ANNO XXXVI -N. 3 MAGGIO-GIUGNO 1984 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Pubblicazione bimestrale di servizio ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO ROMA 1984 ABBONAMENTI ANNO 1984 ANNO L. 29.000 UN NUMERO SEPARATO , 5.300 Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO Direzione Commerciale -Piazza G. Verdi, 10 -00100 Roma e/e postaJe n. 387001 Stampato in Italia -Printed in Itaty Autorizzazione Tribunale di Roma -Decreto n. 11089 del .13 luglio 1966 (5219306) Roma, 1984 -Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato -P.V. INDICE Parte prima: GIURISPRUDENZA Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura del/' avv. Franco Favara) . . . . . . . . . . . pag. 413 Sezione seconda: GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE (a cura de/l'avv. Oscar Fiumara) 455 Sezione terza: GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE (a cura degli avvocati Carlo Carbone, Carlo Sica e Antonio Cingolo) . . . . . . . . . . . . 471 Sezione quarta: GIURISPRUDENZA CIVILE (a cura degli avvocati Antonio Catricol e Paolo Cosentino) . . . . . 490 Sezione quinta: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (a cura degli avv. Raffaele Tamiozzo e G. P. Polizzi) 503 Sezione sesta: GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (a cura de/l'avvocato Carlo Bafile) . . . . . 521 Sezione settima: GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI (a cura degli avvocati Sergio Laporta, Piergiorgio Ferri e Paolo Vittoria) . . . 594 Sezione ottava: GIURISPRUDENZA PENALE (a cura degli avvocati Paolo di Tarsia di Be/monte e Nicola Bruni) . . 601 Parte seconda: QUESTIONI -LEGISLAZIONE LEGISLAZIONE 61 La pubblicazione diretta dall'avvocato: UGO GARGIULO CORRISPONDENTI DELLA RASSEGNA DELEGATI PRESSO LE SINGOLE AVVOCATURE Avvocati Glauco NoRI, Ancona; Francesco Cocco, Bari; Giovanni CONTU, Cagliari; Francesco GUICCIARDI, Genova; Carlo BAFILE, L'Aquila; Giuseppe Orazio Russo, Lecce; Raffaele CANANZI, Napoli; Nicasio MANcuso, Palermo; Rocco BERARDI, Potenza; Francesco .ARGAN, Torino; Maurizio DE FRANCHIS, Trento; Paolo SCOTTI, Trieste; Giancarlo MANo, Venezia ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI C. BAFILE, Decisione di annullamento e decisione di merito nel giudizio di terzo grado . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 578 O. FIUMARA, Della compatibilit con il trattato CEE di limitazioni nazionali all'assistenza farmaceutica ....... . 457 PARTE PRIMA INDICE ANALITICO -ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA AGRICOLTURA -Affdtto dei fondi rustici -Determinazione del canone -Finalit di stabilire equi .rapporti sociali Preminenza, 444. -Rapporti di mezzadria e colonia parziaria -Conversione dn rapporti di afliitto -Facolt unilaterale del concessionarfo -Distiinzione tra imprenditore agricolo e proprietario assenteista di terreni agricoli -Necessit, 434. APPALTO -Sopravvenute difficolt di esecuzione -Cause non previste, 594. -Sopravvenute difficolt di esecuzione -Notevole maggiore onerosit Della prestazione e non di singoli lavori, 594. ATTO AMMINISTRATIVO -Atti autovitativi e paritetici -Criteri differenziali per provvedimenti incidenti su status pubblrico .impiegato - Riapporti economici, 503. -Convalida -Applicabilit alle mani festa:m.oni di volont -Proposta, 511. -Convalida -InappLicabilit ad atto annullato, 511. COMUNIT EUROPEE -Libera circolazione delle merci -Disciplrina dei prezzi -Prezzi delle specialit medicinali -Poteri degJ,i Stati membri, con nota di O. FIU .MARA, 455. -Ll.bera circolazione delle merci Medicinali -Regime di cassa malat tia -Rimborso deUe spese -Com patibilit con le norme comunitarie Limiti, con nota di O. FIUMARA, 456. CORTE COSTITUZIONALE -Principio di eguagHanza -Criteri presuntivi indicati dal legislatore ord nario Ragionevolezza, 453. COSA GIUDICATA CIVILE -Atto vincolato -Atto difforme Giudizio di inottemperanza -Termine di dmpugnazione, 515. -Dedotto e deducibile -Eff.etto preclusivo -Esclusione, 503. ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILIT -Indennit di espropriazione e di occupazione d'urgenza Determinazione -Applicazdone in via provvisoria di disposizioni ritenute incostituzionali Illegittimit costituzionale, 413. FALLIMENTO -Provvedimento di ammissione al passivo -Notifica di 'atti al curatore -Effetti -Sentenza dichiarativa del fallimento -Revoca -Oppon~ bi1it degli atti al debitore tornato in bonis -Inammissibilit -Fattispecie, 499. FONTI DEL DIRITTO -Legge -Procedimento lgislativo Camera dei deputati -Maggioranza dei presenti -Esclusione degli astenuti -Legittimit costitu:zJionale, 423 GIURISDIZIONE CIVILE -Carenza della titolarit del rapporto giuridico controveriso -Mancata specifica impugnazione in appello Conseguenze, 488. -Giudicato esterno -Eccezione in sen' so proprio -Ril.ievo d'ufficio -Conseguenze, 488. -Questione di giurisdizione -Giudizio di ottemperanza -Pvesupposto Sentenza passata in giudicato -Mancanza -Difetto di posizione tutelabile nei confronti della P.A., 477. INDICE DELLA GIURISPRUDENZA -Rapporto di pubblico impiego -Caratteristiche -Assunzione di giovani Controversie Giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, 485. -Regolamento preventivo di giurisdi 2lione Manacata sospensione del processo Invalidit degli. atti compiuti dal giudice amministrativo per temporaneo difetto del potere di giudicare Conferma de1la giu:tiisdizione amministrativa da parte del le SS.UU. -Effetti, con nota di G. PALMIERI, 471. -Sentenza civile Interpretazione Contenuto, 477. - Sentenza della Cassazione sulla giurisdizione -Necessit di statuiizione espI'essa sul rinvio Non sussiiste F,attispeoie in tema d'irregolare composfaiione dell'organo giudicante, 477. IMPIEGO PUBBLICO -Cappellano militare addetto al servizio reliigioso presso ospedale provinciale Sussistenza rapporto impiego -Convenzione con ordinario diocesano, 518. -Equo dndennizzo Interessi corrispettivi -Decorrenza dalla data di riconoscimento, 503. ISTRUZIONE E SCUOLE -IstrUZlione superiore -Comando di docenti medi -Abilitazione alla IJbera docenza -Necessit -Eccezioni, 420. -Universit Consiglio di facolt Proposta di dncariico lus superveniens Effetto ostativo per convalida Non sussiste, 512. '-Universit Giudizio doneit per I'iceroatori Ammissione -Vincitore premio per rucerca scientifica Indipendenza da struttura universitaria Carenza di titolo -Ratio legis: sistemazione personale gi dn servizio, 520. LAVORO -Impiegati ed operai -Richiamo alle armi . Trattamenti difforenziiati Illegittimit costituiionale, 433. -Medioi convenzionati INAM -Recesso ex art. 2237, 1 comma, e.e. Ammissiblit Limiti, 490. -Rapporto di lavoro autonomo -Convenzioni Enti mutualistici Godimento benefici combattentistici Incompatibilit, 495. LOCAZIONE -Immobild urbani destinati ad uso non abitativo -Proroga biennale Legittimit costituzionale in quanto ultima proroga, 427. PENSIONI -Pensione privilegiata Equo indennizzo -Cumulo -Decurtazione per pubbLico dipendente Inapp1icabi1it all'erede, 503. POSTE E TELECOMUNICAZIONI -Radiotelevisione Obbligo di pagamento del canone da parte di commercianti e rivenditori di apparecchi radiotelev.isdvi Disparit di trattamento con l'utente vero e proprio Insussistenza Questione manifesta mente 1infondata di costituzionalit, 498. -Radio-televisione -Obbligo di pagamento del canone eta parte di commercianti e rivenddtori di aipparecchi radiotelevisivi Violazione del principio di capacit contributiva Doppia imposi2lione fiscale -Insussistenza -Questione manifestamente iinfondata di costituzionalit, 498. -Radioteleviisione -Rivenditore di apparecchi redio-televisivii -Obbligo di pagare dl canone di abbonamento Sussiste, 497. PREVIDENZA -Malattia Accertamento mediante visita c1i controllo Impossibilit Sospensione dell'dndennit, 493. PROCEDIMENTO CIVILE -Procedimento d'ingiunzione Provvisovia esecuzione del decreto ingiuntivo Offerta di cauzione, 434. PROCEDIMENTO PENALE - Artt. 144 bis e 348 bis C.P.P. -Con trasto con art. 3 della Costitu21ione e diritto di ddfesa dell'imputato Insussistenza, 608. vm RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO -Tribunale della libert -Richiesta di riesame ad opera de1 difensore Termine, 425. REATO -Delitti contro Ja personalit dello Stato -Associazione sovversiva Banda armata -Concorso di reati Inammissibilit, 610. -Reati doganali -Contrabbando -Art. 216 t.u. 23r gennaio 19713, n. 43 Importazione temporanea di imbarcazione da diporto straniera -Stazionamento in acque italiane per oltre un anno pur con frequenti crociere all'estero -Violazione della Convenzione di Ginevrn 18 maggio 1956 resa esecutiva in Italia con legge 3 novembre 1961, n. 1553 Sussistenza del reato dd illecito beneficio del regime di tempomnea importazione, 601. SANIT -Sanitario -Concorso -Sovvertimento della graduatoria da parte del G.A. Impossibilit riesame da parte Commissione. Nullit relativa delibera Proclamazione vincitore concorso da parte G.A. -Commissario, 515. TRENTINO ALTO ADIGE -Ordinamento de11e aziende di credito Approvazione delle modifiche statutarie -Attribuz>ione regionale, 430. TRIBUTI ERARIALI DIRETTI -Accertamento -Competenza dell'ufficio -Inderogabilit -Accertamento proveniente da ufficio incompetente Nullit assoluta -Successivo accertamento deH'ufficio competente -Legittimit, 569. -Accertamento -E'Spressione di volont dell'organo amministrativo -Esclusione, 583. -Accertamento -Motivazione -Metodo dnduttivo -Impugnazione -Determina2lione del reddito da parte deHa commissione, 533. -Accertamento -Motivazione -Metodo induttivo -Presupposti, 583. -Accertamento -Motivazione -Metodo induttivo -Reddito di fabbricati Omessa dichiarazione -Legittimit Dimostra2lione del reddito -Non attiene alla motivazione, 533. -Accertamento -Motivazione -Nullit -Eccezione da formulare in primo grado -Art. 37 t.u. 29 gennaio 1958, n. 645 -IUegittirnit costituzionale -Manifesta infondatezza, 583. -Accertamento -Notificazione -Nullit -Proposizione del ricorso -Sanatoria, 569. -Imposta di registro -Agevolazioni per edilizia -Difformit da licenm edilizia -Volumi del sottosuolo Sono rilevanti, 567. -Imposta sui fabbricati -Reddito effettivo superiore al reddito catastale Determinazione in via di comparazione -Reddito risultante dal contratto di locazione - iI solo rilevante, 575. -Imposte sui redditi di ricchezza mobile -Condono -Riporto delle perdite di esercizi anteriori -Inammissibilit, 545. -IRPEF -Reddito d'impresa -Plusvalenza o minusvalenza -Valore del bene cui si I'iferisce -Parametro del valore normale -Utiliz21abilit, 591. -Riscossione -Interessi e maggiorazione di aliquota per ritardata isol'izione a ruolo -Successioni di leggi nel tempo -Tributi soppressi -Sostituzione degli interessi alla maggiorazione di ahlquota con decorrenza dal 1 gennaio il974, 556. TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI -lmposa di regi'Strn -Agevola2lione per il Mezzogiiorno -Acquisto di terreno o fabbricati per il primo impianto di stabilimenti industriaH Trasferimento di stabilimento gi realizzato -Inapplicabilit, 525. -Imposta di registro -Atti soggetti all'imposta sul valore aggiunto Attivit occasionale di dmpresa -Non soggetta -Avvenuto pagamento dell'imposta sul valore aggiunto Irrilevanza, 531. -Imposta di registro -Condebitore solidale -Intervento dn appello nel giudizio promosso da altro condebitore -Inammissibildt, 565. INDICE DELLA GIURISPRUDENZA -Imposta di registro -Enunciazione Societ di fatto -Acquisto in comune di aziende -Insufficienza, 572. -Imposta di registro -Trasferimento di immobile gravato da dpoteca Base imponibile -I:rrHevanm della dpoteca, 549. -Imposte doganali -Soggetti passivi Societ che ha agiito fraudolentemente per tramite di rappresentativdt - obbligata, 521. TRIBUTI IN GENERE -Contenzioso tributardo -Appello Domande nuove -Contesta:z;ione su interessi e maggiorazioni di aliquote relative al reddito oggetto dell'accertamento -Ammissibilit -Impugnazione separata del ruolo -Non necessaria, 555. -Contenzioso trdbutaruo -Poteri delle Commissioni -Pronuncia di merito sulla sostanza del ropporto, 583. -Contenzioso tributario -Prova -Ricorso al notorio -Legittimit, 583. -Contenzioso tributario -Ricorso alla Commissione centrale -Motivazione -Necessit -Motivazione per relationem -Inammisstibilit -Difetto di motivi per l'impugnazione di merito -lnammissibildt de11'!impugnazione per motivi di rito, con nota di C. BAFILE, 577. -Repressione delle viola:z;ioni -Sanzioni Societ avente pernonalit giuridica Responsabilit dell'amministratore Esclusione, 539. URBANISTICA -Opere abusiv.e Acquisizione gratuita al patrimonio comunale -DifDida a demolire Presupposto necessardo lmpossiihi.lit giuridica di esecuzione -Inammissibilit san:z;ione, Sl9. -Opere abusive -Acquisizione gratuita al patrimonio comunale -Motivazione Contenuto -Compatibiilit con strumenti urbanistici Utilizzabilit a fini pubblici, 519. 7 maggio 1984, n. 138 ....................... . 7 magg.io 1984, n. 139 . . . . 16 maggio 1984, n. 141 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT EUROPEE 3 sez., 26 gennaio 1984, nella causa 301/82 ....... . 7 febbraio 1984, nella causa 238/82 . . . . . . . . . . . GIURISDIZIONI CIVILI CORTE DI CASSAZIONE Sez. Lav., 14 gennaio 11984, n. 312 Sez. Lav., 14 gennaio 1984, n. 324 Sez. Lav., 3 febbraio 1984, n. 832 . Sez. I, 22 marzo 1984, n. 1924 . . Sez. I, 22 marzo 1984, n. 1926 . . . Sez. I, 26 marzo 1984, n. 1987 . . . Sez. I, 26 marzo 1984, n. 1994 . . . Sez. Un., 27 maTzo 11984, n. 2018 . Sez. I, 28 marzo 1984, n. 2045 . . Sez. I, 28 marzo 1984, n. 2046 . . Sez. Un., 2 aprile 1984, n. 2145 . Sez. I, 5 aprile 1984, n. 2194 . Sez. I, 5 aprile 1984, n. 2198 . . Sez. I, 5 aprile 1984, n. 2200 . . Sez. I, 27 aprile 1984, n. 2646 . . Sez. I, 27 aprile 1984, n. 2648 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Sez. I, 27 aprile 1984, n. 2649 . . Sez. I, 27 apl1ile 1984, n. 2651 . . . Sez. I, 3 maggio 1984, n. 2687 . . . Sez. Un., 9 maggio 1984, n. 2825 . . Sez. Un., H maggio 1984, n. 2884 . Sez. I, 17 maggio 1984, n. 3044 Sez. I, 17 maggio 1984, n. 3047 . . Sez. I, 13 giugno 1984, n. 3544 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Sez. I, 10 luglio 1984, n. 4049 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 434 )) 444 453 pag. 455 456 pag. )) )) )) )) )) )) )) ,. )) )) )) )) )) 490 493 495 521 525 531 533 539 545 549 471 555 565 567 569 572 575 577 497 477 485 488 583 499 594 7 maggio 1984, n. 138 ....................... . 7 magg.io 1984, n. 139 . . . . 16 maggio 1984, n. 141 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT EUROPEE 3 sez., 26 gennaio 1984, nella causa 301/82 ....... . 7 febbraio 1984, nella causa 238/82 . . . . . . . . . . . GIURISDIZIONI CIVILI CORTE DI CASSAZIONE Sez. Lav., 14 gennaio 11984, n. 312 Sez. Lav., 14 gennaio 1984, n. 324 Sez. Lav., 3 febbraio 1984, n. 832 . Sez. I, 22 marzo 1984, n. 1924 . . Sez. I, 22 marzo 1984, n. 1926 . . . Sez. I, 26 marzo 1984, n. 1987 . . . Sez. I, 26 marzo 1984, n. 1994 . . . Sez. Un., 27 maTzo 11984, n. 2018 . Sez. I, 28 marzo 1984, n. 2045 . . Sez. I, 28 marzo 1984, n. 2046 . . Sez. Un., 2 aprile 1984, n. 2145 . Sez. I, 5 aprile 1984, n. 2194 . Sez. I, 5 aprile 1984, n. 2198 . . Sez. I, 5 aprile 1984, n. 2200 . . Sez. I, 27 aprile 1984, n. 2646 . . Sez. I, 27 aprile 1984, n. 2648 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Sez. I, 27 aprile 1984, n. 2649 . . Sez. I, 27 apl1ile 1984, n. 2651 . . . Sez. I, 3 maggio 1984, n. 2687 . . . Sez. Un., 9 maggio 1984, n. 2825 . . Sez. Un., H maggio 1984, n. 2884 . Sez. I, 17 maggio 1984, n. 3044 Sez. I, 17 maggio 1984, n. 3047 . . Sez. I, 13 giugno 1984, n. 3544 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Sez. I, 10 luglio 1984, n. 4049 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 434 )) 444 453 pag. 455 456 pag. )) )) )) )) )) )) )) ,. )) )) )) )) )) 490 493 495 521 525 531 533 539 545 549 471 555 565 567 569 572 575 577 497 477 485 488 583 499 594 INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA CORTE COSTITUZIONALE 19 luglio ,1983, n. 223 pag. 413 22 febbraio 1984, n. 38 . . 420 29 marzo 1984, n. 78 ... 423 29 marzo 1984, n. 80 . . . . . . . . . . )) 425 5 aprile 1984, n. 89 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 427 4 maggio 1984, n. l35 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 430 4 maggio 1984, n. 136 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 433 4 maggio 1984, n. 137 (in cam. cons.) . . . . . . . . . . . . . . . . . )) 434 INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE CONSIGLIO DI STATO Ad. Plen., 1 marzo 1984, n. 4. Ad. Plen., 9 marzo 1984, n. 5. Ad. Plen., li1 marzo 1984, n. 6 . Sez. IV, 21 marzo 1984, n. 150. Sez. V, 19 marzo 11984, n. 252. Sez. VI, 1 marzo 1984, n. 117. GIURISDIZIONI PENALI CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Sez. I, 17 marzo 1984, n. 204 .. Sez. III, 19 maggio 1984, n. 771 . I CORTE DI ASSISE D'APPELLO DI TORINO 24 marzo 1983 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . GIURISDIZIONI TRIBUTARIE COMMISSIONE TRIBUTARIA CENTRALE Sez. VIII, 28 aprile 1983, n. 570 . . . . . . pag. 503 511 515 )) 518 519 520 pag. 608 " 601 pag. 610 pag. 591 PARTE SECONDA INDICE DELLA LEGISLAZIONE QUESTIONI DI LEGITTIMIT COSTITUZIONALE I -Norme dichiarate incostituzionali II -Questioni dichirate non fondate III -Questioni proposte . pag, 61 62 65 I I ! l I l PARTE PRIMA GIURISPRUDENZA SEZIONE PRIMA GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE CORTE COSTITUZIONALE, 19 luglio 1983, n. 223 -Pres. Elia -Rel. Paladin Russo ed altri (avv. Stoppani), Banco di S. Spirito ed altro (avv. Pallottino), Comune di Bologna (avv. Stella Richter), Comune di Napoli (avv. Peccerillo), Comune di Roma (avv. Marchetti) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Carafa). Espropriazione per pubblica utilit -Indennit di espropriazione e di occupazione d'urgenza -Determinazione -Applicazione in via provvisoria di disposizioni ritenute incostituzionali -Illegittimit costituzionale. (Cost. artt. 3, 24, 42 e 136; L. 29 luglio 1980 n. 385, artt. 1, 2 e 3; L. 25 settembre 1981 n. 535; L. 29 luglio 1982 n. 481; L. 23 dicembre 1982 n. 943). Il legislatore ordinario non pu, mediante la riproduzione (ancorch in via nominalmente provvisoria) di norme gi dichiarate costituzionalmente illegittime, prolungarne la vita e determinare risultati corrispondenti a quelli ritenuti lesivi della Costituzione (1). I giudizi hanno tutti per tema la legittimit costituzionale dell'indennit di espropriazione (o della rispettiva indennit di occupazione), nelle forme e nelle misure provvisoriamente stabilite, quanto alle aree edifi (11) La pronuncia di illegittimit costituzionale discende da una considerazione di carattere formale-istituzionale; al punto che la pronuncia non si sarebbe avuta (o avrebbe dovuto essere altrimenti giustificata) se l' acconto provvisorio fosse stato commisurato in modo diverso, senza cio riferimento alla normativa eliminita dalla sentenza n. 5 del 1980. Una pronuncia di portata sostanziale (nel senso del1a reviviscenza della precedente disciplina delle espropriazioni ) invece inserita incidentalmente nel brano concernente la rilevanza delle questioni sollevate; e con esplicito riferimento alla giurisprudenza del giudice ordinario (ed implicita conferma che a questo compete di colmare 1a lacuna). Quale sia la precedente disciplina cui si accenna non precisato. Parrebbe sottinteso un qualche (forse tutto da approfondire) riferimento alla normativa del 1865; ma tra quell'anno remoto ed il 1980 tanta acqua passata sotto i ponti, tanta altra precedente disciplina s' venuta accumulando, ed anche su punti e materie che rilevano sostanziosamente per la detenninazione della indennit di espropriazione pur senza far parte della disciplina in RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO cabili, dalla legge 29 luglio 1980, n. 385; legge conseguente, in questa parte, alla sentenza 25 gennaio 1980, n. 5, con cui la Corte ha annullato una serie di norme gi dettate in materia dalla legge 28 gennaio 1977, n. 10, nonch dalla legge 27 giugno 1974, n. 247. Tutte le ordinanze impugnano l'art. 1 della legge n. 385, con particolare riguardo al primo ed al secondo comma dell'articolo stesso: l'uno rivolto ad ancorare la predetta indennit provvisoria al valore agricolo medio... corrispondente al tipo di coltura in atto nell'area da espropriare )) ovvero, per le aree comprese nei centri edificati, alla coltura pi redditizia tra quelle. interessanti oltre il 5 per cento della superficie coltivata nella regione agraria in questione (previa moltiplicazione di quest'ultimo dato per un coefficiente da 4 a 10 o da 2 a 5, secondo che si tratti di comuni con popolazione superiore o meno ai 100.000 abitanti); l'altro recante il preannuncio di un conguaglio da definire entro un anno. dall'entrata in vigore della legge in esame, mediante un'ulteriore apposita legge sostitutiva delle norme dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale con sentenza n. 5 del 1980 . N i termini essenziali del problema si modificano, per effetto di quelle ordinanze che involgono nelle loro impugnazioni l'articolo l, quarto comma (concernente gli interessi legali, cui l'espropriato potr avere diritto, sulla differenza eventualmente risultante tra l'indennit determinata ai sensi del primo comma e quella definitiva ), l'articolo 2 (relativo ai criteri per determinare l'indennit di occupazione) o l'articolo 3 della legge n; 385 (per cui le disposizioni precedenti non si applicano ai procedimenti in corso, se la liquidazione dell'indennit di espropriazione o di occupazione sia divenuta definitiva, ovvero non impugnabile ovvero sia stata definita con sentenza pass!lta in giudicato alla data di pubblicazione della sentenza della Corte. costituzionale n. 5 del 1980 ); o anche per effetto delle ordinanze che hanno formalmente sollevato questione di legittimit costituzionale dello stesso arti- modo specifico ed esplicito a ci rivolta. Si pensi alla medio tempore soprav venuta prima e potenziata poi efficacia giuridica degli strumenti urbanisti.ci (e dei programmi pluriennali di attuazione), che oggi, e da prima del 1980, devono ritenersi costitutivi della edificabilit, s che ben poco spazio dovrebbe residuare per suscettibilit edificatorie opinate o sperate dagli interessati. Si pensi altres alla sostituzione della licenza edilizia rilasciata al costruttore per permettergli l'attivit edificatoria con la concessione edilizia rilasciata al proprietario (in quanto tale) per aggiungere al suo diritto reale qual cosa che in assenza tale diritto non avrebbe: sostituzione che ha provocato una forte reazione di rigetto ma che ancora l, dove l'ha collocata il legi slatore del 1977. In questo contesto, parlare di precedente disciplina , oltre che discuti bile in termini di diritto intertemporale, appare forse un po' indeterminato, null'altro se non una rimessione al giudice ordinario di un ennesimo com pito di supplenza (compito al cui espletamento l'Avvocatura dello Stato a sua volta chiamata a collabomre). PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 415 colo unico della legge 25 settembre 1981, n. 535 (per il differimento al 31 maggio 1982 del termine di emanazione della legge destinata a disciplinare la definitiva indennit di espropriazione. D'altronde, in parte comuni sono anche le censure che i giudici a quibus rivolgono alle norme impugnate. Tutte le ordinanze richiamano, infatti, l'art. 42 Cost., facendo sempre riferimento al terzo comma, l dove si richiede la corresponsione di un indennizzo a favore dei soggetti 'espropriati. Ma giova ricordare che un tale richiamo assume, fondamentalmente, due . significati diversi: poich alcune ordinanze mettono in dubbio la sola legittimit costituzionale della dissociazione temporale fra l'esproprio e la determinazione del definitivo indennizzo, tanto pi se questo rimane incerto ed aleatorio; mentre altre ordinanze sottolineano che l'indennit provvisoria stabilita dalla legge n. 385, oltre ad introdurre una soluzione di continuit fra pe11dita della propriet e acquisto dell'indennit definitiva, stata puntualmente fondata sui criteri 1gi ritenuti illegittimi dalla pi volte citata sentenza n. 5 del 1980. Nel secondo senso, affiora un implicito richiamo al primo comma dell'art. 136 Cost., per cui la norma dichiarata costituzionalmente illegittima da questa Corte cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione. (omissis) Nel motivare la rilevanza delle proposte impugnative, quasi tutte le ordinanze di rimessione osservano esattamente che la disciplina da esse contestata dovrebbe applicarsi per risolvere le rispettive controversie: in quanto riguardante gli stessi procedimenti in corso nei quali non si sia determinato l'esaurimento del rapporto, ai sensi dell'art. 3 della legge n. 385 del 1980. E l'influenza che una decisione di accoglimento verrebbe ad esplicare nei giudizi a quibus non pu essere comunque messa in dubbio: poich, una volta annullate le norme provvisorie sulla indennit di espropriazione di aree fabbricabili , potrebbe riespandersi e ridivenire applicabile -come ha gi fatto intendere questa Corte, nella sentenza n. 13 del 1980, e come ha precisato la Corte di cassazione la precedente disciplina delle espropriazioni per causa di utilit pubblica. Ci non toglie, per, che non tutte le questioni sollevate dalle ordi nanze in esame siano rilevanti ai fini dei relativi processi. In particolar modo, non viene impugnato a proposito il quarto comma dell'art. 1 della legge n. 385, il quale si liinita a disporre -come gi si ricor dato -che sulla differenza eventualmente risultante tra l'indennit determinata ai sensi del primo comma e quella definitiva... l'espropriato ha diritto agli interessi legali per il periodo intercorrente tra la corre sponsione dell'acconto e quella dell'indennit definitiva: donde una previsione che almeno nell'attuale fase transitoria, in mancanza del l'apposita legge sostitutiva delle norme dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale non concreta alcuna pretesa che le parti attrici possano 2 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO avanzare fin da ora (ed abbiano effettivamente avanzato nei procedimenti dei quali si tratta). Cos pure, difetta la rilevanza quanto all'impugnazione dell'art. 3 della legge n. 385, poich la premessa da cui muovono -espressamente od implicitamente -gli stessi giudici che ne mettono in dubbio la legittimit costituzionale, che nei rispettivi giudizi la liquidazione dell'indennit di esproprio (o di occupazione) non sia divenuta definitiva, ma formi ancora oggetto di controversia. Conclusivamente, dunque, questa Corte tenuta a pronunciarsi sul primo e sul secondo comma dell'art. 1 (nonch sul connesso articolo unico della legge n. 535 del 1981) e sull'art. 2 della legge n. 385 del 1980. (omissis) Va esaminata in via preliminare l'eccezione d'inammissibilit proposta dalla difesa del Comune di Bagno a Ripoli: eccezione che logicamente coinvolge la totalit delle ordinanze in esame. Nella memoria di costituzione di quel Comune si assume, infatti, che la questione sarebbe inammissibile, avendo l'ordinanza di rimessione omesso di estendere l'impugnativa all'articolo unico della legge 25 settembre 1981, n. 535, sul differimento del termine per l'emanazione di una nuova disciplina del1' indennit definitiva; e ci, sebbene la legge di proroga fosse gi stata pubblicata, alla data dell'ordinanza stessa, ed anzi risulti espressamente citata nella motivazione di tale provvedimento. Ma la prima proroga, cui fa riferimento l'amministrazione locale interessata, stata seguita da altre due leggi di differimento della prevista riforma -ignote per ragioni cronologiche a tutti i giudici rimettenti -che rispettivamente hanno spostato il termine al 31 dicembre 1982 (cfr. l'art. 1 del decreto legge 29 maggio 1982, n. 298, convertito nella legige 29 luglio 1982, n. 481) e al 31 dicembre 1983 (secondo l'articolo unico della legge 23 dicembre 1982, n. 943). Se dunque l'eccezione dovesse dirsi fondata, essa verrebbe a ripercuotersi su tutte le ordinanze che hanno dato luogo al presente giudizio: sia pure nel senso di imporre la restituzione degli atti, affinch i giudici a quibus riconsiderino la rilevanza delle loro impugnative in vista della legislazione cos sopravvenuta, piuttosto che determinare un'immediata dichiarazione d'inammissibilit. Senonch l'eccezione va respinta. Le censure configurate dalle ordinanze di rimessione sono rivolte non tanto alla lunghezza del termine originariamente previsto (e ripetutamente differito) per la sostituzione delle impugnate norme provvisorie con una disciplina permanente delle indennit in esame, quanto ai criteri sui quali si fonda l'art. 1, primo comma, della legge n. 385 ed alla radicale incertezza delle prospettive che il legislatore ha aperto con il secondo comma dell'articolo stesso. Ne offre la riprova il fatto che, ove si annullasse il solo termine, non sarebbe escluso che le norme provvisorie di cui al primo comma continuassero ad applicarsi sine die, per lo meno quanto ai procedimenti ! PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA cosmuzIONALE in corso, nei quali i soggetti espropriati non potrebbero pretendere nulla pi dell' acconto attualmente stabilito; mentre, all'opposto, ove fosse dichiarata l'illegittimit costituzionale delle norme prowisorie , le pretese dei proprietari interessati potrebbero venire egualmente soddisfatte, pur senza far cadere il preannuncio dell' indennit definitiva. Ed intuitivo, del resto, che la ricordata catena di proroghe, ormai protratte fino al 31 dicembre 1983, non ha certo sanato ma anzi ha aggravato -in ipotesi -i vizi denunciati dai giudici a quibus. Nel merito, la questione fondata. Per giungere a tale conclusione, non indispensabile verificare se la determinazione della definitiva indennit di esproprio (o di occupazione) possa mai venire dissociata, differendola nel tempo, dall'emanazione del provvedimento ablativo della propriet privata. Quale che sia la risposta da dare a questo problema generale (ed anche ammesso che la soluzione debba essere unitaria ed univoca), l'illegittimit dell'espediente al quale ha fatto ricorso la legge n. 385 discende dalla peculiare configurazione delle impugnate norme provvisorie: le quali risultano comunque divergenti dal modello costituzionale di indennizzo , previsto nel terzo comma dell'art. 42, ed in pari tempo violano il primo comma dell'art. 136 della Costituzione. Anzitutto, non pu essere trascurata o sottovalutata la testuale corrispondenza riscontrabile fra l'art. 16, quinto, sesto e settimo comma, della legge 22 ottobre 1971, n. 865 (nel testo modificato dall'art. 14 della legge 28 gennaio 1977, n. 10), e l'art. l, primo comma, della legge 29 luglio 1980, n. 385. Cos disponendo, la legge n. 385 ha infatti restaurato gli stessi criteri di commisurazione dell'indennit di esproprio he questa Corte aveva dichiarato costituzionalmente illegittimi, mediante la sentenza n. 5 del 1980: il che, peraltro, era noto al Parlamento, come risulta dai lavori preparatori e, prima ancora, dalla relazione al disegno governativo n. 732, comunicato alla Presidenza del Senato il 13 febbraio 1980. Ora, ben vero che tale riproduzione stata operata sulla base di un titolo formalmente diverso da quello che la Crte aveva preso in con siderazione, dato il carattere provvisorio e non definitivo dell'indennit che attualmente in esame; ma chi guardi alla sostanza della disciplina denunciata, non pu essere soddisfatto da questo tipo di giustificazione. Al di l delle denominazioni utilizzate dalla legge n. 385, resta cio che il cosiddetto acconto rappresenta per adesso l'unico indennizzo cui abbiano diritto i soggetti espropriati; mentre del conguaglio, del quale si ragiona nel secondo comma dell'art. l, nulla dato sapere, n in vista delle pretese che i proprietari espropriati potrebbero promuo vere in tal senso, n in vista del sindacato che la Corte chiamata ad effettuare. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 418 In ci risiede un'ulteriore peculiarit delle disposizioni impugnate, che integra e qualifica il dato consistente nell'aver fatto rivivere norme gi divenute inefficaci, in conseguenza del loro annullamento da parte della Corte stessa. Effettivamente, il secondo comma dell'art. 1 non si limita a differire l'operativit del conguaglio, ma non ne definisce in modo contestuale neppure le caratteristiche essenziali, in quanto trascura di prefigurarne gli stessi criteri informatori. Di pi: dall'art. 1 della legge n. 385 non si riesce neanche a desumere, con la necessaria sicurezza, se ai soggetti espropriati sia stata comunque garantita una indennit definitiva pi elevata di quella provvisoria, o almeno equivalente ad essa (come farebbe pensare, a prima vista, la lettera del quarto comma) o se il conguaglio non possa addirittura risultare negativo (come stato ipotizzato gi nel corso dell'approvazione della legge medesima). D'altra parte, a tutto questo si aggiunge la mancata previsione d'un qualsiasi effetto conseguente all'inutile scadenza del termine indicato per l'emanazione dell' apposita legge sostitutiva delle norme dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale: poich non certo ed anzi parrebbe smentito dalle parole introduttive dell'art. l, primo comma, che alle norme provvisorie debbano in tal caso subentrare altre norme vigenti, come quelle dettate dalla legge n. 2359 del 1865. E, nel mentre il problema dell' indennit definitiva resta aperto, il termine stato pi volte prorogato: con la gi ricoridata conseguenza che, a tre anni e mezzo dalla sentenza n. 5 del 1980, le Camere non hanno ancora adottato - nelle forme costituzionali -i provvedimenti di loro competenza, previsti dall'art. 136 cpv. della Costituzione. Cos stando le cose, fuor di luogo appellarsi -come. fa l'Avvocatura dello Stato -alla passata giurisprudenza della Corte, per argomentarne che resterebbe sempre affidato all'insindacabile apprezzamento del legislatore stabilire in che momento debbano scadere le discipline del tipo in esame, soprattutto ove il termine finale di efficacia risulti approssimativamente e ragionevolmente determinabile nel quando (secondo le indicazioni della sentenza n. 16 del 1968). A parte ogni altra considerazione, citazioni del genere non sono appropriate: sia perch la proroga allora sindacata dalla corte non era preceduta da alcuna decisione di accoglimento, che avesse dichiarato illegittime le norme successivamente prorogate; sia perch, in ogni caso, la stessa Avvocatura ha ritenuto ragionevole -nella specie -una normativa transitoria destinata a scadere entro un anno, ma non si pronunciata sui differimenti disposti nel 1981 e nel 1982. Ben pi pertinente invece il richiamo ad altre decisioni di questa Corte, come quelle che hanno chiarito il senso del primo comma del l'art. 136 Cost. In particolar modo, va fatto cio riferimento alla sentenza n. 73 del 1963, in cui si precisato che il rigore del citato precetto PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE costituzionale impone al legislatore di accettare la immediata cessa zione dell'efficacia giuridica della norma illegittima, anzich prolun game la vita sino all'entrata in vigore di una nuova disciplina del set tore; e, nel medesimo senso, va ricordata la sentenza n. 88 del 1966, l dove la Corte ha riaffermato che le decisioni di accoglimento hanno per destinatario il legislatore stesso, al quale quindi precluso non solo il disporre che la norma dichiarata incostituzionale conservi la propria efficacia, bens il perseguire e raggiungere, anche se indirettamente, esiti corrispondenti a quelli gi ritenuti lesivi della Costituzione. appunto questo il vizio nel quale incorre, specialmente per ci che riguarda i rapporti pregressi di cui si controverte nei giudizi a quibus, l'art. 1 della legge n. 385 del 1980. La riproduzione delle norme gi dichiarate illegittime mediante la sentenza n. 5 del 1980, sebbene operata in via nominalmente provvisoria, non stata infatti compensata -come gi si notato -da alcuna predeterminazione dell' indennit definitiva>>, che garantisse il serio ristoro dei soggetti espropriati; mentre il quadro normativo in cui si inserito e tuttora s'inserisce l'articolo stesso non per nulla mutato, rispetto a quello in cui si collocava (e dal quale traeva argomento) la pronuncia della Corte che ha inciso sulla disciplina espropriativa, dettata dalle leggi n. 865 del 1971 e n. 10 del 1977. Per questo concorrente insieme di ragioni dev'essere dunque dichiarata l'illegittimit costituzionale dell'art. l, primo e secondo comma, e dell'art. 2 della legge n. 385 del 1980 (nonch dell'articolo unico della legge 25 settembre 1981, n. 535). E restano, in conseguenza, assorbiti gli altri motivi di denuncia, variamente prospettati ad opera di alcune fra le ordinanze in esame. Ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, la predetta pronuncia di accoglimento comporta, inoltre, la dichiarazione dell'illegittimit costituzionale derivata delle residue norme della legge n. 385 (e de gli ulteriori provvedimenti legislativi ad essa collegati), che hanno inteso fornire una prima risposta alla sentenza n. 5 del 1980: vale a dire, dell'art. 1, terzo, quarto e quinto comma, e dell'art. 3 della legge medesima, nonch degli articoli unici della legge 29 luglio 1982, n. 481, e della legge 23 dicembre 1982, n. 943 (sul differimento del termine di cui all'arti colo 1 della legge 29 luglio 1980, n. 385, in materia di indennit di espro priazione e di occupazione di urgenza). All'atto di prendere tali decisioni, la Corte consapevole delle gravi difficolt, di ordine politico, giuridico e finanziario, che hanno finora ostacolato il Parlamento nell'approvazione di una nuova e permanente disciplina delle indennit per l'espropriazione di aree edificabili. Ma le difficolt non vengono certo attenuate, ritardando a dismisura la necessaria soluzione del problema e lasciando intanto le pubbliche ammini strazioni in una situazione di radicale incertezza, quanto ai costi da preventivare e da sopportare in materia. 420 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO N vale replicare che, a questo punto, i costi sarebbero comunque 420 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO N vale replicare che, a questo punto, i costi sarebbero comunque (Cost., art. 3; I. 18 marzo 1958, n. 311, art. 22; 1. 24 novembre 1967, n. 1154, art. 13). Non contrastano con il principio di eguaglianza le disposizioni che richiedono l'abilitazione alla libera docenza come requisito per il comando di insegnanti medi per provvedere ad insegnamenti universitari; rimane dunque eccezionale la non necessit di detta abilitazione per i comandi concernenti l'insegnamento di una lingua straniera nelle facolt di scienze economiche, scienze politiche e similari. Con l'art. 115 r.d. 31 agosto 1933, n. 1592, fu stabilito, tra l'altro, che, per provvedere temporaneamente ad insegnamenti di livello superiore, potevano essere comandati presso le Universit o Istituti superiori presidi o professori di ruolo degli istituti pubblici di istruzione media. Tale disposizione di principio venne confermata con l'art. 22 della legge 18 marzo 1958, n. 311, col quale peraltro (comma primo) si restrinse la facolt di comando prevedendo che in linea di massima il Ministro potesse avvalersene solo se il preside o il professore destinatario del comando fosse in possesso di abilitazione alla libera docenza. Tale requisito era per espressamente escluso per l'incarico di insegnamento di una lingua straniera nelle Facolt di Economia e Commercio Con l'art. 31 legge 24 febbraio 1967, n. 62, la detta possibilit di comando fu estesa anche a favore del personale docente, direttivo ed ispettivo della scuola elementare (comma secondo), sempre a condizione che fosse provvisto della abilitazione alla libera docenza, mentre fu allargata la possibilit di comando senza libera docenza per i professori appartenenti ai ruoli degli Istituti di istruzione secondaria di primo e di insostenibili. La Corte, infatti, non ha mai affermato che l'indennizzo richiesto dal terzo comma dell'art. 42 Cost. sia necessariamente pari al giusto prezzo che... avrebbe avuto l'immobile in una libera contrattazione di compravendita (secondo il criterio fissato dall'art. 39 della legge n. 2359 del 1865); ma ha costantemente ripetuto (come si legge nella sentenza n. 5 del 1980) che basta allo scopo un ristoro serio e tale da non ledere il principio costituzionale di eguaglianza. CORTE COSTITUZIONALE, 22 febraio 1984, n. 38 -Pres. Elia -Rei. Maccarone -Vivan (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Onufrio). Istruzione e scuole Istruzione superiore Comando di docenti medi Abilitazione alla libera docenza Necessit -Eccezioni. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE secondo grado per le Facolt di scienze politiche e presso le Facolt di scienze economiche e bancarie, limitatamente all'insegnamento di lingue straniere (comma quarto). Con lo stesso art. 13 (comma terzo) si dispose altres che i comandi del personale provvisto di libera docenza potevano essere disposti anche presso l'Universit per stranieri di Perugia, ma con l'articolo unico della legge 24 novembre 1967, n. 1154 tale requisito venne eliminato, restando cos aperta la possibilit di comando del citato personale docente presso l'Universit per stranieri di Perugia anche in difetto di detta abilitazione. Infine, con l'art. 1 della legge 30 novembre 1970, 111. 924, furono aboliti gli esami di abilitazione alla libera docenza, a partire dalla sessione del 1970. Secondo l'ordinanza del Consiglio di Stato le norme ricordate, nella parte in cui non consentono agli insegnanti dell'ordine medio privi della abilitazione alla libera docenza di essere comandati per assumere inca richi per materie diverse dalla lingua straniera e presso Facolt diverse da quelle di Economia e Commercio, Scienze politiche, Scienze economi che e bancarie o Universit diverse da quelle per stranieri di Perugia, istituirebbero una irrazionale disparit di trattamento a danno degli esclusi. E ci, in quanto, sostanzialmente, secondo l'ordinanza di rinvio, il requisito come sopra richiesto, assumerebbe il carattere non di un pur esigibile titolo preferenziale per l'attribuzione dell'incarico di insegnamento, ma di un vero e proprio presupposto per il conferimento dello incarico stesso, non razionalmente giustificabile come tale, una volta che sono ammessi all'insegnamento presso talune Facolt universitarie, non di minore importanza delle altre, docenti non provvisti della abilitazione in parola. La questione cos sollevata non fondata. E' infatti agevole osservare che il legislatore si indotto alla descritta disciplina del comando uni versitario nell'intento di sopperire alle carenze di personale denunziate dall'Amministrazione dell'istruzione superiore, e ci ha fatto tenendo presenti quelli che, a suo giudizio, costituivano requisiti di base atti a garantire appunto che il rimedio utilizzato fosse idoneo allo scopo per la qualit dei docenti designati. Indicando nel possesso della abilitazione alla libera docenza la condizione necessaria per il comando, il legislatore si mosso nell'ambito della sua discrezionalit, certamente comprensiva della determinazione dei requisiti idonei a garantire l'attitudine del docente allo svolgimento dei compiti affidatigli. Va d'altra parte, ricono sciuto che l'abilitazione alla libera docenza ben poteva essere considerata requisito atto allo scopo suddetto; trattavasi invero dell'abilitazione ad impartire insegnamenti universitari aventi lo stesso valore di quelli ufficiali, conseguita all'esito di un apposito esame condotto su prove impegnative, tendenti ad accertare l'idoneit dell'aspirante. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STTO 422 N giova obiettare, come fa l'oroinanza, che la limitazione a certe Facolt della condizione per il comando renderebbe irrazionale la differenziazione in vista della pari dignit scientifica delle Facolt per le quali invece il requisito non richiesto. Invero, anche con riguardo a tale scelta il legislatore non ha creato arbitrariamente situazioni di sfavore, ma ha tenuto razionalmente conto delle particolari caratteristiche delle Facolt che, per l'oggetto delle discipline o per l'orientamento fondamentale e le caratteristiche didattiche, potevano prestarsi per il comando di docenti non provvisti del requisito della libera docenza. Dette conclusioni sono valide a maggior ragione per quanto riguarda l'esclusione del requisito della libera docenza per i comandi presso la Universit per stranieri di Perugia, il cui carattere, anche per le peculiarit del corpo docente, come si legge nella relazione alla legge 24 novembre 1967, n. 1154, consente che gli insegnanti possiedano una quali ficazione professionale indipendenze dall'abilitazione alla libera docenza. (omissis) N infine pu essere condivisa la censura sollevata dal Consiglio di Stato sotto il particolare profilo della lesione del principio di eguaglianza che deriverebbe dalla avvenuta abolizione degli esami di abilitazione alla libera docenza ex art. 1 legge n. 924 del 1970, ed in virt della quale gli insegnanti che non hanno potuto sostenere gli esami prima dell'abolizione si troverebbero nella impossibilit di conseguire il titolo richiesto dalla norma impugnata, e quindi in una situazione di inferiorit irreversibile, ed a loro non imputabile, nei confronti di coloro che, invece, avendo goduto del regime precedente, avevano potuto conseguire l'abilitazione. In sostanza, secondo il giudice a quo, si dovrebbe affermare il contrasto con il principio di eguaglianza delle diverse situazioni conseguenti all'evoluzione nel tempo della disciplina dell'istituto giuridico in discorso. Al riguardo, peraltro, anche senza entrare nel merito dei motivi che indussero il legislatore ad abolire gli esami di abilitazione alla libera docenza nel quadro della riforma dell'istruzione superiore, non pu che confermarsi la costante giurisprudenza della Corte secondo la quale non contrasta con il principio di eguaglianza un differenziato trattamento applicato alla stessa categoria di soggetti ma in momenti diversi nel tempo, giacch lo stesso fluire di questo costituisce di per s un elemento differenziatore (sent. 57/73, 92/75, 138/77, 65/79). D'altra parte, non si tratta di una disposizione isolata, poich in numerose norme successive alla legge del 1970, soppressiva dell'esame di abilitazione alla libera docenza, si fatto esplicito riferimento a tale qualifica accademica come titolo valutabile ai vari fini (v. ad es. art. 4 d.P.R. 30 dicembre 1971, n. 1252 che approva il regolamento per l'ammis PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE sione al concorso per la carriera diplomatica; art. 64 d.P.R. 31 ottobre 1973, n. 1145 che approva il nuovo statuto del Politecnico di Torino; art. 4 d.l. 1 ottobre 1973, n. 580, convertito in legge 30 novembre 1973, n. 766, concernente la nuova disciplina degli incarichi universitari; art. 21 legge 18 aprile 1975 sull'assunzione del personale sanitario ospedaliero; art. 3 legge 30 aprile 1976, n. 197 sulla disciplina dei concorsi per trasferimento di notai; art. 12 lett. Q 1. 21 febbraio 1980, n. 28 concernente delega al governo per il riordinamento della docenza universitaria). CORTE COSTITUZIONALE, 29 marzo 1984, n. 78 -Pres. Elia -Rel. Ferrari -Arrais ed altri (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Carafa). Fonti del diritto Legge -Procedimento legislativo Camera dei deputati Maggioranza dei presenti Esclusione degli astenuti -Legittimit costituzionale. {Cost., artt. 64 e 72; I. 22 ottobre 1971, n. 865, tutti gli articoli)!. Il regolamento di una Camera -e, quindi, l'interpretazione da questa data alla Costituzione -spiega efficacia nei confronti dell'altra Camera, e viceversa; ognuna delle due assemblee, nella sua discrezionale valutazione, pu stabilire in via generale ed astratta quale sia, ai fini del computo della maggioranza e, quindi, della validit delle deliberazioni, il valore dell'un modo o dell'altro di manifestare la volont di non partecipare alla votazione. (omissis) La legge in parola sarebbe costituzionalmente illegittima, perch in sede di approvazione finale del testo sarebbe stata approvata, alla Camera dei deputati, senza la maggioranza prescritta dalla Costituzione. Al riguardo di ogni disegno di legge -si osserva nelle ordinanze l'art. 72, primo comma, Cost. stabilisce che esso dev'essere approvato artiolo per articolo e con votazione finale; a riguardo delle deliberazioni di ciascuna Camera, l'art. 64, terzo comma, Cost. recita testualmente che esse non sono valide... se non sono adottate a maggioranza dei... componenti " Il disegno di legge di che trattasi, invece, alla Camera dei deputati fu approvato regolarmente articolo per articolo, ma nella votazione finale raccolse solo la maggioranza dei votanti, ma non anche quella dei presenti, e tuttavia ne venne proclamata l'approvazione. Ci, in applicazione dell'art. 48, secondo comma, del regolamento di quella Camera, a norma del quale, dovendosi considerare presenti coloro che esprimono voto favorevole o contrario '" gli astenuti non vengono compuputati. