ANNO XXXVIII -N. 2 MARZO -APRILE 1986 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Pubblicazione bimestrale di servizio ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO ROMA 1987 ABBONAMENTI ANNO 1987 ANNO L. 40.000 UN NUMERO SEPARATO ............. , .... lt 7.500 Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO Direzione Commerciale -Piazza G. Verdi, 10 -00100 Roma e/e postale n. 387001 Stampato in ltalia -Printed in ltaly Autorl1za1lone Tribunale di Roma -Decreto n. 11089 del 13 lusllo 1966 (8219010) Roma, 1987 -Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato P.V. INDICE Parte prima: GIURISPRUDENZA Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura del /'avv. Franco Favara} pag. 89 Sezione seconda: GIURISPRUDENZA ZIONALE (a cura COMUNITA~IA de/l'avv. Oscar E INTERNA Fiumara} 125 Sezione terza: GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDI ZIONE (a cura degli avvocati Carlo Carbone, Carlo Sica e Antonio Cingolo} 1 154 Sezione quarta: GIURISPRUDENZA CIVILE (a Cenerini) cura de//'avv. Anna 157 Sezione sesta: GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA vocato Carlo Baflle} (a cura de/l'av 167 Sezione settima: GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI (a cura deg/J avvocati Sergio Laporta, Piergiorgio Ferri e Paolo Vittoria} 208 Parte seconda: QUESTIONI RASSEGNA DI DOTTRINA RASSEGNA DI LEGISLAZIONE INDICE BIBLIOGRAFICO QUESTIONI RASSEGNA DI LEGISLAZIONE J lt 39 67 La pubblicazione diretta dall'avvocato: UGO GARGIULO CORRISPONDENTI DELLA RASSEGNA DELEGATI PRESSO LE SINGOLE AWOCATURE Avvocati Glauco NoRI, Ancona; Francesco Cocco, Bari; Carlo BAFILE, L'Aquila; Nicasio MANcuso, Palermo; Rocco BERARDI, Potenza; Maurizio DE FRANcHIS, Trento; Paolo SCOTTI, Trieste; Giancarlo MANOO, Venezia. ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI S. CELESTE, Brevi note sui criteri per la determinazione dell'indennit nelle espropriazioni decretate dopo l'entrata in vigore della legge 27 giugno 1974, n. 247 I, 157 F. FAVARA, I criteri di determinazione della indennit di espropriazione (per i beni immobili) II, 39 P. VITTORIA, Brevi considerazioni in margine ad una sentenza della Corte di cassazione in tema di sospensione dei lavori I, 216 PARTE PRIMA INDICE ANALITICO -ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA ATTO AMMINISTRATIVO -Atto -di ESPOPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILIT PARTE PRIMA INDICE ANALITICO -ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA ATTO AMMINISTRATIVO -Atto -di ESPOPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILIT collegiale Partecipazione componente in conflitto di interessi -Illegittimit, 208. COMPETENZA CIVILE -Medico mutualistico -Rapporto di lavoro parasubordinato -Art. 409 n. 3 c.p.c. -Competenza giudice del lavoro; 154. COMUNIT EUROPEE -Concorrenza -Fissazione delle tariffe aeree, 140. -Libera circolazione delle merci -Controlli sanitari sulle cagliate importate -Ritardi -Rilevanza, 136. -Organizzazione comune di mercato nel setore dello zucchero -Contributo alla produzione -Determinazione -Legittimit, 125. CORTE COSTITUZIONALE -Caducazione di disposizione costituzionalmente illegittima -Produce caducazione anche dell'effetto di abrogazione, 114. -Conflitto di attribuzione -Termine per ricorrere -Conoscenza dell'atto impugnato, 89. -Norme integrative per i giudizi Processo costituzionale -Inapplicabilit delle norme sulla estinzione, 112. - Sentenza additiva -Quando consentita, 123. DEMANIO -Alloggi di servizio -Sono beni strumentali all'attivit-servizio, 97. -Indennit espropriativa -Giudizio di opposizione alla stima -Quantificazione di detta indennit -Criteri, con nota di G. CELESTE, 157. FALLIMENTO -Chiusura in mancanza di attivo Revoca della sentenza dichiarativa del fallimento -Compenso del curatore, 99. -Liquf dazione dei compensi al curatore, ai patrocinatori e ad altri incaricati dell'amministrazione fallimentare -Reclami al tribunale fallimentare -Termine per la proposizione, 100. -Opposizione a stato passivo -Creditori esclusi -Impugnazione dello stato passivo -Decreto di fissazione della udienza di comparizione -Comunicazione, 101. -Opposizione a stato passivo -Creditori esclusi -Impugnazione dello stato passivo -Termine per la opposizione e per l'impugnazione, 100. LOCAZIONE -Immobili adibiti ad uso non abitativo -Proroga e rinnovazione unilaterale ex lege dei contratti -Illegittimit costituzionale, 113. OBBLIGAZIONI (IN GENERALE) -Contratti della p.a. -Illegittimit di atto della serie procedimentale -Effetti -Difetto di presupposti -Annullabilit del contratto a richiesta della p.a., 208. -Contratti della p.a. -Invalidit -Illegittimit d'uno degli atti della se - - INDICE ANALITICO-ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA Vll rie procedimentale -Insufficienza Determinazione d'una causa di invalidit prevista dal codice civile - Necessit, 208. TRIBUTI ERARIALI DIRETTI -Accertamento -Motivazione -Requisiti -Spettanza di agevolazioni -Motivazione per relationem " -Legittimit, 200. ~ Decumulo dei redditi dei coniugi Onere di domanda -Legittimit costituzionale, 93. -Determinazione sintetica del reddito complessivo -Non scomposizione dei redditi dei coniugi -Legittimit costituzionale, 93. -Imposte fondiarie -Imposta sui fabbricati -Agevolazione per le case di abitazione di lusso -Licenza di abitabilit -Atti equipollenti -Ammissibilit, 167. -IRPEF -Dichiarazione del sostituto di imposta -Omessa presentazione -Non mera violazione formale, 105. -Lavoro dipendente -Spese per la produzione del reddito -Determinazione in misura forfettaria -Legittimit costituzionale, 93. - Rettifica della dichiarazione ex art. 36-bis d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 -Correzione di errori materiali e di calcolo -Correzioni di errori di applicazione della legge, 183. TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI -Imposta di registro -Concordato fallimentare -Sentenza di omologazione -Imposta proporzionale, 192. -Imposte doganali -Manifesto di carico -Rilevanza -Merci iscritte ma non rinvenute -Si presumono immesse al consumo, 181. -IVA -Pena pecuniaria -Versamento del sesto del massimo -Nella procedura fallimentare -Inammissibilit della questione, 104. -IV A -Pene pecuniarie -Delega legislativa -Principi e criteri direttivi -Sufficienza, 104. -IVA -Pene pecuniarie -Non irrogazione per versamento del sesto del massimo -Verbale di constatazione -Nozione pi lata, 105. -IVA -Vendite fallimentari -Applicazione ad esse del regime IV A -Legittimit costituzionale, 104. TRIBUTI IN GENERE -Accertamento -Motivazione -Provvedimento di ammissione all'esenzione -Necessit -Motivazione insufficiente -Integrazione in giudizio Possibilit, 185.. -Accertamento -Motivazione -Provvedimento sul condono -Non necessita, 186. -Accertamento -Notificazione -Irregolare consegna dell'atto -Nullit Proposizione del ricorso -Sanatoria, 206. - Condono -Natura -Effetti, 189. -Contenzioso tributario -Competenza delle Commissioni -n funzionale e inderogabile -Regolamento di competenza di ufficio -Ammissibilit, 168. -Contenzioso tributario -Competenza delle commissioni -Imposte dirette Rimborsi -Competenza della commissione in cui ha sede l'intendente di finanza cui spetta provvedere sul rimborso, 168. -Contenzioso tributario -Oggetto del processo -Accertamento -Difetto di motivazione -Dichiarazione di nullit, 199. -Contenzioso tributario -Provvedimento impugnabile -Domanda di rimborso -Silenzio, 168. -Contenzioso tributario -Ricorso in grado di impugnazione -Motivi specifici -Necessit -Motivazione per relationem -Inammissibilit, 199. VALLE D'AOSTA -Depositi presso aziende di credito Plafond -Disciplina differenziata Legittimit costituzionale, 90. INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA CORTE COSTITUZIONALE 25 maggio 1985, n. 177 (ord.) 29 ottobre 1985, n. 242 15 novembre 1985, n. 284 15 novembre 1985, n. 287 22 novembre 1985, n. 302 22 novembre 1985, n. 303 22 novembre 1985, n. 304 (ord.) 14 aprile 1986, n. 88 22 aprile 1986, n. 102 23 aprile 1986, n. 108 23 aprile 1986, n. 109 23 aprile 1986, n. 111 30 aprile 1986, n. 115 30 aprile 1986, n. 116 30 aprile 1986, n. 120 23 maggio 1986, n. 128 CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA EUROPEE Sez. V, 22 gennaio 1986, nella causa 250/84 ..... S'ed. plen., 18 febbraio 1986, nella causa 35/84 . . . Sed. plen., 30 aprile 1986, nelle cause riunite 209-213/84 GIURISDIZIONI CIVILI CORTE DI CASSAZIONE Sez. Un., 27 luglio 1985, n. Sez. Un., 18 dicembre 1985, Sez. I, 10 gennaio 1986, n. Sez. Un., 16 gennaio 1986, Sez. I, 16 gennaio 1986, Sez. I, 17 gennaio 1986, Sez. I, 22 gennaio 1986, Sez. I, 25 gennaio 1986, Sez. I, 30 gennaio 1986, Sez. I, 4 febbraio 1986, Sez. I, 17 febbraio 1986, n. n. n. n. 4372 .. n. 6457 70 . . n. 210 231 261 402 492 n. 599 n. 681 n. 937 Pag. " " " " " " " " Pag. " " Pag. " " " " " " " 89 90 93 97 99 100 104 112 100 113 123 104 104 105 101 105 125 136 140 157 154 167 168 181 183 185 186 189 192 199 I I I {: ~ I I I I I ! I t i I I ! I Sez. Un., 3 marzo 1986, n. 1322 Sez. I, 7 marzo 1986, n. 1506 . . " 199 206 PARTE SECONDA Questioni Pag. 39 RASSEGNA DI LEGISLAZIONE Questioni di legittimit costituzionale: I -Norme dichiarate incostituzionali Pag. 67 II -Questioni dichiarate non fondate 69 III -Questioni proposte 70 PARTE PRIMA , I Ii I; i j I l I I I I GIURISPRUDENZA SEZIONE PRIMA GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE CORTE COSTITUZIONALE, 25 maggio 1985, n. 177 (ord.) -. Pres. Roehrssen -Rel. Corasaniti. Corte Costituzionale -Conflitto di attribuzione -Termine per ricorrere Conoscenza dell'atto impugnato. La piena conoscenza dell'atto da parte della Regione si ha nel momento -rilevante come dies a quo del termine per ricorrere in cui l'atto stesso perviene all'assessorato competente o comunque dal medesimo conosciuto; la comunicazione fatta dall'assessorato al Presidente della Regione non vale a spostare la decorrenza del termine. (omissis) Considerato che, ai sensi del combinato 'disposto degli artt. 39 della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 27 delle norme integrative 16 marzo 1956, il ricorso per conflitto di attribuzione promosso dalla Regione nei confronti dello Stato deve essere notificato al Presidente del Consiglio dei ministri entro 60 giorni a decorrere dalla pubblicazione, notificazione o piena conoscenza dell'atto impugnato; . che la nota 7 aprile 1976, n. 6/470/76, del Ministero delle finanze, avverso la quale proposta impugnazione, risulta pervenuta alla Regione Sicilia -Assessorato alle finanze in data 14 aprile 1976, come da timbro recante la suddetta intestazione, la data ed il n. 15615 di protocollo apposto a margine del primo foglio della nota ministeriale, mentre il ricorso stato notificato al Presidente del Consiglio dei ministri il 1 luglio 1976, e quindi oltre il termine di sessanta giorni dalla piena conoscenza dell'atto da parte di organo della Regione Sicilia (tale l'Assessore: cfr. artt. 12, 13 e 20 dello Statuto siciliano); che appare irrilevante la deduzione della ricorrente secondo la quale la conoscenza della nota sarebbe stata acquisita dal Presidente della Regione soltanto in data 4 maggio, a seguito di inoltro effettuato dall'Assessorato il 30 aprile 1976, in quanto, secondo la pi recente giurisprudenza di questa Corte, la piena conoscenza dell'atto da parte della Regione deve ritenersi verificata nel momento in cui l'atto stesso pervenuto all'assessorato competente, o comunque conosciuto dal predetto, non valendo la tardiva comunicazione fatta dall'Assessore al Presidente della Regione a spostare la decorrenza del termine (cfr. sentenze n. 3 e n. 51 del 1978). (omissis) 90 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE COSTITUZIONALE, 29 ottobre 1985, n. 242 -Pres. Roehrssen - Rel. Paladin -Regione Valle d'Aosta (avv. Romanelli) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Azzariti). Valle d'Aosta -Depositi presso aziende di credito -Plafond -Disciplina differenziata -Legittimit costituzionale. (Cost., artt. 3 e 136; Statuto speciale Valle d'Aosta, artt. 12 e 50; legge 7 agosto 1982, n. 526, art. 38). Anche le regioni a statuto speciale sono tenute in materia di credito ad uniformarsi alla legislazione dello Stato; e nulla esige. che le finanze delle varie regioni differenziate siano identicamente regolate. Non costituzionalmente illegittima la disposizione che impone anche alla regione Valle d'Aosta il limite delle somme depositabili presso aziende di credito. (omissis) L'art. 38, secondo e terzo comma, deHa legge 7 agosto 1982, n. 526 -cui si riferisce il ricorso in esame -prevede, da un lato, che agli effetti delle disposizioni contenute negli artt. 31 della legge 5 agosto 1978, n. 468, 40 della legge 30 marzo 1981, n. 119, e 10 della legge 26 aprile 1982, n. 181, non sono computabili le somme costituenti entrate della regione Sicilia a norma dell'art. 36 dello Statuto della regione stessa e del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1965, n. 1074, e quelle alla medesima dovute o versate a norma dell'art. 38 di detto statuto, nonch quelle costituenti entrate proprie della regione TrentinoAlto Adige e delle province autonome di Trento e Bolzano ; e, d'altro lato, precisa che alle somme anzidette non si applicano le disposizioni recate dagli artt. 31 della legge 5 agosto 1978, n. 468, e 40 della legge 30 marzo 1981, n. 119 . Tale disciplina viene congiuntamente impugnata -in sostanza -per non aver menzionato le entrate delle altre Regioni a statuto speciale, fra cui la ricorrente Valle d'Aosta, cos discriminandola rispetto alla Sicilia ed al Trentino-Alto Adige, in violazione di una serie di precetti costituzionali e statutari. Ma l'oggetto dell'impugnazione rimane duplice. Sotto un primo profilo, cio, la legittimit delle norme in discussione viene contestata, se ed in quanto si possa desumerne che l'art. 31 della legge n. 468 del 1978, riguardante il regime delle giacenze di tesoreria delle regioni>>, ridivenga applicabile alla Valle d'Aosta, malgrado l'opposta decisione adottata dalla Corte mediante la sentenza n. 95 del 1981. Sotto un secondo profilo, le norme stesse sono invece denunciate nella parte concemnte il richiamo all'art. 40 della legge n. 119 del 1981 (relativamente alle disponibilit depositabili dalle Regiorii presso aziende di credito), in riferimento agli artt. 3 e 136 Cost., 12 e 50 dello Statuto speciale. Per contro, nessuna contestazione specifica investe il secondo comma t dell'impugnato art. 38, nella parte in cui si fa richiamo all'art. 10 della I -i I I PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE legge n. 181 del 1982 (circa il riparto delle somme spettanti alle Regioni ed alle Province ad autonomia differenziata, per il finanziamento dei consultori familiari, per la prevenzione e la cura delle tossicodipendenze, per la protezione della maternit e dell'infanzia). Su questo punto, infatti, la ricorrente ritorna a dolersi della discriminazione che sarebbe stata operata in suo danno, ma senza affatto chiarire in che consisterebbe la discriminazione stessa. Quanto al primo ordine di problemi, la difesa della Regione e l'Avvocatura dello Stato concordano giustamente nell'escludere che le norme impugnate valgano a riestendere, coinvolgendo la Valle d'Aosta, l'ambito di applicabilit dell'art. 31 della legge n. 468 del 1978. Nella sua versione originaria, il primo comma di tale articolo prevedeva -in effetti -che tutte le Regioni, a statuto ordinario e speciale, avessero l'obbligo di tenere le disponibilit liquide, limitatamente alle assegnazioni, contributi e quanto altro proveniente dal bilancio de11o Stato, in conti correnti non vincolati con il Tesoro . Ma la norma stessa stata dichiarata costituzionalmente illegittima, appunto nei riguardi della Valle, mediante la predetta sentenza n. 95 del 1981: che l'ha ritenuta incompatibile con l'art. 50, terzo comma, del relativo Statuto, per essere stata adottata in difetto del necessario accordo con la giunta regionale e per aver contraddetto, comunque, i disposti della legge 6 dicembre 1971, n. 1065, sull'ordinamento finanziario di quella Regione. Sicch la rinnovata applicazione dell'art. 31, primo comma, determinerebbe in tal senso -come stato osservato nel ricorso -la congiunta violazione dell'art. 50 dello Statuto speciale e dell'art. 136 della Costituzione. Per altro, nulla consente di ritenere che la normativa impugnata debba interpretarsi in questi termini. Al contrario, fin dal periodo intercorrente fra la pronuncia ed il deposito della sentenza n. 95 del 1981, entrato in vigore l'art. 40, quarto comma, della legge 30 marzo 1981, n. 119 (legge finanziaria 1981), che ha novellato l'art. 31, primo comma, della legge n. 468, ma introducendo un'espressa eccezione per i fondi di cui all'art. 38 dello statuto della Regione siciliana, nonch per quelli destinati alle altre regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e Bolzano, in base ai rispettivi statuti . Mentre l'art. 38, secondo e terzo comma, della legge n. 526 del 1982 si limitato -sul punto -a garantire pi compiutamente (o con una maggiore precisione) la Regione Sicilia: la quale, da un lato, s'era vista respingere il proprio ricorso avverso l'art. 31 della legge n. 468, sempre in virt della sentenza n. 95 del 1981; e, d'altro lato, non era stata esplicitamente esentata dall'applicazione di tale disciplina -in conseguenza del citato art. 40, quarto comma, della legge n. 119 -se non per i fondi di cui all'art. 38 dello statuto , cio con riguardo alle somme annualmente versate dallo Stato a titolo di solidariet nazionale . 92 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO. STATO Cosi ricostruite, dunque, le norme in esame non incorrono in alcuno dei prospettati vizi di legittimit costituzionale. Quanto alla seconda delle due problematiche sollevate dal ricorso, l'impugnativa dev'essere respinta. n senza fondamento, infatti, che la difesa della Regione si appella anche in tal senso alla giurisprudenza della Corte, tornando ad invocare -in particolar modo -:-la sentenza n. 95 del 1981. Nel quadro della complessa disciplina dettata dall'art. 40 della ilegge n. 119, vanno tenute accuratamente distinte le disposizioni del primo e del quarto comma: altro essendo il regime complessivo delle disponibilit che gli enti gi indicat.i dall' originario primo comma del ['art. 31 della legge n. 468 possono mantenere... a qualunque titolo presso le aziende di credito; ed altro la sorte specificamente riservata alle somme provenienti dal bilancio dello Stato e destinate ad affluire negli appositi conti intestati alle Regioni presso le tesorerie dello Stato. Nella sentenza n. 95 del 1981, la Corte ha affrontato unicamente il secondo e non il primo ordine di questioni. Viceversa, nella sentenza n. 162 del 1982 che la Corte ha preso chiaramente posizione circa l'am bito di applicabilit dell'art. 40, primo comma, della legge n. 119, affer mando la competenza dello Stato a dettare misure del genere, in nome. dell'indispensabile coordinamento finanziario e degli interessi nazionali concernenti la disciplina del credito; e precisando che non ha rilievo, alla luce delle finalit perseguite, distinguere tra Regioni a Statuto speciale e Regioni a Statuto ordinario, tutte ugualmente tenute in ma teria di credito a uniformarsi alla legislazione dello Stato . A rp.odificare tali conclusioni non valgono, d'altronde, i richiami del ricorso all'attuale ordinamento finanziario della Valle d'Aosta, stabilito dalla legge 26 novembre 1981, n. 690. L'incompatibH.it fra tale ordinamento ed il primo comma del citato art. 40, che dovrebbe imporre anche in tal senso una sentenza interpretativa di rigetto, viene asserita ma non dimostrata. Ed molto significativo, all'opposto, che gli interessi bancavi non figurino affatto fra le entrate regionali elencate dall'art. 1 della legge n. 690 e che le giacenze di tesoreria non vengano considerate in alcun modo dalla legge medesima: il che conferma che, per modificare il regime di detti depositi, non era necessario alcun II accordo fra lo Stato e la Regione, trattandosi .di questioni non incidenti sull'autonomia finanziaria regionale, costituzionalmente o statutariamente garantita (come stato ancora rilevato dalla sentenza n. 162 I del 1982). Certo, tutto questo non toglie che, in definitiva, la discutibile solu I zione accolta dall'art. 38, secondo e terzo comma, della legge n. 526 ! del 1982 finisca per privilegiare due sole Regioni a statuto speciale. ! i Ma la mancata inclusione della Valle d'Aosta, accanto alla Sicilia ed al Trentino-Alto Adige, non determilla la violazione di al-.:uno dei para- I I I ~-~ 93 PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE metri costituzionali e statutari addotti nel ricorso, per desumerne la lesione della sfera della competenza assegnata alla Regione . Nel vigente ordinamento, infatti, nulla esige che le finanze delle varie. Regioni differenziate vengano identicamente regolate; ed anzi gli stessi Statuti stanno a dimostrare che, in tal campo, le ragioni della specialit prevalgono spesso sulle ragioni dell'uniformit di trattamento. (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 15 novembre 1985, n. 284 -Pres. Roehrssen - Rel. Bucciare11i Ducci. Tributi erariali diretti -Decumulo dei redditi dei coniugi -Onere di domanda -Legittimit costituzionale. (Cost., artt. 3, 24, 53 e 136; legge 12 novembre 1976, n. 751, artt. 4 e 5)\ Tribunali erariali diretti -Determinazione sintetica del reddito complessivo -Non scomposizione dei redditi dei coniugi Legittimit costi tuzionale. (Cost., art. 24; legge 12 novembre 1976, n. 751, art. 4). Tributi erariali diretti -Lavoro dipendente Spese per la produzione del reddito Determinazione in misura forfettaria Legittimit costituzionale. (Cost., artt. 3, 30, 31 e 37; d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 136). Non rientra nel potere di sindacato della Corte costituzionale valutare le misure con le quali il legislatore, nell'esercizio del suo potere discrezionale, ridisciplina a seguito di una pronuncia di incostituzionalit situazioni complesse, semprech tali misure non travalichino i limiti della ragionevolezza. Essendo fuori discussione la legittimit in se stessa del ricorso alla determinazione sintetica del reddito complessivo, risulta materialmente impossibile scomporre in quote il reddito determinato in ordine al tenore di vita del contribuente e della sua famiglia, cos da potere attribuire una quota al marito e un'altra alla moglie; ogni tentativo di scomposizione, tenuto conto del legittimo criterio di accertamento adottato, sarebbe arbitrario e privo di riscontro con la realt concreta (1). Ragionevolmente il legislatore ha determinato in misura forfettaria le spese di produzione dei redditi di lavoro dipendente (2). (1) Oltre a dichiarare fuori discussione la legittimit in se stessa del metodo sintetico, la Corte parrebbe consentire -e non solo con riguardo alla vicenda transitoria sottopostale -l'accertamento unitario a carico dei coniugi, quando emesso con riferimento al tenore di vita. (2) Irrisolto il problema se la deduzione forfettaria di che trattasi debba essere espressa in termini di imponibile o possa esserlo in termini di imposta (o addirittura possa essere del tutto soppressa). 2 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 94 (omissis) La questione comunque si rivela non fondata anche in ordine alle altre ordinanze. Di fronte alla pronuncia di incostituzionalit del cumulo di redditi tra coniugi, contenuta nella citata sentenza di questa Corte n. 179 del 1976, il legislatore si trov infatti nella necessit di adeguare fa normativa in materia cos da renderla conforme al principio affermato dalla Corte anche per i rapporti tributari gi insorti, ma comunque non definiti. Una situazione del tutto particolare e complessa era quella relativa alla pregressa imposta complementare, abolita dal 1 gennaio 1974. Invero se in linea di massima la sentenza di questa Corte poteva operare direttamente sui rapporti ancora in atto, secondo i princpi generali che regolano gli effetti delle pronuncie di incostituzionalit, nella specie -quando cio ricorrevano le due ipotesi indicate nel paragrafo precedente -il legislatore si trovava di fronte a casi peculiari rispetto ai quali la determinazione degli effetti della pronuncia si presentava estremamente difficile. Si verificavano, infatti, due situazioni transitorie particolarmente complesse -come giustamente osserva l'Avvocatura in uno degli atti di intervento -e cio la ipotesi di un reddito complessivo dichiarato o accertato in via definitiva, mentre la relativa imposta non era stata interamente pagata alla data del 22 luglio 1976 e l'ipotesi in cui l'imposta fosse stata interamente pagata, sul reddito dichiarato, ma fosse stato notificato accertamento in rettifica o d'ufficio non divenuto definitivo alla data del 22 luglio 1976. In entrambi i casi J'obbligazione tributaria risultava o non ancora del tutto estinta sul piano della mera esecuzione (prima ipotesi); o estinta sul piano dell'esecuzione, ma ancora pendente per un accertamento in rettifica o d'ufficio non definitivo (seconda ipotesi). Limitatamente a queste due ipotesi -come si legge negli stessi lavori preparatori -il legislatore ha scelto in via transitoria di imporre agli obbligati fa presentazione di una domanda entro un determinato termine per poter usufruire della tassazione separata. 1 Tutto ci premesso, si deve precisare che non rientra nel potere di sindacato di questa Corte valutare le misure con le quali il legislatore, nell'esercizio del suo potere discrezionale, ridisciplina a seguito di una pronuncia di incostituzionalit situazioni complesse, gi di per s in fase transitoria a seguito di una riforma radicale del sistema tributario, come quella avvenuta con d.P.R. n. 597 del 1973 e con la legge n. 576 del 1975; semprech ben' inteso tali misure non travlichino i limiti della ragionevolezza. E del tutto ragionevole si rivela il criterio adottato di lasciare agli obbligati, nelle due particolari situazioni sopra descritte, la scelta, attraverso la presentazione o meno della domanda, tra il nuovo regime della tassazibne separata e il regime precedente, a seconda della valutazione in concreto di situazioni parzialmente maturate sotto la precedente normativa. La facolt accordata ai contribuenti venuta cos a PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE conciliare gli interessi effettivi dei cittadini con le esigenze di buon andamento della pubblica amministrazione, sottraendo ad un meccanico automatismo una mole notevole di casi, che avrebbe comportato per l'Amministrazione un aggravio organizzativo difficilmente sopportabile, cui poteva non corrispondere l'interesse degli stessi contribuenti. Nessuno, quindi, degli invocati parametri costituzionali stato violato, essendo le norme impugnate dirette proprio alla loro salvaguardia attraverso l'adeguamento della normativa transitoria alla pronuncia di questa Corte. E neppure stato leso l'art. 24 della Costituzione, per la denunciata brevit dei termini (venti giorni per il marito -e trenta per fa moglie) previsti per la presentazione della domanda. Questa Corte ha avuto, infatti, occasione di affermare pi volte che la congruit di un termine.va valutata non solo in rapporto all'interesse di chi ha l'onere di osservarlo, ma anche con riguardo alla funzione assegnata al termine nell'ordinamento giuridico (cfr. sentenze nn. 57 del 1962; 10 del 1970; 138 del 1975 e 31 del 1977). Ed i termini di decadenza sopra descritti trovano giustificazione nella esigenza di una rapida definizione di controversie insorte in vigenza di un sistema tributario ormai abolito, per consentire all'Amministrazione tributaria un'adeguata predisposizione dei propri servizi. Con la seconda questione la Commissione tributaria centrale e la Commissione tributaria di Casale si chiedono se contrasti o meno con l'art. 24 della Costituzione l'ultimo comma del citato art. 4 della legge n. 751 del 1976, nella parte in cui vieta di chiedere la tassazione separata quando il reddito complessivo dei coniugi (comprensivo quindi di quello della moglie) sia stato determinato sinteticamente; per il dubbio che tale disposizione violi il diritto di difesa della moglie stessa. Anche questa questione prospettata nei termmi sopra indicati non fondata. Dispone invero l'art. 137 del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645 che se il tenore di vita del contribuente od altri elementi o circostanze di fatto fanno presumere un reddito netto superiore a quello risultante dalla denunci analitica, il reddito complessivo netto viene determinato sinteticamente con riferimento al tenore di vita del contribuente o ad altri elementi o circostarize di fatto . Essendo fuori discussione la legittimit in se stessa del ricorso alla determinazione sintetica del reddito complessivo, risulta materialmente impossibile scomporre in quote il reddito determinato in ordine al tenore di vita del contribuente e della sua famiglia, cos da potere attribuire una quota al m~rito e un'altra alla moglie; ogni tentativo di scomposizione, tenuto conto del legittimo criterio di accertamento adottato, sarebbe arbitrario e privo di riscontro con la realt concreta. Non sussiste pertanto alcuna lesione dell'art. 24 della Costituzione, sotto il profilo che la norma impugnata priverebbe la moglie del diritto 96 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO alla difesa, impedendole di interloquire a tutela della sua personale situazione, dal momento che l'impossibilit di ricostruire il suo reddito esclude che essa possa assumere la veste di soggetto autonomo del rapporto tributario e nessuna violazione vi pu essere del diritto di difesa per chi non destinatario di un precetto e non quindi obbligato nei confronti dell'Amministrazione. Con la quinta ed ultima questione infine la Corte deve decidere se contrasti o meno <;on gli artt. 3, 31 e 37 della Costituzione l'art. 136 del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 (testo unico sulle imposte dirette), nella parte in cui limita la detraibilit degli oneri da redditi di lavoro subordinato al 20 % dei redditi stessi, con un massimo di Jire 360.000; per il dubbio che tale norma introduca una ingiustificata disparit di trattamento tra lavoratori subordinati e lavoratori autonomi, violando altres i princpi della tutela dell'istituto familiare, del dovere-diritto dei genitori all'istruzione e al mantenimento dei figli e della parit dei sessi in materia di lavoro. Si precisa nell'ordinanza che tali lesioni deriverebbero dalla mancata deducibilit dal reddito della moglie di quanto necessariamente speso per una adeguata custodia dei figli nelle ore che essa deve dedicare alla sua attivit di insegnamento. La questione non fondata. Per quanto attiene invero alla lamentata lesione del principio di uguaglianza (art. 3 della Costituzione), essa non sussiste in quanto la diversit di disciplina tra lavoratori subordinati e lavoratori autonomi, in materia di oneri deducibili, trova la sua giustificazione nella diversit obiettiva di situazioni economiche tra Je due categorie di lavoratori in ordine agli oneri sostenuti per la produzione del reddito. E ragionevolmente il legislatore ha Jimitato tali oneri per i lavoratori dipendenti alle sole spese, non essendo ipotizzabili per questa categoria di lavorl:ltori passivit o perdite -quali si riscontrano nella attivit dei lavoratori autonomi -ed ha inoltre determinato le stesse spese di produzione dei lavoratori subordinati in misura forfettaria. N sussiste i:l lamentato contrasto della norma impugnata con gli artt. 30, 31 e 37 della Costituzione. Secondo i princpi del nostro ordinamento tributario, infatti, il carattere peculiare degli oneri deducibili di essere inerenti alla produzione del reddito del lavoratore, e non gi erogazioni di reddito gi prodotto. E rientrano certamente in quest'ultima categoria, e non nelle spese necessarie per la produzione di reddito, quelle sostenute dalla famiglia per il mantenimento, l'istruzione e l'educazione dei figli. All'interno, quindi, della logica generale che presiede al sistema tnbutario italiano la questione nori pu trovare giuridico fondamento, in modo da assumere rilievo ai fini della .Jesione dei princpi costituzionali invocati. .. . I I PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 97 CORTE COSTITUZIONALE, 15 novembre 1985, n. 287 -Pres. Paladin -Rel. Saja -Provincia di Bolzano (avv. Panunzio) e Presidente Consiglio dei Ministri (Avv. Stato Mataloni). Demanio Alloggi di servizio Sono beni strumentali all'attivit-servizio. Tra i beni relativi a servizi di carattere nazionale (rimasti di spettanza dello Stato) vanno compresi anche tutti gli alloggi dati (o da darsi) in concessione a dipendenti addetti in loco ai predetti servizi (1). (omissis) I tre ricorsi per conflitto di attribuzione -proposti, due, dalla Provincia autonoma di Bolzano e, uno, dallo Stato -hanno, come stato enunciato in narrativa, il medesimo oggetto, rivendicandosi reciprocamente dai due enti la competenza a disporre degli alloggi di servizio costruiti in Bolzano dall'Azienda di Stato per i servizi telefonici: pertanto i relativi giudi.zJi vanno riuniti per essere decisi con unica sentenza. A fondamento della propria pretesa la Provincia invoca gli artt. 8, n. 10 ,e 16 d.P.R. 31 agosto 1972 n. 670, che approva il testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, in base ai quali essa ha la potest legislativa primaria nonch la competenza amministrativa in materia di edilizia co:munque sovvenzionata. La Provincia richiama anche l'art. 8, lett. b) d.P.R. 20 gennaio 1973 n. 115 che, in attuazione del citato statuto speciale in materia di trasferimento alle due Province autonome di beni demaniali e patrimoniali dello Stato (e della Regione), dispone il passaggio degli alloggi economici e popolari di propriet di quest'ultimo. A dire della Provincia, il trasferimento comprenderebbe anche gli immobili in questione, in quanto non sarebbe applicabile l'eccezione, prevista nello stesso art. 8 lett. b), riguardante gli alloggi la cui concessione sia essenzialmente condizionata alla prestazione in loco di un determinato (1) Negli anni Settanta, in nome di una gestione unitaria del problema della casa (e per ,secondare una tendenza al livellamento), si era smarrita la consapevolezza della specificit delle esigenze abitative del personale statale sottoposto a trasferimenti frequenti e non solo in ambito locale (si pensi, ad esempio, alla soppressione dell'INCIS, ed alla abolizione di asseriti privilegi in sede di assegnazione di alloggi di edilizia pubblica). La sentenza in rassegna riconosce piena legittimit ed ampia portata all'istituto giuridico dello alloggio di servizio : tale non soltanto l'alloggio di rappresentanza o fisicamente inserito in un impianto adibito al pubblico servizio o in un edificio adibito a pubblico ufficio, ma qualsiasi alloggio funzionalmente collegato all'attivit svolta dalla amministrazione o azienda o, in genere, entit datrice di lavoro. V' di pi: la sentenza opera una efficace trasposizione nell'ambito pubblicistico della nozione di bene strumentale che ha ricevuto elaborazione e riconoscimento (anche ai fini tributari) in relazione alla impresa . 98 RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO servizio presso pubbliche amministrazioni: in questa eccezione, sempre secondo la Provincia, rientrerebbero soltanto gli alloggi concessi intuitu ministerii ai pubblici dipendenti, ma non anche a queHi qui considerati, la cui costruzione era diretta ad evitare al personale situazioni di disagio derivanti dalla destinazione in citt ove maggiore la difficolt di procurarsi abitazioni private. Obietta la difesa dello Stato che, se pure gli immobili in questione potessero rientrare nella previsione dell'art. 8 n. 10 Stat. cit. -sul che esso muove qualche dubbio - decisivo il fatto che i medesimi rimangono di spettanza statale secondo il disposto dell'art. 68 dello stesso Statuto, che esclude le Province dalla successione nei beni demaniali e patrimoniali dello Stato relativi a servizi di carattere nazionale , Ne consegue, sempre secondo lo Stato, che gli alloggi di cui si tratta non possono rientrare nella previsione dell'art. 8 lett. b) delle Norme di attuazione ult. cit., essendo comunque riconducibili all'eccezione ivi prevista e relativa alle abitazioni concesse ai dipendenti pubblici. La pretesa della Provincia non sembra sorretta da valide ragioni, mentre risulta fondata quella dello Stato. Come si detto, il cit. art. 68 dello Statuto, nell'indicare i beni rispetto ai quali le due province autonome succedono allo Stato, espressamente eccettua, tra l'altro, quelli relativi... a servizi di carattere. nazionale... tra i quali rientra certamente quello telefonico, rimasto di spettanza statale; e va da s che la previsione normativa comprende non solo gli immobili in cui il servizio stesso viene espletato, ma anche quelli ad esso funzionalmente collegati. Ci stato correttamente tradotto nelle citate norme di attuazione, il cui art. 8 lett. b), come si ora detto, esclude da1 trasferimento gli alloggi la cui concessione sia essenzialmente condizionata alla prestazione in loco di un determinato servizio presso pubbliche amministrazioni (statali)... , L'assunto della Provincia, secondo cui quest'ultima disposizione si riferisce soltanto agli alloggi concessi al dipendente intuitu ministerii, ossia con riguardo alle singole e specifiche funzioni da lui esercitate e con l'automatica cessazione al momento del venir meno dalla carica (prefetti, comandanti di reparti militari, ovvero impiegati della carriera esecutiva con funzioni di custodi) non pu essere condiviso. Anzitutto, la formula adoperata non nuova nella nostra legislazione (cfr. art. 2 lett. b) e c) d.P.R. 17 gennaio 1959 n. 2) ed stata sempre e concordemente intesa dalla giurisprudenza della Cassazione e del Consiglio di Stato nel senso che comprende tutti gli alloggi comunque concessi ai dipendenti, alla sola condizione che essi espletino in loco le mansioni pubbliche, alle quali sono preposti. da ritenere perci che, se il legislatore del 1973 avesse voluto formulare una diversa previsione, altra sarebbe stata l'espressione da lui PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE adoperata, mentre il'impiego della medesima formula chiaramente manifesta la volont di affermare lo stesso concetfo. E ci aderisce pienamente alle finalit dell'amministrazione centrale, la quale nel costruire gli alloggi del tipo in questione mossa dall'intent (come, in particolare, risulta espressamente per l'Azienda dei telefoni dal preambolo della legge di autorizzazione 11 dicembre 1952 n. 2521) di evitare ai propri dipendenti le difficolt, influenti negativamente sul funzionamento degli uffici, di soddisfare l'esigenza primaria dell'abitazione nelle localit ove maggiore la crisi degli alloggi. Pertanto, non essendo stato trasferito alla Provincia il servizio telefonico, che, come si gi detto, rimasto nelle attribuzioni dello Stato, non possono non continuare ad appartenere a quest'ultimo (ed appunto sono esclusi dal trasferimento) anche i beni preordinati al buon andamento del servizio stesso. In proposito, si pu anche ricordare che l'art. 24 d.P.R. 22 marzo 1974 n. 381 (norma di attuazione del pi volte citato Statuto speciale in materia urbanistica e di opere pubbliche) riserva allo Stato la costruzione di alloggi per i propri dipendenti la cui concessione sia essenzialmente condizionata alla prestazione in loco di un determinato servizio: disposizione che, com' evidente, ijsulta in linea con quella gi esaminata dal ricordato art. 8, lett. b), d,P.R. n. 115 del 1973 e conferma ulteriormente l'interpretazione qui accolta. p.q.m. dichiara che spetta allo Stato provvedere all'assegnazione degli alloggi costruiti nel territorio della Provincia di Bolzano dall'Azienda statale per i servizi telefonici, per concederli ai propri dipendenti che prestano servizio in loco; ... I CORTE COSTITUZIONALE, 22 novembre 1985, n. 302 -Pres. Paladin -Rel. Andrioli -Curatore del fallimento Gargiulo Luisa (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice Avv. Gen. Stato Chiarotti). Fallimento -Chlustira In mancanza di attivo -Revoca della sentenza dichiarativa de1. fallimento -Compenso del curatore. (Cost., artt. 3, 23 e 36; r.d. 16 marzo 1942, n. 267, artt. 21 e 91). Non costituzionalmente illegittima la mancata previsione di un compenso a carico dello Stato a favo re dei curatori fallimentari nei casi di chiusura del fallimento per mancanza o insufficienza di attivo o di revoca della sentenza dichiarativa del fallimento . ;...cr.'..c.-;..cr.,..,.,.,.,,.,.,.,. ,. urrrr.,r. ,,.,,..-ᥥ 100 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO II CORTE COSTITUZIONALE, 22 novembre 1985, n. 303 -Pres. Paladin -Rel. Andrioli -Boneschi (avv. Mazzei) e Cassa di risparmio di Ravenna (avv. Calzetta). Fallimento -Liquidazione dei compensi al curatore, ai patrocinatori e ad altri incaricati dell'amministrazione fallimentare -Reclami al tribunale fallimentare -Termine per la proposizione. (Cost., art. 24; r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 26). Contrasta con l'art. 24 comma secondo Cost. l'art. 26 della legge fallimentare, quanto al comma primo, nella parte in cui fa decorrere il termine di tre giorni per il reclamo al tribunale dalla data del decreto del giudice delegato anzich dalla data della comunicazione dello stesso ritualmente eseguita, e quanto ai commi primo e secondo (in riferimento agli artt. 23 comma primo ed all'art. 25 n. 7 ultima proposizione), nella parte in cui assoggetta a reclamo al tribunale il decreto con il quale il giudice delegato liquida il compenso a qualsiasi incaricato per l'opera prestata nell'interesse del fallimento. III CORTE COSTITUZIONALE, 22 aprile 1986, n. 102 -Pres. Paladin -Rel. Andrioli -Esattoria di Gela e Presidente Consiglio dei Ministri (Avv. Stato Siconolfi). Fallimento -Opposizione a stato passivo -Creditori esclusi -Impugnazione dello stato passivo -Termine per la opposizione e per l'impugnazione. (Cost., art. 24; r.d. 16 marzo 1942, n. 267, artt. 98 e 100). Contrastano con l'art. 24 comma secondo Cost. l'art. 98 comma primo e l'art. 100 comma primo della legge fallimentare, il primo nella parte in cui stabilisce che i creditori esclusi o ammessi con riserva possono fare opposizione entro quindici giorni dal deposito dello stato passivo anzich dalla data di ricezione delle raccomandate con avviso di ricevimento con le quali il curatore deve dare notizia dell'avvenuto deposito ai creditori che hanno presentato domanda di ammissione al passivo, ed il secondo nella parte in cui ciascun creditore pu impugnare i crediti ammessi con ricorso al giudice delegato entro quindici giorni dal deposito dello stato passivo in cancelleria anzich dalla data di ricezione delle I I PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE raccomandate con avviso di ricevimento con le quali il curatore deve dare notizia dell'avvenuto deposito ai creditori che hanno presentato domanda di ammissione al passivo. IV CORTE COSTITUZIONALE, 30 aprile 1986, n. 120 -Pres. Paladin -Rel. Andrioli. Fallimento -Opposizione a stato passivo -Creditori esclusi -Impugnazione dello stato passivo -Decreto di fissazione della udienza di compari-. zione Comunicazione. (Cast., art. 24; r.d. 16 marzo 1942, n. 267, artt. 98 e 100). Contrastano con l'art. 24 comma secondo Cast., l'art. 98 comma secondo e l'art. 100 comma secondo della legge fallimentare, il primo nella parte in cui non prevede nei confronti del creditore opponente la comunicazione, almeno quindici giorni prima della udienza di comparizione, del decreto ivi indicato, comunicazione dalla quale decorre il termine per la notificazione di esso al curatore, ed il secondo nella parte in cui non prevede nei confronti del creditore impugnante la comunicazione, almeno quindici giorni prima dell'udienza di comparizione, del decreto ivi indicato, comunicazione dalla quale decorre il termine per la notificazione di esso al curatore e ai creditori i cui crediti sono impugnati. I In disparte il rilievo che nella prassi i giudici delegati si inducono ad indennizzare i professionisti, cui affidata la curatela di fallimento che si appalesa privo di attivo suscettibile di ripartizione, con la nomina a curatori di fallimenti, nei quali la ripartizione di attivo sembra probabile, la questione d'incostituzionalit, in riferimento sia a revoca di dichiarazione di fallimento sia a fallimento chiuso con insufficienza o carenza di attivo, da giudicare infondata perch nessuna delle disposizioni costituzionali addotte a parametri vale a giustificarla: non l'art. 23 perch la legalit della imposizione di prestazione patrimoniale non vuol significare onerosit della prestazione stessa e bando a uffici gratuiti di cui non difettano esempi nella patria legislazione; non l'art. 36 perch il curatore farnmentare non pu essere qu~lificato lavoratore nel senso al sostantivo assegnato nel Titolo III della Parte I della Carta Costituzionale, n infine l'art. 3 perch l'accettazione della nomina di curatore non rivestita del carattere di obbligatoriet che riviene alla nomina del perito dall'art. 314 comma quarto c.p.p. 102 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO III (omissis) Il sospetto d'incostituzionalit dell'art. 98 comma primo ( I creditori esclusi o ammessi con riserva possono fare opposizione, entro quindici giorni dal deposito dello stato passivo in cancelleria, pre sentando ricorso al giudice delegato) r.d. 16 marzo 1942, n. 267 , fondato perch manifesta l'offesa inflitta al diritto di difesa garantito -quale che sia lo stato e il grado del procedimento -dall'art. 24 I comma secondo Cost. Vero che questa Corte ebbe a dire infondata la questione con sent. 157/1971, ma non men vero che nell'area del diritto fallimentare l'art. 18 comma primo stato con sent. 151/1980 dichiarato illegittimo i nella parte in cui prevede che il termine di quindici giorni per fare opposizione decorra per il debitore dall'affissione della sentenza che ne dichiara il fallimento, n d~versa sorte stata riservata con sent. 152/1980 all'art. 99 comma quinto nella parte in cui fa decorrere i termini per appellare e proporre ricorso in Cassazione dalla affissione della sentenza resa sull'opposizione allo stato passivo, e con sent. 303/1985 all'art. 26 comma primo nella parte in cui fa decorrere il termine per il reclamo al tribunale dalla dat~ del decreto del giudice delegato di liquidazione del compenso a incaricati anzich dalla data della comunicazione dello stesso ritualmente eseguita. Nella pi ampia area delle procedure concorsuali estrafallimentari non sono da negligere la sent. 255/1974, che ebbe a dichiarare J'incostituzionalit dell'art. 183 comma primo nella parte in cui per le parti costituite fa decorrere il termine per proporre appello contro la sentenza che omologa o respinge il concordato preventivo dall'affissione anzich dalla data di ricezione della comunicazione della stessa e, in particolare guisa, la sent. 155/1980, che ha dichiarato l'illegittimit costituzionale dell'art. 209 comma secondo nella parte in cui prevede che il termine per le opposizioni dei creditori in tutto o in parte esclusi decorra dalla data del deposito, nehla cancelleria del tribunale dove l'impresa in liquidazione coatta amministrativa ha la sede principale, dell'elenco dei crediti ammessi o respinti, formato dal commissario liquidatore, anzich dalla data di ricezione delle raccomandate con avviso di ricevimento con le quali il commissario liquidatore d notizia dell'avvenuto deposito ai creditori le cui pretese non sono state in tutto o in parte ammesse. La circostanza che nella motivazione della sent. 155/1980 abbia questa Corte posto in rilievo le divergenze strutturali e qualifcatorie che separano l'accertamento del passivo a seconda che formi parte di fii,llimento ovvero di liquidazione coatta amministrativa, non giova a ravvisarvi, come ha argomentato l'interveniente Presidente del Consiglio dei ministri, conferma deHa ratio decidendi che informava di s la sent. 157/1971, non solo perch le considerazioni sulla verificazione fallimentare dei crediti altro non erano che un obiter dictum, ma anche, e sopr-attutto, perch la diversa strut PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE tura delle due verifiche evidenziata dalla natura amministrativa dell'elenco dei creditori ammessi e esclusi, formato dal commissario della I.e.a., non consentiva di far leva sul collegamento tra formazione dello stato passivo e opposizioni dei creditori in tutto o in parte esclusi che ha indotto correnti dottrinali ad inserire l'accertamento del passivo faHimentare nella categoria dei processi di accertamento sommario di cui al Capo I del Libro IV del codice di procedura civile. Pertanto, la declaratoria di incostituzionalit dell'art. 98 comma primo neHa parte in cui fa decorrere il termine per l'opposizione dal deposito dello stato passivo, si impone, e la sent. 155/1980 induce la Corte ad emettere pronuncia manipolativa additiva sostituendo nella funzione di dies a quo al deposito dello stato passivo la ricezione della raccomandata con avviso di ricevimento con la quafo il curatore , ai sensi dell'art. 97 comma terzo, tenuto a dar notizia ai creditori esclusi o ammessi con riserva. Non basta... reputa questa Corte che il detta~e del processo giusto a render concreto il quale si indirizzano non solo l'art. 24 comma secondo Cost., ma anche l'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libert fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e l'art. 15 del Patto internazionale di New York del 19 dicembre 1966, relativo ai diritti civili e politici, non sia in pieno realizzato se non si precisi che il curatore tenuto a dar notizia non solo ai creditori in tutto o in parte esclusi o ammessi con riserva ma anche agli altri creditori che hanno proposto domanda di ammissione al passivo. Due ordini di motivi inducono a tanto la Corte. Il carattere concorsuale della ripartizione dell'attivo della quale la verificazione del passivo funge da presupposto, fa s che ciascun creditore si atteggi rispetto a ciascun altro creditore quale homini lupus: del che rappresenta -ancor prima dell'art. 100 -incisiva immagine l'art. 96, comma secondo r.d. 267/1942, a tenor del quale il giudice delegato, che pur ha predisposto lo stato passivo, tien conto, nella adunanza fissata, ai sensi dell'art. 16 n. 5, nella sentenza dichiarativa di fallimento, del:le contestazioni e delle osservazioni degli interessati (creditori e terzi che vantano diritti reali su cose mobili del fallito), nonch dei nuovi documenti esibiti, al fine di apportare le modificazioni e le integrazioni che ritiene necessarie. La finalit pratica cui la verificazione dello stato passivo indirizzata, ove la s'inquadri nella categoria degli accertamenti sommari, non consente che nella successiva fase a contraddittorio pieno sia modificata la sfera dei legittimati ad agire e a contraddire, quale delineata nel combinato disposto degli artt. 16 n. 5, 95 comma quarto e 96. Pertanto: tutti i creditori menzionati nello stato passivo -ammessi o no -debbono essere dal curatore notiziati mediante raccomandata con avviso di ricevimento. (omissis) I 104 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 1,, l I ~ CORTE COSTITUZIONALE, 22 novembre 1985, n. 304 (ord.) -Pres. Palal din -Rel. Borzellino. \ i i I Tributi erariali indiretti -IVA -Pena pecuniaria -Versamento del sesto del massimo -Nella procedura fallimentare -Inammissibilit della I questione. (Cost., art. 3; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 58). I Non pu richiedersi alla Corte costituzionale di attribuire al curatore fallimentare la possibilit di versare all'Ufficio I.V.A. una somma pari ad un sesto del massimo della pena pecuniaria (irrogata) entro trenta giorni dalla data di approvazione del piano di ripartizione finale (1). II CORTE COSTITUZIONALE, 23 aprile 1986, n. 111 -Pres. Paladin -Rel. Gallo -Ugolini e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Salimei). Tributi erariali indiretti IVA Pene pecuniarie Delega legislativa Principi e criteri direttivi Sufficienza. (Cost., art. 76; legge 9 ottobre 1971, n. 825, art. 10; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 43). I princpi e criteri direttivi indicati nell'art. 10, punti 7 e 11, della legge n. 825 del 1971 sono sufficientemente determinati, tenuto conto della preesistenza di una disciplina delle sanzioni tributarie e della previsione dei vari obb.lighi sostanziali e formali dei contribuenti. III CORTE COSTITUZIONALE, 30 aprile 1986, n. 115 -Pres. Paladin -Rel. Borzellino. Tributi erariali indiretti -IVA -Vendite fallimentari -Applicazione ad esse del regime IVA -Legittimit costituzionale. (Cost., artt. 76 e 87; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 74 bis, come da d.P.R. 29 gen naio 1979, n. 24). L'estensione del regime IVA alle vendite fallimentari finalizzate alla liquidazione delle attivit ragionevole e non contrasta con i princpi e criteri direttivi indicati dalla legge delega n. 825 del 1971. (1) La questione prospettata nella ordinanza di rimessione non avrebbe potu to essere accolta anche perch l'istituto del versamento del sesto concerne la non-irrogazione della pena pecuniaria (e non il venir meno della penalit anteriormente irrogata). PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 105 IV CORTE COSTITUZIONALE, 30 aprile 1986, n. 116 -Pres. Paladin -Rel. Borzellino. Tributi erariali indiretti IVA Pene pecuniarie Non irrogazione per versamento del sesto del massimo Verbale di constatazione Nozione pi lata. (Cost., artt. 3 e 53; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 58, come da d.P.R. 29 gen naio 1979, n. 24). Dopo le correzioni introdotte con d.P.R. n. 24 del 1979, la non-irrogazione delle pene pecuniarie per versamento del sesto del massimo pu aversi in presenza di qualsiasi atto ufficiale di constatazione; non v' quindi contrasto alcuno con il principio di eguaglianza. V CORTE COSTITUZIONALE, 23 maggio 1986, n. 128 -Pres. Pafadin -Rel. Gallo -Rigoni & Co. e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Salimei). Tributi erariali diretti -IRPEF -Dichiarazione del sostituto di imposta Omessa presentazione Non mera violazione formale. (Cost., artt. 23 e 76; legge 9 ottobre 1971, n. 825, art. 10; d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 47 e 55). Gli illeciti tributari di pericolo non possono essere qualificati meramente formali; sono di pericolo gli illeciti di omessa dichiarazione e quelli mediante i quali, in generale, non si forniscon0 agli uffici tributari dati ed informazioni rilevanti per gli accertamenti (anche a carico di soggetti diversi da quello che tali dati ed informazioni avrebbe dovuto fornire) (2). I Ritenuto che con le ordinanze in epigrafe stata sollevata in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimit costituzionale dell'art. 58 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (Imposta sul valore aggiunto) nella parte in cui non prevede la possibilit per il curatore fallimentare di versare all'ufficio IVA una somma pari ad un sesto del massimo della (2) Il principio affermato nella sentenza, ed evidenziato nella massima, appare di notevole importanza non solo teorica, ed suscettibile di applicazioni anche per gli illeciti tributari costituenti reato. 106 RASSEGNA DEU.'AWOCATURA DELLO STATO pena entro trenta giorni dalla data di approvazione del piano di ripartizione finale; ... che l'art. 58 del d.P.R. n. 633 del 1972 stato sostituito, in tempi successivi alle ordinanze, dall'art. 1, del d.P.R. 29 gennaio 1979, n. 24,. il quale, peraltro, non avendo modificato la norma impugnata in parte qua, non rende necessaria la restituzione degli atti al giudice a quo per un nuovo esame sulla rilevanza; che la questione prospettata vene ad incidere sulla regolamentazione dei poteri del curatore fahlimentare attinenti alle modalit dei pagamenti in favore dei creditori, oggetto di articolata e specifica disciplina normativa; che, pertanto, l'intervento della Corte implicherebbe, nell'ambito delle possibili diverse soluzioni all'interno di un complesso sistema normativo, scelte discrezionali che solo al legislatore dato di effettuare. II Con ordinanza 22 ottobre 1979 la Commissione tributaria di primo grado di Trento sollevava questione di legittimit costituzionale del~ art. 43 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 in relazione all'art. 10, secondo comma, n. 11 della 1. 9 ottobre 1971, n. 825, con riferimento all'art. 76 Cost.; l'ordinanza rilevava che l'ampiezza della delega legislativa, di cui all'art. 10, secondo comma, n. 11 impugnata, non sembrava ossequiente ai princpi posti dall'art. 76 Cost. in quanto non sarebbero ravvisabili n la determinazione di princpi e criteri direttivi n gli oggetti definiti di cui parla il parametro costituzionale: in guista che le statuizioni contenute nell'art. 43 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 risulterebbero frutto di libera scelta del Governo anzich espressione di delega del Parlamento. Secondo il Giudice tributario, infatti, la legge delega non precisa quali atti costituiscano violazioni da assoggettare a sanzioni, n individua quali, per la maggiore gravit, debbano essere puniti con pena detentiva. D'altra parte, la delega nemmeno fissa alcun criterio direttivo per la graduazione delle pene in rapporto alla entit delle violazioni, n detta princpi distintivi per la scelta in ordine alla specie delle sanzioni, n infine, indica elementi idonei a configurare il rapporto fra imposta evasa e sanzione. (omissis) La sollevata questione non fondata. Come ha rilevato l'Avvocatura generale dello Stato, esatto che princpi e criteri direttivi (si tratti o non di concetti distinti) non sono comunque contenuti esclusivamente nel punto 11 del secondo comma dell'art. 10 della legge delega, ma si rinvengono anche nel punto 7 dello stesso comma e nel primo comma. In realt, poi, a tutto il complesso del sistema che occorre avere riguardo per giudicare della conformit della delega ai rigorosi princpi I' '.:'.:'.:'.::!:'.:'.:'.:'.:'.:::'.:::'.:::'.:'.:'.!:'.:'.:'.:'.:'.:'.:'.:'!:'.:'.:'.:'.:'.C.'.'.:'.:'.'.'.:'.'.'.<:'.'.'.'.'.'.'.'.'.'.'.<:-'.'.'.'.'.::'.'.'.::-:'.'.-'.'.:'.'.:'.'.'..'."....-ccc.'."n:::::.::ZZ::.'.CC"'.':::'.:C-'.:Z:.'c'.-mmm.-.w.-c.-,.-Nccc.-.-cc- 107 PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE fissati dalla Costituzione, tenendo conto che al legislatore delegato era stato assegnato un compito ben preciso: e, cio, quello di adeguare la disciplina delle sanzioni tributarie gi esistenti, e predeterminate dalla legge, alle riforme che la stessa legge delega prevedeva. Tale compito doveva essere svolto perfe;zionando il sistema delle sanzioni attraverso una migliore commisurazine delle sanzioni stesse alla effettiva entit oggettiva e soggettiva delle violazioni. Sono, dunque, le nuove norme tributarie a disporre innanzitutto i vari obblighi sostanziali e formali dei contribuenti: obblighi che gi configurano quei precetti che non restano, perci, affidati all'inventiva del legislatore delegato. Per altro verso, poi, il sistema tributario vigente, e quindi ancora una vola la legge non delegata, a prevedere le sanzioni amministrative dirette, che il legislatore delegato pu comminare per la inosservanza di quei precetti. N la discrezionalit del legislatore delegato nella scelta dei precetti da sanzionare e delle sanzioni da adottare senza limiti, posto che il delegante l'ha espressamente subordinata alla necessit di commisurare e graduare queste ultime alla entit delle violazioni. Si tratta, perci, di una discrezionalit minima, tale da rendere possibile al potere delegato di adeguare la disciplina della situazione preesistente alla riforma, perfezionando il sistema delle sanzioni, cos come Ja delega prescrive. Ed appena il caso di osservare che la Corte intende riferirsi alle sanzioni amministrative, essendo esclusa dai limiti di rilevanza della questione proposta ogni considerazione concernente le sanzioni penali. Cos come, peraltro, appare evidente che l'impugnazione dell'art. 43 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, meramente conseguenziale a quella relativa all'art. 10 n. 11 della 1. 