ANNO XVII -N. 5 SETTEMBRE -OTTOBRE 1965 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO PUBBLICAZIONE BIMESTRALE DI SERVIZIO Spedizione in abbonamento postale -Gruppo IV INDICE Parte prima: GIURISPRUDENZA Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE. pag. 859 Sezione seconda: GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 896 Sezione terza: GIURISPRUDENZA CIVILE 937 Sezione quarta: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 972 Sezione quinta: GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1009 Sezione sesta: GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE PUBBLICHE, APPALTI E FORNITURE 1075 Sezione settima: GIURISPRUDENZA PENALE 1094 Parte seconda: RASSEGNE -QUESTIONI -CONSULTAZIONI RASSEGNA DI DOTTRINA pag. 133 RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 137 CONSULTAZIONI . )) 147 Le sezioni della parte prima sono curate, nell'ordine, dagli avvocati: Michele Savorese, Giorgio Zogori, Franco Carusi, Ugo Gargiulo, Leonida Correale, Giuseppe Del Greco, Antonino Terranova; le rassegne di ,dottrina e legislazione dagli avvocati: Benedetto Boccori e Mario Fanelli. Coordinamento generale: avvocati Aristide Salvatori e Ugo Gargiulo. ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI BATISTONI FERRARA F., Sequestro autorizzato in pendenza di regolamento preventivo ed effetti della pronuncia che nega la giurisdizione . I, 901 BATISTONI FERRARA F., Determinazione ufficiale del valore delle merci ai fni dell'i.g.e, all'importazione e posizione soggettiva del contribuente . I, 928 CARUSI F., Ancora in tema di apponibilit della conversione della prescrizione prevista dall'art. 295S c. c. al condebitore solidale rimasto estraneo al giudizio I, 961 ALIBRANDI T., Brevi note in tema di interpretazione teleologica I, 1001 ANGELINI ROTA G., Sulla tassazione dei contratti di concessione di terreni per la costruzione di stazioni di servizio con l'impianto di distributori di carburanti . I, 1009 FA V ARA F., Effetti del fallimento sulla clausola compromissoria I, 1075 MARZANO A., Lodi parziali e regolamento di competenza . I, 1085 INDICE ANA.LITICO-ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA ACQUE PUBBLICHE -Concessione -Dichiarazione di decadenza -Posizione giuridica dell'aspirante alla concessione, 1090. -Importanza dell'utilizzazione -Valutazione -Discrezionalit, 1090. -Procedimento dinanzi ai Tribunali delle Acque -Accertamenti tecnici Procedura, 1088. -Procedimento dinanzi ai Tribunali delle Acque -Termine di impugnazione -Decorrenza -Soggetti direttamente contemplati nel provvedimento Nozione, 1081. -Sottensione di utenza -Importanza dell'utilizzazione -Criterio di valutazione, 1090. AMMINISTRAZIONE DELLO STATO E DEGLI ENTI PUBBLICI -Delegazione amministrativa -Delegazione intersoggettiva -Nozione -Effetti -Responsabilit del delegato verso i terzi, 947. APPELLO -Domanda nuova -Nozione -Introduzione di nuova ragione di diritto Ammissibilit, 945. -Intervento coatto ad istanza di parte o jussu judicis di un terzo -Inammissibilit, 950. -Motivi -Duplice funzione: determinazione del quantum devolutum cd esposizione delle ragioni del gravame -Divieto di dedurre nuovi motivi al di fuori dell'atto di appello -Non riguarda la deduzione delle ragioni del gravame, 945. -V. anche Procedimento civile. ARBITRATO -Provvedimento sulla competenza -Natura, con nota di A. MARZANO, 1084. -V. anche Competenza e giurisdizione, Fallimento. ATTI AMMINISTRATIVI -Decreto del Presidente della Repubblica -Formula sentito il Consiglio dei Ministri -Valore, 989. AVVOCATO E PROCURATORE -Esami di abilitazione professionale Elaborato non originale -Conseguenze, 980. CASSAZIONE -Applicazione del jus superveniens Nozione, 963. -Deposito di documenti relativi alla ammissibilit del ricorso -Necessit della previa notifica del controricorso Sussiste, 949. -Incompetenza dell'Ufficiale Giudiziario che notific il ricorso -Vizio della notificazione e non del ricorso -Comparizione dell'intimato -Sanatoria, 949. -Istanza di revoca del sequestro proposta a seguito di dichiarazione di difetto di giurisdizione del Magistrato che lo ha emesso -Provvedimento di non luogo a procedere emesso dal Giudice istruttore -Carattere decisorio Esclusione -Definitivit -Esclusione Ricorso ex art. 1 II della Costituzione Inammissibilit, con nota di F. BATISTONI FERRARA, 900. -Produzione in giudizio di nuovi documenti -Esclusione -Casi eccezionali in cui ammessa, 963. -V. anche Competenza e giurisdizione. COMPETENZA E GIURISDIZIONE -Arbitrato -Provvedimento arbitrale sulla competenza -Regolamento di competenza -Inammissibilit con nota di A. MARZANO, 1084. -Azione di mero accertamento della illegittimit di un provvedimento amministrativo -Ammissibilit, 896. -Case Popolari -Prezzo di cessione Determinazione -Impugnativa -Giurisdizione dell'a.g.o. -Esclusione, 906. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO VI -Determinazione ufl:iale del valore delle merci ai fini dell'i.g.e. all'importazione -Provvedimento discrezionale -Esclusione -Contestazione del valore ufficiale da parte del contribuente Competenza dell'a.g.o., con nota di F. BATISTONI FERRARA, 927. -Giurisdizione 01dinaria ed amministrativa -Impiego pubblico -Controversie relative alle assicurazioni obbligatorie non connesse col rapporto di impiego -Competenza del Tribunale, con nota di G. MANDO', 910. -Norme di azione e di relazione -Violazione di norme di azione -Difetto di giurisdizione del G.O. -Giurisdi zione del Giudice amministrativo, 937. -Tutela delle strade -Esecuzione d'ufficio delle opere di manutenzione delle sponde di canale latistante la via pubblica -Azione giudiziaria tendente a farne dichiarare l'illegittimit contestando la sussistenza dell'omissione di manutenzione -Diritto soggettivo Giurisdizione ordinaria, 896. - V. anche Arbitrato, Cassazione, Imposta generale sull'entrata -Procedimento civile. COMUNE -Povvedimento di urgenza della Giunta . Vizi di forma -Sanatoria, 988. CONCESSIONI AMMINISTRATIVE -Scadenza -Autorizzazione provvisoria alla continuazione del servizio -Legittimit, 993. -Tranvie extraurbane -Gestione diretta dell'Amministrazione -Presupposti, 993 -Tranvie extraurbane -Gestione provvisoria -Presupposti di fatto -Negligenza del!'Amministrazione -Irrilevanza, 993. -Tranvie extraurbane -Prorogabilit massima di dieci anni -Abolizione, 993. -Tranvie extraurbane -Proroga per quindici anni -Mancanza di adeguata istruttoria -Illegittimit, 993. -Tranvie extraurbane sussidiate dallo Stato -Organo competente -Determinazione, 993. - V. anche Acque pubbliche, Miniere. CONTENZIOSO TRIBUTARIO - V. Imposta di registro. CONTRABBANDO -Partecipazione al delitto di guardie di finanza -Figura autonoma cli reato, 1097 CONTRATTI PUBBLCI -Enti pubblici diversi dallo Stato -Richiamo al Capitolato generale per gli appalti di opere pubbliche -Valore negoziale, con nota di F. FAVARA, 1075. CORTE COSTITUZIONALE -Conflitto di attribuzioni fra Stato e Regione -Riferibilit del termine agli organi legittimati al ricorso, 865. -Giudizio incidentale di legittimit costituzionale -Individuazione delle norme disciplinanti il rapporto controverso della cui legittimit costituzionale devesi decidere, 874. CORTE DEI CONTI - V. Demanio. COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA -V. Cassazione, Energia elettrica, Filiazione, Impiego pubblico, Imposta di registro, Imposta di successione, Imposte e Tasse in genere, Lavoro, Leggi, Regione Siciliana, Riforma fondiaria, Sicilia, Stampa, Trentino Alto Adige. DANNI -Danni a persone o a cose causati da azioni non di combattimento delle forze armate alleate nel territorio italiano -Responsabilit dello Stato italiano ai sensi dell'art. 2043 e.e. -Esclusion -Diritto soggettivo del soggetto danneggiato -Contenuto -Esclusione dell'applicabilit delle norme ordinarie sulla responsabilit per fatto illecito -Indennit e non risarcimento, 942. -Disastro ferroviario -Gravit dell'evento -Limiti con nota di G. ZOTTA, 1094. - V. anche Reato. INDICE. VII DANNI D.I GUERRA -Beni perduti all'estero per trattato di pace -Indennizzo -Liquidazione Impugnativa -Giurisdizione del Consiglio di Stato, 985. DEMANCO E PATRlMONCO -Demanio storico e artistico -Imposizione di vincolo -Istruttoria -Esigenza del contraddittorio -Esclusione, 995 -Demanio storico e artistico -Imposizione di vincolo -Presupposti, 995. -Demanio storico e artistico -Provvedimento di vincolo -Delega del relativ'o potere -Controllo della Corte dei Conti -Esclusione, 995. -Demanio storico e artistico -Provvedimento di vincolo -Potere di emanazione -Delega -Ammissibilit, 995. -Demanio storico e artistico -Vincolo Ragioni dell'imposizione -Comunanza ad altri edifici -.Irrilevanza, 995. DOGANA -Diritto di licenza -Importazione a dogana, avvenuta