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 424 Nella seduta del 26 maggio 1971, infatti -si precisa nell'ordinanza e non viene contestato dall'Avvocatura -quando appunto ebbe luogo la votazione finale, erano presenti 473 deputati, dei quali: 198 votarono a favore dell'approvazione del testo complessivo del disegno di legge; 191 contro e 154 si astennero, mentre il disegno di legge, a sensi dell'art. 64, terzo comma, Cost., per essere approvato, avrebbe dovuto riportare 237 voti favorevoli (473:2-1) .Vero -si soggiunge -che successivamente, in seguito alle numerose modifiche apportate dal Senato al testo, la Camera dei deputati approv regolarmente gli articoli emendati dall'altro ramo del Parlamento e riapprov l'intero testo con nuova votazione finale, ma vero altres che il disegno di legge... non avrebbe potuto essere trasmesso al Senato. Dalla prospettazione test compendiata emerge con tutta nettezza che la questione in sostanza quella del valore dell'espressione presenti ; pi propriamnte, del valore che essa assume nella locuzione maggioranza dei presenti. L'art. 64, primo comma, Cost. statuisce che ciascuna Camera adotta il proprio regolamento . Ed secondo le norme del suo regolamento che ognuna delle due Camere esamina i disegni di legge (art. 72, primo comma, Cost.); ancora il regolamento di ognuna delle due Camere che pu persino stabilire procedimenti abbreviati (art. 72, secondo comma, Cost.); sempre il regolamento di ognuna delle due Camere che pu altres stabilire , tanto i casi , quanto le forme , in cui i disegni di legge possono addirittura essere approvati in commissione, anzich nel plenum (art. 72, terzo comma, Cost.). Dai dati testuali, la cui fedele trascrizione ne mostra l'univocit, risultano la spettanza di autonomia normativa ad entrambi i rami del Parlamento e la peculiarit e dimensione di tale autonomia. riconosciuta, infatti, a ciascuna Camera la potest di disciplinare il procedimento legislativo in tutto ci che non sia direttamente ed espressamente gi disciplinato dalla Costituzione. Ne consegue che questa lascia un margine piuttosto ampio all'interpretazione ed attuazione del pensiero del costituente in materia e che l'interpretazione ed attuazione in parola sono di esclusiva spettanza di ciascuna Camera. Ci significa che, relativamente alla disciplina del procedimento legislativo, i regolamenti di ogni Camera in quanto diretto svolgimento della Costituzione, sono esercizio di una competenza sottratta alla stessa legge ordinaria. Ma se l'autonomia normativa di ognuno dei due rami del Parlamento costituisce preclusione persino nei confronti del legislatore ordinario, si deve a maggior ragione ritenere che il regolamento di una Camera -e, quindi, l'interpretazione da questa data alla Costituzione -spiega eguale efficacia nei confronti dell'altra Camera, e viceversa. PARTB I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E allora, comprendere gli astenuti tra i votanti ai fini della validit delle deliberazioni, come secondo antica e consolidata pratica accade in Senato -il cui art. 107.1, peraltro, recita che ogni deliberazione... presa a maggioranza dei Senatori che partecipano alla votazione -ovvero escluderli, come dispone il regolamento della Camera, sono interpretazioni ed attuazioni senza. dubbio diverse dell'art. 64, terzo comma, Cost., che hanno piena spiegazione appunto nella reciproca autonomia normativa test affermata. Dal constatato divario non discende, tuttavia, necessariamente che una delle due contrasti con la Costituzione. A ben guardare, infatti, dichiarare di astenersi (alla Camera) ed assentarsi (al Senato) sono manifestazioni di volont che si differenziano solo formalmente -come una dichiarazione espressa si differenzia da un comportamento concludente -ma che in realt poi si accomunano grazie all'univocit del risultato cui entrambe mirano con piena consapevolezza, che quello di non concorrere all'adozione dell'atto collegiale. In definitiva, potrebbe anche dirsi che rientrano fra i modi di votazione. Se cos , ben pu allora ognuna delle due assemblee, nella sua discrezionale valutazione, stabilire in via generale ed astratta quale sia, ai fini del computo della maggioranza e, quindi, della validit delle deliberazioni, il valore dell'un modo o dell'altro, di manifestare la volont di non partecipare alla votazione. Gli argomenti svolti in ordine al significato della locuzione maggioranza dei presenti, di cui all'art. 64, terzo comma, Cost. comportano la dichiarazione di non fondatezza della questione di legittimit costituzionale dell'intera legge n. 865 del 1971. (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 29 marzo 1984; n. 80 -Pres. Elia -Rel. Reale Scaletti ed altri (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Onufrio). Procedimento penale -Tribunale della libert -Richiesta di riesame ad opera del difensore Termine. (Cost., art. 24; cod. proc. pen., art. 263 bis). Contrasta con l'art. 24 Cast., ed costituzionalmente illegittimo l'articolo 263 bis cod. proc. pen., comma secondo, come sostituito dall'art. 7 della legge 12 agosto 1982, n. 532, nella parte in cui dispone che il termine di cinque giorni per la richiesta di riesame da parte del difensore dell'imputato detenuto decorra dall'esecuzione del provvedimento, anzich dalla sua notifica al difensore o comunque da quando egli abbia conoscenza del provvedimento stesso. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 426 (omissis) La legge 12 agosto 1982, n. 532 (disposizioni in materia di riesame dei provvedimenti restrittivi della libert personale e dei prov vedimenti di sequestro), ha, tra l'altro, con l'art. 7 modificato l'art. 263 bis cod. proc. civ. e con l'art. 8 inserito l'art. 263 ter cod. proc. pen. Queste due norme, le quali insieme con l'art. 263 quater introducono e regolano l'istituto del riesame dei mandati di cattura e degli ordini di arresto, dispongono che contro i detti provvedimenti (nonch quelli sostitutivi della custodia in carcere o di revoca degli stessi) l'imputato o il suo difensore possono proporre richiesta di riesame, anche nel merito; che la richiesta, quando si tratti di imputato detenuto, deve essere pro posta entro cinque giorni dall'esecuzione del provvedimento; che l'autorit che ha emesso il provvedimento, appena le perviene richiesta di rie same e non oltre ventiquattro ore, la trasmette con gli atti del procedimento o copia di essi al tribunale del capoluogo di provincia (correntemente definito Tribunale della libert) in cui ha sede l'ufficio che ha emesso il provvedimento stesso; che il tribunale entro tre giorni dal ricevimento dell'atto (prorogabili di altri tre giorni con decreto motivato) conferma o revoca il provvedimento, e se non decide entro i termini indicati, il mandato o l'ordine di cattura o di arresto cessa di avere efficacia. Nel rilevare la novit di questo istituto dottrina e giurisprudenza, di scordi circa il suo inquadramento, sono concordi nell'escludere che si tratti di appello, in ragione dell'effetto totalmente e incondizionatamente devolutivo, anche in mancanza di motivi, della richiesta di riesame; mentre pacifico, perch, come si ricordato, espressamente indicato dalla norma, che la richiesta di riesame pu essere proposta dall'imputato o dal suo difensore. Ora i giudici rimettenti -pi precisamente il tribunale di Roma impugnando il nuovo testo dell'art. 263 bis c.p.p., il tribunale di Cosenza impugnando l'art. 7 della legge 12 agosto 1982, n. 532 che lo ha sostituito al precedente testo -dubitano che sia conforme al diritto costituzionale di difesa nonch al principio di eguaglianza, che il termine di cinque giorni per proporre la richiesta di riesame del provvedimento restrittivo decorra anche per il difensore, oltre che per l'imputato, dalla esecuzione del provvedimento stesso, del quale il difensore pu non essere ancora a conoscenza. La questione fondata. La Corte ha stabilito in molte decisioni (da ultimo nelle sentenze nn. 162 del 1985, 125 del 1979, 188 del 1980) l'essenzialit della difesa tecnica ai fini del rispetto dell'art. 24 della Costituzione, anche se ha ritenuto che il diritto di difesa, quanto alle modalit del suo esercizio, possa essere dal legislatore diversamente regolato ed adattato alle speciali esigenze dei singoli procedimenti, purch non ne siano pregiudicati Io scopo e le funzioni (sentenza n. 159 del 1972). PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 427 Ora, come sostanzialmente osservano le ordinanze di rimessione, l'articolo 263 bis c.p.p. da una parte ammette il difensore a proporre la richiesta di riesame, dall'altra non gli assicura l'esercizio di questo diritto tutte le volte che egli non abbia cogmz1one del provvedimento prima della scadenza del termine per la richiesta o che l'abbia in immediata prossimit di essa. (omissis) A parte ogni altra considerazione, infatti, sta quella di per s decisiva che lo stesso legislatore a riconoscere, nel procedimento di cui trattasi, il diritto alla difesa tecnica. Non poteva quindi negarne l'esercizio in tutte le situazioni nelle quali il difensore non abbia potuto avere conoscenza del provvedimento restrittivo prima della scadenza del termine fissato o l'abbia avuta in prossimit della scadenza stessa. Da ci una sostanziale violazione del diritto di difesa e quindi dell'art. 24, secondo comma, della Costituzione. La riconosciuta fondatezza della questione in riferimento all'art. 24 della Costituzione esime la Corte dall'esame di essa con riferimento all'art. 3 della Costituzione, altro parametro indicato nella ordinanza di rimessione. CORTE COSTITUZIONALE, 5 aprile 1984, n. 89 -Pres. Elia -Rel. Saja -Pettirossi ed altri (avv. Zavattaro Ardizzi) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Cosentino). Locazione -Immobili urbani destinati ad uso non abitativo -Proroga biennale Legittimit costituzionale in quanto ultima proroga. (Cost., artt. 41 e 42; I. 25 marzo 1982, n. 94, art. 15 bis). La disciplina vincolistica sui rapporti di locazione di immobili urbani (nella specie, destinati ad uso diverso da quello di abitazione) va confrontata con l'art. 42 Cost. (tutela costituzionale del diritto di propriet) e non con l'art. 41 Cost. (tutela costituzionale dell'iniziativa economica privata). La proroga biennale stabilita con la legge n. 94 del 1982 non contrasta con la Costituzione in quanto ultimo e definitivo anello di congiunzione della graduale attuazione della nuova disciplina (1).' {1) L'affermazione riportata nella prima parte della massima ha una portata che interessa non solamente il regime delle locazioni, ma anche il trattamento tributario della propl1iet immobiliare. La trasformazione di tutti i redditi (anche fondiari) conseguiti da societ in redditi d"impresa divenuto veicolo mediante il quale in pi modi si tenta di dissolvere la distinzione tra immobili oggettivamente strumentali (cfr. art. 25, terzo comma, lett. d, del d.P.R. n. 643 del 1972) o addirittura ammortizzabili, da un lato, ed immobili diversi dagli anzidetti (ad esempio, destinati alla locazione abitiativa), d'altro lato. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO La legge 27 luglio 1978, n. 392 (c.d. legge sull'equo canone), disciplinando in via transitoria il passaggio dalla vecchia alla nuova normativa sulle locazioni di immobili urbani, ha considerato nel capo secondo del titolo secondo quelle aventi ad oggetto gli immobili destinati ad uso diverso da quello di abitazione. Rispetto a questi essa dispose nell'art. 67 che i contratti sottoposti a proroga secondo la legislazione fino ad allora vigente erano prorogati secondo le previsioni delle lettere a), b) e e) e scadevano perci rispettivamente negli anni 1982 (a decorrere dal mese di agosto), 1983 e 1984; mentre, per quelli non soggetti a proroga, essa previde nell'art. 71 una .disciplina tendenzialmente ispirata, quanto alla durata del rapporto, alla nuova normativa degli artt. 27 e 42. Successivamente l'art. 15 bis legge 25 marzo 1982, n. 94, di conversione del d.l. 25 gennaio 1982, n. 9, ha, nel primo comma, ulteriormente prorogato di due anni le scadenze delle locazioni di immobili non destinati ad uso abitativo limitatamente a quelle gi soggette a proroga (e cio le locazioni previste dalle lettere a), b) e e) del cit. art. 67), nulla disponendo invece per quelle non soggette a proroga, considerate nell'art. 71. (omissis) Il giudice a quo dubita della legittimit costituzionale della norma del ricordato art. 15 bis 1. 25 marzo 1982, n. 94, la quale contrasterebbe: 1) con l'art. 42, secondo comma, della Costituzione per avere imposto un regime di proroga legale incompatibile con i diritti spettanti al proprietario di un immobile urbano; 2) con l'art. 41, primo e secondo comma, della Costituzione, per avere imposto un regime di proroga legale in contrasto con la libert di iniziativa economica spettante al locatore; 3) con l'art. 3, primo comma, della Costituzione per avere riservato un trattamento uniforme a situazioni differenziate, come quelle dei commercianti, artigiani o lavoratori autonomi titolari di una piccola impresa rispetto agli altri conduttori pi abbienti; 4) con lo stesso art. 3, primo comma, della Costituzione sotto diverso profilo, per ingiustificata disparit di trattamento tra pi locatori e pi conduttori di immobili destinati ad uso diverso dall'abitazione, i quali sono soggetti a regime di proroga in base alla sola circostanza che il loro contratto sia stato o meno sottoposto al cessato regime di vincolo e senza che sia stata considerata l'analoga situazione dei contratti di cui al suddetto art. 71 legge n. 392 del 1978. Relativamente alla prima questione va rilevato che il problema, nelle sue linee generali, venuto pi volte all'esame della Corte, la quale ha ritenuto la legittimit costituzionale della disciplina vincolistica sulla fondamentale considerazione che essa trovava giustificazione nella gravissima ed eccezionale congiuntura del mercato edilizio ed aveva perci carattere di straordinariet e temporaneit. ~ I PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE La Corte, peraltro, ha avvertito che, appunto in dipendenza di tale natura, la normativa. de qua non poteva perdurare illimitatamente senza trasformare il regime del blocco in una disciplina ordinaria, la quale non avrebbe tutelato in maniera adeguata il diritto di propriet, violando cos l'art. 42 della Costituzione. Conseguentemente con varie pronunce (e in particolare con le decisioni nn. 3 e 225 del 1976) essa ha sollecitato il 'legislatore ordinario ad approntare, nel pieno rispetto del citato art. 42 Cost., una disciplina organica e permanente nella materia; d,isciplina che, dopo vari rinvii, stata emanata mediante la citata legge 27 luglio 1978, n. 392. Con essa fu instaurato un regime diverso da quello del blocco e vennero emanate le necessarie norme transitorie, le quali hanno inciso anch'esse sulla durata del rapporto locatizio, in quanto dirette a regolare il passaggio necessariamente graduale dalla precedente alla nuova disciplina. Appunto al profilo di ordine transitorio, ossia a quello considerato dall'art. 67, si riferisce la norma impugnata la quale, come si detto, ha ulteriormente prorogato di due anni le scadenze ivi stabilite per le locazioni non abitative e gi soggette a proroga. Indubbiamente tale proroga costituisce una non lieve anomalia nel quadro normativo conseguente alla citata legge n. 392/78 e va sottolineato come trattasi dell'unica volta in cui il legislatore ha ritenuto di poter derogare alla nuova normativa con l'introdurre un'ulteriore proroga del rapporto locativo: non sono mancate invero successive disposizioni legislative per venire incontro alle singole e concrete esigenze dei conduttori, ma esse hanno avuto' per oggetto soltanto il termine per l'esecuzione del provvedimento di rilascio e quindi si pongono su un piano completamente diverso. L'anomalia, come opportunamente e con ricchezza di riferimenti ricorda l'ordinanza . de qua, venne rilevata in sede di lavori preparatori alla Camera dei Deputati e da pi parti vennero espresse preoccupazioni sulla legittimit costituzionale della norma in relazione alle note decisioni di questa Corte. Ci nonostante, prevalse l'orientamento positivo sulla base del determinante rilievo che da quell'anno (1982) avrebbe avuto inizio la massiccia scadenza di un notevole numero di locazioni di immobili non destinati ad abitazione (art. 67, primo comma lett. a), senza che fosse stata predisposta alcuna delle misure indispensabili per non turbare l'equilibrio del mercato, il che avrebbe potuto determinare pericolose conseguenze sul livello dei prezzi e quindi sul fenomeno inflattivo e, in genere, sull'economia nazionale. In altri termini, la proroga fu disposta soltanto per adeguare la disciplina transitoria che, a contatto con la realt, si era rivelata insufficiente. Di ci si ebbe piena consapevolezza durante i lavori preparatori, nei quali fu chiarito che si trattava di una misura del tutto ecce RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO zionale, dovuta ad esigenze di mera natura temporanea ed inerente quin di ad una situazione assolutamente irripetibile (cfr. l'ordine del giorno n. 9/3108/2). E appunto in relazione al ricordato carattere della norma, e quindi al fine di bilanciare in qualche modo lo straordinario sacrificio imposto al locatore, furono concessi notevoli aumenti del canone, oltre al recupero, a partire dal secondo anno, della svalutazione monetaria frattanto maturata. Tutto ci considerato, la Corte, pur avvertendo le serie preoccupa . zioni e perplessit che la norma impugnata pu destre, ritiene tuttavia di escluderne l'illegittimit costituzionale in quanto essa risulta sostan zialmente diretta a costituire l'ultimo e definitivo anello di congiunzione della graduale attuazione della nuova disciplina, senza che possa consen tirsi un ulteriore analogo intervento legislativo. Va anche esclusa la fondatezza della seconda questione, con cui il giudice a quo deduce che il potere d'iniziativa economica privata, previsto dall'art. 41 della Cstituzione, sarebbe stato ingiustificatamente sacrificato dalla norma impugnata. Premesso, invero, che l'autonomia negoziale non , come tale, elevata a diritto costituzionalmente garantito, salve specifiche previsioni, qui non ricorrenti, va osservato che il richiamo all'iniziativa economica privata non sembra pertinente, in quanto nella specie non viene dedotta alcuna attivit produttiva del locatore, ma si verte soltanto in tema di godimento di un bene, quale l'immobile dato in locazione; sicch la nor ma applicabile quella, sopra esaminata, dell'art. 42 Cost., specificamente relativo allo statuto della propriet privata. Il che rende superfluo rilevare che, essendo anche !';iniziativa economica ammessa nei limiti dell'utilit sociale, gli argomenti sopra esposti a proposito del diritto di propriet escluderebbero analogamente l'illegittimit costituzionale della norma sotto l'angolo visuale del ricordato art. 41 Cost. (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 4 maggio 1984, n. 135 Pres. Elia Rel. Paladin Regione Trentino-Alto Adige (avv. Benvenuti) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato D'Amico). Trentino-Alto Adige -Ordinamento delle aziende di credito Approvazione delle modifiche statutarie -Attribuzione regionale. (Statuto regione Trentino-Alto Adige, t.u. del 1972, artt. 4, 5 e 16; d.P.R. 26 marzo 1977, n. 234, art. 3). Non contrasta con lo Statuto della regione Trentino-Alto Adige l'atrribuzione a detta Regione del potere di approvare gli schemi di atti co::.titutivi e statuti delle aziende di credito a carattere regionale. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Nel corso di due procedimenti relativi all'omologazione di deliberazioni assembleari delle Casse rurali di Tuenno e di Darzo, il Tribunale di Trento ha sollevato -con ordinanze rispettivamente emesse il 20 gennaio e il 24 febbraio 1983 -questione di legittimit costituzionale dell'art. 3, primo comma, del d.P.R. 26 marzo 1977, n. 234 (norme di attuazione dello statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige in materia di ordinamento delle aziende di credito a carattere regionale), per pretesa violazione degli artt. 4, 5 e 13 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 5, nonch dell'art. 116 Cost. nella parte in cui si conferiscono alla Regione Trentino-Alto Adige poteri di vigilanza e di controllo su enti ed aziende di credito, che avrebbero invece dovuto restare riservati alla Banca d'Italia, l'impugnata disciplina di attuazione statutaria eccederebbe, infatti, la previsione dell'art. 5 n. 4 dello Statuto speciale: per cui quella Regione non competente se non in materia di ordinamento degli enti di credito ... a carattere regionale, vale a dire -spe cifica il giudice a quo -in tema di organizzazione degli enti medesimi, ad esclusione di tutto ci che riguarda il contenuto dell'attivit da questi esercitata. Sicch sarebbe illegittimo l'avere attribuito alla Regione, e non alla Banca d'Italia, l'approvazione delle modifiche statutarie di enti come quelli in considerazione nei procedimenti principali. (omissis) Nel merito, le ordinanze di rimessione argomentano che una norma di attuazione statutaria, concernente il passaggio delle funzioni statali attribuite alla Regione Trentino-Alto Adige in materia di ordinamento degli enti di credito, non potrebbe legittimamente derogare all'art. 8 del r.d. n. 1706 del 1937, l dove si riservano alla Banca d'Italia l'approvaz. i.une e la variazione degli schemi degli atti costitutivi e degli statuti, nonch delle loro successive modificazioni, per tutte le Casse rurali ed artigiane operanti nel territorio nazionale. In tal campo, la competenza legislativa locale sarebbe circoscritta alla emanazione di norme ordinamentali sulla organizzazione delle Casse rurali e non gi estesa al contenuto dell'attivit ed alla specificazione delle operazioni consentite alle Casse medesime (come pure ad ogni altra azienda regionale di credito); e lo stesso limite varrebbe -data la regola del parallelismo -per le potest amministrative corrispondentemente suscettibili di essere trasferite alla Regione ed esercitate dall'Amministrazione regionale. Ma la questione non fondata. Anche ad intendere I' ordinamen to delle aziende regionali di credito come puro sinonimo di organizzazione delle aziende stesse -secondo la tesi del giudice a quo - chiaro che l'approvazione dei loro statuti e delle relative modificazioni non pu non far parte della competenza spettante alla Regione Trentino Alto Adige, senza di che le attribuzioni in esame verrebbero svuotate. 432 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Certo, in un settore come quello creditizio, indispensabile che le funzioni regionali siano armonizzate con quelle da riservare allo Stato, e in particolare alla Banca d'Italia; ma l'art. 1, ultimo comma del d.P.R. n. 234 del 1977 soddisfa in pieno una tale esigenza, disponendo appunto che resta ferma fa competenza degli organi dello Stato e della Banca d'ltalia per tutto quanto riguarda la disciplina della raccolta del risparmio, dell'esercizio del credito, nonch il relativo controllo e vigilanza sugli enti ed aziende di credito... (mentre l'art. 3, secondo comma, del medesimo decreto aggiunge che i provvedimenti regionali di approvazione delle modifiche statutarie vanno adottati dalla regione sentito il Ministero del Tesoro). Per contro, l'approvazione delle modifiche stesse stata giustamente trasferita alla Regione, dal momento che ci attiene alla struttura delle aziende di crdito a carattere regionale, piuttosto che alle peculiari attivit di esse, considerate nel loro concreto esplicarsi. N si pu dire che la Banca d'Italia dovrebbe comunque approvare le modifiche finalizzate alla raccolta del risparmio ed all'esercizio del credito da parte delle Casse rurali e delle aziende creditizie in genere; laddove alla Regione rimarrebbe -scondo lo Statuto di autonomia -il solo compito di provvedere sull'organizzazione interna delle aziende in questione, senza alcun riferimento alle specie ed agli ambiti delle loro operazioni. Tesi del genere -adombrate dal Tribunale di Trento nell'ordinanza 20 dicembre 1979, sulla quale la Corte si pronunciata con la predetta sentenza n. 197 del 1982 -non sono state affatto sviluppate nelle ordinanze che vengono ora in esame, salvi i generici accenni contenuti nei dispositivi. Ma in ogni caso, si tratta di assunti che non trovano fondamento nello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, poich l' ordinamento degli enti di credito a carattere regionale non pu non tener conto di ci che normalmente inerisce alla sfera delle loro attivit in vista degli scopi peculiari di istituti siffatti, quali sono identificati dalle stesse leggi dello Stato (e, in particolare, dal r.d. 26 agosto 1937, n. 1706 cit.). Se dunque le norme di attuazione statutaria avessero trasferito alla Regione le sole attribuzioni relative all'organizzazione interna delle aziende regionali di credito, in quanto istituti equiparati a qualsiasi altro tipo di persona giuridica, lo Statuto speciale sarebbe stato violato. E, nel contempo, la disciplina in questione si sarebbe posta in aperto contrasto con il principale criterio informatore del passaggio delle funzioni statali attribuite alle Regioni: criterio costituito -fin dall'art. 17, primo comma lett. b, della legge 16 maggio 1970, n. 281 (cui s' aggiunto l'art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382) -dal trasferimento... per settori organici di materie, anzich per frammenti di competenza. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE CORTE COSTITUZIONALE, 4 maggio 1984, n. 136 -Pres. Elia -Rel. Pa ladin -Michelini (avv. Ventura) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Laporta). Lavoro -Impiegati ed operai -Richiamo alle armi -Trattamenti differenziati -Illegittiniit costituzionale. (Cost., artt. 3 e 52; I. 10 giugno 1940, n. 653; artt. 1 e segg.). Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la persistente distinzione tra impiegati ed operai consente al legislatore di diversificare il trattamento spettante a queste due specie di lavoratori dipendenti, purch la differenziazione sia congrua rispetto alla diversit delle posizioni rispettive, f andandosi -in particolar modo -sulla diversa qualit del lavoro prestato; contrastano con l'art. 3 Cost. gli artt. 1 e seg.uenti della legge 10 giugno 1940, n. 653 nelle parti in cui si riferiscono ai soli impiegati privati e non anche agli operai richiamati alle armi. Con ordinanza del 27 gennaio 1977, il Pretore di Genova ha sollevato la questione di legittimit costituzionale dell'art. 1 della legge 10 giugno 1940, n. 653 (sul trattamento degli impiegati privati richiamati alle armi), in riferimento agli artt. 3 e 52 Cost., ed ha argomentato in tal senso che la norma impugnata determinerebbe un ingiustificata... disparit... tra impiegati ed operai, attribuendo soltanto agli uni e non agli altri una indennit mensile pari alla retribuzione, quanto ai primi due mesi decorrenti dal richiamo. (omissis) Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la persistente distinzione tra impiegati ed operai consente al legislatore di diversificare il trattamento spettante a queste due specie di lavoratori dipendenti, purch la differenziazione sia congrua rispetto alla diversit delle posizioni rispettive, fondandosi -in particolar modo -sulla diversa qualit del lavoro prestato; sicch le differenziazioni stesse non si risolvono senz'altro -com' stato precisato nelle sentenze n. 18 del 1974 e n. 117 del 1976 in violazioni del principio costituzionale d'eguaglianza. Ma ci non toglie che tale principio sia comunque vulnerato, ogni qualvolta non venga in diretto rilievo l'ordinamento attuale delle qualificazioni professionali, ma si tratti di situazioni e di bisogni indistintamente comuni a tutti i lavoratori: come nel caso dei criteri di determinazione del grado d'invalidit richiesto per il conseguimento del diritto a pensione (di cui alla sentenza n. 160 del 1971) ovvero nel caso dell'assicurazione contro la disoccupazione involontaria (di cui alla sentenza n. 177 del 1975). Considerazioni analoghe a quelle test rico!'date valgono anche nei riguardi dei lavoratori richiamati alle armi. In questo campo, il legisla tore era ed libero di stabilire se debba ancora sussistere l'apposito regime previdenziale introdotto dalla legge n. 653 del 1940, mediante l'istituzione della cassa per il trattamento di richiamo alle armi. Ma, RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 434 una volta deciso il ricorso a questo tipo di provvidenze, non si giustifica che ne beneficino i soli impiegati privati, ad esclusione degli operai, poich il divario riscontrabile fra le due categore non costituisce una causa pertinente dell'impugnata discriminazione: la quale non attiene al rapporto di lavoro in s considerato. E l'esigenza di pervenire alle stesse conclusioni raggiunte con le citate sentenze n. 160 del 1971 e n. 177 del 1975 s'impone a fortiori nel caso in esame dato il combinarsi del principio generale d'eguaglianza con la specifica previsione costituzionale dell'art. 52, secondo comma, per cui l'adempimento del servizio militare non pu mai pregiudicare -quale che sia la specie dei lavoratori interessati - la posizione di lavoro del cittadino . All'annullamento dell'impugnato art. 1 deve poi conseguire -in applicazione dell'art. 27 della legge n. 87 del 1953 -la dichiarazione di illegittimit costituzionale di ogni altra norma della legge n. 653 del 1940, che si riferisca ai soli impiegati privati, con ci stesso escludendo gli operai. CORTE COSTITUZIONALE, 4 maggio 1984, n. 137 (in cam. cons.) -Pres. Elia -Rel. Andrioli. Procedimento civile -Procedimento d'ingiunzione -Provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo -Offerta di cauzione. (Cost., artt. 3 e 24; cod. proc. civ., art. 648). Contrasta con gli artt. 3 e 24 Cast. l'art. 684 comma secondo c.p.c. nella parte in cui dispone che nel giudizio di opposizione il giudice istruttore, se la parte che ha chiesto l'esecuzione provvisoria del decreto d'ingiunzione offre cauzione per l'ammontare delle eventuali restituzioni, spese e danni, debba e non gi possa concedrla sol dopo aver delibato gli elementi probatori di cui all'art. 648 comma primo e la corrispondenza dell'offerta cauzione all'entit degli oggetti indicati nel comma secondo dello stesso art. 648. CORTE COSTITUZIONALE, 7 maggio 1984, n. 138 -Pres. Elia -Rel. Saja -Pezzi ed altri (avv. Orlando Cascio, Giorgianni e Guarino), Timoncini ed altri (avv. Romagnoli, Rescigno e Galgano) e Presidente C~nsiglio dei Ministri (avv. Stato Onufrio). Agricoltura -Rapporti di mezzadria e colonia parziana -Conversione in rapporti di affitto -Facolt unilaterale del concessionario -Di stinzione tra imprenditore agricolo e proprietario assenteista di ter reni agricoli -Necessit. (Cost., artt. 3, 41 e 43; I. 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 30 e 34). L'art. 41 Cast. tutela la posizione dell'imprenditore, ossia di colui che effettivamente esercita un'attivit economica organizzata, non anche la PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDE..'ilZA COSTITUZIONALE poszzwne del proprietario assenteista. Gli artt. 25, 30 e 34, primo comma lett. b, della legge 3 maggio 1982, n. 203 contrastano con l'art. 41 Cost. nella parte in cui, nel prevedere la facolt di richiedere la conversione dei rapporti di mezzadria e colonia parziaria, non distinguono il caso di concedente il quale sia imprenditore a titolo principale ai sensi dell'art. 12 della legge 9 maggio 1975, n. 153 o comunque abbia dato un adeguato apporto alla condirezione dell'impresa. (omissis) La prima questione concerne la disposizione, di portata generale, dell'art. 25 legge 3 maggio 1982, n. 203, contenente norme sui contratti agrari, nella parte in cui essa prevede la c.d. conversione automatica in affitto, ossia senza il consenso del concedente, dei contratti di mezzadria e colonia parziaria se la conversione stessa chiesta dal mezzadro o colono (in prosieguo, per brevit, si far esplicito riferimento soltanto al primo, con formula comprensiva anche del secondo); mentre, se la richiesta proviene dal concedente, la trasformazione del contratto non ha luogo senza il consenso del mezzadro (art. 26 legge cit.). Alcune ordinanze si riferiscono poi alla disposizione dell'art. 30 legge cit., relativa alla conversione nel caso in cui il concedente sia imprenditore a titolo principale ai sensi dell'art. 12 legge 9 maggio 1975, n. 153: disposizione che contiene una disciplina speciale, ma che comunque, in definitiva, privilegia pur sempre la volont unilaterale del mezzadro. Naturalmente il riferimento, contenuto nelle dette ordinanze, formerebbe oggetto di distinta considerazione esclusivamente nell'ipotesi di non fondatezza della questione generale, mentre in caso contrario, per evidenti esigenze di carattere logico, esso rimarrebbe necessariamente coinvolto nella decisione dell'impugnativa principale. (omissis) Mentre nel codice civile del 1865 la mezzadria (cos come la colonia parziaria) era considerata un contratto di scambio ed era inquadrata nell'istituto della locazione, nel codice del 1942 essa venne qualificata come contratto associativo, dando luogo al sorgere dell'impresa agricola la cui direzione fu attribuita al concedente (artt. 2145 secondo comma e 2169). A seguito di un ampio movimento di natura economico-sociale e politica, che aveva radici lontane ma trov nel dopoguerra motivi di notevole accelerazione, venne ad affermarsi e prevalere un orientamento di disfavore verso l'istituto, che non fu ritenuto pi idoneo ad assicurare, da un lato, il migliore sviluppo dell'agricoltura e, dall'altro, il superamento degli inevitabili conflitti sociali tra concedenti e coltivatori. Fra le ragioni dell'insorto disfavore qui particolarmente rileva l'inerzia (spesso riscontrabile) del concedente, il quale, trascurando i propri doveri di direzione, .comprometteva il buon andamento dell'impresa, con grave danno dell'agricoltura in genere e con specifico pregiudizio del 436 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO mezzadro, ridotto a trarre modesti utili dalla sua attivit lavorativa. Da ci l'acuirsi della tensione nei rapporti tra le parti e il correlativo disinteresse del coltivatore, non pi disposto a sopportare gli oneri per la cura del fondo, previsti a suo carico, ma incline a procurarsi la somma di denaro necessaria per l'acquisto di un proprio fondo al fine di sottrarsi alla soggezione al concedente e, in tal modo, diventando proprietario, di poter provvedere autonomamente alla conduzione dell'azienda. Una tappa di grande rilievo rappresentata dalla legge 15 settembre 1964, n. 756, della quale, per quanto qui interessa, sufficiente ricordare il divieto di stipulare nuovi contratti di mezzadria (art. 3) nonch l'attribuzione al mezzadro della contitolarit della direzione dell'impresa (art. 6). Il suddetto divieto venne ribadito dalla legge 4 agosto 1971, n. 592, la quale tuttavia consider efficaci quei contratti mezzadrili instaurati di fatto dopo la legge del 1964. La suindicata normativa nazionale trov motivi di conforto in alcuni atti della Comunit Economica Europea (come il secondo piano Mansholt e le due direttive nn. 159 e 160 del 1972) in cui tendenzialmente si mostrava preferenza per il contratto d'affitto (la mezzadria, peraltro, era praticata in maniera molto limitata nell'ambito comunitario e prevalentemente in alcune zone dell'Italia e della Francia). La legge n. 203 del 1982, oggetto di questo giudizio, viene ad innestarsi in tale complesso normativo e, nel solco delle precedenti scelte, ribadisce il divieto di instaurare nuovi rapporti di mezzadria, imperativamente statuendo che l'unico schema utilizzabile per il contratto agrario (salvo le modeste eccezioni degli artt. 30 e 36, e probabilmente dell'art. 45, il cui contenuto variamente inteso in dottrina) quello dell'affitto. Tale scelta legislativa non viene limitata ai contratti futuri, ma estesa anche a quelli in corso, ed appunto a tale estensione si collega la conversione, prevista dagli artt. 25 e segg. legge cit., del rapporto di mezzadria in quello di affitto. Naturalmente, sarebbe del tutto fuori luogo soffermarsi stle discussioni dottrinali circa la correttezza dell'espressione usata (conversione), in quanto viene qui in considerazione il contenuto dell'istituto e risulta invece priva di rilievo la terminologia alla quale il legislatore ha fatto ricorso. Ci posto, osserva la Corte come non sia in discussione la scelta operata con la cit. legge 15 settembre 1964, n. 756 e successivamente ribadita anche con la legge in esame, scelta di netto disfavore verso la mezzadria, non pi ritenuta idonea, come si gi accennato, n all'incremento della produttivit agricola, n al mantenimento dei buoni rapporti sociali tra le categorie interessate. Il punto in questione consiste invece nella conversione in affitto di contratti associativi agrari in corso, collegata dal cit. art. 25 ad un mero atto unilaterale del mezzadro: conversione della cui legittimit costitu PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE zionale le ordinanze di rimessione dubitano prospettando il contrasto con gli artt. 3, 4, 41, 42, 43, 44 e 46 della Costituzione. Si assume anzitutto che il principio di eguaglianza sancito con l'articolo 3 della Costituzione leso per il fatto che, mentre la richiesta del mezzadro trasforma senz'altro la mezzadria in affitto, l'analoga richiesta del concedente operativa soltanto se vi l'adesione dell'altra parte. La questione non fondata, non ricorrendo il presupposto fondamentale del principio di eguaglianza, che esige la stessa disciplina per situazioni identiche o sostanzialmente analoghe (mentre richiede un regolamento differenziato per quelle che siano caratterizzate da intrinseca eterogeneit). vero che in base al cit. art. 6 legge n. 756 del 1964 il mezzadro, avendo ottenuto la contitolarit (insieme al concedente) del potere di direzione dell'impresa, ha assunto la posizione di imprenditore, posizione che gli stata riconosciuta dalla consolidata giurisprudenza ordinaria. Ma ci non impedisce che il legislatore possa tenere conto degli effettivi contenuti dei rapporti sociali, i quali, se pure in precedenza unificati e confluenti in un'analoga qualifica giuridico-formale, pur tuttavia nella realt fenomenica metagiuridica conservano una loro intrinseca diversit, alla quale la legge sucessiva, in base a mutati orientamenti, intende dare rilievo: ed evidente come alla comune condirezione (nel cui ambito non peraltro pacifico che i poteri delle due parti siano identici) il mezzadro aggiunge il lavoro manuale e con esso un vincolo pi intenso e diretto con il fondo, elementi questi che non irrazionalmente possono determinare nei suoi confronti una maggiore attenzione e una pi spiccata considerazione da parte del legislatore. E di ci pu trarsi conferma dalla stessa legge n. 756 del 1964, la quale, pur disponendo la coimprenditorialit, ha infranto definitivamente il criterio della ripartizione al 50 per cento degli utili e dei prodotti (che pur dovrebbe conseguire, secondo un criterio logico-~ormale, all'analoga posizione conferita ai due soggetti), privilegiando il mezzadro (art. 4) al quale ha attribuito il 58 per cento (come ha anche privilegiato il colono: artt. 9 e 10 legge cit.). E tale trattamento di maggior favore risulta ribadito nella legge impugnata (artt. 30 e 37), la quale ha aumentato in misura ancora maggiore la quota del mezzadro per i contratti non convertiti, confermando cos ulteriormente una tendenziale preferenza per il coltivatore. Conseguentemente il migliore trattamento riservato al mezzadro in tema di conversione non pu ritenersi, sotto il profilo qui considerato, ingiustificato ed arbitrario, ma trova fondamento in una scelta economico- sociale e politica che, come tale, riservata al legislatore. Neppure regge l'altra denunzia, con cui si lamenta la violazione dello stesso art. 3 Cost. per intrinseca irragionevolezza delle norme: RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO irragionevolezza dedotta anzitutto con un'argomentazione di carattere generale e poi suffragata cbn singoli, specifici motivi. A) L'argomentazione generale si fonda sul fatto che la conversione non ha carattere universale, ma rimessa alla volont delle parti, le quali possono non chiederla, protraendo cos il rapporto di mezzadria per il tempo previsto dall'art. 38: il che, secondo le ordinanze di rimessione, priverebbe l'istituto di qualsiasi fondamento razionale, non essendo compatibile il potere dispositivo attribuito ai soggetti interessati con il carattere automatico (o coattivo) della trasformazione richiesta dal mezzadro. Sebbene questo argomento sia ampiamente sviluppato anche negli scritti difensivi dei concedenti, non sembra alla Corte che esso sia convincente. Indubbiamente il legislatore del 1982, come gi rilevato, ha inteso perseguire l'interesse superiore della produzione e nello stesso tempo comporre i conflitti tra le categorie interessate, creando un sistema di effettivo e perdurante equilibrio; a ci egli ha provveduto, tendenzialmente inclinando per il contratto di affitto e ulteriormente ribadendo il suo giudizio sfavorevole per la mezzadria: giudizio sfavorevole dovuto non tanto al carattere associativo di essa, perch gli art. 30 e 36 consentono negozi associativi di altro tipo (e lo stesso art. 45 interpretato da parte della dottrina nel senso che autorizza tali negozi, sia pure con l'assistenza delle organizzazioni sindacali), quanto per la ricordata sua intrinseca inidoneit funzionale a realizzare, di regola, il modello agrario pi conveniente. Ci posto, sembra eccessivo accusare la legge di irrazionalit sol perch essa, sui contratti in corso, non intervenuta autoritativamente e drasticamente, ma ha voluto utilizzare la cooperazione delle parti, lasciando al loro giudizio di stabilire se l'inidoneit funzionale della mezzadria, generalmente riscontrabile, si riveli insussistente nel singolo caso, sicch esse possano decidere di proseguire il rapporto in corso. La scelta legislativa non poteva certo non essere incondizionatamente obbligatoria per i futuri contratti; per quelli in corso, invece, non sembra irragionevole aver consentito nei singoli casi concreti, in base alle precedenti esperienze, il giudizio delle parti interessate sul funzionamento dello strumento giuridico scelto e la facolt, loro accordata, .di perdurare nel rapporto in atto. B) Per quanto concerne poi le singole norme invocate come tertium comparationis, osserva brevemente la Corte che da esse non pu ricavarsi alcun elemento degno di rilievo. Non invero illogico che la conversione sia stata esclusa per le unit produttive insufficienti (art. 31), in quanto l'inidoneit del fondo PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE non permetterebbe di conseguire il potenziamento e miglioramento dell'agricoltura, che uno dei due obiettivi fondamentali a cui preordinato l'intervento del legislatore in tema di conversione. Fuori di proposito -e senza alcuna motivazione -vengono poi indicati gli artt. 28, 32 e 33, i quali prevedono casi particolari di conversione, rispettivamente relativa ad aziende pluripoderali o richiesta da pi concessionari, mentre completamente estranea alla materia in esame la disposizione dell'art. 37, concernente modificazioni delle quote di riparto dei prodotti e degli utili. Si deve pertanto concludere che la censura mossa in riferimento all'art. 3 Cost. si presenta, sotto tutti gli aspetti, priva di giuridico fondamento. Brevi rilievi sono sufficienti per confutare la censura riferita all'articolo 43 Cost., mossa dai giudici a quibus sul presupposto che la conversione importi, a carico del concedente, espropriazione dell'impresa. Tale norma, la quale consente che la legge possa prevedere -a favore dello Stato, o di enti pubblici, o di comunit di lavoratori o di utenti -la riserva, mediante espropriazione e salvo indennizzo, di imprese di preminente interesse generale attinenti a servizi pubblici essenziali, a fonti di energia e a situazioni di monopolio, sarebbe stata violata, sempre secondo i detti giudici, sotto diversi aspetti: precisamente perch la conversione sarebbe prevista senza il rispetto della riserva di legge, dato che le parti, come si detto, possono escluderla, e sarebbe prevista altres senza indennizzo, nonch a favore di soggetti diversi da quelli indicati nella stessa norma costituzionale citata. In contrario sufficiente obiettare che nell'ipotesi in esame non si configura un trasferimento dell'impresa agricola, ma soltanto una limitazione dell'autonomia negoziale, sostituendosi al rapporto originario di mezzadria quello di affitto: il titolare del fondo mantiene integro il diritto, generalmente reale, che aveva sui beni, e continua a goderne sia pure attraverso un tipo di contratto che, se anche diverso rispetto a quello precedentemente stipulato, pur sempre preordinato al razionale sfruttamento del suolo e trova nella pratica degli affari larga applicazione (quantitativamente persino maggiore, secondo le statistiche ufficiali, della mezzadria). Alla scadenza. dell'affitto il concedente riprende poi la libera disponibilit dei beni aziendali e ci conferma come nella fattispecie non sia ravvisabile alcun trasferimento. (omissis) Proprio su questa norma (art. 41 Cost) le ordinanze di rimessione fondano la principale censura, ampiamente e insistentemente sviluppata dalla difesa dei concedenti, i quali deducono che la disposizione impugnata ha soppresso l'iniziativa economica privata o, comunque, ne ha ridotto il contenuto al di l dei limiti costituzionalmente consentiti. In proposito osserva la Corte che il cit. art. 41, dopo aver proclamato la libert di iniziativa economica, ammette che la legge ordinaria RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (veramente la riserva di legge non enunciata espressamente, ma viene comunemnte ritenuta sussistente) ponga delle limitazioni per ragioni di utilit sociale: e tale finalit, trattandosi di propriet fondiaria, risulta definita dalla stessa Costituzione nell'art. 44, il quale ha per obiettivo il conseguimento del razionale sfruttamento dei suoli e l'instaurazione di equi rapporti sociali. Prima per di esaminare se l'istituto della conversione possa effettivamente giustificarsi secondo il disposto del cit. art. 44 (e cio in base all'utilit sociale come definita da tale norma), deve la Corte soffermarsi su alcuni rilievi pregiudiziali formulati dalla difesa dei concedenti e ampiamente sviluppati nella discussione orale. Si eccepito in proposito che l'art. 41 pu bens imporre delle limitazioni al potere di iniziativa privata per utilit sociale, ma che tali limitazioni non possono spingersi sino al punto di mutare, in aperto contrasto con la libera volont delle parti, la natura e la causa del contratto, e a conforto sono state citate le decisioni di questa Corte nn. 53 del 1974 e 181 del 1981. Non sembra per che il richiamo alle predette decisioni sia pertinente e che l'invocato principio possa trovare qui applicazione. Nelle fattispecie da tali decisioni considerate, invero, il legislatore era intervenuto rispetto ad un regolamento negoziale che viveva nella realt esattamente come le parti lo avevano voluto, e aveva sostituito ad esso autoritativamente un diverso rapporto giuridico il quale, in un caso (quello della sent. n. 53 del 1974), importava addirittura la sostituzione di un diritto reale ad un diritto di obbligazione. Nell'ipotesi qui in esame, al contrario, il legislatore si mosso in altro senso, e precisamente per adeguare la disciplina normativa ad una situazione in cui, nella normalit dei casi, la collaborazione imprenditoriale tra concedente e mezzadro era solo apparente -per circostanze originarie ovvero sopravvenute alla costituzione del rapporto -mentre in effetti l'impresa mezzadrile era gestita solo dal secondo, essendosi il primo trasformato di fatto in un puro percettore di reddito. Il che fa perdere consistenza anche ai rilievi formulati sull'ammissibilit della conversione di un contratto associativo in contratto commutativo: senza dire che sulla natura associativa della mezzadria sono state mosse in dottrina alcune riserve, ravvisandosi in essa da qualche autore piuttosto una contrapposizione di interessi che una comunanza di scopo. La ratio legis, cos individuata, risulta inequivocabilmente dai. lavori preparatori e, in particolare, dalla relazione di maggioranza al Senato della Repubblica, con cui venne giustificata la conversione forzosa sul rilievo appunto che nella grande maggioranza dei casi nelle imprese mezzadrili di fatto l'unico imprenditore il mezzadro perch il conce PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE dente ha trascurato i doveri inerenti alla condirezione dell'impresa, disinteressandosi di essa e percependo quindi la sua quota alla stregua di un canone di affitto. N pu accedersi alla tesi, svolta in alcuni scritti difensivi delle parti concedenti e condivisa da un'esigua corrente dottrinale, secondo cui la semplice destinazione di un capitale a fini produttivi espressione di iniziativa economica e perci deve godere della tutela di cui all'articolo 41 Cost., ancorch il titolare, mantenendo una posizione passiva o un comportamento omissivo, assuma la figura comunemente definita di assenteista. In realt l'art. 41 cit. tutela la posizione dell'imprenditore, ossia di colui che eserciti un'attivit economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni e servizi e quindi, per quanto concerne specificamente la questione in esame, di chi si adoperi efficacemente per la coltivazione del fondo; solo quest'ultimo quindi pu considerarsi partecipe dell'attivit. imprenditoriale e, perci, destinatario della tutela dell'art. 41 Cost. In base a tutti i superiori rilievi deve ritenersi che la richiamata ratio, a cui si ispirato il legislatore per introdurre l'istituto della conversione automatica, merita, in linea di principio, di essere condivisa, non essendo certo irrazionale che egli abbia voluto impedire, non solo la nascita, ma anche la prosecuzione del rapporto in esame. Per -e qui risiede il vizio della disciplina legislativa -non essendo il fenomeno dell'assenteismo assolutamente generalizzato (tenuto conto che il relatore al Senato lo rifer alla grande maggioranza dei casi), non pu ritenersi rispondente all'imprescindibile requisito dell'utilit sociale, voluto dall'art. 41 ed esplicato per la propriet fondiaria dall'art. 44, una conversione indiscriminatamente disposta anche per i casi in cui il concedente abbia adempiuto i suoi oneri, e in cui quindi, funzionando il rapporto normalmente, risulta senza dubbio ingiustificata la trasformazione forzosa disp'!sta dal legislatore. Al riguardo certamente esemplare il caso dell'imprenditore agricolo a titolo principale, ossia di colui che dedica alla coltivazione della terra almeno due terzi del proprio tempo di lavoro complessivo e che !I'icava dall'attivit medesima almeno due terzi del proprio reddito globale da lavoro risultante dalla propria posizione fisale (art. 12 legge 9 maggio 1975, n. 153). Tale figura, individuata dapprima in sede comunitaria (Di rettive nn. 159 e 160 del 1972) e quindi accolta nella legislazione nazionale, stata giustamente considerata pienamente rispondente ai requisiti sog gettivi per la proficua gestione del fondo agricolo. Infatti sono stati previsti nei confronti dell'imprenditore predetto agevolazioni e incentivi idonei al proseguimento dell'attivit di un settore generalmente depresso (vedasi legge n. 153 del 1975 cit.). Pertanto non consentito, in base ai 442 OlVlS 011!!0 Vl!IllV::>OMV,11!IO VND!ISSW parametri degli artt. 41 e 44 Cost., deve ritenersi il trattamento riservato al detto imprenditore dall'art. 30 della legge impugnata, il quale contiene una disciplina contorta e contraddittoria che, in definitiva, permette la estromissione di lui dall'impresa, equiparandolo in tal modo al concedente assenteista. Analogamente non pu ritenersi consentita la conversione forzosa nei confronti dei concedenti che osservano in maniera adeguata i doveri inerenti alla condirezione dell'impresa mezzadrile, pur non possedendo i rigorosi requisiti prescritti dal citato articolo, resi pi rigidi dalla legislazione nazionale rispetto alla normativa comunitara, che indica il 50 per cento (in luogo dei due. terzi) dell'attivit lavorativa e del reddito da lavoro. La corretta osservanza dei doveri del concedente, secondo i pi elementari canoni di esperienza e di logica, non pu, invero, non far ritenere l'efficace funzionalit dell'impresa mezzadrile, sicch in questo caso la conversione automatica non trova razionale fondamento. Il fine di stabilire equi rapporti sociali, prescritto dall'art. 44 della Costituzione, impone al legislatore ordinario di intervenire per un superiore fine di giustizia, ossia per stabilire un equilibro sostanziale fra le diverse categorie interessate e rimuovere cos gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione dei coltivatori all'organizzazione economica del Paese: equilibrio che chiaramente rimane escluso in presenza di una normativa che privilegia smisuratamente e senza alcun valido fondamento razionale una parte a danno dell'altra (cfr. per riferimenti sent. 5 aprile 1974, n. 107). (omissis) Le gravi conseguenze dell'indiscriminata conversione non sono sfuggite alla difesa dei mezzadri, la quale ha sostenuto che esse possono essere impedite con l'esercizio del diritto di ripresa previsto dall'art. 42 legge n. 203 del 1982 in esame e che comunque i concedenti hanno diritto al premio previsto dall'art. 42 lett. g) legge n. 153 del 1975 cit. Tali allgomenti peraltro non sembrano convincenti. Per quanto concerne il primo di essi, sufficiente osservare che il diritto di ripresa (mutuato dalla legislazione francese, nella quale per, come s1 e detto, la conversione stata ragionevolmente limitata) subordinato a tutte le condizioni elencate nelle lettere a), b), e) e d) del cit. art. 42, tra cui primeggiano quella di essere coltivatore diretto o equiparato e l'assunzione dell'obbligo di coltivare per nove anni il fondo direttamente o a mezzo dei propri familiari. Al riguardo va osservato che queste condizioni non sono ammissibili nei confronti del concedente che ha correttamente osservato i propri doveri e intende mantenere le proprie posizioni di imprenditore senza assumere l'impegno o avere la possibilit di coltivare direttamente il fondo: sono evidenti per vero le PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE irrazionalit ed iniquit del sistema verso chi, adeguatamente cooperando al buon funzionamento dell'impresa agricola, d il suo contributo per lo sviluppo e il potenziamento del settore e quindi non pu essere allontanato per la mera scelta del mezzadro, il quale, peraltro, di tale partecipazione si in precedenza giovato. Relativamente al secondo argomento difensivo, sufficiente replicare che l'art. 42 legge n. 153 del 1975 (e cio molto anteriore all'entrata in vigore della legge n. 203 del 1982) non prevede un indennizzo finalizzato a compensare una limitazione coattiva, bens un semplice premio diretto ad incentivare il volontario ricorso all'affitto: sicch non possibile n sotto il profilo giuridico della qualificazione n sotto quello economico (ossia della sua entit), la pretesa equiparazione, che, peraltro, semplicemente affermata senza che sia stata data alcuna valida dimostrazione. Conclusivamente deve dichiararsi l'illegittimit costituzionale dell'articolo 25 legge 3 maggio 1982, n. 203 nella parte in cui prevede che, nel caso di concedente il quale sia imprenditore a titolo principale ai sensi dell'art. 12 legge 9 maggio 1975, n. 153, ovvero abbia comunque dato un adeguato apporto alla condirezione dell'impresa di cui ai contratti associativi previsti nel primo comma del cit. art. 25, la conversione richiesta dal mezzadro abbia luogo senza il consenso del concedente stesso. Ovviamente spetta al giudice del processo civile accertare la concreta adeguatezza nei singoli casi dell'attivit svolta dal concedente nella conduzione dell'impresa. Tale dichiarazione di illegittimit determina anche quella dell'art. 30 relativo all'imprenditore a titolo principale, la cui posizione risulti compresa nell'ora indicata pronuncia. La pronuncia stessa assorbe poi la censura relativa all'art. 4 della Costituzione -il quale tutela ogni forma di lavoro -perch il concedente, il quale ha adeguatamente contribuito alla conduzione dell'impresa agricola trova, a seguito di essa, quella piena tutela che, invece, non spetta al concedente assenteista . Di conseguenza va presa in considerazione la posizione del mezzadro che non ottiene la conversione per il mancato consenso del concedente, non prevista dalla normativa in esame: perci, in applicazione dell'art. 27 legge n. 87 del 1953, va altres dichiarata l'illegittimit costituzionale dell'art. 34, primo comma, lett. b) della legge impugnata nella parte in cui non comprende anche il caso di non avvenuta conversione per mancata adesione del concedente che sia imprenditore a titolo principale o che comunque abbia dato un adeguato apporto alla condirezione dell'impresa mezzadrile di cui ai contratti associativi previsti nel primo comma dell'art. 25 della stessa legge: sicch anche in tali casi il contratto di mezzadria in corso avr la durata di dieci anni ivi stabilita. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 444 CORTE COSTITUZIONALE, 7 maggio 1984, n. 139 -Pres. Elia -Rel. Saja - Cimarosti (avv. Comporti e Scalari) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Onufrio). Agricoltura Affitto dei fondi rustici Determinazione del canone Finalit di stabilire equi rapporti sociali -Preminenza. (Cast., artt. 3, 42 e 44; I. 3 maggio 1982, n. 203, artt. 8, 9, 10, 13 e 15; I. 10 maggio 1978, n. 176, art. 1). In presenza di una riserva rinforzata di legge , che per di pi f riferimento anche ad un criterio equitativo (art. 44 Cost.: di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali), la linea di demarcazione fra il compito del legislatore ordinario e quella della Corte Costituzionale risulta tenue ma non insussistente. Il giudizio deve essere invece correttamente circoscritto a stabilire se il canone sia talmente basso, non solo da svuotare ovvero comprimere enormemente e irrazionalmente il diritto di propriet, ma anche da impedire l'instaurazione di equi rapporti sociali, in modo che risultino violate le norme, indicate quale parametro, degli artt. 3, 42 e 44 della Costituzione. Nei rapporti di affitto di fondi rustici deve essere privilegiata (anche per l'influsso degli artt. 35 e 36 Cost.) l'equa remunerazione dell'affittuario e della sua famiglia. Le sette ordinanze in epigrafe, oltre a sollevare alcune questioni specifiche, muovono tutte dubbi sulla legittimit costituzionale della normativa concernente la determinazione del canone nel contratto di affitto dei fondi rustici, disciplinato dalla vigente legge 3 maggio 1982, n. 203; data la comunanza della questione fondamentale, i relativi giudizi vanno riuniti per essere decisi con unica sentenza. bene premettere, tralasciando di ricordare precedenti provvedi menti normativi, i quali pure avevano inciso notevolmente sull'autonomia negoziale in ordine al canone di affitto dei fondi rustici, che la legge 12 giugno 1962, n. 567, a cui comunemente viene collegata l'istituzione dell'equo canone, disponeva nell'art. 3: Per ciascuna provincia la Com missione tecnica determina ogni due anni, almeno nove mesi prima del l'inizio dell'annata agraria e per il biennio successivo, la tabella dei canoni di affitto, nella misura minima e massima, da considerarsi equi per zone agrarie omogenee, per qualit e classi di terreni e per tipi aziendali, tenu to conto dello stato di produttivit dei fondi, dell'esistenza e delle condi zioni dei fabbricati rurali, delle attrezzature aziendali, degli oneri a carico dei pFOprietari locatori, degli apporti dell'affittuario, dei costi e degli oneri gravanti sull'impresa, al fine di assicurare una equa remunerazione per il lavoro dell'affittuario e della sua famiglia e la buona conduzione dei fondi. I I ! PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE H5 Successivamente il legislatore ritenne la disciplina ora ricordata non soddisfacente in quanto le commissioni provinciali e quella centrale, di cui al successivo art. 5, seguendo di norma i corrispettivi del libero mercato, venivano sostanzialmente ad eludere la precipua finalit economicosociale della disciplina stessa. Pertanto con la legge 11 febbraio 1971, n. 11 venne abbandonato il criterio della produttivit del fondo per ancorare il canone a quello convenzionale del reddito dominicale determinato in base al r.d.l. 4 aprile 1939, n. 589, convertito nella legge 29 giugno 1939, n. 976; reddito dominicale che, dato il notevole periodo di tempo trascorso dal momento del suo accertamento (oltre trenta anni), andava opportunamente adeguato: al che si ritenne di provvedere conferendo alla commissione tecnica provinciale il ptere di applicare coefficienti di moltiplicazione compresi tra un mini:i;no di 12 ed un massimo di 45 volte (art. 3 legge cit.). Tale disposizione venne dichiarata costituzionalmente illegittima da questa Corte con sentenza 14 luglio 1972, n. 155, la quale consider il canone come sopra stabilito talmente basso da annullare sostanzialmente il diritto di propriet, con conseguente violazione dagli artt. 42 e 44 Cost. Il legislatore ritenne di conformarsi alla predetta decisione con la legge 10 dicembre 1~73 n. 814, elevando nell'art. 3 i coefficienti di moltiplicazione da un minimo di 24 a un massimo di 55 volte e introducendone aluni aggiuntivi, i quali consentivano un aumento complessivo di quin dici punti; ma questa Corte, con sentenza 19 dicembre 1977, n. 153, dichiar l'illegittimit costituzionale anche di tale disposizione sostanzialmente per il medesimo motivo della pronuncia precedente. sopravvenuta infine la legge 3 maggio 1982, n. 203, che ha riordinato la materia dei contratti agrari anche per quanto riguarda il canone: ed appunto contro quest'ultima normativa si rivolgono le critiche ~ei giudici a quibus, i quali denunciano specificamente gli artt. 8, 9, 10 e 13, in sostanza ripetendo la medesima censura delle ordinanze che hanno dato luogo alle decisioni di questa Corte nn. 155/72 e 153/77, e cosl affermando che la nuova legge sarebbe incorsa in difetti analoghi a quelli delle leggi precedenti, con la conseguente violazione degli artt. 3, 42 e 44 Cost. Ci posto, osserva la Corte che da un'attenta comparazione emerge come le disposizioni impugnate presentino caratteri marcatamente eterogenei rispetto a quelle precedentemente dichiarate incostituzionali. Anzituto l'art. 9 ha aumentato i coefficienti di moltiplicazione elevandoli, rispetto alla disciplina precedente (24 volte nel minimo e 55 nel massimo), da un minimo di cinquanta ad un massimo di centocinquanta volte; la stessa norma ha altres quadruplicato quegli aggiuntivi da quindici a sessanta punti, mentre l'art. 13 ha delegato alle Regioni il potere RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO di determinare altri coefficienti aggiuntivi fino ad un massimo di trenta punti. In tal modo gli elementi moltiplicatori a disposizione delle commissioni possono arrivare sino a 240 volte in luogo delle 70 consentite dalla legge precedente. Inoltre la nuova legge (art. 10, primo comma) ha ridotto ad un anno la periodicit dell'adeguamento del canone, che in quella anteriore (legge n. 814 del 1973) era biennale, cos dimostrando maggiore aderenza alla mutevole realt economica. Essa ha previsto, ancora, i miglioramenti, addizioni e trasformazioni eseguiti dal locatore, prevedendo in tal caso un congruo aumento del canone, diversamente determinato a seconda che sia intervenuta o no una nuova classificazione del fondo (art. 17, primo comma, e art. 18). Merita, infine, di essere ricordato che l'art. 8 legge cit. consente, nell'ultimo comma, alle commissioni provinciali di applicare, fino a quando non si sia provveduto alla revisione di ufficio dei dati catastali, in relazione alla produzione media della zona, coefficienti di moltiplicazione diversi (e quindi ovviamente anche maggiori) rispetto a quelli previsti dall'art. 9 oppure, addirittura, criteri differenti (e perci anche pi favorevoli al locatore) da quelli indicati dalla stessa legge. Tale norma, com' evidente, d una certa elasticit al sistema, consentendo di impe dire gravi incongruenze e sperequazioni che, altrimenti, potrebbero verificarsi. Al riguardo non superfluo aggiungere che in un corretto procedimento ermeneutico non consentito sopravvalutare la formula letterale (Fino a quando non sia stato provveduto alla revisione d'ufficio dei dati catastali...), dovendosi invece ritenere, in base a quanto imprescindibilmente impone l'elemento logico, che il ricordato potere cesser non gi per il semplice fatto che entrino in vigore ai fini tributari le nuove tariffe di estimo (ci avverr, come si dir in prosieguo, il 1 gennaio 1985), ma soltanto quando tali dati saranno utilizzati anche dal legislatore ai fini della determinazione dell'equo canone, sicch soltanto allora, cessato il suo fondamento, risulter esaurita la previsione normativa. In conseguenza dei dati e rilievi ora esposti, la Corte non pu concludere che la situazione normativa rimasta immutata rispetto a quella presa in considerazione dalle due ricordate sentenze. A parte quanto sar osservato in prosieguo sul perdurante riferimento al reddito dominicale, invece indubitabile che il legislatore, come chiaramente e ripetutamente risulta anche dai lavori preparatori, ha inteso, almeno in linea di tendenza, accogliere i rilievi formulati da questa Corte con le due sentenze suddette e attenersi cos al disposto costituzionale e, in particolare, all'art. 44 Cast. secondo cui, relativamente PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE alla propriet terriera, la legge deve tendere all'obiettivo di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali . Tale norma contiene, com' evidente, una riserva di legge rinforzata in quanto indica al legislatore ordinario determinati scopi (che vanno altres strettamente e teleologicamente collegati e non considerati tra loro indipendenti), sicch questi obbligato ad operare rigorosamente nel senso da essa indicato. Pertanto la legge ordinaria deve anche regolare secondo equit i rapporti suddetti, disciplinandoli, cio, in base ad un principio di superiore giustizia economico-sociale, e stabilire cos un effettivo equilibrio tra le varie categorie interessate, nell'armonica tutela dei valori costituzionalmente protetti: tra i quali viene in rilievo anzitutto, come dispone anche l'art. 9 quinto comma legge cit., la tutela del lavoro dell'affittuario, dovendosi escludere altres che possa esistere nel nostro ordinamento un settore, comunque definito secondo qualificazioni giuridico-formali, in cui possano non trovare applicazione i princpi solennemente proclamati anzitutto nell'art. 1 e poi negli artt. 35 e 36 della Costituzione. In presenza di una riserva rinforzata di legge, che per di pi fa riferimento a un criterio equitativo, la linea di demarcazione tra il compito del legislatore ordinario e quello della Corte risulta estremamente tenue, ma ci non pu indurre a negarne la sussistenza. Invero, per quanto penetrante possa (e debba) essere il controllo del giudice delle leggi per accertare che la normazione ordinaria si sia effettivamente conformata al precetto costituzionale, un limite pur tuttavia sussiste, non essendo consentito alla Corte procedere a scelte economico-sociali e politiche e sostituire in tal modo quelle effettuate dal Parlamento. Da ci discende come la Corte non possa oltrepassare la sua funzione di controllo e non possa quindi invadere, come invece con variet di argomentazioni si sollecita in alcuni atti di parte, l'ambito di compe tenza riservato al legislatore. Non possono pertanto trrovare ingresso in questa sede critiche e censure relative all'entit del canone, che si fondano su valutazioni intrinsecamente e largamente opinabili e su conseguenti scelte riservate nel nostro sistema costituzionale al potere legislativo. Il giudizio deve essere invece correttamente circoscritto a stabi lire se il canone sia talmente basso, non solo da svuotare ovvero com primere enormemente e irrazionalmente il diritto di propriet, ma anche da impedire l'instaurazione di equi rapporti sociali, in modo che risultino violate le norme, indicate quale parametro, degli artt. 3, 42 e 44 della Costituzione. In proposito, sia le ordinanze di rimessione sia gli iscritti difensivi dei locatori deducono sostanzialmente un solo argomento, consistente nel riferimento alla svalutazione monetaria (a conferma del quale ne 448 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO aggiungono un altro di natura tributaria, di cui la Corte si occuper pi oltre). Si sostiene precisamente che il reddito dominicale, cui collegata la determinazione del canone fissato in relazione ai valori del 1939, dovrebbe essere rivalutato in proporzione alla perdita di valore della moneta verificatasi suocessivamente a quella data: risulterebbero cos enormemente e irrazionalmente modesti i coefficienti di moltiplicazione stabiliti dalle disposizioni impugnate, che, per rispondere a criteri di equit, avrebbero dovuto aumentare di cinquecento volte il predetto reddito dominicale. Tale tesi non pu essere condivisa. Al riguardo va anzitutto precisato, in linea di princ1p10, che non possibile, come invece qualche volta avvenuto, riferire il canone al solo reddito dominicale, il quale per contro fornisce esclusivamente l'elemento base per la sua determinazione. Invero secondo la lewge impugnata (come anche per quelle precedenti) il canone dato dalla risultante di vari fattori ed appunto, come dispone il gi citato art. 9 quinto comma, le commissioni tecniche provinciali debbono aver presente nella determinazione dei coefficienti di moltiplicazione del reddito dominicale -entro l'ambito del minimo e del massimo stabilito dalla legge la necessit di assicurare in primo luogo un'equa remunerazione del lavoro dell'affittuario e della sua famiglia e devono tenere anche conto degli apporti di capitali dell'affittuario, dei costi di produzione, della esigenza di riconoscere un compenso ai capitali investiti e degli _altri apporti del locatore. Vero che l'art. 10, primo comma, per l'adeguamento del canone negli anni successivi a quello di inizio del rapporto, richiama, oltre i ricordati elementi previsti nel precedente art. 9, anche il mutamento di valore della lira secondo gli indici Istat per i prezzi alla produzione dei prodotti agricoli . Ma, nell'indispensabile coordinamento logico-giuridico delle due disposizioni e nell'intero quadro disegnato dal sistema, la formula va necessariamente riferita ai prezzi al netto (e non gi al lordo ) in modo che vengano in considerazione anche i costi di produzione espressamente indicati nel cit. art. 9. Se cos non fosse, la disciplina normativa risulterebbe viziata da una gravissima frattura logica in quanto introdurrebbe, ai fini dell'adeguamento periodico, up elemento addirittura sconvolgente del fondamentale criterio accolto, ponendo l'intero onere della svalutazione monetaria a carico dell'affittuario: il quale dovrebbe covrispondere un canone sempre maggiore in proporzione al costante aumento del prezzo al 101do dei prodotti agricoli, senza che si debba tener conto del notevole, e anch'esso costante, aggravamento dei costi di produzione. Il che potrebbe sensibilmente ridurre e, al limite, perfino annullare la remunerazione del lavoro dell'affittuario e della sua famiglia, alla quale, invece, il pi volte ricordato art. 9 della legge, in applicazione dell'art. 36 Cost., d la maggiore tutela. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Peraltro, tanto le ordinanze di rimessione quanto la difesa dei locatori non espongono precise argomentazioni a favore della tesi suddetta, ma sostanzialmente affidano le censure alle precedenti decisioni di questa Corte n. 155 del 1972 e n. 153 del 1977, il cui contenuto intendono -come si gi detto -nel senso che il canone dovrebbe corrispondere al reddito dominicale aumentato in proporzione alla svalutazione monetaria. Ma tale interpretazione non accettabile, in quanto la Corte in dette sentenze ha fatto s riferimento alla svalutazione monetaria, ma non per dare ad essa quel rilievo meccanico ed unilaterale che si pretenderebbe, bens, al di l di qualche espressione letterale, per richiamare gli effetti indotti dalle oscillazioni del valore della moneta sull'intero settore dell'agricoltura e quindi sia sui prezzi di prodotti, sia sui costi di produzione. E va ricordato come parte della dottrina abbia correttamente interpretato il contenuto delle sentenze ora citate, rilevando che la Corte aveva inteso soltanto correggere gli eccessi delle leggi precedenti ma non aveva alterato la validit dei nuovi orientamenti legislativi e neppure aveva inteso restaurare una ormai superat tutela del contenuto del diritto di propriet privata della terra. In conclusione, deve perci escludersi che la svalutazione monetaria possa agire direttamente nel senso preteso dai locatori: ci importerebbe l'aperta violazione delle norme relative alla tutela del lavoro (artt. 35 e 36 Cost.) in applicazione delle quali, nei rapporti d'affitto di fondi rustici, viene privilegiata -giova ripetere ancora -l'equa remunerazione dell'affittuario e della sua famiglia. N ha consistenza l'argomento secondo cui l'irragionevolezza della disciplina discenderebbe dalle circostanze che i coefficienti di moltiplicazione del reddito dominicale dei terreni, previsti dall'art. 24 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 ai fini tributari e ogni biennio rivalutati, sarebbero superiori a quelli stabiliti per l'affitto dei fondi rustici, sicch l'imposta avrebbe una base imponibile maggiore del canone percepito dal locatore. Se pur l'affermazione fosse esatta, il vizio di costituzionalit dovrebbe colpire non gi la norma relativa alla determinazione del canone, bens quella tributaria che, in violazione dell'art. 53 Cost., non terrebbe conto della capacit contributiva. Risulta per assorbente e decisivo osservare, come gi rilevato in dottrina in base a quanto lecito ermeneuticamente ricavare dagli artt. 24 e 25 d.P.R. ult. cit., che nel caso di canone coattivamente imposto perch relativo a fondi dati in affitto, il reddito imponibile correlato al canone fissato dalla legge: il che stato accettato espressamente anche dall'Amministrazione finanziaria, la quale ha avuto cura di formulare in proposito un'esplicita avvertenza nelle istruzioni allegate al modello per la denuncia dei redditi ai fini dell'irpef. 450 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO La infondatezza della questione ora esaminata non impedisce alla Corte di riconoscere che nel sistema possano riscontrarsi insufficienze e disarmonie le quali, se non sono idonee, allo stato, a far dichiarare l'illegittimit costituzionale delle norme impugnate, devono pur sempre essere eliminate dall'ordinamento. Esse discendono principalmente dal fatto che, a base della determinazione del canone, sono ancora presi in considerazione i dati catastali del 1939, i quali, per il lungo periodo trascorso, perdono sempre pi la idoneit a rappresentare le effettive caratteristiche dei terreni agricoli. Questa corte con le due sentenze pi volte ricordate ha consentito l'utilizzazione provvisoria di tali dati in mancanza di altri elementi a cui ricorrere. Ma, adesso che i nuovi dati catastali sono stati elaborati e stanno per entrare in vigore (il che avverr il 1 gennaio 1985, come disposto dal decreto del Ministro delle finanze 7 febbraio 1984 sulle nuove tariffe di estimo), non pu essere pi. razionalmente giustificabile l'ulteriore protrarsi del ricorso ad un catasto vecchio di circa un cinquantennio e la mancata utilizzazione di elementi che sono invece idonei a rappresentare la realt attuale e quindi a porre i rapporti tra concedente e affittuario su un piano ad essa pi rispondente. Il mancato impiego dei nuovi dati catastali ai fini dell'equo canone porrebbe un problema ben diverso da quello deciso con questa sentenza: quello cio della intrinseca razionalit di una norma fondata su elementi ormai superati da altri ufficialmente acquisiti che, essendo rispondenti alla situazione agricola attuale, risultano idonei, essi soltanto, alla corretta determinazione del canone di affitto. Esaurito cos l'esame della prima questione, la Corte deve occuparsi dell'impugnativa dell'art. 9 I. cit., disposizione che censurata sotto diverso profilo. (omissis) B) La Corte di appello di Cagliari impugna il quarto comma dello stesso art. 9, che prevede un canone provvisorio, ottenuto moltiplicando per settanta volte il reddito dominicale, nel caso di ritardo, annullamento o sospensione delle tabelle; detta norma, secondo il giudice a quo contrasterebbe con l'art. 3 Cost. per violazione del principio di eguaglianza e per intrinseca irragionevolezza, in quanto: a) il successivo art. 15, primo comma, lett. b, prevede il coefficiente settantacinque per il lon-. tano triennio 1971-1974; b) non c' differenza di trattamento, come in altre parti della legge n. 203, tra coltivatore diretto e coltivatore non diretto; e) non v' nesso tra il criterio ,di determinazione del canone provvisorio ed il canone pagato in precedenza; d) non v' alcun riferimento alle condizioni economiche del creditore; e) la durata del canone provvisorio dipende da elementi variabili e accidentali, quali l'efficienza e la solerzia delle commissioni provinciali. Al riguardo va per osservato che le norme della legge n. 203/1982 indicate come tertium comparationis PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 451 riguardano situazioni assai diverse, come inequivocabilmente si evince dal loro contenuto sopra richiamato, sicch non torna applicabile l'invocato principio di eguaglianza di cui all'art. 3, che ha per presupposto indefettibile l'identit o, quanto meno, l'omogeneit delle situazioni giuridiche comparate. E deve ancora dirsi che, trattandosi di un acconto, e quindi di una misura provvisoria, peraltro contenuta mediamente tra il minimo e il massimo previsti dal secondo comma dell'art. 9 (e notevolmente aumentata rispetto alla normativa del 1973, che la limitava a 42 volte) deve escludersi che il potere discrezionale spettante al legislatore sia stato esercitato al di l dei limiti di ragionevolezza. (omissis) Fondata invece la denuncia -mossa in riferimento all'art. 3 Cost. dell'art. 15, secondo comma, il quale dispone che per le annate agrarie 1977-1978 e per quelle in corso all'entrata in vigore della l. n. 203 in esame si applicano i coefficienti stabiliti negli artt. 9, 10, 13 e 14, diminuiti del trenta per cento. Esattamente invero il giudice a quo osserva che per le annate 19771978 e successive possibile il determinarsi di una situazione in cui il canone risulta in concreto inferiore a quello delle annate precedenti: cos, a titolo esemplificativo, per l'annata agraria 1980-1981 si potrebbe -in base alla nuova legge -avere il coefficiente di cinquanta volte il reddito dominicale, mentre per la remota annata 1970-1971 il coefficiente sarebbe addirittura maggiore perch corrispondente a 55 volte lo stesso reddito dominicale. Senza indugiare in altri esempi, che risulterebbero altrettanto macro scopici, osserva questa Corte che ci evidenzia l'intrinseca irrazionalit della disposizione limitatamente alla previsione della ricordata riduzione. Eliminata la quale, la parte principale della disposizione conserva la sua validit: infatti essa ha una propria autonomia poich si riferisce ai coefficienti gi presi in considerazione dal Parlamento nel corso del l'ottava legislatura e poi lasciati sostanzialmente inalterati durante tutto l'iter di approvazione -della legge in questione, essendosi rivelate stazio narie, quando non addirittura peggiorate, le condizioni dell'agricoltura italiana. In tal modo la previsione relativa alla ricordata riduzione del trenta per cento risulta estrinsecamente giustapposta a una disposizione (quella principale) gi in s conclusa e indipendente, sicch la dichiarazione di illegittimit costituzionale della prima non incide sulla validit della seconda. (omissis) Infine, la Corte di appello di Napoli ha sollevato questione di legittimit costituzionale, per contrasto con l'art. 3 Cost., dell'art. 1, terzo comma, l. 10 maggio 1978, n. 176, richiamato dall'art. 15, primo comma, 1. n. 203/82, il quale dispone che sono definitivi i pagamenti dei canoni effettuati, senza contestazione del locatore, prima del 29 dicembre 1977 452 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO e quindi esclude detti pagamenti dal conguaglio disposto dalla legge in dipendenza delle ricordate pronunzie di incostituzionalit di questa Corte. La questione fondata. Le sentenze di accoglimento, in base al disposto dell'art. 136 Cost. confermato dall'art. 30 1. 11 marzo 1953, n. 87, operano ex tunc perch producono i loro effetti anche sui rapporti sorti anteriormente alla pronuncia di illegittimit sicch, dal giorno successivo alla loro pubblicazione, le norme dichiarate incostituzionali non possono pi trovare applicazione (salvo quanto discende dall'art. 25 Cost. per la materia penale). Il principio, che suole essere enunciato con il ricorso alla formula della c.d. retroattivit di dette sentenze, vale per soltanto per i rapporti tuttora pendenti, con conseguente esclusione di quelli esauriti, i quali rimangono regolati dalla legge dichiarata invalida. Per rapporti esauriti debbono certamente intendersi tutti quelli che sul piano processuale hanno trovato la loro definitiva e irrretrattabile conclusione mediante sentenza passata in giudicato, i cui effetti non vengono intaccati dalla successiva pronuncia di incostituzionalit (salvo quanto disposto per la materia penale dal cit. art. 30). Secondo l'orientamento talvolta emerso nella giurisprudenza di questa Corte (cfr. sent. n. 58 del 1967) e il prevalente indirizzo dottrinale, vanno considerati esauriti anche i rapporti rispetto ai quali sia decorso il termine di prescrizione o di decadenza previsto dalla legge per l'esercizio di diritti ad essi relativi. Ma quando, come nell'ipotesi considerata dalla normativa denunciata, detto termine pendente e quindi il creditore, secondo i prindpi generali, pu pretendere quanto ancora gli dovuto, non consentito al legislatore ordinario limitare la portata dell'art. 136 Cost., sia pure ricorrendo, come nella specie, all'espediente di introdurre un nuovo onere, non previsto al momento dell'avvenuto pagamento parziale, e di escludere perci l'acquisto del diritto successivamente riconosciuto dalla legge che ha sostituito quella dichiarata invalida. Cos operando, il legislatore, in realt, fa in modo che il rapporto oggetto del giudizio principale e non ancora esaurito rimanga illegittimamente regolato dalla norma annullata, riducendo indebitamente l'operativit dell'art. 136 della Costituzione. (omissis) p. q. m. (omissis) 4) dichiara l'illegittimit costituzionale dell'art. 1, terzo comma, 1. 10 maggio 1978, n. 176, richiamato dall'art. 15, primo comma, 1. n. 203 del 1982 cit., limitatamente alle parole: senza contestazione giudiziaria da parte del locatore, o; 5) dichiara l'illegittimit costituzionale dell'art. 15, secondo comma, 1. n. 203 del 1982 cit., limitatamente alle parole: diminuiti del trenta per cento; (omissis) Ii I i I PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 453 CORTE COSTITUZIONALE, 16 maggio 1984, n. 141 -Pres. Elia -Rel. Gallo Fortunati (avv. Miele) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Chiarotti). Corte Costituzionale -Principio di eguaglianza -Criteri presuntivi indicati dal legislatore ordinario -Ragionevolezza. (Cost., art. 3; d.P.R. 4 agosto 1978, n. 413, artt. 4 e 6}. Ogni qualvolta il legislatore deve ricorrere necessariamente a tipizzazione non p che attenersi a criteri generali ed astratti, con ovvi caratteri di presuntivit, che ben possono dar luogo, nella concreta applicazione, a situazioni di discriminazione; in sede di controllo di legittimit costituzionale deve valutarsi se il sacrificio imposto a taluni casi particolari rientri nella regola discendente della imprenscindibile astrattezza della norma, oppure se, eccedendo tali limiti, la norma determini situazioni di irragionevole disparit. (omissis) La Corte non ha difficolt a riconoscere che oggettivamente la ratio che alla base della ostativa disposizione impugnata debba essere ravvisata nella pi recente dimostrazione di pericolosit offerta da chi ha riportato condanna non lieve per delitto doloso in prossimit della data di entrata in vigore del decreto. anche vero, inoltre, che il criterio adottato, e cio il riferimento alla data della sentenza definitiva di condanna, sposta la considerazione del sintomo di pericolosit dal dato obbiettivo sostanziale della commissione del reato a quello puramente formale del passaggi in giudicato del suo accertamento giudiziale. Ma evidentemente il legislatore ha ritenuto che, nel corso di un quinquennio, almeno i giudizi relativi a reati di non rilevante gravit, che tuttavia comportassero pene superiori a due anni di reclusione, avessero grande probabilit di pervenire al giudicato. Ci non toglie che, attesa anche la situazione di difficolt in cui versa attualmente l'amministrazione della Giustizia, possano darsi casi di reati, commessi nel detto quinquennio, il cui definitivo accertamento, specie se molto gravi, va a cadere oltre la data di entrata in vigore del decreto; e, per converso, ipotesi in cui reati commessi prima dell'inizio del quinquennio ricevono sanzione definitiva nel corso di esso. Ogni qualvolta. il legislatore deve ricorrere necessariamente a tipizzazione non pu che attenersi a criteri :generali ed astratti, con ovvi ~1) Le affermazioni riportate nella massima hanno valenze che vanno ben al cli l della vicenda legislativa con riguardo alta quale sono state fatte. Si pensi, ad esempio, a disposizioni che stabiliscono criteri presuntivi per l'applicazione cli tributi o di contributi previdenziali. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 454 caratteri di presuritivit, che ben possono dar luogo, nella concreta applicazione, a situazioni di discriminazione che rappresentano il costo dell'istituto. Il problema, per quanto concerne il controllo di legittimit esercitabile da questa Corte, quello di valutare se il sacrificio imposto a taluni casi particolari rientri nella regola discendente dalla imprenscindibile astrattezza della norma, oppure se, eccedendo tali limiti, la norma determini situazioni di irragionevole disparit. Ma, nel procedere a siffatta delicata valutazione, la Corte non pu non tener conto anche delle possibilit tecniche, a "disposizione del legislatore, di ricorrere a criteri diversi che, ferma restando l'esigenza di porre la norma cos come l'avvertiva necessaria nella sua discrezionalit, limitassero al minimo le situazioni di disparit. Orbene, se il legislatore avesse prescelto -come si suggerisce nelle ordinanze di rimessione -il criterio della data di commissione del reato, altre disparit non meno inique si sarebbero verificate. (omissis) Certo, l'ordinamento processuale conosce anche l'istituto dell'amnistia condizionata che ha per effetto di sospendere i procedimenti in corso o l'esecuzione della sentenza di condanna fino alla scadenza del termine stabilito dal decreto o, se non fu stabilito termine, fino alla scadenza del sesto mese dal giorno della pubblicazione del decreto. (art. 596 cod. proc. pen.). Ma -come si vede, e come meglio s'intende dalla lettura dei 'Successivi cinque commi del citato articolo -si tratta di una sospensione a termine fisso perch la previsione concerne condizioni il cui adempimento dipende esclusivamente dalla volont dell'.imputato. Quale termine potrebbe apporre il decreto nell'ipotesi che si va esaminando, una volta che -come pur si sostiene dai primi giudici -il passaggio in giudicato della sentenza evento dipendente da molteplici fattori, nessuno dei quali temporalmente valutabile nella sua verificazione? Oppure si dovrebbe disporre semplicemente la sospensione a tempo indeterminato: il che, per, comporterebbe H rischio di lasciare pendente per molti anni un procedimento, con effetti comprensibilmente negativi, anche prescindendo da quelli concernenti la prescrizione che sarebbe fatta salva dalla disposizione di cui all'art. 159 cod. pen. Solo nei confronti dell'indulto, il legislatore avrebbe potuto, senza gravi difficolt tecniche, prendere in considerazione la data del com messo reato, subordinando l'indulto a revoca qualora fosse seguita con danna passata in giudicato per reato commesso nel quinquennio prece dente all'entrata in vigore del decreto: cos come, del resto, analogamente gi dispone l'art. 9 del decreto per i reati commessi nei cinque anni successivi. Ma se cos il legislatore avesse disposto, avrebbe determi nato una situazione interna di disuguaglianza fra le condizioni stabilite per l'applicazione dell'amnistia e quelle fissate per l'applicazione del l'indulto. (omissis). SEZIONE SECONDA GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE I CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT EUROPEE, 3 sez., 26 gennaio 1984, nella causa 301/82 -Pres. Galmot -Avv. Gen. Mancini Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Consiglio di Stato del Regno del Belgio nella causa s.a. Clin-Midy c. Stato belga. Interv.: Governi belga (avv. Cambier e Andersen) e italiano (avv. Stato Braguglia) e Commissione delle C.E. (sig. van Aekers). Comunit Europee Libera circolazione delle merci Disciplina dei prezzi Prezzi delle specialit medicinali Poteri degli Stati membri. (Trattato CEE, art. 30; direttiva CEE del Consiglio 26 gennaio 1965, n. 65/65, art. 21). La direttiva del Consiglio 26 gennaio 1965, n. 65/65, per il ravvicinament delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative relative alle specialit medicinali, deve essere interpretata nel senso che essa concerne unicamente le disposizioni nazionali aventi ad oggetto la tutela della sanit pubblica. L'art. 21 della direttiva deve essere interpretato nel senso che l'autorizzazione a mettere in commercio una specialit medicinale pu essere negata, sospesa o revocata soltanto per motivi inerenti alla tutela della sanit pubblica perseguita dalla direttiva: ci non osta a che gli Stati membri che istituiscano un sistema di controllo dei prezzi delle specialit medicinali ne garantiscano l'osservanza con mezzi specifici di detto sistema e conformi al trattato CEE, in particolare all'art. 30 di questo (1). (1-2) Trattasi di due interessanti pronunzie, con le quali la Corte di Giustizia ha disatteso in linea di principio le tesi di alcune case farmaceutiche secondo le quali avrebbero dovuto ritenersi incompatibili con in dottrina, per l'operativit ope iudicis CIPRIANI, op. cit., p. 283 e ANDRIOLI, op. cit., pp. 130 e 1136). Da ci il potere per il giudice di non sospendere il processo 'se il regolamento proposto sia inammissibile o ~mprocedibile (cfr. Cass., 20 giugno .1973, n. 1822, in Foro it., 1973, I, 2418; Cass., 6 maggio :1978, n. 2164, ivi, 1978, I, 1363; id., 3 giugno 1978, n. 2773 e 2774, ivi, 1978, I, 2900; id., 3 ottobre 1977, n. 4180, ibidem, 11408; per 1a ~urispruden2la amministrativa cfr. Cons. Stato, V 'sez., 30 settembre 11975, n. 1233, in Cons. Stato, 1975, 1018); 3) se dal tempomneo difetto della potestas iudicandi deriva la invalidit degH atti compiuti dal giudice, ai non comporta, per, che fa senten:m conf.ermati'.'a della giurisdi2lione sani l'iUegittimit della pronuncia, sia perh il giudiZJio incidentale per natura si innesta su quello di merito sen2la rifluirvi direttamente, sia perch la viiolazione dell'obbligo di sospensione frustra la finalit istituzionale del regolamento preventivo (evitare giudizi inutili) 1e, quindi, non vale applicare il caso all'iart. ,156 c.p.c., Sia perch PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 473 mento relativo, che pu anche non limitarsi alla delibazione dei presupposti formali (S.U. 12 gennaio 1984, n. 222 e prec.). Su questo piano, il Consiglio di Stato ha insindacabilmente accertato che il primo giudice aveva proceduto in tale indagine in modo del tutto erroneo, sicch, non trovando fondamento la mancata sospensione del processo, il proseguimento di questo costituiva violazione dell'art. 30 u.p. legge 1034/1971. La disposizione invero, sancisce tale obbligo e, richiamando genericamente l'art. 41 c.p.c., lascia intendere che il richiamo si estende alla intera disciplina del regolamento preventivo, quale espressione di un principio generale che ha fatto riconoscere estesa all'istituto la norma dell'art. 48 cpv c.p.c., dettata per il regolamento di competenza, al pari di quelle degli artt. 295 e 699 stesso cod. che vi sono correlate (sent. 3632/1972 cit.). La sospensione che, secondo il preciso dettato dell'art. 367 c.p.c., consegue necessariamente alla proposizione della (valida) istanza di regolamento preventivo della giurisdizione, operando di diritto in vista della finalit del mezzo, rimane indifferente all'adozione di un formale provvedimento che la disponga e cos anche alla violazione dell'obbligo di rispettarla, dato che nel periodo compreso tra la proposizione e la definizione della questione giurisdizionale, il giudice di merito privo di potestas iudicandi, secondo quanto ha riconosciuto la gurisprudenza di queste Sezioni Unite pi recente (sent. 3632/1972 cit. e segg.). La decisione impugnata nega che ci avvenga ritenendo che un tale difetto, sia pure temporaneo, di potere decisorio, parallelo alla sospensione di diritto del processo, non si concili con la possibilit di adottare provvedimenti urgenti, o di sospendere l'esecuzione del provvedimento impugnato, riconosciuta dall'art. 30 legge 1034/1971 pi volte citato al tribunale amministrativo regionale, e che l'annullamento senza rinvio che ne deriverebbe a norma dell'art. 34 della stessa legge, come la cassazione il regolamento de quo non un mezzo di impugna:llione. Contra Cons. Stato, V sez., 28 agosto 1981 n. 379, in Cons. Stato, 1981, 927; cfr. Cass., 3 giugno 1978, n. 2774, cit.; 4) distinzione dell'ipotesi del sopravvenuto riconosoimento della competenza giurisdiZJionale da parte delle SS.UU. (dove il processo stato validamente inoardii;nato, ma indebitamente proseguito, e si applica J'art. 159 c.p.c. (f.atl!ispecie in esame) da quella del suo diniego (dove la decisione emessa da un giudice pnivo fin dall'origine di poteri cognitivi risulta viiziata in tutto lo svolgimento dell'iter processuale e t'ende necessaria la cassazione senza rinvio). Sull'art. 35 1. n. 1034/71 cfr. CIPRIANI, op. oit., pp. 289-91. In dottrina sull'argomento cfr. da ultimo, A. PROTO PISANI, Problemi e prospettive in tema (di regolamenti) di giurisdizione e di competenza, in Foro it., .1984, V, 89. GABRIELLA PALMIERI 474 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO della: pronuncia, si porrebbe in contrasto con il principio dell'economia dei giudizi. Questo non appare esatto perch, secondo quanto hanno riconosciuto i precedenti di questa Corte sopra citati e la sentenza 6 giugno 1973, n. 73, della Corte Costituzionale, che la motivazione della sentenza qui impugnata richiama, anche in materia di regolamento preventivo della giuririsdizione vale, come si detto, il disposto dell'art. 48 comma secondo c.p.c., che consente il compimento degli atti urgenti, compresi quelli di istruzione preventiva considerati dall'art. 697 stesso cod., che non siano connessi con la questione di competenza giurisdizionale. Nei riguardi delle altre questioni, che non presentano le stesse esigenze indifferibili di tutela, occorre invece che si soprassieda alla decisione per il tempo necessario all'esaurimento della fase incidentale, che comporta un ritardo, ma non certo privo di giustificazione, visto che lo stesso ordinamento lo impone. La situazione, del resto, non diversa da quella che si determina in seguito alla necessit di risolvere una qualsiasi questione incidentale riservata alla cognizione di un giudice diverso (incidente di falso, ad es.) da risolvere preventivamente, o di adottare provvedimenti cautelari indifferibili, com' per la sospensione del provvedimento impugnato che la legge istitutiva riconosce, come si detto, ai tribunali amministrativi. La sospensione in esame, quindi, si riconduce nel quadro generale disciplinato dagli artt. 295 e segg. del codice di rito, che non consente di compiere atti del procedimento (art. 298 stesso cod.) se non nei casi eccezionali sopra considerati. Rispetto all'ipotesi normale di sospensione, quella in esame presenta, piuttosto, la caratteristica di sottrarre al giudice la cognizione della questione pregiudiziale, che l'ordinamento riserva alle Sezioni Unite quale organo supremo della giurisdizione, posto in materia extra ordinem rispetto all'ordinaria disciplina del giudizio (sent. 222/1984 cit.). Il temporaneo difetto del potere di giudicare che ne deriva, e che nel passato aveva fatto ritenere che la decisione emessa in pendenza del regolamento preventivo fosse soggetta a condizione risolutiva se la giurisdizione fosse stata negata (S.U. 31 marzo 1950 n. 1877) o fosse radicalmente nulla per carenza di potestas iudicandi (sez. II, 11 dicembre 1950 n. 2705), stato successivamente ritenuto soltanto invalidante, come si anticipato, cos da consentire alla pronuncia di passare in giudicato anche sul capo relativo all giurisdizione, o di essere rimossa se impugnata, indipendentemente dall'esito della decisione sul regolamento in parola. Tutto ci, peraltro, non comporta la possibilit di ravvisare nella ~ sentenza confermativa della giurisdizione una sanatoria dell'invalidit della i pronuncia, come ha ritenuto invece il Consiglio di Stato, sia perch il giu- I I ! I f I I I II PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI D1 GIURISDIZIONE 475 dizio incidentale, per sua natura, si innesta su quello di merito senza tuttavia influire direttamente su questo, sia perch la violazione dell'obbligo di sospensione che qui interessa viene ad annullare la finalit istituzionale del regolamento preventivo, che quella di evitare giudizi inutili individuando previamente l'ordine giudiziario competente. L'attivit processuale svolta indebitamente illegittima per sua essenza, e tale rimane cos da non poter trovare una convalida nella risoluzione positiva della questione giurisdizionale, che estrinseca al giudizio di merito. Anche sotto il profilo della sanatoria degli atti processuali la conclusione non pu essere diversa, dato che la nullit di un atto pu essere sanata dal conseguimento dello scopo al quale preordinato (art. 156 c.p.c.), mentre nell'ipotesi di esame risulta elusa proprio la finalit di prevenzione per la quale stato dettato il regolamento. Questo, d'altronde, non un'impugnativa, n si surroga, sia pure in parte, ai mezzi di impugnazione, per anticiparne in qualche modo gli effetti, tanto che consente la formazione del giudicato pure nei riguardi della giurisdizione, implicitamente affermata con la decisione di merito, nonostante che sia poi negata alle Sezioni Unite. Su tale base si ritenuto da queste Sezioni Unite che il riconoscimento dell'invalidit della pronuncia, una volta impugnata ritualmente, comporti la cassazione senza rinvio del provvedimento, senza riguardo all'esito del regolamento di giurisdizione proposto in via preventiva (sentenza 6 maggio 1978 n. 2163 e prec.). Ma un ulteriore approfondimento del delicato problema, reso necessario dalla particolarit del caso presente (in cui stata riaffermata la giurisdizione che nei casi precedenti era stata, invece, riconosciuta insussistente) induce a temperare il rigore di questa affermazione, distinguendo l'ipotesi del sopravvenuto riconoscimennto della competenza giurisdizionale rispetto a quello del suo diniego, essendo diversa la situazione processuale sulla quale viene ad incidere la sentenza delle Sezioni Unite. Fermo restando che la pronuncia sulla giurisdizione rimane estranea a quella di merito, la decisione emessa da un giudice privo fin dall'origine di poteri cognitivi risulta viziata in tutto lo svolgimento dell'iter processuale, cos da rendere necessaria la cassazione senza rinvio del provvedimento. Nella seconda ipotesi, invece, la sussistenza del potere istituzionale del giudice adto viene ad essere confermata, solo che questo potere risulta esercitato, al momento della decisione, in un periodo nel quale gli era stato sottratto temporaneamente, per essergli restituito con la sentenza che definisce il regolamento. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Nel primo caso, dunque, l'accertamento definitivo del difetto assoluto di potestas iudicandi viene a travolgere il giudizio di merito nel suo complesso, e la decisione nella quale culminato; nell'altro, invece, viene a cadere su un processo che stato validamente incardinato, ma indebitamente proseguito, per cui occorre avere riguardo alla sola fase del processo nella quale il potere decisorio venuto meno. Da questo momento, infatti, e non anche prima, l'attivit processuale divenuta praeter legem, non potendo l'invalidit essere fatta retroagire agli atti posti in essere in precedenza, per i limiti che incontra l'efficacia esterna dei vizi (art. 159 cod. proc. civ.). Il processo, invero, come indica la parola stessa, costituito da una concatenazione di atti rivolti alla definizione della lite, ma la progressione nella quale si sostanzia, pur facendo convergere le diverse componenti nella funzione unitaria di affermare il diritto nel caso da decidere, non toglie individualit ai singoli atti, cos da non consentire che il vizio di uno di essi si trasmetta agli altri, se questi non trovano nell'atto viziato il loro presupposto condizionante. L'invalidit in discussione, conseguentemente, sopravviene alla regolare instaurazione del giudizio, che ha seguto il suo corso normale fino a che non divenuta operante la sospensione che ha precluso al giudice di procedere ulteriormente nel giudizio. Necessaria conseguenza di tutto questo che, nella specie, la conferma della giurisdizione comporta non solo la rimozione della pronuncia di appello, che non ha riconosciuto l'invalidit della decisione di primo grado, ma anche la necessit di rimettere le parti davanti al primo giudice perch il processo riprenda il suo corso, arrestatosi per il sopravvenire della sospensione imposta dall'art. 367 cod. proc. civ., a norma del terzo comma dell'art. 383 in relazione al primo comma dell'art. 353 cod. proc. civ. Questa soluzione trova conforto nei precedenti dello stesso Consiglio di Stato che, nell'ipotesi inversa del difetto di giurisdizione affermato dal tribunale amministrativo e negato, invece, da quello di appello, hanno riconosciuto l'esigenza di disporre un nuovo giudizio di prima istanza per sopperire alla mancata definizione di questo da parte del primo giudice (Ad. plen. 30 giugno 1978 n. 18; Sez. V, 6 novembre 1981, n. 538). La situazione non diversa nel caso in esame, dato che la riconosciuta invalidit della prima decisione viene a risolversi nel riconoscimento della mancanza di una effettiva cognizione da parte del primo giudice, al quale deve essere rinviata la causa in aderenza al principio generale del doppio grado di giurisdizione. Risultano assorbite, conseguentemente, le altre doglianze, che sollevano le questioni necessariamente subordinate del difetto di un inte PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 477 resse giuridicamente rilevante che legittimasse l.'intervento dell'ente portuale, e il difetto di legittimazione dello stesso ad appellare autonomamente la decisione, essendo intervenuto soltanto in via adesiva. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 9 maggio 1984, n. 2825 -Pres. Maz zacane -Rel. Sgroi -P. M. Fabi (concl. conf.) -Di Giovanni (avv. Ra stelli e Mazzarella) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Zotta). Giurisdizione civile Sentenza civile Interpretazione Contenuto. Giurisdizione civile Sentenza della Cassazione sulla giurisdizione Necessit di statuizione espressa sul rinvio Non sussiste Fattispecie in tema d'irregolare composizione dell'organo giudicante. (Artt. 360, n. 1 e 382 c.p.c.; artt. 1 e 2 d.P.R. 5 aprile 1978 n. 204). Giurisdizione civile Questione di giurisdizione Giudizio di ottemperanza Presupposto Sentenza passata in giudicato Mancanza Difetto di posizione tutelabile nei confronti della P A. (Art. 37, I. 6 dicembre 1971 n. 1034). Alle sentenze civili non possono applicarsi i canoni interpretativi fissati dagli artt. 1362-1371 cod. civ., perch non si tratta di accertare il cntenuto della volont delle parti in ordine al regolamento di interessi nell'esplicazione della autonomia privata, ma il contenuto del comando del giudice nell'esplicazione della sua funzione di valutazione ed appli . cazione delle norme che regolano il caso concreto (1). Non vi necessit di statuizione espressa sul rinvio quando il vincolo della pronuncia sulla giurisdizione emessa dalla Corte di Cassazione si estrinseca nella individuazione del giudice che ne fornito in concreto; pertanto, il rilievo della nullit per vizio di costituzione del giudice si risolve in un rinvio allo stesso giudice regolarmente costituito al quale va riconosciuta la giurisdizione, nullamente esercitata nella composizione illegittima (2). (1) Cfr. Cass. 22 febbraio .1982, n. 1102, in Giur. it., 1982, I, 1, 1007, rispetto alla quale non risultano precedenti specifici, che definisce inammissibile l'azione di mero accertamento diretta esclusivamente all'interpretazione del giudicato; Cass., 26 gennaio 1979, n. 601, in Mass., .1979, che considera l'interpretaziione del giudicato esterno alla stregua di un apprez.mmento di fatto incensurabile in sede di legittimit se adeguatamente motivato. (2) Cfr. Cass., S.U., 19 ottobre 11983 n. 6125, in Foro it., 1983" I, 2693: l'irregolare composi2fone del collegio giudicante s'inquadra nel difetto dli giurisdizione quando riveli carenza totale di legittimazione dell'organo; dd., 15 dicembre 1977, n. 5465, in questa Rassegna, 1978, 321. Cass., 12 giugno 01980, n. 3737, !in Foro it., 1980, I, 1860, con nota d C.M. BARONE e in Giust. civ., 1980, I, 1472, a curi sono seguite, dn senso parzialmente RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 478 Attiene alla giurisdizione la questione relativa alla mancanza del presupposto del giudizio di ottemperanza e, cio, del passaggio in giudicato della decisione, senza il quale non vi posizione giuridicamente tutelabile nei confronti della P. A. (3). Con l'unico motivo il Di Giovanni deduce il VIZIO del radicale ed assoluto difetto di giurisdizione della decisione del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, osservando che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con sentenza n. 3737 del 1980 avevano cassato senza rinvio la precedente decisione del 2 giugno 1978, nonostante che ci non fosse stato detto espressamente, in quanto non lasciava adito a dubbi il successivo univoco ed esplicito comportamento delle Sezioni Unite in casi identici (per esempio, Cass. 29 ottobre 1981, n. 5690) nel senso che, a seguito di riconosciuto difetto di giurisdizione del C.G.A.R.S. per irregolare sua composizione, la cassazione della sentenza viene pronunciata senza rinvio. Il Consiglio di Giustizia Amministrativa, nonostante che il rinvio mancasse (e non per semplice dimenticanza o errore materiale, ma per precisa e consapevole decisione) aveva ritenuto di potersi di nuovo occupare della causa, interpretando la pronuncia ablatoria senza rinvio allo stato delle cose e cio condizionata al permanere dell'irregolare composizione del giudice che aveva pronunciato la sentenza cassata. Invece, secondo il ricorrente, che il processo in tal caso non possa n debba proseguire, dimostrato dal caso deciso da Cass. n. 5690 cit. e da altri, in cui la Corte aveva condannato e liquidato le spese dell'intero processo, anche di quello svoltosi davanti al Consiglio di Giustizia Amministrativa. Non poteva quindi profila11si una terza ipotesi di cassazione, accanto a quella con rinvio ed a quella senza rinvio. Premesso che non veniva violato il principio del doppio grado di giurisdizione (del resto costituzionalmente non garantito) perch il secondo grado si era svolto, con una sentenza invalida, ma non inesistente; e che non contrario all'ordinamento il porre a carico della difforme id., 7 ottobre 1981, n. 543'2, Mass . .1981; id. 29 ottobre 11981, n. 5690, in questa Rassegna, 1981,_ I, 721J e dn Foro it., 1981, I, 2661 con nota di C.M. BARONE; id., 7 novembre 1981, n. 5885, in Mass., 1981; id., 24 settembre 1982, n. 4935, ivi, 1982; id., 29 marzo 11983, n. 2248, ivi, .1983. Cfr. inoltre Cons. giust. amm. 11eg. Sic., 17 giugno 1982, n. 24, in Cons. Stato, 1982, 1034 e Corte Costituzionale, 22 gennaio 1976, n. 25, iin Foro it., 11976, I, 1. Cfr., inoltre, 1a Relazione 11975-1980, vol. Il, p. 155. (3) Cfr. per tutte, Oass., Sez. Un., 7 novembre 1973 n. 2897, dn Mass., 1973, per cui la mancanza del passagglio in giud:ioato della sentenza comporta l'esercizio del potere giurisdizionale oltre i limiti segnati da11a norma e determ!ina l'invasione della srl.em di azione riservata agli organi della p.a.; Cons. Stato, sez. VI, 4 luglio 1972, n. 411, iin Cons. Stato, 1972, I, 14311. PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 479 parte il rischio dell'irregolare composizione del giudice, il ricorrente sostiene che la pronuncia senza rinvio contenuta nella sentenza n. 3737 del 1980 era stata determinata da obiettivi fattori. La natura della pronuncia sulla giurisdizione in sede di ricorso ord nario per cassazione non consente alcun provvedimento remissorio da parte della Corte; infatti, a seguito della pronuncia sulla giurisdizione, sia che la si affermi, sia che la si neghi, non si d luogo ad alcun .rinvio, estrinsecandosi la normativit della pronuncia nella fissazione vinco lante del giudice fornito di giurisdizione (ed eventualmente nelle indicazioni del giudice competente), ma non certo in quell'atto di investitura tipica che il rinvio perch il processo prosegua; ci tanto pi, in quanto la Cassazione non ha alcun potere di regolare all'interno lo svolgersi di un processo avanti ad un giudice speciale; il processo pro seguir o dovr essere iniziato ex novo a seconda delle specifiche norme che lo regolano, non per effetto di una pronuncia remissoria della Corte, ma a seconda del positivo portato delle norme proprie del processo nel quale fu pronunciata la sentenza cassata. Inoltre, secondo il ricorrente, nella specie il processo non poteva proseguire, a norma dell'art. 383 cod. proc. civ., non soltanto dinanzi al Consiglio nell'irregolare composizione rilevata, ma in senso assoluto, in quanto si era ormai consumato, con la pronuncia nel merito del giudice d'appello, ogni potere giurisdizionale di decidere la causa. Il vizio di irregolare composizione presenta due aspetti: uno quello della nullit della sentenza; l'altro quello del difetto di giurisdizione del giudice irregolarmente composto che abbia pronunciato; ma alla Cassazione interessa soltanto il secondo, in quanto si tratta di sentenza di un giudice nei cui confronti ~l sindacato di legittimit pu esercitarsi solo per motivi attinenti alla giurisdizione; pertanto, la sentenza nulla emessa al di fuori delle ipotesi in cui la legge consente ad un organo l'uso della giurisdizione, con conseguente improseguibilit del processo. Il Consiglio ha invece postulato la nascita di s stesso come nuovo giudice, a seguito della propria regolarizzazione quale evento successivo alla cassazione della sentenza. Pertanto -conclude il ricorrente -si avuto l'inizio di un nuovo processo di fronte al nuovo giudice recentemente sorto, ed il C.G.A., in difetto di apposita remissione da parte della Corte di Cassazione che consentisse -secondo l'ordinamento vigente -la riapertura del processo, difettava radicalmente di potere giurisdizionale a conoscere dell'appello che ex novo l'Amministrazione aveva proposto; il che era anche precluso dall'avvenuta consumazione sia dell'azione che del potere giurisdizionale per effetto del principio del ne bis in idem dal momento che sul merito era gi stata pronunciata sentenza. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 480 In realt l'appello dell'Amministrazione non si sarebbe potuto proporre: improponibile , infatti, la domanda ad un organo che a causa del difetto della sua composizione organica non occasionale, ma istituzionale, non pu considerarsi un organo giurisdizionale. Per le medesime considerazioni -secondo il ricorrente -deve essere annullato anche il capo che ha annullato i provvedimenti emessi dal TAR di Sicilia in sede di ottemperanza al giudicato formatosi sulla sentenza di primo grado, non sussistendo l'ipotesi di provvedimento abnorme sulla quale il Consiglio ha fondato la propria giurisdizione. Il ricorso infondato. L'Amministrazione Finanziaria ha eccepito che il Di Giovanni si duole della violazione del giudicato, per essere stato adito il C. di G.A.R.S. per l'impugnazione di una sentenza di primo grado sulla quale si era formato il giudicato a seguito della precedente sentenza n. 3737 del 1980 di questa Corte. Il ricorso -secondo l'Amministrazione inammissibile perch non deduce motivi inerenti alla giurisdizione, ma soltanto violazioni delle norme riguardanti lo svolgimento del processo nelle sue varie fasi, fino al giudicato, e non attinenti ai limiti esterni della giurisdizione. L'eccezione suddetta infondata. Si tratta, invece, di stabilire se il C. di G.A.R.S. fosse ancora fornito di giurisdizione o se la sentenza n. 3737 avesse determinato l'esaurimento della giurisdizione stessa. Anche se tale accertamento passa attraverso l'interpretazione della sentenza n. 3737, non per questo solleva un problema di giudicato, perch tale interpretazione deve essere condotta tenendo presenti le norme in base alle quali la Corte Suprema pronuncia sulla giurisdizione con riguardo alle sentenze del Consiglio di Stato (o del Consiglio di G.A.R.S.). In proposito possono ipotizzarsi tre conclusioni. Se, in base alla normativa vigente, si dovesse riconoscere che il predetto Consiglio, avendo gi pronunciato in illegittima composizione, non avesse pi il potere di giudicare la controversia fra il Di Giovanni e l'Amministrazione a cui apparteneva (rientrante per materia nelle sue attribuzioni) neppure in composizione legittima, ne conseguirebbe l'attribuzione di cosa giudicata alla sentenza del T.A.R. annullata dalla precedente decisione del Consiglio del 1978, a sua volta annullata per difetto di giurisdizione con la sentenza n. 3737. Il giudicato sarebbe l'effetto e non il presupposto del difetto di giurisdizione del Consiglio, che sarebbe affermato in virt di altre norme attinenti alla giurisdizione. La seconda ipotesi quella secondo cui la normativa vigente investe il Consiglio del potere di decidere in regolare composizione e che, in contrasto con essa, la sentenza n. 3737 abbia invece ritenuto che il Consiglio avesse esaurito la propria giurisdizione, pronunciando in irregolare PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 481 composizione. In tal caso, non avrebbe valore l'eventuale diversa interpretazione data dal Consiglio alle norme applicabili ed alla portata della pronuncia dichiarativa del difetto di giurisdizione, e quindi il sindacato della Corte Suprema in questa sede non riguarderebbe la violazione da parte dei giudici amministrativi delle norme processuali interne al loro ordine. L'indagine riguarderebbe sempre i limiti esterni della loro giurisdizione, fissati nel processo dalla precedente pronuncia vin colante, per la forza attribuita dal sistema alle sentenze della Cassazione, ex art. 382 cod. proc. civ., a prescindere dalla loro esattezza. Infine, l'ultima ipotesi che la normativa vigente configuri la sentenza di Cassazione dichiarativa del difetto di giurisdizione per irregolare composizione dell'organo che ha pronunciato, come una sentenza che necessariamente attribuisce la giurisdizione al medesimo organo, in regolare composizione (cfr., in tal senso, Sez. Un. 11 ottobre 1952, n. 3008). Quest'ultima ipotesi deve ritenersi esatta (Sez. Un. 19 ottobre 1983, n. 6125), non essendovi l'ostacolo della precedente pronuncia di segno diverso, come ritenuto dal ricorrente. Per suffragare la propria tesi la difesa del Di Giovanni ha sostenuto nella discussione orale che la sentenza n. 3737 deve essere interpretata alla luce del principio di buona fede, in base all'esame letterale (da cui risulterebbe la mancanza di un provvedimento positivo di rinvio) corrispondentemente all'intenzione del decidente, quale risulta dal suo comportamento successivo. Infatti, da un lato nelle _sentenze successive alla n. 3737 (le n. 5432, 5690, 5885 del 1981; la n. 4935 del 1982, la n. 2248 del 1983 ed altre) stato espressamente escluso il rinvio; e poich tali sentenze si inquadrano nel medesimo filone giurisprudenziale iniziato proprio cori la sentenza n. 3737, l'annullamento senza rinvio dovrebbe ritenersi contenuto anche in questa. Dall'altro lato, la sentenza n. 6125 del 1983 ha espressamente innovato rispetto al precedente indirizzo, indicando le ragioni per le quali doveva pronunciarsi la cassazione con rinvio. Il suddetto assunto infondato. Alle sentenze civili non possono applicarsi direttamente i canoni interpretativi fissati dagli artt. 1362-1371 cod. civ., perch non si tratta di accertare il contenuto della volont delle parti in ordine al regolamento di interessi nell'esplicazione dell'autonomia privata, ma il contenuto del comando del giudice nell'esplicazione della sua funzione di valutazione ed applicazione delle norme che regolano il caso concreto. evidente che esiste un momento di individuazione del significato delle parole usate, nella loro connessione, e cio di intelligenza del testo secondo i canoni linguistici e logici, ma non tale momento (proprio di ogni attivit volta a riconoscere e ricostruire, cio interpretare, il significato di qualsiasi forma espressiva) che si individua il rilievo giuridico dell'interpretazione della sentenza. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 482 L'aspetto giuridicamente rilevante di essa consiste nell'individuare il tipo di comando che vi contenuto, in relazione a tutti gli elementi del processo, a cominciare dalla domanda e dall'oggetto del giudizio, per finire -attraverso l'attivit espletata dal giudice e dalle parti nel giudizio stesso -alla motivazione ed al dispositivo della sentenza. Superato il momento linguistico-logico, il risultato dell'interpretazione della sentenza servir a stabilire se il giudice ha osservato le norme sostanziali e processuali che doveva applicare (se l'interpretazione fatta in sede di impugnazione e di controllo della sentenza rispetto al tipo predeterminato dalla legge con riguardo all'oggetto del giudizio); o a stabilirne il senso precettivo oggettivo, ai fini dell'esecuzione (Cass. 25 ottobre 1980 n. 5757) o di altro processo fra le stesse parti (Cass. 26 settembre 1983 n. 5707; Cass. 22 febbraio 1982 n. 1102). Il ricorso ad elementi extratestuali non pu ammettersi con riguardo ad atti di processi diversi i quali non possono avere alcuna influenza sugli scopi dell'interpretazione. Non possibile, in particolare, considerare l'organo giudiziario che ha emesso pi sentenze su casi uguali alla stessa stregua delle parti di un contratto che col loro comportamento, anche successivo, intendono in un certo modo il contratto stesso e lo fanno oggetto di una dichiarazione di accertamento del senso da attribuirgli. Una volta individuato il tipo legale di comando che il giudice ha in concreto emesso, il suo significato .e cio la portata della concreta volont di legge che vi contenuta deve essere stabilito con riguardo aUa normativa che, in fase di interpretazione, il giudice ritenga applicabile all'oggetto del giudizio, ovviamente con l'osservanza delle diverse regole processuali che si impongono a seconda degli scopi del riesame (si richiami la giurisprudenza in tema di interpretazione del giudicato esterno o interno; di giudicato implicito; di corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato; di assorbimento o meno di questioni preliminari; di correlazione fra motivazione e dispositivo). La suddetta attivit ricognitiva potr concludersi col riscontro di un errore commesso; errore che non pu essere corretto in sede interpretativa (cfr. Cass. 26 gennaio 1979 n. 601), ma sar oggetto, eventualmente, dei poteri affidati dalla legge all'altro giudice (per esempio, ai sensi dell'art. 384 cod. proc. civ., nelle forme dell'enunciazione del corretto principio di diritto o della correzione della motivazione in diritto). Nella specie, si tratta di stabilire se la precedente sentenza resa in questo stesso processo contenesse o meno il rinvio al Consiglio di Giustizia Amministrativa (nella composizione legittima nella quale ha poi in effetti pronunciato, punto quest'ultimo che non contestato). PAR:rn I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE In relazione ai principi enunciati ed all'orientamento ora accolto (Sez. Un., sentenza n. 6125 del 1983) il problema emergerebbe solo nel caso di errore commesso con la sentenza n. 3737 del 1980 e cio di pronuncia espressa di annullamento senza rinvio. Tale errore -ovviamente -non potrebbe pi correggersi, con conseguente negazione definitiva della potest giurisdizionale del C. di G.A.R.S. Invece, se dovesse ritenersi esatto il dispositivo che espressamente contenuto nelle successive sentenze sopra citate sulla stessa questione riproposta in altre cause, la mancanza nel dispositivo della sentenza n. 3737 dell'espressione cassa senza rinvio la sentenza impugnata accanto a quella che unicamente vi contenuta (dichiara il difetto di giurisdizione per irregolare composizione del Consiglio di G.A.R.S ) sarebbe priva di pratico rilievo, perch l'integrazione del dispositivo in tal senso dovrebbe operarsi in sede interpretativa, in forza del diritto vivente secondo l'interpretazione giurisprudenziale. Non deve affatto meravigliare l'ipotetica possibilit di diverse interpretazioni, in relazione alla funzionalizzazione di esse rispetto all'accertamento del concreto comando di legge con non vive in astratto,. ma nel processo in cui deve essere emesso. Non si tratta affatto di dubbiezze o incertezze interpretative, ma -al contrario -dell'unica certezza raggiungibile, che quella del confronto fra il comando concreto e la norma astratta interpretata. Nella specie, si deve interpretare una sentenza che ha dichiarato, puramente e semplicemente, il difetto di giurisdizione non dell'organo rispetto alla materia della causa, ma dell'o11gano in ragione della sua composizione irregolare. Il dispositivo espresso, nei suoi limiti letterali e logici (corroborato da quella parte nella quale provvede -compensandole -soltanto sulle spese del giudizio di cassazione ex art. 385 terzo comma, non applicando cio il secondo comma in tema di regolamento di spese nel caso di cassazione ,senza rinvio) non pone pertanto alcun dubbio di interpretazione. La pronuncia si modella in modo conforme all'esatta osservanza della norma dell'art. 382 secondo cui la cassazione senza rinvio si ha soltanto nel caso di difetto assoluto di giurisdizione (art. 382 terzo comma), mentre ogni altra statuizione sulla giurisdizione (con determinazione ove occorra" del giudice competente) o espressa in termini di rigetto del ricorso (avverso la sentenza impugnata ex art. 360 n. 1 cod. proc. civ.) ovvero, sia nel caso di accoglimento di ricorsi ex art. 360 n. 1, sia nel caso di regolamenti di giurisdizione, si estrinseca nella soluzione della questione di giurisdizione, mediante la statuizione definitiva su di essa. Pertanto, a parte il caso del dictum espresso (che assorbe ogni questione, ivi compreso ovviamente l'errore della Cassazione), non vi necessit di statuizione espressa sul rinvio quando il vincolo della pronuncia sulla giurisdizione si estrinseca nella individuazione del giudice che ne fornito RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 484 in concreto, mentre il processo proseguir o dovr essere iniziato ex novo dinanzi a lui, con gli effetti di cui all'art. 386 cod. proc. civ. Il rinvio deriva dall'applicazione delle norme che integrano il dictum non espresso, ma indubbio, perch conforme alla logica ed al tipo legale della sentenza n. 3737. Non pu ritenersi, infatti, che essa abbia statuito su una consumazione dei poteri giurisdizionali del Consiglio di G.A. in irregolare composizione, proprio perch la decisione allora impugnata fu ritenuta nulla e pertanto, secondo i principi generali, da sostituire con una pronuncia valida. vero che tale nullit si inquadra formalmente nel rilievo del difetto di giurisdizione (altrimenti il ricorso del 1978 sarebbe stato inammissibile), ma anche vero che il vizio rilevato derivava da una non conformit alla legge (quale risultava dopo la sentenza della Corte Cost. 22 gennaio 1976 n. 25), del collegio giudicante che avrebbe invece dovuto essere composto in conformit 11:tgli artt. 1 e 2 del d.P.R. n. 204 del 1978 (con esclusione dell'art. 3, per i motivi indicati nella sentenza n. 5885 del 1981), gi vigente al momento della pubblicazione della sentenza 27 giugno 1978 del Consiglio di Giustizia Amministrativa. E pertanto, nell'ordfo.amento esisteva -e soltanto di fatto se ne era procrastinata l'o~ganizzazione in concreto -l'organo munito di giurisdizione, alla stregua della statuizione della sentenza n. 3737 del 1980 considerata nel suo aspetto positivo, inscindibilmente connesso all'accoglimento del ricorso, in mancanza di un'espressa contraria disposizione. Come nei riguardi delle sentenze nulle degli organi -anche speciali -contro cui il ricorso ammesso anche al di fuori del motivo indicato dal n. 1 dell'art. 360 cod. proc. civ., il rilievo della nullit per vizio di costituzione del giudice si risolve in un rinvio allo stesso giudice regolarmente costituito (fra le molte altre, Sez. Un., 23 giugno 1971 n. 1982; id. 22 marzo 1983 n. 2011), cos al Consiglio di G.A.R.S. -inteso non come organo diverso, ma come organo conforme a legge sotto l'aspetto della sua regolare composizione -, va riconosciuta la giurisdizione, nullamente esercitata nella composizione illegittima. I due aspetti della pronuncia di annullamento sono inscindibili (salvo, si ripete, l'errore commesso in senso contrario). L'ultima parte del ricorso dguarda la decisione di annullamento della sentenza n. 259/81 resa dal T.A.R. in sede di giudizio di ottemperanza e solleva anch'essa un problema attinente alla giurisdizione (cfr. Sez. Un. 18 settembre 1970 n. 1563; id. 7 novembre 1973 n. 2897, per l'ipotesi simmetrica rispetto alla presente). Il ricorso si deve per respingere, perch esattamente la decisione impugnata ha ritenuto il difetto di posizione tutelabile nei confronti della P.A. col giudizio di ottemperanza, in assenza di decisione passata in giudicato (art. 37 1. 6 dicembre 1971 n. 1034), data la pendenza del tennine di riassunzione del giudizio. PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 485 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 11 maggio 1984, n. 2884 -Pres. Greco - Rel. Chiavelli -P.M. Fabi (concl. conf.) -Giordano (avv. Lanocita) c. Ministero del Lavoro e Ministero per i beni culturali (avv. Stato Ferri). Giurisdizione civile -Rapporto di pubblico impiego Caratteristiche Assunzione di giovani . Controversie -Giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. (L. 1 giugno 1977, n. 285). Non incompatibile con il rapporto di lavoro pubblico la circo stanza che l'atto di nomina debba essere preceduto da un procedimento di reclutamento e selezione analogo a quello previsto per la costituzione di un rapporto di lavoro privato, poich sufficiente a qualificare il rapporto di lavoro come pubblico la natura dell'ente, l'utilizzazione della prestazione di lavoro dedotta nel rapporto medesimo e l'atto autoritativo di nomina (1). Il ricorso non fondato. Esattamente il Pretore ha dichiarato il proprio difetto di giurisdi zione e la sussistenza della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Non v' dubbio, infatti, che il rapporto dedotto in giudizio sia un rapporto di pubblico impiego e che la relativa controversia rientri, perci, nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Il ricorrente venne assunto dalla Soprintendenza per i Beni Arti stici e Storici della Campania a partire dal 1 agosto 1978, ai sensi della l. 6/1977 n. 285 (recante provvedimenti per l'occupazione giovanile). L'art. 26 della citata legge autorizza le amministrazioni pubbliche e gli enti responsabili dell'attuazione dei progetti predisposti per il periodo di applicazione della legge ad assumere giovani iscritti nella lista di cui all'art. 4 della stessa legge, previa presentazione alla sezione di collo (1) Cfr. 'in termini Consiglio di Stato, sez. VI, 29 settembre 1982 n. 442, in Cons. Stato, .1982, I, 1129; Cass., 26 maggio 11979, n. 3070, in Foro it., 1979, I, 1708 con nbta di C.M. BARONE, la quale costituisce il punto di arrivo di quel prooesso di progressivo ridtimensionamento dell'atto formale dti nomina ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro come pubblico e di rilievo, invece, all'inserimento del soggetto privato all'interno dell'organizzazione funzionale dell'ente pubblico; per le c.d. assunzioni contra legem cfr. Cass., S.U., 2 maggio 1983, n. 3000 in questa Rassegna, 1983, I, p. 482; per la compatibilit con altra attivit prolessionale prevalente cfr. id., 22 marzo 1983, n. 2008, ibidem, p. 322. Sulla questione cfr. I giudizi di costituzionaJJit e il contenzioso dello Stato davanti alle giurisdizioni nazionalii, comunitade e internazionali , vol. III, 1983, pp. 607-611. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 486 camento competente per territorio di una richiesta numerica, per una durata compresa tra un minimo di quattro ed un massimo di dodici mesi, avvalendosi a tal fine delle risorse finanziarie di fondi nazionali stanziati sul bilancio dello Stato (art. 1-29 legge n. 285/1977). Il Giordano, come risulta dal contratto esibito, per tutta la durata del rapporto, veniva equiparato ad impiegato non di ruolo dello Stato di III categoria ed il rapporto di lavoro doveva intendersi regolato dalle norme in vigore per il personale non di ruolo dello Stato . Il Giordano si impegnava, altres, a frequentare i corsi di formazione professionale e di qualificazione indetti dall'amministrazione ove ci fosse ritenuto necessario alle esigenze di servizio. La detta attivit, scaturente dalla instaurazione di un siffatto rapporto di lavoro, veniva retribuita in misura pari a quella degli impiegati statali non di ruolo di III categoria. Il ricorrente, infine, stato adibito ai compiti che, specificamente, la legge indica all'art. 26, venendo cos ad essere praticawente inserito nella struttura organizzativa della Sopraintendenza. Ci posto, non pu contestarsi che, nel rapporto come innanzi costituito, siano ravvisabili tutti gli elementi che, per costante giurispn1denza di questa Suprema Corte, caratterizzano il rapporto di pubblico impiego che sono: la natura pubblica dell'ente datore di lavoro; la diretta correlazione tra i fini istituzionali di questo e l'attivit spiegata dal dipendente; la esistenza di un atto formale di nomina, il quale consista in un provvedimento emanato dall'organo che rappresenta l'Ente e contenga la manifestazione di volont di quest'ultimo di inserire il privato nella propria organizzazione e di utilizzarne le prestazioni lavorative, svolte dietro corrispettivo, con vincolo di subordinazione e con carattere di continuit e di prevalenza, se nqn di esclusivit (Cass. SS.UU. n. 2806 del 17 maggio 1979; 11 giugno 1977 n. 2440; 19 marzo 1979 n. 1585). Sussistono, infatti, nella specie: la natura pubblica dell'Ente datore di lavoro, essendo la Sopraintendenza organo locale del Ministero dei Beni Culturali che persegue finalit di pubblico interesse e che spiega attivit di natura formalmente amministrativa; l'inserimento del Giordano nell'organizzazione dell'ente, venendo lo stesso adibito allo svolgimento di attivit che sono proprie dell'Ente e che allo stesso sono commesse dalla legge; -l'atto formale di nomina, ra~visabile nel cosiddetto contratto di assunzione nel quale si evidenzia, al di l della sua formulazione letterale, la dichiarazione scritta della volont dell'Ammi nistrazione di inserire il ricorrente nella propria organizzazione, ai sensi e per i fini enunciati nella legge n. 285/1977. N, in presenza degli elementi suindicati, pu essere esclusa la sussistenza di un rapporto di impiego pubblico per il fatto che la legge f PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE (n. 285/1977) abbia previsto, per la costituzione di siffatto rapporto, la predisposizione da parte degli Uffici di collocamento di apposite liste di giovani disoccupati, da collocare temporaneamente presso Enti pubblici o privati datori di lavoro, disponendo altres il divieto di assunzioni nominative (art. 5 ultimo comma). Ed, infatti, non incompatibile con il rapporto di lavoro pubblico la circostanza che l'atto di nomina debba essere preceduto da un procedimento di reclutamento e selezione, analogo a quello previsto per la costituzione di un rapporto di lavoro privato (richiesta numerica e nulla osta dell'ufficio di collocamento), dal momento che comunemente ammessa, dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato e dalla dottrina, la sussistenza di rapporti di lavoro pubblico, ancorch in tutto o in parte retti dalle norme sul lavoro privato, essendo sufficienti a qualificare il rapporto la natura dell'ente, l'utilizzazione della prestazione di lavoro dedotta nel rapporto medesimo e l'atto autoritativo di nomina. N manca, nel rapporto di cui si tratta, la diretta correlazione tra la prestazione di lavoro, richiesta ai giovani collocati con legge n. 285, ed i fini istituzionali dell'Ente, per il fatto che detta prestazione debba anche avere la finalit della loro formazione professionale. Tale correlazione risulta stabilita proprio in forza dell'art. 26 della legge suindicata laddove prevede (titolo IV -recante disposizioni in materia di servizi socialmente utili) che per il periodo di applicazione della presente legge, l'amministrazione centrale e le regioni predispongono programmi di servizi ed opere intesi a sperimentare lo svolgimento di attivit alle quali, oltre al personale istituzionalmente addetto, possono essere destinati giovani in et compresa tra i 18 e i 29 anni. Dal che si desume che lo scopo della utilizzazione della prestazione lavorativa dei giovani assunti non costituito solo dalla formazione dei giovani stessi ma che l'attivit degli stessi finalizzata alla realizzazione di servizi ed opere, rientranti nei fifni dei vari enti nei settori dalla legge previsti (beni culturali ed ambientali; patrimonio forestale, ispezione del lavoro e servizi statali dell'impiego etc.) e perseguiti a meo dei contratti di formazione e lavoro di cui all'art. 7 della legge, oltre che per mezzo del personale istituzionalmente addetto. Non pu dirsi neppure che la finalit di formazione sia prevalente rispetto a quella lavorativa vera e propria, dal momento che a norma dell'art. 26 bis della legge il numero delle ore destinate ai suddetti cicli formativi, che non sono retribuite, non pu essere inferiore al trenta per cento delle ore di attivit lavorativa prevista dal contratto venendo, perci, ad essere consentita una significativa prevalenza di quest'ultima. Anche il Consiglio di Stato (Sez. VI 29 settembre 1982 n. 442) ha ritenuto che le controversie aventi ad oggetto il rapporto di lavoro instaurato ai sensi dell'art. 7 legge n. 285/77, sono di competenza del giudice ammi RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO nistrativo, osservando, esattamente, che a differenza di quanto previsto per il tirocinio dei medici ospedalieri (legge 18 aprile 1975 n. 148) l'assunzione con contratto di formazione ha principalmente lo scopo di dare al giovane un'occupazione anche se a questa si accompagna la frequenza obbligatoria a corsi di qualificazione, che favoriscono in futuro la possibilit di un pi facile inserimento nel mondo del lavoro . Non rileva, infine, che il rapporto di cui si tratta sia stato costituito dalla Sopraintendenza della Campania, organo periferico del Ministero dei beni culturali, che sarebbe privo di competenza a disporre assunzioni in rapporti di pubblico impiego, in quanto, al di fuori dei casi in cui debba considerarsi emanato in carenza di potere o sia privo di un requisito essenziale per poter essere riconosciuto come un provvedimento amministrativo, l'atto di nomina, anche sia affetto da alcuno dei vizi tipici di legittimit dei provvedimenti amministrativi, pur sempre idoneo a dar vita a rapporto di pubblico impiego. (SS.UU. n. 2750 del 27 giugno 1977). In ogni caso, risulta dagli atti che il Sopraintendente ha provveduto alla nomina di cui trattasi, per delega del Ministro per i beni culturali. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 17 maggio 1984, n. 3044 -Pres. Sandulli - Rel. Pannella -P.M. Zema (conci. conf.) -Cammaroto (avv. De Salvo e Cucinotta) c. Min. Lavori Pubblici (avv. Stato Linguiti). Giurisdizione civile -Giudicato esterno Eccezione in senso proprio Rilievo d'ufficio Conseguenze. (Artt. 324 e 112 c.p.c.). Giurisdizione civile Carenza della titolarit del rapporto giuridico con troverso Mancata specifica impugnazione in appello . Conseguenze. (Art. 2909 e.e.). Il giudicato esterno d luogo ad una eccezione in senso proprio, che deve, perci, essere proposta dalla parte nei modi stabiliti dal codice di rito; pertanto il rilievo d'ufficio da parte del giudice comporta la violazione del principio fondamentale della corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato" (1). (1) GiudsprudenZJa costante. In particolare l'eccezione non pu essere proposta per la prima volta .in sede di Legittimit: Cass., 10 gennaio 19&1, n. 223, in Mass., 1981; e nel rito speo1ale del lavoro va proposta, a pena di decadenza, nella memoria difensiva: Pretura Bari, 2 ottobre 1980, in Foro it., .1981, I, 1772. Secondo LIEBMAN, Manuale di diritto processuale civile, Milano, Giuffr, 1976, p. 73, si tmtterebbe di un'ipotesi di eccesso di potere giurisdizionale. rn PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 489 La carenza della titolarit del rapporto giuridico controverso deve formare oggetto di specifico motivo di impugnazione in appello e non pu essere rilevata d'ufficio in appello; di conseguenza, in mancanza di specifica impugnativa, sul punto si forma il giudicato interno (2). (2) Giurisprudenza pacifoa. Cass., 2 apri1e 1981, n. 1881, in Mass., 1981; id., 1 luglio 1.981, n. 4267, ibidem; id., 7 dioembre 1981, n. 6484, ibidem. In senso critico sulla dicotomia giudicato estevno -eccezione in senso proprio -giudicato interno -rilevabile d'ufficio v. LIEBMAN E.T., op. cit., vol. II, pp. 447 e ss. SEZIONE QUARTA GlURISPRUDENZA CIVILE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Lav., 14 gennaio 1984, n. 312 -Pres. Rubinacci -Est. Afeltra -P. M. Dettori (conci. conf.). Beltramini (avv.ti Marchese e Bergamaschi) c. Ministero del Tesoro -Uff. Liquidazione INAM (avv. dello Stato Corti). Lavoro -Medici convenzionati INAM -Recesso ex art. 2237, t comma, e.e. -Ammissibilit -Limiti. (Artt. 2230, 2237, 1367, 1369, 1371 e.e.). L'art. 2237 1 comma codice civile, laddove consente al cliente di recedere ad nutum dal contratto avente per oggetto prestazione d'opera intellettuale, ben derogabile anche implicitamente dalla volont delle parti; avendo, pertanto, la convenzione 3 marzo 1955, stipulata tra l'INAM e la Federazione Nazionale dell'Ordine dei Medici, minutamente disciplinato il regime delle infrazioni e relative sanzioni, non pu il giudice del merito apoditticamente affermare che in ogni caso salvo il diritto di recesso ex art. 2237 e.e., ma deve accertare; alla luce delle norme sull'ermeneu tica contrattuale, se l'effettiva intenzione delle parti contraenti non abbia inteso porre una regolamentazione incompatibile con detta previsione (1). Col primo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 2230 in relazione all'art. 2222 e falsa applicazione dell'art. 2237 e.e. e si assume che la convenzione 3 marzo 1955 stipulata tra l'INAM e la Federazione Nazionale dell'Ordine dei Medici regolamenta gli interessi delle parti con traenti in un quadro completo nel quale non soltanto vengono precisati compiti e facolt ma si prevedono le ipotesi conflittuali e dettate le regole per la loro risoluzione; che, in tale ambito e proprio a conferma che l'Ordine dei Medici aveva proposto e l'INAM aveva accettato di inserire organicamente nell'attivit dell'Istituto la categoria degli specialisti con uno speciale rapporto di stabilit che li sottraesse al regime generale di occasionalit che l'art. 2229 prevede per il rapporto di opera intellettuale, venivano pattuite precise regole per.H recesso dall'incarico e che pattuire tali regole e ritenere in ogni caso operante l'art. 2237 costituiva una palese contraddizione in termini. (Nel senso dell'applicabilit del recesso ad nutum nei rapporti tra INAM e mediai convenzionati &i rinviene il solo precedente di App. FiI'enze, 14 ottobre 1966, in Giur. Tosc., 1967, 19. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE Col secondo motivo il Beltramini si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 1367, 1369 e 1371 e.e. e prospetta che agli artt. 10 e 11 del Capitolato a) della cennata convenzione si era pattuita una speciale regolamentazione del recesso, diversa da quella prevista dall'art. 2237 perch in tali norme si prevede che il rapporto possa cessare per rinuncia del medico o per revoca dell'istituto; che il primo tenuto a comunicare la sua rinuncia con il preavviso di un mese dalla cessazione dell'incarico e l'Istituto con un preavviso di due mesi; che se la revoca non avviene di diritto e, quindi, con effetto immediato (c.d. decadenza a causa del venir meno dei requisiti legali che consentono il perdurare dell'incarico elencati ai punti a, b, e, d, e dell'art. 11) essa deve essere motivata ed il medico ha facolt di non accettarla ma di ricorrere alla Commissione Provinciale di cui all'art. 12; che, all'evidenza si tratta di clausole che, qualora dovesse venire applicato l'art. 2237 risulterebbero sfornite di qualsiasi efficacia e ci in netto contrasto con la regola interpretativa di cui all'art. 1367 e.e.; che, in ogni caso il contratto andava interpretato col rispetto delle regole di cui agli artt. 1369 e 1371 e.e. I due motivi innanzi riassunti vanno congiuntamente esaminati perch strettamente collegati tra loro. Il giudice di appello, facendo propria la premessa posta dal giudice di primo grado, secondo cui sia la convenzione che la lettera di conferimento in data 24 novembre 1958 qualificavano espressamente il rapporto come di prestazione professionale e richiamavano le norme contenute negli artt. 2230 e segg. cod. civ., concludeva che, accanto alla revoca di diritto con effetto immediato prevista dall'art. 11 del Capitolato coesistevano differenti istituti (revoca definitiva per motivi disciplinari a norma dell'art. 12, decadenza per incompatibilit stabilita nell'art. 4 nono comma) salvo in ogni caso il diritto di recesso unilaterale ai sensi dell'art. 2237 cod. civ. Osserva questo Supremo Collegio che tali considerazioni sono errate sia nelle premesse che nella conclusione. Va ricordato che, secondo le risultanze processuali, l'attuale ricorrente, cos come tutti gli specialisti, allorch si inser nel sistema mutualistico, firm apposita dichiarazione, apposta in calce alla lettera di conferimento dell'incarico in cui si specificava che esso dichiarante accettava l'incarico a rapporto professionale di cui alla convenzione alle condizioni ivi enunciate e a tutte le altre contenute nel capitolato del 3 marzo 1955 e successivi accordi. E lo stesso istituto resistente sottolinea che la lettera di conferimento dell'incarico precisava tra l'altro che l'incarico stesso la cui natura giuridica definita dalle disposizioni degli artt. 2230 e segg. cod. civ., disciplinato dal Capitolato e dagli Accordi di cui sopra . Va, poi, rilevato che nella Convenzione e nell'Allegato non vi alcun richiamo esplicito all'art. 2237 cod. civ. e che tale norma sicuramente RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO derogabile -come regola dispositiva -dalla volont espressa o tacita, delle parti, com' ormai riconosciuto dalla giurisprudenza, secondo la quale non osta a tale possibilit la natura fiduciaria del rapporto. Bisogna, a tal fine, tener presenti le clausole contenute nella convenzione sulla disciplina delle infrazioni, che rappresentano il sistema vigente fra le parti, quale risulta minutamente ipotizzato dalle parti negli artt. 10 e 11 All. Tale sistema di certo non compatibile con una incondizionata e immotivata facolt di recesso dell'INAM, in danno del professionista. Esso, quindi, si pone come deroga implicita all'art. 2237 cod. civ., per incompatibilit delle norme convenzionali speciali con la regola generale del codice. Queste disposizioni hanno natura privatistica, avendo la propria fonte in un accordo normativo privato. Le stesse commissioni, provinciale e centrale, sono da considerare non organi pubblici di controllo gerarchico, ma veri e propri collegi privati, perch istituiti col detto accordo di natura privata. I relativi provvedimenti, qualunque ne sia la natura, decisoria o consultiva, si pongono dunque a presidio degli impegni contrattuali assunti dalle associazioni di categoria verso l'INAM con gli accordi normativi per lo svolgimento del servizio. Il sistema della convenzione predisposto, quindi, per assicurare l'esecuzione degli accordi normativi privati a vantaggio degli assistiti dell'INAM e, nel contempo, a tutelare l'interesse ed il prestigio del professionista. Proprio a salvaguardia di tali esigenze le disposizioni dell'accordo pongono le precise condizioni di applicabilit delle sanzioni che, per la loro natura negoziale, si inquadrano nella normativa generale del codice civile sul contratto di prestazione d'opera intellettuale. Deve quindi, ritenersi che la regola generale dell'art. 2237 cod. civ. subisca implicita deroga per incompatibilit col sistema delle norme convenzionali dettate per il controllo e la repressione delle infrazioni, a presidio della regolarit del servizio. N un richiamo all'art. 2237 pu inferirsi dalla dichiarazione sottoscritta dal Beltramini nella lettera-contratto perch in essa si dice soltanto che la natura giuridica dell'incarico definita dalle disposizioni degli artt. 2230 e segg. cod. civ. ed disciplinato dal Capitolato e dagli Accordi" Il che in altre parole significa che la normativa del cod. civ. stata tenuta presente dalle parti solo per quanto riguarda la definizione dell'incarico (prestazione d'opera intellettuale) per cui quando le parti hanno posto l'aggiunta e seguenti hanno voluto richiamare soltanto gli articoli relativi alla definizione dell'incarico perch, per quanto riguarda la disciplina di esso hanno fatto solo ed esclusivo riferimento al Capi I. tolato ed agli Accordi. ~ f: ! 1: PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 493 Sulla base di tali considerazioni, che han formato oggetto anche di precedenti meditate decisioni di questa Corte, il giudice di appello non poteva quasi apoditticamente affermare -pur in assenza di un espresso riferimento all'art. 2237 cod. civ. -che tale norma era stata tenuta sicuramente presente dalle parti per cui -cos testualmente si esprime era salvo in ogni caso il diritto di recesso unilaterale ai sensi dell'articolo 2237 cod. civ. . Il giudice di appello avrebbe dovuto, invece, sottoporre Convenzione ed Allegato ad una minuziosa analisi seondo le regole di ermeneutica contrattuale, tenendo presente nella indagine relativa all'accertamento della comune intenzione delle parti (art. 1362 cod. civ.) il loro comportamento complessivo anche posteriore cercando in ogni caso di rispettare la regola della conservazione del contratto (articolo 1367 cod. civ.). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Lav., 14 gennaio 1984, n. 324 -Pres. Monteleone -Est. Ramat -P. M. Corasaniti (diff.). Cattani (avv. Agostini) c. Ministero del Tesoro, Ufficio liquidazione INAM (avv. dello Stato Nucaro). Previdenza -Malattia -Accertamento mediante visita di controllo -Im possibilit -Sospensione dell'indennit. (Art. 6 legge 11 gennaio 1943, n. 138; art. 38 della Costituzione). Sono valide ed efficaci le limitazioni alla erogazione dell'indennit di malattia, anche se poste da fonti di rango inferiore a quello di legge, che disciplinano obblighi integrativi del rapporto assicurativo; nel caso di sottrazione alla visita di controllo, peraltro, la sanzione non pu che consistere nella sospensione dell'indennit finch non sia stato possibile compiere detta visita (1). (omissis) Riguardo alle altre specifiche doglianze, va ricordato come la giurisprudenza di questa Corte abbia in un primo tempo negato qualsiasi validit ed efficacia limitatrice del diritto all'indennit di ma (11) In senso con.forme, m una ipotesi ne1la quale l'accertamento de1lo stato morboso era stato reso impossibdle da fatto imputabdle al lavoratore, cfr. Oass. 12 1aprile 1980, n. 2354, in Assistenza sociale, 11980, II, 163 ,e Cass. 18 giugno 1980 n. 3889, m Arch. oiv. 1980, 901; Trib. Reggio Emilia, 28 novembre 1979, in Previdenza sociale, :1980, 920, ed ivi nota chi Lipa!l'li. Nel senso, invece, che fa corresponsione dell'indennlit sarebbe comunque dovuta, Trib. Milano, 30 gennaio .1981, in Lavoro 80, 1981, 566. Per iii precedente orientamento giurisrprudenziale, secondo 111 quale solo con norma di legge poteva derogal'sli alle disposizioni che prevedono ~a ero gazione della iLndennit di malattia, si veda Qi,ss. J.7 1ug1io 1979, n. 4218, in Rep. F.I., 11979, col. 2064. 494 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO lattia, tanto all'art. 19 del CCNL corporativo 3 gennaio 1939, quanto all'art. 4 del Regolamento Interno INAM per le prestazioni economiche; affermando, di contro, che limitazioni del genere potevano essere stabilite soltanto da norme di legge; e che nell'art. 6 della legge 138/43, unico testo di legge in materia, limitazioni del genere non ve ne sono. Successivamente, la giurisprudenza ha invece ritenuto afficaci le di sposizioni, di fonte inferiore, che contengono sanzioni in danno dell'assicurato, come la sospensione dal diritto all'indennit di malattia in caso di inottemperanza alle prescrizioni mediche e in specie in caso di sottrazione alla visita di controllo; il nuovo orientamento riconosce che queste limitazioni del diritto dell'assicurato, sono giustificate perch ineriscono all'accertamento del presupposto necessario per la corresponsione dell'indennit, ossia del perdurare della malattia (sent. 2354/80 Sez. Lav.). Sotto tale profilo, sostanzialmente riconducibile al criterio dell'in tegrazione del contratto (art. 1374 cod. civ.) il recente orientamento va confermato; ma la stessa sentenza ora citata, se da un lato riconosce validit alle limitazioni poste dalle fonti inferiori e non dalla legge, e dunque legittima la sospensione del diritto alla erogazione dell'indennit di malattia, a carico del lavoratore assentatosi da casa contro il divieto del medico, dall'altro richiama espressamente la sentenza 515/78 Sez. Lav.: dove affermato il principio secondo cui la condotta del lavoratore consi stente nel precludere ai medici dell'INAM un accertamento tempestivo dello stato di infermit invalidante, pu portare al disconoscimento della indennit fino a quando non sia stato possibile compiere il detto accerta mento con esito positivo. Vanno, dunque, ribaditi entrambi i princpi: sia il principio che sono valide ed efficaci le limitazioni dell'indennit di malattia derivanti non da disposizione di legge ma da normazioni di rango inferiore disciplinanti gli obblighi integrativi del rapporto assicurativo in questione, e con specifico riferimento al caso di inosservanza delle prescrizioni mediche e, in specie, di sottrazione alla visita di controllo; sia il principio che, per, la corrispondente sanzione non pu consistere nella perdita dell'indennit per una determinata quantit di giorni, bens e soltanto nella sospensione di essa fino a quando la visita i controllo si sia potuta compiere. Il che implica due conseguenze: la prima, che la visita di controllo. dopo un primo inutile tentativo, va replicata entro un termine di ragio nevolezza imposto tanto dalla diagnosi e dalla prognosi della malattia, quanto dalla necessit di contemperare i contrapposti interessi delle parti; la seconda conseguenza, che in mancanza della effettiva visita di con trollo (dopo il primo esperimento vanificato per colpa dell'assicurato) per inerzia dell'Istituto assicuratore, la sospensione dell'indennit di ma lattia potr riferirsi soltanto al giorno in cui l'ammalato si sottrasse alla visita. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILB 495 Ritiene la Corte che i criteri ora enunciati rappresentino il punto di equilibrio tra il diritto, attribuito ai lavoratori dall'art. 38 della Costi tuzione, a che siano assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di maiattia, e il d!lvere di collaborazione, che ai medesimi incombe nell'ambito del rapporto di assicurazione sociale al fine di evitare erogazioni ingiustificate. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Lav., 3 febbraio 1984 n. 832 -Pres. Franceschelli -Est. Tridico -P. M. Grossi (Conci. Conf.). Gelli Gastone (avv. Dallari) c. INAM e Ministero Tesoro. Uff. Liquidazione INAM (avv. Stl}.to Bruno). Lavoro -Rapporto di lavoro autonomo -Convenzioni Enti mutualistici Godimento benefici combattentistici -Incompatibilit. (d.!. 8 luglio 1974 n. 261, art; 1, I. 14 agosto 1974 n. 355 e.e., artt. 2041 e 2126). L'art. 1 d.l. 8 luglio 1974 n. 261, come convertito dall'art. 1 legge 14 agosto 1974 n. 355, che prevede il divieto per il personale collocato a riposo ai sensi dello stesso decreto di essere assunto con impiego e di ricevere incarichi alle dipendenze dello Stato, degli altri enti pubblici e comunque di enti e societ che fruiscano di contributi ordinari dello Stato, si riferisce anche agli incarichi che si ricolleghino ad un rapporto di lavoro autonomo (1). Stante tale divieto, la prestazione lavorativa effettuata successivamente non costituisce titolo per la percezione dell'intera retribuzione, non essendo applicabile al rapporto di lavoro autonomo l'art. 2126 cod. civ.; conseguentemente l'ente datore di lavoro sar obbligato soltanto nei termini dell'indebito articchimento di cui all'art. 2041 cod. civ. (2). Il ricorso principale -i cui motivi possono essere unitariamente considerati, attesa l'unicit della questione che viene proposta -non fondato. L'art. 1 d.l. 8 luglio 1974 n. 261, recante modificazioni alla legge 24 mag gio 1970, n. 336 in favore dei dipendenti dello Stato ed enti pubblici ex combattenti ed assimilati, il quale, nel testo risultante dall'art. 1 legge di conversione 14 agosto 1974, n. 355, prevede nei confronti del personale (1) Cfr. sul punto, Cass. SS. UU. 19 luglio 1982 n. 4200, in Foro lt., Rep. 1982, v. Impiegato dello Stato, n. 764. La eccezione di illegittimit costituzionale della normativa in esame stata pi volte ritenuta manifestamente infondata; cfr. tra le altre, T.A.R. Lazio, sez. I, 4 luglio 1979 n. 519, in Foro Amm.vo, 1979, I, 2229. (2) Sulla prestazione lavorativa effettuata in ipotesi di espliciti divieti legislativi, e sulla sua configurabilit in termini di rapporto di servizio di fatto, cfr. A.M. Sandulli, Manuale di dhitto amministrativo, Napoli, 1982, 229. 