9 ottobre 1971, n. 825, deve essere parimenti respinta. III (omissis) L'art. 74 bis, comma secondo, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell'imposta sul valore aggiunto), come introdotto dall'art. 1 del d.P.R. 23 dicembre 1974, n. 687 (sostituito, ma senza incidenza in punto, dall'art. 1 del d.P.R. 29 gennaio 1979, n. 24), estende il regime d'imposta sul valore aggiunto alle vendite fallimentari, ponendo i relativi adempimenti a carico del curatore. Tuttavia, secondo i giudici a quibus tale norma sarebbe in contrasto con gli artt. 1 e 5 della legge 9 ottobre 1971 n. 825 (delega legislativa al Governo della Repubblica per la riforma tributaria), ove prevista l'applicabilit del tributo in parola alle cessioni di beni di ogni specie effettuate nell'esercizio di imprese (cos testualmente art. 5, n. l, legge n. 825) e tali non apparendo, in generale, le operazioni conseguenti al fallimento . ..................:I'.".....,.....-..........!.!.......:..; . . .. r. .. ..................-...:.~:.......'..;.-..,..,:,...:......,,,,,,.-...,.,:...,,....,,,,..,,.,,,,,,,...,:..;.., 108 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Sicch, sempre a parere dei remittenti, risulterebbero violati (eccesso di delega) gli artt. 76, 77, primo comma, e 87, quinto comma, della Costituzione. Dall'Avvocatura generale dello Stato, intervenuta per conto del Presidente del Consiglio dei ministri, stata eccepita la inammissibilit della questione sollevata dal giudice delegato al fallimento: difetterebbe, infatti, la sussistenza di un giudizio , non spettando al giudice a quo emettere, in fattispecie, una decisione nel merito e nei confronti dell'Amministrazione finanziaria. L'eccezione va accolta. In concreto, il curatore fallimentare aveva fatto istanza al giudice delegato affinch, nell'esercizio dei poteri direttivi ex art. 25 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (legge fallimentare), questi avesse a chiarire l'assoggettamento o meno della vendita fallimentare all'imposta sul valore aggiunto (IVA). Sicch, il provvedimento richiesto, chiaramente da emanarsi nell'ambito di una mera potest direttiva, risulta privo delle connotazioni di esercizio della funzione giurisdizionale. Il giudizio incidentale di cui alla menzionata ordinanza va dichiarato, pertanto, inammissibile. L'incidente viene, peraltro, in rilievo nel merito con l'ordinanza della Commissione tributaria di Cremona. La questione non fondata. Essa si incentra su di un assunto eccesso, ad opera del legislatore delegato, il quale avrebbe normativamente affermato l'applicabilit del tributo, esorbitando dai princpi e criteri emanati con la legge n. 825/1971, determinanti l'assoggettamento all'imposta (art. 5, n. 1). delle cessioni effettuate nell'esercizio d'impresa. Esercizio questo che viene ora contestato nell'ambito proprio delle vendite fallimentari, finalizzate -quando siano al di fuori della continuazione temporanea dell'impresa (autorizzabile ex art. 90 regio decreto n. 267/1942) -alla liquidazione delle passivit e delle attivit ed al solo scopo, perci, delle inerenti operazioni debitorie e creditorie. Ora noto che l'attivit liquidatoria volta alla tutela di interessi precipuamente radicati nelle elaborazioni comuni largamente regolate nell'esperienza civilistica, con indubbia confliggenza, se esaminata in tali sensi, tra liquidazione da fallimento e normale esercizio d'impresa. Senonch, altrettanto rimarchevole che i princpi regolanti i rapporti privati in genere non si trapiantano per ci stesso, integralmente, nella normativa tributaria cui essi danno origine. (omissis) Pu essere conferente evidenziare, all'uopo, come anche nella identificazione positiva del reddito d'impresa i connotati deducibili delle norme civilistiche siano stati utilizzati, nel campo tributario, per dilatare in parte le configurazioni civilistiche medesime (sentenza n. 42 del 1980), s da trarne una concettualit posiva, pi lata pei fini del carico tributario relativo. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALB In concreto, adunq1:1e, con riferimento alila dedotta vicenda di applicazione dell'IVA, il legislatore tributario ha ragionevolmente mostrato, con stretto riferimento all'imposta di cui trattasi (a tanto conforta anche recente giurisprudenza della Corte di cassazione), di non voler distinguere tra l'attivit gestionale dell'impresa e il momento della sua liquidazione, ancorch coattiva. All'incontro, per gli specifici intenti di prelievo fiscale cui si riconducono i principi normativi relativi, ha proiettato in un unicum le due fasi: di gestione, cio, e di liquidazione. Talch, nessun eccesso di delega appare essersi prodotto negli ambiti puntuali di cui questione. IV (omissis) L'art. 58, quarto comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 nel testo sostituito dall'art. 1 del successivo d.P.R. 29 gennaio 1979, n. 24, consente, in materia di imposta sul valore aggiunto (IV A) e per il caso di violazioni da parte del contribuente, di evitare la irrogazione della pena pecuniaria mediante il versamento di una somma pari al sesto del massimo della pena medesima. Ci a condizione che in tali sensi si provveda nel termine di giorni trenta dalla data del verbale di constatazione della violazione. Secondo i giudici a quibus il disposto contrasterebbe con l'art. 3 della Costituzione (per la Commissione tributaria di Matera anche con l'art. 53), per una disparit di trattamento fra i contribuenti oggetto di controllo cartolare e segnatamente que1li che avessero a presentare, spontaneamente, una rettifica di precedente dichiarazione del tributo (sono queste le fattispecie dedotte) e coloro i quali fossero oggetto, invece, di esplicita constatazione. La questione non fondata. Per l'Avvocatura generale dello Stato, che ha dispiegato intervento, tale infondatezza discenderebbe dal disposto dell'art. 15, primo comma, della legge 7 gennaio 1929, n. 4 (Norme generali per la repressione delle violazioni delle leggi finanziarie) l dove ed in via generale appunto resta consentito ai trasgressori per violazione, comunque, delle norme finanziarie di corrispondere, con effetti liberatori, il sesto della pena pecuniaria relativa. Tale asserto, tuttavia, non ha pregio poich -a ci confortando anche la giurisprudenza tributaria -l'art. 58, quarto comma, del d.P.R. n. 633 (cos come ora sostituito, ma di ci si dir in appresso) ha introdotto un istituto assolutamente diverso dalla definizione in via breve prevista dal richiamato art. 15 della legge n. 4/1929, in quanto consente di determinare, con effetti estintivi della sola pena pecuniaria, iJ mero aspetto sanzionatorio delle violazioni, escludendosi, per intanto, il con 110 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO testuale pagamento del tributo, cos come richiesto invece dalla legge del 1929 con tutte le conseguenze a ci inerenti. Per una corretta disamina de1la questione qui considerata -limitata come si espresso alla estinzione della pena pecuniaria e fuori, pertanto, dalla portata della legge n. 4 del 1929 -va chiarito che la dizione origin~ria dell'art. 58 circoscriveva la facolt dei versamenti estintivi in parola ai soli casi relativi ad accessi, verifiche o indagini dell'Autorit finanziaria, attivit tutte correlate per principio generale (art. 24 legge n. 4), ancor prima che in forza dell'art. 52, comma sesto, d.P.R. n. 633, al puntuale rigore di redazione del processo verbale delle operazioni accertative conseguenti. All'incontro, la nuova normativa (art. 1 del d.P.R. n. 24 del 1979) pone in luce un contenuto pi ampio rispetto alla primitiva norma, dalla quale sono stati chiaramente espunti gli ambiti iniziali, strettamente connessi, come detto, ad un accertamento specifico -mediante accessi, verifiche o indagini -delle perpetrate violazioni. Consegue, e anche qui sorregge in parte la giurisprudenza tributaria, che fa lata dizione verbale di constatazione, se e quando svincolata dalle richiamate formalit del procedimento ispettivo in contraddittorio ex art. 52 del d.P.R. n. 633/1972 (suscettibile addirittura di operazioni necessitanti di autorizzazione dell'Autorit gi.diziaria), consente di esser riportata, a seconda delle ipotesi che abbiano in concreto a ricorrere, alla pi generale nozione di atto ufficiale di constatazione: con una flessibile equipollenza, cio, fra documenti, pur sempre ufficiali quanto a origine e sostanza, che abbiano tuttavia, allorch inerenti a fattispecie radicate su di un mero controllo cartolare, a trovare loro spiegazione funzionale e correlato senso tecnico nello svolgersi di situazioni concrete pur diverse, ma riconducibili onnicomprensivamente alla ratio di legge, ostativa comunque, ricorrendo la certezza documentale ai fini del versamento in termini, alle irrogande sanzioni pecuniarie. Il che comporta, indubbiamente, la collocazione paritaria delle varie situazioni, per gli scopi di cui causa, non potendosi, pertanto, ravvisare inciso dalla norma l'art. 3 della Costituzione (e meno ancora il successivo art. 53, sul quale -peraltro -la relativa ordinanza non ha portato argomentazione di sorta). V L'ordinanza della Commissione tributaria di Bassano, pur impugnando norme emanate dal legislatore delegato, in realt rivolge censura d'illegittimit costituzionale esclusivamente e direttamente all'art. 10, comma secondo, n. 11 della legge di delegazione 9 ottobre 1971, n. 825, per asserita incompatibilit nei confronti degli artt. 23 e 76 Cost. Afferma testualmente l'ordinanza che i decreti delegati visti a monte, cio i l I I I I ' PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE in rapporto alla legge di delegazione n. 825/71, art. 10, punto 11, vanno censurati perch tale legge appare viziata di validit costituzionale. (omissis). Analoga questione propone anche la Commissione tributaria di Belluno. Tutto ci precisato, deve qirsi che la sollevata questione non fondata. da escludersi, infatti, che -come sostiene il giudice tributario la delega in parola possa essere addirittura definita in bianco perch attribuirebbe al potere delegato un illimitato potere di scelta dei tipi di sanzione utilizzabili per punire gli illeciti, e di classi:ficazone dei fatti cui estende l'applicazione: e ci, in quanto indeterminati o assenti sarebbero i criteri direttivi. Come questa Corte ha rilevato in sentenza, n. 111 del 1986, occorre guardarsi da prospettive particolari che, avulse dal contesto del complesso generale del sistema, danno un concetto erroneo e riduttivo dei princpi fissati dal l~islatore delegante. Questi, infatti, ha assegnato al potere delegato un compito ben preciso, consistente nell'adeguazione della preesistente disciplina delle sanzioni tributarie alla riforma che Ja legge delega prefigurava. Ma non vero che nella scelta dei precetti da sanLionare e in quella delle sanzioni da adottare il legislatore delegante non abbia indicato criteri e non abbia posto limiti al Governo. Quelle scelte, infatti, restano subordinate ad un preciso criterio indicato nella delega: . quello, cio, di commisurare e graduare le sanzioni alla entit delle violazioni, al fine di adeguare alla riforma la disciplina della situazione preesistente; e ci nella prospettiva di un perfezionamento del sistema sanzionatorio. Costretto, pertanto, fra scelte obbligate su oggetti predeterminati e precisi criteri di scelta, non si pu affermare che il Jegislatore delegato non abbia,, la strada segnata da princpi e criteri direttivi: giusta le indicazioni del dettato costituzionale. Deve dirsi, infine, che inconferente il riferimento all'art. 23 Cost., essendo pacifico, per la stessa ordinanza di rimessione, che le prestazioni di cui ivi si parla sono nella specie stabilite per Jegge. Con le ordinanze delle Commissioni tributarie di Imperia e di Belluno si lamenta, ancora, che l'art. 47 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, non abbia .rispettato i princpi e i criteri dettati dall'art. 10, comma secondo, n. 11 de1la legge delega pi volte citata, per tal modo violando gli artt. 76 e 77 Cost. La Commissione di Imperia fa inoltre riferimento all'art. 55 del d.P.R. n. 600 che violerebbe la legge di delegazione e si porrebbe anche in contrasto con l'art. 3 Cost. La situazione di fatt coi::riune alle due ordinanze ed rappresentata dalla mancata presentazione della dichiarazione di sostituto d'imposta sul mod. 740, nonostante fossero state effettuate le ritenute, tuttavia regolarmente versate all'erario. 112 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Sostengono i remittenti che le sanzioni previste per siffatte situazioni violerebbero i criteri dettati dal citato articolo de11a legge delega perch, lungi dal commisurare le sanzioni stesse alla effettiva entit oggettiva e soggettiva delle violazioni, il legisltore delegato avrebbe comminato una non diversificata sanzione tanto per il caso in esame quanto per quello in cui la ritenuta d'acconto non fosse stata effettuata o, se effettuata, non fosse stata versata. Rilievo che, per verit, sembrerebbe prima facie avere un qualche fondamento, quando per non si rifletta alla ratio cui sono ispirati ~i obblighi che la legge impone al sostituto d'imposta. La dichiarazione, infatti, prevista nel mod. 770, non mira soltanto ad assicurare all'Erario la quota che il sostituto trattiene al sostituito, ma ha altres valore cognitivo, in quanto consente agli uffici di apprendere che il sostituito possiede fonti di reddito, mettendoli conseguentemente in grado di verificare l'esistenza e l'entit delle dichiarazioni che egli a sua volta obbligato a rendere, ed eventualmente a procedere agli accertamenti del caso. Sotto questo riguardo, quindi, non si tratta -come si sostiene di una mera violazione formale, ch anzi essa riveste un notevole rilievo sostanziale, tale da corrispondere ai princpi di adeguata commisurazione in relazione alla situazione di pericolo che l'omissione viene a determinare per gli interessi dell'Erario. Peraltro, il giudice tributario ben pu tenere conto, nella determinazione della pena in concreto, anche dei princpi dettati dall'art. 54 dello stesso decreto che fa riferimento alla gravit del danno o del pericolo e alla personalit dell'autore. (omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 14 aprile 1986, n. 88 Pres. Paladin -Rel. Ferrari -S.p.A. So.Chi.mi.si., I.N.A.I.L. (avv. Napulitano) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Imponente). Corte Costituzionale Nonne integrative per i giudizi -Processo costi-. tuzionale Inapplicabilit delle nonne sulla estinzione. Le norme integrative per i giudizi dinanzi alla Corte costituzionale sono svolgimento ed integrazione della legge ordinaria n. 87 del 1953, a sua volta svolgimento ed integrazione delle leggi costituzionali n. 1 del 1948, e n. 1 del 1953. (omissis) Preliminare all'esame del merito la eccezione di cessazione della materia del contendere, proposta dalla difesa dell'INAIL. .. Si sostiene che la lite si sarebbe estinta in pendenza del giudizio costituzionale, dato che a seguito della legge regionale siciliana 28 dicembre 1979, n. 256 (art. 18) nonch della legge statale n. 155 del 1981 PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALB (condono delle sanzioni in materia di pagamento contributi e preml assicurativi), i crediti dell'Istituto sono stati onorati, Vero -si soggiunge -che, a sensi dell'art. 22 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, le norme sulla... estinzione del processo non si applicano ai giudizi davanti alla Corte costituzionale neppure nel caso in cui, per qualsiasi causa, sia venuto a cessare il giudizio rimasto sospeso davanti all'autorit giurisdizionale, che ha promosso il giudizio di legittimit costituzionale, ma vero altres che trattasi di una norma interna di carattere di regolamentazione processuale, che non pu superare il disposto della legge , la quale richiede che le questioni di legittimit costituzionale siano rilevanti, prima che non manifestamente infondate. E la Corte nel caso di specie, non potrebbe, in conseguenza delle leggi test menzionate, non rinviare la questione al giudice a quo per il riesame della rilevanza, stante che questa va valutata, al pari di quanto accade nell'ipotesi di jus superveniens, al momento della decisione di costituzionalit . L'eccezione va rigettata. Le norme integrative per i giudizi davanti a questa Corte sono, coine del resto esplicitamente dice Jo stesso titolo dell'atto normativo in parola, svolgimento ed integrazione della I. 11 marzo 1953, n. 87 (norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale e successive modificazioni), Ja quale a sua volta svolgimento ed integrazione delle leggi costituzionali 9 febbraio 1948, n. 1 (norme sui giudizi di legittimit costituzionale e sulle garanzie d'indipendenza della Corte costituzionale) e 11 marzo 1953, n. 1 (norme integrative della Costituzione concernenti la Corte costituzionale). E come la suddetta legge ordinaria, disponendo (art. 23) che, per potersi sollevare questione di legittimit costituzionale, occorre che il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione di essa, ha introdotto il requisito della rilevanza, che non era previsto, n dalla Costituzione, n dalle due summenzionate leggi costituzionali, cos l'art. 22 delle norme integrative adottate da questa Corte ha coerentemente statuito su un tema non previsto dalla legge n. 87 del 1953, cio in ordine agli effetti dell'estinzione del processo sui giudizi rimasti sospesi davanti al giudice che ha promosso il giudizio di legittimit costituzionale. (omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 23 aprile 1986, n. 108 -Pres. Paladin -Rel. Saja -De Santis (avv. Barile, Marino, Stendardi e Caruso), Pugno (avv. Lo Cascio, Barile, Stendardi) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Baccari e avv. Stato Cosentino). Locazione -Immobili adibiti ad uso non abitativo -Proroga e rinnovazione unilaterale ex lege dei contratti -Illegittimit costituzionale. (Cost., artt. 3, 41 e 42; legge 25 luglio 1984, n. 377, art. 2; d.l. 7 febbraio 1985, n. 12, conv. con legge 5 aprile 1985, n. 118, art. 1). 114 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Corte Costituzionale Caducazione di disposizione costituzionalmente illegittima Produce caducazione anche dell'effetto di abrogazione. La funzione sociale della propriet privata esprime il dovere di partecipare alla soddisfazione di interessi generali; sono costituzionalmente illegittime sia la disposizione (art. 2 legge n. 317 del 1984) di proroga legale fino al 31 dicembre 1984 dei rapporti locativi in corso aventi ad oggetto immobili adibiti ad uso diverso da quello abitativo, sia la disposizione (art. 1 d.l. n. 12 del 1985 come convertito con l. n. 118 del 1985) attributiva al conduttore di un diritto al rinnovo del contratto avente ad oggetto uno dei predetti immobili (1). La caducazione di una disposizione per illegittimit costituzionale importa il ripristino della norma da detta disposizione precedentemente abrogata, e quindi travolge anche l'effetto di abrogazione che essa aveva prodotto (2). (omissis) I provvedimenti di rimessione concernono i rapporti di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, in corso al momento di entrata in vigore della I. 27 luglio 1978 n. 392 (c.d. (1) La sentenza in rassegna conferma -e giustamente -che l'art. 41 Cost. non pertinente alla materia ; il che -lo si osserva per inciso -dovrebbe definitivamente delegittimare le pressioni degli operatori interessati ad una qualificazione (ai fini I.V.A.) come attivit di impresa del pi o meno abituale " dare immobili in locazione o affitto. La sentenza poggia su due parametri costituzionali e precisamente sull'art. 3 primo comma Cost. e sull'art. 42 secondo comma Cost.; non del tutto chiaro per l'equilibrio tra queste due gambe . Il parametro offerto dall'art. 3 Cost. appare pi idoneo a cogliere i sostanziali effetti economici di .una proroga (ex lege) generalizzata ed indifferenziata: posto che i prezzi dei beni e servizi prodotti o distribuiti negli immobili sottoposti a proroga (e quindi meno costosi) sono determinati dall'incontro della domanda e dell'offerta di specifici beni e/o servizi sul mercato (e non dai maggiori o minori costi di produzione o distribuzione), l'intervento del principe a favore di taluni conduttori "--e persino a favore di tutti i conduttori -si risolve nell'attribuzione a costoro di super-profitti (ed eventualmente di plusvalori) non guadagnati . Il ricorso al parametro offerto dall'art. 42 Cost. si colloca invece nella scia di un atteggiamento tradizionale della giurisprudenza non solo costituzionale e non solo italiana (cfr. Mc AusLAN, The ideologies of planning law, 1980, Pergamon, 4): il diritto di propriet uno strumento giuridico facile , una sorta di passe-partout fin troppo agevolmente utilizzabile per risolvere i conflitti intersoggettivi ai quali -con una buona dose di inerzia concettuale (e di pi o meno confessato conservatorismo politico) -sono assimilati i conflitti tra singoli e collettivit; in realt, un uso pi affinato, misurato e critico dello strumento diritto di propriet parrebbe auspicabile specie a livello di giudizio costituzionale. (2) La seconda massima merita una particolare sottolineatura. La Corte Costituzionale ha, nella sentenza 23-4-1974 n. 107 (punto 8) e nella sentenza in rassegna (punto 1), affermato il principio che la caducazione per illegittimit costituzionale di una disposizione legislativa travolge anche l'effetto di abrogazione I I I I I I ! / i -x,.,....,..,...,...,.....,.,.,...,.,.,...,..,.........,.,.,.,,.,.,.,..,.,.....,.%ra.ru.raarru...-.rurr.-.....rr.. -'.'.'.".:".Z'.".".Z'.ZZ:-'.".".'.'.'.'.'.'.:-'.'.:Z".'.'.'.'.'::'.Z1Z'.'.'.'.':'.-:'.Z':".'.ZZ'.'.'.'.Z'.'.:'.'.:-'.:-'.'.-:'.'.'.'.'.'.'.'.Z'.-:.0:'.Z'.-'.'.'.ZZ'.'.:z:'.'.:".-)o::-'..0:"."..0:::-:"..0::::::-:-:-:-:z;:-:-:-:-:-:-:-:-:-:-:-:-:-:-:-::::;::;:;:~i 115 PARTE 1, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE legge sull'equo canone). La quale, al fine di regolare il graduale passaggio dal precedente regime vincolistico a quello libero, dispose, relativamente ai rapporti gi soggetti a proroga, un'ulteriore proroga di quattro, cinque o sei anni, a seconda che i contratti fossero stati stipulati prima del 31 dicembre 1964 o tra il 1 gennaio 1965 e il 31 dicembre 1973 ovvero successivamente a quest'ultima data (art. 67 cit., primo comma, lett. a), b) e e)); mentre, di quelli in corso non soggetti a proroga, stabill la protrazione coattiva di durata pari a quella prescritta per i nuovi contratti dagli artt. 27 e 42, primo comma (art. 71 I. cit.). Successivamente, con l'art. 15-bis del d.l. 23 gennaio 1982, n. 9, come convertito nella l. 25 marzo 1982, n. 94, fu disposta per i contratti di cui al citato art. 67 un'altra proroga di due anni, presa in esame da questa Corte con la sent. n. 89 del 1984, alla quale si far pi volte riferimento. In seguito, sopravvenuta la I. 25 luglio 1984, n. 377, che nell'art. 2, secondo comma, ha statuito che le scadenze dei contratti di cui all'art. 67, primo comma, lett. a) della legge 27 luglio 1978, n. 392 (ossia i contratti che la stessa aveva prodotto sulla normativa previgente; dal che consegue il " ripristino di detta normativa. La affermazione, oltre che rilevante per la autorevolezza della Corte da cui proviene, anche palesemente esatta. L'effetto di abrogazione conseguenziale al sovrapporsi sulla normativa previgente della nuova disciplina ritenuta dal legislatore ordinario pi consona alle mutate esigenze della collettivit. Se questa nuova disciplina dichiarata incostituzionale viene meno l'intero intervento modificativo dell'ordinamento, senza che possa separarsi e lasciar sopravvivere uno degli effetti dell'intervento stesso. N pu distinguersi -identiche essendo la ratio " e la dinamica dell'effetto di abrogazione -tra l'ipotesi in cui esso sia implicitamente prodotto e l'ipotesi in cui esso prodotto da disposizione esplicita ad hoc; in questa seconda ipotesi se la Corte Costituzionale non provvede quanto meno ai sensi dell'art. Zl della legge 11 marzo 1953, n. 87 (eventualmente anche ex art. 21 delle norme integrative 16 marzo 1956), la relativa questione pu essete esaminata dal giudice ordinario (in senso lato). Va pertanto aggiunto che non in tutte le situazioni il criterio di massima test enunciato pu essere seguito. Ogni meccanicismo in un argomento delicato quale quello in esame sarebbe poco congruo. Pu cos accadere che, per il con tenuto stesso della sentenza dichiarativa della illegittimit costituzionale e/o per il contesto normativo circostante la disposizione caducata, in luogo dell'ef fetto di ripristino anzidetto si produca un effetto di espansione di altre disposizioni per cos dire potenziate dalla pronuncia della Corte. Applicando quanto dianzi osservato ad un problema per l'Avvocatura di notevole importanza, sembra che -non sussistendo elementi che ne impedi scano l'operare -il criterio di massima enunciato dalla Corte possa essere uti lizzato per sostenere che -per quanto le disposizioni in tema di determinazione delle indennit di espropriazione siano state caducate dalla sentenza Corte Cost. n. 5 del 1980 (e dalla sentenza n. 223 del 1983) -si avuto ripristino delle disposizioni previgenti, non escluse quelle prescriventi l'applicabilit, in vista della realizzazione di determinate categorie di opere, degli artt. 12 e 13 della legge per Napoli 15 gennaio 1885, n. 2892. 116 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO stipulati anteriormente al 31 dicembre 1964) erano prorogate sino al 31 dicembre 1984: ed contro questa disposizione che si appunta il sospetto di illegittimit costituzionale del pretore di Bettola, sul rilievo che la nuova proroga sarebbe in contrasto con le norme degli artt. 42, 41 e 3 della Costituzione. Infine intervenuto il d.l. 7 febbraio 1985, n. 12, convertito nella legge 5 aprile 1985, n. 118, la quale nell'art. 1, comma 9-bis, tra l'altro: 1) ha disposto il rinnovo ex lege dei ricordati contratti previsti dagli artt. 67 e 71 cit. 1. n. 392 del 1978 per i periodi di cui all'art. 27 di questa stessa legge (sei anni ovvero nove in caso di industrie alberghiere); 2) ha fissato la nuova misura del canone sulla base di quello iniziale, rivalutato con le variazioni accertate dall'ISTAT dell'indice dei prezzi al consumo e aggiornato a partire dal secondo anno nella misura del 75 % delle variazioni stesse; 3) ha stabilito che al rinnovo non si fa luogo nel caso in cui il locatore abbia la necessit di riottenere la disponibilit dell'immobile per uno dei motivi indicati nell'art. 29 cit. 1. n. 392 del 1978, regolando l'indennit spettante al conduttore per la perdita dell'avviamento sulla base del canone corrente di mercato. Tale norma costituisce l'oggetto dell'impugnazione di tutte le altre ordinanze di rimessione, le quali, oltre a formulare in via preliminare due rilievi di cui si dir in prosieguo, deducono fondatamente che il rinnovo imposto sarebbe in realt una proroga del precedente rapporto locativo, anch'essa in contrasto con le ricordate disposizioni degli artt. 42, 41 e 3 Cost. Non manca in verit, tra i detti provvedimenti, qualche lieve differenza, tuttavia non rilevante, essendo stato impugnato da alcuni giudici a quibus integralmente il disposto del cit. art. 1, comma 9-bis, il cui contenuto va pertanto esaminato nella sua interezza con riferimento ai parametri sopra ricordati. Alcune ordinanze peraltro denunciano anche i commi 9-ter, 9-quater e 9-quiquies, che regolano, nell'ambito della normativa in oggetto, la disdetta del locatore, l'efficacia dei provvedimenti di rilascio e i giudizi in corso: censure, queste, su cui logicamente influir la decisione della questione principale nel caso in cui essa venga ritenuta fondata. Cosi precisati il quadro normativo e l'oggetto del giudizio, ritiene utile la Corte muovere da una premessa di carattere comune alle questioni sollvate, richiamando la sua precedente giurisprudenza, con la quale ha reiteratamente osservato come i limiti legali al diritto di propriet, previsti dall'art. 42 Cost. al fine di assicurarne la funzione soiale, consentano di ritenere Iegittima la disciplina vincolistica, a condizione che essa abbia un carattere straordinario e temporaneo (cfr., tra le altre, le sentt. n. 3 e 225/1976). Pertanto ha insistentemente rivolto invito al legislatore a non dare alla detta disciplina un carattere di ordinariet che ne avrebbe compromesso l'aderenza ai princpi costituzionali: invito accolto con la ricordata 1. n. 392 del 1978, la quale ha posto una nuova e permanente regolamentazione del contratto di locazione di im PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE mobili urbani ed ha altres disciplinato transitoriamente il graduale passaggio dal vecchio regime vincolistico a quello da essa introdotto, conferendo maggior rilievo all'autonomia privata. Successivamente a detta normativa, la Corte con la sentenza n. 89 del 1984, specificamente attinente ai rapporti locativi degli immobili ad uso non abitativo, ha ritenuto che sfiorasse il limite della legittimit costituzionale la ricordata proroga concessa con l'art. 15-bis cit. 1. n. 94 del 1982, avvertendo che non ne sarebbero state ammissibili altre successive, giacch esse sostanzialmente avrebbero perpetuato quel regime vincolistico, incompatibile -se ulteriormente protratto dopo vari decenni di vigenza -con la tutela attribuita al diritto di propriet dalla Carta fondamentale. Ci posto, osserva la Corte, rispetto alla prima questione (quella sollevata dal pretore di Bettola), che l'art. 2 1. n. 377 del 1984 prevede senza alcun dubbio una proroga legale in quanto dispone la protrazione coattiva del precedente rapporto locativo oltre il termine finale pattuito dalle parti. In tal senso concorde l'orientamento della giurisprudenza e de11a dottrina, le quali correttamente richiamano la formulazione ltterale usata (le scadenze... sono prorogate... ), nonch l'intenzione del legislatore, resa palese dai lavori preparatori, nei quali si fa sempre riferimento all'istituto predetto. Del resto, ci ammesso incondizionatamente anche dall'Avvocatura generale dello Stato, la quale, pur aderendo in linea di principio al contenuto della sent. n. 89/1984, deduce che tuttavia nella specie non potrebbe ravvisarsi un'illegittima cqmpressione della posizione del proprietario a causa della limitata durata della proroga (sei mesi) stabilita dalla richiamata legge 377 del 1984. La Corte non ritiene per di poter condividere tale deduzione, e ci per un duplice ordine di motivi. intuitivo infatti come non possa escludersi la violazione di un diritto costituzionalmente garantito, sol perch essa temporalmente limitata. La nostra Costituzione dispone che la propriet privata riconosciuta e garantita dalla legge (art. 42, secondo comma), in armonia peraltro con un principio generalmente condiviso e sancito anche nell'art. 17 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, approvata alla unanimit da tutti gli Stati aderenti all'ONU, secondo cui: ogni individuo ha diritto di avere una propriet personale o in comune con altri; nessun individuo pu essere arbitrariamente privato della sua propriet. Non consentito perci al legislatore ordinario intervenire liberamente su tale posizione soggettiva, che pu essere legittimamente compressa sol quando lo esiga il limite della funzione sociale , considerato nello stesso precetto costituzionale poc'anzi ricordato: funzione sociale, la quale esprime, accanto alla somma dei poteri attribuiti al proprietario nel suo interesse, il dovere di partecipare alla soddisfazione di interessi generali, nel che si sostanzia la nozione stessa del diritto di 118 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO propriet oome viene modernamente intesa e come stata recepita dalla nostra Costituzione. Conseguentemente non ha fondamento la ricordata eccezione dell'Avvocatura dello Stato, secondo cui, in sostanza, non potrebbe considerarsi violazione del precetto costituzionale la compressione della posizione soggettiva riconosciuta e tutelata sol perch temporanea. Anche se limitato nel tempo, l'intervento legislativo risulta Jegittimo unicamente se ricorrono le condizioni poste dalla Costituzione, il che nella specie non neppure dedotto, facendosi leva esclusivamente sull'entit temporale della proroga. Ma, oltre a ci, va osservato che il riferimento dell'Avvocatura dello Stato alla brevit del termine in questione non per nulla esatto. La proroga de qua, infatti, non pu essere considerata isolatamente, avulsa cio dal quadro normativo generale, nell'ambito del quale, in effetti, essa funziona come presupposto di un'ulteriore e lunga protrazione del rapporto, autoritativamente imposta. Per vero, la stessa stata seguita dal d.l. 7 febbraio 1985, n. 12, che nell'art. 1, comma 8; ha prorogato gli stessi contratti considerati dalla I. n. 377 del 1984 di altri sei mesi, mentre la legge di conversione n. 118 del 1985 (art. 1, comma 9-bis) ha disposto anche il rinnovo dei medesimi negozi (e di quelli indicati alle lettere b) e e) del gi cit. art. 67 I. n. 392 del 1978). Rinnovo che, al di l dell'espressione letterale adoperata, come tra breve si dir, costituisce un'altra vera e propria proroga legale, rispetto alla quale la ricordata disposizione dell'art. 2 t n. 377 del 1984 costituisce appunto il momento preliminare, essendo noto come, secondo la giurisprudenza ordinaria, la proroga (o il rinnovo) ha per indefettibile presupposto la pendenza del rapporto e non quindi ammissibile quando questo si comunque esaurito: il che si sarebbe verificato nella specie senza le due proroghe semestrali sopra indicate. Portando ora J'esame sul cit. art. l, comma 9-bis I. n. 118 del 1985, la cui legittimit costituzionale messa in dubbio in tutti i rimanenti provvedimenti di rimessione,... (omissis) ... rileva la Corte che, durante i lavori preparatori della norma in esame, espressamente fu ripetuto che la nuova regolamentazione intendeva uniformarsi rigorosamente al principio enunciato nella pi volte ricordata decisione n. 89 del 1984, principio che non venne affatto messo in discussione. La norma, pertanto, non era diretta.-sempre secondo i lavori preparatori -a disporre una nuova proroga, ma perseguiva una finalit diversa, ossia quella di inserire i rapporti di locazione non abitativa ancora in corso (comprendendovi, oltre ai contratti indicati nell'art. 67, anche quelli di cui all'art. 71, non considerati nella I. n. 94 del 1982) nel regime ordinario della cit. 1. n. 392 deJ 1978, attraverso l'istituto della rinnovazione, proprio di quest'ultima legge (artt. 27, 28 e 29). PARm I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Senonch non sembra alla Corte che la normativa de qua consenta di considerare realizzato l'intento suddetto, cos sul piano giuridico-formale come su quello dell'assetto sostanziale degli interessi, dovendosi invece ritenere che essa ha introdotto per J'appunto un'ulteriore proroga dei precedenti rapporti locativi. Da ci muove la denuncia delle ordinanze di rimessione, seguite, nelle more di questo giudizio, da numerose altre (tra cui una, di particolare rilievo, della Corte di cassazione), di contenuto analogo a quelle in epigrafe, e non incluse in questo giudizio solo per non essere state ancora compiute tutte fo formalit prescritte dalla legge. Non potendosi ritenere, a rigor di termini, che sussista sulla norma impugnata un'interpretazione consolidata, in quanto l'esperienza giurisprudenziale risulta esclusivamente dagli stessi provvedimenti di rimessione, ed essendo l'elaborazione dottrinale, d'altra parte, contenuta in limiti estremamente ristretti, non pu la Corte non soffermarsi sull'oggetto della suddetta disposizione attualmente sottoposta al suo esame. Al riguardo, va preliminarmente ricordato, -anche se l'argomento non ha peso decisivo -che la rubrica dell'impugnato art. 1 contiene l'espressione proroga dei contratti... , ben vero che le espressioni dei titoli e delle rubriche non hanno forza cogente per l'interprete, ma 'altrettanto vero che esse non possono considerarsi completamente prive di significato, soprattutto quando, come nella specie, vi era aJ. fondo un problema di scelta legislativa, con i conseguenti riflessi anche di carattere terminologico. Comunque, di grande e decisiva importanza risulta la giuridica impossibilit di porre sullo stesso piano la cosiddetta rinnovazione di cui al cit. art. l, comma 9-bis, e quella prevista dalla disciplina ordinaria (artt. 28 e 29 cit. I. n. 392 del 1978). Quest'ultima, invero, caratterizzata dal fatto che le parti, nel momento in cui manifestano la volont di stipulare, hanno contezza (e vogliono) che il rapporto, alla scadenza, si rinnover ove si verifichi un determinato fatto o atto (generalmente: la mancata disdetta). Nel caso in esame, per contro, la protrazione della durata del contratto coattivamente imposta al locatore durante la pendenza del rapporto, sicch la rinnovazione prescinde dalla sua volont ed anzi pu. ritenersi, secondo l'id quod plerumque accidit, che sia in contrasto con la medesima: con l'ovvia conseguenza che la formula letterale nettamente smentita dall'essenza dell'istituto, nel quale deve chiaramente ravvisarsi la suddetta protrazione coattiva, ossia proprio quella proroga legale che in sede di formazione della legge si era espressamente dichiarato di voler ripudiare. E pu aggiungersi che un elemento di conferma si ricava dallo stesso contesto della previsione normativa ( ... il conduttore ha diritto al rinnovo... ), chiaramente espres.siva della particolare posizione di soggezione del locatore e tipica della legislazione vincolistica, mentre rispetto alla rinnovazione prevista dalla disciplina 120 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO comune le due parti sono poste su un piano paritetico (art. 28: .il contratto si rinnova tacitamente... ). N vale opporre l'aumentata entit del canone, il quale non corrisponde per a quello di mercato, come invece previsto (ben s'intende, per gli immobili destinati ad uso diverso dell'abitazione) nella disciplina dettata dalla legge n. 392/1978, ma fissato dalla norma denunciata in misura assai spesso inferiore, mediante il ricorso ,all'artificioso meccanismo che prende a base il canone iniziale, rivalutato secondo gli indici ISTAT dei prezzi al consumo; questo meccanismo si presenta anche viziato da evidente irrazionalit per la frequente eventualit che le zone in cui si trovano gli immobili abbiano subito profonde modificazioni urbanistiche, con conseguenti mutamenti nel volume del traffico commerciale, sicch il canone a suo tempo convenuto non risulta pi neppure approssimativamente indicativo della nuova realt economicosociale (di sviluppo ovvero di degrado). L'impossibilit, infine; di considerare la normativa in esame come mezzo realmente diretto a ricondurre i contratti nella disciplina comune resa pi evidente dalla circostanza che la facolt di non rinnovare il contratto, nel caso in cui il locatore intenda riottenere l'immobile per uno dei motivi di cui all'art. 29 1. n. 392/1978, stata notevolmente ristretta, richiedendosi dalla legge impugnata che ricorra l'estremo della necessit: previsione, questa, tipica del regime vincolistico e perci estranea al principio di autonomia negoziale, che, come s' detto, caratterizza, pur con sensibili limitazioni, la citata legge del 1978. Da tutto ci si trae il sicuro convincimento che la disciplina denunciata non pu essere considerata come diretta a stabilire una regolamentazione riconducibile alla normativa comune, dovendosi, per contro, ravvisare la reintroduzione di una nuova proroga, pur essendo stato inequivocabilmente riconosciuto durante i lavori preparatori, come gi s' ricordato, che il ricorso ad essa sarebbe stato costituzionalmente illegittimo. Ci detto, ritiene la Corte di dovere formulare due ulteriori considerazioni. Da qualche parte si affermato, peraltro in modo generico e assiomatico, che una disciplina come quella impugnata' avrebbe impe~ dito l'aggravarsi della disoccupazione che, altrimenti, si sarebbe verificata nell'ambito delle varie attivit d'impresa e professionali. Per contro, costituisce comune dato di esperienza che negli anni successivi a quello di emanazione della legge sull'equo canone (1978) vi stato un notevolissimo aumento dell'attivit imprenditoriale relativa alla fornitura di servizi, nuovi o tradizionali, resi dal mercato (e la diminuzione di quelli prestati dallo Stato e dagli enti pubblici) con il continuo sviluppo del settore economico cosiddetto terziario: il che ha comportato necessariamente l'esigenza di prendere in locazione gli immobili necessari per l'esercizio delle relative attivit (locazioni stipulate sulla base I I I I PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDBNZA COSTITUZIONALE del canone di mercato, secondo la citata legge n. 392 del 1978), senza che ci abbi:a ostacolato ovvero costituito remora al ricordato sviluppo imprenditoriale. Va inoltre rilevato che due ampie categorie di conduttori gi operano con il canone corrente di mercato. Oltre a tutti quelli (e non sono pochi, in relazione a quanto ora detto) che hanno stipulato i contratti in questi ultimi otto anni, ossia successivamente all'entrata in vigore della legge n. 392 del-1978, si tratta altresl di coloro che, in numero niente affatto trascurabile, a seguito di tale legge hanno raggiunto accordi con i locatori, sicch i relativi contratti sono ora assoggettati al regime ordinario. Pertanto, la disciplina denunciata, lungi dal sacrificare legittimamente il diritto di propriet per la tutela di interessi generali, si risolve obiettivamente, e di sicuro contro l'intenzione del legislatore, nell'attribuzione di un lucro ad esclusivo favore del limitato numero di conduttori a cui essa si applica. Da tutte le osservazioni ora formulate discende chiaramente come le proroghe disposte dalle norme censurate non possano pi trovare giustificazione in un quadro normativo che, superato il lungo periodo di emergenza, dal quale era scaturita l'esigenza della legislazione eccezionale vincolistica, aveva riportato dopo vari decenni (con la 1. n. 392 del 1978) la materia nel regime ordinario. Il periodo transitorio stabilito dagli artt. 67 (con il successivo ampliamento. di cui all'art. 15-bis 1. n. 94 del 1982) e 71 era stato fissato con dimensioni tali da permettere un'ulteriore durata, eccezionalmente ampia, della disciplina vincolistica. Sicch le ulteriori proroghe, e in particolare quella ex art. 1, comma 9-bis, in effetti si risolvono nell'irrazionale ripristino della legislazione eccezionale e temporanea e perci offendono la coerenza dell'ordinamento, di cui la nuova legge del 1978 forma ormai parte integrante, in sostituzione della corrispondente normativa codicistica: ne risulta violato il diritto che la Costituzione, nell'art. 42, ha inteso riconoscere e proteggere da interferenze non giustificate da quella necessit di tutelare un interesse generale, che integra il limite della funzione sociale della propriet stessa. Non , per contro, pertinente alla materia qui esaminata la tutela dell'iniziativa economica privata (art. 41 Cost.), che pure stata invocata giacch -come la Corte ha pi volte osservato (sentt. n. 252 del 1983, 89 del 1984, ord. n. 87 del 1985) -non ravvisabile alcuna attivit di impresa del locatore. D'altronde, non pu la Corte esimersi dal rilevare che la disciplina impugnata risulta anche in contrasto con l'art. 3 Cost. Valgono in proposito le considerazioni svolte nel precedente paragrafo n. 8 e si deve inoltre aggiungere che tale disciplina pone una proroga llener.afo.zata ed indifferenziata, senza una previa valutazione comparativa delle condi RASSEGNA DEI.L'AVVOCATURA DELLO STATO 122 zioni economiche del conduttore e del locatore: valutazione la quale sarebbe stata invece indispensabile per intuitive ragioni di giustizia sociale, del resto espressamente richiamate dalla Corte all'attenzione del legislatore (cfr. in particolare la sent. n. 3 del 1976). Dalle norme in esame pu infatti conseguire, con evidente frattura del pi elementare criterio logico, che, in mancanza di elementi discriminatori, categorie di con duttori economicamente pi forti si arricchiscano ai danni di categorie di locatori i quali si trovano in una posizione economica pi debole: e ci risulta in stridente contrasto con il principio di eguaglianza tutelato dal ricordato precetto costituzionale, che non consente sovvertimenti del genere, i quali si appalesano senza dubbio macroscopicamente irrazio nali e contrari ai princpi della nostra Costituzione. Va quindi dichiarata l'illegittimit costituzionale della norma impugnata dal pretore di Bettola, illegittimit che, in applicazione dell'art. 27 I. 11 marzo 1953, n. 87, si estende anche all'art. 1, commi 8 e 9, d.l. 7 febbraio 1985, n. 12, convertito nella legge 5 aprile l985, n. 118, il quale ha ampliato la previsione normativa denunciata e conseguentemente risulta parimenti viziato. Deve poi essere dichiarata, in base alle precedenti osservazioni, l'illegittimit costituzionale del comma 9-bis dell'art. 1, ora ricordato, nonch dei commi 9-ter, quater e quinquies, pure impugnati dalle ordinanze di rimessione, i quali trovano il necessario presupposto nella disposizione viziata. La caducazione del comma 9-bis, espressamente abrogativo dell'art. 69 l. n. 392/1978, importa, secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. sent. n. 107 del 1974), il ripristino della norma precedentemente abrogata, daHa quale saranno di conseguenza regolati i rapporti giuridici !in essa considerati. 13 probabile che, nell'applicazione di tale norma, possano sorgere incertezze interpretative, essenzialmente derivanti dalla temporanea vigenza di quella attualmente annullata: in particolare, in materia di termini di decadenza potrebbe profilarsi il pericolo di un pregiudizio della parte che non abbia fatto valere tempestivamente (nei termini stabiliti nel testo originario del cit. art. ora ripristinato) le proprie ragioni, scusabilmente fondandosi sulla efficacia della norma ora dichiarata incostituzionale; pregiudizio che contrasterebbe certamente con lo spirito della presente pronuncia perch lesivo delle posizioni soggettive, costituzionalmente rilevanti, qui considerate e tutelate. A tutto ci non pu ovviare questa Corte, per la sua posizione istituzionale, ma deve provvedere la giurisprudenza ordinaria, come gi ha fatto recentemente in casi simili, salvo che se ne occupi il legislatore per adeguare in via normativa il sistema vigente alla presente decisione. La pronuncia di illegittimit costituzionale non si estende ai commi 9 sexies; septies et octies del cit. art. 1, in quanto essi contengono disposizioni che non si riferiscono affatto alle innovazioni dallo stesso PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE apportate ma concernono la regolamentazione ordinaria della locazione di immobili urbani per uso non abitativo. Precisamente, con il primo dei commi ora detti sono disciplinate diversamente le modalit di revisione del canone, in sostituzione di quelle previste dall'art. 32 della 1. n. 392 del 1978, mentre con gli altri due il legislatore ha inteso eliminare le incertezze ermeneutiche relative al criterio discriminatore, in tema di attivit alberghiera, tra locazione di immobile, al quale si applica la ricordata 1. n. 392 del 1978, e affitto di azienda, a cui invece detta disciplina non sarebbe riferibile (sul punto, com' noto, stata peraltro eccepita da vari giudici una ingiustificata disparit di trattamento): e ha fornito la definizione dei due tipi contrattuali, statuendo che si ha locazione di immobile e non affitto di azienda, in tutti i casi in cui l'attivit alberghiera sia stata iniziata dal conduttore. Tale norma, insieme a quellfl del comma 9 octies, che detta la disciplina transitoria della medesima materia, chiaramente estranea all'oggetto di questo giudizio e pertanto non rimane coinvolta nella presente pronuncia. p.q.m. Dichiara l'illegittimit costituzionale dell'art. 2, primo comma, legge 25 luglio 1984, n. 377, dell'art. 1, commi 8 e 9, del d.l. 7 febbraio 1985, n. 12 convertito nella legge 5 aprile 1985, n. 118, e, dell'art. 1, commi 9 bis, 9 ter, 9 quater e 9 quinquies, del cit. dl. 7 febbraio 1985, n. 12 convertito nella legge 5 aprile 1985, n. 118. CORTE COSTITUZIONALE, 23 aprile 1986, n. 109 -Pres. Paladin -Rel. Saja -s.r.l. Imm. Nuova Argentea e Presidente Consiglio dei Mi: p.istri (avv. Stato Baccari). Corte Costituzionale Sentenza additiva Quando consentita. (Cost., artt. 3, 24 e 42; d.!. 7 febbraio 1985, n. 12, art. 1). La Corte costituzionale pu emettere una sentenza additiva solo quando la soluzione adeguatrice consegua necessariamente al giudizio di legittimit, e non sia frutto di scelta discrezionale tra una pluralit di soluzioni. (omissis) Il Pretore di Milano dubita della legittimit costituzion~ le dell'art. l, settimo comma, d.l. 7 febbraio 1985, n. 12, convertito nella 1. 5 aprile 1985, n. 118, che prevede la decadenza dal beneficio della RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO sospensione della esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili abitativi per gli assegnatari di alloggi di edilizia residenziale sovvenzionata ovvero agevolata (nonch per gli acquirenti di alloggi di questa seconda categoria), in caso di morosit protratta per oltre tre mesi nel pagamento del canone e degli oneri accessori. Ritiene il giudice a quo che la disposizione suddetta ... riferendosi espressamente ai soggetti suindicati, esclude dalla decadenza tutti gli altri conduttori: il che contrasterebbe con l'art. 3, primo comma, Cost., relativo al principio di eguaglianza, non sussistendo alcuna plausibile ragione di non estendere la perdita del beneficio della sospensione dell'esecuzione a tutti i conduttori, che si siano resi morosi. Solo nella prima delle due ordi nanze il Pretore indica quali parametri anche gli artt. 24 e 42 Cost., limitandosi peraltro ad affermare che la denunciata disciplina violerebbe anche le norme suddette. La questione, come posta dal giudice a quo, si appalesa inammissibile. L'ordinanza di rimessione diretta invero ad una pronuncia con cui questa Corte, sopprimendo la limitazione soggettiva sopra ricordata, estenda la disposizione impugnata a tutti i conduttori di alloggi destinati ad abitazione. Ma una decisione additiva consentita, com' ius receptum, soltanto quando la soluzione adeguatrice non debba essere frutto di una valutazione discrezionale ma consegua necessariamente al giudizio di legittimit, s che la Corte in realt proceda ad un'estensione logicamente necessitata e spesso implicita nella potenzialit interpretativa del contesto normativo in cui inserita la disposizione impugnata. Quando invece si profili una pluralit di soluzioni, derivanti da varie possibili valutazioni, l'intervento della Corte non ammissibile, spettando la relativa scelta unicamente al legislatore. Ora, nel caso in esame, le ordinanze di rimessione sollecitano, come gi si detto, l'estensione del contenuto della norma impugnata al di l dei soggetti espressamente indicati. Ma ci implica la necessit di valutare se opportunamente oppure no la prevista decadenza stata limitata a coloro che, godendo dei particolari vantaggi dell'edilizia sovvenzionata o agevolata, hanno correlativamente obblighi pi rigorosamente sanzionati: e giova aggiungere che una siffatta distinzione trova un precedente nel nostro ordinamento, in quanto l'art. 103 r.d. 28 aprile 1938, n. 1165, sull'edilizia popolare ed economica, prevede la decadenza dal diritto all'alloggio in caso di morosit protratta per due o tre mensilit consecutive, a seconda che si tratti del pagamento delle rate d'ammortamento o di spese generali; mentre la risoluzione del contratto esige, in linea generale, che il giudice accerti preventivamente la non scarsa importanza dell'inadempimento stesso (art. 1455 cod. civ.). La Corte quindi dovrebbe svolgere un'opera propria della funzione legislativa, il che ovviamente non le consentito .(omissis). ! ;i I ' l I I SEZIONE SECONDA GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA EUROPEE, 5a sez., 22 gennaio 1986, nella causa 250/84 -Pres. Everling -Avv. Gen. Verloren Van Themaat -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale di Roma nella causa soc. Eridania Zuccherifici Nazionali s.p.a. c. Cassa Conguaglio Zuccheri e Min. Finanze e Tesoro - Interv.: Governo italiano (avv. Stato Braguglia), Consiglio delle C.E. (ag. Sacchettini e Brautigam),e Commissione delle C.E. (ag. Prozzillo). Comunit europee Organizzazione comune di mercato nei settore dello zucchero -Contributo alla produzione Determinazione Legittimit. (Trattato CEE, artt. 7, 39 e 40; reg. CEE del Consiglio 30 giugno 1981, n. 1785, artt. 24 e 28). Il contributo imposto ai produttori di zucchero in base agli artt. 24 e 28 del reg. CEE del Consiglio 30 giugno 1981, n. 1785/81, non discriminatorio nei confronti dei produttori italiani, in quanto la ripartizione degli oneri conforme al principio di specializzazione regionale, principio base del mercato comune, il quale esige che la produzione possa .essere effettuata nel luogo pi adeguato dal punto di vista economico, ed consona al principio della solidariet dei produttori, dato che la produzione effettiva costituisce un criterio legittimo per valutare ad un tempo l'importanza economica dei produttori e gli utili che essi ricavano dal sistema. Il sistema di intervento e di cofinanziamento istituito dal regolamento per consentire lo smaltimento delle eccedenze a prezzo garantito consono all'interesse di tutti i produttori di zucchero della Comunit, compresi i produttori italiani, nell'ambito di un principio cardine del mercato comune secondo cui impossibile determinare in esso le imprese o lo Stato membro responsabili di un'eventuale sovrapproduzione (1). (omissis) 1. -Con ordinanza 11 novembre 1983, pervenuta in cancelleria il 23 ottobre 1984, il Tribunale di Roma ha sottoposto a questa Corte, a norma dell'art. 177 del Trattato CEE, due questioni vertenti sulla validit degli artt. 24 e 28 del regolamento del Consiglio 30 giu (1) Per una soluzione similare, relativamente al prelievo di corresponsabilit per il latte, cfr. la sentenza della Corte 9 luglio 1985, nella causa 179/84, BOZZETTI, in questa Rassegna, 1985, I, 756. 4 RASSEGNA DEIL'AVVOCATURA DEILO STATO 126 gno 1981, n. 1785, relativo all'organizzazione comune dei mercati nel settore dello zucchero (G. U. n. L 177, pag. 4). 2. -Dette questioni sono state sollevate nell'ambito di un'azione esperita dalla Eri.dania Zuccherifici Nazionali S.p.A., da altre quindici imprese saccarifere italiane, dal Consorzio Nazionale Bieticultori e dall'Associazione Nazionale Bieticultori contro la Cassa Conguaglio Zucchero e i Ministeri italiani delle Finanze e del Tesoro. Gli attori nella causa principale hanno ricevuto nel 1982 domande di pagamento dei contributi sulla produzione dello zucchero a norma degli artt. 24 e 28 del regolamento n. 1785/81. Essi chiedono al Tribunale di Roma di dichiarare non dovuti i contributi richiesti, in ragione dell'illegittimit del predetto regolamento, e di condannare le amministrazioni convenute alla restituzione dei contributi gi versati, maggiorati degli interessi. 3. -Il Tribunale di Roma, considerando che la decisione della causa dipende dal se le suddette disposizioni del regolamento n. 1785/81 siano ono valide, ha sospeso il procedimento ed ha chiesto a questa Corte di pronunziarsi in via pregiudiziale sulle seguenti questioni: a) Se l'art. 28 del regolamento del Consiglio (CEE) n. 1785-81, ponendo1a carico dei produttori italiani un contributo per lo smercio dello zucchero a prezzo garantito, calcolato in base alle quote di produzione determinate dall'art. 24, sia illegittimo per violazione del divieto di discriminazioni previsto dagli artt. 7 e 40, n. 3, del Trattato, nonch per contrasto con il principio di proporzionalit in relazione alle finalit previste dall'art. 39, n. l, lett. b), dello stesso Trattato; b) se l'art. 24 del regolamento n. 1785/81, nel determinare le quote italiane di produzione A e il rapporto tra quota A e quota B sia illegittimo perch carente di motivazione in relazione all'art. 190 del Trattato. 4. -Nella motivazione dell'ordinanza di rinvio il giudice nazionale osserva che l'Italia lo Stato membro con il rapporto pi basso tra i consumi interni e la quota A (85 % contro la media comunitaria del 101 % ed il massimo del. 194 % per il Belgio). Ne conseguirebbe che l'Italia pu esportare sofo zucchero prelevato dalla quota B, con un contributo pari al 39,5 % del prezzo d'intervento, mentre gli altri Stati membri possono esportare anche zucchero prelevato dalla quota A con il minor contributo del 2 %. Questa situazione sarebbe in contrasto con l'art. 7 del Trattato. 5. -Secondo il giudice nazionale sussiste anche una discriminazione tra produttori ai sensi dell'art. 40, n. 3, 2" comma, del Trattato. Innanzitutto, il rapporto tra i contributi sulle quantit prelevate dalla quota B ' PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 127 e le quantit assegnate a detta quota per l'Italia sarebbe il pi alto della Comunit (138 Lit./kg. rispetto alla media comunitaria di 113 Lit./kg'.). In secondo luogo, i costi fissi di produzione per le quantit assegnate in quota A all'Italia sarebbero i maggiori della Comunit perch la produzione media italiana per stabilimento sarebbe la pi bassa (293.333 quintali rispetto alla media comunitaria di 466.471 quintali). Inoltre, i contributi imposti ai produttori italiani sulla quota B sarebbero sproporzionati rispetto allo scopo di cui all'art. 39, n. 1, lett. b), del Trattato, che mira a garantire un tenore di vita equo alla popolazione agricola. 6. -Infine, sempre secondo l'ordinanza di rinvio, il regolamento n. 1785/81 non adeguatamente motivato perch si limita, per quanto riguarda le quote di produzione, ad' affermare che i motivi che hanno portato alla loro istituzione restano tuttora validi, senza spiegare le ragioni dell'irrilevanza dei mutamenti nella situazione del merq1to nel frattempo verificatisi. Sul sistema delle quote e dei contributi per la produzione dello zucchero. 7. -L'organizzazione comune dei mercati nel settore dello zucchero stata creata dal regolamento del Consiglio 18 dicembre 1967, n. 1009 (G. U. n. 308, pag. 1). Detto regolamento ha istituito un sistema, valido inizialmente fino al luglio 1975, che attribuiva ad ogni impresa una quota di base nonch una quota massima per. ciascuna stagione. Il quantitativo di zucchero eccedente la quota massima non poteva essere venduto nella Comunit. Era parimenti contemplato un sistema comunitario di finanziamento per le spese di smercio delle eccedenze, che entro certi limiti venivano coperte da tutti i produttori mediante un contributo sulla produzione e per il resto erano a carico del bilancio comunitario. Questo sistema veniva rinnovato, con riserva di talune modifiche, dai regolamenti del Consiglio 19 dicembre 1974, n. 3330 (G. U. n. L 359, pag. 1), e 24 giugno 1980, n. 1592 (G. U. n. L 160, pag. 12). Il regolamento n. 3330/74 aumentava le quote base soltanto per gli Stati membri principali produttori di zucchero e non, quindi, per l'Italia. L'aumento aveva lo scopo di controbilanciare gli effetti negativi delle importazioni di zucchero preferenziale proveniente dai paesi ACP in base agli impegni assunti dalla Comunit. 