in epoca anteriore alla l. 15 giugno 1950, n. 330 abolitiva del diritto di licenza, a norma dei dd.mm. 13 aprile 1946 e 21 settembre 1949 -Esclusione, 1040. -V. Imposta generale sull'entrata. EDILIZIA POPOLARE ED ECONOMICA -Commissione di vigilanza -Attribuzione di vigilanza e di decisione -Distinzione -Fattispecie, 997. -Commissione di vigilanza -Provvedimento confermativo dell'esclusione da una cooperativa -Ricorso al Consiglio di Stato -Deduzione di motivi nuovi -Inammissibilit, 997. -Costruzione di alloggi per la eliminazione di case malsane a cura dell'amministrazione dei lavori pubblici -Potere di delega agli istituti autonomi per le case popolari -Modalit di esercizio di tale potere -Necessit di indagine sul contenuto e sull'estensione della delega, 947. -Gestione case per lavoratori -Assegnazione di alloggi con patto di futura vendita -Disciplina pubblicistica sui generis del rapporto -Inapplicabilit delle norme del codice civile sui miglioramenti e le addizioni del locatore -Inapplicabilit delle norme sulla edilizia popolare ed economica, 964. -Gestione case per lavoratori -Rapporto di assegnazione di alloggio con patto di futura vendita -Posizione dell'assegnatario, 964. ENERGIA ELETTRICA -Legge istitutiva dell'E.N.EL. -Questioni di illegittimit costituzionale Manifesta infondatezza, 878. ESECUZIONE FISCALE -Esecuzione fallimentare -Autonomia processuale -Deroga alla par condicio creditorum -Insussistenza Concordato fallimentare -Credito chirografario d'imposta -Soggezione, 917. ESPROPRIAZIONE PER P.U. -Dichiarazione di p.u. dell'opera -Dichiarazione di p.u. esplicita o implicita -Natura giuridica -Effetti, 937. -Dichiarazione di p.u. dell'opera -Prescrizione della legge sulla espropriazione per p.u. di fissazione termine per l'inizio ed il compimento delle espropriazioni - norma di azione e non di relazione, 937. -Mancata esecuzione dell'opera -Decadenza della dichiarazione di p.u. Retrocessione -Presupposti -Diversa destinazione anch'essa di p.u. data dalla P.A. espropriante all'immobile - Diritto del proprietario espropriato alla retrocessione -Sussiste ugualmente -Necessit per la rilevanza della nuova destinazione data all'immobile di apposita dichiarazione di p.u. e di nuova espropriazione secondo legge, 940. -Mercati coperti comunali -Norme applicabili -Distinzione -Criteri, 972. -Termine per il compimento delle espropriazioni -Proroga successiva alla scadenza -Illegittimit, 977. -V. anche Piano regolatore. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO VIII FALLIMENTO -Clausola compromissoria contenuta in contratto -Inefficacia, con nota di F. FAVARA, 1075. - V. anche Esecuzione fiscale, Imposte e Tasse in genere. FERROVIE - V. Danni. FILIAZIONE -Giudizio di delibazione della domanda di dichiarazione giudiziale della paternit -Norme limitative della difesa -Incostituzionalit, 886. GIUDIZIO CIVILE E PENALE -Estinzione del reato conseguente ad oblazione -Azione civile tendente a contestare la sussistenza del fatto Preclusione -Insussistenza, 896. GIUDIZIO DI LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE -Irrilevanza ;ii fini del sindacato di legittimit costituzionale di eventuali fattispecie concrete regolate dalla norma in esame, 867. GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA -Giudicato -Limiti oggettivi -Fattispecie in tema di espropriazione per p.u., 972. -V, anche Piano regolatore, Prescrizione. IMPIEGO PUBBLICO -Componenti delle comm1ss1oni operanti nelle amministrazioni statali Limite alla corresponsione dei gettoni di presenza -Questione di legittimit costituzionale -Infondatezza, 883. -Maestro elementare -Collocamento a riposo -Norme applicabili, con nota di T. ALIBRANDI, 1000. IMPORTAZIONE ED ESPORTAZIONE -Importazione temporanea di autoveicoli in Italia -Art. 1 1 della Convenzione di Ginevra -Nozione di resi STITUZIONALE E INTERNAZIONALE 873 valutata se non come strumentale rispetto a tutta una serie di effetti che, attraverso altre disposizioni legislative statali, ad essa si ricollegano o possono ricollegarsi : ed appare perci ovvio che riconoscere alla Regione la potest di dettar norme destinate a sostituire quelle statali comporterebbe l'attribuzione alla stessa del potere di influire anche su materie sottratte alla sua competenza (ad es., valutazioni in concorsi pubblici negli ospedali di tutto il paese -cfr. art. 3, legge 10 marzo 1955, n. 97 -, riforme del sistema sanitario, ospedaliero o previdenziale ecc.). Dal che con~egue che, se alla Regione consentito, nell'ambito della potest attribuita dall'art. 4, n. 12, di provvedere eventualmente ad emanare norme in merito ailla fissazione di categorie ospedaliere limitatamente ad effetti che rientrino in sue specifiche attribuzioni, ad essa certamente precluso il potere di interferim legislativamente -e, per quanto si detto, anche amministrativamente -sulla competenza che allo Stato da riconoscere per il raggiungimento di fini suoi propri. ( Omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 12 luglio 1965, n. 64 -Pres. Ambrosini - Rel. Chiarelli -Rucco {avv. Verga) c. Ufficio del Registro di Termini Imerese e Presid. Regione Siciliana {avv. O. Cascio). Imposte e tasse in genere -Addizionale statale a favore degli alluvionati del Polesine -Legge regionale siciliana di proroga Questioni di costituzionalit -Infondatezza. (Cost., artt. 3, 53, 23; Statuto reg. sic., artt. 14, 17, 36; I. siciliana 26 gen naio 1953, n. 2; I. 2 gennaio 1952, n. 1). Sono manifestamente infondate le questioni di legittimit costituzionale dell'art. 2, legge reg. sic. 26 gennaio 1953, n. 2, prorogante fino al 30 giugno 1958 la legge statale 2 gennaio 1952, n. l, istitutiva di una addizionale a favore degli alluvionati del Polesine, in riferimento agli artt. 36, 14 e 17 dello Statuto Regionale, in quanto con essa non si creato un tributo in contrasto con i tipi previsti dall'ordinamento generale, e in riferimento agli artt. 3, 53, 23 Cost., dovendo tali norme armonizzarsi con il principio dell'autonomia finanziaria delle regioni, sancito dalla stessa Costituzione all'art. 119. L'ordinanza 18 dicembre 1961 della Commissione provinciale delle Imposte di Palermo, pubblicata in Gazzetta Ufficiale, 27 giugno 1964, n. 157. In senso conforme, per quanto riguarda la potest della Regione di istituire addizionali, purch corrispondano ad un tipo previsto dall'ordinamento statale, Corte Cost., 24 giugno 1961, n. 34, Giur. Cast., 1961, 619, citata in motivazione. 3 874 RASSEGNA DELL'AVVOCf'\.TURA DELLO STATO Sulla incostituzionalit della legge siciliana che concede agevolazioni fiscali di tipo difforme da quelle esistenti nella legislazione statale, cfr. Corte Cost., 30 maggio 1963, n. 77, Giust. civ., 1963, III, 196. Sulla competenza legislativa tributaria della Regione, si veda anche la recentt: pronunzia della Corte Cost., 31 marzo 1965, n. 15, retro, 260. Infine sulla imposizione tributaria locale nella Regione siciliana, 9fr. Corte '.i Cost., 8 giugno 1963, n. 189. CORTE COSTITUZIONALE, 12 luglio 1965, n; 65 -Pres. Arnbrosini, Rel. Benedetti -l.N.G.l.C. (avv. Gueli), C.l.A.T.S.A. (avv. Basile), Pres. Reg. Sic. (avv. Cascio). Corte Costituzionale -Giudizio incidentale di legittimit costituzionale -Individuazione delle norme disciplinanti il rapporto controverso della cui legittimit costituzionale devesi decidere. Regione Siciliana -Illegittimit della legge reg. sic. 18 ottobre 1954, n. 37 -Insussistenza. (1. reg. sic. 18 ottobre 1954, n. 37). Regione Siciliana -Illegittimit della legge reg. sic. 25 luglio 1957, n. 46 e 12 dicembre 1959, n. 29, in rapporto agli artt. 15, 17 e 36 dello Statuto spec. reg. sic. (1. cost. 26 febbraio 1948, n. 2; r.d. 15 maggio 1946, n. 455; Statuto spec. reg. sic., artt. 15, 17, 36; I. reg. sic. 25 luglio 1957, n. 46; I. reg. sic. 12 dicembre 1959, n. 29). La Corte Costituzionale ha l'obbligo di esaminare la questione di legittimit nei termini e nella estensione dell'ordinanza di rinvio, essendo compito del giudioe di merito stabilire di quali norme disciplinanti il rapporto controverso, si debba accertare la legittimit costituzionale (1). Non fondata la questione di legittimit costituzionale della legge reg. sic. 18 ottobre 1954, n. 37, che, uniformandosi alle sentenze dell'Alta Corte Siciliana, del 6 ottobre 1954, modificava la legge reg. sic. 28 aprile 1954, n. 11, da quest'ultima dichiarata illegittima (2). Sono illegittime le leggi reg. sic. 25 luglio 1957, n. 46 e 12 dicembre 1959, n. 29, poich le esenzioni in esse disposte non trovano riscontro in corrispondenti esenzioni nella legislazione statale e poich non con:sentito alla Regione sottrarre ai Comuni un cespite di particolare importanza come quello derivante dall imposte di consumo (3). (1-3) La questione era stata sollevata dal