7 RASSEGNA DEI.L'AVVOCATURA DELLO STATO collocato a riposo ai sensi dello stesso decreto, il divieto di essere assunto in impiego o di ricevere incarichi alle dipendenze dello Stato, degli altri enti pubblici, anche economici, di societ anche a partecipazione statale e di enti che fruiscono del contributo ordinario dello Stato e siano sottoposti al controllo della Corte dei Conti (eccettuata la partecipazione ad organi collegiali ed a commissioni) si riferisce non soltanto agli incarichi che creano un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato, sia pure straordinario o temporaneo, ma anche a quelli che si ricolleghino ad un rapporto di lavoro autonomo, con parasubordinazione secondo la previsione dell'art. 409, n. 3 cod. proc. civ., in quanto la prestazione di opera, prevalentemente personale, presenti connotati di continuit e coordinamento, s da inserirsi nell'ambito dell'organizzazione di detti enti per una stabile collaborazione nel perseguimento delle loro finalit istituzionali (nella specie: prestazione professionale di un medico presso ambulatorio dell'INAM). Con riguardo ai dipendenti dello Stato e degli enti pubblici collocati riposo con i benefici per gli ex combattenti di cui alla legge 24 maggio 1970, n. 336, l'art. 6, 2 comma d.l. 8 luglio 1974, n. 261, nel testo risultante dall'art. 1 legge di conversione 14 agosto 1974, n. 355, il. quale prevede la cessazione dell'efficacia, nel termine di sei mesi dall'entrata in vigore della legge di conversione, delle assunzioni effettuate e degli incarichi conferiti anteriormente all'S luglio 1974, si riferisce (manifestamente non in contrasto con gli artt. 2, 4.e 36 Cost.) tanto alle assunzioni ed agli incarichi conferiti a dipendenti gi pensionati, quanto a quelli conferiti prima del collocamento a riposo, pure se anteriormente all'entrata in vigore della suddetta legge del 1970; tale inefficacia non si verifica ai sensi del 3 comma del medesimo art. 6, solo quando, nell'indicato termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione, l'interessato rinunci al trattamento di quiescenza ottenuto in base alla legge n. 336 del 1970, e, quindi, resta inderogabilmente operativa rispetto ai collocamenti a riposo, con i benefici combattentistici, avvenuti dopo la scadenza del termine stesso (v. sent. n. 4201 del 19 luglio 1982). L'art. 6 d.l. 8 luglio 1974, n. 261, nella formulazione della legge di conversione 14 agosto 1974 n. 355 prevede che le assunzioni effettuate e gli incarichi conferiti anteriormente all'S luglio 1974 al personale collocato in quiescenza a norma della legge 24 maggio 1970, n. 336, cessino di avere efficacia nel termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione; pertanto, unico presupposto per l'applicabilit della norma il contemporaneo godimento di un qualsiasi trattamento di attivit cumulato con quello pensionistico ottenuto ai sensi della legge n. 336 del 1970 cit., indipendentemente, quindi, da ogni considerazione sulla precedenza del conseguimento dell'uno rispetto all'altro. Fondato invece il ricorso incidentale. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILB Rileva il Tribunale che l'INAM, dopo avere nel febbraio 1975 revocato l'incarico, sospese successivamente il provvedimento. Ora la sospensione del provvedimento importa che questo cess di avere efficacia, e che il rapporto prosegu come in precedenza. quindi semplicemente peregrina -cos il Tribunale -la pretesa di non corrispondere il trattamento normativo precedente, dovuto in base all'Accordo Nazionale. Erroneo sarebbe -sempre secondo il Tril:>unale -il richiamo alla prestazione di fatto e all'azione d'arricchimento di cui all'art. 2041 cod. civ., dinanzi a un contratto di prestazione di opera professionale disciplinato dal diritto privato, proseguito ininterrottamente tra le parti senza alcuna consensuale modifica. Tali affermazioni sono erronee. Poich l'art. 6 del cit. d.l. n. 261 del 1974 contiene un assoluto divieto di ricevere impieghi o incarichi , evidente che la prestazione lavorativa del Gelli viene ad essere privata del suo titolo di legittimazione, ossia del contratto, e viene a tradursi in una prestazione meramente di fatto. N la situazione pu essere ricondotta nell'alveo dell'art. 2126 cod. civ. giacch tale disposizione riguarda soltanto il rapporto di lavoro subordinato, mentre, come sopra si detto, tale non pu essere definito il rapporto del Gelli con l'INAM . L'ipotesi normativa astrattamente applicabile dunque quella prevista dall'art. 2041 cod. civ., tenendosi presente che il fatto materiale dell'esecuzione di una prestazione a vantaggio di un ente pubblico non di per s sufficiente a creare il credito di cui all'arti colo 2041 del codice civile, essendo altres necessaria una manifestazione di volont della P. A. diretta al riconoscimento dell'utilit della prestazione o in modo esplicito, mediante un atto formale, oppure implicitamente mediante l'utilizzazione della prestazione consapevolmente attuata dagli organi rappresentativi dell'ente (utiliter gestum). Il Tribunale avrebbe dovuto soffermarsi non soltanto sull'utilizzazione da parte dell'INAM, dell'attivit professionale del Gelli, ma anche sui limiti dell'arricchimento in conseguenza della prestazione del servizio reso di fatto dal predetto. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 3 maggio 1984, n. 2687 -Pres. Santosuosso -Rel. Corda -P. M. Caristo (conci. conf.). Tajani (avv. La Vella e Serpico) c. Min. Finanze (avv. Stato Mari). Poste e telecomunicazioni -Radiotelevisione -Rivenditore di apparecchi radio-televisivi -Obbligo di pagare il canone di abbonamento Sussiste. (Art. IO r.d.l. 23 ottobre 1925, n. 1917; art. l I. 4 giugno 1938, n. 880; art. 5 d.l.lgt 1 dicembre 1945, n. 834). 498 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Poste e telecomunicazioni -Radiotelevisione -Obbligo di pagamento del canone da parte di commercianti e rivenditori di apparecchi radiotelevisivi -Disparit di trattamento con l'utente vero e proprio - Insussistenza -Questione manifestamente infondata di costituzionalit. (Art. 3 Cast.; art. 10 r.d.l. 23 ottobre 1925 n. 1917). Poste e telecomunicazioni -Radio-televisione -Obbligo di pagamento del canone da parte di commercianti e rivenditori di apparecchi radio televisivi -Violazione del principio di capacit contributiva -Doppia imposizione fiscale -Insussistenza -Questione manifestamente infon data di costituzionalit. (Art. 53 Cast.; art. 10 r.d.l. 23 ottobre 1925 n. 1917; art. 2, u.c., r.d.l. 24 febbraio 1938, n. 246). In base all'art. 10 r.d.l. 23 ottobre 1925, n. 1917, richiamato dall'art. 5 d.l.lgt. 1 dicembre 1945, n. 834 e, comunque, non abrogato dalla normativa del 1938, anche i commercianti ed i rivenditori di apparecchi radiotelevisivi sono obbligati al pagamento del canone di abbonamento della radio televisione (1). manifestamente infondata la questione di legittimit costituzionale dell'art. 10 r.d.l. 23 ottobre 1925, n. 1917, in relazione all'art. 3 Cost., perch la parit di trattamento in concreto prevista dalla norma de quo per due situazioni che si presentano uguali, essendo per entrambe unico il fatto generatore dell'obbligo: la detenzione di apparecchi atti o adattabili alla ricezione di trasmissioni radio-televisive (2). manifestamente infondata la questione di legittimit costituzionale dell'art. 10 r.d.l. 23 ottobre 1925, n. 1917 in riferimento all'art. 53 Cost., perch l'obbligo del pagamento del canone dalla legge ricollegato alla detenzione di apparecchi in luogo determinato, indipendentemente da ogni possibile qualificazione soggettiva (utente o commerciante) (3). (1-2-3) Con la sentenza in epigrafe, la Corte ribadisce quell'orientamento giurisprudenziale consolidato in base al quale il canone radiotelevisivo ha natura di tributo e l'obbligo del suo pagamento scaturisce dal mero fatto della detenzione; orientamento dal quale si era discostato Trib. Torino, 8 giugno 1979 (primo grado fra le stesse parti), in Giur. it., 1979, I, 2, 598 con nota redazionale adesiva, precisando che la detenzione andava, invece, intesa come detenzione in vista, sia pure potenziale, del servizio di utenza. Cfr. Cass., 1 febbraio 1983, n. 864, ivi, I, l, 878, che afferma che presupposto sufficiente per l'obbligo del pagamento del canone il semplice possesso di un apparecchio idoneo a ricevere trasmissioni indipendentemente dal suo effettivo godimento; id., 16 gennaio 1975, n. 164, in Foro it., 1975, I, 563 sulla natura tributaria del canone televisivo. In dottrina cfr. da ultimo A. FRANCO, Natura e profili costituzionali del canone di abbonamento nel quadro del rapporto di utenza radiotelevisiva, in Giur. cost., 1983, p. 1629 e V. ZENO-ZENCOVICH, Legittimit del suggellamento dell'apparecchio radiotelevisivo e natura giuridica del cosiddetto canone R.A.l., in Giur. if., 1984, III, 179 entrambi critici verso l'impostazione tradizionale della questione. GABRIELLA PALMIERI 1: ir: ' r. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILB 499 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 13 giugno 1984, n. 3544 -Pres. Sandulli - Rel. Sgroi -P. M. Antoci -Ministero delle Finanze (avv. Stato Salimei) c. Gregorini. Fallimento -Provvedimento di ammissione al passivo -Notifica di atti al curatore -Effetti -Sentenza dichiarativa del fallimento -Revoca - Opponibilit degli atti al debitore tornano in bonis -Inammissibilt Fattispecie. Il provvedimento del giudice delegato di ammissione al passivo esaurisce i suoi effetti nell'ambito del processo fallimentare e non fuori del fallimento n produce la cosa giudicata conseguenziale soltanto alla sentenza che decide definitivamente la contestazione del credito e che vincola il fallimento anche dopo la revoca del fallimento. Pertanto il decreto ministeriale emesso in tema di i.g.e., in pendenza del fallimento, doveva essere notificato al curatore al fine di rendere opponibile al curatore la definitivit del decreto ministeriale, ma sia tale notifica, sia la mancata apposizione hanno rilevanza nell'ambito dell'accertamento del passivo fallimentare, con la conseguenza che, una volta tornato in bonis il fallito, la p.a., per rendere definitivo il decreto, doveva procedere a nuova notifica nei confronti del debitore (1). Si deve premettere che in tema di infrazioni alle norme sull'I.G.E., la mancata impugnazione, ai sensi e nel termine prerentorio di cui allo art. 52 della legge 19 giugno 1940 n. 762, del decreto ministeriale determinativo dell'imposta evasa e della relativa pena pecuniaria, preclude ogni possibilit di successiva contestazione della legittimit della pretesa dell'Amministrazione Finanziaria, ivi compresa quella attinente all'eventuale pregressa maturazione del termine prescrizionale, con la conseguenza che ove l'Amministrazione emetta ingiunzione per il recupero dell'imposta e della pena, l'opposizione del contribuente pu riguardare solo i vizi formali di tale atto (Cass. 4 novembre 1980 n. 5913) ovvero fatti successivi alla notifica del decreto (Cass. 12 maggio 1979 n. 2736). Perch si verifichi l'effetto preclusivo anzidetto necessario (quando avvenuta la notificazione del decreto, che costituisce il termine a quo) il mancato esperimento del gravame dinanzi all'Autorit Giudiziaria in sede civile (art. 52, cit. secondo comma). Ma se la notificazione non avvenuta, ovvero invalida od inefficace, evidente che il mancato esperimento del gravame irrilevante perch il soggetto passivo non decaduto dal diritto (1) Questione di specie, che si inquadra nei principi :ci.chiamati nella motivazione della sentenza: cfr. Sez. Un. 27 luglio 1963 n. 2082 e Cass. 21 maggio 1983 n. 3523. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO di proporlo (cfr. Cass. 25 gennaio 1969 n. 233) o potr far valere, contro la successiva ingiunzione notificatagli, i motivi proponibili contro il decreto ministeriale. da sottolineare che l'Amministrazione non prospetta nel suo ricorso l'efficacia della notifica del decreto a fini diversi da quello della produzione dell'effetto preclusivo dei motivi di opposizione colpiti dalla decadenza per effetto dell'inutile decorso del termine di sessanta giorni. In particolare, non deduce la possibilit di qualificare la notifica al curatore del fallimento come atto interruttivo della prescrizione, nello ambito della disciplina dell'art. 21 legge fallimentare, in relazione all'articolo 94 stessa legge (cfr. Cass. 7 aprile 1983 n. 2449), nonch all'art. 1310 cod. civ. Poich le questioni inerenti all'interruzione della prescrizione non sono rilevabili d'ufficio (cfr. Cass. 21 novembre 1981 n. 6197, Cass. 5 febbraio 1980 n. 800) l'esa!Ile della Corte non si deve estendere a tali profili, ma deve limitarsi alla questione sollevata, nella quale l'eccezione di prescrizione del credito tributario si presenta non in rapporto alle cause di interruzione, ma solamente in relazione alla sua improponibilit perch non fatta valere con l'opposizione al decreto ministeriale per quanto concerne il periodo maturato prima della sua notificazione. Si deve precisare che l'Amministrazione non deduce neppure la questione dell'effetto non istantaneo, ma permanente dell'interruzione della prescrizione fino alla definizione del procedimento amministrativo in materia di I.G.E. (cfr. fra le altre conformi, Cass. 26 agosto 1971 n. 3582), in relazione anche all'art. 1310 cod. civ. Nei limiti in cui il problema sollevato, esso consiste nello stabilire se il suddetto effetto preclusivo si estende al fallito tornato in bonis, in dipendenza di una notifica effettuata nei confronti del curatore prima della sentenza che ha revocato il fallimento. La risposta, secondo questa Corte, negativa. Si premette che la salvezza degli effetti degli atti legalmente compiuti dagli organi del fallimento, prevista dall'art. 21 per il caso di revoca della sentenza dichiarativa di fallimento, trova applicazione anche nell'ipotesi in cui tale sentenza sia dichiarata nulla in esito ad opposizione per mancata preventiva audizione del debitore (Cass. 22 giugno 1982 n. 3781). Contrariamente a quanto si legge nella sentenza impugnata, la salvezza riguarda non soltanto gli atti di diritto sostanziale, ma anche gli atti da definire processuali (per esempio, i provvedimenti emessi dal Giudice delegato in sede di liquidazione dell'attivo ex artt. 106-108, i quali sono atti esecutivi processuali: cfr. Cass. 17 luglio 1980 n. 4647, in motivazione). pure dubbio, come ha rilevato la prevalente dottrina, che la salvezza sia posta a tutela dell'affidamento dei terzi, dal momento che non richiesto il requisito della buona fede di costoro (cfr. tuttavia, in senso contrario, Cass. 22 aprile 1954 n. 1229). Tutti i suddetti problemi non PARTB I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE devono per approfondirsi, perch occorre preliminarmente stabilire se una notifica, effettuata dall'Amministrazione allo scopo di far acquisire al proprio provvedimento decisorio sul ricorso amministrativo in materia di I.G.E. quel carattere di definitivit che gli proprio, possa comprendersi fra gli atti legalmente compiuti dagli organi del fallimento. La .lettera della disposizione to esclude, al pari della sua ratio. L'art. 21 individua un'eccezione, ma il principio generale quello dell'eliminazione degli effetti del fallimento, a seguito della revoca, perch la sentenza di fallimento impugnata con l'opposizione sostituita interamente dalla sentenza di revoca. A parte i limiti dell'eccezione (non restano salvi gli effetti degli atti non legalmente compiuti dagli organi del fallimento), soggiacciono alla revoca gli effetti immediatamente ricollegabili alla sentenza di fallimento. Fra gli effetti discendenti dalla dichiarazione di fallimento vi l'apertura del concorso dei creditori che devono far accertare i loro crediti secondo le norme stabilite da capo V (art. 53 legge fall.). esatto -come ricorda l'Amministrazione -che il decreto DJinisteriale (una volta dichiarato il fallimento ed a prescindere dalla pendenza dell'opposizione alla sentenza dichiarativa) doveva essere notificato al curatore, perch il fallito era privo di capacit (cfr. Cass. 29 aprile 1983 n. 2976), ma tale necessit si deve mettere in rapporto con il sistema dell'accertamento del passivo. Per rendere opponibile al curatore la definitivit dell'accertamento fiscale in sede amministrativa, l'Amministrazione (che non aveva effettuato la notifica al debitore) aveva l'onere della suddetta notifica. Si tratta, quindi, di una conseguenza diretta della sentenza dichiarativa di fallimento, a cui non si aggiunto alcun atto,legalmente compiuto dagli organi del fallimento se non nei limiti di cui subito si dir. stato osservato da un'autorevole dottrina che il fallito tornato in bonis dopo la revoca del fallimento non pu opporre la sua perdita di capacit durante la procedura fallimentare, se l'effetto di cui si discute, pur determinato dalla sentenza di fallimento, si sia inserito in altra fattispecie perfezionatasi in osservanza della disciplina sua propria. La Corte osserva che, nella specie, alla notifica poteva seguire o l'opposizione del curatore, o la sua mancata opposizione. evidente (come osserva l'Amministrazione ricorrente) che l'oppo sizione del curatore sarebbe stata fatta salva ai sensi dell'art. 21 legge fall. nonostante la revoca del fallimento, purch compiuta con l'autorizzazione del G.D., e che il fallito avrebbe avuto l'obbligo, una volta tornato in bonis, di coltivarla, sostituendosi al curatore. Ma da tale regola non si pu inferire l'esattezza della regola reciproca, e cio dell'opponibilit al debitore della mancata opposizione. Questa -se deve qualificarsi come atto -consiste in una non contestazione che il giudice del merito ha valutato sotto il profilo dell'ammissione del credito tributario oggetto 502 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO di insinuazione tardiva (art. 101 legge fallimentare che al penultimo comma, in caso di non contestazione da parte del curatore dell'ammissione del nuovo credito, dispone che questo ammesso con decreto). In sostanza, come ha accertato il giudice del merito, la notifica del decreto ministeriale al curatore e la sua mancata contestazione da parte del curatore medesimo si inquadrano nell'ambito dell'accertamento del passivo fallimentare, perch la notifica non pu essere considerata (isolatamente presa) come un atto compiuto dagli organi del Fallimento; e in quanto atto compiuto nei confronti dei suddetti organi non altro che un atto iniziale della sequenza della procedura dell'accertamento del passivo fallimentare. Poich nei riguardi di tale sequenza l'Amministrazione non invoca l'aspetto dell'interruzione della prescrizione, ma soltanto l'impossibilit di rimettere in discussione il credito, per motivi (anche riguardanti la prescrizione) attinenti all'irretrattabilit della mancata contestazione del credito in sede fallimentare, a sua volta conducente al decreto di ammissione tardiva del credito, deve richiamarsi la costante giurisprudenza secondo cui si tratta di un provvedimento, che, come quello di ammissione allo stato passivo, ha efficacia preclusiva soltanto all'interno della procedura fallimentare, ma inidoneo ad acquistare autorit di cosa giudicata fuori dal fallimento (cfr. da ultimo Cass. 21 maggio 1983 n. 3523 ed, in precedenza, Cass. sez. un. 27 luglio 1963 n. 2082 Cass. 20 luglio 1967 n. 1861: Cass. 27 luglio 1967 n. 1995, con estensione del principio anche al caso di revoca del fallimento, Cass. 29 aprile 1969 n. 1386; Cass. 9 giugno 1972 n. 1816; Cass. 6 maggio 1975 n. 1746; Cass. 17 maggio 1979 n. 2825; Cass. 10 settembre 1980 n. 5217). da notare che le sezioni unite -nel confermare, con la sentenza n. 2082 del 1963 il prevalente indirizzo anteriore hanno affermato il principio proprio con riguardo anche all'art. 21 legge fall. osservando, in motivazione, che solo il giudicato formatosi a conclusione dell'eventuale giudizio di opposizione nell'ammissione dei crediti vincola il fallito, ex art. 21 legge fallimentare, dopo la revoca del fallimento. SEZIONE QUINTA GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA CONSIGLIO DI STATO -Ad. Plen. -1 marzo 1984, n. 4 -Pres. Pescatore Est. Noccelli -Ministero delle Finanze (Avv. Stato Fiumara) c. Gigante (avv. Pizzuti). Cosa giudicata civile -Dedotto e deducibile -Effetto preclusivo -Esclusione. Atto amministrativo Atti autoritativi e paritetici -Criteri differenziali per provvedimenti incidenti su status pubblico impiegato -Rapporti economici. Pensioni -Pensione privilegiata Equo indennizzo -Cumulo. Decurtazione per pubblico dipendente -Inapplicabilit all'erede. Impiego pubblico Equo indennizzo -Interessi corrispettivi -Decorrenza dalla data di riconoscimento. La decisione che abbia definito una controversia per motivi processuali (nel caso di specie vizio della notifica del ricorso all'Avvocatura invece che alla Amm.) non determina soccombenza in senso sostanziale con formazione del giudicato sul dedotto ed il deducibile e non ha quindi effetti preclusivi esterni rispetto alla riproposizione della pretesa in altro autonomo giudizio (1). Hmno carattere autoritativo e sono quindi idonei a definire in modo irretrattabile le posizioni soggettive solo quei provvedimenti incidenti sullo status del pubblico dipendente che impegnano interessi generali relativi all'organizzazione dell'ente pubblico e non anche quelli che nel (1) Sul principio per cui il giudicato copre dl dedotto ed di deducibile cfr. Cons. St. VI 4 luglio 1972 n. 411, secondo cui necessario a tal fine la sussistenza di un rapporto di implicazione che permetta di risalire dalle statumoni della sentenza alle questioni necessariamente collegate in via di logica presupposizione. L'Adunanza Plenari.a richiama l'insegnamento secondo cui non possono costituire giudicato sostanziale le sentenze che decidono solo sul processo e non anche sull'azione, rricordando come esso abbia trovato cittadinanza nel codice di rito attraverso l'art. 310 co. 1 ed evidenziano come a maggior ragione debba valere nel processo amministrativo di tipo impugnatorio quando la sentenza non produca annullamento dell'atto senza entrare nel merito della questione. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 504 l'esercizio di poteri non discrezionali determinano il contenuto economico di un credito inerente al rapporto d'impiego (2). Nei confronti dell'erede avente diritto alla pensione privilegiata di reversibilit non si applica la decurtazione dell'equo indennizzo spettante iure successionis, quando l'impiegato non abbia potuto cumulare la pensione privilegiata diretta con l'equo indennizzo stesso (3). Dalla data del decreto ministeriale che ha riconosciuto l'equo indennizzo e ne ha determinato la misura in modo illegittimamente ridotto decorrono gli interessi corrispettivi sulla quota di indennizzo non pagata (4). (omissis) Vanno esaminate preliminarmente le due questioni di rito che sono state dalla IV Sezione ritenute di tale complessit da giustificare la rimessione della controversia a questa Adunanza, onde evitare che differenti valutazioni, in proposito, possano dar luogo a contrasti giurisprudenziali . La prima questione, che la IV Sezione solleva di ufficio, concerne la portata e gli effetti da riconoscersi alla precedente decisione n. 335/80 con cui la stessa Sezione aveva annullato una pronuncia del T.A.R. di accoglimento del ricorso della qui ricorrente sig.ra Gigante proposto avverso il decreto del Ministro delle finanze 11 aprile 1978, n. 1094, nella parte in cui tale provvedimento aveva operato una duplice decurtazione del 50 % dell'equo indennizzo liquidato ai due figli in conseguenza della morte del rispettivo coniuge e padre per causa riconosciuta dipendente da causa di servizio. (2) La massima ev.idenzia 1a risposta data dalla Adunanza plenaria al dubbio proposto con l'ordinanza di rimessione della Sez. IV 26 aprile 1983 n. 43 circa la proponibilit del ricorso contro il provvedimento d'equo indennizzo entro il termine di decadenza o di prescrizione e quindi sulla natura autoritativa o paritetica del relativo atto. (3) La decisione conforme alla precedente senteni;a della IV Sez. 10 lu glio 1979 n. 597 ove si affermava gi la inapplicabilit dell'art. 50 comma 1 d.P.R. 3 maggio 1957 n. 696 che prevede la riduzione a met dell'equo indennizzo nei confronti della vedova che percepisce anche la pensione pI'ivilegiata e spiega come non si verifichi per l'erede del pensionato quella parmale coincidenza della funzione indennitaI'ia dei due istituti consistente nella finalit della pen sione privilegiata di annullare lo svantaggio della anticipa1la cessazione del servizio e quindi della impossibilit di raggiungere la massima et pensionabile. (4) A monte della statuizione specifica massimata sta il I'ichiamo da parte del Consiglio di Stato della propria precedente giurisprudenza circa 1a spet tanza degli interessi quando il debito dello Stato deve considerarsi esigibile per essersi verificata la condizione legale della sua scadenza (Ad. Plen. 7 apri le 1981 n. 2) e I'iguardo la prova che l'Amm. deve dare circa i particolari adem pimenti che hanno giustificato il ritardo ne11a emissione del titolo di spesa in conformit a CASS. 17 gennaio :1980 n. 384. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA L'altra questione, riflettente un'eccezione dall'Avvocatura gi sollevata dinanzi al T.A.R. e qui riproposta con atto di appello, involge il dubbio che la pretesa in questa sede azionata si radichi nell'identica posizione di interesse legittimo che fu a suo tempo definita con un provvedimento dell'Amministrazione di carattere autoritativo (il citato d.m. 11 aprile 1978), onde il presente ricorso, secondo l'opinione espressa nell'ordinanza di rimessione, essendo in sostanza diretto contro quell'ori ginario e ormai immodificabile atto, dovrebbe ritenersi tardivo. Entrambe le questioni sono prive di fondamento. Emerge nella documentazione in atti che la sig.ra Gigante, dopo aver chiesto in data 30 ottobre 1975 l'equo indennizzo per il decesso del marito in seguito ad aggravamento improvviso di preatte soffe. renze cardiache gi riconosciute dipendenti da cause di servizio, aveva impugnato dinanzi al T.A.R. del Lazio il decreto del Ministro delle finanze 11 aprile 1978, n. 1094 che tale indennizzo aveva liquidato in misura doppiamente ridotta, sia a causa del concorso (art. 50 d.P.R. n. 686 del 1957) con la pensione privilegiata di riversibilit, in precedenza attribuita alla stessa ricorrente, sia per il fatto che il dipendente aveva superato il sessantesimo anno di et al momento dell'evento dannoso (art. 49 del medesimo decreto). La domanda, che poneva in dubbio la legittimit della sola decurtazione operata ai sensi dell'art. 49 del d.P.R. n. 686 del 1957, era stata accolta dal T.A.R., ma la sentenza era stata poi annullata dal Consiglio di Stato in base al rilievo che la nullit di notifica del ricorso introduttivo, effettuata presso l'Avvocatura in data antecedente all'entrata in vigore della legge n. 103 del 1979, non era stata sanata per la mancata costituzione in giudizio della difesa erariale. Il dubbio espresso dall'ordinanza di remissione -che, cio, in seguito a tali vicende processuali, possa essersi formato il giudicato sul dedotto e sul deducibile, con effetti definitivamente preclusivi di entrambe le pretese in questa sede fatte valere dalla Gigante, identiche a quelle che furono azionate, o avrebbero potuto esserlo, nel precedente giudizio estinto -muove evidentemente da una concezione formalistica del giudicato, che non assolutamente condivisibile. Anche a non voler qui richiamare l'insegnamento circa l'inidoneit a costituire giudicato sostanziale di quelle pronunce le quali incidano sul processo e non sull'azione (insegnamento, che, comunque, si riconosce aver trovato accoglimento quanto meno nell'art. 310 cod. proc. civ.), agevole scorgere nella natura e nell'oggetto specifico del processo amministrativo di impugnazione una particolare ragione per negare alle sentenze meramente processuali attitudine a dirimere conflitti intersubiettivi con efficacia di giudicato essendo di per s la sentenza del giudice amministrativo intesa all'annullamento di atti, e dovendosi quindi ritenere priva, quando annullamento non vi sia, di qualsivoglia contenuto di accertamento in ordine all'azione pr:oposta. L'equivoco, che spesso RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 506 ingenera la commistione tra nozioni eterogenee -come quella di azione intesa come diritto potestativo verso il giudice, e l'altra nozione, condizionante la prima ma da non confondere con essa, che individua il profilo dinamico del diritto sostanziale attuantesi attraverso il processo -si dissipa agevolmente ove si consideri che una pronuncia del giudice attinente ai soli profili processuali dell'azione non determina soccombenza e non pregiudica, quindi, l'oggetto della pretesa cos come postulato in quel giudizio; e ci tanto vero che -sembra opportuno sottolineare -pur nell'ambito dello stesso processo la possibilit di impugnazione data, alla parte totalmente vittoriosa nel merito e soccombente su questioni processuali, solo con il mezzo gravatorio condizionato (cfr., per il processo civile, Cass. Sez. Un. n. 832 del 10 febbraio 1982) e sol perch l'interesse pregiudicato dalla pronuncia sul rito emerge dal protrarsi della contestazione sulla questione di merito, riproposta all'esame del giudice con l'appello principale; talch agevole desumere, dalla logica correlazione tra norme e principi disciplinanti profili generalissimi dell'azione, del processo e delle impugnazioni, l'altrettanto generale principio secondo cui gli effetti della statuizione meramente processuale vanno circoscritti nell'ambito dello stesso processo, mentre effetti preclusivi esterni (art. 2909, cod. civ.) sono possibili soltanto l dove l'accertamento del giudice, coinvolgendo oltre al fatto anche la norma sostanziale da cui questo (deve ritenersi) regolato, travalichi i confini della singola lite per costituire esso stesso norma specifica e irretrattabile del caso deciso. La seconda eccezione agevolmente confutabile alla luce di quell'insegnamento dell'Adunanza plenaria che, in presenza di attivit procedimentali legalmente dovute, riconosce carattere autoritativo, e quindi idoneit a definire posizioni soggettive in modo irretrattabile, soltanto a provvedimenti i quali indicano sullo status del pubblico dipendente, in guisa da impegnare interessi generali attinenti alla complessiva organizzazione dell'ente pubblico titolare di poteri di supremazia (cfr. Ad. plen. n. 25 del 26 ottobre 1979, non anche, quindi, ad atti che, se pur in funzione di accertamento costitutivo, riverberano i loro effetti nella esclusiva sfera del destinatario, quali sono certamente quelli che ne individuano e determinano il contenuto economico di un credito inerente al rapporto d'impiego o da questo immediatamente derivato. Nel caso in esame, la pretesa della ricorrente pone in discussione profili non discrezionali dell'accertamento, effettuato dalla Amministrazione, della giusta misura dell'indennizzo gi ad essa riconosciuto spettante, sicch il provvedimento, pur necessario, che tale misura abbia individuato in modo asseritamente illegittimo non appare idoneo per sua natura a degradare il diritto azionato, la cui determinazione dalla legge affidata a presupposti obiettivi ed obiettivamente accertabili. appena il caso di aggiungere, poi, che, trattandosi di un diritto sorto in occasione del rapporto d'impiego PARTE I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA ed a causa di questo, non vi motivo di dubitare, nella specie, della giurisdizione del giudice amministrativo. Tanto premesso sulle questioni pregiudiziali, l'appello dell'Avvocatura infondato. L'art. 50 del d.P.R. 3 maggio 1957, n. 686 dispone che l'equo indennizzo... ridotto della met se l'impiegato consegue anche la pensione privilegiata; il terzo comma del successivo art. 51 prevede, poi, che la domanda di indennizzo possa essere proposta... anche dagli eredi dell'impiegato o del pensionato deceduto . Dalla logica correlazione tra queste due norme si evince che il diritto all'indennizzo non pu sorgere a titolo originario in capo agli eredi, ma costoro possono far valere un credito che sia gi entrato a far parte del patrimonio del de cuius. Tale constatazione, per, non pu condurre alla conclusione, cui in precedenti occasioni era pervenuta la Corte dei conti (cfr. Sez. contr. Stato, risol. 31 marzo 1977, n. 755 e risol. 30 gennaio 1980, n. 1034) che la misura del credito spettante agli eredi non pu mai eccedere l'entit del diritto in astratto riconoscibile al de cuius, poich tale opinione, se portata alle estreme conseguenze, impo~rebbe di negare addirittura il diritto degli eredi quante volte non sia possibile riscontrare, prima della morte del dante causa, uno stadio della malattia di s rilevante entit da configurare menomazione dell'integrit fisica ascrivibile a una delle categorie di cui alle tabelle A e B annesse alla legge 10 agosto 1950, n. 648 (ora sostituite da quelle annesse al d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915). La rilevata incongruenza del sistema, che ha indotto la Corte dei conti a dubitare della possibilit di riconoscere l'equo indennizzo agli eredi quando la menomazione dell'integrit fisica coincida con l'evento morte (ove sia mancato, prima, l'accertamento di un precedente stadio della malattia ascrivibile a categoria indennizzabile), si risolve sul piano logico, prima ancora che su quello giuridico, considerando che la morte anche concettualmente si distingue dalla menomazione fisica e non pu di per s costituire titolo giuridico dell'indennizzo, ma che, per converso se la morte segue a un processo morboso gi riconosciuto dipendente, nel suo momento genetico, da fatti di servizio, deve essere sempre individuabile una fase di tale processo, immediatamente antecedente, in cui l'aggravamento della malattia abbia prodotto l'invalidit assoluta eziologicamente collegata al successivo evento letale, semprech, ovviamente, alla produzione di quest'ultimo, non abbiano concorso concause esterne. Questa considerazione logica, indispensabile per ricondurre ad organica sistemazione le frammentarie norme disciplinanti la materia (essendo l'argomento logico strumento di verifica della ratio intrinseca di ogni norma e, a un tempo, misura ultima del suo contenuto precet 508 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO tivo e della sua concreta capadt operativa nell'ambito del sistema di cui parte), spiega, da un lato, perch i criteri di determinazione della misura del giusto indennizzo siano dalla legge contemplati con riferimento alla sola figura dell' impiegato, e, dall'altro lato, la ragione per la quale le varie tabelle di infermit indennizzabili non rechino mai l'indicazione della morte quale causa a s stante giustificativa dell'indennit, essendo la morte solo un fatto rilevante per la successione degli eredi nel diritto gi sorto (che necessariamente deve essere gi sorto) in capo al de cuius. Le osservazioni che precedono convalidano l'esattezza dell'opinione, gi espressa dalla IV Sezione di questo Consesso (dee. 10 luglio 1979, n. S97) e alla fine condivisa anche dalla Corte dei conti (risoluz. n. 1217 del 14 gennaio 1982) secondo cui il parziale divieto di cumulo sancito dall'art: SO del d.P.R. n. 686 del 19S7 si giustifica solo quando entrambi i diritti, all'indennizzo e alla pensione privilegiata, sorgano contestualmente in capo allo stesso soggetto, da identificarsi appunto nell' impiegato cui espressamente il detto art. SO si riferisce; in tale caso, infatti, non soltanto concorrono due crediti traenti titolo da un solo fatto causativo di danno, ma si registra anche coincidenza almeno parziale della funzione indennitaria cui i due istituti rispondono (parziale, in quanto la pensione privilegiata tende non soltanto a rivalere l'impiegato di un danno connesso con la perdita di occasioni di ulteriori guadagni, ma anche e soprattutto ad annullare, per cos dire, lo svantaggio dell'anticipata cessazione dal servizio, sul presupposto che la continuazione di questo avrebbe consentito al dipendente, secondo l'id quod plerumque accidit, di raggiungere la massima et pensionabile). Tale coincidenza non si rinviene invece per i corrispondenti crediti dell'erede, in capo al quale il diritto pensionistico sorge ex novo, per finalit essenzialmente previdenziali (collegate anche ad esigenze di tutela dell'istituto familiare), e il credito per l'equo indennizzo si trasmette, invece, jure successioni.s in quanto gi presente nel patrimonio del dante causa. L'argomento logico-sistematico, dunque, confortando la conclusione suggerita dalla interpretazione letterale della norr~a in esame, induce a ritenere non decurtabile l'equo indennizzo quando, come nella specie, il relativo credito sia sorto, in capo all'impiegato di poi deceduto, senza subire la concorrenza del diritto al trattamento privilegiato, di cui il medesimo impiegato non abbia potuto fruire. Infondato, al pari del primo, il secondo motivo d'appello, col quale la difesa erariale censura la sentenza appellata per aver riconosciuto spettare alla ricon-ente gli interessi corrispettivi nella misura legale f i'' a far tempo dalla data di adozione del decreto ministeriale di attribuzione dell'equo indennizzo, l I 1:: ,,_.....JI PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA L'Avvocatura sostiene, in proposito, che la disciplina legale degli interessi derogata dalle norme sulla contabilit dello Stato, e segnata mente dall'art. 270 del regolamento approvato con r.d. 23 maggio 1924, n. 827, per il quale i debiti pecuniari dello Stato diventano esigibili solo dal momento dell'emissione del relativo titolo di spesa. L'Adunanza osserva preliminarmente che l'art. 270 surrichiamato non contiene disposizioni che espressamente deroghino alle norme del codice civile in tema di interessi sulle obbligazioni pecuniarie dello Stato, e che, caso mai, l'insieme dei principi desumibili dal particolare sistema giuscontabilistico dello Stato, cos come elaborati e tramandati da una giurisprudenza tralaticiamente formatasi sulla questione, che potrebbe indurre ad escludere il requisito dell'esigibilit, richiesto dall'art. 1282, cod. civ., quale condizione di decorrenza ex lege degli interessi corrispettivi, tutte le volte che sia riconoscibile all'Amministrazione il potere di ritardare il pagamento dovuto in considerazione dell'obbligo ad essa imposto dalle norme contabili, di effettuare i dovuti riscontri sulla regolarit dei documenti giustificativi del credito vantato dalla controparte privata (cfr. art. 277 del regolamento). Va ricordato, in proposito, che la pi recente giurisprudenza della Cassazione fermissima nel ritenere che le particolari disposizioni contabili regolanti il procedimento di accertamento ed erogazione delle spese dello Stato non possono essere utilmente invocate ove si faccia valere dal privato una fattispecie di inadempimento colpevole, perch la scadenza del debito secondo le norme civilistiche e la susseguente responsabilit dell'Amministrazione per il ritardo nel pagamento, sono fatti giuridici costitutivi dell'obbligazione (degli interessi moratori) che non possono essere annullati o elusi da un potere amministrativo assolutamente discrezionale, e perci insindacabile, di fissare unilateralmente il tempo dell'adempimento; non basta, quindi, al fine di eliminare la responsabilit per il ritardo, che l'Amministrazione adduca di non aver emesso il titolo di spesa, ma altres necessaria la prova che la ritardata emissione del titolo trovi giustificazione in particolari adempimenti contabili prescritti dalla legge, idonei ad escludere la mora del debitore secondo i principi comuni (cfr., da ultimo, Cass. Sez. I, 17 gennaio 1980, n. 384; va notato, per inciso, che la citata giurisprudenza della Cassazione stata accolta dalla Corte costituzionale -cfr. sent. 26 maggio 1981, n. 76 -al fine di negare fondamento alla questione di legittimit costituzionale sollevata in riferimento alla disposizione dell'art. 270 regol. cont. in quanto intesa come norma dotata di forma precettiva primaria secondo il diritto vivente). Il problema che l'eccezione dell'Avvocatura solleva si porrebbe, quindi, per i soli interessi corrispettivi, che una altrettanto sicura e ancor pi antica giurisprudenza della Cassazione ritiene soggetti alla speciale disciplina contabile, con la conseguenza di escluderne la decorrenza prima RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 510 dell'emissione del titolo di spesa (cfr. Sez. Un., 26 aprile 1977, n. 1561; Cass., 6 ottobre 1971, n. 2748; 16 maggio 1973, n. 1389; 3 febbraio 1965, n. 172); la distinzione tra responsabilit per fatto illecito, fonte di obbligazione risarcitoria a titolo di interessi moratori, e ritardato adempimento di obbligazioni pecuniarie ab origine, costituente titolo di esigibilit degli interessi corrispettivi, tenuta presente in modo particolare da Cass., 12 marzo 1974, n. 652, al fine di escludere che il principio di inesigibilit posto dalle norme giuscontabilistiche si estenda alla prima ipotesi; cfr. anche, in tal senso, Cass., 4 agosto 1977, n. 3461 e 2 giugno 1978, n. 2762. Tuttavia va ricordato che questa Adunanza plenaria, nel riesaminare funditus l'intera questione, ha gi avuto occasione di riconoscere dovuti gli interessi quando il debito pecuniario dello Stato, nonch certo e liquido (o facilmente liquidabile in base a parametri normativamente precostituiti), debba considerarsi altres esigibile, per essersi gi verificata la condizione legale della sua scadenza, essendo l'esigibilit una qualit del credito che resta estranea alla fase contabile dell'ordinazione di spesa (la quale, anzi, tale qualit presuppone, restandone condizionata, cfr. Ad. plen. 7 aprile 1981, n. 2). Dove la domanda relativa agli interessi, individuata nei suoi caratteri ontologici e al di l della prospettazione di parte (cfr. Sez. un. 5 maggio 1983, n. 3076), non debordi dai limiti della contestazione sul credito principale, non presupponga, cio, l'accertamento di una specifica colpa dell'Amministrazione e nel ritardo per la emissione dei titoli di impegno e ordinazione della spesa, l'obbligazione degli interessi si riconnette alla stessa disciplina del rapporto oggetto di contestazione e ne consegue come effetto automatico, in virt del solo principio che i debiti pecuniari scaduti sono ex lege fruttiferi per il creditore a compensazione dello squilibrio economico determinato dal semplice fatto del ritardato pagamento. Nella fattispecie in esame, si controverte degli interessi decorrenti dal decreto ministeriale che ha riconosciuto il diritto all'equo indennizzo e ne ha determinato la misura (in modo, come si visto, illegittimo). Non stata richiesta dalla ricorrente, e comunque non viene qui in contestazione, una diversa e antecedente decorrenza degli interessi, come pure avrebbe potuto ipotizzarsi considerando che, per legge (art. 154, terzo comma, della legge 11 luglio 1980, n. 312), il momento di liquida zione dell'indennizzo coincide con quello della domanda, e che, pertanto, un eccessivo e non giustificato ritardo nell'accertamento della misura del credito avrebbe potuto dedursi quale fonte di responsabilit risar citoria (per gli interessi moratori) a carico dell'Amministrazione. L'emissione del titolo di impegno della spesa, che nella specie ha coinciso con il momento di accertamento del debito, da parte della Amministrazione, nell'an e nel quantum (art. 273, lett. i, del r.d. 23 mag PARIE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA gio 1924, n. 827), individua anche il momento di maturazione e scadenza del debito stesso, il cui importo, soltanto soggettivamente contestato, era tuttavia da considerare s'in da quel momento ce.rto e facilmente liquidabile nella giusta misura per essere obiettivi e obiettivamente accertabili gli elementi legali di identificazione della sua esistenza e della sua entit. Il creditore, quindi, aveva diritto a pretendere l'immediato pagamento della giusta somma (peraltro gi richiesta circa tre anni prima), non essendo idoneo a spostare il termine legale di scadenza dell'obbligazione l'ulteriore adempimento contabile consistente nell'emissione. dell'ordinativo di pagamento. Consegue da tutte le suesposte considerazioni che anche su tale punto la sentenza del T.A.R., ancorch incompleta nella parte motiva, appare conforme a diritto nel dispositivo e merita pertanto conferma.. L'altra pretesa della ricorrente, intesa ad ottenere la rivalutazione dell'indennizzo ai sensi dell'art. 49, terzo comma, del d.P.R. n. 686 del 1957, stata dichiarata infondata dal T.A.R., e su tale punto la pronuncia del primo giudice passata in giudicato stante la tardivit dell'appello incidentale dalla medesima ricorrente proposto. L'impugnativa infatti (che pu qualificarsi incidentale solo perch cronologicamente successiva a quella principale dell'Avvocatura) risulta notificata al Ministero in data 10 marzo 1982, laddove non soltanto la sentenza del T.A.R. era stata notificata al Ministero ( da presumere, ad iniziativa della ricorrente parzialmente vittoriosa) in data 9 settembre 1981, ma, quel che pi conta, lo stesso appello principale dell'Avvocatura era stato a sua volta notificato alla ricorrente jn data 29 ottobre 1981 e depositato il successivo 27 novembre (sicch l'appello incidentale risulterebbe tardivo quand'anche volesse ad esso ritenersi applicabile la disciplina dell'art. 37 del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054). Conclusivamente, l'appello principale va respinto, mentre va dichiarato irricevibile, in quanto tardivo, l'appello incidentale. Sussistono giusti motivi per dichiarare interamente compensate le spese del grado. (omissis) CONSIGLIO DI STATO -Ad. Plen., 9 marzo 1984, n. 5 -Pres. Pescatore Est. Lignani -Ministero Pubblica Istruzione (Avv. Stato Tarin) c. De Tommasi (Avv. Dodaro) ed altro (n. c.). Atto amministrativo -Convalida -Applicabilit alle manifestazioni di volont -Proposta. Atto amministrativo -Convalida -Inapplicabilit ad atto annullato. 512 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Istruzione e scuole -Universit -Consigli di facolt -Proposta di incarico - Ius superveniens ~ Effetto ostativo per convalida -Non sussiste. Mentre improprio parlare di convalida per le manifestazioni di giudizio, essa invece concepibile per le manifestazioni di volont e quindi anche per la proposta tanto pi se necessaria e relativamente vincolante (1). Non pu essere convalidato un atto che sia stato gi annullato (2). La norma sopravvenuta che vieta ai Consigli di. facolt di formulare nuove proposte in materia di incarichi universitari non impedisce la convalida delle proposte gi formulate, ancora in itinere (3). (omissis) Si pu quindi concludere, sul punto, nel senso che la delibera del maggio 1980 dev'essere interpretata (univocamente) come espressione della volont di convalidare la proposta gi fatta piuttosto che di formulare una proposta nuova. (1) Sul pI'inc1p>10 generale espresso nella massima non si rinvengono perplessit n in giurisprudenza n in dottrina, ov:e, deducendosi il principio stesso da quello dell'autotutela che conduce per due strade alternative o alla convalida o all'autoannullamento, si d per scontato che l'atto in questione debba essere una manifestazione di volont (cfr. Saintaniello, Convalida in Enc. del dir.) e RAVA, La convalida degli atti amminiStrativi). (2) Sull'inammissibilit della conwiilida di un atto definitivamente annullato in sede giurisdizionale cfr. Cons. St. V 14 marzo 1972 n. 168. (3) Con la statuizione riportata l'Ad. Plen. risolve piuttosto rapidamente il problema posto dalla ordinanza di rimessione (IV 15 giugno 1983 n. 497) nella quale non solo si dubitava della ricorrenza dei requisiti di forma della convalida (menzione dell'atto da convalidare e indicazione dei vizi da sanare), e dell'incidenza del diweto di conferimento di nuovi incarichi sul potere di convalidare i precedenti (e ci in re1azione alla possibilit di configurare la convaida come un provvedimento del tutto nuovo con effetto retroattivo in contrasto con !orientamento accennato circa l'essere la convalida espressione del potere di autotutela), ma altres dell'idoneit della convalida stessa ad operare riguardo ad un atto preparatocio (quale la proposta di incarico) e quindi della possibilit di utilizzarla da parte di un'autorit diversa da quella dotata del potere di adottare l'atto finale del procedimento. In sostanza la Sez. VI poneva questa alternativa: se non si tratta di autotutela la delibera del Consiglio di facolt successiva al divieto legislativo illegittima per il solo rilievo tempora1e, se autotutela allora deve essere esercitata dall'organo che ha il potere di autoannullare l'atto ma non pu estendersi all'organo proponente che pu solo ritirare la proposta. La questione cos perspicuamente posta non sembra essere stata colta in tutte le sue implicazioni dall'Ad. Plen. che ha ritenuto applicabile la convalida a tutti gli atti volitivi anche se interni al procedimento. PARTE I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 4. -Una successiva, e distinta questione riguarda l'applicabilit dell'istituto della convalida agli atti interni al procedimento e a quelli di proposta in particolare. Da un punto di vista pi generale, si osserva, innanzi tutto, che a questo proposito si pu distinguere tra i pareri (manifestazioni di giudizio) e le proposte (manifestazioni di volont). Riguardo ai primi si pu ammettere (ma si tratta di questione non rilevante in questa sede) che rispetto ad essi sia improprio parlare di convalida; riguardo alla seconda, invece, la convalida sembra pi facilmente concepibile, quanto meno quando si tratti (come nella specie) di proposta necessaria (in assenza della quale, cio, l'organo decidente non pu provvedere) e relativamente vincolante (tale, cio, che l'organo decidente pu solo provvedere in senso conforme o respingerla, ma non provvedere in senso difforme). In tale ipotesi, invero, piuttosto che di mero atto di iniziativa o d'impulso, conviene parlare di elemento costitutivo di un atto complesso, il cui rilievo anzi tanto maggiore quanto pi limitati sono i presupposti che possono legittimare il rigetto della proposta da parte dell'autorit decidente. Vi sono infatti dei casi nei quali a quest'ultima appartiene solo un riscontro di legittimit, escluso un (nuovo) giudizio discrezionale sul merito della proposta. Non pare, dunque, che alle proposte in discorso si possa negare il carattere di atti amministrativi volitivi, suscettibili, come tali, di convalida. Ogni possibile perplessit, poi, viene superata alla luce del fatto che alle proposte d'incarico universitario si riconosce anche una limitata e temporanea efficacia esterna, tanto che, come si visto, la legge n. 28 del 1980 viene interpretata come riferita alle proposte (ed alle relative date) piuttosto che alle nomine. In tale luce, sembra innegabile l'applicabilit dell'istituto della convalida. 