8. -La predetta normativa stata sostituita, con effetto dal 1 luglio 1981, dal regolamento del Consiglio 30 giugno 1981, n. 1785, di cui trattasi nel presente procedimento. Questo regolamento contempla tre tipi di quote. La quota A, che corrisponde al consumo di zucchero nella Comunit, pu essere liberamente messa in commercio nella Comunit 128 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO e il suo smercio garantito dal prezzo d'intervento. La quota B, che costituisce la parte della produzione di zucchero che eccede la quota base (quota A), ma non supera la quota massima, pari alla quota A moltiplicata per un determinato coefficiente. Essa pu del pari essere messa liberamente in commercio nel mercato comune, ma senza la garanzia del prezzo d'intervento, o pu essere esportata nei paesi terzi con una sovvenzione all'esportazione. Quest'ultima, pari alla differenza tra il prezzo d'intervento e il prezzo mondiale dello zucchero, viene versata sotto forma di restituzioni all'esportazione. Infine, la quota C, vale a dire la parte di produzione che eccede la quota massima (quote A e B), pu essere smerciata solo nei paesi terzi senza sovvenzioni all'esportazione. 9. -Il regolamento n. 1785/81 ha anche modificato il sistema di finanziamento degli oneri derivanti dall'esportazione dello rrucchero. Innanzitutto ha istituito il principio della responsabilit integrale dei produttori, i quali devono accollarsi per intero le spese relative allo smercio sui mercati d'esportazione dei quantitativi di zucchero che fruiscono delle restituzioni. In secondo luogo assoggetta al contributo sulla produzione non solo lo zucchero prodotto nell'ambito della quota B, ma anche quello della quota A. 10. -In base agli artt. 24 e 28 del regolamento n. 1785-81 il sistema cos istituito organizzato come segue: -I quantitativi di riferimento (quantitativi di base) per la fissazione delle quote base (quote A) sono immutati rispetto alla normativa precedente, ad eccezione del quantitativo base per l'Italia che passa da 1.230.000 tonnellate a 1.320.000 tonnellate (art. 24 del regolamento n. 1785/81); -le quote che superano le quote base, ma restano nei limiti della quota massima ( quote B ), sono stabilite in funzione della produzione effettiva, ma non possono essere inferiori al 10 % delle quote base. Per tener conto dell'andamento regionale della produzione di barbabietola e di canna da zucchero, le quote B sono fissate in un quantitativo pari alla media della produzione pi elevata constatata in tre delle ultime cinque stagioni (ibidem); -le spese relative allo smercio delle eccedenze derivanti dal rapporto tra la produzione e il consumo comunitari sono integralmente sostenute dai produttori; l'intera produzione nell'ambito delle quote A e B assoggettata ad un contributo da versare secondo le seguenti modalit (art. 28 del regolamento n. 1785/81): -la perdita complessiva derivante dallo smercio delle eccedenze di cui trattasi dapprima ripartita su tutta la produzione nell'ambito I I I PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE delle quote A e B con un contributo sulla produzione massimo pari al 2 % del prezzo d'intervento dello zucchero bianco; -la parte di tale perdita non coperta da detto contributo coperta mediante un contributo supplementare sulla produzione ex quota B non superiore al 30 % dello stesso prezzo d'intervento. Tuttavia, qualora quest'ultimo sistema di finanziamento sia insufficiente, il limite massimo pu essere aumentato fino al 37,5 %, di modo che l'onere totale gravante sulla produzione ex quota B pu raggiungere il 39,5 %. Sulla prima questione Sull'asserita discriminazione 11. -Nella prima parte della prima questione il giudice nazionale chiede in sostanza se il contributo imposto ai produttori italiani in base agli artt. 24 e 28 del regolamento n. 1785/81 sia in contrasto con il divieto di discriminazioni sancito dagli artt. 7 e 40, n. 3, del Trattato. 12. -Gli attori nella causa principale e il Governo itliano suggeriscono di risolvere detta questione in senso affermativo. A loro avviso, fa discriminazione deriva dal fatto che il totale degli oneri connessi al finanziamento del sistema delle quote calcolato in base al consumo nella Comunit, mentre gli oneri accollati alle singole imprese sono calcolati in base alla loro produzione effettiva nel periodo di riferimento. L'applicazione di parametri diversi relativamente al totale degli oneri ed alla ripartizione degli stessi tra i singoli operatori avrebbe la conseguenza che la quota A attribuita all'Italia e che assoggettata ad un contributo del 2 % soltanto fissata ad un livello nettamente inferiore al consumo nazionale italiano. 13. -Gli attori nella causa principale deducono, a sostegno del loro assunto, vari dati di fatto. Innanzitutto, la quota base attribuita all'Italia non sarebbe stata aumentata tra il 1968 e il 1981, a differenza di quelle assegnate a tutti gli altri Stati membri. Inoltre, vero che il regolamento n. 1785/81 ha assegnato all'Italia una quota A superiore del 7,3 % a quella precedente, ma la percentuale complessiva dell'aumento quota base/quota A italiana sarebbe sempre inferiore alla percentuale media di detto aumento nella Comunit dal 1968 (18 %). Per contro, il -consumo di zucchero sarebbe aumentato in Italia del 9,1 % dal 1968, mentre sarebbe diminuito del 2,1 % nell'intera Comunit. Di conseguenza, l'Italia sarebbe, assieme alla Repubblica federale di Germania, lo Stato membro che ha il pi basso rapporto tra quota A e consumo interno (85 % contro la media comunitaria del 101 %). 130 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO I ~ 14. -Ne consegue, secondo gli attori nella causa principale, che i ~: produttori italiani possono esportare solo zucchero di quota B, soggetto (:: ad un tributo superiore, e pertanto sopportano sulla loro quota B gli oneri generati dalle esportazioni dei produttori degli altri Stati I membri, che dispongono di una quota A superiore al consumo interno. In tal modo, i produttori italiani, che non avrebbero mai contribuito I a determinare eccedenze, sarebbero obbligati a finanziare lo smercio a prezzo garantito della produzione dei loro concorrenti comunitari. 15. -Il Governo italiano rileva, a questo proposito, che la situazione sopra descritta rischia di perturbare progressivamente l'equilibrio produttivo nella Comunit, poich il produttore eccedentario, che subisce solo in parte gli effetti delle proprie eccedenze, portato ad aumentare la produzione ed acquisisce cosi titolo ad un aumento della propria quota, mentre l'impresa che produce a costi pi elevati e che in genere non crea eccedenze costretta a contribuire agli oneri derivanti dall'esportazione di detta produzione eccedentaria. 16. -Il Consiglio e la Commissione negano l'esistenza di una discriminazione in base alla nazionalit o fra produttori della Comunit. Le quote sarebbero fissate in base a criteri obiettivi con riguardo allo scopo della normativa, consistente nel garantire un certo inquadramento della produzione saccarifera permettendone, al tempo stesso, il riorientamento. 17. -La Commissione precisa che la fissazione delle quote nazionali in base alla produzione effettiva de1le .imprese conforme ai principi della solidariet tra i produttori, della specializzazione della produzione e della libert degli scambi intracomunitari. Se da questo sistema deriva, per i produttori italiani, un onere eventualmente diverso da quello sopportato dagli altri produttori della Comunit, tale differenza sarebbe semplicemente il risultato di un diverso livello di produzione negli Stati membri. Per lo stesso motivo il rapporto tra i contributi riscossi e la quota B per l'Italia sarebbe privo di significato, poich le imprese dei vari Stati membri userebbero sempre in misura variabile la loro quota B nel corso delle varie stagioni. Per quanto riguarda l'asserita impossibilit, per i produttori italiani, di esportare zucchero che non sia quello prodotto nell'ambito della quota B, la Commissione osserva che di fatto, i suddetti produttori non esportano lo zucchero prodotto sotto quota nei paesi terzi e che inoltre non vi alcun rapporto tra la percezione dei contributi e la destinazione del prodotto. Infine, le restituzioni sarebbero versate senza alcuna distinzione all'esportazione di zucchero prodotto nell'ambito della quota A e di zucchero ex quota B. 18. -Il Consiglio e la Commissione rilevano poi che in ragione della mancanza di competitivit della produzione italiana di barbabietole i pro- I . I . . -}i .. , .,,, ..xi~. ...,,. ,tt-:rmr, %. ~,,. :-: .. :: ========m : fil - PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE duttori italiani fruiscono, sotto vari aspetti, di un regime pi favorevole di quello che vale per i produttori di altri Stati membri. Cos, i quantitativi base per l'Italia sarebbero stati fissati fin dall'origine, col regolamento n. 1009/67, ad un livello superiore a quello dei quantitativi base attribuiti agli altri Stati membri; per di pi, soltanto all'Italia sarebbe stata attribuita, col regolamento n. 1785/81, una quota A superiore al quantitativo base esistente. Inoltre, per quanto riguarda i produttori italiani, il contributo sulla produzione sarebbe calcolato rispetto al prezzo d'intervento e non rispetto al prezzo d'intervento derivato, pi elevato, che vale per l'Italia in quanto zona deficitaria; di conseguenza i produttori italiani sarebbero in realt assoggettati ad un contributo inferiore a quello gravante sugli altri produttori della Comunit. Infine, il sistema in vigore autorizzerebbe l'Italia a concedere aiuti nazionali ai propri produttori di barbabietole e di zucchero, oltre alla garanzia dei prezzi stabiliti in funzione delle regioni, ed attribuirebbe al suddetto Stato membro anche la facolt di modificare senza limiti le quote attribuite alle sue imprese qualora ci sia necessario all'attuazione di progetti di ristrutturazione. 19. -Si deve innanzitutto constatare che, come hanno spiegato la Commissione e il Consiglio, il sistema di quote per la produzione dello zucchero un elemento essenziale dell'organizzazione comune dei mercati in questo settore. Esso inteso, in una situazione di eccedenza, tanto sul mercato comunitario quanto sul mercato mondiale, a contenere la.. produzione ravvicinandola il pi possibile al consumo interno, promuovendo nel contempo la specializzazione regionale. A questo scopo esso garantisce lo smercio a prezzo garantito dei quantitativi stabiliti mediante un sistema di copertura delle spese relative allo smercio, che sono sopportate solidalmente da tutti i produttori. In base a detto sistema di copertura, sulla quota A, che rappresenta il consumo interno, viene riscosso solo un contributo minimo, mentre la quota B, destinata essenzialmente all'esportazione, soggetta ad un contributo molto pi elevato, di misura tale da consentire il finanziamento delle restituzioni necessarie e, nel contempo, da avere un effetto dissuasivo sui produttori. 20. ~-Ci premesso, a ragione il Consiglio ha ripartito le quote fissate tra le singole imprese in base alla loro produzione effettiva. Siffatta ripartizione degli oneri infatti conforme al principio della specializzazione regionale, principio base del mercato comune, n quale esige che la produzione possa essere effettuata nel luogo pi adeguato dal punto di vista economico. Detta ripartizione inoltre consona al principio della solidariet dei produttori, dato che la produzione costituisce un criterio legittimo per valutare ad un tempo l'importanza economica dei produttori e gli utili che essi ricavano dal sistema. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 21. Il fatto che la ripartizione degli oneri tra le imprese in funzione della produzione comporti per a'ltalia una quota A inferiore ,al suo consumo interno ed un rapporto particolarmente elevato tra i contributi riscossi e la sua quota B non pu autorizzare un giudizio diverso. Invero, tali conseguenze derivano proprio dall'esigenza che in un mercato comune, caratterizzato da una specializzazione regionale, la produzione negli Stati membri, considerati individualmente, possa svilupparsi indipendentemente dal volume del consumo negli stessi Stati. Esse non possono pertanto costituire una discriminazione. 22. La censura di discriminazione risulta ancor pi ingiustificata ove si considerino le disposizioni criticate nel contesto del regolamento di cui fanno parte. Proprio per attenuare le disparit causate dalle difficolt di caratere strutturale proprie dell'Italia, il Consiglio ha contem. plato, a corredo del sistema delle quote, vari provvedimenti specifici che si caratterizzano come aiuti ai produttori italiani, quali un quantitativo base pi elevato sin dall'inizio, un prezzo d'intervento pi alto e l'autoriz zazione a concedere aiuti nazionali. 23. Gli attori nella causa principale e il Governo italiano sostengono poi che la normativa controversa discriminatoria in quanto le quote attribuite in media agli stabilimenti italiani sono inferiori alle quote medie assegnate agli stabilimenti della Comunit (29.233 tonnellate rispetto a 51.873 tonnellate). Ne conseguirebbe che i costi fissi che i produttori italiani devono sopportare sono superiori a quelli gravanti sui produttori di altri Stati membri; ci avrebbe causato il fallimento di varie imprese italiane. 24. -Il Consiglio e la Commissione ribattono che le quote di produzione sono attribuite non agli stabilimenti, ma alle imprese e che le imprese italiane dispongono in media del quantitativo ex quota A pi elevato nella Comunit. Essi, per, non contestano che i costi della produzione di zucchero in Italia siano superiori alla media comunitaria. 25. -A questo proposito si deve ricordare che il sistema delle quote ha lo scopo non gi di favorire le imprese meno redditizie, ma di garantire un certo inquadramento della produzione permettendone al tempo stesso il riorientamento in funzione delle esigenze del mercato. Pertanto, legittimo non tener conto delle differenze dei costi di produzione al ! momento della ripartizione delle quote tra i singoli operatori. Ci vale ~ a maggior ragione se si considera che nella fattispecie il sistema delle quote corredato di un complesso di provvedimenti destinati a com- pensare almeno in parte le difficolt di carattere strutturale delle regioni meno favorite. I I I PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 26. -Dalle considerazioni che precedono emerge che i produttori italiani non sono affatto discriminati rispetto agli altri produttori della Comunit. Pertanto, l'argomento relativo all'asserita violazione degli artt. 7 e 40, n. 3, del Trattato dev'essere disatteso. Sull'asserita violazione dell'art. 39, n. 1, lett. b) del Trattato. 27. -Nella seconda parte della prima questione il giudice nazionale chiede in sostanza se il livello del contributo imposto ai produttori itaJiani in forza degli artt. 24 e 28 del regolamento n. 1785/81 sia in contrasto con lo scopo stabilito dall'art. 39, n. l, lett. b), del Trattato. A tenore di questa disposizione, la politica agricola comune mira ad assicurare... un tenore di vita equo alla popolazione agricola, grazie in particolare al miglioramento del reddito individuale di coloro che lavorano nell'agricoltura . 28. -Secondo gli attori della causa principale, detta questione deve essere risolta affermativamente, poich i produttori italiani non sono responsabili delle eccedenze di zucchero la cui esistenza ha determinato l'istituzione del regime controverso. In particolare essi osservano, a questo proposito, che il contributo sulla quota B impone ai produttori italiani un sacrificio sproporzionato e inoltre si ripercuote nella misura del 60 % sui bieticultori italiani. Detti fattori determinerebbero una diminuzione del reddito dei produttori italiani in contrasto con lo scopo indicato nell'art. 39, n. 1, lett. b), del Trattato. 29. -Il Consiglio e la Commissione sostengono per contro che la normativa di cui trattasi strutturata in modo da tener sufficientemente conto delle esigenze specifiche delle zone deficitarie nelle quali rientra l'Italia. Innanzitutto, in queste zone il prezzo minimo sia della barbabietola A sia della barbabietola B sarebbe pi elevato. Inoltre, dato che il contributo sulla produzione dello zucchero calcolato sul prezzo d'intervento e non sul prezzo d'intervento derivato, i bieticultori italiani pagherebbero, in percentuale, per lo zucchero B un contributo inferiore di quello dovuto dai produttori degli altri Stati membri (28,8 % del prezzo d'intervento contro 30 % per la stagione 1981/82). Per di pi, i produttori italiani di barbabietole e di zucchero fruirebbero degli aiuti nazionali autorizzati dall'art. 46 del regolamento n. 1785/81. Infine, poich fa produzione italiana di zucchero B sarebbe attualmente quasi nulla, i iproduttori italiani non pagherebbero, in pratica, alcun tributo relativamente a detto zucchero. La Commissione rileva inoltre che proprio il sistema delle quote ha permesso la conservazione della produzione di barbabietole in Italia, anche se il loro contenuto utile notevolmente inferiore a quello delle barbabietole prodotte in altri Stati membri. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 30. -Nella misura in cui tali argomenti sono identici a quelli dedotti a sostegno della prima censura, sufficiente rinviare alle considerazioni sopra svolte. 31. -Per quanto riguarda l'assunto degli attori nella causa principale secondo cui il sistema istituito dal regolamento n. 1785/81 non atto a garantire un tenore di vita equo ai produttori italiani e segnatamente ai bieticultori, si dev~ ricordare che il mercato de11o zucchero caratterizzato in complesso da una produzione eccedentaria. Di conseguenza, il sistema d'intervento e di cofinanziamento istituito per consentire lo smaltimento delle eccedenze a prezzo garantito consono all'interesse di tutti i produttori di zucchero della Comunit, compresi i produttori italiani. Come la Commissione ha giustamente rilevato, il prezzo minimo in tale modo garantito ha per l'appunto lo scopo ,di tutelare i redditi di tutti i produttori suddettt. 32. -Non pertanto lecito ritenere che la misura degli oneri che derivano dal sistema pr i produttori italiani sia in contrasto con lo scopo indicato nell'art. 39, n. 1, lett. b), del Trattato. In particolare, si deve respingere l'argomento secondo cui detti produttori sono tenuti a concorrere al finanziamento dello smaltimento delle eccedenze di cui non sono responsabili. Siffatto modo di vedere incompatibile col principio stesso di un merc~to comune nel quale impossibile determinare le imprese o lo Stato membro responsabili di un'eventuale sovrapproduzione. Ne consegue, per quanto concerne il sistema istituito dal regolamento n. 1785/81, che tutte le imprese che superino la propria quota A producono per definizione eccedenze destinate all'esportazione. 33. -Pertanto, anche l'argomento relativo a~l'asserita infrazione dell'art. 39, n. l, lett. b), del Trattato dev'essere disatteso. Sulla seconda questione. 34. -Con la seconda questione, il giudice nazionale chiede in sostanza se l'art. 24 del regolamento n. 1785/81 sia valido con riguardo all'obbligo di motivazione sancito dall'art. 190 del Trattato. 35. -Gli attori nella causa principale e il Governo italiano sostengono che il regolamento n. 1785/81 non contiene una motivazione sufficiente relativamente alla determinazione delle quote per l'Italia. Nel preambolo del regolamento ci si limiterebbe ad affermare che i motivi che hanno finora indotto la Comunit ad applicare un sistema di quote di produzione restano tuttora validi. Mancherebbe per qualsiasi indicazione relativa all'entit delle quote ed al fatto che la situazione sul piano della produzione e dei consumi nei vari Stati membri e la struttura dei contributi sono nel frattempo mutate. -----I PARm I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 36. -Il Consiglio e la Commissione assumono, dal canto loro, che l'obbligo stabilito dall'art. 190 del Trattato stato adempiuto poich una pi ampia motivazione figura nel preambolo dei. precedenti regolamenti nn. 1009/67 e 3330/74, ead essa si fa rinvio nel preambolo del regolamento n. 1785/81. 37. -Secondo la costante giurisprudenza della Corte, la motivazione prescritta dall'art. 190 del Trattato dev'essere adeguata alla natura dell'atto considerato. Essa deve far apparire in forma chiara e non equivoca l'iter logico seguito dall'autorit comunitaria da cui promana l'atto, onde consentire agli interessati di riconoscere le ragioni del provvedimento adottato e onde perll!ettere alla Corte di esercitare il proprio controllo. 38. -Emerge inoltre dalla predetta giurisprudenza, da ultimo confermata nella sentenza 28 ottobre 1982 (cause riunite 292 e 293/81, Lion e Haentjens, Racc. pag. 3887), come non si possa esigere che la motivaz10ne dei regolamenti specifichi i vari elementi di fatto o di diritto, talvolta molto numerosi e complessi, che costituiscono oggetto dei regolamenti qualora questi siano in armonia con il contesto normativo di c:ui fanno parte. Di conseguenza, se l'atto contestato evidenzia nella sua essenza lo scopo perseguito dall'istituzione, eccessivo pretendere la motivazione specifica di ciascuna delle scelte d'indole tecnica da essa operate. 39. - questo il caso del regolamento n. 1785/81 per quanto riguarda la giustificazione del sistema delle quote di produzione. Infatti, dalla motivazione esposta a questo proposito nel preambolo del suddetto regolamento, e segnatamente nell'undicesimo punto, letta congiuntamente al preambolo dei precedenti regolamenti nn. 1009/67 e 3330/74, emergono in modo chiaro e univoco i motivi che hanno indotto il Consiglio a conservare nelle linee generali il sistema gi esistente pur modificandolo su taluni punti, in particolare per quanto concerne le basi di calcolo delle quote e il finanziamento del sistema. Siffatta motivazione sufficiente per consentire agli operatori interessati di conoscere la ragion d'essere della normativa contestata e per permettere alla Corte di esercitare il proprio controllo. 40. -Di conseguenza, l'argomento relativo all'asserita insufficienza di motivazione, in contrasto con l'art. 190 del Trattato, dev'essere anch'esso disatteso. 41. -Per tutti i motivi s~pra esposti, si deve rispondere al Tribunale di Roma che l'esame delle questioni sollevate non ha messo in luce elementi atti ad inficiare la validit degli artt. 24 e 28 del regolamento del Consiglio 30 giugno 1981, n. 1785. (omissis) 136 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT EUROPEE, Sed. plen., 18 febbraio 1986, nella causa 35/84 -Pres. Mackenzie Stuart -Avv. Gen. Lenz -Commissione delle C.E. (ag. Traversa e Van Rijn) c. Repubblica italiana (avv. Stato Fiumara). Comunit europee -Libera circolazione delle merci Controlli sanitari sulle cagliate importate -Ritardi -Rilevanza. (Trattato CEE, artt. 30 e 36; reg. CEE del Consiglio 27 giugno 1968, n. 804, art. 22). Non costituiscono misure equivalenti a restrizioni quantitative alla importazione controlli sanitari intensivi su partite di merci (cagliate) sospette di essere dannose per la salute pubblica, n i connessi ritardi nel trasporto, se questi avrebbero potuto essere sensibilmente ridotti ove le ditte interessate avessero accettato di proseguire il viaggio in vincolo sanitario in attesa dei risultati degli esami di laboratorio (1). (omissis) 1. -Con atto depositato presso la cancelleria della Corte il 9 febbraio 1984, la Commissione delle Comunit Europee ha presentato, in forza dell'art. 169 del Trattato CEE, un ricorso mirante a far dichia. rare che, imponendo restrizioni all'importazione di cagliate provenienti da un altro Stato membro, la Repubblica italiana venuta meno agli obblighi impostile dall'art. 30 del Trattato CEE, e dall'art. 22, n. 1, del regolamento (CEE) del Consiglio 27 giugno 1968, n. 804, relativo all'organizzazione comune dei mercati nel settore del latte e dei prodotti lattierocaseari (G. U. n. L 148, pag. 13). (1) Secondo la giurisprudenza della Corte controlli sanitari, riguardanti sia la salute umana che quella degli animali, eseguiti alla frontiera sulle merci importate, costituiscono una misura di effetto equivalente a restrizioni quantitative e sono pertanto vietati, a meno che siano giustificati da altre disposizioni comunitarie, fra cui, in particolare, l'art. 36 del Trattato. (sentenza 15 dicembre 1976, nella causa 35/76, SIMMENTHAL, in Racc., 1976, 1871, e 22 marzo 1983, nella causa 42/83, COMMISSIONE c. REP. FRANCESE, ibidem, 1983, 1013). Nel caso di specie, stato dimostrato in causa che i controlli sulle partite di cagliata provenienti dalla Germania, lungi dall'essere espressione di una tendenza generale o il risultato di una prassi generalizzata, erano stati eseguiti essendo sorto il sospetto concreto che il prodotto fosse dannoso per la salute umana in quanto contaminato da germi di origine fecale a livelli inaccettabili. Sulla rilevanza di ritardi da parte delle autorit amministrative del paese importatore ad eseguire controlli si veda anche la precedente sentenza della Corte 28 gennaio 1986, nella causa 188/84, COMMISSIONE c. REP. FRANCESE, ancora inedit, con la quale stato precisato che frequenti e rilevanti ritardi nel trattamento delle domande da parte delle autorit di controllo per il visto o l'omologazione di macchine e apparecchi usati per la lavorazione del legno possono rendere le importazioni pi difficili ed onerose e, pertanto, costituire misure d'effetto equivalente a restrizioni quantitative ai sensi dell'art. 30 del Trattato, sempre che non si tratti di ritardi cui soggiacciono anche le domande dei produttori nazionali che non godono di alcuna priorit. PARTE I, SEZ. II,. GIURIS. COMUNITARIA B INTBRNAZIONALB 137 2. -Nel 1982, la Commissione riceveva, da parte di due imprese lattiero- casearie stabilite nella Repubblica federale di Germania, alcune proteste, dalle quali risultava che: 1) al momento dell'importazione in Italia, i formaggi del tipo cagliata provenienti dalla Germania erano sottoposti periodicamente, ed in particolare nell'estate del 1982, a controlli sanitari sistematici; 2) gli autocarri che trasportavano le cagliate erano trattenuti alla frontiera per parecchi giorni (nei casi presi in considerazione~ 3 e 7 giorni) in attesa dei risultati degli esami di laboratorio; 3) le decisioni sull'ammissione delle cagliate erano adottate una settimana o pi dopo che il risultato dell'analisi era conosciuto; 4) le decisioni orali comportanti il r~fiuto di ammettere le cagliate in Italia non venivano affatto confermate per iscritto o, tutt'al pi, Jo erano dopo diversi mesi. 3. -Con telescritto 21 giugno 1982 la Commissione informava la Rappresentanza permanente d'Italia dei fatti riferitile. Sottolineando che questi fatti costituivano violazione dell'art. 30 del Trattato CEE e dell'art. 22 del regolamento del Consiglio n. 804/68, la Commissione invitava il Governo italiano a presentare le proprie osservazioni. 4. -In risposta al telescritto, con lettera 5 luglio 1982, la Rappresentanza permanente d'Italia faceva presente che gli esami batteriologici a campione effettuati sulle cagliate refrigerate di origine e provenienza tedesca erano giustificati da ragioni attinenti alla tutela della salute umana, tenuto conto degli esiti sfavorevoli delle analisi effettuate su partite di cagliate provenienti da numerose latterie tedesche. Le analisi effettuate avrebbero in particolare permesso di riscontrare un elevato contenuto di Escherichia coli, da cui risultava chiaramente un livello di contaminazione fecale del prodotto assolutamente inaccettabile in base alle norme del Codex Alimentarius predisposto dall'Organizzazione mondiale della Sanit. Le autorit tedesche sarebbero state invitate, al fine di migliorare la qualit igienica delle cagliate esportate in Italia, a far in modo che le medesime fossero prodotte con latte trattato termicamente. Fino a quando non fosse stato possibile registrare un'apprezzabile miglioramento dei requisiti igienico-sanitari delle cagliate importate dalla Germania, l'Italia avrebbe continuato a disporre i controlli, ovvero a prendere altri provvedimenti in linea con la condotta fino ad allora seguita. Era inevitabile, secondo le autorit italiane, che vi fossero ritardi nel trasporto delle cagliate. Tali ritardi avrebbero potuto essere sensibilmente ridotti qualora le ditte interessate si fossero impegnate ad attenersi a tutte le disposizioni del Ministero italiano della Sanit. 138 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO In questo caso, infatti, le partite sottoposte a campionamento avrebbero potuto proseguire verso le localit di destinazione in vincolo sanitario, in attesa dei risultati degli esami di laboratorio che richiedevano, di regola, almeno 4 giorni lavorativi. 5. -Non convinta dagli argomenti delle autorit italiane, la Commissione comunicava al Governo italiano, con lettera 7 marzo 1983, cli ritenere che le restrizioni imposte dall'Italia alle importazioni di cagliate costituissero violazione dell'art. 30 del Trattato CEE e dell'art. 22, n. l, del regolamento del Consiglio n. 804/68, senza peraltro essere giustificate in base all'art. 36 del Trttato. Essa invitava pertanto il Governo italiano a presentare le proprie osservazioni entro il termine di due mesi. 6. -Poich questa lettera era rimasta senza risposta, la Commissione inviava al Governo italiano, con lettera 26 ottobre 1983, un parere motivato nel quale faceva valere che l'Italia, imponendo restrizioni alle importazioni di cagliate provenienti dalla Germania, era venuta meno agli obblighi impostile dall'art. 30 del Trattato e dall'art. 22, n. 1, del regolamento del Consiglio n. 804/68. La Commissione chiedeva all'Italia di adottare i provvedimenti necessari per conformarsi al parere motivato entro il termine di un mese dalla notifica dello stesso. 7. -Non avendo ricevuto alcuna risposta al parere motivato, la Commissione, a norma dell'art. 169, secondo comma, del Trattato CEE, ha proposto alla Corte il presente ricorso. 8. -A sostegno del proprio ricorso la Commissione adduce quattro addebiti vertenti, rispettivamente: a) sui controJli sistematici sulle cagliate importate; b) sul blocco alla frontiera, per pi giorni, degli autocarri adibiti al trasporto delle cagliate; e) sul termine di una settimana o pi necessario perch vengano adottate le decisioni relative all'ammissione delle cagliate; d) sull'assenza della conferma scritta del rifiuto di ammettere le cagliate in Italia o sul ritardo cli tale conferma. 9. -L'addebito pi grave dedotto dalla Commissione riguardava asseriti controlli sanitari sistematici da parte delle autorit italiane delle partite di cagliate provenienti dalla Repubblica federale di Germania. Di fronte alle prove prodotte dal Governo italiano nel corso della fase scritta, la Commissione ha rinunciato, nella replica, a questo addebito. Il Governo italiano ha infatti dimostrato che, nel 1982, su 10.000 partite ' --,-l PARIB I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE di formaggi importati (ivi comprese le forniture di cagliate) solo 84 sono state sottoposte a controlli. Inoltre, dalla risposta fornita dal Governo italiano in data 11 gennaio 1985, risulta che sono stati effettuati 19 controlli relativi a partite di cagliate, 11 delle quali non soddisfacevano le condizioni sanitarie richieste. 10. -Ne deriva che il ricorso della Commissione riguarda soltanto tre addebiti di importanza secondaria. Va notato che tali addebiti si ricollegavano, nella loro presentazione iniziale, agli argomenti relativi al carattere sistematico dei controlli, e che essi hanno perso gran parte della loro importanza dopo la rinuncia agli argomenti stessi. 11. -Va aggiunto che la Commissione non riuscita a convincere la Corte che gli addebiti da lei formulati si riferivano a episodi rientranti in una tendenza generale, o che erano il risultato di una prassi generalizzata. Anzi, la Commissione non riuscita a smentire il Governo italiano quan'fio quest'ultimo ha dichiarato alla Corte che questi episodi costituivano casi isolati per i quali esistevano motivi precisi per effettuare dei controlli intensivi, essendo stato rilevato, nelle cagliate in questione, un elevato tasso di Escherichia coli, che attestava una contaminazione di origine fecale a livello del tutto inaccettabile. 12. -Pi in particolare, per quel che riguarda gli asseriti ritardi, la Commissione non stata in grado di produrre prove idonee a confutare i chiarimenti forniti dal Governo italiano, stando ai quali le analisi batteriologiche a campione effettuate sulle cagliate provenienti dalla Germania erano giustificate da ragioni attinenti alla tutela della salute umana, tenuto conto che una gran parte dei risultati di queste analisi dimostrava che la qualit delle cagliate, dal punto di vista igienico, era inaccettabile. La Commissione non neppure stata in gr~do di confutare l'affermazione del Governo italiano secondo la quale i ritardi nel trasporto delle cagliate potrebbero essere sensibilmente ridotti qualora le ditte interessate si impegnassero a rispettare le disposizioni del Ministero italiano della Sanit, permettendo cos che le partite 1sottoposte a campionamento proseguano verso le localit di destinazione in vincol0sanitario, in attesa dei risultati degli esami di laboratorio. 13. -Stando cos le cose, la Commissione non ha provato l'esistenza di una violazione dell'art. 30 del Trattato. 14. -Poich nessuno degli addebiti mossi dalla Commissione merita accoglimento, occorre respingere il ricorso per inadempimento presentato dalla Commissione contro la Repubblica italiana. (omissis) 140 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT EUROPEE, Sed. Plen., 30 aprile 1986, nelle cause riunite 209-213/84 -Pres. Mackenzie Stuart - Avv. Gen. Lenz -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale di polizia di Parigi nei procedimenti penali contro L. Asjes e altri -Interv.: Governi francese (ag. Guillaume e de Margerie), italiano (avv. Stato Braguglia), dei Paesi Bassi (ag. Verkade e Bos) e del Regno Unito (ag. Braggins e Pratt) e Commissione delle C.E. (ag. Amphoux). Comunit europee -Concorrenza Fissazione delle tariffe aeree. (Trattato CEE, artt. 3, 5, 85, 87, 88 e 89; Convenzione di Chicago 7 dicembre 1944, appr. e resa esec. in Italia con d.lg. 6 marzo 1948, n. 616, ratif. con legge 17 aprile 1956, n. 561). E contrario agli obblighi derivanti agli Stati membri dal combinato disposto dell'art. 5 del Trattato CEE e degli artt. 3, lett. f), e 85, in particolare n. l, dello stesso Trattato, omologare tariffe aeree e rafforzarne cos gli effetti qualora, in assenza di una normativa adottata dal Consiglio in base all'art. 87, sia constatato, nelle forme e secondo le procedure descritte all'art. 88 o all'art. 89, n. 2, che tali tariffe sono il risultato di un accordo, della decisione di un'associazione d'imprese o di una pratica concordata contrari all'art. 85 (1). (omissis) 1. -Con cinque sentenze in data 2 marzo 1984, pervenute il 17 agosto 1984, il Tribuna! de police (Tribunale penale) di Parigi ha proposto a questa Corte, a norma dell'art. 177 del Trattato CEE, una questione pregiudiziale vertente sull'interpretazione di talune disposizioni del suddetto Trattato onde poter verificar la compatibilit con tali disposizioni della procedura obbligatoria di omologazione contemplata dalla legge francese per le tariffe aeree. 2. -Tale questione stata sollevata nell'ambito di diversi procedimenti penali intentati contro responsabili di compagnie di navigazione aerea e di agenzie di viaggio, imputati di aver praticato, in violazione degli (1) Sentenza di rilevante importanza con la quale la Corte si occupa -a quanto consta per la prima volta -dello spinoso problema della concorrenza nel settore dei trasporti aerei. La sentenza ha dovuto affrontare anzitutto la questione dell'applicabilit stessa delle regole comunitarie sulla concorrenza al settore considerato e l'ha risolta affermativamente, in riferimento all'art. 84, n. 2, del Trattato CEE, statuendo che ... i trasporti aerei, cos come le altre forme di trasporto, restano soggetti alle norme generali del Trattato, ivi comprese quelle in materia di concorrenza (punto 45 della motivazione). Dopo tale affermazione di principio, che deriva direttamente dai principi stabiliti con la sentenza 4 aprile 1974, in causa 167/73 (citata in motivazione, punto 31), la Corte passata a constatare le conseguenze dell'assenza, nel settore PARTE I, SPZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 141 artt. L 330-3, R 330-9 e R 330-15 del Codice dell'aviazione civile francese, tariffe per la vendita di biglietti di trasporto aereo non sottoposte all'omologazion~ del ministro competente per l'aviazione civile o diverse dalle tariffe omologate. 3. -Il precitato art. L 330-3 dispone che il trasporto aereo pu essere effettuato solo da imprese autorizzate dal ministro competente per l'aviazione civile. Tali imprese debbono inoltre sottoporre le loro tariffe alla omologazione dello stesso ministro. L'art. R 330-9 precisa i dati da fornire a tal fine. A norma del secondo comma di tale articolo, le disposizioni di cui trattasi si applicano anche ad imprese straniere. L'art. R 330-15 commina, come pena per la violazione di tali disposizioni, la reclusione da 10 giorni ad un mese e/o un'ammenda da 600 a 1.000 FF. Una decisione di omologazione della tariffa proposta da una compagnia aerea ha quindi l'effetto di rendere tale tariffa obbligatoria per tutti gli operatori economici che vendano biglietti di tale compagnia per il percorso che ha formto oggetto della domanda di omologazione. 4. Investito di questi procedimenti penali, il Tribuna! de polke di Parigi si posto il problema della compatibilit del sistema, quale emerge dalle precitate disposizioni, col Trattato CEE e, in particolare, con l'art. 85; n. l, del Trattato, in quanto tali disposizioni darebbero vita, secondo il Tribunale, ad una concertazione tra le compagnie di trasporti aerei contraria al suddetto articolo. Il Tribuna! de polke ha altresi respinto l'obiezione secondo cui l'art. 85 non si applicherebbe al settore dei trasporti aerei, in forza dell'art. 84, n. 2, considerando che tale disposizione mira semplicemente a demandare l'istituzione di una politica comune nel settore di cui trattasi ad una decisione del Consiglio, senza peraltro sottrarre tale settore all'applicazione delle altre norme del Trattato, quali l'art. 85. dei trasporti aerei, di una normativa di applicazione degli articoli 85 e 86 del Trattato, che il Consiglio avrebbe dovuto adottare ai sensi dell'art. 87. In tale situazione la Corte ha riconosciuto l'applicabilit degli articoli 88 e 89, subordinando espressamente il potere dei giudici nazionali, di constatare l'eventuale incompatibilit di tariffe aeree concertate , a decisioni prese dalle autorit nazionali competenti in forza dell'art. 88 o dalla Commissione in forza dell'art. 89. Sotto tale profilo la sentenza in esame rivela il .notevole equilibrio della Corte: la quale da un lato, nell'attuale situazione praticamente non regolamen tata, ha escluso interventi autonomi dei giudizi nazionali, che potrebbero rivelarsi episodici, non univoci e forieri di pregiudizievoli conseguenze nel delicato settore dei trasporti aerei; dall'altro non ha per mancato di stimolare la Commissione ad esercitare il potere che l'art. 89 del Trattato CEE ad essa attribuisce. Le conseguenze di tale sentenza non si sono fatte ,attendere a lungo. Pur continuando i lavori in seno al Consiglio per varare una regolamentazione ex art. 87, la Commissione infatti ha gi avviato procedure ai sensi dell'art. 89 nei confronti delle pi importanti compagnie aeree degli Stati membri. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 142 S. -Stando cos le cose, il giudice nazionale ha deciso di sospendere il giudizio e di adire la Corte affinch venga statuito sulla conformit degli artt. L 330-3, R 330-9 e R 330-15 del Codice dell'aviazione civile francese alla normativa comunitaria . 6. A norma dell'art. 20 del protocollo sullo Statuto della Corte, hanno presentato osservazioni scritte le tre societ civilmente responsabili nei giudizi principali, la societ Nouvelles Frontires S.A., nelle cause 212 e 213/84, e le societ Compagnie National Air France (Air France) e Koninklijke Luctvaar Maatschappij N.V. (K.L.M.), rispettivamente, nelle cause 212/84 e 209/84, nonch i Governi della Repubblica francese, della Repubblica italiana, del Regno dei Paesi Bassi e del Regno Unito e la Commissione delle Comunit Europee. 7. Con ordinanza 26 settembre 1984, la Corte ha deciso, a norma dell'art. 43 del regolamento di procedura, di riunire le cause ai fini del procedimento e della sentenza. A) Sulla competenza della Corte a risolvere la questione pregiudiziale. 8. La Air France, la K.L.M. ed i Governi francese ed italiano hanno avanzato talune obiezioni in ordine alla competenza della Corte a risolvere la questione pregiudiziale sollevata dal giudice nazionale. 9. In primo luogo, la Air France e la K.L.M., col sostegno del Governo francese, ranno rilevare che una pronunzia della Corte in ordine a tale questione pregiudiziale sarebbe superflua, in quanto il giudice nazionale avrebbe gi preso posizione, nella sentenza di rinvio, sia sull'applicazione dell'art. 85 al settore dei trasporti aerei, sia sulla nullit, a norma del n. 2 di tale articolo, delle concertazioni tariffarie sottostanti alle tariffe di cui trattasi nei giudizi principali. 10. Va osservato al riguardo che, secondo una giurisprudenza costante, nell'ambito della ripartizione delle funzioni giurisdizionali tra il giudice nazionale e la Corte operata dall'art. 177 del Trattato, spetta al giudice nazionale valutare, con piena cognizione di causa, la pertinenza delle questioni di diritto sollevate dalla controversia sottopostagli e la necessit di una pronunzia pregiudiziale ai fini della sentenza definitiva (cfr. in particolare sentenza 14 febbraio 1980, causa 53/79, ONPTS c/ Damiani, Racc. pag. 273). 11. In secondo luogo, la Air France e la K.L.M. fanno valere che la descrizione della legge francese contenuta nella sentenza di rinvio sarebbe viziata da errori in quanto il giudice nazionale non ha tenuto conto delle disposizioni degli accordi internazionali esistenti in materia. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 12. -A questo proposito va innanzitutto ricordato che, poich il procedimento pregiudiziale istituito dall'art. 177 non diretto all'interpretazione di norme legislative o regolamentari nazionali (cfr., di recente, sentenza 13 marzo 1984, causa 16/83, Prantl, Racc. pag. 1299), eventuali inesattezze contenute nella descrizione delle disposizioni nazionali litigiose operata, nella sentenza di rinvio, dal giudice nazionale, non pu avere la conseguenza di privare Ja Corte della competenza a risolvere la questione pregiudiziale proposta da eietto giudice. 13. -Quanto all'eventuale incidenza degli accordi internazionali in materia di aviazione civile sulla valutazione, nei confronti del diritto comunitario, delle disposizioni nazionali del tipo di quelle considerate dal giudice nazionale nelle presenti controversie, va osservato che l'esistenza di tali accordi non costituisce una circostanza tale da privare la Corte della competenza che le propria, a norma dell'art. 177 del Trattato CEE, per l'interpretazione delle norme pertinenti di diritto comuni tario. 14. -In terzo luogo, la Air France, la K.L.M. ed il Governo italiano fanno rilevare che il giudice nazionale omette di precisare la norma di diritto comunitario la conformit alla quale da parte della legge francese di cui causa dovrebbe essere valutata dalla Corte. 15. -:E: sufficiente constatare, al riguardo, che, come risulta dalla lettura della sentenza di rinvio, la questione sollevata in relazione alle norme del Trattato in materia di concorrenza. 16. -Di conseguenza, vanno respinte le obiezioni mosse 'in ordine alla competenza della Corte a risolvere la questione pregiudiziale proposta dal giudice nazionale nelle presenti controversie. 17. -Detta questione va tuttavia intesa come diretta ad accertare se ed in che misura sia contrario agli obblighi imposti agli Stati membri in materia di tutela deLlibero gioco della concorrenza nel mercato comune dagli artt. 5, 3, lett. f), e 85, in particolare n. 1, del Trattato CEE, applicare norme di uno Stato membro che istituiscono, per le tariffe di trasporto aereo, una procedura obbligatoria di omologazione sanzionando, anche penalmente, il mancato rispetto delle tariffe cos omologate qualora sia constatato che tali tariffe sono il risultato di un accordo, di una decisione o di una pratica concordata contrari al precitato art. 85. B) Sulla disciplina internazionale dei trasporti aerei. 18. -Per meglio collocare nel suo contesto giuridico la legge francese a cui si riferisce il giudice nazionale, il Governo francese; nelle sue osservazioni scritte, ha illustrato il quadro generale degli accordi inter 144 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO nazionali esistenti in materia di aviazione civile. A tale proposito, esso ha citato la convenzione base relativa all'aviazione civile internazionale sottoscritta a Chicago il 7 dicembre 1944 (Raccolta dei trattati delle Nazioni Unite, volume 15, pag. 295), nonch l'insieme degli altri accordi internazionali che ne sono derivati. 19. -La convenzione di Chicago dispone, all'art. 6, che nessun. servizio internazionale pu essere esercitato al di sopra o all'interno del territorio di uno Stato contraente, salvo permesso speciale o altra autorizzazione di detto Stato e in conformit alle condizioni di tale permesso o autorizzazione . Essa non contiene disposizioni in materia di tariffe non essendo stato possibile concludere un accordo in materia tra gli Stati firmatari. 20. -Il precitato art. 6, che sancisce il principio della sovranit di ciascuno Stato sullo spazio aereo sovrastante il suo territorio, ha condotto alla conclusione di una rete di accordi bilaterali attraverso quali gli Stati autorizzano la creazione di una o pi linee aeree tra i loro rispettivi territori. 21. -Taluni accordi bilaterali, concepiti secondo modelli di applicazione generalizzata, quali il c.d. accordo delle Bermude II tra gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, concluso il 13 luglio 1977, definiscono le linee autorizzate nonch gli scali nei paesi interessati e stabiliscono che ciascuno Stato firmatario designa le compagnie aeree autorizzate ad esercitare i diritti riconosciuti dall'accordo di cui trattasi. Detti accordi garantiscono che tutte le compagnie aeree autorizzate potranno gestire tali linee alle stesse condizioni. Tali accordi dispongono altres che le tariffe dei servizi aerei sono fissate dalle compagnie autorizzate ad effettuare il servizio sulle linee considerate da ciascun accordo. Tali tariffe sono poi sottoposte all'approvazione delle autorit degli Stati firmatari. In questo tipo di accordo bilaterale, gli Stati firmatari rivelano per la loro preferenza a che le tariffe siano fissate in comune dalle compagnie autorizzate e, se possibile, siano trattate nell'ambito dell'Associazione del Trasporto Aereo Internazionale (l.A.T.A.). 22. -La I.A.T.A. un'associazione di diritto privato creata dalle compagnie di trasporti aerei in occasione di una conferenza da esse tenuta all'Avana nell'aprile 1945. Una delle sue attivit consiste nell'offrire alle compagnie che effettuano il servizio su rotte situate in una stessa regione un ambito in cui esse possono decidere tariffe coordinate. Tali tariffe sono poi sottoposte all'approvazione degli Stati interessati, in conformit a quanto disposto dai vari accordi bilaterali. 23. -Un sistema analogo a quello dei summenzionati accordi bilaterali per la fissazione delle tariffe contemplato dall'accordo multi~ ! f: I ~ I I I PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNUARIA E INTERNAZIONALE 145 laterale sulla procedura da applicare alla fissazione delle tariffe aeree regolari, concluso il 19 luglio 1967 nell'ambito del Consiglio d'Europa e ratificato da taluni Stati membri. 24. -Il Governo francese, dopo aver ricordato il contesto internazionale in precedenza descritto, ha precisato che le disposizioni legislative e regolamentari francesi di cui trttasi nelle cause principali si collocano in tale ambito. Tuttavia, esso non ha sostenuto che gli accordi internazionali in precedenza menzionati obblighino gli Stati membri che li hanno firmati a non osservare le regole di concorrenza del Trattato CEE. 25. -La posizione del Governo francese al riguardo condivisa, in sostanza, dalle altre parti che hanno presentato osservazioni nelle cause in esame, le quali hanno anch'esse menzionato il contesto internazionale descritto dal Governo francese. 26. -Stando cos le cose, gli accordi internazionali menzionati gal Governo fraricese e dalle altre parti non ostano a che la Corte esamini la questione sollevata dal giudice nazionale in relazione alle norme di diritto comunitario a cui tale giudice fa riferimento. C) Sull'applicabilit ai trasporti aerei delle regole di concorrenza del Trattato. 27. -Intesa nel senso sopra definito, la questione sollevata dal giudice nazionale richiede che venga precisato se il diritto comunitario comporti obblighi incombenti agli Stati membri, in forza dell'art. 5 del Trattato, in materia di concorrenza nel settore dei trasporti aerei. A tal fine, necessario verificare, in via preliminare, se le regole di concorrenza stabilite dal Trttato, allo stato attuale del diritto comunitario, si applichino alle imprese rientranti nel settore di cui causa. 28. -Al riguardo deve in primo luogo prendersi in considerazione l'art. 84 con cui si conclude il titolo IV della seconda parte del Trattato, consacrato ai trasporti. 29. -Tale articolo recita: 1. Le disposizioni del presente titolo si applicano ai trasporti ferroviari, su strada e per vie navigabili. 2. Il Consiglio, con deliberazione unanime, potr decidere se, in quale misura e con quale procedura, potranno essere prese opportune disposizioni per la navigazione marittima ed aerea . 146 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO I {: 30. -Nelle loro osservazioni, la societ Nouvelles Frontires, il GoI !: verno del Regno Unito e la Commissione fanno valere che tale articolo non pu escludere l'applicazione al settore dei trasporti aerei delle norme del Trattato in materia di concorrenza, in particolare dell'art. 85. I !: 31. -Al riguardo, essi fanno riferimento alla sentenza 4 aprile 1974 (causa 167/73, Commissione c/ Repubblica francese, Racc. pag. 359), in cui la Corte ha riconosciuto che l'art. 84, n. 2, lungi dall'escludere l'applicazione del Trattato ai tipi di trasporto considerati da tale disposizione, dispone soltanto che ad, essi non si applicheranno ipso iure 1 le norme specifiche del titolo relativo ai trasporti e che pertanto gli stessi, cosi come le altre forme di trasporto, rimangono soggetti alle norme generali del Trattato. 32. -Essi sostengono che, fra le norme generali del Trattato, figurano anche le norme relative alla concorrenza. Queste ultime dovrebbero quindi potersi applicare ai trasporti aerei indipendentemente da qualsiasi decisione del Consiglio ai sensi dell'art. 84, n. 2. 33. -La soluzione opposta propugnata dal Governo francese. 34. -Tale Governo fa valere che fa soluzione adottata dalla Corte nella sua precitata sentenza r~guardava esclusivamente le norme contenute nella seconda parte del Trattato riguardanti i fondamenti della Comunit e non pu quindi essere trasposta alle regole di concorrenza, che sono contenute nella terza parte dello stesso Trattato, relativa alla politica della Comunit. 35. -Va ricordato che, ai sensi dell'art. 74, che apre il titolo relativo ai trasporti, gli Stati membri perseguono gli obiettivi del Trattato per quanto riguarda la materia disciplinata dal presente titolo, nel quadro di una politica comune dei trasporti . 36. -Dalla formulazione stessa di tale norma risulta che gli obiettivi del Trattato, ivi compreso quello sancito all'art. 3, lett. f), e consistente nella creazione di un regime inteso a garantire che la concorrenza non sia falsata nel mercato comune, sono validi anche per il settore dei trasporti. 37. -Ai sensi dell'art. 61 del Trattato, la libera circolazione dei servizi in materia di trasporti non disciplinata dalle disposizioni del capo relativo alla prestazione di servizi, ma da quelle del titolo relativo alla politica comune dei trasporti. Nel settore dei trasporti, l'obiettivo fissato dall'art. 59 del Trattato e -consistente nella soppressione, durante il periodo transitorio, delle restrizioni alla libera prestazione dei servizi, avrebbe quindi dovuto essere raggiunto nell'ambito dell.a politica comune definita agli artt. 74 e 75. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 38. -Nessun'altra disposizione del Trattato subordina invece la sua applicazione al settore dei trasporti alla realizzazione di una politica comune in tale settore. 39. -Per quanto riguarda in particolare le regole di concorrenza, va ricordato che, a norma dell'art. 77 sono compatibili col Trattato gli aiuti richiesti dalle necessit del coordinamento dei trasporti ovvero corrispondenti al rimborso di talune servit inerenti alla nozione di pubblico servizio . Una norma siffatta presuppone chiaramente che le regole di concorrenza del Trattato, di cui fanno parte le norme relative agli aiuti statali, si applichino al settore dei trasporti indipendentemente dalla realizzazione di una politica comune in tale settore. 40. -Occorre inoltre osservare che il Trattato, quando ha inteso sottrarre talune attivit all'applicazione delle regole di concorrenza, ha stabilito una deroga espressa a tale fine. Ci avviene per quanto riguarda la produzione e il commercio dei prodotti agricoli, a cui le regole di concorrenza, a norma dell'art. 42, si applicano soltanto nella misura determinata dal Consiglio, nel quadro delle disposizioni e conformemente ana procedura di cui all'articolo 43, paragrafi 2 e 3, avuto riguardo agli obiettivi enunciati nell'articolo 39 . 41. -Per i trasporti non esiste alcuna norma del Trattato che, analogamente all'art. 42, escluda l'applicazione delle regole di concorrenza o la subordini ad una decisione del Consiglio. 42. -Deve pertanto concludersi che le regole di concorrenza del Trattato, ed in particolare quelle dettate dagli artt. 85-90, si applicano al settore dei trasporti. 43. -Per quanto concerne p1u m particolare la navigazione aerea, va constatato che l'art. 84 del Trattato, come risulta dalla sua stessa formulazione e dalla sua collocazione nel Trattato, mira semplicemente a definire l'ambito di applicazione degli artt. 74 e segg. in relazione alle diverse forme di trasporto, operando una distinzione tra i trasporti ferroviari, su strada e per vie navigabili considerati al n. 1, da una parte, ed i trasporti marittimi e. aerei che formano oggetto del n. 2; dall'altra. 44. Quanto al suddetto n. 2, la Corte ha precisato, nella sua precitata sentenza 4 aprile 1974, che tale disposizione ha il solo scopo di escludere, salvo decisione contraria del Consiglio, l'applicazione ai trasporti marittimi ed aerei del titolo IV della seconda parte del Trattato relativa alla politica comune dei trasporti. 148 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 45. -Ne consegue che i trasporti aerei, cosi come le altre forme di trasporto, restano soggetti alle norme generali del Trattato, ivi comprese quelle in materia di concorrenza. D) Sulle conseguenze dell'assenza, nel settore dei trasporti aerei, di una normativa di applicazione degli artt. 85 e 86 del Trattato. 46. -Nelle loro osservazioni scritte, la Air France e la K.L.M., nonch i Governi francese, italiano, olandese e la Commissione hanno sottolineato che, nel settore dei trasporti aerei manca, allo stato attuale, una nor. mativa quale quella contemplata dall'art. 87. 47. -Stando cosi le cose, l'applicazione a tale settore degli artt. 85 e 86 rientra, a parere dei Governi francese e italiano, nella competenza delle autorit nazionali considerate all'art. 88 del Trattato. Tali autorit potrebbero altresi accordare, nei casi di cui all'art. 85, n. 3, esenzioni al divieto sancito al n. 1. 48. -Il Governo dei Paesi Bassi ritiene anch'esso che, in assenza di provvdimenti di applicazione degli artt. 85 e 86, spetti alle autorit nazio.3:l.i ai sensi dell'art. 88, ma anche alla .Commissione in forza dell'art. 89, assicurare l'osservanza di tali norme. Detto Governo sostiene che non possibile constatare, nell'ambito di un procedimento pregiudiziale come quello in corso, l'esistenza di un'infrazione. 49. -A parere della Commissione, invece, l'assenza dei provvedimenti di applicazione di cui all'art. 8? non osta a che i giudici nazionali siano eventualmente chiamati a pronunziarsi sulla compatibilit di un accordo o di una prassi determinata con le regole di concorrenza, essendo queste ultime direttamente efficaci. 50. -Va ricordato che, a norma dell'art. 87, n. 1, il Consiglio, con deliberazione unanime entro il termine di tre anni dall'entrata in vigore del Trattato, o a maggioranza qualificata dopo la scadenza di tale termine, stabilisce tutti i regolamenti o le direttive utili ai fini dell'applicazione dei principi contemplati dagli articoli 85 e 86 . Come risulta dal primo onsiderando del regolamento del Consiglio 6 febbraio 1962, n. 17 (G. U., pag. 204), l'adozione di tali regolamenti o direttive necessaria per stabilire un regime inteso a garantire che la concorrenza non sia falsata nel mercato comune e per provvedere all'applicazione equilibrata degli articoli 85 e 86 in modo uniforme negli Stati membri . 51. -Tuttavia, malgrado una proposta in tal senso formulata dalla Commissione (G. U. 1982, n. C 78, pag. 2), il Consiglio, fino ad ora, non ha adottato una siffatta normativa valida per i trasporti aerei. Infatti. I I ! ! PARTE I, SEZ. Il, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 149 il regolamento n. 17, in forza del regolamento 26 novembre 1962, n. 141 (G. U., pag. 204), stato reso inapplicabile a tale settore e, di conseguenza, tale normativa stata adottata soltanto per i trasporti ferroviari, su strada e per vie navigabili (cfr. regolamento 19 luglio 1968, n. 1017, G. U. n. L 175, pag. 15). 52. -In assenza di una normativa quale quella contemplata dall'art. 87 del Trattato, restano pertinenti alla materia gli artt. 88 e 89. 53. -Ai sensi del primo di tali articoli, fino al momento dell'entrata in vigore delle disposizioni adottate in applicazione dell'art. 87, le autorit degli Stati membri decidono in merito all'ammissibilit di intese ed allo sfruttamento abusivo di una posizione dominante nel mercato comune, in conformit del diritto nazionale interno e delle disposizioni dell'art. 55, in particolare del paragrafo 3, e dell'art. 86 . 54. -Tale norm~ impone quindi alle autorit degli Stati membri l'obbligo di applicare gli artt. 85, in particolare il n. 3, e 86 fino al momento in cui non venga adottata una normativa ai sensi dell'art. 87. 55. -Come la Corte ha precisato nella sua sentenza 30 gennaio 1974 (causa 127/73, BRT, Racc. pag. 51), la nozione di autorit degli Stati membri di cui all'art.1 88 designa sia le autorit amministrative incaricate, nella maggior parte degli Stati membri, di applicare la legge nazionale sulla concorrenza sotto il controllo di legittimit operato dai giudici competenti, sia i giudici ai quali, in altri Stati membri, tale compito sia stato specificamente affidato. 