Tribunale di Catania con ordinanza del 29 maggio 1964. Principio pacifico. Numerosi i precedenti, riguardanti per la verit il caso opposto a quello in esame; nel giudizio davanti all'Ecc.ma Corte cio, oltrepassati PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 875 (Omissis). -1 -Osserva preliminarmente la Corte che non pu essere accolta l'eccezione sollevata dalle difese della Regione e della C.l.A.T.S.A., nelle rispettive memorie difensive, in ordine alla necessit -per difetto di rilevanza nel giudizio di merito -di limitarne l'esame della proposta questione di legittimit alla sola norma della legge regionale 18 ottobre 1954, n. 37, riguardante l'esenzione dall'imposta di consumo sui materiali impiegati nella costruzione di alberghi, ultimati entro il 31 dicembre 1957. Stabilire quali norme disciplinino il rapporto controverso e siano conseguentemente idonee alla definizione dello stesso accertamento che appartiene al giudizio di rilevanza che di competenza del giudice a quo. Il Tribunale di Catania ha ritenuto che la controversia sottoposta al suo esame non possa essere defnita senza la risoluzione della questione di legittimit costituzionale -in riferimento agli artt. 36, 17 e 15 dello Statuto -sia della legge regionale n. 37 del 1954, sia delle successive leggi di proroga nella . parte in cui prevedono la esenzione dall'imposta di consumo per i materiali impiegati nelle costruzioni di edifci destinati ad alberghi . Deve, quindi, la Corte esaminare la questione nei termini e nella estensione entro i quali le stata prospettata nell'ordinanza di rinvio. A tale proposito opportuno precisare che le leggi regionali che verranno prese in considerazione nella dedotta questione di legittimit sono le seguenti: la citata legge regionale 18 ottobre 1954, n. 37 -il cui art. 1, per la esenzione tributaria in esame, fa rinvio all'art. 4 della nelle istanze difensive delle parti, i termini della questione di legittimit cos come configurati nelle ordinanze di rimessione. E stato costantemente affermato che i confini del giudizio vengano inderogabilmente delimitati dall'ordinanza stessa. Cos da ultimo: Corte Cost., 7 marzo 1964, n. 14, Giur. cost., 1964, 82; Corte Cost., 2 aprile 1964, n. 29, Giur. cost., 1964, n. 167; Corte Cost., Io febbraio 1964, n. l, Giur. cost., 1964, 3; Corte Cost., 23 aprile 1965, n. 30, Giur. cost., 1965, 187. Il caso che ci occupa verte invece nell'ipotesi opposta: dalle parti si fatta richiesta di limitare il giudizio di legittimit a quelle sole norme da essi giudicate rilevanti ai fini del giudizio di merito : la sentenza che si annota non che una riaffermazione del principio or visto. Cfr. Corte Cost., 9 aprile 1963, n. 43, Giur. cost., 1963, 1961. In merito ai poteri della Regione Siciliana in materia di sgravi fiscali, v. da ultimo la sentenza 28 gennaio' 1965, n. 2 della Corte Cost., in questa Rassegna, 1965, n. 4, che ha dichiarato illegittima la 1. reg. sic. 27 dicembre 1961, n. 72, contenente " proroga alle agevolazioni fiscali per le nuove costruzioni edilizie n stabilite con la 1. reg. sic. 18 ottobre 1954, n. 37; cfr. anche Corte Cost., 13 aprile 1957, n. 58, Giur. cost., 198, 670; 5 dicembre 1957, n. 124, Giur. cost., 1958, 1128; Corte Cost., 30 maggio 1963, n. 77, Giur. cost., 1963, 644. Sul potere normativo in generale in materia tributaria della Regione Siciliana: Corte Cost., 13 aprile 1957, Giur. cost., 1957, Giur. cost., 628, con osservazioni di M. S. GIANNINI. 876 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge regionale 28 aprile 1954, n. 11 -; e le leggi regionali 25 luglio 1957, n. 46, 12 novembre 19'59, n. 29, le quali hanno prorogato il beneficio fiscale sopradetto rispettivamente al 31 dicembre 1959 e al 31 dicembre 1961. Dell'ultima legge di proroga, la n. 22 del 17 novembre 1961, non sar invece necessario occuparsi in quanto la Corte, nelle more del presente giudizio, ne ha dichiarato l'illegittimit costituzionale proprio nella parte concernente l'esenzione dall'imposta di consumo sui materiali da costruzione (sent. 2 del 1965). 2.-La questione in oggetto verte su un tema sul quale la Corte ha avuto ripetute occasioni di pronunciarsi: quello dei limiti entro i quali la Regione siciliana pu concedere esenzioni dai tributi locali e, in particolare, dall'imposta di consumo sui materiali da costruzione. Sul punto stato pi volte affermato che la norma regionale pu essere considerata costituzionalmente Jegittima allorch la esenzione da essa disposta trovi riscontro in un tipo contemplato dalla legge nazionale, sia rispondente a interessi propri della Regione e, infine, non violi lampia autonomia finanziaria riconosciuta agli enti locali (sentenze 58 e 124 del 1957; 60 del 1958 e 2 del 1965). -~ -~ Ci posto, occorre vedere se nel caso in esame le norme contenute nelle leggi regionali impugnate abbiano o meno valicato i cennati limiti della potest normativa della Regione. Per quanto riguarda la legge 18 ottobre 1954, n. 37, la Corte rileva che la valutazione della medesima va fatta da un diverso angolo visuale e al lume di criteri del tutto particolari. Inducono a ci due circostanze riguardanti rispettivamente il tempo in cui detta legge ebbe vigore e le ragioni che ne giustificarono la emanazione. Sotto il primo aspetto a dirsi che la legge -emanata nel 1954 concedeva lesenzione per quegli alberghi la cui costruzione fosse stata iniziata e condotta a termine nel periodo di tempo decorrente dal 19 ottobre 1954 al 31 dicembre 1957; sotto il secondo profilo va ricordato che Ja legge fu emanata dall'Assemblea regionale in sostituzione della precedente legge 28 aprile 1954, n. 11, la quale, con decisione 6 ottobre 1954 dell'Alta Corte, era stata dichiarata costituzionalmente illegittima per non avere escluso dalle agevolazioni tributarie le case aventi carattere di lusso. Nella citata sentenza fu, peraltro, esaminata e risolta in senso affermativo la questione della legittimit costituzionale della estensione agli alberghi delle agevolazioni fiscali previste per le case di abitzione, ivi compresa lesenzione dal tributo in esame. Orbene, se si tiene conto che la legge n. 37, emanata nel 1954, ebbe a spiegare la sua efficacia in un arco di tempo nel quale non si PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 877 erano ancora potuti compiutamente definire i limiti della potest normativa della Regione in tema di esenzioni tributarie; e se soprattutto si considera che il legislatore regionale, nel conservare le agevolazioni tributarie per le costruzioni alberghiere, non foce altro che uniformarsi aila decisone dell'Alta Corte, non potr non convenirsi che nei confronti di siffatta legge non sia dato ora stabilire che essa abbia ecceduto da quei limiti della potest normativa tributaria regionale che questa Corte ha in epoca successiva elaborato e fissato nelle sue sentenze. Per tali specifiche considerazioni la proposta questione di legittimit deve ritenersi non fondata nei riguardi di detta legge. 8. -A diversa conclusione si deve, invece, pervenire per le successive leggi di proroga 25 luglio 1957, n. 46, e 12 dicembre 1959, n. 29, emanate dopo che erano intervenute le sentenze con le quali questa Corte aveva puntualizzato i limiti della potest legislativa regionale in materia. Tali leggi non possono essere sottratte all'esame rivolto a stabilire se il beneficio da esse concesso sia contenuto o meno nei suddetti limiti. Circa la corrispondenza tipologica va osservato che, se vero che sul piano nazionale non poche sono le leggi che favoriscono l'industria alberghiera, concedendo sia facilitazioni di credito, sotto forma di mutui e contributi, sia agevolazioni fiscali alle prime collegate, altrettanto vero che nella legislazione statale manca, e non vi mai stata, una disposizione riguardante la esenzione dall'imposta di consumo sui materiali impiegati nella costruzione di edifici destinati ad albergo. Su ci le stesse difese della Regione e della C.I.A.T.S.A. convengono, e a nulla vale eccepire che gli alberghi sarebbero in definitiva delle case n essendo anch'essi composti di locali destinati ad abitazione, ragione per cui l'esenzione tributaria prevista dalla legislazione nazional per la costruzione delle case ben potrnbbe essere ad essi estesa. Perch vi sia coincidenza tra due tipi di esenzione , infatti, necessario che sussista un collegamento tra i rispettivi fini e portata e che vi sia identit tra le loro zone di incidenza. Tutto ci non ricorre nel caso in questione in quanto innegabile che diversi sono i presupposti e le finalit cui si ispirano e tendono i due tipi di benefici. A giustificare il superamento del limite della corrispondenza di tipo non giova, infine, rilevare che l'esenzione si riferisce alla materia del cc turismo e vigilanza