5. -Altr~ questione, ancora, quella sollevata dall'appellante Ministero della pubblica istruzione circa la impossibit di convalidare gli atti gi annullati siccome viziati. L'annullamento consisterebbe, secondo l'appellante, nella delibera del Senato accademico con cui sono stati formulati i rilievi sui quali il Consiglio di facolt si pronunciato nella seconda adunanza. Ora, vero che un atto annullato, in quanto inesistente nel mondo giuridico, non pu formare oggetto di convalida (n, del resto, pu formare oggetto di revoca, di proroga, di un secondo annullamento, ecc.); sicch si pu dire. che la convalida opera come causa ostativa di un annullamento futuro e presuppone un atto attualmente efficace ed assistito dalla presunzione di legittimit, ancorch viziato. Ma si deve anche dire che i rilievi del Senato accademico, nella fattispecie, RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO non esprimono la volont di annullare, n, comunque, hanno avuto questo effetto; l'eficacia provvisoria della proposta si mantenuta (va notato, che la proposta in questione era suscettibile d'impugnazione, ma non risulta impugnata), ed anzi, dall'insieme degli atti, ed in particolare dalla delibera con cui il Senato accademico ha preso atto della intervenuta conferma o convalida, emerge chiaramente che i rilievi erano formulati proprio con l'intenzione di provocare un atto del genere, non gi quella di por termine ad uno stato di fatto illegittimo. Questo motivo d'appello dunque infondato. 6. -Tutti i motivi dell'appello dell'amministrazione risultano, cos infondati; resta per da prendere in esame una questione non sollevata direttamente nell'atto d'appello, ma tuttavia prospettata nell'ordinanza di rimessione all'Adunanza plenaria. Si tratta della questione della legittimit di una convalida emanata quando lo jus superveniens ha privato l'organo, autore del provvedimento originario, del relativo potere. In altre parole, ci si chiede se, venuto meno il potere di provvedere nel merito, sopravviva comunque quello di convalidare i provvedimenti presi anteriormente. Come ipotizzato nell'ordinanza di rimes5ione, il quesito si risolve in base alla considerazione che la convalida non altro che una delle possibili espressioni del potere di autotutela. Ora, il poter.e di autotutela permane negli organi istituzionalmente preposti ad un certo settore amministrativo, anche se il jus superveniens abbia posto il divieto di emanare nuovi atti di un certo tipo, mantenendo fermi gli effetti di quelli gi emanati ed i conseguenti rapporti (altro sarebbe da dire se il jus superveniens consistesse nella devoluzione della materia alla competenza di un altro organo ad ordine amministrativo, ovvero nella totale abrogazione delle attribuzioni in una determinata materia). Cos, anche se con l'entrata in vigore della legge n. 28 del 1980 era vietato ai consigli di facolt di formulare nuove proposte, non dubbio che essi avessero il poter.e di annullare d'ufficio o di revocare le proprie proposte ancora in itinere; non si pu dire, cio, che essi fossero stati spogliati di ogni attribuzione in materia di incarichi universitari, mentre, al contrario, si pu dire che essi le mantenessero tutte, tranne che per la formazione di proposte nuove (tanto che si posto anche il problema, risolto peraltro negativamente dal Consiglio di Stato in sede consultiva, se tra i poteri superstiti vi fosse anche quello di sostituire il candidato). In questa luce, si pu dunque concludere che il jus superveniens non impediva la convalida delle proposte gi formulate, e ancora in itinere. 7. -La sentenza appellata merita dunque conferma, e l'appello dell'Amministrazione va respinto. Tuttavia vi sono giusti motivi per compensare le spese del giudizio in questo grado. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 515 CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen., 11 marzo 1984 n. 6 -Pres. Pescatore Est. Vacirca -Iraci (avv. Dean) c. USL n. 3 (avv. Migliorini) e Casotto (avv. Scoca). Cosa giudicata civile -Atto vincolato -Atto difforme -Giudizio di inottemperanza -Termine impugnazione. Sanit - Sanitario -Concorso -Sovvertimento della graduatoria da parte del G.A. -Impossibilit riesame da parte Commissione -Nullit relativa delibera -Proclamazione vincitore concorso da parte G.A. Commissario. Quando in ottemperanza al giudicato l'Amm.ne sia tenuta all'adozione di un atto a contenuto vincolato, essa priva del potere di provvedere diversamente e gli atti difformi possono essere dichiarati nulli dal G. A., anche se impugnati oltre l'ordinario termine di decorrenza, finch duri l'azione di giudicato (1). Quando il G. A. abbia stabilito in sentenza il sovvertimento della graduatoria con la collocazione puntuale dei candidati nei posti spettanti, la Commissione convocata dall'Amm.ne non pu riesaminare i titoli e modificare le posizioni dei candidati; deve quindi dichiararsi nulla la relativa delibera e deve procedersi alla nomina del vincitore >, e la dimostra21ione del reddito che concerne la fondatezzia sostanziale della pretesa. Il difetto di motivazione comporta li;t nullit dell'accertamento nella sua interezza e preclude una valutazione di merito; l'insuffilcienza della prova, pu essere oggetto di discussione di meri.to innanzi alla commissione suila esistenza e la misura del r,eddito mediante gli strumen1li di dstruzione probatoria regolati dall'art. 35 e dall'art. 36 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 '" discussione che non impedita dal difetto di analiticit dell'accertamento una volta che tale motivazione sia giustificata. La pronunzia opportunamente corregge la meno meditata affermazione di Cass. 7 febbraio 1984 n. 932 (in questa Rassegna, 1984, I, 354). Consegue da ci che, ove l"accertamento venga impugnato, la commis sione se avr escluso la nullit per difetto di motivazione, dovr determinare l'esistenza e la misura del reddito (questione di valutazione estimativa) avva lendosi anche dei suoi poteri. in ordine alla prova. Su questo punto, sia pure schematicamente, la sentenza in esame contiene due importanti ed esatte affermazioni: in sede giurisdizionale le parti nell'ambito del sistema probatorio processuale possono esercitare tutte le foro difese; da parte sua la Commissione PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 535 il contribuente presenti una dichiarazione infedele, omettendo di indicare parte dei propri redditi, l'amministrazione finanziaria pu procedere ad accertamento induttivo o sintetico, a norma del terzo comma, senza necessit di un riscontro analitico delle singole componenti dei redditi medesimi, mentre resta a carico del contribuente, che contesti tale accertamento, di fornire la relativa prova (cfr., fra le altre, Cass. 14 aprile 1982 n. 2230; Cass. 12 febbraio 1981 n. 857; Cass. 10 dicembre 1979, n. 6386). Nei casi previsti dal terzo comma dell'art. 37 (tra i quali rientra senza dubbio quello di cui causa) consentito derogare alla regola dell'analiticit della motivazione, ricorrendo alla motivazione sintetica con metodo induttivo che, consiste nel determinare il reddito nel suo complesso, sulla base di dati e di notizie indirette, senza cio ricostruirlo sulla scorta di dati specifici. Tuttavia l'accertamento, se pure in modo non analitico deve essere sempre adeguatamente motivato e tale requisito soddisfatto quando pone il contribuente in condizione di potere efficacemente contestare, nell'an e nel quantum, la pretesa tributaria (Cass. 29 gennaio 1981 n. 6879; Cass., sez. un., 3 maggio 1971 n. 1271). da sottolineare (mentre il giudice d'appello ha confuso le due questioni) che l'adempimento dell'obbligo della motivazione dell'accertamento non concerne la dimostrazione del reddito, ma la legittimit formale dell'avviso, che funziona da presupposto della sua legittimit sostanziale (Cass. n. 1271 del 1971 cit.). Un accertamento nullo, perch non motivato, cosa diversa da un accertamento infondato, ma formalmente valido. In questo secondo caso, le parti eserciteranno i loro poteri di contestazione e difesa dei criteri di accertamento inerenti al singolo reddito, nonch di prova e contestazione dell'esistenza e della misura del reddito, mediante gli strumenti di istruzione probatoria regolati dall'art. 35 e dall'art. 36 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636; attivit probatoria che non ha, al pari dcl-l'ufficio, il potere sia istruttorio che decisorio di determinare (ovviamente nei limiti dell'oggetto dedotto in giudizio) il reddito concreto, riducendo ,eventualmente quello stabi1ito nell'accertamento. La prima proposizione si ricollega al ben fermo orientamento della giurisprudenza che concepisce il processo innanzi alle commissioni come un giudizio di merito (di accertamento del rapporto) e non di annullamento dell'atto di accertamento, nel quale il giudice non chiamato a eliminare (neHa sua illterezza) l"atto illegittimo, ma a stabilire il se e il quanto dell'obbligamone e nel quale di conseguenza l'ufficio tributario pu, ano stesso modo del soggetto passivo, esercitare il suo dfoitto di difesa, anche in ordine alla prova, non esclus,ivamente nei limiti di quanto gi acquisito nella sede amministrativa. La seconda proposizione che conseguente alla prima, riconosce ,alla commissione il potere, anche sul piano probato11io, di accertare nena sostanza, eventualmente con iniziativa di ufficio, di rapporto di imposta senza arrestarsi ad una valuta:Zlione di legittimit dell'accertamento; e ci apre uno spd!mglio sulla assai discussa questione dell'istruttoria (inquisitoria o dispositiva) nel processo tributario. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO pu essere affatto preclusa, come erroneamente ha ritenuto la sentenza impugnata, dal difetto di analiticit dell'accertamento, una volta che questo sia conforme al modello previsto dal terzo comma dell'art. 37 del t.u. del 1958. Invero, non si tratta, in tal caso, di integrare una motivazione mancante ma di dare in giudizio la prova dell'esistenza e della misura d~l reddito che l'Amministrazione ha legittimamente accertato con la motivazione sintetica autorizzata dall'omissione del contribuente in ordine al reddito stesso. Parimenti inconferente l'obiezione del controricorrente, secondo il quale il comportamento processuale del contribuente che ha contestato nel merito la misura del reddito, producendo la documentazione relativa (per gli appartamenti dati in locazione) ed invocando la stima catastale (per la villa da lui personalmente abitata) non pu assurgere a requisito integrativo di un elemento mancante nell'accertamento, viziato dall'origine dalla non esatta individuazione dei cespiti immobiliari. A parte la facile replica che tale obiezione non pu aver valore per la villa abitata dal contribuente (esattamente individuata, per cui non poteva nemmeno sorgere un problema dei criteri di tassazione del cespite e della misura del reddito), si osserva in linea generale che la valutazione della motivazione sintetica come idonea a permettere la difesa del contribuente non condizionata dal suo atteggiamento concreto. Se costui si difende nel merito, il problema non si pone neppure, mancando l'interesse ad ottenere una declaratoria astratta di nullit per vizio di motivazione di un accertamento che in concreto ha osservato il requisito sopra indicato e cio quello di portare a conoscenza del privato gli elementi della pretesa tributaria. Se l'opponente non si difende nel merito, il giudice non esonerato dal compito di valutare la sufficienza della motivazione, con giudizio riferito a tutte le circostanze del caso (giudizio che assolutamente mancato nella specie, come esattamente ha rilevato la ricorrente, perch la sentenza impugnata stata fuorviata dall'errore di diritto di ritenere che le Commissioni non abbiano gli stessi poteri di indagine, di richiesta di dati e di raccolta di prove attribuita all'Ufficio, in contrasto con l'espressa disposizione in tal senso contenuta nell'art. 35 del citato d.P.R. n. 636 del 1972). I suddetti principi valgono anche nell'ipotesi che si debba accertare un reddito di fabbricati, sia ai sensi degli artt. 69-75 d.P.R. n. 645 del 1958 e successive modifiche, sia quale componente, indicata dall'art. 135 lettera b) del citato testo unico, del reddito complessivo netto soggetto all'imposta complementare progressiva sul reddito delle persone fisiche. Invero la legge non distingue e non porta deroga, in tal caso, al principio generale fissato dal terzo comma dell'art. 37 che si riferisce a tutti i redditi che il contribuente abbia omesso di dichiarare. Si deve innanzi tutto osservare (accogliendo un rilievo sollevato dall'Amministra PARTE I, SEZ. H, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA zione nella discussione orale) che -contrariamente a quanto si legge nella sentenza impugnata -Cass. 3 dicembre 1970, n. 2527 ha confermato l'indirizzo generale gi esposto, perch ha affermato l'obbligo della motivazione analitica dell'accertamento in un'ipotesi in cui era stato omesso un cespite immobiliare, ma per un altro era stata presentata regolare dichiarazione, di modo che per quest'ultimo sarebbe stato necessario procedere ad accertamento analitico, onde consentire al dichiarante di conosce~e partitamente quanto era stato valutato il primo cespite e quanto il secondo. La legge 23 febbraio 1960 n. 131, contenente norme sull'applicazione dell'imposta sui fabbricati sulla base delle rendite del N.C.E.U., all'art. 3 ha statuito: nella dichiarazione annuale dei redditi, di cui alla legge 11 gennaio 1951 n. 25, dovranno essere indicati i redditi imponibili determinati a norme dei precedenti articoli. L'art. 3 della legge 17 maggio 1969 n. 254 ha aggiunto il seguente comma: per l'accertamento dei redditi di cui al secondo comma dell'art. 1 (unit immobiliari non ancora iscritte nel NiC.E.U.) valgono, in quanto applicabili, le disposizioni portate dal titolo I, capo IV del t.u. 29 gennaio 1958 n. 645 e succ. mod. . Il primo comma dell'art. 3 citato rende evidente il collegamento fra dichiarazione e determinazione analitica dei redditi delle singole unit immobiliari; il secondo comma richiama espressamente il titolo I, capo IV (in cui compreso l'art. 37) del t.u. sulle imposte dirette proprio in collegamento con l'obbligo di dichiarazione sancito dal primo comma, ma non per escludere che il capo IV del titolo I riguardi anche le unit immobiliari gi iscritte in catasto, ma non dichiarate. Il controricorrente sostiene che (poich l'art. 135 secondo comma lett. b) del t.u. n. 645 del 1958, in tema di determinazione analitica del reddito complessivo netto dispone: I redditi dei fabbricati ed i redditi di R.M. sono valutati in misura pari ai redditi netti determinati ai fini delle singole imposte, ovvero se non vi siano soggetti o siano assoggettati a tributi sostitutivi, con i criteri valevoli ai fini delle imposte stesse) e poich la stessa Amministrazione ricorrente ammette che in tema di accertamento dei redditi soggetti all'imposta fondiaria sussiste la necessit dell'indicazione da parte dell'Ufficio di ogni singolo cespite immobiliare al quale il reddito afferisce anche in caso di omessa dichiarazione o di omesso cespite, e dato che la norma in esame equipara a questa prima ipotesi la seconda (ovvero quella dei redditi non soggetti alle singole imposte, da valutarsi con i medesimi criteri di quelli soggetti), sarebbe evidente la violazione di legge commessa dall'Ufficio. La tesi non ha pregio, perch muove da un'affermazione puramente concessiva della difesa dell'Amministrazione, la quale pu essere corretta da questa Corte nell'ambito della ricostruzione del sistema. L'accerta 538 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO mento induttivo si contraddistingue da quello analitico, non soltanto perch consente all'Ufficio di determinare la base imponibile in via di presunzione, ma anche perch gli consente di presumere l'esistenza di uno o pi redditi. Proprio questo secondo aspetto viene in considerazione, ai fini dell'applicabilit nel terzo comma dell'art. 37, norma che prevede due ipotesi (redditi che il contribuente ha omesso di dichiarare; dichiarazione che manchi dell'indicazione analitica degli elementi attivi e passivi). Se il contribuente ha omesso di dichiarare un reddito di fabbricati, l'Amministrazione che ritiene che il contribuente abbia quel possesso che, ai sensi dell'art. 69 del t.u. del 1958, costituisce il presupposto dell'imposta, pu effettuare l'accertamento di tale presupposto, senza l'obbligo di una motivazione analitica, e cio di una indicazione specifica delle singole unit immobiliari. Necessariamente, pertanto, anche il reddito potr essere accertato dall'Amministrazione in modo induttivo o sintetico, purch la motivazione (sempre necessaria) ponga il contribuente in condizione di conoscere tanto la fonte del reddito quanto il suo ammontare e gli permetta cos di contestare sia l'una che l'altro. Soltanto la contestazione del contribuente che non ha dichiarato il reddito, (una volta superato il problema della validit puramente formale dell'avviso, cio della sua conformit al modello legale astratto; problema che non deve assolutamente confondersi con quello della rispondenza dell'accertamento alla realt effettiva dei redditi posseduti e del loro ammontare) pu porre l'esigenza di distinguere le singole unit immobiliari che, secondo il sistema catastale introdotto con r.d.l. 13 aprile 1939 n. 652 conv. in 1. 11 agosto 1939 n. 1249, a cui fa riferimento la legge 23 febbraio 1960 n. 131 (cfr., per l'interpretazione di tale sistema fra le altre, Cass. 1 aprile 1982 n. 2002; Cass. 29 marzo 1983 n. 2231) costituiscono il punto di riferimento dei redditi dei fabbricati. L'art. 5 del d.l. del 1939 cit., invero, definisce unit immobiliare urbana ogni parte di immobile che, nello stato in cui si trova di per s stessa utile ed atta a produrre un reddito proprio " Se, anche in caso di omissione da parte del contribuente della relativa dichiarazione, si pretendesse dall'Amministrazione la determinazione della parte di immobile (e della rendita corrispondente), si imporrebbe anche in tal caso una motivazione analitica che l'art. 37 terzo comma non richiede. Sar interesse del contribuente (se ritiene l'accertamento ingiusto) di contestare sia il presupposto dell'imposta che il reddito imponibile, invocando appunto quella determinazione analitica dei redditi immobiliari che risulta dal sistema predetto (ed da notare che l'art. 74 secondo comma del t.u. del 1958 prevedeva anche con riguardo al reddito immobiliare quel tipo di determinazione induttiva del reddito che altre norme del medesimo testo unico prevedevano per altri redditi; art. 120 per la R.M.; art. 137 per l'imposta complementare). ~ ~ f PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 539 La prevalente giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto l'implicita abrogazione da parte della 1. n. 131 del 1960 del criterio di accertamento induttivo posto dall'art. 74 del d.P.R. n. 645. Il punto non deve essere esaminato in questa sede perch la Corte d'appello l'ha ritenuto assorbito dalla dichiarazione di nullit dell'avviso di accertamento. Tale punto riguarda non la nullit dell'accertamento per difetto di motivazione, ma l'eventuale sua illegittimit per contrasto della determinazione dell'imponibile con i criteri di legge. Si tratta di un momento successivo, devoluto al giudizio delle Commissioni e dell'A.G.O. nei limiti delle rispettive competenze (art. 26 e 40 d.P.R. n. 636 del 1972). La cognizione su tale punto resa possibile, invero, o dalla dichiarazione analitica (art. 3 della legge 23 febbraio 1960 n. 131) o, in mancanza di tale dichiarazione, dall'assolvimento da parte del contribuente dell'onere della prova in ordine alla esclusione in tutto o in parte del presupposto dell'imposizione indicato nell'accertamento sintetico. Nella specie, posto che era pacifico che il Tortorella era stato proprietario di quei fabbricati di nuova costruzione in via De Martino in Salerno che era l'oggetto dell'accertamento sintetico, egli era abilitato a dare la prova di quali unit immobiliari fosse ancora in possesso nell'anno a cui si riferiva l'accertamento, nonch a chiedere alle Commissioni la determinazione del relativo reddito imponibile, secondo i criteri di legge (omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 27 marzo 1984, n. 2018 -Pres. Mirabelli Est. Virgilio -P. M. Miccio (conf.). Ministero delle Finanze (Avv. Stato Braguglia) c. D'Elia. Tributi in genere -Repressione delle violazioni -Sanzi.oni -Societ avente personalit giuridica -Responsabilit dell'amministratore -Esclusione. (1. 1 gennaio 1929 n. 4, art. 3, 9, 10 e 12).. Nei confronti delle societ aventi personalit giuridica, titolari del rapporto di imposta, la violazione delle norme produttive di una sanzione amministrativa direttamente ad esse imputabile; di conseguenza della sanzione risponde esclusivamente la societ e di essa non deve rispondere il rappresentante (1). (11) Le Sez. Unite rkonfermano la pi recente giurisprudenza de11a prima Sezione (22 luglio 1976 n. 2903, in questa Rassegna, 1977, I, 147; 15 gennaio 1979 n. 289, ivi, 1979, I, 316; 21 ottobre 1981 n. 5508, ivi, 1982, I, 352), ma non riescono ad eliminare ogni incertezza, specie in reLazione alla legisla2lione attuale. L'art. :12 .interpretato piuttosto in ragione dci quel che avrebbe potuto essere una corretta normativa ~ispirata al principio che fa persona giuridica pu essere considerata soggetto trasgressore al quale direttamente imputata RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 540 (omissis) La ricorrente deduce: 1) Violazione e falsa applicazione degli articoli 9, 10 e 12 della legge 7 gennaio 1929 n. 4, in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., perch dalla lettera e dalla ratio delle indicate norme risulta che i rappresentanti degli enti forniti di personalit giuridica sono solidalmente responsabili per il pagamento della pena pecuniaria irrogata all'ente per infrazioni alle leggi tributarie; 2) Violazione delle stesse norme perch la Corte di appello ha erroneamente escluso che l'amministratore D'Elia potesse essere considerato autore dell'infrazione, non essendo a tale fine sufficiente il rilievo che in sede amministrativa non fosse stata adombrata una tale diretta infrazione da parte del D'Elia, mentre la Corte avrebbe dovuto tener conto di tutte le risultanze processuali per risolvere la questione della diretta responsabilit dell'amministratore. Ritengono le Sezioni unite che la tesi sostenuta dalla ricorrente con il primo motivo di ricorso, con la quale si sollecita un mutamento d'indirizzo giurisprudenziale da parte di questa Corte, non possa trovare accoglimento in quanto le argomentazioni esposte, anche se ampiamente elaborate, contrastano con il dato letterale e logico della norma in discussione. Va ricordato che la questione costituente oggetto di dibattito stata gi esaminata e decisa in senso uniforme con numerose sentenze di questa Corte. stato ritenuto che l'art. 12 della legge 7 gennaio 1929, n. 4, (in tema di repressione delle violazioni delle leggi finanziarie) il quale, con riguardo alle infrazioni non costituenti reato e punite con la sola pena pecuniaria, regola ipotesi di solidariet a carico di determinati soggetti, opera -per il caso di persone fisiche che abbiano la rappresentanza o siano la sanzione non penale) che non di quello che la norma ha inteso effettiva mente statuire nella dire2)ione di una pur possibile affermazione della respon sabilit 'solidale della persona fisica agente per la societ (con una e\'idente finalit repressiva verso le manipolazioni operate sotto Io schermo di una societ). E che l'art. 12, abbia inteso perseguire un tale scopo disciplinando la responsabi1it sussidiania dell'ente per la sanzione civile, analogamente a quella per la sanzione penale (ricalcando anche nel testo l'obbligazione oivile per l'ammenda degli artt. 196 e 197 C.P., norme queste elaborate contempora neamente e in collegamento con la legge n. 4 del 1929) abbastanza evidente. Non convdnce soprattutto la netta distinrione che si fa tra enti forniti dd personalit giu:riidi.ca e altri enti pur capaci di essere soggetti passivi del rap porto tributarfo; la societ di persone sicu:riamente debitore del tributo e capace della trasgressione, secondo il rifenimento che nella sentenza si fa all'art. 3, e tuttavia il tenore letterale degli art. 10 e 12 non consente di esclu dere la responsabilit dell'amministratore. Ancor pi f:riagHe il tentativo di dare un signdf.icato all'art. 12 ricercando ipotesi, non specificate, di respon sabilit stabilite direttamente a carico di rappresentanti delle persone giuri diche o addirittura di infraziioni commesse da dipendenti o rappresentanti seil2la potere per le quaLi la prevista responsabilit dell'ente verrebbe meno per interruzione del rapporto di rappresentanza. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 541 dipendenti di un ente privato fornito di personalit giuridica -soltanto nel senso di implicare la responsabilit solidale dell'ente medesimo per trasgressioni direttamente commesse dal rappresentante, mentre resta esclusa la possibilit di affermare la responsabilit solidale delle dette persone nella diversa ipotesi di infrazioni direttamente addebitabili all'ente (Cass., n. 2903 del 1976 -n. 289 del 1979 -n. 4266 del 1979 -n. 1212 e 5508 del 1981). Per una corretta impostazione del problema bisogna muovere dalla premessa che nel sistema normativo risultante dal contesto della legge n. 4 del 1929 delineata una netta distinzione tra violazioni delle leggi fi. nanziarie costituenti delitto o contravvenzione (art. 2) e violazioni comportanti soltanto obbligazione, di carattere civile, di pagamento di una somma (art. 3), con eventuale aggiunta, nell'un caso e nell'altro, di una sopratassa avente anch'essa carattere civile (art. 5). La distinzione si riflette sulle disposizioni degli articoli 9, 10 e 12, nei quali prevista la responsabilit anche di altri soggetti, sia nell'ipotesi di violazioni costituenti contravvenzioni (cio reati), sia nell'altra ipotesi di semplici obbligazioni aventi carattere civile. , Nelle fattispecie di cui agli artt. 9 e 10, trattandosi di responsabilit derivante da reato, e dunque di responsabilit tipicamente personale dell'agente, il legislatore ha inteso stabilire anche la responsabilit sussi diaria della persona investita dell'autorit o incaricata della direzione o vigilanza sul soggetto che abbia commesso>>, la contravvenzione (come testualmente si esprime la norma) per il pagamento di una somma pari all'ammontare dell'ammenda inflitta al colpevole (ipotesi configurata nell'art. 9); inoltre, per le contravvenzioni relative ai tributi da enti comunque rilevante verificare la portata della pronunzia con riferimento 1a11a normativa pi recente. Come &i ricorda nella sentenza, per eviden; darne una differenza solo appar-ente, l'art. 98 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 stabilisce espressamente la responsabi1it del rappresentante (e qui la rappresentanza intesa in senso ampio) in so1ido con il soggetto passivo o il soggetto inadempiente. Questa norma riguarda le sanzioni in sede di riscossione, previste nel d.P.R. n. 602; una norma analoga non sii trova n nel d.P.R. n. 600/1973 sull'accertamento, n nel d.P.R. n. 633/1972 sull'IVA. Se ne dovrebbe dedurre che per queste ultime, e pi gravi, violazioni resta sempre esclusa la responsabdlit degli amministratori. Tuttavtla la norma pi generale dell'art. 6 della legge 24 novembre 1981 n. 689, con un ritorno alla [spirazione originaria, torna ad enundare la regola che della violazione commessa dal .rappresentante o dal d~pendente nell'esercizio delle proprie funzioni o incombenze risponde in solido l'ente, anche se privo di personalit giuridica. Non si pu certo dire che anche questa norma generalissima ed unica contempla solo J'ipoteSl:i di 1sanzioni stabilite direttamente a carico del rappresentante; ancor meno pu affermarsi che ove esista un rapporto organico in forza del quale l'infrazione imputata direttamente all'ente sempre esclusa la responsabHit dell'amministratore anche rispetto alle sanzioni originariamente penali oggi depenal~zzate. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO forniti di personalit giuridica -con esclusione degli enti pubblici -il legislatore ha inteso stabilire la medesima responsabilit (pagamento di una somma pari all'ammontare dell'ammenda inflitta) in caso di condanna pronunciata contro chi abbia la rappresentanza degli enti o sia con essi in rapporto di dipendenza (ipotesi configurata nell'art. 10). L'art. 12 riguarda invece la diversa ipotesi di violazioni per le quali sia stabilita soltanto la sopratassa o la pena pecuniaria. La intrinseca differenza tra gli illeciti previsti nelle indicate norme (di natura penale quelli di cui agli artt. 9 e 10, di carattere civile le infrazioni considerate nell'art. 12) ha determinato, sul piano della formulazione della norma contenuta nel detto art. 12, una diversa angolazione anche sul punto della individuazione del soggetto direttamente responsabile. Nella sfera delle violazioni rientranti nell'art. 12 -non trattandosi di responsabilit penale e non operando perci il principio della responsabilit personale dell'agente -nessun ostacolo concettuale sussisteva per la riferibilit dell'illecito alla persona giuridica, la quale ben poteva essere considerata come soggetto trasgressore della legge finanziaria (nel senso indicato nell'art. 3), in relazione alla sua qualit di titolare del rapporto giuridico d'imposta. A tal fine nessun rilievo poteva avere la considerazione che la persona giuridica non potesse operare se non per il tramite della persona fisica chiamata ad attuarne la volont, in quanto la riconosciuta capacit dell'ente di commettere infrazioni comportanti sanzioni civili rendeva imputabile direttamente ed esclusivamente all'ente stesso il comportamento del rappresentante, sicch non esisteva alcuna esigenza, nel caso di addebito contestato all'ente, di disporre estensioni di responsabilit. In altri termini, la disposizione dell'art. 12 -muovendo proprio dal presupposto che di regola l'ente risponde in via esclusiva, quale soggetto passivo del rapporto tributario, delle relative infrazioni -ha avuto di mira una differente ipotesi, e cio quella della eventuale non operativit del principio generale di imputazione all'ente dell'operato dei suoi rappresentanti, e per tale ipotesi ha stabilito che alla responsabilit dell'autore dell'illecito si aggiunge la responsabilit solidale della persona giuridica. Infatti, anche per le infrazioni aventi carattere civile possono ricorrere casi di responsabilit stabilite direttamente a carico dei rappresentanti legali delle persone giuridiche (i quali sono in tali casi considerati autori dell'illecito); come possono verificarsi ulteriori ipotesi di dipendenti delle persone stesse (l'art. 12 richiama le situazioni indicate nella prima parte degli artt. 9 e 10 e dunque anche quella derivante dal rapporto di dipendenza tra un determinato soggetto e l'ente) che nel commettere le infrazioni di cui si discute abbiano agito senza i necessari poteri per conto dell'ente medesimo. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA In queste situazioni, se non esi~tesse la speciale disposizione del l'art. 12, gli enti ivi menzionati non sarebbero tenuti in solido al paga mento delle sopratasse o delle pene pecuniarie, in quanto non potreb be farsi ricorso al principio dell'imputabilit dell'operato dei soggetti suindicati (rappresentanti e dipendenti) alla persona giuridica. A questi casi pu aggiungersi quello del rappresentante che, agendo al di fuori dei suoi pot~ri ovvero contro la volont legittimamente espres sa dall'ente, commetta una delle infrazioni considerate, con la conse guenza che l'ente potrebbe invocare la verificatasi interruzione del rapporto di rappresentanza, al fine di sottrarsi alle conseguenze del l'operato del proprio organo-rappresentante. Tutte le situazioni alle quali si fatto cenno valgono a dimostrare che l'art. 12 trova nel sistema una sua logica spiegazione, e non pu dunque considerarsi privo di significato concreto, come sostiene la ri corrente, se interpretato nel senso accolto dalla giurisprudenza di que sta Corte. Va inoltre sottolineato che alle ragioni esposte si aggiunge l'assoluta inconciliabilit della tesi interpretativa propugnata dalla ricorrente con il significato proprio delle parole usate dal legislatore, che pur deve costituire il principale supporto dell'attivit ermeneutica. L'art. 12 chiaramente stabilisce che l'ente obbligato in solido con l'autore della violazione , e tale espressione non pu essere dal l'interprete ribaltata a1 punto da intenderla in senso perfettamente op posto, e cio che siano invece il rappresentante legale o uno degli altri soggetti rientranti nella previsione (richiamata) della prima parte de gli articoli 9 e 10, a dover rispondere solidalmente insieme con l'ente. Un siffatto capovolgimento del contenuto sostanziale della norma (nei termini in cui tale contenuto risulta dalla struttura sintattica di essa e dall'analisi filologica) si risolverebbe in una radicale modificazione di quanto effettivamente voluto ed enunciato dal legislatore. Qualche imprecisione terminoligica riscontrabile nell'art. 12 -ri spetto a una rigorosa concezione del rapporto organico . esistente tra l'ente e il soggetto che agisce per esso -non vale a spostare i termini del problema, perch all'epoca della emanazione della legge n. 4 del 1929 la teoria della cosiddetta immedesimazione organica tra persona giuridica e soggetto rappresentante non era ancora compiutamente sviluppata, sicch non pu meravigliare che nel testo legislativo siano usati termini ed espressioni non sempre coerenti con le figure concettuali elaborate suc cessivamente dalla dottrina. A titolo di convalida dell'esattezza della interpretazione della norma in esame (art. 12) nel senso avanti indicato valgono anche ulteriori con siderazioni. 544 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Un dato testuale si desume proprio dalla legge del 1929, in quanto l'art. 55, che riguarda le violazioni delle norme finanziarie per cui sia stabilita la pena pecuniaria, dispone che la infrazione deve essere noti ficata al trasgressore . Ci conferma che per le violazioni indicate nell'art. 12, soggetto responsabile di regola il trasgressore gi menzionato nell'art. 3 in riferimento alle violazioni non costituenti reato, ossia il soggetto-titolare del rapporto d'imposta, e dunque anche la persona giuridica se a questa si riferisce tale rapporto; ma conferma anche che la estensione della responsabilit solidale all'ente per il pagamento della soprattassa o della pena pecuniraia (finalit che il legislatore ha inteso perseguire) non pu che riguardare le ipotesi di infrazioni poste direttamente a carico del rappresentante, ovvero le altre ipotesi avanti menzionate. Per tali ipotesi particolari, l'art. 59 dispone infatti che le notificazioni da farsi al trasgressore debbono essere eseguite anche alle persone o enti indicati nell'art. 12, qualora debbano rispondere del pagamento della pena pecuniaria. Va infine rilevato che nel caso in cui il legislatore ha inteso stabilire per le sanzioni di carattere civile (soprattassa e pena pecuniaria) la responsabilit solidale degli amministratori, ha adoperato espressioni chiare e precise in tal senso, come risulta dall'art. 98 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (sulla riscossione delle imposte sul reddito), il quale cos formulato: Al pagamento delle soprattasse o delle pene pecuniarie sono obbligati in solido con il soggetto passivo o con il soggetto inadempiente coloro che ne hanno la rappresentanza . N pu ritenersi che la puntuale formulazione letterale di tale norma (art. 98) dipenda soltanto da un maggiore affidamento del linguaggio tecnico del legislatore, in quanto la diversit delle espressioni usate, rispetto a quelle dell'art. 12 della legge del 1929, non consiste in semplici differenze di modalit espressive, ma rivela invece diversit di contenuto sostanziale tra le due disposizioni. Neppure il secondo motivo fondato. La Corte del merito ha ritenuto in punto di fatto che la violazione fu ascritta soltanto alla societ, nei confronti della quale fu redatto il verbale di accertamento ed emesso il decreto ministeriale per il pagamento dell'imposta evasa. Ha quindi ritenuto, anche in considerazione della circostanza che neppure in sede amministrativa era stata prospettata la eventualit che le infrazioni fossero state concretamente e direttamente commesse dal D'Elia, che nel caso di specie non ricorresse una ipotesi di responsabilit diretta dell'amministratore quale autore dell'illecito. (omissis). PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 545 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 28 marzo 1984 n. 2045 -Pres. Sandulli; Est. Finocchiaro -P. M. Sgroi (conf.). Credito Navale c. Ministero delle Finanze (Avv. Stato D'Amico). Tributi erariali diretti Imposte sui redditi di ricchezza mobile -Condono -Riporto delle perdite di esercizi anteriori -Inammissibilit. (t.u. 29 gennaio 1958 n. 645, art. 112; d.!. 5 novembre 1973 n. 660, art. 2). La definizione automatica del reddito accertato in base alle norme sul condono incompatibile con il riporto delle perdite accertate negli esercizi anteriori (art. 112 del T.U. sulle imposte dirette) da operare sul reddito gi ridotto (1). (omissis) Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 112 t.u. 29 gennaio 1958 n. 645 e dell'art. 2 lett. a) del d.l. 5 novembre 1973 n. 660, convertito con modificazioni nella legge 19 dicembre 1973 n. 823, nonch errata ed insufficiente motivazione in relazione agli artt. 111 Cost. e 360 n. 3 e 5 cod. proc. civ., per avere ritenuto la Commissione Tributaria Centrale che l'art. 112 operante soltanto nel caso in cui si proceda alla definizione degli imponibili nei modi ordinari, mentre resta escluso allorch si proceda alla definizione degli imponibili con il meccanismo automatico del condono, senza tener presente che nessuna disposizione del d.l. n. 660 del 1973 porta deroga al predetto art. 112. Secondo il Credito Navale ricorrente, poi, la Commissione Tributaria Centrale avrebbe travalicato il vero oggetto della controversia negando l'efficacia di quest'ultima disposizione in sede di condono, dal momento che entrambe le parti, nelle loro contrapposte posizioni, non avevano mai negato l'operativit del citato art. 112. Il provvedimento di condono ha derogato ai criteri ordinari di definizione, ammettendo che alla determinazione dei redditi e delle perdite degli esercizi per i quali si fatta richiesta di avvalersi delle disposizioni da esso recate si addivenga attraverso conteggi prestabiliti, ma ci influisce soltanto sulla determinazione degli imponibili, ma non anche sulla compensabilit o meno delle perdite fiscalmente definite con gli utili pure fiscalmente definiti nei successivi esercizi, dal momento che la compensazione fra perdite ed utili fiscali non influenza la determinazione dell'imponibile, ma attiene alla fase di liquidazione dell'imposta. La compensazione delle . perdite non , come quella prevista dall'art. 8 d.l. n. 1089 del 1968, norma di agevolazione tributaria tempo (1) Questione nuova risolta con ineccepib.ile motivazione. 546 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ranea, ma disposizione istituzionale che attiene alla determinazione del l'imponibile da iscrivere a ruolo e alla correlativa liquidazione delle imposte, che vanno calcolate sul reddito fiscale dell'esercizio al netto delle eventuali perdite di esercizi precedenti. Dal momento, poi, che la stessa Amministrazione ha sempre riconosciuto che le perdite degli esercizi precedenti -una volta che ne sia fatta richiesta dal contribuente -vanno a diminuire il reddito definitivamente accertato, non si vede, secondo il ricorrente, perch, nell'ipotesi di definizione degli imponibili con i conteggi automatici di condono, le perdite degli esercizi precedenti dovrebbero andare a diminuire soltanto i redditi dichiarati e non gi quelli definiti. La domanda di condono costituisce condizione per poter fruire del particolare sistema di definizione degli imponibili previsto dalla relativa legge, ma non comporta rinuncia ad avvalersi della richiesta compensazione ex art. 112 t.u. cit. atteso che le perdite degli . esercizi precedenti costituiscono importi da sottrarre in sede di liquidazione delle imposte, attraverso il congegno della compensazione, nell'ambito temporale precisato dalla norma, in modo che il contribuente possa beneficiare di una minore tassazione complessiva con il recupero delle perdite. Con il secondo motivo si deduce il vizio dell'errata e insufficiente motivazione, dal momento che la Commissione Centrale si limitata a richiamare l'art. 2 Jett. a) d.l. n. 660 del 1973, senza accertare se tale norma fosse stata correttamente applicata dall'Ufficio, non essendo sufficiente l'affermazione che il ricorso al meccanismo automatico del condono esclude l'operativit dell'art. 112 t.u. cit. Pa~imenti erronea, poi, secondo il ricorrente, l'affermazione secondo cui le definizioni intervenute con il sistema automatico del condono non possono, ai sensi dell'art. 11 d.l. n. 660 del 1973 formare oggetto di contestazione se non per errore di legge o per violazione del decreto stesso, dal momento che, anche in caso di violazione delle norme sulla legge del condono, unico strumento che si offriva al contribuente era il ricorso contro il ruolo. I due motivi di ricorso, da esaminarsi congiuntamente, in quanto logicamente connessi, sono infondati, anche se la motivazione della decisione impugnata va corretta ai sensi dell'art. 384, comma 2 c.p.c. Il problema proposto se, in presenza di accertamenti definiti in via ordinaria con il riconoscimento di perdite fiscali per gli esercizi precedenti e di domanda del contribuente per la definizione automatica (c.d. condono) delle pendenze relative agli anni successivi, in un momento in cui alla dichiarazione (negativa) del contribuente per tali esercizi si contrapponga l'accertamento di un reddito imponibile da parte dell'Ufficio, l'imposta dovuta debba essere determinata solamente attraverso "' ;a ;; ~: fil ~~ i:= 1 l ~:: <=: .~ fil PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA il meccanismo di riduzione dell'imponibile accertato dall'Ufficio secondo i criteri fissati dall'art. 2 lett. a) d.l. n. 660 del 1973 o se, invece, a tal fine si debba tener conto dell'art. 112 comma 1, t.u. n. 645 del 1958 per il quale la perdita di un esercizio, determinata con le stesse norme valevoli per la determinazione del reddito, pu essere portata in diminuzione dai redditi degli esercizi successivi, ma non oltre il quinto esercizio . Si tratta cio di stabilire se il meccanismo del citato art. 112 possa operare in prsenza di un imponibile determinato in via automatica. Allo scopo di dimostrare l'applicabilit di tale norma il Credito Navale rileva che, in mancanza di una esplicita norma derogativa contenuta nel d.l. n. 660 del 1973, l'art. 112 t.u. citato agisce all'esterno e cio in diminuzione degli imponibili automatici definiti, in quanto le perdite degli esercizi precedenti non costituiscono elementi detrattivi ,del reddito di esercizio, ma entit negative da compensare con quelle eventualmente positive dei cinque esercizi successivi. La tesi, non pu essere condivisa. Il d.l. n. 660 del 1973, con le modifiche apportate dalla legge di conversione n. 823 del 1973, con riferimento ai periodi di imposta in ordine ai quali, anteriormente al 31 ottobre 1973, sia stato notificato l'accertamento, prende in considerazione, ai fini della determinazione dell'imposta -qualora alla detta data non sia stata notificata alcuna decisione in sede contenziosa, come nella specie -l'imponibile dichiarato dal contribuente e quello accertato dall'Ufficio e, sulla base di tali elementi, indica il sistema con il quale procedere alla relativa determinazione dell'imposta (art. 2 lett. a) d.l. citato). Il contribuente, il quale chiede la definizione agevolata sulla base del citato decreto, non pu evidentemente contestare gli elementi sulla cui base si addiviene alla liquidazione dell'imposta (reddito dichia rato, anche se negativo, e imponibile accertato dall'Ufficio), cos come analoga facolt negata all'Ufficio, in quanto il sistema di definizione automatico delle pendenze tributarie, inteso alla sollecita definizione delle controversie tributarie, comporta, come stato recentemente affermato (Cass. 22 giugno 1983 n. 4280), che, una volta presentata la domanda di condono, operano automaticamente i rigidi criteri da esso fissati per la liquidazione dell'imponibile senza possibilit per il contribuente di sollevare contestazioni sulla base della maggiore onerosit del carico tributario a seguito dell'applicazione degli indicati criteri e senza che in ci sia ravvisabile alcuna violazione dell'art. 53 Cost., dal momento che la normativa di cui al d.l. n. 660 del 1973 confizyra una transazione fra fisco e contribuente sottratta a qualsiasi discrezionalit del primo e postulante la spontanea adesione del secondo, che poteva optare per i normali accertamenti. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 548 La domanda diretta ad ottenere l'applicazione dell'art. 112 comma 1, t.u. citato e quindi la compensazione dei redditi accertati con le perdite dei pre~edenti esercizi tende a mettere in discussione l'imponibile accertato dall'Ufficio e quindi non pi proponibile -e se proposta perde ogni valore -ove il contribuente anzich impugnare l'imponibile con i mezzi ordinari abbia preferito optare per la definizione agevolata dell'imponibile stesso. Seppure si pu convenire con la tesi del Credito Navale secondo cui la compensazione fra perdite ed utile fiscale non influenza la determinazione dell'imponibile, ma attiene alla fase della liquidazione dell'imposta dovuta, da rilevare che tale meccanismo opera con riferimento al sistema di determinazione normale dell'imponibile e non anche quando l'imponibile stabilito sulla base dei rigidi criteri fissati dal d.l. n. 660 del 1973. N al fine di inficiare queste conclusioni valido l'argomento secondo cui l'applicabilit dell'art. 112 t.u. n. 645 del 1958 non sarebbe derogata dalle norme sul condono, dal momento che siffatta inapplicabilit discende proprio dal complesso di tale normativa. sufficiente infatti rilevare che, ai fini della liquidazione agevolata, il legislatore prescinde dai calcoli attraverso cui il contribuente sia giunto ad un determinato reddito dichiarato (anche se negativo) o l'ufficio abbia proceduto all'accertamento di un diverso reddito imponibile; si tratta cio di dati che sono assunti nella loro oggettivit, con la conseguenza che, potendosi essere giunti a tali valori anche eventualmente operando la compensazione di cui all'art. 112 t.u. n. 645 del 1958, un autonomo rilievo di tale disposizione, dopo la determinazione dell'imponibile effettuata con i criteri di cui al d.l. n. 660 del 1973, potrebbe portare ad una duplice inammissibile operativit del meccanismo di compensazione, senza che sia possibile distinguere -al fine di affermare la perdurante applicabilit dell'art. 112 cit. -a seconda che al reddito dichiarato dalla parte o a quello accertato dall'Ufficio si sia giunti tenendo o meno conto di tale norma, attesa la gi rilevata impossibilit di accertare i criteri Con i quali si sia giunti ai dati di base per far luogo alla definizione agevolata. Pertanto correttamente, la Commissione Tributaria Centrale ha rilevato che il contribuente posto di fronte alla possibilit di scegliere una volta che abbia optato per la definizione agevolata, non pu pi richiedere l'applicazione dell'art. 112 t.u. del 1958, in quanto, come in precedenza rilevato, tale applicazione possibile solo attraverso l'impugnazione ordinaria dell'accertamento. Si deve, pertanto, concludere che una volta presentata domanda di definizione agevolata ai sensi del d.l. n. 660 del 1973, l'imposta dovuta va determinata secondo le disposizioni degli artt. 2, 3 e 4 del citato d.l. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 549 senza che si possa tener conto dell'art. 112 t.u. n. 645 del 1958, e, quindi, senza poter compensare il reddito imponibile in siffatto modo determinato con le perdite accertate in esercizi precedenti, in quanto l'applicabilit di una tale disposizione -modificando l'imponibile automaticamente determinato -comporterebbe violazione delle norme del d.l. n. 660 (art. 11, comma 2). (omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 28 marzo 1984 n. 2046 -Pres. Santosuosso -Est. Lipari -P. M. Pandolfelli (diff.). Ministero delle Finanze (Avv. Stato D'Amico) c. Liucci. Tributi erariali indiretti Imposta di registro Trasferimento di immobile gravato da ipoteca Base imponibile Irrilevanza dell'ipoteca. (r.d. 30 dicembre 1923 n. 3269, art. 30 e 43). Nel determinare la base imponibile dell'imposta di registro relativa al trasferimento di un immobile gravato di ipoteca, occorre far riferimento al valare venale del bene secondo le regole comuni senza alcuna riduzione per l'esistenza dell'ipoteca (1). (omissis) 2. Il ricorso fondato. Trattandosi di imposta applicata ai sensi della legge di registro del 1923 vengono in considerazione gli artt. 30 e 43 del r.d. 30 dicembre 1923 n. 3269. La regola fondamentale in tema di valutazione dei beni, quando occorre tassare il trasferimento della propriet dei beni medesimi, data dal criterio del loro valore venale in comune commercio, che si deve ricercare rispetto a tutti i contratti traslativi o dichiarativi di diritti reali su beni immobili (salva la limitazione per alcuni beni degli elementi in base ai quali va accertato tale valore), non avendo rappresentato una modificazione del diritto positivo preesistente la norma di cui all'art. 15 della legge 7 agosto 1936 n. 1639. Valore venale in comune cmmercio quanto si pu ricavare dalla vendita di un determinato bene in condizioni normali, prescin (1) Decisione da condividere pienamente. Alle numerose argomentazioni della motivazione della sentenza si pu aggiungere che l'ipoteca non collegata al bene in modo specifico, esclusivo e proporzionato (l'ipoteca pu essere iscritta su un complesso di immobili mentre uno soltanto viene trasferito e pu assistere un credito di un ammontare che non ha alcun rapporto col valore del bene) e non ha un valore determinabile in relazione al rischio di dover subire l'esecuzione su iniziativa del creditore; lo stesso rischio si incontra nell'acquisto di un bene gravato di privilegio speciale, ma non si mai pensato che l'esistenza del privilegio (nascente anche dallo stesso atto di trasferimento) possa influire sul valore. 