56. -Cos intesa, la nozione di autorit degli Stati membri ai sensi dell'art. 88 non comprende i giudici penali che hanno il compito di provvedere alla repressione delle infrazioni alla legge. 57. -A quanto risulta dagli atti delle caus in esame, le concertazioni tariffarie sottostanti ai procedimenti penali di cui trattasi nelle cause principali non hanno formato oggetto di alcuna decisione adottata, in forza dell'art. 88, dalle autorit francesi competenti e diretta a conttollare. l'ammissibilit di tali accordi nei confronti delle norme francesi in materia di concorrenza nonch dell'art. 85, in particolare del n. 3 di quest'ultimo. Il Governo francese stesso ha escluso che una decisione del genere possa considerarsi compresa nella decisione di omologazione di cui hanno beneficiato le tariffe di cui trattasi. 58. ~ Quanto all'art. 89, tale norma disciplina i poteri della Commissione durante il periodo che precede l'entrata in vigore della normativa considerata dall'art. 87. Tali poteri consistono nella facolt di istruire, a richiesta di uno Stato membro o d'ufficio, i casi di presunta RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 150 infrazione ai principi fissati dagli artt. 85 e 86 e di proporre, qualora essa constati l'esistenza di un'infrazione, i mezzi atti a porvi termine. Nel caso in cui non sia posto termine alle infrazioni, l'art. 89, n. 2, attribuisce alla Commissione il potere di constatare l'infrazione con una decisione motivata che pu formare oggetto di pubblicazione e di autorizzare gli Stati membri ad adottare le necessarie misure, di cui definisce le condizioni e modalit, per rimediare alla situazione. 59. Tuttavia, la Commissione non ha sostenuto di aver esercitato, nei confronti delle concertazioni tariffarie di cui causa, i poteri che le sono conferiti dall'art. 89, in particolare quello, di cui al n. 2 di tale norma, di constatare, tramite decisione motivata, l'esistenza di una infrazione all'art. 85. 60. Stando cos le cose, occorre chiedersi se, in assenza di una regolamentazione o direttiva, adottata dal Consiglio sulla .base dell'art. 87, da applicarsi al settore dei trasporti aerei, un giudice nazionale, che non sia una delle autorit degli Stati membri considerate dall'art. 88, fruisca nondimeno del potere di constatare, nell'ambito di controversie come quelle di cui trattasi nei giudizi principali, l'incompatibilit con l'art. 85 .di una concertazione tariffaria tra compagnie aeree, qualora tale concertazione non abbia costitt,iito oggetto n di una decisione presa in forza dell'art. 88 dalle autorit nazionali competenti, n di una decisione proveniente dalla Commissione in applicazione dell'art. 89 e, in particolare, del n. 2 di quest'ultimo. 61. -A questo proposito, va ricordato che, come fa Corte ha dichiarato nella sua sentenza 6 aprile 1962 (causa 13/61, Bosch, Racc. pag. 91), gli artt. 88 e 89 non sono atti a garantire l'applicazione completa ed integrale dell'articolo 85 e non sono quindi di per s sufficienti a far ritenere che quest'ultimo articolo avrebbe avuto pieno effetto fin dall'entrata in vigore del Trattato. 62. -In realt, l'art. 88 contempla la possibilit di una decisione delle autorit nazionali sull'ammissibilit di intese , solo qualora queste ultime siano sottoposte all'approvazione di dette autorit nell'ambito della normativa vigente nel loro paese in materia di concorrenza. D'altra parte, secondo l'art. 89, la Commissione, pur essendo autorizzata a constatare eventuali violazioni degli artt. 85 e 86, non competente a concedere dichiarazioni di esenzione ai sensi dell'art. 85, n. 3. 63. -Stando cos le cose, il fatto che un'intesa possa rientrare nell'ambito di applicazione dell'art. 85 non sufficiente a farla considerare senz'altro vietata a norma del n. 1 di detto articolo e, pertanto, nulla ipso iure aii sensi del n. 2 dello stesso. PARm I, SEZ. ,II, GIURIS. COMUNITARIA E INTEltNAZIONALB 64. -Tale conclusione sarebbe infatti contraria al principio generale della certezza del diritto -norma giuridica che, come la Corte ha dichiarato nella sua precitata sentenza 6 apvile 1962, va osservata nell'applicazione del Trattato -dato che porterebbe a sanzionare con un divieto e una nul~it ipso iure taluni accordi, prima ancora che sia stato possibile constatare se nei loro confronti si applichi l'art. 85 nel suo insieme. 65. -Va invece riconosciuto che, come la Corte ha precisato nella sua sentenza 6 aprile 1962, fino all'entrata in vigore di un regolamento o di una direttiva di applicazione degli artt. 85 e 86 ai sensi dell'art. 87, il divieto di cui all'art. 85, n. l, nonch la nullit assoluta di cui al n. 2 ello stesso articolo, operano solo nei confronti degli accordi e delle decisioni che le autorit degli Stati membri, sulla base dell'art. 88, hanno considerato vietati dall'art. 85, n. 1, e non autorizzabili ai sensi dell'art. 85, n. 3, oppure nei riguardi dei quali la Commissione abbia proceduto alla constatazione contemplata nell'art. 89, n. 2. 66. -La Commissione sostiene, tuttavia, che i principi che discendono dalla precitata sentenza 6 aprile 1962 non possono essere estesi alle intese in materia di trasporti aerei. Infatti, secondo la Commissione, le circostanze della fattispecie ivi presa in esame, quali H fatto che si vertesse su accordi conclusi prima dell'entrata in vigore del Trattato e notificabili ai sensi dell'art. 5 del regolamento n. 17, nonch l'esistenza di tale regolamento all'epoca della trattazione di tale causa, non si ritrovano per quanto riguarda le intese nel settore di cui causa. 67. -Tali argomenti non possono essere accolti. I principi derivanti dalla precitata sentenza 6 aprile 1962 rimangono validi in quanto non sono intervenuti n regolamenti, n direttive ai sensi dell'art. 87 e, di conseguenza, non stata istituita alcuna procedura per dare applicazione all'art. 85, n. 3. 68. -Deve pertanto concludersi che, in mancanza di una decisione adottata, in forza dell'art. 88, dalle autorit nazionali competenti con cui venga constatato che una determinata concertazione tariffaria tra compagnie aeree vietata dall'art. 85, n. 1, e non pu essere esentata da tale divieto a norma del n. 3 dello stesso articolo, o in mancanza di una decisione presa dalla Commissione a norma dell'art. 89, n. 2, e diretta a constatare, nei confronti di una siffatta concertazione, l'esistenza di un'infral'lione all'art. 85, n. l, un giudice nazionale come quello che ha adito la Corte nelle presenti controversie non ha il potere di constatare, di sua iniziativa, l'incompatibilit della concertazione tariffaria di cui trattasi con l'art. 85, n. 1. RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO 69. -Occorre tuttavia precisare che, in attesa di una normativa quale quella contemplata dall'art. 87, da applicare al settore di cui trattasi, se viene effettuato un accertamento di questo genere, vuoi ad iniziativa delle autorit nazionali in forza dell'art. 88, vuoi ad iniziativa della Commissione a norma dell'art. 89, n. 2, i giudici nazionali devono trarne tutte le conseguenze e desumerne, iin particolare, ai sensi dell'art. 85, n. 2, la nullit assoluta delle concertazioni tariffarie oggetto di tale accertamento. E) Sulla compatibilit col diritto comunitario di una procedura nazionale di omologazione delle tariffe aeree. 70. -Va poi esaminato il problema di stabilire se ed in che misura sia contrario agli obblighi imposti agli Stati membri in forza del combinato disposto dell'art. 5 del Trattato CEE e degli artt. 3, let. f), e 85, applicare le disposizioni nazionali del tipo di quelle considerate dal giudice nazionale, che prescrivono, per le tariffe del trasporto aereo, una procedura obbligatori.a di omologazione e che sanzionano, anche penalmente, l'inosservanza . delle tariffe cos omologate, qualora, in assenza di regolamenti o direttive ai sensi dell'art. 87 del suddetto Trattato, sia stato constatato, nelle forme e secondo le procedure descritte all'art. 88 o all'art. 89, n. 2, che tali tariffe sono il risultato di un accordo, di una decisione di associazione d'imprese o di una pratica concordata contrari al precitato art. 85. 71. -Va ricordato che, come risulta da una giurisprudenza costante, anche se gli artt. 85 e 86 del Trattato riguardano il comportamento delle imprese e non provvedimenti legislativi o regolamentari degli Stati membri, il Trattato obbliga tuttavia questi ultimi ad astenersi dall'emanare o dal mantenere in vigore provvedimenti che possano rendere praticamente inefficaci tali norme (sentenza 16 novembre 1977, causa 13/77, Inno, Racc. pag. 2115). 72. -Ci si verifica in particolare nel caso in cui uno Stato membro imponga o favorisca la conclusione di intese contrarie all'art. 85 o ne rafforzi gli effetti. 73. -Secondo la Air France, la K.L.M. ed il Governo francese, le concertazioni tariffarie tra compagnie aeree non sono dovute all'esistnza di una procedura obbligatoria di omologazione delle tariffe, come quella in vigore in Francia, ma dipendono da decisioni prese in piena indipendenza dalle compagnie dei diversi Stati, nell'ambito della I.A.T.A. o in un contesto analogo. l I I I PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTER. ...AZIONALI! 74. -Per il Governo del Regno Unito e per la Commissione, invece, mentre le disposizioni nazionali in materia di omologazione delle tariffe aeree non costituiscono, di per s, provvedimenti che obblighino le imprese a sottrarsi agli obblighi che discendono dall'art. 85, diverso sarebbe il caso se le autorit nazionali esigessero che le compagnie sottoponessero loro esclusivamente tariffe convenute fra le stesse, ad esempio nell'ambito della I.A.T.A., rifiutando l'omologazione di tariffe presentate in forma autonoma. 75. -Al riguardo va osservato che la valutazione nei confronti del diritto comunitario dell'applicazione di disposizioni nazionali del tipo di quelle considerate dal giudice nazionale deve operarsi tenendo conto della natura delle tariffe oggetto dell'omologazione e della loro compatibilit col diritto comunitario. 76. -Qualora le concertazioni attraverso cui sono state fissate le tariffe aeree abbiano formato oggetto di una decisione delle autorit nazionali competenti ai sensi dell'art. 88, o della Commissione ai sensi dell'art. 89, n. 2, con cui sia stata constatata l'incompatibilit di dette concertazioni con l'art. 85, contrario agli obblighi incombenti agli Stati membri in materia di concorrenza omologare tali tariffe e rafforzarne cos gli effetti. 77. -La questione proposta dal giudice nazionale va pertanto risolta nel senso che contrario agli obblighi derivanti agli Stati membri dal combinato disposto dell'art. 5 del Trattato CEE e degli artt. 3, lett. f), e 85, in particolare n. 1, dello stesso Trattato, omologare tariffe aeree e rafforzarne cos gli effetti qualora, in assenza di una normativa adottata dal Consiglio in base all'art. 87, sia constatato, nelle forme e secondo le procedure descritte all'art. 88 o all'art. 89, n. 2, che tali tariffe sono il risultato di un accordo, della decisione di un'associazione d'imprese o di una pratica concordata contrari all'art. 85. (omissis) SEZIONE TERZA GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE SEZIONE TERZA GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 18 dicembre 1985, n. 6457 -Pres. Moscone -Rel. Colasurdo -P. M. Caristo (concl. conf.) -Comune di Roma (avv. Scotto e Lesti) c. Zavettieri (avv. Medugno) nonch Ministero del Tesoro (avv. Stato Arena). Competenza civile -Medico mutualistico -Rapporto di lavoro parasubordinato -Art. 409 n. 3 c.p.c. -Competenza giudice del lavoro. Il rapporto di lavoro tra gli enti assistenziali e i medici mutualistici con incarico ambulatoriale ha natura di prestazione d'opera continuativa e coordinata, ma senza vincolo di subordinazione, cos da non costituire n un rapporto d'impiego pubblico n un rapporto di prestazione d'opera intellettuale autonoma, per ricondursi nell'ambito della c.d. parasubordinazione disciplinata dall'art. 409 n. 3 c.p.c., come tale rientrante nella cognizione del Pretore in funzione di giudice del lavoro (1). (omissis) Seppure ammissibile, il ricorso, tuttav>ia, non merita accoglimento. Con i tre mezzi di censura, denunciando la violazione delle norme di legge relative, il Comune sostiene: 1) che l'appello sarebbe stato erroneamente ritenuto inammissibile per difetto di autorizzazione del sindaco; 2) che la sentenza di appello sarebbe illegittima in quanto emessa da un giudice carente di giurisdizione, essendo di pubblico impiego il rapporto lavorativo dedotto in giudizio; 3) che Il;\ dichiarazione di inammissibilit del gravame principale avrebbe dovuto essere estesa a quello incidentale, anche se autonomo, stante l'avvenuta riooione degli appelli. Nessuna di queste doglianze appare fondata. Il giudice di secondo grado ha rilevato che il rappresentante del Comune non aveva fornito dimostrazione di essere stato autorizzato (1) Giurisprudenza ormai costante: Cass. Sez. Un. 28 giugno 1984, n. 315, in Foro It., 1984, I, 1813, con nota di richiami giurisprudenziali e di dottrina; Cass. Sez. Un. 4 ottobre 1984, n. 4909; Cass. Sez. Lav. 12 novembre 1984, n. 5701. iI f: PARTE I, SEZ. Ili, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 155 all'impugnazione, tanto che la difesa aveva addirittura chiesto un rinvio dell'udienza di discussione per produrre la documentazione relativa. Da questo il Tribunale ha necessariamente dedotto che il sindaco risultava privo di legitimatio ad processum, per cui il rapporto processuale non si era costituito, rendendo inammissibile, di conseguenza, l'impugnazione. Con la censura in esame il Comune non disconosce the una delibera ad hoc non sia stata adottata, ma pretende di ricavare l'esistenza dell'autorizzazione dalla delibera di giunta che autorizzava il versamento di un congruo acconto sulla somma liquidata dal pretore dietro impegno, da parte della Zavattieri, di non iniZJiare procedure esecutive fino alla decisione di secondo grado. I termini stessi della proposi2lone condannano inevitabilmente la doglianza, stante la diversa finalit del provvedimento adottato, che non consente di mutuare dall'accenno all'avvenuta proposizione dell'appello contenuto nella motivazione del provvedimento l'autorizzazione a impugnare la sentenza del pretore, conclusione che appare confermata dall'espressa riserva di ogni diritto in ordine alle altre iniziative giudiziali contenute nel dispositivo. La dichiarazione di inammissjbilit del gravame, legittimamente adottata dal Tribunale, rende infondato anche il secondo motivo per la preclusione derivante dalla formazione del giudicato sul punto della giurisdizione, affermata in favore del giudice ordinario dal pretore per essere il rapporto lavorativo di parasubordinazione, e non gi di pubblico impiego, come sosteneva il Comune. Anche il terzo mezzo di censura deve essere rigettato, perch la riunione delle impugnazioni proposte contro la stessa sentenza non vale ad accomunarle necessariamente alla sorte di quella principale. Ci avviene quando l'impugnazione incidentale sia dipendente, cos da trovare nella principale .il suo presupposto necessario, ma non quando invece sia autonoma, com'era quella della Zavattieri per la sua essenza e per ammissione dello stesso ricorrente. In tale caso, invero, l'appello inoidentale solo per la sua successione cronologica nei riguardi di quello proposto per primo, cos da conservare la propria individualit e restare assoggettato al rispetto del termine preV'isto per l'appello principale (art. 325 c.p.c.), che nel caso specifico stato puntualmente osservato. Resta da esaminare il ricorso incidentale, con cui il Ministero del Tesoro denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 409 c.p.c., in relazione agli artt. 2222 e 2223 e.e., sostenendo che il giudice del lavoro avrebbe erroneamente ritenuto che la questione concernesse un rapporto di lavoro parasubordinato, quando invece aveva per oggetto una prestazione d'opera intellettuale, sottratta alla cognizione del giudice del lavoro. 156 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Il tribunale, in effetti, non si dato carico della questione sottopostagli dalla parte, dichiarandola esplicitamente assorbita dal provvedi~ mento di rimessione al primo giudice per l'integrazione del contraddittorio (anche se forse per questa via venuto a riconoscere per implicito la competenza del giudice del lavoro), ma, trattandosi di una questione di competenza, essa pu e deve essere esaminata da questa Corte. Non ricorre tuttavia la dedotta incompetenza, essendo fermo, ormai, nella giurisprudenza di queste Sezioni Unite che il rapporto di lavoro che si stabilisce fra gli enti assistenziali e i medici mutualistici con incarico ambulatoriale ha natura di presta~ione d'opera continuativa e coordinata, ma senza vincolo di subordina2lione, cos da non costituire n un rapporto di impiego pubblico n un rapporto di prestazione d'opera intellettuale autonoma, per ricondursi nell'ambito della c.d. parasubordinazione disciplinata dall'art. 409 n. 3 c.p.c. Il principio stato confermato di recente nei riguardi del medie>. Le incertezze, anzi, furono accresciute da una successiva legge di interpretazione autentica (v. l'art. 1 ter l. 25 febbraio 1972, n. 13, nonch la rettifica pubblicata sulla G. U. n. 62 del 6 marzo successivo). La dottrina, infatti, sostenne, da un lato, la tesi dell'applicabilit delle disposizioni della legge sulla casa a singole opere pubbliche solo in quanto esse fossero connesse all'attuazione di interventi nel settore dell'edilizia abitativa (cfr. MAROTTA, Sui limiti di applicabilit della legge per la casa, in Riv. giur. edil. 1972, Il, 39 ss.) e, dall'altro, invece, la tesi pi estensiva secondo la quale la nuova disciplina, anzich derogare, per casi eccezionali, alle norme della cd. legge fondamentale, andava applicata alla generalit degli interventi espropriativi (cfr. PREDIERI, MORBIDELLI, BRUNEU.I e BAATOLI, La riforma della casa, Milano, 1971, pp. 107 ss.; PIANESI, Alcune considerazioni intorno alle nuove norme sulla espropriazione, in Riv. Giur. edil., 1972, Il, 53). Restavano escluse, secondo quest'ultima tesi, le sole espropriazioni finalizzate ad opere di interesse generale, ma PARTB I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVll.E 159 zion.ale, non sia divenuta definitiva, salvo, peraltro, il controllo della non manifesta infondatezza della questione di legittimit costituzionale dell'indicata normativa provvisoria, da operarsi in sede di rinvio; con la precisazione che la sopravvenuta dichiarazione di illegittimit costituzionale dei criter.i dettati da tali norme non incide sulla ritualit del pregresso procedimento amministrativo e della instaurazione del giudizio di opposizione davanti al giudice ordinario. Sennonch, dopo la proposizione del iricorso da parte dell'ANAS, la Corte Costituzionale, con la sentenza 19 luglio 1983, n. 223, ha dichiarato illegittimi, per violazione degli artt. 42, 3 comma, e 136, 1 comma, della Costituzione, gli artt. l, 1, 2, 3, 4 e 5 comma, 2 e 3 della legge n. 385/80, nonch gli artt. unici delle leggi 25 settembre 1981, n. 535, 29 luglio 1982, n. 481 e 23 dicembre 1982, n. 943, rilevando che le citate leggi avevano restaurato gli stessi criteri di commisurazione della indennit di espropriazione, che essa aveva gi dichiarato illegittimi con la sentenza n. 5/80, e che il carattere provvisorio dell'indennit non giustificava tale reiterazione, in quanto l'acconto rappresentava, per intanto, l'unico indennizzo cui gli espropriati avevano diritto, mentre del conguaglio (cui fa cenno il secondo comma dell'art. 1 della legge che non possono considerarsi pubbliche, come gli stabilimenti industriali (cfr. CAIANIELLO, La nuova disciplina delle espropriazioni, in Riv. Giur. edil., 1972, Il, p. 27). La giurisprudenza (Cass. 29 ottobre 1979, n. 5644, in Rep. Giur. lt., 1979, v. Espropriazione, n. 51; Cons. St., Comm. speciale, parere 24 giugno 1972, in Foro Amm., 1972, I, 2, 1347Y accoglieva la tesi pi restrittiva, ma non senza contrasti (v. Cons. St. Sez. IV, 12 novembre 1974, n. 786, in Cons. St., 1974, I, 1384). Con il comma, premesso dalla legge di conversione, al dJ. n. 115 del 1974, il legislatore intese allora superare tali perplessit, realizzando l'unificazione dei criteri di indennizzo per tutte le espropriazioni, sia di interesse statale che rgionale, ferme restando le rispettive competenze in materia (cfr. Cons. St., Comm. spec., parere 20 gennaio 1975, in Riv. Giur. edil., 1975, I, 245). Il coordinamento di questa nuova normativa con quella che disciplina le competenze ed i procedimenti da ,adottare, che sqno diversi, come noto, a seconda che si applichi la legge fondamentale o la legge sulla casa, ha dato luogo ad una figura di procedimento misto. Tale ipotesi ricorreva per le espropriazioni iniziate nel vigore della legge fondamentale e regolate perci da questa legge, ma decretate dopo l'entrata in vigore della I. n. 247 del 1974, ed alle quali sono perci applicabili, solo per quanto concerne la determinazione dell'indennit, le norme della legge sulla casa. Ma sorse cos l'ulteriore problema della individuazione dei criteri di stima da applicare in sede giudiziaria nei procedimenti promossi in base alla legge fondamentale e ancora in corso alla data di entrata in vigore della legge n. 274 cit. e precisamente in quei procedimenti nei quali alla predetta data l'indennit non era ancora stata determinata in modo definitivo n era stata ancora decretata l'espropriazione. La giurisprudenza aveva da tempo affermato che i criteri indennitari dovevano essere sempre individuati sulla base della legge in virt della quale era 160 RASSEGNA DELL'AVVOCATUR4. DELLO STATO 385/80) nulla era dato sapere, non essendone state neppure enunciate le caratteristiche essenziali e .i criteri informatori, non escludendo la norma che esso potesse essere addirittura negativo e non essendo stato previsto alcun effetto conseguente all'inutile scadenza del termine indicato per l'emanazione dell'apposita legge sostitutiva delle norme dichiarate illegittime, termine che gi per due volte era scaduto ed era stato prorogato con le leggi, anch'esse dichiarate illegittime, 481/82 e 943/82. 4. In relazione alla sentenza della Corte Costituzionale n. 5/80 e, conseguentemente, alla successiva pronunzia n. 223/83, sorge tuttavia la questione circa l'ambito di estensione della declaratoria d'illegittimit costituzionale contenuta nella sentenza n. 5/80; se cio essa abbia prodotto la caducazione delle norme dichiarate illegittime in tutto l'ambito della loro previsione (e quindi prescindendo specificamente dalla natura agricola o edificatoria dell'area espropriata), come sembrerebbe dedursi dal dispositivo, o soltanto, invece, in quanto riferite alle aree con vocazione edificatoria, come potrebbe argomentarsi dalle ragioni della decisione svolta nella motivazione nonch dall'oggetto della disciplina transitoria prevista dalla legge 385/80, secondo quanto risultante dalla stata disposta l'espropriazione (cfr. per es.: Cass. S. U. 25 febbraio 1967, n. 431, in Riv. Giur. edil., 1967, I, 979) e questo orientamento fu richiamato per risolvere il problema in esame (cfr. per es.: Cass. 6 ottobre 1976, n. 3290; in Rep. Giur. It., 1976, v. Espropriazioni, n. 65; Cass. 22 luglio 1978, n. 3668, ibidem, 1978, v. cit. n. 49; Cass. 9 febbraio 1979, n. 900, in Giust. Civ., 1979, I, 1781 con nota di Carbone). Veniva perci accolta la tesi che nei procedimenti ablatori ancora in corso e regolati dalla I. fondamentale avrebbero dovuto essere applicati in sede giudiziaria i criteri dettati da quest'ultima legge e non quelli introdotti dalla legge sulla casa, pur dopo la novella del 1974. La tesi trovava anche sostegno in dottrina (MAROTTA, I nuovi profili dell'espropriazione per pubblica utilit, Padova, 1983, pp. 77 ss.). La Cassazione motivava la soluzione accolta con il rispetto dei limiti fissati dall'art. 4 l. abol. cont. amm. al Giudice Ordinario, osservando che l'applicazione in sede di opposizione alla stima di un criterio indennitario diverso da quello dettato dalla legge in base alla quale l'espropriazione veniva disposta si risolveva in un sindacato sull'esercizio del potere discrezionale attribuito alla P. A. per la scelta del procedimento. In sostanza, pur dopo l'entrata in vigore della I. 247 del 1974, non poteva il Giudice, in sede di opposizione alla stima, fare applicazione dei diversi criteri dettati dalla legge sulla casa (la c.d. stima tabellare), poich i suoi poteri per la determinazione quantitativa dell'indennit trovavano un limite nella scelta compiuta dall'Amministrazione espropriante. Questa motivazione, tralaticiamente accolta nelle sentenze sopracitate, veniva criticata dall'Avvocatura dello Stato (cfr. relazione dell'Avvocato Generale dello Stato, anni 1976-80, voi. Ili, p. 421 ss.). Si osservava anzitutto che il riferimento al divieto per l'A.G.O. di modificare l'atto amministrativo non appariva pertinente. La stima dei valori dei beni, infatti, non forma oggetto del decreto di esproprio ma ne costituisce soltanto un presupposto estrinseco, come si desume dalla cirostanza che l'autorit che 161 PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE intitolazione della medesima. Invero, ove la dichiarazione d'incostituzionalit dovesse riferirsi alla sola determinazione della indennit di espropriazione delle aree edificabili, si renderebbe necessario accertare in primo luogo la natura del terreno de quo, soltanto nel caso della sua edificabilit ponendosi il problema di individuare la disciplina da applicarsi in luogo di quella dichiarata incostituzionale con la citata sentenza n. 223/83: problema, in relazione al quale deve richiamarsi quanto le SS.UU. hanno precisato con la sentenza n. 5383 del 1984, e cio: a) che l'essere venuti meno i criteri di determinazione della indennit, caducati dalle citate sentenze della Corte Costituzionale, non si traduce nella carenza del potere di espropriazione (e di occupazione d'urgenza) nelle ipotesi in cui quei criteri non siano pi applicabili; b) che, in base all'art. 12 disp. sulla legge in generale, non sono astrattamente configurabili S tuazioni insuscettibili di disciplina giuridica; e) che il significato di tale norma va oltre la sua portata regolatrice dei criteri d'interpretazione della legge e contiene il fondamentale pr,incipio secondo il quale, in via generale, non esistono nell'ordinamento vuoti normativi cui non si possa rimediare -nell'ambito di una potenziale copertura da parte dell'ordinamento dell'intera area delle situazioni di fatto rilevanti per il diritto -mediante il ricorso a quelle norme e a quei principi che sono .dettati proprio per il caso in cui una norma, precisa ed espressa, non si rinvenga nell'ordinamento. lo emana tenuta soltanto a verificare l'avvenuto pagamento o deposito dell'in dennit. In secondo luogo, neppure appariva corretto fondarsi sull'esistenza di un potere discrezionale di scelta da parte della P. A. poich la I. 1974 n. 247 aveva unificato i criteri indennitari, rendendo, quindi, irrilevante, a questo riguardo, la identificazione della causa della espropri:zione e la adozione del procedimento disciplinato dalla I. fondamentale o di quello disciplinato dalla legge per la casa. Queste argomentazioni furono accolte dalla Corte di Cassazione nella citata sentenza S. U. 21 luglio 1981, n. 4690, la quale si poneva sulla scia della decisione 12 marzo 1980, n. 1643 (in Giust. civ., 1980, I, 1279). In quest'ultima sentenza, anticipando in modo significativo il successivo orien tamento, infatti, la Corte considerava insindacabile la scelta dei criteri inden nitari, dettati dalla I. fondamentale, da parte dell'A.G.O. soltanto con riferimento alle espropriazioni decretate prima dell'entrata in vigore della I. 1974 n. 247. Cos argomentando la Corte lasciava impregiudicata la questione per le espro priazioni decretate dopo l'entrata in vigore della citata legge, e quindi, ancora in corso al momento dell'estensione dei criteri di cui alla 1. 865 del 1971. Per quest'ultima ipotesi, successivamente, con la citata sentenza 21 luglio 1981, le S. U., mentre riaffermavano l'insindacabilit della scelta del procedimen to da adottare, accoglievano il principio, sostenuto anche dall'Avvocatura dello Stato, che l'A.G.O. in sede di opposizione pu, e, anzi, deve, nel determinare la giusta indennit, attenersi esclusivamente ai criteri della legge sulla casa >>, quale che fosse il procedimento adottato, per tutte le espropriazioni ancora in corso. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILB 163 tema d'interpretazione delle sentenze della Corte costituzionale, dove maggiormente riscontrabile quella intima compenetrazione che sussiste tra le ragioni che hanno determinato la pronuncia, contenute nella parte motiva, e il dispositivo che enuncia il comando giuridico; e) adottando il modello della sentenza il legislatore non pu non avere inteso che fossero applicabili, in materia d'interpretazione delle sentenze della Corte Costituzionale le regole di interpretazione proprie di quel tipo di atti; d) non rileva il fatto che il solo dispositivo della sentenza della Corte sia pubblicato nelle forme previste per la pubblicazione dell'atto dichiarato costituzionalmente illegittimo, poich, a parte il rilievo che anche tali decisioni (compresa la parte motiva) sono rese pubbliche con il deposito in cancelleria, le forme attraverso le quali reso riconoscibile l'atto giuridico non possono condizionarne l'intima essenza; e il dispositivo rimane tale, anche se ad esso sia limitata la pubblicazione, e, quale dispositivo di una sentenza, rimand;i necessariamente, in maniera precisa ed inequivoca, alle ragioni che ne hanno determinato l'emanazione. to alla contestazione del privato, ad una nuova e definitiva determinazione (cfr. anche: Cass. 21 ottobre 1977, n. 4522, in Rep. Giust. Civ., 1976, v. Espropriazione, n. 176). Il principio di diritto cos enunciato fu poi confermato, con motivazione sostanzialmente analoga, dalla sentenza S. U. 15 marzo 1982, n. 1673, sopra citata, e, quindi, stato accoltll dalle sentenze della Prima Sezione citate nella motivazione della decisi>ne che si annota. In conclusione, dopo l'entrata in vigore della 1. n. 247 del 1974, le espropriazioni di competenza statale sono compiute con un procedimento misto in seguito all'estensione ad esse del criterio tabellare di stima.. Questo criterio deve essere adottato in sede giudiziale anche qualora la P. A., avendo iniziato la procedura espropriativa secondo la legge fondamentale prima dell'entrata in vigore della predetta normativa, avesse adottato il diverso criterio dettato da quest'ultima legge. E ci sembra che questo principio meriti tuttora adesione. Sono state cos decisamente superate le perplessit manifestate in senso contrario dalla dottrina (v. MAROTTA, op. ult. cit., p. 79 ss.) la quale tuttora insiste, ma invero senza addurre nuove argomentazioni, fondandosi sul divieto di cui all'art. 4 1. abol. cont. amm. E, del resto, l'inconsistenza di tale rilievo stata, poi, colta dalle S. U. le quali hanno affermato, in seguito, che lo stesso potere di scelta del procedimento espropriativo era stato soppresso dalla legge 1974 n. 247 (cfr. Cass. 18 marzo 1982, n. 1754, in Giur. It., 1982, I, 1, 1430). Peraltro, in senso contrario alla tesi accolta dalle Sezioni Unite viene segnalata dalla dottrina (Marotta, op. loc. ult. cit.) la sentenza Cass. 11 agosto 1982, n. 4525 (in Foro lt., 1983, I, 1, 396 ss.). Ma il richiamo non del tutto pertinente poich essa concerne una fattispecie diversa e precisamente quella di un'espropriazione, di competenza statale, decretata prima dell'entrata in vigore della 1. 247 del 1974 e sulla base delle disposizioni di cui alla legge fondamentale. La sentenza citata contiene, peraltro, la riconferma di un altro principio di notevole interesse, al quale si era gi fatto riferimento, e, cio, quello he 164 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 6. Interpretato alla luce della motivazione, il dispositivo della sen tenza della Corte costituzionale, come con la pronunzia 5401/84 si ritenuto, deve essere inteso nel senso che i criteri di determinazione della indennit di espropriazione, in tanto sono da ritenere caducati, in quanto si riferiscano alle aree con destinazione edilizia. Infatti, soltanto per le aree suddette valgono Je considerazioni svolte nella parte moti'1a della sentenza, la quale ha sottolineato il contrasto del l'art. 16 della legge 865/71 con gli artt. 3 e 42 Cost., in quanto applica criteri estimativi che astraggono e prescindono del tutto dalle caratteristiche del bene espropriato, onde possono condurre alla liquidazione di indennit del tutto irrisorie, e perch, riconoscendo a tal fine la distinzione fra aree interne ed esterne al centro edificato, pu con durre ad una diversit di trattamento di situazioni identiche, come pu accadere per le aree contigue, ma esterne ai centri edificati, che hanno comunque destinazione edificatoria. Dalla motivazione risulta invece, che, per quanto riguarda le aree con destinazione agricola, non sussiste alcuna 11agione d'illegittimit, dato per la individuazione dei criteri da applicare occorre, di regola, far riferimento alla data in cui stata decretata l'espropriazione senza che possa rilevare la sopravvenienza di nuove disposizioni. La regola generale cos enunciata limitata dalla normativa posta dalla disposizione transitoria di cui all'art. 19 I. 28 gennaio 1977, n. 10 che ha esteso le disposizioni di cui all'art. 14 della stessa legge (innovatrice dei criteri det tati dalla legge 865/1971) a tutte le espropriazioni in corso, anche se sia stato emanato il decreto e purch la relativa indennit non sia stata definitivamente stimata in sede amministrativa o giudiziale (in quest'ultimo caso con sentenza passata in cosa giudicata). Per individuare la normativa applicabile occorre, dunque, distinguere tra espropriazioXi decretate prima o dopo la novella del 1974. Mentre per le prime i criteri indennitari saranno quelli vigenti all'epoca dell'emanazione del decreto, per le espropriazioni posteriori i criteri saranno quelli vigenti nel momento in cui viene definita la opposizione giudiziale. Questa regola, che sembra fondata su una corretta delimitazione della por tata innovativa della legge 1977 n. 10, fu enunciata dalla Cassazione con la sen tenza 30 maggio 1978, n. 2736 (in Rep. Giur. it., 1977, v. Espropriazioni n. 42; conf.: Cass. 6 luglio 1978, n. 3348, in Foro it., 1979, I, 137) ed ebbe poi l'avallo delle Sezioni Unite (22 luglio 1978, n. 3668, in Rep. Giur. it., 1978, v. Espropriazione n. 49). L'operativit del cit. art. 19, secondo l'interpretazione accolta, rimarrebbe, infatti, circoscritta alle espropriazioni disposte in base alla legge sulla casa nonch a quelle regolate dalla legge fondamentale ma, in quanto posteriori alla novella del 1974, disciplinate dalle norme del titolo II della predetta legge 865/1971 ai fini della determinazione della indennit. In sintesi, solo per le espropriazioni decretate in epoca posteriore ad in corso , nel senso sopra precisato, si pone, in concreto, un problema di jus superveniens. La dottrina dominante ha condiviso questa interpretazione (cfr. MAROTTA, op. ult. cit., p. 99 ss. ed ivi citazioni). Ovviamente, allo stato, dopo le sentenze dichiarative di illegittimit costituzionale di cui si dir sub n. 2, il problema dell'applicazione dei criteri di stima tabellare nei c.d. procedimenti misti, pu porsi solo per i fondi rustici. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 165 che in tal caso la norma tiene presenti le caratteristiche oggettive del bene espropriato, in quanto prevede che per i terreni agricoli l'indennit di esproprio sia fissata con specifico riferimento alle colture effettivamente praticate nel fondo espropriato ed anche in relazione all'esercizio dell'azienda agricola; e stabilisce in tal modo l'esatto criterio che l'indennit va liquidata in base al valore effettivo del bene espropriato, determinato in relazione alle sue caratteristiche ed alla sua destinazione economica, onde l'avere pretermesso tali riferimenti per le -aree con destinazione edilizia e adottato per queste criteri astratti ed irrazionali, determina una ulteriore disparit di trattamento fra gli espropriati (n. 5 della motivazione); 7. -Applicando i principi accennati al presente giudizio, ne consegue che si rende necessario accertare in primo luogo la natura del terreno de quo, soltanto nel caso della sua edificabilit ponendosi il problema di individuare la disciplina da applicarsi in luogo di quella dichiarata incostituzionale con la sentenza n. 223/83. Invero, la necessit di accertare la natura del terreno espropriato non stata con- Infatti, con la sentenza che si annota, la Corte ha confermato anche l'orientamento, condiviso dall'Avvocatura dello Stato, secondo il quale la dichiarazione di incostituzionalit della normativa che dettava i criteri della stima tabellare limitata all'espropriazione dei suoli edificatori, con la conseguenza che i predetti criteri sono ancora vigenti per quanto concerne i fondi rustici. Come noto, in seguito alla sentenza Corte Cost. 30 gennaio 1980, n. 5 (in Rass. Avv. Stato, 1980, I, 486) veniva dichiarata l'illegittimit costituzionale dell'art. 16, commi 4, 5, 6 e 7, della legge 865/1971, cos come modificato dalla legge 28 gennaio 1977, n. 10. Il legislatore interveniva a colmare la lacuna con la 1. 29 luglio 1980, n. 385, la quale dettava, in via temporanea e salvo conguaglio, criteri analoghi a quelli caducati per effetto della sentenza della Corte. Con successiva sentenza ,19 luglio 1983, n. 223 (in Rass. Avv. Stato, 1984, I, 413 ss.)\ la Corte dichiarava, poi, l'illegittimit costituzionale di questa ultima e delle sue successive proroghe. Ma la stessa Corte, gi con l'ordinanza n. 84 dell'8 giugno 1980 (in Giur. Cost., 1980, 718) aveva affermato che la precedente dichiarazione di illegittimit costituzionale investiva le norme di cui alla I. 10/1977 solo limitatamente alla espropriazione dei fondi edificatori. La Corte di Cassazione, dopo la pronunzia di incostituzionalit della 1. 385/80, era pervenuta alle stesse conclusioni con la sentenza 24 ottobre 1984, n. 5401 (in Giust. Civ., 1984, I, 2706 ss.), in base all'argomentazione che il dispositivo delle sentenze della Corte Costituzionale va interpretato anche alla luce della corrispondente motivazione. Nel caso che interessa, infatti, risultava che per le aree agricole non sussistevano ragioni di illegittimit. Per le aree edificatorie, invece, essendo state caducate le predette norme, hanno riacquistato operativit le disposizioni precedenti a quelle dichiarate incostituzionali con la conseguenza che il Giudice dovr procedere ad una ricognizione del sistema normativo per individuare, a seconda del caso concreto, il criterio indennitario applicabile. GIUSPPPE CELESTE 166 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO siderata dalla Corte d'Appello, sull'erronea premessa -giustamente censurata nel ricorso -di dover applicare, comunque, i criteri dettati dalla legge del 1865; d'altra parte, non stata tenuta presente dalla ricorrente, sul presupposto -non pi sostenibile . dopo le citate declaratorie d'incostituzionalit -che i criteri da applicare ai fini della determinazione della indennit siano in ogni caso quelli stabiliti dalla legge 865/71, n dalla resistente, la quale, muovendo dalla erronea convinzione della caducazione dei criteri suddetti sia per i terreni agricoli sia per quelli edificatori, ha sostenuto doversi in ogni caso fare applicazione dei criteri di cui alla legge del 1865, richiamando la sentenza n. 3208/84 della prima se2lione, che, conformemente ad altre decisioni (1197, 3278, 3314, 5260 e 6427 del 1984), ha -si -titenuto che il vuoto normativo aperto dalle citate sentenze d'incostituzionalit debba colmarsi con le norme dettate dalla legge del 1865, ma con riguardo ad ipotesi in cui la qualit edificatoria del terreno espropriato non era in discussione. 8. Pertanto, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di Roma, la quale riesaminer la controversia avendo presente, da un. lato, i principi affermati dalle sentenze delle SS.UU. 4690/81 e 1673/82 (disattesi dalla sentenza impugnata) e, dall'altro, quelli enunciati dalla sentenza 5401/84; e proceder all'accertamento della natura del terreno espropriato, che, se risulter agricolo, soggiacer ai criteri di cui alla legge 865/71, come modificata dalla legge 10/77, e, se risulter edificatorio, render necessaria la ricerca della disciplina applicabile in luogo di quella dichiarata incostituzionale. (omissis) SEZIONE SESTA GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 10 gennaio 1986, n. 70 -Pres. Scanzano Est. Rossi -P. M. Tridico (conf.). -Sette (avv. Perrone) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Zotta). Tributi erariali diretti -Imposte fondiarie -Imposta sui fabbricati Agevolazione per le case di abitazione di lusso Licenza di abitabilit Atti equipollenti -Ammissibilit. (Legge 2 luglio 1949, n. 408, art. 13). L'art. 13 della legge 2 luglio 1949 n. 408, che stabilisce l'esenzione venticinquennale dall'imposta sui fabbricati, richiede la dichiarazione di abitabilit ma non specifica se debba trattarsi di dichiarazione da rilasciarsi dai competenti uffici comunali; conseguentemente l'abitabilit pu essere dimostrata con altre prove equipollenti provenienti da altri organi o da certificazioni della effettiva abitazione (1). (omissis) Nel resto, va rilevata la fondatezza del ricorso, con il cui primo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione del citato art. 13 della L. 408/1949, ripetendo in sostanza che la dichiarazione di abitabilit con essa prevista pu essere sostituita con la prova della effettiva abitazione. La decisione della commissione centrale si discosta senza convincenti ragioni dalla giurisprudenza di questa Corte, cui invece esattamente si ispira la tesi dei ricorrenti (cfr. sent. 9 maggio 1977 n. 1773). Il citato art. 13 espressamente richiede la dichiarazione di abitabilit ma non specifica che debba trattarsi di dichiarazioni da rilasciarsi dai competenti uffici comunali. (1) La pronunzia, richiamando un remoto precedente (Cass. 9 maggio 1977, n. 1773, che per riferita all'art. 17 della legge n. 408 del 1949) in netto contrasto con la giurisprudenza costante (Cass. 19 novembre 1979, n. 6028, in questa Rassegna, 1980, I, 441) che ha puntualmente sottolineato la differenza fra l'art. 17, che presuppone oltre alla dichiarazione di abitabilit anche la effettiva abitazione, e l'art. 13 che subordina l'esenzione alla dichiarazione di abitabilit disciplinata nell'art. 221 del t.u. delle leggi sanitarie e non ammette equipollenti. Certificazioni di altri organi o constatazioni notarili o altre prove possono certificare la abitazione, che un fatto, ma non la abitabilit che un giudizio dell'organo competente. 168 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Nel qual senso non giova richiamare il successivo art. 17 della legge stessa; e neppure l'art. 221 del t.u. leggi sanitarie 27 luglio 1934 n. 1265, che prevede l'autorizzazione del sindaco ma soltanto con esclusivo riferimento alle condizioni igieniche e alla corrisoondenza della costruzione al progetto approvato. Ed anche per il citato art. 17 come per l'art. 13 in esame, la dichiarazione di abitabilit richiesta soltanto per farne decorrere il quadriennio entro il quale il legi~latore ha inteso limitare l'applicabilit del beneficio della esenzione a case ultimate ed idonee all'abitazione, onde assicurarne l'immissione in commercio e nella disponibilit ediliza, ad evidenti fini sociali. Non c' ragione quindi per ritenere che la norma in questione ipotizzi una formale certificazione di abitabilit come attuazione di un compito specifico ed esclusivo degli organi comunali. Determinante per essa, ~l rilevato fine acceleratorio perseguito dal legislatore, come si visto l'accertamento dell'avvenuto completamento della costruzione e della sua abitabilit: accertamento non conseguibile con ogni mezzo di prova, ma documentalmente dichiarato . I Perci stesso, non deve escludersi che sia rispondente a tali finalit e portata della norma in questione la prova di tale accertamento conte j nuta in provvedimenti di altri organi pubblici, ovvero fornita con la ~ dimostrazione della effettiva destinazione dell'immobile ad abitazione, f risultante da verbale notarile o da altre prove documentali di partico! lare valore, che possano essere considerate equipollenti alla ufficiale dichiarazione in questione. (omissis). I I CORTE DI CASSAZIONE, Sez. un., 16 gennaio 1986, n. 210 -Pres. Mosco' 1 ne -Est. Cantillo -Regolamento di competenza di ufficio. f: I I Tributi in genere -Contenzioso tributario -Competenza delle Commissioni -~ funzionale e inderogabile -Regolamento di competenza di ufficio -Ammissibilit. I (D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, artt. 2 e 39; c.p.c., artt. 28, 45, 50). Tributi in genere Contenzioso tributario Provvedimento impugnabile Domanda di rimborso Silenzio. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 16). Tributi in genere Contenzioso tributario -Competenza delle commissioni Imposte dirette Rimborsi Competenza della commissione in cui ha sede l'intendente di finanza cui spetta provvedere sul rimborso. (D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, artt. 2 e 16; d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, artt. 37 e 38). I La competenza territoriale delle commissioni anche funzionale e I quindi inderogabile, l'incompetenza deve essere rilevata di ufficio con I I I \ I .\ PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 169 decisidne che deve indicare la commissione competente innanzi alla quale il giudizio prosegue per effetto di traslatio indicii; la commissione d~signata che si ritenga a sua volta incompetente deve richiedere il regolamento d'ufficio a norma dell'art. 45 c.p.c. previsto legislativamente attraverso il rinvio contenuto nell'art. 39 del d.P.R. n. 636/1972 (1). Il silenzio mantenuto sulla domanda di rimborso ha contenuto di provvedimento negativo contro il quale va rivolta l'impugnazione (2). Sul ricorso. proposto contro il provvedimento esplicito o implicito di rimborso di imposte dirette competente la commissione del luogo in cui ha sede l'intendente di finanza cui spetta di provvedere sul rimborso e non gi l'ufficio distrettuale delle imposte competente a ricevere la dichiarazione (3). (omissis) Alfredo Corbellaro, con ricorso alla Commissione tributaria di primo grado di Milano del 27 settembre 1979, premesso che la locale Intendenza di finanza rion aveva emesso alcun provvedimento sulla sua domanda di rimborso di L. 1.533.600 versate per imposta locale sui redditi (i.1.o.r.), non dovuta perch afferente a redditi di lavoro autonomo, ed altres che erano trascorsi novanta giorni dall'intimazione prevista dall'art. 16, terzo comma, del d.P.R. n. 636 del 1972, proponeva impugnazione avverso il provvedimento di rifiuto implicito nel silenzio e chiedeva che venisse affermato il suo diritto alla restituzione della somma suddetta. La Commissione di Milano, con decisione del 3 giugno 1981, dichiarava la propria incompetenza a decidere la controversia e disponeva la trasmissione degli atti alla Commissione tributaria di primo grado di Monza, ritenendola competente per il motivo che l'Ufficio delle imposte al quale era stata presentata la dichiarazione rientrava nella circoscrizione della medesima. La Commissione di Monza, con ordinanza del 29 giugno 1983 ritenendosi sua volta incompetente, sollevava conflitto ai sensi dell'art. 45 (1-3) La prima massima riconosce applicabile al giudizio delle comm1ss10ni l'art. 45 c.p.c. sul regolamento di competenza di ufficio, come gi aveva fatto precedentemente la sent. 5 febbraio 1982, n. 658, in questa Rassegna, 1982, I, 793. :E> importante l'affermazione che l'incompetenza, pur funzionale, non da luogo a inammissibilit del ricorso ma produce translatio iudicii con salvezza del termine di decadenza. Quanto alla prosecuzione del processo innanzi alla commissione designata competente si ritiene che spetti alla parte l'onere della riassunzione ex art. 50 c.p.c., ma ci non oggetto specifico di pronuncia. Resta insoluto, per esprssa dichiarazione, il problema dell'ammissibilit del regolamento necessario e del regolamento facoltativo (art. 42 e 43 c.p.c.). L'argomento della seconda massima ha dato occasione a varie affermazioni sulla natura del processo che destano viva perplessit e che sono poco pertinenti alla materia controversa. La terza massima da condividere pienamente. 170 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO cod. proc. civ. e chiedeva a questa Corte di indicare il giudice competente. Osservava che nel nuovo contenzioso tributario il regolamento di competenza rimedio necessario per dirimere situazioni conflittuali altrimenti ineliminabili e deve ritenersi ammissibile sia in forza del rinvio dell'art. 39 del d.P.R. n. 636 del 1972 alle norme che disciplinano l'istituto nel codice processuale civile e sia in relazione all'accentuato collegamento tra le commissioni tributarie e il giudice ordinario, per cui non si riscontra quella netta separazione dalla giurisdizione ordinaria che preclude alla Corte di cassazione di regolare le questioni di ripartizione della competenza tra organi di una stessa giurisdizione speciale. Premesso poi, che nel processo tributario la competenza territoriale si determina in relazione all'atto impugnato, la Commissione rilevava che competente a decidere il ricorso in oggetto era quella di Milano, in quanto il provvedimento negativo, insito nel silenzio, er~ dell'intendente di Finanza di quella citt ed a nulla rilevava l'attivit impositiva in precedenza compiuta dall'Ufficio delle imposte dirette di Monza. Il Procuratore Generale ha concluso per l'inammissibilit del ricorso. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. -Le Sezioni unite sono chiamate a comporre il contrasto ohe si determinato nella giurisprudenza della prima Sezione di questa Corte in ordine all'ammissibilit del regolamento di ufficio della competenza nelle controversie devolute alla cognizione delle commissioni tributarie. Il problema stato risolto negativamente da numerose pronunzie (dalla n. 479 del 1976 alla n. 1385 del 1982), le quali hanno sostanzialmente utilizzato lo stesso argomento' in base al quale l'ammissibilit del rimedio era stata esclusa, con costante giurisprudenza, nel vigore del precedente contenzioso. Si osservato, in particolare, che il regolamento di competenza, a differenza di quello di giurisdizione, istituto interno alla giurisdizione ordinaria, previsto soltanto per la ripartizione dei compiti tra organi appartenenti ad essa, mentre indiscutibile il carattere di giurisdizione speciale delle commissioni tributarie; e ci -si aggiunto -evidenziando un'oggettiva incompatibilit del regolamento con la natura propria del processo tributario, pone altres fuori causa il rinvio dell'art. 39 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, al primo libro del codice di procedura civile, espressamente limitato alle disposizioni compatibili con il giudizio speciale. H regolamento stato ritenuto ammissibile invece, dalJa sentenza 5 febbraio 1982, n. 658, sul duplice rilievo che l'art. 39 cit., sebbene di per s non decisivo, idoneo ad attribuire base normativa all'estensione del rimedio al processo tributario e che l'intervento della Corte PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA di cassazione, quale supremo organo regolatore della competenza, non pu essere considerato estraneo al sistema, in quanto la specialit della giurisdizione in materia risulta fortemente attenuata dalla partecipazione ad essa della corte di appello. Le Sezioni unite ritengono di prestare adesione a quest'ultimo indirizzo. 2. -Nel sistema del contenzioso delineato dal d.P.R. n. 636 del 1972 (modif. con d.P.R. 3 novembre 1981, n. 739) la distribuzione della potest giurisdizionale fra le commissioni tributarie di primo grado, le quali hanno cognizione generale su tutte le materie devolute alla giurisdizione speciale tributaria, prevista soltanto in termini di competenza territoriale ed regolata dall'art. 2, primo e secondo comma: le commissioni hanno sedi identiche a quelle dei tribunali e la loro competenza per territorio coincide con il circondario del tribunale del luogo in cui ciascuna ha sede; il criterio di determinazione della competenza, poi, correlato all'ufficio finanziario che ha emsso il provvedimento impugnato, per cui ciascuna commissione ha cogmzione sui ricorsi contro gli atti degli uffici che ricadono nel suo terr~torio (tranne che per i ruoli formati dai Centri di servizio, per i quali il ricorso va proposto alla commissione nella cui circoscrizione ha sede l'ufficio delle imposte che ha accertato il tributo). La legge non contiene norme sulla competenza, in particolare -per quanto qui interessa ~ non disciplina specificamente il fenomeno dell'incompetenza, in ordine al rilievo e alle conseguenze della presentazione del ricorso ad una commissione tributaria diversa da quella cui spetta, in base al criterio suddetto, la cognizione della controversia, e viene immediatamente in considerazione, quindi, l'art. 39 cit., il quale detta una disposizione di chiusura, per cui al procedimento si applicano, in quanto compatibili con le norme del presente decreto e delle leggi che disciplinano le singole imposte, le norme contenute nel primo libro del codice di procedura civile, con esclusione degli articoli da 61 a 67, dell'art. 68 primo e secondo comma, degli artt. da 90 a 97 e dell'art. 128 . Tra le norme cos escluse dal rinvio non vi sono quelle comprese nelle sezioni V e VI del capo I, che disciplinano, fra l'altro,' l'incompetenza e il regolamento di competenza, e perci occorre individuare, nei limiti richiesti dallo specifico problema in esame, l'ambito della normativa che, per effetto del richiamo, deve ritenersi rcepita nel processo tributario. E, come in ogni altra ipotesi in cui il ricorso alla tecnica del rinvio (c.d. recettizio o materiale) attiene ad un complesso determinato di disposizioni, richiamate in quanto risultino coerenti con il sistema che debbono integrare, l'indagine ricognitiva va scandita in due momenti, occorrendo accertare se anche nel processo tributario si configuri, senza essere disciplinata direttamente o indiret RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 172 tamente dalla legge relativa, una situazione processuale avente le stesse caratteristiche di quella oggetto delle disposizioni richiamate; e, in secondo luogo, se la disciplina risultante dalle stesse sia compatibile, o meno, con norme del processo tributario o delle singole imposte, ovvero con i princpi propri dell'ordinamento tributario, intesa l'incompatibilit non solo come contrasto assoluto, ma anche limitato e tuttavia tale da comportare una disarmonia che non pu ritenersi autorizzata. 3. -Sotto il primo profilo, va anzitutto ribadito -in cnformit a quanto pacificamente si ritiene in dottrina o in giurisprudenza che la competenza territoriale delle commissioni tributarie ha carattere funzionale, dovencj.osi qualificare inderogabile ai sensi dell'art. 28 cod. proc. civ. L'inderogabilit, sebbene non dichiarata expressis verbis dal legislatore, insita nella natura e nell'oggetto della giurisdizione e risulta in modo certo da ci, che la ripartizione circoscrizione delle commissioni non soddisfa solo l'esigenza tecnico-organizzativa di distribuzione quantitativa degli affari, ma funzionale ad un diretto legame delle commissioni medesime col territorio, affinch le controversie siano per quanto possibile conosciute da giudici del luogo in cui la ricchezza viene prodotta e assoggettata a tassazione. Al riguardo, sufficiente sottolineare che la residenza in uno dei comuni del territorio della commissione requisito essenziale della nomina dei componenti, i quali .decadono dall'ufficio ove tale requisito venga successivamente a mancare (art. 4, lett. f; art. 6 lett. a); e che i componenti medesimi debbono essere scelti, per una quota pari alla met dei membri, fra persone designate dai consigli comunali dei comuni compresi nella circoscrizione (art. 2, terzo comma; le stesse regole vigono per le commissioni di secondo grado: art. 3). Il carattere funzionale della competenza comporta, fra l'altro, secondo quanto dispone l'art. 38, primo comma, cod. proc. civ., che l'incompetenza della commissione adita pu essere rilevata, anche di ufficio, in ogni stato e grado del processo, sia nelle varie fasi davanti' alle commissioni che innanzi alla corte di appello o nel giudizio di cassazione. 4. -Anche nel processo tributario innanzi alle commissioni, poi, vige il principio, del pari posto dal codice di rito, secondo cui il difetto di competenza deve essere accertato e dichiarato dalle commissioni con pronuncia formale, mediante decisione, resa ai sensi dell'art. 20, con la quale viene risolta in via preliminare la questione di competenza. Di ci si talvolta dubitato, sostenendosi che la mancanza di una apposita disciplina al riguardo corrisponda ad una precisa scelta del legislatore nel senso di assimilare l'incompetenza ad un vizio del ri PARTB I, SBZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA corso, che perci sarebbe inidoneo a costituire un valido rapporto processuale; pertanto, rilevato il vizio, il giudice tributario non dovrebbe dichiarare l'incompetenza, ma l'inammissibilit del ricorso (che, se ancora possibile, andrebbe riproposto ex novo al giudice competente). Senonch l'opinione, oltre a contraddire un orientamento della dottrina e della giurisprudenza assolutamente pacifico gi nel vigore del precedente contenzioso -per cui la competenza del giudice costituisce, come nell'ordinario processo civile, un presupposto processuale o (secondo l'indirizzo pi recente) una condizione della decisione di merito, che non incide, dunque, sulla validit dell'atto introduttivo della lite priva di qualsiasi base normativa, giacch l'incompetenza non annoverata tra i vizi che, ai sensi dell'art. 15, ultimo comma, del d.P.R. n. 636 del 1972, danno luogo ad inammissibilit del ricorso; e, per converso, l'assenza di una particolare regolamentazione al riguardo rende operante, come si detto, il rinvio di cui all'art. 39 cit., sicch la disciplina in ordine alla pronuncia e alle conseguenze dell'incompetenza quella stessa del codice di rito. 5. -Con la pronunzia che dichiara l'incompetenza deve essere altres designato, secondo la regola generale racchiusa nell'art. 44 cod. proc. civ., il giudice innanzi al quale il giudizio deve proseguire, essendo applicabile al processo tributario anche l'istituto della translatio iudicii, per cui il ricorso presentato al giudice incompetente conserva i suoi effetti processuali e sostanziali e il processo, in seguito alla pronuncia di incompetenza, continua davanti a quello indicato come competente, per modo che si verifica solo una modificazione del rapporto processuale, validamente instaurato. Il principio -che corollario della natura di presupposto della trattazione del merito riconosciuta alla competenza ed ormai comune ad ogni settore del diritto. processuale (v., per il processo amministrativo, l'art. 31 della legge 6 dicembre 1971 n. 1034) risulta dal combinato disposto degli artt. 44, 45, 49 e 50 cod. proc. civ., per i quali opera il rinvio di cui all'art. 39 cit., ed pienamente in linea con le finalit di celerit ed economia processuali alle quali improntato il processo, nonch con il carattere (parzialmente) officioso del medesimo. Su ci convengono dottrina e giurisprudenza prevalenti, mentre si discute se sia compatibile con questo carattere del giudizio tributario il rigoroso rispetto del procedimento delineato per la prosecuzione del giudizio dall'art. 50, che, in coerenza con la natura dispositiva del processo, viene rimessa all'iniziativa della parte interessata, la quale vi deve provvedere mediante apposito atto di riassunzione nel termine stabilito dal giudice (e in via suppletiva dalla stessa disposizione), la cui inosservanza causa di estinzione del processo. In verit, non sembra che vi siano ostacoli alla ricezione di questo sistema, ove si consideri, da un lato, che anche nel processo tributario ., 174 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO incombe sulla parte istante l'onere di realizzare i presupposti del rap porto processuale e, dall'altro, che la sanzione di estinzione del processo per inosservanza di oneri di questo tipo non estranea al medesimo giudizio (v. art. 22, modif. dall'art. 14 del d.P.R. n. 739 del 1981, che prevede quella conseguenza per la mancata presentazione, nel termine di un anno della copia dell'atto di appello destinata all'ufficio; nonch la disposizione transitoria di cui all'art. 44, v. d.P.R. n. 636, ri~ar dante l'estinzione del processo per omessa presentazione dell'istanza di trattazione). Senza dire che la riassunzione ad istanza di parte espressamente prevista dall'art. 40, ultimo comma, del d.P.R. n. 636, nell'ipotesi in cui, in seguito a sentenza di annullamento resa dalla corte di appello, la controversia debba proseguire innanzi alla commissione tributaria di secondo grado (o di primo grado) designata per il rinvio, presso la quale il giudizio va riassunto mediante ricorso (cio nelle forme di cui agli artt. 15 e 17) entro un determinato termine dalla notifica zione della sentenza. Ma non occorre qui affrontare funditus il problema, che irrilevante ai fini della specifica questione in esame. Infatti, ove pure il meccanismo della riassunzione fosse da ritenere incompatibile con le caratteristiche del processo, non per questo potrebbe negarsi la . vigenza del principio della translatio, che non si ricava soltanto dall'art. 50 cit. ed suscettibile di operare indipendentemente dalle modalit suddette, attraverso una trasmigrazione del processo disposta di ufficio, realizzando d'imperio, cio, quell'effetto che il codice riserva all'iniziativa della parte. Infine, va detto che la commissione successivamente investita della controversia non vincolata, ai sensi dell'art. 44 cod. proc. civ., alla designazione contenuta nella pronuncia di incompetenza della commis sione adita per prima, ma pu a sua volta ritenersi incompetente, stante il carattere inderogabile della competenza. 