ANNO XXI -N. 6 NOVEMBRE -DICEMBRE 1969 ANNO XXI -N. 6 NOVEMBRE -DICEMBRE 1969 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Pubblicazione bimestrale di servizio ROMA I ISTITUTO POLIGRAFICO DELLO STATO ~ i: i: . 1969 iI A ABBONAMENTI ANNO .. . L. 7 .500 UN NUMERO SEPARATO .............. 1.300 Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: LIBRERIA DELLO STATO -PIAZZA G. VERDI, 10 -ROMA e/e postale 1/40500 Stampato in Italia -Printed in Italy Autorizzazione Tribunale di Roma -Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 (9211201) iR.oma, 1969 -Istituto Poligrafico dl1Jilo Stato P. V. INDICE Parte prima:, GIURISPRUDENZA Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE {a cura dell'avv. Michele Savarese} pag. 993 Sezione seconda: GIURISPRUDENZA SDIZIONE {a cura SU QUESTIONI DI GIURIdell'avv. Benedetto Baccari) I046 Sezione terza: GIURISPRUDENZA CIVILE {a cura tro de Franciscij dell'avv. Pie I 066 Sezione quarta: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA {a cura del/' avv. Ugo Gargiulo) . I 085 Sezione quinta: GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA {a cura del/'avv. Giuseppe Angelini Rota e del/'avv. Carlo Bafile) 1111 Sezione sesta: GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE PUBBLICHE, APPALTI E FORNITURE {a-cura dell'avv. Franco Carusij . 1182 Sezione settima: GIURISPRUDENZA PENALE {a cura dell'avv. Antonino Terranova} I 194 Parte seconda: QUESTIONI -RASSEGNE -CONSULTAZIONI -NOTIZIARIO RASSEGNA DI DOTTRINA (a cura del/'avv. Luigi Mazzella) . . . pag. 193 RASSEGNA DI LEGISLAZIONE (a cura dell'avv. Arturo Marzano) 196 CONSULTAZIONI 221 NOTIZIARIO 230 La pubblicazione diretta dall'avvocato: UGO GARGIULO ,ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI AZZARITI Giorgio, In tema di proponibilit del giudizio di ottemperanza avverso una decisione amministrativa non ancora passata in yindir.ato . . . . . . . . . . . . . . CARUSI F., Sospensione dei lavori e riserve dell'appaltatore . DONADIO G., Natura giuridica del Fondo Speciale per gli usi di beneficenza e religione della citt di Roma . . . . FERRI P. G., Annullamento di un provvedimento di revoca e preteso risarcimento dei danni . . . . . . PALATIELLO A., Appunti intorno al divieto del bis in idem e all'efficacia riflessa del giudicato penale . . ROSSI A., Osservazioni sull'-ammissione con riserva dei crediti di imposta nel passivo fallimentare . . SICONOLFI L., Illeciti in materia forestale 1s pag. 1094 1184 1211 1046 1199 1120 1194 INDICE ANALITICO -ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA ACQUE PUBBLICHE -Alvei dei fiumi e dei torrenti Concetto -Demanialit, 1080. ADOZIONE -Adozione speciale -Accertamento della situazione di abbandono -Disparit di trattamento tra minori segnalati prima e dopo l'ottavo anno -Illegittimit costituzionale -Esclusione, 1004. AMMINISTRAZIONE DELLO STATO -Uffici -Organizzazione -Operativit della riserva di legge di cui all'art. 97 Cost. -Limiti, 1094. APPALTO -Appalto di opere pubbliche -Richieste dell'appaltatore di maggiori compensi per il prolungamento della durata dell'appalto conseguente a sospensione dei lavori per fatto dell'Amministrazione -Onere della riserva immediata dell'appaltatore -Esclusione, con nota di F. CARUsI, 1184. ARBITRATO -Appalti di opere pubbliche disciplinati dal Capitolato generale approvato con d. P. R. 16 luglio 1962, n. 1063 -Fondamento ex lege della competenza arbitrale alternativa a quella del G. O. Sussiste, 1182. -Appalti di opere pubbliche disciplinati dal Capitolato generale approvato con d. P. R. 16 luglio 1962, n. 1063 -Natura processuale dell'art. 47 del predetto Capitolato -Sussiste -Potere di scelta fra la competenza arbitrale e quella del G. O. -Diretta spettanza all'Avvocatura dello Stato -Sussiste, 1182. -Sentenza arbitrale -Impugnativa -Nullit per violazione delle regole di diritto -Concetto, 1077. ARRICCHIMENTO SENZA CAUSA .-Presupposti Consenso della parte danneggiata -Insussistenza, 1069. ATTO AMMINISTRATIVO -V. Competenza e giurisdizione, Giustizia amministrativa. COMPETENZA E GIURISDIZIONE -Appalto per la riscossione delle imposte di consumo -Provvedimento di decadenza dell'appaltatore inadempiente -Controversia -Competenza dell'autorit giudiziaria ordinaria, 1057. -Espropriazione per pubblica utilit -Retrocession -Espropriazione non preordinata all'esecuzione di opere pubbliche -Inammissibilit della retrocessione, 1060. -Giudice ordinario in sede civile e penale -Ripartizione di competenza -Inderogabilit, 1066. -Atto amministrativo di revoca Lesione di diritti soggettivi -Insussistenza, con nota di P. G. FERRI, 1046. -Retrocessione di beni espropriati per l'esecuzione. di opera pubblica -Ipotesi in cui un intero fondo sia rimasto inutilizzato -Necessit della dichiarazione amministrativa di inservibilit, 1060. -Spese di mantenimento in carcere -Controversie -Competenza funzionale del giudice penale, . 1066. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO VI -Tariffe dei servizi pubblici di trasporto in concessione -Poteri dell'Amministrazione, con nota di P. G. FERRI, 1046. CONFLITTO DI ATTRIBUZIONI -V. Sicilia. COSA GIUDICATA -Efficacia del giudicato per uno dei coimputati nei confronti degli altri ~ Divieto del bis in idem -Limiti di tale divieto Riesame della responsabilit del coimputato assolto con sentenza irrevocabile - ammesso ai fini di rivalutare le responsabilit degli altri, con nota di A. PALATIELLO, 1198. -V. anche Giustizia amministrativa. COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA -V. anche Adozione: Edilizia Economica e Popolare, Finanza locale, Friuli-Venezia Giulia, Impiegati dello Stato, Impiego pubblico, Imposta di registro, Previdenza ed assistenza, Reato, Sicilia, Trentino-Alto Adige, Valle d'Aosta. DEMANIO -V. Acque pubbliche. EDILIZIA POPOLARE ED ECONOMICA. -Commissione di vigilanza -Decisione -Esecuzione da parte del Commissario governativo -Fattispecie, 1089. -Cooperativa edilizia -Controversie sulla qualit di socio e sulla iscrizione di un richiedente nell'elenco degli aspiranti soci Competenza della Commissione di vigilanza per l'edilizia popolare ed economica, 1089. -Procedimento sugli sfratti per morosit -Termine per l'opposi zione all'ingiunzione -Violazione del diritto di difesa -Illegittimit costituzionale parziale, 1043. -Procedura espropriativa di cui alla Legge 18 aprile 1962, n. 167 -Decreto di espropriazione -Requisiti di legittimit, 1090. -V. anche Espropriazione per p.u. ENTI PUBBLICI -Organo collegiale -Illegittima composizione -Principio della validit degli atti del funzionario di fatto -Inapplicabilit, 1087. -Organo collegiale -Illegittima composizione del collegio -Interesse alla impugnativa, 1086. -Organo collegiale -Illegittima partecipazione alla seduta di un estraneo -Discussione -Prova di resistenza Inammissibilit, 1086. ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILIT -Dichiarazione di p. u. -Deposito del provvedimento per quindici giorni -Criterio di osservanza del termine, 1091. -Edilizia popolare ed economica Piani per l'edilizia economica e popolare -Attuazione -Dichiarazione di pubblica utilit -Non occorre, 1090. -Occupazione temporanea d'urgenza -Revoca -Motivazione perplessa -Illegittimit, 1090. -Procedura illegittima -Revoca prefettizia degli atti illegittimi e inizio di nuova procedura Legittimit, 1091. -V. anche Competenza e giurisdizione, Edilizia popolare ed economica, Giustizia amministrativa, Piano regolatore. EDILIZIA -Licenza edilizia -Potere del Sindaco in ordine ai lavori in corso -Non sussiste, 1088. INDICE VII -Licenza edilizia -Poteri attribuiti all'autorit pubblica -Revoca e sospensione della licenza, 1087. - Programma di fabbricazione Natura -Contenuto -Vincoli di inedificabilit o di particolare destinazione contenuti nel programma -Illegittimit, 1087. - Regolamento comunale -Poteri concessi al Sindaco inordine alle licenze gi concesse -Impugnativa dei provvedimenti del Sindaco -Impugnativa del regolamento, 1087. FALLIMENTO -Liquidazione coatta amministrativa -Impugnativa di sentenza in tema di insinuazioni tardive di crediti -Termini ordinari, 1082. -V. anche Imposte e tasse in genere. FERROVIE - V. Obbligazioni e contratti. FINANZA LOCALE -Imposta di consumo -Definizione amministrativa delle trasgressioni -Illegittimit costituzionale parziale, 996. FRIULI-VENEZIA GIULIA -Zona faunistica delle Alpi Estensione della normativa alle Provincie di Udine e Pordenone -Violazione della riserva di legge in materia penale -Esclusione, 999. GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA -Atto definitivo -Diniego di nulla osta da parte della Soprintendenza ai monumenti per costruzione edilizia -Non atto definitivo, 1092. -Atti impugnabili -Atti della espropriazione precedenti il de creto del Prefetto -Impugnabi lit -Esclusione, 1092. -Eccesso di potere per perplessit ed insufficiente motivazione Fattispecie, 1092. -Giudicato -Esecuzione -Annullamento di gara per affidamento della Gestione di caff ristoratore -Fattispecie, con nota di GIORGIO AzzARITI, 1094. -Giudicato -Esecuzione -Ricorso ex art. 27 n~ 4 t. u. n. 1054 del 1924 -Decisione del Consiglio di Stato impugnata con ricorso per Cassazione -Proponibilit, con nota di GIORGIO AZZARITI, 1094. IMPIEGO PUBBLICO -Prescrizione biennale degli stipendi ed assegni -Illegittimit costituzionale della normativa Esclusione, 1002. -Impiegato dello Stato -Quote di aggiunta di famiglia -Non spettanza pei figli ricoverati presso ' istituti di istruzione e di educazione -Illegittimit costituzionale -Esclusione, 1023. IMPOSTA DI CONSUMO - V. Finanza locale. IMPOSTA DI REGISTRO -Agevolazioni ex art. 24 legge 28 febbraio 1949, n. 43 in favore della Gestione Ina-Casa -Mancata comminatoria espressa di decadenza -Irrilevanza, 1118. -Agevolazioni ex art. 24 legge 28 febbraio 1949, n. 43 in favore della Gestione Ina-Casa -Risoluzione consensuale di appalto Decadenza dalle agevolazioni accordate all'appalto -Si verifica, 1118. -Associazione in partecipazione Base imponibile -Conferimento dell'uso temporaneo di immobili -Tassazione riferita al valore della propriet degli immobili Legittimit, 1171. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO -Cessioni di crediti verso la pubblica Amministrazione in relazione a finanziamenti concessi da aziende ed enti di credito a favore di ditte commerciali' e industriali -Aliquota ridotta Correlazione fra i negozi -Criteri di determinazione -Apprezzamento del giudice di merito Fattispecie, 1175. -Decadenza dai benefici fiscali per mancata registrazione nei termini di legge -Ambito di applicazione -Riduzioni accordate dalla legge organica di registro -Applicabilit, 1115. -Divieto di pronuncia per i giudici di base ad atti non registrati -Atti da registrare in caso d'uso -Illegittimit costituzionale -Esclusione, 1034. -Divieto di rilascio e di pronuncia in base a sentenze non registrate -Riferibilit anche alla tassa di titolo -Illegittimit costituzionale, 1034. -Enunciazione -Enunciazione giudiziale e convenzionale contenuta in sentenza -Ammissibilit, 1153. -Enunciazione -Enunciazione in sentenza -Atto enunciato soggetto a registrazione in caso d'uso Tassabilit -Sussiste, 1153. - Occultamento di valore -Prova, 1150. Societ -Aumento di capitale Delibera dell'assemblea e sottoscrizione delle azioni -Rilevanza ai fini tributari della delibera -Benefici fiscali di natura soggettiva spettanti ai sottoscrittori delle azioni -Inapplicabilit per la tassazione dell'aumento di capitale, 1142. -Societ -Aumento di capitale Delibera dell'Assemblea e sottoscrizione delle azioni -Sistema di tassazione, 1142. Societ -Trasferimento di quota di societ a responsabilit limitata -Tassa fissa ex art. 108 tariffa all. A -Pagamento contestuale del prezzo -Necessit -Nozione, 1169. . -Solidariet tributaria -Prescrizione -Pendenza del giudizio di opposizione all'ingiunzione o del ricorso alle commissioni tributarie -Interruzione permanente Efficacia nei confronti degli altri coobbligati solidali -Sussistenza, con nota di F. PAGANO, 1178. -Tabella allegato B alla legge organica di registro -Natura, 1115. -Vendita coatta -Vendita con incanto e vendita senza incanto Accertamento di valore -Inapplicabilit, 1111. IMPOSTA DI SUCCESSIONE -Deduzione di passivit -Atti di data certa -Necessit, 1164. -Dilazione del pagamento -Acquiescenza alla imposizione -Insussistenza -Successiva impugnazione giudiziaria dell'accertamento -Proponibilit, 1127. IMPOSTA GENERALE SULL'ENTRATA Istanza di rimborso proposta oltre il termine dell'art. 47 legge n. 762 del 1940 -Azione giudiziaria -Onere delle spese, 1137. - Istanza di rimborso -Provvedimento amministrativo di non accoglimento per intempestivit ex art. 47 legge n. 762 del 1940 Azione giudiziaria -Termine semestrale di decadenza -Inapplicabilit, 1136. IMPOSTE E TASSE IN GENERE. -Circolare ministeriale -Valore Riconoscimento del diritto del contribuente Impossibilit, 1162. Contenzioso -Decisione della Commissione Centrale che annulla l'accertamento -Proponibilit dell'azione giudiziaria da parte dell'Amministrazione, 1132. -Fallimento -Credito tributario ammesso nel passivo con riserva della decisione della Commissione Centrale -Impugnativa giudiziaria avverso la decisione Improponibilit, con nota di A. Ross1, 1120. INDICE IX -Imposte dirette -Dichiarazione a sanatoria dei redditi degli anni anteriori al 1950 -Facilitazioni -Si estendono anche ai redditi da dichiarare quale sostituto di imposta, 1165. Imposte indirette -Prescrizione Consolidazione del criterio di tassazione, 1157. -Imposte indirette -Riscossione Ingiunzione -Posizione processuale delle parti -Poteri dell'ente creditore di mutare il titolo della pretesa, 1153. INFORTUNI SUL LAVORO - V. Previdenza e assistenza. ISTRUZIONE PUBBLICA - V. Valle d'Aosta. LOCAZIONE - V. Obbligazioni e contratti. OBBLIGAZIONI E CONTRATTI. -Convenzioni tra l'Amm.ne F.S. e le Aziende private di ferrovie e tranvie in concessione -Maggiorazioni dei canoni e corrispettivi disposte con d. I. 2 agosto 1946, n. 70 -Transazioni -Applicabilit, 1077. - Pubblica Amministrazione -Forma scritta -Necessit -Locazione -"Rinnovazione tacita Inammissibilit, 1069. OPERE PUBBLICHE - V. Appalto, Arbitrato. ORGANO COLLEGIALE - V. Enti pubblici. PECULATO -Elementi differenziatori del reato di truffa aggravata -Possesso giuridico del danaro -Pres. Cons. Amm. Fondo Speciale per usi' di beneficenza e di religione della citt di Roma -Decreto Ministero Interno che autorizza i pagamenti -Induzione in errore Iter formativo di atto amministrativo complesso, con. nota di G. DoNADIO, 1211. PIANO REGOLATORE -Comune di Napoli -Espropriazioni nella c. d. zona industriale del porto di Napoli -Eccezione di illegittimit costituzionale della normativa di tali espropriazioni in relazione all'art. 42 Cost. Manifesta infondatezza, 1093. -Comune di Napoli -Espropriazioni nella zona industriale del porto di Napoli -Nulla osta del Provveditore regionale alle 00. PP. al rilascio delle licenze edilizie da parte del Comune -Non vale come rinuncia all'espropriazione, 1093. -Comune di Roma -Legge sul piano regolatore -Piani particolareggiati -Varianti -Procedimento -Poteri del Governo, 1085. -Comune di Roma -Piano regolatore generale Decreto di espropriazione -Indennit -Legittimit costi.tuzionale della norma di cui all'art. 4, terzo comma 1. 24 marzo 1932, n. 355, in relazione all'art. 42, terzo comma Cost. -Nozione di indennizzo, 1085. Comune di Roma -Piano regolatore generale -Piani particolareggiati -Termine finale di efficacia, 1085. POSTE E TELECOMUNICAZIONI -Assegni di conto corrente postale -Mora -Atto di costituzione in mora -Atto di protesto -Idoneit alla costituzione in mora del debitore ai sensi dell'articolo 1219 -Esclusione, 1073. PRESCRIZIONE -V. Impiego pubblico, Imposta di registro. J RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO PREVIDENZA E ASSISTENZA -Infortuni sul lavoro -Agenti delle imposte di consumo -Esclusione dall'assicurazione obbligatoria fino al 10 gennaio 1966 Illegittimit costituzionale, 1025. -Pensioni di previdenza sociale Divieto di cumulo con la retribuzione -Illegittimit costituzionale per le pensioni di vecchiaia -Infondatezza della .questione per le altre pensioni, 1027. PROCEDIMENTO CIVILE -Notificazioni -Notificazione alla persona giuridica -Consegna nel luogo indicato in una dichiarazione del destinatario corrispondente alla sede effettiva della societ - regolare, 1157. PROCEDIMENTO PENALE -Accertamenti ed operazioni tecniche compiute dalla polizia giudiziaria -Mancanza di garanzie difensive -Illegittimit costituzionale parziale, 1013. -Nullit -Interrogatorio dell'imputato avanti P.M., e mancata assistenza di legale abilitato alla professione forense -Nomina di ufficio -Difensore di fiducia, con nota di G. DoNADIO, 1211. -Prelievo di campioni ed analisi per reati riguardanti frodi nelle sostanze agrarie -Procedimento di revisione delle analisi -Fase preliminare al giudizio -Mancanza di garanzie difensive -Illegittimit costituzionale parziale, 1014. -Procedimento direttissimo per reati di stampa -Violazione del principio della precostituzione del Giudice e del diritto di difesa -Esclusione, 1006. -Relazione fra accusa contestata e sentenza -Mutamento essenziale e significativo del fatto Diritto alla difesa, con nota di G. DONADIO, 1211. REATO -Relazione adulterina e concubinato -Violazione del principio di eguaglianza fra i coniugi Illegittimit costituzionale, 1009. -Reato forestale -Dpenalizzazione -Sussiste, con nota di L. S1coNOLFI, 1194. SICILIA Conflitto di attribuzioni -Riscossione delle imposte -Servizio di meccanizzazione .dei ruoli erariali e non erariali -Spetta alla Regione, 1022. -Legge regfonale a favore dei borsisti frequentatori dell'Istituto del restauro -Preferenza assoluta nell'impiego -Illegittimit costituzionale -Mancata indicazione della copertura finanziaria Esclusione, 1039. SOCIET -V. Imposta di registro. TRENTINO-ALTO ADIGE -Provincia di Bolzano -Tutela del paesaggio -Necessit delle norme di attuazione dello Statuto Illegittimit costituzionale della normativa -Esclusione, 993. VALLE D'AOSTA -Esami di maturit, abilitazione e licenza media -Obbligo di svolgimento delle prove nella sola lingua italiana -Violazione della parit linguistica francese -Illegittimit costituzionale, 1031. VENDITA -V. Imposta di registro. INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA CORTE COSTITUZIONALE 15 luglio 1969, n. 136 . . . 20 novembre 1969, n. 141 . 20 novembre 1969, n. 142 . 20 novembre 1969, n. 143 . 3 dicembre 1969, n. 145 . 3 dicembre 1969, n. 146 . 3 dicembre 1969, n. 147 . 3 dicembre 1969, n. 148 . 3 dicembre 1969, n. 149 . 17 dicembre 1969, n. 150 . 17 dicembre 1969, n. 151 . 17 dicembre 1969, n. 152 . 22 dicembre 1969, n. 155 . 22 dicembre 1969, n. 156 . 22 dicembre 1969, n. 157 . 22 dicembre 1969, n. 158 . 22 dicembre 1969, n. 159 . GIURISDIZIONI CIVILI CORTE DI CASSAZIONE Sez. I, 25 ottobre 1968, n. 3493 Sez. I, 23 aprile 1969, n. 1289 . . Sez. I, 30 aprile 1969, n. 1415 . . Sez. I, 21 giugno 1969, n. 2205 . . Sez. Un., 26 giugno 1969, n. 2289 . Sez. Un., 27 giugno 1969, n. 2310 . Sez. I, 18 luglio 1969, n. 2662 . . Sez. Un. 29 luglio 1969, n. 2885 . Sez. Un., 31 luglio 1969, n. 2908 . . Sez. III, 10 settembre 1969, n. 3093 . Sez. Un., 22 settembre 1969, n. 3120 Sez. Un., 4 ottobre 1969, n. 3174 . Sez. I, 16 ottobre 1969, n. 3336 . Sez. I, 28 ottobre 1969, n. 3535 . Sez. I, 28 ottobre 1969, n. 3536 Sez. I, 30 ottobre 1969, n. 3586 . Sez. I, 30 ottobre 1969, n. 3597 . Sez. I, 30 ottobre 1969, n. 3598 . Sez. I, 11 novembre 1969, n. 3670 pag. 993 996 999 1002 1004 1006 1009 1013 1014 1022 1023 1025 1027 1031 1034 1039 1043 pag. 1111 1115 1118 1120 1046 1137 1127 1057 1060 1066 1132 1136 1142 1150 1153 1157 1162 1164 1165 i I J RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Sez. I, 11 novembre 1969, n. 3671 (in nota a Cass. 1.1 novembre 1969, n. 3670) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 1165 Sez. I, 14 novembre 1969, n. 3706 . . . . . . . . . . . . . 1169 Sez. I, 14 novembre 1969, n. 3707 (in nota a Cass. 14 novembre 1969, n. 3706) . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1169 Sez. I, 14 novembre 1969, n. 3708 (in nota a Cass. 14 novembre 1969, n. 3706) . . . . . . . . . . . . . . . . 1169 Sez. I, 14 novembre 1969, n. 3709 (in nota a Cass. 14 novembre 1969, n. 3706) . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1169 Sez. I, 14 novembre 1969, n. 3710 (in nota a Cass. 14 novembre 1969, n. 3706) . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1169 Sez. I, 14 novembre 1969, n. 3711 (in nota a Cass. 14 novembre 1969, n. 3706) . . . . . . . . . . . . . . . . 1169 Sez. I, 14 novembre 1969, n. 3712 (in nota a Cass. 14 novembre 1969, n. 3706) . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1169 Sez. I, 14 novembre 1969, n. 3713 (in nota a Cass. 14 novembre 1969, n. 3706) . . . . . . . . . . . . . . . . 1169 Sez. I, 14 novembre 1969, n. 3714 (in nota a Cass. 14 novembre 1969, n. 3706) . . . 1169 Sez. I, 22 novembre 1969, n. 3802 . 1171 Sez. I, 13 dicembre 1969, n. 3938-. 1069 Sez. I, 13 dicembre 1969, n. 3943 . 1073 Sez. I, 13 dicembre 1969, n. 3951 . 1077 Sez. I, 13 dicembre 1969, n. 3955 . 1080 Sez. I, 13 dicembre 1969, n. 3957 . 1082 Sez. I, 19 dicembre 1969, n. 4007 . 1175 Sez. I, 19 dicembre 1969, n. 4006 (in nota a Cass. 19 dicembre 1969, n. 4007) . . . 1175 Sez. I, 19 dicembre 1969, n. 4008 (in nota a Cass. 19 dicembre 1969, n. 4007) . . . 1175 Sez. I, 19 dicembre 1969, n. 4009 (in nota a Cass. 19 dicembre 1969, n. 4007) . . . . . 1175 Sez. I, 22 dicembre 1969, n. 4022 . 1182 CORTE D'APPELLO Napoli, 12 giugno 1969, n. 3831 pag. 1178 LODO ARBITRALE 4 ottobre 1969, n. 56 (Roma) . ...... pag. 1184 GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE CONSIGLIO DI STATO Sez. IV, 29 settembre 1969, n. 439 . pag. 1085 Sez. IV, 29 settembre 1969, n. 446 1086 Sez. IV, 29 settembre 1969, n. 457 INDICE XIII Sez. IV, 29 settembre 1969, n. 464 Sez. IV, 10 ottopre 1969, n. 502 Sez. IV, 17 ottobre 1969, n. 505 Sez. IV, 21 ottobre 1969, n. 519 Sez. IV, 21 ottobre 1969, n. 523 Sez. IV, 21 ottobre 1969, n. 525 Sez. IV, 21 ottobre 1969, n. 568 Sez. IV, 21 ottobre 1969, n. 571 Sez. VI, 27 giugno 1969, n. 319 GIURISDIZIONI PENALI CORTE DI. CASSAZIONE Sez. III, 25 ottobre 1968, n. 1410 Sez. IV, 3 giugno 1969, n. 1772 . Sez. VI, 8 luglio 1969, n. 1637 . . .. pag. 1089 1090 1090 1091 1092 1092 1093 1094 1094 pag. 1194 1198 1211 j ----.. J SOMMARIO DELLA PARTE SECONDA RASSEGNA DI DOTTRINA SOMMARIO DELLA PARTE SECONDA RASSEGNA DI DOTTRINA ALmRANDI T., La sindacabilit. del provvedimento amministrativo nel processo penale, Jovene, Napoli, 1969 . . . . . F. BENVENUTI e G. MIGLIO, L'unificazione amministrativa ed suoi protagonisti, Neri Pozza Editore, 1969 . . . . . . pag. 193 194 RASSEGNA DI LEGISLAZIONE Leggi e decreti (segnalazioni) . . ....... pag. 196 NORME SOTTOPOSTE A GtUDIZIO DI LEGITTIMIT COSTITUZIONALE -Norme dichiamte incostituzionali: codice penale, art. 559, terzo e quarto comma; art. 560 primo, secondo e terzo comma, art. 561, art. 562, primo comma, secondo e terzo comma; art. 563 . . . . codice di procedura penale, art. 134, secondo comma, art. 222, secondo comma, art. 223 primo comma, articolo 231, primo comma, art. 234 . . . . . . . . . r. d. 30 dicembre 1923, n. 3269, artt. 117 e 118, r. d. 13 gennaio 1936, n. 2313 . . . . . . . . . . . r. d. 1. 15 ottobre 1925, n. 2033, art. 44, legge 27 febbraio 1958, n. 190 . . . . . . . . . . . . . . . r. d. 14 settembre 1931, n. 1175, art. 66 . . . . r. d. 28 aprile 1938, n. 1165, art. 32, terzo e settimo comma ............ . legge 27 febbraio 1958, n. 190, art. 1 d. P. R. 2 ottobre 1960, n. 1378 d. P. R. 2 gennaio 1962, n. 912, articolo unico legge 30 aprile 1962, n. 283, art. 1 . . . . d.P. R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 199, comma ................ . secondo legge 4 luglio 1967, n. 580, art. 42 . . . . . legge 18 marzo 1968, n. 238, art. 5 lettera a e b d. P. R. 27 aprile 1968, n. 488, art. 20, lettere a e b, artt. 21 e 23 . . . . . . . . . . . . . . . . . . d. 1. 15 febbraio 1969, n. 9, art. 5, terzo e quarto comma, art. 6, primo, secondo e terzo comma . legge reg. sic. appr. 17 luglio 1969, art. 5 ..... . -Norme delle quali stata dichiarata non fondata la questione di legittimit. costituzionale: codice civile, art. 314/4 . . . . codice di procedura penale, art. 502, primo e secondo comma ............... . 196 197 197 197 198 198 198 198 199 199 199 199 200 200' 200 201 201. 201 INDICE xv r. d. 30 dicembre 1923, n. 3269, artt. 106 e 118 . pag. 201 r. d. 30 dicembre 1923, n. 3269, artt. 106, 108 e 118, primo comma, n. 2 . . . . . . . . . . . . . . . 202 r. d. I. 15 ottobre 1925, n. 2033, artt. 41, 42, 43, 45 e 46 202 d. I. 19 gennaio 1939, n. 295, art. 2, primo comma . . . 202 d. lg. lgt. 21 novembre 1945, n. 722, art. 2, sesto comma 202 legge 8 febbraio 1948, n. 47, art. 21, terzo comma . 202 legge 18 ottobre 1959, n. 945, art. 1 . . . . . . 203 legge 30 dicembre 1959, n. 1234, articolo unico . . 203 legge 13 novembre 1960, n. 1407, art. 13 . . . . . . 203 legge reg. Friuli-Venezia Giulia 10 maggio 1966, n. 5 203 legge reg. sarda 22 agosto 1967, n. 16 . . . . . 203 legge 18 marzo 1968, n. 238, art. 5 lettere b e c . 203 d. P. R. 27 aprile 1968, n. 488, art. 20, lettera e 204 -Norme delle quali stato promosso giudizio di legittimitd costituzionale . . . . . . . . . . . . . 204 -Norme delle quali il giudizio di legittimitd costituzionale stato definito con pronunce di estinzione, di inammissibilitd, di manifesta infondatezza o di restituzione degli atti al giudice di merito . . . . . . . . . . . . . . 220 INDICE DELLE CONSULTAZIONI (secondo l'ordine di materia) Acque pubbliche pag. 221 Ferrovie pag. 225 Amministrazione Pub-Imposta di bollo 225 blica 221 Imposta di consumo 225 Appalto . . . . . . 221 Imposta di registro 225 Comuni e Provincie 222 Imposta di ricchezza Concessioni Ammini-mobile 226 strative . 222 Imposte di successione 226 Contabilit Generale Imposte e tasse 226 dello Stato 223 Imposte varie . 227 Contributi . 223 Invalidi di guerra . 227 Demanio 223 Poste e telegrafi 227 Donazione 224 Prescrizione . 228 Espropriazione per Procedimento civile 228 pubblica utilit 224 Strade 228 Esecuzione forzata 225 Trasporto . 229 NOTIZIARIO . . pag. 230 ."! ' PARTE PRIMA 2 i I I GIURISPRUDENZA SEZIONE PRIMA GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE (*) CORTE COSTITUZIONALE, 15 luglio 1969, n. 136 -Pres. Branca - Rel. Fragali -Tirelli (avv. Barbato) e Provincia di Bolzano (avv. Guarino). Trentino Alto-Adige -Provincia di Bolzano -Tutela del paesaggio Necessit delle norme di attuazione dello Statuto -Illegittimit costituzionale della normativa -Esclusione. (Cost. VIII disp. trans.; St. spec. Trentino-Alto-Adige art. 95; 1. prov. Bolzano 24 luglio 1957, n. 8). Non fondata la questione di legittimit costituzionale della legge della Provincia di Bolzano 24 luglio 1957, n. 8 suUa tutela del paesaggio per la mancanza delle norme di attuazione sul trasferimento delle relative funzioni dallo Stato alla Provincia (1). (Omissis). - 2. -La parte privata invoca per senza fondamento l'VIII disposizione transitoria della Costituzione per sostenere che, in ordine alla materia del paesaggio, era necessaria l'emanazione di norme (1) La questione, cui rimasta estranea l'Avvocatura, era stata sollevata con ordinanza 3 novembre 1967 della V Sezione del Consiglio di Stato (Gazzetta Ufficiale Io giugno 1968, n. 138). interessante l'affermazione di massima contenuta nell'ultima parte di motivazione della sentenza, secondo cui, quando lo Statuto delimita con precisione l'oggetto della potest legislativa che essa attribuisce alla Regione o alla Provincia autonoma, la fonte statutaria deve ritener,si suffici. ente a conferire direttamente alla Regione o alla Provincia i poteri legislativi o amministrativi relativi a quella materia. La sentenza, ricordata in motivazione, 30 maggio 1963, n. 76, leggesi in Giur. cost., 1963, 629 e nota di CRISAFULLI, In tema di trasferimento alle Regioni delle funzioni amministrative. La sentenza 9 maggio 1968, n. 56, sulla non indennizzabilit (relativa) dei vincoli a tutela del paesaggio nella Provincia di Bolzano, pubblicata in questa Rassegna, 1968, 662. (*) Alla redazione delle massime e delle note di questa sezione ha collaborato anche l'avv. RAFFAELE CANANzi. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO di attuazione dello Statuto. La suddetta disposizione impone norme del genere esclusivamente per il trasferimento delle funzioni amministrative; e il suo testo infatti esige leggi dello Stato solo per regolare il passaggio delle funzioni statali per ogni ramo della pubblica amministrazione , di funzioni cio che, per lo stesso significato delle parole usate, non possono essere di potere legislativo. Nella sentenza 24 maggio 1963, n. 76 la Corte afferm che la norma transitoria succitata proclama la necessit di una attuazione coordinata dei princpi costituzionali dell'autonomia e del decentramento regionale; ma lo afferm con riferimento ad una legge regionale che riguardava unicamente l'esercizio di funzioni amministrative. E ci a parte il problema della riferibilit della norma alle regioni a statuto speciale; pr'oblema cui la Corte, nella sentenza 9 maggio 1961, n. 22, accenn per una soluzione negativa. Non concludente ai fini del decidere l'art. 95 dello Statuto del Trentino-Alto Adige, che prevede in via generica norme di attuazione da emanarsi .con decreto legislativo. Cos disponendo lo Statuto ha regolato la forma che avrebbe dovuto assumere l'atto normativo, ove fosse stato necessario: sarebbe illogico intenderlo nel senso che abb:a voluto imporre l'emanazione di norme di esecuzione per tutte le materie statutarie, perch si arriverebbe all'assurdo di giudicare che esse sono state previste anche per il caso in cui il testo statutario avesse avuto in s piena completezza e non avesse reclamato integrazioni o specificazioni. In tali ipotesi norme di attuazione non potrebbero mai emanarsi, per mancanza di oggetto; e nelle ipotesi stesse la competenza regionale o provinciale non potrebbe mai esercitarsi non ostante l'assenza di dubbi nei limiti della stessa. 3. -Sono queste ultime considerazioni che fanno eisdudere la assolutezza del principio invocato dalla parte privata: lo stesso Consiglio di Stato ha riconosciuto che questo non insuperabile, e si limitato a porre in dubbio che la fattispecie rientri fra le eccezioni, sotto il profilo che la legge provinciale ha causato sottrazione di funzioni agli uffici statali e quindi trasferimento di tali funzioni ad uffici della provincia. La Corte, sintetizzando il suo pensiero nella sentenza 9 marzo 1962, n. 14, ritenne che l'esigenza delle norme di attuazione si manifesta nel bisogno di dar vita, nell'ambito delle ben definite autonomie regionali, ad una organizzazione dei pubblici uffici e delle pubbliche funzioni che si armonizzi con l'organizzazione dello Stato nell'unit dell'ordinamento giuridico. Ora, nella specie, non si enunciano concrete esigenze del genere. Lo Statu,to della regione Trentino-Alto Adige, all'art. 13, statuisce che, nelle materie e nei limiti in cui la regione o la provincia pu emanare norme legislative, le relative potest amministrative, che in base all'ordinamento preesistente erano attribuite allo Stato ovviamente non lo erano pi in base allo Statuto, dovevano intendersi cio passate PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 995 alla regione o alla provincia per la forza immediata dell'atto concessivo dell'autonomia. Non vale opporre che la legge denunziata riconosce la necessit di coordinamenti fra la competenza provinciale e la competenza statale perch statuisce all'art. 7 che i provvedimenti relativi ad opere pubbliche e ad opere dichiarate di pubbHca utilit dallo Stato o dalla regione debbono essere adottati di concerto con le amministrazioni interessate. La regola ovvia, cosicch sarebbe stato inutile inserirla in norme di attuazione; tanto pi che i termini di quel concerto potrebbero essere definiti solo caso per caso. Non si chiadsce poi quali ulteriori norme di integrazione o di ,specificazione sarebbero state necessarie, oltre la previsione predetta: altrettanto ovvio, che, fino a quando l'accordo con le amministrazioni statali non si raggiunga, ogni provvedimento provinciale mancherebbe del crisma della legittimit e sarebbe stata altres inutile una norma di attuazione che avesse disposto in tal senso. Ugualmente deve ragionarsi per ogni altra ipotesi in cui un provvedimento della provincia venisse ad incidere su beni appartenenti allo Stato o su materie di competenza dello stesso. Comunque non sarebbe logico ritenere, che fino a quando non si emanino prescrizioni del genere riguardo ad ipotesi astratte di incidenza dell'interesse statale, alla provincia rimanga inibito di esercitare la sua competenza esclusiva per quelle altre ipotesi Che in concreto non coinvolgano interessi statali. La sentenza di questa Corte del 19 aprile 1962, n. 37, ha potuto dare alla competenza della provincia di Bolzano in materia di paesaggio il limite dell'interesse della difesa militare non ostante l'assenza di norme d'attuazione; e pertanto deve contestarsi che questa mancanza rechi nell'attivit amministrativa provinciale germi di pregiudizio alla protezione degli interessi estranei all'organo autonomo. Concorre a far ritenere esatta tale affermazione, non solo il fatto Che, nella materia predetta, unicamente nel caso deciso con la sentenza da ultimo citata, si profilato, nell'arco di un dodicennio, un conflitto di attribuzioni con i poteri dello Stato, ma l'ulteriore circostanza che il governo, nel memorandum alle Nazioni Unite ricordato dalla provincia, fond anche sulla legge denunziata la prova dell'esercizio dell'autonoma potest provinciale in modo ampio e regolare, cos attestando che l'e.sercizio effettivo di quella potest, o non turba gli interessi statali, o non ne impedisce la protezione. Con ci non si intende certo dire che l'apprezzarp.ento discrezionale governativo possa di per Si escludere la necessit delle norme di attuazione ove in realt ve ne sia bisogno, ma si intende dire che, essendo stata attribuita alla provincia una materia ben definita (e ben definita anche sulla base della legge statale 22 maggio 1939, n. 823, che quella provinciale ricalca), l'inutilit dell'emanazione di norme di attuazione provata dalla situazione di fatto; la quale non ne ha espresso mai la 1:196 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO I necessit e non ha prospettato mai l'esigenza di armonizzazione di competenze. Proprio la mancanza in Bolzano di un ufficio .statale di attribuzioni limitate al territorio della provincia esclude che la legge denunziata abbia disposto dell'organizzazione dello Stato; la competenza poi della sovraintendenza di Trento, stata direttamente incisa dallo Statuto regionale, e rimane piena per la cura di quegli interessi che l'esercizio della funzione provinciale non deve mai compromettere. La competenza provinciale, per quanto esclusiva, trova sempre in quegli interessi un limite invalicabile: lo si ripete per ribadire i concetti espressi nella ricordata sentenza del 19 aprile 1962, n. 37 e nell'altra anteriore del 21 gennaio 1957, n. 23, anch'essa riguardante materia di competenza regionale primaria. Con che la Corte precisa il suo punto di vista sull'argomento. Sono le circostanze che indicano se e in che limiti l'esplicazione di potest legis'lativa da parte di una regione o di una provincia autonoma in materia di propria competenza sia condizionata all'emanazione di norme di attuazione dello statuto. In via di massima, quando delimita con precisione l'oggetto della potest legislativa che essa attribuisce alla regione o alla provincia autonoma, la fonte statutaria deve ritenel'si sufficiente a conferire direttamente alla regione o alla provincia i-poteri legislativi e amministrativi relativi a quella materia (sente.nza 18 novembre 1958, n. 58); cosicch la VIII disposizione della Costituzione, se applicabile nell'mbito degli statuti speciali, riguarda il passaggio alle regioni o alle province autonome di quelle funzioni amministrative dello Stato che non possono ravvisarsi direttamente ad esse trasferite dallo statuto, e in ogni caso concerne il trasferimento alle regioni o alle province autonome di funzionari e di dipendenti dello Stato. 4. -L'altra questione, quella della legittimit dell'art. 7 della legge provinciale, in relazione al successivo art. 15, in quanto al vncolo di inedificabilit non corrisponde un indennizzo, stata decisa dalla Corte con la sentenza 9 maggio 1968, n. 56 nel senso della non fondatezza. Non si propongono motivi nuovi, n la Corte trova. ragioni per ritornare sul suo giudizio. -(Omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 20 novembre 1969, n. 141 -Pres. Branca, Rei. Rossi -Principi (n. C.) e Presidente del Consiglio dei Ministri (Sost. avv..gen. dello Stato Chiarotti). Finanza locale -Imposta di consumo -Definizione amministrativa delle tras1;1ressioni -Illel;1ittimit costituzionale parziale. (Cost., art. 113; t.u., 14 settembre 1931, n. 1175, art. 66, quarto comma). Lq, norma deH'art. 66 de! testo unico suita finanza locate, ap.provato con r.d. 14 settembre 1931, n. 11175, che consente L'obtazione amministra PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTXTUZIONALE E INTERNAZIONALE 997 tiva deUe trasgressioni punibili con la sola pena dell'ammenda, non contrsta con gli artt. 3 e 24 della Costituzione; essa, peraltro, in contrasto con l'art. 113 della Costituzione nell'inciso contenuto nel quarto comma e non compete gravame davanti all'autorit giudiziaria (1). (Omissis). -Il pretore di Recanati ha sottoposto all'esame della Corte la questione di legittimit costituzionale dell'art. 66 del testo unico p.er la finanza .locale sotto i seguenti profili: a) che il potere discrezionale all'autorit amministrativa di ammettere o meno un soggetto all'oblazione, potrebbe violare il principio costituzionale di uguaglianza nonch l'art. 113 della Carta, essendo espressamente escluso il sindacato giurisdizionale su di esso; b) che il suddetto potere, implicando la valutazione della sussistenza dell'estremo della frode, .elemento discretivo tra i delitti e le contravvenzioni in tema di imposte di consumo, potrebbe dar luo~o all'esercizio di funzioni giurisdizionali e alla preclusione dell'azione penale, in contrasto con gli artt. 102 e 112 della Costituzione; c) che il denunciato procedimento di oblazione, condizionando l'esame della domanda di conciliazione al previo deposito di una cauzione (art. 236 del regolamento) violerebbe il diritto di difesa. 1. -Va in primo luogo rilevato che la norma impugnata, con l'attribuire al Sindaco o alla Commi>sslone consorziale il potere di determinare volta per volta la somma da versare a titolo di oblazione, soddisfa all'esigenza di adeguare il disposto normativo alla particolarit del caso concreto, il che indispensabile per realizzare nei suoi veri termini il principio di uguaglianza, che s'.i traduce, in siffatti casi, in un principio di giusta proporzione (sentenza n. 95 del 1967). Aggiungasi, per quanto attiene al pi ampio potere di decidere se ammettere o meno un soggetto alla conciliazione amministrativa, che esso non si risolve in una mera facolt non legittimando la norma impugnata un trattamento differenziato di caisi uguali. Invero l'esercizio di tale potere, regolato dai comuni princpi che assicurano la legittimit dell'azione amministrativa, suscettibile di riesame mediante i ricorsi amministrativi. Non pu tuttavia ignora11si che la dtsposizione impugnata, pur ammettendo espressamente i ricorsi amministrativi contro la dedsione sull'istanza di oblazione, sembra aver voluto escludere ogni forma di ulteriore tutela giurisdizionale mediante l'inciso e non compete gravame davanti all'autorit giudiziaria. (1) La questione era stata proposta con ordinanza 24 aprile 1968 del Pretore di Recanati (Gazzetta Ufficiale 6 luglio 1968, n. 170). La precedente sentenza pronunciata dalla Corte in tema di conciliazione amministrativa 8 luglio 1967, n. 95 pubblicata in questa Rassegna, 1967, 518. X , m iiif:X , . .X X 998 RASSEGNA DELL1AVVOCATURA DELLO STATO Tale disposto contrasta con il principio costituzionale secondo cui ocntro gli atti della pubblica amministrazione sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa (art. 113 Cost.). Eliminato il predetto inciso, la discrezionalit in esame, del cui esercizio la pubblica amministrazione deve dar conto, certamente sindacabile in sede di controllo giurisdizionale di legittimit ed il privato pu in tal modo far accertare l'eventuale vizio di disparit di trattamento, skch si palesa insussistente l'asserita violazione dell'art. 3 della Costituzione. Esula poi dalla competenza di questa Corte l'esame dei limiti tem porali entro i quali l'istanza di conciliazione amministrativa pu essere presentata. 2. -Deve ancora riaffermarsi il principio che non pu dirsi esercizio di giurisdizione il potere di valutazione, che, come nel caso della istanza di oblazione, viene attribuito all'autorit amministrativa, potere che, pur importando una valutazione del ,singolo caso, rimane di natura amministrativa e si svolge prima ed al di fuori del processo giurisdizionale (sentenza n. 95 del 1967). N pu ritenersi che la facolt della pubblica amministrazione di conciliare la trasgressione in caso ravvisi l'insussistenza della frode, precluda necessariamente l'esercizio dell'azione penale per delitto da parte degli organi che ne sono investiti qualora ne rkorrano gli estremi. Invero l'avvenuta oblazione non pu impedire l'azione penale per una imputazione a titolo di delitto, per fattispecie riconosciute diverse e delittuose dall'organo giudiziario. Si palesa quindi insussistente anche l'asserita violazione degli articoli 102 e 112 della Costituzione. 3. -In ordine, infine, al preteso contrasto tra l'art. 24 della Carta e l'onere di versare una cauzione perch l'istanza di oblazione possa essere presa in esame, occorre osservare, da un lato, che la richiesta garanzia non incide sul diritto alla tutela giudiziale di colui che ritenga di non aver commesso akuna infrazione, il quale .potr far valere tutte le sue ragioni, senza oneri, nel procedimento penale; dall'altro, che il versamento di una modesta somma a garanzia soddisfa l'esigenza di evitare domande meramente dilatorie e non contrasta, secondo il costante orientamento della Corte, con l'invocato art. 24 della Costituzione. N pu ignorarsi che un eventuale conflitto tra la norma di legge impugnata e la disposizione regolamentare, che prevede la suddetta cauzione (art. 236 citato r.d.), rientra nella competenza dell'autorit giudiziaria ordinaria. -(Omissis). I I 00 I ~ ~ .:= PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 999 CORTE COSTITUZIONALE, .20 novembre 1969, n. 142 -Pres. Branca Rel. Crisafulli -Marconato ed altri (rt. c.) e Presidente Regione Friuli-Venezia Giulia (avv. Carbone). Friuli-Venezia Giulia -Zona faunistica delle Alpi -Estensione della normativa alle Provincie di Udine e Pordenone -Violazione della riserva di legge in materia penale -Esclusione. (Cost., art. 25; I. reg. 10 maggio 1966, n. 5). Non fondata, con riferimento al principio della riserva d.i legge in materia penale, la questione di legittimit costituzionale della legge regionale del Friuli-Venezia Giulia 10 maggio 1966, n. 5, che estende alle provincie di Udine e Pordenone la disciplina dettata dalla legislazione statale per la zona faunistica delle Alpi, poich le sanzioni penaU continuano ad avere appiicazione per forza propria, in qualsiasi luogo in cui sia legittimamente vigente il rispettivo regime giuridico (1). (Omissis). -3. -La questione non fondata. Per giungere a questa conclusione non necessario riprendere in esame il problema generale della riserva istituita dal secondo comma dell'art. 25 della Costituzione n quello dei limiti che ne derivano alla potest legislativa delle Regioni anche se a statuto speciale, con particolare riferimento a materie (come quella in oggetto) la regolamentazione delle quali consi,ste, per la loro intrinseca natura, di autorizzazioni, limiti e divieti: che sarebbero vanificati se sprovvisti di adeguata sanzione. Nella specie oggi sottoposta al giudizio della Corte, infatti, la Regione altro non ha fatto se non esercitare la competenza legislativa primaria ad essa attribuita dall'art. 4 della legge costituzionale 31 dicembre 1963, n. 1, assoggettando l'intera Provincia di Udine e quella di Pordenone alla disciplina (1) La questione era stata sollevata, in via incidentale, da varie ordinanze di giudici di merito. La sentenza, pure in assenza dell'intervento dell'Avvocatura, merita una particolare segnalazione, perch tocca la delicata tematica del raccordo fra la competenza legislativa delle Regioni e la normativa penale che resta pur sempre riservata allo Stato. La Corte ha ritenuto di non dovere affrontare, per ora, il problema frontale della configurabilit di una competenza ad esclusione dell'altra, ed ha preferito, dato che la fattispecie gliene offriva la possibilit, risolvere la questione incidendo sul presupposto di fatto su cui la normativa statale opera, cio la determinazione del perimetro della zona faunistica delle Alpi. E poich non era contestabile la potest legislativa regionale in materia di caccia, la conclusione adottata appare ineccepibile. Pi delicata si presenterebbe la questione a fronte di una produzione legislativa regionale che, rprevedendo, in materia riservata alla Regione, autorizzazioni, limiti e divieti, per non renderli vanificati -come la 1000 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO giuridica sostantiva dettata dal testo unico del 1939 per la zona faunistica delle Alpi. Per conseguire tale risultato, la Regione ha operato mediante rinvio, facendo proprio il contenuto delle disposizioni legislative statali sulla zona delle Alpi. Va da s che le sanzioni penali continuano a ricevere applicazione, per forza propria, ossia come sanzioni poste da leggi statali, in qualsiasi luogo .in cui .sia legittimamente vigente il rispettivo regime giuridico, e perci anche nelle Province di Udine e Pordenone, dal momento che a. quel regime anch'esse sono state sottoposte. Non fa differenza che la legge statale intervenga successivamente a comminare .sanzioni penali per l'inosservanza di norme regionali o che, invece, come nel caso presente, tali sanzioni gi esistano nella legislazione statale, identicamente operando cosi nell'ipotesi di trasgressione delle norme poste dalle leggi dello Stato, come nell'ipotesi di trasgres. sione di norme regionali posteriormente emanate ed aventi -nella .specie -lo stesso contenuto e lo stesso oggetto di quelle (tratte come sono, per rinvio, secondo si detto, dalle disposizioni del t.u. del 1939). Tanto Pi che il testo unico non determina esso stesso, direttamente, l'ambito territoriale della zona faunistica delle Alpi, ma ne rimette la determinazione -nel restante territorio nazionale -a decreti del Ministro dell'Agricoltura e foreste. N siffatta situazione viene a mutare allorch, versandosi in materia di competenza della Regione e questa essendo stata esercitata, sia la Regione ad operare quella determinazione. Se alla Regione fosse vietato di legiferare, direttamente o mediante rinvio, in materia di caccia sol perch le norme da essa emanate comportano l'applicazione di pene predisposte da norme statali con riferimento alle stesse fattispecie o Corte accenna -se sprovvisti di adeguata sanzione , provvedesse ess stessa ad un sistema sanzionatorio. Il problema, allora, potrebbe porsi sotto duplice profilo, a seconda che la regolamentazione delle sanzioni si esplichi mediante un formale rinvio all'analogo sistema .sanzionatorio statale, o che essa si ponga in posizione autonoma rispetto a questo. Mentre sembra da escludere in ogni caso la seconda soluzione, data la gi rilevata competenza esclusiva dello Stato in materia penale, si po trebbe ritenere valido il rinvio che la legislazione regionale operasse alla normativa generale statale sulle materie trasferite alla competenza regio nale; ancora pi valida si potrebbe ravvisare la soluzione che prevedesse una legge-cornice generale da parte dello Stato, contenente le sanzioni penali per tutte le violazioni alle leggi delle Regioni, nelle materie di competenza di queste. Per i precedenti della Corte .sull'esclusiva competenza dello Stato in materia penale, cfr. da ultimo, le sentenze 23 marzo 1966, n. 26, in questa Rassegna, 1966, 489; 15 maggio 1963, n. 68, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1963, 1169 e nota di DE FRANCO, Riflessi costituzionali della distinzione tra san zione penale e sanzione amministrativa. b i:'.:: f! ~?, l~i; u:: '':i . "' ~ ~ PARTE I, SEZ, I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 1001 a fattispecie comprensive anche di quelle risultanti dalla legge regionale, alla Regione verrebbe in realt sottratta una competenza, che statuariamente le spetta. 4. -Del pari prive di fondamento sono le ulteriori censure, adombrate nella motivazione dell'ordinanza del pretore di San Vito al Tagliamento. Cos del rilievo, secondo cui la legge regionale denunciata avrebbe perseguito il fine di consentire ai comuni inclusi nei territori delle Provincie di Udine e Pordenone la costituzione di riserve comunali di caccia: giacch nessun argomento viene poi addotto per dimostrare che un tale fine sarebbe costituzionalmente vietato alla Regione, cos che, anche ad ammettere che, in punto di fatto, l'illazione del pretore risponda al vero, non ne seguirebbe per ci solo un vizio di legittimit costituzionale della legge regionale. da soggiunger:Si al riguardo che l'applicazione dello speciale regime della zona faunistica delle Alpi implica -oggettivamente -una maggiore tutela della fauna locale, ci che senza dubbio conforme all'interesse nazionale (cui genericamente si richiama la stessa ordinanza, come pure quella del pretore di Palmanova) che sta a fondamento della legtslazione statale in materia. Ne offre indiretta conferma l'art. 21 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1951, n. 574, Contenente norme di attuazione dello Statuto del Trentino-Alto Adige, che fa obbligo a questa Regione di non diminuire la protezione attualmente Concessa alla selvaggina in dipendenza dell'appartenenza del territorio alla zona faunistica delle Alpi. Quanto alla' censura di violazione dei principi che informano il nostro ordinamento giuridico, per avere la legge regionale modificato i confini della zona delle Alpi senza i pareri prescritti dall'art. 5 del t.u. del 1939, sufficiente osservare che la Regione non ha sostituito una propria legge ai concreti provvedimenti amministrativi che sarebbero, fuori della Regione, di Competenza del Ministro dell'agricoltura e 'foreste; ma, legiferando per relationem, ha sottoposto una parte del suo territorio alla medesima identica disciplina .prevista dalla legge statale per le localit rientranti nella zona faunistica delle Alpi. La vera portata della legge regionale denunciata sta precisamente, come gi risulta dalle considerazioni sopra svolte al punto 2), in una equiparazione legale, ai fini della di,sci.plina della caccia, del territorio di Udine e Pordenone. agli altri territori nei quali vige lo speciale regime giurdco dettato per la zona delle Alpi. La Regione, in altre parole, ha scelto e adottato, in relazione alle provincie anzidette, la disciplina legislativa ritenuta pi adeguata alle particolari esigenze locali e perci all'interesse della stessa Regione; ma, anzich formularla ex novo, ha manifestato la propria volont legislativa rinviando a quella parte della legislazione statale da cui quella disciplina posta. Per questo aspetto la situazione analoga .a quella su cui ebbe gi occasione di pronunciarsi questa Corte, sotto wmti-1&1fBfmf&mf:Sihlfmlll&llitflliffff&fffill1mffflllitiifff1m1fil~rnrimmmrni1rmfffffift&w1m;m~ 1002 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO altro profilo, con la sentenza n. 11 del 3 marzo 1959, punto 1) della I motivazione, relativa alla legge regionale sarda 30 marzo 1957, nu-~:=~ f:~ mero 30. -(Omissis). i ~ CORTE COSTITUZIONALE, 20 novembre 1969, n. 143 -Pres. Branca, Rel. Chiarelli -Ghini (avv. Cevolotto) e Presidente Consiglio dei Ministri (Sost. avv. gen. dello Stato Azzariti). Impiego pubblico -Prescrizione biennale degli stipendi ed assegni Illegittimit costituzionale della normativa -Esclusione. I (Cost., artt. 36, 3; r.d_l. 19 gennaio 1939, n. 295, conv. in I. 2 giugno 19;39, n. 739). i La normativa vigente per il rapporto di pubblico impiego sulla prescrittibiLit biennale d_egli stipendi ed assegni dovuti al dipendente non contrasta con gli articoli 3 e 36 della Costituzione, a causa della i particolare forza di resistenza che caratterizza il relativo rapporto (1). I[ ~ (Omissis). -1. -La prima questione proposta nel presente giudizio se per l'art. 2, primo comma, del d.l. 19 gennaio 1939, n. 295, che sta I bilisce la prescrizione biennale del diritto agli stipendi ed assegni degli m impiegati dello Stato, sussistano le medesime ragioni di contrasto con rn l'art. 36 della Costituzione, che questa Corte, nella sentenza 10 giugno ~ 1966, n. 63, ravvis negli artt. 2948 n. 4, 2955 n. 2 e 2956 n. 1 e.e., (i~ limitatamente alla parte in cui consentono .che la prescrizione del diritto %. alla retribuzione decorra durante il rapporto di lavoro. 1 @ La risposta negativa implicita nella stessa menzionata sentenza, I mla quale ebbe a rilevare, come si ricorda nell'ordinanza di rimessione, w. la partkolare forza di resistenza che caratterizza il rapporto di pubblico impiego. Questa forza di resistenza data da una disciplina che normalmente assicura la stabilit del rapporto, e dalle garanzie di rimedi giurisdizionali contro l'illegittima risoluzione di esso, le quali escludono che il timore del licenziamento possa indurre l'impiegato a rinunziare I ai propri diritti. ~ Tale situazione comune ai rapporti di pubblico impiego intercor, renti con lo Stato o con enti pubblici minori, e pertanto il regim~ delle ' ' II (1) La questione era stata proposta con ordinanza 23 maggio 1967 della VI Sezione del Consiglio di Stato (Gazzetta Ufficiale 10 agosto 1968, n. 203).. La precedente .sentenza della Corte 10 giugno 1966, n. 63, applicabile solo ai rapporti di impiego e lavoro privati, pubblicata in questa Rassegna, 1966, 758. i ll.~ In dottrina, cfr. MARTONE, Decorrenza della prescrizione dei crediti di lavoro e stabilit: dipendenti pubblici e dipendenti privati, Dir. lav., 1968" II, 274. % f:::: {?.:: % r~ ~. "" rnff&~@iflliflliThffffwffiliflfill@IMfffiiffilrfff@f!Jfffifllififiillllil1r9illif@f81fffillIFifflffifillf&iifilllfilf~ PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 1003 prescrizioni di cui alla norma impugnata non contrasta con l'art. 36 della Costituzione. 2. -A diversa conclusione non si pu giungere per i rapporti di pubblico impiego statale di carattere temporaneo, sui quali si particolarmente soffermata la difesa del Ghini. Anche in essi l'impiegato assiistito dalle garanzie dei rimedi giurisdizionali contro l'arbitraria risoluzione anticipata del rapporto: rimedi che si estendono al sindacato sull'eccesso di potere, come confermato dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato. Va inoltre considerato che, 1secondo l'ordinamento del pubblico impiego, le a,ssunzioni temporanee ~che, in linea di principio, sono escluse) hanno carattere precario, e la rinnovazione del relativo rapporto non presenta carattere di normalit. La non rinnovazione costituisce, invece, un evento inerente alla natura del rapporto stesso. La previsione di essa non pone, pertanto, il lavoratore in una 1situazione di timore di un evento incerto, al quale egli sia esposto durante il rapporto, qual il licenziamento nel rapporto di lavoro di diritto. ' Non ricorrono perci, nel rapporto d'impiego temporaneo con lo Stato, le ragioni ,s:u cui 'si basata, nella precedente sentenza di questa Corte, la dichiarazione di parziale illegittimit costituzionale dei rkordati articoli del codice civile. 3. -Infondata anche la ql.;lestione di legittimit costituzionale della norma impugnata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione. La dichiarazione di parziale illegittimit costituzionale dei menzionati articoli del codke civile, contenuta nella sentenza n. 63 del 1966 di questa Corte, riguarda i rapporti di lavoro regolati dal diritto privato e non si estende ai rapporti di pubblico impiego, sia che si tratti di rapporti con lo Stato, 1Sia che si tratti di rapporti con altri enti pubblici: il che, come si accennato, si ricava inequivocabilmente dalla motivazione della detta sentenza n. 3: ( In un rapporto non dotato di quella resistenza, che caratterizza invece il rapporto d'impiego pubblico, il timore del recesso, do del licenziamento, spinge o pu spingere il lavoratore sulla via della rinuncia a una parte dei propri diritti), alla stregua della quale va interpretato il dispositivo. Dalla parziale perdita di efficacia di quelle norme, conseguita alla pronuncia della Corte ed ai sensi della medesima, non pertanto derivata una situazione di diffe rente trattamento per i dipendenti dello Stato rispetto ai dipendenti di altri enti pubblici, egualmente garantiti dall'ordinamento del pubblico impiego. Spetta al giudice di meri~o ,stabilire, nei singoli casi, se stato posto in essere un rapporto di pubblico impiego, o se lo Stato o l'ente pubblico si assoggettato alla disciplina di diritto comune del rapporto di lavoro. -(Omissis). :;f=~6Ht%:fat6::itr~f'if@'}{Q@hdfo=@&"J.%i't.i'~'~f&&.-w;tt7t:ffM1&@&51"fili'lift%<illilifsri&rllifili'tmmWffta RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE COSTITUZIONALE, 3 dicembre 1969, n. 145 -Pres. Branca. Rel. Trimarchi -Bassani (n. c.) e Presidente del Consiglio dei Ministri (Sost. avv. gen. dello Stato Azzariti). Adozione speciale -Accertamento della situazione di abbandono Disparit di trattamento tra minori segnalati prima e dopo l'ottavo anno -Ille!littimit costituzionale -Esclusione. (Cost., art. 3; e.e., art. 314/4). Non fondata, con riferimento al principio costituzionale di eguaglianza, la questione di legittimit costituzionale dell'art. 31414 e.e., suU'adozione speciale, per la sperequazione che si creerebbe tra i minori segnalati in situazione di abbandono entro l'ottavo a111no di vita e quelli non segnalati entro tale termine, quale presupposto per l'affidamento pre-adottivo (1). (Omissis). -Con la legge 5 giugno 1967, n. 431, istitutiva dell'adozione speciale, il legislatore ha voluto ampliare e migliorare la tutela per i minori che si trovino in situazione di abbandono materiale e morale, prevedendo che gli stessi, dichiarati in stato di adottabilit, possano essere adottati, con la forza .speciale, da coniugi ed acquistare lo stato di figlio legittimo di costoro. Avvertita altres l'esigenza di tutelare anche la famiglia legittima o naturale di detti minori, ha predisposto condizioni e procedimenti tali da rendere possibile l'adozione speciale, con i relativi effetti giuridici, solo nei confronti dei minori, di cui, con le opportune .garanzie, sia accertata l'esistenza della gi indicata situazione di abbandono materiale e morale. Di codesta disciplina fa parte la previsione del procedimento che ha inizio a decorrere dal momento in cui l'organo giurisdizionale (giudice tutelare o tribunale per i minorenni) messo in grado di avere conoscenza delle situazioni di abbandono, di minori di et inferiore agli anni otto, e termina con la dichiarazione dei minori in stato di adottabilit. Nell'ambito di detto procedimento che crea un presupposto per l'affidamento preadottivo, hanno rilievo la denuncia della situazione di abbandono (art. 314/5 del codice civile) da effettuarsi prima che ciascun minore abbia Compiuto l'ottavo anno, e l'istanza diretta alla dichiarazione dei minori in stato di adottabilit. Dall'esistenza della prima consegue (1) La questione era stata proposta con ordinanza 14 ottobre 1968 del Tribunale per i minorenni di Milano (Gazzetta Ufficiale 28 dicembre 1968, n. 329). In dottrina cfr. BITTO, La dichiarazione dello stato di adottabilit nella legge 5 giugno 1967, n. 431 sull'adozione speciale, Temi, 1968, 73. PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 1005 il necessario e doveroso compimento da parte del giudice tutelare e del tribunale per i minorenni, di attivit ed atti, e, presentata l'istanza, dell'eventuale dichiarazione di adottabilit come atto finale del procedimento (in una sua prima fase). 3. -Ora, a proposito della questione di cui si discute nei termini sopra indicati, alla denuncia ricollegata dall'ordinanza di rimessione l'asserita portata discriminatoria nei confronti dei minori di et inferiore agli anni 'otto privi di assistenza materale e morale. Ma la tesi non accettabile. nella logica del procedimento e risponde alla sua natura e funzione che l'inizio di esso sia ricondotto alla conoscenza del fatto da accertare. D'altra parte l'istituto dell'adozione speciale risponde all'esigenza di consentire e favorire l'adozione del minore nei primi anni di vita, che sono ritenuti i pi adatti per il migliore inserimento del minore stesso nella famiglia adottiva. In s, quindi, codesta disciplina, la cui concreta determinazione va per altro ricondotta alla discrezionalit di pertinenza del legislatore, appare certamente appropriata. Con il citato art. 314/5, tenuto conto delle possibili situazioni di abbandono dei minori, dettata una serie di norme in virt o in forza delle quali tutti coloro che di quelle situazioni siano o vengano a conoscenza, possono o debbono informarne, direttamente o 'meno, il giudice tutelare o il tribunale per i minorenni; ed cosi previsto un sistema di ,strumenti e di modi che ragionevolmente dovrebbero essere idonei e sufficienti per assicurare la conoscenza o conoscibilit di tutte le situazioni di abbandono relative ai minori di et inferiore agli anni otto. Tutto ci, ovviamente, non .pu escludere in fatto che un minore. pur trovandosi in quella situazione, non venga segnalato: ma sembra evidente come da una eventualit del genere non possa dedursi l'esistenza dell'asserita disparit di trattamento giuridico. 4. -Fino al compimento dell'ottavo anno, tutti i minori privi di assistenza materiale o morale (e sempre-che la mancanza di assistenza non sia dovuta a forza maggiore) godono sul terreno legislativo di uno stesso trattamento: la situazione di abbandono in cui si trovano, pu e deve essere oggetto di denuncia e quindi la possibilit di essere dichiarati adottabili aperta a tutti. Come si gi rilevato, il riferimento che con gli artt. 314/4 e 314/5 vien fatto alla denuncia ed al termine massimo entro cui essa pu aver luogo, appare sicuramente logico e razionale. E d'altra parte non censurabile in questa sede che il legislatore abbia scelto come necessaria la via dell'accertamento, ad opera del tribunale per i minorenni, della Situazione di abbandono, e non ne abbia ritenuto sufficiente altra tra quelle astrattamente possibili. 1006 . RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO N pu influire a favore della contraria tesi il faUo che l'acquisto di una posizione giuridica di vanta.ggio, per i minori che siano segnalati, ed il mancato acquisto della stessa posizione da parte dei non segnalati, dipendano dal compimento o meno di un dato atto (denuncia) ad opera di soggetti diversi da quelli che .siano direttamente e personalmente interessati. Il sistema prescelto, tenuta ;presente l'et dei soggetti meritevoli di tutela, e valutati gli interessi e le esigenze in considerazione, appare razionale. previsto come possibile e doveroso l'intervento di chi ha la rappresentanza di quei soggetti o attende alla loro cura o assistenza, ed previsto pure come possibile l'intervento di chiunque sia a conoscenza di situazioni di abbandono relative a minori di et inferiore agli anni otto; ed anche ammesso che la segnalazione venga effettuata., con l'istanza di cui al primo comma dell'art. 314/4, dal pubblico ministero, dalle istituzioni pubbliche e private di protezione e assistenza per l'infanzia e da chiunque abbia interesse. Si 1sono, cosi, tenute presenti le pi varie, ampie ed articolate vie di informazione; ed ;perci ragionevole ritenere che l'interesse di tutti i minori in situazione di abbandono sia adeguatamente tutelato e salvaguardato. ( Omissis). CORTE COSTI':['UZIONALE, 3 dicembre 1969, n. 146 -Pres. Branca Rel. Reale -Russo (n.c.) e Presidente Consiglio dei Ministri (Sost. avv. gen. dello Stato Chiarotti). Procedimento penale -Procedimento direttissimo per reati di stampa -Violazione del principio della precostituzione del Giudice e del diritto di difesa -Esclusione. (Cost., artt. 25, 24; c.p.p. art. 502, comma primo e secondo; 1. 8 febbraio 1948, n. 47, art. 21, comma terzo). Non fondata la questione di legittimit costituzionale dell'art. 502, primo e secondo comma, c.p.p, e dell'art. 21, terzo comma, della legge sulla stampa 8 febbraio 19.48, n. 47, in quanto la potest spettante ai Pubblico Ministero di citazione direttissima dell'imputato davanti alla Sezione ed all'udienza che egl.i ritenga apportuna non incide sul principio della precostituzione del giudice e sul diritto di difesa (1). (1) La questione era stata proposta con varie ordinanze di giudici di merito. Per l'individuazione del concetto di giudice naturale cfr. I giudizi di costituzionalit ., 1961-65, pag. 294 e segg. Sul giudizio direttissimo in generale, cfT. GALLI, Rilievi in tema di presentazione dell'imputato all'udienza nel giudizio direttissimo, Riv. it. dir. e proc. pen., 1966, 709. PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 1007 (Omissis). -2. -Le questioni non sono fondate. Il procedimento direttissimo, disciplinato dagli articoli 502-505 del codice di procedura penale, nel capo dei giudizi 1speciali, infondato a criteri di rapidit e immediatezza, preordinati alla esigenza di esemplarit del giudizic. Esso introdotto dal pubblico ministero, con richiesta di dibattimento contestuale alla presentazione dell'imputato, nelle ipotesi (soggette a verifica da parte del giudice) che l'imputato sia stato arrestato in flagranza di reato o che il reato stesso sia stato commesso durante lo stato di detenzione o di internamento per misura di sicurezza e che, inoltre, la prova 'r1sulti agevole, senza cio che occorra procedere a speciali indagini. richiesto altresi che il dibattimento venga iniziato senza indugio, se il tribunale siede in udienza penale, ovvero, esclusa tale possibilit, nel termine perentorio di cinque giorni dall'arresto. Da tali requisiti si discosta l'istituto nei casi preveduti in varie leggi speciali come quella sulla stampa, le quali prescrivono che per determinate categorie di reati si procede sempre, e non a discrezione del pubblico ministero, col rito direttissimo, ed anche se l'imputato non sia detenuto. In quest'ultima ipotesi la di lui citazione a giudizio disposta dal Procuratore della Repubblica. La possibilit prospettata nelle tre ordinanze che il pubblico ministero presenti l'imputato, in stato di costrizione fisica o a seguito di suo decreto di citazione, davanti a quella delle sezioni del tribunale che egli ritenga disponibile, in considerazione delle esigenze del servizio, per lo svolgimento del dibattimento, non espressamente disciplinata dalle norme impugnate. Essa , tuttavia, praticamente configurabile ~oltanto in quei tribunali il cui organico prevede una ;pluralit di sezioni o comunque l'assegnazione di magistrati in numero superiore a quello richiesto per la composizione del Collegio o dei collegi .giudicanti, in guisa da consentire l'avvicendarsi di detti mag1strati nello svolgimento dei compiti istituzionali. In riferimento a tale possibilit appunto denunziata la lesione del prindpio del giudice naturale. Tale principio esige anzitutto, secondo la giurisprudenza di questa Corte, che il giudice sia istituito in base a criteri generali fissati in anticipo (sent. _219/19518, 1/1965) e non in vista di determinate controversie; con riferimento cio a fattispecie astratte e non gi a posteriori, in relazione ad una ragiudicanda gi insorta (sent. 88/1962, 130/1963, 156/19631), Esso esclude che sia lo stesso giudice a creare discrezionalmente ipotesi di spostamento della competenza (sent. 122/1963) e che l'accertamento dei presupposti legali relativi dipenda da valutazione non suscettibili di sindacato ad iniziativa ed a tutela delle parti (sent 130/1963). Orbene va ricordato che nel sistema positivo, a salvaguardia del detto principio, anche per .gli uffici giudiziari con pluralit di sezioni e di magistrati addetti, esiste un Complesso d norme volte a contemperare 3 . ' : 1*ttt~mnr@fg@filtfttlt~WTuflWCfff%f&ffdlm4TtfftiKtff0~trllifff~litffffitfff@lf@fEfil11Mtwlt%1 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO l'obiettivit ed imparzialit dei giudizi con le esigenze della continuit e prontezza delle funzioni giurisdizionali, pur nei ca.si di mutamenti, di vacanze e di impedimenti. In particolare, quando il tribunale costituito in pi sezioni, sono annualmente designate (con apposite tabelle) le sezioni alle quali vengono devoluti promiscuamente o separatamente i diversi affari contenziosi civili e penali e si effettua la destinazione a ciascuna s.ezione dei vari magistrti, nel numero richiesto dalle esigenze del servizio. Altre norme (delle quali stata esclusa la illegittimit con la gi menzionata sentenza n. 156 del 1963) prescrivono come si debba procedere a colmare i vuoti permanenti o temporanei che, per cause svariate, possono determinarsi negli uffici giudiziari, mediainte provvedimenti a loro volta di carattere permanente (assegnazione di nuovi magistrati) o contingente e temporaneo (supplenze, 1sostituzioni, applicazioni). Sono, poi, normalmente prestabiliti i giorni in cui ciascuna sezione terr udienza nel corso dell'anno e turni di servizio dei giudici addetti a ciascun ufficio. Tanto premesso sembra evidente cl;te le norme impugnate, in quanto abilitano in casi eccezionali il pubblico ministero a disporre direttamente la presentazione o la citazione 'dell'imputato a giudizio davanti al tribunale e implicitamente consentono che lo stesso pubblico ministero diriga, discrezionalmente, la richiesta del giudizio dibattimentale ad una delle sezioni ed eventualmente ad uno dei collegi in cui la sezione dell'ufficio giudiziario sia articolata, non contrastano con la garanzia del giudice naturale, quale giudice imparziale precostituito. Perver, atteso che la composizione di ogni sezione e di ogni collegio risulta fatta secondo l'ordinamento e non appositamente per la decisione su ogni reato gi commesso, non manca, anche nell'ipotesi dell'art. 502, l'elemento della preventiva individuazione del giudice, che deve postularsi legata a criteri di obiettivit e imparzialit, quale che sia la composizione del colle.gio chiamato alla decisione ed esclusa qualsiasi incidenza su di questa della scelta operata dal pubblico ministero. Essa fatta nell'esercizio di un potere che, a parte la sua natura, ben pi limitato di quello spettante al Presidente del Tribunale, a norma dell'art. 20 del regolamento per l'esecuzione del codice di. procedura penale, o esercitato dai presidente delle singole sezioni, circa la formazione dei ruoli e l'assegnazione dei procedimenti ai collegi: attribuzioni queste ultime di natura meramente ordinaria, la cui discrezionalit risulta necessaria ad assicurare l'efficienza della funzione giurisdizionale. N ai fini del decidere pu avere rilevanza il distinguere fra l'ipotesi di presentazione dell'imputato detenuto all'udienza della sezione del PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 1009 tribunale e l'ipotesi di citazione dell'imputato libero, trattandosi di manifestazioni diverse dello stesso potere attribuito al pubblico ministero dall'art. 502 del codke di procedura penale, cio di modalit diverse dell'esercizio dell'azione penale, quale configurato nell'ambito del rito direttissimo. Gli argomnti sopra esposti invalidano nella specie l'affermazione che la scelta del pubblico ministero manchi di obiettivit, in quanto si assume provenga da una delle parti in causa. Va rilevato, infine, ,che se in dipendenza della scelta compiuta dal pubblico ministero si profilasse per l'imputato il pericolo di un giudizio non imparziale, varrebbero ad eliminarlo, ricorrendo le ipotesi di legge, i rimedi previsti dall'ordinamento. Essi sono uguali, del resto, a quelli che potrebbero essere resi necessari da scelte del presidente e risultano invocabili fra l'altro nei casi di incompatibilit, come pure in quelli che impongono la remissione del procedimento o la astensione o la ricusazione del giudice. 