alberghiera n che l'art. 14 lett. n dello Statuto attribuisce alla competenza legislativa esclusiva della Regione, poich il legislatore regionale nell'emanare norme contenenti agevolazioni tributarie sempre tenuto ad osservare i limiti che sono propri della potest legislativa concorrente. Dai motivi anzi svolti chiaro emerge che le leggi in oggetto non hanno rispettato i principi ai quali si informa la legislazione dello Stato 878 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO e ci dispensa la Corte da qualsiasi indagine rivolta ad accertare la sussistenza o meno di uno specifico interesse regionale che con la esenzione sarebbe stato soddisfatto. De.I pari evidente l'incostituzionalit delle due leggi di proroga in riferimento all'art. 15 dello Statuto. Valgono, in proposito, le argomentazioni poste a base della sentenza n. 2 del 1965 con la quale stata dichiarata l'incostituzionalit della terza legge di proroga, 27 novembre 1961, n. 22 {pure impugnata in questa sede) proprio nella parte concernente l'esenzione dall'imposta di consumo sui materiali da costruzione. Non consentito alla Regione sottrarre ai Comuni un cespite di particolare importanza come quello in esame, specie nell'assenza di quel coordinamento tra la finanza statale, regionale e comunale sulla cui necessit la Corte ha pi volte richiamato l'attenzione. La legge regio-nale che esenta dal pagamento di un tributo comunale arreca infatti danno non solo alle finanze dell'ente locale ma anche a quelle dello Stato il quale, com' noto, provvede poi alla integrazione dei bilanci deficitari comunali. -(Omfssis). CORTE COSTITUZIONALE, 12 luglio 1965, n. 66 -Pres. Ambrosini - Rel. Rapaldo -Costa (avv. Costa, Stendardi) c. E.N.EL. {avv. Piccardi, Giannini, Galateria) e Pres. Cons. Ministri (sost. avv. gen. Stato 'Tracanna). Energia elettrica -Legge istitutiva dell'E.N.EL. -Questioni di illegittimit costituzionale -Manifesta infondatezza. Le questioni di legittimit costituzionale della legge 6 dicembre 1962, n. 1643, istitutiva dell'E.N.EL., e dei decreti presidenziali 15 dicembre 1962, n. 1670; 4 febbraio 196-3, n. 86; 25 febbraio 1963, n. 138; 14 marzo 1963, n. 219; in riferimento agli artt. 81, quarto comma; 47; 25; 102, secondo comma; 113 e 76 della Costituzione sono manifestamente infondate, infatti: 1) rart. 81 Cost. non violato n dalreventuale erogazione a favore dell'E.N.EL. da convenzioni di fatto, essendo contraddittorio accusare di incostituzionalit una legge per non aver provveduto alla copertura di spese che essa prevdeva, n_ dalr accordata esenzione dell'Ente dalle imposte di r.m., di industria e di societ, avendo la legge previsto all'art. 8 la costituzione di detti tributi con una imposta unica la cui aliquota sar determinata con legge ordinaria in relazione alle future situazioni, n dalfoutorizzazione concessa all'E.N.EL. di emettere obbligazioni senza averne indicato il modo di copertura, essendo PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 879 questa una attivit di carattere economico a cui r ente deve provvedere utilizzando le proprie risorse; 2) parimenti l'art. 47 Cost. non violato dalla legge istitutiva dell'E.N.EL., in quanto questa ha accordato agli azionisti della societ ex-elettriche la scelta tra il continuare a partecipare a dette societ, con oggetto sociale mutato, il recedere dalle stesse con conseguente diritto all'indennizzo e il chiedere la trasformazione delle proprie azioni in obbligazioni; 3) nemmeno gli artt. 25, 102, 113 Cost. sono stati violati con la istituzione di una eammissione per la decisione dei ricorsi contro le liquidazioni effettuate dall'E.N.EL., in via pregiudiziale rispetto alla azione davanti alr autorit giudiziaria ordinaria o amministrativa, non avendo detta Gammissione carattere di giurisdizione speciale, ma natura amministrativa; 4) infine non sussiste eccesso di delega e violazione dell'art. 76 eost. in quanto le norme relative all presa di possesso e alla gestione delle aziende rispettano i criteri dettati dalla legge delegante, mentre per ci che riguarda la determinazione di valore delle azioni, delle aziende e la media dei valori di borsa e il Governo non era stato chiamato a provvedervi direttamente ma a dettare le norme in base a cui dette determinzioni dovranno compiersi, il che ha fatto affidando il compito ai Ministri per l'industria e il commercio, per il tesoro e agli uffici tecnici erariali (1). {Omissis). -Circa la violazione dell'art. 81, quarto comma, della Costituzione, da rilevare che nelfordinanza si denunzia la mancata copertura sotto tre aspetti: primo, per le anticipazioni che lo Stato avrebbe di fatto erogato all'E.N.EL.; secondo, perch l'Ente sarebbe stato esentato dalle imposte di ricchezza mobile, di industria e di (1) L'ordinanza del Giudice Conciliatore di Milano del 16 gennaio 1964 pubblicata in Gazzetta Ufficiale 29 agosto 1964, n. 212, e annotata in Foro it., 1964, I, 460. Con la stessa ordinanza era stata richiesta, a norma dell'art. 177 del Trattato di Roma 25 marzo 1957, una pronuncia preliminare della Corte di Giustizia della Comunit Europea circa lesistenza o meno della violazione degli artt. 37, 53, 93, 102 del trattato da parte della legge istitutiv dell'E.N.EL. e dei relativi decrt(ti presidenziali: la decisione della Corte di Giustizia della C.E.E. in data 15 luglio 1964, n. 66 si legge in Foro it., 1964, IV, 136, con nota di CATALANO, ed massimata in questa Rassegna, retro, 628, con nota di TRACANNA. Il medesimo Giudice Conciliatore, con precedente ordinanza 10 settembre 1963, aveva sollevato altre questioni di incostituzionalit della stessa legge, n. 1343 del 1962 in riferimento agli artt. 3, 4, 11, 43, 67 Cost., ugualmente dichiarate manifestamente infondate con la sentenza della Corte Costituzionale, ricordate in RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 880 societ ; terzo, perch l'Ente autorizzato alYemissione di obbligazioni senza che sia stabilito il criterio per poter coprire tale impegno finanziario. Nell'ordinanza non si parla affatto della mancata copertura per la garanzia che potr essere accordata dallo Stato alle obbligazioni emesse dall'E.N.EL. Di tale questione quindi la Corte non si occuper, essendo essa fuori della controversia. Circa la copertura per le sovvenzioni che sarebbero state date all'E.N.EL. e che risulterebbero dalla stampa periodica, da osservare che s~ una legge, come quella istitutiva dell'E.N.EL., non prevede tali sovvenzioni, la contraddizione non consente che si accusi la legge di incostituzionalit per non avere provveduto alla copertura di una spesa che la legge stessa non prevedeva e non consentiva. :: superfluo aggiungere che se, per avventura, delle erogazioni fossero fatte senza autorizzazione di legge, le questioni che ne nascerebbero non potrebbero riferirsi alla legge istitutiva dell'E.N.EL., bensl ad altre disposizioni, concernenti la contabilit dello Stato. In ordine alla mancata copertura corrispondente alla diminuzione di entrate tributarie, da osservare che nella specie la questione non si pone: quindi essa resta impregiudicata. Non esatto quanto si legge nell'ordinanza, che l'E.N.EL. sia stato esentato dalle imposte di ricchezza mobile, di industria e di societ . A queste tre imposte stata sostituita, a norma dell'art. 8 della legge istitutiva dell'E.N.EL., una imposta unica, che assicuri fino al 31 dicembre 1964 un gettito, che, nel complesso, non sar inferiore a quello precedente, cosa, del resto, confermata, con l'art. 1 della legge 27 giu gno 1964, n. 452. E poich lo stesso art. 8 dispone che la determinazione dell'aliquota da applicarsi per il periodo successivo al 31 dicem< ..: bre 1964, sar fatta con legge ordinaria, saranno le successive leggi quelle che adegueranno le aliquote dell'imposta unica alle future situazioni. motivazione; del 7 marzo 1964, n. 14, Giust. civ., 1964, III, 100; annotata da MONACO, Giur. it., 1954, I, 1, 1311; da LOPANE, Democrazia e diritto, 1964, 144; da CATALANO, Foro it., 1964, I, 465. Con la sentenza 7 marzo 1964, n. 13, Giust. civ., 1964, III, 107, la Corte Costituzionale ha parimenti respinto alcune eccezioni di illegittimit costituzionale della legge istitutiva dell'E.N.EL. e relative norme di attuazione in relazione a varie norme degli statuti delle Regioni della Val d'Aosta e Trentino-Alto Adige. Altre questioni di legittimit costituzionale della I. 6 dicembre 1962, n. 1343 in riferimento agli artt. 3, 42, 43, 47 Cost., sono state di recente sollevate dal Tribunale di Parma, con ordinanza 24 febbraio 1965, Foro it., 1965, I, 561, mentre si occupata della costituzionalit dell'art. 4, n. 10 della stessa 1. n. 1343 la Cass. nella sentenza 5 luglio 1965, n. 1396, Foro it., 1965, I, 1164. PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 