6. Il rapido excursus della disciplina dell'incompetenza dimostra, quindi, che nel processo tributario si riscontrano tutti i presupposti i quali possono dar luogo alla situazione conflittuale prevista dall'art. 45 cod. proc. civ., in presenza della quale il giudice successivamente adito viene privato del potere di statuire sulla propria competenza, e, ove ritenga di essere incompetente, deve provocare la decisione della questione relativa da parte della Corte Suprema; e conseguentemente si giustifica l'applicabilit del regolamento, quale rimedio atto ad impedire che il conflitto negativo di competenza si trasformi da virtuale in attuale. In proposito, nelle sentenze contrarie all'ammissibilit del regolamento, ricorrente l'affermazione secondo cui il verificarsi della situazione conflittuale non resterebbe senza soluzione, poich l'ordinamento i I ! PARTB I, SBZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 175 contempla la possibilit dell'impugnazione per qualsiasi violazione di legge, sia pure con mezzi esperibili nell'ambito dello stesso contenzioso tributario (v., da ultimo, la sent. n. 1385 del 1982). Il rilievo, per, non convincente, perch in realt gli ordinari mezzi di impugnazione non solo non possono impedire l'insorgere del conflitto, ma-in taluni casi non valgono neppure a rimuoverlo. Tanto a dirsi nell'ipotesi in eui il contribuente faccia acquiescenza alla prima sentenza e il giudice designato declini, a sua volta, la propria competenza: ove questa seconda pronunzia venga confermata in tutti i gradi del giudizio o, comunque, passi in giudicato, il conflitto negativo diventa ineliminabile e si traduce in un sostanziale diniego di giustizia. E una situazione identica si pu avere nell'ipotesi opposta, quando il gravame proposto avverso la prima declinatoria di incompetenza venga respinto con decisione passata in giudicato: poich neppure in tal caso l'indicazione diventa incontestabile per il giudice dichiarato competente, questo pu ugualmente negare la propria competenza riproducendosi, di conseguenza, il conflitto dianzi evidenziato. Inoltre, il fine istituzionale del regolamento di competenza anche quello di provocare una pronta e definitiva decisione della questione di competenza, evitando che essa sia mantenuta in tutti i gradi del giudizio, con il rischio che la c9ntroversia venga attribuita ad un diverso giudice di primo grado soltanto all'esito dell'intero processo; la quale finalit assume massimo rilievo nel processo tributario, in cui maggiore il numero delle possibili impugnazioni (v. sent. n. 658 del 1982). Si deve riconoscere quindi, che il rinvio dell'art. 39 cit. idoneo ad operare in relazione al regolamento di competenza di ufficio, posto che le fattispecie per le quali previsto si verificano allo stesso modo nel processo tributario e in esso non formano oggetto di una. specifica e diversa normativa. 7. -Il discorso si restringe cos al secondo momento dell'indagine, relativo alla compatibilit dell'istituto con i princpi proprio del contenzioso tributario, la quale -come si anticipato -viene esclusa dall'indirizzo che qui si contrasta in base ad un unico argomento, che fa perno sulla natura di organi di giurisdizione speciale delle commissioni tributarie; in base a ci si sostiene che i conflitti di competenza fra le stesse non possano essere regolati con il rimedio in esame, il quale riguarda i rapporti fra i giudici ordinari e ha radice nella loro dipendenza funzionale dalla Corte di Cassazione. g agevole scorgere l'equivoco che inficia questo ragionamento, che neglige, nella sostanza, il valore del rinvio normativo. :E:. esatto che il regolamento cli competenza disciplinato quale istituto del processo che si svolge innanzi agli organi dell'autorit giu .......-......r..r..r.-....r..rr r r - ' ......:...::..O:'.:~::O:".:::z:::-::z-::..-:z-:-:rcu.-.-.-,..,.,.,-,.,.-.-.-.-.-..-r.-.-.-.-.-r. ...,...::Z".'.'.'.-:::::-..'.Z'.'.-:..-.:.r.:.-..:-....zr n. n. \ 176 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO diziaria ordinaria, rispetto ai quali il potere della Cassazione di regolare la competenza corrisponde alla sua posizione al vertice di quella giurisdizione; e ci esclude che il rimedio possa essere applicato in via analogica ai processi che si svolgono innanzi a giudici speciali, sicch correttamente se ne negava l'applicabilit nel sistema del precedente contenzioso tributario, in cui mancava una disposizione analoga all'art. 39 del d.P.R. n. 636 del 1972. Ma niente impedisce al legislatore ordinario di conferire alla Corte di Cassazione, con apposita norma, il potere di risolvere i conflitti di competenza interni ad una giurisdizione speciale (in considerazione anche della sua posizione costituzionale rispetto a tutte le giurisdizioni speciali, ex art. 111 Cost.); e una disposizione di questo tipo insita nel rinvio di cui all'art. 39 cit., volto appunto a rendere applicabili norme ed istituti del processo ordinario a quello tributario. Con la tecnica del rinvio recettizio, infatti, si raggiunge lo scopo di rendere in determinate materie disposizioni riguardanti analoghe fattispecie di altre materie o settori dell'ordinamento, evitando di redigere un testo corrispondente a quello che si vuole recepire; e nella specie, attraverso il rinvio in questione, le norme che attribuiscono e disciplinano il potere della Cassazione di regolare i conflitti di competenza debbono ritenersi dettate anche per il proci::sso tributario, avendo, cio, la valenza di enunciati che disciplinano direttamente le corrispondenti fattispecie di tale processo. Risulta rimosso ex lege, dunque, l'ostacolo costituito dalla qualit di organi di giurisdizione speciale delle commissioni tributarie: il rinvio -si ripete -ha appunto la funzione di rendere applicabile l'istituto fuori del giudizio ordinario, estendendo cos al processo tributario il potere della Cassazione di regolare la competenza; e non possibile, di conseguenza, ragionare in termini di incompatibilit del regolamento in relazione alla specialit della giurisdizione, ipso iure superata dalla norma di rinvio. Il regolamento potrebbe essere ritenuto inammissibile, per effetto del limite di compatibilit di cui all'art. 39 cit., solo per ragioni tecnicogiuridiche interne all'ordinamento tributario, con riferimento a regole o a princpi che ne escludessero la possibilit di applicarlo. Ma non si rinvengono cause ostative di questo tipo e, anzi, l'assenza di una qualsiasi disciplina specifica al riguardo costituisce precisa conferma della portata del rinvio, ove si consideri che, in caso contrario, solo il processo tributario sarebbe privo di un mezzo volto a risolvere i conflitti di competenza, posto che un peculiare rimedio per decidere preventivamente le questioni di competenza previsto anche nel processo amministrativo innanzi ai T.A.R., sebbene la competenza territoriale sia derogabile (art. 31 I. 1034 del 1971). PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 8. -Sul piano teorico-sistmatico, poi, stato esattamente osservato (con la sent. n. 658 del 1982) che l'ammissibilit del regolamento coerente con il peculiare assetto della giustizia tributaria. Mentre nel sistema precedente alla riforma le commissioni costituivano una giurisdizione speciale del tutto distinta da quella ordinaria, ciascuna svolgendosi secondo un modulo processuale compiuto nella struttura e nei suoi gradi, nell'attuale normativa prevista una giurisdizione unitaria ed esclusiva, affidata insieme alle commissioni tributarie e alla corte di appello, istituzionalmente inserita come organo preposto ad un grado del giudizio in alternativa alla Commissione tributaria centrale. La dicotomia giudice ordinario-giudice speciale stata composta, cio, facendo concorrere alla stessa giurisdizione, intesa in senso oggettivo, un organo della giustizia ordinaria; e se vero che ci non incide n sulla natura delle commissioni tributarie, che non vengono attratte nell'orbita della giurisdizione ordinaria, n sulla punizione della corte di appello, che non si trasforma in giurisdizione speciale, non men vero che in questo singolare modulo processuale la posizione della Corte di cassazione assume una diversa consistenza rispetto ad ogni altra giurisdizione speciale, appunto in relazione alla sua duplice funzione di giudice delle impugnazioni di legittimit sia delle decisioni della Commissione centrale e sia delle decisioni della corte di appello (v. sent. S.U. n. 871 del 1984 e n. 2350 del 1983). Anche sotto questo profilo risulta razionale, quindi, l'estensione del potere della Cassazione di regolare la competenza. In proposito sufficiente considerare che il processo svoltosi nei primi due gradi davanti alle commissioni pu proseguire in sede di gravame innanzi alla corte di appello, sicch la Cassazione, nel regolare la competenza fra le commissioni, regola indirettamente quella conseguenziale del giudice ordinario; e che una situazione conflittuale si pu determinare anche in relazione ad una pronuncia della corte di appello che dichiari della commissione adita e, come consente l'art. 40 del d.P.R. n. 636 del 1972, designi come competente altra commissione di secondo grado (o di primo grado), la quale a sua volta si ritenga incompetente (v. ord. 18 settembre 1976 n. 476): un tale conflitto non pu che essere risolto dalla Corte di cassazione. In definitiva, si deve affermare che il regolamento di competenza di ufficio, previsto dall'art. 45 cod. proc. civ., si applica anche nel processo tributario, per risolvere i conflitti di competenza fra gli organi della giurisdizione speciale disciplinata dal d.P.R. 29 settembre 1972 n. 636, e succ. modificazioni; pertanto la commissione tributaria indicata come competente nella pronunzia di incompetenza resa da quella adita per prima, ove ritenga a sua volta di essere incompetente, non pu statuire sulla questione, ma deve provocarne la decisione da parte della Corte di Cassazione, chiedendo di ufficio il regolamento di competenza. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 178 opporttllo sottolineare che questa conclusione, concernente appunto il regolamento di ufficio, lascia impregiudicata la questione circa l'ammissibilit del regolamento necessario e di quello facoltativo di competenza (art. 42 e 43 cod. proc. civ.), rispetto ai quali si delinea una problematica parzialmente diversa. 9. -Il conflitto di competenza deve essere risolto nel senso indicato dalla Commissione tributaria di primo grado di Monza, che ha chiesto il regolamento, appartenendo la controversia alla cognizione della Commissione tributaria di Milano. Questa ha negato la propria competenza in base all'opinione secondo cui nelle azioni di rimborso la contestazione riguarda in realt l'ufficio fiscale competente per l'imposta che si assume indebitamente pagata, con il quale si svolto il rapporto tributario nella fase del prelievo e al quale spetta la legittimazione a contraddire; conseguentemente la competenza giudiziale va determinata in relazione alla sede del medesimo ufficio e non a quella dell'Intendenza di finanza che ha proweduto o avrebbe dovuto prowedere sulla domanda di rimborso. La tesi non ha fondamento. L'azione di ripetizione di somme corrisposte a titolo di imposta, al cui rimborso il contribuente ritenga di avere diritto, rimessa alla giurisdizione esclusiva tributaria (fatta eccezione, owiamente, per i tributi non compresi nell'ambito di operativit del d.P.R. n. 636 del 1972; v. S.U. n. 2118 del 1981) ed strutturata dall'art. 16 della legge che qui viene in considerazione nel testo originario, trattandosi di controversia insorta prima della novella n. 739 del 1981 -come azione di annullamento del prowedimento esplicito o implicito di rifiuto del rimborso, reso dall'amministrazione finanziaria sulla domanda che deve essere a'.ll'uopo necessariamente presentata in via amministrativa prima del giudizio. In particolare, ai sensi di detta norma, ove intervenga un espresso prowedimento di rigetto dell'istanza, il ricorso deve essere proposto nel termine ordinario di sessanta giorni dalla notificazione dell'atto; nel oaso, invece, di inerzia dell'Amministrazione protrattasi per oltre novanta giorni dalla notifica2lione dell'intimaiione . del contribuente a prov vedere, il silenzio si considera imposizione , cio atto impositivo impugnabile, e il ricorso si deve proporre nel termine ordinario decorrente dalla scadenza dei novanta giomi. Secondo uno schema ricorrente nella legislazione amministrativa -per cui, in determinate circostanze e specialmente a seguito di una provocazione del soggetto interessato, il silenzio dell'amministrazione assume ope legis un significato positivo o negativo specificamente stabilito -all'inerzia dell'Amministrazione finanziaria viene cos attribuito il valore legale tipico di prowedimento di segno nega tivo. E tal qualificazione del silenzio in armonia con gli artt. 75 del d.P.R. n. 634 e 47 del d.P.R. n. 637 del 1973, i quali con formula solo in PARm I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA apparenza diversa, stabiliscono che la domanda di rimborso, trascorso UD certo termine, si considera respinta . In questo sistema, in cui l'azione di rimborso postula UD autonomo provvedimento esplicito o implicito di diniego e deve essere necessariamente proposta attraverso l'impugnativa del medesimo, la competenza non pu che appartenere, secondo il disposto dell'art. 2, alla commissione tributaria nella cui circoscrizione ha sede l'ufficio finanziario che quel provvedimento ha reso (in pratica, l'Intendenza di finanza), a nulla rilevando, sotto questo profilo, che il rapporto sia stato in precedenza curato dall'ufficio competente per l'i:qiposta in contestazione. Come si visto, il criterio stabilito dalla norma rigorosamente formale, giacch la competenza legata alla sede dell'ufficio che ha adottato il provvedimento, vale a dire di un organo individuato in base al solo fatto di essere l'autore dell'atto che si impugna; ed perci esclusa in radice la possibilit di determinare la competenza in relazione ad un diverso ufficio, qualificato in base ad elementi di altro tipo, quali quelli sostanziali attinenti allo svolgimento del rapporto tributario o, al limite, alla stessa potest di emettere il provvedimento, che sono manifestamente estranei alla regola suddetta. Tanto meno. pu venire in considerazione la legittimazione a contraddire dell'organo, concetto che nel processo tributario assume un significato peculiare e, comunque, nulla ha da vedere con il criterio di determinazione della competenza. Il quale, poi, non solo funzionale allo scopo di -~corare la competenza ad UD elemento certo risultante dallo stesso provvedimento, ma coerente con il carattere che contraddistingue il nuovo contenzioso tributario, modellato come processo di impugnazione di atti (v. sent. n. 2085 del 1985). Anche sotto questo aspetto si manifesta l'inconsistenza dell'opi nione in esame, ove si consideri che ai sensi dell'art. 16, fuori dei casi in cui il diritto al rimboro sorga successivamente al pagamento (come ad es., per effetto di una pronuncia di incostituzionalit), la relativa istanza proponibile solo se il pagamento medesimo abbia avuto luogo senza preventiva imposizione , cio, secondo la pi precisa for mula adoperata nel testo risultante dalla novella del 1981, per i versa menti diretti e per i casi in cui non sia $tato notificato in precedenza un atto dell'ufficio autonomamente impugnabile, dovendo altrimenti l'im pgnativa essere rivolta contro tale atto (la cui eliminazione pre supposto del rimborso); e dunque non ha senso il riferimento alle fasi precedenti del rapporto, perch non esiste un provvedimento del l'Amministrazione suscettibile di impugnazione -conseguentemente ri levante ai fini della competenza -diverso da quello di diniego emesso dall'intendente di finanza, al quale spetta la potest di provvedere sui rimborsi nelle fattispecie che qui vengono in considerazione (art. 37 '.X"%.;:. j:: x'*. ... .. , ,x . m - 180 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO e 38 del d.P.R. n. 602 del 1973); in forza di tali disposizioni, per le imposte che, come l'Ilor, sono corrisposte mediante ritenute o versamenti diretti, la domanda di rimborso va fatta all'intendente di finanza della provincia in cui il contribuente ha il domicilio fiscale o nella quale ha sede l'esattoria che si ricevuta il versamento). In alcune decisioni di commissioni di merito, poi, si trova invocato l'art. 31 del r.d. 7 agosto 1936, n. 1639, secondo cui la competenza determinata dalla sede dell'ufficio che ha proceduto all'accertamento ; ma il riferimento errato, perch la norma non pi in vigore in forza dell'art. 46 del d.P.R. n. 636 del 1972, che oltre alle disposizioni della precedente legge ivi espressamente elencate, ha abrogato tutte le altre incondizionatamente come appunto la detta disposizione, chiaramente contrastante con la disciplina dianzi delineata. Per contro, l'in terpretazione accolta indirettamente confermata dall'art. 10, nono comma, del d.P.R. 28 novembre 1980, n. 787, istitutivo dei centri di servizio, il quale dispone che la competenza territoriale per i ricorsi prodotti contro il ruolo formato da uno di tali centri spetta alla commissione nella cui circoscrizione si trova l'ufficio tributario che ha accertato l'imposta: da ci si evince che il legislatore, quando ha inteso derogare all'ordinario criterio di determinazione della competenza, lo ha fatto espressamente. Giova avvertire che il principio che qui si afferma -secondo il quale la competenza sui ricorsi in materia di rimborso di ILOR appartiene alla commissione tributaria nella cui circoscrizione ha sede l'intendenza di finanza alla quale stata presentata la domanda di restituzione del tributo, tanto se questa sia stata respinta con esplicito provvedimento, quanto se l'Amministrazione sia rimasta inerte -deve ritenersi valido anche in seguito alla novella n. 739 del 1981, che ha parzialmente modificato la precedente disciplina dell'art. 16 del d.P.R. n. 636 del 1972 in tema di azioni di rimborso. Il provvedimento negativo stato, infatti, direttamente incluso nell'elenco degli atti impugnabili (la cui tassativit ormai fuori discussione, essendo stata espressamente sancita); e, se vero che la valenza provvedimentale dell'inerzia (protrattasi oltre i novanta giorni) meno chiara in quanto in questa ipotesi il ricorso ora proponibile fino a quando il diritto al rimborso non prescritto, non men vero che la qualificazione del silenzio come provvedimento negativo tipizzato sembra doversi confermare alla stregua della normativa speciale in precedenza ricordata, rimasta invariata, e che, comunque, il problema non rilevante ai fini della competenza, la quale deve essere necessariamente determinata allo stesso modo che nelle ipotesi di provvedimento negativo esplicito, cio con riferimento alla sede dell'ufficio che avrebbe dovuto provvedere sulla domanda di rimborso. 181 PARTE I, SBZ. VI, GIURISPRUDENZA TRmUTARIA Nella specie, questa venne presentata all'intendente di finanza di Milano e perci, non essendo intervenuto nel termine un espresso provvedimento, correttamente il contribuente propose ricorso alla Commissione tributaria di quella citt, a torto dichiaratasi incompetente. Deve pertanto essere affermata la competenza di detta commissione, senza che occorra provvedere sulle spese di questa fase del giudizio, trattandosi di regolamento proposto. di ufficio. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 16 gennaio 1986 n. 231 -Pres. Moscone Est. Cantillo -P. M. Cantagalli (conf.) -Agenzia Marittima Berti c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Braguglia). Tributi erariali indiretti Imposte doganali -Manifesto di carico Rilevanza Merci iscritte ma non rinvenute Si presumono immesse al consumo. (D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, artt. 36, 37 e 94).. Poich il manifesto di carico deve contenere la indicazione della specie, quantit e qualit delle merci che costituiscono il carico e tiene quindi luogo della dichiarazione sommaria, devono presumersi immesse al consumo le merci iscritte non rinvenute all'atto delle operazioni doganali (art. 36 d.P.R. 23 gennaio 1973 n. 43), a meno che non sia data la prova di una delle circostanze previste nell'art. 37. (1) (omissis) 1. -Con l'unico motivo, denunziando la violazione degli artt. 36, 37 e 94 del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, e 2727 ss. cod. civ., l'Agenzia marittima Berti s.p.a. deduce che erroneamente la Corte napoletana ha ritenuto sorta l'obbligazione tributaria in base alle risultanze del manifesto di carico, senza considerare che il presupposto del tributo, cio l'immissione delle merci nel territorio doganale, un fatto materiale che deve essere accertato oggettivamente, sicch nella specie esso non poteva essere desunto utilizzando il solo documento, attraverso una presunzione di secondo grado confliggente con il divieto del praesumptum de praesunto, e negando ingresso ad una prova testimoniale articolata in senso contrario. La censura non fondata. 2. -L'atto denominato manifesto di carico -che deve essere obbligatoriamente tenuto, salve le eccezioni espressamente previste dalla legge, dai capitani delle navi di qualunque nazionalit dirette in un (1) Decisione ineccepibile. 182 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO porto dello Stato e viene compilato dallo stesso comandante ovvero rilasciato da autorit consolari o doganali italiane o estere -contiene le indicazioni della specie, quantit (in peso o in volume) e qualit delle merci alla rinfusa o dei colli che costituiscono il carico; e in relazione a questa funzione documentale, per cui la merce effettivamente trasportata deve necessariamente corrispondere a quella risultante dal manifesto, tiene luogo, per gli arrivi via mare, della dichiarazione sommaria obbligatoria prevista per tutte le merci immesse nel territorio doganale (art. 94 t.u. leggi doganali n. 43 del 1973). Esso, cio, stante l'impossibilit nei trasporti suddetti di accertare immediatamente la quantit e qualit della merce che attraversa la linea doganale -la quale coincide, ai sensi dell'art. 2 del T.U., con i confini del mare territoriale (e dello spazio aereo) -vale ad identificare le merci entrate nello spazio doganale che debbono essere presentate in dogana (art. 56, secondo comma); e correlativamente consente sia il controllo sulle stesse, ancorch non debbano essere sbarcate in un porto dello Stato, e sia la foro presa in carico quando vengano sbarcate (nel qual caso deve essere consegnata in dogana una copia del manifesto in lingua italiana). In coerenza, poi, con la rivelata funzione del documento, il capitano deve rendere conto, ad: ogni richiesta della dogana, delle merci inscritte a manifesto (art. 111 t.u.), nonch annotare e dichiarare le eventuali vicende comportanti discordanze tra manifesto e carico. Ci posto, risulta evidente che per le merci elencate nel manifesto di carico l'arrivo in territorio doganale non risulta da presunzione -come a torto sostiene la ricorrente -ma direttamente documentato dall'atto, cio da dichiarazione all'uopo redatta o, comunque, fatta propria dal capitano della nave, responsabile delle merci nei confronti della dogana. E si comprende perch le merci iscritte nel manifesto, ma non rinvenute all'atto delle operazioni doganali, si debbono r~tenere immesse definitivamente al consumo (salvi i casi di cui all'art. 37), 9perando in pieno il disposto dell'art. 36, quinto comma, del t.u., che pone una presunzione correlata appunto ad una dichiarazione attestante l'esistenza delle merci al momento dell'entrata della nave nelle acque territoriali. Non si riscontra, dunque, alcuna di quelle presunzioni a catena ipotizzate dalla ricorrente, contrastanti con il principio che vieta il praesemptum de praesumpto; il manifesto di carico documenta la merce esistente a bordo e, in quanto presentato in dogana, comporta dichiarazione di arrivo nel territorio doganale delle merci in esso elencate; e ci impone di presumere immessa al consumo la merce che, al momento dello sbarco, non viene pi rinvenuta. ~ ~ 1 I PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRmUTARIA 183 Pertanto esattamente la Corte di merito ha ritenuto verificata, nella specie, la presunzione di immissione definitiva al consumo, sancita dall'art. 36 cit., dato che l'arrivo delle merci in questione nel territorio doganale era documentato dal manifesto di carico. 3. -In questa prospettiva, infondata anche la critica relativa alla mancata ammissione della prova testimoniale, diretta a dimostrare che, una volta sbarcata, la merce non aveva subito alterazioni quantitative, essendo stata custodita sotto il diretto controllo della Guardia di Finanza. Giustamente la Corte ha osservato che, operando la presunzione di immissione definitiva al consumo, la circostanza oggetto della prova irrilevante, in quanto non esclude l'eventualit che la merce mancante possa essere stata sottratta ai vincoli doganali e immessa al consumo nel lasso di tempo tra l'ingresso nelle acque territoriali e l'arrivo nel porto di Napoli; per vincere la presunzione, invece, la ricorrente avrebbe dovuto provare una delle circostanze previste dall'art. 37 t.u., cio la perdita o la distruzione della merce ovvero il verificarsi di variazioni quantitative dovute a cali naturali e tecnici. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 17 gennaio 1986 n. 261 -Pres. La Torre Est. Virgilio -P. M. Bennati (diff.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Linguiti) c. Oriani (aVv. Seccarella). Tributi erariali diretti -Rettifica della dichiarazione ex art. 36-bis d.P .R. 29 settembre 1973, n. 600 Correzione di errori materiali e di calcolo Correzioni di errori di applicazione della legge. (D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36 bis). In sede di liquidazione delle imposte dovute sulla scorta dei dati e degli elementi direttamente desumibili dalla dichiarazione e dai suoi allegati (art. 36 bis d.P.R. n. 600/1973), l'ufficio ha il potere di rettificare la dichiarazione in tutto quant? necessario per rendere il carico dell'imposta esattamente commisurato a quello dovuto sulla base di quanto risulta dalla dichiarazione e quindi anche di correggere gli errori, non puramente materiali, attinenti alla determinazione dell'imponibile e dell'imposta; conseguentemente quando sia stato dichiarato per un fabbricato il reddito catastale e il maggiore reddito effettivo ma sia stata liquidata la imposta sul reddito catastale, legittimamente l'ufficio liquida e iscrive a ruolo l'imposta dovuta sul reddito effettivo (1). (1) Va pienamente condivisa la pronuncia, che una delle prime che interviene sull'argomento. L'espressione, apparentemente restrittiva, di errori materiali o di calcolo, posta in relazione alla determinazione degli imponibili e delle imposte; trattasi quindi non di errori meramente numerici ma di errori, elementari ed evidenti, sulla composizione dell'imponibile e la liquidazione della imposta. 184 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (omissis) La ricorrente in via principale deduce con unico motivo, sotto il profilo della violazione dell'art. 36 bis e 38 -del d.P.R. n. 600 del 1973, che la Corte di Appello erroneamente ha attribuito alla norma un contenuto ristretto alla correzione degli errori materiali o di cal I I (-'. colo, mentre essa consente la utilizzabilit di tutti i dati ed elementi desUllllibili direttamente dalla dichiarazione e dai relativi allegati. La interpretazione data dalla Corte di Appello sostanzialmente elisiva del primo comma dell'art. 36 bis, come risulta peraltro dal coordiI namento tra la indicata disposizione e l'art. 38, III comma che disciplina le ipotesi di necessit di rettifica delle dichiarazioni presentate dal contribuente. Con il ricorso incidentale condizionato si sostiene che ai sensi dell'art. 11, 3 comma del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 (come modificato dal d.P.R. 24 dicembre 1976 n. 920) nei ruoli principali sono iscritte le imposte liquidate in base alla dichiarazione ai sensi dell'art. 36 bis e 36 ter del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600; tale possibilit consentita in forza del 5 comma dell'art. 4 del d.P.R. n. 920 del 1976, soltanto dalla data di entrata in vigore di questo provvedimento, cio dal 20 gennaio 1977, giorno successivo a quello della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. Nel caso di specie, >l'iscrizione avvenuta nel ruolo 1976, emissione settembre, e perci illegittimamente in quanto non era ancora entrato in vigore il d.P .R. n. 920 che confer all'Amministrazione il potere di iscrizione nei ruoli principali delle imposte liquidate a norma dell'articolo 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973. Il ricorso principale fondato. La norma della cui esatta interpretazione si discute (art. 36 bis citato) esprime nel titolo stesso Liquidazione delle imposte -dovute in base alle dichiarazioni -la sua concreta finalit che quella di porre gli uffici fiscali nella condizione di procedere sollecitamente, anche nell'interesse dei contribuenti, al calcolo dei tributi sulla base delle risultanze emergenti dalla dichiarazione dei redditi. In stretta correlazoine con questa finalit, nel primo comma sono enunciati i criteri generali ai quali devono attenersi gli uffici, ed inoltre stabilita la condizione-base (e dunque anche il limite) per il legittimo esercizio del potere di correzione e di rettifica attribuito agli uffici. Tale condizione consiste nella esigenza che le liquidazioni delle imposte effettivamente dovute avvengano sulla scorta dei dati e degli elementi direttamente desumibili dalle dichiarazioni stesse e dai relativi allegati , come testualmente dispone la norma. Nel rispetto della indicata condizione, l'attivit dell'amministrazione pu dunque esplicarsi secondo una vasta gamma di ipotesi, le quali trovano la loro concreta tipicizzazione nelle lettere a), b), e), d) e) del secondo comma dell'art. 36 bis. PARTB I, SBZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 185 Dall'esame critico delle fattispecie contemplate sotto tali lettere risulta che gli uffici fiscali -sempre con l'obbligo di dedurre i dati e gli elementi contabili e di valutazione delle stesse dichiarazioni presentate dal contribuente -sono legittimati a compiere tutte le operazioni necessarie per rettificare le inesattezze e gli errori riscontrati nella dichiarazione dei redditi, al fine di rendere il carico dell'imposta esattwnente commisurato a quello dovuto sulla scorta, cio con l'ausilio e la guida, dei dati forniti dallo stesso contribuente. Nel quadro delle indicate possibilit l'amministrazione aveva certamente il potere di correggere l'errore nella determinazione dell'imponibile (ipotesi di cui alla lett. a dell'art. 36 bis) commesso dal contribuente il quale, dopo aver indicato, nelle rispettive caselle del modulo, sia il reddito effettivo dei fabbricati (L. 7.500.000) sia quello calcolato in base al reddito catastale aggiornato (L. 1.300.000), consider poi quest'ultimo quale reddito imponibile, e non gi il reddito effettivo come chiaramente prescritto dalla legge. L'amministrazione, sostituendo il reddito da considerare a quello erroneamente indicato dal contribuente, si legittimamente avvalsa del potere di correzione conferitole dalla legge perch si limitata ad attribuire ai dati contabili denunciati dal contribuente la loro effettiva rilevanza, ai fini della esatta determinazione dell'imponibile. Il ricorso principale deve pertanto essere accolto. (omissis) I CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 22 gennaio 1986 n. 402 -Pres. Scanzano Est. Finocchiaro -P. M. Di Renzo (diff.) -Soc. Riviera c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Corti). Tributi in genere -Accertamento -Motivazione -Provvedimento di ammis sione all'esenzione -Necessit -Motivazione insufficiente -Integra zione in giudizio -Possibilit. Anche il provvedimento di ammissione all'esenzione venticinquennale dall'imposta sui fabbricati deve essere motivato con la conseguenza che in caso di totale difetto di motivazione, o di motivazione soltanto apparente, la commissione deve dichiararne la nullit senza poterne giudicare nel merito la fondatezza; solo in presenza di motivazione insufficiente (ma non totalmente mancante) la commissione pu giudicare della fondatezza nel merito dell'atto impugnato, acquisendo anche d'ufficio gli elementi necessari (1). (1-2) La prima sentenza mostra con evidenza la pericolosit della ripetizione acritica di formule correnti; essa infatti, rifacendosi a massime, molto generiche, riferite 'ad atti di accertamento della base imponibile, non si avvede 186 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO II @ ( CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 25 gennaio 1986 n. 492 -Pres. Santosuosso -Est. Rocchi -P. M. Minetti (conf.) Soc. IZDA (avv. Pellicciari) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Salimei). I iTributi in genere Accertamento Motivazione Provvedimento sul con dono Non necessita. Il provvedimento sull'applicabilit del condono con il quale non si I esprime alcuna valutazione, non necessita di motivazione essendo questa 0 I & implicita nella non rispondenza ai requisiti di legge (2). I (omissis) Con l'unico motivo di ricorso si deduce omessa pronuncia su punto decisivo della controversia per avere la Commissione tribu Itaria centrale provveduto a decidere nel merito della controversia senza tener presente e senza pronunziare su quello che era l'oggetto del I che nel caso di specie si discuteva della spettanza della esenzione venticinquennale dall'imposta sui fabbricati che implicava un -accertamento del diritto e non certo una discussione sulla legittimit dell'atto di diniego. Sulla stessa questione la sentenza delle Sez. Un. 3 marzo 1986 n. 1322 in questo fascicolo pag. 199, che pure non pu essere condivisa nelle sue premesse, riconosce che nel caso di identificazione di una determinata disciplina legale la motivazione pu esprimersi in forma estremamente semplice e contratta . Pi in generale non pu condividersi l'affermazione che motivazione e fondatezza del provvedimento agiscono su piani distinti con la conseguenza che la fondatezza del merito inidonea a dimostrare la legittimit, quasi che le domande proponibili contro l'accertamento siano due. Cosa accadr se si affermer (dal giudice di rinvio) che l'accertamento illegittimo per difetto di motivazione? Sar perci solo da riconoscersi la spettanza dell'esenzione? Evidentemente no. Ed allora a che cosa sar servita, soprattutto nell'interesse del contribuente, una dichiarazione di illegittimit del provvedimento? La domanda che si propone con il ricorso una soltanto e riguarda l'accertamento del rapporto di obbligazione; pu anche, in casi ben delimitati, affacciarsi la questione di infruttuoso esercizio della potest di accertamento, ma solo come effetto sostanziale sulla obbligazione. 1\ certamente da condividere la seconda parte della massima che riconferma la possibilit di decisione di merito che supera ogni questione sulla validit formale dell'accertamento che abbia comunque messo il contribuente nella condizione di esercitare la difesa; troppo formale, specie in relazione al caso deciso, per la distinzione tra motivazione mancante e motivazione insufficiente. Assai pi concreta la seconda sentenza che apprezza la differenza tra accer tamento della base imponibile e provvedimento di ammissione al condono e svaluta il mito della motivazione quando sia in questione la applicazione della Jegge. PARm I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA ricorso dell'Ufficio e del controricorso della societ e cio la congruit e sufficienza della motivazione dell'atto impositivo. Il ricorso fondato, n vale, al fine di respingerlo, il rilievo contenuto nel controricorso e per il quale sarebbe corretta la pronuncia della Commissione Tributaria Centrale che, ritenendo inadeguato il deliberato delle precedenti Commissioni per non essere il preteso difetto di motivazione n rilevante n in concreto esistente, entrata nel merito del rapporto confermando l'inesistenza dei presupposti richiesti per l'invocata esenzione, in piena aderenza, al thema decidendi, l'ufficio avendo fra l'altro sempre dedotto, a giustificazione del suo operato, le violazioni edilizie come accertate dalla competente autorit comunale. infatti sufficiente osservare che la Commissione Tributaria Centrale non si pronunciata sulla questione sottopostale circa la sufficienza della motivazione dell'atto con il quale stata respinta la richiesta di esenzione venticinquennale dall'imposta sui fabbricati, senza che possa ritenersi una pronuncia implicita sulla stessa la ritenuta fondatezza nel merito del provvedimento. La motivazione del prvvedimento amministrativo-tributario ha una duplice finalit: quella di rendere esplicito e manifesto l'iter logicogiuridico seguito nella formazione dell'atto e quello di consentire ai destinatari la cognizione e la contestazione degli eventuali errori di fatto e di diritto che lo inficiano, sicch costante nella giurisprudenza di questa Corte l'affermazione secondo cui l'obbligo della motivazione soddisfatto quando l'atto pone il contribuente nella condizione di potere efficacemente contestare nell'an e nel quantum la pretesa tributaria (cfr. fra le tante, Cass. 7 febbraio 1984 n. 932; Cass. 9 agosto 1982 n. 5325; Cass. 19 giugno 1981 n. 4013; Cass. 12 febbraio 1981 n. 857). Da ci deriva che si ritenuto nullo l'avviso di accertamento -ma il principio da ritenere applicabile ad ogni atto amministrativo-tributario con il quale si provvede su un diritto soggettivo della parte -per la sua inidoneit a raggiungere lo scopo assegnatogli dall'ordinamento, oltre che nei casi di totale mancanza della motivazione, anche nei casi ad essa equiparabili, quali l'esistenza di una motivazione soltanto apparente, di mero stile, che, per la sua genericit, sarebbe applicabile a qualunque accertamento, essendo priva di riferimento al caso concreto (Cass. 30 luglio 1984 n. 4541; Cass. 9 agosto 1983 n. 5325), nonch nelle ipotesi in cui, essendo previsto un parametro legislativo di valutazione, costituente criterio tassativo, lo stesso non sia stato esplicitato nell'atto di accertamento (cfr. Comm. Trib. Centr., sez un. 16 giugno 1983 n. 1343). Sulla base di queste premesse appare evidente che motivazione del provvedimento e fondatezz dello stesso agiscono su due piani nettamente distinti: il primo su quello della legittimit dell'atto, il secondo su quello del merito dello stesso, con la naturale conseguenza che la 188 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO eventuale fondatezza del secondo non idonea a dimostrare la legittll.it del primo. N pu invocarsi in contrario il principio secondo cui, per essere la giurisdizione delle Commissioni Tributarie non di annullamento, ma sul merito dell'atto amministrativo impugnato, la sanatoria del difetto di motivazione in sede contenziosa, in virt dell'acquisizione, disposta anche d'ufficio, degli elementi necessari per il giudizio di merito, comporta il divieto di dichiarare la nullit dell'atto assumendo la pronuncia delle Commissioni valore sostitutivo dell'originario provvedimento, dal momento che tale principio pu essere applicato in presenza di una motivazione insufficiente e non anche in ipotesi di difetto assoluto di motivazione, che incidendo sulla formazione del rapporto giuridico e risolvendosi in un difetto di attivit della P.A. (non surrogabile dal giudice) proprio a causa della nullit di quell'atto di impulso che l'accertamento, non pu essere sanato per effetto dell'opposizione del contribuente (Cass. 9 agosto 1983, n. 5325). Concludendo, si deve quindi ritenere che qualora il contribuente, al quale sia stato notificato avviso di accertamento che r~spinga la richiesta di esenzione venticinquennale dall'imposta sui fabbricati, ricorra alle Commissioni tributarie eccependo il difetto di motivazione di tale atto, il giudice investito della controversia non pu -al fine della reiezione del ricorso -accertare la fondatezza nel merito del provvedimento impugnato, ma deve innanzitutto stabilire la natura e l'entit del vizio motivazionale denunciato e solo in ipotesi di insufficienza di motivazione pu respingere il ricorso, ove acquisisca anche d'ufficio, elementi necessari per ritenere la fondatezza nel merito del provvedimento impugnato, mentre ove accerti il difetto assoluto di motivazione, nei sensi innanzi precisati, deve dichiarare la nullit dell'atto, attesa la sua inidoneit ad essere sanata da accertamenti sul merito. Tale indagine non stata compiuta dalla Commissione Tributaria Centrale e, pertanto, in accoglimento del motivo di ricorso, va cassata la decisione impugnata e la causa rinviata alla stessa Commissione perch si pronunzi sulla sufficienza e sulla congruit della motivazione dell'atto di accertamento. (omissis) II (omissis) Col primo motivo -denunziando violazione dell'art. 37 d.P.R. 645/1958 e dell'art. 18 d.P.R. 636/72 con riferimento agli artt. 3 e 4 l. 823/1973 in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c.; insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia -ila societ ricorrente ripropone la questione del (preteso) difetto di motivazione del provvedimento di rigetto della domanda di condono, nel presupposto che a 'tale provvedimento vadano applicate le norme in PARTB I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRmUTARIA 189 tema di atti di accertamento, atteso che anche esso un atto attinente alla fase di accertamento. La censura infondata. Va rilevato, innanzitutto, che -a differenza che negli atti di accertamento d'imposta, in ordine ai quali l'Amministrazione finanziaria esprime la sua valutazione circa la rispondenza della dichiarazione del contribuente alla situazione reale e, in difetto di dichiarazione, valuta direttamente gli elementi attivi e passivi che portano al reddito imponibile, onde la necessit che il contribuente sia posto in grado di conoscere come l'Ufficio sia giunto alla determinazione del reddito e del maggior reddito accertato -nelle ipotesi di definizione delle pendenze tributarie, l'Amministrazione finanziaria non esprime alcuna valutazione, limitandosi soltanto a verificare la sussistenza o meno dei requisiti indicati dalla legge, ai fini dell'accoglimento della richiesta di definizione. In ogni caso, peraltro, nella specie, la motivazione del provvedimento negativo del condono appare del tutto esauriente, in quanto (come esattamente rilevato dalla Commissione centrale), trattandosi di domanda specificatamente concernente il 1973, annualit per la qale il decreto legge n. 660/1973 prevedeva precise condizioni per l'ammissione al condono ed essendo stato il contribuente reso edotto, con sufficiente chiarezza e coerenza, che la richiesta di definizione non corrispondeva ai requisiti previsti , tale formula non poteva riferirsi a motivi di diniego diversi da quelli stabiliti dalla legge. omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 30 gennaio 1986, n. 599 Pres. Santosuosso -Est. Sgroi -P: M. Zema (diff.). Ministero delle Finanze (Avv. Stato Laporta) c. Valvassori (avv. Dal Verme). Tributi in genere -Condono Natura Effetti. (d.l. 5 novembre 1973 n. 6602, art. 11). Il condono tributario non ha natura transattiva ma l'esplicazione di una potest amministrativa che deve essere necessariamente conforme alla norma che istituisce il condono; conseguentemente mentre non minimamente applicabile l'art. 1969 e.e., il provvedimento di condono pu essere annullato di ufficio o contestato dal contribuente per violazione delle norme del decreto di condono, per modificare parzialmente la definizione sia per escludere totalmente la condonabilit. Il condono estingue l'intero giudizio pendente travolgendo anche l'effetto delle decisioni intervenute (1). (omissis) I ricorsi vanno riuniti a norma dell'art. 335 c.p.c. Con l'unico motivo, l'Amministrazione deduce la violazione e falsa applica (1) Alcune opportune specificazioni, tutte di evidente esattezza. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEU.O STATO zione dell'art. 11 del d.l. n. 660 conv. in legge 19 dicembre 1973 n. 823, osservando che erroneamente la Corte di appello ha ritenuto che la modifica di cui alla citata norma coincida con la mera correzione e che la definizione della controversia ai sensi della legge citata vada inqua~rata nell'ambito dei negozi transattivi. L'Amministrazione osserva che la definizfone de qua premessa da una richiesta del contribuente che d impulso ad un procedimento amministrativo che si conclude con un provvedimento che sostituisce una obbligazione ad un'altra. La legge disciplina i casi in cui si pu procedere ad annullamento (indicato col termine modifica) o ad una contestazione da parte del contribuente, con riferimento all'errore materiale ed alla violazione delle norme del decreto. D'altra parte, appare estraneo alla specie ogni principio desunto dalla disciplina della transazione. Ed infine, gli effetti processuali dell'estinzione non sono riconducibili all'art. 310 c.p.c. e, se l'Amministrazione annulla la definizione, il contribuente pu contestare nuovamente la fondatezza della pretesa tributaria innanzi alle Commissioni, come era stato del resto riconosciuto con l'ordinanza di questa Corte del 27 dicembre 1975. Il ricorso , per quanto di ragione, fondato. Deve, in primo luogo, contestarsi l'assimilazione alla transazione dell'istituto della definizione regolato dal d.l. 5 novembre 1973 n. 660 conv. in legge 19 dicembre 1973 n. 823, in quanto esso consiste in un procedimento amministrativo di determinazione dei tributi secondo parametri e criteri prefissati, in. ordine ai quali nessuno spazio ha l'autonomia contrattuale, ma si esplica una particolare potest amministrativa concretata in un procedimento di liquidazione delle somme dovute. D'altra parte, in presenza di una norma quale quella dell'art. 11 secondo comma, che ammette la modifica da parte dell'ufficio e la contestazione da parte del contribuente anche per violazione delle norme del decreto, non si vede l'utilit di trarre elementi di interpretazione dalla disciplina della transazione, che contiene una norma del tutto opposta (art. 1969 e.e.). L'art. 11 suindicato ha un contenuto peculiare, in forza del quale la definizione intervenuta non pu essere modificata o contestata per violazione delle norme ordinarie, riflettenti le imposte definite, appunto perch si prescinde dalla soluzione delle controversie pendenti in base all'applicazione delle suddette norme e le controversie stesse vengono definite con l'applicazione dei criteri automatici fissati dal provvedimento di condono. Il provvedimento amministrativo che costituisce il punto di arrivo del procedimento avviato dall'istanza irrevocabile del contribuente deve, pertanto, essere conforme alle norme suddette; se le norme (e solo quelle) sono violate, esso pu essere contestato dal contribuente. L'ampiezza della formula, sta ad indicare che il contribuente pu chiedere l'annullamento in toto del provvedimento . ~ f f 191 PARTE I, SEZ, VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA di ammissione a godere dei vantaggi del procedimento di definizione ( ovvio che il contribuente far la domanda se la ritiene vantaggiosa, nel suo calcolo di convenienza), se esso non conforme alla normativa della legge n. 823. Appare del tutto irrazionale che invece, l'Amministrazione -come ha ritenuto la Corte d'appello di Milano -non possa contestare, con i suoi normali poteri di autotutela, la definizione intervenuta, non solo modificandola (per esempio, in punto di concreta J.iquidazione del dovuto), ma anche rimuovendola del tutto, qualora ritenga che la controversia definita non sia compresa fra quelle rientranti nell'ambito della legge n. 823. L'espressione modificate va intesa in tutta la sua latitudine, comprensiva di una riapertura della controversia nel caso che la definizione sia stata viziata dalla violazione delle norme del decreto e della legge sul condono (in tal senso, cfr. la relazione al disegno di legge, nonch Cass. 5 luglio 1984 n. 3936; v. anche Cass. 5 novembre 1984 n. 5599). Nessuna delle conseguenze paventate o degli ostacoli ipotizzati dalla Corte d'appello pu opporsi a tale elementare applicazione dei princpi generali, secondo cui gli atti amministrativi di attuazione di una certa normativa possono essere sempre impugnati dal cittadino ed annullati dalla P.A. per violazione delle norme di cui costituiscono applicazione. Invero, l'atto di annullamento dell'Ufficio pu essere, ovviamente, impugnato a sua volta dal soggetto passivo, che potr sostenere che, invece, la primitiva definizione era conforme alla legge n. 823 (senza poter riaprire la controversia definita); inoltre, poich, l'atto di annullamento della definizione sar normalmente accompagnato da una ripetizione del primitivo accertamento che aveva dato luogo alla controversia definita con la procedura della legge n. 823, contro tale accertamento potranno di nuovo esperirsi le impugnative normali. Nessun ostacolo pu derivare dalla pronuncia dell'estinzione dei giudizi in crso, ai sensi del primo comma dell'art. 11, per le seguenti _ragioni: a) tale estinzione non ha nulla a che vedere con l'estinzione di cui agli artt. 306-310 c.p.c. Invero, le sentenze di merito pronunciate nel corso del processo, ovvero le sentenze di primo grado, nel caso che l'estinzione sopravvenga in appello; e le sentenze d'appello, nel caso che l'estinzione sopravvenga in cassazione, noh sono regolate dall'art. 310 o dall'art. 338 c.p.c. Esse non passano affatto in giudicato, perch la definizione della controversia attuata mediante la procedura di cui alla legge n. 823 del 1973 contrasta inconciliabilmente col suddetto passaggio in giudicato. Si estingue l'intero giudizio, e non solo la fase del processo nel corso del quale interviene la definizione amministrativa; b) il giudice dinanzi al quale viene portato il provvedimento di ammissione al condono e di pagamento delle imposte liquidate non pu 192 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO sindacare se esso sia legittimo, ma deve soltanto prenderne atto (cfr. Cass. 21 febbraio 1979 n. 1112). Invero, una contestazione della legittimit del procedimento di condono non pu non seguire il normale iter amministrativo e giurisdizionale e non formarsi il giudicato su di esso, per effetto della pronuncia dell'ordinanza di estinzione del giudizio ex art. 11 cit. (come, del resto, ha riconosciuto l'ordinanza di questa C6rte del 27 dicembre 1975, che si limitata a pronunciare la estinzione del precedente giudizio, facendo salvi i diritti dell'Ammini strazione in separata sede). Applicando i suddetti princpi alla specie, evidente che la Corte d'appello non avrebbe dovuto fermarsi a statuire la pretesa intangibilit della definizione delle controversie di cui si tratta, ma avrebbe dovuto -sulla premessa della possibilit dell'esercizio del potere di annullamento della P.A. -accertare in concreto (come chiedeva la Valvassori, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente) se tale annullamento fosse legittimo, e cio se effettivamente .le controversie di cui si trattava erano controversie attinenti all'imposta di registro, come tali rientranti nell'ambito della prima parte dell'art. 6, ovvero controversie non rien tranti in detto ambito, come pretendeva l'Amministrazione. Tale giudizio non pu essere dato in questa sede, perch implica la valutazione di atti che devoluta al giudice del merito, salvo il successivo controllo in sede di legittimit. Si tratta di un giudizio da dare in base al rilievo che si trattava di applicare, nelle controversie originarie che erano state definite dalla contribuente, l'art. 5 del d.l. n. 90 del 1945; e che -con trariamente a quanto sostiene la Valvassori nel controricorso -non vincolato da alcun giudicato che non si formato in quanto il precedente giudizio si estinto in toto, come innanzi si detto (pur non avendo, tale estinzione, una valenza definitiva a troncare ogni controversia sulla applicazione delle nonne del decreto n. 660 conv. in legge n. 823 del 1973). Per concludere, si tratta di accertare se le definizioni intervenute nel 1974 violavano (o meno) le norme del ripetuto decreto sul condono del 1973, secondo la richiesta formulata, in ulteriore subordine, dalla Valvassori nell'opposizione alle ingiunzioni del 1975. (omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 4 febbraio 1986, n. 681 Pres. La Torre Est. Borr P. M. Di Renzo (conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato Palatiello) c. Giardi (avv. Zaccagnini). Tributi erariali indiretti Imposta di registro -Concordato fallimentare Sentenza di omologazione Imposta proporzionale. (D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, tariffa A, art. 8 lett. e ed f). La sentenza di omologazione del concordato fallimentare, in quanto provvedimento che d corpo all'obbligazione, essa direttamente, indi PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 193 pendentemente dal'enunciazione, soggetta all'imposta proporzionale dell'art. 8 lett. c) della Tariffa A del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 634 (1). (omissis) 1. -Con l'unico motivo di ricorso -deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 8, lettera e), e 9 della tariffa ali. A al d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 634, anche in relazione agli artt. 21 e 35 dello stesso d.P.R., il tutto in riferimento all'art. 360, n. 3 c.p.c. -assume la ricorrente che, collegandosi l'imposta di registro alla capacit contributiva indirettamente dimostrata da un atto, convenzionale o giudiziale, relativo al contribuente, nessuna rilevanza pu essere attribuita, in contrasto con il contenuto dell'atto medesimo, alla sua natura convenzionale o giudiziale, come del resto confermato dal pieno parallelismo sistematico fra tassazione delle convenzioni e tassazione dei provvedimenti giurisdizionali aventi analogo oggetto._ Il fatto che la lettera f) della'rt. 8 della tariffa preveda la tassa fissa per gli atti giudiziali di omologazione non implica, secondo la ricorrente, che in tale tassazione si identifichi, e si esaurisca, il trattamento tributario del concordato preventivo, da un lato perch questo ha per oggetto un regolamento originale di rapporti aventi contenuto patrimoniale e costituisc pertanto materia naturalmente tassabile con l'imposta proporzionale, dall'altro perch il riferimento agli atti giudiziali di omologazione, di cui alla citata lettera f), se interpretato in relazione al contenuto complessivn della norma e ai criteri di tassazione che la ispirano, non pu altrimenti intendersi che come riguardante le sole omologazioni di atti a contenuto non patrimoniale. Neppure decisivo, secondo l'Amministrazione finanziaria, il fatto che la tariffa vigente non riproduca una norma come quella dell'art. 32 della precedente tariffa, che faceva esplicito riferimento ai concordati giudiziali e stragiudiziali, ci potendo spiegarsi con il fine di semplificazione delle ipotesi tariffarie perseguito dal pi recente legislatore. D'altra parte, se si ammette -come fa la decisione impugnata che un concordato stragiudiziale ancor oggi assoggettato all'imposta proporzionale ai sensi dell'art. 9 della tariffa, non pu porsi in dubbio che anche la sentenza di omologazione del concordato (preventivo o fallimentare) sia soggetta a tassazione con la stessa aliquota, sia che la si (1) Decisione da condividere pienamente che trasporta alla nuova legge di registro i concetti gi affinati precedentemente. In senso conforme Cass. 10 luglio 1984 n. 4044 in questa Rassegna 1984, I, 1002; sulla legge abrogata Cass. 6 gennaio 1980 n. 119 e 14 aprile 1981 n. 2227, ivi, 1980, I, 631 e 1982, I, 776. Si pu aggiungere che la sentenza di omologazione costituisce l'atto tassabile per tutte le convenzioni alle quali da efficacia, e non soltanto per il concordato vero e proprio, comprese quelle di garanzia prestata dai terzi; come tale pu essere soggetta anche alle imposte di trasferimento delle lettere a) e b) dell'art. 8 della tariffa. 194 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO voglia considerare come atto conclusivo del procedimento di concordato, e quindi tassabile in base all'art. 8, lettera e), della tariffa, sia che la si voglia assumere come atto giudiziale che enuncia la convenzione concordataria, tassabile in tal caso con la imposta (di titolo) di cui all'art. 9 della tariffa stesa, in relazione agli artt. 21 e 35 della nuova legge di registro. 