3. -Per i motivi suesposti deve escludersi la illegittimit sia del- l'art. 502, primo comma (e ovviamente, per analogia di ragioni, anche i del secondo comma) del codice di procedura penale sia dell'art. 21, ! comma terzo, della legge 8 febbraio 1948, n. 47, in riferimento all'art. 25, I primo comma, della Costituzione. I Gli stessi motivi portano a ritenere che la '.Potest spettante al I pubblico mtnistero non pu essere intesa nemmeno come antagonista al I I, diritto di difesa e incidente negativamente sull'equilibrio del contraddit- I torio penale. Ne consegue la infondatezza anche dell'analoga questione I sollevata, in rapporto all'art. 24, ,secondo comma, della Costituzione, dalla ordinanza del tribunale di Milano. -(Omissis). I I I I I 1 I CORTE COSTITUZIONALE, 3 dicembre 1969, n. 147 -Pres. Branca - Rel. Bonifacio -Rispoli ed altri (avv. Gullo, Salerni, Summa, Lia, l Roscioni). I ! I Reato -Relazione adulterina e concubinato -Violazione del principio I di eguaglianza fra i coniugi -Illegittimit costit.zionale. I (Cost., art. 29, secondo comma, c.p., art. 559, comma terzo, 560, comma primo). I I La discrezionalitd politica del legislatore di stabilire sanzioni civili i, I o penali a tutela dell'obbligo di fedeltd coniugale non pu essere eseri i citata che nel rispetto del principio .di eguaglianza morale e giuridica I i dei coniugi, imposto dall'art. 29 della Costituzione; poich le norme penali repressive della relazione adulterina e del concubinato contrastano I ! I ! I - 1010 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO con tale principio, ne va dichiarata l!inegittimit costituzicmale, unitamente alle norme ad esse connesse (1). (Omissis). -1. -Le ordinanze di rimessione -denunziando gli articoli 559, terzo comma (relazione adulterina), e 560, primo comma (concubinato) del e.i;>. in riferimento agli articoli 3 e 29 della Costituzione propongono identiche o connesse questioni di legittimit costituzionale, e pertanto i relativi giudizi, congiuntamente discussi nell'udienza pubbltca, vengono riuniti e decisi con unica sentenza. 2. -Alcuni dei giudici a quo e, nella discussione orale, una delle parti in causa hanno sostenuto che alla dichiarazione dJ. illegittimit costituzionale del primo comma dell'art. 559 del c.p., pronunciata con la sentenza n. 126 del 16 dicembre 1968 di questa Corte, andrebbe riconosciuto l'effetto di una immediata caducazione o, quanto meno, di una conseguenziale ed automati,ca illegittimit costituzionale del terzo comma dello stesso articolo. Tale tesi, basata sulla premessa che nel sistema dell'art. 559 la relazione adulterina sarebbe punita come circostanza aggravante speciale o come particolare ipotesi di continuazione del semplice adulterio, deve essere disattesa perch, come la Corte avverti nella ricordata decisione, si tratta, invece di un delitto coo. propria, autonoma configurazione: ci risulta dalla diversit della fattispecie prevista dalla norma indicata, che non 1si esaurisce in una semplice ripetizione di singoli atti di adulterio, ed it confermato dalla circostanza che l pena stabilita dalla legge non differenziata, nel minimo, da quella che colpiva il reato di adulterio. 3. -Due ordinanze del pretore di Roma (n. 114 e n. 193 del 1969) denunciano l'art. 560 del c.p., oltre che in riferimenti:> al principio di eguaglianza fra i coniugi, anche sotto il profilo della violazione della tutela che l'art. 29 della Costituzione accorda all'integrit del nucleo familiare. Ad avviso di quel giudice, infatti, la rilevanza penale della (1) La questione era stata proposta con numerose ordinanze di .giudici di merito. Con questa sentenza, e dopo la precedente sentenza 19 dicembre 1968, n. 126 (in questa Rassegna, 1968, 907) richiamata in motivazione, restano definitivamente espunte dall'ordinamento tutte le norme di carattere penale repressive delle violazioni dell'obbligo della fedelt coniugale. Non che queste decisioni -come ha tenuto a precisare la Corte impediscano al legislatore, nella sua discrezionalit politica, di comminare anche sanzioni penali per tali violazioni; ma necessario che tali sanzioni non siano J.esive al principio di eguaglianza dei coniugi. La decisione in rassegna, ancorch in linea con quella del 1968, tuttavia si pone in contrasto con la precedente decisione della stessa Corte 28 novembre 1961, n. 64 (Giur. cost., 1961), la quale aveva escluso la sussistenza di ogni disparit di trattamento fra coniugi nella repressione pnale dell'adulterio. PARTE I, SJ!lZ, I, Git1}lIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 1011 inosservanza del dovere di fedelt coniugale comprometterebbe l'esistenza stessa della comunit familiare, messa in pericolo dalla proposizione dell'istanza punitiva e dall'eventuale condanna di uno dei coniugi. La Corte ritiene che la questione proposta in tali termini non possa essere accolta. Ed infatti, se vero che l'art. 29 della Costituzione protegge la unit familiare (fino al punto da sacrificare a questa, quando ci sia assolutamente necessario, anche l'eguaglianza. fra i .coniugi) e se indubbio che il legislatore ol'dinario non pu dettare una disciplina non coerente con la protezione di quel bene, altrettanto vero e certo che proprio a garanzia della suddetta unit gli obblighi fondamentali che accompagnano il vincolo matrimoniale devono essere presidiati da sanz'ioni che risultino idonee a svolgere anche una funzione preventiva. Ed appartiene alla politica legislativa il !Potere di stabilire, in relazione ad. un determinato contesto storico, .Se siano sufficienti le sanzioni di nat.ra civile o se sia necessario. disporre anche misure penali. 4. ,. La discrezionalit politica del legislatore, tuttavia, non pu essere esercitata che nel rispetto del prineipio di eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, imposto dall'art. 29, secondo comma,. della Costituzione. .Ed alla stregua di tale principio che l'indagine demandata alla Corte da tutte le ordinanze di rimessione deve essere ora rivolta a verificare se, dichiarati illegittimi il primo ed il secondo comma dell'art. 559 del c.p., la residua disciplina contenuta nel terzo comma (relazione adulterina) e quella dettata dal primo comma dell'art. 560 (concubinatcr) -disposizioni entrambe impugnate -(pongano in essere una non .consentita disparit di trattamento tra marito e moglie. 5. -A tal proposito di fondamentale importanza la constatazione che relazione adulterina e concubinato sono reati fra loro strutturalmente diversi. Si pu qui prescindere dalla questione se l'espressione tenere una concubina :. usata nel primo comma dell'art. 560 stia gi ad indicare che la legge richieda, ai fini della punizione del marito, qualcosa di pi della semplice relazione con una donna diversa dalla moglie. A mettere ili evidenza la netta differenza fra i due delitti sufficiente la circostanza che per il reato di concubinato necessario che la consumazione abbia luogo nella casa coniugale o notoriamente altrove, mentre per la relazione adulterina appaiono del tutto indifferenti le modalit di svolgimento:. il eh.e quanto dire che .quelle violazioni della fedelt coniugale che sono necessarie e sufficienti ad integrare il reato di relazione adultel"ina imputabile alla moglie non bastano, se commesse dal marito, a renderlo colpevole di concubinato. E se identici comportamenti sono penalmente rilevanti per l'un coniuge e irrilevanti per l'altro, bisogna concludere che le disposizioni impugnate dettano una disciplina differenziata per il marito e per la moglie, nonostante che la legge (art. 143 e.e.) ponga a carico di entrambi il dovere di fedelt coniugale. 1012 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 6. -Per giustificare validamente sul piano costituzionale la riscontrata diversit di trattamento non possono essere prese in considerazione ragioni che non siano strettamente connesse con l'esigenza di salvaguardare l'unit familiare. La Corte ha gi affermato (.sent. n. 126 del 1968) che ai fini del controllo di legittimit costituzionale dei diritti o degli obblighi conferiti o imposti dalla legge al marito ed alla moglie occorre far riferimento non gi all'art. 3, ma all'art. 29 della Costituzione, ed ha interpretato quest'ultima disposizione (1sent. n. 127 dello stesso anno) nel senso che la Costituzione direttamente impone che la disdplina giuridica del matrimonio -col solo limite della unit della famiglia -contempli obblighi e diritti eguali per l'uomo e per la donna. Ribadendo questi principi, ,si deve ritenere che in generale nella regolamentazione dei rapporti tra i Coniugi nascenti dal matrimonio vietato al legislatore di dar rilievo a ragioni di differenziazione diverse da quelle eoncernenti la predetta unit. Per la materia qui in esame non possono, perci, spiegare influenza tutte quelle valutazioni che si connettano alla supposta maggior gravit della condotta infedele della moglie od al diverso atteggiamento della societ di fronte all'infedelt dell'uomo e della donna. Tutto il sistema desumibile dagli artt. 559 e 560 c.p. -come in occasione del controllo di legittimit costituzionale del reato di adulterio la Corte ebbe gi ad osservare -reca l'impronta di un'epoca nella quale la nodda non godeva della stessa posizione sociale dell'uomo e vedeva riflessa la sua situazione di netta inferiorit nella disciplina dei redditi e dei doveri .coniugali. Non sta alla Corte verificare se e quali modificazioni in questo campo il nostro tempo abbia portato nella coscienza sociale. Ma compito indiscutibile della Corte accertare l'insanabile contrasto fra quella disciplina, quale che ne sia stata la giustificazione originaria, ed il sopravvenuto principio costituzionale e dichiarare l'illegittimit di tutte quelle disparit di trattamento fra coniugi che non siano giustificate dall'unit familiare: vale a dire dall'unico limite che la Costituzione prevede. A quest'ultimo proposito la Corte non pu non confermare, per quanto concerne le attuali questioni, quanto fu detto in entrambe le ricordate decisioni dello scorso anno e, cio, che il trattamento pi severo per l'infedelt della moglie, pi indulgente per l'infedelt del marito (e, do, proprio la disparit di trattamento) pu addirittura esser causa di disgregazione della famiglia: in ogni caso certo che non possibile considerarlo come finalizzato alla tutela della sua unit. Per giungere ad opposta conclusione non certo pertinente affermare che la punizione della moglie fedifraga risponde all'esigenza di salvaguardare la famiglia. Poich la tutela di tale esigenza deve necessariamente coordinar. si col principio di eguaglianza, occorrerebbe dimostrare che, una volta stabilito che la relazione adulterina della donna debba costituire PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE l!: INTERNAZIONALE 1013 reato, punire il marito per una fattispecie identica significherebbe mette~ e in pericolo l'unit~ del nucleo familiare. Ma sufficiente enundare questa ipotesi di giustificazione per coglierne l'assoluta irrazionalit. 7. -A conclusione di quanto fin qui si detto, si deve riconoscere che il terzo comma dell'art. 559 c.p., poich punisce la moglie anche per fatti che se commessi dal marito sono penalmente irrilevanti, costituzionalmente illegittimo. Ma la d1chiarazione di illegittimit deve colpire altresi il primo comma dell'art. 560, sia perch il concorso di entrambe le norme ;penali che d vita, a causa dell'eterogeneit delle fattispecie delittuose in esse contemplate, ad una non consentita disparit di trattamento fra moglie e marito, sia perch, ove fosse annullata la sola previsione della relazione adulterina della moglie; l'ordinamento verrebbe a dar rilevanza unicamente, nei limiti dell'art. 560, alla infedelt coniugale del marito, con conseguente identica violazione del principio di eguaglianza. In relazione a quanto si detto nel n. 3, opportuno rilevare che, derivando l'illegittimit delle due disposizioni dalla disparit di trattamento dei coniugi, il legislatore conserva, nell'ambito della sua discrezionalit politica, il potere di stabilire se ed in quali ipotesi la violazione del dovere di fedelt coniugale debba costituire reato, ma nel rispetto dell'art. 29 della Costituzione sar tenuto a dettare un'eguale disciplina per il marito e ;per la moglie. 8. -All'illegittimit costituzionale del terzo comma dell'art. 559 e del primo comma dell'art. 560 c.p. conseguenziale -e va dichiarata ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 ~l'illegittimit delle seguenti disposizioni dello stesso 0codice: 1) art. 559, comma quarto; 2) art. 560, commi secondo e terzo; 3) art. 561; 4) art. 562, primo comma, nella parte relativa al delitto previsto dall'art. 560; 5) art. 562, secondo e terzo comma; 6) art. 563. -(Omissis). I CORTE COSTITUZIONALE, 3 dicembre 1969, n. 148 -Pres. Branca Rel. Bonifacio -Aliprandi ed altri (n. c.). Procedimento penale -Accertamentted operazioni tecniche compiute dalla polizia giudiziaria -Mancanza di garanzie difensive -Illegittimit costituzionale parziale. (Cost., art. 24; c.p.p. art. 222, secondo comma, 223, primo comma). Sono cooStituzionalmente iUegittime, per violazione del diritto di difesa, le disposizioni degli articoli 222, primo comma e 223, primo comma, c.p.p. nella parte in cui escludono che agli accertamenti ed alle 1014 RASSEGN11. DELL'AVVOCATURA DELLO STATO !% ~ operaziani tecniche della polizia giudiziaria si applichino gLi art. 390 e ~ ru. 304 bis, ter e quater c:p.p.; nonch, reliativamente alle stesse esclusioni, l'art. 222, secondo comma, 231, primo comma, 234 del medesimo codice; Il e l'art. 134, secondo comma, c.p.p., nella parte in. cui fa divieto agli ~~ ufficiali ed agenti di P.G. di ricevere la nomina del difensore di fiducia (1). II I CORTE COSTITUZIONALE, 3 dicembre 196.9, n. 149 -Pres. Branca, ReZ.. Bonifado -Martellozzo (avv. Sermonti) e Presidente del Consiglio dei Ministri (Sost. avv. ge.n. dello Stato Agr). I Procedimento penale -Prelievo di campioni ed analisi per reati riguardanti frodi nelle sostanze agrarie -Procedimento di revisione delle analisi -Fase preliminare al giudizio -Mancanza di ' garanzie difensive -Illegittimit costituzionale parziale. I (Cost. art. 24; r.d.l. 15 ottobre 1925, n. 2033, art. 44, mod. da legge 27 febbraio ffi 1958, n. 190; 1. 30 aprile 1962, n. 283, art. 1; 1. 4 luglio 1967, n. 580, art. 42). I I 00:-:. Poich nel concetto di e procedimento~ di cui parola nell'art. 24 della Costituzione devono considerarsi rientranti anche gli atti di polizia giudiziaria, dal momento in cui iniziano le operazioni di revisione delle analisi dei campioni prelevati a seguito di denuncia per violazione delle [:i norme sulla preparazione ed il commercio di sostanze agrarie ed alimentari sono necessarie le garanzie di difesa, e pertanto sono costituzionalmente illegittime le norme delle relative leggi che escludcmo, in detto procedimento di revisione, l'applicazione degli art. 390, 304 bis, ter, e quater c.p.p. (2). I wJ I .-: i i (Omissis). -2. -Per effetto della sentenza n. 86 del 11968 tutti gli I00 l . atti di polizia giudiziaria compiuti o disposti dal Procuratore della Re pubblica in forza dei poteri conferitigli dall'art. 232 del Codice di pro;; cedura penale devono essere assistiti, quando trovino corrispondenza ' (1-2) Le questioni erano state proposte con varie ordinanze di giudici I I ~l~ . di merito. <>.a r,;; Le due sentenze sono sulla stessa linea per quanto attiene alle garanzie di difesa sin dalla fase di indagini di polizia giudiziaria. Quasi ontestualmente alla pubblicazione delle sentenze stata pubbli!) Jj) cata l legge 5 dicembre 1969, n. 932, la quale ha profondamente modificato ~jjj] la normativa vig.ente del Codice di procedura penale con J.'adeguamento delle relative disposizioni al p~ecetto sancito -dall'art. 24 della Costituzione. ,,,!, i n ~d!Fd!F~~4@"'4!!f4'~6116P47J PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 1015 negli atti contemplati negli art. 304 bis-quater, dalle stesse garanzie difensive predispost per questi ultimi. Allo stesso regime devono sottostare gli atti compiuti dalla polizia giudiziaria in base all'art. 225, vale a dire l'interrogatorio dell'imputato, le ricognizioni, le ispezioni ed i. confronti. Accertamenti deHo stato delle cose ed operazioni tecniche sono invece previsti non nell'art. 225 ma negli artt. 222, secondo comma, e 223, primo comma, ora denunziati. La Corte ritfone che tali disposizioni incorrano nella stessa parziale illegittimit costituzionale che fu accertata, nella precedente decisione, a proposito degli articoli 225 e 2312, 3. -Gli accertamenti comprendono indubbiamente le ispezioni dei luoghi per le quali, se compiute in istruttoria, l'art. 304 quater, a presidio di un minimo di difesa dell'imputato prevede il deposito dei verbali; accertamenti ed operazioni tecniche, nella genericit delle loro espressioni, consentono l'espletamento di veri e propri atti peritali (tanto vero che l'art. 223 stabilisce che la polizia possa aV'valersi, se necessario, di persone idonee), corrispondenti a quelli per i quali gli artt. 304 bis-quater dispongono adeguati interventi difensivi. I verbali concernenti le attivit espletate dalla polizia ai sensi dell'articolo 223 possono essere letti nel dibattimento -ultimo omma articolo 463 -senza che occorra il consenso delle parti e si acquisiscono cosi al processo elementi probatori di indubbia rilevanza. Non si pu negare, dunque, l'interesse dell'indiziato ad esplicare, in relazione ad atti che possono avere un peso decisivo per le sorti del giudizio, quella stessa difesa che gli consentita nella fase istruttoria e, per effetto della sentenza n. 86 del 1968, anche nelle indagini preliminari disposte dal Procuratore della Repubblica: tanto pi che, essendo a tali atti la polizia abilitata solo quando ci sia fondato timore che lo stato delle cose o le tracce del reato si alterino o si disperdano (condizione enunciata nell'art. 222, ma che riguarda indwbbiamente anche le ulteriori specificazioni contenute nell'art. 223), si tratta di operazioni che il pi delle volte non sono ripetibili e, quindi, non suscettibili di essere verificate e controllate nell'ulteriore corso del processo. 4. -Tanto premesso, appare certo che le due. disposizioni in esame non garantiscono alcun diritto di difesa a chi sia indiziato del reato al quale accertamenti ed operazioni tecniche si riferiscono. Vero 1 che l'art. 222 dispone che per quanto possibile siano osservate le norme sulla istruzione formale: non si pu tralasciare di considerare, tuttavia, 1che questo rinvio -che pur dovrebbe essere interpretato in coerenza coi principi costituzionali che presidiano l'ordinamento -resta nella prassi del tutto inoperante. N varrebbe osservare che trattandosi di atti per definizione urgenti si cadrebbe nell'ipotesi nella quale lo I I i ! j I, f f :;l 1 \ l t l i ! l ' I l I ! ! l i ' I ' I I !I ! 1016 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO stesso giudice istruttore, in forza dell'ultimo comma dell'art. 304 ter pu omettere l'avviso al difensore. Vale la pena di osservare in proposito che siffatta facolt non preclude ogni garanzia difensiva (il difensore conserva il diritto di intervenire agli atti previsti nel primo comma dell'art. 304 bis ed i verbali concernenti tali atti e quelli indicati nell'art. 304 quater devono pur sempre essere depositati), ed di notevole rilievo il fatto che il suo valido esercizio viene condizionato, a pena di nullit, ad una specifica motivazione circa l'urgenza. Si pu perci concludere che la dichiarazione di parziale illegittimit costituzionale delle norme denunziate il solo mezzo idoneo a conseguire il risultato di assicurare che la polizia giudiziaria -pur conservando integro l'essenziale potere di intervenire con assoluta immediatezza in caso di motivata urgenza -proceda, quando vi sia un indiziato del reato (cfr. art. 78, secondo comma, c.p.p.), col rispetto di quelle gar-anzie che lo stesso ordinamento conferisce all'interessato nella formazione delle prove utilizzabili nel .giudizio sulla sua colpevolezza. 5. -Sebbene l'impugnativa propo'sta dalle ordinanze di rimessione riguardi solo gli ac.certamenti e le operazioni tecniche, la Corte ritiene di dover estendere, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n; 87, la dichiara7Jone di parziale illegittimit a quella parte del secondo comma deiI'art. 222 che abilita la polizia giudiziaria a procedere al sequestro del corpo del reato, con la conseguente applicabilit del~ l'art. 304 quater. 6. -Considerato che l'art. 2124 del codice di procedura penale gi impone l'osservanza dell'art. 304 ter nelle perquisizioni personali e domiciliari e che l'art. 226, primo .comma, concerne solo particolari modalit da osservarsi nel, sequestro di carte sigillate, sicch questo, per quanto riguarda le garanzie difensive, soggiace alla disciplina dell'articolo 222, secondo comma, quale risulta a seguito della dichiarazione di parziale illegittimit), si pu concludere che, in conseguenza delle statuizioni contenute nella sentenza n. 86 del 1968 e nella presente decisione, a tutti gli atti preistruttori che la polizia giudiziaria compia nei confronti di un indiziato di reato si estendono le garanzie di difesa che gli artt. 304 bi.cl, ter e quater predispongono per i corrispondenti atti istruttori. 7. -Poich le ragioni della parziale illegittimit costituzionale degli artt. 22.2, secondo comma, 223, primo comma, e 225 del codice di procedura penale -fondate come sono sull'efficacia che gli atti ivi contemplati possono spiegare nel processo -valgono, com la Corte gi riscontr (sent. n. 86 del 1968) a proposito dei poteri conferiti al procuratore della Repubblica dall'art. 232, anche Q.Uando gli stessi atti sono compiuti o disposti dall'autorit giudiziaria nella fase delle indagini preliminari, la dichiarazione di parziale illegittimit vene estesa, in ,' I em I , ' I PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 1017 forza dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, all'art. 231, primo comma, relativo agli atti del pretore, ed all'art. 234, concernente gli atti del procuratore generale presso la Corte di appello. 8. -La dichiarazione di illegittimit costituzionale deve essere estesa anche a quella parte dell'art. 134, secondo comma, del codice di procedura penale che fa divieto agli uffieiali ed agenti della polizia giudiziaria riguardano tutte. in vario modo, l'intervento del difensore e ne presuppongono quindi la possibilit di nomina, quel divieto diventa sicuramente incompatibile con la nuova disciplina alla quale la materia in esame deve sottostare. -(Omissis). II (Omissis). -2. -Un .primo gruppo di ordinanze denunzia la disciplina che gli artt. 41-46 del r.d.l. 15 ottobre 1925, n. 2033 (convertito in legge 18 marzo 1926, n. 562, e modificato dalla legge 27 febbraio 1958, n. 190), concernente la repressione delle frodi nella preparazione e nel commercio di sostanze di uso agrario e di prodotti agrari, dettano per i1 prelievo dei campioni, per la loro analisi e per la revisione di questa. Tali disposizioni vengono impugnate in riferimento all'art. 24 della Costituzione -e da alcune ordinanze anche in riferimento all'art. 3 in quanto precludono all'interessato l'esercizio di una qualsiasi difesa in relazione alla formazione di atti che, posti in essere dalla polizia giudiziaria a preordi.nari ad un processo penale, possono in questo venir utilizzati per una pronuncia di colpevolezza. La Corte ha avuto modo di esaminare gli artt. 44 e 45 dello istesso decreto in due precedenti occasioni: nella prima (sent. n. 63 del 1963) al fine di accertare se la revisione delle analisi, demandata ad istituti tassati~ m(ente indicati dalla legge, vincoli il giudice all'accertamento compiuto dal perito, con conseguente compromissione sia del diritto di difesa che della funzione giurisdizionale; nella seconda (sent. n. 6 del 1965) per verificare se l'onere di un preventivo deposito imposto a chi chieda la revisione contrasti .con gli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione. Risulta evidente che le due questioni, nonostante la parziale identit delle disposizioni impugnate e delle norme costituzionali di raffronto, ebbero un contenuto diver.so da quella ora in esame, sicch le dichiarazioni di infondatezza allora pronunciate non costituiscono precedenti ai quali utilmente si possa far riferimento per la definizione degli attuali giudizi. 3. -Il profilo di costituzionalit sul quale la Corte ora chiamata a pronunciarsi richiede, in primo luogo, che si accerti se la complessa attivit che la legge demanda alla pubblica autorit in tema di prelievo dei campioni, di analisi e di revisione di analisi delle sostanze di uso agrario e dei prodotti agrari possa rientrare in quel procedimento nel RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO quale il secondo comma dell'art. 24 della Costituzione vuole sia garantita. la difesa come diritto inviolabile. A tal proposito la Corte, richiamando in modo particolare i princpi affermati nella sentenza n. 86 del 1968 o da essa desumibili, ritiene che se al termine procedimento si desse un significato restrittivo, con conseguente esclusione di tutte le attivit poste in essere al di fuori del normale intervento del giudice, il principio costituzionale di cui si discorre perderebbe gran parte della sua effettivit. Ed invero in un sistema processuale, quale quello vigente, in cui l'assunzione di vere e proprie prove di reit -e, quindi, la formazione di atti che nel giudizio non hanno minore efficacia di quelli tipicamente istruttori --pu avvenire in una fase anteriore o preliminare rispetto al processo, l'esclusione della partecipazione difensiva dell'interessato non pu non essere considerata come illegittima preclusione d~ll'esercizio di un diritto che la Costituzione definisce -inviolabile. Sembra indubbio, in altri termini, che se la legge ordinaria, collocando la formazione delle prove a carico di _un soggetto, ad opera di una pubblica autorit, fuori del vero e proprio processo, potesse farne discendere l'inapplicabilit delle garanzie difensive, il principio vigorosamente affermato dall'art. 24 della Costituzione correrebbe il rischio di essere sostanzialmente eluso. Queste ragioni gi indussero la Corte, nella citata sentenza dello scorso anno, a ritenere che nel concetto di procedimento rientrino anche gli atti di polizia .giudiziaria. Va tuttavia ricordato che in quella occasione fu ben chiarito che la dichiarazione di parziale illegittimit dell'art. 2215 c.p.p. non preclude alla polizia giudiziaria lo svolgimento di proprie indagini, ma pone limiti a quelle che si risolvono in veri e propri atti istruttori>. Deve ora esser ribadito che la linea di demarcazione fra indagini generiche ed atti istruttori si identifica necessariamente col momento in cui, in qualsiasi modo, un soggetto risulti indiziato di reit. Questa demarcazione da considerare essenziale per evitare che la nozione di procedimento si dilati al di l di quei confini che sono da ritenere necessari e sufficienti per garantire a tutti il diritto di difesa: il quale, come ovvio, non pu essere operante prima che un indizio di reato ci sia e prima che esso si soggettivizzi nei confronti di una determinata persona. A partire da quel momento -gi rilevante per la vigente legge processuale (art. 78, secondo comma, cod. proc. pen.), che proprio ai fini della tutela dell'imputato d di questo una definizione estesa a chi Ǐ indicato Come reo o risulta indiziato di reit ---'" devono operare i meccanismi idonei a garantire almeno un minimo di contraddit torio, di assistenza e di difesa. 4. -Applicando gli anzidetti principi all'attuale questione, si deve ritenere che sono infondate le censure che investono quelle disposizioni (articoli 41, 42, 43 e 46) che si riferiscono all'attivit di prelievo dei campioni ed alla prima analisi: conclusione negativa che discende dalla PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 1019 considerazione che finch l'indagine tecnica non ha portato alla conclusione che le sostanze analizzate non rispondono, in tutto o in parte, alle condizioni o ai requisiti prescritti non c' n indizio di reato n indiziato di reit. Prelievo di campioni ed analisi rientrano in una tipica attivit amministrativa di controllo alla quale -anche al fine di una rigorosa e necessaria tutela della salute pubblica e, cio, di un diritto dell'individuo e di un interesse della .collettivit che l'art. 32 della Costituzione considera fondamentali -sono assoggettati tutti coloro che preparano e commerciano sostanze di uso agrario e prodotti agrari. I relativi atti, che non presuppongono affatto .n indizio di reato, sono, dunque, espressione di un potere formalmente e sostanzialmente amministrativo. La dichiarazione di infondatezza si estende anche ad alcune disposizioni legislative di integrazione o di modificazione del decreto n. 2033 del 1925 che si riferiscono ai prelievi dei campioni e che 1sono state impugnate dal pretore di Santa Maria Capua Vetere (ord. n. 50 del 1969) congiuntamente ed in relazione all'art. 41 del p1redetto decreto. Si tratta dell'art. 1 della legge 18 ottobre 1959, n. 945, che abilita i funzionari e gli agenti delegati dalle amministrazioni a procedere direttamente al sequestro della merce ed al prelievo dei campioni; dell'articolo unico della legge 30 dicembre 1959, n. 1:2:3'4, che consente ai funzionari ed agenti di accedere liberamente ed anche di notte nei locali di produzione e di commercio delle sostanze agrarie; e dell'art. 13 della legge 13 novembre 1960, n. 1407, eontenente norme per la classificazione e la vendita di oli di oliva, nella parte in cui rende applicabili alla materia sia l'art. 41 del decreto dl 1925 sia le altre disposizioni legislative innanzi indicate. Ai poteri di vigilanza e di prelievo dei campioni si riferiscono anche gli articoli 93 e 94 del r.d. 1 luglio 1926, n. 1361, ma la relativa questione, proposta ,dalla stessa ordinanza, deve essere dichiarata inammissibile in quanto essa investe un regolamento di esecuzione e, quindi, un atto non avente forza di legge. 5. -Passando all'esame dell'art. 44 che disciplina la revisione dell'analisi, si deve osservare che se durante le operazioni di prelievo e di prima anal1si manca il presupposto necessario perch possa venire in discussione il diritto di difesa, diversa la situazione a partire dal mGmento in cui l'analisi stessa abbia dato esito sfavorevole. La legge dispone (art. 44, primo comma) in proposito che il capo del laboratorio trasmetta una denuncia alla competente autorit giudiziaria e, nel contempo, dia comunicazione dell'esito dell'indagine all'interessato: quest'ultimo potr impugnarlo inoltrando alla stessa autorit una richiesta di revisione (art. 44, terzo comma), che sar espletata da uno degli istituti indicati nell'art. 45. evidente che nel momento stesso in cui risulta che le sostanze non rispondono alle condizioni ed ai requisiti previsti dalla legge, colui 1020 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO al quale viene addebitato il reato deve essere messo in grado di difendersi. E se vero che il potere di chiedere la revisione, accordatogli dalla legge, rappresenta di per s un mezzo di difesa, non men vero che la fase di revisione -nonostante che si svolga quando un indizio di reit gi sorto e, per di pi, quando l'autorit giudiziaria gi stata investita dalla denuncia -non assistita da quelle garanzie che gli articoli 304 bis, ter e quater del codice di procedura penale (col necessario presupposto dll'applicazione dell'art. 390 per quanto riguarda la nomina del difensore) stabiliscono per gli atti peritali che vengono assunti nella fase istruttoria, formale o sommarla, del processo. Queste carenze inducono a ritenere che la disciplina in esame incorra in una parziale illegittimit costituzionale. Per contrastare sif: fatta conclusione non vale rilevare che l'istanza 'viene inoltrata all'autorit giudiziaria n che questa conserva i normali poteri di libera valutazione dei risultati della revisione e pu, se lo ritiene opportuno, disporre una nuova perizia. Per quanto riguarda il primo punto, l'innovazione introdotta dall'art. 1 della legge 27 febbraio 1'9,58, n. 190, ha ben scarso significato sotto il profilo qui considerato, perch non dato vedere in che modo il diritto di difesa dell'inter:essato si arricchisca per il solo fatto che l'istanza di revisione non direttamente rivolta agli istituti competenti a norma di legge, ma all'autorit giudiziaria. Pi approfondita considerazione merita il secondo argomento. Ad avviso della Corte certo che il giudice, non vincolato nel suo giudizio dai risultati dell'analisi o della sua revisione (cfr. sent. n. 63 del 1963), pu motivatamente discostarsene tenendo anche conto degli elementi di. valutazione critica offertigli dall'imputato e pu anche nominare un perito per nuove indagini: in questi sensi, del resto, costantemente orientata la giurisprudenza ordinaria. Questi complessi poteri del giudice, tuttavia, dimostrano solo che la disciplina in esame non intacca il principio costituzionale secondo il quale il giudice soggetto soltanto alla legge (art. 102 Cost.). Ma tale principio, che pur costituisce cardine essenziale di un ordinamento che riconosca e garantisca il diritto di difesa (che, ovvi~ente, sarebbe gravemente pregiudicato ove a chi giudka non venisse garantita la pi a'ssoluta indipendenza), non di per s .sufficiente a soddisfare quel diritto: occorre che la parte sia titolare di adeguati poteri ;processuali e possa esser presente l dove si assumono quelle prove che il giudice poi valuter e prender a base del suo convincimento. Nel caso attuale non conta che il giudice possa disattendere i risultati della revisione. Conta, invece, che, fondandosi su di essi, egli ;possa pervenire ad una pronunzia di colpevolezza, nonostante che l'imputato non abbia potuto partecipare alle relative operazioni con quelle facolt difensive che la stessa legge processuale considera essenziali nella fase istruttoria: facolt, .giova aggiungere, che il Jegislato,. non ha ritenuto affatto ouperflue per il fatto che il giudice . I .. . I I mr1l1wr~rmrmrmr0aw~1rrm2rfffutrt1trt-&K1Bfi!IfilBartrirrf0%w~ PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 1021 del dibattimento conserva di fronte alle perizie istruttorie i :Suoi poteri di valutazione e di nuove indagini peritali (art. 314 ultmo comma). L'l:!rt. 44 deve essere pertanto dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui per la revisione delle analisi esso esclude le garanzie di difesa, prevtste dagli articoli 390, 304 bis, ter e quater del 'c.p.p. La questione avente ad oggetto l'art. 45 dello stesso decreto deve essere invece dichiarata non fondata, perch queila disposizione non riguarda le modalit del ;procedimento di revisione, ma si limita ad indicare gli i,stituti competenti ad effettuarla e ad imporre l'onere della cauzione. 6. -Le conclusioni ora raggiunte in ordine alla parziale illegittimit costituzionale dell'art. 44 del r.d.l. n. 2033 del 1925, l'analoga pronunzia alla quale infra (n. 7) si perverr per l'art. 1 della legge 30 aprile 1962, n. 283, e, infine, la parziale illegittimit del secondo comma dell'art. 222 e del primo comma dell'art. 223 c.p.p. dichiarata con la sentenza n. 148 pronunziata in data di oggi fanno considerare assorbito il profilo di illegittimit per violazione dell'art. 3 proposto dal pretore di Brescia (ord. n. 163 del 1968), dal pretore di Camposampiero (ord. n. 260 del 1968) e dal pretore di Castelfranco Veneto (ord. n. 86 del 1969). Ed infatti, a seguito delle suddette statuizioni, all'indiziato di reato -si tratti delle procedure di revisione previste dalle due leggi specia~i o dlle operazioni tecniche affidate dal codice alla polizia giudiziaria -spetteranno tutte le garanzie predisposte per le perizie assunte nella fase istruttoria. 7. -Le ragioni esposte a proposito del r.d.l. 15 ottobre 1925, numero 2033, conducono ad un'analoga dichiarazione di parziale illegittimit costituzionale dell'art. 1 della legge 30 aprile 1962, n. 283, concernente la disciplina igienica della produzione e vendita delle sostanze alimentari e delle bevande, impugnato da un secondo gruppo di ordinanze. Anche qui le ispezioni, i prelievi dei campioni e la loro prima analisi si inquadrano nella vigilanza amministrativa a tutela della salute pubblica e, in quanto intervengono prima checi sia un indiziato di reato, non possono essere considerati atti processuali di istruttoria: la revisione delle analisi, invece, per i motivi gi innanzi illustrati, deve essere assistita dalle normali garanzie dife.nsive. Rispetto al decreto del 1925 non costituise rilevante differenza la circostanza che nella procedura prevista dalla legge in esame -salvo il caso di frode tossica o comunque dannosa alla salute (art. 1, ultimo comma, nel testo risultante dalle modifiche apportate dalla legge 2.6 febbraio 1963, n. 441) -la denuncia all'autorit giudiziaria avviene solo in caso di inutile decorrenza del termine per la richiesta di revisione o quando quest'ultima abbia confermato il risultato della prima analisi. Ed infatti, sulla base delle considerazioni svolte nel n. 3 e 'secondo i princ;pi affermati nella : EttffilfffftitfilN%0%fiffffilfilITfffff:filfffillfrufill'fiffijillfifffffff:I@lffff~IlffWfmlfW!Wffffffmtffi1Kttlfilf@f:lM 1022 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO sentenza n. 86 del 1968, l'esercizio del diritto di difesa non pu dipendere dal fatto che l'autorit giudiziaria sia stata gi investita dalla denuncia o dal rapporto. Del resto val la pena di rilevare che il confronto tra la disciplina dettata dal r.d.l. n. 2033 del 1925 e quella contenuta nella legge n. 283 del 1962 conferma l'esattezza di tale impostazione: sarebbe infatti del tutto illogico ed irrazionale applicare le garanzie di difesa quando l'istanza di revisione 1segue alla denuncia e viene rivolta all'autorit giudiziaria e negarle quando, pur spiegando lo stesso grado di efficacia nel successivo processo, l'efito della revisione condiziona l'obbligo di denuncia. 8. -Le stesse considerazioni fin qui svolte valgono a giustificare, in identici termini e sempre limitatamente alla revisione della prima analisi, la dichiarazione di parziale illegittimit costituzionale dell'art. 42 della legge 4 luglio 1967, n. 580 (concernente la disciplina per la lavorazione e commercio dei cereali, degli sfarinati, del pane e delle paste . alimentari), denunziato dal pretore di Sant'Elpidio a Mare (ord. n. 185 del 1969). Anche a proposito della disciplina contenuta in questa legge non pu influire sulla decisione qualche particolarit ad essa peculiare. Tanto ' a dirsi della facolt che -nei casi di denuncie immediate di delitti contemplati dagli articoli 438-452 c.p. -l'ottavo comma dell'impugnato art. 42 attribuisce all'autorit giudiziaria, alla quale si lascia la scelta di disporre la revisione nei modi previsti dalla legge stessa ovvero la perizia ai sensi degli articoli 314, 391 e 3198 del c.p.p. Ed invero se la predetta autorit pu optare per la revisione da eseguire a cura dell'Istituto superiore di sanit, non si possono negare all'interessato quelle garanzie delle quali egli indubbiamente .godrebbe ove si procedesse alle normali perizie. Ancora una volta si pu constatare quanto sarebbe arbitrario far dipendere da una diversit di meccanismi procedurali la presenza o l'assenza della difesa nella formazione di atti istruttori di identica efficacia . ..__ (Omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 17 dicembre 1969, n. 150 -Pres. Branca, ReZ. Fragali -Presidente Consiglio dei Ministri (Sost. avv. gen. dello Stato Albisinni) c. Presidente Regione Siciliana (avv. Sorrentino, Virga, Salerno). Sicilia -Conflitto di attribuzione -Riscossione delle imposte -Servizio di meccanizzazione dei ruoli erariali e non erariali -Spetta alla Re~ione. (St. reg. sic. art. 14,20; d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074, art. 8). Spetta alla Regione siciliana la competenza a provvedere sul servizio della meccanizzazione dei ruoli relativamente alle entrate erariaii e PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE ' 1023 non erariali riscosse in Siclia, poich si tratta di redazione dei ruoZ.i non come procedimento giuridico di imposizione, ma come mera operazione materiale (1). (1) La Corte ha fondato la sua pronuncia ,sulla circostanza di fatto che la meccanizzazione dei ruoli una mera operazione materiale, lasciando impregiudicata la questione dell'ambito di applicabilit della materia di riscossione ., per la quale si avuto il trasferimento delle attribuzioni dallo Stato alla Regione. CORTE COSTITUZIONALE, 17 dicembre 196'9, n. 151 " Pres. Branca; Rel. Real& -De Marco (n. c.) e Presidente del Consiglio dei Ministri (Sost. avv. gen. dello Stato Casamassima). Impiegati dello Stato -Quote di aggiunta di famiglia -Non spettanza pei figli ricoverati presso istituti di istruzione e di educazione Illegittimit costituzionale -Esclusione. (Cost., artt. 3, 34; d.1.1. 21 novembre 1945, n. 722, art. 2, sesto comma). L'esclusione della corresponsione delle quote di aggiunta di famiglia ai dipendenti statali, relatlivamente ai figli ricovernti gratuitamente presso istituti di istruzione o di educazione, disposta daU'm"t. 2, sesto comma del-21 novembre 1945, n. 722, non contrasta col principio costituzionale di eguaglianza n con quello del diritto allo studio (1). (Omissis). ~. 1. -Il decreto legislativo luogotenenziale 21 novembre 1945, n. 722, istitutivo di una indennit mensile di carovita a favore dei dipendenti statali, nell'art. 2, quinto comma, accorda al personale maschile coniugato e al personale vedovo con prole minorenne, per ciascuno dei familiari a carico, una quota complementare mensile, che ha poi assunto la denominazione di quota di aggiunta di famiglia con l'art. 4 del successivo d.P.R. 17 agosto 1955, n. 767. Il successivo sesto comma stabilisce, in particolare, che ai fini della (1) La questione era stata proposta dal giudice conciliatore di Vico Equense con ordinanza 11 maggio 1968 (Gazzetta Ufficiale 10 agosto 1968, n. 203). In dottrina, per i riflessi costituzionali dell'assegno di studio, cfr. Ricco, Aspetti dell'ordinamento universitario italiano; note sull'assegno di studio, Foro napolet., 1968, III, 24. 4 ~V'"iif"f.f(%f%'.-J%ffe'.:i.i':fWN@ff'Nf:ffWV:'#W%B=-='W{;f7:=;;.x:,:;:::,:::r1.;_;;-7:=t.:::3'..:<::w::~.w:- . xw-, B'' ./ Ffw.e-=='/ ''"w.~Wlf~kfAJlfatJJJS,f'.fi??:: x;_ ~ -~~~ 1024 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO I I@ concessione della quota aggiuntiva non si tiene ,conto, fra le altre persone, dei figli minorenni ricoverati .gratuitamente presso istituti di istruzione o di educazione . Dopo aver rilevato che la suddetta disposizione applicata anche nel caso che il ricovero presso istituti di istruzione consegue all'assegnazione di una borsa di studio, in base a valutazione, per concorso, del merito scolastico, il conciliatore ne denunzia l'illegittimit, alla stregua dei principi enunciatinegli artt. 3 e 34 della Costituzione. Sussisterebbe, secondo il giudice a quo, una disparit di trattamento rispetto alla disciplina dell'assegno di studio universitario, istituito con la legge 14 febbraio 1963, n. 80 (le cui misure sono state aumentate con la recente legge 21 aprile 1969, n. 162), ed alla disciplina delle borse di studio, da attribuire ai giovani laureati per il compimento di particolari studi e ricerche, ai sensi dell'art. 32 della legge 31 ottobre 1966, n. 942 e del relativo regolamento approvato con decreto 2 marzo 1967 del Ministro della pubblica istruzione. Soltanto nel primo caso, e cio in pregiudizio del genitore il cui figlio sia os_pitato gratuitamente in un istituto di istruzione, disposta l'esclusione della quota aggiunta di famiglia, ancorch in tutte le ipotesi ricordate si prevedevano invece identici requisiti d'i merito e pari condizioni economiche familiari. La questione non fondata. 2. -Il sesto comma dell'art. 2 del d.1.1. n. 722 del 1945 va posto in relazione col principio fondamentale, contenuto nel precedente quinto comma, 'che subordina la concessione dell'aggiunta di famiglia al :fatto che il figlio minorenne (o, se studente universitario, per la durata del corso legale di studi e comunque non oltre il ,compimento del 26 anno di et, come dispone la successiva J.egge 11 febbraio 1963, n. 79) sia a carico del genitore: richiesto, cio, che su quest'ultimo gravino gli oneri economici attinenti a tutte le necessit di vita: quindi non solo quelle concernenti l'istruzione e l'educazione, ma anche le altre riguardanti ad esempio il vitto, l'alloggio, il vestiario. Orbene, la diversit di disciplina nella normativa in esame appare determinata da una discrezionalit legislativa per cui sono state diversamente considerate le situazioni sopra indicate. Simile valutazione deve qualificarsi razionale, giacch, mentre con l'ospitalit gratuita in istituti e collegi si debbono normalmente considerare ,soddisfatte le essenziali necessit di vita, onde il soggetto non pu dirsi a carico del genitore, eguale affermazione non , di norma, consentita per i casi di concessione di assegni o di borse di studio: benefic'i questi che, intesi a sopperire ai maggiori oneri della istruzione superiore, sono diretti ad alleviare solo in parte l'onere del genitore relativo al mantenimento ed all'educazione della prole. II PARTE I, SE;Z. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 1025 Quanto sopra basta ad escludere la fondatezza della questione alla stregua dell'art. 3 della Costituzione, posto che la diversit. di trattamento legislativo risponde a sostanziale diversit delle fattispecie regolate. 3. - poi insussistente anche la denunziata violazione dell'art. 34 della Costituzione nella parte in cui, dopo essersi ,dichiarato che i capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i pi alti gradi degli studi, si prevede a loro favore l'adozione di opportune provvidenze. La dtsposizione impugnata non incide affatto sulle situazioni protette dalla norma costituzionale suddetta. Essa, ,comportando l'esclusione dell'aggiunta di famiglia per il caso di ospitalit gratuita in istituti o collegi, presuppone non pregiudicato, anzi ampiamente assicurato in tal modo, il diritto all'istruzione. -(Omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 17 dicembre 1969, n. 152 -Pres. Branca, ReZ. Verzl -INAIL (avv. Flamini). Previdenza e assistenza sociale -Infortuni sul lavoro -Agenti delle imposte di consumo -Esclusione dall'assicurazione obbligatoria fino al 1 gennaio 1966 -Illegittimit costituzionale. (Cost., art. 3; d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 199). costituzionalmente illegittimo, con riferimento al principio di eguaglianza, l'art. 199 del testo unico delle norme sull'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e Ze malattie professionali, awrovato con d.P.R. 30 giugno 19:65, n. 1124, nella parte in cui introduce l'obbligo assicurativo per gli agenti delle imposte di consumo solo a partire dal 1 gennaio 1966 in avanti (1). (Omissis). -La questione della illegittimit dell'art. 199, secondo comma, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 11214, .sollevata dalla ordinanza della Corte di Cassazione in riferimento all'art. 3 della Costituzione, fondata. Il t.u. delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro (1) La questione era istata proposta con ordinanza 5 febbraio 1968 della Corte Suprema di Cassazione (Gazzetta Ufficiale 13 luglio 1968, n. 177). In dottrina, sulla identificazione delle lavorazioni predette, con riferimento alla manualit> delle attribuzioni svolte, cfr. CANovr, Il requisito della manualit del lavoro ai fini della ricorrenza dell'assicurazione obbligatoria, Mass. giur. Lavoro, 1956, 179; SIMI, I soggetti dell'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, Rass. lavoro, 1965, 1479. 1026 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali approvato col detto decreto -dopo avere disposto, all'art. 4, terzo comma, che tra le persone assicurate sono compresi anche gli agenti delle imposte di consumo Che, pur vincolati da rapporto impiegatizio, per l'eserdzio delle proprie mansioni, si avvalgono non in via occasionale di veicoli a motore da essi personalmente condotti -contiene, fra le norme generali, transitorie e finali, quella impugnata, la quale rinvia alla data del 1 gennaio 1966 l'inizio dell'obbligo assicurativo per i suindicati agenti. Siffatta norma crea incertezza e disparit di trattamento per tutto il periodo precedente al gennaio 1966. Sotto il vigore del regio decreto-legge 17 agosto 1935, n. i765, l'art. 1 n. 2 e l'art. 18 disponevano che sono compresi nella assicurazione coloro che fuori del proprio domicilio, in modo permanente o avventizio, prestano, alle dipendenze e sotto la direzione altrui, opera manuale retribuita, quando siano esposti al.rischio dipendente dall'uso di macchine per il loro servizio. E l'art. 2 del r.d. 15 dicembre 1936, n. 2276, precisava che si considerano addetti a prestare servizio presso macchine mosse da agente inanimato o presso i motori di esse o presso apparecchi a pressione tutti coloro che compioni funzioni in dipendenza e per effetto delle quali sono esposti al pericolo di infortunio direttamente prodotto dalle macchine, dai motori o dagli apparecchi suddetti. Poich la giurisprudenza era contrastante sulla applicabilit o meno di tali norme anche agli agenti delle imposte di consumo, che si servono di veicoli a motore, il legislatore, con l'art. 4, terzo comma, del testo unico del 1965 ha inteso eliminare ogni dubbio circa l'obbligo dell'assicurazione; ma il rinvio dell'inizio di tale obbligo al 1 gennaio 1966, disporto dall'art. 199, conferisce alla norma dell'art. 4 un carattere innovativo, con la .conseguenza che, fino al gennaio 1966, l'obbligo assicurativo si deve ritenere insussistente. La Corte di cassazione, che nella ordinanza di rimessione dichiara di non potere escludere che nella previsione legislativa del 1935 possano rientrare gli agenti in questione ha ritenuto di non dover prescindere dall'esame del t.u. del 1965 e dal rilievo che la norma impugnata crea una ingiustificata disparit di trattamento da sottoporre al sindacato di costituzionalit. Ed ovvia la denunziata disparit di trattamento derivante dal fatto che, per gli agenti di cui si discute, sia stato escluso l'obbligo dell'assicurazione, fino alla data del 1 gennaio 1966 mentre tutti gli altri lavoratori dipendenti 1sottoposti al medesimo rischio per il loro servizio presso macchine, fruiscono della tutela assicurativa, a prescindere dalla qualifica, anche impiegatizia, loro spettante nella impresa e dallo espletamento di altre eventuali mansioni non manuali (art. 2 del r.d. 15 dicembre 1936, n. 2276). -(Omissis). PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 1027 CORTE COSTITUZIONALE, 22 dicembre 1969, n. 155 -Pres. Branca - Rel. Verz -Fornezza, Casini ed altri (avv. Dalla Santa, Andreoni, Piccardi, Barile, Agostino), I.N.P.S. (avv. Cannella) e Presidente Consiglio dei Ministri (Sost. avv. gen. dello Stato Savarese). Previdenza ed assistenza -Pensioni di previdenza sociale -Divieto di cumulo con la retribuzione -Ille~ittimit costituzionale per le pensioni di vecchiaia -Infondatezza della questione per le altre pensioni. (Cost., artt. 3, 4, 35, 36 e 38; I. 18 marzo 1968, n. 238, art. 5, lett. a, b, e; d.P.R. 27 aprile 1968, n. 488, art. 20, lett. a, b, e). fondata, con riferimento agli artt. 36 e 38 della Costituzione, la questione di legittimit costituzionale dell'art. 5 legge 18 marzo 19:68, n. 238, lettera a e b, nonch deil'art. 20, lettera a e b del d.P.R. 27 aprile 19:68, n. 488, norme che anteriormente alla legge 30 aprile 1969, n. 153, vietavano in via assoluta il cumulo fra pensioni di vecchiaia e retribuzione~ Non fondata, invece la stessa questione con riferimento alle pensioni di invalidit e di anzianit, neanche con riferimento al principio costituzionale di eguaglianza (1). (Omissis). -2. -Viene denunziata l'illegittimit dell'art. 5 della legge 18 marzo 1968, n. 238, che conferisce al Governo la delega ad emanare norme intese a stabilire che -con decorrenza dal 1 maggio 1968 -le pensioni dell'I.N.P.S. di vecchiaia, di anzianit e di invalidit non sono cumulabili, totalmente o parzialmente, con la retribuzione percepita dai pensionati che ,continuano a lavorare; e vengono denunziati gli artt. 210, 21 e 28 della legge delegata (d.P.R. 27 aprile 1968, n. 488) che, fra l'altro, prescrivono che il datore di lavoro ha l'obbligo di detrarre dalla retribuzione una somma pari all'importo della pensione (o della quota di e,ssa) non dovuta e di versarla all'Istituto nazionale della previdenza sociale. Secondo le ordinanze, il divieto di cumulo della pensione con la retribuzione non soltanto crea un trattamento' differenziato rispetto ad altre ,categorie, ma pone altresi una (1) La questione era stata proposta con sette ordinanze di giudizi di merito, anteriormente alla pubblicazione della legge 30 aprile 1969, n. 153, la quale disciplina ex novo la materia, per il periodo successivo al 1 maggio 1969, allentando notevolmente il divieto di cumulo per le pensioni di vecchiaia e per quelle di invalidit. ,, Gi in precedenza, con la sentenza 1 giugno 1963, n. 105 (Giur. Cost., 1963), la Corte aveva ritenuto legittimo il divieto di cumulo fra pensioni e stipendi dei dipendenti statali. In dottrina, sulla natura delle pensioni di previdenza sociale, cfr. CANNELLA, Corso dir. prev. sociale, Milano, 1959, 104 segg. I lI I I {" I ! I l I I I I I I I II I I 1 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 1028 alternativa fra diritto al lavoro e diritto alla pensione gi maturato ed acquisito, mentre la particolare disciplina si traduce in una diminuzione della retribuzione per ragioni del tutto estranee alla quantit e qualit del lavoro prestato. Dal che deriverebbe la violazione degli artt. 3, 4, 35, 36 e 38 della Costituzione. Le norme impugnate sono state modificate dalla legge 30 aprile 1969, n. 153, in senso pi favorevole ai pensionati, ma la questione continua ad avere rilevanza per il periodo 1 maggio 1968-1 maggio 1969, in quanto da quest'ultima data trova applicazione la nuova legge. 3. -Va precisato, preliminarmente, che la retribuzione non subisce di fatto alcuna riduzione per effetto del divieto di cumulo. Se pur esatto che il datore di lavoro opera una trattenuta sul salario, il relativo importo viene indirettamente restituito al lavoratore giacch la peusione, invece di essere ridotta, corrisposta per intero. Il legislatore ha fatto ricorso al sistema del pagamento integrale della pensione con rimborso all'I.N.P.S. della quota non dovuta, allo scopo di evitare riliquidazioni econtinui conteggi, realizzando in tal modo economia di lavoro, risparmio di tempo ed innegabile vantaggio per il pensionato che, in caso diverso, si vedrebbe sospendere per lungo tempo il pagamento della pensione ad ogni cambiamento della posizione lavorativa. E, se ha fatto obbligo al datore di lavoro (piuttosto che allo stesso pensionato) di effettuare il rimborso all'I.N.P.S., il legislatore si avvalso dei suoi poteri discrezionali scegliendo il mezzo ritenuto migliore e pi sicuro. Non hanno fondamento le critiche mosse a siffatta disciplina: il pensionato otterrebbe per via della pensione quanto gli verrebbe detratto dalla retribuzione; il pagamento effettuato con la pensione si ricollegherebbe a ragioni creditizie che nulla hanno a t:he vedere col compenso dovuto per la ;prestazione della attivit lavorativa; il pagamento viene effettuato, in parte bimestralmente, da persona diversa dal datore di lavoro, ecc. Esse non tengono conto che, in materia di cumulo, la pensione e la retribuzione hanno zone di interferenza che occorre disciplinare, e non danno il debito peso alle necessit derivanti dalla difficolt di regolare uniformemente un grande numero di casi di singoli lavoratori con posizioni assicurative svariatissime. Comunque, non si pu affermare che detta disciplina sia violatrice dei principi costituzionali invocati. Le norme impugnate attengono .soltanto al trattamento previdenziale; ed 1sulla pensione che si opera la riduzione. 4. -In merito a tale riduzione, va osservato che -quale che sia la natura ,giuridica della pensione - certo che essa assolve ad una funzione previdenziale. Il suo scopo quello di sopperire al rischio del lavoratore di ;perdere o diminuire il proprio guadagno e di mancare dei mezzi di sussistenza, quando, col venire meno delle forze per invalidit o vecchiaia, non pi in grado di lavorare. Assicurando al lavoratore una entrata periodica atta a fronteggiare i bisogni di vita nel periodo PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 1029 successivo alla cessazione del lavoro, la pensione deve per sua natura collegarsi nel quantum alla particolare situazione personale e familiare degli aventi diritto. Diventa definitiva soltanto dopo la cessazione completa del lavoro, ma, se maturata ed acquisita anteriormente a tale momento, pu essere riliquidata ed aumentata per effetto delle ulteriori contribuzioni conseguenti alla suocessiva opera prestata. Nel tempo stesso, il legislatore tiene conto del guadagno derivante dalla ulteriore attivit lavorativa e della variazione in meglio dello stato di bisogno per le esigenze di vita del pensionato, ed opera perci una riduzione. Per tali motivi non contrasta con l'art. 36 n l'art. 38 della Costituzione il fatto che il trattamento pensionistico venga ridotto perch con esso concorre il godimento di un trattamento per attivit lavorativa, che viene a ridurre l'esigenza previdenziale in funzione della quale fu predisposta la provvidenza pensionistica (vedi sentenza di questa Corte n. 105 del 1963). 5. -Affermata tuttavia I.a legittimit del divieto di cumulo fra pensione e retribuzione, la Corte ritiene che il precetto dell'art. 36, che assicura al lavoratore una retribuzione proporzionata alla quantit e qualit del suo lavoro, e quello dell'art. 38 della Costituzione relativo ai mezzi 1;1deguati alle esigenze di vita del pensionato sono violati dalle norme impugnate nella parte in cui esse dispongono che non sono cumulabili totalmente o parzialmente con la retribuzione le pensioni di vecchiaia. La Corte ritiene sindacare il modo di esercizio della discrezionalit legislativa per quel che riguarda la congruit della riduzione della pensione rispetto agli elementi essenziali del rapporto sociale creato dagli artt. 36 e 38 della Costituzione, in quanto il riferimento dell'art. 36 alla proporzione della retribuzione dovuta al prestatore d'opera costituisce, sotto un particolare aspetto, sviluppo del principio generale di uguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione. Orbene, non sembra razionale che al pensionato venga tolta una parte di quello che gli sarebbe spettato in base ai contdbuti versati, i quali, se accontonati nel corso degli anni, avrebbero raggiunto somme notevoli. Per quanto, in un sistema mutualistico e di solidariet sociale quale quello dell'INPS, i contributi del lavoratore servano per il conseguimento di finalit che trascendono .gli interessi dei singoli ed abbia.no carattere generale, pur tuttavia in.negabile che essi danno vita ad un diritto del prestatore d'opera a conseguire le prestazioni previdenziali: il che vuol significare che il legislatore non pu -senza violare quel principio di proporzionalit che sorregge il sistema pensionistico non tener conto delle contribuzioni dei prestatori d'opera. Lo stesso legislatore ha riesaminato questo problema del cumulo per dargli una soluzione pi equa, e, con la legge 3.0 aprile 1969 n. 153 ha disposto che, a decorrere dal 1 maggio 1969, non sono c.mulabili, Con la retribuzione, nella misura del 50 per cento del loro importo, le quote ecce 1030 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO denti il trattamento minimo delle pensioni di invalidit e vecchiaia. Or, mentre evidente la ragionevolezza della nuova nor1!1a, la quale non toglie al pensionato pi di quello che gli sarebbe approssimativamente spettato per effetto dei contributi versati, lo stesso non pu dirsi per le norme impugnate, le quali pertanto vanno dichiarate illegittime. Per quanto riguarda invece le pensioni di invalidit e di anzianit, la questione non fondata. Poich isecondo la legge del 1968 le pensioni di invalidit sono ridotte di una quota pari ad un terzo. del loro ammontare, non si riscontra la lamentata .sperequazione rispetto ai contributi versati. Le particolari, poi, della pensione di anzianit consentono il divieto totale del cumuio con la retribuzione. Tale pensione infatti viene liquidata dopo 35 anni di contribuzione, indipendentemente dal raggiungimento della et pensionabile, dal che deriva una sensibile riduzione dei limiti di et. pertanto un beneficio concesso al lavoratore, e, come tale, pu essere limitato al solo caso di cessazione effettiva del lavoro. 6. -In riferimento al solo art. 3 della Costituzione, la questione non fondat~. Le differenti condizioni soggettive ed oggettive dei soggetti all'assicuraizone generale obbligatoria .contro la invalidit, la vecchiaia ed i superstiti, nonch le differenze notevolissime delle posizioni assicurative delle varie categorie non consentono una uniforme di:sciplina, chi:: non distingua fra situazione e situazione e tratti tutti alla stessa stregua. Le discriminazioni lamentate dalle ordinanze sono necessarie per evitare un livellamento generale che riuscirebbe ingiusto, e sono sorrette da ragionevoli motivi, che consentono di fare un trattamento differenziato. In particolare va osservato che fra il pensionato che lavora avendo ancora forza e capacit sufficienti ed il pensionato che non pu pi esplicare attivit lavorativa sussiste una :grande differenza, di indiscutibile rilievo agli effetti della pensione, sotto il riflesso dello stato di bisogno in cui il pensionato che non pu lavorare viene a trovarsi. conforme alle esigenze volute dall'art. 38 il corrispondergli la intera pensione, mentre il divieto di cumulo per il pensionato che gode di un trattamento di lavoro oltre quello pensionistico rispetta un principio di giustizia distributiva. Il differente trattamento fatto ai lavoratori agricoli per i quali la pensione cumulabile con la retribuzione, sorretto da speciali motivi. Le esigenze dell'agricoltura, la progressiva rarefazione nelle .campagne delle forze di lavoro attratte da maggiori retribuzioni nell'industria, il settore particolarmente depresso caratterizzato da prevalente occasionalit dell'occupazione, hanno indotto il legislatore a favorire in tutti i modi il lavoro nelle campagne, concedendo anche l'agevolazione del cumulo della .pensione con la retribuzione. Si tratta di motivi ragionevoli ed apprezzabili, che giustificano il trattamento particolare. i. ~:: ~: :: ...._,,,,,,~~A11lliliY,AlllP~J PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 1031 E infine le pensioni spettanti agli impiegati statali, quelle a carico di enti pubblici diversi dalla previdenza sociale, e quelle a carico dei Fondi speciali dello stesso INPS sono soggette a discipline ben distinte da quella dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidit, la vecchiaia e i superstiti. sufficiente accennare alla continuit ed alla durata del rapporto di impiego, nonch all'entit dei contributi versati dagli stessi impiegati. La questione infondata anche in riferimento agli articoli 4 e 35 della Costituzione. Il riconoscimento del diritto al lavoro e la tutela del lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni non sono vulnerati dal divieto di cumulo. Non pu infatti costituire ostacolo effettivo all'attivit lavorativa la ci11costanza che il pensionato non possa godere, per intero, di due diversi trattamenti, quello di lavoro e quello pensionistico. (Omiss~). CORTE COSTITUZIONALE, 22 dicembre 1969, n. 156 -Pres. Branca - Rel. Mortati -Presidente Regione Valle d'Aosta (avv. Benvenuti, Lorenzoni) c. Presidente Consiglio dei Ministri (Sost. avv.. gen. dello Stato Savarese). I Valle d'Aosta -Esami di maturit, abilitazione e licenza media -Obl l bligo di svolgimento delle prove nella sola lingua italiana I i Violazione della parit linguistica francese -Illegittimit costiI tuzionale. I (st. Valle d'Aosta, art. 38; d.l. 15 febbraio 1969, n. 9, mod. da 1. di conv. 5 aprile 1969, n. 119, art. 5, terzo e quarto comma, art. 6, primo, secondo e terzo comma). I Sono costituzionalmente illegittime, per violazione del principio I ! ! della parit linguistica dell'italiano e del francese, stabilita dall'art. 38 I i dello Statuto valdostano, le d~osizioni del d.l. 15 febbraio 1969, n. 9, convertito nella legge 5 aprile 19:69, n. 119, le quali prescrivono che le I I prove ed il colloquio dell'esame di maturit e di licenza della scuola media debbano svolgersi solo nezia lingua italiana (1). I I (1) Anteriormente alla notifica del ricorso il Mini.stero della P. I. aveva I emanato la circolare 30 aprile 1969, n. 3288, con la quale si consentiva ai candidati della Valle di Aosta di svolgere le rprove di esame, a loro scelta, I I in italiano od in francese. La sentenza adegua, sul piano formale, quella che gi costituiva la prassi di applicazione della nuova normativa sugli l esami. I Sull'esame di Stato, come momento autoritativo dell'istruzione, cfr., l in dottrina, NIGRO, Libert della scuola e universit private, Foro amm., I i1958, I, 3; 130; PoTOTSCHIG, Insegnamento, istruzione, scuola, Giur. Cost., 1964, 361; CRISAFULLI, La scuola nella Costituzione, in Studi in onore di De Francesco, Milano, II, 284. 'i I I I BASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (Omissis). -1. -Si presenta anzitutto il quesito se la legge 5 aprile 1969, n. 119, di conversione, con modificazione, del d.l. 15 febbraio 1969, n. 9, riguardante il riordinamento degli esami di Stato di maturit, nel disporre, con l'emendamento aggiuntivo al quarto comma dell'art. 5, che nelle zone dove esistono scuole nelle quali l'insegnamento si svolge in lingua diversa dall'italiano le prove di maturit saranno effettuate nella rispettiva lingua, possa ritenersi applicabile anche alla Valle d'Aosta. La risposta non pu non essere negativa, dato che le sole disposizioni costituzionali le quali consentano l'esistenza nel territorio nazionale di scuole con lingua d'insegnamento diversa dall'italiana sono quelle previste, per la provincia di Bolzano, .dall'art. 15 dello :statuto della Regione Trentino-Alto Adige, mentre ben diverso il regime vigente nella Valle d'Aosta, caratterizzato dalla presenza di un unico tipo di scuola, con insegnamento nelle due lingue italiana e francese. Mentre in un caso, muovendosi_ dal presupposto di una lingua materna degli alunni diversa dall'italiana, si consente che l'interno insegnamento venga impartito nella lingua stessa, viceversa nell'altro caso appunto la mancanza di una lingua materna propria di alcuni e non di altri che conduce a consentire il diverso trattamento costituito dall'uso promiscuo delle due lingue. Discende da tali rilievi l'impossibilit di una interpretazione adeguatrice della norma impugnata, qual' stata prospettata dalla difesa della regione e sembra fatta propria anche dall'Avvocatura. Per le stesse ragioni esposte si deve ritenere che la circolare del Ministero della pubblica istruzione in data 30 aprile 196'9 la quale autorizza i candidati a sostenere le prove di esame in una delle due lingue a loro scelta, non vale ad escludere la persistenza dell'interesse a ricorrere da parte della Regione, contrariamente a quanto viene asserito dalla stessa Avvocatura. 