550 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO dendo da qualsiasi condizione subiettiva inerente alla qualit dei contraenti. Si intende, tuttavia, che se in relazione a particolari rapporti con il bene il contraente lo acquista ad un prezzo superiore al valore, l'imposta si applica sul prezzo (e non sulla minore aestimatio di comune commercio). Ma ci non comporta la rilevanza di quell'intento, della componente soggettiva, sibbene la piena applicazione della norma la quale di fronte ad una divergenza fra prezzo e valore, stabilisce che debba prendersi come base della tassazione la componente maggiore (e cio, nel caso esemplificativo, il prezzo d'affezione). L'art. 30 (coordinato con l'art. 15 del r.d.) va posto in relazione con l'art. 43 della medesima legge di registro, la quale stabilisce che nei trasferimenti a titolo oneroso della propriet (dell'usufrutto, dell'uso e del godimento del bene o di altro diritto reale) l'aliquota proporzionale applicata in ragione dei prezzi e degli altri corrispettivi convenuti fra le parti, compresi gli oneri che passano a carico dell'acquirente o cessionario. Sulla sostanziale equivalenza delle due espressioni e sulla individuazione della ratio legis che tiene conto della prassi di non denunciare negli atti l'effettivo corrispettivo, non sono ipotizzabili dubbi di una qualche rilevanza giuridica. Da tempo la giurisprudenza ha messo in chiaro che l'imposta di registro non colpisce il valore considerato in se stesso, ma il prezzo di mercato di un bene avente le stesse caratteristiche intrinseche: il valore effettivo che si sarebbe realizzato, cio, mediante lo scambio attraverso il passaggio di una quantit di moneta adeguata a quel valore; giovando il divario fra prezzo inferiore e superiore valore ed ancorare l'accertamento tributario al valore medesimo (Cass. 2654/68, 2572/72, 3755/75). Proprio perci si legge correntemente in dottrina che se le parti nulla occultassero fra il corrispettivo indicato nell'atto e il valore venale dei beni trasferiti, dovrebbe esistere una differenza minima, e che il tributo non grava il corrispettivo in s, ma la ricchezza che si trasferisce, venendo in considerazione il corrispettivo soltanto come elemento di estimazione del valore. Ma per determinare l'entit della ricchezza che effettivamente vi trasferisce, attraverso il passaggio di propriet ex art. 43, occorre considerare anche gli oneri che passano a carico dell'acquirente cessionario, sembrando in prima approssimazione che si potrebbe dare rilievo all'ipoteca annoverandola fra tali oneri (non necessariamente reali). Sulla relativa nozione tuttavia esiste uno ius receptum di cui non hanno tenuto cnto n la Corte d'appello di Bari, n il resistente, n il Procuratore Generale, postulando apoditticamente che un bene gravato da ipoteca sia meno appetibile di un bene libero; il che non significa che il valore, la ricchezza da esso rappresentata, e che si trasferisce, sia diminuita (e men che mai in misura pari al credito cui si riferisce la garan - PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA zia). In effetti sin da una remota sentenza (Cass. Roma 13 marzo 1893) si precisato in giurisprudenza che gli oneri sono detraibili dal valore tassabile soltanto se risultano inseparabili dalla cosa stessa, in modo da determinare un deprezzamento oggettivo, passando ipso iure dallo alienante all'acquirente, con la cosa stessa, come componente negativa di questa. Se, invece, per il trasferimento dell'onere occorre una manifestazione di volont ad hoc la deducibilit resta esclusa. Si osservato al riguardo, secondo altra terminologia, ma in realt esprimendo il medesimo concetto, che sottostanno all'imposta di registro gli oneri personali e non anche gli oneri reali (e si indicano esemplificativamente al riguardo, come oneri reali: l'imposta fondiaria, la servit, le decime ecclesiastiche o dominicali, i contributi consorziali etc.) salvo che i suddetti oneri personali siano stati accollati al compratore costituendo l'accollo il momento genetico per il sorgere della obbligazione (riconosce~dosi che tale accollo non deve essere necessariamente espresso e formale, potendo anche risultare per implicito). Questa distinzione fra oneri reali e non, rapportata alla qualificazione della ipoteca come diritto reale di garanzia potrebbe indurre a ritenere erroneamente che l'ipoteca rientri nel novero dei suddetti oneri reali e quindi concorra al deprezzamento del valore del bene in misura pari al suo ammontare; ma cos non ove si rifletta che l'ipoteca non diminuisce obiettivamente il valore dell'immobile, ma aggancia a quel valore un credito e quindi in definitiva attiene alla ripartizione fra due diversi soggetti del valore medesimo che in s e per s resta sempre uguale, a prescindere dal diritto di sequela, rappresentando il parametro intrinseco della garanzia. La discriminazione tra qualit intrinseche del bene, che ne circoscrive definitivamente il valore, e credito da soddisfare, a discapito del proprietario, comporta, con assoluta evidenza, che la realt sui generis del diritto di garanzia non una qualitas fundi, una caratterizzazione del bene stesso. Molto pi semplicemente nell'ottica della (abrogata) legge di registro l'ipoteca soltanto la garanzia di un debito che l'acquirente resta libero di accollarsi o meno. Se, dunque, nel determinare il valore venale del bene va tenuto conto di tutti gli oneri che lo gravano (Cass. Roma 30 aprile 1917), e che ne diminuiscono oggettivamente il valore, deve trattarsi, pur sempre, di oneri che ineriscono alla cosa (anche se non riconducibili necessariamente alla categoria tecnica dell'onere reale). Non si possono prendere in considerazione, perci, i debiti personali dell'alienante, sia pure garantiti sulla cosa e collegati ad essa dal rapporto di sequela (cfr. Cass. Roma 3 ottobre 1903 e 24 marzo 1911, nonch, pi di recente, Cass. 31 gennaio 1948 n. 146 per il rilievo che l'imposta si applica non solo in ragione del prezzo pattuito fra le parti, ma altres degli oneri che l'acquirente si accolla, dato che nelle 552 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO vendite, e nelle cessioni in genere, l'acquirente deve corrispondere il valore convenuto ed a tal fine pu o pagare il prezzo, o prestare gli altri corrispettivi, o assumere su di s particolari oneri di cui viene liberato il venditore, dovendosi escludere dai corrispettivi che vanno aggiunti ai prezzi i soli oneri oggettivamente connessi alla cosa alienata, come le servit, i tributi reali, ecc.). Acquista, pertanto, essenziale rilievo la automaticit o meno dell'accollo poich se un tale trapasso si verifica solo per effetto di una convenzione all'uopo intervenuta fra le parti sembra evidente che il valore del bene non viene ad essere inciso e che di tale accollo non pu tenersi conto ai fini della liquidazione della imposta di trasferimento che non resta influenzata dai debiti personali del proprietario, sia pure garantiti dalla cosa che in s e per s non viene incisa dall'ipoteca la quale opera nel senso solo di dirottare talune utilit del bene che resta indenne come I tale, dall'uno all'altro soggetto. I 3. Sembra al Collegio che il ragionamento della Corte d'appello di Lecce sia inficiato da considerazioni di carattere economico che non sono, tuttavia, rilevanti dal punto di vista giuridico. I In questa prospettiva l'accento va posto, come la difesa dello Stato ~ ha cura di mettere in luce, sulla circostanza se vi sia stato o meno I ~ accollo del debito garantito da ipoteca; in caso positivo si verifica puntualmente l'ipotesi dell'art. 43 della legge di registro del 1923 (come riconosce nel corso della motivazione, la ricordata sentenza di questa Corte n. _146 del 1948), essendo palese che il pagamento del debito da parte dell'acquirente, in luogo del debitore liberato, costituisce pagamento di i parte del prezzo, e cio uno degli altri corrispettivi menzionati nelf: la norma. D'altra parte ove non sia stato convenuto l'accollo, si applica la I norma dell'art. 2866 cod. civ. e quindi il venditore sar tenuto a rivalere I il compratore di quanto questi dovesse eventualmente sborsare al terzo creditore per evitare la subastazione del bene ipotecato. Del resto che il valore del bene sia indipendente dall'ipoteca che su di esso grava risponde, oltre che a principi giuridici, alla realt economica. Proprio perch il bene ha un determinato valore, che potr essere realizzato coattivamente in caso di inadempimento del debitore, esso idoneo ad offrire una garanzia reale, n la realt di tale garanzia, con la possibilit di rischio che essa comporta per l'acquirente, incide su quel valore, scomponendosi, se mai, in fattori destinati ad operare ciascuno nel mondo del diritto secondo i delineati istituti e schemi giuridici, incidendo sul patrimonio dei soggetti coinvolti. A differenza degli oneri legati alla cosa da un nesso inscindibile, e che facendo corpo con essa ne diminuiscono intrinsecamente il valore all'atto del trasferimento (indipendentemente dalle manifestazioni di vo PARTE I; SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA lont degli interessati), l'ipoteca viene in considerazione per la possibilit che ne consegue di aggredire il bene da chiunque posseduto, realizzandone il valore a favore di un determinato soggetto, ma non incide sul valore in s e per s, a prescindere dal soggetto titolare del diritto dominicale sul bene. Si spiega, quindi che l'ipoteca, sotto questo aspetto, \'ada inquadrata fra gli oneri personali , e non fra quelli reali , sia pure intesi in senso lato. Proprio perch l'accollo della ipoteca da parte dell'acquirente non viene in considerazione come evento suscettibile di incidere sul valore, che non concorre a diminuire nella sua oggettivit, l'ipoteca, come diritto reale di garanzia (distinto ontologicamente dal diritto reale di godmento), non si presenta, in corrispondenza del debito personale da garantire, quale onere riduttivo della consistenza del bene. Le ipoteche non influiscono sul valore, giacch rappresentano soltanto il debito del proprietario dell'immobile sul quale sono iscritte. Non producente argomentare che nella realt delle contrattazioni si tiene conto della circostanza che l'immobile gravato dall'ipoteca. Il ragionamento prova troppo giacch condurrebbe alla conclusione, contro il preciso tenore della legge, che nessun onere, nemmeno quelli reali in senso stretto potrebbe passare all'acquirente ed essere pertanto considerato in diminuzione del valore del bene compravenduto. Giova al riguardo, sottolineare, come bene stato posto in evidenza dalla dottrina, a proposito della imposta fondiaria, che sul mercato in una certa misura incidono non soltanto gli oneri personali, ma anche quelli reali. Chi si accinge ad acquistare un immobile considera non solo il prezzo che dovr pagare al venditore ed eventualmente il debito che dovr corrispondere al debitore ipotecario, ma anche l'imposta fondiaria che dovr pagare allo Stato; essendo disposto a pagare di pi per acquistare un fabbricato che goda di esenzione. Opera al riguardo il fenomeno della traslazione (all'indietro) della imposta per cui l'acquirente scinde il prezzo in due componenti ed disposto a corrispondere al vecchio proprietario, che in definitiva subisce il danno, solo l'ammontare in capitale pari alla componente depurata dall'ammontare della imposta, accantonando a tal fine la parte del prezzo la cui rendita corrisponde appunto all'imposta. Ma ai fini della imposta di registro, come si gi rilevato, quando si verifica una discrasia fra prezzo e valore si tiene conto del valore superiore al prezzo; e quindi la esistenza della garanzia reale sul bene non influisce sul valore, perch si tratta di fenomeno circoscritto al prezzo ed insuscettibile di incidere sul valore medesimo. L'acquirente acquista infatti un bene di un determinato valore, a fronte del quale sta da un lato un prezzo diminuito, alla stregua del ragionamento che ha tratto in inganno la Corte d'appello, dell'ammontare del RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 554 l'ipoteca; ma, dall'altro, l'ammontare della ipotec!l in sorte capitale ed interessi, essendovi una scissione, nella ipotesi dell'accollo tra i destinatari del corrispettivo, espressione del valore del bene che mantiene il suo valore intrinseco indipendentemente dalla esistenza dell'ipoteca. Il valore intrinseco di uno stabile infatti non muta solo perch il bene stesso risulti gravato da ipoteca, la cui costituzione diminuisce il patrimonio del titolare del diritto di propriet gravato dalla suddetta ipoteca, ma non il valore oggettivo che si scinde nella imputazione del prezzo che lo esprime, venendo in rilievo l'eventuale accollo da parte dell'acquirente del debito ipotecario. 4. Nel caso dell'accollo, l'acquirente, come contropartita dell'ipoteca gravante sul bene, corrisponde all'alienante la differenza; ma ci non significa che il trasferimento ha colpito un bene di valore ridotto, comportando semplicemente che il bene, nel suo valore intrinseco ed oggettivo, stato trasferito mediante un pagamento scisso in due tronconi, con modalit che prevedono un esborso immediato e parziale al venditore ed un esborso futuro al creditore ipotecario del venditore. Se poi non vi sia l'accollo sembra chiaro che i rapporti di credito che si instaurano fra le parti, a seguito dell'eventuale esborso ulteriore dell'acquirente che paghi l'ipoteca per conservare il bene (pu rivalersi sul venditore, a parte l'alea di non trovare beni su cui soddisfarsi) determinano per quest'ultimo una vicenda personale sua propria, che non si riflette sul valore del bene, e meno ancora sul prezzo effettivamente pagato, il quale, atteso il sistema della legge, in tanto potrebbe venire in considerazione in quanto risultasse superiore a quel valore calcolato a prescindere dai debiti personali del proprietario, sia pure garantiti sulla cosa. N, per contrastare la accolta soluzione, ratificata unanimemente da dottrina e giurisprudenza, gioverebbe obiettare che se il bene gravato da ipoteca, avendo la finanza gi percepito il tributo sull'atto costitutivo, si giustificherebbe la tassazione del trasferimento del bene ipotecato in ragione del valore depurato dall'ammontare del credito cui la suddetta ipoteca si riferisce (cos sembrando di dover ricostruire l'unica argomentazione contenuta nel controricorso riecheggiando la tesi adombrata in sentenza) e ci, perch, come noto, il tributo di registro imposta d'atto che colpisce lo stesso bene tante volte quante si pongono in essere atti ad esso riferiti. Non pertanto ipotizzabile, in difetto di una apposita e derogatoria statuizione della legge di registro, un ingranaggio in certo modo analogo a quello che la legge del 1923 prevedeva per la consolidazione di usufrutto, enucleando usufrutto e nuda propriet come componenti di una unica tassazione che colpiva al loro ricongiungersi il valore unitario del bene, anche perch un ingranaggio siffatto, a parte la sua mancata corrispondenza al paradigma PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA legale; sarebbe intrinsecamente irrazionale dal momento che, come si visto, la ipoteca non scorpora una parte del valore del bene nella sua oggettivit, ma lo riserva al soddisfacimento prioritario di un dato creditore, secondo la graduazione risultante dai registri immobiliari. In definitiva si presenta l'alternativa: o il credito garantito da ipoteca si presenta come corrispettivo e concorre a formare il valore o (prezzo) secondo la duplice delineata per cui il prezzo, inferiore al valore, si eleva al valore medesimo ed il prezzo superiore al valore si tassa nella misura di valore che esprime (anche se non coincidente con i valori di mercato); ovvero non si verifica l'accollo ed allora la base imponibile viene considerata avendo riguardo al prezzo pagato o al suo valore secondo l'alternanza appena richiamata, poich la circostanza che il bene venduto sia gravato da ipoteca non comporta la diminuzione di valore del bene secondo una componente oggettiva e reale, non trattandosi di un peso del bene che ne diminuisce intrinsecamente il valore a prescindere dalla titolarit del diritto dominicale in capo ad un determinato soggetto, operando sempre e comunque rispetto alla generalit dei consociati, ma di un diritto reale sui generis (quale diritto reale di garanzia) che crea una particolare posizione di vantaggio ai fini del soddisfacimento della ragione di un determinato creditore e di esso solo. 5. In conclusione il ricorso deve essere accolto e la causa va rinviata per nuovo esame alla Corte d'appello di Bari la quale si uniformer al seguente principio di diritto: Ai sensi degli art, 30 e 43 dell'abrogata legge di registro (r.d. 30 dicembre 1923 n. 3269) per la determinazione del valore dell'immobile compravenduto, ai fini dell'applicazione della imposta di trasferimento la circostanza che il bene stesso sia gravato da ipoteca non spiega influenza nel senso di comportare una riduzione del valore di mercato del bene pari all'ammontare del credito cui la garanzia reale si riferisce, non potendosi detta ipoteca considerare onere oggettivamente inerente all'immobile nella sua essenza, diminuendone il valore, e presentandosi, all'opposto, l'ipoteca medesima come un credito personale di un determinato soggetto (sia pure garantito sulla cosa secondo l'ingranaggio della realit). (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 5 aprile 1984, n. 2194 -Pres. Mazzaca ne -Est. Rocchi -P. M. Ferraiuolo (diff.). Ministero delle Finanze (Avv. Stato Angelini Rota) c. Duse Masin (avv. Compagno). Tributi in genere -Contenzioso tributario -Appello -Domande nuove Contestazione su interessi e maggiorazioni di aliquote relative al reddito oggetto dell'accertamento Ammissibilit Impugnazione separata del ruolo -Non necessaria. (c.p.c. art. 345). RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 556 Tributi erariali diretti Riscossione Interessi e maggiorazione di aliquota per ritardata iscrizione a ruolo Successioni di leggi nel tempo . Tributi soppressi Sostituzione degli interessi alla maggiorazione di aliquota con decorrenza dal 1 gennaio 1974. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 184 bis; d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 20, 104 e 105). Nel giudizio di appello contro l'accertamento del reddito pu essere contestata la debenza degli interessi e delle maggiorazioni di aliquota iscritte a ruolo dopo la decisione di primo grado, non essendo a tal fine necessaria una autonoma impugnazione del ruolo (1). Relativamente ai tributi diretti soppressi, iscritti a ruolo dopo la riforma tributaria, sono dovuti la maggiorazione di aliquota per il periodo anteriore al l gennaio 1974 e gli interessi per il periodo successivo (2). (omissis) Con il primo motivo di annullamento, l'Amministrazione ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 15 e segg. 22 e segg. del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, nonch del principio generale dell'inderogabilit dei gradi di giurisdizione, con riferimento all'articolo 345 cod. proc. civ. il tutto in relazione dell'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., censurando l'impugnata decisione per aver ritenuto ammissibile il ricorso del contribuente in ordine all'applicazione delle maggiorazioni ed interessi per ritardata iscrizione a ruolo, sebbene la questione fosse stata proposta per la prima volta in appello e fosse stata esattamente trascurata dalla Commissione di 2 Grado. Si sostiene, in sostanza che la detta questione aveva natura e contenuto del tutto diversi dall'accertamento della base imponibile, per cui doveva essere proposta con autonomo ricorso contro il ruolo, a nulla rilevando che la stessa non fosse ancora sorta al momento dell'impu (1-2) La sentenza, con argomentazione molto approfondita, ha affrontato due rilevanti prob1emi. Sul primo lecita qualche perplessit. GH interessi per ritardata dscr.izione a ruolo, come la maggiorazione di aliquota, che sono calcoLati. dall'ufficio e, senza un separato accertamento, sono direttamente iscritti a ruolo, non possono considerarsi alla stessa stregua di quelli contemplati nell'art. 345 c.p.c. come un quasi automatico accessorio; per di pi gli interessi per ritardata .iscrizione a ruolo non sono maturati dopo la sentenza impugnata, ma sono relativi a tutto il tempo decorso dalla data in cui sarebbero stati riscossi se la dichiarazione fosse stata comp1eta e fedele. Inoltre gli :interessi non vengono domandati dalla parte nel giudiziico di appello, come accessorio di una domanda principale, ma vengono pretesi dal l'ufficio con .l'iscrizione a ruolo; il soggetto passivo pertanto deve contestare ila pretesa dell'ufficio ricorrendo contro l'atto che tale pretesa contiene. Ci par ticolarmente evidente quando, come nel caso, la debenza degli iinteressi non PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 557 gnazione degli accertamenti e si fosse, invece, configurata soltanto con l'iscrizione a ruolo avvenuta in pendenza del ricorso in 2 Grado, perch ci stava anzi, a confermare l'autonomia della questione e del relativo contenzioso. N poteva avere rilievo la norma sulla deducibilit di nuovi motivi ed eccezioni fino a dieci giorni precedenti la prima udienza davanti alla commissione di 2 grado, dovendosi pur sempre trattare di motivi ed eccezioni proponibili con l'atto di appello, cio afferenti alla controversia in corso. Con il secondo motivo di annullamento, l'amministrazione ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 20 d.P.R. 26 settembre 1973 n. 602 in relazione all'art. 184 bis del T.U. 29 gennaio 1958 n. 645, nonch contraddittoriet di motivazione, il tutto ai sensi dell'art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ. L'Amministrazione ricorrente censura la statuizione riguardante l'applicabilit degli interessi di cui all'art. 20 d.P.R. 602/1973 solo nei limiti in cui erano applicabili le maggiorazioni di cui al soppresso art. 184 bis del T.U., sostenendo in proposito che nella specie non si pone un problema di retroattivit della legge (come ritenuto dalla C.T.U.), poich la nuova norma non incide sull'obbligazione tributaria, ma solo sugli effetti di essa, che si protraggono nel tempo (r.itardo nel pagamento dell'imposta). Pertanto, la nuova disciplina avrebbe dovuto essere applicata, nella sua interezza, dalla data della sua entrata in vigore, senza poter conferire alla disciplina precedente una ultrattivit che non le compete. Con il ricorso incidentale si deduce, sulla base di un unico, articolato motivo, violazione e falsa applicazione dell'art. 184 bis del T.U. 29 gennaio 1958 e dell'art. 20 del d.P.R. n. 602 del 1973, in relazione all'art. 360, n. 3 cod. proc. civ., sotto il riflesso che l'art. 20 del d.P.R. una conseguenza necessaria e quasi meccanica della decisiione della lite principale (come !ipotizzato nell'art. 345 c.p.c.), ma discendono da!J.'applicazione di una norma sopravvenuta la cui interpretazione assai controversa e d luogo ad una lite del tutto .indipendente da quella sull'accertamento e che non ragionevole introdurre in grado di appello. Se la debenza degli interessi si ri'solvesse, come mero accessorio, in una semplice liquidazione, l'impugnazione non sarebbe nemmeno necessaria, perch rliducendosi Ja base .imponibile per effetto del ricorso contro l'accertamento, si ridurrebbe conseguentemente l'obbligazione dd interessi tanto che la somma a tale titolo riscos,sa, in forza di iscrizione a ruolo provvisoria, verrebbe rimborsata di ufficio (art. 40 d.P.R. n. 602/1973). Ma quando si presenta una questione autonoma e non accessoria, inerente alla Hqulidazione opemta dall'ufficio e comunicata con la notdfilca del ruolo, sembra che il riico11so debba essere proposto contro il ruolo. Va ancora considerato che il ricorso contro il ruolo ha contenuto di opposizione all'esecuzione; volto a contestare il potere di 'riscuotere, lin tutto o in parte la somma ii.scritta a ruolo. Ora se nei rapporti dd diritto comune il creditore sulla base di sentenza esecutiva, bench appellata, procede all'esecuzione e liquida nel precetto interessi che il debitore reputa non dovuti, deve pro .,, .X :.""'W'/..x :;~:::<;y.x_, ......,. ~xx;nx---;,-xxxw,:;;:.x ~ . 7. .% '.x :$! . <10:m10:....,~~~~~mllllfillllfillllfillm:!mll~~~~~~~~ ' ~ ,. ..,,..... oou:"'"""'""' ...,. ,,.,. I n. 602/73, disponendo la decorrenza degli interessi in relazione al ter-~: mine di presentazione della dichiarazione del contribuente ed essendo i:: ~j entrato in vigore dal 1 gennaio 1974, non pu trovare applicazione che !: rispetto alla dichiarazione il cui obbligo di presentazione sorto sue-fil cessivamente alla predetta data e, quindi, non pu riguardare che le fo nuove imposte sul reddito. I Il primo motivo del ricorso principale -che va trattato autono-I"; mamente per il suo carattere potenzialmente assorbente - infondato. . Il problema del se costituisce questione nuova -la cui proposizione in sede di ricorso dinanzi la Commissione tributaria di se-I~ condo grado debba ritenersi inammissibile per l'estensione al procedimento tributario della previsione di cui all'art. 345 cod. proc. civ. quella relativa alla contestazione (da parte del contribuente) in ordine ~ all'~pplicazione delle maggiorazioni ed interessi per ritardata iscrizione I a ruolo (penalit iscritte suppletivamente soltanto nelle more del giu-.' dizio di secondo grado), nel riflesso che detta questione presuppone : una tematica diversa dall'accertamento della base imponibile, da sot-1j toporsi con autonomo ricorso contro il ruolo dinanzi la commissione ~ tributaria territoriale di primo grado. ,_. Orbene, va considerato, in linea preliminare, che le soprattasse, e !i le maggiorazioni previste nel sistema preesistente alla riforma tributaria ~--' hanno natura di prestazioni integrative dei tributi ai quali si riferi-r scono (Cass. n. 864/81) e sono conseguentemente assoggettate allo stesso !! regime normativo. Ne consegue che alla controversia avente ad oggetto ~ l'an ed il quantum dell'obbligazione tributaria principale appartiene in ~ nuce anche la questione relativa all'applicazione ed alla misura delle g penalit conseguenti. !! I: r ~ I ~ porsi l'opposizione all'esecuzione piuttosto che formulare una eccezione nel giudizio di appello. IJ secondo problema assai complesso. Certamente non avieva il minimo fondamento la pretesa che con l'abrogazione dell'art. 184 bis del t.u. dell'im~ poste dirette e finapplicabUit dell'art. 20 del d.P.R. n. 600/11973, la ritardata ! iscrizione a ruolo fosse priva di conseguenze successivamente al 1 gennaio f 1974. Non s1 poneva una questione di retroattivit della :legge ,sopravvenuta, perch gld interessi gravano sull'effetto pei:idurante, de die in diem, del mancato adempimento e non sul fatto generatore del rapporto; ci stato insegnato da dnnumerevoli pronunzie che hanno affermato la debenza degli interessi dalla data di entrata in vigore della legge 26 gennaio 1961 n. 29 per d rapportd tribuItari. sorti anteniormente (v. Relazione Avv. Stato, 11971, II, 632). E ci da solo sufficiente a fondare la conclusione che le norme della riforma prendono ! I il posto di que1le anterfori nel regolare gli effetti dell'ulteriore ritardato ,adem 1 pimento. Per la stessa rngione, gli interessi su dmposte relative a pe11iodi ante i ruori hanno pacificamente subito, dalla dam di entrata dn vigore dei rispettivi 1 provvedimenti normativi, gli inasprimenti di tasso introdotti con il d.l. 6 luglio I 1974, n. 260 e con il d.l. 5 marzo 1976 n. 30. f j ~ I I i I I PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA Nella specie, dunque, correva, tra l'oggetto principale dell'accertamento devoluto alla Commissione di secondo grado e la questione delle maggiorazioni conseguenti , un nesso di evidente accessoriet (di quest'ultima questione a quell'oggetto) che qualifica la resistenza espressa dal contribuente sul punto in esame come mera eccezione (e non come domanda nuova) sicuramente ammissibile a sensi dell'art. 345 cod. proc. civ. Vale, d'altra parte, ulteriormente sottolineare il fatto che, essendo stata impugnata dal contribuente l'intera pretesa tributaria, la questione dell'irrogazione delle maggiorazioni gi apparteneva al processo, risultando espressa negli avvisi di accertamento anche la richiesta di applicazione delle penalit previste per legge . Il secondo motivo del ricorso principale e l'unico motivo del ricorso incidentale vanno trattati congiuntamente, attenendo entrambi ai limiti di applicazione dell'art. 20 del d.P.R. n. 602/1973, in relazione all'articolo 184 bis del T.U. del 29 gennaio 1958, n. 645. Le incrociate censure sollevate nei confronti della decisione della Commissione tributaria centrale di applicazione delle maggiorazioni od interessi soltanto sui redditi soggetti a sovrattassa, come specificati dalla Commissione di secondo grado , nel riflesso che l'art. 20, subentrato al soppresso art. 184 bis, non pu spiegare efficacia che nei limiti di applicazione di detto art. 184 bis , propongono, in sostanza, la questione vessata dei limiti di applicabilit delle maggiorazioni di imposte dovute per iscrizione a ruolo ritardata su tributi esistenti prima della riforma tributaria, ma posti in riscossione successivamente all'entrata in vigore della stessa e, in particolare della portata dell'art. 104 del d.P.R. n. 602/1973, abrogativo delle disposizioni contenute nei titoli X e XI, capo II del T.U. n. 645 del 1958. Si , dunque, in presenza della successione nel tempo di due leggi tributarie relative alla riscossione dei tributi (art. 184 bis del testo unico e art. 20 del d.P.R. n. 602/1973) la seconda parzialmente modificativa e innovativa rispetto alla prima, onde la necessit di stabilire il momento preciso da cui si applica il nuovo sistema e la sorte che subi scono situazioni e fattispecie sorte antecedentemente e sviluppatesi successivamente all'entrata in vigore della riforma. Il raccordo tra il sistema nuovo e quello precedente regolato, per quel che interessa in questa sede, dagli artt. 104 e 105 del decreto del 1973, dei quali il primo dispone che, a partire dal 1 gennaio 1974, sono abrogate le disposizioni di cui al titolo X del T.U. del 1958 (titolo in cui compreso l'art. 184 bis) e il secondo fissa correlativamente l'entrata in vigore dello stesso decreto del 1973 al 1 gennaio 1974. Secondo il contribuente tali disposizioni vanno interpretate letteralmente e restrittivamente, nel senso. che quando l'iscrizione a ruolo delle sovrattasse e delle maggiorazioni relative a riscossione di tributi RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO anteriori al 1974 avviene dopo il 1 gennaio 1974, non pu pi applicarsi l'art. 184 bis del testo unico, perch relativo ai tributi maturati successivamente al 1 gennaio 1974: di guisa che vi sarebbe una mancata previsione transitoria che darebbe luogo ad una vera e propria vacatio legis. Secondo l'amministrazione finanziaria, invece, la nuova disciplina deve essere applicata in tutta la sua portata, dalla data della sua entrata in vigore, anche in relazione ai tributi soppressi, incidendo essa non sulla obbligazione tributaria, ma soltanto sugli effetti della stessa, che, protraendosi nel tempo, non danno adito a problemi di retroattivit. Va, innanzitutto, precisato che sia la maggiorazione prevista dalla normativa abrogata, sia gli interessi contemplati dall'art. 20 della nuova normativa integrano previsioni accessorie, di natura risarcitoria, tendenti a compensare l'amministrazione finanziaria del pregiudizio derivante dalla ritardata iscrizione a ruolo del tributo; con la conseguenza che maggiorazioni e interessi, ancorch inerenti ad un rapporto tributario gi sorto, rappresentano autonomi effetti del medesimo, trovando fondamento in un fatto successivo e distinto dalla originaria obbligazione tributaria, quale, appunto, il ritardo nella riscossione dell'imposta. D'altro canto, l'obbligazione accessoria, ancorata all'indicata situazione di ritardo, suscettibile in funzione del suo stesso divenire, di essere regolata, diversamente, se la normativa vigente all'epoca in cui il ritardo ha avuto inizio venga successivamente innovata. Invero, nelle ipotesi di norme tributarie che si succedono nel tempo occorre distinguere tra norme che attengono alla realizzazione della fattispecie impositiva (la quale deve essere regolata in base alla legge vigente nel momento in cui si attua) e norme relative ~le modalit di riscossione, che attenendo, invece, al procedimento tributario ed essendo di pronta applicazione, debbono necessariamente regolare, all'atto della loro entrata in vigore, rapporti sostanziali sorti con la disciplina precedente. La soluzione contraria porterebbe, ad un tempo, all'inaccettabile conseguenza della ultrattivit delle precedenti norme procedurali (come erroneamente ritenuto dalla Commissione centrale) ormai abrogate, e ritarderebbe nel tempo l'applicazione delle nuove norme, fino al momento in cui i rapporti sostanziali non siano regolati completamente dalla nuova normativa (Cass. n. 4555/79). In detta prospettiva deve dedursi, in primo luogo, che per il periodo anteriore al 1 gennaio 1974 risulta indubbia l'operativit dell'art. 184 bis del testo unico e che la maggiorazione prevista da detta norma rimane collegata, come in precedenza ,ad un comportamento illecito del contribuente giuridicamente qualificato da dichiarazioni omesse, incomplete od infedeli e da condotta dolosa o colposa nell'eludere o nel rap PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA presentare una situazione materiale o contabile non conforme alla verit dei fatti. In secondo luogo, deve dedursi che, quanto alla fase cronologica successiva all'entrata in vigore della riforma fiscale, trova applicazione la nuova sistematica di riscossione, la quale, siccome attinente al procedimento tributario, deve necessariamente regolare, all'atto della sua erttrata in vigore, anche i rapporti sostanziali sorti con la disciplina precedente, risultando, in difetto, l'applicazione delle nuove norme inammissibilmente ritardata nel tempo, fino al momento in cui i rapporti sostanziali non risultino regolati completamente dalla nuova normativa. Va, peraltro, verificato se le conclusioni, predette ispirate ai principi generali che regolano la successione nel tempo delle leggi tributarie, possano essere confermate alla stregua delle disposizioni transitorie del d.P.R. n. 602 del 1973, e, ancora, in riferimento all'intera normativa di riforma. La risposta si presenta agevole, in senso affermativo, quanto al se, sopravvenuta la nuova normativa, per il ritardo verificatosi anteriormente all'entrata in vigore della stessa, sia ancora applicabile la maggiorazione prevista dall'art. 184 bis. Infatti, se vero, che l'art. 104 sopracitato ha abrogato espressamente, come rilevato, le disposizioni di cui ai titoli decimo e undecimo del T.U. del 1958, tra le quali ricade l'art. 184 bis, va, peraltro, considerato che la detta abrogazione produce effetti dalla data di entrata in vigore della nuova normativa e non pu, quindi, influire sulle situazioni concretatesi in forza del T.U. del 1958, tra le quali il diritto alla maggiorazione ex art. 184-bis, maturatosi a mano a mano che si protraeva il ritardo nell'adempimento dell'obbligazione fiscale. Consegue che l'applicazione della maggiorazione nel vigore della nuova normativa non implica l'ultrattivit della normativa abrogata, ma comporta semplicemente la quantificazione di un'obbligazione sorta nel vigore del precedente regime. N vale argomentare che l'art. 184 bis non risulta richiamato dall'art. 100 delle disposizioni transitorie, che fa esplicitamente salvi gli artt. 174, 175, 180 e 183 del T.U., in quanto, ai fini dell'iscrizione a ruolo dei vecchi tributi, l'art. 100 ha previsto un sistema misto, disciplinato in parte dalla vecchia normativa, in parte dalla nuova (artt. 15 e 18) ed a questo scopo ha conservato in vita alcune disposizioni del T.U. relativo al procedimento e comportanti attivit altrimenti precluse agli uffici senza tale salvezza. Non occorreva, pertanto, alcuna espressa previsione per le maggiorazioni maturate, trattandosi di un obbligo sostanziale del contribuente e, corrispondentemente, di un diritto dell'amministrazione gi concretatisi alla data di entrata in vigore della legge, al pari della prestazione accessoria per interessi sul tributo complementare, onde il mancato RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 562 richiamo dell'art. 184 bis nella disposizione in esame, se vale a confermare l'inapplicabilit delle maggiorazioni in essa previste per il ritardo successivo alla nuova legge, non influenza il problema relativo alla loro spettanza per il periodo precedente, che deve essere risolto, per le ragioni esposte, nel senso che dette maggiorazioni vanno applicate in presenza dei presupposti richiesti dall'art. 184 bis. Certamente pi articolata si prospetta la questione del se la ritardata iscrizione di tributi soppressi, con riferimento alla mora verificatasi successivamente all'entrata in vigore della nuova normativa, sia regolata dall'art. 20, ovvero non dia luogo ad alcuna conseguenza giuridica. Va avvertito, in limine, che il problema non coinvolge la tematica della retroattivit della nuova normativa, trattandosi, in sostanza, della sua applicabilit a ritardi verificatisi nella vigenza del regime innovatore. E neppure assume rilievo l'argomento derivato dalla diversit dei presupposti della nuova disciplina rispetto a quelli (infedelt della dichiarazione) previsti dall'art. 184 bis, in quanto la caratteristica assorbente di entrambe le prestazioni accessorie rimane quella della natura risarcitoria e compensativa correlata al decorso del tempo. In particolare, su questo ultimo punto, va ribadito che la nuova disciplina non incide sul fatto generatore del rapporto tributario, ma soltanto su un momento del medesimo, derivato da un distinto presupposto di carattere continuativo (ritardo nell'iscrizione a ruolo) e come tale suscettibile di essere diversamente regolato nel tempo in cui si verifica. Sar, pertanto, naturale conseguenza dell'illustrato regime della successione delle leggi tributarie nel tempo, il fatto che l'obbligazione accessoria in esame, per i ritardi maturati successivamente al 31 dicembre 1973 sia connessa a presupposti parzialmente diversi dai precedenti e che, quindi, la maggiorazione per interessi sia determinata, a partire dal 1 gennaio 1974, indipendentemente dall'infedelt della dichiarazione. D'altronde, nessun precetto contrario all'applicabilit dell'art. 20 in parola ai vecchi tributi pu trarsi dal sistema transitorio previsto dalla nuova disciplina, n dall'intrinseco contenuto dello stesso art. 20. Sotto il primo profilo, non appare, infatti, fondata la tesi, secondo la quale le norme relative alla riscossione alle imposte sul reddito, di cui al d.P.R. 602/73, sarebbero applicabili a detti tributi solo in presenza di un'espressa disposizione in tal senso. pacifico, infatti, come sopra rilevato, che, con l'unica salvezza della previsione espressa di una disposizione contraria, le imposte si riscuotono secondo le regole e il procedimento vigenti al momento della ' ~ PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA riscossione, e non in base alla legge del tempo in cui si verificato il presupposto impositivo. In tale prospetto, cio nella direttiva che la nuova disciplina deve ritenersi tendenzialmente applicabile ai precedenti tributi in difetto di espressa disposizione contraria, va ribadito che l'art. 100 delle norme transitorie regola le iscrizioni a ruolo dei vecchi tributi, mantenendo in vita talune disposizioni della vecchia normativa e dichiarando applicabili altre disposizioni della nuova. Detti riferimenti, peraltro, assumono, un diverso rilievo, nel senso che solo il primo di essi, sancendo l'ultrattivit di norme abrogate, assume carattere tassativo, mentre il secondo, in quanto costituisce espressione della regola tempus regtt actum e giustificandosi con la necessit di rendere esplicita l'applicabilit delle nuove norme ad attivit procedimentali transitoriamente regolate dalla pregressa normativa, non assume tale carattere. In sostanza, il sistema misto adottato dal legislatore non esclude che possa farsi ricorso ai principi generali sopra ricordati per g11 aspetti procedimentali di riscossione dell'imposta non espressamente regolati in via transitoria. Ed appunto il caso del ritardo dell'iscrizione a ruolo, che, in entrambe le normative, si qualifica come produttivo di conseguenze risarcitorie a favore dell'amministrazione finanziaria. Invero, nell'ipotesi che la mancanza di un'apposita norma transitoria potesse comportare l'esclusione di quelle conseguenze per la ritardata iscrizione dei vecchi tributi, si verrebbe a sancire una esenzione assolutamente non razionale al punto da dover far ricorso al concetto del tutto atipico della vacatio legis. Quanto al secondo punto, vale osservare che l'intrinseco contenuto dell'art. 20 , di per s, estensibile ai detti tributi. Nella sua pi naturale e coerente lettura, infatti, la norma appare pienamente suscettibile di essere applicata alle imposte pregresse, in quanto non si sottrae -sia pure con gli opportuni, ma non devianti, adattamenti -alle finalit e ai presupposti previsti con riferimento a tali imposte. Le superiori conclusioni trovano conforto nella disposizione dell'art. 26 della legge 13 aprile 1977, n. 114, di modifica alla disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, la quale -prevedendo la rimessione in termini del contribuente per la presentazione della dichiarazione dei redditi dell'anno 1973, nell'ipotesi di domande per la determinazione delle imposte dovute per lo stesso anno ai sensi dell'art. 4 del d.l. 5 novembre 1973, n. 660, senza che ricorresse la condizione richiesta nel medesimo articolo -reca, all'ultimo comma, testualmente: Si applicano le disposizioni degli artt. 8 e 12 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nonch dell'art. 20 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 e successive modificazioni . 564 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Orbene, evidente che il comma riportato ritiene espressamente applicabile l'art. 20 del decreto del 1973, n. 602 alle fattispecie tributarie afferenti all'anno 1973, ci ad un'epoca anteriore alla riforma: tale riferimento, pur non potendo evidentemente avere significato di interpretazione autentica, assume, comunque, valore nel sottolineare l'intento specifico del legislatore, nel senso dell'estensione dell'applicabilit della nuova sistematica di riscossione anche ai tributi soppressi. Va pertanto enunciato il seguente principio: l'art. 184 bis del T.U. n. 645 del 1958 trova indubbia operativit, per il periodo anteriore al 1 gennaio 1974, pur in presenza del nuovo sistema tributario e delle abrogazioni che ne sono conseguite, e le maggiorazioni applicabili dovranno sempre collegarsi ad un comportamento illecito del contribuente giuridicamente qualificato da dichiarazioni omesse, incomplete ed infedeli e da condotta dolosa o colposa nell'eludere o nel rappresentare una situazione materiale o contabile non conforme alla verit dei fatti; l'art. 20 del d.P.R. n. 602 del 1973, a sua volta trova applicazione, dal 1 gennaio 1974, anche nei confronti di (L;crizioni a ruolo ritardate su) tributi esistenti prima della riforma tributaria, e posti in riscossione successivamente all'entrata in vigore della stessa. In termini riassuntivi, deve, dunque, affermarsi che: a) la normativa dell'art. 184 bis T.U. 645/1958 applicabile in ordine ai ritardi di imposizioni maturati fino al 31 dicembre 1973, essendo sino a tale data detta disposizione ancora vigente rispetto ad eventi allora prodottisi; b) successivamente a tale data va applicato l'art. 20 d.P.R. 602/1973, affatto compatibile con i vecchi tributi e non comportando tale applicazione problemi di retroattivit; e) per i ritardi maturati sino al .31 dicembre 1973 resta, peraltro, presupposto necessario della maggiorazione l'infedelt o l'incompletezza della dichiarazione. Sembra opportuno segnalare che questa Corte si gi espressa in analogo senso con la sentenza del 4 luglio 1983, n. 4463, trattando delle maggiorazioni per prolungata rateazione dei tributi soppressi. Nella detta sentenza viene, infatti, affermato che errato ritenere che la nuova normativa sulla riscossione contenuta nel d.P.R. n. 602 del 1973 sia applicabile soltanto alle nuove imposte e non anche a quelle dovute in forza del T.U. del 1958, dovendosi, invece, ritenere il contrario, nel riflesso che questa ultima conclusione risulta espressamente dalla disciplina contenuta nell'art. 100 del d.P.R. n. 602 e che la mancata elencazione, fra le norme mantenute in vigore, dell'art. 184 ter del T.U. del 1958 dimostra che, in relazione alle imposte soppresse poste in riscossione dopo il 1 gennaio 1974, si applica la disciplina del d.P.R. n. 602 citato. Alla luce dei principi affermati va rigettato il ricorso incidentale, tendendo lo stesso ad escludere, nel profilo indicato, l'applicabilit del- I . I 565 PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA l'art. 20 del d.P.R. del 1973, n. 602 ai tributi soppressi; va, invece, accolto, per quanto di ragione, il secondo motivo del ricorso principale, sollevando lo stesso, fondatamente, sempre secondo le affermate enunciazioni, specifica censura avverso l'interpretazione della Commissione di secondo grado, che restringe l'applicazione dell'art. 20 in parola ai tributi soppressi, per i quali la relativa iscrizione a ruolo risulti successiva al 1 gennaio 1974, nei limiti di cui all'art. 184 bis del testo unico del 1958, con conseguente ultrattivit di detta norma. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 5 aprile 1984, n. 2198 Pres. Santosuosso -Est. Contu -P. M. Amirante (conf.). Ospedali Riuniti di Messina c. Ministero delle Finanze (Avv. Stato Linguiti). Tributi erariali indiretti -Imposta di registro Condebitore solidale Intervento in appello nel giudizio promosso da altro condebitore Inammissibilit. (c.p.c. art. 344; r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 93). Il condebitore solidale per l'imposta di registro, titolare dello stesso rappprto tributario, non legittimato ad intervenire in appello nel giudizio promosso da altro condebitore (1). (omissis) Con il primo motivo, gli Ospedali Riuniti denunziano violazione degli artt. 344 cod. proc. civ. e 93 della legge 30 dicembre 1923, n. 3269, in relazione all'art. 360, n. 3 e 5 cod. proc. civ., deducendo che l'ente ospedaliero, pregiudicato dalla sentenza di primo grado, sarebbe titolare di un autonomo interesse all'intervento nel giudizio di appello a' sensi dell'art. 93 della abrogata legge di registro (applicabile alla fattispecie), il quale sancisce il principio della solidariet passiva tributaria per i debitori d'imposta, con la conseguente opponibilit della sentenza a tutti i debitori. La censura non fondata. Nella sentenza impugnata stato giustamente posto in rilievo che, a norma dell'art. 344 cod. proc. civ., nel giudizio d'appello ammesso {11) Bench riferita all'ordinamento abrogato, la pronunzia rilevante anche nel regime vigente. n condebitore dell'imposta, che abbia rioevuto la notifica dell'atto di accertamento, deve autonomamente proporre il ricorso alta Commissione, essendo esso titolare ~n via principale del mpporto di 1imposta; ove ci non abbia fatto non pu dntervenhe, nemmeno in prima istanza, nel giu dizio promosso da a:ltro condebitore. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO solo l'intervento di coloro che potrebbero proporre opposizione a' sensi del successivo art. 404, e che tale qualit non poteva essere riconosciuta all'ente ospedaliero. Tale decisione pienamente conforme alla costante giurisprudenza di questa Corte Suprema, con la quale stato precisato che il terzo legittimato ad intervenire nel giudizio d'appello colui che sia titolare di un diritto indipendente da quello oggetto di contesa fra le parti ori ginarie, pregiudicato dalla sentenza di primo grado, o pregiudicabile dall'emananda sentenza d'appello, ovvero che, in qualit di avente causa o creditore di una delle parti, sia titolare di un diritto leso dalla sentenza di primo grado, per essere questa effetto di dolo o collusione in suo danno (Cass. 1299/83 6474/79 2143/78). Ed palese che all'ente ospedaliero non pu essere riconosciuta una posizione giuridica tutelabile con l'intervento nel giudizio d'appello, non essendo configurabile nei suoi confronti la titolarit di un diritto autonomo ed incompatibile con quello in discussione, poich la sua qualit di debitore d'imposta gli attribuiva la soggettivit del rapporto tributario e gli conferiva la legit timazione ad impugnare nei termini di legge l'ingiunzione fiscale notifi cata a lui cos come all'altro soggetto passivo dello stesso rapprto. Deve perci escludersi che l'intervento mirasse ad evitare un pregiudizio derivante da una sentenza resa in un giudizio svoltosi senza che l'ente ospedaliero fosse stato posto in grado di esercitare il suo diritto di difesa, ed invece da ritenere che lo scopo della partecipa zione al giudizio d'appello sia stato quello di supplire, con un inter vento adesivo, alla mancata impugnazione dell'ingiunzione. In tal modo si tentato di contestare, nel proprio interesse, la pretesa tributaria della Finanza, utilizzando un mezzo processuale, non consentito e chiaramente inammissibile, poich la legittimazione all'intervento non poteva sorgere per effetto dell'inerzia mantenuta dall'interessato in ordine alla tutela del suo diritto di contestare tempestivamente la legittimit dell'imposizione tributaria. Deve inoltre rilevarsi che l'ente ospedaliero, essendo debitore solidale dell'imposta ipotecaria, non poteva subire gli effetti dannosi di una sentenza pronunziata nei confronti del condebitore solidale (art. 1306 cod. civ.), talch, in difetto di un pregiudizio potenziale ai suoi diritti, mancava chiaramente una delle condizioni cui subordinata l'ammissibilit dell'intervento in appello. L'accertato ,difetto di legittimazione a stare in giudizio, sia pure in qualit di interveniente, rende inammissibili gli altri motivi di ricorso, con i quali l'ente ospedaliero ha contestato la fondatezza della pretesa tributaria. Al loro esame deve, per, procedersi ugualmente, essendo essi comuni all'altro ricorrente. (omissis). i: !:,, 1~ i: PARm I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 567 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 5 aprile 1984, n. 2200 -Pres. Santosuosso -Est. Zappulli -P. M. Pandolfelli (conf.). Soc. Valle Aurelia (avv. Romanelli) c. Ministero delle Finanze (Avv. Stato Palatiello). Tributi erariali diretti -Imposta di registro -Agevolazioni per l'edilizia Decadenza -Difformit da licenza edilizia -Volumi del sottosuolo Sono rilevanti. (1. 6 agosto 1967, n, 767, art. 15). Ai fini della decadenza dalle agevolazioni, sancita dall'art. 15 della l. 6 agosto 1967, n. 767 (legge poste), le difformit dalla licenza edilizia sono rilevanti anche se relative a volumi ricavati dal sottosuolo (1). (omissis) La societ ricorrente ha dedotto, con l'unico motivo del ricorso, la violazione nella sentenza impugnata dell'art. 15 della I. 6 agosto 1967, n. 767 per avere la corte di merito erroneamente ritenuto essersi verificata la condizione, ai fini della revoca dei benefici tributari della I. 2 luglio 1949 n. 408, prevista da quella norma, per un ampliamento dell'autorimessa interrata del fabbricato al quale si riferiva la licenza di costruzione rispetto al volume indicato in quest'ultima, attribuendo al termine di cubatura contenuto nella citata norma, un significato improprio, in -quanto esteso alla parte sottostante al piano di campagna, mentre la volumetria degli edifici va considerata per la parte realizzata fuori dal suolo. Secondo la ricorrente tutte le prescrizioni di legge che pongono limiti o divieti in materia urbanistica, come quella del volume consentito, hanno vigore esclusivamente per la parte sovrastante al medesimo. Il motivo infondato, anche se pu riconoscersi che agli effetti delle lhnitazioni edilizie nei confronti dei proprietari di immobili vicini, cos come nelle limitazioni di volume ai fini della concessione della licenza edilizia, la posizione sotterranea di una parte dei fabbricati, e cio_ sottostante al piano di campagna importa una valutazione meno rigorosa per le stesse, ma, tuttavia, tale principio, per la diversit delle norme e degli interessi, da queste tutelati, non ha rilevanza nella specie. Invero il citato art. 15 della I. 6 agosto 1967, n. 765, nota come legge ponte, ha un predominante carattere fiscale rper avere imposto la revoca dei benefici tributari in materia edilizia nel caso di inosservanza della licenza di costruzione, o di assenza della stessa, ma, nella scelta del legislatore stato posto e formulato per una maggiore e pi rigorosa tutela dei fini perseguiti con le norme edilizie, per prevenire e reprimere, con la (l) Decisione da condividere pienamente. Si rileva che sull'argomento l'orientamento della S.C. molto rigoroso. Per una defindzione, affatto permissiva, dei c.d. volumi tecndci esterni alla copertura v. Cass. 30 marzo ,1983, n. 2290 in questa Rassegna, 1983, I, 535. 