2. -Alle considerazioni dell'Amministrazione finanziaria il resistente, oltre ad un generico richiamo ai motivi esposti dalla decisione impugnata, oppone il rilievo che, in presenza dello stato di insolvenza, non sussisterebbe la capacit contributiva per la tassazione dell'atto. 3. -Il ricorso fondato e va accolto. un dato sicuramente incontestabile (rilevato anche dalla decisione impugnata) che la precedente disciplina dell'imposizione del concordato, contenuta negli artt. 32 e 126 della tariffa del 1923, si collegava ad una concezione essenzialmente contrattualistica di tale istituto. Per un verso, infatti, l'art. 32 usava una formula ( convenzioni e concordati fra i creditori e il loro debitore, stipulati tanto prima che dopo la dichiarazione di fallimento e contenenti obbligazioni di somme) che evidentemente comprendeva tanto le figure di concordato (preventivo o fallimentare) quanto manifestazioni meramente private di contenuto analogo, e quindi, proprio per il fatto di considerare insieme le due ipotesi, non poteva non porre, anche nella prima, l'accento sul momento contrattualistico ; in conformit, del resto, con la concezione allora prevalente dell'istituto. Per altro verso, l'art. 126, prevedendo la distinta e concorrente imposizione della sentenza omologativa del concordato, confermava la scissione fra il momento giudiziale (assoggettato a tassa fissa) e il momento contrattuale che, costituendo il fulcro giuridico-economico del fenomeno concordatario, scontava l'imposta proporzionale. Espressione di tale concezione era fa prassi tributaria che sottoponeva a registro, con pagamento di imposta proporzionale, il verbale di accertamento di voto (in cui si scorgeva il momento adesivo alla proposta contrattuale del debitore), concorrentemente alla registrazione (a tassa fissa) della sentenza di omologazione del concordato. Pur con riguardo alle accennate disposizioni della vecchia legge, questa Corte, sensibile al mutamento di pensiero frattanto intervenuto in ordine all'istituto del concordato, propose una diversa costruzione del fenomeno. Fu affermato, infatti con particolare evidenza nella sentenza n. 119 del 1981; che la sentenza di omologazione, ossia l'atto che, a conclusione di una complessa procedura, d corpo a tale obbligazione (idest: l'obbligazione assunta dall'imprenditore di pagare determinate somme ai propri creditori) e trasforma in obbligo giuridico, vincolante per l'imprenditore e per tutti i creditori, la proposta originaria, sog PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 195 getta di per s a tassazione (proporzionale), in quanto costituisce appunto l'atto (... infatti indifferente che si tratti di atto unilaterale, contrattuale o giudiziario) da cui sorge l'obbligazione di pagare una determinata somma; con l'ulteriore precisazione che la sentenza di omologazione... non costituisce il mezzo attraverso cui la Finanza, in via indiretta, tassa determinati atti... gi soggetti a tassazione prima che fossero enunciati nella sentenza o posti a fondamento delle sue statuizioni, ma costituisce l'oggetto diretto della tassazione, come atto di per s produtivo di determinati effetti obbligatori a contenuto economico . Tale pronuncia, cos argomentata, reca chiari i segni della concezione pubblicistico-processuale del concordato, sia perch ravvisa nella sentenza di omologazione non un mero momento di controllo rispetto alla autonomia espressa nel patto concordatario, ma l'atto conclusivo di una complessa procedura; sia perch coglie la capacit di tale sentenza di produrre effetti suoi propri (obbligatoriet del concordato non solo per il debitore, ma per tutti i creditori, vale a dire anche per quelli rimasti estranei alla procedura o addirittura dissenzienti) che la concezione contrattualistica non in grado di spiegare; sia infine perch, proprio sulla base di tali premesse, riconosce nella sentenza omologativa, l'oggetto della tassazione proporzionale, e non in quanto essa enuncia un atto tassabile (quale potrebbe essere, ragionando secondo la vecchia concezione, l'accordo implicito nella manifestazione positiva del voto), ma in quanto costituisce, ex se, il fenomeno giuridico-economico cui l'imposizione direttamente ed immediatamente si collega. Se l'orientamento interpretativo era dunque gi rivolto, sotto la precedente legislazione, a collegare l'espressione della capacit contributiva al concordato-provvedimento, cio alla sentenza di omologazione in quanto atto giurisdizionale autoritativo che conclude il procedimento e per forza propria realizza l'effetto della generale obbligatoriet del concordato, non pu non apparire sconcertante l'affermazione della decisione impugnata, secondo cui proprio dall'essere stato attribuito, nella nuova legge di registro, prevalente peso al carattere pubblicistico, del concordato, evitandosi ogni confusione con le private convenzioni di analogo contenuto, dovrebbe discendere la non tassabilit, con imposta proporzionale, della sentenza conclusiva della procedura concordataria. Affermazione tanto pi sconcertante in quanto, per le suddette private convenzioni, invece riconosciuta, dalla decisione impugnata, la persistente assoggettabilit al tributo proporzionale (ai sensi dell'art. 9 della nuova tariffa). Tale affermazione pretende fondarsi sulla non riproduzione di una norma come quella di cui all'art. 32 de1la vecchia tariffa e sulla non prev1s1one esplicita -nell'art. 8 della nuova -della sentenza omolo gativa del concordato fra i provvedimenti giurisdizionali tassabili con .l'.I' .r..r.r ,,..,._,. ,. ................................................................--,-,..,-..-c..-.-.--.--.-..-.rr.r.-.-..-..-,,.-. .-..-..--.-.....-....r..-.r.-..r.-..-....-r..-.....-..-....r......, 196 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO imposta proporzionale, e per altro verso sulla previsione, nella lettera f) i' dell'art. 8, della tassa fissa per gli atti giudiziali di omologazione, fra i quali la sentenza predetta sarebbe da ricomprendere. r; A parte il rilievo che l'omessa esplicita menzione dell'istituto in esame nella nuova tariffa ben pu spiegarsi con la maggior sintesi e semplificazione che la caratterizzano in obbedienza ad un criterio diret I tivo dettato dall'art. 7, secondo comma, della legge delega 9 ottobre 1971 n. 825, certo comunque che l'impostazione della decisione impugnata -in quanto nega la tassabilit proporzionale della sentenza conclusiva della procedura concordataria e la ammette invece per atti meramente I convenzionali di contenuto analogo -presupporrebbe preliminarmente, per essere almeno in astratto plausibile, due condizioni: da un lato che fosse da considerare abbandonato, nella nuova legge di registro, il principio per cui il contenuto dell'atto, indipendentemente dalla natura stragiudiziale o giudiziale, a determinare l'imponibilit; dall'altro che potesse ravvisarsi una ragfone per cui il concordato giudiziale non sarebbe espressione di capacit contributiva mentre lo sono invece i c.d. concordati stragiudiziali, La non configurabilit di siffatte condizioni peraltro evidente. Va infatti rilevato, sotto il primo aspetto, che la elencazione degli atti giudiziali, operata dall'art. 8, non nasconde (come ha dimostrato la ricorrente attraverso raffronti analitici) il retrostante principio della uguaglianza di trattamento tributario fra atti giudiziali e negoziali di contenuto corrispondente; e, sotto il secondo aspetto, che non pu ritenersi (anche alla luce dell'art. 19 della vigente legge di registro, per il quale le imposte sono applicate secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti) che gli strumenti concordatari escogitati dall'autonomia privata, evidentemente pi approssimativi e pi deboli nei loro effetti giuridici, possiedano una idoneit ad esprimere capacit contributiva che sarebbe invece negata al concordato giudiziale. Le accennate ipotesi, che dovrebbero fungere da condizioni di base dell'impostazione della decisione impugnata, sono in effetti tanto lontane dal vero che, se realmente il concordato (come concordato-provvedimento) fosse da considerare estraneo all'elencazione dell'art. 8 della tariffa o confinato nella categoria degli atti giudiziali di omologazione, con imposizione a tassa fissa, ci non potrebbe significare (se non a prezzo di sospetta incostituzionalit in relazione agli artt. 3 e 53 Cast.) sottrazione dell'stituto concordatario all'imposizione proporzionale, ma implicherebbe la necessit di ricostruire la fattispecie tributaria in termini di enunciazione del concordato-negozio da parte della sentenza di omologazione, con tassabilit proporzionale sotto questo profilo (art. 9 della tariffa in relazione agli artt. 21 e 35 del d.P.R. 634/1972). Ma questa tesi (che pure condurrebbe allo stesso risultato pratico ed PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA sostenuta in subordine dalla ricorrente) sarebbe regressiva, perch riporterebbe il baricento del fenomeno nel momento negoziale, in contrasto con l'evoluzione di pensiero che tende sempre pi a porre l'accento sul profilo pubblicistico del concordato e con la stessa giurisprudenza di questa Corte (gi maturata, come si visto, con riferimento alla precedente legge di registro) secondo cui la sentenza di omologazione ex se, per ci che essa crea come suo proprio effetto, a costituire oggetto diretto del'imposizione tributaria. La tesi subordinata della Finanza non ha per ragion d'essere, perch, a ben vedere, senz'altro possibile ricondurre il concordato-provvedimento entro la previsione dell'art. 8 della tariffa, indipendentemente dalla lettera f) relativa agli atti giudiziali di omologazione. Sembra invero alla Corte che la previsione della lettera e) di tale articolo ben si presti a recepire l'atto giudiziale conclusivo della procedura di concordato. Ci non sarebbe agevolmente sostenibile con riguardo alla seconda parte della lettera e), in cui sono evocati gli atti portanti condanna al pagamento di somme, valori' o altre prestazioni, perch il provvedimento in esame, pur contenendo il regolamento obbligatorio del passivo e vincolando al pagamento, non assume tecnicamente il carattere. di sentenza di condanna. Ma al detto inquadramento sembra senza sforzo prestarsi la prima parte della stessa lettera e), concernente gli atti (giudiziali) aventi per oggetto beni e diritti diversi da quelli indicati alle lettere a) e b) , relative -queste ultime -ai trasferimenti o costituzioni di diritti reali su beni immobili e agli atti aventi ad oggetto autoveicoli. Premesso che la formula test riportata della lettera e) ellittica e va integrata, come stato precisato in dottrina, nel senso di atti giudiziali aventi per oggetto il trasferimento di beni o diritti diversi o (ed questo il punto che interessa) la costituzione di diritti diversi da quelli indicati nelle lettere precedenti, appare tutt'altro che incongruo riportare a tale previsione pronunciata in negativo quanto alla natura e al contenuto dei diritti_ e, quindi, assai ampia ed elastica, la costituzione, che effetto tipico del concordato, di un peculiare diritto al pagamento, nella struttura sostanziale non diverso dal diritto originariamente spettante al creditore, ma tuttavia costitutivamente contrassegnato, in senso negativo, dalla riduzione che esso autoritativamente subisce in termini di quantit (falcidia concordataria) e, in senso posi tivo, dal fatto che il suo soddisfacimento si svolge sotto la sorveglianza degli organi della procedura (artt. 136 e 185 legge fall.) e con il corredo di una sanzione (la risoluzione del concordato: artt. 137 e 186 stessa legge) che, per la sua officialit, si rivela posta a presidio non tanto degli originari diritti sostanziali di credito quanto piuttosto di una situazione soggettiva attiva di massa, creata dal procedimento concorda 198 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO tario e dalla sentenza che, chiudendolo, determina la obbligatoriet dei suoi effetti. Siccome costituita di tale insieme di situazioni giuridiche (la cui definizione dogmatica potrebbe essere non semplice, ma alle quali in senso ampio pu darsi, nei loro profili attivi, il nome di <~diritti, per lo meno nel linguaggio, solitamente non raffinato, del legislatore tributario), la sentenza omologativa del concordato appare dunque pienamente inquadrabile nella previsione tariffaria sopra considerata ed soggetta, quindi, alla relativa imposta proporzionale. appena il caso di aggiungere che a ci non di ostacolo la disposizione della lettera f) dell'art. 8, concernente gli atti giudiziali di omologazione . La tesi secondo cui quest'ultima espressione attrarrebbe necessariamente nell'orbita della lettera f) la sentenza di omologazione del concordato si basa su una suggestione meramente letterale, cio su una semplice coincidenza nominalistica fra il tipo di atti ivi considerati e la denominazione (derivante dalla tradizione) della sentenza di cui si tratta: coincidenza, ovviamente, non decisiva, una volta dimostrato che tale sentenza, lungi dal risolversi in un controllo ab externo su un atto di autonomia, come accade per le vere e proprie omologazioni, rappresenta invece la conclusione di un procedimento giurisdizionale e realizza effetti che trascendono il momento (peraltro anch'esso inserito nel procedimento complessivo) della manifestazione di volont dei creditori attraverso il voto. Semmai da precisare che la tesi qui accolta non implica -come sembra ritenere l'Amministrazione ricorrente -che la lettera f) si riferisca soltanto alle omologazioni di atti a contenuto non patrimoniale, ben potendo esistere anche atti a contenuto patrimoniale (per esempio la costituzione di una societ di capitali) per i quali prevista una vera e proporia omologazione giudiziale, che come tale sconta l'imposta fissa di cui alla lettera f), in concomitanza, ove del caso, con l'imposta proporzionale dovuta sull'atto omologato, laddove, invece, nell'ipotesi della sentenza omologativa del concordato, questa stessa, per tutte le ragioni dette, l'oggetto immediato ed esclusivo dell'imposizione proporzionale. Le riflessioni fin qui svolte (cui si conviene, in chiusura, l'avvertenza che ad esse rimasta estranea la considerazione del concordato preventivo con cessione dei beni, come anche la questione, adombrata a scopo argomentativo dalla ricorrente ma estranea al giudizio, della estensione dell'imponibile anche ai crediti privilegiati) non sono, infine, neppure infirmate dal rilievo difensivo del resistente, secondo cui, in presenza dello stato di insolvenza, sarebbe per definizione da escludere una capacit contributiva. infatti ben noto che manifestazioni di questa possono aversi anche nel quadro di procedure concorsuali. (omissis)'. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 199 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 17 febbraio 1986, n. 937 -Pres. Granata -Est. Maltese -P. M. Valente (diff.). Ministero delle Finanze (avv. Stato Di Pace) c. Soc. Aerfer. Tributi in genere -Contenzioso tributario -Ricorso in grado di impugnazione Motivi specifici -Necessit -Motivazione per relationem Inammissibilit. (D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, artt. 22, 25 e 26). Per l'ammissibilit dell'impugnazione di una decisione di commissione tributaria necessario che l'atto di impugnazione contenga motivi di censura specifici; non soddisfa tale esigenza una motivazione per relationem (1). (omissis) Con il ricorso incidentale la soc. Aerfer sostiene che erroneamente e in violazione degli artt. 22 e 25 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 in rel. agli artt. 342 e 366 c.p.c., la Commissione centrale avrebbe ritenuto ammissibile l'appello per relationem della Finanza; inoltre secondo la soc. ricorrente, la Commissione avrebbe omesso di dichiarare inammissibile il ricorso, sebbene questo mancasse, come l'atto d'appello, dell'esposizione dei fatti e di una specifica indicazione dei motivi. Il ricorso incidentale fondato e deve essere accolto. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, ai fini dell'ammissibilit della impugnazione avverso la decisione di una commissione tributaria . necessario che l'atto di impugnazione contenga motivi di censura specifici (Sez. I, 14 maggio 1981, n. 3175). Nel caso in argomento, la Commissione centrale ha omesso di dichiarare inammissibile il ricorso, che mancava -come l'atto di appello, gi dichiarato inammissibile dalla Commissione di secondo grado della specifia enunciazione dei motivi, indicati per relationem. (omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un. 3 marzo 1986 n. 1322 -Pres. Granata Est. -Cantillo -P. M. Pandolfelli (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Palatiello) c. Oreggia. Tributi in genere -Contenzioso tributario -Oggetto del processo Accer tamento Difetto di motivazione Dichiarazione di nullit. (D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, az:tt. 16 e 21, come modificato con d.P.R. 21 novembre 1981, n. 739). (1) Giurisprudenza che si va a consolidare: Cass. 15 luglio 1983 n. 4868 in questa Rassegna, 1983, I, 948; 12 giugno 1984, n. 3541, ivi, 1984, I, 801. 200 RASSBGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Tributi erariali diretti Accertamento Motivazione Requisiti Spet tanza di agevolazioni Motivazione per relationem Legittimit. Anche se il processo tributario innanzi alle commissioni era. di accertamento del rapporto e non di annullamento dell'atto (ma ci deve essere verificato a seguito delle incisive modificazioni introdotte con il d.P.R. 21 novembre 1981 n. 739) il giudice deve emanare una pronunzia di solo annullamento quando l'atto di accertamento infi ciato da vizi che incidono sulla sostanza, come l'incompetenza assoluta e la mancanza di motivazione, non essendo in tal caso consentita una indagine di merito (1). L'obbligo di motivazione dell'accertamento normalmente necessario per gli atti che costituiscono espressione di una funzione di prelievo articolata e complessa, si attenua per gli altri atti di identificazione di una determinata disciplina legale, come nell'atto di diniego della agevolazione per le case di abitazione in contrasto con la concessione edilizia nel qual caso legittima la motivazione per relationem alla comunicazione del comune che contenga l'indicazione delle violazioni urbanistiche (2). (omissis) La domanda di Mario Oreggia e Maria Bertoldi diretta ad ottenere l'esenzione venticinquennale dall'I.L.O.R. sul reddito di un loro fabbricato in Loano, con provvedimento del 22 settembre '76 veniva respinta dall'Ufficio distrettuale di Albenga per il motivo che l'immobile era stato costruito in violazione delle norme edilizie di cui all'art. 15 della legge 6 agosto 1967, n. 765, essendo difforme dalla licenza edilizia. I contribuenti proponevano ricorso con il quale sostenevano che la motivazione dell'atto era insufficiente, in quanto non evidenziava il tipo e l'entit dell'asserita violazione, e, in subordine, che il diniego del beneficio doveva essere limitato alle parti dell'edificio eventualmente realizzate in contrasto con la licenza. (1-2) Identiche sono le sentenze in pari data dal n. 1323 al n. 1336, in data 5 marzo 1986, dal n. 1420 al n. 1436, in data 2 aprile 1986, dal n. 2246 al n. 2250 e in data 3 aprile 1986 dal n. 2285 al n. 2291. Una riconferma quasi testuale della sentenza 23 marzo 1985 n. 2085, in questa Rassegna 1985, I, 659 con nota di C. BAFILE, Nuovi orizzonti per il processo tributario? Restano valide le osservazioni contenute in quella nota. Le sentenze sono peraltro meno dirompenti di quanto pu apparire ad un primo esame. Il processo tributario s definito di impugnazione di atti ma non di annullamento di atti; la dichiarazione di nullit dell'accertamento non tanto un annullamento formale, ma una affermazione sostanziale di inesistenza dell'ob bligazione. Non sono quindi messi in discussione i presupposti essenziali sulla natura legale dell'obbligazione e l'effetto dichiarativo dell'accertamento, non stante siano presenti alcune affermazioni, peraltro non pertinenti al decisum, che possono ingenerare malintesi. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA La Commissione tributaria di primo grado di Savona annullava il provvedimento, ritenendo sussistere il vizio di motivazione. La pronunzia ven~va confermata dalla Commissione di secondo grado e, con la decisione ora denunziata del 19 maggio 1983, dalla Commissione tributaria centrale. Premesso che l'art. 15 della legge n. 765 del 1967 individua in modo specifico le violazioni che, per i fabbricati non conformi alla licenza edilizia, comportano la perdita delle agevolazioni fiscali, la Commissione centrale ha osservato che il procedimento di accertamento dell'illecito da parte del Comune del tutto distinto da quello che, sulla base di una mera segnalazione del Comune, deve essere promosso dall'Intendenza di Finanza, la quale, mentre non pu sindacare la regolarit del primo procedimento, deve tuttavia verificare in concreto, eventualmente con l'acquisizione di prove documentali, l'esistenza di una delle violazioni previste dalla norma suddetta, conseguentemente precisando nel provvedimento la natura e l'entit dell'illecito cui correlato, in modo da porre il contribuente nella condizione di potersi difendere. Nella specie, invece, l'atto non contiene alcuna informazione al riguardo, essendo motivato con la mera enunciazione di una non precisata viqlazione delle norme edilizie, di cui all'art. 15 cit. . Anche ad escludere, poi, il difetto assoluto di motivazione, certamente l'Ufficio avrebbe dovuto, in corso di causa, fornire la prova in ordine al tipo e all'entit delle violazioni contestate dal Comune, in modo da permettere il controllo sulla legittimit del provvedimento sanzionatorio fiscale. Ma questo onere probatorio non era stato adempiuto dall'Amministrazione n nelle fasi di merito n in quella sede, sicch -ha concluso la Commissione -la pronunzia impugnata deve essere tenuta ferma anche per questa diversa ragione, conseguenzialmente integrando e correggendo la motivazione nel senso che l'annullamento del provvedimento di diniego scaturisce sia da vizio proprio dell'atto e sia dalla mancanza di successiva allegazione probatoria da parte dell'Ufficio, il quale, quindi, deve adottare una nuova determinazione in ordine alla spettanza, o meno, delle agevolazioni in oggetto. Avverso la decisione l'amministrazione ha proposto ricorso in base a due motivi. Le controparti non hanno presentato difese. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. -Con il primo motivo di ricorso l'Amministrazione, denunziando la violazione dei princip che definiscono l'ambito della giurisdizione tributaria, sostiene che la Commissione centrale, una volta ritenuto 202 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO -per altro erroneamente (per le ragioni di cui al secondo mezzo) l'assoluto difetto di motivazione del provvedimento di diniego del beneficio fiscale, non poteva limitarsi a rilevarne la nullit, ma, trattandosi di un giudizio di accertamento di rapporti e non di mero annullamento, avrebbe dovuto prendere direttamente in esame il rapporto d'imposta e statuire sulla spettanza, o meno, dell'esenzione. La censura infondata. 2. -Anzitutto, essa non involge un problema di giurisdizione, come si dedotto, invece, con il ricorso (perci rimesso alle Sezioni Unite). Si configura una questione di giurisdizione, secondo la nozione che si ricava dall'art. 41 cod. proc. civ., quando si discute se il potere giurisdizionale sulla controversia spetti al giudice ordinario o ad un giudice speciale, ad uno o ad altro giudice speciale ovvero non appartenga ad alcun giudice, per essere la domanda assolutamente improponibile. Nel caso in esame, invece, non si contesta che la controversia rientra nella giurisdizione del giudice tributario e neppure che a questo compete il potere di revocare o modificare gli atti dell'amministrazione impugnati bensl si discute dell'oggetto del processo e della tipologia delle decisioni che possono essere rese da detto giudice, il quale, a parere della ricorrente, non potrebbe limitarsi a dichiarare l'invalidit dell'atto impugnato, ma dovrebbe in ogni caso, a prescindere dagli eventuali vizi del medesimo, statuire sul merito del rapporto (sicch nella specie, a ben guardare, pi che un eccesso, si denunzia un difetto di esercizio del potere giurisdizionale). 'L quale problematica riguarda, manifestamente, le caratteristiche proprie della giurisdizione, non i suoi limiti esterni. 3. -La tesi della ricorrente muove dall'orientamento, largamente prevalente in giurisprudenza e in dottrina prima della riforma del contenzioso, che ravvisa l'oggetto del processo tributario nel diretto accertamento, con funzione dichiarativa, dell'esistenza e dell'ammontare dell'obbligazione ex lege, a prescindere dagli atti attraverso i quali si esercita l'azione amministrativa di prelievo e si svolge il rapporto d'imposta nelle varie fasi: in questa ottica, infatti, diventa irrilevante, in sede giudiziale, il vizio di motivazione dell'atto impositivo, posto che l'omissione o l'illogicit della stessa non pu mai condurre al rigetto di una pretesa dell;amministrazione che sia sostanzialmente fondata. Ma l'indirizzo -che pur dopo la legge di riforma (d.P.R. n. 636 del 1972) ha trovato eco in qualche pronunzia di questa Corte (anche a sezioni unite: da ultimo, sent. n. 1471 del 1980; ma v., in diverso senso, ord. n. 577 del 1975 e sent. n. 4507 del 1978) -non pu essere condiviso nel sistema del nuovo contenzioso, in cui il processo strutturato come impugnativa di specifici provvedimenti dell'amministrazione e il giudizio concerne la legittimit formale e sostanziale degli stessi, sich, da un ........................................'......'.'.,'..'N........-... ""'" ...,, ... , ,.,...,,,., ....... ,. ., . PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA lato, vengono in rilievo i vizi relativi alla regolarit formale degli atti o del procedimento o, pi in generale, inerenti all'osservanza di norme di azione, e, dall'altro il riesame del merito del rapporto d'imposta -dunque l'accertamento dell'obbligazione tributaria -avviene in funzione dell'atto impugnato, in quanto il giudice deve direttamente accertare, nei limiti della contestazione, i presupposti materiali e giuridici della pretesa dell'amministrazione assunti a fondamento del provvedimento medesimo. Questi' lineamenti del processo -che pongono in primo piano, anche ai fini della tutela giurisdizionale, l'esercizio del potere impositivo, il quale si estrinseca appunto in una serie normativamente predeterminata di atti, ciascuno produttivo di effetti e in rapporto di autonomia nella complessa dinamica del prelievo -risultano ancora pi evidenti alla stregua delle incisive modificazioni introdotte con il d.P.R. 21 novembre 1981, n. 739. l! stata, fra l'altro, sancita fa tassatiV'it dell'elenco degli atti contro cui ammesso il ricorso, venendo cos il rapporto rigidamente scandito nelle fasi del complessivo procedimento di prelievo segnate da detti atti, per modo che l'accertamento del rapporto medesimo circoscritto alla fase corrispondente alla sequenza procedimentale che mette capo al provvedimento impugnato, rimanendo preclusa qualsiasi contestazione riflettente la fase precedente, conclusa ton un atto compreso fra quelli impugnabili, ma non impugnato o altrimenti diventato definitivo; ed stato altres espressamente recepito il principio che i vizi formali -tra i quali il difetto di motivazione possono condurre all'annullamento dell'atto (art. 21, nel nuovo testo), sicch ogni dubbio al riguardo deve ritenersi superato. D'altra parte, come questa Corte ha gi avuto modo di avvertire (con la sentenza della prima Sezione n. 2085 del 1985, resa in una controversia in tutto uguale), anche prescindendo dal nuovo dato normativo occorre ammettere che la pronunzia del giudice deve necessariamente arrestarsi all'annullamento dell'atto impugnato se i vizi formali che loinficiano incidono sulla sostanza del rapporto, precludendo l'indagine sul merito dell'obbligazione tributaria, come nei casi di incompetenza assoluta dell'organo o di mancanza di motivazione. In particolare, con riferimento a quest'ultima ipotesi, che qui interessa, la tutela giurisdizionale non pu che consistere nell'invalidazione del provvedimento quando la carenza di motivazione sia tale da non consentire l'identificazione degli elementi materiali e giuridici cui correlata la pretesa tributaria e, di conseguenza, il contrllo degli stessi da parte del contribuente e il loro accertamento ad opera del giudice tributario; il quale ai fini del riesame di merito dispone di un ampio potere di indagine istruttoria (che non ha riscontro nel giudizio di accertamento di rapporti innanzi al giudice ordinario), ma non pu, RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 204 ovviamente, sostituirsi all'amministrazione nella ricerca dei presupposti del rapporto d'imposta. Appunto in questi sensi la fattispecie disciplinata dall'art. 21 cit. (nel nuovo testo), il quale, mentre dispone in via generale che il giudice, nel caso rilevi un vizio di incompetenza o che comunque non attiene all'esistenza o all'ammontare del credito tributario, deve sospendere il giudizio ed assegnare un termine all'amministrazione per rinnovare l'atto viziato, esclude che possa provvedersi a rinnovazione ... quando il vizio consista nel difetto di motivazione; la quale disposizione comporta che l'esistenza del vizio d luogo necessariamente all'annullamento dell'atto, senza alcuna possibilit di un accertamento giurisdizionale di merito (ci che conferma la natura non sostitutiva del giudizio speciale tributario). Pertanto, sul piano della tipologia delle decisioni, va conclusivamente affermato che il giudice tributario ha il potere di emettere pronunzie limitate all'invalidazione dell'atto impositivo carente di motivazione, potere che aveva gi prima della novella del 1981; e ci sufficiente a respingere la censura in esame, risultando la questione circoscritta all'oggetto del secondo mezzo, che impone di controllare la decisione .di annullamento sotto il profilo della logicit e correttezza delle ragioni in base alle quali il provvedimento stato ritenuto non congruamente motivato. Giova avvertire, poi, che nella presente controversia, insorta in epoca precedente all'entrata in vigore del cit. d.P.R. n. 739 del 1981, non viene in rilievo il delicato problema -che avrebbe carattere pregiudiziale circa l'ammissibilit dell'impugnazione dei provvedimenti (come quello in esame) relativi alla spettanza di agevolazioni fiscali, in quanto non compresi nell'elenco degli atti contro i quali, ai sensi dell'art. 16 del d.P.R. n. 636 del 1972, possibile proporre ricorso. Invero, l'elenco medesimo, modificato con l'aggiunta di altri provvedimenti tipici, stato reso tassativo, come si detto, soltanto con la novella (il nuovo testo dell'art. 16 espressamente stabilisce che non possono essere autonomamente impugnati gli atti diversi da quelli ivi indicati), mentre in passato, in assenza di un analogo disposto, l'indicazione degli atti doveva ritenersi esemplificativa; la possibilit di ricorrere direttamente contro i provvedimenti in materia di agevolazioni veniva, quindi, generalmente riconosciuta (e nella specie non stata contestata dall'amministrazione). 4. -Con il secondo motivo, denunziando la violazione dell'art. 15 della legge n. 765 del 1967 e vizi della motivazione, la ricorrente sostiene che erroneamente la decisione impugnata ha ritenuto sussistere il vizio suddetto, laddove il provvedimento di diniego delle agevolazioni in questione, meramente conseguenziale alla segnalazione del Comune ri PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA guardante una delle violazioni edilizie cui la norma ricollega la sanzione fiscale, deve ritenersi sufficientemente motivato attraverso il riferimento alla segnalazione medesima ed alla disposizione di legge. La censura fondata. Altre volte questa Corte ha avvertito che l'obbligo di ,motivare gli atti tributari si atteggia diversamente a seconda della natura e funzione che essi hanno in base alle norme loro proprie, giacch, accanto ad atti che costituiscono espressione di una funzione di prelievo articolata e complessa, e assumono, quindi, una veste formale e un contenuto precisamente regolato dalla legge (ad es., l'avviso di accertamento, nelle imposte dirette come in quelle indirette), ve ne sono altri in cui la funzione viene esercitata in forme estremamente semplici e contratte, risolvendosi talvolta nella mera imposizione di una determinata disci plina. in relazione al contenuto tipico e all'oggetto del singolo atto, quindi, che deve essere verificata in concreto l'osservanza dell'obbligo, nel senso che questo deve ritenersi adempiuto allorch la motivazione, ancorch sommaria e semplificata, sia tale da esternare le ragioni del provvedimento, evidenziandone i momenti ricognitivi e logico-deduttivi, e consentendo di conseguenza al destinatario di svolgere efficacemente la propria difesa attraverso la tempestiva e motivata impugnazione giurisdizionale dell'atto medesimo. Ora, per le opere realizzate in contrasto con la concessione edilizia, l'art. 15 della legge 6 agosto 1967, n. 765, prevede -quale ulteriore sanzione dell'illecito edilizio -l'esclusione de iure delle vigenti agevola zioni fiscali nel caso che le difformit riguardino violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta, le quali eccedano, per ogni singola unit immobiliare, il due per cento delle misure prescritte; e all'uopo il Comune obbligato a segnalare entro un certo termine sif fatte violazioni all'Amministrazione finanziaria, la quale, non essendo normativamente previsti specifici atti al riguardo, applica la sanzione attraverso un provvedimento o di diniego del beneficio non ancora concesso o di revoca (o decadenza) di quello gi concesso. Si tratta, quindi, di un atto rigidamente vincolato, rispetto al quale l'Amministrazione non ha alcun margine di apprezzamento discrezionale, in quanto obbligata ad emetterlo in base ai risultati dell'accertamento compiuto dall'autorit locale cui spetta la vigilanza in materia edilizia; e di tale accertamento l'autore dell'illecito riceve formale notizia gi attraverso la notifica della diffida del Sindaco, che costituisce il primo atto del procedimento repressivo dell'abuso edilizio. Il provvedimento in oggetto deve ritenersi, quindi, sufficientemente motivato. attraverso l'indicazione dell'accertamento amministrativo che ha dato luogo alla comunicazione comunale e della norma di legge che prevede la perdita automatica del beneficio fiscale, giacch in tal modo risultano enunciati in modo intellegibile al destinatario i presup 206 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA Dm.LO STATO posti di fatto e di diritto dell'atto, cio sia l'esistenza della violazione e sia l'appartenenza della stessa al novero di quelle che, ai sensi dell'art. 15 cit., comportano la sanzione fiscale; n ha rilievo che si tratta di una motivazione per relationem, la quale sicuramente ammissibile sempre che l'atto al quale si fa rinvio sia idoneo a mettere il contribuente nella condizione di conoscere esattamente le ragioni che sorreggono il provvedimento (in relazione ad una fattispecie uguale a quella in esame stato appunto affermato che sussiste difetto di motivazione quando neppure dalle ordinanze comunali risulti contestata specificamente una delle violazioni d cui all'art. 15 cit., v. sent. n. 6470 del 1983). Nel caso in esame, il provvedimento di diniego dell'esenzione venticinquennale conteneva, come risulta dalla decisione impugnata, entrambe le indicazioni suddette; e risulta del tutto immotivata l'affermazione che il riferimento alla violazione contestata dal Comune non fosse idonea ad individuare le ragioni della samione, laddove il contribuente si era difeso anche nel merito, contestando l'entit della violazione e sostenendo, fra l'altro, che il riferimento della norma alla singola unit immobiliare , introduceva un limite alla fattispecie sanzionatoria, che la rendeva in concreto inapplicabile. Pertanto la decisione impugnat~ deve essere cassata con rinvio alla stessa Commissione Tributaria Centrale, la quale proceder a nuovo esame della controversia alla stregua dei principi di diritto e dei rilievi sopra svolti, tenendo altres presente che l'accertamento della spettanza del diritto alle agevolazioni fiscali d luogo ad una questione di fatto non inerente a valutazione estimativa e perci rientra nella cognizione della Commissione medesima. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 7 marzo 1986, n. 1506 -Pres. La Torre Est. Maltese -P. M. Martinelli (conf.). -Cantoni c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Cosentino). Tributi in genere -Accertamento -Notificazione -Irregolare consegna del1'atto Nullit -Proposizione de1 ricorso -Sanatoria. (D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60). La nullit della notificazio,ne per essere stata effettuata la consegna in luogo diverso da quello prescritto ma pur avente attinenza con il destinatario sanata ex tunc dalla proposizione del ricorso (1). (1) La decisione importante perch estende il princ1p10 costantemente affermato nell'ambito del processo (irregolare notifica dell'atto introduttivo sanata dalla costituzione dell'intimato) alla notifica dell'accertamento sanata dalla proposizione del ricorso. Nello stesso senso Cass. 24 maggio 1984 n. 3191, in questa Rassegna, 1984, I, 780. PARIB I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (omissis) Col primo mezzo il ricorrente denuncia la violazione dell'art. 35, lett. F, d.P.R. n. 645 del 29 gennaio 1958 e 60, lett. E, decr. n. 600 del 1973; 139, 140, 148 del codice di procedura civile. Sostiene che, non essendo stata eseguita la notificazione dell'avviso di accertamento secondo il rito prescritto dalle citate disposizioni, si dovrebbe parlare non di nullit sanabile e sanata bens di radicale inesistenza dell'atto impositivo. Il motivo infondato. Secondo il disposto dell'art. 60, decr. n. 600 del 1973 la notificazione degli avvisi e degli altri atti che per legge devono essere notificati al contribuente eseguita secondo le norme stabilite dagli artt. 137 ss. c.p.c. con le seguenti modifiche: (.....) e) quando nel comune nel quale deve eseguirsi la notificazione non vi abitazione, ufficio o azienda del contribuente, l'avviso del deposito prescritto dall'art. 140 del codice di procedura civile si affigge nell'albo del Comune e la notificazione, ai fini della decorrenza del termine per ricorrere, si ha per eseguita nell'ottavo giorno successivo a quello dell'affissione . La giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che la nullit della notificazione dell'atto introduttivo di un procedimento, per essere stata effettuata in luogo diverso da quello prescritto, ma pur sempre avente attinenza con il destinatario, ha carattere relativo e, come tale, rimane sanata ex tunc per effetto della costituzione della parte cui era diretta, ai sensi dell'art. 156, comma 3 c.p.c. (Cass., 4 agosto 1977, n. 3481). E ancora: Ai sensi dell'art. 156, terzo comma cod. proc. civ., il quale trova applicazione anche nei procedimenti dinanzi alle commissioni tributarie, l'invalidit della notificazione dell'atto introduttivo (nella specie, ricorso dell'ufficio alla Commissione tributaria centrale), per inosservanza delle disposizioni relative alla persona e al luogo dove deve essere consegnata la copia dell'atto stesso, integra, ove tale consegna sia comunque avvenuta a persona e in luogo aventi qualche riferimento con il destinatario una nullit sanabile ex tunc per effetto della costituzione del destina- tario medesimo (Cass. 26 settembre 1978, n. 4318). Nel caso in esame -come esattamente rileva l'Avvocatura dello Stato -la notificazione dell'avviso al contribuente av'venuta alla madre di lui, nella casa di residenza della stessa e di ultima residenza in Italia del Cantoni. Trattasi, quindi, di notificazione effettuata a persona e. in luogo aventi qualche riferimento con il destinatario dell'atto. Ne consegue che si deve parlare non di atto impositivo inesistente ma di una notificazione nulla, sanata dal tempestivo ricorso. (dep. il 14 febbraio 1978) che il contribuente ha proposto contro l'avviso di accertamento. (omissis) SEZIONE SETTIMA GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 20 novembre 1985, n. 5712 -Pres. Scanzano -Rel. Caturani -P. M. Minetti (concl. conf.). -Fini (avv. Del Frate) c. A.N.A.S. (avv. Stato Onufrio). Arbitrato -Impugnazione per nullit -Inosservanza di regole di diritto Equivale a violazione. e falsa applicazione di norme di diritto. (Cod. proc. civ., artt. 360, n. 3, e 829). Obbligazioni (in generale) -Contratti della p.a. -Invalidit -Illegittimit d'uno deg'li atti della serie procedimenta1e Insufficienza Detenninazione d'una causa di invalidit prevista dal codice civile -Necessit. Atto amministrativo Atto collegiale Partecipazione di componente in confitto di interessi -Illegittimit. (Cod. proc. civ., art. 51; cod. civ., art. 2373). Obbligazioni (in generale) -Contratti della p.a. -Illegittimit di atto deUa serie procedimentale Effetti -Difetto di presupposti -Annullabilit del contratto a richiesta della p.a. (Cod. civ., artt. 322, 377, 396, 424, 1425, 1427 ss., 1414). Il vizio di nullit del lodo arbitrale sotto il profilo dell'inosservanza da parte d,egli arbitri delle regole di diritto ha la stessa estensione del vizio di violazione o falsa applicazione di norme di diritto di cui all'art. 360 n. 3 c.p.c. (1). Quando si controverte della validit di un contratto, anche se parte ne sia l'autorit amministrativa, le cause di invalidit vanno individuate in base al codice civile. Ne deriva che, in presenza della illegittimit di un atto della serie procedimentale che precede il contratto, l'invalidit di questo non pu essere affermata come conseguenza della disapplicazione dell'atto amministrativo, ma solo in quanto l'illegittimit dell'atto amministrativo dia luogo ad una situazione riconducibile allo schema d'una delle cause di invalidit prevedute dal codice civile (2). (1) Nello stesso senso, Cass. 19 gennaio 1979 n. 394, in questa Rassegna 1979, I, 573. (24) La giurisprudenza amministrativa ritiene che il componente di organo collegiale versi in situazione di incompatibilit, quando la determinazione da adottare interessi soggetti legati con lui da vincoli di parentela entro il quarto grado. L'incompatibilit affermata talora in base alle norme in tema di astensione dettate per gli organi giurisdizionali, talaltra in base a norme contenute ! ! I I . Ii PARm I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICJ 209 La deliberazione di un organo amministrativo, cui abbia partecipato un componente che avrebbe dovuto astenersi, illegittima perch la situazione di incompatibilit in cui versa il componente determina la carenza di legittimazione all'esercizio della funzione e d luogo ad irregolare costituzione dell'organo (3). L'illegittimit di un atto della serie procedimentale, che precede il contratto stipulato dalla p.a. (nella specie, di un parere espresso dal consiglio di amministrazione dell'Anas), d luogo ad un difetto di presupposti del contratto che si traduce in difetto di legittimazione a contrarre; ne conseguenza l'annullabilit del contratto, che pu essere fatta valere dalla p.a., nel cui interesse sono poste le norme che ne disciplinano il procedimento (4). MOTIVI DELLA DECISIONE (omissis) Con il primo motivo, denunziando violazione degli artt. 827, 828 c.p.c. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., il ricorrente si duole che la Corte di appello, riesaminando il giudizio espresso dagli arbitri sulla volont negoziale delle parti in sede di stipula del contratto di conferimento dell'inci:trico per la compilazione del progetto de quo, avrebbe travalicato i limiti del processo di impugnazione del lodo per nullit, limitato a casi ben determinati. La censura non fondata. La Corte d'appello ha esaminato il dedotto VIZIO di nullit del lodo arbitrale sotto il profilo della inosservanza da parte degli arbitri delle regole di diritto (art. 829 ultimo comma c.p.c.). Ora noto che tale inosservanza va intesa nello stesso senso della violazione o falsa applicazione di norme di diritto di cui all'art. 360 n. 3 c.p.c. (cfr. la sent. n. 5190 del 1977). E non dubbio che i motivi di impugnazione fatti valere dall'ANAS innanzi alla Corte d'Appello riflettevano non gi valutazioni di mero fatto, come sostenuto dal ricorrente in questa sede, ma questioni di diritto relative alla incidenza sul contratto in leggi amministrative (ad es., art. 279 t.u. legge com. e prov. del 1934) o ad un principio generale dell'ordinamento operante pur in assenza di specifiche disposizioni: cfr. C.G.A.R.S., 28 ottobre 1966 n. 502, Cons. Stato 1966, I, 1879; Cons. St., V, 15 ottobre 1968 n. 1218, ivi, 1968, I, 1718; Cons. St., IV, 27 ottobre 1970 n. 746, ibidem, 1970, I, 1620; Cons. St., IV, 16 marzo 1971 n. 283, Cons. Stato 1971, I, 406; Cons. St., VI, 28 settembre 1977 n. 764, ivi, 1977, I, 1341 (s.m.). L'incompatibilit . ritenuta sussistere quando l'interesse al contenuto della delibera sia diretto. Per esemplificazioni su tale nozione, cfr., Cons. St., IV, 27 luglio 1967 n. 362, Cons. Stato 1967, I, 1197; Cons. St., V, 15 ottobre 1968 n. 1218, cit.; Cons. St., V, 19 dicembre 1980 n. 989, Cons. Stato 1980, I, 1692 (ad avviso del quale l'interesse diretto, quando la deliberazione concerne vicende riguardanti i soggetti nei cui confronti sussiste il predetto vincolo, e non anche i casi concernenti persone che si trovino in posizione concorrente e dialettica rispetto a colui nei cui confronti sussiste il vincolo o, comunque, un personale RASSEGNA DELL'AVVOCATURA -DELLO STATO della illegittimit del parere del consiglio di amministrazione dell'ANAS che ne precedette la stipulazione. Con il secondo, il terzo ed il quarto motivo, denunziando violazione e falsa applicazione degli artt. 1337, 1439 e 1440 e.e. nonch difetto di motivazione (art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.), si assume che: a) la Corte d'appello non poteva censurare in sede di legittimit l'affidamento che il comportamento dell'ANAS aveva ingenerato nella parte privata; b) la Corte avrebbe oscillato tra la nullit e l'annullamento del contratto e trascurato di considerare che non sussistevano i presupposti per pronunciare l'annullamento per dolo; e) la partecipazione del soggetto che avrebbe dovuto astenersi dalla delibera che espresse parere favorevole alla conclusione del contratto in tanto avrebbe potuto incidere sulla sua validit in quanto si fosse provato che senza l'intervento di quel soggetto, il consiglio di ' amministrazione dell'ANAS si sarebbe diversamente orientato. Le riassunte censure sono infondate nei termini che sono precisati dalle seguenti considerazioni. Costituisce un punto fermo del presente giudizio che il parere favorevole alla stipula del contratto in questione fu deliberato dal Consiglio di amministrazione dell'ANAS con la partecipazione di un componente, l'ing. Chiatante, che avrebbe dovuto astenersi per interesse personale al conferimento dell'incarico al ricorrente, socio di studio del proprio figlio, tanto che entrambi furono condannati per il reato di interesse privato in atti di ufficio, in un giudizio definito con sentenza che dichiarava estinto il reato per prescrizione. altresl necessario premettere alla esposizione che segue la disciplina normativa che regol la conclusione del contratto di cui si contende tra le parti. Nell specie il parere del consiglio di amministrazione dell'ANAS stato espresso ai sensi d~ll'ultimo comma dell'art. 14 della l. 7 febbraio 1961 n. 59. La norma, dopo di avere, :nei commi precedenti, previsti i casi in cui deve essere richiesto il parere in questione (tra i quali non rientra il caso in esame), statuisce che il consiglio di amministrazione... interesse); Cons. St., I, par. 23 ottobre 1981 n. 384/79, Cons. Stato 1984, I, 207; Cons. St.,.VI, 6 giugno 1984 n. 365, ivi, 1984, I, 877. La partecipazione all'adunanza, del soggetto in posizione di incompatibilit, rende irregolare la composizione dell'organo e viziato da illegittimit l'atto da esso adottato: Cons. St., Ag., par. 7 dicembre 1961 n. 413, Cons. Stato 1962, I, 1706; Cons. St., IV, 27 ottobre 1970 n. 746, cit. ed in genere la giurisprudenza prima richiamata. In dottrina, sull'argomento, cfr. VALENTINI, La collegialit nella teoria del l'organizzazione, Milano, Giuffr, 1968, pag. 283 ss. Nel senso che le irregolarit relative l procedimento di formazione di un contratto stipulato dalla P.A. diano luogo ad annullabilit e che il motivo di annullamento possa essere dedotto solo dalla stessa P. A., nel cui interesse le forme omesse sono prescritte, cfr. Cass. 7 marzo 1984 n. 1578, Giust. civ. Mars. 1984, 504; Cass. 24 maggio 1979 n. 2996, ivi, 1979, 1291; Cass. 10 aprile 1978 n. 1668, ,.i Giust. civ. 1978, I, 1248. ! I: \'. PARm I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI esprime il parere su ogni altro argomento sul quale il ministro ritenga opportuno sentirlo. La fattispecie in esame presuppone quindi che l'iniziativa circa la audizione dell'organo consultivo nell'ambito della stessa organizzazione amministrativa facente capo all'ANAS, sia stata assunta dall'organo deputato alla stipula del contratto di conferimento dell'incarico per la redazfone dei progetti che interessano il presente giudzio. Questo rilievo, tuttavia, non incide sulla rilevanza che la (dedotta) illegittimit del parere pu avere prodotto sulla validit del contratto, perch se la legge prevede che la iniziativa circa la richiesta del parere all'organo consultivo da parte dell'amministrazione attiva sia assunta da quest'ultima, ove lo ritenga opportuno ai fini della regolarit del procedimento, una volta che questo giudizio di convenienza sia stato espresso dalla suddetta amministrazione, il parere si inserisce nel procedimento amministrativo come un requisito essenziale la cui illegittimit non pu non riflettersi sugli altri atti della serie procedimentale ed in definitiva (come si vedr) stilla stessa validit del contratto. Esula inoltre dai limiti del presente giudizio la problematica introdotta dal ricorrente circa la responsabilit della p.a. per culpa in contrahendo (art. 1337 e.e.), la quale non solo non si fatta valere in sede di giudizio di impugnazione del lodo, ma incompatibile con la fattispecie in esame in cui il procedimento formativo del contratto di cui si discute la validit, non si interrotto nella fase delle trattative, ma pervenuto alla fase della stipulazione. Ci premesso, le questioni che nell'ordine logico il Collegio deve affrontare, nei limiti delle censure proposte, sono le seguenti: a) se ed in che modo la violazione dell'obbligo di astensione di uno dei componenti dell'organo consultivo incida sulla legittimit del parere; b) ove si ritenga che il parere sia illegittimo per la ragione sub a), come operi tale vizio, verificatosi nell'ambito del procedimento la stipula del contratto, nella validit di quest'ultimo. Impostato in questi termini il tlzema decidendum, il problema sub a) presuppone che sia risolto positivamente il quesito pregiudiziale consistente nel decidere, posta la (indiscussa) giurisdizione del giudice ordinario nel presente giudizio in cui si tratta di giudicare della validit di un contratto della p.a., da cui non possono non derivare per le parti contraenti che, diritti soggettivi -quale sia il fondamento giuridico dei poteri di cognizione dell'A.G.O. nella soggetta materia. La Corte d'appello, seguendo su questo punto le orme del lodo arbi trale, ha ragionato in termini di disapplicazione dell'atto amministrativo illegittimo (art. 5 della legge abolitiva del contenzioso amministrativo), sia pur pervenendo ad un risultato diametralmente opposto a quello espresso dal Collegio arbitrale. Infatti, come pacifico in causa, mentre il lodo ha ritenuto di non poter esaminare la legittimit del parere, non I 212 RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO suro I ravvisando nella fattispecie gli estremi per la disapplicazione dell'atto I amministrativo, la Corte di Appello ha invece ritenuto che ne sussistes~~ !i sero i presupposti ed ha perci proceduto all'esame circa la illegittimit fi del parere e la sua incidenza sul contratto. ~: Ritiene il Collegio che, pur essendo esatta la tesi che esclude in materia l'istituto della disapplicazione dell'atto amministrativo, in quanto non in questione un diritto che si pretende leso da un atto amministrativo, ma il diritto di credito azionato dal ricorrente trova la sua II fonte in un contratto, mentre le eccezioni dell'ANAS tendono ad ottenere una pronuncia di invalidit del suddetto contratto, non vera la conseguenza che in tal modo dovrebbe escludersi la incidenza della (eventuale) illegittimit del parere sul contratto. I ~ Non dubbio che quando si discorre della validit o meno di un I ~ contratto anche se parte ne sia l'autorit amministrativa, le cause di invalidit sono di diritto privato e devono pertanto trarsi dal codice civile. ~ I ,,. Non dubbio altres che il vizio, per incidere sul contratto, deve essere proprio di esso onde non sarebbe ammissibile in materia la applicazione del principio tipico del procedimento amministrativo, secondo il % quale la illegittimit di uno degli atti dell'iter procedimentale determina !: ji di per s la invalidit derivata dall'atto conclusivo della serie. Il prini~ i: cipio che riguarda la validit dei provvedimenti amministrativi non pu essere esteso fino a comprendere il rapporto logico-giuridico che pur sussiste tra gli atti che precedono per legge la stipulazione del contratto dell'autorit amministrativa e quest'ultimo. I In tal caso in questione la validit di un atto di autonomia r: privata cui hanno partecipato con pari determinazione causale -in ordine agli effetti giuridici -entrambe le parti contraenti (art. 1326 e.e.). Tuttavia se impossibile far derivare automaticamente dal vizio di un atto del procedimento la invalidit del contratto, possibile che un ! tale vizio vada inquadrato nell'ambito delle cause che incidono diretta mente sul contratto secondo i princpi privatistici, cui si presuppone che_ il contratto anche in tale ipotesi sia pur sempre soggetto, salve le I norme speciali che siano previste dalla legge. Concludendo su questo punto, pu quindi affermarsi che nella ipo I tesi in esame l'istituto della disapplicazione esula dal presente giudizio anche perch trattandosi di giudicare della validit di un contratto, il I 1 giudice ove riscontri la illegittimit di un atto della serie procedimentale f !f che ne precede la stipulazione, non pu limitarsi a rifiutarne l'applicazione, secondo la logica della disapplicazione, ma deve spingere il proprio esame per decidere nei singoli casi che influenza abbia avuto sulla conclusione dell'atto di autonomia privata la illegittimit di uno I degli atti presupposti con efficacia di giudicato. ' I I ----I l I ....... ~ ....... ... .. . ... . . .... ... . . .... ........... ᥥ.-!. ......... .'.. ..'. .. .. .. !. ᥥ. .'.. . :-... ....'!. ....- .... ..:.........................)... . .'.....)......<....................-.'. PARm I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 213 Correttamente, pertanto, la sentenza impugnata ha esaminato la legittimit del parere de quo, ed pervenuta alla conclusione della sua intrinseca illegittimit. ~ noto che ai collegi amministrativi si applicano quali norme di carattere generale, gli istituti dell'astensione e della ricusazione previsti dal codice di rito (sent. n. 127 del 1979). Se il soggetto componente dell'organo collegiale versi nelle condizioni di incompatibilit prevista dall'art. 51 c.p.c., si produce ex lege una sua carenza di legittimazione all'esercizio dei suoi compiti, la quale si riflette sull'attivit del collegio determinando la invalidit della deliberazione. Se il componente il collegio non pu svolgere il proprio ufficio in condizioni di imparzialit, deve astenersi ed ove ci non avvenga vuol dire che l'organo ha deliberato tenendo presenti interessi diversi da quelli di cui per legge devono ssere portatori i suoi componenti e l'adunanza non pu dirsi per ci regolarmente costituita (cfr. per la giurisprudenza amministrativa, cons. Stato Sez. VI, n. 761 del 1977; Id. n. 17 del 1976). Non pu quindi seguirsi la tesi del ricorrente che riecheggiando la disciplina privatistica, vorrebbe estendere alla materia in. esame la disciplina delle delibere delle societ per azioni per le quali, in caso di conflitto di interessi del socio con quelli della societ, il diritto cli voto non pu essere esercitato a pena di annullabilit della delibera, se senza il voto del socio che avrebbe dovuto astenersi dalla votazione non si sarebbe raggiunta la necessaria maggioranza e sempre che la deliberazione possa recare danno alla societ (art. 2373 e.e.). I princpi di diritto privato che rispondono a diverse esigenze e dove in gioco la tutela dell'interesse della societ e non l'interesse pubblico, non sono in parte qua estensibili al diritto amministrativo dove la violazione di legge determina in ogni caso la illegittimit dell'atto a prescindere dalla incidenza che essa abbia potuto in concreto esplicare sul suo contenuto, in quanto il pregiudizio per legge in re ipsa. Ritenuta .la illegittimit del parere del consiglio di amministrazione dell'ANAS, deve applicarsi la regola gi accolta da una costante giurisprudenza di questa Corte (cfr. le sentenze nn. 1578/84; 2996/79; 937/79; 1668/78), secondo cui in tema di vizi concernenti l'attivit negoziale degli enti pubblici -sia che si riferiscano al processo di formazione della volont dell'ente sia che si riferiscano alla fase preparatoria ad essa precedente -il negozio comunque stipulato annullabile ad iniziativa esclusiva dell'ente pubblico, tranne che non ricorra una ipotesi di straripamento di potere nel qual caso il negozio radicalmente nullo. Il principio che si trae dalla accennata giurisprudenza dunque che il contratto della P.A. posto in essere in mancanza (cui deve parificarsi la invalidit) degli atti della serie procedimentale che ne costituiscono t'. " " ." " " " :,.:-,.:.-.c-.-.-.-.-.-.rrrrrrr-.-r---,- ---...........................'".""""'""""""""""""""""""-"""""""""""""""""""""""""""""""""'"""":.".'"" 