2. -Passando al merito, la Corte ritiene che il ricorso sia fondato. Infatti la parificazione della lingua francese a quella italiana disposta con il primo comma dell'art. 38 dello Statuto fondata sulla constatazione di una situazione di pieno bilinguismo sussistente di fatto nella Regione, dalla-quale .si sono fatti discendere effetti costituzionalmente garantiti circa l'eguale uso delle due lingue, in modo da escludere che nella Valle sia da attribuire la qualifica di ufficiale all'una o all'altra (diversamente da quanto accade nella provincia mistilingue di Bolzano, dove, secondo l'art. 84 dello Statuto, lingua ufficiale considerata l'italiano). Se quella indicata la ratio ispiratrice del primo comma citato se ne pu dedurre che la disposizione del secondo comma dello stesso articolo (che consente la redazione degli atti pubblici in una delle due lingue, ad eccezione di quelli giurisdizionali da effettuare solo in italiano), nonch l'altra dell'art. 39, ultimo comma (secondo cui nelle PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 1033 scuole di ogni ordine -e .grado l'insegnamento in lingua francese limitato solo ad alcune materie) non possono essere invocate a sostegno di un'interpretazione restrittiva della :portata del comma precedente, rivestendo invece evidente carattere di eccezioni alla regola della parit, al di l delle quali questa deve necessariamente riprendere pieno vigore cosi da consentire l'uso dell'una o dell'altra a scelta dei soggetti interessati. Tale regola non pu non trovare applicazione anche nei confronti degli esami di maturit. Ci non gi per il motivo fatto valere dalla difesa regionale, secondo cui l'appUcazione della legge impugnata farebbe venire meno la facolt garantita dal secondo comma dell'art. 38 di redigere in francese l'atto pubblico di conferimento del diploma, dato l'asserito obbligo di conformarsi alla lingua con cui furono sostenute le prove, le quali costituirebbero parte integrante del diploma stesso (poich, anche ad ammettere l'esistenza di un rapporto di integrazione che leghi le une all'altro, nulla osterebbe alla differenziazione di espressione linguistica fra i due, in modo non diverso da quello che potrebbe accadere, per esempio, nel caso di sentenze che sono da redigere sempre in italiano anche s~ siano basate su un complesso di elementi raccolti e verbalizzati in lingua francese), bensi sulla base della diversa considerazione, fatta prima valere, del carattere tassativo da conferire alle deroghe al principio di parit, non estensibili a situazioni diverse da quelle testualmente previste. A nulla vale opporre, ,come fa 1'Avvocatura, che l'esame di Stato proietta i suoi effetti al di l dell'ambito della Regione ed oltre il settore dell'istruzione secondaria, essendo chiaro che la pratica utilizzazione nel ,campo professionale del titolo cosi conseguito al di l del territorio regionale ~i render possibile solo a patto che, l'interessato dimostri il pieno possesso della lingua italiana; possesso che, del resto, dovrebbe essere presunto, se si tiene conto della prescrizione dell'art. 39, primo comma, per cui all'insegnamento delle due lingue deve essere dedicato in tutte le scuole di ogni ordine e grado un eguale numero di ore settimanali. Analogamente nessun valore da attribuire all'altra asserzione della difesa dello Stato, secondo cui la materia dell'esame de quo esula dalla competenza, riferendosi anche a rapporti con autorit non regionali sedenti nella Valle. Infatti quello che solo importa, al fine di assicurare la condizione messa in rilievo dal1' Avvocatura, della perfetta eguaglianza di tutti i candidati, quale che sia la parte del territorio in cui le prove siano sostenute, che queste si svolgano in modo uniforme sulla base di norme e di programmi stabiliti dallo Stato: esigenza questa che per la Valle pienamente assicurata dall'art. 40 dello Statuto, il quale testualmente richiama le une e gli altri. Elementi di giudizio per la riisoluzione della controversia in senso diverso non possono trarsi neppure dalla norma statutaria che disci 1034 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO plina le modalit dell'uso delle lingue per quanto riguarda l'insegnamento (art. 39 ultimo comma) poich l'esame di Stato attiene ad una sfera del tutto diversa da quella dell'insegnamento. D'altra parte, anche se un parallelismo fra l'uno e l'altro si potesse porre, esso condurrebbe a richiedere non gi la piena appUcazione della norma impugnata, cos com' ritenuto dall'Avvocatura ma, al pi, che lo svolgimento delle prove nelle varie materie dovrebbe avvenire nella stessa lingua in cui era stato impartito l'insegnamento delle medesime. -(Omissis). .: :-'. CORTE COSTITUZIONALE, 22 dicembre 1969, n. 157 -Pres. Branca - Rel. De Marco -Cerruti ed altri (n.c.) e Presidente Consiglio dei Ministri (sost. avv. gen. dello Stato Tracanna). Imposta di registro Divieto di rilascio e di pronuncia in base a sentenze non registrate -Riferibilit anche alla tassa di titolo -Illegittimit costituzionale. (Cost., art. 3, 24, 113; r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 117 e 118, mod. da art. 1 r.d. 13 gennaio 1936, n. 2313). Imposta di registro Divieto di pronuncia per i giudici in base ad atti non registrati. -Atti da registrare in caso d'uso -Illegittimit costituzionale. -Esclusione. (Cost., art. 3, 24, 101, 113; r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 106, 108, 118). Sono costituzionalmente illegittimi, perch si traducono in una sostanziale applicazione del solve et repete , le disposizioni degli articoli 117 e 118 nella vigente legge di registro nella parte in ciii stabiliscono, per i funziona1i delle cancellerie giudiziarie, il divieto di rilasciare copie o estratti di sentenze non registrate, e per i giu,dici, il divieto di emettere pronuncie giurisdizionali, anche quando si contesti la legittimit dell'imposta di titolo, accertata in base alle sentenze stesse (1). (1-2) La questione era stata proposta con tre diverse ordinanze ai giudici di merito: Trib. Ferrara, 23 gennaio 1968 (Gazz. Uff. 11 maggio 1968, n. 120), Corte App. Bologna 3 novembre 1967 (Gazz. Uff. 18 maggio 1968, n. 127), Trib. Locri, 7 agosto 1968 (Gazz. Uff. 12 ottobre 1968, n. 261). La precedente sentenza della Corte, richiamata in motivazione 9 aprile 1963, n. 45, leggesi in Riv. dir. proc., 1965, 443 e nota di CoMOGLIO, L'art. 24 della Costituzione e gli oneri fiscali nel processo. il da ricordare, poi, che sempre sull'art. 117 legge di registro, la Corte aveva emanato altra declaratoria di illegittimit costituzionale rela PARTE. I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 1035 Non fondata la questione di legittimitd costituzionale, in relazione ai principi costituzionali di eguaglianza, di difesa, e di indipendenza del giudice, delle disposizioni della vigente legge di registro le quali vietano il rilascio di copie e le pronuncie giurisdizionali in base ad atti non registrati, ancorch soggetti a registrazione solo in caso d'uso (2). (Omissis). -1. -I tre giudizi, come sopra promossi, vanno riuniti, in quanto hanno per oggetto J.a denunzia di incostituzionalit, sia pure sotto profili diversi, delle stesse norme del regio decreto 30 dicembre 1923, n. 3269, contenente la legge del registro. 2. -In ordine logico, '!l opportuno esaminare per primo il giudizio promosso con lordinanza del tribunale di Locri. Con tale ordinanza, in riferimento agli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione, si denunzia la illegittimit costituzionale degli artt. 106 e 118 del regio decreto 30 dicembre 19.23, n. 3269, in forza dei quali, rispettivamente, gli atti soggetti a registrazione non possono farsi valere in giudizio finch non siano registrati ed fatto divieto ai giudici di pronunziare sentenze o emettere decreti o provvedimenti in base ad atti soggetti a registrazione e non registrati: le due norme sarebbero illegittime per difetto della tutela giurisdizionale, la quale voluta dalla Costituzione e deve essere libera, accessibile alla totalit dei cittadini e, in particolare, non limitata da impedimenti ispirati a ragioni fiscali. In riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, la questione gi stata dichiarata infondata con la sentenza di ligo dei versamenti del'ratei del minimo garantito. Precisava; altresi, il Comune di Conselice -come peraltro risultava dallo stesso decreto -di avere adottato il provvedimento in appliestiva r1$cossirie . dei tributi .per . inadempimento dell'esattore, alla immediata dedatatoria di decadenza e all'estromiss.i.one dell'appaltatore della gestione del servizio, indipendentemente da qualsiasi opposizione giudiziaria o amtninistrativa, ai sensi dell'art. 87, comma secondo, T.U.F.L. approvato con r.d: 14 settembre 1931, n. 1175. L'ambito della contesa, dunque, non si discosta molto da una comune lite circa i diritti ed obblighi scambievoli derivanti ai contraenti da un contratto di appalto, e si tratter di giudicare, alla luce delle 1060 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO risultanze e alla stregua della convenzione, se le pretese inadempienze sussistevano e se la loro entit autorizzava la risoluzione in tronco del rapporto, nel che si sostanzia, giuridicamente e praticamente, l'impugnato provvedimento del Comune. Cosi individuato e precisato il petitum sostanziale della pretesa azionata dalla ditta Langione e delle difese opposte dal Comune di Conselice, deve riconoscersi che l'impugnata decisione del Consiglio di Stato non merita censura. -(Omissis). CORTE DI C.ASSAZIONE, Sez. Un., 31 luglio 1969, n. 2908 -Pres. Stella Richter -Est. De Santis -P. M. Di Majo (conf.) -Strigari (avv. ;Dorii e Rosa) c. Ministero della Pubblica Istruzione (avv. Stato Conti). C9mpetenza ,e, giurisdizione -Espropriazione per pubblica utilit Retrocessione -Espl:"opriazione non preordinata all'esecuzione di opere pubbliche -Inammissibilit della retrocessione. (1. 25 giugno 1865, n. 2359, artt. 60 e segg.; 1. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, art. 2). Competenza e giurisdizione -Retrocessione di beni espropriati per l'esecuzione di opera pubblica -Ipotesi in cui un intero fondo sia rimasto inutilizzato -Necessit della dichiarazione amministrativa di inservibilit. (1. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 61). La retrocessione dei beni espropriati inammissibile in tutti i casi in cui l'espropriazione sia valsa a soddisfare direttamente esigenze e bisogni della collettivit, indipendentemente dall'impiego del bene esp1opriato nell'esecuzione di un'opera pubblica (1). (1) Il princ1p10 di Cui alla prima massim~ . di indubbia esattezza. La retrocessione presuppone necessariamente che l'espropriazione sia stata preordinata all'esecuzione di un'opera di pubblica utilit. proprio questo carattere strumentale dell'espropriazione, rispetto al perseguimento di un fine pubblico ulteriore (la realizzazione dell'opera), che spiega e giustifica l'obbligo dell'espropriante di retrocedere il bene ove questo non sia in concreto servito, o non possa pi servire, allo scopo per il quale ne era stato disposto il trasferimento coattivo. Ben diversa la situazione in tutti i numerosi casi in cui l'espropriazione non costituisce semplicemente il mezzo per render possibile la concreta realizzazione di uno scopo ulteriore, ma soddisfa direttamente, essa stessa, l'interesse pubblico che .la giustifica. Qui, un diritto alla retroces PARTE I, SEZ. II, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 1061 Ove l'espropriazione sia stata disposta per l'esecuzione di un'opera pubblica e questa sia stata effettivamente realizzata nell'ambito del compendio immobiliare espropriato, l'eventuale retrocessione dei fondi che, quantunque compresi in tale compendio, siano rimasti totalmente inutilizzabili disciplinata dagli artt. 60 e 61 della legge sulle espropriazioni. La domanda di retrocessione , pertanto, proponibile solo se sia intervenuta la dichiarazione amministrativa di inservibilit dei beni relitti (2). (Omissis). -La eccezione di improponibilit assoluta della domanda opposta dall'Amministrazione pubblica agli Stringari deve essere esaminata per prima, dato il suo valore prevalente ed assorbente. Come si gi esposto, 1'Amministrazione dello Stato sostiene che non sia affatto consentita la retrocessione in favore degli Stringari dei beni in questione, dato che la loro espropriazione fu disposta non per la esecuzione di un'opera pubblica, ma per un fine realizzabile, ed in effetti realizzato, immediatamente, quello cio della conservazi>ne dei ruderi delle antiche terme romane di Baia e della creazione di una zona di rispetto intorno ad essi. A fondamento di questo assunto l'Amministrazione dello Stato ricorda che la espropriazione fu nella specie disposta in base alla legge 20 giugno 1.909, n. 364 (ora sostituita dalla legge 19 giugno 1939, numero '1089 sulla tutela delle cose d'interesse artistico o storico), che attribuiva al Governo la facolt di espropriare terreni privati quando occorreva provvedrre alla conservazione di ruderi e di monumenti, ' venuti in luce casualmente o in seguito a scavi, come alla delimitazione della zona di rispetto e alla costruzione di strade di accesso . Inoltre il d.l. 30 novembre 1936, n. 2125 aveva dichiarato di pubblica utilit non la esecuzione di alcuna opera, ma le stesse espropriazioni e, ad avviso della ricorrente, ci dimostrerebbe che il fine pub sione non pu mai, neppure in astratto, configurarsi; e, quindi, fa relativa domanda deve considerarsi assolutamente improponibile. In tal senso la Suprema Corte aveva gi avuto occasione di pronunciarsi, nella sentenza 2 febbraio 1963, n. 183 (in Foro it., 1963, I, 230), relativamente alle espropriazioni disposte in attuazione delle J.eggi sulla riforma fondiaria. La sentenza in rassegna riconosce il carattere generale del principio e, in particolare, la sua aipplicabilit alle espropriazioni disposte al fine di preservare ruderi o monumenti e di assicurare loro una conviniente zona di rispetto (artt. 54 e 55 1. 1,0 giugno 1939, n. 1(}89). Nella specie, per, trattandosi di espropriazione disposta al fine della realizzazione di un parco monumentale.; .si ritenuto che ci si trovasse di fronte ad una comune ipotesi di espropriazione preordinata all'esecuzione di un'opera di pubblica utilit: il Che appare, in realt, criticabile, non potendosi negare che il fine della pura e semplice conservazione dei ruderi e della creazione di una zona di rispetto costituisse, quanto meno, una 1062 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO blico perseguito sarebbe stato soddisfatto immediatamente, per effetto delle espropriazioni stesse, ed indipendentemente dalla esecuzione dl altre opere. L'assunto dell'amministrazione non pu essere condiviso. Questa Corte ha gi altra volta ritenuto (sent. n. 183 del 1963) che vi sono espropriazioni che valgono a soddisfare direttamente esigenze e bisogni della collettivit, indipendentemente dall'impiego df.l bene espropriato nella esecuzione di un'opera pubblica e non ha motivo per modificare questo suo convincimento. Si deve anche riconoscere che oltre a quella altra volta considerata, e cio alla espropriazione disposta in attuazione delle leggi sulla riforma fondiaria, altra ipotesi di espropriazione non preordinata alla esecuzione di opera pubblica pu essere quella che ha per oggetto fondi in cui si trovano ruderi e monumenti e le circostanti zone di rispetto, gi prev:ista dalla legge 20 giugno 1909, n. 364 ed ora dalla legge 10 giugno 1939, n. 1089 (artt. 54 e 55). Il fine di utilit generale della conservazione e della sistemazione dei monumenti o dei resti archeologici pu essere infatti raggiunto tal volta anche con la sola espropriazione. di beni. In tutti questi casi la retrocessione dei beni espropriati risulta inammissibile nun potendosi mai verificare il presupposto necessario di ogni retrocessione, quello cio che il bene non sia utilizzato per il fine alla cui realizzazione era stata predisposta la espropriazione. Tuttavia, nella specie, proprio il r.d. 30 novembre 1936, n. 2125 manifestava espressamente che la espropriazione era preordinata ad un fine specifico, che era quello della creazione di un parco e che con tale mezzo si intendeva procedere alla sistemazione della zona in cui si trovavano gli avanzi delle terme romane. Pertanto era predisposta la espropriazione di tutti i suoli che, a quel tempo, erano ritenuti necessari per la realizzazione dell'opera, che ragione giustificativa concorrente (insieme alla realizzazione del parco ) della disposta espropriazione. (2) SuHa differenza fra le due figure di retrocessione previste, rispettivamente, dagli artt. 60 e 61 e dall'art. 63 della legge 25 giugno 1865, n. 2359, cfr.: Cass., Sez. Un., 4 marzo 1966, n. 634, in Giust. civ., 1966, I, 1786. insegnamento costante della giurisprudenza del Supremo Collegio che all'ipotesi di mancata esecuzione dell'opera (art. 63) debba equipararsi l'altra dell'esecuzione in luogo diverso da quello originariamente previsto (v., ad es., Cass., 18 novembre 1961, n. 2693, in Foro it., 1962, I, 231). La sentenza in rassegna opportunamente precisa, per, che si versa pur sempre nell'ipotesi di retrocessione dei c.d. relitti (artt. 60 e 61), allorch l'opera sia stata eseguita nell'ambito dell'intero compendio immobiliare espropriato, anche se un intero fondo di uno dei proprietari espropriati sia rimasto inutilizzato. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 1063 si voleva monumentale, e non solo di quelli, verosimilmente meno estesi, che sarebbero occorsi per la sola conservazione dei resti archeologici e la creazione di una zona di rispetto intorno ad essi. Nessuna importanza pu avere, ai fini di una diversa interpretazione, il fatto che il decreto sopra citato dichiarava di pubblica utilit le stesse espropriazioni. Invero, anche quando queste sono disposte per la diretta ed immediata realizzazione di un fine di utilit generale e non per la ulteriore esecuzione di un'opera pubblica, non pu mai correttamente dirsi che siano di pubblica utilit le espropriazioni in se stesse. Per rimanere nell'ambito della materia della presente causa, il fine di utilit generale quello della conservazione e della sistemazione dei resti archeologici; la espropriazione resta pur sempre un mezzo per il raggiungimento di tal fine, che in alcuni casi si consegue attraverso la espropriazione ed, in altri, usando il bene espropriato per la esecuzione di un'opera pubblica~ La palese imprecisione di linguaggio del testo legislativo non giustifica dunque alcuna ulteriore illazione a favore deJla tesi della assoluta improponibilit della domanda cos come non la giustifica il generico richiamo dell legge n. 364 del 1909 contenuto, insieme con quello delle norme della legg~ fondamentale sulla espropriazione, nel preambolo del r.d. n. 2125 del 1936. Ha invece una determinante importanza la prefissione di un termine, contenuto in detto decreto, oltre che per le espropriazioni anche per la esecuzione dei lavori, termine pi volte in seguito prorogato con successivi provvedimenti legislativi. Questo infatti dimostra in maniera univoca che non la sola espropriazione sarebbe bastata a conseguire il fine di utilit generale, ma che occorreva invece eseguire delle opere, alla cui realizzazione era preordinata la espropriazione. Esclusa la dedotta assoluta improponibilit della domanda ed occorrendo quindi esaminare quale retrocessione sia ipotizzabile nella specie, se cio quella prevista e regolata dall'art. 63 della legge sulle espropriazioni. (25 giugno 1865, n. 2359) o quella prevista e regolata dagli artt. 60 e 61, va innanzi tutto precisato che gli istanti Stringari avevano espressamente dedotto, con il loro ricorso, che nella specie il parco era stato realizzato,' peraltro in misura ridotta rispetto a quella originariamene prevista, ma saltant> su fondi espropriati in danno di altri, senza comprendervi in alcuna misura quelli gi appartenenti ad essi Stringari ed espropriati in loro danno. Avevano aggiunto che questa ipotesi, di opera pubblica eseguita su fondi diversi da quelli espropriati per la sua realizzazione, deve essere equiparata all'altra della totale mancata esecuzione, e che in entrambe le ipotesi applicabile la disc1plina dell'art. 63 della legge sulle espropriazioni. 1064 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Solo con la memoria difensiva e, successivamente, nella discussione orale, stata contestata, nell'interesse degli Stringari, la esecuzione di una qualsiasi opera di sistemazione, mediante creazione di un parco, della zona in cui si trovano i resti delle terme romane di Baia. La inattendibilit di questa tardiva contestazione del tutto palese, in quanto che successiva all'esplicito contrario riconoscimento della parte. Nel decidere la presente causa deve aversi pertanto per certo e fermo che la esecuzione dell'opera, per cui la espropriazione in esame era stata disposta, ha avuto luogo, mediante la creazione di un parco, sia pure di ridotte dimensioni. Ci basta a rendere inapplicabile la norma dell'art. 63 della legge sulle espropriazioni, poich la ipotesi in essa prevista si realizza solo quando 1' opera non siasi eseguita e siano trascorsi i termini a tal uopo concessi o prorogati . Quando invece l'opera pubblica sia stata eseguita e qualche fondo a tal fine acquistato non ricevette in tutto o in parte la preveduta destinazione ., la ipotesi che si verifica quella dell'art. 60 della legge. Il criterio di distinzione delle due fattispecie legali non sta dunque nel fatto che il fondo espropriato sia totalmente o parzialmente inutilizzato, potendc.ai verificare anche nella ipotesi dell'art. 60 che un :fondo resti totalmente inutilizzato essendosi eseguita l'opera pubblica solo su altri fondi, dell'intero compendio immobiliare espropriato, come espressamente previsto dal testo legislativo. Il criterio di distinzione sta invece nella avvenuta o non avvenuta esecuzione dell'opera, e poich nella specie, come si visto, per la originaria ammissione degli stessi Stringari deve ritenersi che l'opera pubblica sia stata realizzata, non pu dubitarsi che le norme in base alle quali pu richiedersi la retrocessione dei beni nori utilizzati siano quelle degli artt. 60 e 61 della legge sulle espropriazioni. Vanamente poi gli Stringari sostengono, con richiami alla giurisprudenza di questa Corte, che alla ipotesi di mancata esecuzione del- l'opera debba equipararsi l'altra della esecuzione in luogo diverso da quello originariamente previsto. Questo principio stato in realt affermato altre volte da questa Corte (sent. n. 1698 del 1954 e n. 2809 del 1966), che non avrebbe motivo per discostarsene se se ne verificassero i presupposti di fatto. Ma ci deve escludersi per la natura stessa dell'opera da eseguire ed in effetti eseguita, relativa alla sistemazione mediante creazione di un parco di una zona di terreno ben determinata e non sostituibile, per la presenza dei resti archeologici di cui si voleva assicurare la conservazione. Ben diverse, e lontane da quella presente, le fattispecie altre volte considerate, tra cui quella di una strada o di un tronco ferroviario rea PARTE I, SEZ. II, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 1065 lizzati con un percorso, diverso da quello originariamente previsto. In tali casi, in realt, l'opera per la quale la espropriazione era stata disposta non pu dirsi eseguita, essendosene invece realizzata un'altra, diversa da quella originariamente prevista.per la sua diversa ubicazione. Nel caso in esame invece l'opera eseguita proprio quella per cui le espropriazioni furono disposte, ma:, secondo l'assunto degli Stringari, senza che i loro fondi venissero utilizzati nella sua realizzazione. Le conseguenze che derivano da quanto innanzi esposto sono del tutto chiare ed evidenti; invero, mentre nella ipotesi prevista dall'articolo 63 della legge sulle espropriazioni rientra nei poteri dell'autorit giudiziaria ordinaria dichiarare la decadenza della dichiarazione di pubblica utilit, dipendente dalla mancata esecuzion dell'opera, e conseguentemente ordinare Ja restituzione dei beni espropriati, nella ipotesi di beni non utilizzati per la esecuzione dell'opera, peraltro avvenuta, spetta all'autorit amministrativa, e precisamente al prefetto, di dichiarare che i beni pi non servono all'opera pubblica (art. 61, ultimo comma). Solo dopo tale dichiarazione si potr chiedere dinanzi alla autorit giudiziaria la restituzione dei fondi. Poich non risulta esservi stata nella specie alcuna dichiarazione da parte del prefetto che i fondi degli Stringari non servono all'opera pubblica per cui furrmo espropriati, deve dichiararsi il difetto di giurisdizier.1e dell'autorit giudiziaria ordinaria relativamente alla do manda proposta dai medesimi Stringari, i quali vanno perci condan nati alla perdita del deposito. -(Omissis). SEZIONE TERZA GIURISPRUDENZA CIVILE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. III, 10 settembre 1969, n. 3093 -P1es. Marletta -Est. Cusani -P. M. Calderara (diff.) -Rossi (avv. Qalmone e Gatteschi) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Gargiullo). Competenza e giurisdizione -Giudice ordinario in sede civile e penale Ripartizione di competenza -Inderogabilit. Competenza e giurisdizione -Spese di mantenimento in carcere Controversie -Competenza funzionale del giudice penale. Le funzioni giurisdizionali del giudice .ordinario in sede civile ed in sede penale 1.wlizzano una ripartizione di competenza interna a carattere funzionale ed inderogabile, che pu essere rilevata di Ufficio anche in Cassazione. Rientra nella competenza del giudice penale la cognizione delle controversie inerenti l'esecuzione dei provvedimenti emanati, attinenti sia all'interpretazione del giudicato che al rapporto esecutivo e quindi. alla durata ed alle modalit essenziali della pena e, fra quest,~, quelle relative alla liquidazione ed attribuzione delle spese di mantenimento in carcere, nonch quelle di natura civile che comunque si ricolleghin<> alla esecuzione del provvedimento penale, purch non concerna-v-o la propriet delle cose o la esecuzione sia stata promossa da privati. (Omissis). -Stabilita la amm1ssibilit dell'impugnazione, deve rilevarsi che essa pone, al di l delle intenzioni del ricorrente, un deli cato problema circa la discriminazione tra le funzioni giurisdizionali attribuite al giudice ordinario in sede civile ed in sede penale; discriminazione che, secondo un criterio larghissimamente seguito in dottrina (1) Per riferimenti sulla discriminazione delle funzioni giurisdizionali tra giudice civile e penale cfr. REDENTI, Diritto proc. civ., I, 134; ANDRIOLI, Lezioni I, pag. 74. La sentenza 31 marzo 1952, n. 879, citata in motivazione si legge in Giur. it., 1952, I, 636 con nota di IANNuzz1; la sentenza 24 maggio 1960, n. 1324, si legge in Foro it., 1960, I, 109. PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 1067 e giudsprudenza, d luogo ad una vera e propria divisione di sfere di .competenza, alla quale anche l'autorevole dottrina che la configura come competenza interna riconosce il concorrente carattere di compe tenza funzionale che, come tale, d luogo a veri e propri ra.pporti di -competenza strictu sensu ed inderogabile (cfr. 427/51, 879/52, 2736/55, 1329/60). . Oggetto delle censure contenute nel ricorso, nella loro quasi totaldt, la decisione adottata nel merito della Corte d'Appello. Uno solo dei mezzi di annullamento, il secondo, prospetta una marginale questione di competenza in ordine ad uno solo dei profili della opposizione pro posta dal Rossi. ovvio, peraltro, da un lato che la questione di competenza .strettamente .pregiudiziale ed investe nel suo complesso la proposta azione e, dall'altro, che -trattandosi di .cornpetenza inderogabile -la questione dev'essere vagliata e risolta d'ufficio anche da questa Supl'ema Corte. Si duole nel secondo mezzo il Rossi che nella sentenza impugnata .sia stata affermata la competenza del Giudice dell'esecuzione penqle in tema di liquidazione delle spese di mantenimento in carcere. E sul punto assume che tale tema estraneo alle sue. domande, le quali non .concernono la congruit della diaria bensl la legittimit della misura della mercede e della sua ripartizione, e che perci giustamente il Giudice penale avrebbe dichiarato la propria incompetenza. L'assunto infondato, come ora si vedr, ma cionostante -anzi .appunto per que~to -la sentenza impugnata ~erita censura. Va intanto rilevato, per l'esattezza, che negli atti non v' traccia .del provvedimento che si assume essere statQ emanato dal Giudice dell'esecuzione .penale e che .peraltro -stando agli ,stessi riferimenti delle parti -esso non conterrebbe affatto una pronunzia sulla competenza. Quanto alla sentenza qui ora impugnata, deve osservarsi che -se -esattamente vi si affermato che per le controversie sulla liquidazione ed attribuzione delle .spese di mantenimento in carcere la competenza .spetta al Giudice dell'esecuzione penale, che provvede con le forme stabilite dagli artt. 628 e seg. c.p.p. ~si per errato ~el ritenere che ci comportasse il rigetto dell'opposizione e nel non rilevare che l'intero oggetto dell'opposizione proposta dal Rossi .nicadeva nell'ambito della fase esecutiva del processo penale che, nella ripartizione della potest giurisdizionale tra Giudice civile e Giudice penale, riservata a quest'ultimo ed devoluta inderogabilmente al Giudice dell'esecuzione penale. Invero il vigente codice di procedura penale attribuisce al Giudice che ha emanato un provvedimento la cognizione di tutte le controversie insorgenti in relazione alla sua esecuzione, cio -come si rilevato in 1068 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dottrina -non solo ogni divergenza di interpretazione relativa al giu dicato ma anche' ogni questione riguardante l'eventuale sopravvenuta estinzione del rapporto esecutivo e l'applicazione di qualsiasi norma che abbia importanza al fine di determinare il contenuto di detto rapporto. Sul regime giuridico del condannato, pertanto -ed in particolare sui limiti della pena (che non possono essere ampliati con arbitrari aggrava menti), quindi tanto sulla sua durata quanto sulle sue modalit essen 2iiali - chiamato a pronunziarsi sempre ed esclusivamente il giudice dell'esecuzione penale. Ed a questo il Leg.islatore ha ritenuto di attri buire espressamente anche tutte le questioni di natura civile (ad ecce zione di quelle relative alla propriet delle cose) che comunque si ricolleghino alla esecu2iione del provvedimento penale: specifiche con troversie sono indicate negli articoli 292, 612, 618, 619, 674 e 675 c.p.p., ma iart. 632 c.p.p.p richiama globalmente ogni questione insorta nel l'esecuzione civile in materia penale, con una disposizione tanto lata e comprensiva che nella Relazione parve necessario hiarire che essa non doveva ritenersi operativa in ogni caso, essendo rimaste salve quelle dalla Tariffa Penale (che peraltro non contengono alcun rinvio al codice di procedura civile -in tema di opposizione) e, per il solo caso di esecuzione promossa da privati, quelle della proc~dura civile. Nella specie non solo trattasi di controversia insorta in relazione all'esecuzione civile derivante da sentenza penale ma la sua risoluzione -essendosi contestati in definitiva i connotati di afilittivit, di ammenda e di rieducazione che si profilano per il lavoro carcerar-io, o, quanto meno, la loro portata discriminante rispetto al lavoro prestato nell'espletamento di un rapporto estraneo alla pretesa punitiva dello Stato. postula la definizione di quelli che sono il contenuto e la natura effettivi della pena della reclusione nel nostro ordinamento, la sua idole e portata, il grado ed intensit della sua affiittivit, materia che con tutta evidenza appartiene alla funzione penale e non pu non essere attribuita al Giudice che di tale funzione investito. Questa Corte Suprema, nel cassare una sentenza emanata da Giudice civile in tipica materia di esecuzione penale ( 979/52), ha gi avuto occasione di rilevare che per il contenzioso esecutivo penale predisposta una specifica sede provvista di particolare competenza funzionale; sede cui non pu, tra l'altro, rimanere estraneo il P. M. pel prevalente interesse pubblico che la distingue. E non inopportuno notare: a) che l'unica pronunzia in merito alla legittimit della determinazione della mercede e della remunerazione quella emanata dalla prima sezione Penale il 22 gennaio 1960 (rie. Giannini) avverso una rituale ordinanza ex articoli 612/628 c.p.p. del Giudice dell'esecuzione penale con la quale era stata rigettata l'opposizione proposta dal condannato avverso il precetto di pagamento delle spese di mantenimento in carcere; b) che llil PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 1069 anche la questione di legittimit costituzionale degli artt. 124 e seg. r.d. 18 giugno 1931, n. 287, dichiarata del resto inammissibile con sentenza 91/68 della Corte Costituzionale, stata sollevata dal Giudice dell'esecuzione penale. dunque chiaro che era davanti al Giudice dell'esecuzione penale che, a norma dell'art. 616 c.p.c., il Pretore avrebbe dovuto rimettere le parti e che, senza scendere all'esame delle censure di merito, deve ora .cassarsi la sentenza impugnat_a, con la quale il giudice civile ha ritenuto di definire la controversia invece di rilevare la propria incompetenza funzionale. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 13 dicembre 196,9, n. 3938 -Pres. Rossano -Est. Della Valle -P. M. Pedaci (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Alibrandi) c. Guasco (avv. Porto e Parisi). Arricchimento senza causa -Presupposti -Consenso della parte dan. neggiata -Insussistenza. (e.e. art. 2041). Obbligazioni e contratti -Pubblica amministrazione -Forma scritta Necessit -Locazione -Rinnovazione tacita -Inammissibilit. (r.d. 23 maggio 1924, n. 827, regolamento di contabilit, e.e. art. 1597). L'azione di arricchimento indebito non proponibile ove lo squi librio economico prodottosi in favore di una parte in pregiudizio del l'altra, trovi la sua causa giustificatrice in una disposizione normativa ovvero in un atto volontario avente carattere negoziale, che riveli il consenso di colui che di poi si assume danneggiato. (1). Un tale atto, ove promani dalla P.A., d~ve necessariamente rivestire la forma scritta e pertanto in nessun caso pu essere assunto a valida espressione di consenso una tacita manifestazione di volontd desunta (1) Gli estremi del rimedio previsto dagli artt. 2041-2042 e.civ. sono l'arricchimento di colui contro il quale si agisce, conseguito a spese dell'attore (nesso causale); non giustificabile nei confronti del danneggiato e non ripetibile con altra azione. In ordine al requisito concernente la causa giustificatrice, la giurisprudenza costante nel .senso di ritenere improponibile l'azione allorch il trasferimento dell'utilit economica trovi giustificazione in una norma legale o negoziale (cfr. Cass. 9 agosto 1967, n. 2118; 22 genaio 1959, n. 155, in Giur. it., 1959, I, 286; 5 maggio 1956, n. 1427; in Giust. civ., 1967, I, 1247. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dalle circostanze di fatto (fattispecie in tema di rinnovazione tacita di locazione non configura.bile nei confronti deLLa P.A.) (2). (Omissis). -Con un unico mezzo la riicorrente Amministrazione Finanziaria dello Stato, denunciando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2041, 1321 e 1350 e.e., censura la rSentenza impugnata per aver ritenuto applicabile nei .confronti della Pubblica Amministrazione l'istituto della riconduzione tacita del eontratto di locazione e per avere poi ravvisato nella mancata tempestiva richiesta di maggiori canoni, da parte di essa ricorrente, e nel rilascio di quietanze senza riserve, un comportamento incompatibile con la richiesta di aumenti successivamente avanzata. La censura fondata. La Corte di merito ha invero affermato ehe l'azione di arricchimento proposta dall'Amministrazione finanziaria, pure essendo ritualmente ammissibile in grado di appello in quanto non potevasi definire nuova rispetto alla domanda formulata in primo grado, era tuttavia inaecoglibile nel merito dovendosi considerare, in linea di diritto, che .siffatta azione nOn ha alcuna ragione d'es.sere quando il trasferimento dell'utilit economica trova la sua giustificazione nel tacito consenso della parte cht assume di essere stata danneggita e, in linea di fatto, che nella .specie non si poteva parlare di occupazione senza una giu.sta causa dal momento che la Guasco aveva continuato, col tacito eonsenso della Amministral!'lione demaniale proprietaria, ad occupare l'alloggio, ed a corrisponderne il canone nella misura in origine stabilita, anche dopo la scadenza della concessione in uso che di detto alloggio aveva ottenuto il defunto suo genitore. La stessa Corte ha ancora aggiunto che l'obiettare che la volont di obbligar.si della .Pubblica Amministrazione non desumibile da fcta concludentia ma deve essere espressa nelle forme tassativamente volute dalla legge non valeva, d'altra parte, ad infirmare la validit delle considerazioni dianzi esposte, dovendosi al riguardo tener presente, da un lato, che nella specie trattavasi non gi di giudicare (2) Che gli enti pubblici non possono assumere impegni e concludere contratti se non nelle forme stabilite dalle leggi e dai regolamenti ed in particolare, per quanto concerne la manifestazione di volont, che questa debba promanare dall'organo cui attribuita la legale rappresentanza dell'ente, attraverso il procedimento all'uopo predeterminato (deliberazione, scelta del contraente ecc.), la giurisprudenza ormai consolidata, cfr. Cass. 17 agosto 1965, n. 1965; 9 aprile 1965, n. 627, in Giust. civ., 1965, I, 1859; 26 marzo 1964, n. 686; 10 ottobre 1962, n. 2919; 18 aprile 1962, n. 758. Sull'inammissibilit della rinnovazione tacita del contratto di locazione .stipulato con la P.A. cfr. Cass. 17 agosto 1965, n. 1965, in questa Rassegna, 1965, I, 1176, con nota di MAND. PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 1071 della validit di un atto amministrativo o di un contratto stipulato da un ente pubblico ma soltanto di valutare le conseguenze di un pregresso stato di fatto i cui effetti giuridici erano limitati alla sua stessa durata nel tempo, e ricordare dall'altro, che nei confronti dei terzi la Pubblica Amministrazione tenuta essa pure all'osservanza di quei supremi principi etioi che nei. rapporti tra privati si convertono dn norme giuridiche; e che perci sarebbe stato sommamente iniquo dichiarare la Guasco, a distanza di tanto tempo e contro ogni logica e legittima previsione, obbligata ad eseguire delle prestazionli pecuniarie, delle quali, stando al comportamento assunto e mantenuto dall'Amministrazione Demaniale proprietaria dell'immobile, nulla avrebbe mai la.sciato ragionevolmente sospettare o presagire che sarebbe stato un giorno preteso il tardivo adempimento. Ma le considerazioni come sopra esposte si rivelano prive di giuridica consistenza. ben vero infatti -che come questa Suprema Corte ha avuto gi altre volte occasione di rilevare (Cass. 9 agosto 1967, n. 2118 e 22 gennaio 1959, n. 155) -l'azione di cui all'art. 2041 cod. civ. non proponibile quando lo_ .squilibrio economico prodottosi a favore di una parte in pregiudizio dell'altra sia riconducibile eziologicamente 9lla volont di quest'ultima, e cio quando il trasferimento dell'utilit economica r.ipeta la sua causa genetica del consenso della parte che assume di aver riportato un danno e di voler essere di tale c:Ianno indennizzata, mancando in tal caso quell'arricchimento indebito o senza causa che di essa azione costituisce l'indispensabile presupposto logico condizionato -ma anche vero che perch possa spiegare siffatta efficacia preclusiva necessario che il consenso all'altrui locupletazione, e quindi alla correlativa diminuzione del patrimonio prprio, sia sostanzialmente e formalmente valido, e cio che non solo provenga dal soggetto abilitato a prestarlo nella legittima sfera della propria autonomia negoziale ma che sia altre.si espresso, nei singoli casi, nelle forme e nei modi stabiliti dalle disposizioni di legge in vigore. Al lume di tale principio, e posto che la Pubblica Amministrazione, attesi i fini pubblicistici perseguiti .ed i controlli cui deve conseguentemente sottostare nello spiegamento della propria attivit, non pu assumere impegni e concludere contratti se non nelle forme indicate dalle leggi e dai regolamenti, e. pu manifestare legittimamente la sua volont negomale soltanto con dcliberazioni degli organi competenti e con l'osservanza degli adempimenti e dei eontrolli all'uopo previsti (Cass. 17 agosto 1965, n~ 1965 e 26 marzo 1964, n. 686), erronea in mancanza di una delibera valida ed operante l'affermazione della Corte torinese secondo cui, con l'astenersi dal richiedere maggiori canoni e col rilasciare senza alcuna riserva le quietanze relative alle somme ricevute l'Amministrazione finanziaria avrebbe tenuto un comportamento incom 7 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO patibile con la successiva rchiesta di aumento ed avrebbe quincli, in realta, consentito tacitament~, dando ad ,esso col fatto proprio una efficacia giustificazione, quell'arricchimento da parte della Guasco del quale 'solo pi tardi si era poi fatta a denunciare l'ingiustizia per mancanza di causa. N vale opporre che nella specie non si controverterebbe sulla validit di un atto o di un contratto ma semplicemente sulle conseguenze di un pregresso stato di fatto produttivo di effetti giuridici limitati al periodo della sua attuazione. Da ci che l'arricchimento, perch possa dirsi non indebito, deve trovare la sua .giustificazione o in una disposizione di legge o in una convenzione intervenuta tra le parti deriva, invero, che nel caso in cui -come nella specie -si voglia ravvisare la giustificazione come sopra richiesta in un determinato stato di fatto quel che rileva non tale stato ,considerato nel suo aspetto meramente ohiettivo e fenomenico, ma il comportamento che ha ad esso data causa, vale a dire l'atto volontario mediante il quale, in mancanza di una specifica convenzione, la parte che lamenta di aver subito il depauperamento ha posto in essere i presupposti causali della .situazione di fatto prodottasi. Come sostitutivo, nei suoi effetti pratici, di un atto e contenuto negoziale quale la convenzione tra le parti lo stato di fatto in tanto pu essere cio assunto, come giustificazione dell'arricchimento conseguito da una parte con pregiudizio dell'altra lin quanto sia riconducibile ad un atto di volont che, per essere rivelatore del consenso prestato da colui che lo compie al trasferimento dell'utilit economica dal proprio all'altrui patrimonio, ha esso pure indubbio carattere e contenuto negoziale. Che l'Amministrazione finanziaria abbia lasciato che la Guasco continuasse per alcuni anni ad occupare come per lo innanzi, l'alloggio anche dopo la morte del padre, e la scadenza dell'originaria concessione in uso e non abbia mai espresso, durante tale peviodo, alcuna riserva in ordine alla congruit del ,canone che la occupante aveva continuato a corrisponderle nella medesima modesta misura in origine stabilita pertanto circostanza a inidonea a fungere da valida causa di legittimit del godimento dell'alloggio da parte della Guasco, non potendo in difetto di una manifestazione di volont rivestita di quella forma scritta che nei contratti de.gli enti pubblici ha, come si detto, valore costitutivo essere in alcun caso a'ssunta come valida espressione del consenso vale a dire della volontaria adesione data dall'Amministrazione stessa al particolare arricchimento che la Guasco, col risparmiare la spesa che per ottenere la disponibilit di un alloggio simile a quello occupato avrebbe dovuto presumibilmente sostenere e quindi, col conseguire un'utilit formante oggetto di un diritto non suo, era riuscita in effetti a realizzare. -(Omissis). PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 1073 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 13 dicembre 1969, n. 3943 -Pres. Favara -Est. Usai -P. M. Raja (conf.) -Ministero delle Poste e Telecomunicazioni (avv. Stato R. Bronzini) c. Casali e Polidori (avv. Pesaturo). Assegni di conto corrente postale -Natura -Girata -Funzione di mero trasferimento -Protesto -Inammissibilit. (c. postale 27 febbraio 1936, n. 645, artt. 111 e segg.; r.d. 30 maggio 1940, n. 775,. artt. 123 e segg.). Obbligazioni e contratti -Mora -Atto di costituzione iil mora -Atto di protesto -Idoneit alla costituzione in mora del debitore ai sensi dell'art. 1219 -Esclusione. (c. civ. art. 1219). La girata degli assegni postali, la cui circolazione prima del visto da parte dell'Ufficio si basa sulla fiducia neiza promessa del traente e senza alcun obbligo del trattario, non ha funzioni di garanzia ma di semplice trasferimento sicch per essi non ammesso l'istituto del protesto, la cui preminente ragione giustificativa riposa sull'azione cii regresso (1). L'atto di protesto, pur rientrando genericame.nte nell'ampia categoria degli atti di messa in mora, non vale per a costituire in mora il debitore ai sensi deli'art. 1219 e.e., attese le peculiari sue caratteristiche sostanziali e formali, che non ne consentono l'applicazione oltre le specifiche finalit stabilite dalle 'leggi che lo prevedono (2). (1) In senso conforme cfr Appello Finanze, 25 maggio 1964 in Foro Padano 1965, 93; Tribunale Firenze, 11 novembre 1961 . in Banca borsa e titoli di credito 1962, II, 470. La fondamentale differenza degli assegni postali, che costituiscono veri e propri titoli di credito all'ordine o nominativi (artt. 111-121 cod. postale; 124-126 reg.to), rispetto a quelli bancari, riposa nel visto da .parte dell'Ufficio detentore del conto corrente postale, dal quale consegue: 1) che l'assegno non pu pi essere revocato dal correntista (arg. art. 126 c. Postale); 2) che in caso di mancata riscossione gli assegni si prescrivono a favore della Posta e non del correntista (c. Postale art. 129). Per tal modo il visto produce lo stesso effetto del passaggio della prov vista dal delegante al delegato (art. 1270 comma 1 c. civ.), per il quale la delegazione diviene irrevocabile da parte del traente e l'Amministrazione assume un'obbligazione diretta verso il portatore del titolo. Gli assegni non ancora vistati vengono trasmessi sulla sola fiducia nella promessa del traente, escluso ogni obbligo del trattario. In dottrina cfr. PELL1zz1 in Enciclopedia del diritto. voce conto corrente postale p. 673; TONNI in Banca, Borsa e titoli di credito, 1962, II, 470. (2) Sui reqiusiti dell'atto di costituzione in mora, da effettuarsi mediante intimazione o richiesta scritta ma non sostituibile da altro atto I I II ! l I i j I ! I I I ! I I l RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (Omissis). -Col primo mezzo la ricorrente deduce ai sensi de l'art. 360 nn. 3. e 5 c.p.c. la violazione e la falsa applicazione: degli ar ticoli 51 e ,segg. legge cambiaria 14 dicembre 1933, n. 1736; degli arti coli 107 e segg. (con particolare riferimento agli artt. 111, 118, 119,_ 120, 121, 123 lettera b e 125) del .e.post . .approvato con r.d. ~7 febbraio 1936, n. 645; degli artt. 123, 124, 12'7 e 128 del relativo regolamento approvato con r.d. 30 maggio 1940, n. 775; degli artt. 2008 e segg, e.e. nonch il difetto e la contraddittoriet della motivazione. Pi precisamente l'Amministrazione delle Poste e Telecomunicazioni censura la sentenza impugnata perch, dopo aver escluso l'ammissibilit del protesto in quanto previsto esclusivamente agli effetti dell'azione di regresso, non ammessa per' gli assegni postali, e dopo aver escluso la colpa del notaio per l'opinabile applicabilit del protesto all'assegno postale, riconoscendo in tal modo l'errore in cui il notaio stesso era incorso nel levare il protesto, aveva tuttavia ritenuto che il protesto medesimo costituiva sempre un diritto del portatore del titolo onde procurarsi la prova certa dell'inadempimento dell'Amministrazione allo scopo di poter fare valere la sua responsabilit e che quindi il protesto poteva, anche se non doveva, essere levato. La ricorrente aggiunge che, cos ragionando, la Corte del merito aveva dtsapplicato gli stessi esatti principi giuridici costituenti le sue . premesse, incorrendo in tal modo nella violazione delle norme poste a base di tali premesse e nel vizio di contraddittoria ed illogica motivazione, violando, per giunta, anche le norme sui titoli di credito, che non prevedono il protesto, ed assegnando a quest'ultimo la funzione del tutto accessoria e facoltativa di semplice constatazione dell'inadempimento, quasi che il protesto potesse equipararsi alla messa in mora del debitore, rispetto alla quale costituiva invece un atto formalmente e sostanzialmente diverso. Il motivo fondato. da cui si desuma l'interesse della prestazione ma non la pretesa attuale ad ottenerla cfr. Cass. 25 ottobre 1966, n. 2599 in Foro it., 1966, I, 2109 e giurisprudenza ivi richiamata. Secondo una definizione comunemente accettata, l'atto di :protesto un atto solenne, per il quale si richiede la forma scritta ad substantiam, diretto ad accertare da un lato l'esercizio del diritto cambiario da parte del possessore o detentore del titolo o di ogni altro interessato e dall'altro l'inadempimento o, pi genericamente, la risposta negativa dell'obbligo cambiario o, in caso di assegno, del trattario. Due sono pertanto le funzioni prevalenti dell'atto di protesto: la prima probatoria, diretta a constatare talune circostanze rilevanti per l'attuazione dei diritti cambiari; la seconda di assicurare agli obbligati in regresso le garazie necessarie ed al titolare il mezzo per giungere al pagamento. PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE La sentenza impugnata , invero, partita, come riconosce persino la stessa ricorrente, da esatte premesse quando ha affermato Che per gli assegni postali il protesto non era necessario, dato che esso trovava la sua ragione d'essere nell'azione di regresso, la quale non era ammessa per tutti i titoli di credito, bens solo per quelli dell'ordine in cui la girata avesse anche funzione di garanzia, mentre tale funzione non aveva la girata nell'assegno postale, in quanto la sua circolazione, quando, come quello in esame, non era vistato, avveniva sulla sola fiducia nella promessa del trante, senza alcun obbligo da parte del trattatario. A maggior chiarimento e conforto di tali premesse occorre aggiungere che i casi nei quali la girata ha, accanto alla funzione di trasferimento anche quella di garanzia, sono solo quelli stabiliti dalla legge ovvero dalla volont delle parti mediante apposita clausola risultante dal titolo (art. 2012 e.e.) e che nessuna norma del codice postale e del relativo regolamento consente di dedurre che il legislatore abbia attribuito alla girata degli assegni postali anche la funzione di garanzia. Gli assegrii stessi sono, anzi, definiti (prima del visto, che li rende analoghi agli assegni' bancari con copertura garantita) fiduciari (ar. 119 c. post.) per significare, appunto, che possono essere trasmessi sulla sola fiducia nella promessa del traente. Dato che precedentemente al codice postale la dottrina aveva gi messo in luce la duplice funzione della girata ed era divisa nell'attribuire alla girata degli assegni postali anche la :f~nzione di garanzia, il legislatore, al quale, il problema qulindi era noto, se avesse voluto riconos cere alla girata degli assegni postali anche detta funzione, lo avrebbe fatto in modo espresso. Nessun dubbio, dunque, come ormai pacifico in dottrina, che debba escludersi che nell'assegno postale la girata abbia anche funzione di garanzia. Orbene, dalle anzidette sue premesse, ora accertate, esatte, la Corte di appello doveva logicamente dedurre che, non sussistendo per l'assegno postale la ragione che giustificava il protesto, costituita dall'azione di regresso, il protesto stesso non poteva essere levato. Ed, invero, da tale conclusione la sentenza .impugnata non si del tutto discostata perch ha riconosciuto che il protesto non era per la detta ragione, necessario ma ha aggiunto che tuttavfa poteva essere ugualmente levato, trattandosi di atto che attestava, con efficacia di prova piena contro la Amministrazione postale, che l'assegno era stato presentato per il pagamento e non era stato pagato. Quindi il protesto costituiva pur sempre un diritto del portatore dell'assegno postale a procurarsi la prova certa dell'inadempimento, identificandosi nella constatazione legale del rifiuto del pagamento. 1076 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Ma tali affermazioni della Corte del merito sono inficiate da un errore, che sta alla loro base e che costituito dalla equiparazione tra atto di protesto e atto di messa in mora, quasi che il protesto possa essere usato, a facolt del creditore, anche al semplice fine di costituire in mora il debitore ai sensi dell'art. 1219 e.e. Ora, bench l'atto di costituzione in mora possa essere eseguito anche a mezzo di pubblico ufficiale autorizzat? ad attribuirgli pubblica fede, deve per escludersi che anche tale atto di costituzione in mora eseguito da un pubblico ufficiale possa identificarsi con un atto di protesto, dato che quest'ultimo, pur rientrando, in senso ampio, nella categoria degli atti di costituzione in mora, si distingue da tutti gli altri atti del genre per peculiari caratteristiche .sostanziali e formali, le quali non consentono che la sua applicazione possa essere estesa a fattispecie estranee alla finalit per il cui conseguimento la leg.ge ha previsto il protesto stesso. Sotto l'aspetto sostanziale, invero, il protesto adempie in modo specifico allo 1scopo di consentire, come si visto, l'azione di regresso, della quale costituisce presupposto. La circostanza che, attraverso il protesto, possano essere conseguiti pure altri scopi e che spesso venga usato anche solo in vista di essi, non esclude che la ragione per la quale lo prescrivono tutte le leggi Che lo prevedono sia costituita dall'azione di regresso e che, quindi, il protesto non possa venir levato che in relazione a titoli di credito che tale azione consentono. Appunto per questa ragione il codice civile non contempla il protesto. nel trattare dei titoli di Crediito, in quanto essi, salvo qiversa disposizione di legge o clausola contraria risultante dal titolo, non attribuiscono alla girata funzione di garanzia (art. 2012) con conseguente azione di regresso. Dal lato formale, poi, il protesto disciplinato dalle leggi che lo prevedono (artt. 51, 68, 69, 70, 71 e 73 r.d. 14 dicembre 1933, n. 1669, sulla cambiale 45, 46, 60, 61, 62, 63 e 65 r.d. 21 dicembre 1933, n. 1736, sugli assegni) in modo cos preciso da attribuirgli caratteristiche particolari. A ci si aggiunge (vedi legge 12 febbraio 1955, n. 77) l'obbligo della pubblicazione dei protesti in speciali elenchi ufficiali a cura delle Camere di commercio, la cui importanza, per le grav;i conseguenze che tale pubblicazione comporta, talmente nota da non aver bisogno di essere illustrata. Esclusa la equiparazione .tra protesfo e atto generico di costituzione in mora, e pil precisamente, che possa in .sostituzione dell'atto di costituzione in mora usarsi il protesto, deve concludersi che il protesto stesso non pu essere levato che nei casi in cui sussiste, almeno in astratto, il fine principale, costituito dalla azione di regresso, in considerazione del quale la legge ha previsto il protesto medesimo, e c10e, esclusivamente per constatare il mancato pagamento di titoli di credito ':; I~~ ______,~~J PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 1077 che consentono la detta azione di regresso, azione che invece, come ha esattamente riconosciuto anche la 1sentenza impugnata, non ammessa per gli assegni postali. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, 13 dicembre 1969, n. 3951 -Pres. Marletta Est. Ferrone Capano -P. M. Trotta (conf.) -S.p.A. Ferrovia Suzzara -Ferrara (avv. Lorenzoni) c. Amministrazione Ferrovie dello Stato (avv. Stato Conti). Arbitrato -Sentenza arbitrale -Impugnativa -Nullit per violazione delle regole di diritto -Concetto. (c.p.c. art. 829 u.p.). Obbligazioni e contratti -Convenzioni tra l'Amm.ne F. S. e le Aziende private di ferrovie e tranvie in concessione -Maggiorazioni dei canoni e corrispettivi disposte con d. 1. 2 agosto 1946, n. 70 -Transazioni -Applicabilit. (d.l.C.P.S. 2 agosto 1946, n. 70, art. 1) Il concetto di inosservanza delle regole di diritto per la quale ammessa l'impugnativa della sentenza arbitrale, analogo a quello di violazione e falsa applicazione delle norme di diritto concernente il Ticorso pe1 Cassazioiie ai sensi dell'art. 360, n. 3 c.p.c., onde non si sustanzia necessariamente in nuove argomentazioni ben potendo la censura riproporre le medesime questioni gi prospettate e non accolte nella impugnata sentenza (1). La maggiorazione disposta dal d.l. 2 agosto 1946, n. 70, dei canoni e dei corrispettivi stabiiiti nelle convenzioni tra l'Amministrazione FF.SS. e le aziende delle ferrovie e tranvie concesse all'industria p1"ivata per regolare i servizi 'cumulativi e di corrispondenza e scambi merci, si applica a tutte le convenzioni ancorch abbiano carattere transativo. (Omissis). -Col primo ?1otivo, nel denunciare la viiolazione dell'art. 82H, ultimo comma, c.p.c., nonch dei principi generali in materia di impugnazione dei lodi arbitrali, la riicorrente si duole che non sia (1) Giuriisprudenza costante; cfr. Cass. 21 marzo 1969, n. 899; 13 maggio 1968, n. 1491; 8agosto 1959, n. 2501, in Giust. civ., 1960, I, 131. Con l'art. 829 c.p.c. il legislatore ha unificato e circoscritto le impugnative di appello e dell'azione di nullit contemplate nel codice di rito del 1865 (artt. 28 e 32), disciplinando nella prima parte gli errores in procedendo con carattere di irrinunziabilit, corrispondenti ai casi di nullit del codice abrogato, e nella seconda parte gli errores in iudicando, rispetto 1078 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO stata accolta l'eccezione pregiudiziale da essa sollevata nel .giudizio di merito, secondo cui l'impugnazione della sentenza arbitrale, .proposta dall'.Ammi.nistrazione delle Ferrovie dello Sta~o, non prospettava specifici motivi di nullit, ed era perci inammissibile, essendosi l'Amministrazione ferroviaria limitata a riproporre tutte le ragioni gi dedotte nel giudizio arbitrale ed a sottoporre alla Corte d'appello le stesse questioni (risolte col lodo) senza enunciare i motivi di nullit . La doglianza infondata. esatto ,che la inosservanza delle regole di diritto, per la quale ammesso, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 829 c.p.c., l'impugnazione di nullit della sentenza arbitrale, deve essere intesa nello stesso senso della violazione o falsa applicazione delle norme di diritto, che per l'art. 360 n. 3 costituiscono motivi di ricorso per cassazione. Ed altresi esatto .che l'atto di impugnazione della sentenza arbitrale deve contenere la specificazione dei motivi di nullit. che si intendono far valere, a norma dell'art. 829 c.p.c. Ma ci non significa che i motivi di nullit debbono concretarsi in nuove argomentazioni contro le statuizioni del lodo, o, comunque, in questioni o ragioni diverse da quelle gi :prospettate nel giudizio arbitrale. Allorquando la controversia verta sull'ambito di applicazione di una legge, la parte che propugna una determinata interpretazione, ed in tale assunto rimane soccombente, propone una valida impugnazione della .sentenza arbitrale, ai sensi del citato art. 829, col riproporre la questione e le relative argomentazioni (circa l'ambito di applicazione di quella data legge) e col dedurre che la diversa dnter:pretazione adottata dagli arbitri errata, onde la nullit del lodo. Nel caso in esame, la questione da risolvere consisteva nello stabilire l'ambito di applicazione del d.l. 2 agosto 1946, n. 70, e do se tale decreto, la cui interpretazione era controversa fra le parti, fosse o non fosse applicabile alle convenzioni intercorse fra le parti medesime (ed in particolare a quella del 20 maggio 1901, con la quale era stata modifi.cata la precedente convenzione del 6 marzo 1891). Era questa (fra le altre) la questione sottoposta al collegio arbitrale, che la risolse in senso negativo, e cio in senso sfavorevole all'Amministrazione ferrovtiaria. La stessa questione venne riproposta alla Corte d'appello, la ai quali dato di rinunziare all'impugnativa, col dichiarare il lodo non soggetto a gravame o con l'autorizzare il giudizio di equit. L'impugnazione si svolge alla stregua di un giudizio di secondo grado, sostanzialmente assimilabile all'appello (cfr. Cass. 10 gennaio 1966, n. 183 in Arbitrati e Appalti 1967, 356; 21 giugno 1965, n. 1298, in Giust. civ., 1965, I, 2224). Circa la natura di giudizio di mera legittimit devoluto alla competenza della Corte di Appello cfr. Cass. 3 luglio 1967, n. 1626; 13 maggio 1968, n. 1491. f ~dllrdllra!i1!4!18!il!A1'1LA1'Al'I~ PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 1079 quale rilev che l'atto di impugnazione conteneva un ampio svolgimento delle ragioni per le quali il lodo impugnato doveva (secondo l'Amministrazione ferroviaria) considera11si nullo, non avendo gli arbitri osservato le regole di diritto. Esattamente, dunque, stata disattesa l'eccezione di inammissibilit dell'impugnazione; e senza fondamento la ricorrente se ne duole col primo motivo del presente ricorso, che va perci rigettato. ( Omissis). (Omissis). --Col terzo motivo si censura l'impugnata sentenza, ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c., per avere ritenuto che il d.l. 2 agosto 1946, n. 70, sia applicabile anche alle convenzioni aventi carattere transattivo e, in particolare, a quella intercorsa fra le parti il 20 maggio 1901. Anche questa censura infondata. L'art. 1 del decreto n. 70 del 1946 dispone che d. canoni ed i corrispettivi (ad eccezione di quelli indicati nell'art. 3) previsti dalle convenzioni stipulate fra le Ferrovie dello Stato e le aziende delle ferrovie I e tramvie concesse all'indust11ia privata per r.egolare i servizi cumulativi e di corrispondenza e di scambio merci , anche se scadute o di I sdette, ma tuttavia in atto o in attesa di rinnovazione, sono maggiorati in via provvdsoria nella stessa misura degli aumenti apportati alle ta! riffe dei prezzi di trasporto delle cose, rispetto alle tariffe in vigore sulle linee concesse anteriormente al 10 giugno 1944. l l I Esattamente la Corte d'appello ha rilevato che n la lettera n la ratio della norma consentono di limitarne l'applicazione alle sole con I ! venzioni non aventi carattere transattivo. i La formulazione letterale della norma, che contempla in via generica e generale le convenzioni stipulate fra le Ferrovie dello Stato I ]e le aziende delle ferrovie e tramvie concesse all'industria privata, non ~ ha riguardo alla natura delle ,convenzioni, ma solo all'oggetto delle I stesse (convenzioni stipulate per regolare i servizi cumulativi e di I corrispondenza e di scambio merci). Nessuna limitazione o diS<:riminazione n implicita, lll tanto meno esplicita - posta in ordine alla I ! natura, al carattere o alla qualificazione giuridica delle convenzioni, co! I ' i I sicch da ritenere che tutte le convenzioni attinenti al regolamento dei predetti servizi, ancorch aventi carattere transattivo, rientrino nella previsione della norma e siano soggette alle maggiorazioni da questa stabilite. Ci che necessario e sufficiente, affinch siffatta soggezione ' ,, si verifichi, che la convenzione sia stata stipulata per regolare i ' 1 servizi cumulativi e di corrispondenza e di scambio merci. A tale conclusione conduce anche la ratio della norma, giacch scopo del legislatore fu quello di adeguare i canoni ed i corrispettivi anzidetti ai, nuovi valori monetari, determinati dagli eventi bellici e 1080 .l:iASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dalla svalutazione della lira, per cui la rivalutazione (corrispondente a quella delle tariffe ferroviarie) doveva estendersi a tutti d canoni e corrispettivi, con la sola eccezione di quelli espressamente esclusi o diversamente regolati (indicati nell'art. 3), quale che fosse la natura giuridica della convenzione. Come bene ha rilevato la Corte di merito, non v'erano ragioni, n emergono dalla lettera o dalla ratio della norma, che le convenzioni di natura transattiva fossero sottratte al nuovo regime di rivalutazione mnetaria dei predetti canoni e corrispettivi. In senso contrario, anzi, sta la considerazione che col decreto "in parola fu adottata una misura legislativa di .carattere generale, concernente tutti i servizi cumulativi e. di corrispondenza e scambio merci, volta a ristabilire un equilibrio fra costi e corrispettivi, al fine di un risanamento economico dell'azienda ferroviaria dello Stato. Non giova opporre che, nella specie, la convenzione del 1901, oltre che stipulata in sede transattiva,. ridusse taluni canoni e corrispettivi, postd a carico dell'attuale ricorrente con la precedente convenzione del 1891, in considerazione dei danni alla stessa arrecati, per cui le somme cos determinate non erano riconducibili al concetto di corrispettivo di un servizio. L'obiezione non ha pregio, perch la maggiorazione imposta dal decreto del 1946 non comportava per l'attuale ricorrente (concessionaria della ferrovia Suzzara-Ferrara) una revoca, o una riduzione, o comunque una modifica delle agevolazioni concesse con la convenzione del 1901, ma solo un adeguamento dei canoni e corrispettivi al mutato valore della moneta, in modo da vistabilire l'originario equilibrio fra prestazioni e controprestazioni, ancorch determinato in via transattiva e con riguardo a:i danni sofferti da una delle parti. ~ (Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 13 dicembre 1969, n. 3955 -Pres. Rossano -Est. Ferrone Capano -P. M. De Marco (conf.) -Flaccomio (avv. Antonuccio e Pino) c. Ministero Finanze (avv. Stato Zoboli). Acque pubbliche -Alvei dei fiumi e dei torrenti -Concetto -Demanialit. (cc. art. 822). Rientrano nel concetto di alveo e pertanto fanno parte del demanio idrico in quanto destinate a regolare il deflusso ed il regime delle acque pubbliche, le sponde o rive interne dei fiumi e torrenti, soggette ad essere sommerse dalle piene ordinarie. Si appartengono invece ai pro PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVXLE 1081 prietari rivieraschi le sponde o rive esterne, soggette soio alle piene straordinarie (1). (Omissis). -Col primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 822 e 823 e.e., in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., per essere stata ravvisata l'esistenza di un bene demaniale (alveo), laddove -secondo la ricorrente -trattavasi di bene immobile di propriet prdvata, tale risultante da atti negoziali e da pronunce giudiziali. La doglianza totalmente infondata. principio pi volte affermato da questo Supremo Collegio che nell'ambito del demanio idrico rientrano gli alvei dei fiumi e torrenti, costituiti da quei tratti di terreno sui quali l'acqua scorre fino al limite delle piene normali. Ne consegue che le sponde o rive interne, ossfa quelle zone soggette ad essere sommerise dalle piene ordinarie dei fiumi o torrenti, rientrano nel concetto di alveo e costituiscono beni demaniali, a differenza delle sponde o rive esterne, soggette solo alle piene straordinarie, ,che appartengono, invece, ai proprietard dei fondi rivieraschi. Del resto, come questa Corte ha pi volte precisato, la demanialit delle acque si estende, oltre che all'alveo, anche alle rive, agli argini e ad ogni altra opera destinata a regolare il deflusso ed il regime delle acque pubbliche. A tali principi si attenuta l'impugnata sentenza, che perci si sottrae alle generiche censure formulate dalla ricorrente.. Basta rilevare che i giudici di merito, dopo aver esattamente enunciato il concetto giu (1) Cfr. Cass. 11 febbraio 1967, n. 348. ,La natura demaniale degli alvei, cio di quella parte di terreno scavata dal deflusso delle acque e dalle stesse occupata nei periodi di piena normale, gi controversa in passato (cfr. PACELLI -Acque Pubbliche) ormai acquisita convenendosi, in base anche alle disposizioni delle leggi speciali (r.d. 25 luglio 1904, n. 525; 1. 13 luglio 1919, n. 774; t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775) che nel far menzione dei fiumi, torrenti ecc. con la norma di cui all'art. 822 e.e. si sia inteso far riferimento al bene nel suo complesso, cfr. Cass. 11 maggio 1942, n. 1227, in Foro it., 1942, I, 831. Circa poi i limiti dell'alveo, l'art. 93 del t.u. 1904, n. 523 precisa che formano parte degli alvei i rami, canali e diversivi dei fiumi, torrenti, rivi e colatori pubblici, ancorch in alcun tempo dell'anno rimangano asciutti. Tale principio stato poi dalla giurisprudenza puntualizzato come nella sentenza che si annota, nel senso cio che l'alveo si estende fino ai limiti del terreno che l'acqua raggiunge nelle piene normali, cfr. Appello Brescia, 20 maggio 1931, in Giur. it., 1932, II, 103; Tribunale Regionale delle Acque di Venezia 27 settembre 1951, in Foro pad., 1953, I, 201. Circa l'analoga natura giuridica delle acque subalvee cfr. Trib. Superiore Acque 6 marzo 1967, n. 5, in questa Rassegna, 1967, I, 317. In dottrina cfr. RESTA, Commentario di Scialoja, e Branca, 1960, sub art. 822, p.83; BuscA, Le acque nella legislazione italiana, Utet, 1962, 277. 1082 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 1:1 riidico di alveo (in conformit alla giurisprudenza di questa Suprema m Corte), hanno esaminato tutte le risultanze probatorie acquisite al pro- ce.sso, ed in particolare quelle acquisite attraverso la duplice ispezione Jj della localit, ed hanno accertato, con ampia ed ineccepibile motivazione, che la zona di terreno in ,contestazione obiettivamente desti1: 1 nata ad essere attraversata, in tutta la sua estensione fino al vecchio muro di rgine, dai vari rami e bracci attivi del corso d'acqua, e costi I tuisce quindi il naturale alveo del torrente, ricorrendo nella specie I ~ l'ipotesi di una di quelle fiumare, caratteristiche dell'Italia meridionale, con letto ampio ed in prevalenza ghiaioso o ciottoloso, quasi sempre asciutto, ma tuttavia in atto inserviente, nella sua integrit, all'improvviso e normale deflusso delle acque torrentizie. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 13 dicembre 1969, n. 3957 -Pres. Favara -Est. Mazzacane -P. M. Raja (conf.) -Ministero del Tesoro Comitato Interministeriale Previdenze agli Statali (avv. Stato Soprano) c. Ente Italiano Cooperativo Approvvigionamenti (avv. I w Nuzzo). ~ Fallimento -Liquidazione coatta amministrativa -Impugnativa di sentenza in tema di insinuazioni tardive di crediti -Termini ordinari. (Decreto 16 marzo 1942, n. 267, artt. 99, comma 4 e 5; 101, 209; c.p.c. articoJi (.325, 326). I ~ Le disposizioni che in tema di impugnazione detta la legge falli:~ mentare, non costituiscono un organico sistema neLla disciplina dei relativi giudizi che ne consenta la interpretazione analogica, ma si pongono, in deroga a quelle del diritto comune, come norme eccezionali restrittit'e della facolt di impugnazione, per una pi rapida definizione delle specifiche controversie previste. I Pertanto la disciplina di cui all'art. 99 comma 4 e 5 L. F., concer ::: nente l'opposizione allo stato passi'VO, non si estende ai gi.udizi ine1enti TI;[ I ~ @ In senso conforme cfr. Cass. 7 febbraio 1961, n. 249, in Diritto fall., 1961,. II, 44; 31 marzo 1959, n. 949, in Foro it., 1959, I, 1684; 20 marzo 1958, n. 924,. in Dfritto fall., 1958, II, 194. In dottrina cfr. AzzoLINA n fallimento, 1961, p. 766; LIMARDO in Diritto fallimentale, 1958, II, 194; contra PROVINCIALI,. Manuale di diritto fallimentare, 3n ediz., 755; SATTA, lstit. di diritto fallimentare, 5a ediz., 276, che sottolinea l'unicit del sistema di forme e d'impugnazioni stabilito dal diritto vigente in materia di accertamento del pasr sivo e per i vari procedimenti da esso derivanti. I,. r 11!1 S;:: _,~J r PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 1083 le dichiarazioni tardive dei crediti; per i quali le impugnazioni sono invece regolate dalle pi generali norme degli artt. ,125 e 326 c.p.c. (Omissis). -Con l'unico motivo di ricorso si denuncia la violazione degli .artt. 325, 326 e 327 c.p ..c. e degli artt. 98, 99, 101, 208 e 209 della legge fallimentare, in relazione all'art. 360 n. 3 e 5 c.p.c. Si sostiene che la Corte del merito, avendo qua1ificato la domanda della Amministrazione come insinuazione tardiva del credito, avrebbe dovuto ritenere applicabili, ai fini della decisione sulla tempestivit dell'appello proposto dalla stessa Amministrazione contro la sentenza del Trbunale, le norme di cui agli artt. 325 e 326 c.p.c. poich le impugnazioni delle sentenze pronunziate nei giudizi relativi a dichiarazioni tardive di credito non sono regolate dalle norme eccezionali di cui all'art. 99 della stessa legge, ma delle norme comuni di cui agli artt. 325 e 326 c.p.c., con la conseguenza che i termini non decorrono dalla affissione della sentenza alla porta del tribunale fallimentare, ma dalla notifica della sentenza, o, in mancanza, della sua pubblicazione. I I La censura fondata. i La questione prospettata ,stata gi esaminata e decisa da questa l jCorte Suprema nel senso indicato dalla ricorrente (sent. n. 249 del 1961, i ! n..949 del 1959, n. 924 del 1958) e da tale indirizzo, che risponde ad ! ! una rigorosa interpretazione della legge fallimentare, non vi motivo di discostarsi. ! Invero il legislatore non ha creato, .nella legge fallimentare, un organico sistema di impugnazione, n ha previsto norme comuni suscet I tibili di applicazione analogica all'interno del sistema. Esso, invece, si limitato a dettare particolari disposizioni, quanto ai termini di impu. ! ! gnazione, ed alla loro decorrenza esclusivamente in determinate controversie per le quali ha ritenuto necessaria una pi rapida definizione. Le I predette disposizioni hanno carattere eccezionale poich, in deroga alle i norme comuni, restringono le facolt d'impugnazione del soggetto interessato: Fra tali disposizioni compresa quella di cui all'art. 99 L. F. in materia giudizi relativi alle opposizioni dello stato passivo. Essa, per H suo carattere eccezionale, non pu essere analogicamente estesa ai giudizi relativi a dichiarazioni tardive di crediti di cui all'art. 101 I L. F. e all'art. 200 L. F. (per le amministrazioni controllate) poich si tratta di istituti strutturalmente diversi: l'opposizione costituisce una pretesa diretta alla modifica di uno stato passivo gi costituito in contrasto con quanto dedotto dall'opponente mentre l'insinuazione tardiva costituita dalla richiesta di una decisione, che, pur importando modiI ficazione del provvedimento di cui all'art. 97 L. F., non vuol significare I ~ censura del medesimo (onde pu essere proposta sino a che non siano i esaurite le ripartizioni dell'attivo fallimentare). Pertanto il semplice I richiamo fatto dall'art. 101 all'art. 98 L. F., in ordine ai termini di I I .. . ! 1084 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO comparizione delle parti, non pu significare che le distinte procedure previste in tali disposizioni siano state equiparate s da doversi osservare per le sentenze eme&se nei giudizi di insinuazione tardiva la norma eccezionale prevista dall'art. 99 L. F. 1soltanto per i giudizi relativi alle opposizioni dei creditori esclusi o ammessi con riserva. Anzi; l'art. 101 L. F., facendo richiamo esclusivamente al terzo comma dell'art. 98 L. F.,, fa presumere che il legislatore abbia voluto a ragion veduta escludere, .per il procedimento di insinuazione tardiva, l'applicazione delle altre disposizioni eccezionali contenute nell'art. 99 L. F. -(Omissis). :fil ;~ f: fa i,i,., n n SEZIONE QUARTA GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 29 settembre 1969, n. 439 -Pres. Landi -Est. Fortini Del Giglio -Soc. imm. Toniolli L. C. (avv. !annetti del Grande e !emolo) c. Comune di Roma (avv. Rago), Soc. gen immobiliare (avv. Giannini M. S.), Ministero dei lavori pubblici e Prefetto di Roma (avv. Stato Peronaci). Piano regolatore -Comune di Roma -Legge sul piano regolatore Piani particolareggiati -Varianti -Procedimento -Poteri del Governo. Piano regolatore -Comune di Roma -Piano regolatore generale Piani particolareggiati -Termine finale di efficacia. Piano regolatore -Comune di Roma -Piano regolatore generale Decreto di espropriazione -Indennit -Legittimit costituzionale della norma di cui all'art. 4, terzo comma I. 24 marzo 1932, n. 355, in relazione all'art. 42, terzo comma Cost. -Nozione di indennizzo. La legge sul piano regolatore generale del Comune di Roma consente che i piani particolareggiati di esecuzione abbiano efficacia fino' a quando sia efficace il piano generale; inoltre i detti piani regolatori, generali e particolareggiati, possono subire varianti, secondo il p!l'ocedimento di cui aU'art. 20 .l. 24 marzo 1932, n. 355, integrato daiL'art. 4 r.d.l. 17 ottobre 1935, n. 1987, convertito in l. 4 giugno 1936, n."1210, in virt deiLe quali norme ben pu il Governo emanare disposizioni per il piano regolatore di Roma, esercitando le attribuzioni di propria competenza istituzionale (1). I piani particolareggiati di esecuzione del piano regolatore generale del Comune di Roma sono soggetti al termine finale di efficacia del (1) Sul piano regolatore di Roma e sulla procedura per l'approvazione delle varianti si veda Sez. IV, 12 luglio 1967, n. 313, Il Consiglio di Stato, 1967, I, 1142; id., 17 settembre 1965, n. 547, ivi, 1965, I, 1425; id., 14 maggio 1969, n. 184, ivi, 1969, I, 753. 1086 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO detto piano genera.le, anche se nessun termine previsto esplicitamente per la loro efficacia (2). L'art. 4 terzo comma l. 24 marzo 1932, .n. 355, che regola i'inden' nit di espropriazione per le opere previste nel piano regolatoll'e generale del Comune di Roma, non in contrasto con la norma di cui all'art.. 42 terzo comma Cost.: poich, infatti, la citata nOll'ma della Costituzione non richiede che l'espropriato riceva un ristoro integrale del sacrificio subito, essendo sufficientJe che la P. A. gli garantisca un contributo o una riparazione neLla misura stabilita dal legislatore, da ritenere legittima la citata norma di cui all'art. 4 della l. 355 del 1932, la quale 1agguaglia l'indennizzo al puro valore venale del terreno espropriato, e cio al giusto prezzo riferito al momento della espropriazione (3). (2) Circa la legittimit costituzionale dell'art. 1, 3 comma del d.1. 29 marzo 1966, n. 128, convertito nella legge 26 maggio 1966, n. 311, che determina l'influenza del nuovo piano sui piani particolareggiati in pendenza ,& ' di esecuzione, in relazione agli art. 3, 102 e VI disp. trans. Cost., cfr. Corte Cost., 2 luglio 1968, n. 89, in questa Rassegna, 1968, I, 704. ' (3) Cfr., in termini, Sez. IV, 5 luglio 1967, n. 274, in questa Rassegna, 1967, I, 1092; cfr. anche Corte Cost., 20 giugno 1968, n. 78, ivi 1968, I, 703, che ha ritenuto costituzionalmente legittimo l'art. 6 del r.d.1. 6 luglio 1931, n. 981, il quale sancisce l'obbligo per i proprietari dei terreni confinanti con IIle nuove piazze o vie di cedere gratuitamente il terreno corrispondente alla met della larghezza stradale, in compenso della riduzione del contributo !i ~:::: di miglioria: il citato art. 6, infatti, non appare in contrasto con l'art. 42 della Costituzione, perch la norma in esso contenuta rappresenta un semM plice modo di adempimento dell'obbligazione tributaria, inerente al conli -:..; tributo di miglioria. Si veda anche Cass. S.U., 7 ottobre 1964, n. 2545, Foro it., Rep. 1964, v. Piano Regolatore, n. 142; e CANFORA F., In tema di espropriazioni di aree destinate a strade, piazze e i;pazi di uso pubblico in esecuzione del Piano regolatore di Roma, Temi rom., 1968, 409. iI . ' . I CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 29 settembre 1969, n. 446 -Pres. Landi ::=* -Est. Benvenuto -Roveri (avv. Magno) e De Luca (avv.ti Romanelli w L. e G.) c. Registro aeronautico italiano e Ministero dei trasporti e I.. dell'aviazione civile (avv. Stato Casamassima) e Aldinio (avv. Pic cardi). , ! I, w Enti pubblici -Organo collegiale -Illegittima composizione del collegio -Interesse alla impugnativa. Enti pubblici -Organo collegiale -Illegittima partecipazione alla se duta diun estraneo -Discussione -Prova di resistenza -Inam missibilit. r~ Jlll ~~,,~~..,J PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 1087 Enti pubblici -Organo collegiale -Illegittima comparizione -Principio della validit degli atti del funzionario di fatto -Inapplicabilit. Quando venga dedotta in sede giurisdizionale la lesione di un interesse legittimo determinato da provvedimento emanato da un organo collegiale irregolarmente costituito, ben pu il ricorrente contestare la validit degli atti del procedimento formativo dell'organo collegiale, senza che gli possa essere opposta la scadenza dei termini per ricorrere contro i detti atti; tale interesse sorge nel momento in cui l'organo collegiale emana il provvedimento lesivo dell'interesse legittimo (1). Quando la deliberazione dell'organo collegiale preceduta dalla discussione, illegittimo il provvedime11,to adottato avendo partecipa.to alla seduta un estraneo, n ammissibile la c.d. prova di resistenza, perch il membro estraneo, attraverso la discussione, pu avere influito sull'o1ientamenvo degli altri partecipanti (2). In te.ma di atti degli organi collegiali irregolarmente composti non pu trovare applicazione il principio della validit degli atti del funzionario di fatto (3). (1-3) Sul problema, in genere, degli organi collegiali, s veda Sez. IV, 26 febbraio 1964, n. 84, n Consigilo di Stato, 1964, I, 258; id., 26 gennaio 1966, n. 49, ivi, 1966, I, 44; e GARGIULO V., I collegi amministrativi, Na::poli, 1962. Sulla terza massima non constano precedenti specifici. CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 29 settembre 1969, n. 457 -Pres. Tozzi -Est. Napolitano -De Bartolo ,ed altri (avv.ti Tabel, De Luca e Pallottino) c. Comune di Cosenza (avv.ti Giorgianni e Loria) e Ministeri dei Lavori pubblici e della Sanit (avv. Stato Peronaci). Edilizia -Licenza edilizia -Poteri attribuiti all'autorit pubblica Revoca e sospensione della licenza. Edilizia -Regolamento comunale -Poteri conc~ssi al Sindaco in ordine alle licenze gi concesse -Impugnativa dei provvedimenti del Sfudaco -Impugnativa del Regolamento. Edilizia -Programma di fabbricazione -Natura -Contenuto -Vincoli di inedificabilit o di particolare destinazione contenuti nel programma -Illegittintlt. 8 1088 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Edilizia -Licenza edilizia -Potere del Sindaco in ordine ai lavori in corso -Non sussiste. Rilasciata la licenza edilizia, l'Autorit pubblica pu e deve continuare a tutelare gli interessi pubblici connessi all'attivit svolta dal privato durante L'esercizio delle facolt concesse con la licenza, onde ben pu quest'ultima, a giudizio discrezionale della menzionata Autorit, essere revocata o sospesa (1). Quando il regolamento edilizio, senza abrogare automaticamente le licenze gi rilasciate, attribuisca al Sindaco il potere di riesaminare i casi dubbi, adottando i conseguenziali provi,edimenti, il privato ben pu, in sede di impugnativa dei provvedimenti del Sindaco, ricorrere avverso il detto regolamento ~dilizio (2). Il programma di fabbricazione ha la stessa natura del regolamento edilizio, ed il suo contenuto precisato dall'art. 34 l. 17 agosto 1942, n. 1150, il quale ne limita l'ambito alla sola zonizzazione (delimitazione delle zone, indicazione detze direttrici di espansione, ecc), con la conseguenza che esso non pu legittimamente contenere vincoli di inedificabilit o di particolare destinazione (3). (l)Sull'annullamento d'ufficio; la revoca e la sospensione della licenza edilizia quali strumenti di tutela del pubblico interesse si vedano, tra le molte, Sez. V, 14 febbraio 1967, n. 118, Il Consiglio di Stato, 1967, I, 169, la quale ha ritenuto la necessit di una esplicita e congrua motivazione per l'annullamento d'ufficio della licenza per esigenze di pubblico interesse; id., 7 aprile 1967, n. 230, ivi, 669, la quale ha affermato che la licenza edilizia non pu essere annullata per ragioni di opportunit, in quanto per il rilascio di essa non riservato all'Amministrazione comunale alcun margine di opportunit e convenienza, potendo solo costatarsi se il progetto sia o meno conforme alle prescrizioni vigenti; id., 31 ottobre 1967, n. 1435, ivi, 1906, la quale ha ritenuto che il sindaco titolare della potest di revoca del provvedimento autorizzativo, qualora riconosca la sussistenza di elementi per i quali il detto provvedimento non sarebbe potuto essere emanato. (2) Il piano regolatore generale, che contenga prescrizioni lesive dello interesse legittimo, stato ritenuto direttamente impugnabile, prescindendo dall'emanazione del provvedimento esecutivo del Sindaco, dalla Sez. V, 13 gennaio 1967,cn. 14, Il Consiglio di Stato. 1967, I, 8 e dalla Sez. IV, 27 febbraio 1959, n. 269, ivi, 1959, I, 173. (3) Si veda, in termini, Sez. V, 11 luglio 1967, n. 877, Il Consi.glio di Stato, 1967, I, 1314; id.. 20 maggio 1969, n. 524, ivi, 1969, I, 878. Si veda pure il parere della Sez. II, 11 marzo 1969, n. 120, ivi, 1969, I, 1060 e dee. Sez. IV, 6 dicembre 1968, n. 741, in questa Rassegna, 1968, I, 998. Cfr. anche MARIANI M., Ancora sui regolamenti edilizi e sui progetti di fabbricazione, Comuni Italia, 1968, 3; TESTA V., Brevi appunti sul contenuto del programma di fabbricazione, Il Consiglio di Stato, 1969, II, 833. r ~!~ lll ;.:: f:'. 11 R!l1?'41lVl~ldiifS11?~ PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 1089 Rilasciata la licenza edilizia, il Sindaco non ha il potere di sospenderne in via cautelativa la validit al fine di accertare la rispondenza della costruzione in corso alle norme che regolano la materia (4). (4) stato, tuttavia, ritenuto che il Sindaco pu sospendere i lavori per divergenza qualitativa dalla licenza, ma tale ordinanza cessa di avere efficacia se entro un mese dalla sua notificazione non siano stati adottati e notificati i provvedimenti definitivi (cfr. legge 17 agosto 1952, n. 1150, art. 22): Sez. V, 27 settembre 1967, n. 1077, Il Consiglio di Stato, 1967, I, 1644. Il Sindaco pu anche sospendere i lavori per accertato contrasto con le prescrizioni sui limiti d'altezza, secondo la Sez. V, 21 aprile 1967, n. 306, Il Consiglio di Stato, 1967, I, 689. In dottrina: DI LORENZO I., L'annuizamento di licenze edilizie, Il Consiglio di Stato, 1968, II, 970; SILVESTRI E,. La vigilanza repressiva del Sindaco sull'attivit edilizia, Atti XII conv. scienza amm., 63. CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 29 settembre 1969, n. 464 -Pres. Potenza -Est. Benvenuto -Ciamei (avv. Barillaro) c. Comm. vigilanza ed. pop. ed econ. (avv. Stato Peronaci) ed altri. Edilizia popolare ed economica -Cooperativa edilizia -Controversie sulla qualit di socio e sulla iscrizione di un richiedente nell'elenco degli aspiranti soci -Competenza della Commissione di vigilanza per l'edilizia popolare ed economica. Edilizia popolare ed economica -Commissione di vigilanza -Decisione Esecuzione da parte del Commissario governativo -Fattispecie. Ai sensi degli artt. 131 e 94 t.u. 28 aprile 1938, n. 1265, le controversie sulla qualit di socio di una cooperativa edilizia a contributo statale e sulla iscrizione di un richiedente nell'elenco degli aspiranti soci sono di competenza della Commissione di vigilanza per l'edilizia popolare ed economica, con salvezza dei successivo ricorso al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, in quanto dette controversie non attengono ad un diritto soggettivo perfetto (1). Annullato dalla Commissione centrale il provvedimento con il quale il commissario governativo aveva posto nel nulla la originaria ammissione ad aspirante socio del ricorrente, il detto Commissario, dovendo dare esecuzione al menzfonato provvedimento decisorio, non pu che reiscrivere l'interessato nell'elenco degli aspiranti soci con la decorrenza originaria (2). (1-2) Cfr. sez. VI, 27 settembre 1966, n. 698, Il Consiglio di Stato, 1966, I, 1560; Cass., S.U., 31 marzo 1967, n. 708, ivi, 1967, II, 696; id., 12 luglio 1962, n. 1896, ivi, 1962, II, 505; Sez. VI, 27 maggio 1964, n. 421, ivi, 1964, I, 1037; Cass., S.U., 6 ottobre 1964, n. 2522, in questa Rassegna, 1964, I, 867. I I I \ I J I ! '' I j ' I I ! I ' I l ' !,, ~ 1090 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CONSIGLIO DI STATO, Sz. IV, 10 ottobre 1969, n. 502 -Pres. Tozzi Est. Fortunato -Comune di Reggio Calabria (avv.ti Silvestri, Giuffr e D'Atena) c. Prefetto di Reggio Calabria (avv. Stato Lancia). Espropriazione per pubblica utilit -Occupazione temporanea d'urgenza -Revoca -Motivazione perplessa -Illegittimit. da ritenere iltegittimo per eccesso di potere il provvedimento di revoca di precede1nti decreti di occupazione temporanea d'urgenza, quando .la contraddittoria e perplessa motivazione adottata non consenta oggettivamente di identificare il potere in concreto esercitato (annullamento per vizio originario di legittimit o revoca per sopravvenuti vizi di merito), con la conseguente impossibilit di verificare la .sussistenza dei presupposti necessari per la validit del provvedimento di ritiro (1). (1) Cfr. Sez. IV, 6 novembre 1964, n. 1231, in questa Rassegna, 1964, I, 1118 con nota. CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 17 ottobre 1969, n. 505 -Pres. Potenza -Est. Fortini del Giglio -Furini (avv. G. M. Dallari) c. Prefetto di Ravenna (avv. Stato Agr). Espropriazione per pubblica utilit -Edilizia popolare ed economica Piani per l'edilizia economica e popolare -Attuazione -Dichiarazione di pubblica utilit -Non occorre. Edilizia economica e popolare -Procedura espropriativa di cui alla Legge 18 aprile 1962, n. 167 -Decreto di espropriazione -Requisiti di legittimit. Poich i piani per l'edilizia popolare ed economica, approvati ai sensi dell'art. 8 della legge 18 aprile 1962, n. 167, equivalgono a dichiarazione di pubblica utilit, legittimo il decreto di espropriazione, emesso in attuazione del piano, in cui non si faccia menzione di un particolare atto di dichiarazione di pubblica utilit (1). (1-2) Giurisprudenza pacifica. In genere, per la procedura di cui alla legge 18 aprile 1962, n. 167, si veda: Ad. plen. 26 agosto 1964, n. 19, Il Consiglio di Stato, 1964, I, 1413; Sez. IV, 6 febbraio 1959, n. 200, ivi, PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 1091 legittimo il decreto di espropriazione emesso in attuazione del piano per l'edilizia economica e popolare non preceduto dal deposito del piano di esecuzione o dell'ordine prefettizio di esecuzione (2). 1959, I, 143; id., 6 dicembre 1968, n. 746, ivi, 1968, I, 1998. In dottrina: G. SCOTTO, Brevi considerazioni sulla legge 18 aprile 1962, n. 167, Il Consiglio di Stato, 1968, II, 259. CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 21 ottobre 1969, n. 519 -Pres. Potenza -Est. Tozzi -Silva Ferrario (avv. Tuscolo) c. Prefetto di Cremona (avv. Stato Casamassima). Espropriazione per pubblica utilit -Dichiarazione di p. u. -Deposito del provvedimento per quindici giorni -Criterio di osservanza del termine. Espropriazione per pubblica utilit -Procedura illegittima -Revoca prefettizia degli atti illegittimi e inizio di nuova procedura -Legittimit. Poich la legge 25 giugno 1865, n. 2359 dispone che il deposito del provvedimento che dichiara la pubblica utilit delle opere deve durare quindici giorni, la legge stessa osservata quando risulti che il deposito in effetti durato per quindici giorni senza che possano essere invocati gli artt. 29q2 e.e. e 155 c.p.c., per i quali dies a quo non computatur in termine (1). legittimo il provvedimento del Prefetto che, accertata la illegittimit della procedura di espropriazione, annulli gli atti viziati, dando inizio a nuova p1ocedura, pur in pendenza del ricorso al Consiglio di Stato, per soddisfare le esigenze di interesse pubblico connesse all'opera da realizzare (2). (1) Massima esatta. Sul principio della inapplicabilit delle norme di cui agli artt. 2962 del codice civile e 155 del codice di procedura civile, nelle ipotesi in cui l'attivit giuridica sia presa in considerazione con rgurdo alla sua intrinseca durata che si protrae per un certo periodo di tempo, cfr. Sez. V, 14 aprile 1962, n. 348, Il Consiglio di Stato, 1962, I, 741. (2) Cfr. Sez. IV, 3 novembre 1965, n. 6751, Il Consiglio di Stato, 1965, I, 1857. .. . i I [ I I I I I I I I I I I I ! i I ~-~-Jl!'!':i!. 1092 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 21 ottobre 1969, n. 523 -Pres. Potenza -Est. Mezzanotte -Giustiniani (avv. Sorrentino) c. Comune di Genova (avv.ti Grasso e Romanelli) e Prefetto di Genova. Giustizia amministrativa .,. Atti impu~nabili -Atti della espropriazione precedenti il decreto del Prefetto -Impu~nabilit Esclusione. GLi atti con i quali un Comune, ai sensi deU'art. 13 delta legge 5 marzo 1963, n. 246, delibera di acquistare un'area fabbricabile e di chiedere al Prefetto il decreto di esproprio, nelta ipotesi deUa mancata adesione del proprietario, sono atti preparatori del decreto prefettizio e come tali non impugnabili (1). (1) Massima esatta: nel caso di specie,. infatti, si tratta di deliberazioni preparatorie che non hanno, di per s, forza operativa. Cfr., in genere, M. S. GIANNINI, Decisioni e deliberazioni amministrative, Foro amm., 1946; NIGRO, Deliberazione amministrativa, Enciclopedia del Diritto, XI, 998 regg. CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 21 ottobre 1969, n. 525 -Pres. Stumpo -Est. Mezzanotte -Cantieri (avv. Viola) c. Ministero Pubblica Istruzione (avv. Stato Terranova). Giustizia amministrativa -Atto definitivo -Dinie~o di nulla osta da parte della Soprintendenza ai monumenti per costruzione edilizia Non atto definitivo. Giustizia amministrativa -Eccesso di potere per perplessit ed insufficiente motivazione -Fattispecie. Il diniego di nuita osta per costruzione edilizia da parte della Soprintendenza ai monumenti non atto definitivo onde non pu essere direttamente impugnato in sede giurisdizionale (1). (1) Cfr., in termini, Sez. IV, 21 febbraio 1968, n. 97, Il Consiglio di Stato, 1968, I, 161; in dottrina G. FURITANO, Competenza del Soprintendente ai monumenti o del Sindaco in tema di licenza edilizia, Il Consiglio di Stato, 1968, II, 688. Al provvedimento in questione stata negata anche la natura di atto definitivo implicito; cfr. Sez. V, 15 maggio 1954, n. 488, Il Consiglio di Stato, 1954, I, 559, e, in dottrina, SPAGNUOLO-VIGoRITA, Motivazione del diniego di autorizzazione a costruire in zona di parti- w PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 1093 illegittimo per perplessit ed insufficiente motivazione ii provvedimento ministeriale di rigetto del ricorso gerarchico contro ii diniego di nulla osta da parte della Soprintendenza ai monumenti in ordine alla costruzione di un edificio, quando il rigetto, pur negando il lamentato vizio di disparit di trattamento, affermi l'esistenza di differenze ambientali tra i vari edifici omettendo di precisare in che cosa esse consistono (2). colare interesse paesistico o panorami/oo, Rivista giur. edil., 1959, II, 114; SPADACCINI, Diritto edilizio speciale, 1962, pag. 424. Cfr. anche Sez. IV, 7 giugno 1967, n. 220, in questa Rassegna, 1967, 855. (2) pacifico che la motivazione insufficiente o perplessa costituisca una figura sintomatica di eccesso di potere: cfr., in genere, SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, 1966, pag. 390 e segg. CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 21 ottobre 1969, n. 568 -Pres. Potenza -Est. Paleologo -Parodi (avv.ti Allorio e Di Nardo) c. Provveditore regionale 00.PP. per la Campania (avv. Stato Vitucci) ed altri. Piano regolatore -Comune di Napoli -Espropriazioni nella c. d. zona industriale del porto di Napoli -Eccezione di illegittimit costituzionale della normativa di tali espropriazioni in relazione all'art. 42 Cost. -Manifesta infondatezza. Piano Regolatore -Comune di Napoli -Espropriazioni nella zona industriale del porto di Napoli -~ulla osta del Provveditore regionale alle 00.PP. al rilascio delle licenze edilizie da parte del Comune -Non vale come rinuncia all'espropriazione. Alle espropriazioni nella c.d. zona industriale del porto di Napoli, previste per l'attuazione del piano regolatore, sono applicabili le norme indicate nell'art. 5 del r.d. 25 marzo 1923, n. 1018, in ordine alle quali manifestamente infondata l'eccezione di incostituzionalit, in relazione all'art. 42 Cost., perch la compressione che da dette norme deriva al diritto di propriet contenuta entro limiti temporali certi, non diversamente da quanto avviene per i piani regolatori particolareggiati (1). Il nulla osta del Provveditore regionale alle opere pubbliche al rilascio, da parte del Comune di Napoli, delle licenze edilizie in area non ancora espropriata, non pu essere interpretato come rinuncia ad espropriare in futuro il terreno de quo, perch, ai sensi dell'art. 5 cpv. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO r.d. 25 marzo 1923, n. 1018, le espr0tpriazioni nella zona industriale del porto di Napoli debbono essere compiute mano a mano che se ne presenti la necessit (2). (1-2) Massime esatte. Si veda S-ez. IV, 27 ottobre 1965, n. 639, Il Consiglio di Stato, I, 1646. CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 21 ottobre 1969, n. 571 -Pres. Potenza -Est. Pezzana -De Longis ed altri (avv. Piccardi) c. Ministero turismo e spettacolo (avv. Stato Dallari) ed altri. Amministrazione dello Stato -Uffici -Organizzazione -Operativit della riserva di legge di cui all'art. 97 Cost. -Limiti. La riserva di legge prevista daH'art. 9.7 della Costituzione per quanto attiene alla o-rganizzazione dei pubblici uffici vale sofo per gli uffici amministmtivi con rilevanza esterna, mentre l'organizzazione me-ramente interna pu essere regolata da semplici atti amministrativi (nella specie, decreto del Ministero del turismo e dello spettacolo eh~ riordinava una direzione generale) (1). (1) Cfr. Corte dei Conti, Sez. controllo, 18 dicembre 1948, n. 250, Foro it., 1949, III, 80, con nota. CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 27 giugno 1969, n. 319 -Pres. Uccellatore -Est. Schinaia -Coop. Albergo Mensa Spettacolo Turismo (avv. Casoli) c. Ministero dei trasporti (avv. Stato Giorgio Azzariti), interv. C.l.G.A.R. (avv. Guarino). Giustizia Amministrativa -Giudicato -Esecuzione -Ricorso ex art. 27 n. 4 t. u. n. 1054 del 1924 -Decisione del Consiglio di Stato impugnata con ricorso per Cassazione -Proponibilit. Giustizia Amministrativa -Giudicato -Esecuzione -Annullamento di gara per affidamento della gestione di caff ristoratore Fattispecie. La diversit, dei sistemi nei quali si inquadrano la giustizia civile e la giustizia amministrativa esclude la possibilit di riferimenti al diritt processuale civile per determinare i presupposti del giudizio di PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 1095 ottemperanza di cui all'art. 27, n. 4 t.u. 26 giugno 1924, n. 1054; ricorrendo perci i presupposti dell'ottemperanza da parte dell'Amministrazione ad una decisione del Consiglio di Stato, il ricorso ai sensi del citato art. 27 ammissibile anche se la decisione non sia passata in giudicato, essendo stato proposto ricorso alla Cassazione per difetto di giurisdizione (1). L'adempimento della decisione di un annuliamento di una gara per la gestione di un c~ff-ristoratore per vizi del procedimento, non importa il ripristino del vecchio concessionario in tale gestione, il cui rapporto sia definitivamente cessato per scadenza del termine; importa, invece, la immediata indizione di una nuova gara per la rinnovazione del procedimento, con esclusione delle illegittimitd rilevate nella pronuncia di annullamento. (Omissis). -L'Amministrazione dei trasporti e la societ controinteressata C.I.G.A.R. hanno preliminarmente eccepito la inammissibilit del ricorso, proposto ai sensi dell'art. 27, n. 4 del t.u. 26 giugno (1-2) Per una fattispecie analoga (caso di ricorso per revocazione) cfr. Ad. Plen. 21 marzo 1969, n. 10, retro 477, con nota. Avverso la riportata decisione stato proposto dall'Amministrazione ricorso per Cassazione, che qui si trascrive: In tema di proponibilit del giudizio di ottemperanza avverso una decisione amministrativa non ancora passata in giudicato 1. -Che la decisione emanata dal Consiglio di Stato a definizione del procedimento previsto dall'art. 27 n. 4 del t. u. n. 1054 del 1924 sia soggetta a ricorso alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 111 della Costituzione e dell'art. 362 c. p. c. principio chiaramente affermato dalle stesse Sezioni Unite (sent. 8 luglio 1953, n. 2157; 2 ottobre 1953, n. 3141). Qui, per, opportuno rilevare che ambedue i motivi sui quali si fonda il presente ricorso sono, appunto, attinenti alla giurisdizione. Col primo motivo si vuo1 sostenere che il procedimento previsto dall'art. 27 n. 4, diretto ad ottenere l'adempimento dell'obbligo dell'autorit amministrativa di conformarsi ad una decisione del Consiglio di Stato, non esperibile quando la decisone stessa non sia passata in giudicato, per essere stato contro di essa proposto ricorso per Cassazione: ci che, del resto, era stato costantemente affermato dal Consiglio di Stato prima del mutamento giurisprudenziale intervenuto con la decisione n. 10 in data 21 marzo 1969 dell'Adunanza plenaria. E poich il citato art. 27 n. 4 indubbiamente una norma attributiva di competenza giurisdizionale, il sostenere, come si sostiene col primo motivo, che il Consiglio di Stato ha pronunziato al di l dei limiti stabiliti da quella norma, equivale a sostenere che il giudice amministrativo era carente di giurisdizione. Il primo motivo , in sostanza, del tutto analogo ai motivi proposti con i ricorsi nei quali si sosteneva che l'art. 27 n. 4 consente al supremo con- II I I I I I i ' I ~ ! 1 ! i 1096 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 1924, n. 1054, per ottenere la esecuzione della decisione di questa Sezione del 18 ottobre 1968, rilevando che la decisione stessa non ha fatto passaggio in cosa giudicata essendo stato interposto contro di essa tempestivamente ricorso alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione per difetto di giurisdizione del Consiglio di Stato, giudizio quest'ultimo ancora pendente. L'eccezione infondata. Infatti, secondo quanto ha ritenuto l'Adunanza Plenaria di questo Consiglio con decisione 21 marzo 1969, n. 10 dalla quale per la fondatezza delle ragioni che la sorreggono, il Collegio non intende discostarsi -alle decisioni giurisdizionali del Consiglio di Stato non sono applicabili tutte le norme sulla fondatezza del giudicato poste nel codice di procedura civile, stante la diversit dei sesso amministrativo di provvedere sui ricorsi diretti ad ottenere l'adempimento dell'obbligo di conformarsi al giudcato dei Tribunali ordinari, ma non a quello dei giudici amministrativi ovvero al provvedimento emesso dal Presidente della Repubblica in seguito a ricorso straordinario: in entrambi i casi le Sezioni Unite, con le sentenze sopra ricordate, hanno affermato l'ammissibilit dei ricorsi e dei motivi, esaminandoli nel merito per respingerne uno ed accogliere l'altro. Col secondo motivo si sostiene che era del tutto estranea dai limiti oggettivi della decisione n. 532 del 18 ottobre 1968 della VI Sezione del Consiglio di Stato --,-con la quale erano stati annullati l'art. 1 dell'invito di partecipazione alla licitazione privata per la gestione del caff ristoratore della stazione ferroviaria di Bologna ed il d. m. n. 8177 del 1966 che aveva determinato i criteri posti a base per la formazion~ della scheda segreta -la determinazione del modo in cui e, particolarmente, del quando, dovesse indirsi una nuova licitazione privata; che perci il Consiglio di Stato, avendo con la decisione ora impugnata ordinato alla Amministrazione di indire una nuova gara entro sessanta giorni dalla comunicazione in via amministrativa della decisione stessa, ha pronunziato al di l del limite del potere attribuito al supremo consesso amministrativo, dall'art. 27 n. 4. Si tratta, ancora, di motivo del tutto analogo ai motivi secondo e terzo del ricorso esaminato dalle Sezioni Unite con la pi volte ricordata sentenza n. 2157 del 1953, ritenuti allora ammissibili ed anche fondati. PRIMO MOTIVO. -Difetto di giurisdizione -Viola;zione dell'art. 4 legge 20 marzo 1865 n. 2248 allegato E e dell'art. 27 n. 4 t. u. 26 giugno 1924 n. 1054 -Inammissibilit del ricorso previsto dall'ultima norma sopra indicata nei confronti delle decisioni del Consiglio di Stato non passate in giudicato, per essere stato proposto ricorso per Cassazione. 2. -La sentenza impugnata non contiene, sul punto, alcuna sostanziale motivazione, essendosi limitata a richiamare la decisione n. 10 del 21 marzo 1969 che, come si pi volte osservato, ha introdotto il ricordato mutamento giurisprudenziale. Conviene quindi prendere le mosse da quella decisione dell'Adunanza plenaria, anche se intervenuta in diversa controversia alla quale era estranea l'Amministrazione ricorrente e qualsiasi altra Amministra l'Al\'t& I, SEZ, IV, GIURISPRUDENZA AM:M;INISTllATIVA 1097 sistemi nei quali si inquadrano la giustizia civile e la giustizia amministrativa, difi'erenza la quale esclude l possibilit di fare riferimento ai principi del diritto processuale civile al fine di determinare i presupposti del giudizio di ottemperanza ai sensi dell'art. 27, n. 4 del citato t.u. Pertanto, ric.orrendone i presupposti, l'Amministrazione aveva l'obbligo di ottemperare alla decisione suddetta, nonostante la pendenza de~ ~V:an;\e su9ciett(l. . Nella specie ugualmente infondata l'altra eccezione ~sollevata dalla (fifesa clella controinteressata -secondo la quale il ricorso sa#' bl:l.e ina~issil:>;lle, mancancio il requisito indispensabile dell'inerzia deli'Ammini$trailone. . Si osserva in :r;no:pOsito che l'Amministrazione avrebbe esercitato il s.;o J;)l)tere discrezionale nel momento in cui con esecuzione alla detta :l;t* d~llo Stato. In essa il nuovo principio giurisprudenziale viene cosi ~us#ficato: L'art 2''1. n; 4 si ttfer.iva alle sentenze del giudice ordinario le quali, per i :noti )imiti co$titu~ionali, non possono . cancellare dal mondo del lftir:itt. la deisfone del COI)siglio di Stato su questione. pregiudiziale. Certo , per, che ci, se avviene, costittlisce chiara violazione non solo del dispqsto dell'art. 297, primo comma c.p.c. ma anche dell'insegnamento di c'desta Ecc.ma Corte Suprema che, con decisione n. 1086 del 22 april 1950 ebbe a precisare che, qualoJ'lil nel provireclimento di sospensione non ,sia fissata l'udienza in ctli il processo deve proseguire, ie parti non possono chiedere la fissazione dell'udienza per la prosecuzione della causa se non dopo il passaggio in giudicato della sentenza che definisce la controversia civile o amministrativa, poich nel periodo di sospensione n le parti n il giudice possono compiere alcun atto del procedimento (nello stesso senso v. Cass. 9 agosto 1951, n. 2482). Ed invero, se la ragione giustificatrice della sospensione necessaria del processo regolata dall'art. 295 c.p.c. consiste nella opportunit di evitare il rischio di un conflitto di giudicati, ritenere possibile la decisione della causa principale in base alla risoluzione non definitiva della pregiu RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ai sensi dell'art. 90 del Regolamento di procedura. ben vero che con detto atto erasi chiesto in primo luogo che l'Amministrazione adottasse i necessari provvedimenti per il ripristino della situazione quo ante di Gestione della CAMST fino alla conclusione della nuova gara per l'assegnazione del caff-ristoratore della Stazione di Bologna per non men vero che formalmente si era chiesto che il Ministero dei Trasporti compisse la doverosa attivit di ottemperanza alle predette decisioni della VI Sezione del Consiglio di Stato. Ed in queste diziale significa, ferma la possibilit che la decisione della pregiudiziale muti attraverso l'iter delle impugnazioni, ammesse anche avverso la decisione del Consiglio di Stato, riconoscere la possibilit che si verifichi quel conflitto che la norma intende evitare. Pu perci dirsi che n la formulazione letterale degli artt. 295 e 297 c.p.c., n la ratio delle norme n la giurisprudenza della Corte di Cassazione, giustifica che la decisione la q,uale definisca una controversia amministrativa sia soggetta, quanto meno agli effetti degli articoli suddetti, ad alcuna regolamentazione speciale, diversa da quella applicabile alla sentenza del giudice civile. Ma, come gi si osservato, per trovare alcun argomento pi strettamente applicabile alle fattispecie definite con la decisione n. 10/1969 dell'Adunanza Plenaria e con la decisione ora impugnata bisognava ricercare quale fosse stato, agli effetti degli artt. 295 e 297 c.p.c., l'atteggiamento del Magistrato ordinario di fronte non gi ad. una decisione del Consiglio di Stato per la quale siano ancora pendenti i termini d'impugnazione, ma ad una decisione Jche sia stata di fatto impugnata. Or non sembra dubbio che in tal caso il periodo di sospensione debba perdurare fin quando non sia definito il giudizio di impugnazione: se non altro perch, a parte ogni questione sulla particolare natura ed efficacia delle decisioni del Consiglio di Stato, quella stessa pregiudizialit che impose la sospensione del giudizio civile in attesa della decisione del giudice amministrativo, caratterizza anche il giudizio d'impugnazione avverso la decisione stessa. Infatti risulta pubblicata (in Foro it., 1967, I, 299) la sentenza 21 novembre 1966 della Corte d'AppellQ di Napoli la quale ritenne di non dover sospendere la propria decisione in attesa che il Consiglio di Stato si pronunziasse sul ricorso per revocazione avverso la decisione emessa in precedenza, solo perch la stessa Corte d'Appello aveva accertato, incidenter tantum, la palese inammissibilit della istanza revocatoria. certo discutibile l'esattezza di simile decisione con la quale il giudice ha ritenuto di poter egli stesso valutare, sia pure incidentalmente al solo fine della eventuale sospensione del processo, la ammissibilit di una impugnazione proposta ad un diverso giudice speciale; quel che per qui interessa rilevare che, nella ipotesi ora ricordata, il giudice non ha riconosciuto alla decisione del Consiglio di Stato alcuna posizione di particolare privilegio o, comunque, una maggiore resistenza alle impugnazioni rispetto alle sentenze del giudice ordinario: se l'istanza revocatoria fosse stata ritenuta ammissibile quel gudizio avrebbe dovuto essere sospeso. 11. -Come stato osservato dalla dottrina. sopra ricordata, il principio, secondo il quale l'obbligo della Amministrazione di conformarsi alla pro PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 1107 PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 1107 attivit non pu non essere compresa anzitutto la indizione della nuova gara; richiesta questa meglio esplicata, ma non proposta per la prima volta, con la domanda rivolta a questo Consiglio per l'esecuzione della predetta decisione. Tale richiesta, come si gi posto in risalto, fondata, non essendovi dubbio che dall'anzidetta decisione deriva l'obbligo dell'Amministrazione di indire una nuova gara. N pu dirsi, come si osserva dalle parti resistenti, e segnatamente dalla controinteressata, che, a seguito nuncia giurisdizionale sorge solo con il giudicato, trova la sua ragione nella esigenza di evitare che l'Amministrazione sia costretta a svolgere la propria attivit, volta al consegui.mento dei ~ni di pubblico interesse, quando ancora lo stesso pubblico interesse od i modi per perseguirlo legittimamente non siano stati definitivamente accertati: di provvedervi, cio, con atti che non siano definitivi, ma provvisori o quanto meno condizionati all'esito della impugnazione. l'esigenza, vista sotto un diverso angolo visuale, di assicurare la pratica efficacia delle sentenze del giudice dell'impugnazione e, in particolare, della Corte di 'cassazione, suprema regolatrice della giurisdizione. La stessa esigenza vale pienamente anche nei confronti delle decisioni del Consiglio di Stato; n possono dirsi remoti od eccezionali i mezzi d'impugnazione previsti da norme di legge e di fatto, come nella specie, proposti. Ch anzi, a ben guardare, l'esigenza suddetta appare particolarmente evidente fin quando sia ammissibile, e ancor pi se sia stato di fatto proposto, ricorso per motivi attinenti alla giurisdizione, quando cio sia contestato che la pronunzia provenga da un organo titolare del potere giurisdizionale di fatto esercitato, e, conseguentemente, venga lamentata la invasione della sfera di competenza dell'Esecutivo. SECONDO MOTIVO. -Difetto di giurisdizione -Violazione dell'art. 27 n. 4 t. u. 26 giugno 1924, n. 1054 -Violazione dei limiti del potere del Consiglio di Stato nel giudizio di ottemperanza delle prprie pronunce di legittimit. 12. -Nelle osservazioni trasmesse alla segreteria della VI Sezione a sensi del secondo comma dell'art. 91 r. d. 17 agosto 1907, n. 642, il Ministero dei Trasporti, a parte alcuni rilievi sulla ammissibilit del ricorso proposto dalla CAMST, aveva comunicato che l'Amministrazione stessa, constatata la pendenza del ricorso per Cassazione proposto dalla CIGAR ed il contrasto di interessi tra la CAMST e la stessa CIGAR, riteneva opportuno, anche in copsidez:azione dell'interesse pubblico all1:4_ regolare gestione del caff ristoratore, prima di adottare qualsiasi provvedimento, attendere l'esito del ricorso per Cassazione. Ma il Consiglio di Stato ha ritenuto di poter ordinare al Ministero dei Trasporti di indire la nuova gara relativa alla concessione del caff ristoratore di Bologna entro il termine di sessanta giorni dltlla comunicazione in via amministrativa della decisione. Ma se, come stato precisato dalla pi volte ricordata sentenza n. 2157 del 1953 delle Sezione Unite, il limite del potere attribuito in questa materia al giudice amministrativo deve trarsi dallo stesso limite RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO della decisione che ha annullato il bando di gara, l'Amministrazione sarebbe stata reintegrata nella stessa posizione in cui essa si trovava prima della indizione e dello svolgimento della gara annullata, con la conseguenza che l'Amministrazione non era obbligata a procedere alla gara non appena si fosse verificata una carenza della gestione, vale a dire alla scadenza della precedente concessione. Invero con la gi citata deliberazione 28a del Consiglio di Amministrazione e relativa oggettivo del giudicato amministrativo, non sembra dubbio che simile pronuncia abbia varcato detto limite. Come si ricordato, la decisione n. 532 del 1968 aveva parzialmente annullato il d. m. 25 ottobre 1967, n. 8177 con il quale erano state dettate alcune modalit per la redazione della scheda segreta, nonch un articolo della lettera d'invito di partecipazione alla licitazione privata per la concessione del caff ristoratore della stazione ferroviaria di Bologna. La decisione ora impugna~a, interpretando la precedente pronuncia n. 532, ha affermato che tale annullamento comportava anche la rimozione, quali atti conseguenziali, anche dell'atto di aggiudicazione in favore della CIGAR e la relativa approvazione (ci sebbene i ricorsi specificamente prpposti contro questi due atti fossero stati espressamente respinti con la decisione n. 532). Ma, tutto ci ammesso, l'annullamento di simili atti non comportava n l'obbligo di indire una nuova gara per licitazione privata n, tanto meno, la fissazione di alcun termine entro il quale la nuova gara avrebbe dovuto essere indetta: restava pur sempre riservato al potere discrezionale dell'Amministrazione stabilire i modi di attribuzione della gestione del caff ristoratore e, ancor pi, fissare il tempo della nuova gara onde assicurare ad essa il miglior eventuale risultato tecnico ed economico. E, come si ebbe cura di precisare nella memoria depositata al Consiglio di Stato, l'Amministrazione aveva ritenuto che dalla pendenza del ricorso per Cassazione derivava che la nuova gara avrebbe necessariamente portato ad una aggiudicazione provvisoria, soggetta alla condizione risolutiva del buon esito del ricorso il che avrebbe scoraggiato la concorrenza e pregiudicato il risultato, sia tecnico che economico, della gara stessa; che, inoltre, sarebbero stati certamente pregiudizievoli alla regolar-it della gestione gli eventuali frequenti trasferimenti di questa (dalla CIGAR al nuovo vincitore e poi nuovamente da questo alla CIGAR in caso di accoglimento del ricorso per Cassazione). La decisione di attendere, prima di indire la nuova gara, l'esito del ricorso per Cassazione appariva perci logicamente giustificata e rien trante nell'ambito dei poteri discrezionali restduati all'Amministrazione dopo l'annullamento giurisdizionale della precedente aggiudicazione. La ipotesi portata a titolo esemplificativo nella sentenza n. 2157 delle Sezioni Unite ben diversa da questa ora in esame: l'annullamento di un atto di licenziamento fa rivivere il rapporto d'impiego, onde l'Amministrazione tenuta a riprendere immediatamente in servizio l'impiegato al quale il corrispondente diritto deriva direttamente dal rapporto; ma dall'annul lamento di una gara deriva che gli effetti di questa vengano meno, restan do pur sempre libera l'Amministrazione di decidere, sulla base dei propri criteri discrezionali, se, e specialmente quando, ripetere la gara stessa. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 1109 PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 1109 circolare, l'Amministrazione autolimitandosi ritenne essere conforme all'interesse pubblico che la concessione dei bar-ristoratori venisse attribuita a seguito di licitazione privata e nell'alveo della norma che disciplina la contabilit di Stato. Ora, giova ribadire che detti atti non solo noo sono stati annullati, ma sop.o stati riconosciuti legittimi da questo Consiglio in questa ed in precedenti decisioni (Sez. VI, n. 393 e n. 44 del 1 giugno 1967) :il: il caso di rilevare come non sia esatta l'osservazione pur contenuta nella decisione. impugnata e cio che se un potere discrezionale del genere dovesse riconoscersi all'Amministrazione verrebbe del tutto vanificato il principio dell'obbligo dell'Amministrazione di dare immediata esecuzione alle decisioni del Consiglio di Stato; invero la decisione di soprassedere fino all'-esito del ricorso per Cassazione, per indire la nuova gara, stata adottata non gi, o comunque non soltanto, nella considerazione generica ed astratta della pendenza di un ricorso per Cassazione, e quindi del mancato passaggio in giudicato della decisione del Consiglio di Stato, bensi per la valutazione concreta degli effetti ch, nella particolare fattispecie, dalla pendenza del ricorso per Cassazione sarebbero derivati sulla nuova gara da indire. 13. -La fondatezza della censura ora -svolta del resto chiaramente dimostrata dal fatto che l'obbligo dell'Amministrazione di indire la nuova gara viene, nella decisione impugnata, desunto -non gi dalla precedente decisione n. 532, bensi dalla deliberazione adottata dal Consiglio di Amministrazione delle Ferrovie nella 28a seduta del 26 luglio 1966, nella quale si decise -e con ci l'Amministrazione avrebbe autolimitato i propri poteri discrezionali -che le concessioni dei bar rfstoratori venissero attribuite a seguito di licitazione privata, nell'alveo della norma che disciplina la contabilit di Stato. Simile argomentazione appare peraltro chiaramente inammissibile: invero oggetto del giudizio di ottemperanza esclusivamente quello di accertare se l'Amministrazione abbia o meno adempiuto all'obbligo di conformarsi al giudicato, ma se il comportamento della Amministrazione abbia violato non gi gli obblighi derivanti dal giudicato, bensi limiti imposti alla sua attivit da precedenti atti amministrativi, il vizio relativo sar denunciabile con i normali mezzi di impugnazione, manon sar certo riparabile col procedimento previsto dall'art. 27 n. 4. Deve infine aggiungersi che la citata deliberazione del Consiglio di Amministrazione, se stabili che le concessioni venissero attribuite mediante gare per licitazione privata, non fiss -per il termine entro il quale indire la gara stessa. La determinazione di tale termine, non fissato n dalla decisione n. 532 n dalla diiberazione del Consiglio di Amministrazione, restava perci riservata al potere discrezionale dell'Amministrazione stessa, in I base a considerazioni di opportunit e convenienza che essa soltanto I poteva compiere; la decisione impugnata, fissando essa stessa, il termine : suddetto ha allora usurpato tale potere. -(Omissis). :! I I GIORGIO AZZARITI l ! I I I . ------I 1110 BASSEGNA DELL1AVVOCATUBA DELLO STATO tanto vero che, proprio sul rilievo della legittimit di tali atti, s1 e escluso che i precedenti concessionari (fra i quali la CAMST) potess ero vantare alcune pretese per il rinnovo delle precedenti concessioni, soggette a diversa regolamentazione. Non pu pertanto dubitarsi nella specie che l'Amministrazione sia tenuta, nell'ambito dei cennati atti, ad indire nuova gara esente dai vizi riscontrati. poi appena il caso di osservare, stante la intervenuta decisione di annullamento, che 1'Amministrazione non neppure libera di scegliere il momento in cui deve procedere a rinnovare la gara: questa si impone con immediatezza proprio per effetto dell'anzidetta pronuncia. Pertanto va ordinato, come sopra precisato, dall'Amministrazione ferroviaria di indire nuova gara relativa alla gestione del caff-ristoratore della Stazione di Bologna, entro giorni sessanta dalla comunicazione in via amministrativa dell presente decisione. ( Omissis). SEZIONE QUINTA GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 25 ottobre 1968, n. 3493 -Pres. Ros~ sano -Est. Malfitano -P. M. Raja (conci. conf.) -Borrelli (avv. Borrelli) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Mazzella). Imposta di registro -Vendita coatta -Vendita con incanto e vendita senza incanto -Accertamento di valore -Inapplicabilit. (r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 50). La norma de'll'art. 50 della legge di registiro che, nel ritenere dovuta la tassa proporzionale per la vendita ai pubblici incanti sul prezzo risultante dall'ultimo incanto, esclude l'accertamento di valore, si applica alle vendite coatte, sia che la vendita abbia avuto luogo con incanto -che era il sistema normale previsto dall'abrogato codice di procedura civile -sia che la vendita abbia avuto luogo senza incanto -che il sistema normale nella esecuzione forzata, ordinaria o fallimentare, previsto dal vigente codice di procedura civile -purch siano state osservate le norme dell'uno o dell'altro tipo di procedura esecutiva, che garantiscono, attraverso un procedimento essenzialmente pubblicistico, la realizzazione di un prezzo corrispondente al valore venale del bene venduto (1). (Omissis). -Con il primo motivo si sostiene che la Corte di merito iha erroneamente ritenuto che ai fini dell'applicazione dell'imposta. di registro potesse procedersi alla determinazione del valore venale degli immobili aggiudicati al Borrelli a seguito della vendita senza incanto disposta nella procedura fallimentare nei confronti di Oscar e (1) Con questa sentenza la Cassazione ha modificato il precedente orientamento di cui alle sentenze 3 marzo 1932, n. 758, in Riv. leg. fisc., 1932, 419 e 11 gennaio 1943, n. 31, in Giur. it., 1943, I, 1, 124. Nello stesso senso della sentenza in rassegna, cfr. Comm. Centr. 13 marzo 1964, n. 7252, in Giur. imp., 1964, n. 128 con nota adesiva; Comm. Centr. 16 maggio 1966, n. 31931;; Comm. Centr. 8 marzo 1966, n. 28980, in Dir. prat. trib., 1967, II, 714 con nota adesiva di CRoXATTO. In conseguenza del nuovo orientamento giurisprudenziale e data la sua delicatezza, l'Avvocatura ha riesaminato la questione in via generale, proponendo da ultimo alla Amministrazione di adeguare la propria attivit a detto orientamento. Avendo il Ministero delle Finanze concordato sul punto, i principi di cui alla massima in esame non si prestano ad ulteriore utile commento. 1112 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Pasquale Bernardi, in quanto la disposizione di cui al secondo comma dell'art. 50 della legge di registro 30 dicembre 1923, Ii. 3269, secondo la quale l'imposta proporzionale per la vendita di mobili o immobili ai pubblici incanti dovuta sul prezzo della vendita risultante dall'ultimo incanto, applicabile in ogni caso di vendita coatta, sia questa realizzata con il sistema dell'incanto sia con quello senza incanto e, .quindi, anche nell'ipotesi di vendita senza incanto disposta dal giudice delegato nel processo fallimentare. La censura fondata. La disposizione dell'art. 50 della legge di registro che esclude l'accertamento di valore per i beni mobili e immobili trasferiti a seguito di pubblico incanto ancorata al sistema delle vendite coatte disciplinate dal codice di procedura civile del 1865 vigente nel momento in cui essa fu emanata. Ora, poich nel codice di procedura civile vigente .la vendita con incanto e quella senza incanto sono considerate sullo stesso piano, che anzi, pu affermarsi che la nuova disciplina mostri preferenza per la vendita senza incanto allorch prevede in via normale tale tipo di procedimento (art. 569, terzo comma, 575, primo comma, c.p.c.), occorre interpretare la. menzionata norma della legge di registro alla stregua della nuova realt giuridica che influenza la norma medesima, la quale, nel suo nucleo essenziale, ha inteso sancire l'inammissibilit del giudizio di valutazione da parte della finanza nelle vendite coatte, quando a tale giudizio si sia pervenuto attraverso l'apposito procedimento esecutivo con l'intervento del giudice, che, di per s, toglie alla vendita del bene cosi realizzata quel carattere di negozio di natura privata, che soltanto pu consentire la determinazione di un valore diverso dal prezzo. Se, quindi, la vendita forzata sia stata attuata con l'osservanza delle forme del procedimento espropriativo stabilito dalla legge, deve presumersi che il prezzo di aggiudicazione sia corrispondente nella misura massima possibile in quel dato luogo e in quel momento al valore venale del bene acquistato sul libero mercato, che rappresenta ci che il procedimento valutativo ricerca (v. sent. Corte Cost. n. 62 del 1965). Cosi identificata la e ratio della disposizione di cui al secondo comma dell'art. 50 della legge di registro, deve ritenersi che essa sus sista anche con la nuova disciplina dettata dal codice di rito per le vendite coatte, in quanto, sostituite alle antiquate strutture forme mo derne pi aderenti alle pratiche esigenze dei rapporti sociali, il .trasfe rimento coatto del bene ha luogo, pur sempre, attraverso gli appositi strumenti esecutivi predisposti per il migliore rendimento economico dell'espropriazione. . Se, quindi, la citata disposizione esclude la applicabilit del giudizio di valutazione nel presupposto che ogni procedura di pubblico incanto t r I ili' r ,::: ff@lfffft@Ufi@ifi@ifafil'tUMf&mH%tff:fmfffG1fil@@fmiifffiifirn@fiiifffffffBffffffff:iliffif@fff@f@ffM%@H@if@f0Wfil~~i 1113 PARTS l, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TlUlJtl'TARIA dia garanzia di autenticit e . di congruit del prezzo di aggiudicazione, deve riconoscersi che tale presupposto sussiste anche con l'osservanza della nuova disciplina del procedimento esecutivo che equipara nel suo risultato finale la ven~ta all'incanto e quella senza ihcanto. Al riguardo opportuno rilevare che anche la vendita senza incanto,. essendo una vendita :forzata, sottratta alla garanzia per i vizi de~ cosa, e ~a.impu~tiva pr causa di leeione (art. 2922 e.e;) e che per gli inunobili la vendita senza in.canto ha lu<.>go con lo stesso sistema 'con. U q.ale si procede alla vendita con inanto, cio median:te la stiriia legale del valore dell'immobile e, :eventualmente,. giudiZiale (articoli535 e 568 .p.c.), con even.tuale gara tra gli offerenti ... sull'offerta pi alta se le O:ffert J(>no :Pl di .una :(art. 1)73 c.p.c.); e qualora il. giu. ~iEllnon tit~nga..eBs.e:rvi seria probabilit di.miglior vendita ll'in cantdel p()Jtere gi.risdi~onale di vent'l.~e.e ttasferire che l'<1rgano pubblico esereita nel .campo della e,spropriazione forzata .. E a tale principio. questa Corte Suprema si recentemente ispirata al!Otc:h ha preci~to h R ;r~pporto di.mecUaziOne non configurabile ~~tto ~lle veridite .stud4zil,\n previl!te dagli ar:tt. 570 e segg. del c.p.c., s.\ll ri;flesso che il pai'ocednnento officioso rigidamente articolato per la, scelta qll'acqui:i:-ente e tale da non. lasciare luogQ in alcun.. modo a u:n privato intervento 'di ihtermediazione che il trasferimento della propriet dall'esecutato all'aggiudicatario cQnsegue a un provvedimento dell'organo giurisdizionale (v. sent. _n. 15 del 1968). Alla . stregua delle suesposte considerazioni si deve affermare: a) che il sist~a tenuto presente dalla disp0sizione di cui al secondo comma dell'art. 50 della legge di registro non poteva essere che quello della vendita con incanto, perch tal era quello normale previsto ell~ l''brogato .Codice di rito :nella esee.uzione forzat (la vendita senza incanto ave\i'a carattere del tutto eccezionale: art. 610, terzo colrima, . vendita di frutti gi raccolti; art. 639, secondo comma, vendita di aziOn.i industriali; art. 800 od. comm. abr. vendita di immobili del fallite;).; ) . eh.e, secondo l'ordinamento . giuri!Uco. vigente, acc()t.nunati i due procedimenti e disciplinato ilststenia della vendita senza incanto come quello normale nella esecuzione forzata (art. 570 e segg. c.p.c.), :non v' pi motivo di distinguere tra l'uno e l'altro sistema, di tal che la norma fiscale deve trovare applicazione allorch la vendita coatta sia conseguente all'osservanza dell'uno o dell'altro degli strumenti pre disposti dall'ordinamento processuale. Per quanto attiene in particolare alle vendite di beni del :falli mento, va rilevato che la legge fallimentare estende, in linea generale, ., RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO alle vendite di beni mobili e immobili del fallimento le disposizioni del codice di procedura civile relative al processo di esecuzione (art. 105) stabilendo, poi, per la vendita degli immobili, che questa normalmente abbia luogo con il sistema dell'incanto e che alla vendita degli stessi senza incanto si proceda su proposta del curatore, sentito il comitato creditori e con l'assenso dei creditori ammessi al passivo aventi un diritto di prelazione sugli immobili, ove il giudice delegato la ritenga pi vantaggiosa (art. 108, primo comma). Da tale disciplina si evince che anche nel processo fallimentare la vendita con incanto e quella senza incanto sono sullo stesso piano, risultando in definitiva affidata all'organo pubblico giurisdizionale la scelta del sistema: con il quale debba essere eseguita l'espropriazione del bene ed essendo tale scelta sempre volta a fare acquisire al fallimento un prezzo giusto ., corrispondente, cio, il pi possibile a quello di mercato. Che anzi la vendita degli immobili del fallimento offre maggiori garanzie di congruit del prezzo di aggiudicazione, in quanto la legge fallimentare stabilisce che il giudice che procede pu sospendere la vendita (con incanto o senza) quando ritiene che il prezzo offerto sia notevolmente inferiore a quello giusto. Pertanto, di fronte alla normativa vigente del processo di esecuzione ordinario e fallimentare appare superata l'interpretazione della cennata disposizione dell'art. 50 della legge di registro, data da questa Corte Suprema con le sentenze n. 758 del 1932 e 31 del 1943, secondo la quale la disposizione medesima applicabile soltanto nell'ipotesi di vendita ai pubblici incanti. Posto che la nuova disciplina pi non impone che l'espropriazione forzata abbia luogo con il sistema della vendita al pubblico incanto, ma a questo parifica e accomuna quello della vendita senza incanto, considerando l'esito dell'uno . e dell'altro procedimento in ogni caso come espressione del valore venale del bene, si deve concludere che nelle vendite coatte giudiziali non ammesso l'accertamento di valore del bene trasferito da parte della finanza, in quanto l'osservanza dell'uno o dell'altro procedimento esecutivo (con incanto o senza), prestabilito dalle leggi processuali, garantisce la realizzazione di un prezzo rispondente al valore venale del bene venduto. Nella specie, la Corte di merito non si uniformata a tale principio perch ha ritenuto che 1'Amministrazione delle finanze potesse procedere all'accertamento del valore degli immobili aggiudicati al Borrelli a seguito di vendita senza incanto ordinata dal giudice delegato al fallimento di Oscar e Pasquale Bernardi al quale i beni medesimi appartenevano. -(Omissis). PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1115 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 23 aprile 1969, n. 1289 -Pres. Pece Est. Berarducci -P. M. Toro (diff.) -Fiordiliso (avv. Manfredonia) c. Ministero delle Finanze (avv, Stato Coronas). Imposta di registro -Tabella allegato B alla legge organica di registro Natura. (r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 5; tabella all. B). Imposta di registro .. Decadenza dai benefici fiscali per mancata regi strazione nei termini di legge -Ambito di applicazione -Ridu zioni accordate ~alla legge organica di registro -Applicabilit. (r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 110; tabella all. B, art. 43). Le norme di cui ane tabeUe allegate alZa legge di registro si trovano, rispetto alle norme contenute in detta tegge, in un rapporto di semplice specificazione e di paritd, come confermato dall'indiscriminato rinvio fatto dall'art. 5 della stessa legge di registro. Pertanto la tabelZa B allegata alZa legge organica di registro costituisce parte integrante di questa (1). L'art. 11 O della legge di registro, che non distingue tra riduzione di carattere eccezionale e riduzione di carattere normale, e trra riduziooe di carattere temporaneo e riduzione di carattere permanente, n contiene alcuna specificazione in ordine alle leggi di concessione del beneficio tributario, deve intendersi nel senso che comprenda tutte, indistintamente, le disposizioni legisZative con le quali sia stata concessa una riduzione dell'ordinaria imposta di registro, senza, pertanto, alcuna esclusione, daZZa s.anzione di decadenza, di quei benefici concessi con norme contenute nelZa stessa legge di registro (2). (Omissis). -Con l'unico motivo di ricorso, il Fiordiliso censura la sentenza impugnata per avere ritenuto che la tardiva registrazione di un atto di compravendita di fabbricato di nuova costruzione, im (1) Il principio enunciato nella massima costituisce, da tempo, giurisprudenza costante. Le sentenze citate in motivazione possono leggersi: S. U. 18 febbraio 1963, n. 391, in questa Rassegna, 1963, 85, in motivzione; Cass. 27 luglio 1963, n. 2113, in Riv. leg. fisc., 1963, 2314; Cass. 25 novembre 1963, n. 3032, ivi, 1964, 513. (2) Anche la seconda massima esprime l'orientamento consolidato della Corte Suprema. Fra le sentenze pi recenti possono ricordarsi Cass. 26 ottobre 1966, n. 2610 (in questa Rassegna 1967, 137) che riafferma il principio in ordine alle agevolazioni in genere; Cass. 26 luglio 1966, n. 2067 (ivi 1966, 1100) che applica l'art. 110 anche nella ipotesi della tassa fissa, parificando quest'ultima ad un vero e proprio beneficio di riduzione d'imposta ; 1116 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO porti decadenza per effetto della norma di cui all'art. 110 della legge organica di registro (r.d. '30 di~embre 1923, n. 3269), dal beneficio della riduzione della imposta alla met concesso con l'art. 43 della tabella B allegata alla stessa legge. Assume il ricorrente che la norma dell'art. 110 sopra citata, nel prevedere la decadenza, in caso di tardiva registrazione, dai benefici della riduzione delle normali imposte di registro, si riferisce ai benefici che siano stati concessi con leggi diverse dalla stessa legge organica di registro. La tabella B allegata a detta legge forma, invece, afferma il ricorrente, parte integrante della stessa legge, e, pertanto, il beneficio della riduzione alla met dell'ordinaria imposta di registro, concesso con l'art. 43 detta tabella, non pu ritenersi compreso nella decadenza prevista dal predetto art. 110. Il motivo infondato. indubbiamente esatto che, contrariamente a quanto ritenuto dalla decisione impugnata, la tabella B allegata alla legge organica di registro costituisce parte integrante di questa. Ci stato, invero, sempre affermato da questa Corte Suprema, che, ripetutamente, ha precisato anche che le norme di cui alle tabelle allegate alla legge di registro si trovano, rispetto alle norme contenute nella predetta legge, in un rapporto di semplice specificazione e di parit, come confermato dall'indiscriminato rinvio fatto dall'art. 5 della stessa legge di registro e dal fatto che la relazione alla predetta legge ha, esplicitamente, qualificato le norme delle tabelle come sostitutive di altrettante norme della legge, giustificandone l'elencazione separata con ragioni di mera sinteticit e chiarezza (cfr. sentenze n. 3032, n. 2113, n. 391 del 1963 e sent. n. 1240 del 1962). Esatta non , invece, la prima proposizione del sillogismo del ricorrente, ossia la premessa che l'art. 110 della legge di registro preveda la decadenza solo dai benefici concessi con leggi diverse e distinte dalla predetta legge di registro. Una siffatta proposizione si basa, invero, su una interpretazione della norma in esame, che contrasta sia con la lettera che con la ratio della norma stessa. La dizione letterale della no~a. tutti gli atti e contratti per i quali con leggi stata concessa riduzione delle normali tasse di registro ... , non contiene, invero, alcuna specificazione in ordine alle leggi di concessione del beneficio tributario, di modo che deve ritenersi che nell'ampia accezione di tale dizione siano comprese tutte, Cass. 3 febbraio 1968, n. 349 (ivi 1968, 256) che segue le orme della precedente, ed infine, S.U. 29 maggio 1967, n. 1169 (ivi 1968, 237) che esplici tamente riconosce operante la comminatoria di decadenza ex art. 110 r. d. 30 dicembre 1923, n. 3269, anche in ordine alle agevolazioni previste dall1t legge organica di registro. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA indistintamente le disposizioni legislative con le quali sia stata concessa una riduzione della ordinaria imposta di registro, senza, pertanto, alcuna esclusione, dalla sanzione di decadenza, di quei benefici concessi con norme contenute nella stessa legge di registro. E la conferma di ci data dalla ratio della norma in questione, la quale trova la sua giustificazione nell'intento del legislatore di stimolare la registrazione nei casi in cui le normali aliquote delJa imposta sono applicabili in misura ridotta, ossia in un intento che porta ad escludere, come assolutamente ingiustificata, una qualsiasi discriminazione tra riduzione delle normali imposte concessa con la stessa legge di registro e riduzione concessa con altre, distinte leggi. Giova, infine, ricordare -per esaurire l'argomento in esame che quanto sopra affermato trova conforto nello indirizzo sempre seguito da questa Corte Suprema in fattispecie analoghe, quali quelle relative alla tassa fissa pvevista nelle varie norme della stessa tabella B in questione (cfr. sent. n. 1169 del 1967 e numerose altre conformi). Si obietta dal ricorrente che, comunque, per gli atti richiamati nell'art. 43 della tabella B, la riduzione della tassa alla met, rispetto a quella di cui all'art. 1 della Tariffa A, si presenta, come stato ripetutamente affermato da questa Corte Suprema in tema di applicazione del beneficio concesso con .l'art. 17 della legge n. 408 del 1949, quale regime normale di tassazione, e che, pertanto, tale riduzione non rientra nel concetto di cui all'art. 110 della legge di registro, che comprende unicamente le riduzioni concesse con norme di carattere eccezionale. Ma l'obiezione si appalesa priva di consistenza sol che si consideri, da un lato, la portata generale della norma dell'art. 110, la quale non distingue tra riduzione di carattere eccezionale e riduzione di carattere normale,, o tra riduzione a carattere temporaneo e riduzione a carattere permanente, e, dall'altro lato, che questa Suprema Corte ha, si, affermato, nella giurisprudenza invocata a sostegno della propria tesi dal ricorrente, che la riduz.ione della tassa alla met, concessa dall'ormai abrogato art. 43 della tabella B, costituiva, per gli atti nello stesso articolo indicati, il normale regime di tassazione, ma non ha, tuttavia, con ci negato la natura di riduzione attribuita dall'articolo in questione al beneficio in esso previsto. Ed ci che, nella fattispecie, rileva, dal momento che, per escludere l'inquadramento del beneficio di cui all'art. 43 della tabella B nello schema giuridico dell'art. 110 della legge di registro, sarebbe stato necessario che il predetto art. 43 avesse contenuto una diversa struttura nella liquidazione dell'imposta (ved. testata della tabella B) e non gi -come in realt conteneva -una mera riduzione dell'imposta ordinaria prevista dall'art. 1 della Tariffa A. -(Omissis). 1118 BASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CO:R.TE DI CASSAZIONE, Sez. I, 30 aprile 1969, n. 1415 -Pres. Pece Est. Pascasio -P. M. Di Majo (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Salto) c. Soc. p. A. Eridania Zuccherifici Nazionali (avv. Guidi ed Uckmar). Imposta di registro -Agevolazioni ex art. 24 legge 28 febbraio 1949, n. 'll3 in favore della Gestione Ina-Casa -Risoluzione consensuale di appalto -Decadenza dalle agevolazioni accordate all'appalto Si verifica. (1. 28 febbraio 1949, n. 43, art. 24). Imposta di registro -Agevolazioni ex art. 24 legge 28 febbraio 1949, n. 43 in favore della Gestione Ina-Casa -Mancata comminatoria espressa di decadenza -Irrilevanza. (l. 28 febbraio 1949, n. 43, art. 24). L'art. 24 della legge 28 febbraio 1949, n. 43, ha stabilito benefici fiscali di natura mista, obbiettiva e soggettiva insieme, concernenti atti qualificati dal soggetvo che vi partecipa (Gestione Ina-Casa) e dallo scopo che perseguono. La ragione oggettiva del beneficio, derivante dal cotlegamento strumentale e dallo stesso rapporto di necessit tra l'atto sottoposto a registrazione e le successive operazioni conducenti alla esecuzione delle opere che la legge intende incrementare, viene a cessare qualora le opere stesse non abbiano corso, e tanto pi se non lo abbiano per volont delle parti contraenti che abbiano stipulato un negozio risolutivo (1). L'esplicita comminatoria della decadenza dal beneficio fiscale accordato dalt'art. 24 della legge 28 febbraio 1949, n. 43, superflua in quanto, per far cessare detto beneficio, sufficiente che venga meno (1) La prima parte della massima conforme all'indirizzo giurisprudenziale gi affermato nella sentenza 4 giugno 1968, n. 1688 (in questa Rassegna, 1968, 1, 486). L'interesse dell'affermazione contenuta nella sentenza in esame consiste nella natura mista del beneficio considerato, soggettivo ed oggettivo ad un tempo, collegato, cio, da un lato all'ente che pone in essere le operazioni agevolate e dall'altro alla connessione necessaria tra l'atto agevolato e dette operazioni. Le conseguenze che la Corte ha tratto da tale particolare natura del beneficio sono ineccepibili perch, laddove venga meno l'uno o l'altro dei due presupposti, l'agevolazione non pu pi essere riconosciuta operante esse'ndo, come si visto, collegata ad un duplice ordine di limitazioni soggettive ed oggettive che tutte debbono sussistere perch il beneficio sia applicabile. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1119 per volont delle partii o che, altr.imenti, sia certo non possa pi veri ficarsi la causalit giuridica del beneficio stesso (2). (Omissis). -Con i due motivi di gravame, che, per la loro stretta connessione, d'uopo esaminare congi_untamente, denunciando la violazione dell'art. 24, terzo comma, della legge 28 febbraio 1949, n. 43, degli artt. 8 e 10 della legge di registro e dei principi generali in materia tributaria, si censura la sentenza per avere, con difettosa motivazione, ritenuto che, per giustificare la pretesa tributaria, fosse necessaria la previsione di una decadenza per mancata attuazione dell'opera oggetto dell'appalto, mentre doveva ritenersi che la norma citata, secondo la sua co-rretta interpretazione, condiziona l'agevolazione alla costruzione dell'opera; sicch, non essendosi questa veri~:icata, il beneficio non poteva essere mantenuto. La censura fondata. Statuisce infatti il citato terzo comma dell'art. 24 che e tutti gli I atti e contratti che si rendono necessari per le operazioni previste nella presente legge godono della esenzione dalle tasse di bollo, fatta eccezione per le cambiali, e sono soggetti alla imposta fissa minima di registro ed ipotecaria, salvi gli emolumenti dovuti ai conservatori dei I registri immobiliari . I Con ci -come questa Corte ha rilevato in altra occasione (sent. 4 giugno 1968, n. 1688) -sono stati stabiliti benefici fiscali di natura ! i Jl.l,ista, obiettiva e soggettiva insieme, concernenti atti qualificati dal ! soggetto che vi partecipa (Gestione Ina-Casa) e dallo scopo che per! seguono. La limitazione soggettiva implicita nel riferimento alle ope I razioni che la legge commette alla Gestione Ina-Casa ed veramente determinante, rispondendo alla ragione specifica della considerazione l1di favore, giustificata dalla esigenza di economicit della gestione, che impiega in massima parte contributi di lavoratori per un fine di pro- I i I ! (2) Sulla seconda massima non risultano precedenti. Della sua esattezza peraltro non pu dubitarsi perch, quando la legge agevolatrice subordina il beneficio a determinate condizioni, presupposti e finalit, il mancato verificarsi di questi importa automaticamente l'applicazione della 1 imposta nella misura normale. ! L'espressa comminatoria della decadenza non necessaria perch la i legge che accorda il beneficio, introducendo un'eccezione alla regola dell'ordinaria tassazione, trova i suoi limiti di app:icazione nella sua stessa I formulazione onde, non appena la fattispecie travalichi detti limiti, torna ! automaticamente nell'ambito della legge generale. Prefissione di termini, presentazione di apposita documentazione, !( adempimento di determinati obblighi, non rappresentano altro che indizi rivelatori della causale giuridica del beneficio, onde, quando essa sia I altrimenti desumibile, la mancanza di detti elementi non impedisce che ! una comminatoria di decadenza, sia pure collegata ad altri presupposti, sia presente nella norma agevolatrice la quale, appunto, diviene inapplir I cabile allorch il suo scopo si riveli inattuabile. l 10 1 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO gi'esso sociale. La limitazione oggettiva, esplicita nel testo dell'art. 24, precisata con la prescrizione che debba sussistere un rapporto di necessit tra l'atto o contratto ed il compimento delle operazioni :Previste dalla legge, rapporto che implica un . collegamento strumentale univoco tra l'atto e gli scopi della gestione. Ora, si rende evidente che un simile collegamento strumentale e lo stesso rapporto di necessit tra l'atto sottoposto a registrazione e le successive operazioni conducenti alla esecuzione delle opere che la legge intende incrementare mediante le agevolazioni in essa previste, vengono a cessare qualora le opere stesse non abbiano corso: e tanto pi se non lo abbiano per volont delle parti contraenti che -come nel caso in esame -abbiano stipulato un negozio risolutivo. A seguito di un simile negozio, infatti, il contratto di appalto sottoposto a registrazione torna in quella situazione di normalit in relazione alla quale soggetto ad imposta nella misura normale e non in quella ridotta in vista dei particolari sco.pi non pi conseguiti. Vero che -diversamente da altre leggi in materie analoghe la legge n. 43 del 1949 non contiene una espressa comminatoria di decadenza dalle agevolazioni tributarie per il caso di mancata realizzazione delle attivit in vista delle quali le agevolazioni sono concesse. Ma, a parte il rilievo che la decadenza consegue, ove prevista, alla inosservanza di termini che la legge in esame non prefigge per l'esecuzione delle opere, la comminatoria sarebbe superflua per far cessare il beneficio fiscale quando viene meno per volont delle parti o certo che non si possa pi verificare la causale giuridica del beneficio stesso, che nella specie costituita dalla esigenza sociale di incrementare la costruzione di case per i lavoratori, sicch, al venir meno dell'attivit agevolata deve necessariamente seguire il venir meno dell'agevolazione. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 21 giugno 1969, n. 2205 -Pres. Stella Richter -Est. Iannuzzi -P. M. Gentile (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Soprano) c. Fallimento Soc. Edilizia Biellese Immobiliare (avv. Rosati). Imposte e tasse in genere -Fallimento -Credito tributario ammesso nel passivo con riserva della decisione della Commissione Centrale -Impugnativa giudiziaria avverso la decisione -Improponibilit. (r.d. 16 marzo 1942, n. 267, artt. 55 e 95). n provvedimento del giudice delegato che ammette nel passivo un credito tributario con riserva della decisione della Commissione PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1121 Centrale, preclude la possibilitd di esperire impugnativa giudiziaria avverso la decisione pronunciata dalla Commissione (1). (Omissis). -Devesi disporre la riunione dei ricorsi, trattandosi di impugnazioni proposte contro una stessa sentenza. La Corte d'appello ha ritenuto che il provvedimento del giudice delegato al fallimento, 4i ammissione dei crediti dell'Amministrazione finanziaria al passivo con riserva della decisione della Commissione centrale per le imposte, importava che la ammissione stessa fosse stata sottoposta alla condizione di una decisione favorevole della predetta Commissione sulla pretesa tributaria; che, invece, la decisione emessa in senso sfavorevole all'Amministrazione finanziaria dalla Commissione centrale per le imposte aveva posto in essere una condizione risolutiva della ammissione dei crediti, i quali, dovevano ritenersi esclusi (1) Osservazioni sull'ammissione con riserva dei crediti di imposta nel passivo fallimentare 1. -Il caso sottoposto all'esame della Corte era in breve questo: in pendenza di appello alla Commissione Centrale, avverso una decisione della Commissione provinciale delle imposte indirette che aveva negato la legittimit della pretesa tributaria, l'Amm.ne finanziaria chiedeva l'ammissione nel passivo del fallimento del credito in contestazione. Il Giudice delegato ammetteva nel passivo il credito con riserva della decisione della Commissione Centrale. A seguito, della decisione della Commissione, sfavorevole alla Finanza, l'Amm.ne, con ricorso nelle forme previste dall'art. 101 legge fallimentare, proponeva un'impugnativa giudiziale per un riesame da parte del Tribunale della decisione amministrativa. Il Tribunale e la Corte d'Appello dichiaravano improponibile la domanda e la Cassazione, con la sentenza in rassegna ha confermato tale pronunzia. La S. C. ha giustificato la sua decisione osservando che il procedimento di verifica dei crediti si conclude con il provvedimento di approvazione dello stato passivo il quale fa stato, in difetto di opposizione, per tutti i creditori, anche per quelli ammessi con riserva, precludendo una nuova domanda pur se spiegata in via tardiva e che la riserva, a cui era condizionata risolutivamente l'ammissione del credito, si era sciolta sfavorevolmente alla Finanza, in quanto la formula usata nel provvedimento dal giudice delegato doveva intendersi nel senso che l'ammissione fosse sottoposta alla condizione di una pronunzia favorevole solo della Commissione centrale per le imposte . 2. -Sembra opportuno, in primo luogo, per evitare possibili equivoci in una materia cosi controversa, sottolineare che, contrariamente a quanto pare ritenere l'annotata decisione, l'affermazione giurisprudenziale (v. Cass. 18 gennaio 1961 n. 75, in Giust. civ. 1961, I, 189 con nota di BIANCHI n'EsPINOSA, Ammissione con riserva di documentazione e ammissione provvisoria di crediti al passivo fallimentare, e Cass. 11 marzo 1966, n. 684, in Giust. civ., 1966, I, 1069, con nota di CoLASURDo, Ancora qualche considerazione sull'ammissione lcon riserva al passivo del fallimento e in questa 1122 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dalla procedura concorsuale in virt dell'efficacia preclusiva del decreto del giudice delegato. Con l'unico motivo l'Amministrazione finanziaria, denunciando la violazione degli artt. 13 e 146 del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, dell'art. 25 d.l. 7 agosto 1936, n. 1639, art. 2909 e.e. e 324 c.p.c., artt. 55, 95, 98, 113 e 117 r.d. 16 marzo 1942, n. 267 e 360 nn. 3 e 5 c.p.c., deduce che ha errato la Corte d'appello nel ritenere che l'accertamento dei crediti tributari ammessi con riserva al passivo del fallimento fosse vincolato alla decisione della Commissione centrale per le imposte e non fosse pi suscettibile di una ulteriore pronuncia in sede giurisdizionale, ritenendosi, quindi, preclusa l'azione davanti al giudice ordinario ammessa dall'ari. 146 della legge sul registro. Osserva che la riserv:a dell'ammissione al passivo dei crediti di imposta all'esito della decisione della predetta Commissione doveva intendersi come ammissione condizionata al passaggio in giudicato della decisione stessa, senza l'esclusione, quindi, delle ulteriori fasi del giu r~ Rassegna, 1966, I, 348 con nota di CARUSI, In tem~ di ammissione al pas'sivo ~ fallimentare con riserva di presentazione di documenti), secondo cui il creditore ammesso nel passivo del fallimento con riserva ha l'onere di I proporre opposizione allo stato passivo per conseguire lo scioglimento r della riserva e in difetto l'ammissione perde il suo effetto, affermazione che ha risolto un problema vivamente dibattuto in dottrina (v. in senso conf. PROVINCIALI, Manuale di diritto fallimentare, Milano 1964, vol. II, 1106 ss.; SATTA, Istituzioni di diritto fallimentare, Roma 1964, p. 260 ss.; SPERANZA, Natura ed effetti dell'ammissione al passivo con riserva di produzione della documentazi.one, in Foro it., 1959, IV, 148; BIANCHI 'EsPINOSA, nota cit.; contra per: GRECO P., Sull'ammissione al passivo con riserva di prova nel procedimento fatlimentare, in Riv. dir. icomm., 1953, I, 55; FERRARA, Il Fallimento, Milano 1969, p. 368 ss.; DE SEMO, Diritto fallimentare, Padova 1961, p. 424; AzzoLINA, Il Fallimento, Torino 1953, vol. I, p. 611; SALVATORE, In tema di ammissione di credito al passivo fallimentare con riserva di. produzione di documentazione, in Giur. it., 1961, I, 1, 1295; DE MARTINI, Sulla ammissione con riserva al passivo del faUimento, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1962, 1171; CARUSI, nota cit.; CORSI, Ammissione al passivo con riserva di produzione di documenti, I in Riv. dir. civ., 1962, II, 427; CoLASURDO, nota cit. con ivi ulteriori richiami), riflette esclusivamente l'ipotesi di ammissione di credito al passivo con riserva di documentazione, mentre non riguarda, in alcun modo, l'ip9tesi, del tutto distinta, in cui si tratti di credito condizionale (non si dubita, conformemente a quanto d'altra parte gi disponeva l'art. 766 dell'aorogato cod. comm., che tra i crediti condizionali siano ricompresi ,.I anche quelli soggetti ad accertamento da parte di un giudice diverso da quello fallimentare e non attratti nella sua competenza. Conf. Cass. r 9 maggio 1955, n. 1329, in Foro it., 1956, I, 212 proprio in materia di t! crediti tributari contestati). ' .. In quest'ultima ipotesi (si criticato anche dell'opportunit dell'ac, costamento operato dal legislatore tra le due situazioni; v. PROVINCIALI, i. op. cit., p. 1111, nota 87) l'ammissione con riserva ritenuta possibile da I 1:: 11, ~~ PABTJ!l I,. SU; V, GIURISP!lt1I>ENZA TRIBUTARIA dizio eonsentite dalla legge nel termine di sei mesi previsto dal citato art. 146 della legge di registro. " La . censura non :fondata. No11 occorre riesaminare, per la risoluzione della eontroversia, il problema .di eanttere generale,. che ha :formato oggetto delle decisioni n" 684 detl'U illafao 1966'.e n. '75 dell8 genn~io 1961 di. questa Corte l\Wl)l'~llse~cio~ilet"editoreᥥllmntessoalpa$si\todel:raiumentoeon l'i$jt;ya debli>a hl ()gni easo l)l'op~tte opposidorie allo.stato passivo per e()nsegu.f~ 1o $<1logUxnent() della riserva . .. La c,ty,esti():rle l'ig.~a.. 'lln a$petto particolare del.. problma;. che, . eio~ ne~Ia #eefe i r~~ti dell'.A.~tiistraz~f>ne Jina~ziaria furono am ~~-~:$~~~=4~~:.!"'!: .t Pl"9e~e:t:ttf pe:ttl'aeeertamento della legittimit.della pretesatri t>~t#ia.. . . l:~~~~-t~~~i,~~1~i:~~ casi) ..dl~sld()~~ li>l'9V'17JSQ~ia di " $Utt Mturci. ~) e l"ie()ll,QScb;da. dalla giul" SPl'UdelUi~ (\P, Pe:lr ttte 1~ dl!e 4ecisi(>rii . della Corte SUJ>re~a sopracitat~ l come orisegen:tli! necessMili! della. natUra .. particolare.. del ... credito i:tlSinutl.............................................. ............................. .... ... .. .. ' $1 dili!ctlte so]((). ~om~ er dt;1 chi. del?l>a essere . li!ciolta Ia riserva, dte~ il:el1d'.os.I! da a1eu~ (Cl!Ullco, QP cit;; Fli~; op; cit. p. 369, nota 35; . Cl()1tSX~ op; ejt;; 4'6)> cll dbba procedersi . con le forme della istanza di insinuaziolle tardiva E! quindll in ,contraddittorio. . formale con il curatore, mentre altl'iritiene che taleeompito apetti ~vec al ftldice delegato con Pr()~rio decreto a .. ncmna dell'art. 25 legge fallimentare (v. Dm MAR i'mx, op; ct., P> ll80 e ss.). ' In ogni caso J?asifieo. che allorch sl tratta di . cr~dito condizi.onat(} (o che .nQn.possa.farsi.valere senon previa .escussione .di .. ut1. obbligato P:rincipate)i: Xamllijssion 1;1l. passivo con ri$erva non viene travolta dalla dichiataziQn&; ~ esf!elit()p,t{i; );ltii:ii.el)~a~. ~..e()i:de' nel... ritener1a ... che non e$~$te.uD. ljmi~~~nJ;l)~fale, di~~#~l!~et()to..~efoU~erito4ellrfserva dlla patticoiat~ .natura. del l'edito, diii verificarsi o menQi del :fatti a cui il eredito condizloriato, e tale momento pu _addirittura essere posteriore all ripartizione ftnale dell'attivo: :fallimentare (V'; per tutti, DE MA!tir:m1, op. cit., P 1182 , I giudici del merito, di primo e di secondo grado, hanno dichiarato improponibili le domande di ammissione tardiva dei crediti tributari al passivo del fallimento. Ha considerato la Corte d'appello che l'Amministrazione aveva prestato acquiescenza al decreto del giudice dele quindi, l'Autorit Giudiziaria Ordinaria, onde ottenerne una pronunzia circa la legittimit della pretesa fatta valere dalla Finanza. Peraltro, l'art. 145 consente al contribuente di adire direttamente l'Autorit Giudiziaria senza necessit che la vertenza sia stata portata all'esame dei collegi della giustizia tributaria il che, peraltro, non preclude di adire contemporaneamente anche questi ultimi giudici. A norma, poi, dell'art. 111 della Costituzione pacifica:.iente ammesso il ricorso per Cassazione avverso la decisione della Commissione Centrale. 4. -Premesso ci, ricordiamo che il problema da risolvere nella vertenza che ha formato oggetto della decisione annotata era, come si visto, quello del valore da attribuire alla espressione con riserva della decisione della Commissione Centrale per le imposte > a cui era subordinata l'ammissione in via definitiva del credito dell'Amm.ne nel passivo del fallimento. Alla luce delle considerazioni svolte la soluzione adottata dalla Corte Suprema, sulla scorta dei giudici di merito, non pu non apparire che meramente formalistica. Riconosciuto, infatti, che nella specie si trattava di ammissione con riserva dipendente, non da mancanza di documentazione, ma dalla particolare natura del credito (sottoposto alla condizione del suo definitivo accertamento); riconosciuto, altresi, che l'accertamento definitivo del credito, in virt della speciale normativa regolante l'imposta di registro si realizza, a prescindere dalle ipotesi di mancata impugnazione, solo allorch a seguito di proposizione di impugnativa giudiziaria avverso la decisione della Commissione, oppure a norma dell'art. 111 della Carta Costituzionale l'A.G.0. si sia pronunziata; appare evidente che l'espressione usata nel provvedimento del giudice delegato non poteva avere altro significato che quello di stabilire, essendo questi i limiti del proprio potere, che la riserva sarebbe stata sciolta all'esito della decisione della Commissione Centrale, sempre che la stessa fosse diventata definitiva per mancata impugnazione delle parti. La diversa interpretazione importa la conseguenza che il giudice delegato, attribuendosi compiti e poteri ad esso non riconosciuti, avrebbe inteso incidere sulla natura stessa del credito' insinuato trasformandolo PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1125 gato, secondo cui l'ammissione al passivo, dei crediti era sottoposta alla condizione specifica dell'accertamento favorevole da parte della Commissione centrale per le imposte; per modo che, essendo mancata l'opposizione su tale punto, il decreto era divenuto definitivo; ed avendo la commissione deciso i ricorsi in senso sfavorevole all'amministrazione, s'era verificata la condizione risolutiva all'ammissione dei crediti, i quali dovevano ritenersi, quindi, definitivamente esclusi dalla procedura concorsuale. Ora tali argomentazioni appaiono ineccepibili e giustificano la pronuncia d'improponibilit delle domande tardive di ammissione al passivo. Invero il procedimento di verificazione dei crediti si conclude con il provvedimento di approvazione dello stato passivo, il quale, in mancanza di opposizione dei creditori esclusi o ammessi con riserva, fa stato nell'ambito del processo fallimentare allo stesso modo di una sentenza passata in giudicato avente efficacia preclusiva di ogni ulte da condizionato al suo definitivo accertamento, da realizzarsi attraverso l'esperimento di tutti i rimedi giurisdizionali consentiti, all'esito della sola decisione della Commissione Centrale (qualunque essa fosse). Attraverso detto provvedimento, quindi, il giudice avrebbe non solo modificato la posizione creditoria dell'Amm.ne (contro cui, peraltro, l'Amm.ne stessa avrebbe avuto possibilit di difesa attraverso l'opposizione ex art. 98 legge fallimentare), ma vincolato la massa dei creditori ad una decisione che avrebbe potuto essere ad essa sfavorevole. Si consideri, infatti, l'ipotesi che l'esito della decisione della Commissione Centrale fosse stato sfavorevole alla curatela. In tal caso, accogliendo la tesi della Cassazione, il curatore si sarebbe visto nell'impossibilit di contrastare ormai la pretesa tributaria attraverso la proposizione di impugnativa giudiziaria (nelle diverse forme previste) non essendo consentito, come evidente nel sistema, l'impugnativa del curatore contro il credito ammesso nel passivo, se non per revocazione, di cui non ricorrono qui gli estremi. In sostanza, seguendo l'interpretazione data al provvedimento di cui trattasi dalla annotata sentenza, il giudice, delegato invece di prendere atto della natura condizionata dal credito ed ammetterlo con riserva nel passivo del fallimento, avrebbe inteso modificare la natura stessa del credito insinuato (condizionandolo non alla definitivit dell'accertamento, ma al solo esito della decisione della Commissione Centrale), il che non rientrava certamente nel suo potere e costituiva un'inammissibile limitazione dei diritti delle parti. . Se di tutte le implicazioni, che dalla tesi accolta discendono necessariamente, fosse stato tenuto conto e se sopratutto fossero state tenute presenti le gravi conseguenze che da essa derivano, sia per il creditore che per la curatela, sembra evidente che la S. C. non avrebbe potuto affermare che quella accolta era la volont espressa dal giudice delegato nel provvedimento di ammissione, in definitiva, attribuendo al provvedimento stessb una natura abnorme, che certamente esso non aveva. Appare cos per lo meno azzardata l'affermazione contenuta nella annotata sentenza, secondo cui l'apprezzamento sul punto dei giudici di 1126 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO riore possibilit di contestazione o di modificazione della posizione accertata nei confronti dei predetti creditori, nonch di presentare una dichiarazione tardiva per lo stesso credito escluso o ammesso con riserva senza peraltro addurre che la condizione alla quale era stata sottoposta l'ammissione del credito, si sia verificata, e meno ancora riconoscendo che essa non si realizzata. Per sottrarsi al rigore di tale preclusione l'Amministrazione ricorrente deduce che la riserva si sarebbe dovuta intendere come estesa all'accertamento definitivo del cvedito anche davanti al giudice ordinario e non limitato alla decisione della commissione tributaria. Ma su tale punto i giudici del merito hanno ritenuto, con apprezzamento assolutamente corrispondente al significato letterale e logico del provvedimento del giudice delegato, che la ammissione fosse sottoposta alla condizione di una pronuncia favorevole solo della commissione centrale per le imposte. -(Omissis). merito sarebbe assolutamente corrispondente al significato letterale e logico del provvedimento del giudice delegato . 5. -La questione pi delicata che la controversia poneva e che la Corte Suprema non ha invece esaminato, era quella relativa alla via da seguire per portare all'esame del giudice ordinario la impugnazione avverso la decisione della Commissione Centrale. Come si gi ricordato una parte autorevole della dottrina (v. GREco, FERRARA e CORSI sopra cit.) ritiene che per sciogliere la riserva dovrebbe ricorrersi al ricorso previsto dall'art. 101 legge fallimentare. Ma, a prescindere dalla opinabilit di tale soluzione (v. i rilievi critici di DE MARTINl, op. cit., p. 1181 ss.), nel caso in esame non si trattava di sciogliere la riserva, a cui era subordinata l'ammissione del credito nel passivo fallimentare, ma di impugnare davanti all'A.G.O. una decisione dei giudici tributari, al fine di ottenere un accertamento definitivo sul credito tributario all'esito del quale avrebbe dovuto poi sciogliersi la riserva. E ci tanto vero che se per impugnare la decisione della Commissione Centrale invece della via offerta dall'art. 146 legge di registro, si fosse seguita quella prevista dall'art. 111 della Costituzione, a nessuno sarebbe venuto in mente di far precedere il ricorso per Cassazione dal ricorso al giudice delegato nelle forme di cui all'art. 101 legge fallimentare. N il ricorso nelle forme previste dall'art. 101 sembrerebbe potersi giustificare con il richiamo all'art. 24 legge fallimentare, ritenendo che la competenza a decidere sull'impugnativa giudiziaria sia riservata al Tribunale fallimentare. Invero con il provvedimento di ammissione con riserva la fase di accertamento del credito per gli ol'gani fallimentari si chiusa. La decisione sulla legittimit della pretesa tributaria parrebbe rientrare ormai nell'ambito dei presupposti per lo sciogliomento della riserva e quindi, come gi ha riconosciuto la Suprema Corte (v. sent. 23 marzo 1957 n. 988, in questa Rivista, 1957, 49 con nota), andare soggetta alla normale competenza del foro erariale. A. ROSSI it ~-:-o PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1127 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 18 luglio 1969, n. 2662 -Pres. Rossano -Est. Leone -P. M. Raja (conf.) -Magagnini (avv. Cavazzuti) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Zoboli). Imposta di successione -Dilazione del pagamento -Acquiescenza alla imposizione -Insussistenza -Successiva impugnazione giudiziaria dell'accertamento -Proponibilit. (r.d. 30 dicembre 1923, n. 3270, artt. 65, 94 e 97). L'art. 65 della legge tributaria sulle successioni concede il beneficio, ai debitori delle imposte di sucoessio1ne, di eseguire il pagamento a rate, in un termine non maggiore di sei anni, con la corresponsione deZZ'interesse a scalare del 5 % , previa iscrizione ipotecaria sugli immobili ereditari o con assunzione di ogni altra idonea garanzia. DaUa lettera di tale disposizione, che non ha alcun fine di pressione psicologica sui contribuente e anzi tende a rendere meno gravoso l'adempimento deZZ'obbiigo tributario, si evince che la concessione della dilazione e la' sottoscrizione del relativo cosidettJo atto di sottomissione, non determinano ex lege acquiescenza azza imposizione e rinunzia' al diritto di contestarla (1). (Omissis). -I cinque motivi di ricorso ripropongono il thema decidendum della causa nei suoi profili -distinti ma interdipendenti: a) se il procedimento di rateizzazione dell'imposta di successione importi ex lege acquiescenza all'accertamento dell'imposta; b) se, nel caso concreto, dal contenuto del rogito notarile che ha stabilito la ratizzazione dell'imposta si debba ricavare la volont delle parti di accettare l'imposta liquidata, con rinunzia ad ogni azione diretta contro l'imposizione. I motivi di ricorso trattano i due aspetti della questione in modo unitario e complessivo, denunciando violazione degli articoli 65, 94 e 97 r.d. 30 dicembre 1923, n. 3270 e dell'art. 329 c.p.c. dai quali non si ricaverebbe il sistema normativo indicato dalla Corte di (1) La presente sentenza deve essere segnalata perch, seppure contraria alle tesi sostenute nell'interesse dell'Amministrazione, fornisce una ampia e dettagliata disamina dell'argomento trattato, ed una esauriente motivazione delle conclusioni adottate. Tuttavia deve essere precisato e ribadito che l'atto di dilazione, pur se non costituisce implicita rinuncia al diritto di contestare l'accertamento, importa certamente la interruzione della prescrizione in ordine all'imposta dilazionata ed anzi, come ha ritenuto la Cass. 13 luglio 1968, n, 2'*90, in questa Rassegna, 1968, 1, 800, tale effetto interruttivo permane per tutta la pendenza della dilazione, e il nuovo termine di prescrizione riprende a decorrere solo nel caso e dal momento in cui si verifica la decadenza del contribuente dalla dilazione. 1128 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO appello circa l'esclusione di ulteriori contestazioni in ordine all'imposta ratizzata (I motivo), violazione delle norme di ermeneutica e del sistema di prova legale,. nell'interpretazione dell'atto di ratizzazione (II motivo), contraddittoriet di motivazione (III motivo) e violazione degli artt. 12 e 14 disp. sulla legge in generale (IV motivo) nell'interpretazione degli artt. 65 e 94 del citato r.d. n. 3270 del 1923, erronea applicazione dell'art. 6 legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, in ~onsiderazione della soppressione dell'obbligo del soive et repete e della conseguente irrilevanza, ai fini della proponibilit dell'azione giudiziaria, della circostanza che l'irtlposta sia stata pagata o ratizzata (V motivo). Le censure sono fondate. L'art. 65 della legge tributaria sulle successioni concede il beneficio, ai debitori delle imposte di successione, di eseguire il pagamento a rate, in un termine non maggiore di sei anni, con la corresponsione dell'interesse a scalare del 5%', previa iscrizione ipotecaria sugli immobili ereditari e con assunzione di ogni altra idonea garanzia. Tale beneficio, che un diritto per i debitori di imposte disuccessione che riguardino valori immobiliari, ispirato alla ratio di non costringere il contribuente, colpito da imposta di successione di importo notevole, relativo a beni immobili, a rovinose vendite dei beni ereditari per far fronte al pagamento del tributo e di consentire al contribuente stesso tale pagamento in tutto o prevalentemente con il reddito dei beni, comunque, di provvedere con un certo respiro alla conversione in denaro di questi ultimi, in modo e nel tempo pi appropriati. La norma, perci, non ha alcun fine di pressione psicologica sul contribuente, anzi tende a rendere meno gravoso l'adempimento del- l'obbligo tributario, senza pregiudizio delle ragioni dell'Erario (che si cautela con l'iscrizione dell'ipoteca sugli immobili ereditari e con altre garanzie idonee), ma anche senza particolare vantaggio dell'Erario medesimo, quanto al regime dell'obbligazione tributaria, che rimane qual' secondo la disciplina normativa del procedimento di imposizione. indubbiamente eccessivo il rilievo giuridico che la Corte d'appello ha attribuito al nome con cui nell'art. 65 cit. stato indicato l'atto scritto dal quale deve risultare la dilazione: atto di sottomissione e garanzia. La terminologia giuridica molte volte cristallizzata nella significazione verbale di concetti e di istituti che si evolvono e si modificano, sicch l'interprete che voglia utilizzarla non pu esimersi dal verificare, volta per volta, che il nome risponda alla causa, al contenuto, alla forma dell'atto che il nome identifica, nella disciplina normativa vigente nel tempo in cui l'atto stato compiuto. In tale pro-l.. ~:: ~~~ ~;~ l~i i:= il il f:: !9'~~~~~ PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1129 spettazione generale deve considerarsi che il cosiddetto atto di sottomissione dell'ultimo capoverso dell'art. 65 della legge tributaria sulle successioni non altro che l'atto col quale, secondo quanto prescrive il VI cpv. del medesimo articolo, si fa risultare la dilazione chiesta ed accordata: quindi sottomissione alle condizioni stabilite dalla P. A. quanto al numero ed alle scadenze delle rate, quanto alle garanzie, quanto alla porzione di imposta dilazionata ed altre determinazioni strettamente riferibili alla dilazione; ma non ha fondamento razionale dedurre da detta qualificazione l'esistenza del debito e del suo ammontare. Invero presupposti della e sottomissione non sono il rico noscimento del debito e la rinunzia a contestarlo, ma soltanto quelli su indicati concernenti la dilazione, n ha concretezza di valido argomento interpretativo l'altro rilievo terminologico circa le locuzioni e simili, usate nel detto art. 65, espressioni che dovrebbero affermare il concetto della definitivit del rapporto tributario. Quando l'accertamento tributario sia esecutorio ancorch non definitivo, esiste il titolo costitutivo del rapporto giuridico di credito in relazione al quale correttamente si parla di debitore, di creditore, di obbligo di pagamento, con la riserva implicita, stante il carattere non definitivo del titolo stesso, che questo successivamente possa venire dichiarato nullo o annullato. Lo stesso codice civile usa i nomi di debitore e creditore con riferimento ad un rapporto di credito meramente supposto per errore ed adempiuto in tale erronea supposizione (art. 2036 e.e.) mentre nel c.p.c. sono chiamati debitori e creditori le parti del processo di esecuzione, anche se promosso su titolo non giudiziale e perci opponibile o su titolo giudiziale non definitivo e, come tale, annullabile o modificabile. Del pari erronea l'argomentazione secondo cui la rateazione dell'imposta pu considerarsi legittima solo se concerna un rapporto tributario definitivamente accertato, risolvendosi altrimenti in e uno spostamento nel tempo dell'insorgenza dell'obbligo di imposta, con conseguente, arbitraria attribuzione di una competenza che , invece, di stretta attinenza legislativa . Infatti il legislatore ben pu, nel suo sovrano apprezzamento delle esigen2Je di politica tributaria, regolare come crede il pagamento del tributo, anche in caso di accertamento esecutorio non dfinitivo, come appunto pu ritenersi che abbia fatto nell'art. 65 della legge in esame. La Corte d'appello, a sostegno dell'interpretazione accolta, ha fatto poi riferimento agli inconvenienti che, seguendo la contraria interpretazione, si sarebbero verificati in costanza dell'applicazione del principio del solve et repete, inconvenienti indicati nel fatto che, avvenuta la rateazione col compimento del prescritto procedimento formale e con la costituzione delle garanzie, tale complessa attivit sarebbe i l I I . -. lI . I 1130 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO rimasta travolta, ammettenc;losi la possibilit di .ulteriori contestazioni, dall'esigenza di pagare l'intero tributo, per rendere ammissibile l'azio ne in adempimento del detto precetto del solve et repete. Ma poich con tale comportamento contraddittorio del contri buente (ovviamente dovuto a ragioni particolari di interesse) non solo non si verificava un danno per l'Erario, anzi questo conseguiva in unica soluzione quello che doveva ormai ricevere con pagamenti ra teali, l'inconveniente accennato si risolveva in un certo pregiudizio del contribuente, solo arbitro del proprio interesse a promuovere la azione previo pagamento dell'intero tributo; con perdita del beneficio della dilazione; E non c' motivo di ritenere che il legislatore abbia preso in considerazione, nello stabilire la norma dell'art. 65, l'ecce zionale situazione di un contribuente particolarmente indeciso e per plesso. Non c' quindi ragione per attribuire all'istituto della dilazione del pagamento dell'imposta di successione un effetto implicito ma ne cessario di riconoscimento del debito, effetto che ila norma concer nente detto istituto non considera affatto e che sarebbe anche etica mente riprovevole, perch. fonderebbe un vantaggio per l'Erario su una situazione di libert morale menomata per il contribuente, co stretto a subire l'eventuale eccesso di imposizione per conseguire il beneficio della dilazione. D'altra parte, se ammesso che il pagamento, mezzo solutorio tipico, eseguito in adempimento di un . titolo esecutivo del quale sia minacciata l'esecuzione forzata, non comporta riconoscimento del debito adempiuto, non pu non apparire contraria a tale principio, generalmente accettato sia nell'ambito del diritto privato sia in quello del diritto tributario, l'affermazione che il riconoscimento debba ritenersi imposto ex lege in caso di domanda di dilazione del pagamento intimato nelle medesime condizioni di coazione. Sussistono, infine, elementi normativi specifici per escludere siffatta volont di legge ed strano che essi siano stati utilizzati nella sentenza impugnata a sostegno della tesi ivi accolta. Dispone il r.d. 22 maggio 1910, n. 316 (art. 10) che se la domanda di dilazione concerne un debito d'imposta per il quale sia in corso contestazione giudiziale, la dilazione non pu essere concessa senza sentire il parere dell'Avvocatura dello Stato. Il carattere regolamentare di tale norma nulla toglie alla sua effi cacia di disposizione concorrente a costituire la disciplina normativa dell'istituto. Orbene la norma non comporta, per la concessione delle dilazioni, n riconoscimento del debito n rinuncia all'azione gi pro mossa, come si sarebbe dovuto stabilire se presupposto o effetto (questo delicato aspetto della questione non esaminato nella sentenza impu gnata) della dilazione del pagamento del tributo fosse la definitivit e la non contestabilit ulteriore dell'accertamento. ---I ~~ ancora la legge 5 :maggio 1951 che, nell'intento di favorire, ' ancora la legge 5 :maggio 1951 che, nell'intento di favorire, ' in. coerenza con l'applicazione della legge sulla perequatione tributaria, l'eliminazione delle controversie. in <:orso tra Erario e contribuente, disponeva potersi concedere dilazioni per il pagamento dei contributi contestati, dchiedeva esplicitamente per la concessione .della dilazfone b.e ~ .cont~t;uente .1tccettS$ il l,'lebito d'inlposta, dinlomrando come ipJ:..1a:.d1lazl~ne. del fi(llblto .. d'.~Posta..n?~sfa... pres11J?Posto. nec~~;ri(). in .. N:ell~ secoit(i ~~d.eili motNazione .l C()rte...di J\nc<>na .ha fon ~i~kd0i~%~W~i:]i&c!Ji~fue~o~1e~~01rV:ili:0s~el:hf:tut:.ife=~ d~l ro~t()~Picliettt.~ ~ovll1bre .19~~.di. coric(l8$i()n.e (\eua dil!lzi?ne, nel ct:@lle !{~~ani l\fa~afilni. dlfettafuent . o per inezzo . di . rappresental} te, . d.iJhial'arono c}le ~ssi ) erano tenuti a. l)al;(are . l'imposta. di succ$ sfone di.r.. 9'.'19i'.~9, erano. debitori .. de}l'inlp.osta, che .e il debito d:b-nPo$t.Q .. era.in l'elazi~ne alla decisione della Commissione . J?rovincial< delle bnposte di Ancona, cl:te U residuo debitQ sarebbe stato pagato . in cinque annualit, alle . precise sca.denze senllla ecc:ezioni e sen;za dil~oni che esse consentivano l'iscrizione ipotecaria. a garan., Ziti del i:tebito. Orbene: S' gi considrato che . se, in virt di un titolo esecutorio .~... tenuti~ pagare u.na certa somma per un'obbligazione non -erta, giutidic~lll.nte . c(>rretto. ed . nell'uso ?()rrente indicare tle situazione giutl!Jli-Oa)~twale c~ll'le. quella di debitore, di persona tE)7l.ta . a pagare, ten:1:dl( a pr~tare garan~a ecc.e senza che con ci Si legittimino illazioni circa la definitivit del . titolo e la . certezza dell'.obbligazi~ne. Ed principio di ermeneutica di contratti, applicabile in forza del disposto dell'art. 1324 e.e. anche agli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale, che, per quanto generali siano le espressioni usate nel contratto, questo non comprende che gli oggetti sui quali le parti si sono proposte di contrarre: la disposizione, concernente direttamente 1132 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO l'estensione dell'ambito oggettivo del regolamento dispositivo negoziale, applicabile non solo quando questo sia riferibile a pi situazioni che possano essere considerate da diversi punti di vista, alcum pi generali che tutte le comprenda, altri specifici a qualcuna di esse, ma pu essere utilizzata anche in relazione ad un'unica situazione giuridica che possa essere considerata nella generalit dei suoi effetti o in specifici suoi effetti patrimomali, nel qual caso le espressioni usate, che per la loro ampia portata potrebbero essere riferite alla totalit degli effetti, debbono essere invece interpretate con esclusivo riguardo allo specifico risultato che le parti hanno inteso regolare. Ora quando, in riguardo ad un rapporto di credito risultante da titolo munito di efficacia esecutiva ma tuttora impugnabile, i soggetti di esse si propongono di regolare la dilazione del pagamento, che sia stato riehiesto autoritativamente con minaccia di esecuzione forzata, appare contrario al richiamato principio ed intrinsecamente illogico interpretare le locuzioni usate nel senso diverso e pi generale di riconoscere certo, a tutti gli effetti, il rapporto di credito, con implicita rinunzia all'impugnativa del titolo: il che particolarmente da ritenere se, come nella specie, i soggetti abbiano, nel provvedere intorno al rapporto, indicato il titolo in virt del quale il pagamento richiesto senza nulla dire in ordine all'efficacia di tale titolo, che rimane, perci, estranea al regolamento dispositivo adottato dalle parti. Di conseguenza, anche questo secondo profilo della motivazione, (cui si riferiscono le censure del secondo e terzo motivo del ricorso) risulta inficiato da errore giuridico e da illogicit; riflessi questi, del resto, della presupposizione che la disciplina normativa della dilazione di cui all'art. 65 della legge tributaria sulle successioni comporti in ogni caso la definitivit e la non impugnabilit dell'accertamento del tributo ove la dilazione sia chiesta ed accordata: opinione questa che, come s' rilevato, erronea. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 22 settembre 1969, 3120 -Pres. Flore -Est.. Geri -P. M. Di Majo (conf.) -iv.Iinistero delle Finanze (avv. Stato Azzariti) c. Agrelli (avv. Manfredonia e Sera). Imposte e tasse in genere -Contenzioso -Decisione della Commissione Centrale che annulla l'accertamento -Proponibilit dell'azione giudiziaria da parte dell'Amministrazione. In virt dei principio della prevalenza deLla giurisprudenza ordinaria, di ogni ordine e grado, suUa giurisdizione speciaie deUe Commissioni tributarie, tutte Le parti, siano esse la pubblica Amministlra fifrt::::::rr11;~:::::;11:'@:r1f::trJ:~w~':t;;1:1::@1~~~~~if&Ir~~m~11:ill111::~~:11 I I ;;:1:'1111::::~1:~~::@:~:'m~:::~:11;1m:r1:t~fg'iffir:::;;~~rff11:::11rrtill~&:rmrilrr1::;r~:1r;r1rr~ITrmm~~ .._ ./ ...., ... ,ff"''"X>".. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1133 zione o il privato contribuente, possono adire il giudice ordinario al fine specifico di rimuovere una decisione della commissione tributaria ritenuta non conforme a diritto. Nel caso in cui la Com.missione centrale delle imposte abbia definito il giudizio dinanzi alle commissioni annullando l'accertamento, la Amministrazione finanziaria ha interesse a proporre l'azione dinanzi all'autoritd giudiziaria ordinaria per riaprire il procedimento tributario solo apparentemente definito con la pronuncia della Commissione centrale (1). (Omissis). -Nel primo motivo del ricorso l'Amministrazione finanziaria deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 353 c.p.c., poich la Corte d'Appello, avendo riconosciuta la giurisdizione del giudice ordinario, avrebbe dovuto rimettere le parti davanti al Tribunale, anzich respingere la domanda per difetto di interesse. (1) La sentenza in esame deve essere segnalata per l'encomiabile vigore con cui ha ripudiato i principi affermati dalla Corte di Appello di Napoli e che, se condivisi, avrebbero potuto modificare radicalmente il vigente sistema del contenzioso tributario, ponendo l'Amministrazione in una condizione manifestamente deteriore rispetto a quella dei contribuenti. Infatti, secondo la tesi che le Sezioni Unite hanno ora ripudiato, allorch il giudizio dinanzi alle Commissioni tributarie si concluso con una dichiarazione di nullit dell'accertamento operato dall'ufficio, senza esame della legiettimit sostanziale e della congruit di esso, l'Amministrazione sarebbe priva di interesse a promuovere la successiva azione giudiziaria, non potendo questa condurre ad una riapertura del procedimento dinanzi alle commissioni e non potendo inoltre l'Autorit giudiziaria ordinaria decidere inordine al quantum (estimazione semplice) dell'accertamento, ancorch ritenesse infondata la relativa eccezione di nullit. Ma evidente la assoluta erroneit di tale tesi, la quale non tiene conto del fatto che, essendo la giurisdizione ordinaria preordinata alla tutela dei diritti soggettivi connessi con un rapporto di imposta, essa non pu essere limitata a carico di uno solo dei soggetti di quel rapporto, e si fonda altres sull'inesistente principio che, definita in sede giudiziaria favorevolmente alla Finanza la controversia sulla legittimit dell'accertamento, il procedimento contenzioso non possa essere riaperto dinanzi alle commissioni per la decisione delle questioni di semplice estimazione. In materia di imposte indirette, in cui a tale distinzione di controversie corrisponde la discriminazione delle competenze fra le stesse commissioni tributarie (di diritto e di valutazione), la necessit della riassunzione del giudizio dinanzi alla commissione di valutazione dopo 1a decisione, anche da parte dell'Autorit giudiziaria ordinaria, della controversia di diritto, stata ripetutamente affermata dalla Corte .di Cassazione I l! (cfr. sent. 10 agosto 1968, n. 2737, in questa Rassegna, 1968, 1, 1005), ed evidente che gli stessi principi devono trovare applicazione anche in materia di imposte dirette, dato che la promiscuit di competenza delle commissioni non pu avere alcuna influenza in ordine alle esigenze logiche ! di graduata decisione di tutte le questioni controverse, siano e!lse di diritto i come di valutazione. I I ! 1134 PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA I resistenti negano che la Corte di merito abbia affermato la giurisdizione dell'autorit giudiziaria ordinaria. In realt, sostengono, avrebbe semplicemente rettificata la motivazione del primo giudice, fermo restando il dispositivo corrispondente, in quanto l'affermata carenza di interesse costituirebbe un profilo specifico del difetto di giurisdizione, quale conseguenza immediata e diretta dello stesso. Ci perch l'eventuale giudicato difforme del giudice ordinario non potrebbe travolgere la pronunzia di nullit del procedimento accertativo da parte della Commissione Centrale, n Sjirebbe ormai pi riproponibile davanti alle Commissioni J.ocali un giudizio di estimazione semplice, ch' sottratto, come noto, alla cognizione del giudice ordinario. Questo primo motivo fondato e merita accoglimento. Esso supera ed assorbe il secondo rendendone superfluo l'esame. Occorre anzitutto osservare come ee;attamente la Corte di merito abbia ammesso, sia pur in astratto, la proponibilit davanti al gi~dice ordinario delle azioni dichiarative dirette ad accertare la legittimit dell'operato dell'Amministrazione. Ci facendo essa intese inequivocabilmente affermare la propria giurisdizione e quindi quella negata dal primo giudice, davanti al quale avrebbe dovuto rimettere le parti ai sensi dell'art. 353 c.p.c., .affinch non .soltanto si. pronunciasse sul :l;ondamento della domanda ~a anche sulla sussistenza o meno dell'interesse della P .A. a proporla. N in contrario possibile seguire l'ingegnosa costruzione dei resistenti, i quali, attraverso una serie di ipotesi circa i rapporti fra il contenzioso ordinario e quello tributario delle Commissioni, vorrebbero assimilare il difetto d'interesse, alla cui affermazione la Corte di merito fu erroneamente indotta da una falsa prospettiva di quei rapporti, ad un particolare profilo del difetto di giuriSdizione del giudice ordinario, quale quello in: materia di estimazione semplice. Questa Suprema Corte con una costantissima giurisprudenza, recentissimamente riaffermata, ha sempre tenuto fermo il carattere giurisdizionale delle Commissioni tributarie ed il principio di autonomia delle due gi'1,J.risdizioni tributaria ed ordinaria. Nel difetto di norme legislative, che disciplinino i rapporti fra codesti due ordi'ni di giurisdizione, la giurisprudenza ha integrato il principio di autonomia con quello di prevalenza della giurisdizione ordinaria su quella speciale. Ci risponde alla logica del sistema che al giudice ordinario, in virt delle maggiori prerogative e guarentigie di cui cfocondato, riserva di pronunciarsi dopo le commissioni tributarie e quindi naturalmente lo abilita a rimuovere gli effetti delle decisioni delle Commissioni tributarie stesse con la sua pronuncia. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA Non ha rilievo, in questa controversia, fa questione relativa alla natura dell'accennato rimedio contro tali decisioni, -vagamente assimilabile per qualche suo generico aspetto alle impugnazioni straordinarie -ma importante porne in evidenza la piena compatibilit con i principi, nonch il carattere rafforzativo della tutela ,apprestata alle parti, specialmente al contribuente, mediante la sostituzione di una pronnzia, meno fornita di garanzie, con la sentenza del giudice, che ne fornita nel pi alto grado. N, in contrario, vale richiamarsi alla riconosciuta ammissibilit del ricorso per Cassazione, ai sensi dell'art. 111 della Costituzione, contro le decisioni della Commissione Centrale, per escludere, ai predetti fini, l'efficacia delle pronunzie dei giudici di merito, perch anche l'accennato rimedio, mentre da un lato rafforza la tutela delle parti, dall'altro non pu impedire l'applicazione e l'operativit del principio di prevalenza della giurisdizione ordinaria di ogni ordine e grado.. Tutte le parti, quindi, siano esse la P. A. o il privato contribuente, ben possono, sia pur per opposti interessi e ragioni, adire il giudice ordinario proprio al fine specifico di rimu-0vere una decisione della Commissione tributaria, ritenuta non conforme a diritto. E come il privato si giova della rimozione di tale pronunzia a lui sfavore.vole, ci vale anche per l'Amministrazione finanziaria, in quanto l'accoglimento della domanda dalla stessa proposta ben pu consentire un diverso sviluppo, ad essa favorevole, dell'ulteriore corso del giudizio. Quanto precede giustifica di per s l'accoglimento del ricorso e queste Sezioni Unite, a rigore, non dovrebbero occuparsi della sussistenza di un ulteriore interesse (oltre quello inerente alla domanda d'accertare la validit del comportamento dll'Amministrazione) che riguarda il merito. La pretesa insussistenza del quale avrebbe proletticamente indotto la Corte di appello a negare la giurisdizione. Tuttavia pu e.sSere utile rilevare che la pronunzia, che nega l'interesse nel caso, appare anch'essa erronea. La domanda, alla quale debba essere dato legittimo ingresso, pu servire pur sempre per interrompere un termine di prescrizione od evitar~ il verificarsi di una decadenza, -0ltre che a riaprire il procedimento tributario, solo apparentemente definito con la pronunzia della Commissione Centrale. N il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in tema di estimazione semplice ha particolare rilievo, contrariamente a quanto appare dalla difesa dei resistenti, perch, anche volendo prescindere dalla discussa possibilit di rinnovare il procedimento estimativo, il problema se si verta in materia di estimazione complessa sempre aperto, ove si consideri che l'esistenza di questioni giuridiche fram 1136 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO miste a quelle di valutazione e la stessa domanda dichiarativa della validit dell'accertamento postulano, nel loro insieme unitariamente considerato, un giudizio che non solo apprezzamento di valore cio di mera quantit. L'influenza di queste considerazioni sulla sussistenza dell'interesse si dimostra determinante, rivelando, anche sotto questo profilo, l'erroneit della denunziata sentenza. -(Omissis). I CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 4 ottobre 1969, n. 3174 -Pres. Stella Richter -Est. Ferrati -P. M. Di Majo (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Terranova) c. Soc. Cotonificio Bustese e altre (avv. Scarpa e Viola). Imposta generale sull'entrata -Istanza di rimborso -Provvedimento amministrativo di non accoglimento per intempestivit ex art. 47 legge n. 762 del 1940 -Azione giudiziaria -Termine semestrale di decadenza -Inapplicabilit. (1. 19 giugno 1940, ;n. 762, art. 47; r.d.1. 10 aprile 1923, n. 938, art. 1; r.d.1. 7 agosto 1936, n. 1639, art. 29). La decadenza del contribuente dalla azione giudiziaria per il decorso del termine di sei mesi dalta comunicazione delta decisione amministrativa presuppone, da un lato, l'esistenza di una controversia e, dall'altro, il potere dell'organo amministrativo di risolvere la controversia medesima. Tali presupposti non sussistono' nel caso in cui la Amministrazione abbia riconosciuto che vi sia stata una indebita percezione di imposta, e che, per decorso del termine annuale di cui all'art. 47 de.zla legge ige, essa non poteva adottare alcun provvedimento concreto in ordine alta istanza del contribuente (1). (1-2) ll princ1p10 affermato dalla priima delle sentenze in esame costituisce una conseguenza della nota interpretazione data dalla Corte di Cassazione :alla norm dell'art. 47 della legge ige (cfr. Relazione Avv. Stato 1956-60, II, p. 724 e 1961-65, II, p. 663). Secondo tale interpretazione, il termine di un anno stabilito dalla detta norma per la proposizione della domanda di ripetizione dell'ige ingiustamente pagata, non sarebbe stabilito a pena di decadenza del contribuente dal relativo diritto, ma riguarderebbe soltanto il potere dell'Amministrazione di provvedere su tale domanda in via amministrativa, senza alcuna sanzione a carico del contribuente che potrebbe sempre proporre, in via giudiziaria e nel lungo termine di prescrizione, tale domanda. I motivi per cui tali affermazioni non appaiono esatte sono molteplici e riguardano, da un lato, la assurdit di un limite temporale del potere PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1137 II CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 27 giugno 1969, n. 2310 -Pres. Flore -Est. Tamburrino -P. M. Di Majo (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Coronas) c. Soc. Sicilarma (avv. Uckmar). Imposta generale sull'entrata -Istanza di rimborso proposta oltre il termine dell'art. 47 legge n. 762 del 1940 -Azione giudiziaria Onere delle spese. (1. 19 giugno 1940, n. 762, art. 47; r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 148). Nel caso in cui la domanda di rimborso di .ige ingiustamente pagata, seppure tardivamente proposta ai sensi dell'art. 47 della legge n. 762 del 1940, sia stata portata all'esame del giudice dopo la scadenza del termine di tre mesi dalla sua proposizione senza che la Amministrazione abbia adottato una determinazione conforme a giustizia, legittima la condanna della stessa Amministrazione alle spese del giudizio (2). I (Omissis). -Con l'unico motivo del ricorso l'Amministrazione finanziaria, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 1 r.d.l. 10 aprile 1933 (recte 1923), n. 938, 33 legge 23 aprile 1911, dell'Amministrazione di provvedere in ordine ad un determinato rapporto del quale continua a partecipare senza possibilit di disporre per fatto esclusivo del contribuente, e, da un altro lato, la incongruit di un ter . mine che, seppure stabilito a carico del contribuente per la pi sollecita definizione delle controversie relative ad un rapporto di imposta, si risolve in una limitazione dei potere dell'Amministrazione di provvedere in ordine a tale rapporto senza alcun pregiudizio a carico del contribuente che non ha osservato detto termine, e con il conseguente ritardo di quella definizione. Difatti tale interpretazione, almeno per alcuni aspetti, stata gi oggetto di recente implicito riesame da parte delle stesse Sezioni Unite della Cassazione le quali, con la seconda delle sentenze in esame, per risolvere la questione relativa all'onere delle spese del giudizio proposto dal contribuente senza l'osservanza del termine di cui all'art. 47, hanno ritenuto applicabile il principio generale desumibile dall'art. 148 della legge di registro, secondo la sua interpretazione giurisprudenziale ormai consolidata, con ci riconoscendo all'Amministrazione il potere di provvedere sulla domanda di rimborso giudizialmente proposta anche oltre il termine di cui sopra, ed affermando conseguentemente che la sua condanna alle spese del giudizio possibile solo se detto provvedimento non sia stato emesso entro tre mesi da quella proposizione. E siccome evidente che non pu essere la semplice iniziativa del contribuente a perpetuare un potere dell'Amministrazione che la legge RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO n. 509, 146 r.d.1. 30 dicembre 1923, n. 3269 e 29 r.d.l. 7 agosto 1936, n. 1639, si duole che la Corte veneta abbia introdotto una distinzione, che non possibile ricavare dal sistema normativo, quando ha affermato che la prclusione alla proposizione dell'azione giudiziaria per il decorso del termine di sei mesi dalla comunicazione del provvedimento amministrativo sussiste solo se la decisione amministrativa negativa riguardi il merito della controversia tributaria e che la preclusione medesima non opera quando il rigetto dell'istanza sia basato sulla decorrenza del .termine specifico per l'espletamento dell'azione di rimborso in via amministrativa. Secondo la ricorrente il sistema normativo che presiede alla disciplina dell'azione giudiziaria nella materia del contenzioso tributario, per quanto attiene al settore delle imposte indirette in cui previsto l'esperimento del procedimento amministrativo, ha introdotto il principi> del termine di decadenza per la proposizione della successiva azione giudiziaria ed il termine di decadenza posto non in riferimento al diverso contenuto della pronuncia, ma al fatto che sia stata emessa la pronuncia di rigetto da parte dell'autorit amministrativa; si afferma poi da parte della ricorrente non essere esatto qualificare come decisione avente ad oggetto la sussistenza o meno del potere di decidere la controversia quella riguardante il rigetto dell'istanza ex art. 47 siccome proposta oltre l'anno. Le sovraesposte censure non meritano accoglimento, poich le stesse implicano una .gretta e formalistica interpretazione delle norme, intorno alle quali sorta contestazione, senza alcuna aderenza all'effettiva realt concreta. avrebbe limitato nel tempo, appare logico ritenere almeno quanto segue: il termine di cui all'art. 47 della legge ige non stabilito a pena di decadenza del contribuente dal diritto al rimborso, e non impedisce la proposizione della relativa domanda nel termine di prescrizione. Su tale domanda l'Amministrazione pu provvedere respingeJ;1.dola per motivi di merito e in tale ipotesi l'azione giudiziaria deve essere proposta nel generale termine di sei mesi dalla comunicazione del relativo provvedimnto (Cass. Sez. Un. 20 ottobre 1962, n. 3051, in questa Rassegna, 1963, 86). Qualora invece l'Amministrazione si limiti a dichiarare di non dover provvedere sulla domanda di rimborso per inosservanza del termine di cui all'art. 47, allora dalla comunicazione di tale provvedimento non pu decorrere il termine generale di cui sopra, come stabilito dalla prima delle sentenze in esame; ma ci, si noti, non gi perch l'Amministrazione non aveva, in astratto, il potere di provvedere sulla domanda di rimborso, sibbene perch essa non ha esercitato, in concreto, tale potere e non ha emesso quella decisione amministrativa che costituisce il presupposto per la decorrenza del detto termine di sei mesi. I precedenti giurisprudenziali richiamati nella motivazione della prima sentenza sono pubblicati in Foro it., 1963, 1, 235; ivi, 1958, 1, 1850; in questa Rassegna, 1968, 1, 109. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1139 Giova invero considerare -e sul punto non sussiste controversia -che le societ resistenti ebbero a corrispondere l'imposta generale sull'entrata in base ad un calcolo dell'imponibile che successivamente la stessa Amministrazione finanziaria ha riconosciuto errato diramando all'uopo opportune istruzioni per il futuro: certo dunque che vi stato da parte delle resistenti l'esborso di somme non dovute. parimenti certo: 1) che l'azione di ripetizione d'indebito soggetta esclusivamente alla prescrizione decennale; 2) che la domanda di rimborso in via amministrativa prevista dall'art. 47 legge 19 giugno 1940, n. 762 non condizione di proponibilit della domanda di ripetizione d'indebito. Questa Corte ha infatti ripetutamente affermato (sent. 28 gennaio 1963, n. 139, 7 novembre 1957, n. 4259) che la disposizione dell'art. 47 legge n. 762, la quale prescrive che le istanze di rimborso debbono essere presentate entro il termine di un anno dall'effettUato pagamento dell'imposta, applicabile solo nel caso di istanze di rimborso prodotte in via amministrativa per tributi erroneamente corrisposti e non pu, pertanto, riferirsi all'azione giudiziaria con cui il contribuente proponga la questione della sussistenza della obbligazione tributaria per dimostrare il proprio diritto al rimborso della imposta versata. Se pertanto il contribuente non tenuto ad adire preventivamente l'autorit amministrativa per ricuperare somme indebitamente corrisposte, si deve escludere che la proposizione di un eventuale ricorso amministrativo faccia sempre ed in ogni caso scattare in danno del contribuente il breve termine di decadenza per la proposizione dell'azione giudiziaria. L'art. 1 r.d.l. 10 aprile 1923, n. 938, dispone effettivamente che, una volta proposto ricorso all'Intendente di finanza per la risoluzione in via amministrativa delle controversie riguardanti le tasse sugli affari, l'azione giudiziaria esperibile entro il termine perentorio di sei mesi dalla comunicazione della decisione intendentizia; ma si pu anzitutto dubitare che siffatta norma, dettata genericamente per la materia tributaria e successivamente trasfusa nel r.d.l. 7 agosto 1936, n. 1639, trovi necessariamente applicazione nel campo specifico dell'imposta genera.le sull'entrata, il cui contenzioso disciplinato in modo preciso e completo nella lgge che ha istituito l'imposta medesima. Comunque sia, indiscutibile che la norma dell'art. 1, posta dalla ricorrente a fondamento del proprio assunto, presuppone da un lato l'esistenza di una controversia, dall'altro il potere dell'organo amministrativo di risolvere la controversia medesima. -Nella specie non ricorreva n l'uno, n l'altro requisito: non il primo perch la stessa Amministrazione aveva riconosciuto, nel modo pi aperto, che vi era stata un'indebita percezione di imposta, non il 1140 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO secondo perch l'Amministrazione difettava del potere di porre riparo alla illegittima situazione che si era creata. Sotto il primo profilo bene ricovdare che recentemente questa Oorte ha ritenuto che il decorso del termine per ricorrere contro le risultanze dei ruoli non impedisce alla Pubblica Amministazione di provvedere d'ufficio alla rettifica della erronea iscrizione e ne ha tratto la conseguenza che, avvenuto il riconoscimento dell'erroneit dell'iscrizione a ruolo, la ripetizione dell'imposta indebitamente pagata pu essere chiesta al giudice ordinario anche se il contribuente non abbia proposto ricorso amministrativo nel termine (sent. 31 gennaio 1968, n. 314). Siffatto orientamento pu essere utilmente richiamato nel caso concreto, quando si rifletta che la Amministrazione finanziaria, accortasi dell'errove commesso, si era prospettata il dubbio se fosse lecita la restituzione in via amministrativa, senza attendere la pronuncia del giudice, della maggior somma percetta ed aveva richiesto in proposito il parere del Consiglio di Stato. Ora questo (parere 7 aprile 1959, n. 304) ribadi anzitutto il principio che la norma del pi volte citato art. 47, nel prevedere il rimborso in via anuninistrativa all'interessato, che lo richieda nel termine annuale, del pagamento dell'imposta, fissa nei confronti delle Amministrazioni un termine, entro il quale possibile una revisione su istanza degli interessati, in modo che si rivaluti l'accertamento dell'imposta, se ne verifichino i presupposti e le condizioni, con la possibilit di annullare il precedente accertamento e la conseguente pretesa tributaria > : ne dedusse il Consiglio di Stato che, dopo il decorso dell'anno, la situazione si presenta diversa, poich e si tratta di incidere su una situazione non soltanto .giuridicamente definita e completa nella sede amministrativa, ma per di pi irrevocabile essendo la potest di revisione non pi esplicabile e consider che, decorso l'anno, l'acquisizione patrimoniale dell'Amministrazione finanziaria diventa giuridicamente indisponibile dalla stessa, onde occorre la sentenza dell'autorit giudiziaria che costituisce il necessario ed autonomo titolo del rimborso che comporta una erogazione a carico dell'Erario . Se cosi -e le argomentazioni addotte dal Supremo Consesso amministrativo appaiono giuridicamente corrette e convincenti - di tutta evidenza come a torto si pretenda di fare applicazione nel caso concreto di una norma quale quella dell'art. 1 r.d. n. 938, dettata per tutt'altra ipotesi. Gli che il reclamo amministrativo, che le societ resistenti hanno presentato per un evidente errore, costituiva un atto perfettamente inutile ed incapace di spiegare gli effetti per i quali la legge lo prevede, giacch, essendo ampiamente decorso il termine annuale del pagamento dell'imposta, la Amministrazione non poteva adottare alcun 11 fffiW%MHlHWfffffJ?il@faf#lff&&fNMffffff0Ef@HIIfffflffffffffffif!B@Hf#ffifffftf'f{W%mfWX@Mr&@'Mf&itiMMK4:ffJ PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1141 provvedimento concreto in ordine alla istanza del contribuente: contrariamente a quanto afferma la ricorrente, nella specie, proprio per le considerazioi:. esposte nel parere del Consiglio di Stato, difettava il potere dell'Amministrazione di provvedere nel merito, onde correttamente se ne dedotto che la decorrenza del termine di sei mesi dalla comunicazione del provvedimento non pu significare altro che il riconoscimento da parte del contribuente della carenza di potere della Amminjstrazione a pronunciare sul punto e non pu importare assolutamente la decadenza del diritto di agire nella competente sede giudiziaria per la ripetizione dell'indbito. A torto si adduce a giustificazione della fissazione del termine di decadenza la esigenza della stabilit della situazione giuridica inerente all'entrata fiscale, giacch l'argomento si svuota di contenuto quando si consideri che una situazione di incertezza obbiettiva non pu sussistere di fronte al riconoscimento del buon diritto del contribuente effettuato dall'Amministrazione, anche se, per le ragioni dianzi esposte, indispensabile una pronuncia del giudice affinch il riconoscimento medesimo abbia concreti effetti. Correttamente adunque stato ritenuto che l'unico termine, che il contribuente dovesse osservare, fosse quello prescrizionale e poich la domanda di ripetizione stata avanzata con il rispetto di quel termine, il giudice non poteva esimersi dall'esaminarla nel merito. ( Omissis). II (Omissis). -Il secondo motivo del ricorso attiene alle spese delle fasi di merito, alle quali stata condannata l'Amministrazione attuale iricorrente, la quale oggi ne assume la illegittimit, invocando la compensazione obbligatoria, in quanto la Sicilarma -Soc. di Navigazione p. a., avrebbe chiesto il rimborso del debito di imposta, assunto non dovuto, oltre i termini previsti dall'art. 47 della legge n. 762 del 1940. In realt l'art. 47 non direttamente richiamabile; in quanto si limita a fissare alcuni termini per il rimborso. Potrebbe, nel caso, essere richiamato il principio generale, che trova il suo testo legislativo nella legge di registro, secondo cui l'Amministrazione, anche soccombente, non pu essere condannata alle spese, quando l'azione giudiziaria sia promossa prima di iniziare il procedimento amministrativo per il rimborso prima che sia decorso un termine fissato dalla legge. Ma a proposito di questo principio generale, gi la Corte Suprema ne ha ritenuta la inapplicabilit allorch, pur essendo stata l'azione giudiziaria proposta intempestivamente, la causa sia stata portata alla d~isione del giudice dopo trascorso il termine di legge, senza che l'Ammini 1142 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO strazione abbia adottato una determinazione conforme a giustizia, essendo da considerare anche in questa ipotesi ugualmente raggiunta la finalit presa di mira dal principio e d;llla norma suddette, la finalit, cio, di offrire alla amministrazione la possibilit di riesaminare il proprio operato e di provveder.e secondo giustizia sulle doglianze dei contribuenti. Ove questa possibilit di riesame lAmministrazione abbia in concreto avuta e ci nonostante non abbia proceduto al riesame medesimo insistendo nella lite, ben pu essere condannata alle spese della lite stessa. Ed appunto i presupposti della eccezione di cui sopra sono stati accertati nella specie, in cui provato che la domanda di rimborso, sebbene intempestivamente proposta stata portata all'esame del giudice ben dopo la scadenza del termine 'di legge e che quindi lAmministrazione aveva tutta la possibilit del riesame e del provvedimento di giustizia. In concreto, invece, tale riesame non stato effettuato ed anzi lAmministrazione ha continuato nella affermazione della propria tesi in tutti i gradi del giudizio, opponendosi sempre alla domanda. Cosicch legittimamente stata condannata alle spese delle fasi di merito. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 16 ottobre 1969, n. 3336 -Pres. Rossano -Est. Della Valle -P. M. De Marco (conf.) -Soc. p. a. Finanziaria Ernesto Breda (avv.ti Visentini e Mandrioli) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Carafa). Imposta di registro -Societ -Aumento di capitale -Delibera dell'assemblea e sottoscrizione delle azioni -Rilevanza ai fini tributari della delibera -Benefici fiscali di natura soggettiva spettanti ai sottoscrittori delle azioni -Inapplicabilit per la tassazione dell'aumento di capitale. (1. 12 febbraio 1949, n. 33, art. 7; d.l. 9 settembre 1947, n. 889, art. 14). Imposta di registro -Societ -Aumento di capitale -Delibera dell'assemblea e sottoscrizione delle azioni -Sistema di tassazione. (r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, tariffa all. A, art. 85; 1. 12 febbraio 1949 n. 33,, art. 7). In tema di aumento di capitale sociale il solo atto economicogiuridico rilevante ai fini fiscali la delibera dell'assemblea e non la sottoscrizione delle azioni, giacch quest'ultima, nella complessa oiierazione (aumento di -capitale) in cui viene ad inserirsi, ha le funzioni di cond.izione sui generis , il cui avveramento serve solo a mettere in moto il meccanismo della tassazione rispetto a un atto -la delibera PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1143 dell'assemblea -che, in quanto dotato di propria validit e autooomia, gi entrato potenzialmente nell'orbita tributaria, con la conseguenza che nella societ, che ha deliberato l'aumento, va individuato ii solo soggetto su cui deve ricadere l'onere fiscale dell'operazione attraverso la quale ii deliberato aumento .. si realizzato, essendo tale aumento disposto nel suo esclusivo interesse, mentre i sottoscrittori delle azioni non hanno alcuna rilevanza giuridica n ai fini della tassazione n ai fini di eventuali agevolazioni fiscali, come quelle previste dall'art. 14 del d.l. 9 settembre 1947, n. 889 (1). Con la legge 12 febbraio 1949, n. 33, art. 7, il legislatore, in considerazione del fatto che, in tema di aumento di capitale sociale, a realizzare il movimento di ricchezza non sufficiente la sola delibera che autorizza l'aumento del capitale sociale ma occorre concretamente l'effettiva sottoscrizione delle nuove azioni o il loro collocamento, non ha inteso affatto assoggettare al tributo la sottoscrizione delle azioni invece che la delibera, ma ha voluto soltanto determinare il momento in cui deve aver luogo la liquidazione dell'imposta di registro stabilendo due tempi successivi: un primo tempo che concerne la sottoposizione in via provvisoria detla delibera alla tassa fissa di cui all'art. 79 J all. A legge di registro (art. 17); un secondo tempo -che si realizza I aZZorch l'evento condizionante costituito dalla effettiva sottoscrizione i delle azioni si sia avverato -, concernente la liquidazione definitiva I dell'imposta proporzionale commisurata all'importo complessivo delle I azioni sottoscritte o collocate (2). I. (Omissis). -Chiamata a stabilire se sull'operazione di aumento del capitale sociale deliberata dalla s.p.a. Breda il 4 agosto 1951 e I successivamente attuata mediante sottoscrizione della quasi totalit delle nuove azioni da parte del F.I.M. (Fondo per il finanziamento I (1-2) Giurisprudenza costante, il cui orientamento si ricollega alla questione se si debba ritenere obbligata, per l'imposta di registro sugli I aumenti di capitale, la sola societ (cfr. Tribunale Firenze 14 novembre 1968 in causa Hussmann c. Finanze, inedita) ovvero si possa affermare la I sussistenza anche dell'obbligazione solidale dei sottoscrittori delle nuove azioni. Per ritenere esatta la seconda soluzione occorrerebbe poter riconscere che l'imposta prevista dall'art. 85 della tariffa all. A alla legge organica di registro sia dovuta non in riferimento alla deliberazione sociale di aumento del capitale, bensi in relazione al negozio che successivamente si pone in essere tra la societ ed i sottoscrittori delle azioni, i quali ultimi, allora, potrebbero essere considerati parti contraenti ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 93, n. 1 della predetta legge. In altri termini, la deliberazione della societ dovrebbe essere riguardata come atto (di proposta) non autonomamente imponibile, e dovrebbe perci ritenersi che soltanto con la sottoscrizione delle azioni (la quale realizzerebbe l'accettazione, e cosi determinerebbe l'incontro dei con 1144 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO delle industrie meccaniche) fossero o no da applicare l agevolazioni tributarie accordate a quest'uJ.timo dall'art. 14 d.l. 9 settembre 1947, n. 889, la Corte di Milano ha dato risposta negativa al quesito, osservando che soggetto passivo dell'imposta era, nella specie, la Breda e non il F.I.M. giacch l'atto tassabile da prendere in considerazione, ai fini dell'imposta di registro, non era la sottoscrizione delle azioni effettuata dal F.I.M. ma era la delibera di aumento di capitale adottata dalla Breda che dall'operazione compiuta aveva tratto il duplice vantaggio di ottenere il bonifico di buona parte del suo debito e di veder congelata, al tempo stesso, la parte residuale di debito lasciata insoluta. Investendo tale decisione con tre distinti motivi di ricorso si duole anzitutto J.a Breda, col primo motivo, che la Corte di merito, violando e falsamente applicando l'art. 14 (in relazioae agli artt. 1 e 5) del d.l.C.P.S. 8 settembre 1947, n. 889 modificato con d.l.C.P.S. 28 novembre 1947, n. 1225, gli artt. 79, 81 e 85 Tariffa All. A alla legge di registro 30 dicembre 1923, n. 3269, l'art. 17 stessa legge, l'art. 7 della legge 15 febbraio 1949, n. 33 e l'art. 2444 comma 2 e.e. in relazione all'art. 360, n. 3 c.p.c., non abbia considerato -nel ravvisare nella sola delibera di aumento di capitale e l'atto tassabile con l'imposta sensi) si perfezionerebbe il contratto determinante il movimento di ricchezza, al quale la legge ricollegherebbe l'imposizione tributaria. Senonch, deve considerarsi: che la deliberazione di aumento del capitale si traduce in una modifica dell'atto costitutivo (e.e. art. 2436, 'in relazione all'art. 2328, n. 4), la quale non pu essere disposta che unilateralmente dalla societ, e giammai col concorso della volont di terzi; che, inoltre, la sottoscrizione delle azioni integra l'adesione al contratto di societ e comporta l'attribuzione dello status di socio, con i diritti inerenti, ma non determina la conclusione di un autonomo negozio in ordine al conferimento dei beni, che , invece, atto inerente all'attuazione del rapporto sociale (Cass. 24 maggio 1965, n. 999, Foro it., 1965, I, 1925). E poich, dunque, va rilevata l'autonomia dei due esaminati negozi, l'uno concernente la modifica del contratto sociale e l'altro relativo alla partecipazione di terzi al contratto stesso, pu gi osservarsi che in tanto potrebbe aderirsi a quella seconda soluzione in quanto si potesse ritenere l'imposizione collegata non al fatto giuridico-economico che riguarda direttamente ed esclusivamente la societ, e nemmeno alla oggettiva concreta attuazione dei conferimenti, bens agli stessi successivi negozi di sottoscrizioni delle .nuove azioni. Tale ipotesi, per, non pare avvalorata dalle disposizioni della legge di registro, la quale, richiamando per gli aumenti di capitale (art. 85 della tariffa A) le norme sulle costituzioni di societ (art. 81 della medesima tariffa), per le quali ultime d rilievo, appunto, all'atto di costituzione, e cio al contratto sociale, sembra confermare, corrispondentemente, che per gli aumenti deve aversi riguardo agli atti modificativi del contratto 1146 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ficato non potendosi ammettere che si sia voluto considerare come atto imponibile un atto suscettibile di produrre soltanto e effetti padromici o procedimentali >. Quanto poi all'argomento tratto dalla Corte di merito dal disposto dell'art. 7 della legge 15 febbraio 1949, n. 33, e dal meccanismo della condizione sospensiva ivi richiamato, a sostegno della tesi della riferibilit della tassazione alla semplice delibera e non all'aumento di capitale -(inteso, questo, come operazione complessa la cui tassabilit condizionata da quella sottoscrizione delle azioni che, con l'offrire la base imponibile, consente di commisurare esattamente l'imposta dovata) -, la ricorrente obietta infine che non ammissibile, sul piano sistematico, che la delibera constituisca ad un tempo, l'atto tassabile e -come la legge esplicitamente la considera -l' atto autorizzativo dell'atto tassabile (aumento di capitale) e che, d'altra parte, il ritenere come condizionato non gi un atto cui l'evento previsto in condizione si limita -com' proprio della condizione sospensiva -a far mancare temporaneamente la sola efficacia, ma un atto sostanzialmente e fiscalmente inidoneo a produrre effetti propri se non integrato dall'atto che funge da elemento condizionante, si risolve in effetti in un'inammissibile deviazione dai principi generali posti in tema di condizione sospensiva. La dpglianza non fondata. Come questa Suprema Corte ha gi altre volte rilevato -(Cass. 19 aprile 1961, n. 863 e 19 novembre 1959, n. 3411) -, con l'art. 7 della legge 12 febbraio 1949, n. 33 il legislatore tributario, nell'intento di eliminare le frequenti incertezze manifestatesi in sede ,di applicazione pratica dell'art. 85 della summenzionata Tariffa All. A, ed in forza del potere spettantegli di configurare un istituto di diritto privato con criteri propri, anche in difformit dai principi che sono propri di tale diritto, ha invero ritenuto che, in considerazione del fatto che a realizzare il trasferimento di ricchezza in favore della societ non sufficiente da sola la delibera che autorizza l'aumento del capitale sociale ma occorre che a questo primo atto faccia concretamente seguito l'effettiva sottoscrizione delle nuove azioni o il loro collocamento, fosse opportuno assoggettare esplicitamente l' aumento di capitale ad un regime fiscale analogo a quello degli atti sottoposti a condizfone sospensiva. Con ci per non ha inteso affatto assoggettare al tributo la sottoscrizione delle azioni invece che. la delibera, ma ha voluto soltanto determinare il momento in cui deve aver luogo la liquidazione del- l'imposta proporzionale di registro, stabilendo che questa deve essere fatta nel momento in cui le azioni vengono sottoscritte o collocate e non in quello in cui viene deliberato dall'assemblea l'aumento di capitale. 1148 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Nell'aumento di capitale sociale la posizione soggettiva dei sottoscrittori non ha pertanto, ai fini dell'applicazione dell'imposta di registro, rilevanza giuridica alcuna, trattandosi di un'operazione effettuata nell'interesse ed a profitto della sola societ che l'ha deliberata e che, con fare affluire per tale via nuove ricchezze nel proprio patrimonio, vede aumentate; con la maggiore dispO'Ilibilit dei propri mezzi finanziari, le concrete possibilit di realizzare i fini perseguiti. Possono bensl talvolta i sottoscrittori avere essi pure un particolare interesse personale nell'operazione, come nel caso -ad esempio dei sottoscrittori soci che, attraverso l'esercizio del diritto di opzione, mirano ad impedire in tutto o in parte che terzi estranei possano intromettersi nella compagine sociale o ad evitare che l'eventuale liquidazione fallimentare della societ possa esporli ad un duplice danno, stante la qualit che essi hanno di azionista e, al tempo stesso, di creditori della societ; ma -come stato gi osservato da questa Suprema Corte nella citata sentenza n. 863 del 1961 -la circostanza del tutto indifferente" non potendo l'eventuale confluenza, nel singolo sottoscrittore, di un vantaggio accidentale e riflesso far venir meno la e ratio dell'enunciato principio fiscale, che risiede, giova ripeterlo, nell'interesse e nel profitto che la societ ritrae dall'avveramento del1' evento previsto in condizione. In quanto effettuato nell'interesse preminente della Breda e non nell'interesse del F.I.M., o per di lui conto, rettamente l'aumento di capitale di cui trattasi stato pertanto dalla Corte milanese dichiarato escluso dal godimento delle agevolazioni fiscali previste dall'art. 14 del d.l. 9 settembre 1947, n. 889. Esso costituisce invero un'operazione assolutamente estranea a tale norma, giacch l'atto che in essa la legge considera tssabile non la sottoscrizione ma la delibera di aumento, con la conseguenza che, essendo la sola societ il contribuente inciso dalla tassazione , nessuna influenza possono avere le condizioni soggettive del sottoscrittore, cui la legge non richiede tributo alcuno. Col secondo mezzo la ricorrente, denunciando la violazione e la falsa applicazione della legge istitutiva del F.I.M. con riguardo agli artt. 92 e 83 della legge di registro e 1301 e.e., o quanto meno l'omessa, contraddittoria od insufficiente motivazione, ai sensi dell'art. 360, n. 5, c.p.c., in ordine all'interesse del F.I.M. ed alle sue responsabilit fiscali per l'atto di cui si discute, censura l'impugnata sent'enza per non aver considerato: a) che, essendo il F.I.M. l'azionista ~ quasi unico della societ, le finalit istituzionali di questa venivano a coincidere sostanzialmente con quelle del F.I.M., identificandosi in un pi ordinato svolgimento della produzione anche ai fini dell'occupazione operaia e del- l'incremento delle esportazioni; PAR.TE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1149 b) che, essendo strette le parti, la Breda e il F .I.M., dal vincolo della solidariet tributaria, l'esenzione spettante a questo ultimo sarebbe venuta a risultare praticamente soppressa qualora la Breda non avesse assolto il proprio debito nei confronti del fi.sco. Ma anche tale censura priva di fondamento. Quanto al primo dei due rilievi in cui es.sa si articola va detto, infatti, che la Corte milanese, dopo avere esattamente avvertito che l'enunciazione degli scopi programmatici del F.I.M. di cui all'art. 1 del citato decreto n. 889 del 1947 in tanto valida in quanto contenuta nei limiti e nella sfera di attivit del Fondo stesso quali delineati nel successivo contesto della legge, ha del pari esattamente aggiunto -in applicazione del principio esposto da questa Suprema Corte nella summ~nzionata sent.enza n. 863 del 19 aprile 1961 in tema di confluenza dll'intresse riflesso del sottoscrittore con quelJ.o preminente della societ -che la sottoscrizione e l'acquisto delle nuove azioni, pure rientrando entro i limiti suddetti, costituiscono tuttavia atti he non hanno nei confronti del F.I.M; alcuna rilevanza fiScale, giacch mancano di una loro autonomia funzionale per essere legati strumentalmente ad un atto della societ, quale la delibera da costei adottata in vista di un proprio interesse diretto ed immediato. Al secondo rilievo va oppsto, invece, che il principio della solidariet tribu~ria trova un limite nello status del soggetto esente per legge dal tributo, -nel senso che non opera nei confronti della parte ammessa, per motivi soggettivi, a beneficiare di un determinato trattamento fiscale di favore -, e che tale principio sarebbe stato, in ogni caso, per altra via inapplicabile nella Specie, dal momento che, per le ragioni dianzi espostse, il F.I.M. non solo non fu mai parte contraente nell'aumento di capitale ma non ebbe inoltre a profittare in alcun modo dell'avveramento della condizione (la sottoscrizione delle azioni), di cui si giov viceversa la sola societ ricorrente. Con il terzo ed ultimo motivo la societ Breda, denunciando sotto altro profilo la violazione e la falsa applicazione delle norme istitutive de F.I.M. con riferimento all'art. 9 della legge di registro in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., sostiene infine che, stante la connessione esistente tra la delibera di aumento e la sottoscrizione delle azioni, si sarebbe dovuto, ai fini dell'applicazione dell'articolo summenzionato della legge di registro, considerare prevalente la sottoscrizione e dichiararla, di conseguenza, esente da tassazione come che effettuata da un soggetto -il F.I.M. -avente per legge diritto a tale esenzione. Ma tale tesi inaccoglibile: sotto il profilo oggettivo, in quanto, unico essendo l'atto tassabile -la delibera di aumento -manca, nella specie, quella duplicit di tassazione, dell'atto contenente e dell'a.tto contenuto., che l'art. 9 mira ad evitare in vista della sostan ziale unicit direzionale dei due atti tra loro connessi; sotto il profilo )7 rulf'".Pd&&~~dhk.:B.Wkk.&f.~.J.Y&ttfil?JW"'..&r'~..M'l~f~~ff.dfV~~..J 1150 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO formale, in quanto il rapporto esistente .tra la delibera e la sottoscrizione, trovando la sua causa unica nella disciplina della condizione sospensiva, non realizza quel particolare tipo di collegamento di cui alla previsione dell'art. 9, ed infine sotto il profilo so.ggettivo, in quanto l'articolo suddetto non incide in alcun modo sull'identificazione del soggetto passivo del tributo, che -nell'aumento di capitale - e rimane unicamente la societ che ha deliberato l'aumento stesso e che ne ha tratto prevalentemente profitto. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 28 ottobre 1969, n. 3535 -Pres. Marletta -Est. Usai -P. M. Gedda (conf.) -Soc. Montecatini Edison (avv. Salvucci) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Coronas). Imposta di registro -Occultamento di valore -Prova. (r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 105). Per la dimostrazione deU'occuitamento di valore che d luogo alle sanzioni. prei,ist!e daU'art. 105 della legge di registro, non si richiede una prova legale o speciale, ma soltanto una prova sufficiente secondo il diritto comune; tale prova pu naturalmente anche essere estrinseca all'atto registrato, non potendo la prova deU'occultamento di valore essere contenuta nello stesso atto occultato (1). (Omissis). -Col primo motivo la ricorrente, deducendo ai sensi dell'art. 360, nn. 3 e 5 cod. proc. civ. la violazione e la falsa applicazione dell'art. 105 della legge di registro approvata con r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, .nonch la contraddittoriet della motivazione, censura la sentenza impugnata per aver riconosciuto sussistente un'occultazione di valore, pur ammettendo l'aS.Senza della prova legale. Il motivo infondato. La Corte del merito ha, invero, rilevato che la sentenza del Tribunale di Genova aveva ritenuto che in quel giudizio non era stato contestato che al mediatore spettasse la provvigione del 2% , stabilita per la vendita degli stabili, sul prezzo di lire 40.000.000 ed aveva in conseguenza condannato la venditrice Societ Maremontana, che si era assunta l'obbligo di corrispondere l'intera provvigione, a pagare a tale titolo la somma di L. 800.000 al mediatore Amerigo Maggi. (1) Massima esattissima sorretta da motivazione ineccepibile. Non constano precedenti specifici. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1151 La Corte di Milano, ha, poi, aggiunto che, se non poteva parlarsi di prova a carico della Montecatini, la quale in quella causa, pur essendo parte, era rimasta spettatrice, dato che la provvigione era stata chiesta solo nei confronti della venditrice Societ Maremontana, che si era assunta interamente H relativo obbligo, tuttavia l'occultamento, pur non sussistendo di esso la cosi detta prova legale, si evinceva ugualmente dal sicuro e non contraddetto assunto che il prezzo convenuto per la compravendita era quello di L. 40.000.000 anzich quello di lire 15.000.000 denunciato nel rogito di vendita. Con tale motivazione la Corte di appello non si contraddetta perch, avendo .solo escluso che la sentenza di condanna della Maremontana al pagamento della mediazione facesse stato nei confronti della Montecatini e che in conseguenza sussistesse a carico di questa ultima la cosidetta prova legale dell'occultamento, ben poteva ritenere che tuttavia l'occultamento stesso fosse provato in base agli accertamenti contenuti nella detta sentenza del Tribunale di Genova. La contraria tesi reggerebbe solo se la dimostrazione dell'occultamento del prezzo non potesse essere fornita che mediante la cosiddetta prova legale, come sembra voglia sostenere la ricorrente, pur senza precisare l'esatto contenuto da attribuire alla espressione e prova legale e pur senza chiarire quali argomenti suffraghino la necessit di tale particolare prova. Ma l'art. 105 della legge di registro, pur richiedendo la prova che nell'atto sottoposto a registrazione stato indicato intenzionalmente un corrispettivo inferiore a quello vero, non esige alcuna prova legale o speciale, ma semplicemente la .prova che il valore realmente pattuito era superiore a quello denunciato. Quindi l'effettiva sussistenza di tale prova deve essere accertata applicando i normali principi vigenti in materia e la relativa valutazione rimessa al sovrano apprezzamento del giudice di merito, il quale libero di attingere H prprio convincimento a quegli elementi probatori che ritenga pi attendibili, con l'unico dovere di sorreggere il proprio convincimento con adeguata e logica motivazione. Orbene la Corte di Milano si attenuta appunto a tali principi quando ha ritenuto che, nonostante la condotta passiva assunta dalla Montecatini nel giudizio promosso dal mediatore davanti al Tribunale di Genova, le risultanze accertate dalla sentenza, che aveva deciso tale giudizio condannando la Maremontana a pagare la provvigione, erano sufficienti a dimostrare la effettiva sussistenza dell'occultamento di cui all'art. 105 legge di registro, dato che le risultanze stesse avrebbero potuto essere utilizzate a tale scopo anche se la Montecatini non aveva neppure partecipato al giudizio. E questo suo sovrano apprezzamento nella scelta e nella valutazione delle prove, la Corte del merito ha adeguatamente motivato lZ 1152 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO rilevando che la Maremontana, ,cui incombeva l'obbligo di pagare la provvigione e , che aveva quindi interesse a contestare l'ammontare della stessa, non aveva mai negato la esattezza della somma richiesta a tale titolo in L.. 800.000, corrispondente alla percentuale del 2% spettante per le mediazioni di stabili, sul prezzo di lire 40.000.000, per il quale era stato venduto l'immobile. N contro questa motivazione stata proposta alcuna specifica censura, che non sia quella della necessit della cosi detta prova legale e quella, da essa dipendente, della contraddittoriet, entrambe gi esaminate. Col secondo mezzo la ricorrente, deducendo la falsa applicazione dell'art. 73 della legge di registro e dell'art. 1 r.d.1. 26 settembre 1935, n. 1749, all. A, in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c., anzitutto cen$ura la sentenza impugnata per aver dedotto la fondatezza della pretesa fiscale, non dall'intrinseco contenuto dell'atto registrato, della cui tassazione si tratta, sibbene da una sentenza non fatta per definirlo ed interpretarlo, ma avente occasione e portata diversa. Sostiene, poi, che, mentre l'art. 1 r.d.1. 26 settembre 1935, n. 1749, riguarda esclusivamente gli atti non registrati, la Corte di Milano, confondendo la sentenza del Tribunale di Genova con il rogito Pescini di compravendita, aveva applicato all'insieme la detta norma, che non poteva essere riferita all'atto notarile di compravendita debitamente registrato. Col terzo mezzo, che per una pi organica trattazione opportuno esaminare insieme al precedente, la ricorrente, deducendo la falsa interpretazione del combinato disposto dgli artt. 105, 46 e 47 della legge di registro, sostiene che la omissione nel contesto di un atto di beni, cose o rapporti, rispetto ai quali la legge di registro imponeva un indiscriminato e cumulativo trattamento tributario, non costituiva occultamento di valore, dato che la legge non obbligava i contraenti ad introdurre nell'atto, in contrasto con la loro volont, la definizione di rapporti che essi non avevano voluto con l'atto stesso regolare, anche se tali rapporti, per presunzione di legge, dovevano, agli effetti fiscali, essere considerati unitariamente insieme a quello costituente l'oggetto dell'atto medesimo. Anche questi due motivi sono infondati. La tesi sostenuta con la prima parte del secondo mezzo, relativa alla invalidit della prova dell'occultamento di valore in quanto non dedotta dall'intrinseco contenuto dell'atto registrato, della cui tassazione si discuteva, urta contro la stessa logica perch non possibile pretendere, senza palese contraddizione, che risulti dallo stesso atto sottoposto a registrazione ci che con l'atto medesimo si vuole occultare. Infatti, se l'esatto corrispettivo risultasse in qualsiasi modo dal 1154 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO L'Amministrazione finanziaria convenuta nei giudizio di opposizione ad ingiunzione fiscale pu Legittimamente opporre, ai fine di giustificare la sua pretesa, motivi giuridici diversi da queJLi addotti e fatti vale1e in via amministrativa (3). (Omissis). -I due ricorsi relativi alla medesima sentenza debbono essere riuniti in applicazione del disposto dell'art. 335 c.p.c. opportuno esaminare congiuntamente i primi tre motivi del ricorso principale, sia perch propongono questioni connesse, sia nell'intento di dare delle stesse un'inquadramento sistematico che meglio ne chiarisca la soluzione. Il Pergola afferma nel primo motivo che la Corte ha errato nel ritenere che nella specie la convenzione de qua debba essere tassata in termine fisso, mentre la lettera-fideiussione va registrata solo in caso di uso; nella specie, perci, andrebbe applicato non l'art. 54 tar. all. A alla legge di registro, ma l'art. 44 della tabella all. D, in relazione all'art. 62 1. reg. Nel secondo motivo il ricorrente assume che l'autorit giudiziaria non avrebbe potuto applicare una tassazione diversa da quella eseguita dall'Ufficio del Registro, che si era richiamato alle norme relative alla registrazione della corrispondenza commerciale. Nel terzo motivo il Pergola sostiene che, trattandosi di enuncia zione di convenzione estinta, l'imposta di registro non dovuta, ai sensi dl terzo comma dell'art. 62 1. reg. Le censure ora riassunte sono comuni in parte a quelle esposte dalla SIPAN nel ricorso incidentale, che nel primo motivo denuncia l'errore della Corte di appello di prendere in considerazione una situazione sostanzialmente diversa da quella posta a base dell'atto di imposizione tributaria e sostiene che la tassa dovrebbe essere riferita esclusivamente alla lettera di fideiussione ed applicata come tassa di titolo, la societ ricorrente aggiunge non senza contraddizione, che dovendo essere oggetto di tassazione la lettera di fideiussione, dovrebbe farsi applicazione dell'art. 44 della tab. all. D della .legge di registro. A confutazione delle censure esposte, che questo Supremo Colle gio giudica infondate, deve premettersi .che, come ritenuto e pi volte ribadito nella giurisprudenza del Collegio stesso, il disposto dell'art. 62 1. reg. in base al quale sono soggette a registrazione le enunciazioni, contenute in atti sottoposti a registrazione, di altri atti non registrati o di convenzioni verbali, applicabile anche alle enunciazio-ni conte- mente, fa una puntuale applicaziqne dell'art. 2 della legge di registro. Sulla terza massima la giurisprudenza pacifica (cfr. C. BAFILE, Note sull'azione riconvenzionale della Finanza nel giudizio di opposizione all'ingiunzione fiscale, con numerose citazioni, in questa Rassegna, 1969, I, 527). -m"~d'Ji'.'.4!18~4il'!W' ~ ... PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1155 nute in sentenze (Cass., SS. UU., 16 giugno 1967, n. 1331). Sebbene la sentenza dovrebbe fare riferimento sofo ad atti o convenzioni verbali gi sottoposti ad imposta di registro, tuttavia possihile che, per inavvertita disapplicazione dei precetti di salvaguardia della obbligazione tributaria, essa recepisca il richiamo fatto dalle parti, al fine di sostenere le propre. domande od ec.cezioni, ad atti o convenzioni non registrate, venendo cosi a documentare tali dichiarazioni ed a dare ad esse un pi o meno accentuato valore probatorio delle convenzioni cui si riferiscono: e ci anc)le se la sentenza non pone tali dichiarazioni a fondamento della decisione in essa adottata, dato che, nel caso in cui tale collegamento razionale si costituisca, si dovrebbe parlare pi propriamep.te della cosiddetta tassa di titolo, in applicazione dell'art. 72 I. reg. Nella specie, appunto, stata esclusa l'applicabilit della tassa di titolo, perch il Tribunale non ha n argomentato in ordine al documento, n deciso prendendolo in considerazione" secondo l'apprezzamento di fatto correttamente motivato, e perci non censu~ rabile in questa sede di legittimit, della Corte di appello. Quando, dunque, fuori dell'ipotesi prevista nell'art. 72 I. reg. si verifica il cennato riferimento, negli atti processuali, a convenzioni non registrate, utilizzato dalle parti e recepito nella sentenza, atto sottoposto a registrazione, appare esatto ravvisare nella sentenza stessa l'enunciazione della convenzione indicata dalle parti nelle loro dichiarazioni. In ta.le caso l'enunciazione produce gli effetti dell'art. 62 I. reg. anche se non tutti i soggetti della convenzione siano parti del processo concluso con la sentenza enunciante, essendo sufficiente, perch sorga l'obbligo della registrazione della convenzione enunciata, che, attraverso la sentenza le dichiarazioni enunciative restino accertate e siano riferibili a soggetti, con posizioni negoziali distinte, della convenzione medesima, tra i quali questa debba produrre effet!i. Talvolta la giurisprudenza ha dato dell'enunciazione in sentenza una nozione pi ampia, sminuendo la distinzione tra imposta di enunciazione ed imposta di titolo, ma agli effetti della decisione della fattispecie in esame, sufficiente l'impiego della nozione pi propria soprariferita, che si richiama a dichiarazioni enunciative deHe parti, recepite in sentenza. Agli effetti dell'enunciazione, poi, la distinzione tra enunciazione di atti soggetti a registrazione in termine fisso e quella di atti soggetti a formalit solo in caso di uso assume rilievo solo quanto al pagamento della sopratassa, dovuta nel primo caso se l'enunciazione avvenga dopo il decorso del termine fisso di registrazione. Per ogni altro riguardo la distinzione inefficiente e l'imposta di enunciazione dovuta anche se relativa ad atto da registrarsi in caso di uso: deve, infatti, ravvisarsi uso di atto, agli effetti della legge di registro, anche quando il contenuto di esso riportato in tutto, o in parte, negli atti @r@rW&'ffil0Iff#'@H"if@Iffiff@EtK%f@rffrf[fIi@IBKfNfilfiWltfffe{fMf@@fffilft#l@El&fE@@@mrnrn~mmmI@@MM@@m2 ' 1156 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO processuali compiuti dalle parti che dell'atto possono fare uso o con il loro intervento (art. 2, capv. n. 2, 1. reg.). Poich nella specie la sopratassa non stata applicata, la distinzione ora detta, alla quale entrambi i ricorrenti si richiamano, non spiega alcun effetto quanto all'obbligo di pagare l'imposta di registro sulla fideiussione enunciata nella sentenza del Tribunale di Milano del 27 giugno 1960. Consegue che nella specie non pu trovare applicazione, come vorrebbero i ricorrenti, il terzo comma qell'art. 62 1. reg. per effetto del quale non dovuta tassa di registro, se la convenzione verbale enunciata sia gi estinta o si estingua con l'atto che contiene l'enunciazione; la convenzione enunciata nel caso in esame p.on verbale essendo pacifico e stabilito in sentenza che essa stata documentata da lettera-diretta dal fideiussore al creditore garantito e da questi integrata in conformit dei patti ed utilizzata . Per sostenere il detto assunto la SIPAM ipotizza che la convenzione enunciata nella sentenza del Tribunale di Milano sia quella che sarebbe intercorsa tra il Pergola e la SIPAM concernente la prestazione della fideiussione verso la banca creditrice; ma di tale assunta p~rticolare convenzione, che dovrebbe avere carattere ed effetti di negozio preparatorio o preliminare, nessun cenno fatto n nella sentenza enunciante, n negli atti di liquidazione dell'imposta, che applicano la tassa graduale stabilita per la fideiussione, n nella sentenza ora impugnata, che, con corretta motivazione, ha identificato l'atto assoggettato ad imposizione nel contratto di fideiussione, intercorso tra il Pergola e la Banca, visto negli effetti che esso produce, anche in mancanza di apposita convenzione, tra garante e debitore principale. La precisazione fin qui fatta di situazioni concrete e di concetti giurid~ci giova alla soluzione della questione, proposta col secondo motivo del ricorso principale e richiamata anche nel ricoorso incidentale, circa l'asserito errore della Corte di merito, che avrebbe dato all'imposizione un fondamento diverso da quello stabilito nell'ingiunzione fiscale ed applicato una diversa tassazione, ritenendo di restare nel limite del riesame del titolo giuridico posto a base della tassazione. :L"ale censura infondata, perch l'ingiunzione opposta basa la richiesta di imposta suppletiva di registro cncernente la sentenza n. 2915 del 1960 del Tribunale di Milano sull'asserzione che nella sentenza contenuta enunciazione di lettera fideiussoria e la Corte d'appello ha respinto l'opposizione, avendo ritenuto sussistente nella sentenza registrata l'enunciazione di fideiussione assunta verso la Banca e documentata da lettera diretta alla Banca creditrice; sicch non sussiste la diversit di prospettazione del fatto generatore d'imposta, essendo rimasto identico l'atto-negozio sottoposto a tassazione ed identico anche il mezzo tipico di conoscenza legale che di tale atto ha . PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1157 . PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1157 avuto l'Ufficio (enunciazione) e, di conseguenza, la contestazione. si pone ancora oggi sul piano dell'inquadramento giuridico del cennato unico fatto generatore d'imposta: operazione giuridica che il giudice verifica anche d'ufficio, col pieno potere di applicare al caso concreto la norma giuridica che deve regolarlo. Ci posto, pu apparire anche superfluo il riferimento alle ripe~ tute affermazioni giurisprudenziali, le quali hanno stabilito che l'Amministrazione finanziaria quale convenuta nel giudizio di opposizione ad ingiunzione fiscale, pu legittimamente opporre, al fine di giustificare l'imposta che forma oggetto dell'imposizione, motivi giuridici diversi da quelli addotti e fatti valere in sede tributaria (Cass. 8 gennaio 1968, n. 38) e nella specie l'Amministrazione, fin con la .comparsa di risposta in primo grado, dedusse che trattavasi di tassazione relativa a convenzione scritta di fideiussione, in applicazione dell'art. 62 1. reg. di guisa che, se vi fosse stata acquisizione di un diverso .tftolo giuridico, essa sarebbe stata effetto di domanda riconvenzionale ravvisabile nella cennata deduzione dell'Amministrazione. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 30 ottobre 1969, n. 3586 -Pres. Pece -Est. Sposato -P. M. Toro (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Coronas) c. Soc. Saviat (avv. Uckmar). Procedimento civile -N~tiftcazioni -Notificazione alla persona giuridica -Consegna nel luogo indicato in una dichiarazione del destinatario corrispondente alla sede effettiva della societ -E regolare. (c.p.c. art. 145; e.e. art. 46, 47 e 2436). Imposte e tasse in genere -Imposte indirette -Prescrizione -Consolidazione del criterio di tassazione. (r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 140 e 141). Legittimamente l'att!o di citazione viene notificato ad una persona giuridica nel luogo indicato in una sua precedente dichiarazione (e nella persona in essa designata come rappresentante) corrispondente alla effettiva sede sociale, se pur diversa da quella risultante dal registro detle societd (1). (1-2) La prima massima, che investe un problema generale. di diritto processuale, ha una particolare importanza anche nel procedimento tributario. Deve acogliersi con molto favore l'orientamento non formalistico che ritiene valida la notifica degli atti nel luogo indicato dal destinatario di essi anche se non corrispondente alla sede della societ risultante dal registro (o alla residenza anagrafica). Col superamento della solidariet tributaria processuale, il problema delle notificazioni si ingigantisce e si - 1158 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Con ii decorso del triennio la possibilit di revisione del titolo della tassazione si prescrive sia per la Finanza che per il contribuente e la verificatasi consolidazione, di ostacolo a. far valere i diritti che presuppongono la modificazione del titolo. La notifica di un supplemento inerente ad errore sulla determinazione della base imponibile (nella specie se l'imposta dovesse commisurarsi sui proventi lordi o netti) non consente al contribuente di rimettere in discussione la qualificazione dell'atto (neLla specie concessione di pubblico servizio o autorizzazione amministrat.iva) (2). (Omissis). -La ricorrente Amministrazione delle Finanze <'l;enuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 136 e 137 l.o.r. 2935, e 2944 e.e. e contraddittoriet di motivazione nella sentenza impugnata. Deduce che questa -avendo esattamente ritenuto come gi prescritta l'azione della societ per chiedere la restituzione delle imposte pagate -avrebbe dovuto ritenere preclusa alla contribuente anche la possibilit di contestare il titolo in base al quale le imposte erano state pagate, e di Conseguenza, la possibilit di contestare il pagamento dell'imposta suppletiva applicata sulla base del medesimo titolo (qualificazione dell'atto come concessione di pubblico servizio) non pi contestabile per la verificatasi prescrizione. La SAVIAT denuncia, con .il primo mezzo del suo ricorso incidentale, la violazione dell'art. 145 C.p.c.. Assume che, a norma del terzo giungerebbe a situazioni assurde se non si applicasse l'ultimo comma dell'art. 9 del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645 nel senso che il domicilio dichiarato, che deve essere indicato da tutti i contribuenti (persone fisiche e giuridiche) 'in atti, contratti, denunce e dichiarazioni, sia vincolante per il dichiarante anche se difforme da quello ufficiale. Per alcuni profili del problema cfr. la nota di C. BAFILE, Considerazioni sulla notifica delle impugnazioni dell'Amministrazione Finanziaria nel processo tributario, in questa Rassegna, 1969, I, 127). Esattamente con la seconda massima si ritenuto che non di ostacolo alla consolidazione del criterio di tassazione l'intervenuto supplemento che, ferma restando la qualificazione giuridica data all'atto, abbia sollevato un pi limitato problema (nella specie se l'aliquota dovesse commisurarsi ai proventi netti o a quelli lordi). A tale riguardo va precisato che in nessun caso la prescrizione interrotta dalla Finanza giova al contribuente, cosicch la richiesta di supplemento non pu consentirgli, oltre il triennio, di ampliare la controversia al di l dell'oggetto del supplemento; al contrario per la Finanza sia l'interruzione da essa provocata sia quella proveniente dal contribuente consentono di rimettere in discussione tutta la materia tassabile. Pertanto se, come nel caso deciso, dopo la registrazione dell'atto intervenuto un supplemento di oggetto limitato, la consolidazione del criterio di tassazione si verifica a danno del contribuente ma non a danno della Finanza (c'fr. C. BAFILE, Considerazioni sull'interruzione della prescrizione delle imposte indirette, in questa Rassegna, 1969, I, 281). PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1159 comma di tale articolo, la notificazione alle persone giuridiche in luogo diverso dalla loro sede ed in mani di persone diverse da quelle indicate nel primo conima, pu essere eseguita soltanto nel caso che sia stato impossibile -e tale impossibilit risulti dalle previe e vane ricerche dell'ufficiale giudiziario -eseguirla a norma del detto primo comma, a nulla, al'uopo, rilevando, che la persona giuridica abbia eletto un domicilio speciale. Con il secondo motivo la SAVIAT denunzia la violazione degli artt. 46 e 47 e 2436 e.e. ed omessa motivazione, sul punto, della sentenza impugnata sostenendo che domicilio speciale quello che viene eletto per determinati atti ed affari, per cui una elezione del genere non pu ravvisarsi nella generica comunicazione fatta con la lettera del 22 novembre 1958. Al contrario l'indirizzo comunicato con la detta lettera ed annotato nel registro delle imprese, doveva essere chsiderato come quello della nuova sede sociale di essa ricorrente; donde la nullit della notificazione stante l'omessa previa ricerca, da parte dell'ufficiale giudiziario, delle persone indicate dal primo comma dell'art. 145 c.p.c., nell'ordine ivi stabilito. La violazione deJrart. 141 I.o.r. denunziata dalla SAVIAT con il terzo motivo, con il quale assume che il ricorso del 2 ottobre 1947, ancorch enunciante la sola opposizione all'ingiunzione di pagamento della imposta suppletiva, atto interruttivo della prescrizione anche dell'azione per la restituzione dell'imposta principale. Tali essendo le censure che da una parte e dall'altra vengono formulate contro la denunziata sentenza, ovvio che, prine fra tutte debbano essere esaminate quelle esposte nel primo e nel secondo motivo del ricorso incidentale, posto che, se esse fossero fondate l'Amministrazione delle Finanze sarebbe decaduta dal diritto di proporre l'azione davanti al giudice ordinario e nessuna pretesa -neppur quella fondata sui principi dell'unit dell'imposta di registro e del consolidamento del criterio di tassazione -essa potrebb.e far vlere in giudizio. Ma le dette due censure, fondate non sono. Se, infatti, non a torto, la SAVIAT sostiene che nella pi volte ricordata lettera del 22 settembre 1958 non ravvisabile una elezione di domicilio speciale -stante che in essa non vengono indicati atti o affari determinati per i quali l'elezione debba valere, n esistono altri elementi atti a stabilire che l'elezione medesima sia stata compiuta proprio in vista del futuro giudizio contro lAmministrazione delle Finanze davanti al giudice ordinario -d'altra parte la stessa SAVIAT ammette che l'indirizzo comunicato con quella lett.era ed annotato nel registro delle imprese, corrispondeva alla nuova sede sociale. Ma se cosi , ed anche soltanto ad ammettere he, non essendo il mutamento di sede avvenuto in maniera formalmente regolare, l'indirizzo designasse la sede effettiva della societ con le conseguenze di cui all'art. 46, secondo comma, e.e. 1160 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO la notificazione deve considerarsi eseguita proprio nel luogo indicato dall'art. 145 c.p.c. N esatto che, pur eseguita la notificazione nel detto luogo, non sarebbe stato osservato l'ordine delle persone fisiche che il primo comma del citato art. 145 abilita a ricevere la copia dell'atto. Giusta tale ordine la copia deve essere consegnata, indifferentemente, al rappresentante della persona giuridica o alla persona incaricata di ricevere le notificazioni e, nel caso che l'uno o l'altro manchino, ad altra persona addetta alla sede. Nella specie non ragionevolmente opinabile che, indicando nell'indirizzo, da essa comunicato al Tribunale, la persona del Rag. Giuliani, non intendesse designare costui come persona incaricata di ricevere, insieme con la corrispondenza, anche le notifiche degli atti giudiziari alla societ, e che, indicando come sede sociale l'abitazione dello stesso Rag. Giuliani, eguale desigriazione non intendesse fare anche per le persone, capaci, della famiglia del ragioniere. Pertanto, mancando della fondatezza del primo motivo i presupposti di fatto, ed alla censura svolta nel secondo motivo, ogni rilevanza ai fini del decidere, l'uno e l'altro motivo debbono essere disattesi. Passando a trattare le questioni di diritto sostanziale, prospettate dalle ricorrenti, da osservare che la tesi sost~~uta nel ricorso principale, fondata. Il rilievo della Corte d'appello -che la prescrizione non ha gli stessi effetti del giudicato, giacch, se questo preclude, fra le parti, ogni ulteriore controversia non soltanto sul bene attribuito dalla sentenza, ma anche sui presupposti necessari dell'attribuzione, la prescrizione, invece, all'infuori del diritto che n' colpito, non ne estingue altri che abbiano con quello comunanza di fatti costitutivi - in s, esatto. Nella materia di che trattasi, per, positive norme della l.o.r. sottopongono alla prescrizione triennale decorrente dalla data della registrazione, non solo i diritti che possono conseguire dalla modifica del titolo tassabile -il diritto del contribuente alla restituzione in tutto, o in parte, dell'imposta pagata, o quello 'di non pa~are il supplemento, o il diritto della Finanza al supplemento -ma lo stesso diritto alla detta modifica. Difatti. il primo comma (che stabilisce la prescrizione dell'azione del contribuente per la restituzione delle imposte pagate) ed il secondo comma dell'art. 136 I.o.r. (che stabilisce la prescrizione dell'azione della Finanza per richiedere i supplementi d'imposta) debbono essere intesi in coordinazione fra loro ed in coordinazione con l'art. 7 della stessa legge, che definisce come suppletive le imposte .che si applicano quando l'Ufficio del registro sia incorso, al momento della registrazione, in errore tanto sulla quantit dell'imposta dovuta, quanto sui titoli tassabili risultanti dall'atto o dalla denunzia. Passati, pertanto, i tre anni dalla registrazione, la Finanza non pu pi chiedere verun supplemento, neppure se l'identificazione del .. . I !B7W:;mP7J01F'.I!lifffilf%'.fP4'7"{?77fJf"'!7lf:'00!;'Yl%7'T"D;"77ff.f%Xf;%[:1':1.iii2f'.74'i!J:J PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1161 titolo tassabile risulti erronea. Ci significa che, con il decorso di quei tre anni, la possibilit di revisione del titolo prescritta e che esso, rmai consolidatosi, di ostacolo a far valere diritti che presuppon gano la sua modificazione. Che questo, poi, valga non soltanto nei con fronti della Finanza, ma anche nei confronti del contribuente, non solo ~ogicamente ovvio, ma anche desumibile dal secondo comma del l'art. 137 della stessa legge, secondo il quale il diritto alla restituzione della maggiore imposta pagata alla registrazione dei contratti a corri spettivo variabile si prescrive entro un triennio dal giorno in cui venne accertato il valore definitivo. La maggiore imposta naturalmente quella che tale risulti in rapporto al valore definitivamente accertato, ed quindi, da escludere che il diritto alla restituzione, di cui parla la norma, possa essere esercitato in base aJ. presupposto dell'erronea identificazione del titolo tassabile: che, pertanto, decorso il triennio dalla registrazione, rimane intangibilmente fissato anche per i contratti a corrispettivo variabile e, quindi, a maggior ragione, per tutti gli altri atti e contratti, la cui registrazione, a differenza di quelli, pu conseguire un'immediata definitivit sotto tutti gli aspetti. Del resto la SAVIAT non nega che la tesi della Finanza sia, in s stessa . esatta, ma ne contesta !l'applicabilit nella specie, assumendo eh~ il criterio di tassazione non venne da essa contestato per la prima volta con la memoria del 15 febbraio 1956 e che, se con tale memoria venne ampliato il petitum dell'originario ricorso del 2 ottobre 1947 -essendosi chiesto, con essa, oltre che l'annullamento del supplemento d'imposta, anche la restituzione dell'imposta principale -la causa petendi, comune alle due domande, cio l'erronea determinazione del titolo tassabile, non poteva non essere stata dedotta nel ricorso originario. Assume, inoltre, che lo stesso Ufficio del registro, nel richiedere il supplemento d'imposta, aveva modificato il criterio originario della tassazoine, sicch la contestazione della legittimit dell'ingiunzione, si risolveva in quella del titolo in base al quale l'ingiunzione era stata i.ntimata. Tali rilievi, che la SAVIAT espone nel controricorso ed ai quali si richiama con il terzo motivo del ricorso incidentale, non aderiscono alla fattispecie accertata nel giudizio di merito. L'ingiunzione venne intimata perch -come in essa esplicitamente si diceva -l'imposta era stata, all'atto della registrazione, erroneamente calcolata soltanto sulla quota di spettanza della societ, sicch con il ricorso del 2 ottobre 1947 con il quale la SAVIAT dichiarava, puramente e semplicemente, di voler ricorrere e contro l'ingiunzione di pagamento tassa suppletiva , non venne per nulla contestato che l'atto, soggetto alla registrazione, costituisse una concessione di pubblico servizio, cio l'atto in relazione al quale, per l'appunto, !;Ufficio del registro assu~ meva che dovesse pagarsi una maggiore imposta. Che se poi la SA RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO VIAT, come pare, intende sostenere di avere impugnato anche il criterio di tassazione in base al quale le venne richiesta l'imposta supple~ tiva, non perch il contratto soggetto alla registrazione fosse stato ritenuto come una concessione di pubblico servizio, ma perch l'imposta veniva, con l'ingiunzione, applicata in misura pi ampia che in sede di registrazione, neppure codesto assunto -a parte la questione se esso sia fondato e se fondata sia la contestazione contro l'applicazione dell'imposta su tutti i proventi della casa da gioco, una volta stabilito che si trattava di una conessione di servizio pubblico -pu essere preso in considerazione. Invero, la statuizione del giudice di merito, secondo la quale il criterio di tassazione non venne per nulla impugnato con l'originario ricorso della SAVIAT, ma fu da essa impugnato soltanto con la memoria del 1956 e soltanto per il motivo che sarebbe stato erroneamente considerato come atto di concessione di un pubblico servizio quello che, secondo la societ, era, invece, un semplice negozio autorizzativo, scaturisce da apprezzamenti di fatto che, correttamente motivati -in base all'interpretazione del contenuto e della portata dell'ingiunzione, del ricorso e della memoria -non sono censurabili in cassazione. Ci posto, il ricorso dell'Amministrazione delle Finanze deve accogliersi ed, in sede di rinvio, della legittimit dell'ingiunzione di pagamento dell'imposta suppletiva dovr giudicarsi secondo il pirincipio del consolidamento del titolo della tassazione non impugnato nel triennio decorrente dalla data della registrazione. L'accoglimento del ricorso principale comporta il rigetto del terzo motivo del ricorso incidentale. Difatti, una volta posto che con il ricorso del 1947 non venne impugnato il criterio di tassazione, non pu considerarsi interrotta da tale ricorso la prescrizione del diritto alla restituzione dell'imposta principale in base alla pretesa erroneit dell'applicazione di quel criterio al momento della registrazione. ( Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 30 ottobre 1969, n. 3597 -Pres. Stella Richter -Est. Mazzacane -P. M. Pascalino (conf.) -Soc. Macchine Ing. Colorni (avv. Scarpa) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Coronas). Imposte e tasse in genere -Circolari ministeriali -Valore -Riconoscimento del diritto del contribuente -Impossibilit. Le circolari ministeriali sono atti interni della P. A. destinati unicamente ad indirizzare o regolare in modo uniforme le attivit degli organi inferiori e non hanno alcuna efficacia giuridica nei confronti PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDl!:NZA TRIBUTARIA 1163 di soggetti estranei neppure ai fini deWinterpretazione di noTme di PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDl!:NZA TRIBUTARIA 1163 di soggetti estranei neppure ai fini deWinterpretazione di noTme di legge; le circolari quindi, anche per la loro impersonalit, non possono mai cO!/nportare un riconoscimento del diritto del contribuente (1) . .. (Omissis). -Con l'unico mezzo proposto la Soc. Colorni denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 2944 e.e. in relazione all'arti. colo 2946 e.e., ed all'art. 360, n. 3, c.p.c., nonch insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata, in relazione all'art. 360, n. 5, c.p.c. Essa sostiene che la circolare n. 52 del 24 ottobre 1961 non mirava solo ad informare gli uffici dipendenti e gli operatori economici quanto alla applicazione della legge per l'avvenire, ma riconosceva anche il diritto della soc. Colorni alla restituzione poich essa aveva -chiarito che in passato si era proceduto ad una tassazione per un imponibile superiore a quello dovuto ed aveva specificato quale era tale imponibile, con riferimento a dati chiaramente indicati in ogni bolletta doganale. Aggiunge la ricorrente che la Corte del merito ha omesso di considerare che l'Amministrazione, in identiche circostanze, avev~ riconosciuto ad essa il diritto al rimborso della imposta corrisposta in misura superiore a quella dovuta. La censura infondata. Le circolari ministeriali sono atti interni della Pubblica Amministrazione destinati unicamente ad indirizzare o regolare in modo uniforme la attivit degli organi inferiori, e non hanno alcuna efficacia giuridica nei confronti dei sogg~tti estranei alla Pubblica Amininistrazione, neppure ai fini della interpretazione di determinare norme di legge. La Corte del merito ha quindi correttamente escluso, in consj.derazione della natura giuridica delle circolari predette, che la circolare ministeriale n..52 del 24 ottobre 1961 potesse avere rilevanza ai fini della invocata interruzione della prescrizione, spiegando che la comunicazione di essa anche a persone estranee alla Amministrazione aveva il liinitato scopo di informare del suo contenuto (interpretazione di una norma di legge) gli operatori economici del settore. La Corte, poi, lia esaminato il contenuto della circolare ed ha negato, uniformandosi ad esatti principi giuridici, che essa contenesse un atto di riconoscimento del diritto della societ Colorni. Invero, la dichiarazione di riconoscimento del debito, ai fini della interruzione (1) Massima da condividere pienamente. La circolare, sia per la sua natura, sia per l'indisponibilit del credito di imposta, non pu n vincolare la Finanza ad una determinata interpretazione della norma n contenere rinunce o riconoscimenti nei confronti di un contribuente, allo stesso modo in cui non pu inasprire a danno del contribuente l'obbiettivit della norma tributaria (v. Relazione Avv. Stato, 1961-65, II, 281). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO della prescrizione, pu avvenire non S:?lo nei confronti del titolare di un diritto ma anche nei confronti di un terzo, e pu estrinsecarsi tanto in una dichiarazione esplicita quanto in qualsiasi altro fatto che implichi, comunque, in modo chiaro ed univoco, l'ammissione della esistenza del diritto. Orbene, la Corte del merito, esaminando analiticamente il contenuto della menzionata circolare, ha escluso, con accertamento di fatto sottratto al sindacato di legittimit perch congrua- mente motivato ed immune da vizi logico-giuridici, la sussistenza dei menzionati requisiti, rilevando che dalla circolare stessa non risultava, n la identificazione del creditore, n l'ammontare del credito, nei suoi elementi specifici. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. i, 30 ottobre 1969, n. 3598 -Pres. Pece -Est. Pascasio -P. M. Gentile (diff.) -Bottazzi (avv. Canegallo) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Gargiulo). Imposta di successione -Deduzione di passivit -Atti di data certa Necessit. (r.d. 30 dicemqre 1923, n. 3270, art. 45). Poich agli effetti del secondo comma dell'art. 45 della legge sulle successioni, la prova delle passivit pu esser data solo mediante atti che abbiano acquistato data certa anteriormente ati'apertura della successione, non censurabile la sentenza che non abbia preso in alcuna considerazione atti mancanti di tale certezza (1). (Omissis). -Con i due motivi che, per la loro connessione, vanno congiuntamente esaminati, i ricorrenti censurano la sentenza denunciando la violazione dell'art. 45, comma secondo, della legge 30 dicembre 1923, n. 3270, per avere esclusa la deducibilit della somma di L. 20.302.920, quale saldo passivo del conto corrente bancario intestato al defunto, negando che fosse stata fornita la prova dell'esistenza di un contratto in esecuzione del quale erano avvenuti l'emissione ed il pagamento dell'assegno, mentre tale prova risultava dalla lettera del Credito Italiano in data 11 novembre 1954, prodotta in giudizio, mediante la quale l'Istituto aveva disposto a favore del Bottazzi -di poi defunto -una provvista .di 20 milioni di lire, utilizzabile in conto corrente. (1) Massima di evidente esattezza (cfr. Cass. 22 marzo 1967, n. 652 in questa Rassegna, 1967, I, 460 con nota di M. CoNTI, Le passivit e gli oneri aziendali nelt'imposta di successione). PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1165 La Corte di merito ha omesso di prendere in esame tale lettera che costituiva il contratto di apertura di credito in base al quale si era formata 'la passivit a debito del defunto, mediante l'assegno an zidetto, da lui emesso in vita. La censura di omesso esame dei documenti indicati, per quanto esatta, non ha rilevanza ai fini di una decisione diversa da quella adottata dai primi giudici. Statuisce infatti il citato art. 45, secondo comma, della legge tri butaria sulle successioni, che sono ammessi in deduzione i soli debiti certi e liquidi nascenti da scritture private che abbiano acquistato data certa anteriormente all'apertura della successione in uno dei modi indicati dall'art. 1327 e.e. 1865 (art.~ 2704 e.e. vigente) ,con esclu sione della morte o della fisica impossibilit del sottoscrittore. Oppone l'Amministrazione finanziaria-' e nulla i ricorrenti hanno dedotto in contrario -che le scritture di cui si addebita l'omesso esame ai giudici del merito, non avevano acquistato in alcuno dei modi predetti, quella certezza di data come innanzi prescritta e senza la quale non pu ad esse attribuirsi l'effetto preteso. E, poich frustra probatur quod probatum non relevat, mani I festo che l'esame di una siffatta prova documentale, se pur fosse so I stanzialmente favorevole agli eredi Bottazzi, non potrebbe, in mancanza I dell'altro requisito formale della certezza di data tassativamente riI I chiesto dalla legge, consentire la deduzione del debito di cui trattasi dal I l valore dell'asse ereditario. I Pertanto, la Corte d'appello non incorsa nella denunciata violal zione-della norma del citato art. 45 e poich i documenti prodotti dai l I ricorrenti sono privi del predetto, essenziale requisito relativo alla ! l certezza della data, il ricorso deve essere respinto incorrendo i ricor l renti nella perdita del deposito. -(Omissis). !l f CORTE DI CASSAZIONE. Sez. I, 11 novembre 1969, n. 3670 -Pres. Stella Richter -Est. Berarducci -P. M. Cacdoppoli (conf.) -Ministero delle Finanze' (avv. Stato Salvatori) c. Soc. Saim (avvocato Gaeta). Imposte e tasse in genere -Imposte dirette -Dichiarazione a sana toria dei redditi degli anni anteriori al 1950 -Facilitazioni -Si estendono anche ai redditi da dichiarare quale sostituto d'imposta. (1. 11 gennaio 1951, n. 25, art. 33). Le facilitazioni previste daU'art. 33 della legge 11 gennaio 1951, n. 25, per le dichiarazioni a sanatoria dei redditi degli anni 1949 e 1166 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO precedenti, 1iferite a tutti i contribuenti, si applicano sia per i redditi propri del dichiarante sia per quelli altrui per i quali il dichiarante per legge sostituto di imposta agli effetti dell'accertamento e del pagamento (1). (Omissis). -Con l'unico motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata per avere ritenuto che le particolari e transitorie agevolazioni previste dall'art. 33 della legge 11 gennaio 1951, n. 25, si applichino ai contribuenti non solo per le dichiarazioni di redditi propri, ma anche per le dichiarazioni di redditi altrui, sui quali essi siano tenuti, in forza di disposizioni di legge, a pagare l'imposta. in luogo degli effettivi percettori; con diritto di rivalsa. Si assume che fa formulazione letterale della norma dell'art. 33 sopra citato, indicando, come oggetto della dichiarazione costituente il presupposto delle agevolazioni, i redditi conseguiti tale da escludere, dall'ambito di applicazione della norma stessa, l'ipotesi del contribuente che dichiari i redditi altrui, in quanto l'espressione redditi Conseguiti ha lo stesso significato dell'espressione redditi propri usata nell'art. 15 t.u. 24 agosto 1877 n. 4021 in contrappostizione ai redditi altrui. Si afferma che non possibile neppure una interpretazione estensiva della norma in questione, mancando, in relazione al caso del contribuente che dichiari redditi altrui, la eadem ratio in quanto detta norma volta ad eliminare con un provvedimento di carattere generale, tutte le contestazioni pendenti sulla entit del reddito, contestazioni le quali non potevano interessare i contribuenti per rivalsa, obbligati al pagamento dell'imposta in luogo di altri e non in proprio, e non erano neppure ipotizzabili con riferimento all'ammontare del reddito imponibile relativo agli interessi passivi pagati dal dichiarante su obbligazioni da lui emesse, essendo in tal caso, l'ammontare del reddito assolutamente certo.. Il motivo infondato. Devesi, innanzi tutto, rammentare che, in tema di interpretazione delle leggi, il significato tecnico-giuridico delle locuzioni adoperate in una determinata norma e, quindi, il precis contenuto di questa, non possono essere colti se non inquadrando la norma stessa nel contesto della legge in cui inserita. Nel caso specifico , pertanto, di fondamentale rilevanza il fatto che la legge n. 25 del 1951 una legge avente carattere generale, nel senso che essa, ai fini della perequazione tributaria, disciplina la ma \ (1) Identica la coeva sentenza n. 3671. Non si rinvengono precedenti specifici. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1167 teria della dichiarazione e dell'accertamento di tutti i redditi soggetti alle imposte dirette, ivi compresi, ovviamente, anche quei redditi soggetti all'imposta di ricchezza mobile per i quali l'obbligo di farne la denuncia e di pagare la relativa imposta ricade, non sul reddituario, ma sul soggetto debitore del reddito stesso. Inquadrata, quindi, la norma' in questione in tale legge, la prima osservazione che si impone che la norma stessa non contiene alcuna specificazione in ordine ai contribuenti in essa menzionati. Essa, infatti, non specifica se i contribuenti cui viene concesso -con la esenzione da ogni penalit e con il beneficio previsto dal secondo comma dello stesso articolo -la facolt di dichiarare i redditi non dichiarati in precedenza, e di rettificare in aumento i redditi dichiarati o confermati 'col silenzio, siano unicamente i contribuenti tenuti alla dichiarazione dei redditi e non anche i contribuenti tenuti, oltre che alla dichiarazione dei redditi propri, anche alla dichiarazione dei redditi altrui. Ci significa che il termine contribuenti stato adoperato in armonia con il carattere generale della legge in Cui la norma 'collocata, con riferimento pertanto, a tutti i contribuenti considerati dalla legge medesima presa nel suo complesso, ossia anche ai cntribuenti tenuti alla dichiarazione dei redditi altrui, -con la conseguenza che la successiva locuzione redditi conseguiti riferita ai contribuenti tenuti alla dichiarazione anche dei redditi altrui, oltre che ai contribuenti tenuti alla dichiarazione dei soli redditi propri, non ha, non pu avere il significato ristretto di e redditi propri del dichiarante o di redditi conseguiti dal dichiarante , come pretende la ricorrente, ma ha il solo significa~o che la logica consente attribuirle, cio il significato di redditi conseguiti dal soggetto pas,sivo della imposta . Questa interpretazione confortata, peraltro, dalla ratio della norma che, volta a stimolare, per il conseguimento della perequazione tributaria, quei contribuenti che avevano omesso la dovuta dichiarazione dei redditi, o avevano presentato una dichiarazione non veritiera, a regolarizzare entro un determinato termine la propria situazione tributaria, impedisce, in difetto di un qualsiasi particolare motivo, di ritenere che dalla previsione della norma stessa si siano volute escludere le irregolari situazioni tributarie aventi ad oggetto i redditi tassati per rivalsa. A questa ingiustificata conclusione, infatti, si perverrebbe seguendo la tesi della ricorrente, in quanto non devesi dimenticare che alla data della pubblicazione della legge n. 25 del 1951, l'obbligo della dichiarazione dei redditi tassabili in via di rivalsa, non essendo mai entrato in vigore il d.l.l. 24 agosto 1945, n. 585, che all'art. 14 poneva l'obbligo della dichiarazione di tali redditi a carico anche del percipiente, oltre che del debitore del reddito, e non sussistendo ancora il t.u. sulla dichiarazione annuale dei redditi, approvato 13 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO con d.P.R. del 5 luglio 1951, n. 573, che nell'art. 5 ha recepito la norma dell'art. 14 del detto decreto legislativo luogotenenziale, gravava unicamente, per effetto dell'art. 15 del t.u. 24 agosto 1877, n. 4021, sul debitore del reddito, ossia sul sostituto di imposta. Posto, dunque, che la norma in questione si riferisce anche ai contribuenti tenuti, per legge, a dichiarare i redditi altrui, ne conse:gue l'assoluta inconsistenza dell'assunto della ricorrente, secondo cui l'applicazione dell'anzidetta norma nei confronti del contribuente per rivalsa sarebbe in contrasto con la ratio di essa in quanto detto dichiarante sarebbe privo di interesse nei confronti delle contestazioni tributarie che riguardano il soggetto passivo dell'imposta. Giova, d'altra parte, aggiungere che non neppure esatto che il sostituto di imposta non sia interessato all'accertamento dell'imposta che egli deve pagare in sostituzione del soggetto passivo dell'imposta medesima. Basta infatti ricordare che il sostituto di imposta prende il posto del soggetto passivo nell'intero rapporto tributario ed , pertanto, obbligato a compiere tutti gli atti relativi all'accertamento del- l'imposta, con la conseguenza che ove egli non adempia tale obbligo, pu essere ritenuto responsabile nei confronti del sostituito. Del pari inconsistente , poi, la tesi secondo cui il beneficio in questione inapplicabile nel caso in cui l'oggetto della dichiarazione sia costituito 'da un reddito il cui ammontare, essendo certo, come nel caso degli interessi pagati da una societ commerciale sulle obbligazioni da essa emesse, non pu dar luogo ad alcuna contestazione. La norma del primo comma dell'art. 33 in oggetto, che quella nel caso applicabile, inteso come si gi detto, a stimolare, ai fini del conseguimento della perequazione tributaria, i contribuenti i quali non avevano presentato la dovuta dichiarazione dei redditi o avevano presentato una dichiarazione non veritiera, a regolarizzare la propria situazione tributaria, presuppone unicamente l'omessa presentazione della dichiarazione prescritta dalla legge, o la presentazione di una dichiarazione non veritiera, e quindi, prescinde completamente alla contestabilit, o meno, dell'ammontare dei redditi oggetto della dichiarazione. N giova, infine, opporre che l'applicazione del beneficio in questione al sostituto di imposta si risolverebbe in un ingiustificato regalo del fsco ad un soggetto del rapporto tributario che paga imposte per conto di altri e che sugli altri si rivale di tale pagamento. Non si considera, infatti, che proprio per effetto del diritto a rivalsa, il soggetto che, in definitiva, gode del beneficio, il sostituito e non il sostituto d'imposta, presupponendo l'azione di rivalsa, che compete a quest'ultimo, l'effettivo p~gamento del tributo. Il ricorso va, pertanto, rigettato, con le conseguenze di legge. ( Omissis). PARTE I, SEz, V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA CORTE DI CASSAZIONE, Sez.. I, 14 novembre 1969, n. 3706 -Pres. Favara -Est. Miele -P. M. Del Grosso (conf.) -Salomone (avv. Vicentini e Ivaldi) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Gargiulo). Imposta di registro -Societ -Trasferimento di quote di societ a re sponsabilit limitata -Tassa fissa ex art. 108 della tariffa ali. A Pa,g1:1:tn,ento contestuale del prezzo -Necessit -Nozione. (i'.d/3 dicembr l.923, n. 3269, tariffa ali. A art. 18; 1. 