dell'obbligo di versamento , come il soggetto che l'ha effettuato a suo carneo, entro diciotto mesi dalla data del medesimo, con successi vo eventuale ricorso alla commissione di primo grado secondo le di sposizioni del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 . A sua volta l'art. 16 di quest'ultimo decreto, nel regolare le richieste di rimborso per il paga mento di tributi avvenuto senza imposraione e la proponibilit del suc cessivo ricorso alle commissioni tributarie non pone distinzioni tra i due soggetti. Si evince chiaramente da tale disciplina legislativa che anche il so stituto ha propri ed autonomi mezzi di difesa secondo le regole generali, pur se gli stessi sono comuni, con indubbio vantaggio di entrambi, al sostituto. Costui, anzi, come affermato da questa Suprema Corte, !inte ressato ail'accertamento dell'imposta da pagare in sostituzione dell'ef fettivo soggetto passivo ed obbligato a compiere tutti gli atti relativi, con la conseguenza che ove egli non adempia a tale obbligo pu essere ritenuto responsabile nei confronti del sostituito (Cass. 11 novembre 1969, n. 3670). Pertanto, l'eccezione di illegittimit costituzionale del citato art. 64 appare manifestamente infondata, per quanto concerne il dedotto contrasto con l'art. 3 e 53 della Costituzione a causa delle rilevate uguali, se non maggiori, possibilit di difesa e tutela, rispetto agli altri contri buenti, e per l'effettiva incidenza della imposta sul destinatario dei red diti ad essa assoggettati. Conseguentemente, attraverso tale regolamentazione delle impugna zioni e delle richieste di rnborso per le ritenute indibite e a causa della legittimit costituzionale del citato art. 64, non pu dubitarsi che ogni pretesa di rimborso, ove disattesa dagli uffici finarraiari, di entrambi i soggetti considerati deve essere proposta nei confronti dell'Amministra zione Finanziaria solo attraverso i ricorsi alle commissioni tributarie, la cui competenza in tal materia stata inderogabilmente e in linea asso luta loro assegnata con norma fondamentale dall'art. 1 del D.P.R. 26 ot tobre 1972, n. 636. 516 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Giova osservare, a conferma di tale regola, che in virt della organica e autonoma disciplina processuale introdotta per il contenzioso tributario da quel decreto, il quale lo regola compiutamente nel quadro della complessa riforma tributaria, rimasta esclusa, nei confronti dell'amministrazione finanziaria, come ritenuto da questa Suprema Corte (S.U. 8 marzo 1977, n. 942), ogni azione dii. accertamento negativo, finanzi al giudice ordinario, presupponendo il ricorso a quelle commission, i ~'impugnativa di un atto degli uffici tributari, che non pu essere proposta innantl H suddetto giudice ordinario a causa di quella devoluzione totale per legge. Tale competenza esclusiva delle commissioni tributarie stata pur recentemente riaffermata anche per '1e domande di rimborso, comprese quelle per le imposte soppresse (S.U. 11 aprile 1981, n. 2118). 2) Essendo stato cos riaffermato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti dell'amministrazione finanziaria per il tributo iin questione, deve esaminarsi il secondo motivo del ricorso, ,relativo alla domanda del iDa Rios nei confronti della banca. Quest'ultima ha lamentato la violazione, da parte del giudice di me rito, del gi menzionato art. 1 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 e dell'art. 34 c.p.c., nonch del principio del doppio grado di giurisdiziione, per es sere stata qualificata controversia civilistica quella relativa all'imposta in questione, sebbene l'art. 64 del D.P.R. 600 del 1973 conferisca al sosti tuto di imposta il diritto di rivalsa con indisponibilit per la stessa e con carattere tributario del relativo credito. Ha dedotto, inoltre, la banca che eventualmente nella residua controversia tra essa e il Da Rios sus sisteva la competenza del tribunale prevista dall'art. 9 c.p.c., trattandosi, in ogni caso, di causa in materia di imposte e tasse attribuita alla competenza funzionale di quel giudice collegiale. Il motivo infondato. Invero, l'attribuzione alle commissioni tributarie disposta dal men zionato art. 1 del D.P,R. n. 636 del 1972 ha valore solo per le controversie proposte nei confronti dell'ente impositore e in quanto diretto ad impu gnare i provvedimenti dei suoi uffici finanziari, compresi quelli relativi alle richieste di rimborso, mentre la controversia in esame sorta tra sostituto di imposta e sostituito nell'ambito dei loro rapporti bancari, in relazione al credito dedotto dalla banca a titolo di rivalsa, e non nei confronti dell'amministrazione finanziaria. Questa, infatti, non aveva compiuto alcun atto impositivo n ha mai sostenuto nel giudizio, nel quale stata chiamata successivamente, di avere diritto all'imposta versata dal sostituto. In base a tale situazione deve farsi una previa e necessaria distinzione tra la potenziale controversia tributaria con l'Amministrazione Fi PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA nanziaria, come tale regolata dalla citata norma e sottoposta, anche per il rimborso, esclusivamente alla competenza delle commissioni tributa rie, e quella tra privati che, pur traendo origine dal pagamento di una imposta, erroneo o no, non diretta a sindacare un atto impositivo, del tutto mancante, dell'ente impositore e mantiene il suo carattere privatistico perch rientrante nell'ambito dei rapporti contrattuali tra gli stessi. Il fatto che il credito sia costituito dal diritto al rimborso dell'im posta formante oggetto della ritenuta non importa che parte nella relativa controversia divenga l'ente impositore, estraneo a quel rapporto, o che il sostituto abbia fa rappresentanza di quest'ultimo, onde il relativo credito non assume un carattere tributario. Pertanto, questa Suprema Corte ha gi affermato che la causa in cui si discuta della legittimit della ritenuta fiscale tra sostituto e sostituito non ha carattere tributario onde, quando la ritenuta sia stata effettuata in un rapporto di la voro, la controversia appartiene alla competenza del Pretore (Cass. 16 febbraio 1978, n. 747). Resta da osservare, per quanto concerne la competenza per materia prevista dall'art. 9 c.p.c. per le cause relative a imposte e tasse, che anche per la stessa, attribuita originariamente al giudice collegiaile per una maggiore garanzia del contribuente, va considerata controversia di imposta solo quella nei confronti dell'ente impositore, salva per i tributi elevanti nel citato art. 1 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 la esclusivit della giurisdizione delle commissioni tributarie. Infatti, una volta negato il carattere tributario per il credito relativo alla contestata ritenuta a causa della natura dei soggetti .contrapposti e del rapporto tra loro intercorrente, non vi ragione di applicazione di quella particolare norma sulla competenza per materia. 3) Con il terzo motivo, connesso ai precedenti, da banca ha lamen tato la violazione del priincipio del contraddittorio e l'omissione di pronunzia nella sentenza impugnata, ripetendo l'eccezione di difetto di giu risdizione del giudice ordinario. Ha dedotto la ricorrente che essa aveva chiesto al medesimo che fosse dichiarata la cessazione della materia del contendere per avere l'amministrazione finanziaria riconosciuto che non era dovuta l'imposta ritenuta sugli interessi spettanti al Da Rios in con formit alle istruziioni ministeriali 25 maggio 1974 successivamente revocate con quelle 16 gennaio 1976, onde era stato stornato il relativo addebito, agendosi sempre secondo gli ordini dell'ente impositore. Ha so stenuto, perci, che, per la sua funzione meramente servente avrebbe dovuto essere estromessa da quel giudizio mentre su tale sua richiesta il giudice non aveva provveduto omettendo anche di respingere le richieste del Da Rios nei suoi confronti. 518 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Il motivo infondato. Invero, pacifico che non vi stato alcun atto impositore da parte dell'amministrazione finanziaria, tale non potendosi considerare per la loro genera!Lit alcuna delle menzionate istruzioni ministeriali, onde mancato fatto contro il quale, nei termini e forme di fogge, avrebbe dovuto essere proposto l'eventuale ricorso alle commissioni tributarie. Circa la ritenuta effettuata, va osservato che il sostituto d'imposta, -vi sia o meno un atto di imposizfone -, ha i diritti e gli obblighi del contribuente sostituito e, come pu e deve, secondo la giurisprudenza citata, compiere tutti gli atti relativi all'accertamento, compresi queLJ.i a tutela del sostituito, cos non tenuto, per la sua posizione di contribuente autonomo, ad osservare istruzioni e disposizioni di carattere generale ohe siano contra legem. Non si ipu, perci, definirlo organo servente dell'amministrazione finanziaria ed concepibile una chiara distinzione tra l'azione proposta dal contribuente sostituito nei suoi confronti per opporsi alla riva:lsa di quanto indebitamente ritenuto pur se versato all'amministrazione finanziaria e quella proposta contro quest'ultima con la previa richiesta e la successiva impugnativa innanzi le commissioni per la crestituzione di quanto versato a suo nome. Solo fa domanda diretta nei confronti. dell'amministrazione, come gi rilevato, rientra nella giurisdizione delle commissioni tributarie mentre quella del sostituito verso il sostituto per contestazione defila legittimit della ritenuta non richiede la partecipazione dell'amministrazione stessa e rientra nella disciplina dei foro rapporti di dare ed avere, permanendo nel campo del giudice ordinario senza che vi sia ,alcuna impugnazione di provvedimenti degli uffici finanziari. Conseguentemente non vi sono state n la dedotta violazione di legge n l'emissione di decisione su una domanda ohe non era di competenza del giudice adito. {omissis) I CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 25 marzo 1983, n. 2083 -Pres. Mazza. cane -Est. Ruggiero -P. M. Oantagalli (conf.). Ministero delle Finanze (Avv. Stato Angelini Rota) c. Zeppieri. Tributi erariali diretti -Imposte fondiarie Imposta sui fabbricati Red dito effettivo superiore al reddito catastale Determinazione in via di comparazione Esclusione Reddito risultante da contratto di locazione li: il solo rilevante. (t.u. 29 gennaio 1958 n. 645, art. 74; 1. 23 febbraio 1960 n. 131, art. 2). Con l'entrata in vigore della legge 23 febbraio 1960, n. 131 deve rite nersi abrogato l'art. 74 del T.U. 29 gennaio 1958 n. 645, con la conseguenza PARm I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 519 che il reddito effettivo di cui all'art. 2, che deve costituire la base imponibile ove sia superiore di almeno un quinto al reddito catastale, soltanto quello risultante da contratto di locazione e non pi quello determinabile comparativamente con i canoni locativi di mercato per fabbricati in analoghe condizioni; resta salvo il potere dell'ufficio di accertare anche in via induttiva l'effettivo reddito ricavato con il contratto di locazione (1). II CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 29 marzo 1983, n. 2232 -Pres. Mazzacane -Est. Battinelli -P. M. Catelani (conf.). Fabbri (avv. Valentini) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Angelini Rota). Tributi erariali diretti -Imposte fondiarie -Imposta sui fabbricati Reddito effettivo Accertamento Esclusione -Comparazione con canoni locatizi di fabbricati analoghi -Impossibilit. (t.u. 29 gennaio 1958 n. 645, art. 74; 1. 23 febbraio 1960 n. 131, art. 2). Per la determinazione del reddito dei fabbricati, che la legge stabilisce attraverso parametri fissi e preordinati, non si pu far ricorso ad un accertamento induttivo vero e proprio ma piuttosto ad un sistema di accertamento, anche d'ufficio, degli elementi che la legge stabilisce come criteri di determinazione del reddito. E poich il reddito dei fabbricati dopo l'entrata in vigore della legge 23 febbraio 1960, n. 131 pu essere determinato, ove si discosti nei limiti previsti dal reddito catastale, soltanto in base al canone di locazione, e non in base a comparazione con i canoni di mercato corrente per fabbricati in analoghe condizioni, l'accertamento del reddito effettivo si risolve nella dimostrazione della simulazione della locazione (occultamento di prezzo) (2). (1-4) Le prime due sentenze, concordanti nella sostanza della decisione ma diversamente motivate, nettamente escludono che il reddito effettivo di cui all'art. 2 della legge 23 febbraio 1960, n. 131 possa essere desunto da elementi diversi dal contratto di locazione e, pi specificamente, che sia ancora in vigore l'art. 74 del T.U. delle imposte dirette che consente la determinazione del reddito per comparazione con i canoni correnti per fabbricati in analoghe condizioni. Ne consegue che in tutti i casi di fabbricati non locati o locati per un canone inferiore a quello corrente l'ufficio non pu discostarsi dal reddito catastale. L'unica verifica possibile che, come precisa meglio la seconda sentenza, non ha contenuto di accertamento ma piuttosto di prova della simulazione relativa del contratto di locazione la dimostrazione che il canone di locazione effettivamente corrisposto superiore a quello dichiarato e risultante dal contratto. In netto contrasto la terza sentenza che, argomentando soprattutto sulla portata testuale della legge 17 maggio 1969, n. 254, d una diversa nozione del 520 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO III CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 30 luglio 1982, n. 4360 -Pres. Miele Est. Gualtieri -P. M. Ianne11i (diff.). Ministero delle Finanze (avv. Stato Dipace) c. Scotti. Tributi erariali diretti -Imposte fondiarie -Imposta sui fabbricati Reddito effettivo superiore al reddito catastale -Determinazione in via di comparazione -Ammissibilit. (t.u. 29 gennaio 1958 n. 645, art. 74; I. 23 febbraio 1960 n. 131, art. 2; I. 17 maggio 1969 n. 254). Poich l'art. 74 del T.U. 29 gennaio 1958, n. 645 non stato abrogato con la legge 23 febbraio 1960, n. 131, consentito all'ufficio accertare il reddito lordo effettivo, diverso dal canone di locazione, attraverso la comparazione dei canoni locativi di mercato di fabbricati in analoghe condizioni (3). IV CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 29 marzo 1983, n. 2230 -Pres. Sandulli Est. Maltese -P. M. IanneHi (conf.). Castellani (avv. Ferretti) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Angelini Rota). Tributi erariali diretti -Imposta unica sul reddito delle persone fisiche Reddito dei fabbricati -Regime particolare per il biennio 1974-75 Non esclude l'accertamento del reddito effettivo. (d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597, art. 88; d.!. 6 luglio 1974 n. 259; I. 23 febbraio 1960 n. 131, art. 2). Il D.L. 6 luglio 1974, n. 259, ha disposto soltanto per il biennio 1974-75 la rivalutazione del reddito catastale, senza nulla innovare sul secondo comma dell'art. 88 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, che richiama l'art. 2 della legge 23 febbraio 1960, n. 131, per la determinazione del reddito effettivo se difforme, oltre un determinato limite, da _quello catastale (4). reddito effettivo, che pu essere desunto, in mancanza di locazione o in con trasto con essa, dai valori correnti di mercato. La questione, come testimonia la quarta sentenza, che risolve con evidente esattezza una questione pi specifica, si trasferisce al periodo successivo alla riforma avendo l'art. 88 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 mantenuto prov visoriamente (ma la provvisoriet sembra destinata a durare) in vigore la legge n. 131 del 1960. f' Bii~i1]frrrrf&111ir:rfil~f~@\fftill:ifr!Kli:Utiiittt!~1iirr&rrr=0Iwmmrffffftmm1i&2fr::T@w1~w01mwHmrntrfftm1rnrnmrrttr~'' PARm I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA I (omissis) Con l'unico motivo del ricorso, l'Amministrazione, denunciando la violazione degli artt. 1 e 2 delila legge 23 febbraio 1960, n. 131; 74 del T.U. 29 gennaio 1958, n. 645 e 1 della legge 4 novembre 1951, n. 1219, in relazione all'art. 360 cod. proc. civ., sostiene che la fogge n. 131 del 1960, pur avendo introdotto il sistema catastale per la determinazione del reddito imponibile ai fini dehl'imposta sui fabbricati, ha altres stabilito all'art. 2 che, quando H reddito effettivo tlordo dell"immobile superi determinati parametri, debba tenersi conto di quest'ultimo e non del reddito catastale, e per l'accertamento e la dimostrazione del reddito effettivo, ai fiini dell'applicazione del predetto art. 2 delJa legge, ben sarebbe tuttora possibile far ricorso al criterio della comparazione con i canoni correnti per fabbricati similari posto dall'art. 74 del testo unico del 1958, che non potrebbe ritenersi neppure implicitamente abrogato, essendo, al contrario, necessario presupposto per la corretta applicazione dell'art. 2 della legge del 1960. Il ricorso infondato. Nel sistema del testo unico n. 645 del 1958, l'imposta sui fabbricati, a norma dell'art. 73, era commisurata al reddito netto dei fabbricati medesimi, il quale era determinato deducendo dal reddito lordo Je detrazioni previste dall'art. 75; l'art. 74 del T.U. stabilisce poi, al primo comma, che il reddito tlordo dei fabbricati costituito dai canoni di locazione risultanti dai relativi contratti, aggiungendo, al secondo comma, che se il fabbricato non locato o non risulta il canone di locazione o questo inferiore ai canoni correnti per 1 fabbricati in analoghe condizioni, ~l reddito determinato comparativamente a questi ultimi. Deve essere subito rilevato che, con il riferimento al reddito determi nato mediante compamzione di canoni correnti per fabbricati similari, la norma del 1958 non stabilisce un criterio di accertamento del reddito effettivo, m,a bens proprio un criterio di determinazione del reddito imponibile, tanto vero che il predetto :reddito comparativo, che costi tuiva il reddito meramente presuntivo, potenzialmente ritraibile dall'af fitto del fabbricato secondo llandamento del mercato locatizio, immobi liare, era posto a base della tassazione non solo quando l'immobile non fosse locato o, se locato, non risultasse hl canone cli locazione, ma anche quando tale canone, vale a dire il reddito effettivo in concreto conseguito dall'utilizzazione locativa dell'immobile, pur essendo noto, risultasse infe riore a quello che se ne sarebbe potuto ricavare sul mercato. In altri termini nella disciplina del testo unico del 1958 il reddito imponibile, ai fini dell'imposta sui fabbricati, era costituito non dal sol reddito effettivo, realmente conseguito dal possessore dell'immobile, ma anche, in alternativa, ove questo mancasse o fosse inferiore, del 522 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO reddito potenziale, teoricamente realizzabile nel mercato locatizio corrente, in base alla comparazione con altri immobili similari dati in locazione. Diverso il sistema introdotto con la legge 23 febbraio 1960 n. 131, e sostanzialmente mantenuto, sia pure in regime transitorio, con la sopravvenuta riforma tributaria, dail d.P.R. 27 settembre 1973 n. 597. L'art. 1 della legge 1%0, invero, in concomitanza con l'entrata in vigore del nuovo catasto edilizio urbano istituito con r.d.l. 13 aprile 1939 n. 652, convertito nella Jegge 11 agosto 1939 n. 1249, stabilisce che il reddito imponibfile delle unit immobiliari urbane determinato applicando ane rendite catastaili, definite con riferimento agli elementi economici del triennio 1937-1939, i coefficienti di aggiornamento che, per le singole categorie ,di unit immobiliari, saranno stabiliti annualmente dal Ministero delle Finanze, sentita la commissione censuaria centrale. L'art. 2 deHa II stessa legge consente poi di determinare il reddito imponibile con riferimento, invece che a11a rendita catastale aggiornata, a1 reddito lordo effettivo, quailora questo, ridotto del 25 per cento, risulti superiore a quello per oltre un quinto (o, in senso inverso, per g1i immobili locati in t regime di blocco, inferiore ad essa ne1la stessa misura). Orbene, evidente che in tale nuovo compiuto sistema non trova pi I spazio, come reddito imponibile dei fabbricati, il reddito presunto o .. potenziale determinato comparativamente secondo i criteri del mercato locatizio corrente, l'ailtemativa