881 In terzo luogo ~ da osservare che, a pr~scindere dalla questione generale (la cui soluzione non giova ai fini del presente giudizio) se l'art. 81 valga anche per il bilancio di tutti gli Enti pubblici o di alcune categorie di tali Enti, nel caso attuale non potrebbe parlarsi di mancanza di copertura. Vemissione di prestiti obbligazionari prevista dall'art. 7 della legge 6 dicembre 1962 costituisce un'attivit di carattere economico esercitabile dall'Ente mediante l'utilizzazione ,delle risorse del proprio patrimonio e della propria gestione. Comunque, non si vede come la legge istitutiva potesse disporre l'allocazione nei futuri bilanci dell'Ente di stanziamenti destinati al servizio delle future emissioni .di obbligazioni o quali altre disposizioni potesse dettare al fine di assicurare la copertura degli oneri finanziari relativi, che l'Ente avrebbe assunto nell'avvenire. Secondo l'ordinanza, la legge istitutiva dell'E.N.EL. ed i successivi decreti presidenziali non hanno tutelato l'investimento che i risparmiatori hanno fatto nelle azioni elettriche, perch hanno scoraggiato il risparmio nella formazione dei capitali azionari e perch hanno trasformato gli azionisti in obbligazionisti, cio in semplici creditori estranei alla gestione sociale. Se con questa censura si volesse sostenere che il Parlamento non potrebbe mai applicare l'art. 43 della Costituzione tutte le volte in cui si tratti di imprese con capitale azionario, la tesi sarebbe manifestamente arbitraria. Un divieto di tal genere non desumibile dall'art. 47 sotto nessun aspetto, n esegetico, n storico, n sistematico. Se l'ordinanza si riferisce ad una deficienza del sistema adottato dalla legge in esame per quanto attiene al trattamento degli azionisti delle societ elettriche, da ricordare che tali societ possono continuare a svolgere la loro attivit, mutando l'ogg~tto sociale, ed i loro azionisti soro liberi o di tener ferma la propria partecipazione a tali societ o di recedere dalle stesse con conseguente diritto all'indennizzo o di chiedere la trasformazione delle proprie azioni in obbligazioni dell'E.N.EL. Questo sistema mostra che il legislatore ha predisposto una serie di garanzie volte alla tutela degli interessi degli azionisti. Ma sarebbe una indagine di merito quella che tendesse a stabilire se tali garanzie siano state pienamente idonee. Quando le garanzie non siano, come non sono nel caso presente, una mera apparenza, sul contenuto di esse non ammissibile un ulteriore sindacato in questa sede di legittimit. Queste considerazioni offrono motivi sufficienti per dichiarare infondata la questione sollevata in riferimento all'art. 47 della Costituzione. Ogni altra amplificazione che stata innestata su ,questo punto, al di l dell'ordinanza, non da prendere in esame. 882 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO :t: palese finfondatezza della censura relativa alla illegittimit delle norme che avrebbero istituito un organo di giurisdizione speciale per decidere sui ricorsi contro le liquidazioni deU'E.N.EL. :t: esatto che non basta che il legislatore qualifichi come amministrativo un ricorso per escludere, solo per questo, il carattere giurisdizionale di un certo rimedio. Ma nella specie chiara la natura amministrativa del ricorso e dell'organo chiamato a deciderlo. La legge in esame ha seguito un sistema non in contrasto con quello adottato dal legislatore in vari settori dell'ordinamento, secondo cui, prima di sottoporre una controversia al giudice ordinario o amministrativo, l'interessato debba rivolgersi ad un organo dell'Amministrazione .per provocarne la decisione. Questo previo esame in sede amministrativa non fa degradare il diritto ad interesse n menoma la tutela dei diritti, giacch costituisce esso stesso una forma di tutla, che si inserisce nel procedimento predisposto dalla legge per realizzare tale tutela senza alcuna invasione nella sfera dei poteri dell'organo giurisdizionale competente. Non sussiste, pertanto, contrasto con l'art. 25 della Costituzione. Non stato violato l'art. 102, secondo comma, essendo la commissione dei ricorsi un organo amministrativo, le cui decisioni non hanno carat' tere n effetto giurisdizionale. A seguito di tali decisioni, che non vincolano il giudice competente, costui avr pienezza di cognizione e di statuizione per la tutela dei diritti. Con che sar anche in tutto rispet' Itato il precetto dell'art. 113 (si veda in senso conforme la sentenza di questa Corte n. 47 del 1964 e le numerose decisioni precedenti ivi richiama te). Ugualmente infondate sono le censure riguardanti }'ecceSSO di delega. Non rilevante ci che stato denunziato in relazione ad un pre teso contrast0 tra la legge ed i decreti presidenziali ed alcune dispo sizioni del codice civile. Tale contrasto non attiene alla sfera della legit timit costituzionale in una materia come questa in cui le norme della legge e quelle emanate in base alla sua delegazione hanno lo stesso valore di quelle del codice civile. Rilevante sarebbe stata la questione se fosse stato accertato un eccesso delle norme delegate rispetto alla legge delegante. Ma tale eccesso non sussiste giacch tutte le norme relative alla presa di pos sesso ed alla gestione delle aziende rispondono ai criteri dettati dalla legge delegante. Del pari prive di fondamento sono le censure riguardanti le norme circa i provvedimenti che sono stati affidati ai Ministri per l'industria e per il commercio e per il tesoro ed agli uffici tecnici erariali, rispet tivamente agli effetti della determinazione del valore delle azioni e delle aziende cedute e della facolt di stabilire la media dei valori PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 883 di borsa delle azioni. Non sussiste eccesso di delega, giacch il Governo non era stato chiamato a determinare direttamente i valori delle azioni, delle aziende e la media dei valori di borsa, ma a dettare le norme in base alle quali queste determinazioni si dovessero compiere. Nell'affidare alla normale competenza dei Ministri per l'industria e per il commercio e per il tesoro e degli uffici tecnici erariali le attribuzioni inerenti alle suddette determinazioni, i decreti delegati non si sono discostati dai poteri e dalle direttive provenienti dalla legge delegante. -(Omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 12 luglio 1965, n. 67 -Pres. Ambrosini - Rel. Manca -Lombardi (n.c.) c. Comune di Monsummano (n.c.) e Pres. del Consiglio dei Ministri (sost. avv. gen. Stato Varvesi). Impiego pubblico -Componenti delle commissioni operanti nelle amministrazioni statali -Limite alla corresponsione dei gettoni di presenza -Questione di legittimit costituzionale Infondatezza. (Cost., art. 36; d.P.R. 1 gennaio 1956, n. 5, art. 3). manifestamente infondata' la questione di legittimit costituzionale deltart. 3, d.P.R. 11 gennaio 1956, n. 5, nella parte in cui stabilisce un limite al pagamento dei gettori di presenza ai componenti delle commissioni operanti nelle Amministrazioni statali, in riferimento all'art. 36, primo comma, Cast., trattandosi di compensi speciali dovuti per prestazioni volontarie di servizi nell'interesse della P.A. e che come tali sfuggono all'applicazione dei requisiti dettati dall'indicata norma costituzionale (1). (1) L'ordinanza del Giudice Conciliatore di Monsummano Terme del 7 luglio 1964, che ha sollevato la questione di costituzionalit, pubblicato in Gazzetta Ufficiale, 29 agosto 1964, n. 212. Sulla illegittimit della corresponsione di compensi con forme e criteri div;lrsi da quelli stabiliti dal d.P.R. 11 gennaio 1956, n. 5, cfr. Corte dei Conti, 9 luglio 1964, n. 297, 18 giugno 1964, n. 296, Foro it., 1965, III, 150. Sulla spettanza dei gettoni di presenza previsti in detto d.P.R. del 1956, n. 5, nel caso di estensione a membri e segretari delle commissioni comunali, cfr. Cons. giust. amm. Reg. Sic.,_ 14 marzo 1964, n. 130, Il Consiglio di Stato, 1964, I, 623. CORTE COSTITUZIONALE, 12 luglio 1965, n. 68 -Pres. Ambrosini - Rel. Sandulli -Pavan (n.c.). Stampa -Pubblicazioni di tipo turistico -Preventiva approvazione da parte dell'Ente Provinciale per il Turismo -Contrasto con l'art. 21, comma 2, Cost. -Insussistenza. (Cost., art. 21, c. 2; r.d. 24 ottobre 1935, n. 2049, art. 11, modificato dal d.P. 28 giugno 1955, n. 630, art. 15). 