6 agosto 1954, n. 603, art. 36). La usa fiS'sa di cui ali'art. 36 della legge 6 agosto 1954, n. 603, clie htt sostituito l'art. 108 della tariffa all. A della legge di regiS'tro, ... . ............. ... .. .. . . ~ ':f'l>l>~Ca alle Mg9~iazi<>ni di azi<>ni ed obbligazioni di societd. nazionali ed .ei'tre solo quando il pagamento del corrispettivo della ces~ i<;ine .uon regime delle acque -e avvenimenti recenti ne costituiscono la tragica riprova -a datare dall'abrogata legge 20 giugno 1877, n. 3917 dll'attuale disciplina di cui al r.d. 30 dicembre 1923, n. 3267 e relativo regolamento di cui al r.d. 16 maggio 1926, n. 1126, il legislatore pose in essere l'istituto del vincolo sui terreni, dapprima definito come vincolo forestale, cd attualmente come idrogeologico. Quest'ultimo, con visione pi ampia ed unitaria rispetto al primo, per il perseguimento dei fini sopra indicati (vedasi art. 1 legge forestale) pone in essere, a carico dei predi vincolati, delle limitazioni attinenti alla trasformazione dei boschi e dei terreni saldi, alle modalit del governo dei medesimi, all'utilizzazione dei cespugli, al dissodamento dei terreni saldi, alla messa a cultura in genere dei predi (artt. 7, 8, 9) (ved. A. SANDULLI, Enciclopedia giuridica, vol. V, p. 617, voce Boschi). Peraltro la concreta e minuta disciplina dell'istituto, veniva demandata a regolamenti da emettersi a cura dell'Autorit Provinciale, pi adatta all'apprezzamento delle situazioni ambientali -dapprima dei Comitati Forestali e in seguito, con d.1.1. 21 settembre 1944, n. 315 delle Camere di Commercio, Industria e Agricoltura, territorialmente competenti - (ve PAR'.l'E I, SEZ. VII, GIURISPRUDENZA PENALE 1195 dansi altresi gli articoli 19, 20, 41, 43, 44 del r.d. 16 maggio 1926, n. 1126, che costituisce il regolamento della legge forestale del 1923). Le prescrizioni di massima, da emanarsi con le modalit di cui all'articolo 10, comma 1 venivano completate da norme di polizia forestale poste a tutela della loro osservanza (art. 10, comma 2), onde ai ridetti organi periferici veniva attribuita altres la potest di porre in essere veri e propri precetti penali, con previsione di reati contravvenzidnali, col limite, in termini di sanzione, di cui all'art. 650 c.p. (art. 11). In definitiva, tali illeciti perseguivano un interesse squisitamente amministrativo si caratterizzavano per una funzione preventiva e, quindi, conservativa della situazione prediale, che prescindeva in genere dall'esistenza di un danno (vedasi l'art. 19 del Regolamento della legge forestale). Fondamentale in materia appare la pronunzia della Corte Costituzionale del 17 marzo 1966, n. 26, investita dall'esame degli artt. 8, 9, 10, 1 della legge forestale, per dedotto contrasto con gli artt. 3, 25, 70 della Costituzione. La Corte ritenne che unicamente l'art. 11 della legge, e non anche gli altri denunciati, violasse un precetto costituzionale (art. 25, comma 2 della Costituzione). Invero, tale norma della Carta costituzionale che pone in essere il principio della riserva legislativa nella materia penale, trovava, secondo la pronunzia in esame, retta e puntuale applicazione nel mentovato art. 11 della legge, limitatamente alla parte precettiva. .. La Corte cio, conformente all'indirizzo adottato in altre pronunzie, ritenne che l'area della potest normativa rimessa alle prescrizioni di mas1> ima ricevesse dalla legge forestale e dall'art. 19 del Regolamento sufficinte specificazione in quanto veniva a risultare circoscritta e delimitata nelle finalit e nel contenuto. Pertanto, poich i poteri attribuiti all'Autorit Amm.va periferica (le Camere di Commercio) apparivano tutt'altro che arbitrari, m si presentavano puntualmente ed adeguatamente finalizzati, doveva consi'lierarsi sostanzialmente osservata la riserva legislativa di cui all'art. 25, comma 2 della Costituzione. Ci per solo, come si detto, per quanto atteneva allo aspetto precettivo della normativa, ma non anche a quello sanzionatorio, in quanto il principio costituzionale della legalit della pena () da interpretare pi rigorosamente, nel senso che essa esige che sia soltanto la legge (o un atto equiparato) dello Stato a stabilire con quale misura debba essere repressa la trasgressione dei precetti che vede sanzionati penalmente . Pertanto, era da considerarsi incostituzionale l'art. 11 della legge fore stale, in quanto demandava alle norme locali di polizia forestale emanate dalle Camere di Commercio di stabilire a propria scelta, non importa se entro limiti" tassativi, indicati col:). riferimento a un precetto generale altrimenti applicabile) le sanzioni penali da comminare ai trasgressori (riserva .di legge assoluta). (Vedasi sul punto: MERUSI F., Sanzioni per i trasgressori delle norme di polizia forestale, in Riv. dir. agr., 1968, I, 543). Poich, quindi, veniva a determinarsi in materia, a seguito di tale pronunzia, una situazione carenziale, il legislatore intervenne, sanando la acuna con la legge n. 950 del 1967, in virt della quale per la violazione delle norme di polizia forestale di cui all'art. 10 del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3267 si comminava la sanzione amministrativa del pagamento di una somma fissa o variabile secondo i casi. Si rilevi che altri provvedimenti legislativi si sono ispirati, in quest'ul timo temoo, al criterio della depenalizzazione di norme penali. (Vedansi gli artt. 5 e seguenti della legge 3 maggio 1967, n. 3171 in tema di circo 1196 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO lazone stradale; gli ratt. 5 e 6 del d. I. 17 marzo 1967, n. 211 in materia di prodotti ortofrutticoli). Va ora fatto un cenno ai cos detti reati forestali ., la cui disciplina dato cogliere negli artt. da 24 a 38 della legge forestale. I caratteri differenziali di questi, dagli illeciti di cui si dianzi discorso, sono costituiti dal fatto che hanno a loro oggetto azioni produttive di danno e perseguono interessi di carattere generale attinenti alla tutela dell'intera collettivit (e non meramente amministrativi come i primi). La minuta disamina della normativa conferma l'interpretazione superiormente data. Sono soggetti attivi di tali reati sia i proprietari, amministratori o possessori dei predi soggetti a vincolo, per i quali, attesa la loro posizione nei confronti della realit, vengono comminati inasprimenti nelle sanzioni; sia i terzi in genere che, con la loro attivit criminosa, versino negli illeciti in parola. L'elemento materiale presuppone pur sempre la mancata osservanza delle prescrizioni di massima emanate dall'Autorit competente, con in pi l'elemento specifico caratterizzante, rappresentato dal p;regiudizio concreto arrecato alle cose, vuoi perch siano stati effettuati lavori non consentiti di dissodamento o di cultura, vuoi perch le piante siano state tagliate o danneggiate -o siano stati comunque arrecati danni di vario tipo merc attivit specificamente vietate. La sanzione costituita, secondo i casi o da ammenda (vedasi l'art. 24} o da pena pecuniaria (vedasi art. 26) che, ai sensi dell'art. 7 ultimo comma delle disposizioni di coordinamento e transitorie al Codice Penale, ha an- ch'essa natura di ammenda. Tale principio peraltro ribadito dall'art. 34 della legge che sancisce, nel caso di mancato pagamento di essa, la commutazione nell'arresto, a seconda del suo ammontare. Per una pi completa visione del sistema, si aggiunge che, nella ma teria in esame, stato ritenuto: a) che l'art. 29 della Legge Forestale, nel rimettere alla stima degli agenti forestali la valutazione del danno che costituisce la base per la determinazione della penalit, non si rimette alla loro discrezionalit, ma. a mezzo del Regolamento approvato con r.d. del 1926, n. 1126, ne fissa i criteri di guida per la quantificazione (Cass. pen., 25 giugno 1963, in Giust.. pen., 1964, II, 464). Il giudice pertanto, anche nel far propri i risultati dei tecnici,, recepisce dalla legge i principi per l'individuazione della pena (Cass. pen., 6 ottobre 1967, in Cass. pen. mass., 1968, p. 1023); b) che, nei limiti di valore consentiti (vedansi artt. 35 e 36 della.. legge), il procedimento relativo ai reati forestali costituito dalla fase amministrativa nel corso della quale si pu conciliare la pendenza, ed. inoltre, in via successiva ed eventuale, decorso tale termine, costituito dalla fase processuale. Peraltro, il mancato rispetto della fase amministra tiva non costituisce condizione di procedibilit (Cass. pen., 23 ottobre 1963~ Cass. pen., Mass., 1964, 728; Cass. pen., 6 aprile 1966, Cass. pen., Mass.,. 1967, 471). L'escursus che precede dovrebbe consentire un pi agevole colloca- mento della legge di depenalizzazione nell'ambito del sistema. $i nutre viva perplessit sull'esattezza del principio, accolto dal Su-premo Collegio con sentenza deUa III Sezione Penale 1~ maggio 1968 (ve- dasi Giust. Pen., 1969, parte II, 157), e ribadito con la pronunzia che si annota, ancorch in via del tutto implicita e senza la completa motivazione che dato leggere nella prima. j!!!! 0M@MWf@i@Mff@HHHH'.@1Mff@{@f@f@ffHiliif@M@iHf@NM@@Hf@@WMEf@1f%EI!If1f%%WWfHffIT@mnrnt:wHrnmill=~ - PARTE I, SEZ. VII, GIURISPRUDENZA PENALE 1197 Pare c10e che, pur dopo l'entrata in vigore della legge n. 950/1967, i reati forestali non si siano trasformati in illeciti amministrativi, ma continuino ad avere natura di fattispecie penalmente rilevanti. Confortano tale opinione considerazioni di ordine sistematico. La sede della loro disciplina non invero riscontrabile nei regolamenti di cui all'art. 10 del r .d. del 1923, n. 3267 . La configurazione dei reati forestali si ricava invece dagli artt. da 24 in poi della legge forestale in tutta la loro completezza. Questi ultimi disposti di legge hanno rilievo di norme incriminatrici o penali, che rinviano ai regolamenti delle Camere di Commercio unicamente per recepire la specificazione delle prescrizioni singole, la mancata osservanza delle quali si pone come premessa del danno ar:recato ai predi; e sono comprensive altresi della corrispondente sanzione in relazione ai diversi tipi di illecito. Le norme di polizia forestale, in contrario, mutuano dalla legge forestale soltanto i criteri direttivi o di massima, alla cui realizzazione sono poi preordinati i noti regolamenti. Questi quindi, nel dettare la disciplina concreta delle prescrizioni, assumono il rilievo di norme incriminatrici o di primo grado in quanto configurano tali illeciti nella loro interezza (vedasi ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, parte generale, p. 32). A parte quindi la gi rilevata difformit strutturale ed ontologica tra i due tipi di infrazioni, si ritiene che la portata delle disposizioni depenalizzatrici, giusta la dizione adoperata dal legislatore, investa soltanto le norme di polizia che ripetono dai regol;:imenti la loro disciplina e non anche i reati forestali, che, come si visto, hanno altra sedes materiae. Soccorre, peraltro, a favore della tesi qui sostenuta il criterio pi strettamente interpretativo. La legge di depenalizzazione pi volte citata fa esclusivo riferimento alle norme di polizia, ma ignora i reati forestali. Il ritenere che essa abbia disciplinato funditus ed in modo organico l'intera materia sanzionatoria in esame, abrogando quindi le previsioni di cui agli artt. 26 e 28 quali fattispecie penalmente rilevanti, presuppone ovviamente un'interpretazione del pensiero del legislatore che va oltre la lettera da lui adoperata. peraltro all'accoglimento dell'interpretazione estensiva, nel senso ritenuto dal Supremo Collegio nella pronunzia che si annota, osta la basilare considerazione che, malgrado il susseguirsi di disposizioni legislative, inspirate a nuovi criteri informatori, una disposizione continua a dispiegare tutta la sua efficacia, a meno che: 1) o sia espressamente abrogata; 2) o le sue norme siano in palese ed evidente contrasto con le norme sopravvenute (Cass., 28 luglio 1962, n. 2230). Ora, a parte il fatto che la prima ipotesi. non ricorre, non pare che -attesa la chiarezza del dettato legislativo (art. 12 delle preleggi comma primo) -si possa de plano, attribuire alla legge del 1967, in esame, una chiara volont di ampliamento della regolamentazione innovatrice anche ad ipotesi delittuose, di natura diversa che non risultano espresse, o in verun modo richiamate, come per i reati forestali. N deve trarre in errore la particolarit del sistema sanzionatorio approntato dalla legge del 1967, che, nella sua variet, prevede anche la corresponsione di somme proporzionali al numero di piante abbattute 0 di animali abusivamente immessi a pascolare su terreni vincolati. Trattasi di un espediente di politica retributiva che mira a graduare il sacrificio pecuniario, entro certi limiti, al rilievo del fatto commesso, ma che non attenta o comunque altera le linee degli istituti come delineati. 1198 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Si voluto cio, in alcuni casi, rafforzare una tutela la cui importanza era resa palese da avvenimenti che colpivano l'intera collettivit. In definitiva, segnatamente nella materia esaminata, in cui le singole norme costituiscono regole di un sistema peculiare e specifico, a struttura logico-unitaria; deve di necessit darsi alle parole il significato accolto dal sistema medesimo. Prescinderne equivale alterare le linee portanti di una costruzione giuridica ben delineata, per perseguire la ricerca di una pretesa volont contraria del legislatore che trova smentita nel testo normativo da interpretare. Si pu concludere che con la legge n. 950 del 1967 si creato un sistema di sanzioni amministrative, particolare per le modalit con cui esse vengono comminate, in accordo col carattere dei precetti cui si riferiscono e degli interessi tutelati. L'obietto giuridico , per, del tutto dissimile dagli interessi pubblici di carattere generale tutelati dalle norme sui re.ati forestali. Nulla pare quindi innovato rispetto alle disposizioni che non siano collegate agli artt. 10 e 11 della legge forestale. Tre ordini di disposizioni autonome e diverse possono quindi trovare applicazione : 1) quelle del codice penale, allorquando vengano commessi reati comuni. Si abbiano presenti le ipotesi delittuose di cui agli artt. 449 (delitti colposi di danno); 624 (furto); 632 (deviazione di acque e modificazione dello stato dei luoghi); 633 (invasione di edifici); 635 (danneggiamento); 636 (introduzione o abbandono di animali nel fondo altrui e pascolo abusivo); 637 (ingresso abusivo nel fondo altrui) ecc.; 2) le norme relative ai reati forestali, dettate a tutela di interessi .generali, che sopra si sono esaminate (artt. 24 e seguenti legge forestale); 3) le disposizioni che riguardano la violazione delle prescrizioni di massima e di polizia. Queste non hanno carattere penale, ma costituiscono illeciti ammini strativi -sottratti al potere decisionale del giudice -e comportano, come conseguenza, solo l'obbligo di corrispondere una somma di denaro. Non sono suscettibili di essere assorbite dalle sanzioni penali ma con- corrono necessariamente con esse. Peraltro le fattispecie criminose di cui sub 1) e 2) possono, secondo i casi, concorrere ai sensi dell'art. 28, o assorbirsi giusta il disposto dell'art. 30 della legge medesima, in conformit dei principi generali di diritto penale (vedansi gli artt. 15 e 81 parte I c.p.). Uno stesso comportamento umano pu trovare perci definizione giuridica in relazione a tre diversi tipi di illecito con i correlati autonomi ordini di sanzione, che vanno applicati distintamente. L. SICONOLFI CORTE DI CASSAZIONE, Sez. IV, 3 .giugno 1969, n. 1772 -Pres. leardi -Rel. Nucci -P. M. M.acucci (conf.) -Rie. De Bonis e Cusimano (avv. Stato Petroni). Cosa giudicata -Efficacia del giudicato per uno dei coimputati nei confronti degli altri -Divieto del bis in idem -Limiti di tale divieto -Riesame della responsabilit del coimputato assolto con l ;.:i . , f' l ?J ' " m ;. f li.i . r.3 ' f:.i; 1:~ I ~:: 1::: I :: . ' ~ ~ NfNiff@11EFfEWf:%fffilffilf:WWff!@Wffff:f%WfBWffffffffF@iiffiP'tf::fffF'@Tf1%fff@ff:MWWflliffrrt&EWffffillfiMiFWf4HMlJ PARTE I, SEZ. VII, GIURISPRUDENZA PENALE 1199 sentenza irrevocabile - ammesso ai fini di rivalutare le responsabilit degli altri. Anche quando si formato il giudicato di assoluzione nei confronti di uno dei coimputati, ben pu il giudice, nel prnsieguo della azione penale nei confronti degli altri, riesaminare libramente l'intera fattispecie allo scopo di accertare l'esatta misura della responsabilit dei prevenuti; infatti la preclusione di cui aU'art. 90 c.p.p. non opera in modo assoluto ed universale, ma. agisce solo nei confronti di colui verso il quale si verificata la 'consunzione dell'actio (1). (Omissis). ~ Col 10 motivo si sostiene violazione, da parte della sentenza denunciata, dell'art. 546 c.p.p., per non essersi il giudice di rinvio uniformato alla sentenza di questa Corte, per quanto riguarda la questione di diritto con essa decisa. Col 2 motivo si deduce, di conseguenza, violazione altresi dell'articolo 90 c.p.p., in quanto si trattava di riesaminare la condotta del Cirasegna solo nei confronti dei 2 coimputati. I due motivi, per la loro connessione, possono venire trattati congiuntamente. Entrambi sono fondati. La Corte di rinvio, ritenendo che, come sopra, si era formato il giudicato sul negato nesso causale del fatto del Cirasegna con l'evento, (1) Appunti intorno al divieto del bis in idem e all'efficacia riflessa del giudicato penale. La Corte di Cassazione, con la sentenza che si annota, ha ribadito, in conformit con un orientamento giurisprudenziale che pu ormai dirsi pacifico (1), che il formarsi del giudicato nei confronti di un coimputato non impedisce al giudice di riesaminare l'intera fattispecie allo scopo di enuclearne gli elementi idonei a condurre ad una esatta valutazione delle responsabilit degli altri coimputati, nei confronti dei quali sia ancora in fase di svolgimento l'azione penale; in questa libera rivalutazione dei fatti e, quindi, delle responsabilit, il giudice pu anche pervenire a soluzioni contraddittorie rispetto alle enunciazioni del giudicato formatosi, senza (1 Cfr., tra le molte, Cass.. S. U., 19 giugno 1957, Riv. it. dir. proc. pen., 1958, 200, con nota di E. Dosr; Cass. 6 febbraio 1967, Giust. Pen. 1967, III, 735; Cass. 30 ottobre 1957, ivi 1958, II. 697; Cass. 17 gennaio 1958, Riv. Pen. 1958, II, 619; Casa. 4 aprile 1952, ivi 1952, 499; Cass. 16 aprile 1956, Arch. Pen. 1957, II, 312; Cass. 2 aprile 1965, Giust. Pen. 1965, III, 590 m. 686; Cass. 7 giugno 1965, ivi 1966, III, 93; Cass. 26 gennaio 1954, Arch. pen., 1954, II, 538, dove si legge che e ... l'assoluzione definitiva consuma l'azione pe;nale nei confronti della persona chiamata in giudizio, ma... il riesame di quanto specificamente dedotto contro costui non successivamente precluso, salvo eccezioni particolari, in occasione del procedimento da svolgersi a carico di altre persone, alle quali siano contestati gli stessi fatti, o addirittura fatti, come nel caso de quo, meramente concorrenti 15 1200 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO considerato come derivante unicamente dalla deviazione intempestiva sulla destra, fatta dall'autocarro militare in sorpasso a distanza irregolare, ha concluso che, di conseguenza, non poteva in nessun senso pi venir Tiesaminata la condotta del medesimo, sotto qualsiasi profilo. Trattasi di argomentazioni del tutto viziate, e in nuce. Ritenuto invero, dalla prima sentenza della Corte di appello, gi annullata, che non costituivano elemento di colpa a carico del Ciras. egna, le circostanze addebitate al medesimo, ed esaminate con con ' peraltro che a tale libert sia di ostacolo la norma contenuta nell'art. 90 c.p.p. (ne bis in idem). L'enunciazione pu essere senz'altro condivisa, giaccl;l la preclusione ex re iudicata in ordine ad un determinato fatto opera, ex art. 90 cit., solo quoad eandem personam; n pu in contrario obiettarsi che, in tal modo, possono venire ad esistere dei giudicati contraddittori, sia perch l'inconveniente previsto dall'ordinamento, il quale predispone specifici rimedi contro tale eventualit (cfr., ad esempio, l'art. 544 n. 1) (2), sia perch il trionfo della verit materiale un bene pi importante dell'eventuale menzionato conflitto. I limiti soggettivi della preclusione risultano chiaramente enunciati nella norma in esame, onde non possono essere sollevati seri dubbi circa la validit del ricordato orientamento, a meno che non si voglia negare, in linea di principio, la possibilit del formarsi del giudicato parziale, cio del giudicato relativo ad uno soltanto dei coimputati (3): tale negazione del giudicato parziale, peraltro, non avrebbe pregio, come risulta evidente sol che si consideri che in un medesimo procedimento possono ben coesistere vari rapporti processuali, ognuno dei quali pu avere uno sviluppo ed una sorte propria, e diversa rispetto a quella degli altri; non affatto anormale quindi che la sentenza, la quale definisce uno dei singoli rapporti, possa diventare irrevocabile nei confronti del soggetto passivo del rapporto definito, mentre non lo diventi, ad esempio per interposto gravame, nei confronti del soggetto di uno dei rapporti non conclusi (4). Posto che l'imputato, condannato o prosciolto con sentenza divenuta irrevocabile, non pu essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto, viene da domandarsi se tale preclusione, che di regola, appunto, opera strettamente ad personam, influisca in qualche modo (2) Cfr. Lozzx G., Con-ftitti di giudicati e favor rei, Riv. it. dir. proc. pen. 1965, 1188, dove vengono illustrati i vari conflitti di giudicati in materia penale (conflitti teorici, pratici e teorico-pratici) con la descrizione dei vari rimedi previsti dalla legge per la risoluzione di essi. (3) Tra i negatori del giudicato parziale sembra essere il FRANcm;NA G., L'ostacolo del giudicato all'applicazione dell'art. 152 del codtce di procedura penale, Giust. pen., 1965, III, 272, quando osserva che nel giudizio penale, esclusa l'ipotesi espressamente prevista dell'annullamento parziale con rinvio, non si forma mai il giudicato parzialto, come risulta dalle norme che regolano l'impugnazione parziale nel processo cumulativo >. (4) Cfr. CoDAGNONE M., Appunti sull'effetto devolutivo dell'appello, Giust. pen., 1962, III, 457. PARTE I, SEZ. VII, GIURISPRUDENZA PENALE 1201 elusione a suo favore, da questo non poteva tuttavia derivare l'illazione, che le stesse circostanze, che la Corte di merito aveva poi essenzialmente fondato sulla situazione soggettiva del Cirasegn.a, p~ facendo parte del fatto complessivamente e poliedricamente ascritto anche al ricorrente, non potessero tuttavia, per la preclusione derivata dal giudicato, formatosi unicamente nei confronti del Cirasegna, essere comunque rivalutati, a favore o meno, nei riguardi dei due coimputati ricorrenti, e nei riflessi dei quali era rimasta in vita, ed in pieno svolgimento, ancora l'azione penale. anche nei riguardi di altri soggetti, siano questi stati o meno presenti, in veste di coimputati, nel processo Concluso con la detta condanna o proscioglimento. Il problema proposto si innesta nella pi vasta questione del valore della res iudicata (5): infatti, se si ritiene che il giudicato penale valga erga omnes (6), e cio anche nei confronti di quelle persone che non hanno I ottenuto dalla sentenza un giudizio definitivo, il giudice dei coimputati, I continuando l'azione penale nei loro confronti, dovr in ogni caso. tener I conto del giudicato gi formatosi e mai potr emettere una pronuncia che I ad esso sia contraddittoria: cos, ad esempio, se si formato il giudicato \ di assoluzione nei confronti di Tizio per insussistenza del fatto, non potr ! I f. (5) Sul punto della natura e degli effetti della cosa giudicata penale, anche in relazione a quella civile, cfr. DE LUCA G., I limiti soggettivi della cosa giudicata penale, Milano 1963; "GuARNERI G., AutOTit della cosa giudicata penale nel giudizio civile, Milano 1942, 244; GoLDSCHMIDT, Materielles Justzrecht, FeStgabe fur I Hubler, Berlin 1905, 124, il quale ritiene la res iudicata penale sostanzialmente diversa da quella civile; VANNINI, Manuale di diritto processuale, italiano, Milano 1953, 255. ! (6) Cfr., ad esempio, VANNINI, op. e !oc. cit.; Rocco ART., Trattato della cosa i giudicata .come causa di estinzione delt'azione penale, Modena 1900, I, 229; MANZINI, i I !Trattato di diritto processuale penale, Torino 1954, IV, 463. Naturalmente, gli Autori non mancano di indicare limiti ed eccezioni al detto principio dell'autorit assoluta del giudicato: per esempio VANNINI, cit., ritiene che tale valore universale ed assoluto si abbia soltanto nella ipotesi in cui l'imputato sia stato prosciolto, con sentenza passata in giudicato, con la formula della insussistenza del fatto... Ci evidente: la sentenza che proscioglie con tiile formula finisce con il costituire la dichiarazione giudiziale che nessuna persona ha potuto commettere il fatto, poich tale i fatto non sussiste . Altri ritengono l'efficacia assoluta del giudicato anche nelle 'ipotesi di assoluzione dell'imputato perch il fatto non provato o non costituisce reato: cfr. ALoisI, Manuale pratico di procedura penale, Milano 1933, IV, 522; SABA TINI G., Istituzioni di diritto processuale penale, Napoli 1933, 355; negano, invece, che l'efficacia assoluta del giudicato si determini anche nei riguardi delle sentenze di proscioglimento per insufficienza di prove, il MANZINI, L'art. 90 cod. proc. pen. e i concorrenti estranei al primo giudizio, Ann. dir. .e proc. pen., 1939, 998, e il BER NIERI, Il ne bis in idem e il requisito dell'eadem persona, ivi 1939, 1000. Tra i pi recenti, ANGIONI M., Nozione e limiti della cosa giud.icata penale, Riv. pen., 1964, I, 513, il quale ammette l'efficacia preclusiva erga omnes del giudicato di assoluzione per insussistenza del fatto,e di quello che dichiara estinto il reato per una causa obiettiva comune (per esempio: prescrizione), individuando il fondamento della preclusione nell'art. 554 n. 1 e nella giuridica inammissibilit di sentenze contrad I dittorie. i, ~ ! I ! i ~~4im'J!IW'F~~lliiii&iVIR&f~jljjjJJP'#Jl!'J~AfJ RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Tutto .ci ha importato una non giustificata estensione dell'art. 90 c.p.p., e dei suoi effetti, che vanno considerati soprattutto, anche nel campo del diritto penale, come int~r partes. E questa Corte, con perfetta aderenza ai suoi compiti giurisdizionali, si era soffermata nel vizio logico e sulla carenza della motivazione che, sotto questo aspetto, presentava la sentenza annullata in rapporto al grado di responsabilit dei ricorrenti, da considerare necessariamente anche in riflesso ail'azione e al fatto del Cirasegna, e con la piena libert che spettava al riesame, all'uopo, del giudice di merito, nei riguardi degli stessi, tanto il giudice condannare Caio per aver commesso quello stesso fatto. Al contrario, il giudice conserver tutti i suoi poteri giurisdizionali se si ritiene che il giudicato,formatosi nei confronti di Tizio, non la verit assoluta e indiscutibile, non l'opinione ufficiale e immutabile dell'ordinamento, ma rappresenta soltanto la conclusione dell'actio nei confronti di Tizio e pertanto, se pro veritate habenda est, lo solo e semplicemente nei confronti di lui (7). Non forse inutile ricordare come il principio della efficacia erga omnes della cosa giudicata in genere, e ~enale in specie, sia il frutto di concettualizzazioni non del tutto esatte sotto il profilo scientifico (8); certo che il valore logico della res iudicata (il sillogismo della sentenza, visto come strumento di affermazione della verit oggettiva) ancora oggi, spesso, domina e supera l'aspetta pratico del giudicato (9), conducendo gli Autori a soluzioni non sempre confortate dal diritto positivo. Cosi, a volte, viene trascurata l'esistenza di norme di legge le quali sono idonee a demolire le pi seducenti costruzioni logiche. Un simile equivoco si determinato anche in ordine alla questione che ci occupa, perch nel sistema del nostro (7) Nega l'efficacia erga omnes del giudicato, tra gli altri, il il BucoLo c., Sul giudicato penale, Giust. pen., 1963, III, 423, il quale ammette che il principio di efficacia erga omnes o non trova applicazione o va inteso in senso molto relativo>: cosi pure LEONE G., Istituzioni di diritto procesruale penale, Napoli 1965, II, 426 segg.; ONDEI E., Inesistenza dell'efficacia riff.essa dei giudicati penali 8'U altri giudizi penati, Giust. pen., 1949, III, 14, il quale ritiene che, ex art. 90 c.p.p., il giudicato penale non pu avere nessuna efficacia per impedire un ulteriore giudizio, su altre persone circa lo stesso fatto, o su altri fatti circa la stessa persona, qualunque sia il nesso tra questi e il fatto giudicato. Cfr. anche MARCONI-MARONGIU, La procedura penale italiana, I, 28; ADDAMIANO, Sulla inff.uenza del giudicato penale nel processo penale, Arch. pen., 1951, 169. Anche la giurisprudenza , ormai da decenni, orientata in tal senso: cfr., ad esempio, Cass. 18 febbraio 1937, Giust. pen., 1938, II, c. 110, dove si afferma che l'autorit del giudicato limitata all'oggetto ed ai soggetti del giudizio in cui la sentenza fu pronunziata, onde essa non pu valere in giudizi diversi: anche Trib. Venezia 21 giugno 1949, Arch. pen., 1950, II, 333. (8) Cfr., per tutti, DE LucA, I limiti soggettivi ecc., cit., il quale svolge una pregevole sintesi degli sviluppi di tali concettualizzazioni nella storia del pensiero giuridico, sia per quanto riguarda la res iudicata i,11 genere, sia per ci che attiene al giudicato penale in specie. (9) Cfr. DE LucA, op. cit.. proprio da questa affermazione del giudicato come valore logico, e come strumento di ricerca della verit assoluta, predominante sull'aspetto pratico del medesimo, che nasce la premessa per la dottrina dell'efficacia assoluta, e vincolante per tutto l'ordinamento, della cosa giudicata. 1203 PARTE I, SEZ. VII, GIURISPRUDENZA PENALE quoad poenann (perch non fu negato il minimo), quanto agli effetti civili, che non decadevano poi nei confronti del Cirasegna per la formula di assoluzione, punto su cui non il caso qui di soffermarsi. Dal diverso criterio adottato dalla sentenza impugnata, che ha inoltre nettamente distinto l'ipotesi che si fosse trattato di terzi non ~putati (anche quindi se fosse stata esclusa), ben potrebbe impor~ a legittimazione d.i un vizio in iudicando, il che del tutto al .. <].ell'intenzione del legislatore, nello stabilire la preclusione 1'\te una sola norma che possa sorreggere la tesi della ~:rsale del giudicato penale: tale costruzione ; ~t. 90, che riconduce chiaramente nei pi rigo ..Jsione nascente dal giudicato, nonch dall'arti iiunge ad addolcire la stessa preclusione sog ) rei. ..ddere che possa essere sostenuta l'efficacia erga ;nale, con le conseguenze che ne derivano in ordine .Alti di altre pel'SOne per il medesimo fatto, pure se a /'principio fossero invocati importanti elementi, quale il ,Jstico del processo penale o la conseguente necessit del di una verit oggettiva (res iudicata pro veritate habe /ne venisse individuata la giustificazione " nella struttura del ,Aale, nella funzione della giurisdizione penale e nel criterio Jre tra azione e sentenza penale (11), o infine in una forma .tdizialit che esisterebbe tra i due giudizi, enucleata attraverso una f1 interpretazione analogica dell'art. 18 c.p.p. (12). ,;;a realt che, nel sistema del diritto positivo vigente, il terzo .tpletamente insensibile di fronte al giudicato penale (13), anche se ,desto si forma nei confronti di un coimputato, in relazione al medesimo fatto sul quale si svolge il secondo giudizio: poich infatti promana da tutto il sistema che il processo penale non ha scopi gnoseologici ma essen zialmente pratici (14), si spiega la preminente importanza che rivestono alcuni principi, quale quello dell'accertamento della c.d. verit materiale, del libero convincimento del giudice etc., i quali ispirano ogni norma del procedimento e giustificano le molte deroghe che la legge positiva apporta ai rigori logici di qualsiasi costruzione scientifica. Cosi, in teoria, potrebbe {10) Cosi il MAZZINI, Diritto processuale penale italiano, Torino 1949, IV, 440, e Trattato di diritto penale italiano, Torino 1950, V, 842; Rocco ART., Trattato della cosa giudicata etc., cit., 229. {11) Cosi il SABATINI Gu., Istituzioni di diritto processuale penale, Napoli 1933, 355. {12) Cosi il FoscHINI, La p?"egiudizialitd nel processo penale, Milano 1942, 393; altri ancora affermano la pregiudizialit, con i vincoli che ne derivano, argomentando per analogia dall'art. 2Q3 c.p.p.: MAssA, L'effetto estensivo della impugnazione penale, Napoli 1955, 150; AL01s1, Manuale, cit., Milano 1952, IlI, 178. {13) Cosi, ad esempio, VENDITTI, Cosa giudicata penale; efficacia riff.essa in altri giudizi, Arch. rie. giur., 1950, 602; ONDEI, op. e loc. cit.; AnDAMIANO, op. e loc. cit. {14) Cosi si legge in Cass. 5 febbraio 1965, Giur. it., 1965, II, 305. 1204 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO processuale in oggetto, cos come si evince dalla lettera anche dello stesso art. 90 c.p.p. Questa Corte ha gi ripetutamente deciso che il detto art. 90 c.p.p. non applicabile al caso in cui, passata in giudicato la sentenza che nega la colpa di uno degli imputati, il coimputato chieda l'esclusione della propria responsabilit (o anche, come nella specie, l'attenuazione) per essere in_ colpa l'imputato assolto. Il coimputato conserva sempre l'imprescindibile diritto di vedere riesaminata la condotta del prosciolto in proiezione e nei riflessi di quella che pu essere invece la sua responsabilit, nel che il giudice adito non pu perdere la propria li- anche sostenersi che la res iudicata rappresenti l'accertamento universale della verit, la parola ufficiale dell'ordinamento in ordine ad un determinato rapporto; ma in pratica questa efficacia erga omnes della cosa giudicata cozza contro le menzionate esigenze presseologiche e di giustizia sostanziale, le quali tanto permeano il sistema del procedimento penale, da poter essere addirittura sussunte quali criteri ermeneutici, cio quali principi giuridici e metri di valutazione del sistema medesimo. La realt che non pu essere elaborato un concetto di res iudicata in via meramente teorica, costruendo quasi una platonica idealit assoluta e immutabile da riscop;rire a tutti i costi nei singoli sistemi positivi; a mio avviso, le istanze teoriche e le costruzioni logiche non hanno pregio -o al pi lo hanno come esercitazioni accademiche -se non tengono conto di quella che l'unica realt positiva: la norma giuridica; ed proprio questa 'a dimostrare come il processo penale sia ispirato a tutt'altri principi da quelli sui quali dovrebbe poggiare la costruzione del giudicato valido erga omnes: la ricerca della verit materiale (15), per esempio, quale strumento di tutela dei sacrosanti diritti dell'imputato e della sua libert, e la conseguente ngazione di ogni prova legale (16), dimostrano che, allo stato, il sistema processuale respinge una qualunque idea di giudicato valevole erga omnes (17), proprio perch questo: a) precluderebbe al giudice del secondo processo di formare il suo convincimento in piena (15) Cfr. ANGIONI M., Nozione e limiti della cosa giudicata penale, Riv. pen., 1964, I, 513. (16) Cfr. ANGIONI M., op. e !oc. cit. (17) Non mi pare, tuttavia, che detta efficacia universale del giudicato penale possa farsi discendere dalla pretesa irrilevanza del contenuto concreto della sentenza, cio dalla mancanza di un effetto dichiarativo della medesima, come sostiene il DE LucA; cit., 163. Analizza;ndo la norma di cui all'art. 90 c.p.p.p in relazione alla parallela norma di cui all'art. 2909 e.e., l'A. osserva che il primo articolo non parla di c05a giudicata, ma di irrevocabilit della sentenza, con ci discostandosi notevolmente dal concetto espresso nel secondo degli articoli citati; sempre a detta dell'A., la norma di cui all'art. 2909 e.e. ha riguardo all'accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato e dispone che tale accertamento fa stato ad ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa, laddove l'art. 90 c.p.p.p non farebbe alcuna menzione dell'accertamento contenuto nella sentenza : in tanto una sentenza pu fare stato erga omnes, in quanto rilevi il contenuto del suo accertamento, la sua statuizione e quindi la sua incidenza nell'ordine giuridico sostanziale; secondo l'A., nella sentenza penale mancherebbe ogni accertamento e sarebbe quindi e proprio l'indifferenza del contenuto della decisione rispetto al prodursi degli effetti del giudicato [ (:. H ![;o.,, I I ~~ F iliil!!f~JfiiWIA!i!!l!fi!fiWN&"Jf41!Wfl~Al!rf!W~41111!!iJiiiiil~f!Wl41!W#j r PARTE I, SEZ. VII, GIURISPRUDENZA PENALE 1205 bert di valutazione, pur considerando doverosamente quelle che furono le argomentazioni della motivazione della sentenza di proscioglimento. Espressamente questa Corte ha ancora ritenuto che in tal caso si esula dal principio del ne bis in idem, sul quale si impernia l'art. 90 e.p.p. in oggetto, ehe, si ripete, pone una .preclusione processuale valida inter partes, e solo di riflesso erga Ol/nnes. Va considerato anche che, per l'art. 545 c.p.p., la sentenza parzialmente annullata acquista autorit di cosa giudicata nelle parti che non hanno connessione essenziale con quella annullata. Da ci discende l'importante principio, che i I.imiti attribuiti all'annullamento al giudice libert; b) rappresenterebbe una forma di prova legale, cio di elemento precostituito, formatosi 'al di fuori e prima del processo nel quale influisce; e) postulerebbe una osmosi tra i due giudizi, tale da influenzare negativamente il diritto alla difesa e lo stesso favor rei; d) se il giudicato valesse erga omnes, dovrebbe ritenersi che l'accertamento di corresponsabilit a carico di un sog,getto non imputato vincoli il ,giudice nel processo a carico di che dimostra l'assurdit dell'efficacia erga omnes, salva l'ipotesi eccezionale di cui all'art. 203 c.p.p. (pag. 163). Mi pare che non sia questa la via esatta per giungere alla conclusione della indifferenza dei terzi in ordine alla sentenza irrevocabile : intanto, non esatto ritenere che la sentenza penale non contenga un accertamento, o che esso non sia preso in considerazione dall'art. 90 .c.p.p., perch in detta norma si parla di sentenza di condanna o di proscioglimento, quindi si considera anche il contenuto della decisione, il suo accertamento in ordine ad un certo fatto ed al rapporto processuale che intorno a questo si innesta: si potr dire, al massimo, che detto accertamento (di colpevolezza o di innocenza o di non punibilit, ecc.) e la conseguente statuizione (di condanna o di proscioglimento) ;non fa stato nei confronti degli eredi o aventi causa: ma ci dipende dalla natura personale del rapporto processuale, non da un carattere specifico della res iudicata n, tanto meno, dalla irrilevanza dell'accertamento ivi contenuto. Insomma, quello che distingue l'efficacia del giudicato penale rispetto agli effetti della res iudicata civile, non la mancanza o la irrilevanza dell'accertamento contenuto nel primo, ma il suo operare in un genere di rapporti, affatto diversi da quelli intorno ai quali opera il giudicato civile, dove sono in gioco interessi del tutto personali, la cui sorte incomunicabile. stato inoltre osservato che l'art. 90 non parla di cosa giudicata, ma di sentenza irrevocabile: concetti indubbiamente non coincidenti, perch, ad esempio, sentenza irrevocabile anche quella di proscioglimento per difetto di querela, che, pure, non contiene la res iudicata: cfr. GRIECO A., Osservazioni sul ne bis in idem., Giust. pen., 1953, III, 18. Da qui si dedotto {cfr. GRIECO, it.) che la legge non fa discendere la preclusione di cui all'art. 90 ex re iudicata, ma dalla irrevocabilit, il che comporterebbe conseguenze diverse da quelle che deriverebbero dalla esistenza di una preclusio ex re iudicata; occorrerebbe, quindi, secondo la detta dottrina, impostare il problema del divieto del bis in idem, sotto questo profilo, abbandonando la impostazione tradizionale. Non mi pare che questi rilievi siano risolutivi, perch lo stesso art. 90 a stabilire gli esatti limiti della preclusione, da un lato parlando di sentenza irrevocabile di condanna (la quale ha il carattere della res iudicata), dall'altro fissando tassativamente i casi in cui non opera la preclusione in virt di sentenza di proscioglimento (artt. 17, 89, 402). E allora, in sostanza, i limiti della preclusione llon derivano dalla irrevocabilit, ma proprio dal giudicato, perch la stessa norma a ribadire che in quei casi in cui si abbia la irrevocabilit, e non il giudicato (artt. 17, 89, 402). la preclusione non opera. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO cli rinvio hanno una diversa estensione nei casi di annullamento per violazione di legge, e in quelli invece per difetto di motivazione, ex art. 475 n. 3 c.p.p. In questo secondo caso invece, a differenza che nel primo, l'annullamento, nel ,campo in cui esso delimitato, travolge la valutazione dei fatti compiuti dalla sentenza cassata, e autorizza il giudice cli rinvio a un nuovo e pi completo riesame dei medesimi, cosi proiettati sotto il profilo particolare dell'influenza sulla responsabilit di altri coimputati. E ,2-uesto tanto pi in quanto, come gi ritenuto, il giudice di rinvio non ha mai alcuna facolt di sindacare o considerare nulla una sentenza costui, onde la seconda sentenza non dovrebbe far altro che dichiarare l'esistenza del giudicato e automaticamente infliggere la pena: cosi, grazie alla teoria del giudicato v>alevole erga omnes, si potrebbero avere dei giudizi contro taluno senza che l'interessato vi partecipi! (18). Quindi mi pare che questi elementi portino ad escludere la rilevanza del giudicato penale erga omnes e la sua incidenza su qualsiasi altro processo, anche svolto per il medesimo fatto; n si dimentichi che ogni valore giuridico relativo, nel senso che la medesima realt ontologica pu rilevare diversamente a seconda dell'angolo di visuale da cui viene considerata (un contratto , per esempio, negozio giuridico tra gli stipulanti, ma un fatto rispetto ad altri, ecc.), onde l'indagine e la valUtazione di una determinata fattispecie in ordine ad una certa imputazione , relativamente all'imputato, il presupposto della condanna o del proscioglimento, ma un semplice fatto storico rispetto agli estranei; quindi il gi avvenuto giudizio, su quel determinato fatto, vale, rispetto ad un diverso rapporto processuale, al pi come precedente storico, e la sua influenza si esaurisce tutta su di un piano meramente psicologico. In altri termini, l'accertamento -positivo o negativo -di un determinato fatto vale come presupposto della condanna o dell'assoluzione solo rispetto all'imputato, perch l'accertamento ha una vita ed un valore in relazione al rapporto processuale in cui si innesta; fuori di questo il detto accertamento non pi il presupposto della condanna o dell'assoluzione, ma . un mero fatto storico, che, giuridicamente, non vincola n il giudice, n il P.M. Pertanto, la norma di cui all'art. 90 c.p.p. non impedisce che il punto della sussistenza o meno dell'illecito venga riesaminato soltanto nei confronti di quelli, tra i prosciolti, che figurano soggetti passivi dell'impugnazione proposta dall'organo dell'accusa, o di quel condannato appellante che chieda il riesame della condotta del prosciolto al fine di dimostrare che (18) Quindi sono proprio i principi informatori del processo penale ad escludere la rilevanza erga omnes del giudicato : e tale considerazione appare tanto pi efficace, se si considera che i detti principi fondamentali sono stati accolti nel testo o almeno, nello spirito della Costituzione. Pu quindi ripetersi anche per il diritto positivo italiano quanto ha ritenuto per il proprio ordinamento la Corte Costituzionale della Repubblica Federale Germanica, con decisione del 18 dicembre 1953, n. 16, Entsch. des BVG, III, 249: e Il principio del ne bis in idem, sviluppato prima della entrata in vigore della Grundgesetz va interpretato anche alla luce del Grund (cfr. anche l'ordinanza di detta Corte Costituzionale in data 7 marzo 1968, n. 15, Foro it., 1968, IV, c. 100). PARTE I, SEZ. VII, GIURISPRUDENZA PENALE 1207 di annullamento, ma deve comunque uniformarsi alle direttive della stessa perch altrimenti usurperebbe le funzioni di quest'ultima. N sembra inutile poi ricordare, che ci che passa in giudicato nella sentenza penale il dispositivo, non la motivazione, anche se t;iuesta premessa imprescindibile del medesimo. Ed all'uopo pu ben rilevarsi, che nella specie il riesame della condotta del Cirasegna venne richiesto ben pi sul suo comportamento soggettivo, nel frangente che si era creato, che nella obbiettivit dei fatti materiali. Gi il principio cosi enunciato, fu consolidato e affermato dall'autorit delle S. U. presso questa Corte, (19-2-1957 Dosi) che afferma- questi, con la sua condotta, fu, ad esempio, l'unica causa dell'illecito (19): la sentenza irrevocabile estingue una sola azione penale (20), quella, appunto, relativa al rapporto giuridico concluso con la condanna o l'asso- luzione. Legittimamente stato, pertanto, deciso, in conformit dei detti principi, che l'accertamento giudiziale irrevocabile della partecipazione di due imputati al delitto di furto non autorizza, di per s, l'affermazione che terzo concorrente debba, perci solo, rispondere dell'aggravante di cui all'art. 625, n. 5 c.p. (21); che, ritenuto dai primi giudici che il fatto ascritto agli imputati costituisse un determinato reato e di conseguenza dichiarata l'amnistia, non precluso ai giudici di secondo grado, su appello del P.M. nei confronti di uno solo degli imputati, di valutare diversamente le prove nei limiti della contestazione e di pervenire ad una diversa qualificazione che escluda l'applicazione della causa estintiva del reato (22); che l'appello del P.M. contro taluno soltanto dei concorrenti in un reato, assolto perch il fatto non costituisce reato, pur avendo carattere oggettivo, non precluso dal passaggio in giudicato della pronuncia nei confronti dell'imputato assolto (23); che assolto uno dei coimputati con formula piena dall'accusa di omicidio, nulla vieta che il condannato appellante prospetti l'ipotesi di colpa concorrente od esclusiva dell'assolto (24); che (19) Cfr. Cass. 7 giugno 1965, Giust. pen., 1966, III, 93. (20) Si pu anche dire che la consunzione determinata dalla sentenza irrevocabile e non riguardi l'azione (che come potere delle parti verso il giudice non si estingue mai) ma la giurisdizione: l'art. 90 non dichiara estinta l'azione, cio il diritto mediante il quale si fa valere in giudizio la pretesa punitiva e nemmeno la pretesa punitiva, bensi il potere del giudice : Gnu:co A., Osservazioni ecc., cit., perch tale affermazione appare in fondo un modo diverso di dire la medesima cosa e comunque non provoca, almeno nella interPretazione del GnIEco, pratiche conseguenze in ordine al problema dei limiti dell'art. 90. Tale opinione andrebbe, invece, vagliata pi cautamente se portasse a conclusioni diverse da quelle cui si perviene alla luce della preclusione come consumazione dell'actio, cio come causa estintiva di questa (cfr. Rocco ART., Trattato detla cosa giudicata ecc., cit.). (21) Cass. 4 aprile 1952, cit.; Cass. 5 novembre 1952, Arch. pen., 1952, II, 224 e nonostante il parere nettamente discorde di tutta la dottrina: ANGIONI M., Nozione e limiti ecc., cit. (22) Cass. 7 giugno 1965, Giust. pen., 1966, III, 93. (23) Cass., S. U., 19 giugno 1957, cit. (24) Cass. 26 gennaio 1954, cit. 1208 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO rono il princ1p10 che la cosa giudicata ::penale non gi un effetto della sentenza, ma un carattere e modalit della stessa, e a prescindere dai limiti in cui esso giudicato pu articolare erga omnes, perch la sua irrevocabilit sempre limitata alla parte, nei cui confronti si formata:.. Limite che, processualmente e sostanzialmente, ben sussiste nella specie. nessuna preclusione a danno dell'imputato di calunnia deriva dalla sentenza che ha assolto con formula piena il calunniato (25): tutte esatte applicazioni del principio secondo il quale la preclusione ex re iudicata opera soltanto rispetto a colui che fu soggetto passivo del rapporto processuale conclusosi con la condanna o il proscioglimento (26). (25) Cosi stato ritenuto dalla Cassazione gi con la sentenza 18 febbraio 1937, cit. Il problema stato comunque particolarmente dibattuto; tra i fautori della preclusione nascente dall'assoluzione del calunniato con formula piena, a carico del processo contro il calunniatore, sono da ricordare, tra gli altri, VmorrA, Autorit del giudicato penale rispetto ai giudizio di calunnia, Arch. pen., 19IO, II, 336; LEoNE G., Lineamenti di diritto processuale penale, Napoli 1949, I, 121: ANGIONI M., Nozione e limiti ecc., cit.: naturalmente, i giudici del calunniatore conservano ogni libert in ordine alla valutazione dell'elemento psicologico. Ma la tesi inaccettabile, per quanto sopra accen.ato, perch in tal modo il giudizio contro il calunniatore si risolverebbe in una mera formalit: la sentenza non potrebbe fare altro che applicare la pena -salva sempre l'indagine circa il dolo -perch la precedente sentenza -emessa contro di lui e senza di lui -ha gi pronunciato la sua condanna. Contra, e cio per l'assenza di qualunque preclusione, tra gli altri, ADDAMIANO, Sulla. influenza del giudicato penale ecc., cit. e MAncONI-MARONGIU, La procedura penale ecc., cit. Del resto lo stesso art. 18 del codice, in tema di pregiudiziali penali a processi penali, s~ limita a, statuire che l'unica incidenza che pu avere il processo pregiudiziale su quello pregiudicato consiste nella determinazione del rinvio di quest'ultimo fino a che sia pronunciata la sentenza indicata nel primo capoverso dell'art. 3. Analogo problema sorto per il furto e la ricettazione, ed da ritenere che quanto si detto per il problema della calunnia pu valere anche per tale fattispecie: cfr. lo scritto del CARNELUTTI in Riv. di dir. proc. 1948, 10. (26) Perch operi la preclusione, occorre che il fatto sia il medesimo, n rileva che esso sia divers~nte considerato per il titolo, per il grado o per le circostanze. Secondo la communis opinio, il e fatto medesimo , di cui alla citata norma, solo la condotta, non anche l'evento, per cui la preclusione operebbe ogni volta in cui quella condotta, a parte i risultati, cio a parte l'evento, sia gi stata giudicata. Si sostiene, infatti, che e l'irrilevanza... sia della qualificazione giuridica del fatto in genere sia dell'evento in specie ( neppure se... diversamente considerato... per il grado ) giustifica questa risposta, Sicch n definitiva l'eadem res in penale costituita soltanto dalla condotta (azione od omissione) imputata e sulla quale si giudi cato : cfr. LEONE G., Istituzioni ecc., cit. 1965, 434; MANzmr, Trattato di diritto processuale penale, Torino 1956, IV, 455. Tale opinione, che trova un autorevole conforto nella Relazione al Re (n. 45), non accettata, a mio avviso esattamente, dalla giurisprudenza: ad esempio, cfr. Cass. 27 novembre 1958, Giust. pen., 1959, III, 338, m. 419; Cass. 15 ottobre 1959, ivi 1960, III, 173, m. 225; Cass. 23 ottobre 1961, ivi 1962, III, 386, m. 605; non manca, comunque, in dottrina, chi ripudia la communis PARTE I, SEZ. VII, GIURISPRUDENZA PENALE 1209 In particolare questa Corte ha poi ancora deciso, che, in tema di colpa (quale quello che afferisce nella specie) il giudice di rinvio pu sempre esaminare la questione del concorso di colpa del coimputato assolto, nei cui confronti la .sentenza di assoluzione sia gi passata in .giudicato, e ci in costanza dell'art. 548 c.p.p. nell'obbligo del giudice di :rinvio di uniformarsi alla decisione di annullamento, emessa in sede di legittimit e nei limiti posti dalla stessa. opinio: cfr. ANGIONI M., Nozione e limiti ecc., cit. 525: CANTAGALLI R., e Ne bts in idem e nozione di medesimo fatto, Giust. pen., 1964, III, 152. probabile che l'equivoco in cui cade la dottrina dominante nel ritenere che l'art. 90 intenda per medesimo e fatto solo la e condotta e non pure l'evento, si fondi su una inesatta nozione del concetto di e grado > : il grado del reato non l'evento, ma l'intensit dell'illecito, la sua maggiore o minore gravit (cfr. art. 133 c.p.), cio, come insegnava il CARRARA, Programma, Parte generale par. 128 e segg., il grado comprende tutti quegli elementi per i quali e la quantit astratta (del reato) rimane sempre la istessa, ma si modifica la quantit concreta del malefizio per una accidentale deficienza nei suoi elementi costitutivi... per cause psicologiche att4J,enti alla imputabilit del soggetto, come l'et, il sordomutismo, la pazzia, e... cause ideologiche, come l'ignoranza, l'errore... e i fenomeni di conato, delitto mancato... . Mi pare pregevole, in proposito, iosservazione del CANTAGALLI R., Ne bis in idem ecc. cit., il quale ricorda come tale opinione sia stata integralmente accolta nella formulazione dell'art. 435 del codice di procedura penale del 1913, il 'quale stato travasato nell'attuale art. 90. Il grado, perci, non l'evento, ma l'atteggiarsi concreto della condotta, in ordine a tutto quel complesso di elementi che la rendono pi o meno grave (es.: natura, specie, mezzi, oggetto, tempo, luogo, modalit dell'azione; gravit del danno o del pericolo cagionato; intensit del dolo o grad della colpa, ecc.) Cosi, ad esempio, l'evento della morte non pu considerarsi solo pi grave rispetto a quello delle lesioni: l'evento e morte > diverso dall'evento e lesioni ., anche perch, nel primo caso, offeso il bene della vita, mentre, nella seconda ipotesi, il bene della incolumit personale : contra, BucoLo C., Sul giudicato penale, Giust. pen., 1963, III, 423, e MANzmr, da lui cit.; parimenti, non mi pare esatto sostenere che e l'azione che va dalla percossa all'omicidio, dal danneggiamento alla devastazione, dagli atti contrari alla decenza agli atti osceni, dal sequestro di persona alla schiavit., dalla istigazione all'aborto al procurato aborto, resta unica ed assume un solo titolo di reato, pi o meno grave a seconda del grado in cui essa si ferma (BucoLo, op. e Zoe. cit.): qui si tratta di eventi diversi, quindi di fatti diversi, in ordine ai quali non opera la preclusione ex art. 90 c.p.p, Viceversa, medesimo il fatto, ma diverso il grado, nel delitto commesso per colpa grave rispetto a quello commesso per colpa lieve, o frigido pacatoque animo rispetto al dolo d'impeto, o per un movente in certo senso comprensibile (a parte l'attenuante di cui al l'art. 62 n. 1 c.p.), ecc. Ritengo quindi che l'espressione fatto venga assunta, nella predetta norma, nel suo significato comune, per designare l'elemento ma teriale del reato nei suoi tre momenti: condotta, evento, nesso di causalit fisica ,; : Cass. 9 aprile 1956, Giust. pen., ~956, III; 403, m. 368 e ANGIONI M., op. e Zoe. cit. Di conseguenza, il condannato per lesioni ben pu essere sottoposto a nuovo giu dizio per omicidio preterintenzionale; il prosciolto per difetto di querela dall'impu tazione di percosse ben pu essere sottoposto a nuovo processo se il soggetto pas sivo muore; chi stato assolto dall'imputazione di istigazione all'aborto ben pas sibile di giudizio per il procurato aborto, perch in questi e simili esempi, con la realizzazione dell'evento, si determina un fatto diverso, non una semplice modifi cazione del grado. A. PALATIELLO RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO La sentenza denunciata era ben facoltata a negare ancora, con corretta motivazione, la colpa concorsuale del Cirasegna, ma non a rifiutarsi all'indagine demandata sulla stessa. Ribadendo ancora il concetto, che nella specie la condotta del Cirasegna non era considerata da sola, ma connessa e conglobata con quella dei coimputati, in guisa da costituire parte distinta, se pure di un unico fatto, quanto sopra si inquadra nel principio ormai recepito, che la preclusione di cui all'art. 90 c.p.p. si fonda non gi sull'essenza della cosa giudicata, ma sulla irrevocabilit della stessa, nei riguardi delle persone, nei cui confronti vi stata la consunzione processuale, ma non agisce in modo assoluto ed esclusivo, ai fini della decisione nei riguardi di altri, coimputati o non coimputati che siano, e gli effetti dal giudicato si verificano solo nei confronti di eadem res et persona, per. cui l'azione penale ha trovato il suo epilogo nella regiudicata. Se di fronte al dispositivo della sentenza non sono possibili confronti di sorta, ben diversamente accade in rHlesso alle argomentazioni logiche che giustificano le manifestazioni di volont espressa nel primo, ma che possono benissimo essere rivalutate, completate o anche sostituite, ai fini della responsabilit penale non pi del soggetto, ma di altri. Va richiamata all'uopo ben utilmente una pi recente decisione di questa Corte (IV, 6 febbraio 1967, Campagnoli, G P 1967, IV, 735), per cui U giudice di appello pu, ,sulla sola impugnazione dell'imputato, altresi escludere il concorso di colpa di altro coimputato, ammesso dal 1 giudke, anche se l'altro non si era gravato, e sempre che resti ferma la specie e misura della pena gi irrogata dal 1 giudice. In conclusione, a torto nella specie la sentenza denw{ciata ha ritenuta preclusa, ai fini della ulteriore rivalutazione della entit della colpa dei due ricorrenti, ogni indagine in quello che poteva essere l'apporto e la colpa concorsuale del Cirasegna, perch il medesimo era stato assolto perch il fatto non costituisce reato. Se su questo punto si era formata la regiudicata, peraltro, lo era solo nei suoi confronti, e non agli effetti della correlazione, e quindi della precisa determinazione di quelle degli altri due, per i quali era ad ogni effetto ancora aperto il rapporto processuale di cognizione. La causa va perci rinviata ad altro giudice, che, limitatamente alla colpa concorrente del Cirasegna, la riesaminer al riguardo, e, ove la riconosca, ne determiner l'entit in termini matematici, da ripor tare nel dispositivo, data la presenza della parte civile di giudizio. (Omissis). PARTE I, SEZ. VII, GIURISPRUDl!:NZA PENALE 1211 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. VI, 8 luglio 196,9, n. 1637 -Pres. Rosso -Rel. Del Pozzo -P. M. Lenzi (conf.) -Rie. Dainotto ed altri. Procedimento penale -Nullit -Interrogatorio dell'imputato avanti al P. M., e mancata assistenza di legale abilitato alla professione forense -Nomina di ufficio -Difensore di fiducia. (c.p.p., artt. 128; 134; 389; 390; 185 n. 3; 412). Peculato -Elementi differenziatori dal reato di truffa aggravata Possesso giuridico del danaro -Pres. Cons. Amn. Fondo Speciale per usi di beneficenza e di religione della citt di Roma Decreto Ministero Interno che autorizza i pagamenti -Induzione in errore -Iter formativo di atto amministrativo complesso. (artt. 314; 640; 48 c.p.; legge 11 giugno 1873, n. 1402). Procedimento penale -Relazione fra accusa contestata e sentenza Mutamento essenziale e significativo del fatto -Diritto alla difesa. (c.p.p., art. 477). La nomina di un patrono non iscritto nelt'albo degli avvocati e procuratori produce nullit assoluta, se avviene su impulso di ufficio, non quando discende da iniziativa propria ed esclusiva deLl'imputato (1). Scoperta la carenza di un vaLido difensore, iZ giudice istruttore provvede a nominare un difensore di ufficio, senza interpellare previamente l'imputato, perch designi altro patrono di fiducia (2). (1) In senso conforme vedasi Cass. 24 ottopre 1951, in Giust. pen., 1952, P. III, p. 1158, massime 140-141; Cass. 20 febbraio 1957, PADOVAN, in Riv. pen., 1957, P. II, p. 355, sempre con riferimento a nullit assoluta, quando il difetto di un valido difensore sia imputabile a nomina del giudice. La sentenza Cass. 18 dicembre 1931, in Giust. pen., 1933, P. IV, p, 57, espressamente afferma che non pu opporre la nullit l'imputato che vi dava causa, avendo nominato un difensore sprovvisto dei requisiti richiesti dalla legge. Contra, vedasi LEONE, Trattato dir. proc. pen., vol. I, ed. 1961, p. 723 perch si tratta di un interesse che supera lo stretto ambito della parte, e tocca le radici del procedimento, dovendosi considerare l'esigenza di una permanente assistenza difensiva fissata nell'art. 189, n. 3, anche sotto l'aspetto della capacit tecnica della persona investita dell'ufficio di difensore. A quest'ultima opinione non sembra aderire Cass. 9 maggio 1966 (Mass. Cass. Penale annotato, 1967, p. 587, massima 890; e Giust. pen., 1967, P. III, p. 462, massima 364, ricorrente Quersi). (2) Non si rinvengono precedenti in termini, ma la massima appare conforme ai principi generali. Vedasi MANZINI, Dir. proc. pen., vol. II, ed. VI, p, 561, 576 segg., per generici riferimenti al riguardo. aU'autore mediato, si deve tener conto della qualit giuridica dell'autore materiale (indotto in errore), il quale, come Presidente del Consiglio di Amministrazione, partecipava all'iter dispositivo di pecunia, posseduta dal Consiglio di Amministrazione del Fondo Speciale per gli usi di Beneficenza e di religione della citt di Roma, insieme con il Ministero deU'interno (3). (3) Natura giuridica del Fondo Speciale per gli usi di beneftcienza e religione della citt di Roma. Sembra 0pportuno premettere che, in primo gredo, oltre il Ministero del Tesoro, chiese di costituirsi parte civile ap.che il Fondo .Speciale per usi di beneficenza e di religione della citt di Roma, in proprio, quale persona giuridica pubblica. Invece, il Tribunale Penale di Roma, con ordinanza dibattimentale 6 giugno 1966, ritenne che detto Fondo Speciale deve immedesimarsi con i:l Ministero dell'Interno -Direz. Gen. Fondo Culto, di cui costituirebbe mero organo amministrativo. Tale questione riflette le sue conseguenze giuridiche sui fatti costitutivi dell'attivit criminosa, per individuare il soggetto titolare del possesso della pecunia; la natura esterna (o meno) del visto del Ministero Interno, per erogazione dei sussidi deliberati dal Cons. Amm. Fondo Speciale; nomen iuris > di truffa (amnistiata), anzich di peculato ecc., come si chiarir in seguito. Nella sentenza Tribunale Penale di Roma 18 giugno 1966, si legge testualmente: Il Fondo venne istituito originariamente con legge 11 giugno 1873, n. 1402, che, nell'estendere alle provincie romane le leggi eversive dell'asse ecclesiastico, vigenti nelle regioni liberate prima di Roma, attribu al Fondo stesso la finalit di sopperire alle esigenze di beneficenza e di religione della citt di Roma. La destinazione di questo Fondo fu assunta tra i fini propri dello Stato, con la legge piemontese del 28 maggio 1855, n. 878, e con quella del 13 maggio 1871, n. 214. Pertanto, corretto ritenere che per effetto delle leggi eversive nella titolarit dei beni formanti il patrimonio dell'ente, debba escludersi che il Fondo in parola abbia potuto costituire, fino dalla ,sua origine, qualcosa di pi di una semplice azienda autonoma statale, con patrimonio vincolato da onere specifico. L'evoluzione legislativa del Fondo, e precisamente l'affidamento dell'amministrazione alla Dir. Gen. del Culto, posta prima alle dipendenze del Ministero di Grazia e Giustizia (r.d. 14 dicempre 1866, n. 3384), e quindi alle dipendenze del Ministero dell'Interno (r.d. 20' luglio 1932, n. 884); l'appartenenza degli impiegati del Fondo all'Amministrazione dello Stato (Ministero Interno), ai sensi dell'art. 2 legge 14 luglio 1887, n. 4728 e r;d.1. 18 settembre 1933, n. 1281; ed ancora la sottoposizione dei bilanci del Fondo all'approvazione del Parlamento, ai sensi dell'art. 20 legge 27 maggio 1929, n. 848; e l'inserimento dei bilanci stessi in un capitolo separato del bilancio dell'Amministrazione di Grazia e Giustizia prima, e dell'Interno poi; ed ir..fine l'applicabilit, nei confronti del Fondo, di tutte le disposizioni che regolano le Amministrazioni dello Stato (ai sensi della gi citata legge n. 848 del 1939), portano i giudici a concludere che il Fondo di Beneficenza e di Religione per la Citt di Roma costituisce un organo dell'Ammini~ strazione dell'Interno, dotato di autonomia patrimoniale. PARTE I, SEZ. VII, GIURISPRUDENZA PENALE 1213 Per il peculato, ii possesso deUa cosa deve essere un antecedente deZa condotta; se, invece, si ottiene l'impossessamento della cosa, come e Non ignora chi giudica che la do~trina divisa sull'argomento, in quanto. parte di essa condivide il pensiero riassunto dal Tribunale (IAcuzxo, Nuo'l)o Digesto, p. 515; PETRONCELJ:.I, Dir. Eccles . p. 163, anno 1961; CORAZZINI, pir. Ecci.