essendo posta, a 1quel fine, solo tra rendita catastale aggiornata, che , s, un reddito medio, o presunto per definizione, ma definito e :fissato in J:inea generale per categorie e classi di fabbricati di ciascun comune secondo i criteri propri della legge sul catasto, e reddito lordo effettivo (ove superi gli mdicati parametri), che, secondo quanto risulta, come si visto, dallo stesso art. 74 del testo unico del 1958, concetto ben diverso da quello di reddito potenziale, che sarebbe stato, cio, possibfile ricavare dall'affitto dell'immobile. Da ci consegue che all'Amministrazione non rpi possibile ricorrere a quest'ultimo sistema di determinazione del reddito imponibile dei fabbricati, essendole solo consentito di procedere alla tassazione o della rendita catastale aggiornata, ovvero, alla condizione indicata daH'art. 2 della legge del 1960, del reddito effettivo lordo, che non pu intendersi se non quello realmente e concretamente ricavato dalla locazione dell'immobile. N in contrario pu trarsi argomento dalla mancata espressa abrogazione dell'art. 74 del testo unico del 1958 ad opera della legge n. 131 del 1960, poich questa ha regolato in maniera nuova l'intera materia della determinazione della bast: impornbile dell'imposta sui fabbricati, e ci importa, ai sensi dehl'art. 15 delle preleggi, l'implicita abrogazione della precedente disciplina. ! f f f I - PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA Le conclusioni cui pervenuto il collegio coincidono in pieno con i principi gi affermati da questa Suprema Corte con le sentenze n. 3244 del 1979 e 2002 del 1982, d quali vanno, perci, senz'altro confermati. Va solo precisato in questa sede che pu anohe convenirsi che il reddito lordo effettivo di un immobile dato in locazione possa essere accertato dall'ufficio, ai fini dell'applicazione dell'art. 2 della legge n. 131 del 1960, con i normali criteri, eventualmente anche avvalendosi, come mezzo presuntivo e integrativo di prova, della comparazione con i redditi prodotti da immobili similari; ma proprio perch tale criterio non attiene pi alla determinazione del reddito imponibile, da porre a base della tassazione indipendentemente dall'effettivo reddito ricavato, se a questo superiore, ma potrebbe costituire soltanto un parametro presuntivo di accertamento del :predetto reddito lordo effettivo, certo che un siffatto accertamento non potrebbe essere fondato sulla pura e semplice circostanza che i:l reddito che, in base alla comparazione, sarebbe stato possibile ritrarre dall'immobile sia diverso, ed in particolare superiore, rispetto a quello dichiarato dal contribuente o risultante dai contratti di locazione, essendo, invece, necessario che l'ufficio preventivamente deduca, e dimostri, che quest'ultimo reddito sia simulato, inesatto, o comunque inalterabile. Il che nella specie da escludersi ohe sia avvenuto, avendo l'Amministrazione fondato fa sua pretesa sulla mera applicazione dell'art. 74 del testo unico del 1958. (omissis) II (omissis) La questione fondamentale da risolvere attiene ai criteri di tassazione del reddito dei fabbricati, ai fini della relativa imposta, dopo la entrata in vigore della legge 23 febbraio 1960, n. 131 (come modificata dailla legge 17 maiggio 1969, n. 254, applicabile nella fattispecie, data l'epoca in :cui i redditi di cui si discute furono prodotti), e prima dell'entrata in vigore del d.P.R. n. 597 del 1973. In particolare, il rpunto controverso se, in forza della suddetta normativa, fosse possibile, dopo l'entrata in vigore della 1. n. 131/1960, tassare il reddito dei fabbr.icati indipendentemente dalla rendita catastale, applicando il. primo comma dell'art. 2 della suddetta legge, come modificato dalla legge n. 254 del 1969, ritenendo sussistere un reddito effettivo superiore alla rendita catastale, e ci non in base alle risultanze dei contratti ,di locazione, ma in v:ia presuntiva, accertando cio l reddito effettivo mediante comparazione con i redditi prodotti da fabbricati . analoghi, come previsto dal primo comma dell'art. 74 del t.u. delle imposte dirette n. 645 del 1958. A questo quesito la difesa del ricorrente d una risposta negativa, sostenendo, sostanzialmente, l'abrogazione tacita della normativa dell'art. 74, sul punto, mentre la difesa dell'amministra 524 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO zione d una risposta positiva, sostenendo la sussistenza del potere del fisco di accertare comunque il reddito, anche col sistema presuntivo della comparazione con altri redditi, per accertare se questo dovesse ritenersi superiore alla rendita catastale nella misura prevista dal citato art. 2 della Jegge n. 131, al fine di disapplicare le risultanze catastali; ci in ogni caso sarebbe possib~le, come ha sostenuto in discussione detta difesa, in mancanza di dichiarazione del reddito, il che renderebbe legittimo un accertamento presuntivo a sensi deH'art. 37 del suddetto testo unico n. 645. Questa Corte osserva, anzitutto, che un accertamento induttivo, anche in caso di mancata dichiarazione del reddito, era possibile, in base alla normativa del t.u. del 1958, in tutti i casi in cui fosse possibile, anche in presenza di dichiaTazione, un accertamento di maggior reddito, per i redditi la cui determinazione non fosse legata a parametri previsti dalla normativa dello stesso t.u., ma fosse liberamente effettuabirle in base alle pi svariate prove e indizi suHe possibili componenti del reddito I ~ (come, ad es., in caso di imposta di r.m. o complementare), non anche quando, in ogni caso, il reddito doveva accertarsi in forza di parametri fissi e preordinati, previsti dalla stessa normativa, come nel caso del ~ l'imposta sul reddito agrario e sul reddito dei fabbricati, in relazione fil: ai quali venivano fissati precisi e determinati criteri di accertamento, ai fil~ quali non era possibile derogare. r In questi casi il ricorso al metodo induttivo non era possibil.e in conseguenza di semplice omessa denuncia, dovendo in ogni caso il fisco ricorrere, sia in presenza di dichiarazione che in mancanza, ai criteri previsti dalla norma e, in particolare, per quanto attiene all'imposta fabbricati, all'accertamento del reddito catastale, e alle Tisultanze dei contratti di locazione o alla comparazione con il reddito ricavabile da edifici analoghi; il ricorso a quest'ultimo criterio di tassazione non costituiva, pertanto, un accertamento induttivo vero e proprio, bens l'adozione di w uno specifico sistema di accertamento, e ci non a libito dell'ufficio accertatore, ma in presenza di specifici presupposti indicati dalla ID.orma; s che, in sostanza, escluso che -l'Ufficio potesse in via induttiva determi I nare liberamente i:l reddito, il problema si riduce a verificare se a detto sistema potesse comunque ricorrersi, ossia torna in questione l'accer I tamento della possibilit della permanenza della normativa dell'art. 74, ~ primo comma, del t.u., dopo l'ent!rata in vigore della legge n. 131 ~[ r del 1960. f: Al quesito questa Corte ha gi risposto con precedenti pronuncie che ~: 1:' vanno riconfermate. t La legge del 1960, invero, ancor definitivamente fa tassazione del e:: reddito dei fabbricati alle rendite catastali, mediante determinazione del ~- I L reddito in base alla rendita del fabb11icato, ove gi accatastato, o alla ~ PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA rendita di fabbricati similari (in caso di non accatastamento), permettendo una dero,ga a tale sistema solo quando il reddito effettivo fosse superiore a quello accertabile col sistema catastale nella misura prevista dall'art. 2. Tutto il problema sta pertap.to (posto che non pu disconoscersi che un'abrogazione del primo comma dell'art. 74 del t.u. n. 645 poteva avvenire anche in modo non espresso, ma per semplice incompatibilit fra le sue disposizioni e quelle della nuova legge che regolava espressamente la materia) nel definire che cosa il legislatore del 1960 intendesse per reddito effettivo; e non vi dubbio che, anzitutto in base all'interpretazione letterale, detta dizione debba interpretarsi come stante ad indicare il reddito effettivamente percepito in concreto, in modo certo e indiscutibile, non il reddito astrattamente ricavabile, desunto da semplici presunzioni basate sui prezzi di mercato. L'interpretazione letterale, d'altronde, confortata dal principio generale secondo cui, nei casi dubbi -il che peraltro gi da escludersi per lo specifico e inequivocabile aggettivo adoperato -ogni legge va interpretata nel senso conforme al dettato costituzionale, anzich in queHo contrastante; e non pu dubitarsi che l'interpretazione qui data sia in armonia col principio dell'effeJtiva capacit contributiva sancita dall'art. 53 de11a Costituzione, mentre l'adozione di un diverso criterio di tassabilit su mere presunzioni comporterebbe il pericolo (in mancanza di altri elementi di prova e di convincimento sull'ammontare concreto del reddito percepito) di sottoporre il contribuente a tassazione di una ricchezza inesistente. In aggiunta a ci, va ricordato (il che questa Corte ha gi fatto con le sue precedenti pronuncie) che gi l'originario sistema della tassazione del reddito dei fabbricati (art. 6 della I. n. 2136 del 1965) distingueva il reddito effettivo, risultante dai contratti in corso, da quello presunto , ricavabile dall'affitto e determinato comparativamente; e cos pure il r1d11. n. 652 del 1939 contrapponeva il reddito effettivo alla rendita catastale; solo il t.u. del 1958 accomun i due concetti, prevedendo un reddito tenuto, con la decisione impugnata, che l'art. 2 del decreto n. 259 del '74 non abbia abrogato la disposizione del secondo comma dell'art. 88, n. 597 del '73, che richiama, a sua volta, ~'art. 2, 1. 26 febbraio 1960, n. 131, applicabile quando sussista un determinato divario fra il reddito effettivo e la rendita catastale aggiornata. A tale conclusione, invero, si perviene in base ai principi che discipli nano fa successione delle leggi nel tempo. Dispone l'art. 15 disp. prel. cod. civ.: Le leggi non sono abrogate che da leggi posteriori per dichiarazione espressa del legislatore, o per incompatibilit tra Je nuove disposizioni e le precedenti o perch la nuova legge regola l'intera materia, gi regolata dalla legge anteriore . Escluso, nel caso in esame, che la nuova legge abbia regolato l'intera materia, gi regolata dalla legge anteriore, ed escluso che sia rinvenibile in essa un'esplicita norma abrogativa della disposizione contenuta nel comma secondo, art. 88 decr. n. 597 del 1973, resta solamente da stabilire se la disposizione medesima risulti tacitamente abrogata per incompati bilit con quella attuale. Ritiene il Collegio che tale incompatibilit non sussista. I 530 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO I Secondo la giurisprudenza il disposto dell'art. 15 delle disposizioni sulla legge in generale consente di configurare ~'abrogazione implicita di 11. una legge quando si riscontri fra 'le nuove disposizioni e le precedenti un'incompatibilit evidente, una contraddizione di tal grado da renderne impossibile l'applicazione contemporanea; di guisa che dall'osservanza e dall'applioazione de1la nuova legge derivi inevitabilmente l'inosservanza e la disapplicazione dell'altra (Cass., 12 novembre 1973, n. 2979). Ora, mentre fra l'art. 2, decr. n. 259 del 1974 ed i:l iprimo comma dell'art. 88 decr. n. 597 del 1973 sussiste una contraddizione tale da renderne impossibile l'applicazione contemporanea, talch dalla legge posteriore risulta abrogata la precedente (primo comma, art. 88 citato) sui coefficienti di aggiornamento delila rendita catastale per il biennio 1974-1975, viceversa, dall'osservanza e dall'applicazione delle nuove norme non deriva affatto una inevitabile inosservanza e disapplicazione delle regole contenute nel secondo comma del'.l'art. 88 dello stesso decreto e nell'art. 2, 1. 23 febbraio 1960, n. 131, al quale esso rinvia. Tali disposizioni, come si detto, stabiliscono che, per la determinazione dell'imponibile, si deve tener presente iil .reddito lordo effettivo quando esso, seppur ridotto di un quarto, superi per oltre un quinto la rendita catastaile aggiornata; e rimane fermo, a tal fine -come espressamente dispone l'art. 88, comma secondo -l'obbligo del possessore di dichiarare il reddito effettivo. Ricorrendone le premesse, pertanto, a questi valori deve essere commisurato il calcolo della base imponibiJle, in deroga alla nuova disposizione, dettata dall'art. 2 decr. n. 259 del '74 al solo scopo di aggiornare, secondo una diversa formula e nei limiti del biennio '74-75, i coefficienti per la deteT minazione della rendita catastale, nelle more della prima revisione delle tariffe d'estimo. A tale interpretazione -adottata daHa Commissione centrale -non osta la lettera della norma e neppure la 'sua ratio, che consiste soltanto nell'esigenza di adeguare ancor meglio l'accertamento delfimponibile al reddito effettivo. Si deve ritenere, pertanto, ohe con l'entmrt:a in vigore dell'art. 2 d.P.R. 6 luglio 1974, n. 259, sia stato sostituito e abrogato, per il biennio 1974-1975, soltanto il primo comma dell'art. 88 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, non il secondo; e sia, pe:rtanto, sempre applicab!le, quando ne ricorrano le premesse, l'art. 2, 11. n. 131 del 23 febbraio 1960, in esso richiamato. In tal senso ha provveduto l'Ufficio Imposte di Livorno con iJ.'accertamento del maggior imponibile a carico della Castellani. Appare, pertanto, conforme ai principi di diritto sopra enunciati la decisione della Commissione centrale, nella quale si afferma che col decreto I PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 531 del 1974 stata introdotta una semplice variazione, per il detto biennio, dei coefficienti di aggiornamento, senza alouna modifica dei criteri impositivi. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 25 marzo 1983, n. 2088 -Pres. Tamburrino; Est. Corda -P. M. Grima:ldi {conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato Linda) c. Croce. Tributi erariali indiretti -Imposta di successione -Deduzione di passivit -Conto corrente bancario -Legge 24 dicembre 1969, n. 1038 Parere di anteriorit effettiva e ammontare del debito. (1. 24 dicembre 1969 n. 1038). Poich per l'ammissibilit delle passivit deducibili dall'asse ereditario risultante da saldo passivo di conto corrente bancario necessario dimostrare anteriorit, effettivit e ammontare del debito non sufficiente .la prova offerta alternativamente con uno dei mezzi elencati nell'art. unico della legge 24 dicembre 1969, n. 1038, ma necessaria la dimostrazione ottenuta con tutti i mezzi voluti dalla legge (integrale svolgimento del conto, assegni, dichiarazione di sussistenza) (1). (omissis) Tale secondo motivo di ricorso fondato. Con la sentenza 21 luglio 1978 n. 3616 (richiamata dalla Commissione Tributaria Centrale) questa Corte ha affermato che, ai fini dell'applicazione dell'imposta di successione, i mezzi di documentazione richiesti dall'articolo unico della legge 24 dicembre 1969, n. 1038, ;per la deduzione dall'asse ereditarrio dei debiti (del de cuius) derivanti dal saldo passivo di un conto corrente bancario, originati dalla emissione di assegni, sono prescritti in via alternativa, nel senso che il mezzo di prova prescritto da ciascun numero delJa disposizione predetta sufficiente, da solo, a dimostrare la anteriorit del debito rispetto a1l'apel'tura della successione. Con riferimento, quindi, al caso in quella sede deciso, ha ritenuto che fosse idonea, agli effetti predetti, la produzione (da parte del contribuente) del solo estratto notarile dell'integrale svolgimento del conto corrente redatto sUJlla base delle rregistrazioni operate sui libri dell'istituto di credito (n. 1 (1) Decisione evidentemente esatta che corregge l'affermazione scappata di mano con la sentenza 21 luglio 1978, n. 3616 (in Riv. Leg. fisc. 1980, 274). appena necessario ricordare che la imprescindibilit della produzione degli assegni ribadita sotto altro criterio giacch non sono affatto deducibili i saldi passivi risultanti da mezzi di utilizzazione del conto diversi dagli assegni (Cass. 19 dicembre 1979, n. 6593, in questa Rassegna, 1980, I, 615 con richiami di precedenti). 8 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 532 dell'articolo citato), pur se privo di ogni riferimento specifico alle annotazioni operate nei libri giornale e inventario della banca. Tale impostazione non , per, condivisa dal Collegio. L'articolo unico della citata ilegge n. 1038 del 1969 stabilisce che, ai fini dell'1applicazione dei tributi successori, sono ammessi in deduzione dall'asse ereditario i debiti derivanti da saldo passivo di conto corrente bancaa:fo, originato da emissione di assegni, quale che sia il rapporto contrattuale sottostante, purch giustificati dalla seguente documentazione 1) dimostrazione dell'integrale svolgimento del conto a partire dal 31 dicembre dell'anno anteriore all'apertura de1la successione o dall'ultimo sa1do attivo del conto; itale dimostrazione. deve risultare da dichiarazione dell'istituto di credito autenticata, o da estratto notarile, .redatti sulla base delle registrazioni operate anche ;per riassunto sui libri inventari e giornale dello stes.so istituto di credito; 2) originale, o copia autentica, degli assegni emessi con indicazione degli estremi delle annotazioni operate sui libri di commercio dell'istituto di credito anche per riassunto; 3) dichiarazione rilasciata da tutti gli eredi e dal legale rappresentante dell'istituto di credito, co1111:rofirmata dal capo del servizio o dal contabile addetto al servizio, attestante l'effettiva sussistenza del debito, in tutto o in parte, all'epoca di apertJUra della successione, con ila specificazione delle eventuali garanzie prestate. Dall'esame di tale disposizione di legge appare chiaro che per risolvere il problema proposto dalla ricorrente occorre stabilire a quale specifica funzione adempia la produzione dei documenti indicati in ciascuno dei numeri di cui la stessa si compone: occorre, cio, verificare la gi enunaiata tesi della altemativit stabilendo se ciasouna di quelle singole produzioni sia, da sola, idonea a fornire la prova richiesta. Prova che, ad avviso del Collegio, concerne non solo la a1111:eriorit del debito rispetto al:l'apertura della successione, ma altres la effettiva sussistenza dello stesso e il suo esatto ammontare. La citata sentenza pervenuta alla conclusione sopra riferita partendo dalla premessa che scopo della prescrizione normativa unioamente quello. del sicuro accertamento dell'anteriorit del debito rispeitto alla data dell'apertura della successione: e non v' dubbio che se lo scopo deHa legge fosse unicamente quello, la conclusione della alternativit dei tre mezzi di prova sarebbe sicuramente accettabile. Se invece si ritiene -come al Collegio pare doveroso -che scopo della norma anche l"accertamento della effettivit del debito e del suo esatto ammontare, quella conclusione non pu pi essere accettata. , infatti, chiaro che la semplice produzione degli assegni (n. 2) non dimostra PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 533 l'effettiva esistenza del debito, cos come la sola dichiarazione rilasciata dagli eredi e dal legale rappresentante dell'd.stituto di credito (n. 3) non dimostra l'esatto ammontare del debito predetto. La conclusione, quindi, che dovendosi dimostrare la contemporanea ricorrenza dei tre requisiti (anteriorit, effettivit, e ammontare), la deducibilit potr essere operata solo se il contribuente avr prodotto tutta la documentazione richiesta dalla commentata disposizione di legge. Questa conclusione, del resto, sembra gi presupposta daMa sentenza di questa Corte 5 dicembre 1978, n. 5708 (successiva, quindd., a quella prima ricordata), la quale, pur dovendo pronunciare solo su un circoscritto caso di anteriorit del debito rispetto all'apertura della successione, ha tuttavia trovato modo di rilevare .come la legge richiede non solo che sia acce11tata J:a rkostruzione del movimen to di vialuta , ma, altres, che sii.a stabilito il'esclusivo collegamento del prelevamento all'emissione di assegni in favore di terzi. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 29 marzo 1983, n. 2237 -Pres. Mazzacane Est. Battimelli -P. M. Dettori (diff.). Esposito (avv. Caprotti) c. Ministero delle Finanze (avv. Srtato Mari). Tributi in genere Accertamento tributario Notificazioni -Persona giuridica -Impossibilit di notifica presso la sede legale Omessa ri cerca della legale rappresentante -Deposito presso la casa comunale Nullit. (t.u. 29 gennaio 1958 n. 645, art. 38; c.p.c. art. 145 e 148). Per la notificazione degli atti del procedimento tributario alle persone giuridiche sono applicabili gli ar~t. 145 e 148 c.p.c., con la consegu.enza che ove la notifica non possa eseguirsi prsso la sede legale essa, deve essere effettuata presso la persona fisica che rappresenta l'ente, se risulta dall'atto, eseguendo le ricerche necessarie, non solo anagrafiche, per rintracciarla anche ove vi sia stata variazione di domicilio nell'ambito dello stesso comune; solo all'esito negativo di tali tentativi legittima la notifica eseguita a norma dell'art. 140 c.p.c. (1). (1) In tema di notificazione degli atti dei procedimenti tributari la giurisprudenza continua ad oscillare fra posizioni estremamente rigoristiche, come nel caso, ed altre che pi realisticamente non premiano il contribuente che sfugge e rende praticamente impossibile il risultato. Certo difficile ammettere che di fronte ad una persona giuridica introvabile (non sono poche le societ fantasma) diventi un obbligo rigoroso quello che secondo l'ultimo comma dell'art. 145 cod. proc. civ. soltanto una facolt, esercitabile soltanto ove nell'atto sia indicata la persona fisica del rappresentante e semprech tale indicazione sia ancora esatta al momento, e, pi ancora, che la persona fisica del RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO (omissis) Il primo motivo di ricorso va accolto. Ed invero, per quanto attiene alla notificazione di atti a persone gforidiche, la disciplina dell'art. 38 del T.U. n. 645 del 1958 in nulla differisce da quella comune, posto ohe il suddetto articolo dichiara non applicabili, per la notificazione di atti ai contribuenti, solo gli artt. 142, 143, 146 e 150 c.p.c., non anche, quindi, l'airt. 145, e neppure l'art. 148. Ne consegue che 1anche in materia di notilicazione di avvisi di accer tamento vanno applicati i principi stabiliti da una costante giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, per la notificazione di atti ad una persona giuridica, ove la notifica non possa effettuarsi a sensi del primo comma dell'art. 145, per non essere rinvenuta nella sede del destinatario una delle persone legittimate a ricevere l'atto, e se nell'atto indicata la persona fisica che rappresenta l'ente, la notificazione deve effettuarsi a quest'ultima con le modalit prescritte per le notificazioni a persone fisiche, a sensi degli artt. 138, 139 e 141. Inoltre, poich anche per le notifilcazioni a persone giuridiche applicabile la normativa dell'art. 148 c;p.c., nehl'effettuare la notifica devono compiersi dall'ufficiale procedente tutte 1e ricerche (non solo anagrafiche) necessarie per reperire il destinatario dell'atto (persona giuridica o persona fisica che la rappresenta), e deve darsi atto nella relazione di notificazione di dette ricerche, dei motivi della mancata consegna e delle notizie raccolte sulla reperibilit del destinatario: il che significa che il notificante deve compiere ogni possibiile ricerca per reperire uno dei dm~ destinatari (persona giuridica e rappresentante) dell'aitto, e che, solo all'esito di dette ricerche, ove nessuno sia stato reperito, pu procedere a notifica a sensi deH'art. 140 c,p.c. N all'obbligo di dette ricerche il messo notificatore pu ritenersi sottratto Li.n conseguenza di mutazioni di indirizzo nell'ambito dello stesso comune, posto che l'ultimo comma dell'art. 38 del T.U. attribuisce rilevanza particolare, quanto al sistema delle notificazioni, esclusivamente aHe variazioni di domicilio fiscale non disposte dall'autorit amministrativa, ossi, per fimplicito richiamo in tal modo fatto al disposto dell'art. 10 in relazione ,al quinto comma dell'art. 9, unicamente alle variazioni di domicilio da un comune all'altro, non anche ai trasferimenti di domicilio rappresentante debba essere ricercata con diligenti indagini nella sua vita privata. Pi in generale resta il non risolto problema se la notifica possa essere validamente eseguita nel domicilio fiscale dichiarato quando non siano state comunicate le variazioni (da ultimo Cass. 16 giugno 1980, n. 3824 in questa Rassegna, 1981, I, 369) ovvero se il contribuente non abbia alcun obbligo di dichiarare il domicilio e spetti sempre all'Amministrazione accertarlo (Cass. 18 luglio 1979, n. 4297, ivi, 1979, I, 770). f PARTB I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA nell'ambito dello stesso Comune, facilmente riJ.evabili, quanto alle persone giuridiche, attraverso le risUJl.tanze del regiistro delle imprese e, quanto alle persone fisiche, attraverso le risultanze anagrafiche, e per entrambi comunque attraverso notizie da raccogliersi sulla reperibilit del destinatario. Ne consegue che non pu ricorrersi alla notiiiicazione a sensi dell'art. 140 c.p.c., nei confronti di una persona giuridica se prima non si siano effettuate opportune e diligenti ricerche sull'esistenza di una sede, ufficio o azienda della persona giuridica o di abitazione, ufficio o azienda del legaile rappresentante, e che sOilo all'esito negativo di tali ricerche l'atto pu essere depositato nella casa comunale in applicazione della Jettera f) dell'art. 38 del T.U., non senza, peraltro, dare atto, nella relazione di notifica, di tutte le ricerche effettuate inutilmente. La decisione impugnata non appare essersi conformata a questi principi, posto che ha ritenuto regoJatre la notificazione per non essere stata rinvenuta la societ destinataria dell'atto nel domicilio fiscale (non chiaro se pe;r aver trasferito la sede in raltro comune o unicamente per aver mutato sede nell'amb:ito del comune di domicilio fiscale) n in quello dell'amministratore unico; irreperibilit, quesil:a, che da sola non giustificava il ricorso alla notifica ex art. 140 c.p.c. e lettera f) dell'art. 38 del T.U. n. 645; ci sia perch avrebbero doV!llto effettuarsi ricerche dell'eventuale nuova sede della societ, il che ben avrebbe potuto effettuarsi attraverso l'esame dei r"egistri presso la cancelleria commerciale del tribunale, sia perch, essendo indicato nell'atto fil Jegale rappresentante della societ, l'atto ben avrebbe potuto e dovuto notificarsi a costui, giusta il disposto dell'ultimo comma dell'art. 145 c.p.c., nei modi indicati dagli artt. 138, 139 e 141 stesso codice; comunque, anche della persona fisica avrebbero dovuto effettuarsi opportune ricerche anagrafiche e d'a1tro genere e, in ogni caso, nella relazione .di notifica avrebbe dovuto darsi atto di tutti i tentativi effettuti, in adempimento del disposto dell'art. 148, secondo comma, c.p.c. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 30 marzo 1983, n. 2290 -Pres. Brancaccio Est. Battimehli -P. M. Miccio (diff.). Lombardi c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Dipace). Tributi erariali diretti -Imposte fondiarie -Imposta sui fabbricati Agevolazioni per le case di abitazione non di lusso -Decadenza Eccedenza di volumetria -Volumi tecnici -Sono compresi nella tolleranza del 2 per cento. (1. 6 agosto 1967 n. 765, art. 15). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO Tributi in genere -Contenzioso tributario -Procedimento innanzi alle commissioni -Ufficiosit -Esclusione -Principio della domanda -Si applica. (c.p.c. art. 112). La decadenza dall'agevolazione dell'art. 13 della legge 2 luglio 1949, n. 408 prevista dall'art. 15 della legge 6 agosto 1967, n. 765 (che introduce l'art. 41 ter alla legge 17 agosto 1942, n. JJSO) stabilita per le violazioni (nella specie) di cubatura che eccedono il 2 % della misura prescritta; in detta tolleranza sono ricompresi i c.d. volumi tecnici, da intendersi come le parti esterne alla copertura comunque estranee alla utilizzazione abitativa diretta o indiretta (vano per l'accesso al tetto, vano di alloggiamento dei motori dell'ascensore, prolungamento canne fumarie e simili) che per la loro minima incidenza sulla volumetria complessiva non possono essere computati separatamente e in aggiunta dalla tolleranza stabilita in percentuale generale r(l). Il procedimento innanzi alle Commissioni tributarie non ha natura ufficiosa e inquisitoria tale da consentire al giudice, sia di primo grado che di impugnazione, di pronunciare su questioni non proposte dalle parti (2). (omissis) Il primo motivo di ricorso, che pu essere esaminato solo in relazione alle questioni di diritto, non anche ai profili :ii fatto, in cui si articola, va riconosciuto infondato. A parte, invero, fa motivazione sul punto della decisione impugnata, che non pu totalmente condividersi, sia perch ha negato di ;poter esam1nare in punto di fatto la questione, che pur rientrava nella sua competenza per ifil disposto :dell'art. 26 del D.P.R. n. 636 del 1972, riconosciuto (1-2) La prima massima, da condividere pienamente, stabilisce criteri pre cisi per eliminare ogni dubbio sul frequente tentativo di eludere la violazione di cubatura con l'espediente dei c.d. volumi tecnici . La seconda massima indubbiamente esatta sul punto della applicabilit al processo tributario del principio della domanda (art. 112 cod. proc. civ.) fondamentale in ogni processo, escluso soltanto quello penale. Si pu invero ritenere che il processo innanzi alle commissioni sia ufficioso solo nel senso che il procedimento dopo la proposizione del ricorso procede per impulso d'ufficio, senza che siano necessarie ulteriori iniziative di parte, anche nel caso di traslazione o rinvio da una ad altra commissione (art. 19, 21, 22, 24, 25, 29, d.P.R. n. 636/,1972), e inquisitorio nel senso che l'istruttoria disposta dalla commissione con gli stessi poteri conferiti all'ufficio dalle singole leggi di imposta (art. 35), mentre le parti hanno soltanto la facolt di esibire documenti (art. 36); ma ben altra cosa la necessit della domanda che limita il potere del giudice alle regole della corrispondenza fra chiesto e giudicato. Gi il ricorso di primo grado deve contenere a pena di nullit l'oggetto della domanda e i motivi (art. 15); a maggior ragione i motivi dell'impugnazione di secondo e terzo grado (art. 22 e 25) delimitano la parte della decisione che si intende impugnare. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 539 (omissis) Si deve pertanto esaminare il primo motivo del ricorso principale, ta cui argomentazione fondamentale consiste (con evidente assorbimento della questione relativa alla legittimit del ricorso all'ingiunzione, da parte dell'Amministrazione) nel rilevare '1e inesatte conseguenze tratte dalla Corte di Milano dalla circostanza che il Giovanzani (che non debitore d'imposta, in quanto semplice impiegato dipendente del debitore d'imposta), dopo essere stato tratlto a giudizio per rispondere di ipotesi di evasione sanzionate penalmente, era stato assolto nel giudizio penale richiamato dalla stessa ingiunzione fiscale -per mancanza di dolo, e cio perch il fatto non costituisce reato. L'argomento coglie nel segno: la Corte di Milano ha costruito una singolare categoria di soggetti obbligati al pagamento dell'imposta di fabbricazione a titolo di risarcimento del danno conseguente (non da reato, perch il reato stato escluso dal giudice competente, e di ci ha dato atto la sentenza impugnata), ma dal fatto materiale dell'evasione fiscale compiuta dal soggetto passivo dell'obbligazione tributaria (e cio dal fabbricante, dal depositario, dall'acquirente della merce oggetto dell'imposta di fabbricazione, secondo ile ipotesi espressamente previste dalle varie leggi). Tale categoria stata identificata nei trasgressori in concreto (diversi dal debitore d'imposta) e cio in coloro che, nell'ambito dell'organizzazione imprenditoriale dei soggetti passivi dell'imposta, hanno la responsabilit di assicurare l'osservanza delle disposizioni legislative dirette ad evitare le frodi nel campo delle imposte di fabbricazione. Questa Corte osserva che una siffatta categoria di debitori fiscali a titolo di risarcimento del danno subto dall'Amministrazione per il fatto oggettivo dell'evasione, del tutto sconosciuta al nostro ordinamento, al di fuori dell'ipotesi di reato. n. 4 ed ora art. 6, legge 24 novembre 1981, n. 689 bench sul punto siano nati dubbi di applicazione: v. da ultima Cass. 21 ottobre 1981, n. 5508 in questa Rassegna, 1982, I, 352), ma non dell'imposta, nemmeno sotto forma di risarcimento del danno. A diversa disciplina danno luogo tuttavia le imposte doganali e di fabbricazione nelle quali la responsabilit per l'imposta si estende a soggetti partecipi della violazione anche se in posizione diversa dal soggetto passivo vero e proprio. E specificamente dell'imposta di fabbricazione risponde non soltanto il fabbricante, che pu rimanere sconosciuto, ma anche ogni altro soggetto che abbia sottratto i prodotti all'accertamento (Cass. 26 marzo 1977, n. 1184; 26 aprile 1982, n. 2554, in questa Rassegna, 1977, I, 322 e 1982, I, 841). La sentenza in esame sembra aver dato eccessiva rilevanza all'esito del giudizio penale. II giudicato penale non esclude l'obbligazione di imposta, anzi pu costituirne la premessa, quando siano rimasti accertati i fatti costituenti la violazione; e nel caso l'assoluzione per mancanza di dolo non poteva avere una tanto rilevante influenza sull'obbligazione per l'imposta. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 540 Si premette che non si tratta di ricercare una responsabilit del terzo per lesione del credito, perch la tutela aquiliana del credito ammessa quando una perdita definitiva ed irreparabHe renda al creditoce impossibile procurarsi una prestazione uguale o equipollente, e nella specie si manifestamente al di fuori di tale ipotesi, non essendovi alcun ostacolo a che l'imposta evasa potesse essere richiesta alla debitrice societ Max Meyer. Si tratta, invece, di stabilire se il sistema positivo, a tutela della riscossione dell'imposta, orea una siffatta categoria di debitori sia in via legale che in via di risarcimento del danno. La ricerca autorizzata dalle peculiarit del sistema fiscale, che pu creare figure 1di debitori di tal genere {si veda, per esempio, la responsabilit dei liquidatori di societ, responsabili del pagamento delle imposte dirette a termini dell'art. 265 del T.U. n. 645 del 1958). Ma nella materia delle imposte di fabbricazione la ricerca negativa. In proposito la Corte d'Appello di Milano ha indicato alcune disposizioni che non autorizzano per le illazioni che ne ha tratte. L'art. 18 della legge 7 gennaio 1929, n. 4 regola la facolt dcll'Amministrazione nei confronti del contravventore che debba rispondere, oltre che deUa contravvenzione, del pagamento del tributo: e quindi riguarda la ipotesi di responsabilit penale (nel presente caso, invece, insussistente) e d'altra parte rinvia alle singole norme in forza de1le quali si debba rispondere del pagamento del tributo, in 1quanto soggetto passivo di esso, qualit che il dipendente del contribuente evidentemente non riveste di per s). L'art. 30 del r.d.l. 28 febbraio 1939, n. 334 non era pi vigente a11'epoca dei fatti 1di cui causa, in quanto abrogato dall'art. 25 del d.l. 5 maggio 1957, n. 271 conv. in 1. 2 luglio 1957, n. 474 e regolava, in deroga all'art. 21 della legge 7 gennaio 1929, n. 4, la decisione amministrativa delle vio lazioni costituenti delitti in materia di imposta di fabbricazione sug;li oli minerali, fermo l'obbligo della corresponsione dei diritti fiscali: e cio un'ipotesi peculiare di estinzione del reato, quando risultava escluso il proposito di frode. Esso era quindi condizionato alla suddetta definizione amministrativa pr.eclusiva delil.'accertamento del reato. Si pu aggiungere che l'art. 136 della legge doganale allora vigente (25 settembre 1940, n. 1424), regolava l'obbligazione solidale di alcuni sog getti per il pagamento dei diritti dovuti dai condannati per i delitti di contrabbando. Il delitto di contrabbando il fatto generatore dell'obbligo del pagamento dell'imposta da parte del reo e dell'obbligo solidale di al cuni soggetti (fra cui l'esercente degli stabilimenti industriali) per il pa gamento del tributo stesso. In sostanza il terzo, non soggetto passivo del tributo, in caso di con trabbando da lui commesso anche obbligato al pagamento del tributo; PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA mentre obbligato in via 1solidale il soggetto passivo (Cass. 5 maggio 1972, n. 1359) e cio colui che gi in base alle disposizioni generali degli artt. 5 e 16 della suddetta legge doganale il debitore dell'imposta. Questa Corte ha anche affermato che l'estinzione del reato di evasione dell'imposta di fabbricazione non preclude l'indagine, in sede civile, sull'esistenza del fatto-reato, da cui dipende l'obbligazione tributaria ~Cass. 9 febbraio 1980, n. 302; Cass. 23 giugno 1972, n. 2095). L'ipotesi l'inversa rispetto a :que1la della presente causa, nella :qua:le l'accertamento del reato stato compiuto dal giudice competente con pronuncia di proscioglimento, di cui il giudice civile ha preso atto. In questo secondo caso, non vi pu essere dipendenza di un'obbligazione (civile) tributaria, sia pure a titolo 'di danni, da un fatto-reato che non pu pi essere accertato e qualificato come tale, per 1difetto dell'elemento soggettivo. Il proscioglimento del contribuente per mancanza di :dolo non estingue la pretesa della Finanza di pagamento del tributo (Cass. 29 ottobre 1975, n. 3639); ma il proscioglimento di colui che non contribuente non lascia residuare alcun obbligo civile-tributario a suo carico, perch tale proscioglimento comporta che sull'obbligazione tributaria si debba decidere soltanto secondo lle regole sue proprie {Cass. 17 aprile 1973, n. 1104; Cass. 25 giugno 1977, n. 2718). L'evasione dell'imposta di fabbricazione sugli acidi grassi di talloil e di cocco era, quindi, regolata dall'art. 29 e dall'art. 38 del d.l. 31 ottobre 1956, n. 1194. L'art. 29 prevede un delitto punibile con la multa, indipendentemente dal pagamento dell'imposta evasa; pagamento che quindi comminato a oarico dell'autore del reato, come obbligazione civile del medesimo dipendente. L'art. 38 contiene la medesima previsione, per le eccedenze di prodotti gravati da imposta di fabbricazione. L'art. 17 del d.P.R. 22 dicembre 1954 n. 1217, sui semi oleosi, prevede il debito dell'imposta di fabbricazione sulle eccedenze riscontrate rispetto ai carichi contabili; e l'art. 38 dello stesso d.P.R. regola il pagamento del tributo in dipendenza dell'accertamento del reato, da parte del colpevole. ( da notare che il suddetto d.P.R. n. 1217 del 1954 stato dichiarato incostituzionale dalla Corte Cost. 10 aprile 1962, n. 32, s che si applicano le disposizioni contenute nelle norme anteriori trasfuse nel suddetto t.u., quali il dJ. 30 ottobre 1952 n. 1323). evidente che l'obbligazione del pagamento delle imposte collegata strettamente con l'accertamento del reato, di modo che non sopravvive all'esclusione dello stesso con sentenza irrevocabile, a carico dell'autore materiale del fatto che non sia per altro verso debitore dell'imposta, in quanto fabbricante, depositario, etc. (omissis) 542 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 30 marzo 1983 n. 2296 -Pres. Tambur rino -Est. Virgilio -P. M. Grossi (conf.). Ministero delle Fina:nze (avv. Stato Braguglia) c. Soc. Distilleria Scardina (avv. Guerra). Tributi in genere -Contenzioso tributarlo -Giudizio di terzo grado Ricorso alla corte d'Appello -Principio della domanda -Pronuncia di ufficio -Esclusione. (D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 40; cod. proc. civ., artt. 112 e 342). Nel giudizio di terzo grado innanzi alla Corte d'appello vanno osservate le norme del rito civile e fra queste anche quelle che riguardano il principio della domanda; di conseguenza la corte d'appello non pu pronunciate d'ufficio su questioni non dedotte nei motivi di appello. (omissis) Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione degli artt. 112, 342, 345 cod. proc. civ. e 40 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., e sostiene che la Corte di appello ha rilevato di ufficio, incorrendo nel vizio di ultrapetizione, una pretesa irregolarit formale dell'avviso di accertamento tributario contenente l'irrogazione delJa pena pecuniaria, che non era stata eccepita dalla contribuente. La censura fondata. Secondo l'art. 40, ultimo comma, del d.P.R. n. 636 del 1972, Nel procedimento avanti la Corte di appello si applicano le disposizioni del codice di procedura civile sul giudizio di appello, salvo que1le non compatibili con fa natura del rapporto tributario. Da questa norma di rinvio si deduce che nella fase del contenzioso tributario dinanzi alla Corte di appello il procedimento modellato secondo le regole comuni previste dal codice di rito per il giudizio di appello, a meno che la peculiare natura del rapporto tributario non consenta ,l'applicazione delle dette .regole comuni. I Al di fuori ,di tale ipotesi di deroga (che nella fattispecie in esame non ricorre) devono perci trovare applicazione anche le diisposizioni I secondo cui il giudice della impugnazione non pu rilevare di ufficio questioni non dedotte dalle parti, dovendo ilimitarsi all'esame dei motivi di I censura che siano stati proposti contro il procedimento impugnato. I f! f! 1:: (1) La decisione, indubbiamente esatta, si basa sul richiamo che fatto nell'art. 40 del d.P.R. n. 636/1972 alle disposizioni del codice di procedura civile. t. l Ma evidente che la stessa regola vale anche per il procedimento, in tutti i b gradi, innanzi alle commissioni (cfr. la sentenza 30 marzo 1983, n. 2290, in questo fascicolo pag. 535). 