884 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO r;art. 11 del r.d. 24 ottobre 1935, n. 2049, modificato dall'art. 15, d.P. 28 giugno 1955, n. 630, che dispone la preventiva approvazione da parte dell'Ente provinciale per il turismo delle pubblicazioni contenenti prezzi e dati sull'attrezzatura alberghiera, non contrasta con il secondo comma dell'art. 21, eost., giacch rapprovazione amministrativa stabilita per il detto tipo di pubbicazioni non volta alla limitazione della libert di stampa, ma ispirata unicamente ad esigenze di protezione della fede pubblica, nel quadro generale degli interessi del turismo (1). (1) Giudizio promosso con ordinanza 8 febbraio 1964 del Pretore di Pieve di Cadore, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 238 del 26 settembre 1964 e deciso in Camera di Consiglio non essendosi costituite le parti. CORTE COSTITUZIONALE, 12 luglio 1965, n. 69 -Pres. Ambrosini - Rel. Verz -Buffetti (n.c.) c. Ufficio Registro Foligno (n.c.). Imposta di successione -Deduzione del passivo ai fini della valutazione presuntiva di cui all'art. 31, I. succ., da parte delle aziende industriali o commerciali -Impossibilit di tale deduzione da parte delle aziende agricole -Contrasto col principio I dell'uguaglianza. (Cost., artt. 3 e 53; r.d. 30 dicembre 1923, n. 3270, art. 31). 1,,,. I . Il secondo comma dell'art. 31, r.d. 30 dicembre 1923, n. 3270, sancendo per le sole imposte industriali e commerciali la possibilit di effettuare la valutazione presuntiva dei gioielli, denaro e mobilia al netto delle passivit ereditarie, instaura una ingiustificata disparit di trattamento tra tali imprese e le aziende agrarie, cui non consentito, t ~ ai fini della valutazione, di detrarre le passivit, in violazione del principio di eguaglianza, garantito dagli artt. 3 e 53 della Costituzione (1). (Omissis). -1. -La questione fondata. Relativamente al valore presunto dei gioielli, del denaro e della mobilia, . evidente la diversit del trattamento fatto a coloro che ereditano un'azienda agricola rispetto a coloro che ereditano un'azienda industriale o commerciale. (1) Il giudizio fu promosso con ordinanza emessa il 3 giugno 1964 dalla Commissione provinciale delle imposte dirette e indirette di Perugia, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 26 del 30 gennaio 1965, e deciso con provvedimento in Camera di Consiglio non essendosi costituite le parti. In materia di deducibilit del passivo ereditario ai fini della determinazione dell'imposta di successione cfr. Corte Cost., 26 giugno 1965, n. 50, in questa Rassegna, retro, pag. PARTE I, SEZ. I, GWRIS. COSTII'UZIONALE E INTERNAZIONALE 885 Nelle trasmissioni per causa di morte, si presume la esistenza di gioielli, denaro e mobilia, il cui valore viene calcolato secondo percentuali stabilite dalla legge (2 e 5 per cento) dell'intero compendio ereditario. La somma sulla quale debbono es.sere applicate le dette percentuali varia evidentemente a seconda che si applichi oppur no il principio della deduzione delle passivit: ed allorquando il valore del bene viene calcolato in base alla differenza fra attivo e passivo si ottiene un imponibile reale, corrispondente cio alla effettiva consistenza economka; in caso diverno si ha un imponibile fittizio. Orbene, secondo le norme impugnate, il principio della deduzione delle passivit nell'un caso valido e nell'altro no, sicch per le aziende agricole si assume un imponibile fittizio, per le aziende industriali invece un imponibile reale. 2. -Diversit di disciplina non si riscontrava nelle norme della legge sulle successioni, la quale, prima della innovazione apportata dal r.d. 30 dicembre 1923, assumeva l'imponibile fittizio (cio senza detrazione delle passivit} in ogni caso di valutazione dei gioielli, del denaro e della mobilia. Soltanto col decreto del 1923, stata introdotta la modif.ca a favore delle aziende industriali e commerciali; ma le ragioni del particolare trattamento, quali si leggono nella relazione ministeriale, potendo valere per qualsiasi azienda, comprese quelle agricole, confermano la identit delle situazioni. 3. -La diversit di trattamento non appare fondata su situazioni obbiettivamente diverse; le quali sono le sole che potrebbero giustificare una disciplina differenziata. Ed invero, in relazione alla situazione di fatto, che va presa in considerazione dalla legge al fine della imposizione di un tributo, non sussiste differenza alcuna fra le aziende agricole e quelle industriali o commerciali. Non che le aziende agrarie non abbiano caratteristiche proprie, derivanti dalla esistenza di un patrimonio in gran parte immobiliare; ma che le attivit di esse si svolgano nel fondo e non abbiano _quindi bisogno di un particolare sistema di pubblicit -che il credito agrario abbia caratteri e garanzie proprie ~ che la funzione dell'agricoltura si esaurisca nell'attivit produttiva ecc., appaiono tutte circostanze che risultano irrilevanti al fine di giustificare una discriminazione. La non diversit sostanziale poi innegabile nella attuale evoluzione delle aziende agricole le quali vanno uniformandosi sempre pi ai sistemi delle aziende industriali. E con la meccanizzazione dell'agricoltura, oggi, il ricorso al credito diventato mezzo indispensabile di vita anche per le aziende agricole, sia per far fronte ad una completa ed efficiente attrezzatura, sia per sopperire alle spese di gestione. RASSEGNA DELLAVVOCATURA DELLO STATO 886 4. -Pertanto le norme impugnate contengono discipline diverse , -~ rispetto ad aziende, le quali, come oggetto di una valutazione di natura tributaria, si trovano invece in situazioni di fatto obbiettivamente identiche. Onde risulta violato il principio garantito dagli artt. S e 53 della Costituzione, nel senso che l'imposizione tributaria va commisurata in modo uniforme nei confronti di soggetti, che si trovano nelle stesse situazioni. -(Omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 12 luglio 1965, n. 70 -Pres. Ambrosini - Rel. Chiarelli -Occhi Ultimina {n.c.). Filiazjone -Giudizio di delibazione della domanda di dichiara zione giudiziale della paternit -Norme limitative della difesa -Incostituzionalit. (Cost., art. 24, secondo comma; e.e., art. 274, secondo comma, e 3). L'art. 27 4 e.e., quando dis-pone, al secondo comma, che la decisione sulr ammissibilit delr azione per la dichiarazione giudiziale della paternit o della maternit naturale abbia luogo con decreto non motivato e non soggetto a reclamo, ed escltt!de la necessit che la decisione abbia luogo in contraddittorio e con r assistenza dei difensori, contrasta con il principio sancito dalrart. 24, secondo comma, Cost., relativo al diritto alla difesa, ed pertanto costituzionalmente illegittimo (1). Incostituzionale deve pure ritenersi il terzo comma dell'art. 274 e.e., per la parte in cui dis-pone la segretezza delrinchiesta anche nei confronti delle parti, giacch limitando il diritto alla difesa concreta una violazione delrart. 24, secondo comma, della Costituzione (2). (Omissis). -1. -La questione di legittimit_ costituzionale dell'art. 274 del codice civile, proposta all'esame della Corte, si basa sull'art. SO della Costituzione, il quale, com' noto, dopo aver affermato {l-2) Giudizio promosso con ordinanza 30 settembre 1964 del Tribunale di Milano, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Republica n. 26, del 30 gennaio 1965, e deciso con procedimento in Camero di Consiglio, non essendovi stata costituzione di parte. Interessante notare come, pur essendo stata sollevata la questione di legittimit costituzionale degli artt. 274 e 275 s.c. rispetto agli artt. 24, 30 e 111 Cost., la Corte abbia ritenuto la norma relativa al giudizio di delibazione della domanda di accertamento della paternit in contrasto col solo art. 24, secondo comma, Cost., in quelle parti in cui l'art. 27 4 e.e. comporta una sostanziale violazione del diritto alla difesa. Legittimo, quindi, il procedimento di delibazione in s, come giudizio di ammissibilt della domanda, giacch concreta uno di quei limiti dal legislatore PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 887 nel terzo comma: La legge assicm:a ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima, aggiunge nell'ultimo comma: La legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternit . :: chiaro che la ricerca della paternit viene cos considerata come una forma fondamentale di tutela giuridica dei figli nati fuori del matrimonio, e, come tale, fatta oggetto di garanzia costituzionale. La stessa norma costituzionale, per, stabilisce che la .legge ordinaria, nel disciplinare la materia, pone i limiti per la detta ricerca: limiti che potranno derivare dall'esigenza, affermata nel terzo comma dell'art. 30, di far s che la tutela dei figli nati fuori del matrimonio sia compatibile con i diritti della famiglia legittima, e dall'esigenza di salvaguardare, in materia tanto delicata, i fondamentali diritti della persona, tutelati anch'essi dalla Costituzione, dai pericoli di una persecuzione in giudizio temeraria e vessatoria. Accertare se, nello stabilire questi limiti, la legge ordinaria (nel caso presente, l'art. 274 e.e.) abbia violato alcuni principi sanciti dalla Costituzione forma oggetto del giudizio di legittimit costituzionale. 