214 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO antecedenti in senso logico-giuridico annullabile e non gi colpito da nullit assoluta. La invalidit che colpisce il contratto di diritto privato e riguarda il negozio come atto di autonomia privata, il che spiega come il potere di chiederne al giudice ~'annullamento sia concesso soltanto all'autorit amministrativa, nel cui interesse sono poste le norme giuridiche che ne disciplinano il relativo procedimento (art. 1441 e.e.). L'interesse pubblico -d'altra parte -essendo negli atti di diritto privato della P.A. estraneo alla loro causa negozial, risulta privo di qualsiasi rilevanza come criterio determinante della loro disciplina che resta -per quanto concerne il trattamento della invalidit -soggetta, per regola, al diritto privato (cfr. nella motivazione la sentenza n. 4820/84 ed i precedenti ivi richiamati). L'indagine deve quindi concentrarsi nello stabilire in che modo il vizio dell'atto presupposto possa incidere sulla validit del contratto della P.A., secondo la disciplina privatistica. Il codice civile prevede che il contratto annullabile per incapacit di contrattare o per incapacit di intendere o di volere di una delle parti (art. 1425), per vizio del consenso (errore, violenza, dolo: art. 1427 e segg.) e per difetto dei presupposti del contratto, come la mancanza delle prescritte autorizzazioni per i contratti dei minori e degli incapaci (artt. 322, 377, 396, 424). Escluso, per principio, che la erronea o insufficiente valutazione dell'interesse pubblico da parte della P.A. contraente, per difetto del prescritto parere, possa penetrare nella struttura del contratto viziandolo nei suoi elementi essenziali, esclusa altres la riconducibilit del vizio del procedimento amministrativo nell'ambito dei vizi della volont contrattuale dell'autorit. amministrativa. Anche l'altra alternativa della incapacit di agire o dell'incapacit di intendere o di volere estranea alla invalidit in questione, non incidendo il vizio del parere sulla capacit di agire dell'organo n sulla capacit di intendere e di volere del titolare dell'organo. Non resta quindi che ricondurre la invalidit del contratto della p.a. per vizio del parere nell'ambito dei vizi che attengono ai presupposti del contratto, i quali incidono, come antecedenti necessari della stipulazione, sulla sua validit per difetto di legittimazione dell'organo di amministrazion~ attiva. Questi, infatti, per una tipica valutazione dell'ordinamento giuridico, non versa nelle condizioni oggettive previste dalla legge per procedere ad una valida stipula del contratto. Alla stregua delle considerazioni che precedono deve concludersi che la sentenza impugnata si sottrae alle proposte censure, pur se va corretta nella qualificazione giuridica dell'accertato vizio negoziale. Anche se impropriamente la Corte d'appello ha discorso di annullamento del contratto per vizio del consenso, da tutto il contesto della PARTE I, SBZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI motivazione risulta che i giudici del merito hanno perfettamente percepito il problema di diritto loro sottoposto con la impugnazione del loro, allorch hanno rilevato il nesso oggettivo che sussiste tra i vizi del procedime.to amministrativo che precede la stipula dei contratti della p.a. e questi ultimi, nel senso che il vizio di un atto (come il parere) che costituisce un antecedente logico-giuridico della stipulazione vizia il contratto determinandone la invalidit. ~ quindi richiamata a sproposito dal ricorrente la disciplina dei i\TZ della volont contrattuale con particolare riferimento al dolo (art. 1439 e.e.) ed ai requisiti che si richiedono in tal caso per pervenire all'annullamento del contratto. La sentenza impugnata ha fatto riferimento al dolo soltanto per porre in rilievo la volontaria partecipazione del componente dell'organo consultivo alla deliberazione del parere del consiglio di amministrazione dell'ANAS nonch la deliberata violazione del dovere di astensione da parte sua, in un senso pertanto del tutto diverso da quello che presupposto dal dolo come vizio della volont nella formazione del contratto. Altrettanto deve ritenersi non pertinente in questa sede la (dedotta) accettazione della prestazione contrattuale da parte dell'ANAS, la quale non pu essere opposta dalla parte privata neppure sotto il profilo di una pretesa convalida del contratto annullabile, non fatta valere in sede di giudizio di impugnazione del lodo e della quale in quella sede non si provata comunque la ricorrenza dei requisiti (cfr. la sentenza numero 3553/79). Altro ovviamente esperire l'amone generale di arricchimento senza causa (art. 2041 e.e.), ove ne ricorrano i presupposti da accertarsi nella sede competente. In definitiva, il ricorso, in tutti i motivi in cui si articola, deve essere respinto. Le spese del giudizio seguono, come per legge il criterio della soccimbenza (art. 385 c.p.c.). (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 19 dicembre 1985, n. 6492 -Pres. Scanzano -Rel. Di Salvo -P. M. Di Renzo (conci. diff.). Viro (avv. Della Pietra) c. Comune di San Giorgio a Cremano (avv. Giordano e Tatriele). Appalto -Appalto di opere pubbliche -Sospensione Illecita protrazione Domanda giudiziale di risarcimento dei danni Prima della ripresa dei lavori Ammissibilit Onere di riserva nel verbale di ripresa Insussistenza. (D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 30). E ammissibile la domanda giudiziale con cui l'appaltatore chieda il risarcimento dei danni sostenendo che l'Amministrazione appaltante si 216 RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DBU.O STATO resa inadempiente in quanto protrae la sospensione dei lavori oltre il tempo per cui poteva essere mantenuta. La domanda proposta prima della ripresa dei lavori tiene luogo della riserva, sicch la domanda non resa inammissibile dalla mancata inserzione della riserva nel verbale di ripresa dei lavori, una volta che questa venga successivamente ordinata U). (omissis) Con il primo motivo il ricorrente denunzia violazione degli artt. 16, 53, 54 e 89 del r.d. 25 maggio 1895, n. 350 e degli artt. 112, 113, 115 c.p.c., nonch insufficienza ed illogicit della motivazione. Afferma che la notificazione della citazione con la quale aveva chiesto la condanna del comune al pagamento delle spese derivanti dalla sospensione dei lavori era avvenuta quando nessuna decadenza poteva essersi verificata, mancando il presupposto della ripresa dei lavori e sostiene che l'instaurazione del giudizio valeva ad extrapolare dal pi complesso rapporto giuridico la questione sulla quale il giudice era tenuto a pronunziarsi senza tener conto del fatto che successivamente l'ordine di sospensione era stato rimosso; sostiene che la domanda giudiziale aveva impedito gli effetti della decadenza dal diritto di chiedere il risarcimento dei danni. Il ,ricorso fondato nei limiti che saranno precisati. Il problema relativo alla proposizione della riserva nei pubblici appalti stato ripetutamente esaminato da questo supremo collegio il quale pervenuto a conclusioni univoche che la sentenza impugnata ha in parte richiamato senza per farne esatta applicazione nel caso concreto che presenta aspetti differenziati rispetto alle massime richiamate. (1) Brevi considerazioni in margme ad una sentenza della Corte di cassazione in tema di sospensione dei lavori. La decisione stata resa in causa in cui non era presente un'amministrazione difesa dall'Avvocatura dello Stato; la si pubblica per l'evidente interessP delle affermazioni in essa contenute a riguardo dei modi della tutela dell'appai tatore in presenza del protrarsi della sospensione dei lavori ordinata dall'amministrazione. Sull'argomento la Corte di cassazione era intervenuta di recente, prima con la sentenza 17 marzo 1982 n. 1728, pubblicata in questa Rassegna 1983, I, 190 ed in Riv. giur. edilizia 1982, Il, 147 con nota di ToMASUOLO, La sospensione dei lavori nell'appalto di opere pubbliche: rifusione degli oneri sostenuti dall'appaltatore e risarcimento dei danni, poi con la sentenza 4 settembre 1984 n. 4759, pubblicata in Foro it. 1984, I, 2102 e Giust. civ. 1985, I, 1992 con nota di P. CARBONE, Considerazioni in tema di sospensione dei lavori. Il caso deciso rappresentato da una sospensione ordinata per la sopraggiunta necessit di procedere alla redazione ed approvazione di una variante: 216 RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DBU.O STATO resa inadempiente in quanto protrae la sospensione dei lavori oltre il tempo per cui poteva essere mantenuta. La domanda proposta prima della ripresa dei lavori tiene luogo della riserva, sicch la domanda non resa inammissibile dalla mancata inserzione della riserva nel verbale di ripresa dei lavori, una volta che questa venga successivamente ordinata U). (omissis) Con il primo motivo il ricorrente denunzia violazione degli artt. 16, 53, 54 e 89 del r.d. 25 maggio 1895, n. 350 e degli artt. 112, 113, 115 c.p.c., nonch insufficienza ed illogicit della motivazione. Afferma che la notificazione della citazione con la quale aveva chiesto la condanna del comune al pagamento delle spese derivanti dalla sospensione dei lavori era avvenuta quando nessuna decadenza poteva essersi verificata, mancando il presupposto della ripresa dei lavori e sostiene che l'instaurazione del giudizio valeva ad extrapolare dal pi complesso rapporto giuridico la questione sulla quale il giudice era tenuto a pronunziarsi senza tener conto del fatto che successivamente l'ordine di sospensione era stato rimosso; sostiene che la domanda giudiziale aveva impedito gli effetti della decadenza dal diritto di chiedere il risarcimento dei danni. Il ,ricorso fondato nei limiti che saranno precisati. Il problema relativo alla proposizione della riserva nei pubblici appalti stato ripetutamente esaminato da questo supremo collegio il quale pervenuto a conclusioni univoche che la sentenza impugnata ha in parte richiamato senza per farne esatta applicazione nel caso concreto che presenta aspetti differenziati rispetto alle massime richiamate. (1) Brevi considerazioni in margme ad una sentenza della Corte di cassazione in tema di sospensione dei lavori. La decisione stata resa in causa in cui non era presente un'amministrazione difesa dall'Avvocatura dello Stato; la si pubblica per l'evidente interessP delle affermazioni in essa contenute a riguardo dei modi della tutela dell'appai tatore in presenza del protrarsi della sospensione dei lavori ordinata dall'amministrazione. Sull'argomento la Corte di cassazione era intervenuta di recente, prima con la sentenza 17 marzo 1982 n. 1728, pubblicata in questa Rassegna 1983, I, 190 ed in Riv. giur. edilizia 1982, Il, 147 con nota di ToMASUOLO, La sospensione dei lavori nell'appalto di opere pubbliche: rifusione degli oneri sostenuti dall'appaltatore e risarcimento dei danni, poi con la sentenza 4 settembre 1984 n. 4759, pubblicata in Foro it. 1984, I, 2102 e Giust. civ. 1985, I, 1992 con nota di P. CARBONE, Considerazioni in tema di sospensione dei lavori. Il caso deciso rappresentato da una sospensione ordinata per la sopraggiunta necessit di procedere alla redazione ed approvazione di una variante: dunque, di una sospensione legittimamente disposta ex art. 30, comma 2, d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063; come tale considerata anche dalla cassazione, comunque accettata senza riserve. Alla protrazione di tale sospensione l'appai i' ~: !: E: ~i 1. ᥥ ..mᥥᥥᥥ ᥥ ᥥ'> ᥥȥᥥ> ᥥ ᥥ ȥ>>.WW>wᥥ>J PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 217 Nei pubblici appalti l'onere di formulare la riserva per i compensi cui l'appaltatore ritiene di avere diritto ha carattere generale; infatti la necessit della sua tempestiva formulazione e della successiva quantificazione nel registro di contabilit sussiste per tutte le pretese che siano idonee ad incidere sul compenso complessivo spettante all'appaltatore, quali che siano le componenti ed i titoli delle medesime (Cass. 1979, n. 394). L'onere della riserva, pertanto, non riguarda solo le pretese che traggano origine dal modo di rilevamento e di registrazione dei lavori via via eseguiti, ma riguarda anche le richieste di ulteriori compensi ed indennizzi per i lavori eseguiti, qualunque ne sia il titolo e quindi, anche l'equo compenso cui l'appaltatore ha diritto, a norma del secondo comma del'art. 1664 e.e. nonch ogni altra richiesta di compenso ed indennizzo qualunque ne sia il titolo, purch concernente prestazioni o fatti dannosi strettamente connessi con l'esecuzione dei lavori e, quindi, anche i compensi e gli indennizzi eventualmente spettanti all'appaltatore per effetto della sospensione dei lavori disposta dall'amministrazione committente. L'obbligo della riserva, che come si detto, ha carattere generale persegue il triplice scopo: a) di consentire all'amministrazione appaltante la verificazione dei fatti suscettibili di aggravare l'entit della spesa prevista, onde renderne pi sicuro e meno dispendioso l'accertamento; b) tenere in evidenza l'ammontare della spesa dell'opera in itinere in maniera che l'amministrazione, tenendo presente il quadro complessivo delle esigenze di bilancio, possa provvedere, , se necessario, alla tempestiva integrazione dei mezzi finanziari all'uopo predisposti; tatore aveva reagito proponendo una domanda di condanna al risarcimento del danno che la sospensione era venuta cagionandogli. La Corte d'appello aveva ritenuto la domanda inammissibile perch aveva considerato che l'appaltatore aveva accettato la sospensione senza riserve, men tre, se pure in seguito aveva diffidato l'amministrazione ad ordinare la ripresa dei lavori (circa 1 anno dopo la 'loro sospensione) e poi l'aveva citata in giudizio (dopo altri nove mesi), non aveva inserito riserva nel verbale di ripresa, quando questa era stata infine ordinata. L'appaltatore aveva sostenuto che, quando egli aveva proposto la domanda di condanna, nessuna decadenza s'era prodotta, giacch questa avrebbe potuto essere determinata solo da una ripresa dei lavori accettata senza riserva, ma, al momento della domanda la ripresa dei lavori non era stata ancora ordinata. S'era in presenza d'una domanda di condanna al pagamento d'una somma che l'appaltatore richiedeva a titolo di risarcimento del danno, assumendo che l'amministrazione gliel'avesse causato con un comportamento qualificabile come inadempimento. La Corte d'appello aveva considerato che per proporre una qualsiasi domanda di indennit sulla base di un rapporto di cui non si chiede la risoluzione, necessario aver in precedenza formulato la relativa riserva, che invece mancava. La sostanza della decisione della Corte di cassazione sta nell'aver ritenuto 218 RASSEGNA DEI.L'AVVOCATURA DELLO STATO e) mettere in grado l'amministrazione di adottare nell'ambito dei propri poteri, ogni altra possibile determinazione, inducendosi, se del caso, ad esercitare la potest di risoluzione unilaterale del contratto. L'onere della riserva, pertanto, sussiste ogni qual volta venga in esame una situazione suscettibile di risolversi in danno o, comunque, in un aumento . di spesa e sussiste, non solo rispetto ai fatti transeunti, ma anche per quelli continuativi i quali presentano anzi una pi accentuata idoneit a riflettersi sul costo complessivo dell'opera. Infatti, la circostanza che il fatto non abbia carattere istantaneo, ma consista in una situazione il cui svolgimento si protragga nel tempo, incide soltanto sul momento in cui l'onere sorge e si articola sui due tempi della iscrizione e della successiva esplicazione mediante l'indicazione delle cifre cui si ritiene di avere diritto. La decadenza dell'appaltatore dal diritto a maggiori compensi od indennizzi, per l'inadempimento dell'onere di tempestiva formulazione della riserva, non soffre deroga per le pretese che traggono origine da fatti di natura continuativa, per le quali il predetto onere diventa attuale nel momento in cui la relativa situazione generatrice sia obietti vamente riscontrabile, con media diligenza, mentre l'impossibilit di determinare il quantum giustifica solo il ritardo della quantificazione che deve essere effettuato successivamente nei documenti contabili. L'obbligo di tempestiva formulazione delle riserve non sussiste per per le pretese implicanti la valutazione giuridica dei fatti e comporta menti non controversie e diretta ad ottenere la risoluzione del contratto per colpa dell'amministrazione e la condanna di questa al risarcimento dei conseguenti danni (Cass. 1983, n. 4760); nonch per i fatti estranei che, nel caso, in cui non era possibile inserire una riserva nel registro conta bile, non si poteva richiedere che la riserva fosse apposta e che era contrario agli stessi interessi dell'amministrazione, a tutela dei quali si sancito il rela tivo onere, postulare che l'appaltatore non potesse validamente contestare il danno all'amministrazione e dovesse, per farlo, attendere che esso si aggravasse sino alla successiva ripresa dei lavori. Si consideri a questo punto che dall'art. 54 del R.D. 25 maggio 1895 n. 350 derivano secondo la giurisprudenza due effetti: la comminatoria d'una decadenza, per il caso che la riserva non sia formulata oltre un certo momento; l'imposi zione di un onere, che consiste nel dover formulare la riserva su un atto conta bile, come condizione per impedire che se ne consolidino le risultanze e per poter far valere giudizialmente la pretesa non accolta in via amministrativa. Nel caso, rispetto alla domanda giudiziale della cui ammissibilit si discu teva, veniva in discussione rton il primo .aspetto, ma il secondo. La decisione della Corte di cassazione pu dirsi allora che abbia individuato un limite al principio della formalit della riserva. Prima di concludere questa breve osservazione preme di fare ancora una considerazione. La Corte di cassazione non ha dovuto affrontare il problema consistente nello stabilire, a partire da quale momento si sposta sull'amministrazione l'onere I I . . ' PARTE. I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 219 all'oggetto dell'appalto (Cass. 1981, n. 5300) o alla finalit di documentazione cronologica dell'iter esecutivo dell'opera, quali ad es. la rivalsa delle imposte (Cass. 1973, n. 2486) o la decorrenza degli interessi di mora (Cass. 1969, n. 4046) ovvero allorch la pretesa dell'appaltatore dipende dalla rettificazione di errori materiali contenuti nel registro di contabilit che siano controllabili ed emendabili in base a semplici verificazioni, secondo la normale diligenza delle parti interessate (Cass. 1982, n. 2102); l'onere della riserva non esiste nemmeno quando l'appaltatore chiede la risoluzione del contratto per inadempimento dell'amministrazione che al;>bia illegittimamente protratto la sospensione dei lavori (Cass. 1982, n. 1728); n quando l'appaltatore chieda il risarcimento dei danni causati da ritardi gravemente colposi o dolosi dell'appellante nell'emissione dei certificati di acconto, nella redazione dello stato dei lavori e nella esecuzione del collaudo (Cass. 1973, n. 2168); n quando manchi l'inerenza della maggiore spesa alla esecuzione dell'opera come nel caso di illecito extracontrattuale della stazione appaltante, caratterizzato da un collegamento meramente occasionale con la esecuzione dell'opera (Cass. 1971, n. 1384). La fattispecie in esame si caratterizza per la circostanza che, protraendosi nel tempo la sospensione dei lavori legittimamente disposta dall'amministrazione committente e determinando essa sempre maggiori oneri a carico dell'appaltatore, questi, non venendogli esibito alcun documento amministrativo o atto contabile da parte dell'amministrazione, non ha alcuna. possibilit di formulare la riserva informando la committente dei maggiori oneri determinati dalla preesistente inattivit amministrativa. del danno, che l'appaltatore subisce in conseguenza del protrarsi illecito di una sospensione inizialmente legittima o comunque accettata senza riserve: se dal momento in cui viene meno o avrebbe potuto esser rimossa la ragione che aveva determinato la sospensione o dal momento in cui l'appaltatore contesta all'amministrazione di ritenerla inadempiente perch non torna ad ordinare la ripresa dei lavori. Nel caso, ad es., la domanda era stata preceduta da una diffida ad ordinare la ripresa dei lavori. Se la soluzione fosse nel secondo senso, l'eccezione al principio della formalit della riserva, che si desume oggi dalla sentenza della Corte di cassazione, sarebbe solo apparente, mentre ne risulterebbe rafforzata la regola, che l'appaltatore ha l'onere di denunciare all'amministrazione le cause produttive di danno, non appena ne avverte la rilevanza causale. Pu notarsi che un analogo meccanismo -che prescinde dalla riserva, ma la sostituisce con una dichiarazione dell'appaltatore, volta a spostare sul l'amministrazione l'onere della sospensione che si protragga ulteriormente - quello strutturato dal secondo comma dell'art. 30 del d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063 per il caso del protrarsi, della causa che ha imposto una sospensione legittima, oltre il termine preveduto dallo stesso art. 30. PAOLO VITTORIA 220 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Si tratta, quindi, di stabilire se le richieste formulate dall'appaltatore e l'atto di citazione da lui notificato per chiedere il risarcimento dei danni costituiscano atti idonei ed equivalenti, quanto ai foro effetti, alla riserva. La sentenza impugnata ha escluso tale equivalenza ed il comune di S. Giorgio a Cremano sostiene che l'appaltatore avrebbe dovuto attendere la ripresa dei lavori per inserire la riserva nel relativo verbale. Questa tesi non pu essere seguita. Pur essendo pacifico che le pretese dell'appaltatore in ordine ai maggiori oneri incontrati durante il periodo di sospensione dei lavori, devono essere fatte valere mediante la formulazione di apposita riserva nel verbale di ripresa dei lavori, occorre esaminare se nel periodo precedente a tale momento -quando la sospensione dei lavori disposta dall'amministrazione committente, si protragga illegittimamente, oltre i limiti segnati dall'art. 30 del d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, dopo che siano venute meno le cause di forza maggiore o le ragioni di pubblico interesse o necessit giustificative della sospensione medesima -l'appaltatore sia privo di ogni mezzo di difesa e debba attendere passivamente l'ordine di ripresa dei lavori assistendo all'aumento dei costi, che possono nel tempo diventare tanto elevati da determinare la crisi finanziaria dell'impresa e che, comunque, si riflettono sull'onere complessivo della spesa a carico dell'amministrazione committente. Il collegio ritiene che nel caso predetto in cui non esiste la possi bilit di inserire la riserva nei documenti contabili, l'appaltatore possa adottare iniziative che abbiano effetti equivalenti e che siano idonee a raggungere le finalit proprie della riserva, che sono state prima richiamate. Tale valore pu attribuirsi, in particolare, alla citazione in giudizio dell'amministrazione perch tale iniziativa idonea a tutelare i contrap posti interessi delle due parti, offrendo essa l'unico possibile mezzo di difesa all'appaltatore di fronte al comportamento doloso o gravemente colposo dell'amministrazione e di tutelare al tempo stesso, l'amministra zione che viene con tale mezzo informata del forte aumento delle spese derivanti dalla sospensione dei lavori e dal comportamento omissivo, met tendola in grado di adottare le opportune iniziative per porre fine a tale lievitazione mediante la emissione dell'ordine di ripresa (come ha fatto nel caso in esame), ovvero adottando le opportune iniziative per garan tirsi la disponibilit dei maggiori mezzi finanziari occorrenti, nonch le altre possibili determinazioni che possono arrivare fino all'eserczio della potest di risoluzione unilaterale del contratto (art. 354, I. 20 marzo 1865, n. 2248, all. F) quando le previsioni originarie dell'onere delle spese vengano notevolmente superate e la costruzione dell'opera rischi di diventare troppo pesante per la collettivit. PARTE I, SBZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 221 Viene cos garantito il raggiungimento delle finalit proprie della riserva, mentre, al contrario, il negare che nel caso indicato, l'atto di citazione abbia valore equivalente alla riserva (che, durante la sospensione dei lavori, si ripete, impossibile formulare) contrasterebbe con l'interesse della pubblica amministrazione ad avere in costante evidenza il costo dell'opera pubblica. L'amministrazione, infatti, ai sensi dell'art. 30 comma II, parte I del d.P.R. 16 luglio 1962 n. 1063, obbligata, ove la sospensione dei lavori da essa disposta superi i termini per la medesima previsti a subire gli effetti della domanda c:;lell'appaltatore di risoluzione del contratto per inadempimento ad essa addebitabile ed, ove essa si opponga allo scioglimento obbligata anche alla rifusione dei maggiori oneri (Cass. 1982, n. 1728; 1984, n. 4759). La soluzione adottata si ricollega alla gi riconosciuta esclusione della necessit della riserva quando l'amministrazione abbia adottato un comportamento doloso o gravemente colposo nell'eseguire adempimenti amministrativi (1974, n. 78; 1983, n. 1728) ed a tutti gli altri casi gi ricordati nei quali stato riconosciuto non sussistente l'obbligo della preventiva ris.erva. Essa , altres, coerente con il principio di diritto affermato da questa Corte in ordine alla esclusione della necessit di una determinazione dell'amministrazione ai fini della tutela dei diritti dell'appaltatore nel caso di ingiustificato ritardo dell'amministrazione nell'effettuare il collaudo. g stato, invero, affermato che il collaudo, pur se richiesto dall'art. 44 del capitolato generale per le opere pubbliche (d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063) come presupposto del procedimento arbitrale o giudiziario, non un obbligo che si presenta tuttavia con carattere di assolutezza, perch il di'lieto di proposizione della domanda inoperante, oltre che nelle ipotesi espressamente previste dall'art. 44, anche -quando il diritto vantato dall'istante resterebbe privo di tutela se l'azione non fosse svincolata dal presupposto del collaudo medesimo, come nel caso in cui fa lite vertesse sul diritto dell'appaltatore ad ottenere il collaudo stesso o l'appaltatore avesse diffidato la pubblica amministrazione a compierlo e fosse decorso un cos lungo tempo da rendere l'inerzia equivalente a rifiuto (Cass. 1970, n. 455). L'ipotesi oggetto del presente ricorso presenta cos evidenti elementi di identit con quelli ora ricordati che sussistendo la medesima ratio deve essere adottata la stessa conclusione. Il comune di S. Giorgio a Cremano sostiene che, in ogni caso, essendo ripresi i lavori in epoca successiva alla instaurazione del giudizio, l'appaltatore avrebbe dovuto ugualmente formulare la riserva nel relativo verbale. La tesi non pu essere accolta perch, una volta accertato che ricorrendo i presupposti prima indicati, la domanda giudiziale pu considerarsi equivalente alla riserva che non era possibile formulare, costituirebbe un inutile formalismo esigere che essa venga nuovamente 222 RASSEGNA DELL'AVVOCATUR<\ DELLQ STATO proposta, quando gli effetti ad essa propri si sarebbe inoltre del tutto ultronea rispetto ai ha assegnato. sono gi prodotti ed essa sensi che il legislatore le Il Comune di S. Giorgio a Cremano ha proposto ricorso incidentale condizionato prospettando violazione e falsa applicazione degli artt. 42, 43, 44, 46 del d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1062; sostiene che la domanda giudiziale pu essere proposta solo dopo l'approvazione del collaudo, e, comunque, solo dopo la risoluzione delle contestazioni in via amministrativa. i'.:a questione non stata esaminata dalla Corte di merito 1 che l'ha dichiarata assorbita e non pu, quindi, essere proposta in questa sede; essa dovr, pertanto, essere oggetto di valutazione da parte del giudice di rinvio che, a seguito della cassazione della sentenza impugnata, per effetto dell'accoglimento del ricorso principale, si designa in altra sezione della Corte d'appello di Napoli, la quale provveder, applicando i princpi di diritto sopra enunciati, anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimit. (omissis) PARTE SECONDA QUESTIONI Franc Favara I CRITERI DI DETERMINAZIONE DELLA INDENNITA. DI ESPROPRIAZIONE (PER I BENI IMMOBILI) * 1. .L'art. 42 Cost. e l'art. 39 legge n. 2359 del 1865. 2. Fragilit del criterio basato sul prezw come se . -3. C1iteri basati sul reddito dell'immobile. -4. Criteri basati su valori imponibili. 5. La misura legale della edificabilit. 6. Contenuti della propriet e strumenti urbanistici. 1. Ho proposto al prof. Cerulli Irelli, attento ed efficiente organizzatore di questo Convegno, l'argomento criteri di determinazione dell'indennit , avendo maturato il convincimento che sia necessario e proficuo sottoporre ad ulteriore analisi l'espressione utilizzata dal noto art. 39 della legge n. 2359 del 1865 giusto prezzo che a giudizio dei periti avrebbe awto l'immobile in una libera contrattazione . Essa si traduce, in pratica, in una sorta di delega allo stimatore, di recezione poco e mal filtrata di regole dell'arte discusse e discutibili quali sono state e sono quelle via via elaborate dai cultori di estimo; e non riesce a supplire ad una sostanziale assenza di regole giuridiche puntuali, che ingenera incertezze e contraddizioni persino nela giurisprudenza della Corte di cassazione, costretta a pronunciarsi caso per caso con l'occhio rivolto pi al merito che al tessuto normativo. Sicch, nel corso dei decenni, si a1la11gato il distacco tra criteri di estimo e cornice legislativa, distacco che invece sarebbe bene rimuovere o quanto meno ridurre. Inoltre, la espressione usata dall'art. 39 ha prodotto una pregiudizievole rimozione -sul piano logic6 e psicologico prima ancora che su quello giuridico -della pur delicata e rilevante problematica relativa ai cosiddetti contenuti della propriet, rectius delle propriet (al plurale). g -questo dei contenuti -un tema affascinante e dibattutissimo, come confermato dalle relazioni finora ascoltate, anche e soprattutto per la grande adattabilit della nozione giuridica di propriet al mutare degli assetti politici ed economici di qualsivoglia societ, e per la conseguente relativit delle propriet nel tempo e nello (*) Relazione tenuta il 24 gennaio 1986 in occasione di Convegno sulla espropriazione per pubblica utilit. ,.,...,.,.,..,.,..-.,-r....-cr.-r.-.-,..._.,.,,.,..,.,.,..,.,..,.,....,.,.,.,-,.,..,.,.,..-,..rrr.-..-rr.-r. ---.-....-......::...r:...rr:............................:... ::--,r....;.-.-.-.-..-;.;r. .-.-.-.-.-.-....-;...-.z.z..zr.-;..z:zz-. ...-....-........r...,-.. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 40 spazio (1). La nozione giuridica di propriet pi che un dato concet tuale e politico risulta una variabile dipendente, il terreno di un mai concluso scontro non soltanto tra possidentes attributari di potest sulle cose ed esclusi assoggettati a doveri giuridici di astensione (astensione dal turbare le potest dominicali altrui), ma anche -ed quest, malgrado le apparenze, lo scontro pi duro (2) -tra possidentes; ad esempio, tra proprietari statici portati a considerare, in nome della tradizione, definitivamente cristallizzati e resi essenziali tutti i contenuti della loro contingente situazione economica e giuridica, ed operatori impegnati nei processi di trasformazione e creazione della ricchezza portati invece a ridimensionare e storicizzare la propriet ed a ridurla a mero fattore della produzione , a mere commodity. Di questa relativit dei contenuti delle propriet, l'art. 39 non si d carico alcuno, anche per la presenza di quel distacco di cui si dtto dianzi e che servito e serve ad isolare il giudizio dei periti dal contesto giuridico-politico, a banalizzare ogni problematicit nascondendola ed appiattendola sotto le parvenze aritmetiche del calcolo caso per caso. Doveroso appare dunque l'interrogativo se -oggi, nel 1986 -sia ancora il caso di lasciare una tanto ampia delega al giudizio dei periti , o se invece il legislatore ed il giurista debbano recuperare alla regola giuridica il territorio da questa sostanzialmente abbandonato nel 1865. Anzitutto, giova ricordare le osservazioni fatte da Pototschnig in occasione del convegno di Firenze per il centenario delle leggi_ di unificazione amministrativa: la legge n. 2359 del 1865 nata non come legge generale o fondamentale per tutte le espropriazioni ma come legge per le espropriazioni occorrenti alla realizzazione di grandi opere pubbliche rivolte -come si disse allora -a cementare l'unit nazio (1) Una preziosa panoramica della sterminata letteratura sulla propriet fornita dalla antologia a cura di. ALPA e BESSONE, Poteri dei privati e statuto della propriet, CEDAM, I e II vol. 1980, III vol. 1982 (specie nel vol. Il, Storia, funzione sociale e pubblici interventi). Altra antologia '" di taglio pi filosofico, quella di Guozz1, Le teorie della propriet da Lutero a Babeu, Loescher, 1978. (2) Un esempio di scontro duro dei nostri giorni quello, ancora aperto, tra ambienti della grande industria privata interessati ad attirare risparmio attraverso il collocamento di titoli azionari e gli operatori interessati, essi pure, ad attirare risparmio attraverso il collocamento di certificati immobiliari: uno scontro che si svolge sul terreno della legislazione societaria e tributaria, e che fa rammentare alcune osservazioni di MANDELVILLE (The fable of the bees: or private vices, public benefits, del 1705) sul ruolo della legge nel dare soluzioni virtuose -talvolta con l'ausilio di alcune ipocrisie -a scontri tra interessi antagonistici suscitati da vizi privati. Va peraltro precisato -per prevenire ogni equivoco -che esattamente stata segnalata l'impossibilit di condurre alla garanzia proprietaria la intera area dei rapporti tra cittadini e Stato con rilevanza economica (RODOT, Il terribile diritto, il Mulino, 1981, 36). 41 PARTE II, QUBSTIONI nale (3). Legge dunque al servizio della realizzazione di opere pubbliche, anzi di opere pubbliche da individuare singulatim e non per categorie; ed infatti leggi diverse dalla n. 2359 -coeva quella per opere ferroviarie, successive le altre -hanno proclamato la pubblica utilit di intere categorie di opere. La legge n. 2359 del 1865 non stata scritta per fronteggia~e fenomeni pi vasti, quali lo sviluppo dei centri abitati o addirittura le riforme di struttura di segmenti dell'apparato produttivo. Per quanto concerne lo sviluppo delle citt, la legge n. 2359 si limita ad accennare -in modo visibilmente molto marginale -piuttosto a talune opere pubbliche urbane (allargamento ed apertura di strade e piazze, et similia) che alla pianificazione urbanistica come concepita nel nostro secolo. Del tutto assente, e comprensibilmente, il tema delle riforme delle strutture produttive, dalle grandi bonifiche per l'agricoltura alle statalizzazioni o nazionalizzazioni di imprese infrastrutturali (si pensi alle ferrovie) bancario-assicurative (si pensi agli Istituti di emissione ed allo I.N.A.) e industriali; tema questo che emerger solo dopo, nell'epoca giolittiana (salva qualche anticipaziom~ r.oncernente le bonifiche e la propriet agricola). A questo proposito, si consenta un inciso. In seno all'Assemblea costituente, il dibattito sull'odierno art. 42 Cost. si soffermato pressoch esclusivamente sul tema della compatibilit tra riforme di struttura dell'economia e salvaguardia della propriet (4). I problemi spiccioli, potrebbe dirsi di estimo, relativi alla espropriazione di singoli beni sono stati, e giustamente, lasciati in disparte. Questa impostazione la ritroviamo nelle prime sentenze della Corte costituzionale in materia, nella nota formula il massimo di contributo che pu essere assegnato al privato compatibilmente con l'obiettivo prioritario del soddisfacimento dell'interesse generale alla fattibilit della riforma o dell'intervento pubblico. A partire dalla met degli anni Sessanta, invece, la Corte costituzionale -con pronunce sempre meno ispirate a judicial self restraint -si calata in dimensioni pi di dettaglio, ravvisando nell'art. 42 Cost. non tanto una garanzia rispetto alle riforme, quanto una salvaguardia prima del contenuto minimo delle' propriet fondiarie e poi ,addirittura di alcuni, per vero molto opinabili, contenuti tutt'altro che minimi di dette propriet. Sicch, anche per effetto di una avvertibile tendenza alla trasformazione di fatto del giudizio costituzionale in fase, potrebbe dirsi in appendice, dei giudizi a tutela delle situazioni soggettive, la portata dell'art. 42 Cost. ha subto un (3) POTOTSCHNIG, L'espropriazione per pubblica utilit, in Le opere pubbliche, II, 1967, 12. (4) RoooT, op. cit., 259 e seg., e Commentario alla Costituzione, a cura di Branca, art. 42, Zanichelli, 1982, 76 e seg. 42 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO processo di espansione, analogamente a quanto era in precedenza accaduto per la legge n. 2359 del 1865 promossa sul campo a legge fondamentale dal lavorio di correnti dottrinali e giurisprudenziali. Tornando alla legge n. 2359, giova rammentare anche un'altra osser vazione di Pototschnig: in quegli anni (1865), specie nelle province meridionali dove si doveva realizzare la maggior parte delle nuove opere pubbliche, le aree avevano sul libero mercato prezzi modestissimi e la loro reperibilit non costituiva affatto urt problema (5). Osservazione questa di notevole importanza per chi si accinga ad una meditzione sulla delega al giudizio dei periti contenuta nell'art. 39 citato. Che di mera delega si tratti e non di criterio legale per la determinazione dell'indennit emerge con tutta chiarezza sia dalla longevit della disposizione, longevit dovuta proprio alla sua flessibilit anzi dal suo essere vuota di prescrizioni, sia dalla analisi logica della formula giusto prezzo che avrebbe avuto l'immobile in una libera contrattazione , Trattasi di una formula che si basa su un come se (come se si fosse avuta la libera contrattazione di compravendita), che rinvia dunque ad un giudizio ipotetico , anzi spesso ad un giudizio doppiamente o addirittura pi volte ipotetico; cosa questa che accade quando il giudizio ipotetico deve essere integrato e corretto da alcune considerazioni (ad esempio, il non doversi tener conto di taluni incrementi di valore, come se non fossero sopravvenuti). Per di pi, l'art. 39 nel valorizzare un giudizio una o pi volte ipotetico, una serie di come se, non stabilisce neppure con esattezza tutti i termini di questo giudizio. Domattina, altri relatori parleranno del profilo comparativistico, e non desidero anticipare alcunch di quanto meglio di me essi diranno. Sofo per chiarire quanto test osservato, mi si consenta un breve accenno alla legislazione britannica; 'nelle cosiddette rules del 1919 e nel Compensation act del 1961 v' una disposizione simile al nostro art. 39, e si parla di amount wich the land, if sold in the open market by a willing seller, might be expected to realise . Ma accanto a questa formula v' sovente una specificazione, indicandosi che il valore da stimare il current use value o existing use value, ossia il valore in atto e non quello in potenza del bene, in relazione. alla sua corrente o esistente utilizzazione. Nel nostro art. 39 una siffatta precisazione manca; e la delega al giudizio dei periti risulta conseguentemente amplissima. * * * 2. -A questo punto -prima di proseguire il discorso -riterrei opportuna una notazione d'ordine sistematico. Le norme in tema di (5) POTOTSCHNIG, op. cit., 50. I I PARTE II, QUESTIONI determmazione dell'indennit possono ripartirsi in due grandi categorie, a seconda che: I. -stabiliscano criteri determinati che poggiano direttamente su dati storici, su fatti cio effettivamente verificatisi e quindi direttamente accertabili anche in sede giudiziaria alla stregua di qualsiasi altro fatto giuridicamente rilevante; tali fatti possono essere -senza che la cosa rilevi granch per quanto ora ci interessa -o fatti per cos dire a formazione pubblica (ad esempio, il reddito dominicale catastalmente determinato a fini fiscali, il valore definitivamente accertato ai fini di una imposizione sui trasferimenti o di una imposta patrimoniale) ovvero fatti posti in essere dai privati (ad esempio, il canone risultante da un contratto di locazione avente data certa, il prezzo di recente compravendita del bene poi espropriato risultante dal relativo ontratto); II. -prevedano invece la mediazione di una vera e propria stima, cio di un atto intermedio espressivo di un apprezzamento per sua natura posto in essere da uomini ed esprimente una sintesi di accertamenti ed opinioni; questo atto intermedio pu in sede giudiziaria essere sindacato, a seconda dei casi, dall'esterno o nell'intimo, ma non costituisce di per s oggetto di accertamento in punto di fatto (ovviamente si prescinde dall'1potesi abnorme di occultamento del documento contenente la stima). Questa seconda categoria di norme pu -essa pure -esprimere (e bene fa se esprime) dei criteri, i quali per hanno natura e destinatari diversi dai criteri stabiliti dalle norme della prima categoria. I criteri espressi dalla seconda categoria di norme, oltre ad essere indirizzati in prima battuta a stimatori, sono in misura pi o meno ampia aperti ed indeterminati . Giova precisare che un atto intermedio -magari denominato stima -p aversi pure quando si faccia applicazione dei criteri determinati poggianti su dati storici; pu aversi infatti la necessit di acclarare le grandezze materiali (ad esempio l'estensione di un terreno) ed altre circostanze oggettive rilevanti (ad esempio la coltura in esso praticata). Tuttavia permane la contrapposizione logica tra i due tipi di criteri e le due categorie di norme che li prevedono. Ora l'art. 39 non soltanto palesemente va classificato tra le norme della seconda categoria, ma -come si detto - singolarmente vuoto , privo cio della indicazione di criteri seppur indeterminati . Nella sostanza, l'art. 39 non discosta di molto dall'art. 2056 cod. civ. come integrato dalle disposizioni da questo richiamate; tant' che, da una ventina d'anni, per ragioni a tutti note, la normativa sulla determinazione dell'indennizzo di fatto soverchiata dalla pi generale normativa sulla determinazione dei risarcimenti da occupazione ultrabiennale o del tutto abusiva, senza che per solito gravi conseguenze siano 44 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO derivate ai pubblici dipendenti addetti alle procedure di espropriazione. Siamo cio caduti in una situazione pratica non molto lontana da quella data dall'editto 3 luglio 1852 dello Stato pontificio che, per la determinazione dell'indenit, si limitava a prescrivere, al par. 7, si terr conto del dl.lilo diretto ed indiretto che ricevono gli interessati, qualunque ne sia la causa . L'esilit dei criteri indicati dalla legge n. 2359 del 1865 e in particolare la fragilit logica del riferimento all'ipotetico prezzo che avrebbe avuto l'immobile e cio del primo dei come se cui si accennato, sono stati rilevati da pi parti, e gi nell'ultimo terzo del secolo scorso. Cos, persino cultori di estimo hanno segnalato l'inconciliabilit logica della nozione di prezzo, che dato storico suscettibile di rilevazione, con la nozione di valore stimato , che risultato di un giudizio complesso e di sintesi ; inconciliabilit che non si attenua affatto se per prezzo si intende prezzo di mercato, esso pure dato storico, la cui consistenza pu essere rilevata solo se ed in quanto si abbia un mercato, e cio si abbiano fungibilit e serialit dei beni compravenduti (e gi questo manca in larga parte del settore immobiliare), pluralit, contemporaneit, e conoscibilit delle contrattazioni, compilabilit di mercuriali, etc. Non pu aversi prezzo di mercato in assenza di mercato, anzi di un mercato attivo ; se un mercato non v' o scarsamente attivo, cosa che accade normalmente per beni immobili fuori serie o di notevole consistenza, si perviene addirittura ad una sorta di praesumptio de praesumpto, posto che il valore di stima del bene specifico da espropriare finisce per essere presunto pari non gi a beni dello stesso tipo concretamente trattati sullo stesso mercato nel quale il bene espropriando confluirebbe se fosse compravenduto, ma pari a quello di altri beni a loro volta presunti similari a quello da espropriare. Invero, il prezzo come se ipotizzato dall'art. 39 non esiste in natura, non rilevabile n pensabile, come prezzo di uno specifico bene, se si eccettua il caso -infrequente -dello stesso bene assoggettato ad espropriazione acquistato dall'espropriato poco tempo prima (cosiddetta autocomparazione storica). ll. prezzo come se, ipotizzabile solo come prezzo di beni diversi da quello da espropriare, e reputati, con apprezzamento inevitabilmente complesso ed opinabile, comparabili con quello da espropriare (6). Ed in effetti, l'esperienza lo insegna, soprattutto questa attivit di comparazione -attraverso la fitta selva delle innumerevoli e mutevoli situazioni materiali e variabili giuridiche -costituisce il compito pi impegnativo di chi si trovi ad applicare l'art. 39. Il giudizio dei periti da tale articolo previsto (6) " ... la comparazione il carattere immanente del metodo di stima (MALACARNE, Lineamenti di teoria del giudizio di stima, Edagricole, 1977, 149 e seg.). PARm II. QUESTIONI 4J punta non gi all'acclaramento del prezzo come se, che esiste solo nell'immaginifico testo legislativo, ma a stabilire qualche approssimativa comparazione con altri beni e con i prezzi effettivi per essi, e per essi soltanto, rilevati. Come noto, il compito dello stimatore si fa ancor pi complesso -e la sua discrezionalit tecnica ancora pi ampia -quando il bene da espropriare ,vale non per quel che esso in atto , ma per le trasformazioni che esso pu subire in esito ad un processo produttivo. In questo caso -molto frequente (si pensi alla edificazione) -il ricorso alla comparazione diviene problematico, posto che il cosiddetto valore di trasformazione tende a ricollegarsi non tanto all'eventuale prezzo di mercato del bene da trasformare, quanto all'ipotetico futuro -e spesso molto futuro -prezzo di mercato dei prodotti finiti risultanti dalla trasformazione (7). AJ.la comparazione sono offerte perci due diverse pietre di paragone: l'una attuale e l'altra potenziale; questa seconda una comparazione per cos dire al quadrato, parecchio aleatoria, poco o punto consentita dall'art. 39, e cionondimeno sovente praticata. Ma una volta giunti ad un siffatto grado di distacco dalla realt e quindi di astrazione -che non debbano adottarsi elementi di valutazione del tutto astratti ce lo insegna la sentenza n. 5 del 1980 della Corte costituzionale -v' da chiedersi se il giudizio dei periti cui l'art. 39 si affida sia veramente il pi naturale, il pi razionale, degli strumenti di cui l'ordinamento possa disporre. E vi sarebbe da chiedersi inoltre se quel principio di compatibilit dell'indennit con le riforme -e non delle riforme con l'insieme delle indennit che chiaramente emerge dagli atti della Assemblea costituente possa considerasi fedelmente attuato da una normativa che, oltre a dare risultati in qualche misura astratti rispetto al bene da espropriare, del tutto astratta rispetto alle esigenze pubbliche da soddisfare. * * * 3. -Alla pnma di queste due domande una risposta pu venire dalla storia ~egislativa del nostro stesso Paese. Le regie lettere patenti emanate il 6 aprile 1839 da Carlo Alberto e contenti le regole da osservarsi nei casi di espropriazione per opere di pubblica utilit , stabilivano -negli artt. 27 e seguenti -cri (7) " Stabilito il presumibile periodo di tempo entro cui le costruzioni previste potranno essere progettate approvate e quindi realizzate, necessario procedere ad una valutazione del pi probabile apprezzamento che il mercato locale di tali immobili esprimer a tale data futura; si tratta evidentemente di previsione non semplice ed immediata in quanto riferita di norma ad un tempo futuro ... (OREFICE, Estimo, UTET, 1984, 234). 46 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO teri di determinazione dell'indennit che merita ricordare (anche perch qualche commentatore ha ritenuto che essi grosso modo coincidessero con quelli praticati dopo la legge n. 2359 del 1865): nel procedere alla stima il perito dovr... desumere il valore reale (il significato delle parole valore reale si contrappone a quello di valore relativo) dagli atti di vendita di data recente, di affi.ttamento e .locazioni attuali seguiti senza frode ed, in mancanza di questi, dal reddito netto calcolato sopra un decennio; relativamente ai fabbricati si avr inoltre riguardo al valore intrinseco del materiale che lo costituisce ed al valore estrinseco, vale a dire al reddito netto calcolato esso pure sopra un decennio. In sostanza, due erano i criteri indicati, entrambi ancorati a dati storici effettivamente verificatisi e sottoposti alla condizione della assenza di frode : il primo, quello del prezzo effettivo comprovato da atti di vendita di data recente; il secondo, quello del reddito effettivo, sia esso reddito attuale reso netto e quindi capitalizzato, sia esso reddito non attuale e complessivamente conseguito nell'arco di un decennio. Per ovvie ragioni questo secondo criterio, del reddito effettivo, era quello pi frequentemente utilizzato. Non occorre spendere molte parole per dimostrare come l'ancoraggio al reddito attuale o pregresso, pur garantendo appieno la concretezza .della stima cio l'aderenza di essa al bene nella sua specificit, auto46 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO teri di determinazione dell'indennit che merita ricordare (anche perch qualche commentatore ha ritenuto che essi grosso modo coincidessero con quelli praticati dopo la legge n. 2359 del 1865): nel procedere alla stima il perito dovr... desumere il valore reale (il significato delle parole valore reale si contrappone a quello di valore relativo) dagli atti di vendita di data recente, di affi.ttamento e .locazioni attuali seguiti senza frode ed, in mancanza di questi, dal reddito netto calcolato sopra un decennio; relativamente ai fabbricati si avr inoltre riguardo al valore intrinseco del materiale che lo costituisce ed al valore estrinseco, vale a dire al reddito netto calcolato esso pure sopra un decennio. In sostanza, due erano i criteri indicati, entrambi ancorati a dati storici effettivamente verificatisi e sottoposti alla condizione della assenza di frode : il primo, quello del prezzo effettivo comprovato da atti di vendita di data recente; il secondo, quello del reddito effettivo, sia esso reddito attuale reso netto e quindi capitalizzato, sia esso reddito non attuale e complessivamente conseguito nell'arco di un decennio. Per ovvie ragioni questo secondo criterio, del reddito effettivo, era quello pi frequentemente utilizzato. Non occorre spendere molte parole per dimostrare come l'ancoraggio al reddito attuale o pregresso, pur garantendo appieno la concretezza .della stima cio l'aderenza di essa al bene nella sua specificit, automaticamente escluda in radice sia la necessit del ricorso a complesse ed opinabili comparazioni sia l'incidenza delle cosiddette suscettivit, ossia delle speranze -pi o meno oggettivamente fondate -di realizzare plusvalenze non ancora maturate, non ancora tradottesi in incrementi di redditivit e per tale via definitivamente incorporate nella consistenza economica del bene. Tutti i criteri basati sul reddito -ci si riferisca al reddito effettivo ovvero al reddito normale detto anche ordinario, quale quello catastalmente determinato per fini fiscali considerano l'utilizzazione in atto del bene e non quella potenziale o addirittura sperata ; -essi quindi non favoriscono l'espropriato, con la sola eccezione -per vero hic et nunc alquanto marginale -del proprietario di slums fatiscenti e cionondimeno locati a canoni onerosi. N pu pensarsi che le lettere patenti albertine fossero ingenue e prive di retroterra culturale. Fin dal secolo precedente -ossia dal Settecento -vivace era stato, specie in seno alla fiorentina Accademia dei Georgofili, il dibattito tra attualisti e suscettivisti (8); i cultori di estimo dell'epoca avevano lungamente ed approfonditamente dibattuto -pur senza la pretesa di fare scienza -se fosse pi (8) Ne hanno riferito recentemente DI FAZIO, Attualisti e suscettivisti del XVIII e XIX secolo, in Tecnica agricola, 1968, n. 2, e Fusco GIRARD, La evoluzione della logica estimativa, Napoli, 1974. PARTE II, QUESTIONI 47 corretto procedere alle stime dei beni fondiari solo sulla base della destinazione e in genere delle condizioni attuali o invece considerando anche le possibilit latenti o sperate-. Divergenza di opinioni -questa -successivamente composta con il ricorso ai principi detti della ordinariet e della permanenza delle condizioni (9), ossia con il ricorso allo strumento di una prevedibilit resa oggettiva ed attendibile dal fatto di essere basata su situazioni a) che sono certezza gi in atto e b) delle quali sia non solo consentito ma doveroso presumere l'invariato permanere nel corso di un futuro temporalmente circoscritto entro il cosiddetto orizzonte economico (l'arco cio di due-tre anni, oltre il quale ogni previsione, e non solo economica, diviene fantasiosa). Un processo logico che gli statistici denominerebbero di estrapolazione , costruito per sulla base di dati di partenza e di elementi di giudizio tutti attuali, anzi attualmente certi. Le lettere patenti albertine dunque non ignoravano ma respingevano la nozione di valore venale, o meglio la utilizzavano solo laddove non era possibile fare altrimenti, e cio per l'espropriazione parziale. Avendo peraltro cura di precisare che qualora per6 l'eseguimento del lavoro procurasse un aumento di valore immediato e speciale al rimanente della propriet, dovr il perito farsene carico nel calcolare l'indennit... . Questo il diritto sardo rimasto vigente fino alla legge n. 2359 del 1865. N pu dirsi che le norme sarde fossero un caso isolato; criteri simili erano praticati persino nel Regno Italico di napoleonica istituzione, e qua e l erano rimasti in vigore dopo la Restaurazione. La legge del 1865 quindi stata -in parte qua -notevolmente innovativa. Non dato ricostruire esattamente quali considerazioni abbiano condotto a tale innovazione: la relazione che ha accompagnato la legge del 1865, interessante in alcune parti (ad esempio nelle pagine in cui d conto delle pressioni volte a ridurre al minimo la normativa urbanistica), sul punto della determinazione dell'indennit, si limita a ripetere le parole del testo legislativo. Il Sabbatini, nel suo ancora fondamentale commento alle leggi sulle espropriazioni, ha dettagliatamente narrato le vicende politico-parlamentari che hanno condotto al nuovo testo (10). Il progetto governativo Pisanelli riproduceva alla lettera (con una marginale aggiunta) i criteri delle lettere patenti albertine, ed aveva avuto un assenso di massima dalla Camera dei Deputati. Per evitare i ritardi dovuti al trasferimento della capitale da Torino a Firenze, anche il progetto di legge (9) SAJA, La stima del prezzo e del costo, in Riv. Catasto e serv. tecnici erariali, 1954, n. 3, e DI Cocco, La valutazione dei beni economici, 1960, 33. (10) Commento alle leggi sulle espropriazioni per pubblica utilit, Ili, ed., vol. I, 1913, 685. ' ᥥ-.-,.-.-.--::::.-:::::.-:.-:zz.-:.-:.-:..-:z.-:.-:-::-:.-:.-:-:-z:z:-z-:r:.:-: ᥥᥥ . .-..-.-..-.-.-.-.-.