568 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO suddetta revoca, i troppo facili abusi in quella materia per ragioni che 568 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO suddetta revoca, i troppo facili abusi in quella materia per ragioni che vanno fuori e oltre i fini tributari. Ne consegue che, se da un lato il carattere fiscale di quella norma importa, come affermato nella sentenza impugnata, la stretta osservanza di essa, dall'altro va considerato che il legislatore non ha voluto sostituire la valutazione e l'indagine della autorit finanziaria, e successivamente del giudice, a quella dell'autorit comunale. Al contrario, egli ha ancorato il diritto dell'amministrazione finanziaria al recupero di quelle imposte alla segnalazione del Comune e al contrasto della costruzione con la licenza rilasciata dal medesimo o alla sua assenza, con la limitazione e specificazione che il contrasto stesso deve riguardare violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta . Pertanto, chiaro che non la violazione dei limiti posti dalla legge o regolamenti autonomamente considerati a determinare la revoca dei benefici tributari, ma solo ed esclusivamente il menzionato contrasto con la licenza o la mancanza della stessa, che nella specie stata regolarmente concessa senza impugnazioni, e quindi con carattere definitivo. Ci premesso -essendo incontestata e costantemente affermata da questa Suprema Corte in sede penale l'obbligatoriet della licenza pure per le parti interrate della costruzione (Cass. Pen. 3 giugno 1980 ACCO; 21 giugno 1978 Casseri; 3 maggio 1978 Bassino; 14 dicembre 1976 Terpin) -, non pu dubitarsi che anche per quelle parti la licenza, ai fini dell'applicazione del citato art. 15 della legge ponte, deve sussistere ed essere osservata nel suo specifico contenuto, comprese le limitazioni -della cubatura. Non da trascurare che, pur se, in ipotesi, pu ammettersi la irrilevanza di quelle costruzioni sotterranee nei confronti dei diritti soggettivi dei proprietari dei fondi vicini, le stesse possono ben incidere sulla disciplina del territorio nei suoi profili urbanistici, alterandone la destinazione e le condizioni ambientali nella zona circostante. Indubbiamente una assenza di limiti delle costruzioni usque ad inferos, secondo la tradizionale e superata dizione, pu alterare con la formazione di blocchi interrati sia il regime delle acque sotterranee, e cio di quelle freatiche, frequenti in varie citt tra le quali Roma, sia la possibilit di collocazione di impianti e condutture sotterranee per molteplici servizi pubblici (acqua, gas, telefoni, trasporti, ecc.) sia l'uso e il traffico nella zona interessata per la maggiore frequenza e affollamento conseguente a centri d'affari e culturali o di .altro genere sistemati in mastodontiche costruzioni sotterranee. Non pu negarsi, in via ipotetica, che la assenza dell'obbligo di licenze o del computo dei volumi per le costruzioni sotto il piano di campagna potrebbe condurre alla formazione di veri e propri grossi edifici sotterranei, le cui conseguenze dannose per la ordinata sistemazione urbanistica appaiono evidenti. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 569 Sotto questi aspetti, il volume delle parti interrate delle costruzioni pu incidere seriamente su quegli interessi pubblici che si sono voluti tutelare con il regime delle licenze, reso pi rigoroso con la norma fiscale in questione, e sarebbe contrario ai principi e fini della legislazione urbanistica lasciare piena libert di sfruttamento del sottosolo attraverso la esclusione di efficacia dei limiti di volume stabiliti nelle singole licenze anche per le parti sotterranee. Pu pure ammettersi che in tale tutela l'autorit comunale, nel rilascio delle licenze, ha la facolt di tenere conto, in relazione ai limiti posti da leggi e regolamenti, solo dei volumi delle parti soprastanti al piano di campagna. Ma, una volta che essa abbia indicato il volume massimo dell'edificio al quale si riferisce la licenza anche in eccedenza a quei limiti per esservi stati compresi i locali interrati, pure questi ultimi devono essere calcolati per controllare se sia stato rispettato il limite posto dalla licenza medesima, essendo la conformit alla stessa l'elemento fondamentale e necessario per escludere la revoca dei benefici fiscali, e ci per la tutela dei menzionati interessi di carattere pubblico sopra menzionati, senza alcun sindacato da parte dell'autorit finanziaria o del giudice del contenuto della licenza stessa. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 27 aprile 1984 n. 2646 -Pres. Santosuosso -Est. Tilocca -P. M. Amirante (conf.). Cantoni (avv. Marone) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Cosentino). Tributi erariali diretti Accertamento Notificazione Nullit -Proposizione del ricorso Sanatoria. (d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, art. 60). Tributi erariali diretti Accertamento Competenza dell'ufficio -Inderogabilit Accertamento proveniente da ufficio incompetente -Nullit assoluta Successivo accertamento dell'ufficio competente Legittimit. (d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, artt. 12 e 58). La notifica dell'accertamento eseguita a persona non avente abitazione, ufficio o azienda nel luogo di domicilio fiscale, eseguita mediante consegna a persona di famiglia nella casa di ultima dimora . nulla (in quanto non eseguita a norma dell'art. 60 lett. e) del d.P.R. n. 600/1973), ma la nullit sanata dalla proposizione del ricorso (1). (:1-2) La prima massima importante perch avverte la necessit di ammettere 1a sanatori,a deHa notifica dell'accertamento quando la notifica siia stata tentata ed abbia raggiunto un oerto 11isultato con la consegna a pel'Sona che abbia un rifedmento con dl destinata11io. da segnalare l'applioabildt in tale 570 MSSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO La competenza dell'ufficio tributario inderogabile e di conseguenza l'accertamento eseguito da ufficio incompetente radicalmente nullo, ma proprio a causa di tale nullit-inesistenza legittimo il successivo accertamento eseguito dall'ufficio competente (2). (Omissis) Con il primo motivo il ricorrente d~nuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 38, lett. f), d.P.R. 29 gennaio 1958 n. 645, 60 lett. E), d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, degli artt. 139, 140 e 148 c.p.c. in relazione all'art. 360 c.p.c., nonch difetto di motivazione (art. 360, n. 5 c.p.c.). Deduce, precisamente, il ricorrente che la notifica dell'accertamento, per essere stata effettuata alla madre e nel di lei defmicilio senza l'osservanza delle formalit previste dall'art. 38, lett. f, d.P.R. n. 645 del 1958, trasfuso nell'art. 60 d.P.R. n. 600 del 1973, deve intendersi inesistente e non meramente nulla. Il motivo infondato. esatta l'affermazione del ricorrente secondo la quale l'atto di accertamento dell'Ufficio imposte dirette di Modena doveva essere notifcato secondo le modalit previste dall'art. 60, lett. e, del d.P.R. n. 600 del 1973 gi stabilite dall'art. 38, lett. f) del d.P.R. n. 645 del 1958, non avendo egli a Modena, sede del suo domicilio fiscale, abitazione n ufficio n azienda. Stabilisce precisamente la predetta norma che in tale ipotesi l'avviso di deposito prescritto dall'art. 140 c.p.c. si affigge nell'albo del comune, e la notificazione, ai fini della decorrenza del termine per ricorrere, si ha per eseguita nell'ottavo giorno successivo a quello di affissione. Nella specie, l'accertamento suindicato venne notificato al ricorrente, smpre a Modena, ma mediante consegna alla madre, nella casa di abitazione della medesima, sita in via Solini, 16, della quale egli era comproprietario e nella quale aveva abitato sino al suo trasferimento all'eipotesi degli a~tt. 21 e 24 del d.P.R. 636/11972, ai quali, dopo la modifica, si a volte attvibuito un significato restrittivo (v. Relazione Avv. Stato, 1976-80, Il, 477). L'mderogabilit della competenza dell'ufficio ormai ripetut,amente affermata lin giurisprudenza (2 giugno 1980, n. 3596; 5 luglio 1980 n. 4277; 9 dicembre 1983, n. 7301, dn questa Rassegna, 1981, I, 366 e 378; 1984, I, 334); desta lin vero perplessit l'affermazione di nullit assoluta dell'accertamento, perfino rileV abile d'uEffoio dn ogni stato e grado, anche quando all'errore di individuazione dell'ufficio abbia oonoorso il contribuente con la presentazione della dichiarazione (v. annotazione delle :sentenze citate). Comunque corollacio di questa affermamone che fa dichiarazione presentata ad uffdcio incompetente assume rilevanza giuridica al momento in cui perviene (ma non esiste uno specifico dovere di trasmissione) all'ufficio competente (art. 112, d.P.R. 600/1973) e se v:i. perviene oon oltre un mese di ritardo si considera omessa (iart. 9). Partendo dalla premessa della nulhlt assoluta dell'accertamento proveniente da uffilcio ;incompetente inecoepibile la conseguenza che tale accrtamento (tamquam non esset) non preclude un successivo accertamento da parte dell'ufficio competente. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA stero. La notificazione certamente invalida; ma si tratta di invalidit riconducibile nella categoria delle nullit sanabili, in base al complesso normativo di cui agli artt. 160, 156, 157 e 291 c.p.c. e artt. 21-24 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 (su~essivamente sostituito dagli artt. 13 e 15 d.P.R. n. 739 del 1981) e non, come invece sostiene il ricorrente, in quella dell'inesistenza giuridica della notificazione, insuscettibile di sanatoria. Questa Corte ha avuto occasione di precisare ripetutamente che la ipotesi dell'inesistenza giuridica della notificazione ricorre quando questa ultima sia effettuata in modo non assolutamente previsto dalla normativa, tale, cio che non possa essere sussunta nel modulo legale della figura e che, di contro, si ha mera nullit allorch la notificazione sia stata eseguita nei confronti del destinatario mediante consegna in luogo e a persona diversi da quelli stabiliti dalla legge, ma che abbiano pur sempre qualche riferimento con il destinatario della notificazione stessa (2 maggio 1977, n. 1670; 26 gennaio 1981, n. 572). Nella specie l'operazione notificatoria presenta vari ed indubbi riferimenti con il ricorrente, da far ritenere, sia pure in astratto e a priori, che essa, per quanto invalida, .avrebbe, cio, determinato nel destinatario la piena e compiuta conoscenza dell'atto. Una volta che l'invalidit del procedimento di notificazione s'inquadra nell'ambito della nullit, essa deve ritenersi sanata con l'impugnazione dell'atto notificato, proposta, peraltro entro il termine di decadenza dal destinatario. Con il secondo motivo il ricorrente denunzia la violazione dell'art. 9 del t.u. n. 645 del 1958 e dell'art. 58 del d.P.R. n. 600 del 1958. Egli sostiene precisamente che la competenza degli uffici fiscali sia derogabile e che, pertanto, il nuovo accertamento, effettuato dall'Ufficio delle imposte dirette di Modena posteriormente a quello eseguito dall'Ufficio di Milano, sia radicalmente nullo. Anche questo motivo va respinto. L'art. 12, comma IV, del d.P.R. n. 600 del 1973 dispone, riproducendo la norma gi contenuta nell'art. 29 del t.u. n. 645 del 1958, che la presentazione della dichiarazione ad ufficio diverso da quelli indicati nei commi precedenti si considera avvenuta nel giorno in cui la dichiarazione pervenuta all'ufficio competente. Da tale norma si evince chiaro il principio dell'inderogabilit della competenza per territorio degli uffici delle imposte dirette; principio, del resto, ripetutamente affermato da questa Corte (15 dicembre 1980 n. 6492; 19 ottobre 1977 n. 462; 5 luglio 1980 n. 4277). Difatti, la competenza territoriale degli uffici in parola determinata dall'interesse generale che gli accertamenti degli imponibili siano compiuti da quegli organi dell'amininistrazione tributaria che, secondo le presunzioni derivanti dalle norme di legge in materia, RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO sono i pi idonei per lo svolgimento dell'attivit accertatrice (Cass., se,nt. n. 6492 del 1980). Dal principio dell'inderogabilit della competenza territoriale degli uffici delle imposte discende la nullit assoluta dell'accertamento eseguito dall'ufficio incompetente (Cass., sent. n. 4462 del 1977; n. 4277 del 1980) e il conseguente potere-dovere dell'ufficio competente a procedere ad un nuovo e valido accertamento. Il ricorrente, nonostante avesse il domicilio fiscale a Modena, present la dichiarazione all'Ufficio delle Imposte dirette di Milano e tale dichiarazione non risulta mai pervenuta all'ufficio competente di Modena, che legittimamente e doverosamente ha proceduto all'accertamento impugnato, una volta rilevato che ad esso non era stata presentata la dichiarazione dei redditi. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 27 aprile 1984 n. 2648 -Pres. Santosuosso Est. Contu -P. M. Pandolfelli (diff.). Ministero delle Finanze (avv. Stato Stipo) c. Pettinicchio. Tributi erariali indiretti Imposta di registro Enunciazione Societ di fatto Acquisto in comune di aziende Insufficienza. (r.d. 30 dicembre 1923 n. 3269, art. 62). Il solo fatto dell'acquisto in comune di un'azienda non sufficiente per la enunciazione di una societ di fatto, in quanto non rivela l'intento di gestire, con attivit di impresa, l'azienda acquistata (1). (omissis) Con l'unico motivo l'Amministrazione Finanziaria dello Stato denunzia violazione degli artt. 1350, 1362, 2248 cod. civ., 1, 8, 9, 62 e 81 della tariffa allegato A della abrogata legge di registro (r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269), e 37 n. 2 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, nonch omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. Nel censurare la decisione impugnata, sostiene che la Commissione tributaria centrale non avrebbe considerato che -secondo la sua stessa giurisprudenza -non tassabile la semplice dichiarazione che un bene appartiene a pi soggetti, in quanto non rivela l'esistenza di un'impresa esercitata in forma sociale, e che, inoltre, per trasformare una comunione in societ occorre la volont dei comunisti, espressa nella forma richiesta dalla legge. Deduce altres che con la scrittura privata del (1) Decisione corretta. La sola compropriet non basta a far emergere, sotto l'aspetto dinamico, l'esercizio in comune di un'attivit ecoQornica. . I PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 3 ottobre 1963 si sarebbe avuta per la prima volta la costituzione della societ con fissazione. di durata, senza riferimento all'acquisto di cui al precedente atto pubblico. Afferma infine che se anche' una societ 'di fatto fosse stata in precedenza costituita, essa si sarebbe dovuta ritenere estinta a far tempo dalla regolamentazione e costituzione della nuova societ. Le censure sono sostanzialmente fondate, anche se le tesi svolte dal ricorrente possono essere condivise solo in .parte. Nella fattispecie si discute se nell'atto di acquisto in comune di una azienda commerciale possa ravvisarsi, agli effetti dell'accertamento dell'imposta di registro, una enunciazione di societ di fatto. Al quesito la commissione tributaria centrale ha dato risposta affermativa, ma la decisione non immune da censure. :. noto che ai fini della tassabilit di una convenzione enunciata nell'atto presentato per la registrazione (art. 6 r.d. n. 3269 del 1923), pu ravvisarsi l'enunciazione di societ se l'atto contenga elementi rivelatori ed individuanti del rapporto enunciato, con particolare riferimento all'esercizio in comune di un'attivit imprenditoriale ed agli estremi essenziali del rapporto di societ, in ordine sia alle persone dei soci, sia all'oggetto dell'attivit sociale, sia infine ai conferimenti. Ed stato chiarito da questa Suprema Corte che l'enunciazione va intesa con riguardo al significato letterale e logico del testo, senza che sia consentito ricavare da fattori estranei la volont dei dichiaranti; e, altres, che ai fini della sottoposizione ad imposta di registro occorre considerare la potenzialit dei soli effetti giuridici di cui ogni singolo atto oggettivamente capace (cfr. motiv. delle sentenze n. 554 del 1973 e 2897 del 1980). La .Commissione tributaria centrale non si attenuta a tali principi e non ha motivato adeguatamente il proprio convincimento, secondo cui il rogito Varcasia del 1963, relativo all'acqtiisto dell'azienda, conteneva l'enunciazione della societ di fatto. Ha infatti confuso l'intento degli acquirenti di attuare una trasformazione dello stabilimento per renderlo tecnicamente organizzato al fine della produzione di latte e derivati, con la volont di esercitare in comune un'attivit imprenditoriale, equiparando cos erroneamente, l'aspetto statico di un rapporto a quello dinainico. In realt i fratelli Pettinicchio manifestarono chiaramente la volont di creare un complesso aziendale destinato alla produzione di beni, ma ci non sufficiente per ritenere che essi si fossero accordati anche per gestirlo direttamente in proprio ed in forma societatja, essendo ipotizzabile, ad esempio, un affitto di azienda ad altra persona per il concreto esercizio dell'attivit economica. Per affermare la costituzione della societ sarebbe stata necessaria un'approfondita indagine che avesse consentito di stabilire in modo non $74 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO equivoco che l'atto conteneva la manifestazione di volont delle parti di dar vita ad un rapporto societario per gestire lo stabilimento dopo la sua ristrutturazione, ma a tale riguardo la decisione impugnata palesemente manchevole poich ha individuato l'enunciazione della societ di fatto in dichiarazioni negoziali che, se correlate a tal fine, non sono affatto decisive e si appalesano piuttosto equivoche. N pu giovare alla tesi sostenuta dalla Commissione tributaria centrale la considerazione che, in seguito alla stipulazione del rogito Varcasia, gli acquirenti avessero l'astratta possibilit di gestire in societ l'azienda, poich agli effetti della ravvisabilit nell'atto di una enun I ciazione tassabile a' sensi dell'art. 62 dell'abrogata legge di registro, necessario fare riferimento alle possibilit emergenti in modo concreto I ! ~ dall'atto, secondo il principio che sono tassabili le convenzioni verbali enunciate nell'atto presentato alla registrazione e non registrate, purch I abbiano una connessione. diretta con le disposizioni dell'atto in cui sono enunciate. Non pu perci valorizzarsi la mera possibilit astratta dell'atto a dar vita ad un rapporto societario, poich in tal modo verrebbe I! vanificato il riferimento normativo alla connessione diretta sopra menzionata, che postula, ovviamente, una relazione concreta e non sem I plicemente astratta. i 2 pertinente, a tale riguardo, il rilievo del ricorrente, secondo cui l'acquisto di un'azienda commerciale pu certamente convertirsi in un rapporto societario, ma a condizione che sussista il consenso degli acf f quirenti a continuare in nome e per conto comune l'esercizio dell'azien~ ' da. A tale principio si sempre ispirata, del resto, 'la giurisprudenza I delle commissioni tributarie, le quali hanno costantemente affermato che il semplice acquisto di un'azienda, quando dall'atto non emerga la concreta possibilit del suo esercizio da parte di pi acquirenti, non I sufficiente a far ritenere l'enunciazione di un contratto di societ, e d luogo semplicemente ad una comunione di beni. Alla stregua delle considerazioni svolte non pu dubitarsi che la deci I i sione impugnata sia pervenuta a ravvisare l'enunciazione della societ di fatto nel rogito Varcasia del 3 giugno 1963, in base ad una errata applir,azione di principi giuridici e con motivazione inadeguata e, comunque, non corretta sul piano logico. quindi necessario che la questione venga nuovamente esaminata al fine di stabilire se al momento della regfrtrazione della scrittura privata del 3 ottobre 1963, contenente incontest?. tamente una costituzione di societ, il diritto dell'Amministrazione Finanziaria di percepire l'imposta di registro con i relativi accessori si foss~ estinto per effetto del decorso del termine prescrizionale da una precedente enunciazione della stessa societ in un atto sottoposto a registrazione. (omissis) PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 575 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 27 aprile 1984, n. 2649 -Pres. Virgilio Est. Pannella -P. M. Leo (conf.). Ministero delle Finanze (Avv. Stato Angelini), c. Leva. Tributi erariali diretti Imposta sui fabbricati Reddito effettivo superiore al reddito catastale Determinazione in via di comparazione Reddito risultante dal contratto di locazione n il solo rilevante. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 74; L. 23 febbraio 1960 n. 131, art. 2). In base all'art. 2 della legge 23 febbraio 1960 n. 131, che ha abrogato l'art. 74 del T.U. delle imposte dirette, il reddito effettivo, eventualmente superiore al reddito catastale, che deve costituire la base imponibile soltanto quello risultante da contratto di locazione; in mancanza di locazione rilevante il reddito catastale e non ammessa una determinazione per comparazione del reddito ritraibile (1). (omissis) Passando all'esame dell'unico motivo di esso, la ricorrente amministrazione finanziaria, denunciando la violazione degli artt. 1 e 2 1. n. 131/60, 74 T.U. 645/58, 1. 4 novembre 1951 n. 1219, in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., sostiene che -contrariamente a quanto ritenuto nella sentenza impugnata -la disposizione dell'art. 2 della 1. n. 131/60 prevale su quella dell'art. 1 della stessa legge nel senso che per l'accertamento del reddito imponibile l'Ufficio della Finanza deve procedere innanzitutto all'accertamento del reddito lordo effettivo ritraibile da ciascuna unit immobiliare, ricorrendo anche al criterio presuntivo previsto dall'art. 74 T.U. 645/58, non abrogato dalla 1. 131/60 ma costituente addirittura presupposto per la corretta applicazione dell'art. 2 di essa 1. 131/60. Aggiunge: 1) che l'enunciato: reddito lordo effettivo deve ritenersi identico a quello di reddito lordo >>, dato che, in mancanza di una definizione legislativa, occorre risalire all'espressione di reddito effettivo di cui all'art. 35 r.d.l. 13 aprile 1939 n. 652 (sulla formazione del N.C.U. entrato in vigore il 1 gennaio 1962 giusta il d.m. 4 dicembre 1961) nonch a quella di reddito lordo dj cui all'art. 15 del d.P.R. 1 dicembre 1949 n. 1142 (approvazione del Regolamento per la formazione del nuovo catasto edilizio urbano); 2) che, non potendo il regolamento di esecuzione contraddire la legge autorizzativa, il concetto di reddito lordo -ai fini catastali -si identifica (1) Dopo il contrasto manifestatosi con Je sentenze 25 marzo 1983 n. 2083, 29 marzo 11983 n. 2232 e 30 lugldo 1982, n. 4360 (in questa Rassegna, 1983, I, 518), la S.C. accogMe la ,soluziione favorevole all'abrogazione dell'art. 74 del t.u. del 1958, come gi aveva fatto con J.a sentenza 22 marzo 1984 n. '1925 (ivi, 1984, I, 385). 12 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO con quello di reddito effettivo , Perci, tanto il primo reddito quanto il secondo possono desumersi per presunzione. La censura non ha fondamento. Questa Corte ritiene di dover ribadire il principio gi affermato in diverse pronunce (sent. 3244/79 -sent. 2002/82 -sent. 2083/83 -sent. 2231/83), secondo cui il sistema di determinazione del reddito imponibile , per l'applicazione dell'imposta sui fabbricati, ha subito una radicale trasformazione con la 1. 23 febbraio 1960 n. 131 entrata in vigore in concomitanza con il nuovo catasto edilizio urbano (1 gennaio 1962). Con tale nuovo sistema non consentito pi all'Amministrazibne finanziaria di procedere per ogni singola unit immobiliare alla determinazione del reddito lordo mediante comparazione con i canoni correnti per i fabbricati in analoghe condizioni, per poi calcolare il reddito netto o imponibile con la detrazione di 1/4 del reddito lordo (artt. 73, 74 e 75 1. 645/58), perch il reddito imponibile va determinato con l'applicazione alla rendita catastale di ciascuna unit immobiliare (definita con riferimento agli elementi economici del triennio 1937-1939), dei coefficienti di aggiornamento stabiliti annualmente con decreto ministeriale (art. 1 1. 131/60). La rendita catastale -a sua volta -riferita a tutte le unit immobiliari di identiche classi, appartenenti alla stessa categoria (art. 8 d.l. 652/39), va determinata in base al reddito lordo, che costituisce il reddito potenziale delle singole unit immobiliari aventi uguali classi e categoria (artt. 9 d.l. 652/39 e 15 e 19 d.P.R. 1 dicembre 1949 n. 1142). Con questo sistema si inteso sostituire al criterio di determinazione del reddito lordo caso per caso (art. 74 1. 645/58) quello di una determinazione generalizzata del reddito lordo rispetto ad unit immobiliari ricadenti in una medesima situazione giuridico-tributaria. Fissato il suddetto criterio di ordine generale, la legge poi (art. 2 1. 131/60) ha previsto il caso in cui una singola unit immobiliare abbia un reddito lordo effettivo che, ridotto del 25 per cento, sia superiore o inferiore per oltre 1/5 alla rendita catastale aggiornata. In tale ipotesi il reddito imponibile viene determinato secondo le disposizioni dell'art. 1 1. 4 novembre 1951 n. 1219. (Detrazione del reddito lordo effettivo, ridotto di 1/4, di una somma pari a 4 volte e mezzo il reddito imponibile accertato per l'anno 1938 ai fini delle imposte dirette). Alla stregua di quanto sopra si deduce: 1) che la regola generale per la determinazion~ dell'imponibile quella prevista dall'art. 1 1. 131/60; 2) che la rendita catastale si basa sul reddito lordo annuo rappresentato dal canone annuo di fitto, ordinariamente ritraibile dell'unit immobiliare (artt. 19 e 15 d.P.R. 1 dicembre 1949 n. 1142; 3) che la PARTE I, SEZ, VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA regola eccezionale per la determinazione dell'imponibile in maniera diversa dal ricorso alla rendita catastale quella prevista dall'art. 2 I. 131/60; 4) che, perch si verifichi una tale eccezione, occorre che l'unit immobiliare produca un certo reddito lordo effettivo ; 5) che tale reddito lordo effettivo sia diverso da quello lordo che, desuInibile anche per presunzione, sia posto a fondamento della rendita catastale; 6) che -conseguentemente -il reddito lordo effettivo , non potendo essere accertato alla stessa maniera del reddito lordo , non pu essere se non quello realmente percepito per la locazione dell'immobile. Da quanto innanzi rilevato deriva l'infondatezza dell'assunto della ricorrente circa l'identificazione tra reddito lordo effettivo e reddito lordo, in quanto una tale identificazione . esclusa appunto dal raffronto tra la disposizione dell'art. 25 d.d.l. 13 aprile 1939 n. 652, che adotta il termine di reddito effettivo , e la disposizione dell'art. 15 del Regolamento (d.P.R. 1142/49), che chiarisce il concetto di reddito lordo. Le due disposizioni tendono a finalit diverse, e la loro interpretazione non pu che condurre a risultati diversi. L'art. 15 riguarda infatti un reddito lordo determinabile anche presuntivamente per la fissazione della rendita catastale, mentre l'art. 25 si riferisce ad un reddito effettivo per procedere a verifica di una unit immobiliare gi classata con una data rendita catastale e richiede che tale reddito sia inferiore di almeno 1/5 alla rendita catastale stessa. Il rapporto esegetico della diade normativa in esame, quindi, non pu che condurre a una diversit fra reddito effettivo e reddito lordo, non potendo il primo essere accertato alla stessa stregua del secondo n identificarsi con esso, stante la contrapposizione fissata dalla legge. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 27 aprile 1984, n. 2651 Pres. Battimelli Est. Contu P. M. Martinelli (conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato Vittoria) c. Giordano. Tributi in genere Contenzioso tributario Ricorso alla Commissione centrale Motivazione Necessit Motivazione per relationem Inammissibilit Difetto di motivi per l'impugnazione di merito Inammissibilit dell'impugnazione per motivi di rito. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, artt. 25, 26 e 29). Premesso che il ricorso alla Commissione centrale deve essere motivato a pena di inammissibilit e che non soddisfa tale onere una motivazione per relationem, e poich il giudizio della Commissione centrale RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO di merito in terza istanza, inammissibile il ricorso diretto a censurare una decisione che dichiara l'inammissibilit dell'appello quando non siano proposti anche motivi di merito, in quanto mancando la possibilit di emettere una decisione viene meno l'interesse a decidere sulla questione pregiudiziale di rito (1). (omissis) Con testamento olografo, Pietro Occhipinti -deceduto in Messina il 23 luglio 1960 -lasci a sua moglie Maria Giordano, a soddisfazione della quota ereditaria ad essa spettante, un appartamento in Messina, altri beni immobili e la met dell'usufrutto di quattro botteghe pure site in Messina, disponendo, poi, che da tutto il suo restante patrimonio, costituito da un'azienda commerciale, dalle suddette quattro botteghe e da altri beni, venisse prelevata la quota di legittima spettante a suo padre Luigi Occhipinti e che l'eventuale differenza venisse attribuita, a titolo di legato; ai figli nati e nascituri di sua sorella Adele Occhipinti, in Samarelli. Con successivo atto pubblico del 7 marzo 1961 registrato a Messina il 13 marzo 1961, la vedova del defunto, Maria Giordano, il padre Luigi Occhipinti, il cognato Mario Samarelli e la sorella Adele Occhipinti -questi ultimi due in rappresentanza, rispettivamente, dei figli nati (tutti minori) e di quelli nascituri, regolarono i loro rapporti nel modo seguente: la Giordano, onde agevolare le successive pattuizioni tra Luigi Occhipinti ed i coniugi Samarelli-Occhipinti, rinunziava all'usufrutto sulle quattro botteghe; il legato de residuo disposto dal testatore a favore dei nipoti veniva determinato transatt:ivamente nelle suddette quattro botteghe con riserva dell'usufrutto, in ragione della met, a favore di Luigi Occhipinti. (1) Decisione di annullamento e decisione di merito nel giudizio di terzo grado. Questione nuova di molto interesse risolta con motivazione non appagante. La situazione processuale, che potrebbe anche veriiiicarsi fu-equentemente, em in questi termini. Viene proposto ricorso alla commissione di primo grado (non importa che nel caso deciso il giudizio si era incardinato prima della riforma) per questioni di applicazione della :legge in punto ad imposta di sucoessione; il ricorso viene accolto. Propone appello l'ufiiicio, ma fa commissione di secondo grado lo dichiara !nammissibile. L'uffilcio ricorre alla Comrmssione centrale e deduce motivi specifici. sul punto dell'inammissibilit e per il merito rlnv.ia ai motivi dell'appello rimasti assorbiti dalla pronunciata inammissibilit. Si afferma nella sentenza dn esame che Ja Commdssione centrale, che nella materi-a estranea alla valutazione estimativa -giudice del merito, avrebbe dovuto decidere definitivamente la controversia sulla -sussistenza dell'obbMgazione tributaria, senza mai poter rinvdare al secondo grado; ma podh una tale decisione non poteva essere emessa per difetto di motivazione del ricorso sul merito (la motivazione per relationem non consentita), diventava inutile PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 579 L'Ufficio del Registro di Messina ritenne che l'atto di cui sopra contenesse due disposizioni tassabili, e precisamente una di cessione di usufrutto e l'altra di divisione, ed in data 12 marzo 1962 notific alle parti un avviso di accertamento con il quale determinava sia il valore imponibile della cessione, sia quello di ciascuna delle quote attribuite con la divisione. Contro tale accertamento i contribuenti proposero ricorso alla competente commissione tributaria, sostenendo che la rinuncia all'usufrutto da parte della Giordano non poteva configurarsi come negozio traslativo e che mancavano le condizioni per la tassazione di conguagli poich ai condividenti era pervenuto esattamente quanto ad essi spettava per testamento. Il ricorso venne accolto dalla sezione di diritto della Commissione Provinciale e contro la relativa decisione l'Ufficio del Registro propose impugnazione alla Commissione Centrale, quale giudice di secondo grado. In virt delle sopravvenute norme di modifica del contenzioso tributario, il gravame venne poi devoluto alla nuova commissione tributaria di secondo grado, la quale lo dichiar inammissibile senza esaminarlo nel merito, avendo accertato che l'atto notificato ad una delle parti era privo dei motivi di impugnazione ed avendo ritenuto che tale vizio si estendesse anche alle altre parti, stante l'interdipendenza del rapporto in contestazione. Avverso tale decisione l'Ufficio propose ricorso alla Commissione tributaria centrale, la quale, con la decisione ora impugnata, lo rigett. decidere l'impugnazione di rito su11'a:mmissibildt dell'appello che sarebbe rimasta priva di ogni effetto se non 'seguita da una decisione sul merito. La sentenza conHene indubbiamente molte proposizioni esatte in termini generali, ma che potevano dar luogo almeno a qualche dubbio nella particolare situazione. Bisogna intanto chianire che l'impugnazione innanzii alla Commissfone centrale proponeva due distinte questioni: una di rito ed una di merito. Se ordinariamente ne11'dmpugnazione di menito sono irrilevanti gli errores in procedendo, perch la decisione del gdudice di impugnazione sostituisce quella gravata e ne assorbe gli eventuali vizi, nella situazione sopra riassunta era necessario prima riformare la decisione di appello sul punto dell'inammissibilit (in ipotesi negativa 'Si doveva ritenere passata in giudicato la decifilone di primo grado) e poi passare all'esame di merito. Si presentava cio un giudizio di legittimit preliminare a quello di merito, anche se ambedue ti giudizi restavano affidatd allo stesso giudice. Questa partdcolarit, che sti rinviene non raramente in un giudizio in tre gradi, deve far considerare con pi attenzione l'afferma2lione, pur esatta in termini generali, che la motivazione dell'impugna2lione limitata a denunziiare l'errore commesso nel dichiarare inammissibile l'appello poteva essere sufficiente per una impugnazione di legittimit, ma non per una impugnazione di merito; si era infatti in presenza di una impugnazione di legittimit, anche ,se il giudizio iSul merito non postulava un rinvio. 580 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Detta commissione, pur ritenendo che l'inammissibilit dell'impu gnazione verificatasi nei confronti di una delle parti non avesse effetto estensivo verso le altre, afferm che il ricorso era da un lato inammis sibile e dall'altro infondato. A suo avviso, infatti, l'Ufficio, dopo aver trattato dell'ammissibilit del precedente gravame alla commissione di secondo grado, si era limitato a fare riferimento, per il merito, a quanto esposto nel rapporto inviato il 22 maggio 1962 alla vecchia commissione centrale, violando cos il costante principio giurisdizionale secondo cui le censure rivolte contro la decisione impugnata devono risultare specificamente dal ricorso e dal suo contenuto, senza possibilit di formularle per relationem . A sostegno della tesi dell'infondatezza asserl, comunque, che: a) non era dimostrata la difformit tra la divisione operata dal testatore e la volont espressa dalle 'parti nell'atto pubblico registrato il 13 marzo 1961, non potendo desumersi tale difformit dalla specificazione dell'oggetto del legato disposto dal testatore, in forma generica, a favore dei nipoti, dal momento che la specificazione rispettava la volont dello stesso testatore; b) quanto alla rinunzia all'usufrutto da parte della vedova, i motivi di essa dovevano considerarsi irrilevanti e inidonei ad attribuirle natura di cessione, tanto pi che la quota di usufrutto sulle botteghe, costituente oggetto di detta rinunzia, era andata in tutto od in parte a riunirsi alla nuda propriet attribuita ai nipoti. legatari de residuo, sem pre nel pieno rispetto della volont del testatore. Su tale premessa desta perplessit l'affermata inammissibilit della mo tivazfone per relationem. La motivazione del ricorso alla CommissiO!Ile centrale ineliminabile quando vd sia stata :in secO!Ildo grado una pronunzia di merito, che abbia consumato i relativi motivi, e debba quindi essere determinato il campo del giudizio di impugnazione, devoluto attraverso i moti'V~ al giudice superiore. Quando per il giudi2lio di merto in secondo grado non sia esistito (e di ci si espone censura nel rdcorso) si d()[Ilanda alla Commissione centrale, se come nel caso competente, la decisione sull'appello ingiustamente omessa. Non si pu nemmeno parlare di motivazione per relationem perch lo stesso appello, ancor vergine, che vdene devoluto al giudice dii terzo grado, dopo che sia stato rimosso l'ostacolo prelimilllal"e di rito. La necessit della motivazione dell'impugnazione presuppone un quid-novi dntervenuto con la deois!ione che 1si impugna, una nuova valutazione della situazfone processuale dalla quale deve emergere la parte (o eventualmente anche la totaldt, ma sempre a seguito di una nuova valutazione) del decisum che si intende gravare, unitamente all'esposizione delle ragioni della lamentata ingiustizia della decisione. Ma quando il quid novi soltanto una pronuncia prelimiriare di rito, l'dmpugna2lione riguarda solo questo oapo; per il resto si domanda fa decisione, omessa dal giudice inferiore, di quella stessa domanda gi formulata e non esaminata e non sd propone una impugnazione contro una decisJ.one, eventual PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 581 Contro tale decisione ha proposto ricorso per cassazione l'Amministrazione Finanziaria dello Stato, deducendo quattro motivi. Gli intimati non hanno svolto attivit difensiva. Motivi della decisione Con il secondo motivo, che ha carattere preliminare per ragioni logiche, l'Amministrazione Finanziaria dello Stato -denunziando violazione dell'art. 25, secondo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 e dei principi in tema di motivi d'impugnazione, con riferimento all'art. 360 nn. 3 e 4 cd. proc. civ. -censura la decisione impugnata sul punto della ritenuta inammissibilit del ricorso per mancata formulazione dei motivi di merito. Sostiene al riguardo che, avendo la commissione tri butaria di secondo grado dichiarato inammissibile il gravame ad essa proposto senza esaminare il merito della controversia, l'Ufficio non aveva l'onere di riproporre le censure gi formulate contro la decisione di primo grado, ed il ricorso proposto contro la pronunzia di inammissibilit dell'appello escludeva qualsiasi acquiescenza ed implicava manifestazione della volont che l'impugnazione fosse esaminata nel merito in base ai motivi dedotti a sostegno del gravame dichiarato inammissibile, mentre dipendeva dal rientrare o meno le questioni nell'ambito della competenza della commissione tributaria centrale se questa dovesse conoscerne direttamente oppure rinviare ad una commissione di secondo grado. Tale censura destituita di fondamento. Occorre considerare che, avendo la commissione tributaria di secondo grado dichiarato inammissibile l'appello dell'Ufficio, si era venuta a mente coincidente con la domanda originaria. ~ del resto pacifico che la -riproposizione "1elle domande ed eooezioni rimaste assorbite o comunque non esaminate non richiede una motivazione specifica e pu ben consistere in un rinvio, appunto perch non trattasi di una vera e propria impugnazione, ma di una istanza conseguenziale all'dmpugnazione (su un driverso capo), validamente proposta dalla stessa o dalla altra parte. L'importanza del problema non risiede nella suffficienza della motivazione (che non vi sarebbe ragione per dndulgere sulla necessit della motivazione del ricorso in terzo grado), ma nella particolarit del giudi&o dd terzo grado in situazioni come quella in esame che bench di merito presuppone una questione di legittimit. Talvolta la decisione della Commissfone centrale stata confiigurata come una pronunma dri annullamento senza rinvio seguita dalla decisione di merito (Cass. 18 luglio 1979 n. 4262, Riv. Leg. Fisc., 1980, 506). Questa costruzione errata rispetto all'ipotesi normale dell'dmpugnazfone di merito (C. BAFILE, L'impugnazione di terzo grado nel processo tributario, Milano 1982, 93), ma calzante nella situazione parllicolare dn cui prima di affrontare il giudizio di merito deve essere rimosso un ostacolo processuale, che faf,Iuisce sull'ammissibilit dell'impugnazione nel grado inferiore. CARLO BAFILB RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO' 582 creare una situazione in cui, al fine cli affermare il diritto all'imposizione tributaria, l'Ufficio aveva l'onere di impugnare la decisione per ottenere una pronunzia sul merito e non soltanto per rimuovere quella relativa all'inammissibilit dell'appello. Un'impugnazione limitata a denunziare l'errore commesso nel dichiarare inammissibile l'appello nei confronti cli tutti i contribuenti, sarebbe stata sufficiente se la Commissione tributaria centrale fosse giudice cli sola legittimit, perch in tal caso avrebbe potuto e dovuto limitarsi, riformando la decisione impugnata, a dichiarare ammissibile l'appello, con conseguente rinvio alla commissione di secondo grado per la pronuncia sul merito. Siffatta prospettiva urta, peraltro, contro l'ordinamento del contenzioso tributario; il rinvio al giudice di secondo grado non era infatti possibile, a' sensi degli artt. 26 e 29 del d;P.R. n. 636 del 1972, perch non vertendosi in materia di valutazione estimativa, la commissione tributaria centrale era sicuramente giudice di merito cli terza istanza ed era direttamente competente a decidere le questioni controverse, il che, per, presupponeva e rendeva necessario che ne fosse stata legittimamente investita mediante una regolare impugnazione contenente anche motivi cli merito. In realt l'Ufficio si adegu -almeno formalmente -a tali principi e, dopo avere sviluppato i motivi contro la pronuntla cli inammissibilit dell'appello, sul merito si limit a richiamare i motivi dedotti a suo tempo con il ricorso proposto alla commissione centrale -secondo il vecchio rito -contro la decisione di prima istanza. Senonch tali motivi erano chiaramente inammissibili, non essendo consentita la formulazione cli censure per relationem, e nella sostanza, il gravame investiva solo la pronuncia di inammissibilit dell'appello. Esattamente, perci, la commissione tributaria centrale dichiar la inammissibilit del ricorso, posto che l'impossibilit giuridica di emettere una pronunzia cli merito faceva venir meno l'interesse dell'Ufficio ad una decisione limitata alla questione dell'ammissibilit dell'appello proposto contro la decisione cli primo grado, non essendo la stessa idonea a decidere la controversia relativa alla sussistenza dell'obbligazione tributaria. N pu avere rilevanza che il contenuto finale della decisione attualmente impugnata sia cli rigetto e non di inammissibilit del ricorso, poich, dovendo il dispositivo essere correlato con la motivazione, occorre ricercare l'intrinseca natura del provvedimento, che in effetti pu essere interpretato solo come pronunzia cli inammissibilit -indipendentemente dal tenore letterale del dispositivo -poich i motivi addotti a suo sostegno giustificano una decisione del genere ma non una diversa. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 583 Alla stregua di tali considerazioni deve ritenersi che la commissione tributaria centrale abbia affrontato a torto e inutilmente anche il merito della controversia, che le era in realt precluso, data la rilevata inammissibilit dell'i~pugnazione, da cui derivava ineluttabilmente la definizione del giudizio. La pronunzia sorretta da questa successiva parte della motivazione perci sicuramente inutiliter data e contro di essa non possibile, quindi, l'impugnazione in questa sede. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 17 maggio 1984, n. 3047 -Pres. Falcone Est. Battimelli -P. M. Catelani (conf.). Anconetani (avv. Vitaliani) c. Ministero delle Finanze (Avv. Stato Salimei). Tributi erariali diretti -Accertamento -Motivazione -Nullit Eccezione da formulare in primo grado -Art. 37 t.u. 29 gennaio 1958, n. 645 Illegittimit costituzionale -Manifesta infondatezza. (t.u. 29 gennaio 1958 n. 645, art. 37). Tributi in genere -Contenzioso tributario -Poteri delle Commissioni Pronuncia di merito sulla sostanza del rapporto. Tributi in genere Contenzioso tributario -Prova -Ricorso al notorio Legittimit. (cod. proc. civ., art. 115). Tributi erariali diretti -Accertamento -Espressione di volont dell'organo amministrativo -Esclusione. Tributi erariali diretti -Accertamento -Motivazione Metodo induttivo Presupposti. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 117). manifestamente infondata l'eccezione di illegittimit costituzionale dell'art. 37 del T.U. 29 gennaio 1958 n. 645 che impone che l'eccezione di nullit dell'accertamento non motivato analiticamente debba essere sollevata a pena di decadenza nel ricorso in primo grado (1). (1-5) Una sentenza di grande riMevo che merita piena adesione. La prima massima non ammette perplessit. Non di certo una limitazione al diritto di difesa la prescrizione, che non va al di l del principio stabilito nell'iart. 345 c.p.c,, che la 111ullit dell'accertamento non motivato analiticamente debba essere eccepita in primo grado. Si pu anzi affermare che la norma addirittura inutile perch l'appello regolato dai principi generali del cod. proc. civ., in base ai quaM una domanda nuova, quale certamente l'impugnazione di nullit, dnammissibile in appello. Ma ancor pi si gi.ustiiiica la decadenza nel caso specifico, perch se stato impugnato l'accertamento, senza eccepirne la nullit, contestando quindi il merito della quantit imponibile si RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Le commissioni tributarie non sono giudici dell'accertamento in s e per s, ma giudici della fondatezza, anche quanto alla congruit, della pretesa tributaria;. la giurisdizione delle commissioni non di annullamento ma di merito (e quindi all'accertamento non possono applicarsi I principi propri degli atti amministrativi discrezionali), s che l'unico limite all'esercizio di detta giurisdizione in materia di estimazione semplice quello fissato rispettivamente dal reddito dichiarato dal contribuente e da quello accertato dall'ufficio (2). Nel procedere alla determinazione del reddito con criteri anche diversi da quelli indicati dalle parti, la commissione pu anche fare legittimamente ricorso al notorio (3). Il criterio seguito dall'ufficio per l'accertamento induttivo non espressione di una volont, tipica ed esclusiva dell'organo amministrativo, bens uno strumento tecnico per il raggiungimento di un risultato, che esula dalla volont, soggetto ad integrazione e modificazione da parte del giudice (4). La motivazione dell'accertamento con metodo induttivo legittima quando il contribuente non abbia risposto esaurientemente al questionario inViiato dall'ufficio e non abbia fornito i dati necessari al controllo della completezza e veridioit della dichiarazione (5). (omissis) Preliminare a quello degli altri motivi di ricorso l'esame del secondo motivo, con cui si risolleva l'eccezione di illegittimit costituzionale dell'art. 37, secondo comma, del T.U. 29 gennaio 1958, n. 645, questione che, se ritenuta rilevante e fondata, precluderebbe, allo stato, ogni altra indagine sul merito del ricorso, in quanto l'eventuale dichiarazione di illegittimit costituzionale della norma comporterebbe la possibilit del riesame di una eccezione di nullit radicale degli accer ammesso che 1'acoertamento fosse suffiioientemente motivato e tale da mettere il ricorrente nella condizione di esercitare la sua difesa. La norma originaria dell'art. 37, capov. del t.u. delle imposte dirette aveva una diversa ratio; poich al tempo era consentito il c.d. ricorso interruttivo (senza dedU2Jione di motiv~), >. La seconda conclusione dunque quella di ritenere non punibile il partecipante che si sia ritirato dai N.C.T. (essendo pacifico che gli altri due reati cui fa riferimento il capo d'imputazione, l'insurrezione armata e la guerra civile, non sono stati commessi). PARTE SECONDA LEGISLAZIONE I NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI codice di procedura civile, art. 404, nella parte in cui non ammette l'opposizione di terzo avverso la ordinanza di convalida di sfratto per finita locazione, emanata per la mancata comparizione dell'intimato o per la mancata opposizione dell'intimato pur comparso. Sentenza 7 giugno 1984, n. 167, G. U. 13 giugno 1984, n. 162. codice di procedura civile, art. 648, secondo comma, nella parte in cui dispone che nel giudizio di opposizione il giudice istruttore, se la parte che ha chiesto l'esecuzione provvisoria del decreto d'ingiunzione offre cauzione per l'ammontare delle eventuali restituzioni, spese e danni, debba e non gi possa concederla sol dopo aver delibato gli elementi probatori di cui all'art. 648, primo comma, e la corrispondenza della offerta cauzione all'entit degli oggetti indicati nel comma secondo dello stesso art. 648. Sentenza 4 maggio 1984, n. 137, G. U. 9 maggio 1984, n. 127. codice penale, art. 175 [nel testo introdotto con l'art. 104 della legge 24 novembre 1981, n. 689], nella parte in cui esclude che possano concedersi ulteriori non menzioni di condanne nel certificato del casellario giudiziale spedito a richiesta di privati, nel caso di condanna, per reati anteriormente commessi, a pene che, cumulate con quelle gi irrogate, non superino i limiti di applicabilit del beneficio. Sentenza 7 giugno 1984, n. 155, G. U. 13 giugno 1984, n. 162. codice penale militare di pace, art. 195, primo comma, limitatamente alle parole con la reclusione militare da sei mesi a cinque anni . Sentenza 20 giugno 1984, n. 173, G. U. 27 giugno 1984, n. 176. legge 10 giugno 1940, n. 653, art. 1, nella parte in cui si riferisce ai soli impiegati privati e non anche agli operai richiamati alle armi. Sentenza 4 maggio 1984, n. 136, G. U. 9 maggio 1984, n. 127. legge 10 giugno 1940, n. 653, artt. 2 e seguenti, nelle parti in cui si riferiscono ai soli impiegati privati e non anche agli operai richiamati alle armi. Sentenza 4 maggio 1984, n. 136, G. U. 9 maggio 1984, n. 127. d.I. C.p.S. 13 settembre 1946, n. 303, art. 2, nella parte in cui dispone che i lavoratori anteriormente alla chiamata alle armi, siano alle dipendenze dello stess