2. -La previsione legislativa, contenuta nell'art. 274 del codice civile, di un giudizio di delibazione della domanda intesa a ottenere la dichiarazione giudiziale di paternit, rientra in quella predisposizione di limiti che, in relazione alla particolarit della materia, la stessa Costituzione ha attribuito alla legge ordinaria. A giudizio della Corte, essa non contrasta col principio che tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti {art. 24, primo comma, Cost.), n col riconoscimento del diritto di azione per la ricerca della paternit, contenuto nell'art. 30, ultimo comma, della Costituzione, in quanto, come i lavori preparatori del codice Civile e la giurisprudenza hanno concordemente precisato, la decisione in camera di consiglio sull'ammissibilit della domanda non fa stato sulla fondatezza dell'azione e non esclude che questa possa essere riproposta. Ma anche in questi suoi limitati effetti, il procedimento di cui trat posti, per la delicatezza della materia, all'esercizio dell'azione, ed espressamente riconosciuti dalla Costituzione, clw alfultimo comma dell'art. 30 sancisce: "La legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternit ... . D'altro canto, il procedimento di delibazione non costituisce un giudizio autonomo che porti ad un provvedimento definitivo relativo al diritto sostanziale, che solo in un secondo momento verr in considerazione, ma si risolve in una inchiesta, di carattere meramente processuale, volta alla semplice valutazione della idoneit degli indizi a giustificare il provvedimento dell'azione. Tanto vero che la giurisprudenza ha ritenuto che la decisione sull'ammissibilit della domanda non faccia stato sulla fondatezza dell'azione, e non esclude che questa possa essere riproposta. E quando il giudice, esulando dai limiti dell'accertamento degli indizi RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 888 tasi vincolato al rispetto del diritto di difesa delle parti, garan~ito dal secondo comma dell'art. 24 della Costituzione. Con questo diritto contrastano, invece, alcune modalit del procedimento, stabilite dal secondo e terzo comma dell'art. 274. In primo luogo, contrasta con fart. 24, secondo comma, della Costituzione l'incompleta garanzia del contraddittorio. :: vero che prevista la personale audizione delle parti, qualora compaiano, e la nomina di un curatore speciale, in caso di incapaci; ma alla comparizione delle parti non sono assicurate adeguate garanzie, anche perch esclusa f assistenza del difensore, che pur sarebbe richiesta dalla particolare complessit che spesso presentano i casi di cui trattasi. Inoltre, il diritto di difesa violato dalla segretezza della inchiesta sommaria. :: fuori dubbio che la delicatezza della materia richiede che sia esclusa la pubblicit del procedimento e che sia assistito da ogni cautela f esercizio del potere d'inchiesta da parte dell'Autorit giudiziaria; ma il mantenere totalmente segreta finchiesta e i suoi risultati nei confronti delle parti limita f attivit processuale di queste ed esclude il contraddittorio proprio in relazione alfaocertamento di quei fatti, da cui pu dipendere fulteriore esercizio dell'azione garantita dalla Costituzione. E in contrapposta ma analoga situazione .di svantaggio viene, ovviamente, a trovarsi la parte contro la quale il ricorso stato prodotto. :E-: vero che, come si ricordato e come si legge nella relazione al codice civile, dato che la decisione non forma giudicato, fistanza potr essere sempre ripresentata sulla base di nuovi elementi; ma la violazione del dMtto di difesa sta proprio nel porre l'interessato nella necessit di dare inizio a un nuovo procedimento e di dover proporre nuovi elementi alresame del magistrato, senza sapere perch non furono riconosciuti indizi di fondatezza negli elementi gi addotti. Ulteriore violazione del diritto di difesa deriva dalla non impugnabilit del decreto emesso dal Tribunale in camera di consiglio. Si pu qui, prescindere da ogni discussione sulla natura del procedimento in esame e delfatto che lo conclude, anche perch la norma delrart. 274, che non richiede la motivazione del decreto e lo dichiara non soggetto a reclamo, deroga alle norme comuni ai procedimenti in camera di di idoneit, arrivi a conoscere questioni di diritto, che in tale momento gli sono precluse, il suo provvedimento, viziato da eccesso di potere, deve considerarsi anomalo. Potr quindi essere soggetto a reclamo, ed in caso di declaratoria di inammissibilit, avendo il contenuto di sentenza, potr essere impugnato nelle vie ordinarie (cfr. Cass., 30 maggio 1962, n. 1325, Giust. civ., 1962,_ I, 1181). Inteso in tal modo il giudizio di delibazione, la Corte ha giustamente ritenuto superfluo l'esame della questione di legittimit costituzionale, in relazione all'art. 111 Cost. PAATF: I, SEZ. I, ('mJRIS. COSTITtJ'ZIONALE E INTE:l\NAZIONA1.E 8$9 consiglio {art. 737 e 739 c.p.c.). Ma comunque manifestamente in contrasto col diritto di difesa il non poter interloquire sui motivi di un provvedimento, da cui dipende l'ulteriore svolgimento del processo, .e non poter proporre contro di esso alcun gravame. Va anche qui ricordato che la giurisprudenza ha attenuato la portata della norma in esame, interpretandola nel senso di ammettere l'impugnativa quando il decreto sia incorso in violazione di diritto o sia andato oltre l'esame preliminare della richiesta; ma, mentre questo atteggiamento della giurisprudenza esso stesso un indizio della particolarn gravit della norma, resta il fatto che proprio l'insindacabilit del provvedimento emesso in base ad una valutazione puramente delibatoria degli indizi che contrasta con le garanzie che la Costituzione ha voJuto assicurare al diritto di difesa, in ogni stato e grado del procedimento giudiziario. Le esposte considerazioni, mentre portano a ritenere la illegittimit costituzionale di quelle parti dell'art. 274, commi secondo e terzo, del codice civile, che, come si visto, contrastano col secondo comma del1' art. 24 della Costituzione, rendono superfluo l'esame della questione di legittimit costituzionale in relazione all'art. 111 della Costituzione. Sar cura del legislatore provvedere, in conformit ai principi costituzirnnali qui indicati, a una integrazione della disciplina del procedimento che ha formato oggetto della presente decisione, per il quale intanto varranno, in quanto applicabili, le disposizioni comuni ai procedimenti in camera di consiglio. -{Omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 12 luglio 1965, n. 71 -Pres. Ambrosini - Rel. Mortati -Di Lella c. Sez. speo. Riforma Fondiaria in Puglia e Lucania {sost. avv. gen. Stato Agr). Riforma fondiaria -Espropriazione dei terreni oggetti di comu nione pro indiviso -Calcolo dell'indennizzo e fabbricati rurali -Questioni di costituzionalit -Infondatezza. (I. 21 ottobre 1950, artt. 4, 18; I. 18 maggio 1951, n. 333, art. 8; I. 16 agosto 1952, n. 1206p. Cost.). Non incostituzionale il d.P. 18 dicembre 1952, n. 3396, n in rif erimento all'art. 76 Cast. per eccesso di delega rispetto alla legge 21 ottobre 1950, n. 841, in quanto alla espropriazione anche dei terreni oggetto di comunione pro indiv~duo alle leggi di riforma, quota da calcolarsi sull'intera propriet, comprensiva di tutti i beni terreni posseduti in qualunque parte del territorio nazionale, n in riferimento all'art. 47 890 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO del 1950, che corrisponde al valore definitivo accertato ai fini delfimposta straordinaria progressiva nel quale erano compresi tra gli accessori e le pertinenze, inolusi i fabbricati rurali (1). (1) L'ordinanza del Tribunale di Bari 30 aprile 1964, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale 29 agosto 1004, n. 212. Per riferimenti sul primo punto, si veda Corte Cost., 23 maggio 1964, n. 41, Giur. it., 1964, I, 1, 1064; Corte Cost., 30 dicembre 1961, n. 77, id., 1962, I, 1, 487; Trib. Roma, 5 agosto 1961, Foro it., Rep., 1962, v. Agricoltura, n. 64. Per quanto riguarda la seconda questione, si veda Corte Cost., 25 maggio 1957, n. 65, Foro it., 1957, I, 929, citata in motivazione. Sull'incostituzionalit per eccesso di delega rispetto all'art. 4, 1. n. 841 del 1950 del decreto di esproprio che abbia tenuto conto dei dati del nuovo catasto non ancora in vigore nella zona al 15 novembre 1949, cfr. Corte Cost., 7 luglio 1964, n. 73; 22 giugno 1963, n. 104, Giur. it., 1963, I, 1. 