~ P 36, anno 1929; PIGA, Dir. Ecci., p. 92, anno 1939; FALco, Dir. Ji1c'Cl., p>402; anno 1938), mentre altri studiosi tendono, per contro, a c<:>ruigurare ilFondo di Roma, come un ente dotato di propria personalit gi'~idica, sebbenesorretto. considerato, abbia previsto come spesa ordinaria la somma di lire 34.415.0o . In sen110 contrario alla tesi ora esposta del Tribunale Penale di Roma, si rappresenta che, nella Relazione Avvocatura Stato 1961-65, voi. III, 463.,.46.6, viene ritenuta pi fondata la dottrina che afferma la persistenza della personalit giuridica per il Fondo del Ctllto, in base a ragioni che sembrano militare anche in favore di una prsonalit giuridica pubblica, per il separato Fondo Speciale di Beneficenza e di Religione della citt di :Roma . .Quest'ultimo amministrato da un consiglio, composto di dieci membri cinque dei quali designati dall'autorit ecclesiastica ., cio in sostanza da. autorit statale straniera (Citt del Vaticano). Orbene, tale designazione appare inconciliabile con l'autonomta dello Stato Italiano, ove il Fondo Speciale sia considerato (secondo la tesi del Tribunale di Roma) un organo del Ministero dell'Interno, i cui membri evidentemente, in inea ;di principio, non possono eS$ere designati da autorit estranea all'Amministrazione Italiana. Tale particolarit Sfl!mbra offrir.e un argomento in pi a sostegno dello assunto, che il Fondo Speciale una per11ona giuridica pubblica (estranea alla Amm.ne statuale), pr il cui Consiglio di amm.ne risulta, invece, ammissibile una mera designazione (diversa dalla nomina), dell'autorit ecclesiastica, in ragione di una parte dei membri (50 % ). Ci posto, si aggiunge che, nella specie, il Pres. del Cons. di Amministrazione del Fondo Speciale era e autore immediato del falso verbale di delibera consiliare mod. 106, predisposto da impiegato infedele autore mediato ., che glielo faceva sottoscrivere, con erogazioni di sussidi, non decisi dal Cons. di amm.ne, verso terzi che non ne avevano diritto. Sia il Pres. Cons. di Amministrazione, sia l'impiegato infedele singulatim non avevano possesso giuridico, e materiale, della pecunia pubblica erogata indebitamente. Infatti, il pagamento effettivo dei sussidi, a fini di beneficenza e religione, avveniva attraverso decreto del Ministero Interno, e atto dovuto non ---}"'" __ ;::::: Y.. 1214 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO effetto della condotta (conseguenza deUa commissione del reato), si ha truffa (4). potendo il Ministro negare la ermss1one del decreto, in presenza di una deliberazione del Consiglio di Amministrazione (art. 49, r.d. 18 novembre 1923, n. 2440). e Il concetto di atto complesso (da distinguersi all'atto collettivo, dal contratto, dal procedimento) resta circoscritto a quelle ipotesi, nelle quali le volont dei diversi organi, o soggetti, cooperanno ad unico fine, e si fondono in una manifestazione unica> (LANDI e POTENZA, Manuale Dir. Amm., ed. 1960, p. 203). Nella specie, la Corte Suprema giudica realizzato un tipo sui generis di atto complesso, unica manifestazione di volont cui hanno partecipato vari organi dello stesso Ministero dell'Interno, con attivit tutte necessarie al fine di erogare i sussidi del Fondo Speciale, de quo agitur, compreso fra detti organi statali. Invece, ove il Fondo Speciale Beneficenza-Religione di Roma venga ritenuto persona giuridica pubblica, autonoma rispetto alla Amministrazione del Ministero dell'Interno, non potrebbe ravvisarsi un atto complesso, ma una pluralit di atti, vale a dire: 1) delibera del Cons. Amministrazione, unico organo (non statale) che dispone del patrimonio del Fondo Speciale; 2) Visto di controllo Ministero Interno, che attiene all'efficacia esecutiva della delibera, cui lo stesso rimane estraneo (accertamento di mera regolarit dell'atto). Ne discende che (secondo la tesi del condannato ricorrente) unico ufficio possessore della pecunia sarebbe il Consiglio di Amministrazione, organo collegiale, nei cui confronti l'imputato non ha svolto alcuna attivit diretta, per appropriarsi di danaro pubblico (ai fini di respingere il e nomen iuris > di peculato). In verit, solo nei confronti p~rsonali del Pres. Consiglio di Amministrazione fu aperata l'induzione in errore, quando (dopo la seduta collegiale) sottoscriveva il verbale correlativo, mediante un'attivit che l'A.G.O. definisce di certificazione, rispetto all'originale, compilato durante la seduta del Consiglio di Amministrazione. Senonch, appare evidente che l'induzione in errore dell'organo monocratico (Presidente) faceva costituire un atto scritto e formale, assolutamente necessario per disporre i pagamenti, in senso difforme alla volont manifestata dall'organo collegiale di gestione (Cons. di Amm.ne). Pertanto, dovrebbesi ravvisare peculato (giammai truffa), anche se il Fondo Speciale fosse qualificato ente pubblico, non statuale, e si escludesse l'esistenza di un vero atto complesso. La sentenza Cass. pen., Sez. III, 8 maggio 1961, Falso (in Mass. Cass. pen., 1964, p. 645, massima 1375) afferma responsabile di peulato colui che, ingannando altro P.U. (direttore di scuola) si fa rilasciare, mediante raggiri, ordinativi di pagamento, al fine di distrarre il danaro consegnatogli. Ancora in Giu.r it., 1969, P. II, p. 11, pubblicata sentenza Cass. 26 novembre 1966, Galgano, connota di Rosx, circa pluralit di soggetti che partecipano all'erogazione del danaro, con potere di disporre il pagamento (per varie competenze), per disgiunto da una detenzione materiale delle somme, come nella specie ora in esame. (4) Vedasi Cass. 19 aprile 1966, VARALLI, in Foro it., 1967, P. II, p. 165, in senso conforme. Ci limitiamo a citare STEFANO RICCIO, Delitti contro la P.A., ed. Utet, 1955, p. 172, dove leggesi: e Non ha importanza se, avendo PARTE I, SEZ. VII, GIURISPRUDENZA PENALE 1215 Non ogni insorgenza nuova, rispetto all'accusa originaria, entra nell'ambito deU'art. 477 c.p.p., ma solo quel mutamento di circostanze, fatti, o riferimenti che sia essenziale, e significativo, tale cio da i.mmutare la configurazione giuridica deila fattispecie (5). (Omissis). -Passando all'esame dei motivi per Dainotto Stelvio, non ha consistenza, anzitutto, il mezzo con ,cui lamentasi eITonea applicazione di legge, e vizio di motivazione in ordine all'asserita mancata assistenza da parte d'idoneo difensore. L'eccezione di nullit, proposta in primo grado ed in appello, venne reietta motivatamente e dal ;primo e dal secondo giudice, con argomentazioni sostanzialmente valide. Vero che nell'interrogatorio avanti al P. M. del 21 gennaio 1960 (f. 131 voi. a.g.) il Dainotto, richiestone, asseri di voler nominare un difensore di fiducia in persona di un soggetto, che risult poi non essere iscritto ad alcun albo professionale forense. E vero anche che, nel primo interrogatorio reso al giudice istruttore, il 25 ottobre 1962 (f. 167), l'imputato riconferm come difensore di fiducia la stessa persona. :iy.ta subito dopo, all'atto di disporre il deposito dello inteITogatorio, il G.I. si avvide, dalla relata dello ufficiale giudiziario, della situazione anormale, che immediatamente provvide a risanare, nominando il 6 novembre 1962, un difensore di ufficio nella persona dell'attuale patrono del Dainotto (f. 171). E nel corso di un secondo inteITogatorio dav.anti al G.I., il 10 novembre 1965, l'imputato provvide anzi a nominare di fiducia l patrono gi assegnatogli di ufficio (f. 559). In tal situazione processuale non si i! verificata alcuna essenziale violazione di norme di legge, in relazione ai diritti della difesa, tenuto ;presente: un possesso qualunque, il P.U. consegua l'impossessamento materiale attraverso l'artificio o il raggiro; essendo il possesso anteriore alla condotta si ha peculato. Se il possesso un presupposto del peculato, questo deve esistere prima della condotta; e quando esiste prima della condotta, in modo che su di esso la condotta si svolga, le modalit della condotta non valgono a modificare il titolo del reato. E non si tratta dell!atteggiarsi dell'elemento soggettivo, bensi della struttura oggettiva. Risponde di peculato il P.U. che, pur non avendo, per ragione del suo ufficio o servizio, la disponibilit di danaro appartenente alla P.A., riesca ad appropriarsene, determinando il P.U. avente tale disponibilit, a firmare in buona fede un mandato di pagamento, in favore di un terzo non avente diritto al pagamento . (5) Trattasi di giurisprudenza consolidata, perch non vi differenza ontologica (e capacit di danno per la difesa del prevenuto), tra il fatto giudicato e quello contestato, anche quando si correggono errori dell'imputazione originaria (in Giur. it., 1969, P. II, p. 424 e 478, vedasi Cass., Sez. V, 29 novembre 1968; Cass., Sez. V, 7 novembre 1968). Con particolare riguardo ai reati colposi, vedasi in Rass. Avv. Stato, 1969, P.I., Sez. VII, p. 359 e segg., nota di A. PALATIELLo, e precedenti vari, ivi citati. GIUSEPPE DONADIO 16 1216 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO a) che all'atto del primo interrogatorio, in sede di sommaria istruzione, verificatosi nel 1960, ancora non era stata emessa la nota decisione della Corte Costituzionale che dichiar incostituzionale l'art. 3'92, comma 1, c.p.p. per quanto esclude l'applicazione degli artt. 304 bis, ter e quater all'istruzione sommaria (sent. 52 del 16-26 giugno 1965); che subito dopo l'interrogatorio reso al G.I., si cur l'adempimento dell'art. 304 quater c.p.p., ed accertata la situazione anormale, immediatamente si provvide alla nomina di un difensore di ufficio; e) che il G.I. non era affatto tenuto ad interpellare l'imputato, perch provvedesse a sostituire il difensore invalidamente nominato, sibbene solo a nominare un difensore di ufficio, essendosi precisamente verificato uno dei casi previsti dall'articolo 1'28 p.p. c.p.p. (caso CiO assimilabile a quello dell'imputato che rimane privo> del difensore); nomina che, del resto, s'intende revocata de iure con la dichiarazione dell'imputato, nel corso del suo secondo interrogatorio davanti al G.I.; d) n pu, quindi, sostenersi che l'imputato sia rimasto privo di difesa, in seguito a condotta processuale del giudice; il P.M. procedente ed il G.I. non erano nella materiale possibilit di co11-tr0Hare, ex abrupto, la validit della nomina effettuata dal Dainotto di un difensore di fiducia, posto che, fuori dell'ambito del giudizio di mera legittimit, ove previsto un albo nazionale, non vi un albo degli avvocati e procuratori a livello nazionale, e sempre sussiste la possibilit, quindi, della nomina di un patrono iscritto ad albo professionale di qualche lontano tribunale; e) la denunziata nullit, in sostanza, si sarebbe verificata qualora la nomina del patrono non iscritto all',albo degli avvocati e procuratori fosse avvenuta per attivit di ufficio; non anche quando la nomina di un soggetto inidoneo ad esercitare il mandato diiScenda da iniziativa propria ed esclusiva dell'imputato. Infondato anche il secondo mezzo proposto dalla difesa Dainotto. Si assume l'insostenibilit di una fattispecie di peculato, e al pi l'esistenza di una truffa aggravata, posto che l'induzione in errore fu operata nei confronti del Presidente del Consiglio di Amministrazione del Fondo, ma quest'ultimo non aveva possesso giuridico > delle somme erogate, che spettava unicamente al Consiglio; mentre, d'altronde, il decreto del Ministro per autorizzare il pagamento dei mandati era semplice atto dovuto, privo di possibilit di esame del merito. La tesi, acutamente prospettata gi ai giudici di merito, ed ancora da ultimo nella memoria difensiva, fu reietta dall'impugnata sentenza, con motivazio: ne completa ed organica, e in seguito ad un .giudizio di fatto sulle modalit della condotta, che in questa sede incensurabile. Rilev il giudice di appello come, in effetti, ad esser tratto in errore fosse il Presidente del consiglio di amministrazione; e come quest'ultimo non avesse, di ftto, autonomo potere di disposizione delle somme; ma osserv pure come le argomentazioni della difesa, che ne deduce l'esistenza PARTE I, SEZ. VII, GIURISPRUDENZA PENALE 1217 di una truffa anzich del peculato, fossero viziate dalla limitazione dell'indagine ad un solo momento dell'iter formativo dell'atto, il quale, per esser complesso> nasce dall'integrazione di varie attivit preparatorie, deliberative, certificative e finali. L'induzione in errore da parte del Dainotto si verific cosi, nei confronti di uno solo degli anelli necessari a comporre la catena, al cui termine vi la percezione dei sussidi, ma non v'ha dubbio che tale induzione fosse efficiente e risolutiva ai fini della consumazione della condotta. E non v'ha neppure dubbio, per la Corte di merito, che se il Presidente avesse di sua iniziativa redatto falsi verbali, certificandoli con la propria firma ed ottenendo cos l'emissione dei decreti ministeriali, avrebbe con ci commesso delitto di peculato; ma poich ,il Presidente fu indotto in errore dal Dainotto, il peculato venne da quest'ultimo commesso..Contro siffatta argomentazione, si obbietta principalmente dal ricorrente: che non si tratt affatto di atto amministrativo complesso; che il possesso giuridico delle somme erogande non spettava al Ministro, ma al Consiglio di Amministrazione. Ma tali obbiezioni, pure acute e penetranti, non sono risolutive; in particolare, non sono idonee a dimostrare l'errore commesso nella determinazione della fattispecie giuridica. Prescindendo dalle riserve teoriche sulla natura ed il carattere del c.d. atto amministrativo complesso, deve riconoscersi che il problema non terminologico, n di definizione. La possibilit di costruire una figura di atto complesso sarebbe preclusa dal fatto che il Fondo per la citt di Roma costituirebbe persona giuridica a s stante, che non si Confonde affatto con la p.a.; e non si potrebbe mai integraa:-e, allora, l'attivit di una persona giuridica privata, con quella del Ministro. Ma deve in contrario rilevarsi, anche prescindendo dalla considerazione che il primo giudice escluse la costituzione di P.C. del Fondo per il culto, proprio perch ritenne questo ultimo un elemento integrante del Ministero, che gi erasi costituito p.c., che il carattere pubblicistico della persona giuridica di cui trattasi non disputabile, vuoi per le modalit della sua creazione (per legge dello Stato), vuoi per l'organizzazione della sua struttura, legata strettamente alla Direzione generale del Fondo per il Culto, vuoi per i caratteri delle finalit assegnat,e, e delle modalit di loro realizzazione pratica. Non si vede alcuna preclusione razionale o sistematica, allora, a quell'integrazione fra le attivit del Consiglio e del l I Presidente, e quella del Ministro, che fu ritenuta dai giudici di merito a fondamento della Convinzione che, nella specie, fosse realizzato un tipo -.sia pure sui generis -:--di atto complesso, a concretare il quale concorresse l'attivit del Consiglio, e poi quella del Presidente, ed infine del Ministro. N maggior valore ha l'altra obbiezione: pure ammettendo che la disponibilit giuridica delle somme erogande spettasse al. Consiglio, dato di fatto inconfutabile che a rendere esigibile dette somme dovesse intervenire l'attivit, sia pure doverosa e limitata al RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO controllo di legittimit, del Ministro. L'argomentazione dell'impugnata sentenza, pertanto, regge sostanzialmente all'urto delle censure mossele; ed esatta, pertanto, la concorde conclusione cui giunsero i primi ed i secondi giudici, ritenendo realizzata la particolare figura di peculato, mediante induzione in errore. (Omissis). -Neppure merita accoglimento il quarto mezzo Dainotto: lamentasi qui violazione delle regole di correlazione fra l'accusa contestata e la sentenza, perch, mentre il capo d'imputazione parlava d'induzione in errore del Presidente del consiglio di amministrazione, il quale ultimo avrebbe avuto il possesso per ragion del suo ufficio delle somme appropriatsi dal Dainotto, la sentenza ritenne invece che il possesso delle somme spettasse non gi al suddetto Presidente, ma al Ministro. Sarebbe.si, con ci immutato sensibilmente e significativamente il fatto. Ma questo S.C. non condivide tale visione, alquanto rigoristica, della nozione di fatto>. L'art. 477 cpv. c.p.p. ipotizza il caso Che in dibattimento il fatto risulti diverso da quello enunciato > negli atti fondamentali di contestazione dell'accusa. Ma, poich chiaro che le regole della correlazione sono dettate dalla esigeinza di una chiara ed onesta informazione, affinch l'imputato si possa difendere su di un ben circoscritto terreno di accuse e di contestazioni, ne consegue che, non ogni insorgenza nuova che si verifichi rispetto all'accusa originaria, entra nell'ambito dell'articolo 477 c.p.p.; ma solo quel mutamento di circostanze o fatti o riferimenti, che risponda ai seguenti caratteri: sia cio un mutamento essenziale > e nello stesso tempo significativo>, tale do da immutare la configurazione giuridica della fattispecie. Applicando tali elementari nozioni (sulle quali si del resto da lungo tempo soffermato questo S.C., sottolineando con importanti sentenze che non ogni mutamento del fatto, ma solo quello che sia di tal rilievo da mutare i confini della contestazione, e pregiudicare quindi i diritti e gl'interessi della difesa, possa esser compreso nella previsione dell'art. 477 c.p.p.) deve dedursene che la mutazione dell'organo titolare del diritto di disporre delle somme (Presidente del consiglio di amministrazione, secondo l'imputazione; Ministro, secondo la sentenza di appello) non rappresenta affatto una mutazione del fatto >; e, quanto meno, non una immutazione essenziale e significativa. -(Omissis). PARTE SECONDA RASSEGNA DI DOTTRINA A.LIBRANDI T., La sindacabilit clel provvedimento amministrativo nel processo penale, Jovene, Napoli, 1969, pagg. 162. Il libro recensito rappresenta l'ulteriore maturazione di intuizioni gi in parte sviluppate in un lungo articolo pubblicato nel. 1966 su questa stessa Rassegna. Non si tratta, per, di un puro e semplice syiluppo di tesi gi enunciate in quella sede bensl di un radicale ripensamento dell'argomento, che si riflette sia sulla ben maggiore organicit della trattazione che sul merito delle soluzioni accolte. Dell'articolo del 1966 rimane essenzialmente l'esigenza di sottolineare gli aspetti peculiari che la problematica della sindacabilit dell'atto amministrativo assume in sede penale; e, certo, non ultimo pregio del lavoro di essere il primo compiuto tentativo di sistemazione organica di una materia, sulla quale a tutt'oggi in dottrina non risultano che scarsi contributi settoriali. Il libro diviso in tre capitoli. Il primo dedicato alla ricostruzione tipologica ed alla qualificazione funzionale delle varie ipotesi di rilevanza dell'atto amministrativo nella fattispecie penale. Sulla scorta di un'ampia casistica, condotta prevalentemente in relazione al peculato per distrazione, l'autore perviene alla conclusione che l'atto in sede penale venga in esame non come elemento della condotta criminosa ma come fonte di qualificazione della condotta stessa. Si intende, poi, che, in omaggio al principio della ger&-chia delle fonti, l'atto stesso sar, a sua volta, passibile di valutazione in.raffronto alla norma di legge formale; pertanto, ben si giustifica la formula di qualificazione di secondo grado, impiegata per descrivere la funzione che in questa prospettiva competerebbe all'atto amministrativo ai fini della valutazione penale. Da tale impostazione prende fisionomia tutto il resto del lavoro, che si svolge attraverso l'indagine della Tilevanza nel giudizio penale dei classici vizi di legittimit dell'atto. Cosi, nel secondo capitolo si esamina il vizio di violazione di legge in senso stretto e quello di merito; quest'ultimo di gran lunga prevalente nella economia della trattazione, come , del resto, ben coerente alle maggiori difficolt teoriche che impone la posizione del concetto di merito. Sul punto l'autore, rifacendosi sia alla tradizionale nozione del merito amministrativo come conformit alle c.d. regole di buona amministrazione sia all'altra concezione dottrinale che nel controllo di merito ravvisa un puro e semplice rifacimento dell'iter di formazione del provvedimento, finisce cn l'escludere in entrambi i casi che il giudice penale possa pervenire al sindacato del vizio relativo; accettando la prima tesi, perch una norma interna (quale la regola di buona amministrazione) non pu interferire in qualificazioni poste da una norma inderogabile come quella penale, accettando la seconda, perch la resa del giudizio penale attivit sindacatoria (e sanzionatoria) che 'perci solo differisce strutturalmente dalla pura e semplice rinnovazione di una attivit amministrativa precedentemente svolta. Il terzo capitolo, infine, ddicato all'analisi della rilevanza dell'eccesso di potere da cui sia inficiato l'atto che viene in considerazione nel giudizio penale. Al riguardo l'autore (ed questo uno dei punti in cui il suo discorso appare pi evidentemente approfondito rispetto all'articolo del 1966) ritiene che in astratto nulla vieti al giudice penale di sindacare RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO l'eccesso ma che, in concreto, un sindacato di tal fatta non sia suscettibile di utili (o, almeno, di decisivi) esiti ai fini del giudizio. Poich, infatti, l'eccesso di potere varrebbe, secondo i casi, ad indiziare un vizio di violazione di legge in senso stretto o un vizio di merito, nel primo caso l'indagine del giudice dovrebbe estendersi alla violazione di legge sottostante (in cui l'eccesso finirebbe con l'essere completamente assorbito), nel secondo caso il sindacato giudiziale finirebbe con l'arrestarsi dinanzi alla insindacabilit del merito dell'atto. evidente che tali conclusioni dipendono dall'avere assunto una nozione processualistica dell'eccesso, che finisce con il negare natura sostanziale a questo tipo di vizio, ridotto a funzione di spia di altri difetti dell'atto, e perci a mero ausilio dell'attivit del gi'udice. A questo delicato problema di teoria generale sono dedicate alcune delle pagine pi stimolanti del libro, ed giusto sottolineare che lo specifico profilo penalistico, sotto il quale l'indagine condotta, giova indubbiamente a confortare la validit della tesi dell'autore. Si tratta, come rilevasi, di un lavoro che ha una profonda impostazione dogmatica pur tenendo in debito conto l'orientamento giurisprudenziale pi recente, e va pertanto segnalato all'attenzione dei lettori, per un proficuo approfondimento dell'argomento trattato. U. GARGIULO L'unificazione amministrativa ed i suoi protagonisti, a cura di FELICIANO BENVENUTI e GIANFRANCO MIGLIO, Neri Pozza Editore, 1969, pagg. 451. L'Istituto per la Scienza dell'Amministrazione Pubblica ha finalmente pubblicato, per i tipi dell'editore Neri Pozza la prima raccolta degli atti del Congresso celebrativo del Centenario delle leggi amministrative di unificazione, svoltosi sotto il patronato del Presidente della Repubblica. Il libro in rassegna rappresenta il volume generale introduttivo ed stato curato da Feliciano Benvenuti e da Gianfranco Miglio. Ad esso seguiranno altri dieci volumi relativi: a) all'ordinamento sanitario (due volumi, l'uno a cura di Renato Alessi sull'Amministrazione sanitaria, l'altro a cura di Pietro Bodda su Gli ospedali e le farmacie); b) all'ordinamento comunale e provinciale (due volumi, l'uno a cura di Massimo Severo Giannini sui Comuni, l'altro a cura di Antonio Amorth sulle Provincie); c) alla tutela del cittadino (due volumi, l'uno a cura di Giovanni Miele sulla Giustizia amministrativa, l'altro a cura di Paolo Barile sulla Pubblica sicurezza); d) alle opere pubbliche (due volumi, l'uno sui lavori pubblici a cura di Aldo Sandulli e l'altro sull'espropriazione per pubblica utilit a cura di, Umberto Pototschnig); e) all'istruzione ed al culto (anche qui due volumi, !"uno a cura di Carlo Maria Iaccarino sull'istruzione, l'altro a cura di Pietro Agostino D'Avack Sulla legislazione ecclesiastica). Come risulta chiaro, il piano dell'opera vasto, organico, completo e la sua esecuzione affidata ai migliori specialisti della materia. Il taglio politico, oltre che giuridico, degli scritti che vi sono compresi distingue il volume in rassegna dagli altri. Come acutamente osserva Miglio, l'opera legislativa del 1864-65 rappresent per se stessa ed anzi presuppose una decisione politica di storica portata. Finch non si giunse ad essa per l'ordinamento del neo-costituito Stato Italiano rimase aperta almeno, ma non solo, teoricamente -la possibilit di un assetto notevolmente diverso. PARTE II, RASSEGNA DI DOTTRINA 195 Le leggi del 1865 vengono riguardate, nel volume, come l'espressione finale e concreta di una scelta di fondo che defin i tratti decisivi del nuovo Stato e collocate nel quadro essenzialmente politico del Regno Italiano. Non mancano gli accenti critici. Il Benvenuti, in uno scritto fortemente polemico, denuncia la mitizzazione della legislazione del 65 esprimendo l'avviso che essa fu una legge improvvisa, un'apparizione dall'alto che si impose per le esigenze del momento, una legge fuori della storia individuale dei legislatori Che l'avevano votata, degli amminstratori che la dovevano applicare e fuori della storia collettiva del popolo a cui era applicata: una legge in tutti i sensi straniera, calata per necessit in una realt che non era ancora pronta ad accettarla. Completano il volume scritti a carattere storiografico di Roberto Ruffilli (sul Governo, Parlamento e correnti politiche nella genesi della legge 20 marzo 1865), di Bruno Malinverni (su Francesco Rastelli, patriota, giureconsuito, deputato, propugnatore e collaboratore dell'unificazione morale, amministrativa e legislativa dell'Italia), di Paul Guichonnet (su Carlo Cadorna, Luigi Federico Menabrea e le leggi del 1865), di Francesco Brancato, Aldo Berselli, Livio Pivano, Giuseppe Panzini, Giorgio Berti, Filippo Sacini e Francesco Traniello sul pensiero, in ordine all'unificazione amministrativa dello Stato Italiano, di Francesco Crispi, Marco Minghetti, Urbano Rattazzi, Filippo Sullana, Bettino Ricasoli, Francesco Porgateo e Stefano Jacini. L.M. RASSEGNA DI LEGISLAZIONE LEGGI E DECRETI (*) Legge 7 ottobre 1969, n. 742. -Dispone la sospensione dei termini processuali relativi alle giurisdizioni ordinarie ed a quelle amministrative dal 10 agosto al 15 settembre, precisando tra l'altro che ove il decorso abbia inizio durante il periodo di sospensione l'inizio stesso differito alla fine di detto periodo (G. U. 5 novembre 1969, n. 281). legge 7 novembre 1969, n. 780. -Modifica l'a:rticolo 389 del codice di procedura penale, con nuove indicazioni dei casi in cui si procede con istruzione sommaria (G. U. 17 novembre 1969, n. 290). legge 5 ctlcembre 1969, n. 932. -Modifica gli articoli 78, 134, 225, 231, 232, 238, 304 e 390 del codice di procedura penale, ed aggiunge l'articolo 249 bis, con nuove disposizioni in merito alle indagini preliminari, al diritto di difesa, all'avviso di procedimento ed alla nomina del difensore (G. U. 17 dicembre 1969, n. 317). NORME SOTTOPOSTE A GIUDIZIO DI LEGITTIMITA COSTITUZIONALE* NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI Codice penale, art. 559 (Adulterio), terzo e quarto comma; art. 560 (Concubinato), primo, secondo e terzo comma, art. 561 (Casi di non punibilit. Circostanza attenuante); art. 562 (Pena accessoria e sanzione civile), primo comma, nella parte relativa alla perdita dell'autorit maritale per effetto della condanna per il delitto di concubinato, secondo e terzo comma; art. 563 (Estinzione del reato) (1). Sentenza 3 dicembre 1969, n. 147, pronunciata nei giudizi riuniti promossi con cinquantuno ordinanze di varie autorit giudiziarie (G. U. 10 dicembre 1969, n. 311). (*) Si segnalano i provvedimenti ritenuti di maggiore interesse. (*) Tra parentesi gli articoli della Costituzione in riferimento ai quali sono state proposte o decise le questioni di legittimit costituzionale. (1) Il quarto comma dell'art. 559, il secondo ed il terzo comma dell'art. 560 e gli artt. 561, 562 e 563 del codice penale sono stati dichiarati incostituzionali in applicazione dell'art. 27, ultima parte, della legge 11 marzo 1953, n. 87. ::::: j, . ffi iBfffffffBffffffrnrmmrnfft:ii!ffiliH@ii!Hfffmrnrnmm;rKmm1mmrnrnrrn11mrnnmFmmm1@1fmffiffEmrn@rnmm;wrn1mmmgmfaJ PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 197 codice di procedura penale, art. 134 (Nomina dei difensori di fiducia), secondo comma, nella parte in cui fa divieto agli ufficiali ed agli agenti della polizia di ricevere la nomina del difensore di fi!fucia; art. 222 (Atti concernenti l'arresto; assicurazione del COIJ'PO del reato), secondo comma, nella parte in cui si esclude che agli accertamenti ed alle operazioni tecniche della polizia giudiziaria si applichino gli artt. 390, 304 bis, ter e quater del codice di procedura .penale e nella parte in cui si esclude che al sequestro si applichino gli artt. 390 e 304 quater; art. 223 (Ausiliari della polizia giudiziaria), primo comma, nella parte in cui si esclude che agli accertamenti ed alle operazioni tecniche della polizia giudiziaria si applichino gli artt. 390, 304 bis, ter e quater del codice di procedura penale; art. 231 (Atti e informative del pretore), primo comma, nella parte in cui si esclude che agli atti di polizia giudiziaria compiuti o disposti dal pretore si applichino gli artt. 390, 304 bis, ter e quater; art. 234 (Atti del procuratore generale presso la corte di appello), nella parte in cui si esclude che agli atti di polizia giudiziaria compiuti o disposti dal procuratore generale presso la Corte di ottobre 1969, G. U. 10 dicembre 1969, n. 311. legge 16 giugno 1927, (n. 1776, recte:) n. 1766 (Riordinamento degli usi civici), art. 27, primo comma, e ultimo comma, e 29, secondo comma, in quanto consentono al commissario regionale degli usi civici di pronunciare, in sede giurisdizionale, sulla legittimit dei suoi stessi provvedimenti (artt. 108, secondo comma, e 25 della Costituzione) (35). Corte di appello di Roma, ordinanza 9 luglio 1969, G. U. 5 novembre 1969, n. 280 (36). Costituzione, dal comandante del porto di Pesaro (ordinanza 18 luglio 1969, G. U. 22 ottobre 1969, n. 269). (32) L'analoga disposizione dell'art. 16 stata dichiarata incostituzionale con sentenza 15 dicembre 1967, n. 150. (33) Questione proposta dal pretore di Bergamo con ordinanza 25 gennaio 1968 (G. U. 20 aprile 1968, n. 102), e in ordine alla quale la Corte costituzionale, con ordinanza 14 maggio 1969, n. 90, aveva disposto' la restituzione degli atti per un nuovo giudizio sulla rilevanza. (34) L'art. 44 del r.d.l. 25 ottobre 1925, n. 2033 stato dichiarato incostituzionale, con sentenza 3 dicembre 1969, n. 149, nella parte in cui per la revisione delle analisi esclude l'applicazione degli artt. 390, 304 bis, ter e quater del codice di procedura penale. La questione di legittimit costituzionale dell'art. 45 stata invece dichiarata, con la stessa sentenza, non fondata (artt. 3 e 24 della Costituzione). (35) Questione gi proposta dalla stessa Corte di appello (ordinanze 27 marzo 1969 (tre), G. U. 161 luglio 1969, n. 179). (36) Cn la stessa ordinanza, la questione stata ritenuta manifestamente infondata in riferimento agli artt. 102, 103 e 104 della Costituzione. ::;:: ., -.... 212 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO r. d. I. 22 dlc:embre 1927, n. 2448 (Provvedimenti a favore del comune di Sanremo), art. 1, primo c:omma, in quanto attribuisce all'autorit amministrativa una potest sostanzialmente legislativa, svincolata da ogni limite temporale e da qualsiasi indicazione di oggetto e di criteri direttivi (art. 76 della Costituzione) e consente all'autorit amministrativa di dispensare dall'osservanza della legge, anche penale (art. 25, ~ secondo comma, della Costituzione), il comune di San Remo (art. 3, primo comma, della Costituzione). Consiglio di Stato, quinta sezione, ordinanza 10 giugno 1969, G. U. 26 novembre 1969, n. 299. legge 27 dic:embre 1928, n. 3125 (Conversione in legge del regio decreto- legge 22 dicembre 1927, n. 2448, recante provvedimenti a favore del comune di San Remo), che converte in legge il r. d. 1. 22 dicembre 1927, n. 2448, che attribuisce all'autorit amministrativa, senza limitazioni temporali e senza indicazioni di oggetto e di criteri direttivi, una potest sostanzialmente legislativa (art. 76 della Costituzione) e consente all'autorit amministrativa di dispensare dall'osservanza della legge, anche penale (art. 25, secondo comma, della Costituzione), il comune di San Remo (art. 3, primo comma, della Costituzione). Consiglio di Stato, quinta sezione, ordinanza 10 giugno 1969, G. U. 26 novembre 1969, n. 299. r. d. 18 giugno 1931, n. 773 (Testo unico delle leggi di pubblica sicuTezza), art. 18, terzo comma, in quanto consente di punire chi sia intervenuto a riunioni non preavvisato per il solo fatto che prenda la parola (art. 21 della Costituzione) (37). Pretore di Verona, ordinanza 8 ottobre 1969, G. U. 10 dicembre 1969, n. 311. r. d. 18 giugno 1931, n. 773 (Testo unico delle leggi di pubblica sicuTezza), art. 220, in quanto, nel disporre l'arresto del contravventore alla norma di cui all'art. 85, che prevede solo la pena dell'ammenda, consente una privazione preventiva della libert personale in vista del giudizio su reato per il quale nessuna pena detentiva prevista (artt. 13 e 27 della Costituzione) (38). Pretore di Sampierdarena, ordinanza-7 ottobre 1969, G. U. 10 dicembre 1969, n. 311. (37) L'art. 18 del r.d. 18 giugno 1931, n. 773, nella parte relativa alle riunioni non tenute in luogo pubblico, stato dichiarato incostituzionale con sentenza 8 aprile 1958, n. 27. Altra questione stata invece dichiarata non fondata, in riferimento all'art. 27 della Costituzione, con sentenza 3 luglio 1956, n. 9. (38) Questione gi proposta dal pretore di Roma in riferimento all'art. 13 della Costituzione (ordinanza 20 agosto 1968, G. U. 8 gennaio 1969, n. 6) e dal pretore di Torino in riferimento all'art. 3 della Costituzione (ordinanze 24 ottobre 1968, G. U. 28 dicembre 1968, n. 329, e 26 ottobre 1968, G. U. 8 gennaio 1969, n. 6). PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 213 r. d. 18 giugno 1931, n. 787 (Regolamento per gli istituti di prevenzione e di pena), art. 123, terzo comma, in quanto consente alla direzione del penitenziario di derogare alle disposizioni concernenti il riposo festivo (artt. 3, primo comma, 27, terzo comma, e 36, terzo comma, della Costituzione); art. 124, primo e secondo comma, in quanto esclude la retribuzione per il periodo di tirocinio, e art. 126, primo comma, in quanto condiziona alla discrezionale valutazione del direttore l'ammissione del detenuto al lavoro remunerato (artt. 3, primo comma, 27, terzo comma e 36, primo comma, della Costituzione); art. 125, primo e terzo comma, in quanto con5ente di determinare la misura della retribuzione del detenuto senza aver riguardo al minimo vitale del lavoratore e della sua famiglia (artt. 3, primo comma, 27, terzo comma, e 36, primo comma della Costituzione); art. 125, sesto comma, in quanto dispone la devoluzione allo Stato di parte della remunerazione da corrispondere ai detenuti ammessi al lavoro (artt. 3, primo comma, 27, terzo comma, e 53 della Costituzione) (39). Tribunale di Torino, ordinanza 22 maggio 1969, G. u.. 5 novembre 1969, n. 280. r. d. 17 agosto 1935, n. 1765 (Disposizioni per l'assicurazione obbligatoria degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali), art. 4, quinto comma, in quanto stabilisce il termine di un anno, a pena di decadenza, per l'esercizio dell'azione civile per il risarcimento di danni derivanti da infortuni sul lavoro (artt. 3, 35 e 38 della Costituzione) (40). Tribunale di Genova, ordinanza 14 luglio 1969, G. U. 5 novembre 1969, n. 280. r. d. I. 7 agosto 1936, n. 1639 (Riforma degli ordinamenti tributari), art. 22, terzo comma, in quanto esclude dalla cognizione dell'autorit (39) Questioni gi proposte, per gli artt. 125 e 126, dalla Corte di assise di Torino (ordinanza 18 giugno 1968, G. U. 14 dicembre 1968, n. 318). Dal tribunale di Torino le questioni vengono proposte, in considerazione di precedenti pronunce di inammissibilit rese dalla Corte costituzionale per la ritenuta natura regolamentare del r.d. 18 giugno 1931, n. 787, nell'affermato presupposto che al regolamento, tn quanto emanato in. attenzione della delega conferita con la legge 24 dicembre 1925, n. 2260, sia invece da riconoscere natura di atto avente forza di legge. (40) Questione gi proposta dal tribunale di Roma (ordinanza 3 febbraio 1968, G. U. 14 settembre 1968, n. 235) e, sotto differente profilo (in quanto cio il termine di decadenza decorre anche durante il rapporto di lavoro), dalla Corte di appello di Potenza (ordinanza 18 giugno 1969, G. U. 6 agosto 1969, n. 200). Il quinto comma dell'art. 4 del r.d. 17 agosto 1935, n. 1765 ,stato dichiarato incostituzionale, con sentenza 9 marzo 1967, n. 22, in quanto consente che il giudice civile possa accertare che il fatto che ha provocato l'infortunio costituisca reato soltanto nella ipotesi di estinzione dell'azione penale per morte dell'imputato o per amnistia, senza menzionare l'ipotesi di prescrizione del reato . La disposizione riprodotta all'articolo 10, quinto comma, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, dichiarato incostituzionale, con la stessa sentenza e negli stessi limiti, in applicazione dell'art. 27, ultima parte, della legge 11 marzo 1953, n. 87. rurfrl6'Jm,'"'""''/m rurfrl6'Jm,'"'""''/m I ~ m 214 RASSEGNA DELL'AVVOCATBA DELLO STATO m , giudiziaria ordinaria le controversie relative a semplice estimazione di lredditi (art. 113 della Costituzione) (41). ;::: llii Trbiunale di Milano, ordinanza 18 aprile 1969, G. U. 10 dicembre r' 1969, n. 311. i ~ r. d. I. 14 aprile 1939, n. 636 (Modificazioni delle disposizioni sulle assicurazioni obbligatorie per l'invaUdit e la vecchiaia, per la tubercolosi e per la disoccupazione involontaria), convertito, con modifiche, nella legge 6 luglio 1939, n. 1272, art. 10, in quanto stabilisce, ai fini della qualificazione di invalido, differenti percentuali di riduzione della capacit di guadagno per gli operai e per gli impiegati (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Potenza, ordinanza 10 luglio 1969, G. U. 10 dicembre 1969, n. 311 (42). r. d. I. 2 gennaio 1940, n. 2 (Istituzione di una imposta generale sull'entrata), convertito con legge 19 giugno 1940, n. 762, art. 47, in quanto esclude il rimborso dell'imposta erroneamente corrisposta a mezzo marche, rimborso invece consentito quando la imposta non dovuta sia stata corrisposta con versamento in conto corrente (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Genova, ordinanza 4 giugno 1969, G. U. 5 novembre 1969, n. 280. r. d. 30 gennaio 1941, n. 12 (O'l'dinamento giudiziario), artt. 2, secondo comma, e 72, terzo comma, in quanto consentono agli avvocati di esercitare la funzione di pubblico ministero nell'udienza del pretore (artt. 104, primo comma, 105, 106, primo e secondo comma, 107, quarto Comma, e 108, secondo comina, della Costituzione). Pretore di Torino, ordinanza 12 luglio 1969, G. U. 24 dicembre 1969, n. 324. r. d. 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario), art. 31, limitatamente all'espressione in sottordine e art. 34, primo comma, in quanto distinguono i magistrati delle preture secondo criterio gerarchico (artt. 101 e 107, terzo comma, della Costituzione) (43) e consentono al (41) L'art. 22, terzo comma, der r.d.l. 7 agosto 1136, n. 1639 stato dichiarate incostituzionale, con sentenza 11 luglio 1969, n. 125, limitatamente alla parte in cui condiziona l'esercizio dell'azione del contribuente dinanzi all'autoritd giudiziaria all'iscrizione a ruolo dell'imposta . (42) Con la stessa ordinanza il tribunale di Potenza ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimit della norma in riferimento agli artt. 26, 36 e 38 della Costituzione. I (43) Questione gi proposta, anche per gli artt. 4 e 39, quarto comma, dal pretore di Bologna (ordinanza 14 novembre 1968, G. U. 12 marzo 1969, n. 66). 1:11. '~ '~l :9. WAiillP'IJY:VllAi?Y1il!P'~JYA!iJTAi!JiNP'IA!iJT~Aiiflll~ PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 215 pretore dirigente, quando la funzione istruttoria e quella dibattimentale siano affidate a magistrati diversi, di scegliere per ciascun processo il giudice del dibattimento (art. 25, primo comma, della Costituzione). Pretore di Torino, ordinanza 26 giugno 1969, G. U. 5 novembre 1969, n. 280. r. d. 16 marzo 1942, n. 267 (Discipli?!-a del fallimento, del concordato preventivo, de.zl'amministrazione controllata e deila liquidazione coatta amministrativa), art. 147, secondo comma, in quanto preclude al creditore la possibilit di chiedere la dichiarazione di societ relativamente ad una impresa che sia stata dichiarata fallita come impresa individuale (art. 24, primo e secondo comma, della Costituzione) (44). Tribunale di Livorno, ordinanza 12 giugno 1969, G. U. 5 novembre 1969, n. 280. d. lg. lgt. 9 giugno 1945, n. 387 (Modificazioni al testo unico 28 aprile 1938, n. 1165, sull'edilizia popolare ed economica per quanto concerne le assegnazioni di alloggi dell'I.N.C.I.S. e degli Istituti autonomi per le case popolari e revoca delle assegnazio-ni illegittime di alloggi fatte dagli Istituti anzidetti), artt. 4 e 5, in quanto consentono all'Istituto autonomo per le case popolari di risolvere il contratto di locazione (artt. 3 e 24 della Costituzione). Giudice conciliatore di L'Aquila, ordinanza 1 ottobre 1969, G. U. 10 dicembre 1969, n. 311. legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e pe'I' la pubblica moralit), .art. 2, in quanto consente al questore di limitare la libert di circolazione anche per motivi di pubblica moralit (art. 16 della Costituzione) (45). Pretore di Novi Ligure, ordinanza 18 settemre 1969, G. U. 26 novembre 1969, n. 299. legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralit), (44) Sotto diverso, ma in alcuni aspetti analogo profilo, la questione di legittimit costituzionale dell'art. 147, secondo comma, del r.d. 16 marzo 1942, numero 267, stata gi proposta, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, primo .e secondo comma, e 25, primo comma, della Costituzione, dal tribunale di Udine (ordinanza 8 noveinbre 1968, G. U. 29 gennaio 1969, n. 25). (45) Questione gi proposta dal tribunale di Vibo Valentia (ordinanza 31 gennaio 1969, G. U. 9 aprile 1969, n. 91). 216 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO art. 4, secondo comma, in quanto prevede come facoltativa l'assistenza di un difensore (artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione) (46). Tribunale di Torino, ordinanza 10 luglio 1969, G. U. 5 novembre 1969, n. 280. d. P. R. 29 gennaio 1958, n. 645 (Testo unico delle leggi sulle imposte dirette), art. 206, in quanto consente all'esattore di procedere all'esecuzione forzata anche nell'ipotesi di fallimento del debitore d'imposta (art. 3 della Costituzione) (47). Pretore di Vittoria, ordinanza 14 maggio 1969, G. U. 24 dicembre 1969, n. 324. d. P. R. 29 gennaio 1958, n. 645 (Testo unico delle leggi sulle imposte dirette), art. 207, lettera b, in quanto impedisce al coniuge, ai parenti ed agli affini entro il terzo grado del contribuente di proporre opposizione di terzo (artt. 3, 24, 42, 47 e 113 della Costituzione) (48). Pretore di San Giovanni in Fiore, ordinanza 30 luglio 1969, G. U. 10 dicembre 1969, n. 311. d. P. R. 19 maggio 1958, n. 719 (Regolamento per la disciplina igienica della produzione e del commercio delle acque gassate e delle bibite analcooliche gassate e non gassate confezionate in recipienti chiusi), art. 35, secondo comma, in quanto non consente all'interessato di partecipare alle operazioni di analisi di campioni (art. 24 della Costituzione) (49). Pretore di Santa Maria Capua Vetere, ordinanza 26 settembre 1969, G. U. 10 dicembre 1969, n. 311. legge 5 aprile 1961, n. 322 (Misura della compartecipazione alle pene pecuniarie per gli scopritori delle frodi nella preparazione e nel commercio dei prodotti agrari e delle sostanze di uso agrario), articolo unico, in quanto attribuisce agli agenti e funzionari che prelevano i campioni e che eseguono le analisi met dell'importo delle pene pecuniarie pagate (46) Questione gi proposta dallo stesso tribunale (ordinanza 13 dicembre 1968, G. U. 26 febbraio 1969, n. 52). (47) Questione gi dichiarata non fondata, in riferimento anche all'art. 24 della Costituzione, con sentenza 12 luglio 1967, n. 115. (48) Questione gi dichiarata non fondata, sotto i molteplici profili prospettati, con sentenze 16 giugno 1964, n. 42 (artt. 24, primo comma, e 42, secondo comma, della Costituzione), 26 novembre 1964, n. 93 (artt. 3, 24, primo comma, e 42, secondo e terzo comma, della Costituzione) e 26 giugno 1969, n. 107 (artt. 3, primo comma, 24, primo comma, 29, primo comma, 30, primo comma, e 42, secondo comma, della Costituzione), e riproposta con le sopra indicate ordinanze per la disparit di trattamento che si assume conseguente alla declaratoria di illegittimit costituzionale dell'art. 622 del codice di procedura civile (sentenza 15 dicembre 1967, n. 143). (49) Cfr. sentenza 3 dicembre 1969, n. 149 della Corte costituzionale. PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 217 in applicazione delle disposizioni di legge sulla repressione delle frodi nella preparazione e nel commercio di sostanze di uso agrario e di prodotti agrari, legittimando un interesse privato in atti di ufficio e compromettendo la imparzialit delle attivit svolte dai funzionari remunerati attraverso una percentuale sulle multe e sulle ammende inflitte (artt. 98, primo comma, e 97, primo comma, della Costituzione). Pretore di Torino, ordinanza 26 maggio 1969, G. U. 26 novembre 1969, n. 299. legge 30 aprile 1962, n. 283 (Modifica degli artt. 242, 243, 247, 250 e 262 del testo unico delle leggi sanitarie approvato con regio decreto 27 lv,glio 1934, n. 1265: Disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande), art. 1, modificato dall'art. 1 della legge 26 febbraio 1963, n. 441, in quanto, nel disciplinare le modalit delle ispezioni, dei prelievi e delle analisi dei campioni, non prevede l'intervento dell'interessato (artt. 3, primo comma, e 24, secondo comma, della Costituzione) (50). Pretore di Novi Ligure, ordinanza 20 settembre 1969, G. U. 26 novembre 1969, n. 299. Pretore di Monza, ordinanza 8 luglio 1969, G. U. 26 novembre 1969, Il 299. Pretore di Casale Monferrato, ordinanza 1 ottobre 1969, G. U. 10 dicembre 1969, n. 311. legge 29 settembre 1962, n. 1462 (Norme di modifica ed integrazione delle leggi 10 agosto 1950, n. 646, 29 luglio 1957, n. 634 e 18 luglio 1959, n. 555, recanti provvedimenti per il Mezzogiorno), art. 2, ultimo comma, in quanto consente di determinare le indennit di espropriazione secondo valori calcolati con riferimento ad epoca fino a dodici anni anteriore al provvedimento espropriativo (art. 42, terzo comma, e 3 della Costituzione) (51). Tribunale di Bari, Ol'dinanze 10, 17 e 24 aprile 1969 (quattro complessivamente), G. U. 5 novembre 1969, n. 280. legge 14 novembre 1962, n. 161 O (Provvidenze per la regolarizzazione del diritto di propriet in favore della piccola propriet rurale), prorogata con legge 9 ottobre 1967, n. 952, art. 4, in quanto riferisce anche ai soggetti controinteressati la conoscenza legale conseguente alla pub (50) L'art. 1 della legge 30 aprile 1962, n. 283 stato dichiarato incostituzionale, con sentenza 3 dicembre 1969, n. 149, nella parte in cui per la revisione delle analisi esclude l'applicazione degli artt. 390, 304-bis, ter e quater del codice di procedura penale. (51) Questione gi proposta, con numerose ordinanze, dallo stesso tribunale (v. ntro, ll,157 e 105, ed ivi nota 74). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO blicit, nelle indicate forme, dell'istanza diretta ad ottenere il riconoscimento di propriet (art. 24 della Costituzione). Pretore di Padova, ordinanze 23 luglio 1969 (due), G. U. 5 novembre 1969, n. 280. le99e 26, febbraio 1963, n. 441 (Modifiche ed integrazioni alla 1,e,gge 30 aprile 1962, n. ,283, sulla disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande,, ed al decreto del Presidente della Repubblica 11 agostJo 1959, n. 750), art. 1, che modifica l'art. 1 della le99e 30 aprile 1962, n. 283, in quanto, nel disciplinare le modalit delle ispezioni, dei prelievi e delle analisi dei campioni, non prevede l'intervento dell'interessato (artt. 3, primo comma, e 24, secondo comma, della Costituzione) (52). Pretore di Novi Ligure, ordinanza 20 settembre 1969, G. U. 26 novembre 1969, n. 299. le99e 2 marzo 1963, n. 320 (Disciplina delle controversie innanzi alle Sezioni specializzate agrarie), artt. 3, quarto comma, e 4, primo comma, in quanto consentono al potere esecutivo di interferire nella nomina degli esperti, con attivit prevalente e tale da incidere sui poteri valutativi e discrezionali del Consiglio superiore della magistratura (artt. 104, 105 e 108, secondo comma, della Costituzione) (53). Tribunale di Vibo Valentia, ordinanze 29 luglio 1969 (tre), G. U. 10 dicembre' 1969, n. 311. d. P. R. 30 9iu9no 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali); nella parte in cui non riproduce, e quindi abroga, l'art. 18 del r. d. I. 23 agosto 1917, n. 1450, convertito in legge 17 aprile 1925, n. 473 (art. 76 della Costituzione). Giudice istruttore presso il Tribunale di Trapani, ordinanza 3 settembre 1969, G. U. 5 novembre 1969, n. 2'80. le99e 17 ottobre 1967, n. 977 (Tutela del lavoro dei fanciuUi e degli adolescenti), art. 26, in quanto prevede la stessa pena minima per violazioni di diversa gravit, quali l'assunzione per un sol giorno di un solo (52) Cfr. nota 50. (53) Questione gi proposta dalla sezione speciale agrarie del tribunale di Roma (ordinanze 25 gennaio 1969 (tre), G. U. 6 agosto 1969, n. 200), e, per l'articolo 3, dal tribunale di Reggio alabria (ordinanza 5 luglio 1969, G. U. 22 ottobre 1969, n. 269); e per gli artt. 3, quarto comma e 4, secondo comma, dal tribunale di Rieti (ordinanza 24 luglio 1969, G. U. 22 ottobre 1969, n. 269). PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 219 minore e l'assunzione per pi giorni di diversi lavoratori di minore et (art. 3, primo comma, della Costituzione) (54). Pretore di Genzano di Roma, ordinanza 24 settembre 1969, G. U. 24 dicembre 1969, n. 324. legge 17 ottobre 1967, n. 977 (Tutela del lavoro dei faticiuUi e degli adolescenti), art. 28, in quanto rimette la valutazione della pericolosit del lavoro, per le attivit non industriali, all'apprezzamento discrezionale di organi amministrativi (artt. 3 e 25, secondo comma, della Costituzione). Pretore di Nicosia, ordinanza 17 giugno 1969, G. U. 26 novembre 1969, n. 299. d. P. R. 27 aprile 1968, n. 488 (Aumento e nuovo sistema di calcolo 'delle pensioni a carico dell'assicurazione gener.ale obbligatoria), artt. 20 e 21, in quanto escludono la cumulabilit della pensione di anzianit con la retribuzione, con disparit di trattamento tra i pensionati a seconda che prestino o no attivit lavorativa alle dipendenze di terzi e impongono ai prestatori d'opera pensionati una retribuzione inferiore a quella cui avrebbero diritto (artt. 3 e 36 della Costituzione) (55). Tribunale di Udine, ordinanza 11 luglio 1969, G. U. 5 novembre 1969, n. 280. legge reg. sarda 5 dicembre 1968, rlappr. 6 novembre 1969 (Posizione e trattamento dei dipendenti della Regione sarda eletti a cariche presso enti autonomi territoriali) (art. 127 della Costituzione). Ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri depositato il 1 dicembre 1969, G. U. 10 dicembre 1969, n. 311. legge reg. sarda 17 dicembre 1968, rlappr. 6 novembre 1969 (Autorizzazione al trasporto all'esercizio successivo degli ordini di accreditamento emessi dail'Amministrazione regionale per spese in conto capi tale) (art. 127 della Costituzione). Ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri depositato 1 dicembre 1969, G. U. 10 dicembre 1969, n. 311. (54) Questione gi proposta dal pretore di Velletri (ordinanza 15 novembre 1968, G. U. 12 febbraio 1969, n. 38) e dal pretore di Fondi (ordinanza 29 gennaio 1969, G. U. 9 aprile 1969, n. 91). (55) Con sentenza 22 dicembre 1969, n. 155 la Corte costituzionale ha dichia rato la illegittimit costituzionale dell'art. 20, lettere a e b, nella parte in cui dispongono che le pensioni di vecchiaia non sono cumulabili con la retribuzione, e degli artt. 21 e 23, nelle parti in cui si riferiscono alla pensione di vecchiaia; la questione di legittimit costituzionale dell'art. 20, lettera c, in riferimento agli articoli 3, 4, 35, 36 e 38 della Costituzione, stata invece dichiarata, co1;1 la stessa I I I' i l l i ! i ! j ! i l sentenza, non fondata. J8 220 legge reg. sic. appr. 12 novembre 1969 (Modifica aria legge regionale 1 febbraio 1963, n. 11, concernente: Conglobamento ed adeguamento delle retribuzioni del personale dell'Amministrazione regionale>). Commissario dello Stato per la Regione siciliana, ricorso depositato il 25 novembre 1969, G. U. 24 dicembre 1969, n. 324. NORME DELLE QUALI IL GIUDIZIO DI LEGITTIMITA COSTITUZIONALE STATO DEFINITO CON PRONUNCE DI ESTINZIONE, DI INAMMISSIBILITA, DI MANIFESTA INFONDATEZZA O DI RESTITUZIONE DEGLI ATTI AL GIUDICE DI MERITO R. d. 1 luglio 1926, n: 1361 (Regolamento per l'esecuzione del regiq decreto 15 ottobre 1925, n. 2033, convertito in legge con la legge 18 marzo 1926, n. 562, concernente la repressione delle frodi nella prepaI I "" razione e nel commercio di sostanze di uso agrario e di prodotti agrari), artt. 93 e 94 (artt. 3 e 24 della Costituzione) -Inammissibilit. Sentenza 3 dicembre 1969, n. 149, G. U. 10 dicembre 1969, n. 311. Ordinanza di rimessione 3 dicembre 1968 del pretore di Santa Maria Capua Vetere, G. U. 26 marzo 1969, n. 78. legge 31 marzo 1956, n. 294 (Provvedimenti per la salvaguardia del Icarattere lagunare e monumentale di Venezia attraverso opere di risanamento civico e d'interesse turistico), art. 4, quarto comma . seconda parte, nel testo sostitutivo dall'art. 6 della legge 5 luglio 1966, n. 526 (art. 3 della Costituzione) -Manifesta infondatezza (56). I] ; Ordinanza 17 dicembre 1969, n. 154, G. U. 24 dicembre 1969, n. 324. Ordinanza di rimessione 1 febbraio 1968 del Tribunale di Venezia, < .G. U. 10 agosto 1968, n. 203. I 1 I I w w IrJ f::.: (56) Questione dichiarata non fondata cort sentenza 19 lugHo 1968, n. 107. !)~ CONSULTAZIONI ACQUE PUBBLICHE Concessione d'utenza con plurime opere di presa -Canone. Se le derivazioni d'acqua pubblica ad uso diverso da quello agricolo, godute da una pluralit di utenti, siano da considerare a tutti gli effetti come utenze distinte, anche se hanno la presa in comune (n. 101). Se tale principio trovi applicazione nella diversa ipotesi in cui unico sia il titolare dell'utenza, pur essendo plurime le opere di presa (n. 101). Se in questo caso, agli effetti della determinazione del canone occorra stabilire, in relazione a ciascuna fattispecie, se si tratti di un'unica utenza (il che comporta l'applicabilit di un solo canone commisurato all'entit complessiva della concessione), oppure di pi utenze concesse con il mede simo atto (con la conseguenza che ogni singola derivazione dovr essere assoggettata a distinto canone, osservato il limite minimo di cui all'ultimo capoverso dell'art. 35 del t.u. 1775/1933) (n. 101). Se tra gli elementi obbiettivi rilevanti ai fini del suddetto esame, possano indicarsi la natura del sistema idrografico da cui le acque ven gono attinte e l'entit della derivazione, anche in rapporto alle portate ottenibili con le singole opere di presa, con particolare riguardo alla destinazione specifica delle acque derivate (n. 101). AMMINISTRAZIONE PUBBLICA Abitazioni per lavoratori dipendenti. Se l'assegnatario con patto di locazione possa chiedere la trasforma zione del titolo di assegnazione in quello di patto di riscatto (n. 345). Se la decorrenza del termine venticinquennale per il riscatto possa farsi coincidere con la data di stipulazione del nuovo contratto di asse gnazione (n. 345). Se i canoni di locazione gi versati prima della data del nuovo contratto di assegnazione' possono essere detratti dal costo globale di riscatto ' (n. 345). Azione di rivalsa nei confronti del dipendente Ipotesi di surrogazione legale. Se l'azione di rivalsa dell'Amministrazione nei confronti del suo dipendente che con dolo o colpa grave abbia arrecato danni ad altri, costituisca una ipotesi di surrogazione legale ex art. 1203 n. 3 e.e. (n. 346). APPALTO Collaudo: riserve iscritte dall'appaltatore -Prescrizione per decorso del tempo -Escluiione. Se, nel caso in cui la Pubblica Amministraz~one appaltante abbia lasciato decorrere oltre 10 anni dal collaudo senza adottare alcu~a determi RASSEGNA DELL'AVVOCATRA DELLO STATO 222 nazione sulle riserve scritte dall'appaltatore e questi non abbia a sua volta riaffermato, tramite un qualche atto, le pretese insite nelle riserve stesse,. sia opponibile all'appaltatore la prescrizione del debito (n. 331). COMUNI E PROVINCE Statuto speciale Trentito-Alto Adige art. 16 -Possibilit di delega ad organi di polizia statale. Se ai sensi dell'art. 16, primo e secondo comma, dello Statuto T .A.A. e degli artt. 47 e 48 delle norme di attuazione approvate con d.P.R. 30 giugno 1951, n. 574, i Presidenti delle Giunte provinciali di Trento e Bolzano possano delegare, in materia di malati di mente, i provvedimenti ad essi attribuiti ai Questori od ai Commissari di P. S. (n. 135). Spese di affitto dei locali adibiti ad uffici telegrfici. Se il contributo dei Comuni per le spese di affitto dei locali adibiti ad uffici telegrafici abbia un diverso fondamento a seconda che trattisi di uffici telegrafici istituiti nei capoluoghi di mandamento e nei Comuni di frontiera (legge 28 giugno 1885, n. 3200 in relazione all'art. 91 lett. b n. 32 della legge comunale e provinciale 3 marzo 1934, n. 383) o di uffici istituiti in qualsiasi altra localit del territorio nazionale e non aventi la loro sede nell'ufficio postale (r.d. 19 luglio 1941, n. 1198) (n. 134). Se nel primo caso si tratti di obbligazione ex lege, nel secondo di obbligazione ex contractu, ma in entrambi i casi la semplice delibera adottata dai Comuni interessati, non estrinsecatisi in apposita convenzione con l'Amministrazione P. T., non costituisca elemento valido per l'efficacia del suddetto obbligo (n. 134). Tuttavia, se nel caso di obbligazione ex lege, la Amministrazione P. T., se non pu chiedere l'adempimento in forma specifica dell'obbligo imposto ai Comuni delle citate norme, possa agire in giudizio per ottenere il risarcimento dei danni derivanti dalla violazione dell'obbligo del medesimo (n. 134). CONCESSIONI AMMINISTRATIVE Concessioni di utenze di acque pubbliche. Se le derivazioni d'acqua pubblica ad uso diverso da quello agricolo, godute da una pluralit di utenti, siano da considerare a tutti gli effetti come utenze distinte, anche se hanno la presa in comune (n. 93). . Se tale principio trovi applicazione nella diversa ipotesi in cui l'unico sia il titolare dell'utenza, pur essendo plurime le opere di presa (n. 93). Se in questo caso, agli effetti della determinazione del canone occorra stabilire, in relazione a ciascuna fattispecie, se si tratti di un'unica utenza (il che comporta l'applicabilit di un solo canone commisurato all'entit complessiva della concessione), oppure di pi utenze concesse con il medesimo atto (con la conseguenza che ogni singola derivazione dovr essere assoggettata a distinto canone, osservato il limite minimo di cui all'ultimo capoverso dell'art. 35 del t.u. 1775/1933) (n. 93). PARTE II, CONSULTAZIONI Se tra gli elementi obiettivi rilevanti ai fini del suddetto esame, possano indicarsi la natura del sistema idrografico da cui le acque vengono attinte e l'entit della derivazione, anche in rapporto alle portate ottenihili con le singole opere di presa, con particolare riguardo alla destinazione specifica delle acque derivate (n. 93). CONTABILIT GENERALE DELLO STATO Li.miti di pignorabilit e sequestrabilit deHa buonuscita E.N.P.A.S. Se da parte delle Amministrazioni statali siano sequestrabili, ai sensi dell'art. 69 del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, o pignorabili in via giudiziaria, le somme dovute dall'E.N.P.A.S. ai dipendenti statali a titolo di indennit di buonuscita (n. 238). CONTRIBUTI Contributi di miglioria. Se il termine di cui all'art. 8 del r.d.1. 28 novembre 1938, n. 2000 sia di decadenza ovvero di prescrizione (n. 84). Spese di affitto dei locali adibiti ad uffici telegrafici. Se il contributo dei Comuni per le spese di affitto dei locali dibiti ad uffici telegrafici abbia un divl'!rso fondamento a seconda che trattisi di uffici telegrafici istituiti nei capoluoghi di mandamento e nei Comuni di frontiera (legge 28 giugno 1885, n. 3200 in relazione all'art. 91 lett. b n. 32 della legge comunale e provinciale 3 marzo 1934, n. 383) o di uffici istituiti in qualsiasi altra localit del territorio nazionale e non aventi la loro sede nell'ufficio postale (r.d. 19 luglio 1941, n. 1198) (n. 83). Se nel primo caso si tratti di obbligazione ex lege, nel secondo di obbligazione ex contractu, ma in entrambi i casi la semplice delibera adotta. ta dai Comuni interessati, non estrinsecatasi in apposita convenzione con l'Amministrazione P. T., non costituisca elemento valido per l'efficacia del suddetto obbligo (n. 83). Tuttavia, se nel caso di obbligazione ex lege, l'Amministrazione P. T., se non pu chiedere l'adempimento in forma specifica dell'obbligo imposto ai Comuni dalle citate 'norme, possa agire in giudizio per ottenere il risarcimento dei danni derivanti dalla violazione dell'obbligo medesimo (n. 83). DEMANIO Distanza dalle strade delle costruzioni -D.M. 1 aprile 1968 -Decorrenza, Se il d.m. 1 aprile 1968, avnte natura di regolamento ministeriale, abbia efficacia dopo il periodo di vacatio legis '(n. 228). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ~ Se conservino efficacia le licenze edilizie rilasciate prima della legge ponte del 1967 con il rispetto delle distanze imposte dalle precedenti disposizioni, oppure dopo l'entrata in vigore dell'altra legge con il riitpetto delle distanze da essa previste in via provvisoria (art. 19) anche se quest'ultime risultassero poi inferiori a quelle stabilite con il d;m. del 1968 (n. 228). Se l'art. 19 della legge ponte del 1967 e il d.m. 1 aprile 1968 abbiano innovato in merito alle sanzioni comminate dall'art. 1 del r.d. 1740/1933 per l'inosservanza delle distanze nelle costruzioni della strada (n. 228) Sconfinamenti di private costruzioni ai danni del Demanio stradale -Legge 6 agosto 1967, n. 765 e dd.mm. 1 aprile 1968 e 2 aprile 1968. Se le licenze edilizie concesse nella vigenza e col rispetto del disposto dell'art. 19 1. 6 agosto 1967, n. 765 conservino efficacia anche dopo l'emanazione dei dd.mm. 1 aprile 1968 e 2 aprile 1968 coi quali le distanze delle vie di comunicazione stradali sono state determinate in misura maggiore (n. 229). DONAZIONE Donazione all'I.S.E.S. -Necessit dell'autorizzazione governativa -Esclusione. Se, ai sensi della legge 15 febbraio 1963, n. 133, l'I.S.E.S. possa legittimamente stipulare, quale donatario, atti pubblici di donazione, relativi ad attivit patrimoniali del Comitato UNRRA-CASAS (n. 41). Se le donazioni, per le quali sia gi intervenuta l'accettazione da parte dell'Amministrazione aiuti internazionali, possano essere ridotte in atto pubblico senza necessit dell'autorizzazione governativa (n. 41). ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILIT L. 2 dicembre 1967, n. 1231, art. 3 -L. 20 marzo 1968, n. 391. Se il versamento presso la Cassa depositi e prestiti della indennit determinata per le espropriazioni previste dalla 1. 2 dicembre 1967, n. 1231 debba essere disposto dal prefetto o dall'autorit giudiziaria (n. 285). Momento del. passaggio di propriet nelle procedure espropriative nelle nuove Province. Se nelle procedure espropriative svolte nelle nuove province la propriet dei beni espropriati si trasferisca al momento della intavolazione o alla data del decreto di espropriazione (n. 286). Se la intavolazione, nelle more della procedura espropriativa del diritto di propriet a favore di persona diversa dell'espropriato, possa fare arrestare il corso della procedura in modo da impedire la intavolazione del decreto di espropriazione (n. 286). I I [ PARTE II, CONSULTAZIONI 225 ESECUZIONE FORZATA Espropriazione nei confronti dell'Enel, del credito spettante al debitore d'imposta -Foro competente. Se sia competente il foro di Roma, ove la sede centrale dell'E.N.E.L., per l'espropriazione ed il sequestro dell'indennizzo spettante al debitore d'imposta a seguito della nazionalizzazione dell'impresa elettrica (n. 45). FERROVIE Responsabilit penale del personale ferroviario. Se l'art. 104 delle ondizioni e . tariffe del trasporto da parte delle ferrovie dello Stato valga ad esonerare da responsabilit penale il personale ferroviaria in ipotesi di maltrattamenti. d'animali posti in essere dal privato utente del trasporto (n. 407). IMPOSTA DI BOLLO Commissioni tributarie -Competenza. Se ai sensi dell'art. 30 del d.P.R. 25 giugno 1953, n. 492 sia configurabile, in materia di imposta di bollo, la competenza delle Commissfoni tributarie (n. 42). Se l'obbligo della rimessione degli atti da parte dell'Intendenza di finanza alla Commissione tributaria sussista anche nel caso in cui la questione proposta non sia ritenuta di competenza della Commissione stessa (n. 42). Se la definizione amministrativa prevista dall'art. 15 della legge "( gennaio 1929, n. 4 debba ritenersi irrevocabile (n. 42). IMPOSTA DI CONSUMO Applicabilit sui residui sgrassati del cacao. Se sia applicabile, pur nel silenzio della legge, l'imposta di consumo relativamente ai residui sgrassati del cacao (n. 17). IMPOSTA DI REGISTRO Agevolazioni fiscali previste dalla legge 2 luglio 1949, n. 408 per l'acquisto di aree fabbricabili -Inclusione dell'area acquistata nei piani di zona di cui alla legge 18 aprile 1962, n. 167. Se gli obblighi imposti ai proprietari delle aree che la legge 18 aprile 1962, n. 167 (disposizioni per favorire l'acquisizione di aree fabbricabili per l'edilizia economica e popolare) abbia incluso nei piani di zona valgano a configurare il caso di forza maggiore agli effetti dell'art. 20 della legge 2 luglio 1949, n. 408 per coloro che avevano in precedenza acquistato 'e aree stesse usufruendo dei benefici di cui. all'art. 14 di quest'ultima legge (n. 310). ~-xx.,., / 226 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STAT Agevolazioni per l'edilizia -L. 2 luglio 1949, n. 408 -Acquisto di un'area da parte di pi persone, pro-indiviso, e costituzione di reciproci diritti di superficie. Se nel caso di acquisto di un'area da parte di pi persone, pro-indiviso, e di contestuale o successiva reciproca costituzione di diritti di superficie tra gli acquirenti, competano ugualmente i benefici relativamente all'ac- quisto; se inoltre siano o meno applicabili i benefici dell'atto di costituzione dei diritti di superficie (n. 311). Case da gioco -Limiti dell'obbligo di denuncia annuale dei proventi lordi. Se sia configurabile per ciascun anno l'obbligo della denunzia dei proventi di gestione conseguiti dalle case da gioco (n. 312). Se l'obbligo della denuncia dei proventi di gestione conseguiti dalle case da gioco possa ritenersi sussistente solo se il relativo corrispettivo sia stato accertato in modo definitivo (n. 312). Valutazione -Vendite coatte. l ~ Se sia ammissibile il procedimento di valutazione nel caso di vendite coatte, anche fallimentali, eseguite senza incanto (rif.to a disposizione art. 50 legge registro) (n. 313). I IMPOSTA DI RICCHEZZA MOBILE Trattenuta. J Se sugli interessi dovuti sulle indennit liquidate per i casi di ritardo, I' perdita o avaria sulle merci trasportate debba essere trattenuta l'imposta di ricchezza mobile ai sensi dell'art. 126 dl t.u. sulle imposte dirette (n. 46). IMPOSTE DI SUCCESSIONE Assoggettabilit delle obbligazioni I.M.I. Se i titoli obbligazionari emessi dall'I.M.I. siano soggetti all'imposta di successione (n. 64). IMPOSTE E TASSE "' Contenzioso tributario -Decisioni di valutazione sulla natura edificabile ~ di un terreno -Ricorso ex art. 29, terzo comma, r.d.l. 163936 -Am-!:=: missibilit -Limiti. r Se avverso le decisioni delle Commissioni provinciali, sezione di va-IJlJ lutazione, con le quali sia stata definita la natura rustica o edificabile di ~:=: un terreno, sia ammissibile l'impugnativa all'Autorit giudiziaria ordinaria e~ art, 29, terzQ comma, r.d.1. 1639/36 (n. 515). ______,~ PARTE II, CONSULTAZIONI 227 Interessi relativi a crediti t'l'ibutari. Se per gli interessi relativi a crediti tributari sia applicabile la stessa prescrizione prevista per le singole imposte a cui si riferiscono, ovvero quella quinquennale di cui all'art. 2948 e.e. (n. 514). Se l'interruzione della prescrizione operata con riguardo al credito di imposta operi anche per gli interessi relativi al credito medesimo (n. 514) IMPOSTE VARIE Imposta di fabbricazione sugli oHi minerali -Natura del termine cH cui aWart. 20 del r.dJ. 28 febbraio 1939, n. 334. Se il termine biennale per la proposizione della domanda di rimborso delle somme corrisposte in pi a titolo di imposta di fabbricazione degli olii minerali, di cui all'art. 20 del r.d.l. 28 febbraio 1939, n. 334, sia di prescrizione ovvero di decadenza (n. 21). INVALIDI DI GUERRA Riscossione -Procedura nei confronti dei soci morosi. Se la Cassa depositi e prestiti ovvero l'Ente edilizio per mutilati ed invalidi di guerra possa, nei confronti dei soci delle cooperative morosi per passivit sociali, utilizzare la procedura privilegiata prevista dall'art. 65 del t.u. 28 aprile 1938, n. 1165 (n. 26). POSTE E TELEGRAFI Spese di affitto dei locali adibiti ad uffici telegrafici. Se il contributo dei Comuni per le spese di affitto dei locali adibiti ad uffici telegrafici abbia un diverso fondamento a seconda che trattisi di uffici telegrafici istituiti nei capoluoghi di mandamento e nei Comuni di frontiera (legge 28 giugno 1885, n. 3200 in relazione all'art. 91, lett. b, n. 32 della legge comunale e provinciale 3 marzo 1934, n. 383) o di uffici istituiti in qualsiasi altra localit del territorio nazionale e non aventi la loro sede nell'ufficio postale (r.d. 17 luglio 1941, n. 1198) (n. 132). Se nel primo caso si tratti di obbligazione ex lege, nel secondo dl obbligazione ex contractu, ma in entrambi i casi la semplice delibera adottat adai Comuni interessati, non estrinsecatasi in apposita convenzione con l'Amministrazione P.T., non costituisca elemento valido per l'efficacia del suddetto obbligo (n. 13b2). Tuttavia, se nel caso di obbligazione ex lege, l'Amministrazione P.T., se non pu chiedere l'adempimento in forma specifica dell'obbligo imposto ai Comuni delle citate norme, possa agire in giudizio per ottenere il risarcimento dei danni derivanti dalla violazione dell'obbligo medesimo (n. 132). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO PRESCRIZIONE Azione di rivalsa dell'Amministrazione pubblica nei confronti del dipendente -Termini. Se i pi lunghi termini prescrizionali previsti dall'art. 2947 e.e. si applichino anche all'Amministrazione che agisca. in via di rivalsa nei confronti del proprio dipendente che abbia, con dolo o colpa grave, arrecato danni ad altri (n. 70). Interessi relativi a crediti tributari. Se per gli interessi relativi ai crediti tributari sia applicabile la stessa prescrizione prevista per le Singole imposte a cui si riferiscono, ovvero quella quinquennale di cui all'art. 2948 n.c.c. (n. 69). Se l'interruzione della prescrizione operata con riguardo al credito di imposta operi anche per gli interessi relativi al credito medesimo (n. 69). PROCEDIMENTO CIVILE / Pignoramento presso terzi -Oneri successivi all'ordinanza di assegnazione. Se l'adempimento dell'ordinanza di assegnazione emessa dal pretore ad esito della procedura esecutiva presso terzi debba subordinarsi alla prova a carico del credito espropriante dell'avvenuta notificazione dell'ordinanza stessa al debitore espropriato (n. 42). STRADE Distanza dalle strade delle costruzioni d.m. 1 aprile 1968 decorrenza. Se il d.m. 1 aprile 1968, avente natura di regolamento ministeriale, abbia efficacia dopo il periodo di vacatio legis (n. 76). Se conservino efficacia le licenze edilizie rilasciate prima della legge ponte del 1967 con il rispetto delle distanze imposte dalle precedenti disposizioni, oppure dopo l'entrata in vigore dell'altra legge con il rispetto delle distanie da essa previste in via provisoria (art. 19) anche se quest'ultime risultassero poi inferiori a quelle .stabilite con il d.m. del 1968 (n. 76). S l'art, 19 della legge ponte del 1967 e il d.m. 1 aprile 1968 abbiano innovato iri merito alle sanzioni comminate dall'art. 1 del r.d. 1740/33 per l'inosservanza delle distanze nelle costruzioni della strada (n. 76). Sconfinamenti di private costruzioni ai danni del Demanio stradale l. 6 agosto 1967 n. 765 e dd.mm.. 1 aprile 1968 e 2 aprile 1968. Se le licenze edilizie concesse nella vigenza e col rispetto del 'disposto dell'art. 19 I. 6 agosto 1967, n. 765 conservino efficacia anche dopo l'emanazione dei dd.mm. 10 aprile 1968 e 2 aprile 1968, coi quali le distanze dalle via di comunicazione stradali sono state determinate in misura maggior (n. 77).. PAtt1':1i: Ii, o:NstiLTAZIONt 229 TRASPORTO Condono di sanzioni disciplinari ex legge 18 marzo 1968, n. 250 -Estensione. Se sia applicabile la legge 18 marzo 1968, n. 250 relativa al condono delle sanzioni disciplinari agli addetti dei servizi di trasporto in concessione esercitati: a) da aziende municipalizzate (n. 71); b) da aziende private (n. 71); c) in regime di gestione governativa (n. 71). Responsabilit penale del personale ferroviario. Se l'art. 104 delle condizioni e tariffe del trasporto da parte delle ferrovie dello Stato valga ad esonerare da responsabilit penale il personale ferroviario in ipotesi di maltrattamenti d'animali posti in essere dal privato utente del trasporto (n. 72). ' " NOTIZIARIO Si sono svolte recentemente cerimonie di commiato in onore degli avvocati dello Stato Giuseppe Capece Minutolo, Aristide Salvatori ed Achille Salemi, collocati a riposo. L'avvocato Giuseppe Capece Minutolo entr in magistratura, come uditore giudiziario, nel 1923 ed in Avvocatura, come aggiunto di procura di 2 classe, l'anno successivo. Nel 1930 fu nominato Sostituto Avvocato e trasferito da Napoli a Messina. Ritorn a Napoli nel 1934 dove esercit le sue fnzioni fino al 1950, data della sua nomina ad Avvocato Distrettuale di Ancona. Dal 1952 al 1965 resse l'Avvocatura distrettuale di Bari; fu, quindi, trasferito a Roma per svolgervi le funzioni di Vice Avvocato Generale dello Stato. Il collocamento a riposo avvenuto, per raggiunti limiti di et,. il 19 giugno 1969. Entrato direttamente nell'Avvocatura dello Stato, nel 1924, l'avvocato Achille Salemi ha anch'egli percorso i gradi della carriera fino a quello di vice Avvocato Generale dello Stato. Senatore della Republbica per una legislatura, l'avvoato Salemi stato collocato a riposo, il 15 dicembre 1969, per raggiunti limiti di et. Anche l'avvocato Aristide Salvatori inizi la sua carriera nella magistratura, ottenendo nel 1935 la nomina ad uditore giudiziario. Pass in Avvocatura, come Sostituto Avvocato, nel 1941, avendo come prima sede in lavoro Firenze. Trasferito nel 1946 a Roma, ha perco.rso in questa citt tutti i gradi della carriera fino a quello di vice Avvocato Generale dello Stato. Il collocamento a riposo avvenuto per sua domanda. I I .< , , , I, ' ' ,' . I ' ,.:. ;=:: I ~l lr~ ;=:: ... . ' 1:1 111;r18'6'1:fa11::11&&11r111&1f&1tae&111iiwiflllt41rtillr1ttl