538 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO di massima, tale incidenza percentuale. ~ da escludersi, pertanto, che, in aggiunta al 2% previsto dal legislatore, possa considerarsi, come irrilevante ai fini del ,riconoscimento dei benefici fiscali, anche l'ulteriore eccedenza di volumi, tecnici o non, rispetto alla cubatura complessiva autorizzata. Anche il secondo motivo va disatteso, sotto entrambi i profili, principa: le e subordinato, in cui stato proposto. Non pu infatti ritenersi, come afferma il ricorrente, che il procedimento innanzi alle commissioni tributarie abbia natura di procedimento ufficioso e inquisitorio, che consentirebbe al giudice non solo la Hbera ricerca dei fatti, ma altres l'esame di questioni di legittimit della pretesa tributaria non proposte dalle parti. La giurisprudenza di questa Corte invero costante nell'affermare !'.applicabilit, a detto procedimento, del disposto dell'art. 112 c.p.c., e comunque va ricordato che J'art. 25, secondo comma, del D.P.R. n. 636 del 1972 non solo prescrive che il ricorso alla Commissione Tributaria Centrale deve contenere l'esposizione sommaria dei fatti ed i motivi dell'impugnazione, ma altres dichiara applicabili le disposizioill del secondo comma dell'art. 15 dello stesso decreto; e quest'ultima norma dichiara inammissibile il ricorso di primo grado se risulta assolutamente incerto uno degli elementi indicati nel precedente comma alle lettere a), b), c) e d), riguardante appunto, quest'ultima, i motivi a sostegno del ricorso. Dal che deve desumersi che i motivi debbano essere espressamente indicati nel ricorso, s che essi, se successivamente formulati, non possano essere esaminati e, di conseguenza, che ancor meno la Commissione possa, di ufficio, esaminare questioni diverse da quelle proposte con i motivi di impugnazione. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 30 marzo 1983, n. 2291 Pres. Sandulli Est. Sgroi -P. M. Benanti (conf.). Giovanzoni (avv. Delitaila) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Braguglia). Tributi erariali indiretti -Imposte di fabbricazione -Responsabile d'imposta -Dipendente di societ preposto al servizio -Assoluzione in sede penale Esclusione. Non esiste nell'ordinamento la categoria del trasgressore in concreto che possa rispondere a titolo risarcitorio dell'imposta .dovuta da altro soggetto (nelZa specie la societ per la quale ha agito materialmente un dipendente preposto), quando sia stata esclusa la responsabil.it penale (1). (1) La decisione pu ritenersi esatta in termini generali. L'autore materiale della violazione che abbia agito per conto di altro soggetto identificabile come contribuente pu rispondere delle sanzioni (art. 10 e 12 legge 7 gennaio 1929, PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 537 I ~ pienamente legit-timo con la recente sentenza della Corte Cstituzionale i:;r= n. 57 rdel 25 marzo 1982, sia perch non ha approfondito l'indagine sul conf. I ' ' cetto di volumi tecnici, Ia decisione va riconosciuta esatta nel dispositivo, per cui, sfa pure in ,applicazione del secondo comma dell'art. 384 c.p,c., il ricorso, sul punto, va respinto. In concreto, il ricorrente solleva, in punto di diritto, due doglianze, una attinente al mancato crispetto di una circolare ministeriale, che sarebbe stata erroneamente interpretaita, l'altra attinente all'afferma21ione del mancato riconoscimento, nella fattispecie, di irrilevanza della eccedenza di cubatura .riscontrata, e che, a detta del ricorrente, sarebbe 1Stata male calcolata, in quanto dovuta ai cosiddetti volumi tecnici . Nessuna delle due doglianze pu essere condivisa. Quanto alla prima, a parte, in ogni caso, l'irrilevanza di una circolare ministeriale al fine della soluzione di una controversia in materia di veri e propri diritti soggettivi quale quello, di cui si discute, della spettanza o meno rdi una 1agevoJazione tributaria, sta di fatto ohe la normativa invocata dal ricorrente attiene a!lla disciplina di una faittispecie del tutto diversa, quale quella della misurazione, a fini driversi da quelli tributari, della superficie utilizzabile in rapporto alla volumetria dell'immobile cui essa asservita, ai fini dell'applicazione non dell'art. 15, ma dell'art. 17 della legge n. 765, e peritanto in nulla pu essere utilizzata nella presente causa. Quanto alla seconda, va osservato, anzitutto, che per volumi tecnici si intendono, nella prassi in materia urbaniistica, solo i volumi delle parti, in genere, esterne alla cope11tura dell'edificio, e destinate a completare impianti tecnici comunque estranei a diretta o indiretta urt:iliz:mzione abitativa, quali il vano necessario per l'accesso al tetto daille scale, il vano di alloggiamento dei motori degli ascensori, i prolungamenti delle canne fumarie ecc.: il che, mentre gi di per s comporta che debba trattarsi di eccessi idi volumetria minimi rispetto alla volumetria complessiva, esclude che possa conside:mrsi volume tecnico, nel caso di specie, un sottotetto di rilevante dimensione (un decimo de11'intero volume dell'edificio), che senza dubbio esula dalla definizione qui data. Soprattutto, poi, va considerato che la norma in questione (art. 15 della legge 6 agosto 1967, n. 765) non accenna affatto ai cosiddetrt:i volumi tecnici, ma si Hmita unicamente, senza distinzione, a considerare causa di esclusione dal beneficio del!l'esenzione dall'imposta fabbI'icato un contrasto che riguardi, fra l'altro, violazioni di cubatura che eccedano il 2% delle misure prescritte, dal che non pu affatto dedursi che il raffronto possa fa11si fra prescrizioni e volumetria al netto dei volumi tecnici, dovendosi piuttosto ritenere che la to11eranza massima del 2% sia dovuta proprio alla considerazione defila possibile esistenza di volumi tecnici, la cui cubatura, per la modesta incidenza delle loro dimensioni (conseguente i' alla definizione che 1in precedenza si data) non pu appunto superare, I ' \ PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA Ci posto, evidente che nel caso in esame la Corte di appello ha violato i limiti. dei suoi poteri perch ha dichiarato la illegittimit dell'avviso di accertamento tributario per una ragione completamente diversa da quella dedotta dalla contribuente. Questa aveva contestato che la infrazione accertata a suo carico potesse rientrare tra quelle previste dall'art. 43 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, ed aveva eccepito comunque l'incostituzionalit della norma per eccesso di delega. Aveva inoltre eccepito l'incostituzionalit deil'art. 58 del citato d.P.R., sotto hl profilo della 1disparit di trattamento in ordine aHa possibilit di evitare l'irrogazione della sanzione pagando un sesto del massimo. La contribuente non aveva dunque prospettato alcuna questione sulla regolarit formale e sulla legittimit del procedimento di irrogazione della 1sanzione, con la conseguenza che la Corte di appello ha esaminato di ufficio una questione diversa, non contenuta nei motivi di impugnazione, e perci sottratta alla sua cognizione. N pu sostenersi, come adombra la resistente in questa sede, che la richiesta di annullamento deH'avviso di accr:tamento a causa della sua illegittimit contenesse potenzialmente in s stessa tutte le ipotesi di illegittimit, e dunque, anche il vizio riscontrato daHa Corte d1 appello: L'atto (amministrativo) era stato impugnato per motivi ben determinati, e 111on pu pertanto ritenersi che il generico riferimento alla il.legittiniit deH'atto, peraltro correlata nella specie a ragioni precise e determinate, potesse assumere carattere onnicomprensivo rispetto a tutti gli eventuali possibili vizi, di sostanza e di forma, dell'atto medesimo. Ci contrasta, oltre tutto, con la regola generale della specificit dei motivi Idi impugnazione di cui all'art. 342 cod. proc. civ. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 30 marzo 1983 n. 2298 -Pres. Mazzacane Est. Virgilio -P. M. Minetti (conf.). -Ministero delle Finanze (avv. Stato Angelini Rota) c. Marchetti. Tributi erariali indiretti -Imposta di registro -Agevolazione per le case di abitazione non di lusso -Acquisto area -Decadenza -Parziale violazione di licenza edilizia -Corpo di fabbrica indipendente -Riduzione proporzionale del valore da assoggettare all'imposta. (!. 2 luglio 1949 n. 408; !. 17 agosto 1942 n. 1150, art. 41 ter). Ove sull'area acquistata con un atto sia stato costruito senza licenza edilizia un corpo di fabbrica autonomo rispetto ad altro fabbricato conforme a licenza, la decadenza prevista dall'art. 41 ter della legge urbani 544 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO stica non opera sull'intera area ma sulla porzione interessata dalla costruzione senza licenza, da .determinare mediante riduzione proporzionale del valore dell'intera area (1). (omissis) Neppure il secondo motivo fondato. La Commissione centrale ha ritenuto in punto di fatto che fa costruzione eseguita senza Hcenza edilizia costituita da un corpo di fabbrica indipendente dall'edificio progettato ed eseguito in conformit della licenza che era stata concessa. Da questa :premessa (che peraltro emergeva, come il contribuente aveva dedotto dinanzi alla Commissione centrale, anche da!hle risultanze del giudizio penale) la Commissione ha tratto la conseguenza che la sanzione di decadenza dai benefici fiscali potesse operare soltanto per la par:te di area sulla quale era avvenuta la costruzione abusiva, e non con riferimento all'intera supevficie costituente oggetto dell'atto di acquisto 16 settembre 1969. '.Uale criterio giuridicamente corretto perch la formulazione dell'art. 41 ter della legge 17 agosto 1942 n. 1150 non autoriz2ia l'interprete a ritenere che sia sufficiente la violazione delle norme edilizie riferibile ad una sola costruzione (autonoma rispetto ad altre legittimamente eseguite ISU un'area originariamente unica) per importare :la decadenza dei benefici tributari con riferimento a tutta l'area e a tutte le costruzioni. La norma dispone, infatti, che le opere... senza licenza o in contrasto con la stessa... non beneficiano delle agevolazioni fiscali, e fa quindi espresso riferimento a:Ile opere cons~derate nella foro entit struttu raie e funzionale, sicch la esclusione dal beneficio non pu ritenersi estensibile anche ad altre opere (aventi carattere di autonomia) e alla corrispondente porzione di suolo, neppure nel caso in cui quest'ultima porzione faccia parte di un'area originariamente unica. In tale situazione non esiste alcun ostacolo concettuale al frazionamento dell'area stessa, ai fini dell'applicazione del beneficio !fiscale soltanto ad una quotaiJarte di essa ( 'non erano stati prospettati problemi giuridici al riguardo, sicch la controversia riguardava una questione di mero fatto attinente ahl'estimazione. E questa conclusione corretta, siccome pienamente aderente al principio sopra enunciato. (omissis) 558 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 7 aprile 1983, n. 2449 -Pres. Mazza caine -Est. Maltese -P. M. Grossi (conf.). Merli c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Angelini Rota). Tributi in genere -Prescrizione -Interruzione con effetto permanente Domanda di insinuazione nel passivo fallimentare -Interruzione fino alla chiusura del fallimento. (e.e. art. 2943 e 2945). La domanda ,di ins,inuazione nel passivo fallimentare interrompe la prescrizione con effetto permanente fino alla chiusura del fallimento anche nei confronti dei condebito11i solidali (1). (omissis) Col primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2945, 2943 cod. civ., in rel, all'art. 360, n. 3 c.p.c. Sostiene che, contro la 'lettera dell'art. 2945 e.e., involgente nozioni come quella di gtudizio , sentenza definitiva e passaggio in giudicato , la corte d'appello avrebbe riconosciuto il carattere permanente dell'interruzione della prescrizione -nel corso dell'intera procedura fallimentare -per effetto della domanda di ammissione al passivo del credito, cui non seguirebbe, ,invece, secondo il rico!1rente, fa pronuncia di una sentenza e la formazione del giudicato. La censura infondata. La gturisprudenza, invero, ormai orientata nel senso che la domanda ,di insinuazione al passivo fallimentare va qualificata come causa interruttiva con effetto permanente della prescrizione sino alfa chiusura del fallimento {Cass., 7 novembre 1973, n. 2913; 29 gennaio 1979, n. 634; 19 giugno 1981, n. 4014), con la stessa efficacia verso i coobbligati in solido, normalmente derivante dalla proposizione della domanda giudiziale sulla querela nullitatis. Lo stesso odierno ricorrente si sostanzialmente uniformato a questo principio perch ha proposto cumulativamente, dinanzi alla Corte di appello di Roma, istanza di revocazione sia nei confronti del lodo, sia nei . confronti della sentenza emessa in precedenza sulla impugnazione per nul lit, facendo valere per entrambi i casi il medesimo motivo. In conclusione, dunque, su questo primo punto, deve essere accolto per quanto di ragione il ricorso incidentale, con declaratoria di inam missibilit dell'istanza di revocazione del lodo arbitrale. {omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 10 agosto 1982, n. 4473 -Pres. Sandulli - Rel. Zappulli -P. M. Paolucci (conf.) -Soc. Betonstrade (avv. Ciabattini, Lucifero e Oar!'llla) c. Comune di Camruiore (avv. Colacino). Arbitrato -Proponibilit della domanda -Condizioni -Collaudo -Necessit -Limiti. (d.P.R. 16 luglio 1962 n. 1063, artt. 44, 46 e 47; r.d. 25 maggio 1895 n. 350, art. 27; I. 20 marzo 1865 n. 2248 al!. f, art. 340). Il collaudo, richiesto dall'art. 44 del capitolato generale per le opere pubbliche approvato con il d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, costituisce presupposto dell'azione giudiziaria solo se esso possa essere compiuto, e 566 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO cio se l'opera sia stata terminata e vi sia stata la relativa approvazione, e non anche quando la controversia, insorta nel corso dei lavori, ne abbia prodotto la sospensione e addirittura l'esecuzione da parte di terzi, con cons.eguente impossibilit di chiedere, disporre ed ancor meno approvare il collaudo (1). (omissis) Con il primo motivo del ricorso la Societ Betonstrade ha lamentato la violazione, nella sentenza impugnata, del d.P.R. 16 luglio 1962 n. 1063 e del Regolamento per le Opere Pubbliche 25 maggio 1895 n. 350, deducendo che le contestazioni e g~i addebiti da :parte del Comune avrebbero dovuto essere proposti in sede di collaudo o prelliminarmente in sede di contabilit e che la-domanda dell'Amministrazione comunale committente poteva essere proposta solo dopo il collaudo medesimo e con il rispetto dei termini fissati dal citato decreto del 1962 negli artt. 46 e 47. Ha sostenuto, iinoltre, che, indipendentemente dal fatto che il collaudo non ammette equipollenti, il verbale 30 ottobre 1970 non poteva sostituirlo. Il motivo infondato. Invero, non dubbio che pur sotto la disciplina del capitolato di appalto per le opere pubbliche del Ministero dei Lavori Pubblici approvato con il d.P.R. 16 luglio 1962 n. 1063 e richiamato nel contratto stipulato tra il Comune e l'impresa, per tutte le controversie la domanda di arbitrato deve essere proposta dopo l'approvazione del collaudo, ma evidente che tale norma presuppone che quest'ultimo possa essere compiuto, e cio che l'opera sia stata terminata e che vi sia stata la relativa approvazione. V!iceversa, non pu, certamente, chiedersi e disporsi e ancor meno approvarsi il collaudo stesso quando la controversia, insorta nel corso dei lavori, ne abbia prodotto la sospensione e addirittura l'esecuzione ad opera dei terzi. Ovviamente, una estensione di quella norma nel senso d.ndicato dalla ricorrente precluderebbe eternamente ogni azione per entrambe 1e parti con vantaggio di quella che ha dato luogo all'inadempimento. Del resto l'art. 42 dello stesso decreto del 1962 statuisce espressamente che quando sorgono contestazioni fra il direttore dei lavori e l'appaltatore si procede alla loro risoluzione in via amministrativa a norma del regolamento appovato con il r.d. 25 maggio 1865 n. 350, il cui arti (1) In dottrina, nello stesso senso, cfr. CIANFLONE, L'appalto di opere pubbliche, Milano, 1976, pag. 991 ss., il quale osserva che la temporanea improcedibilit derivante dalla mancanza del collaudo non si estende alle controversie che per il loro stesso contenuto sono oggettivamente inconciliabili o incompatibili con l'attesa del collaudo (ad es. l'azione di risoluzione per ina dempienza dell'amministrazione, l'azione di nullit del contratto di appalto, l'azione per far fissare dal giudice il termine per il collaudo); ed in genere alle azioni che altrimenti si renderebbero inutili o impossibili o che diversamente non potrebbero sperimentarsi . PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 567 colo 27, tra 1l'altro, prevede la .rescissione dei contratti e la esecuzione d'ufficio, come effettuata nella specie, per grave negligenza o contravvenzione ai ipatti, le quali non possono avere luogo se non nel corso del contratto stesso. In tal materi.a questa Suprema Corte ha affermato che l'esercizio del potere di autotutela, -riconosciuto alla pubblica amministrazione committente dall'art. 340 della l. 20 marzo 1865 n. 2248 all. f e concretantesi nella facolt di risolvere d'autorit il contratto di appalto quando l'appaltatore si renda co1pevole di frode o di grave negligenza o di contravvenzione agli obblighi ed alle condizioni stipulate -, non :preclude alla stessa amministrazione la facolt di chiedere al giudice ordinario o agli arbitri la risoluzione giudiziale del contratto per inadempimento dell'appaltatore, nell'eventualit che l'atto di esercizio del potere di autotutela sia riconosciuto illegittimo, trattandosi .di due rimedi aventi diversa natura giuvidica e caratterizzati da rpreslliPPOsti e modalit di attuazione differente (Cass. 19 settembre 1975 n. 3063). Non pu dubitarsi, perci, che .stata, implicitamente ma necessariamente, esclusa nella suddetta pronunzia la esigenza del previo collaudo per fa proposizione di un giudizio da parte dell'amministrazione committente diretto alla risoluzione del contratto, la quale, nella specie, stata richiesta con la domanda di rimbovso delle anticipazioni e di pagamento delle spese di esecuzione in danno. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 26 febbraio 1983, n. 1466 -Pres. Tamburrino -Rel. Sensaie -P. M. M~netti. (conf.). A.N.A.S. (avv. Stato Vittoria) c. Impresa Edilbeton (avv. Giordano). Appalto -Appalto d'opere pubbliche -Addizioni e variazioni -Opere relative a fondazioni -Variazioni in aumento contenute nel sesto quinto dell'importo totale del contratto, ma eccedenti il quinto della quantit originaria -Equo compenso ex art. 13, comma 5, d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063 -Spettanza. (I. 20 marzo 1865 n. 2248, ali. f, art. 344; d.P.R. 16 luglio 1962 n. 1063, artt. 13 e 14). L'art. 14, comma settimo, del capitolato generale di appalto per le opere pubbliche, approvato con d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, stabilisce, in deroga al comma primo e secondo dello stesso articolo, che delle variazioni ordinate dall'amministrazione com.mittente per opere relative a fondazioni non si tiene conto agli effetti della determinazione del sestoquinto dell'importo totale dell'appalto, oltre il quale l'appaltatore ha diritto di recedere dal contratto, ma che, ove tale limite sfo superato in conseguenza delle predette variaz;ioni, lo stesso appaltatore ha diritto ad un .equo compenso per la parte eccedente; tale disposizione non si pone RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 568 in rapporto di specialit con la normativa dell'art. 13, comma quinto, del citato capitolato generale, con la conseguenza che la disciplina del comma quinto dell'art. 13 trova applicazione anche per le variaioni concernenti le fondazioni se queste, pur rientrando nei limiti del quinto dell'importo totale del contratto, superino per di un quinto la corrispondente quantit originaria della stessa categoria di lavori singolarmente considerata, e con quella ulteriore del ,diritto ad un equo compenso (non superiore al quinto dell'importo dell'appalto) a favore dell'appaltatore, ove esse siano tali da produrre al medesimo un notevole pregiudizio economico (1) . . (omissis) Con l'unico motivo del ricorso l'Anas denunzia la violazi: ione e falsa aipplicazione degli artt. 13 e 14 del d.P.R. 16 luglio 1962 n. 1063, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha giudicato fondata la pretesa di cui alla riserva n. 3, concernente l'equo compenso che la societ Edilbeton aveva chiesto, sostenendo d'avere subito un notevole pregiudizio per le variazioni ordinate dall'Anas. Sostiene la .ricorrente che 1a fattispecie contemplata nell'art. 14, comma settimo alinea 2 (equo compenso dovuto all'appaltatore per fa parte eccedente, quando gli aumenti rispetto alle previsioni contrattuali delle opere relative a fondazioni superino il quinto dell'imiporto totale del contratto), ove la norma non fosse stata 'dettata, avrebbe Ticevuto la sua 1disdplina dall'art. 13, comma quinto, in base al quale, per le variazioni che importino, nelle etenza del Ministero dei lavori pubblici approvato con d.P.R. 16 1lug1io 1962 n. 1063, dopo aver affermato il generale obbligo dell'appaltatore di sottostare alle variazioni disposte dall'Amministrazione appaltante, nei limiti indicati nel successivo art. 14, stabilisce che, qualora le variazioni regolarmente ordinate importino -nelle quantit delle varie specie di opere modifiche tali da produrre un notevole pregiudizio economico dell'appaltatore, si deve far luogo a un equo compenso a favore dell'appaltatore stesso. La norma precisa, poi, che le modifiche di cui sopra non si considerano influenti ai fini del presente comma , quando le quantit derivanti dalle modifiche smgolarmente considerate non superino il quinto in pi o, in meno delle corrispondenti quantit originarie; e che il compenso non pu in nessun caso superare il quinto dell'importo dell'appalto. L'ultimo comma dell'articolo in esame stabilisce che, in caso di controversia sul compenso, l'appaltatore pu promuovere il giudizio arbitrale anche durante l'esecuzione dei lavori. Poich dopo ['affidamento dell'aippalto l'Amministrazione pu ravvisare la necessit o l'opportunit di apportare al progetto variazioni che garantiscano fa migliore realizzazione dell'opera pubblica, l'appaltatore (che ha formulato le proprie offerte in base al rpri.ncipio della media remunerativit dei prezzi dell'appalto) potrebbe vedersi aumentll!"e le quantit delle categorie di lavoro compensate con prezzi meno remunerativi e diminuire, invece, quelle compensate con prezzi pi remunerativi. Quindi, la norma, ,se da un lato lascia libera l'Amministrazione appaltante di esercitare il suo ius variandi, dall'altro attribuisce all'appaltatore i1 diritto a.Id un equo compenso che riconduca in equilibrio economico H rapporto. Ma si tratta di un diritto che l'appaltatore pu esercitare con rigua1do a singole specie di opere,. per le quali la variazione implichi un aumento o una diminuzione superiore al quinto delle corrispondenti quantit originarie, e solo nel caso in cui egli, dalle varianti disposte dall'Amministra 1 zione, ~ubisca un notevole pregiudizio economico, che ha 11'onere di dimostrare. Inoltre, la no:mna, allo scopo di non peJ:1Petuare fino al termine dei lavori e alla loro collaudazione il notevole pregiudi:cio economico denunciato dall'appaltatore, consente esipTessamente la immediata risoluzione della controversia mediante arbitrato in corso d'opera, in deroga a.Ha regola generale, secondo la quale le domande ,di arbitrato devono proporsi dopo l'approvazione del collaudo (art. 44 del Cap. gen.). 570 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Diversa l'ipotesi contemplata nel successivo art: 14. Questo, infatti, s'inquadra nel princiipio sancito dall'art. 344 della legge sui lavori pubblici 20 marzo 1865 n. 2248, all. F, secondo il quale l'appaltatore deve assoggettarsi, alle stesse condizioni del contratto, a un aumento o ad una diminuzione delle opere {considerate nella loro globalit) fino alla con correnza del quinto dell'importo dell'appalto: limite, al di l del quale l'appaltatore ha diritto alla risoluzione del contratto. Questa disposizione, che recepita nell'art. 14, nel quale H diritto alla risoluzione del contratto viene qualificato come recesso dell'appaltatore e nel quale enunciata una regola di carattere generale, attiene al contratto d'appalto nella sua interezza, come prestazione di risultato per il corrispettivo pattuito; e prevede una specifica eccezione che riguarda la determinazione dei sei quinti agli effetti sopra indicati, qualora l'aumento sia riferito aJlle fondazioni. Invero, il settimo e l'ottavo comma della norma in esame stabiliscono che nella determinazione del sesto quinto agli effetti dell'art. 344 II della legge sui lavori pubblici non sono tenuti in conto gli aumenti rispetto alle :previsioni contrattuali deHe opere relative a fondazioni e che tuttavia, ove tali aumenti rispetto alle quantit previste superino il quinto dell'importo totale del contratto, l'appaltatore pu chiedere un compenso 1per la parte eccedente, senza che peraltro le opere stesse siano i tenute in conto nella determinazione del sesto quinto agli e:lfetti del primo comma. In caso cli dissenso sulla misura del compenso -aggiunge la norma - accreditata in contabilit la somma riconosciuta dall'Amministrazione, salvo all'appaltatore il diritto d'inserire in contabilit ordinaria !riserve per l'ulteriore richiesta. Se il settimo comma dell'art. 14 ha carattere manifestamente derogatorio del primo comma dello stesso articolo (ha, cio, carattere di norma speciale rispetto al primo comma) quando l'aumento rispetto alle previsioni contrattuali si riferisca alle opere relative a fondazioni, deve escludersi che esso sia in rappo11to di specialit con il quinto comma dell'art. 13 e che, in conseguenza, le specie di opere, secondo la previsione di quest'ultima norma, non possano essere costituite da quelle irelative alle fondazioni, oggetto iCli. varianti, in pi o in meno, delle comspandenti quantit originarie; ovvero che, quando concorrano i diversi presupposti indicati nelle due norme con dguardo alle diverse situazioni in esse considemte, tali norme non possano comulativamente opeiraire, secondo il modo lom :proprio, nell'ambito di applicazione e sul piano peir ciascuna di esse pirevisto. L'art. 14, imatti, regola la sola ipotesi in cui l'aumento delle opere irelative alle fondazioni superi non il quinto della quantit prevista dal contmtto (come nella ipotesi disciiplinata dall'airt. 13), ma il quinto dell'importo totale del contratto. E in tal caso la norma non riconosce PARIB I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 571 all'appaltatore il diritto di recedere dal contratto, ma d facolt -all'appaltatore di chiedere e all'Amministrazione di concedere -U1D. equo compenso per fa quantit eccedente -per le fondazioni -il quinto dell'importo totale dell'appalto: facolt per il cui esercizio non occorre la dimostrazione dell'effettivo pregiudizio economico ricevuto dall'appaltatore (com' richiesto, invece, dal quinto comma dell'art. 13), essendo presunto tale pregiudizio anche se il prezzo delle fondazioni sia remunerativo, quando il foro importo abbia superato il quinto dell'importo totale dell'appalto, m quanto pu incidere 'sulla organizzazione dell'impresa e sui relativi oneri, in rapporto sia alla durata dei lavori sia alla maggiore ampiezza dei mezzi necessari. La diversit tra le due norme, quanto al loro campo di applicazione, ai rispettivi presupposti ed al loro modo di operare, si traduce poi nei diversi limiti in ciascuna .di esse indicate in ordine all'equo compenso (l'art. 13 pone un limite massimo, statuendo che il compenso m nessun caso pu superare il quinto dell'importo dell'appalto; l'art. 14 stabilisce, al contrario, un limite minimo, in quanto ammette il compenso solo per la parte delle fondazioni eccedente il quinto dell'importo totale) e, come si visto, si Tiflette sul momento confHttuale, in quanto l'art. 14 non consente l'arbitrato in corso d'opera ma attribuisce all'aippaltatore la facolt d'inserire riseTVe in contabilit ordinaria. Ne consegue che, come esattamente si affermato nella sentenza impugnata, il quinto comma dell'art. 13 trova applicazione anche quando le varia2lioni importino, nelle quantit delle opere concernenti le fondazioni, modifiche tali da produrre un notevO!le pregiudizio all'aippaltatore, quando le modifiche di cui sopra, singolarmente considerate, superino il quinto delle corrispondenti quantit originarie, con il limite che l'equo compenso, cui l'appaltatore in tal caso ha diritto, non sll[peri il quinto dell'importo all'appalto. H ricorso dell'Anas deve essere, pertanto, ;rigettato, con [a condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione a favore della parte resistente. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 26 febbraio 1983, n. 1468 -Pres. Granata - Rel. Maltese -P. M. Dettori (conf.) -Opera Sila (avv. Stato Vittoria) c. S.p.A. I.C.L.A. (avv. Majolo). Appalto -Appalto d'opere pubbliche -Protrazione dell'esecuzione oltre il termine contrattuale -Per causa imputabile all'amministrazione Risarcimento del danno -Diritto al pagamento di somma corrispon dente al ribasso d'asta -Esclusione. (e.e., artt. 1223, 1226, 1453 e 1458). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Appalto -Appalto d'opere pubbliche -Protrazione dell'esecuzione oltre il termine contrattuale -Per causa imputabile all'amministrazione l Il Risarcimento del danno -Diritto all'accredito dell'alea scontata in ~ sede di revisione del prezzo -Condizioni. (e.e., artt. 1223 e 1226; d.l.C.p.S. 6 cllcembre 1947 n. 1501, art. 1). In materia di pubblici appalti, la base d'asta costituisce la mera indicazione iniziale, da parte della pubblica amministrazione, per l'avvio della gara, ma rimane al di fuori del contratto e non rappresenta n un maggior prezza convenzionle per il caso di mora dell'appaltante, n un'indicazione convenzionale per la liquidazione forfettaria dei relativi danni a favore dell'appaltato. Pertanto, in caso di azione risarcitoria dell'appaltante per ritardo nella esecuzione dei lavori, dovuto a mora dell'amministrazione appaltante, l'importo corrispondente al ribasso d'asta non pu essere, di per s, automaticamente rimborsato all'impresa appaltatrice a titolo risarcitorio, ma pu costituire, nella liquidazione del dovuto maggior danno, in relazione ai valori emergenti dal mercato, soltanto uno dei possibili indici per una valutazione equitativa di quel danno (1). In tema di appalto di opere pubbliche, se l'esecuzione dei lavori sia stata ritardata per colpa dell'amministrazione appaltante, all'appaltatore pu essere accreditato, a titolo di risarcimento del danno, l'importo corrispondente alla quota percentuale di alea sul prezza dell'opera detraibile dai maggiori costi, se e nella proporzione in cui l'incremento dei costi si sia verificato nel periodo di protrazione dei lavori imputabile alla mora della amministrazione (2). r(omissis) Col primo motivo la ricorrente denuncia la violazione degli articoli 1 e seguenti del d.l. 6 dicembre 1947, n. 1501 e degli artt. 1453 e 1458 codice civile. Sostiene ,che arbitrariamente la corte d'aippe[lo nell'effettuare la revisione del prezzo, avrebbe accreditato all'attrice l'importo corrispondente al ribasso ,q'asta, mentre, non essendo stato risolto, neppure in parte, il contratto d'appalto, ne sarebbe rimasto necessariamente immutato il prezzo originario anche nel periodo idi mora. Ad esso, pertanto, si sarebbero dovute commisurare e limitare le variazioni del prezzo revisionale. Afferma, inoltre, che la corte d'appello non avrebbe .potuto accreditare all'attrice l'importo corrispondente alla quota dell'alea, se non dimostrando che l'aumento dei costi si era tutto verificato dopo la scadenza del termine contrattuale. (1-2) Le questioni decise nella sentenza in rassegna non hanno precedenti nella giurisprudenza della Corte di cassazione. ~ PARm I, SBZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 573 La societ resistente eccepisce in via pregiudiziale la inammissibilit del motivo d'impugnazione, perch basato su elementi nuovi, non prospettati nel corso del giudizio. Nel merito, ne chiede il rigetto, sostenendo di aver proposto una domanda di .risarcimento del danno, volutamente limitata, per facilitare e semplificare la liquidazione, al rimborso delle quote di ribasso d'asta e dell'alea. Pertanto non ,sarebbe censurabile la sentenza impugnata, che, pur senza una esplicita affermazione, avrebbe, in concreto, effettuato non un semplice aggiustamento del prezzo -adeguando al maggior costo il corrispettivo d'appalto, attraverso il meccanismo legale deUa revisione bens la [iquidazione del danno, provocato dal ritardo della controparte, entro i limiti segnati dalla domanda giudiziale. Ritiene innanzitutto il Collegio che il motivo di censura sia ammissibile, perch gi dedotto in appello, come chiaramente risulta dall'esposizione del fatto e dalla motivazione della sentenza impugnata. Nel merito, esso appare fondato e deve essere accolto, rimanendo assorbito il secondo mezzo, attinente al computo degli interessi legali. Va premesso che, nel presupposto della mora dell'amministrazione appellante -da ritenere un dato pacifico in .causa -l'attrice, in effetti, ha avanzato non una semplice domanda di revisione del prezzo, bens una .pretesa risarcitoria, per ottenere, seppure in misura volutamente ridotta, la liquidazione dei danni provocati dal ritwdo nell'esecuzione dell'opera, in relazione ari quali aveva formulato la riserva n. 16. Secondo il comune insegnamento, l'azione risarcitoria dell'appaltatore si distingue dalla domanda di revisione del prezzo, disciplinata dal d.l. 6 dicembre 1947, n. 1501 e successive modificazioni, sia nel presU1pposto, pe11ch si fonda sulla colpa dell'appaltante, sia nell'oggetto, perch comprende il maggior danno da Titardo, sia nel procedimento, perch importa la formulazione iniziale della corrispondente riserva, sia -infine -neilla forma di tutela, perch si realizza con l'esercizio dell'azione ordinaria davanti all'a;g.o., anzich con il ricorso all'autorit amministrativa (ricorso divenuto, .peraltro, facoltativo dopo l'entrata in vigore della legge 21 dicembre 1974, n. 700). Neil caso concreto, la societ I.C.L.A., facendo valere davanti al tribunale di Cosenza la pretesa al rimborso del ribasso d'asta e della quota dell'alea, ha formulato tali domande a titolo di risarcimento, del maggior danno rispetto al prezzo revisionale. Su di esse -pur senza definirne formafmente la natura -si , quindi, legittimamente pronunciata la autorit adita. Ma l'opera Sila fondatamente censura, nel suo ricorso, i criteri adottati dalla corte d'appello nella liquidazione del preteso maggior danno subto dall'appaltatrice. 574 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Per quanto riguarda, .invero, la statuizione di condanna dell'odierna ricorrente al pagamento, a favore dell'attrice, deH.a ,somma corrispondente a1l. ribasso d'asta nei singoli stati di avanzamento d'epoca posteriore alla scadenza contrattuale, i giudici del gravame non hanno tenuto presente che, costituendo oggetto della controversia il risarcimento del danno per il colpevole ritardo dell'amministrazione committente, e non essendo stata, quindi, neP!Pure richiesta la risoluzione del contratto d'appalto, interamente eseguito ventisei mesi dopo la scadenza del termine pattuito, permaneva immutato fra le parti J'originario rapporto negoziale, anche durante il periodo di mora, nei suoi elementi costitutivi, compreso il prezzo fissato al netto del ribasso d'asta. L'importo sul quale il Tibasso era stato praticato rappresentava, invero, la mera indicazione iniziale, da parte della p.a., per l'avvio della gara, non certo un maggior prezzo convenzionale in caso di mora dell'appaltante. Si trattava, pertanto, di adeguare il prezzo contrattuale, in concreto formatosi col ribasso d'asta, ai maggiori costi sopravvenuti nell'intero arco di tempo dell'esecuzione dell'opera: adeguamento da effettuare, per il periodo di mora, non secondo i criteri delia revisione ~egale, che prescindono dalla considerazione della colpa dell'appaltante (e, a differenza del regime degli aippa1ti privati -art. 1664 cod. civ. -dalla stessa prevedibilit delle nuove circostanze), ma 1secondo i principi del risarcimento del danno che la presuppongono. A rigore, come la stessa controricorrente ammette, alla liquidazione si sarebbe do"lruto procedere con l'aggiornamento, per il periodo di protrazione dei lavori, di tutti i prezzi d'appalto, in base alla situazione emergente del mercato, a partire dalla scadenza del termine contrattuale originario . Pi precisamente -secondo le indicazioni del consulente tecnico d'ufficio -attraverso l'analisi e il computo delle effettive spese e degli onorari sopportati dall'impresa appaltatrice nel periodo extra contratto: spese ed oneri che, insieme all'utHe dell'impresa, rappresentavano il compenso dovuto per tale periodo. Indubbia essendo l'estrema difficolt -riconosciuta dal citato t.u. di eseguire i detti accertamenti, ben avrebbe potuto il giudice, trattan dosi di ,una 1liquidazione di maggioc costi e del mancato utile a titolo di risarcimento del danno e non a titolo di ,semplice corrispettivo revisionale, determinare in via equitativa l'oggetto della {limitata) richiesta risarci toria dell'attrice. Ma non senza osservare la regola sancita dall'art. 1226 cod. civ., secondo la quale se il danno non pu essere provato nel suo preciso ammontare, liquidato dal giudice con valutazione equitativa; regola notoriamente .interpretata dalla giurisprudenza nel senso che il potere riconosciuto al giudice dall'art. 1226 di 1iquidare il danno con valutazione equitativa non esonera la parte interessata dall'obbligo di PARTE I, SEZ. VII, GIVRIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 575 offrire al giudice gli elementi probatori circa la sussistenza del danno, esaurendosi l'apprezzamento equitativo del magistrato nella necessit di colmare quelle che sono Je lacune inevitabili nella determinazione del preciso ammontare del danno (Cass. 16 ottobre 1965, n. 2115); e nel senso che il giudice non pu procedere alla liquidazione equitativa del danno senza prima vagliare tutti gli elementi di prova raccolti in ordine all'ammontare di esso, al fine di rendere la liquidazione, per quanto possibile, corrispondente aa:Ia reale entit del pregiudi~io economico sofferto dal danneggiato, e pu fare ricorso alla liquidazione equitativa solo quando, pur risultando l'esistenza del danno, riesca impossibile o sommamente difficile dare la prova della concreta entit del pregiudizio sofferto '( ...) ,(Cass., 18 gennaio 1969 n. 108). Nel caso in esame, la corte d'appello (e, prima ancora, il tribunale) non ha compiuto alcuna indagine sul maggior danno dovuto alla mora dell'amministrazione appellante, e si limitata a recepire la personale opinione del consulente d'ufficio, il quale, dopo aver constatato la detta, grave difficolt nell'accertamento del danno secondo i criteri tecnici enunciati, ha soggiunto che si sarebbe dovuto corrispondere all'impresa appal tatrice il richiesto rimborso del ribasso d'asta sull'importo dei lavori eseguiti dopo la scadenza del termine contrattuale d'appalto; ed ha motivato tale parere come espressione di una propria valutazione, essendosi chiaramente accertata la mancanza di responsabilit dell'impresa per il protrarsi dei lavori oltre il termine convenuto. Nel tentativo di rivestire questa afiermazione di una appropriata forma giuridica, la corte d'appeHo ha sostenuto che il prezzo originario d'appalto, costituendo oggetto di volont negoziale, non sarebbe praticabile con riferimento al periodo cli mora, con conseguente automatico accredito all'appaltatlrice del ribasso d'asta per gli stati di avanzamento successivi alla scadenza contrattuale. Ma, come si detto, la corte non ha tenuto presente che, in costanza del rapporto .giuridico intercorso e mai risolto fra le parti, permanendone immutati gli essenziali elementi costitutivi, si trattava di adeguare foriginario corr.ispettivo contrattuale ai costi; e, data la colpa delta committente, di liquidare il maggior danno in base ai valori emergenti di mercato, non sostituibili a priori dal prezzo d'asta, come se si trattasse di un prezzo addizionale pattuito per l'eventuale periodo di mora dell'amministrazione committente o di una clausola convenzionale per la liquidazione forfettaria dei relativi danni a favoce dell'appaltatrice. Soio a posteriori, nel contesto di un'adeguata motivazione in esito alle indagini svolte, l'importo iniziale, cui andava commisurato il ribasso d'asta, avrebbe potuto rappresentare uno dei possibili indici parametrici per la Hquidazione del danno in via equitativa (entro i limiti, ovviamente, della proposta domanda giudiziale): indagini non compiute dalla corte e motivazione inesistente nella sentenza impugnata. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Tale decisione, pertanto, non si sottrae alla censura della ricorrente, che, per la mancata applicazione, da parte dei giudid d'appello, delle regole indicate, si rivela, nella prima parte, fondata. Alle stesse conclusioni bisogna pervenire nell'esame ddla seconda parte, concernente l'accredito a favore dell'attrice della quota dell'alea per il periodo di mora. Posto, invero, che l'alea detraibile non pu superare, nel suo totale ammontare, [a quota fissa ;prestabilita -nel caso cODJCreto, il 5 % -del costo complessivo dell'opera {v. art. 1 d.l. 6 dicembre 1947 e succ. modif.), l'importo, a questo titolo rimborsabile all'impresa appaltatrice per risarcimento del danno dovuto a ritardo colpevole dell'amministrazione appaltante, deve essere determinato in proporzione all'aumento del costo verifi catosi nel periodo di mora. Deve crisultare, cio, che i:l livello del 5 % nell'aumento del costo stato raggiunto dopo la scadenza del termine contrattuale, per essersi l'incremento stesso del 5 % verificato, in tutto o in parte, nell'arco di tempo compreso nel detto periodo di protrazione dei lavori per colpa dell'amministrazione. Onde, in ipotesi, nulla sarebbe dovuto all'appaltatore, per effetto di un incremento del 5 % interamente verificatosi prima della scadenza contrattuale; mentre ili rimborso dovrebbe essere integrale per un aumento del 5 % verificatosi interamente dopo la scadenza stessa, e pro porzionale nel caso intermedio (e comune) di una progressiva lievita zione dei .costi, fino alla soglia del 5 %, in tutto l'arco di tempo compreso :lira 'l'inizio e ii compimento dell'opera, attraverso la fase esecutiva ordi naria e il successivo periodo di mora. Dalla motivazione della sentenza impugnata nessuna indagine, in merito, risulta compiuta. E di tale omissione fondatamente si duole >, la facolt per i possessori di dette entit patrimoniali siti in Italia di eliminare il simulato rapporto di esterovestizione rendendosene cessionari senza corrispettivo , in altri termini idi ripristinare il reale rapporto giuridico di propriet o di qualsiasi altro diritto reale, mediante l'intestazione formale di quei beni a se stessi, senza necessit di procedere alla loro alienazione. Priva di qua1siasi fondamento wl piano logico, ancor prima che giuridico, la tesi sostenuta in vii.a alternativa dai ricorrenti, secondo la quale il fatto ad essi ascritto potrebbe, a tutto concedere, fu.quadrarsi nell'ipotesi delittuosa introdotta dall'art. 2 della L. 8 ottobre 1976, n. 689, modificato dalla L. 23 dicembre 1976, n. 863, onde, avendo essi trasferito l'immobile alla Societ svizzera, in ipotesi di comodo, nel febbraio 1973, avrebbero dovuto essere dichiarati non punibili per il principio della irretroattivit della legge 1penale, sancito dall'art. 2 c.p. e dall'art. 36 della Costituzione, o, in estremo subordine, come si chiede con il quarto motivo di ricorso (richiesta, per altro, che risulta assolutamente incomprensibile) essere puniti con le pene stabilite in quelle norme. L'articolo in questione ha ipotizzato una fattispecie criminosa completamente .diversa ed autonoma rispetto ai reati previsti dalle precedenti leggi valutarie (ed in particolare di quella di cui all'art. 2 della L. 159 del 1976, pi sopra illustrato) sanzionando penalmente la condotta PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE del residente che costituendo persone giuridiche od enti esteri, o assumendo partecipazioni in persone giuridiche o enti esteri, fa apparire beni siti o attivit costituite in Italia come appartenenti a non residente . Trattasi di un reato commissivo di carattere permanente, perdurando la sua consumazione sino a tanto che continua ad essere posta in essere la condotta antigiuridica, come si evince chiaramente dalla lettera della norma fa apparire . L'elemento materiale invece del reato ipotizzato dall'art. 2 della L. 159 del 1976, modificato dalla L. 689 del 1976, reato del quale gli imputati legittimamente sono stati ritenuti colpevoli per le ragioni dinanzi dette, prevede e sanziona una condotta omissiVla, quella cio, di colui che possedendo alla data del 6 marzo 1976 {prorogata sino al 19 novembre 1976) attivit patrimoniali di qualsiasi genere all'estero, o in Italia beni apparentemente intestati a soggetti stranieri, ha omesso di farne dichiarazione all'Istituto Italiano dei Cambi, entro il 3 dicembre 1976 ed a provvedere agli ulteriori adempimenti presc11itti rper la regolarizzazione nel caso di beni esterovestiti entro il 19 ma:ggio 1977 (art. 2 bis). Da queste premesse discende che colui che, versando nei casi previsti dalla norma suddetta, non ha osservato le prescrizioni con le modalit e nei termini da essa stabiliti continuando a far apparire esterovestiti dopo la scadenza di detti termini beni siti in Italia, a lui in realt appartenenti, mediante l'interposizione di societ ed enti stranieri, oltre ad incorrere nella violazione prevista dalla norma stessa, si reso responsabile anche di quella di cui all'art. 2 della L. 8 ottobre 1976, n. 689 modificata dalla L. 23 dicembre 1976, n. 863, potendo sussistere il concorso materiale tra i due reati, data l'assoluta diversit ed autonomia dell'elemento oggettivo. Di talch data la situazione di fatto accertata m sentenza, anche di questo .reato avrebbero potuto o dovuto essere chiamati a rispondere gli attuali ricorrenti. {omissis). Alla stessa conclusione deve pervenirsi per quanto riguarda la decisione relativa al mantenimento della misura di sicurezza patrimoniale, disposta dai primi giudici, nella specie facoltativa e non obbligatoria non versandosi nell'ipotesi di cui all'art. 1, comma ottavo della legge n. 159 del 1976. Orbene si legge nella sentenza impugnata: L'edificio esterovestito costituisce strumento di ulteriore possibile attivit illecita degli imputati, in quanto consente loro di attribuire fittiziamente alla societ svizzera Ja valuta proveniente dai canoni di locazione continuando cos a sottrarre beni aH'economia nazionale. L'attuale pericolosit del cespite patrimoniale giustifica, quindi, l'ap: plicazione della misura di sicurezza (Patrimoniale, anche al di l della RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO considerazione del nes,so di strumentalit necessaria tra esso ed il reato. Ed anche questa decisione appare giuridicamente corretta e fogittimo il provvedimento adottato, tri.correndo i casi previsti dall'art. 240, primo com.ma c.p. Fondato invece il sesto motivo, dedotto a sostegno del ricorso, con il quale i ricorrenti lamentano l'illegittima applicazione della sanzione amministrativa, quale pena accessoria, prevista dall'art. 8 del D.L. 4 mar zo 1976, n. 31, modificato dall'art. 1 della L. 30 aprile 1976, n. 159. I giudici dell'appeHo hanno rigettato la richiesta di eliminazione di tale pena, proposta dagli appellanti con apposito mezzo di gravame, considerando che la norma in esame ha non solo lo scopo di evitare per ragioni di economia, l'instaurazione del procedimento di repressione amministrativa per le infrazioni valutarie preesistenti alla introduzione della sanzione penale, ma anche quello di estendere le sanzioni amministrative a tutti i fatti previsti come reato dalle norme penali valutarie . Ma tale tesi errata sul piano giuridico, basata com', su un'interpretazione contraria alla lettera ed allo spirito della norma, che, data la srua natura di norma penale, per di pi speciale, non ammette un'applicazione estensiva, n tanto meno analogica, come pare abbiano invece ritenuto i giudici del merito. Invero l'art. 8 del D.L. 4 marzo 1976, n. 31 recita: , Ai fatti previsti, come reato dal presente decreto-legge, si applicano anche dal giudice penale, quale pena accessoria, le sanzioni di carattere amministrativo previste dalle disposizioni vigenti . Ora i fatti previsti dal decreto-legge come reato sono solamente l'illecita esportazione di valuta nazionale ed estera, titoli azionari. ed obb'ligazioni, titoli di credito ovvero altri mezzi di pagamento (art. l, primo comma) e l'illecita costituzione fuori del territorio dello Stato di disrponib1lit valutarie o attivit di qualsiasi genere. Non prevedeva, invece, come reato il fatto di colui che possedendo all'estero attivit patrimoniali costitruite alla data anteriore al 6 marzo 1976 (prorogata poi al 19 novembre dello ,stesso anno) o posseduto in Italia a quella data beni esterovestiti non abbia provveduto agli adempimenti prescritti, n del residente che fa apparire come appartenenti ad enti esteri beni siti in Italia da lui posseduti, fattispecie tutte queste crJ.~alizzate dalle leggi successive (30 aprile 1976, n. 159; 30 ottobre 1976, n. 689; 23 dicembre 1976, n. 863), che per tali reati non hanno pi fatto riferimento alla norma dell'art. 8 del D.L. n. 31 del 1976, il quale, bene ricordarlo, rimasto inalterato nella sua formulazione letterale. C', poi, da aggiungere {e questa ulteriore considerazione appare decisiva) che le ,gi vigenti disposizioni legislative in materia valutaria (D.L. 6 giugno 1956, n. 476, convertito in L. 25 luglio 1956, n. 786) non prevedevano le ,ipotesi suindicate come illecito amministrativo; di taich PARTB I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE non td.ato 1sapere quale sanzione di carattere amministrativo ed in quale misura sarebbe ad esse, oggi sussunte ad illecito penale, applicabile, quale pena accessoria . Essendo, quindi, stata applicata nella specie una pena illegittima, per le ragioni anzidette, essa pu ben essere eliminata da questa Suprema Corte in applicazione del generale pr.indpio dell'art. 152 c.p.p. -principio che ha trovato applicazione in precedenti decisioni relative a casi analoghi -annullando su tal punto la sentenza .impugnata senza neces sit di rinvio ad altro giudice di merito. PARTE SECONDA I fil-: I I ' I I, ' ' I I I Iili I I 1 i: f ~ <. ~l li 111r111r111.11&rt1l1'.11rm1r:r111rrmr1r1fil11r~1rmrr:filif11i111111mr1t1ifilfrmr11r114ri LEGISLAZIONE I -NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI <':'.f.l.Wdf?f.'..d'-"'"%4'~~.-w~.:>;~~~"~M'~$:%:~~"i:W~-foo/i:':l:' Codice civile, art. 156, sesto comma, nella parte in cui non prevede che le disposizioni ivi contenute si applichino a favore dei figli di coniugi consensualmente separati. Sentenza 31 maggio 1983, n. 144, G.U. 8 giugno 1983, n. 156. ..._----fi>l'h;;c,,.-,_,,,,,,WM'>1"i''""""'"'"""" codice penale, art. 504, nella parte in cui punisce lo sciopero il quale ha lo scopo di costringere l'autorit a dare o ad omettere un provvedimento o lo scopo di influire sulle deliberazioni di essa, a meno che non sia diretto a sovvertire l'ordinamento costituzionale ovvero ad impedire o ostacolare il libero esercizio dei poteri legittimi nei quali si esprime la sovranit popolare. h Sente!}?;;:t 13 giug1:10)9~, Jt: i.~5, G.U. 15 giugno 1983, n. 163. !,,~\ :t~f <::d. 3~. ~:~~~br~'-1~:~.';~~. ~28:. art. 11, nella parte in cui non prevede che \fl beneficio del gratuito patrocinio si estenda alla facolt per le parti di farsi assistere da consulenti tecnici. Sentenza 8 giugno 1983, n. 149, G.U. 15 giugno 1983, n. 163. r.d. 5 febbraio 1928, n. 577, artt. 39 e 41 (come modificato dall'art. 1 del r.d. 11 agosto 1933, n. 1286 e dall'art. 1 della legge 3 aprile 1958, n. 470). nella parte in cui escludono gli alunni e candidati privatisti di sesso maschile rispettivamente dalla frequenza della scuola magistrale e dai relativi esami di abilitazione e gli insegnanti di sesso maschile dall'attivit didattica della scuola statale del grado preparatorio. Sentenza 16 giugno 1983, n. 173, G.U. 22 giugno 1983, n. 170. r.d. 11 agosto 1933, n. 1286, art. 6, nella parte in cui esclude gli alunni e candidati privatisti di sesso maschile rispettivamente dalla frequenza della scuola magistrale e dai relativi esami di abilitazione e gli insegnanti di sesso maschile dall'attivit didattica della scuola statale del grado preparatorio. Sentenza 16 giugno 1983, n. 173, G.U. 22 giugno 1983, n. '170. r.d.l. 14 aprile 1939, n. 636, art. 10, primo comma (secondo il testo risultante ora dall'art. 24 della legge 3 giugno 1975, n. 160), nella parte in cui non prevede che si considera invalido anche l'assicurato la cui capacit di gUadagno sia ridotta a meno di un terzo precedentemente alla costituzione del rapporto assicurativo e subisca una ulteriore riduzione nel corso del rapporto stesso. Sentenza 13 giugno 1983, n. 163, G.U. 15 giugno 1983, n. 163. legge 18 marzo 1968, n. 444, artt. 8, 10, 11, secondo comma, 18, terzo comma, 19, 20 e 28, nella parte in cui si riferiscono alle insegnanti, invece che al corpo docente di ambo i sessi. Sentenza 16 giugno 1983, n. 173, G.U. 22 giugno 1983, n. 170. J4 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 18 marzo 1968, n. 444, art. 9, nella parte in cui esclude gli alunni e candidati privatisti di sesso maschile rispettivamente dalla frequenza della scuola magistrale e dai relativi esami di abilitazione e gli insegnanti di sesso maschile dall'attivit didattica della scuola statale del grado preparatorio. Sentenza 16 giugno 1983, n. 173, G.U. 22 giugno 1983, n. 170. legge 9 agosto 1978, n. 463, art. 9, nella parte in cui si riferisce alle insegnanti, invece che al corpo docente di ambo i sessi. Sentenza 116 giugno 1983, n. 173, G.U. 22 giugno 1983, n. 170. II -QUESTIONI NON FONDATE Legge 27 dicembre 1956, n. 1423, artt. 5 e 9 [come modificato dalla legge 14 ottobre 1974, n. 497 art. 8] (artt. 21, 49 e 25 della Costituzione). Sentenza 5 maggio 1983, n. 126, G.U. 11 maggio 1983, n. 128. legge 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 9 [come modificato dalla legge 14 ottobre 1974, n. 497, art. 8] (art. 3 della Costituzione). Sentenza 5 maggio 1983, n. 126, G.U. 11 maggio 11983, n. 128. d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 91, secondo comma (artt. 3, 4 e 35 della Costituzione). Sentenza 28 aprile 1983, n. 109, G.U. 4 maggio 1983, n. 121. legge 28 marzo 1968, n. 341, art. 6 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 5 maggio 1983, n. 129, G.U. 11 maggio 1983, n. 128. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 60, secondo comma, lett. a) (artt. 3 e 53 della Costituzione). Sentenza 28 aprile 1983, n. 108, G.U. 4 maggio 1983, n. 121. legge 14 ottobre 1974, n. 497, art. 2 (artt. 3, 24, secondo comma, e 25, primo comma, della Costituzione). Sentenza 13 giugno 1983, n. 164, G.U. 22 giugno 1983, n. 170. legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 54, primo comma (art. 3 della Costituzione). Sentenza 16 maggio 1983, n. 137, G.U. 25 maggio 1983, n. 142. legge 10 maggio 1976, n. 314, art. 2 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Sentenza 13 giugno 1983, n. ,162, G.U. 22 giugno 1983, n. 170. legge 28 gennaio 1977, n. 10, artt. 17, lett. b) e 1 (artt. 42 e 43 della Costituzione). Sentenza 5 maggio 1983, n. 127, G.U. 11 maggio 1983, n. 128. PARTE II, LEGISLAZIONE 55 legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 38, 39, 40 e 41 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 5 maggio 1983, n. 128, G.U. 11 maggio 1983, n. 128. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 41 e 73 (artt. 3 e 35 della Cstituzione). Sentenza 5 maggio 1983, n. 128, G.U. 11 maggio 1983, n. 128. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 73 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 5 maggio 1983, n. 128, G.U. 11 maggio 1983, n. 128. legge reg. siciliana 27 dicembre 1978, n. 71, art. 36 (artt. 42 e 43 della Co stituzione). Sentenza 5 maggio 1983, n. 127, G.U. 11 maggio 1983, n. 128. legge reg. Friuli Venezia Giulia 23 luglio 1980, riapprovata il 16 settembre 1980. Sentenza 13 giugno 1983, n. 161, G.U. 22 giugno 1983, n. 170. legge 3 gennaio 1981, n. l, art. 5 (artt. 3, 28 e 112 della Costituzione). Sentenza 3 giugno 1983, n. 148, G.U. 15 giugno 1983, n. 163. III QUESTIONI PROPOSTE Codice civile art. 1901 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Torino, ordinanza 21 dicembre 1981, n. 947/82, G.U. 1 giugno 1983, n. 149. codice di procedura civile, disposizioni di attuazione, art. 152 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 20 ottobre 1982, n. 952, G.U. 1 giugno 1983, n. 149. codice di procedura civile artt. 215, n. 1 e 192 (art. 24 della Costituzione). Pretore di Torino, ordinanza 13 luglio 1981, n. 948/82, G.U. 1 giugno 1983, n. 149. codice di procedura civile, art. 621 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Caltagirone, ordinanza 28 ottobre 1982, n. 943, G.U. 1 giugno 1983, n. 149. codice di procedura civile, art. 657 e seguenti (artt. 2, 3, 14, 41, 42 e 47 della Costituzione). Pretore di Casamassima, ordinanza 10 novembre 1982, n. 25/83, G.U. 22 giugno 1983, n. 170. 