---------:~_:.:-::: 48 RASSEGNA DEU.'AWOCATURA DELLO STATO in questione veniva incluso nel novero di quei provvedimenti legislativi 48 RASSEGNA DEU.'AWOCATURA DELLO STATO in questione veniva incluso nel novero di quei provvedimenti legislativi la cui emanazione senza mutarne i princpi direttivi fu devoluta al Governo da una legge-omnibus -diremmo oggi - di delega . In tale fase, la Commissione parlamentare istituita dalla Camera per l'unificazione legislativa, anzich limitarsi a proporre circoscritti ritocchi, introdusse la modifica che lo stesso Pisanelli cos comment si stim opportuno di chiarire il concetto degli artt. 37, 38 e 39 e furono ad essi surrogati i due seguenti articoli (gli attuali 39 e 40). In pratica, nessuna adeguata spiegazione. Qualche commentatore, anche in epoca relativamente recente, ha sostenuto che la modifica apportata nel 1865 era coerente alla filosofia politica del liberalismo ed alla proclamata inviolabilit della propriet privata. Tutto ci solo in parte esatto: in quegli anni si descriveva l'espropriazione come un ritorno della propriet individuale sotto una forma di propriet generale servente ad uso pubblic; ossia in termini -direbbero ancor oggi i giuristi angloamericani -di recupero dello eminent domain, di reviviscenza delle latenti potest reali del principe su ogni parte del territorio dello Stato. Ed in effetti, persino nel quadro di costruzioni teoriche che riconducono. la propriet ai diritti fondamentali di libert (impostazione questa, come noto, non condivisa dalla nostra Costituzione), ben possibile configurare l'espropriazione alla stregua di una circoscritta revoca di quel vistoso fatto di diffuso decentramento che, in ultima analisi, costituisce il substrato del riconoscimento delle propriet private e delle potest a queste inerenti. N pu ritenersi che la funzione sociale della propriet sia scoperta di questo secolo (per solito la si fa risalire agli anni della prima guerra mondiale). Si consenta di ricordare le parole di una sentenza datata 7 febbraio 1881 della Cassazione fiorentina: nello stato sociale il diritto di propriet non pu essere effrenato... il potere sociale ha il dovere e il diritto di stabilire tali limiti nel pubblico interesse ... perch siffatte restrizioni sono stabilite nell'interesse comune e reciproco, perci le utilit, che ne rimangono sacrificate, non danno azione a reclamare indennit... n l'art. 29 dello Statuto, che dichiara inviolabili tutte le propriet, ha potuto intendere di quella propriet illimitata, incompatibile con lo stato di societ civile . Sono parole -queste -che, seppur riferite a limitazioni anzich a funzioni, potrebbero stare benissimo in una sentenza dei giorni nostri, e che paiono in consonanza con i risultati di recenti studi condotti negli Stati Uniti da Ackermann (11) ed altri sullo economie foundation of property law sulla essenziale rilevanza delle externalities per la configurazione oltre che per la valutazione delle propriet fondiarie. (11) Economie foundation of property law, Brown & .Co, 1975. PARTE II, QUESTIONI 49 Nel ricercare le considerazioni che hanno portato alla innovazione del 1865, riterrei quindi un po' arbitrario il ricorso a facili schemetti ideologici, e piuttosto preferirei formulare altre ipotesi: la pi semplice potrebbe essere quella che i pochi addetti ai lavori dell'epoca, avendo dinanzi a s un territorio ben poco urbanizzato (le grandi citt a quel tempo avevano pi o meno duecentomila abitanti) e prevedendo di costruire opere infrastrutturali soprattutto nel Meridione, neppure si siano resi conto della cospiua differenza tra i criteri stabiliti dalle lettere patenti albertine e il nuovo testo dell'art. 39; e quindi abbiano ritenuto convienente aoquisire, a prezzo relativamente modesto, il consenso della :PTopriet fondiaria agraria ed urbana alla grande avventura (all'epoca era tale) della unificazione nazionale. Della inadeguatezza dell'art. 39 il legislatore nazionale si rendeva conto alcuni anni dopo, non a caso in relazione ad un intervento pubblico all'interno di aree urbane. La nota legge n. 2892 del 1885 per Napoli (ma essa stata prontamente applicata anche in altre citt, ad esempio per lo sventramento del mercato vecchio, oggi piazza della Repubblica, a Firenze), altro non dispone se non un parziale ritorno alle lettere patenti albertine: la media prevista da quella legge -e che oggi seppur con qualche diversit, ha ispirato il d.d.l. Nicolazzi n. 475 Atti Senato IX legislatura (12) -, a ben vedere, solo un mix, una miscela, tra il criterio del reddito effettivo o catastale (poco rileva se coacervato o capitalizzato) adottato dalle lettere patenti e la ricostruzione in esito ad apprezzamento tecnico-induttivo dell'ipotetico prezzo come se, alias valore venale, prevista dall'art. 39 della legge del 1865. Apparentemente una soluzione di compromesso, in realt una soluzione che ha perpetuato la rimozione, l'accantonamento della problematica relativa ai contenuti della propriet urbana, senza nep- pur esigere la contropartita di una cospicua riduzione dell'ammontare degli indennizzi (anche perch la componente affidata al giudizio dei periti stata sovente chiamata a riassorbire almeno in parte le eventuali sottovalutazioni derivanti dall'altra componente). Resta il fatto che la legge per Napoli -ancorch insufficiente nel definire i contenuti della propriet -si rivelata normativa meno peggiore dell'art. 39; al punto che alle soglie degli anni Settanta del nostro secolo essa \"" per effetto delle numerose note leggi che la richiamavano -operava pi frequentemente di quanto non operasse l'art. 39. Sicch, soltanto un fatto di tecnica legislativa, quale il for (12) Hanno utilizzato medie simili a quella recentemente proposta, ad esempio l'art. 7 della legge 3 gennaio 1963 n. 3 per Siena (richiamato dalla legge 23 febbraio 1968 n. 124 per rbino), l'art. 23 della legge 16 febbraio 1958 n. 126 in tema di strade, la legge 24 marzo 1932 n. 355 relativa al P.R.G. di Roma, la legge 10 febbraio 1936 n. 1208 per il quartiere di S. Croce in Firenze. JO RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO male modo di esprimersi dei testi legislativi, ha finito per conservare alla legge del 1865 l'immeritata e, a ben vedere, ingiustificata aureola di legge fondamentale. Ed una meditata analisi delle conseguenze eliminatorie della sentenza n. 5 del 1980 della Corte costituzionale dovrebbe condurre la giurisprudenza -al presente ancora non consolidata a dar rilievo piuttosto alla esigenza sostanziale di recupero dell'ambito di effettiva applicazione della legge per Napoli, che allo accidente della tecnica legislativa utilizzata dalle leggi di estensione di tale ambito. Del resto, la Corte costituzionale ha, nella sentenza 23 aprile 1974 n. 107 (punto 8), affermato il principio che la caducazione per illegittimit costituzionale di una disposizione legislativa travolge anche l'effetto di abrogazione che la stessa aveva prodotto sulla normativa previgente; dal che consegue il ripristino di detta normativa. La affermazione, oltre che rilevante per la autorevolezza della Corte da cui proviene, anche palesemente esatta. L'effetto di abrogazione conseguenziale al sovrapporsi sulla normativa previgente della nuova disciplina ritenuta dal legislatore ordinario pi consona alle mutate esigenze della collettivit. Se questa nuova disciplina dichiarata incostituzionale viene meno l'intero intervento modificativo dell'ordinamento, senza che possa separarsi e lasciar sopravvivere uno degli effetti dell'intervento stesso. N pu distinguersi -identiche essendo la ratio e la dinamica dell'effetto di abrogazione -tra l'ipotesi in cui esso sia implicitamente prodotto e l'ipotesi in cui esso prodotto da disposizione esplicita ad hoc; in questa seconda ipotesi, se la Corte costituzionale non provvede quanto meno ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953 n. 87 (eventualmente anche ex art. 21 delle norme integrative 16 marzo 1956), la relativa questione pu essere esaminata dal Giudice ordinario (in senso lato). Ovviamente non in tutte le situazioni il criterio di massima test enunciato pu essere seguito; ogni meccanicismo in un argomento delicato quale quello in esame sarebbe poco congruo. Pu cos accadere che, per il contenuto stesso della sentenza dichiarativa della illegittimit costituzionale e/o per il contesto normativo circostante la disposizione caducata, in luogo dell'effetto di ripristino anzidetto, si produca un effetto di espansione di altre disposizioni. Come si accennato, ad un mix non lontano da quello previsto dalla legge per Napoli pare orientato il testo elaborato dalla VIII commissione del Senato, testo che peraltro in molti punti si rivela poco soddisfacente. Per il momento mi soffermo su un punto, e cio sui tagli previsti nell'ultimo periodo del primo comma dell'art. 1 ( l'importo cos determinato ridotto di un terzo) e nel secondo comma dell'art. 2 (ridotto di due terzi). Per come sono state scritte, queste disposizioni danno a vedere di operare una parziale sottrazione di valore I non adeguatamente sorretta da razionale giustificazione o, secondo altra r ! [ I ! PARTE II, QUESTIONI J1 lettura, una imposizione patrimoniale anomala priva dei connotati prescritti dall'art. 53 Cost. (generalit e rapporto con la capacit contributiva ); esse appaiono dunque prevedibili bersagli per giudizi di legittimit costituzionale, e persino vittime da eventualmente sacrificare per salvare un mix nel quale implicitamente si d a vedere di non credere appieno. Laddove invece una maggiore consapevolezza della consistenza scientifica di criteri ancorati al reddito attuale o pregresso potrebbe suggerire soluzioni atte a conferire a criteri siffatti un peso maggiore del 50 % (teorico) ipotizzato. Molte le soluzioni pensabili; ad esempio, potrebbe pensarsi ad un mix composto da tre entit (con pari peso): reddito catastalmente determinato (ovviamente quale risultante dall'applicazione dei coefficienti di rivalutazione), reddito effettivo netto del quinquennio precedente l'approvazione del progetto moltiplicato per due o per tre (con facolt per l'espropriante di dimostrare l'eventuale frode), e prezzo come se apprezzato dai periti. Un mix cos composto potrebbe condurre a risultati pratici (in termini di onere globale per la collettivit) non lontani da quelli cui pervengono i tagli anzidetti, senza per incorrere nella rozzezza e fragilit di essi (va peraltro rammentato che una decurtazione del 25 % rinvenibile dall'art. 12 della legge n. 1676 del 1960 relativa alla costruzione di abitazioni per lavoratori agricoli). Qualche parola dovrebbe a questo punto essere dedicata a quei provvedimenti legislativi (r.dJl. n. 3267 del 1923 sui boschi, r.d.1. n. 1606 del 1926 sulla O.N.C., r.d.1. n. 215 del 1933 sulla bonifica integrale) che hanno adottato criteri di indennizzo basati esclusivamente sul reddito (o minor reddito) dei terreni espropriati. Poich per si tratta di norme a portata circoscritta e praticamente esaurita, mi limiter ad una osservazione che qualcuno potr ritenere maliziosa: quando si tratta di pagare le tasse la propriet (sia fondiaria che di qualsiasi altro tipo) si batte perch sia considerato il reddito e soltanto il reddito; quando si tratta di ricevere l'indennit di espropriazione la propriet si batte perch sia considerato il valore-capitale e soltanto questo, salvo variazioni e complicazioni nei casi in cui l'espropriazione serve direttamente ad altri privati, per solito imprenditori. * * * 4. -L'osservazione maliziosa test fatta conduce naturaliter a parlare dei tentativi di collegare l'indennit di espropriazione al valore imponibile determinato ai fini di una imposizione di tipo patrimoniale. Un primo tentativo si avuto in era giolittiana, con l'art. 9 della legge 11 luglio 1907 n. 502 per la citt di Roma. Ivi si disponeva che il Municipio di Roma autorizzato a espropriare le aree fabbricabili comprese nel perimetro del nuovo piano regolatore a un prezzo corrispondente al valore dichiarato dal proprietario delle aree agli effetti della tassa sulle f2 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO aree stesse... (introdotta per tutto il territorio nazionale con legge 8 luglio 1904 n. 320). La disposizione, rimasta nell'ordinamento fino al 1923 -anno in cui la tassa sulle aree fabbricabili stata soppressa e sostituita da contributi di miglioria -, ha avuto non frequente applicazione, anche per la forte litigiosit originata dal tributo cui essa si collegava. Pressoch nulla applicazione ha avuto la semi-ignorata analoga disposizione contenuta nell'art. 13 della legge 5 marzo 1963 n. 246 istitutiva dell'imposta sugli incrementi di valore delle aree fabbricabili. Tra l'altro, in relazione a questa disposizione era obiettato che la minaccia di esproprio costituiva una artificiosa alterazione del normale equilibrio di una imposizione, che non era stata prevista l'ipotesi della omessa dichiarazione da parte del contribuente, e che comunque si stabiliva un distacco temporale troppo ampio tra momento cui la dichiarazione si riferiva e momento dell'espropriazione. Come noto, recentemente una proposta legislativa simile a quella prevista dalla ricordata legge del 1907 stata avanzata, ma ha incontrato un pressoch generale rifiuto. Del resto, sia la legge del 1907 che quella del 1963 avevano posto disposizioni solo facoltativamente utilizzabili (e solo ad iniziativa dei Comuni), non disposizioni di necessaria e generale applicazione. Di necessaria applicazione -e quindi concretamente applicato l'art. 18 della legge 21 ottobre 1950 n. 841 sulla riforma agraria, ove per l'indennit era collegata ad una vicenda fiscale straordinaria e perci puntuale nel tempo, quale l'imposta straordinaria progressiva sul patrimonio -istituita nel 1947. Se si prescinde da quest'ultima legge -di grande riforma pu dirsi che i criteri di determinazione dell'indennit collegati ad imposizioni di tipo patrimoniale si sono rivelati marginali e poco praticabili; la adozione di criteri siffatti appare poco consigliabile anche perch essi effettivamente turbano la struttura ed i meccanismi dell'imposta cui essi sarebbero agganciati e lasciano spazio troppo ampio alla inventiva fraudolenta. Peraltro, qualche opportunit potrebbe presentare una considerazione, in sede di determinazione della indennit, del corrispettivo dichiarato in contratto di trasferimento dell'immobile espropriato quando tale corrispettivo ritenuto inferiore al congruo da accertamento del valore venale compiuto ai fini dell'imposizione di registro; non opportuna invece -aggiunge subito -una considerazione del corrispettivo fatturato ai fini LV.A., il quale (specie quando la operazione effettuata tra imi;irenditori) poco o punto affidabile e per di pi sottratto a rettifica fiscale. Una considerazione -al limite parziale (ad esempio, l'indennit non pu essere inferiore ai tre quarti del prezzo ... ecc.) -del predetto PARTE II, QUESTIONI corrispettivo fiscalmente controllato potrebbe costituire un correttivo all'applicazione di criteri basati esclusivamente o pq:~valentemente sul reddito (effettivo e/o catastale); un correttivo utile a smussare qualche punta di pi evidente sacrificio (si pensi alla ipotesi di un immobile acquistato poco tempo prima della sua espropriazione) (13). Non opportuno sarebbe, per contto, riconoscere un analogo correttivo in relazione alle valutazioni fiscali per l'applicazione della INVIM decennale; tali valutazioni -che oltretutto neppur si traducono in valori di libro -non offrirebbero adeguate garanzie di affidabilit se caricate di significati extrafiscali. * * * 5. -Sin qui si trattato dei criteri di determinazione dell'indennit in termini astratti e generali. Un discorso che si fermasse a questo punto sarebbe. affetto da quelle insufficienze e lacunosit che, all'inizio di questa relazione, si sono contestate al legislatore del 1865. D'altro canto, un discorso che scendesse ad analizzare i vari e mutevoli contenuti delle propriet (al plurale), oltre a risultare non comprimibile nelle dimensioni di questa gi lunga relazione, con ogni probabilit si smarrirebbe tra le onde delle inevitabili conflittualit e nel mare dei riferimenti culturali: malgrado da molti decenni si parli di funzione sociale, non ancora stato definito neppure se questa comprima le propriet dall'esterno (formula questa giustamente ritenuta difensiva della propriet tradizionale) o invece permei dall'interno la struttura e lo spessore delle propriet. Occorre dunque circoscrivere al massimo il tema; e rinunciare a talune delle cautele solitamente praticate dai giuristi che desiderano apparire meri tecnici . Si accennato all'inizio ai contenuti della propriet urbana; ed in effetti qualsiasi criterio che, per la determinazione dell'indennit di espropriazione, si riferisca al valore venale inevitabilmente impatta con il problema dei contenuti anzidetti, e -come si detto -risulta carente ed incompleto se lo rimuove o lo ignora o lo minimizza. Cionondimeno, malgrado oltre un secolo di vertiginoso sviluppo delle citt, ci troviamo -nella effettivit del diritto vivente -privi di esplicite soddisfacenti indicazioni legislative dei criteri da seguirsi, ed ancora nelle mani del giudizio dei periti; quanto alla giurisprudenza della stessa Corte di cassazione, essa appare pi vittima della incertezza della erraticit e persino della fragilit delle leggi, che protagonista di una efficace supplenza . A questo proposito, osservo che il sotto (13) Diversa la considerazione data alla estimation faite par le service de domaines o rsultant de l'avis msi par la commission des oprations immobilires dal primo alinea dell'art. 13-17 del Code de l'expropriation francese. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO titolo del nostro Convegno - verso un nuovo diritto -ci ricorda che il giurista non deve solo classificare catalogare e descrivere. Su queste premesse, oserei rammentare che gi adesso -e quindi senza necessit di un nuovo diritto scritto -l'ordinamento normativo pone un criterio, come si dir generale, per la determinazione dell'indennizzo per l'espropriazione di aree inedificate o di aree sulle quali insistono costruzioni provvisorie o costruzioni da demolire perch contrastanti con l'assetto da imprimere al territorio. Il critel'io enunciato da un triangolo di disposizioni, due delle quali presenti ab origine nella legge urbanistica del 1942, ed una terza disposizione nella stessa legge inserita ad opera della legge-ponte del 1967 (e ritoccata dalla legge Bucalossi del 1977). Quest'ultima disposizione -di diritto urbanistico, ma con ri flessi vistosi sul diritto privato che non pare siano stati ancora apprezzati appieno (14) - posta dai commi primo, terzo e quinto dell'art. 41 quinquies introdotto nella legge urbanistica dall'art. 17 della legge ponte, in parte modificati dall'ultimo comma dell'art. 4 della legge n. 10 del 1977. Trattasi della nota disciplina degli standards generali ope legis, che pone limiti operanti in assenza degli strumenti urbanistici generali alla edificazione sia a scopo residenziale sia di fabbricati produttivi . In pratica, gli standards in questione -differenziati tra centri storici o di pregio ambientale ( le aree libere sono inedificabili), centri abitati perimetrati, ed aree esterne ai centri abitati perimetrati (queste ultime attualmente edificabili scopo residen m3 ziale solo entro il limite volumetrico di 0,03 per metro quadro e per scopi produttivi entro il rapporto di copertura di 1/10) -concernono qualsiasi trasformazione urbanistico-edilizia ad opera di privati ed inoltre gran parte delle trasformazioni urbanistico-edilizie ad opera di soggetti pubblici. Sicch, consentito, anzi doveroso, affermare che gli standards generali definiscono ope legis la misura della edificabilit in assenza di strumenti urbanistici. (14) Probabilmente ci dovuto alla cricostanza che la portata innovativa delle disposizioni delle quali si va a dire, introdotte dalla legge-ponte del 1967, stata molto presto messa in ombra da altre leggi -la n. 865 del 1971, la n. 247 del 1974 e la n. 10 del 1977 -le quali hanno dettagliatamente disciplinato la determinazione dell'indennit di espropriazione, adottando lo strumento del valore agricolo medio della singola regione agraria, come noto moltiplicato -per le aree comprese nei centri urbani edificati -per alcuni coefficienti rigidamente stabiliti ex lege. Soluzione questa carica di intime contraddizioni logico-giuridiche (l'appropriazione privata dei plusvalori al tempo stesso negata e, seppur in misura ridotta, riconosciuta) esplose in corso dei giudizi di legittimit costituzionale. Va comunque osservato che la Corte costituzionale, se ha potuto e dovuto disvelare le contraddizioni di quel meccanismo, non ancora pervenuta (neppure nella sentenza n. 231 del 1984) a formulare suggerimenti tali da precludere la ricerca di soluzioni meno onerose, rectius meno impossibili , dell'integrale ristoro. PARTE II, QUESTIONI Nessuna propriet fondiaria ha dunque in s -a far tempo dal 1967 -un quantum di edificabilit, di suscettivit edificatoria, superiore a quella prescritta dagli standards generali ope legis; solo entro i limiti quantitativi da tali standards fissati pu parlarsi della edificabilit come naturale attributo della propriet fondiaria. Con ogni riserva -s'intende -su quell'aggettivo naturale : giustamente ha scritto Bentham (15) che non esiste propriet naturale, la propriet in tutto e per tutto creatura della legge; a maggior ragione non esiste -sul piano filosofico -una edificabilit naturale. stato rilevato (16) Che la legislazione regionale non pu modificare gli standards urbanistici generali in melius (per i proprietari); a rigore, per vero, una competenza legislativa regionale in materia dovrebbe essere esclusa del tutto, in relazione alla incidenza diretta di detti standards sulle propriet private oltre che e prima che sulla disciplina urbanistica.. Ovviamente, da quanto test detto discende automaticamente -e senza necessit di roboanti proclamazioni circa una totale scissione dello jus aedificandi dalla propriet fondiaria -che tutta la edificabilit in pi consentita dalla approvazione degli strumenti urbanistici generali costituita>>, creata da questi (17). Non avvertito ancora con la necessaria chiarezza e consapevolezza che la delegificazione dei piani regolatori generali operata essen (15) Principles of the civil code, in The works (a cura di J. Bowring), Edimburgh, 1859, vol. I, 308. (16) PREDIERI, La legge 28 gennaio 1977 n. 10, Giuffr, 1977, 42; ITALIA, in La nuova legge sui suoli, Giuffr, 1977, 11; CARULLO, L'edificabilit dei suoli, CEDAM, 1983, 88. (17) Giustamente ha osservato P. STELLA RICHTER, nella pi interessante monografia di diritto urbanistico, pubblicata in questi anni (Profili funzionali dell'urbanistica, ed. Giuffr, 1984, 80), che oramai, per diritto positivo, il piano regolatore non pu pi essere considerato un atto che pone limiti ad una propriet altrimenti tendenzialmente illimitata, ma -proprio al contrario -uno strumento necessario. per sbloccare una situazione di partenza rigorosamente costretta; il rovesciamento di rapporti in tal guisa attuato dal legislatore si rilevato assai importante per .... avviare il lungo cammino verso l'attuazione di una rete completa di piani regolatori su tutto il territorio nazionale . Ancor pi chiaramente lo stesso Autore ha scritto (ivi, 135): L'idea di una edificabilit libera da parte del proprietario, nel rispetto delle eventuali limitazioni introdotte dalla disciplina urbanistica per fini generali, non trova pi riscontro nel sistema della normativa vigente; oggi il piano regolatore si atteggia sostanzialmente come atto che attribuisce facolt di edificare ai proprietari, piuttosto che come atto che comprime o sopprime tali facolt. L'edificabilit propriamente uno dei possibili effetti del potere conformativo della propriet, che si esercita in sede di pianificazione urbanistica . Nello stesso senso, in pre cedenza, SPANTIGATI, Manuale di diritto urbanistico, Giuffr, 1969, 216; cfr. anche AMOROSINO, Vincoli urbanistici ed indennit di esproprio, in Riv. giur., ed, 1984, II, 248. w..-x.. i-;:W'" :n;r:::::m:w:.-=-r-W..ffe'#.4.i:;:::w/."."Vd}}f,.:ix'i'="<:-,iW/,W.z... :". =::::g{<'X"%'~':J::="="/.::i:v~%;f.t"":i~=<-//.=i: <="X.,. m i?~./%'::::: =1"'.;~ 9(~:. **~'-~"wft.w"1'~IJll.liief!lllJ.tffll!;;::~::1,: .-. :-:-0""..&: ~~ w~W"..d"'~,,.......... .-.u.u;--&:W:Z"{::}.. ,,...;:::::::~::-.7.-:::::W&.::..-..x.........ffi"f.v ...,-;g.'f.-ux...Yu..-... .-:1 ~ ::? < I 56 R.\SSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO I zialmente dalla legge urbanistica del 1942 ha dato origine ad una diso I f mogeneit giuridica, che non poco influisce sull'approccio ai temi dei contenuti delle propriet e (di riflesso) della determinazione dell'indennit di espropriazione, tra diritti di propriet fondiaria riconosciuti direttamente dalla legge e per definizione tendenti alla perpetuit ed alla assolutezza -attributi questi divini e perci terribili (come rile II vato da Beccaria e oggi da Rodot) -e prescrizioni poste dagli strumenti generali di pianificazione urbanistica le quali, proprio perch espresse da atti di amministrazione, appaiono caduche ed agevolmente modificabili anche quando non sottoposte a limite prestabilito di durata. Ora, questa disomogeneit pu ritenersi in qualche misura superata e risolta, per certi versi con un ritorno alla situazione che si aveva quando i piani regolatori erano approvati con legge (talvolta includente disposizioni speciali ad hoc in tema di espropriazione), nel momento in cui quello stesso legislatore ordinario statale, cui la Costituzione ha assegnato il compito di riconoscere e garantire la propriet privata e di determinarne i limiti allo scopo di assicurarne la funzione ~:~ sociale e di renderla accessibile a tutti, ha fissato -appunto ape tl=i >.: legis -limiti quantitativi alla edificabilit naturale ed ha stabilito che la edificabilit in pi non naturale alla propriet ~! fondiaria ma costituita dagli strumenti urbanistici generali. lll Il secondo degli angoli del triangolo cui si accennato dianzi dato da una disposizione che in quasi mezzo secolo rimasta un . :: po' in ombra, tanto che essa raramente menzionata nei repertori di giurisprudenza (per solito per escluderne l'applicabilit al caso sub judice) ed distrattamente commentata dagli scrittori: alludo all'art. 38 della legge urbanistica del 1942, articolo che -come noto -recita per la determinazione dell'indennit di espropriazione delle aree di cui all'art. 18 , ossia delle aree inedificate e delle aree su cui insistano costruzioni provvisorie o contrastanti con la destinazione di zona, non si terr conto degli incrementi di valore attribuibili sia direttamente che indirettamente all'approvazione del p.r.g. ed alla sua attuazione . Trattasi di una disposizione antica, specie se si tiene conto dei suoi precedenti storici: l'art. 4 secondo comma e l'art. 5 del r.d.1. 6 luglio 1931 n. 981 di approvazione del piano regolatore della citt di Roma (leggermente diversa la form.lazione contenuta nell'articolo unico del r.d.1. 5 settembre 1938 n. 1623 modificativo delle leggi sui piani regolatori di Milano e di Como); di una disposizione che pu ritenersi persino ultrasecolare se si considera che essa applica ed estende il principio enunciato nell'art. 42 della legge sulle espropriazioni n. 2359 del 1865. A questo proposito doveroso rammentare anche gli artt. 4 e 5 della legge 5 aprile 1908 n. 141 di approvazione del piano regolatore di Torino (disposizioni poi riprese da altre leggi, ad esempio da quella sul piano regolatore di Ancona). Il secondo di questi articoli, e cio PARTE II, QUESTIONI J7 l'art. 5, enuncia il criterio -poi adottato anche dall'art. 4 secondo comma della legge n. 981 del 1931 test citata -secondo cui l'indennit di espropriazione delle aree destinate a strade e piazze dovr sempre ragguagliarsi al puro valore del terreno considerato indipendentemente dalla sua edificabilit. L'art. 4 andato molto pi in l, e ha prescritto (si noti, senza seguito di controversie) la cessione gratuita di suoli al Comune (18). L'art. 38 della legge del 1942 ha dunque precedenti significativi. Esso detta un criterio il cui ambito di applicazione deve ritenersi ormai divenuto generale (questo un passaggio parecchio importante e delicato), nel senso che il criterio enunciato riguarda tutte le espropriazioni di aree inedificate o a queste equiparate, anche quando non disposte (a favore dei comuni) ai sensi dell'art. 18 della legge urbanistica. Nell'art. 38 si parla infatti di aree di cui all'art. 18 e non di espropriazioni di cui all'art. 18 ; e quindi n il riferimento ai comuni n quello alle zone di espansione dell'aggregato urbano hanno -a mio avviso -modo di operare. L'unica condizione richiesta che le espropriazioni siano dipendenti dall'attuazione dei piani regolatori. Del resto, il principio di eguaglianza enunciato dall'art. 3 Cost. non pu essere invocato a senso unico: esso necessariamente comporta -in assenza di ratio particolare o di esplicita disposizione -anche una sia pur tendenziale eguaglianza tra soggeti esproprianti (19). Nei confronti di tutti i soggetti esproprianti il criterio estimativo tende dunque ad essere unitario; e deve preferirsi una interpretazione che, in conformit con l'art. 3 Cost., assegni una portata generale al criterio, del resto equo e razionale, posto dall'art. 38. (18) Giova rammentarne il testo: Addivenendosi dalla citt di Torino alla formazione e sistemazione di nuove vie, o piazze, o corsi, compresi nel piano generale edilizio, sar dovuto, in conformit di quanto sancito dall'articolo 77 della legge 25 giugno 1865, n. 2359, sulle espropriazioni per causa di utilit pubblica, dai proprietari confinanti o contigui il contributo seguente: -ciascuno dei proprietari confinanti con le nuove vie, con le piazze e coi corsi, dovr cedere gratuitamente alla citt il suolo stradale per la larghezza di metri nove per ogni fronte di cui sia proprietario, e, qualora egli non abbia la propriet di detto suolo, sar tenuto a rimborsare alla citt il prezzo che questa dovr pagare per rendersene cessionaria; per le vie di larghezza inferiore ai diciotto metri l'obbligo della cessione del suolo o del rimborso del prezzo resta ridotto alla met della larghezza effettiva della via, sempre per ognuna delle due. fronti ... -i proprietari di terreni sui quali, oltre alle vie e piazze, o corsi, siano nel piano generale edilizio progettati portici, dovranno, oltre i contributi suindicati, lasciare, senza indennit, libere al pubblico transito le zone destinate ai portici, anche prima che questi siano costruiti. (19) Ci stato avvertito anche dalla Corte di cassazione nella ordinanza 27 marzo 1985 di rimessione alla Corte costituzionale del dubbio sulla costituzionalit dell'art. 17 della legge n. 865 del 1971. J8 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Per dimostrare che questo criterio equo e razionale non pare indispensabile ripercorrere una volta di pi le decine di migliaia di pagine scritte da economisti e da giuristi in tema di sviluppo delle citt e rendita fondiaria (nelle sue varie sottospecie, di posizione, di destinazione, ecc.) (20). Mi limito molto brevemente a constatare che il mutamento di destinazione (Nutzungswechsel) prodotto da un fenomeno collettivo tanto complesso e costoso quale l'espansione della citt costituisce una esternalit positiva (21) rispetto alle singole, pi o meno minuscole, propriet individuali, costituisce cio qualcosa che a queste non attiene ab origine (e che neppure stato ad esso aggiunto dall'opera del proprietario). I conseguenti incrementi di valore sono creati dagli altri ed altrove, fuori dai confini territoriali delle singole propriet; negarne l'appropriazione privata da parte del proprietario quindi solo impedire che attraverso detti confini si immetta un quid estraneo ai contenuti originari delle propriet stesse, impedire che la collettivit degli altri >>, degli esclusi >>, paghi una ricchezza che essa stessa ha creato dal nulla. L'art. 38 -appunto -coerente all'orientamento che riconosce carattere espropriativo (soltanto) a quegli interventi sulla propriet non importa se aventi o meno una efficacia generale -i quali impediscano al proprietario l'utilizzazione in atto del suo bene (22); e taH oggettivamente non sono gli interventi progettati dagli strumenti urbanistici per lo sviluppo urbano. Il terzo angolo dell'immaginario triangolo dato dal primo com ma dell'art. 7 della legge urbanistica. Questa disposizione, gi nella originaria stesura del 1942 ha proclamato che i piani regolatori devono (20) Rammento unicamente la raccomandazione approvata dalla Conferenza della O.N.U. sugli insediamenti umani tenutasi a Vancouver nel giugno 1976: Profitti eccessivi risultanti dall'accrescimento del valore dei terreni dovuto all'urbanizzazione ... sono una delle cause di concentrazione della ricchezza in mani private; la fiscalit deve essere considerata ... anche come strumento ... per esercitare un controllo sul mercato fondiario e per redistribuire all'insieme degli abitanti i benefici degli accrescimenti non guadagnati del valore dei terreni. Come noto, largo spazio all'argomento della formazione del valore delle aree stato dedicato da MARSHALL nei suoi Principi di economia (trad. it., UTET, 1972). Egli ha enunciato la contrapposizione tra valore privato>>, formato per l'opera e la spesa del proprietario, e valore pubblico >>, formato per l'azione di soggetti diversi dal proprietario. (21) ... la citt il regno delle esternalit e dei beni pubblici, e quindi il meccanismo del mercato tanto pi incapace di fornire una allocazione efficente delle risorse quanto pi si basi su un assetto istituzionale in cui campeggi la figura tradizionale della propriet privata (GAMBARO, La propriet edilizia, in Trattato di diritto privato, UTET, VII, 1982, 486). (22) D'ANGELO, Limitazioni autoritative della facolt di edificare e diritto all'indennizo, Morano, 1963, 181. PARTE II, QUESTIONI f9 considerare la totalit del territorio comunale. Dopo gli interventi legislativi degli anni Settanta (ed in particolare dopo la legge n. 10 ed il d.P.R. n. 616 del 1977) quello ci.ella globalit divenuto connotato pacifico della pianificazione urbanistica, con superamento dei limiti impliciti nell'art. 1 della legge del 1942. Quotidianamente si usa la espressione governo del territorio, che appunto sintetizza un metodo unitario e totalizzante di amministrazione. Conseguentemente, tutte le trasformazioni edilizie ed urbanistiche, anche -e prime fra tutte -quelle da prodursi mediante opere pubbliche, coinvolgono la pianificazione urbanistica (2), e si traducono o in previsioni di piano regolatore (eventualmente espresse da 'varianti) o, nei casi e nei modi previsti dalla legge (e -s'intende -dalla Costituzione), in provvedimenti statali di pianificazione territoriale per cos dire sovraordinata a quella elaborata in sede locale e regionale (mi riferisco a provvedimenti di cosiddetta urbanistica statale, sui quali egregiamente hanno scritto De Lise e Cerulli Irelli (24). Dunque, tutte o quasi tutte le utilizzazioni del territorio eccedenti la edificabilit naturale della propriet fondiaria (quale fissata dagli standards ape legis) transitano attraverso la pianificazione urbanistica e quindi, per definizione, dipendono dall'attuazione di strumenti urbanistici generali costitutivi della edificabilit in pi; e tutte queste utilizzazioni del territorio conseguentemente rientrano nell'ambito di applicazione dell'art. 38. Il triangolo cos si chiude, e si costruisce a sistema: un sistema che riconosce e garantisce un livello quantitativo di edificabilit naturale intrinseca a tutta la propriet fondiaria ed quindi pi soffice del drastico (e non caducato) penultimo comma dell'art. 16 della legge n. 865 del 1971 che recita nella determinazione dell'indennit non deve tenersi alcun conto dell'utilizzabilit dell'area ai fini dell'edificazione; un sistema che per -al tempo stesso assegna agli strumenti urbanistici generali una efficacia creativa delle edificabilit ulteriori. Si consenta di osservare che, forse, se la sommariamente descritta portata implicita della disciplina degli standards urbanistici generali fosse stata apprezzata appieno fin dal 1967, si sarebbe potuto evitare di caricare l'istituto della concessione edilizia di compiti innovativi che esso si rivelato non in grado di sopportare da solo. Si potr osservare il sistema test proposto perviene -quanto alla incidenza del valore di edificabilit ai fini della determinazione della indennit di espropriazione -ad una soluzione per molti versi (23) SoRACE, L'espropriazione per pubblica utilit, in N.mo Dig. Jt. (appendice), par. 7, e giurisprudenza ivi citata nella nota 15. (24) DE LISE, Disciplina urbanistica e opere pubbliche, in Studi per il centocinquantenario del Consiglio di Stato, Il, Poligrafico, 1981, 917; CERULLI IRELLI, Pianificazione urbanistica e interessi differenziati, Riv. trim. dir. pub., 1985, 386. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 60 simile a quella risultante in Francia per effetto riflesso della normativa sul plafond lgal de densit (come noto rapporto tra superfice dell'area e superfice calpestabile dell'edificato, rapporto fissato in 1: 1 per tutta la Francia, eccettuata Parigi ove di 1: 1,5) (25). In effetti proprio cos, la soluzione logico-giuridica cui si mira la stessa, anche se la edificabilit naturale riconosciuta dai nostri standards urbanistici generali quantitativamente inferiore a quella riconosciuta in Francia dal plafond. Non desidero anticipare quanto meglio di me domani probabilmente in proposito sar detto nelle relazioni sui profili comparativistici; mi limito solo a ricordare che la alinea 2 del II paragrafo dell'art. 13-15 del code de l'expropriation (per tale parte emanato con decreto n. 77 -392 del 28 marzo 1977) chiaramente stabilisce (la traduzione mia): nella valutazione dei terreni qualificati edificabili ai sensi del comma precedente, le potenzialit di edificazione non possono essere considerate superiori a quelle che risultano dal limite legale di densit (ossia dal plafond lgal de densit). Poche parole; ma quanto incisive! Altro vi sarebbe da dire -sempre rimanendo in tema di diritto francese -sulla qualificazione di un terreno come edificabile: osservo soltanto che la nostra Corte costituzionale sembra aver avuto ben presente anche l'anzidetto art. 13-15, quando, nella sentenza n. 231 del 1984, ha aderito all'opinione secondo cui l'edificabilit pu essere desunta, oltre che dall'ubicazione dell'area nel centro abitato, dall'esistenza di strade pubbliche, nelle immediate adiacenze di collegamento con il nucleo urbano, dalla presenza di servizi pubblici necessari alla vita cittadina, e da altri analoghi e puntuali elementi di valutazione. Dovrebbe comunque restare fermo, come rilevato dalla Corte di Cassazione francese (26), che il giudizio sulla qualificazione di un'area come edificabile separato (e preliminare) rispetto al giudizio per la determinazione dell'indennit, e che in questo secondo giudizio opera il limite da plafond (come in Italia potrebbe operare il limite da standards). Va comunque osservato come poco opportuna, oltre che poco corretta sul piano logico, sia una normativa che, per la determinazione dell'indennit di espropriazione, poggi sulla distinzione tra aree edificabili e aree agricole . Purtroppo, per un motivo contingente e tutto considerato futile (l'aver la Corte costituzionale censurato solo i criteri dettati dal legislatore per le aree edificabili), il menzionato testo elaborato dalla VIII commissione del Senato proprio questo fa: se detto testo avesse a divenir legge, la preliminare qualificazione dei singoli terreni, oltre ad ingenerare un voluminoso contenzioso, darebbe parvenza (25) Au-del du plafond lgal de densit l'exercice du droit de construire relve de la collectivit (art. L 112-1 del Code de l'urbanisme). (26) Nella sentenza 3 marzo 1983, riportata in Rass. Avv. Stato, 1984, I, 666. 61 PARTE II, QUESTIONI di legittimazione e diseguaglianze poco o punto giustificate (si pensi a quella iniqua stortura che la attuale disciplina della indennit aggiuntiva a favore dei coltivatori) e potrebbe in prospettiva divenire strumento di aggiramento e svuotamento del criterio della edificabilit legale enunciato nel secondo comma dell'art. 1 (criterio del quale tra breve si dir). In realt, la contrapposizione tra edificabili e " agricole irrazionale: nessun terreno interamente ed illimitatamente edificabile, e solo per pochi terreni la edificabilit totalmente e definitivamente da escludersi. La edificabilit va da un minimo (tendente a zero) ad un massimo (tendente all'infinito), con una gamma a sua volta pure infinita di situazioni quantitative intermedie; la edificabilit dunque una misura quantitativa, non una categoria concettuale qualitativa. Logica ed equit concordemente impongono di stabilire frontiere quantitative (27), corne gi si fatto per gli standards e per il plafond, e come pu farsi riconoscendo piena rilevanza, ai fini della determinazione della indennit de qua, a tutto l'armamentario quantitativo gi disponibile negli strumenti urbanistici (28). * * * 6. -Ovviamente la ricostruzione " di sistema q'ui prospettata non vale di per s ad assicurare il rispetto del principio di eguaglianza: necessariamente, il piano regolatore crea edificabilit in pi per alcuni proprietari soltanto e non per tutti. Ma la disuguaglianza ha origine e causa nello strumento urbanistico, che del resto per sua natura persegue (27) Del resto in una operazione di delimitazione in termini quantitativi si concreta la individuazione e separazione del development value largamente praticata negli U.S.A., che precede il distacco -ivi operato con strumenti pi spesso contrattuali che legislativi -del development right (noi diremmo ius aedificandi). E quantitativa, da noi, la nozione di aree edificabili rinvenibile nella legge 5 marzo 1963 n. 246. (28) Non pare sia stato fatto finora un esercizio di comparazione tra evoluzione della disciplina in materia di edificazione privata ed evluzione della disciplina in materia di acque, risorsa quest'ultima -come il territorio e in genere lo " spazio -scarsa rispetto ai bisogni della (o delle) collettivit e suscettibile di plusvalori determinati dallo sviluppo economico. La pubblicizzazione di tutte le acque che abbiano od acquistino attitudine ad usi di pubblico generale interesse ed il connesso venir meno dei diritti perpetui di derivazione, vicenda che i fragori della prima guerra mondiale hanno attutito ma che ha inciso non poco sulla propriet fondiaria; e la anzidetta attitudine sovente correlata ad una valutazione comparativa (talvolta operata da documenti di pianificazione) di dati quantitativi relativi da un lato ai bisogni di pubblico generale interesse e d'altro lato alle risorse idriche concretamente disponibili. Persino la normativa in tema di oneri per le opere idrauliche, con la nota classificazione di cose, presenta qualche aspetto comparabile con la normativa in tema di opere di urbanizzazione. 62 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO proprio lo scopo di discriminare e selezionare le aree per le diverse destinazioni, non ha origine e causa nella determinazione dell'indennit di espropriazione. Non all'interno di questa indennit che pu essere ricercata ed assicurata la uguaglianza tra i proprietari cui si consente di costruire ed altri proprietari (29). Su questo punto -parecchio importante -sia consentito esprimere un rispettoso ma netto dissenso, sul piano logico-giuridico, rispetto a qualche brano della sentenza n. 5 del 1980 della Corte costituzionale. Ivi si fa un ricorso pervero eccessivo e poco pertinente all'art. 3 Cost.; col risultato di allineare verso l'alto il trattamento da garantire a tutti i proprietari fondiari, e cio di considerare non solo edificabile, ma addirittura edificabile per la pi vantaggiosa deHe destinazioni (l'edificazione privata ad elevata intensit), ogni e qualsiasi centimetro quadrato del territorio. Quasi che fosse possibile costruire dovunque, a tappeto, concretamente senza necessit di strade, spazi pubblici, di opere di urbanizzazione, di infrastrutture di uso collettivo; quasi che la citt non fosse un luogo sociale, dove lo spazio adibibile al privato , se si considerano anche le necessarie distanze tra edifici, quantitativamente molto inferiore a quello occorrente per il collettivo e per una vivibile convivenza. In sintesi, la copertura del territorio con edifici privati costituisce l'eccezione, non la regola; e su una eccezione non pu costruirsi un parametro di eguaglianza. Qualcuno potrebbe avere la sensazione che quanto test sostenuto sia troppo lontano dal diritto vivente >>. Una siffatta sensazione non proprio esatta. La giurisprudenza della Corte di cassazione non univoca; non mancano per pronunce nel senso qui auspicato. Ad esempio, la sentenza 9 agosto 1985 n. 4422 stata cos massimata: Nella determinazione del valore di mercato di un terreno, al fine della liquidazione dell'indennit di espropriazione, non deve tenersi conto dell'incidenza negativa dei vincoli di destinazione che vengano fissati dagli strumenti urbanistici nell'ambito della cosiddetta zonizzazione del territorio, e cio nell'esercizio del potere di disciplinare il godimento della propriet privata per assicurarne la sua funzione anche sociale, atteso che essi, a differenza dei vincoli preordinati a successiva espropriazione, non si traducono in un sacrificio di tipo ablatorio del diritto dominicale su beni determinati, e si sottraggono quindi al principio dell'indennizzabilit posto dall'art. 42 terzo comma Cost. (30). (29) L'attivit espropriativa non attivit di conformazione ' RoDOT, Il terribile diritto cit., 397. Nel senso che le vicende traslative della propriet (o di facolt ad essa inerenti) non riguardano in alcun modo la conformazione di questa, perch hanno necessariamente per oggetto una propriet esistente e quinCJ.i gi conformata '" SoRACE, Espropriazione della propriet e misura dell'indennizzo , Giuffr, 1974, 336. (30) La sentenza (pubblicata in Riv. giur. ed., 1985, I, 736), per pervenire a riconoscere rilevanza alle destinazioni di zona reputa utile, forse nella PARTE II, QUESTIONI 6J Nello stesso senso, la sentenza 2 aprile 1985 n. 2248 ha affermato che in presenza di un preciso .strumento urbanistico, gi in vigore od anche in itinere, questo che costituisce il parametro fondamentale per l'accertamento del carattere agricolo o edificatorio del fondo e dei limiti della sua edificabilit, pur dovendosi tener conto, per la determinazione del valore per i terreni destinati dal piano regolatore ad uso agricolo, della pi proficua utilizzazione dei fabbricati che possono esservi costruiti, ancorch nei pi ristretti indici stabiliti per le zone agricole. Ancora, la sentenza 28 gennaio 1983 n. 776 stata co_s massimata: Ai fini della determinazione dell'indennit espropriativa, va riconosciuta natura edificatoria ad un terreno originariamente agricolo esclusivamente quando lo strumento urbanistico ne preveda la destinazione ad opere di edilizia residenziale privata, ossia quando non solo ne preveda l'edificabilit, ma ne consenta lo sfruttamento allo stesso proprietario, il quale, concorrendo ogni altra condizione, ha diritto di ottenere la concessione edilizia; conseguentemente, se l'unica costruzione prevista nel terreno di cui trattasi quella di un'opera di interesse pubblico e generale, come nel caso di verde pubblico attrezzato, l'indennizzo, in caso di successiva espropriazione, deve tener conto unicamente della natura originariamente agricola del suolo. ricerca di una sintesi tra i diversi orientamenti giurisprudenziali, contrapporle . ai vincoli preordinati a successiva espropriazione , col risultato di scivolare in obiter dieta. Comunque di detta sentenza giova riportare il brano che segue: La zonizzazione opera a monte dei vincoli espropriativi, nel senso che essa, qualificando le singole zone in un certo modo, determina la conformazione giuridica degli inerenti diritti dominicali e rientra, quindi nell'area della riserva (relativa) di legge statuita dall'art. 42, comma 2, della Carta costituzionale, per garantire, mediante interventi legislativi diretti o attributivi di analoghi poteri (istituzionalizzati, in relazione ai programmi di fabbricazione, dall'art. 34 della legge urbanistica) all'autorit amministrativa, l'aderenza della propriet privata alla funzione sociale, che concorre alla sua strutturazione e ne. fonda la copertura istituzionale. Rispetto alle manifestazioni della potest conformativa cos intesa -le quali, proprio perch afferiscono al regime giuridico e, quindi, alla fisionomia stessa del privato assetto proprietario, possono tradursi in provvedimenti che ne delimitano la portata, senza obbligo di indennizzo -il fenomeno espropriativo (nella tradizionale accezione traslativa o nella versione sostanzialistica della diminuzione di valore recepita dalla Corte costituzionale e nella quale tal.ni vincoli espropriativi vengono iscritti) si propone come vicenda ulteriore collegata alla concreta emersione di specifici interessi pubblici, variamente accertati, i quali non sono ascrivibili al modo d'essere astratto della propriet privata, ma, sul presupposto, anzi, che essa, cos come preventivamente conformata dai provvedimenti volti ad assicurarne la funzione sociale, debba, tuttavia, cedere, nei casi singoli, ad esigenze di interesse generale, reclamano la legittimazione del titolare e, dunque, il sacrificio di un diritto (la propriet) che la legge riconosce, pur ammettendone la recessione, e che proprio per questo non avocabile alla collettivit senza indennizzo (art. 42, comma 3, Cost.) . 64 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Nel senso test auspicato sembra orientato, seppure con alcune ambiguit, il secondo comma dell'art. 1 del gi :ricordato testo elaborato dalla VIII commissione del Senato. La prima parte del comma recita per la valutazione della edificabilit delle aree si devono considerare le possibilit legali ed effettive di edificazione . La formula, oltre che non del tutto puntuale sul piano tecnico-legislativo (ad esempio, la edificabilit non oggetto di valutazione, semmai di acclaramento), presenta qualche oscurit quando usa l'endiadi legali ed effettive (anzich solo la parola legali). ben vero che in essa usata la congiuntiva e e non la disgiuntiva o, per H che le parole ed effettive acquisiscono un preciso significato con riferimento alla normativa sui programmi pluriennali di attuazione; tuttavia non pu escludersi che interprestazioni pi favorevoli alla propriet finiscano per assegnare a dette parole, col pretesto di generalizzarne la portata, un significato che attribuisca rilevanza alle possibilit effettive ancorch non ancora divenute legali (31). Non precisa inoltre l'espressione possibilit ... di edificazione. Tali possibilit devono essere riferite ad un soggetto, il privato proprietario (o titolare di equivalente diritto reale); posto che in astratto anche la realizzazione di un'opera pubblica pu essere ritenuta edificazione , la disposizione diverrebbe ingestibile (e cio in pratica caduca) se non fosse riferita soltanto alle specifiche possibilit di edificazione privata . Perplessit ancora maggiori suscita la seconda parte del comma, ove si legge possibilit ... preesistenti all'apposizione del vincolo preordinato all'esproprio . Anzitutto, perch essa utilizza una nozione tormentata e, tutto considerato, poco precisa, anzi di dubbia validit concettuale -malgrado il grande uso che anche di recente se ne fatto (32) qual la nozione vincolo; le norme fondamentali della legislazione urbanistica poggiano piuttosto sulla nozione di destinazione e su determinazioni quantitative della edificabilit (in termini di volumetrie (31) Una ambiguit per molti versi simile si rinviene nella sentenza n. 5 del 1980 della Corte costituzionale. In essa si legge dapprima che il sistema normativo ... demanda alla pubblica autorit ogni determinazione sul se, sul come e anche sul quando ... dell'edificazione e che relativamente ai suoli destinati dagli strumenti urbanistici all'edilizia residenziale privata ... l'avente diritto pu solo costruire entro i limiti, anche temporali, stabiliti dagli strumenti urbanistici " Poco dopo si qualifica esatto il criterio di determinazione dell'indennit in base al valore effettivo del bene esorooriato ... in relazione alle sue caratteristiche ed alla sua destinazione economica . Anche l v' dunque un giuoco di aggettivi equivoci, quali effettivo ed economica. (32) Si allude soprattutto alla sentenza n. 92 del 1982 della Corte Costituzionale, commentata -per solito criticamente -da molti scrittori (tra gli altri, l'autore della presente relazione, con la nota Un altro colpo alla legge Bucalossi, n. 10 del 1977, in Rass: Avv. Stato, 1982, I, 644). 65 PARTE II, QUESTIONI o di rapporti di copertura) che sulla noizone, molto grezza,_ di vincolo . A fortiori, ancor meno corretta e meno coerente con le grandi linee della legislazione urbanistica la sub-nozione cli vincolo preordinato all'esproprio: le prescrizioni urbanistiche sono tutte e parimenti preordinate, per definizione, all'assetto del territorio, e non pare configurabile, se non in termini molto empirici, una speciale categoria di prescrizioni urbanistiche preordinate all'esproprio (33). Quand'anche si ritenesse di superare tutti questi scrupoli concettuali rimarrebbero le difficolt determinate dalle parole preesistenti all'apposjzione del vincolo . In primo luogo esse potrebbero finire per condizionare l'operativit dell'intero comma: potrebbe infatti sostenersi che in assenza di apposizione di vincolo preordinato esso non si applica affatto, conclusione questa piuttosto grave dal momento che non tutto il territorio nazionale coperto da strumenti urbanistici abilitati a prescrivere localizzazioni e che la durata dei vincoli stata resa relativamente breve mediante il ripescaggio della legge n. 1187 del 1968. In secondo luogo, esse consolidano e rendop.o perpetuo il vantaggio dei proprietari di aree al presente non (o non pi) assoggettate a localizzazioni; gli strumenti urbanistici generali avrebbero cos una perpetuit a senso unico, sarebbero al tempo stesso temporanei per quanto limitano le possibilit di edificare ed eterni per quanto le riconoscono. In terzo luogo, esse (le parole preesistenti all'apposizione del vincolo) sembrano ignorare completamente i programmi pluriennali di attuazione, e tutto quanto questi vietano ed impongono. Ed infine -quel che pi rileva -tali parole, se interpretate alla lettera hanno una portata sostanzialmente retroattiva le cui conseguenze sono persino tanto assurde da risultare incredibili: l'indennit per una espropriazione dovrebbe, per caso, considerare anche fumose aspettative di coloro che molti anni prima, anteriormente all'apposizione del vincolo, pensavano di poter costruire? Lo scopo pratico della seconda parte del comma palesemente quello di salvaguardare posizioni che, con parecchia grossolanit, potremmo denominare diritti quesiti, e -pi in generale -di evitare che le prescrizioni urbanistiche di localizzazione divengano espediente abu (33) Una diversit di funzioni ,, tra prescrizioni di zona della cui gamma i cosidetti vincoli di inedificabilit sono solo una tra le moltissime specie e previsioni di ~ocalizzazione di opere pubbliche ravvisata da AMOROSINO, op. cit., 260. Va peraltro rammentato che la nozione di aree assoggettate ... a vincolo di inedificabilit o destinate ad opere e spazi pubblici ovvero ad interventi di edilizia residenziale pubblica ... si rinviene ora nell'art. 4 secondo comma della legge 28 febbraio 1985 n. 47, e che nel successivo art. 7 sesto comma si parla di terreni sottoposti ... a vincolo di inedificabilit (nozione questa ritenuta pi circoscritta dell'altra da GIUFFR, Sanatoria e repressione degli abusi edilizi, Jovene, 1985, 28). 66 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO sivamente praticato per ridurre o magari aumentare (ipotesi quest'ultima da non escludere a priori) l'entit delle indennit di espropriazione. Scopo senza dubbio meritevole di essere perseguito, ma mediante una disposizione meglio e pi cautamente formulata. Ad esempio, potrebbe scriversi: L'edificabilit delle aree determinata avendo riguardo unicamente alle possibilit di edificazione riconosciute al proprietario dalla legge o dagli strumenti urbanistici, com preso il programma pluriennale di attuazione, in vigore nel giorno di emissione dell'atto che dichiara od implica la pubblica utilit dell'opera o dell'intervento ovvero che altrimenti adibisce l'immobile all'uso pubblico o di pubblico interesse. Non si tiene conto, tuttavia, delle prescrizioni urbanistiche che impongono o fanno venir meno, in tutto o in parte, la localizzazione di edifici pubblici o di uso pubblico o di opere o impianti di interesse collettivo o sociale o la destinazione a spazi di uso pubblico o che comunque riducono o aumentano le volumetrie o le superfici edificabili ad opera del privato quando sono state emanate nei cinque anni anteriori alla predetta data di riferimento e sono state preordinate a modificare l'ammontare dell'indennit di espropriazione. In conclusione, un nuovo diritto che -senza l'ambizione di ridisciplinare tutto ab avo -si limitasse a rafforzare l'orientamento giurisprudenziale dianzi riferito e ad indebolire il diverso orientamento che invece reputa doversi prescindere dall'incidenza negativa delle prescrizioni urbanistiche o almeno di alcune di esse, un nuovo diritto siffatto incontrerebbe forse minori resistenze e sarebbe ben difficilmente attaccabile da sospetti di lillegittimit costituzionale. A questo punto, vi sarebbe da trarre qualche conclusione di sintesi da tutto questo discorso che potrebbe e dovrebbe continuare ben oltre il tempo oggi disponibile (si pensi, ad esempio, all'argomento data di riferimento dell'indennizzo, che deve essere per il momento accantonato). Ritengo per che non sia il caso di sottrarvi ancora .minuti preziosi per rappresentare una conclusione di sintesi che, forse a torto, riterrei agevolmente ricostruibile e quindi superflua. Ringrazio per la cortese attenzione. i 1 I I I LEGISLAZIONE I -NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI r.d.l. 3 marzo 1938, n. 680, art. 67, nella parte in cui non prevede la facolt di riscattare il servizio prestato in qualit di assistente volontario nelle universit o negli istituti di istruzione superiore. Sentenza 12 marzo 1986, n. 46, G. V. 19 marzo 1986, n. 11. r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 26, primo, secondo e terzo comma, nella parte in cui. si assoggettano al reclamo al tribunale, nel termine di tre giorni decorrenti dalla data del decreto del giudice delegato anzich dalla data della comunicazione dello stesso debitamente eseguita, i provvedimenti del giudice delegato alla amministrazione c::ontrollata con contenuto decisorio sui diritti soggettivi. Sentenza 24 marzo 1986, n; 55, G. V. 26 marzo 1986, n. 12. r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 98, primo comma, nella parte in cui stabilisce che i creditori esclusi o ammessi con riserva possono fare opposizione entro quindici giorni dal deposito dello stato passivo anzich dalla data di ricezione delle raccomandate con avviso di ricevimento con le quali il curatore deve dare notizia dell'avvenuto deposito ai creditori che hanno presentato domanda di ammissione al passivo. Sentenza 22 aprile 1986, n. 102, G. V. 30 aprile 1986, n. 17. r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 100, primo comma, nella parte in cui ciascun creditore pu impugnare i crediti ammessi con ricorso al giudice delegato entro quindici giorni dal deposito dello stato passivo in cancelleria anzich dalla data di ricezione delle raccomandate con avviso di ricevimento con le quali il curatore deve dare notizia dell'avvenuto deposito ai creditori che hanno presentato domanda di ammissione al passivo. Sentenza 22 aprile 1986, ri. 102, G. V. 30 aprile 1986, n. 17. legge 14 marzo 1961, n. 132, art. l, nella parte in cui esclude dal beneficio della riversibilit della pensione il vedovo di pensionata gi dipendente del cessato regime austro-ungarico o dell'ex Stato libero di Fiume. Sentenza 12 marzo 1986, n. 49, G. V. 19 marzo 1986, n. 11. d.P.R. 14 febbraio 1964, n. 237, art. 134, secondo comma, nella parte in cui stabilisce che i reati previsti dagli artt. da 157 a 163 del codice penale militare di pace appartengono alla cognizione dell'autorit giudiziaria militare quando siano commessi da iscritti di leva. Sentenza 24 aprile 1986, n. 112, G. V. 30 aprile 1986, n. 17. legge 15 dicembre 1972, n. 772, art. 11, nella parte in cui stabilisce che gli obiettori di coscienza ammessi a prestare servizio sostitutivo civile siano sottoposti alla giurisdizione dei tribunali militari. Sentenza 24 aprile 1986, n. 113, G. V. 30 aprile 1986, n. 17. 12 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 21 febbraio 1980, n. 28, art. 5, terzo comma, n. 3, e d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 50, n. 3, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui non contemplano tra le qualifiche da ammettere ai giudizi di idoneit gli aiuti e gli assistenti dei policlinici e delle cliniche universitarie, nominati in base a pubblico concorso, che, entro l'anno accademico 1979-80, abbiano svolto per un triennio attivit didattica e scientifica, quest'ultima comprovata da pubblicazioni edite documentate dal preside della facolt in base ad atti risalenti al periodo di svolgimento delle attivit medesime. Sentenza 14 aprile 1986, n. 89, G. U. 23 aprile 1986, n. 16. d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 50, n. 3 e legge 21 febbraio 1980, n. 28, art. 5, terzo comma, n. 3, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, nella parte, in cui non contemplano tra le qualifiche da ammettere ai giudizi di idoneit gli aiuti e gli assistenti dei policlinici e delle cliniche universitarie, nominati in base a pubblico concorso, che, entro l'anno accademico 1979-80, abbiano svolto P.er un triennio attivit didattica e scientifica, quest'ultima comprovata da pubblicazioni edite documentate dal preside della facolt in base ad atti risalenti al periodo di svolgimento delle attivit medesime. Sentenza 14 aprile 1986, n. 89, G. U. 23 aprile 1986, n. 16. legge 25 luglio 1984, n. 377, art. 2, primo comma. Sentenza 23 aprile 1986, n. 108, G. U. 30 aprile 1986, n. 17. d.l. 7 febbraio 1985, n. 12, art. 1, ottavo e nono comma [convertito in legge 5 aprile 1985, n. 118]. Sentenza 23 aprile 1986, n. 108, G. U. 30 aprile 1986, n. 17. d.l. 7 febbraio 1985, n. 12, art. 1, commi 9-bis, 9-ter, 9-quater e 9-quinquies [convertito in legge 5 aprile 1985, n. 118]. Sentenza 23 aprile 1986, n. 108, G. U. 30 aprile 1986, n. 17. codice di procedura civile, art. 328, nella parte in cui non prevede tra i motivi di interruzione del termine di cui all'art. 325 del c.p.c. la morte, la radiazione e la sospensione dall'albo del procuratore costituito, sopravvenute nel corso del termine stesso. Sentenza 3 marzo 1986, n. 41, G. U. 12 marzo 1986, n. 10. codice di procedura penale, art. 263, secondo comma (testo sostituito in forza dell'art. 6 della legge 12 agosto 1982, n. 532), nella parte in cui non riconosce all'imputato il diritto di proporre appello contro l'ordinanza che rigetta l'istanza di revoca del mandato di cattura. Sentenza 23 aprile 1986, n. 110, G. U. 30 aprile 1986, n. 17. codice di procedura penale, art. 263, secondo comma (testo sostituito in forza dell'art. 18 della legge 28 luglio 1984, n. 398), nella parte in cui non riconosce all'imputato il diritto di proporre appello contro l'ordinanza che rigetta l'istanza di revoca del mandato di cattura. Sentenza 23 aprile 1986, n. 110, G. U. 30 aprile 1986, n. 17. I I I I PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZCONE II -QUESTIONI DICHIARATE NON FONDATE Codice di procedura civile, art. 429, terzo comma (artt. 1, 3, 4, 34, 35, 36 e 97 della Costituzione). Sentenza 24 marzo 1986, n. 52, G. U. 26 marzo 1986, n. 12. codice penale, art. 505 (artt. 3 e 41 della Costituzione). Sentenza 24 marzo 1986, n. 53, G. U. 26 marzo 1986, n. 12. codice di procedura penale, artt. 146, 314 e 317 (art. 13 della Costituzione). Sentenza 24 marzo 1986, n. 54, G. U. 26 marzo 1986, n. 12. codice di procedura penale, art. 500 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Sentenza 26 marzo 1986, n. 63, G. U. 9 aprile 1986, n. 14. r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 21 (art. 53 della Costituzione). Sentenza 26 marzo 1986, n. 65, G. U. 9 aprile 1986, n. 14. r.d.l. 8 maggio 1924, n. 745, art. 99 (artt. 3 e 36 della Costituzione). Sentenza 2 aprile 1986, n. 73, G. U. 16 aprile 1986, n. 15. r.d. 17 agosto 1935, n. 1765, art. 49, secondo comma (artt. 23 e 35 della Costituzione). Sentenza 14 aprile 1986, n. 88, G. U. 23 aprile 1986, n. 16. d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 151, lett. d) (art. 76 della Costituzione). Sentenza 12 marzo 1986, n. 47, G. U. 26 marzo 1986, n. 12. legge 15 febbraio 1958, n. 46, art. 11, secondo comma (art. 3 della Costi tuzione). Sentenza 2 aprile 1986, n. 72, G. U. 16 aprile 1986, n. 15. legge 21 marzo 1967, n. 158, articolo unico (artt. 25, 41 e 42 della Costituzione). Sentenza 3 marzo 1986, n. 42, G. U. 12 marzo 1986, n. 10. legge 2 ottobre 1967, n. 895, art. 2 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 26 marzo 1986, n. 62, G. U. 9 aprile 1986, n. 14. d.P.R. 31 marzo 1971, n. 276, artt. 1, primo comma, lett. b), limitatamente alle parole al compimento dei quali il rapporto risolto di diritto , e 4 (artt. 3, 4, 35 e 97 della Costituzione). Sentenza 3 marzo 1986, n. 40, G. U. 12 marzo 1986, n. 10. 72 """"""" oou.'AVVOCATin