16 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO codice di pr0cedura civile, art. 675 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Tribunale di Palermo, ordinanza 1 ottobre 1982, n. 905, G.U. 1 giugno 1983, n. 149. codice penale, art. 2, quinto comma (art. 77 della Costituzione). Pretore di Padova, ordinanza 9 novembre 1982, n. 91/83, G.U. 29 giugno 1983, n. 177. codice penale, art. 175, primo comma [introdotto con la legge 24 novem bre 1981, n. 689] (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Milano, ordinanza 15 novembre 1982, n. 73/83, G.U. 29 giugno 1983, n. 177. codice penale, artt. 215 e 222 (artt. 3 e 32 della Costituzione). Giudice istruttore Tribunale di Treviso, ordinanza 27 novembre 1982, n. 16/83, G.U. 15 giugno 1983, n. 163. combinato disposto codice penale, art. 699, e legge 14 ottobre 1974, n. 497, art. 15 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Foligno, ordinanza 15 dicembre 1981, n. 836/82, G.U. 4 maggio 1983, n. 121. codice di procedura penale art. 21 (artt. 2, 24, 25, 27, 101 e 102 della Costituzione). Pretore di Fermo, ordinanza 2 giugno 1982, n. 932, G.U. 8 g;ugno 1983, n. 156. codice di procedura penale art. 263-bis, secondo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 18 novembre 1982, n. 64/83, G.U. 29 giugno 1983, n. 177. Tribunale di Roma, ordinanza 29 novembre 1982, n. 70/83, G.U. 29 giugno 1983, n. 177. codice di procedura penale, a1tt. 277 e 281 (artt. 3, 24, 27 e 32 della Costituzione). Tribunale di Torino, ordinanza 22 ottobre 1982, n. 94/83, G.U. 29 giugno 1983, n. 177. codice di procedura penale, artt. 378, 381, ultima parte e 384, primo com ma, n. 2 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Corte d'appello di Catania, ordinanza 28 ottobre 11982, n. 901, G.U. 1 giugno 1983, n. 149. codice penale militare di pace, art. 191 (art. 3 della Costituzione). Tribunale militare di Padova, ordinanza 6 ottobre 1982, n. 868, G.U. giugno 1983, n. 149. PARTE II, LEGISLAZIONE J7 codice penale militare di pace, art. 195, primo comma (art. 3 della Co stituzione). Tribunale militare di Padova, ordinanza 27 ottobre 1982, n. 60/83, G.U. 29 giugno 1983, n. 177. Tribunale militare di Padova, ordinanza 21 ottobre 1982, n. 61/83, G.U. 29 giugno 1983, n. 177. legge 8 agosto 1895, n. 486, art. 11, ali. T all'art. 39 (art. 3 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 15 aprile 1982, n. 825, G.U. 4 maggio 1983, n. 121. r.d. 14 luglio 1898, n. 404, artt. 17 e 24 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Oristano, ordinanza 9 dicembre 1982, n. 147/83, G.U. 8 giugno 1983, n. 156. Pretore di Oristano, ordinanza 9 dicembre 1982, n. 148/83, G.U. 8 giugno 1983, n. 156. Pretore di Oristano, ordinanza 9 dicembre 1982, n. 269/83, G.U. 8 giugno 1983, n. 156. r.d. 25 luglio 1904, n. 523, art. 96 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Domodossola, ordinanza 21 ottobre 1982, n. 858, G.U. 25 maggio 1983, n. 142. r.d. 16 luglio 1905, n. 646, art. 20 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Tribunale di Lecco, ordinanza 7 ottobre 1982, n. 873, G.U. 25 maggio 1983; n. 142. r.d. 18 giugno 1931, n. 773, art. 38 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Enna, ordinanza 1 dicembre 1982, n. 22/83, G.U. 15 giugno 1983, n. 163. r.d.-legge 20 luglio 1934, n. 1404, art. 9 (art. 3 della Costituzione). Tribunale per i minorenni di Catania, ordinanza 13 giugno 1977, n. 27/83, G.U. 29 giugno 1983, n. 177. r.d.-legge 4 giugno 1938, n. 880, artt. 1, 10 e 25 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Torino, ordinanza 14 maggio 1982, n. 914, G.U. 1 giugno 1983, n. 149. r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 26, primo comma (art. 42 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 15 dicembre 1982, n. 49/83, G.U. 29 giugno 1983, n. 177. r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 217 (artt. 2, 24, 25, 27, 101 e 102 della Costituzione). Pretore di Fermo, ordinanza 2 giugno 1982, n. 932, G.U. 8 giugno 1983, n. 156. f8 RASSEGNA 'DELL'AVVOCATURA DELLO STATO r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 217 (artt. 3, 25, 27, 101 e 111 della Costituzione). Pretore di Fermo, ordinanza 2 giugno 1982, n. 932, G.U. 8 giugno 1983, n. 156. r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 217 (artt. 3 e 27 della Costituzione). Pretore di Fermo, ordinanza 23 giugno 1982, n. 933, G.U. giugno 1983, n. 149. Pretore di Fermo, ordinanza 23 giugno 1982, n. 934, G.U. 1 giugno 1983, n. 149. Pretore di Fermo, ordinanza 9 giugno 1982, n. 935, G.U. 1 giugno 1983, n. 149. Pretore di Fermo, ordinanza 16 giugno 1982, n. 936, G.U. giugno 1983, n. 149. Pretore di Fermo, ordinanza 2 giugno 1982, n. 932, G.U. 8 giugno 1983, n. 156. legge 17 agosto 1942, n. 1150, art. 28, primo comma (artt. 24, 25 e 112 della Costituzione). Pretore di Riesi, ordinanza 21 aprile 1982, n. 18/83, G.U. 18 maggio 1983, n. 135. Pretore di Riesi, ordinanza 21 aprile 1982, n. 20/83, G.U. 15 giugno 1983, n. 163. Pretore di Riesi, ordinanza 21 aprile 1982, n. 19/83, G.U. 29 giugno 1983, n, 177. d.lgt. 9 novembre 1945, n. 788, art. 1 (artt. 3, 36 e 37 della Costituzione). Pretore di Brescia, ordinanza 9 novembre 1982, n. 66/83, G.U. 29 giugno 1983, n. 177. d.l.C.p.S. 13 settembre 1946, n. 233, art. 21 (artt. 3 e 38 della Costituzione). Tribunale di Messina, ordinanza 22 aprile 1982, n. 26/83, G.U. 8 giugno 1983, n. 156. d.tvo C.p.S. 4 aprile 1947, n. 207, art. 9, penultimo comma (art. 36 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, ordinanza 18 giugno 1981, n. 921/82, G.U. 25 maggio 1983, n. 142. legge 8 febbraio 1948, n. 47, artt. l, 9, 12 e 13 (artt. 3 e 21 della Costituzione). Corte d'appello di Perugia, ordinanza 8 ottobre 1982, n. 926, G.U. 4 maggio 1983, n. 121. legge 10 agosto 1950, n. 648, art. 62, terzo comma (art. 3 della Costituzione). Corte dei conti, ordinanza 30 marzo 1982, n. 880, G.U. 18 maggio 1983, n. 135. decreti presidenziali di esproprio 18 dicembre 1952, nn. 3270 e 3271 (art. 76 della Costituzione). Tribunale di Locri, ordinanza 13 luglio 1982, n. 915, G.U. 1 giugno 1983. n. 149. PARTE II, LEGISLAZIONE legge 3 novembre 1954, n. 1042 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Aosta, ordinanza 15 novembre 1982, n. 44/83, G.U. 8 giugno 1983, n. 156. legge 19 marzo 1955, n. 160, artt. 9 e 10 (artt. 3, 32 e 38 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 1 giugno 1981, n. 884/82, G.U. 18 maggio 1983, n. 135. legge 29 novembre 1955, n. 1179, .(art. 3 della Costituzione). Pretore di Aosta, ordinanza 15 novembre 1982, n. 44/83, G.U. 8 giugno 1983, n. 156. legge 2 luglio 1957, n. 474, art. 15 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Trani, ordinanza 5 giugno 1981, n. 902/82, G.U. 25 maggio 1983, n. 142. legge 20 febbraio 1958, n. 75, art. 4, n. 2 (artt. 3 e 25 della Costituzione). Tribunale di Caltanissetta, ordinanza 1 marzo 1982, n. 831, G.U. 8 giugno 1983, n. 156. legge 2 aprile 1958, n. 322, articolo unico (artt. 38 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 18 novembre 1981, n. 917/82, G.U. 25 maggio 1983, n. 142. d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 80-bis [introdotto dall'art. 142 della legge 24 novembre 1981, n, 689] (art. 3 della Costituzione). Pretore di Porretta Terme, ordinanza 27 ottobre 1982, n. 15/83, G.U. 8 giugno 1983, n. 156. d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 80-bis e 30-ter (art. 3 della Costituzione). Pretore di Caltanissetta, ordinanza 27 luglio 1982, n. 835, G.U. 4 maggio 1983, Il. 121. d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 91 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Bassano del Grappa, ordinanza 8 ottobre 1982, n. 923, G.U. 25 maggio 1983, n. 142. t.u. reg. Sicilia 20 agosto 1960, 11. 3, art. 5, 11. 6 (artt. 3 e 51 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 9 novembre 1981, n. 682/82, G.U. 11 maggio 1983, n. 128. legge 3 febbraio 1963, n. 77, art. 1 (artt. 3, 36 e 37 della Costituzione). Pretore di Brescia, ordinanza 9 novembre 1982, n. 66/83, G.U. 29 giugno 1983, n. 177. 60 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 8 febbraio 1963, n. 67 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Aosta, ordinanza 15 novembre 1982, n. 44/83, G.U. 8 giugno 1983, n. 156. d.P.R. 12 febbraio 1965, n. 162, art. 76 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Ravenna, ordinanza 4 ottobre 1982, n. 39/83, G.U. 22 giugno 1983, n. 170. d.P.R. 12 febbraio 1965, n. 162, art. 76 (artt. 3 e 76 della Costituzione). Tribunale di Matera, ordinanza 10 novembre 1982, n. 940, G.U. 1 giugno 1983, n. 149. legge 2 ottobre 1967, n. 895, artt. 2 e 7 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Enna, ordinanza 1 dicembre 1982, n. 22/83, G.U. 15 giugno 1983, n. 163. legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 2, primo comma (artt. 3 e 36 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, ordinanza 3 giugno 1982, n. 922, G.U. :18 maggio 1983, n. 135. legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 3, secondo comma, lett. a) (artt. 3 e 29 della Costituzione). Pretore di Cagliari, ordinanza 19 ottobre 1982, n. 843, G.U. 4 maggio 1983, n. 121. legge 18 marzo 1968, n. 313, art. 50, terzo comma (art. 3 della Costituzione). Corte dei conti, ordinanza 30 marzo 1982, n. 880, G.U. 18 maggio 1983, n. 135. d.P.R. 27 aprile 1968, n. 488, art. 5, quarto comma (artt. 3, 36, 38 e 53 della Costituzione). Pretore di Modena, ordinanza 20 settembre 1982, n. 882, G.U. 11 maggio 1983, n. 128. legge 5 novembre 1968, n. 1115, art. 2 (artt. 3, 36 e 37 della Costituzione). Pretore di Brescia, ordinanza 9 novembre 1982, n. 66/83, G.U. 29 giugno 1983, n. 177. legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 14, quinto comma [nel testo risultante dall'art. 26 legge 3 giugno 1975, n. 160] (artt. 3, 36, 38 e 53 della Costituzione). Pretore di Modena, ordinanza 20 settembre 1982, n. 882, G.U. l1 maggio 1983, n. 128. legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 14, sesto comma (artt. 3, 36, 38 e 53 della Costituzione). Pretore di Modena, ordinanza 20 settembre 1982, n. 882, G.U. 11 maggio 1983, n. 128. PARTE II, LEGISLAZIONE legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 19 (artt. 3, 36, 38 e 53 della Costituzione). Pretore di Modena, ordinanza 20 settembre 1982, n. 882, G.U. 11 maggio 1983, n. 128. di. 3 febbraio 1970, n. 7, art. 7, secondo e terzo comma [convertito in legge 11 marzo 1970, n. 83] (artt. 3 e 53 della Costituzione). Pretore di Lecce, ordinanza 22 febbraio 1983, n. 315, G.U. 29 giugno 1983, n. m. legge 25 maggio 1970, n. 364, artt. 19 e 23 (art. 81 della Costituzione). Tribunale di Forl, ordinanza 28 ottobre 1982, n. 951, G.U. 1 giugno 1983, n. 149. d.-legge 26 ottobre 1970, n. 745, art. 28 [convertito dalla legge 18 dicembre 1970, n. 1034] (artt. 3 e 23 della Costituzione). Pretore di Prato, ordinanza 19 novembre 1982, n. 11/83, G.U. 8 giugno 1983, n. 156. Pretore di Prato, ordinanza 19 novembre 1982, n. 10/83, G.U. 15 giugno 1983, n. 163. legge 9 ottobre 1971, n. 824, art. 6 (art. 81 della Costituzione). Pretore di Bologna, ordinanza 6 ottobre 1982, n. 834, G.U. 11 maggio 1983, n. 128. Pretore di Bologna, ordinanza 28 ottobre 1982, n. 856, G.U. 11 maggio 1983, n. 128. Pretore di Bologna, ordinanza 4 ottobre 1982, n. 857, G.U. 11 maggio 1983, n. 128. Pretore di Parma, ordinanza 5 ottobre 1982, n. 883, G.U. 18 maggio 1983, n. 135. Pretore di Parma, ordinanza 29 ottobre 1982, n. 941, G.U. 18 maggio 1983, n. 135. Pretore di Napoli, ordinanza 21 settembre 1982, n. 862, G.U. 1 giugno 1983, n. 149. Pretore di Verona, ordinanza 27 ottobre 1982, n. 912, G.U. 1 giugno 1983, n. 149. Pretore di Lecce, ordinanza 21 luglio 1982, n. 804, G.U. 8 giugno ,1983, n. 156. Pretore di Roma, ordinanza 26 novembre 1982, n. 41/83, G.U. 15 giugno 1983, n. 163. Pretore di Roma, ordinanza 26 novembre 1982, n. 42/83, G.U. 29 giugno 1983, n. 177. Pretore di Lecce, ordinanza 25 novembre 1982, n. 32/83, G.U. 29 giugno 1983, n. 177. legge 9 ottobre 1971, n. 824, art. 6, secondo comma (art. 81 della Costituzione). Pretore di Velletri, ordinanza 18 ottobre '1982, n. 861, G.U. 11 maggio 1983, n. 128. 62 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 9 ottobre 1971, n. 825, art. 10, n. 11 (art. 76 della Costituzione). Crnmissione. tributaria di primo grado di Udine, ordinanza 19 gennaio 1982, n. 53/83, G. U. 29 giugno 1983, n. 177. Commissione tributaria di primo grado di Udine, ordinanza 19 gennaio 1982,, n. 54/83, G. U. 29 giugno 1983, n. 177. Commissione tributaria di primo grado di Udine, ordinanza 19 gennaio 1982, n. 55/83, G. U. 29 giugno 1983, n. 177. Commissione tribbutaria di primo grado di Udine, ordinanza 19 gennaio 1982, n. 56/83, G. U. 29 giugno 1983, n. 177. Commissione tributaria di primo grado di Udine, ordinanza 19 gennaio 1982, n. 57/83, G. U. 29 giugno 1983, n. 177. legge 6 dicembre 1971, n. 1075 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Aosta, ordinanza 15 novembre 1982, n. 44/83, G. U. 8 giugno 1983, n. 156. legge prov. di Bolzano 20 agosto 1972, n. 15, art. 12, primo e terzo comma (artt. 3 e 42 della Costituzione). Corte d'appello di Trento, ordinanza 15 dicembre 1982, n. 14/83, G. U. 15 giugno 1983, n. 163. Corte d'appello di Trento, ordinanza 16 novembre 1982, n. 37/83, G. U. 29 giugno 1983, n. 177. legge prov. di Bolzano 20 agosto 1972, n. 15, artt. 12, primo comma, primo e secondo periodo, e 24, primo comma, primo e secondo periodo (artt. 3 e 42 della Costituzione). Corte d'appello di Trento, ordinanza 9 novembre 1982, n. 949, G. U. 8 giugno 1983, n. 156. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 39 (artt. 3, 23, 24, 28, e 113 della Costi tuzione). Commissione tributaria di secondo grado di Grosseto, ordinanza 5 maggio 1981, n. 886/82, G. U. 4 maggio 1983, n. 121. Commissione tributaria di secondo grado di Grosseto, ordinanza 5 maggio 1981, n. 888/82, G. U. 18 maggio 1983, n. 135. Commissione tributaria di secondo grado di Grosseto, ordinanza 5 maggio 1981, n. 898/82, G. U. 18 maggio 1983, n. 135. Commissione tributaria di secondo grado di Grosseto, ordinanza 5 maggio 1981, n. 887/82, G. U. 25 maggio 1983, n. 142. Commissione tributaria di secondo grado di Grosseto, ordinanza 5 maggio 1981, n. 889/82, G. U. 25 maggio 1983, n. 142. Commissione tributaria di secondo grado di Grosseto, ordinanza 5 maggio 1981, n. 890/82, G. U. 25 maggio 1983, n. 142. Commissione tributaria di secondo grado di Grosseto, ordinanza 5 maggio 1981, n. 891/82, G. U. 25 maggio 1983, n. 152. Commissione tributaria di secondo grado di Grosseto, ordinanza 5 maggio 1981, n. 892/82, G. U. 25 maggio 1983, n. 142. PARm II, LEGISIAZIONB 6J Commissione tributaria di secondo grado di Grosseto, ordinanza 5 maggio 1981, n. 896/82, G. U. 25 maggio 1983, n. 142. Commissione tributaria di secondo grado di Grosseto, ordinanza 5 maggio 1981, n. 893/82, G. U. 1 giugno 1983, n. 149. Commissione tributaria di secondo grado di Grosseto, ordinanza 5 maggio 1981, n. 894/82, G. U. 1 giugno 1983, n. 149. Commissione tributaria di secondo grado di Grosseto, ordinanza 5 maggio 1981, n. 895/82, G. U. il giugno 1983, n. 149. Commissione tributaria di secondo grado di Grosseto, ordinanza 5 maggio 1981, n. 897/82, G. U. 1 giugno 1983, n. 149. Commissione tributaria di secondo grado di Grosseto, ordinanza 5 maggio 1981, n. 899/82, G. U. 1 giugno 1983, n. 149. Commissione tributaria di secondo grado di Grosseto, ordinanza 5 maggio 1981, n. 900/82, G. U. 1 giugno ,1983, n. 149. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 3 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Firenze, ordinanza 2 novembre 1982, n. 50/83, G. U. 22 giugno 1983, n. :170. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, artt. 6 e 14 [come modificato dalla legge 16 dicembre 1977, n. 9M] (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Milano, ordinanza 10 marzo 1978, n. 913/82, G. U. 1 giugno 1983, n. 149. legge 15 dicembre 1972, n. 772, art. 3, secondo comma (artt. 3 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanza 14 luglio 1981, n. 849/82, G. U. 4 maggio 1983, n. 121. Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanza 14 luglio 1981, n. 850/82, G. U. 4 maggio 1983, n. 121. Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanza 14 luglio 1981, n. 851/82, G. U. 4 maggio 1983, n. 121. Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanza 14 luglio 1981, n. 852/82, G. U. 4 maggio 1983, n. 121. Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanza 14 luglio 1981, n. 853/82, G. U. 4 maggio 1983, n. 121. Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanza 14 luglio 1981, n. 854/82, G. U. 4 maggio 1983, n. 121. d.P.R. 30 dicembre 1972, n. 1035, art. 17 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Foggia, ordinanza 28 ottobre 1982, n. 876, G. U. 25 maggio 1983, n. 142. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 6, 20, 28, 48, 91, 93 e 96, lett. f) (artt. 3, 28 e 113 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 21 aprile 1982, n. 31/83, G. U. 29 giugno 1983, n. 177. 64 RASSEGNA DELl..'AVVOCATURA DELLO STATO d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 6, 28, 48 e 93 (artt. 3, 28 e 113 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 6 ottobre 1982, n. 29/83, G. U. 15 giugno 1983, n. 163. Tribunale di Roma, ordinanza 6 ottobre 1982, n. 30/83, G. U. 22 giugno 1983, n. 170. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183, 195 e 334 [modificato dall'art. 45 della legge 14 aprile 1975, n. 103] (art. 3 della Costituzione). Pretore di Saluzzo, ordinanza 3 novembre 1982, n. 916, G. U. 25 maggio 1983, n, 142. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183, 195 e 334, primo comma, n. 2 [modificato dall'art. 45 legge 14 aprile 1975, n. 103] (artt. 3 e 27 della Costituzione). Pretore di Terralba, ordinanza 16 novembre 1982, n. 40/83, G. U. 29 giugno 1983, n. 177. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 195 [modificato dalla legge 14 aprile 1975, n. 103, art. 45] (art. 3 della Costituzione). Pretore di Bologna, ordinanza 1 dicembre 1982, n. 33/83, G. U. '1 giugno 1983, n. 149. legge prov. di Trento 26 luglio 1973, n. 18, art. 9 (art. 4 e 9 dello statuto reg. Trentino-Alto Adige). Pretore di Pergine Valsugana, ordinanza 16 ottobre 1982, n. 879, G. U. 25 maggio 1983, n. 142. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 24 e 30 (artt. 3 e 53 della Costituzione). e f: Commissione tributaria di primo grado di Brescia, ordinanza 18 mar I zo 1982, n.79/83, G. U. 29 giugno 1983, n. 177. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 46, primo comma, e 48 (art. 36 della Costituzione). I Commissione tributaria di primo grado di Urbino, ordinanza 21 giugno 1982, n. 840, G. U. 4 maggio 1983, n. 121. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 50, quarto comma (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Salerno, ordinanza 15 giugno 1982, n. 71/83, G. U. 29 giugno 1983, n. 177. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 68, ultimo comma (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Udine, ordinanza 19 gennaio 1982, n. 58/83, G. U. 29 giugno 1983, n. 177. PARm II, LEGISLAZIONE 6f d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 74, terzo comma (artt. 3, 24 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Grosseto, ordinanza 11 giugno 1982, n. 52/83, G. U. 29 giugno 1983, n. 177. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. da 46 a 57 (art. 76 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Udine, ordinanza 19 gennaio 1982, n. 53/83, G. U. 29 giugno 1983, n. 177. Commissione tributaria di primo grado di Udine, ordinanza 19 gennaio 1982, n. 54/83, G. U. 29 giugno 1983, n. 177. Commissione tributaria di primo grado di Udine, ordinanza 19 gennaio 1982, n. 55/83, G. U. 29 giugno 1983, n. '177. Commissione tributaria di primo grado di Udine, ordinanza 19 gennaio 1982, n. 56/83, G. U. 29 giugno 1983, n. 177. Commissione tributaria di primo grado di Udine, ordinanza 19 gennaio 1982, n. 57/83, G. U. 29 giugno 1983, n. 177. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, art. 42 (art. 36 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Urbino, ordinanza 21 giugno 1982, n. 840, G. U. 4 maggio 1983, n. 121. d.P.R. 29 settembbre 1973, n. 602, art. 52, secondo comma, lett. b) (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Caltagirone, ordinanza 28 ottobre 1982, n. 943, G. U. 1 giugno 1983, n. 149. legge 22 dicembre 1973, n. 903, art. 5 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Massa, ordinanza 25 agosto 1982, n. 860, G. U. 18 maggio IJ.983, n. 135. d.P.R. 31 maggio 1974, n. 416, art. 92, sesto comma (artt. 3 e 91 della Costituzione). Pretore di Campobasso, ordinanza 5 novembre 1982, n. 946, G. U. 4 maggio 1983, n. 121. legge 14 giugno 1974, n. 270, art. 1 (art. 42 della Costituzione). Pretore di Francavilla Fontana, ordinanza 23 novembre 1982, n. 24/83, G. U. 15 giugno 1983, n. 163. Pretore di Francavilla Fontana, ordinanza 23 novembre 1982, n. 24/83, G. U. 15 giugno 1983, n. 163. d. legge 8 luglio 1974, n. 264, art. 4, primo comma [convertito dalla legge 17 agosto 1974, n. 386] (artt. 3 e 23 della Costituzione). Pretore di Prato, ordinanza 19 novembre 1982, n. 11/83, G. U. 8 giugno 1983, n. 156. Pretore di Prato, ordinanza 19 novembre 1982, n. 10/83, G. U. 15 giugno 1983, n. 163. ., 66 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge reg. Lombardia 19 agosto 1974, n. 48, art. 14 (art. 117 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 12 maggio 1982, n. 909, G. U. 18 maggio 1983, n. 135. Corte di cassazione, ordinanza 23 aprile 1982, n. 907, G. U. 1 giugno 1983, n. 149. Corte di cassazione, ordinanza 5 aprile 1982, n. 908, G. U. 1 giugno 1983, n. 149. Corte di cassazione, ordinanza 12 maggio 1982, n. 910, G. U. 1,giugno !1983, n. 149. legge reg. Lombardia 19 agosto 1974, n. 48, art. 14, primo comma (art. 117 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 5 aprile 1982, n. 911, G. U. 15 giugno 1983, n. 163. legge 14 ottobre 1974, n. 497, art. 10 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Vasto, ordinanza 16 giugno 1981, n. 21/83, G. U. 1 giugno 1983, n. 149. I . legge 14 ottobre 1974, n. 497, artt. 10 e 14 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Mantova, ordinanza 7 ottobre 1982, n. 937, G.U. 18 maggio 1983, n. 135. Tribunale di Mantova, ordinanza 7 ottobre 1982, n. 938, G.U. 18 maggio 1983, n. 135. Tribunale di Enna, ordinanza 1 dicembre 1982, n. 22/83, G.U. 15 giugno .1983, n. 163. I ' legge 14 aprile 1975, n. 103, artt. 1, primo comma; 2, primo comma, e 45 i (artt. 3, 10, 21, 41 e 43 della Costituzione). Consiglio di Stato, sezione VI, ordinanza 4 maggio 1982, n. 870, G. U. 25 maggio 1983, n. 142. I legge 14 aprile 1975, n. 103, artt. 4, primo comma, secondo capoverso, e 6 (artt. 21, 24, 43 e 102 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 6 novembre 1982, n. 88/83, G. U. 29 giugno 1983, n. 177. legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 2, terzo comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Sondrio, ordinanza 24 marzo 1981, n. 47/83, G. U. 29 giugno :1981, n. 177. legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 23 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Mondov, ordinanza 14 ottobre 1982, n. 877, G. U. 8 giugno 1983, n. 156. PARTE II, LEGISLAZIONE legge 22 maggio 1975, n. 152, art. 1, quarto comma (artt. 3, 24, 27 e 32 della Costituzione). Tribunale di Torino, ordinanza 22 ottobre 1982, n. 94/83, G. U. 29 giugno 1983, n. 177. legge 20 maggio 1975, n. 164, art. 1 (art. 3, 36 e 37 della Costituzione). Pretore di Brescia, ordinanza 9 novembre 1982, n. 66/83, G. U. 29 giugno 1983, n. 177. legge 3 giugno 1975, n. 160, art. 10, primo, terzo e quinto comma (artt. 3 e 38 della Costituzione). Pretore di Trento, ordinanza 12 ottobre 1982, n. 827, G. U. 4 maggio 1983, n. 121. legge 3 giugno 1975, n. 160, art. 27, terzo e quarto comma (artt. 3, 36, 38 e 53 della Costituzione). Pretore di Modena, ordinanza 20 settembre 1982, n. 882, G. U. 11 maggio 1983, n. 128. legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 11 (artt. 3, 24, 27 e 32 della Costituzione). Tribunale di Torino, ordinanza 22 ottobre 1982, n. 94/83, G. U. 29 giugno 1983, n. 177. legge 10 maggio 1976, n. 319, artt. 9, primo comma e 15, sesto e settimo comma (art. 24 della Costituzione). Tribunale di Crema, ordinanza 13 ottobre 1982, n. 920, G. U. 25 maggio 1983, n. 142. legge 10 maggio 1976, n. 319, art. 25, primo comma (artt. 25 e 27 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 5 aprile ,1982, n. 911, G. U. 15 giugno 1983, n. 163. dJ. 1 febbraio 1977, n. 12, artt. 2, primo comma, e 4 [convertito in legge 31 marzo 1977, n. 91] (art. 39 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 24 giugno 1982, n. 918, G. U. 1 giugno 1983, n. 149. legge 4 arile 1977, n. 135, art. 22, primo comma (artt. 3, 4 e 41 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, ordinanza 20 novembre 1980, n. 919/82, G. U. 1 giugno 1983, n. 149. legge 8 agosto 1977, n. 583, art. 4, terzo comma (artt. 3 e 38 della Costituzione). Pretore di Modena, ordinanza 7 ottobre 1982, n. 881, G. U. 11 maggio 1983. n. 128. 68 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dl. 23 dicembre 1977, n. 942, art. 1, terzo comma [convertito in legge 27 febbraio 1978, n. 41] (art. 3 della Costituzione). Pretore di Firenze, ordinanza 5 ottobre 1982, n. 8/83, G. V. 22 giugno 1983, n. 170. dJ. 29 dicembre 1977, n. 946, art. 6, diciassettesimo, diciottesimo e dician novesimo comma [convertito nella legge rI febbraio 1978, n. 43] (artt. 5, 39, 97 e 128 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per l'Abruzzo, ordinanza 23 giugno 1982, n. 885, G. V. 18 maggio 1983, n. 135. dJ. 16 giugno 1978, n. 282, art. 1 [convertito in legge 1 agosto 1978, n. 426] (art. 11 della Costituzione, regolamenti C.E.E. n. 1079 e 1822/77). Tribunale di Venezia, ordinanza 16 settembre 1982, n. 829, G. U. 4 maggio 1983, n. 121. Tribunale di Venezia, ordinanza 16 settembre 1982, n. 807, G. V. 11 maggio 1983, n. 128. dJ. 16 giugno 1978, n. 282, art. 1 [convertito in legge 1 agosto 1978, n. 426] (art. 11 della Costituzione, regolamento C.E.E. n. 1822/77 e artt. 177, 189 del trattato di Roma). Tribunale cij Venezia, ordinanza 16 settembre 1982, n. 829, G. V. 4 mag gio 1983, n. 121. Tribunale di Venezia, ordinanza 16 settembre 1982, n. 807, G. U. 11 mag gio 1983, n. 128. legge rr luglio 1978, n. 392, artt. 1, 3 e 58 (artt. 2, 3, 14, 41, 42 e 47 della Costituzione). Pretore di Casamassima, ordinanza 10 novembre 1982, n. 25/83, G. U. 22 giugno 1983, n. 170. legge rr luglio 1978, n. 392, artt. 3 e 58 (artt. 2, 3, 30, 31, 32, 42 e 47 della Costituzione). Pretore di Cagliari, ordinanza 17 gennaio 1983, n. 245, G. V. 22 giugno 1983, n. 170. Pretore di Cagliari, ordinanza 17 gennaio 1983, n. 246, G. V. 22 giugno 11983, n. 170. Pretore di Cagliari, ordinanza 17 gennaio 1983, n. 247, G. V. 22 giugno 1983, n. 170. Pretore di Cagliari, ordinanza 17 gennaio 1983, n. 248, G. U. 22 giugno 1983, n. 170. Pretore di Cagliari, ordinanza 17 gennaio 1983, n. 249, G. V. 22 giugno 1983, n. 170. Pretore di Cagliari, ordinanza 17 gennaio 1983, n. 250, G. V. 22 giugno 1983, n. 170. Pretore di Cagliari, ordinanza 17 gennaio 1983, n. 251, G. V. 22 giugno 1983, n. 170. PARTB II, LEGISLAZIONE Pretore di Cagliari, ordinanza 17 gennaio 1983, n. 252, G. U. 22 giugno 1983, n. 170. Pretore di Cagliari, ordinanza 17 gennaio 1983, n. 253, G. U. 22 giugno 1983, n. 170. Pretore di Cagliari, ordinanza 17 gennaio 1983, n. 254, G. U. 22 giugno 1983, n. 170. Pretore di Cagliari, ordinanza 17 gennaio 1983, n. 255, G. U. 22 giugno 1983, n. 170. Pretore di Cagliari, ordinanza 17 gennaio 1983, n. 256, G. U. 22 giugno 1983, n. 170. Pretore di Cagliari, ordinanza 17 gennaio 1983, n. 257, G. U. 22 giugno 1983, n. 170. Pretore di Cagliari, ordinanza 17 gennaio 1983, n. 258, G. U. 22 giugno 1983, n. 170. legge '1:1 luglio 1978, n. 392, artt. 3 e 58 (artt. 3, 31, 41 e 42 della Costituzione). Pretore di Maddaloni, ordinanza 7 dicembre 1982, n. 3/83, G. U. 15 giugno 1983, n. 163. Pretore di Maddaloni, ordinanza 7 dicembre 1982, n. 4/83, G. U. 15 giugno 1983, n. 163. Pretore di Maddaloni, ordinanza 15 dicembre 1982, n. 62, G. U. 29 giugno 1983, n. 177. legge '1:1 luglio 1978, n. 392, artt. 3 e 58 (artt. 3, 41 e 42 della Costituzione). Pretore di Carrara, ordinanza 24 agosto 1982, n. 833, G. U. 11 maggio 1983, n. 128. Pretore di Maddaloni, ordinanza 15 dicembre 1982, n. 63/83, G. U. 29 giugno 1983, n. 177. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 3 e 58 (artt. 3 e 42 della Costituzione). Pretore di Bisceglie, ordinanza 8 novembre 1982, n. 46/83, G. U. 22 giugno 1983, n. 170. legge '1:1 luglio 1978, n. 392, artt. 3 e 65 (artt. 2, 41, 42 e 47 della Costituzione). Pretore di Recco, ordinaru'a 15 ottobre 1982, n. 828, G. U. 11 maggio 1983, n. 128. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 5 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Bari, ordinanza 22 ottobre 1982, n. 924, G. U. 18 maggio 1983, n. 135. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 59, n. 1 (art. 3 della Costituzione). Giudice conciliatore di Vercelli, ordinanza 28 ottobre 1982, n. 904, G. U. giugno 1983, n. 149. legge '1:1 luglio 1978, n. 392, art. 65 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Mestre, ordinanza 30 novembre 1982, n. 51/83, G. U. 29 giugno 1983, n. 177. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 69 (artt. 3 e 42 della Costituzione). Tribunale di Messina, ordinanza 19 ottobre 1982, n. 871, G. U. 1 giugno 1983, n. 1149. legge 3 agosto 1978, n. 405, art. 12 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Tribunale di Lucca, ordinanza 12 ottobre 1982, n. 875, G. U. 18 maggio 1983, n. 135. legge 7 febbraio 1979, n. 29, artt. 1 e 2 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Agrigento, ordinanza 28 aprile 1982, n. 837, G. U. 11 giugno 1983, n. 149. legge reg. Lazio 28 settembre 1979, n. 79, art. 4 (art. 119 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 26 aprile 1982, n. 28/83, G. U. 29 giugno 1983, n. 177. legge 24 dicembre 1979, n. 650, art. 22, nono comma (art. 24 della Costituzione). Tribunale di Crema, ordinanza 13 ottobre 1982, n. 920, G. U. 25 maggio 1983, n. 142. legge 29 febbraio 1980, n. 33, art. 3, punto b) (artt. 2, 3 e 53 della Costituzione). Pretore di Orvieto, ordinanza 29 novembre 1982, n. 2/83, G. U. 8 giugno 1983, n. 156. Pretore di Orvieto, ordinanza 29 novembre 1982, n. 1/83, G. U. 15 giugno 1983, n. 163. legge 29 febbbaio 1980, n. 33, art. 3, lett. b) (art. 3 della Costituzione). Pretore di Verona, ordinanza 12 novembre 1982, n. 939, G. U. 11 giugno 1983, n. 149. legge 8 agosto 1980, n. 441, art. IO.bis (artt. 3, 24, 25, 28, 42, 54, 97, 101 e 103 della Costituzione). Corte dei conti, ordinanza 28 gennaio 1981, n. 844/82, G. U. 4 maggio 1983, n. 121. Corte dei conti, ordinanza 28 gennaio 1981, n. 845/82, G. U. 11 maggio 1983, n. 128. legge 20 settembre 1980, n. 576, artt. 2, secondo e quinto comma, e 10, lett. b) (art. 3 della Costituzione). Pretore di Firenze, ordinanza 25 maggio 1982, n. 5/83, G. U. giugno 1983, n. 149. Pretore di Firenze, ordinanza 25 maggio 1982, n. 7 /83, G. U. 1 giugno 1983, n. 149. Pretore di Firenze, ordinanza 25 maggio 1982, n. 6/83, G. U. 8 giugno 1983, n. 156. ~ ~ I~ I PARTE n, LBGISLAZIONB 71. legge 20 settembre 1980, n. 576, artt. 2, ottavo comma, e 10, terzo comma (artt. 3 e 38 della Costituzione. Pretore di Firenze, ordinanza 25 maggio 1982, n. 5/83, G. U. 1 giugno 1983, n. 149. Pretore di Firenze, ordinanza 25 maggio 1982, n. 7/83, G. U. 1 giugno 1983, n. 149. Pretore di Firenze, ordinanza 25 maggio 1982, n. 6/83, G. U. 8 giugno 1983, n. 156. legge 20 settembre 1980, n. 576, art. 22, primo comma (artt. 2, 3 e 38 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 26 novembre 1982, n. 43/83, G. U. 29 giugno 1983, n. 177. legge 20 settembre 1980, n. 576, art. 26 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Firenze, ordinanza 25 maggio 1982, Il. 5/83, G. U. 1 giugno 1983, Il. 149. Pretore di Firenze, ordinanza 25 maggio 1982, Il. 7/83, G. U. 1 giugno 1983, Il. ,149. Pretore di Firenze, ordinanza 25 maggio 1982, Il. 6/83, G. U. 8 giugno 1983, Il. 156. legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 53, primo comma, e 77, primo e secondo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 14 ottobre 1982, n. 864, G. U. 1 giugno 1983, Il. 149. Pretore di Roma, ordinanza 8 ottobre 1982, n. 865, G.U. 15 giugno 1983, n. ,163. Pretore di Roma, ordinanza 8 ottobre 1982, n. 866, G. U. 15 giugno 1983, Il. 163. Pretore di Roma, ordinanza 8 ottobre 1982, Il. 867, G. U. !15 giugno 1983, n. 163. legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 60, ultimo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Palestrina, ordinanza 13 ottobre 1982, n. 38/83, G. U. 29 giugno 1983, n. 177. legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Parma, ordinanza 29 ottobre 1982, n. 942, G. U. 4 maggio 1983, Il. 121. Pretore di Moncalieri, ordinanza 15 novembre 1982, n. 944, G. U. 1 giugno 1983, n. 149. Pretore di Foligno, ordinanza 5 novembre 1982, n. 9/83, G. U. 8 giugno 1983, n. 156. Pretore di Verona, ordinanza 17 novembre 1982, n. 13/83, G. U. 15 giugno 1983, n. 163. Pretore di Padova, ordinanza 12 novembre 1982, n. 59/83, G. U. 29 giugno 1983, n. 177. 72 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77 (artt. 3, 24, 101 e 111 della Costituzione) Pretore di Torino, ordinanza 2 novembre 1982, n. 945, G. U. 8 giugno 1983, n. 156. legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 77 e 78 (artt. 3, 24 e 101 della Costituzione). Pretore di Palestrina, ordinanza 13 ottobre 1982, n. 38/83, G. U. 29 giugno 1983, n. tn. legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 77, primo e secondo comma, e 81 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Livorno, ordinanza 18 novembre 1982, n. 931, G. U. 18 maggio 1983, n. 135. legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 78 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Foligno, ordinanza 5 novembre 1982, n. 9/83, G.U. 8 giugno 1983, n. 156. legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 92 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Bassano del Grappa, ordinanza 8 ottobre 1982, n. 923, G.U. 25 maggio 1983, n. 142. d.-legg.e 26 novembre 1981, n. 678, art. 3 [convertito in legge 26 gennaio 1982, n. 12) (artt. 3, 32 e 33 della Costituzione. Tribunale di Ascoli Piceno, ordinanza 5 novembre 1982, n. 34/83, G.U. 29 giugno 1983, n. 177. Tribunale di Ascoli Piceno, ordinanza 5 novembre 1982, n. 35/83, G.U. 29 giugno 1983, n. 177. d.-legge 26 novembre 1981, n. 678, art. 3, terzo capoverso [convertito in legge 26 gennaio 1982, n. 12) (artt. 2 e 32 della Costituzione). Pretore di Recanati, ordinanza 26 novembre 1982, n. 17/83, G.U. 15 giugno 1983, n. 163. legge 26 novembre 1981, n. 690 (art. 3 della Costituzione) . . Pretore di Aosta, ordinanza 15 novembre 1982, n. 44/83, G.U. 8 giugno :1983, n. 156. d.-legge 22 dicembre 1981, n. 791, art. 6 [convertito in legge 26 febbraio 1982, n. 51) (art. 3 della Costituzione). Pretore di Bari, ordinanza 28 settembre 1982, n. 805, G.U. 8 giugno 1983, n. 156. legge 25 marzo 1982, n. 94, art. 12 (art. 3 della Costituzione). Pretore di San Don di Piave, ordinanza 23 ottobre 1982, n. 36/83, G.U. 1 giugno 1983, n. 149. PARTE II, LEGISLAZIONE legge 25 marzo 1982, n. 94, art. 15-bis (art. 3 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 2 novembre 1982, n. 878, G.U. 1 giugno 1983, n. 149. Pretore di Terni, ordinanza 15 novembre 1982, n. 12/83, G.U. 15 giugno 1983, n. 163. legge 25 marzo 1982, n. 94, art. 15-bis (artt. 3, 41 e 42 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 2 ottobre 1982, n. 903, G.U. 1 giugno 1983, n. 149. legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 9 e 15 (artt. 3, 42 e 44 della Costituzione). Tribunale di Mantova, ordinanza 26 ottobre 1982, n. 872, G.U. 1 giugno 1983, n. 149. legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 26, 28 e 30 (artt. 3, 4, 41 e 44 della Costituzione). Tribunale di Ravenna, ordinanza 16 dicembre 1982, n. 87/83, G.U. 29 giugno 1983, n. 177. d.P.R. 9 agosto 1982, n. 525, art. 1 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Treviso, ordinanza 8 novembre 1982, n. 874, G.U. 1 giugno 1983, n. 149. d.P.R. 9 agosto 1982, n. 525, art. 1, ultimo comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Grosseto, ordinanza 17 novembre 19,82, n. 950, G.U. 1 giugno 1983, n. 149. d.-legge 30 settembre 1982, n. 688, art. 9 (artt. 3, 77 e 79 della Costituzione). Pretore di San Don di Piave, ordinanza 11 ottobre 1982, n. 927, G.U. 18 maggio 1983, n. 135. Pretore di San Don di Piave, ordinanza 7 ottobre 1982, n. 928, G.U. 18 maggio 1983, n. 135. Pretore di San Don di Piave, ordinanza 27 ottobre 1982, n. 929, G.U. 18 maggio 1983, n. 135. d.-legge 30 settembre 1982, n. 688, art. 9, secondo e sesto comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Padova, ordinanza 15 novembre 1982, n. 45/83, G.U. 1 giugno 1983, n. 149. Pretore di, Padova, ordinanza 19 ottobre 1982, n. 48/83, G.U. 15 giugno 1983, n. 163. disegno di legge approvato dal consiglio regionale d'Abruzzo il '1:1 ottobre 1982 e riapprovato il 13 aprile 1983, art. 9 (art. 117 della Costituzione). Presidente Consiglio dei Ministri, ricorso 12 maggio 1983, n. 14, G.U. 8 giugno 1983, n. 156. 74 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge approvata dal consiglio regionale della Lombardia il 16 dicembre 1982, e riapprovata il 19 maggio 1983 (art. 117 della Costituzione e artt. 62 e 82 d.P.R. n. 616/77). Presidente Consiglio dei Ministri, ricorso 18 giugno 1983, n. 26, G.U. 29 giugno 1983, n. 177. d.-legge 28 febbraio 1983, n. 55, artt. 8, primo, secondo e terzo comma, S.bis, 9, primo, quarto, sesto, nono e decimo comma, 11, terzo comma,. 27, quarto comma, 29, terzo, quarto e quinto comma, 31, primo, sesto, settimo e ottavo comma [convertito hl legge dall'articolo unico della legge 26 aprile 1983, n. 131] (artt. 5, 117, 118, 119, nonch 77 e 81, quart comma, della Costituzione e art. 27 legge 5 agosto 1978, n. 468). Regione Lombardia, ricorso 6 giugno 1983, n. 23, G.U. 22 giugno 1983, n. 170. d.-legge 28 febbraio 1983, n. 55, artt. 8, primo, secondo e terzo comma, S.bis, 9, primo, quarto e sesto comma, 27, quarto comma, 29, terzo, quarto e quinto comma, e 31 [convertito in legge dalla legge 26 aprile 1983, n. 131] (artt. 5, 117, 118, 119, nonch 77 e 81, quarto comma, della Costituzione e art. 27 legge 5 agosto 1978, n. 468). Regione Emilia-Romagna, ricorso 6 giugno 1983, n. 22, G.U. 22 giugno 1983, n. 170. decreto legge 28 febbraio 1983, n. 55, artt. 9, 11, 16, 28 e 31 [convertito in legge 28 aprile 1983, n. 131] (artt. 117 e 119, nonch 81 della Costituzione). 1 Regione Liguria, ricorso 7 giugno 1983, n. 25, G.U. 22 giugno 1983, n. 170. legge approvata dal consiglio regionale della Valle d'Aosta il 24 marzo 1983 e riapprovata il 4 maggio (artt. 3 e 120 della Costituzione). Presidente del Consiglio dei Ministri, ricorso 31 maggio 1983, n. 21, G.U. 15 giugno 1983, n. 163. legge 29 marzo 1983, n. 93 (art. 4 n. 1 dello statuto speciale di autonomia della regione Friuli-Venezia Giulia). Presidente giunta regionale Friuli-Venezia Giulia, ricorso 12 maggio 1983, n. 15, G. U. 8 giugno 1983, n. ,156. legge 29 marzo 1983, n. 93, art. 1 (art. 2 dello statuto speciale della Valle d'Aosta). Regione autonoma Valle d'Aosta, ricorso 13 maggio 1983, n. 17, G.U. 8 giugno 1983, n. '156. legge 29 marzo 1983, n. 93, artt. 1, primo comma, 9, 10, 12 e 27, quarto comma (artt. 117, 118, 119, 121, 124 e 125, 97 e 81 della Costituzione e art. 27 legge 5 agosto 1978, n. 468). Ricorso regione Lombardia 12 maggio 1983, n. 13, G.U. 8 giugno 1983, n. 156. PARTE II, LEGISLAZIONE 7J legge 29 marzo 1983, n. 93, artt. 1, secondo comma, e 2 (artt. 3, terzo comma, 8, n. l, 16, primo comma dello statuto speciale di autonomia prov. Trento e art. 3 della Costituzione). Provincia di Trento, ricorso 13 maggio 1983, n. 19, G.U. 8 giugno 1983, n. 156. legge 29 marzo 1983, n. 93 nel suo complesso e, in particolare, gli artt. 1, secondo comma; 2; 3; 5, secondo comma; 6, quarto comma; 8; 9; 12, terzo comma; 14; 25; 27, quarto comma e 30, terzo comma (artt. 3, 8, n. 1, n. 19 e n. 29; 9, n. 10; 16 e 89 statuto aut. della provincia di Bolzano e art. 3 della Costituzione). Provincia di Bolzano, ricorso 13 maggio 1983, n. 18, G.U. 8 giugno 1983, n. 156. legge 29 marzo 1983, n. 93, e in particolare artt. 1, 3, 5, 6, 10, 11, 12, 15, 23, secondo comma, 24, 25 e 27 (artt. 39, 97, 115, 117, 118, 1'19, 124, 125, 126 e 127 della Costituzione). Regione Liguria, ricorso 16 maggio 1983, n. 20, G.U. 8 giugno 1983, n. 156. legge 29 marzo 1983, n. 93, artt. 1, secondo comma, 8, 9, 10, 12, 26, primo comma, e 27, quarto comma (artt. 4, nn. l, 7 e 8, 5, n. 1, 16 -e 65 dello statuto reg. aut. Trentino-Alto Adige). Regione Trentino-Alto Adige, ricorso 12 maggio 1983, n. 12, G.U. 8 giugno 1983, n. 156. legge 29 marzo 1983, n. 93, artt. 10 e 12 (art. 117 della Costituzione) e 27, quarto comma (artt. 124 e 125 della Costituzione). Regione Veneto, ricorso 12 maggio 1983, n. 16, G.U. 8 giugno 1983, n. 156. legge 26 aprile 1983, n. 130, artt. 4, quinto e sesto comma, 9, terzo, quarto e quinto comma, 10, primo comma, e 20, terzo comma (artt. 5, 117, 118, 119, nonch 81, quarto comma, della Costituzione e art. 27 della legge 5 agosto 1978, n. 468). Regione Lombardia, ricorso 6 giugno ,1983, n. 24, G.U. 22 giugno 1983, n. 170. legge 26 aprile 1983, n. 131, articolo unico (artt. 5, 117, 118, 119, nonch 77 e 81, quarto comma, della Costituzione e art. 27 legge 5 agosto 1978, n. 468). Regione Emilia-Romagna, ricorso 6 giugno 1983, n. 22, G.U. 22 giugno 1983, n. 170. Regione Lombardia, ricorso 6 giugno 1983, n. 23, G.U. 22 giugno 1983, n. 170. legge approvata dal consiglio regionale della Sicilia il 2 giugno 1983, artt. 6 e 7 (artt. 81 e 97 della Costituzione). Commissario dello Stato per la regione Sicilia, ricorso 18 giugno 1983, n. 27, G.U. 29 giugno .1983, n. 177.