1293, 549. CORTE COSTITUZIONALE, 12 luglio 1965, n. 72 -Pres. Ambrosini - Rel. Sandulli -Mobilia (avv: Paglietti) -I.R.F.I.S. {avv. Cascio) - Fall. Soc. Plastimber (avv. Silvestri) -Pres. Reg. Sic. {avv. Nicol). Regione Siciliana Credito industriale Infondatezza dell~ questione di legittimit costituzionale della legge reg. sic. 5 agosto 1957, n. 51, in rapporto agli artt. 14 lett. d) e 17 lett. e) dello Statuto Regione Siciliana -Competenza regionale nel campo del diritto privato. {l. reg. sic. 5 agosto 1957, n. 51, artt. 14, lett. d) e 17 lett. e) Statuto reg. sic.). Non fondata la questione di legittimit costituzionale della legge reg. sic. 5 agosto 1957, n. 51, contenente provvedimenti straordinari per lo sviluppo industriq,le, in riferimento agli artt. 14 lett. d) e 17 lett. e) dello Statuto per la Regione Siciliana {l). I finanziamenti previsti della predetta legge e garantiti dal nuovo privilegio con il grado indicato dal cod. civ. al"/:art. 2778, n. 3, sulle scorte di materie prime e prodotti giusti ohe si trovano nel patrimonio (1-3) La questione era stata sollevata con ordinanza 25 febbraio 1964 del Tribunale di Messina. Sull'importante problema dei limiti della competenza legislativa della Regione in materia di diritto privato, v.: Corte Cost., 8 luglio 1957, n. 109, Giur. cost., 1957, 1016; Corte Cost., 8 luglio 1957, n. 123, Giur. cost., 1958, 41, con nota del MoRTATI; 10 aprile 1962, n. 34, Giur. cost., 1962, 269. In, dottrina, fra gli altri: MAzzroTTI, Studi sulla potest legislativa delle Regioni, Milano, 1961; SAL, Autonomie regionali e disciplina di diritto privato, Padova, 1960. :~ PARTE! I, S:;, I, GIUlUS. C0$T1TUZiN'AL:I!: E INTEl\NAZIONALE 891 della impresa debitrice, importano esercizio della potest legislativa in materia di discipAl:'IT~ I, SZ. ll, GIUl'IIS. SU QUESTlN J)I GIUl'IISl)IZONlt 901 Il provvedimento con il quale il giudice istruttore, richiesto di revocare il sequestro a seguito della dichiarazione, in sede di regolamento preventivo di giurisdizione, del difetto di quest'ultima nel magistrato che ebbe ad autorizzarlo, dichiari non luogo a decidere 8uliistanza e rinvii le parti a provvedersi nelle forme ordinarie, difetta dei caratteri della decisoriet e della definitivit e, pertanto, non impugnabile con ricorso per cassazione sensi deltart. lll della Costituzione (1). (Omissis). -Le controricorrenti contestano l'ammissibilit del ricorso proposto dalla Emilia Cignozzi, alla stregua dell'art. lll della Costituzione, con~ro l'ordinanza emessa, il 14 luglio 1964, dal Presidente del Tribunale di Montepulciano in tema di revoca di sequestro giudiziario. Esse si richiamano alla costante giurisprudenza di questa Corte che ha interpretato la locuzione sentenza di cui alla citata noxma costituzionale nel senso che essa possa autorizzare il ricorso per cassazione sia contro i provvedimenti adottati con la forma della sentenza ma per i quali la legge escluda o limiti tale ricorso. sia contro gli altri che, pur avendo, per nomen furis di legge o per erronea attribuzione di giudice, forma di ordinanza o di decreto, abbiano nondimeno, in relazione alla specifica disciplina della materia, carattere di decisoriet e non siano comunque impugnabili, anche soltanto con semplice reclamo al giudice superiore. Premesso che l'ordinanza in questione si limitata a dichiarare non luogo a decidere sulla istanza di revoca ed a mandare le parti a provvedersi nelle forme ordinarie, sotto il presupposto che le parti medesime avessero voluto implicitamente sollecitare la decisione di questioni di diritto alla stregua dell'art. 683 c.p.c., che non ricorresse alcuna delle ipotesi previste dalla suddetta disposizione di legge e che (1) Sequestro autorizzato in pendenza di regolamento preventivo ed effetti della pronuncia che nega la giurisdizione. Il provvedimento emanato dal Presidente del Tribunale sull'istanza del sequestrato intesa a conseguire la revoca del sequestro, autorizzato dopo la proposizione del regolamento preventivo, cui era seguita pronuncia delle Sezioni Unite che aveva escluso la giurisdizione (Cass., Sez. Un., 21 maggio 1964, n. 1257, Foro it., 1965, I, 409), stato qualificato, nella sentenza che si annota, alla stregua di ordinanza istruttoria emessa nell'ambito del giudizio di convalida (nella specie il Presidente, che aveva autorizzato il sequestro, rivestiva anche la qualit di giudice istruttore). In base a tale qualificazione, la Corte regolatrice ha dichiarato inammissibile il ricorso per Cassazione ex art. 111, secondo comma, della Costituzione per difetto dei requisiti di decisoriet e definitivit del provvedimento, in armonia con la RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 902 la rimozione dei provvedimenti interdittali 11 dovesse essere effettuata, per principio generale, con statuizione nelle vie ordinarie a seguito di plena cognitio, sostengono, in particolare, la Magda Cignozzi e la Werner che in detta .ordinanza non si riscontra nessuno dei due estremi (decisoriet e definitivit) il cui concorso assolutamente necessario per l'impugnazione richiamata. Il profilo della decisoriet va inquadrato nel principio secondo il quale provvedimento decisorio quello col quale il giudice, al 'fine di derimere una lite, procede all'accertamento del regolamento giuridico di un determinato rapporto e, di conseguenza, afferma o nega l'esistenza di una concreta volont di legge che assicuri, all'una o all'altra delle parti in contesa, il bene che della contesa medesima costituiva l'oggetto ed in cui funzione si era delineata fra le parti stesse una contrapposizione di interessi, s che la nozione della decisoriet va senz'altro esclusa nel caso in cui nel singolo procedimento manchi ogni contrapposizione di interessi da comporre ed il provvedimento conclusivo non sia pertanto idoneo ad acquistare autorit di cosa giudicata sotto il profilo dell'art. 2909 e.e. Al riguardo, in contrapposizione alla tesi delle resistenti che insi stono nel prospettare la natura esclusivamente ordinatoria del provve dimento impugnato, in quanto esso si limiterebbe a disciplinare l'atti vit processuale delle parti, non si pu contestare che il principio richia I mato sembra autorizzare qualche ragione di perplessit sulla natura del provvedimento medesimo, malgrado la formula declinatoria del non luogo che ne caratterizza il dispositivo. Ci, perch apparente I mente suggestivo pu apparire il rilievo che, con la sua ordinanza, il Magistrato abbia sostanzialmente rigettato l'istanza di accertamento I del regolamento giuridico dei beni sottoposti a sequestro, proposta, sotto il profilo dell'art. 683 c.p.c., in funzione del fine delle parti di attuare, I sulla sua base, la composizione di un elemento della causa in rapporto giurisprudenza consolidata in tema di applicazione del ricorso contro provvedimento che non rivesta la forma della sentenza (da ultimo, Cass., 4 febbraio 1965, n. 181, Foro it., Mass., 34; 26 novembre 1964, n. 2802, id., 1965, I, 25; 13 ottobre 1964, n. 2584, ibidem, Rep., 1964, voce Cassazione in materia civile, n. 41). 11 Sotto l'angolo visuale nel quale si posta la Corte Suprema, la decisione appare formalmente ineccepibile, ma forse il caso di osservare che, in tal modo, stato in realt eluso il problema di fondo proposto dall'anomala fattispecie. Conviene premettere che il Presidente del Tribunale, dopo la proposizione del regolamento preventivo, non sospese il giudizio ai sensi degli artt. 41 e 357 c.p.c., I ma, ritenendo inammissibile il regolamento stesso e riconoscendo la propria giurisdizione, autorizz il provvedimento cautelare. La Corte ha tralasciato di prendere in esame il problema concernente gli I effetti della sentenza che, decidendo sul regolamento, escluse la giurisdizione sul provvedimento emanato dopo e nonostante la proposizione del regolamento stesso, .. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 903 alfa contrapposizione dei rispettivi interessi, in quanto il provvedimento si , nella realt concreta, tradotto nel mantenimento, sia pur temporaneo, dello status quo e, conseguentemente, nella negazione, sia pur temporanea, dell'attribuzione, .all'una o all'altra delle parti in contesa, dei beni giuridici che nel sequestro avevano costituito oggetto e dei quali, dopo la sentenza di queste Sezioni Unite e in dipendenza della stessa, si chiedeva la restituzione. La realt giuridica per divers, ove si consideri che. la ordinanza in questione non ha accertato alcuna esistenza o inesistenza di diritti soggettivi n ha riconosciuto, attribuito o negato alcuno di tali diritti in virt del potere-dovere di dirimere i contrasti e sancire la volont della legge nel caso concreto che al giudice assegnato dall'ordinamento giuridico ed ove si consideri, altres e sovra.tutto, che la ordinanza medesima non ha, per il suo contenuto, alcuna attitudine a produrre sul piano contenzioso effetti di diritto sostanziale o processuale con efficacia di giudicato e che la temporanea cristallizzazione dello status quo non che un effetto riflesso di mero fatto della dichiarazione di incompetenza virtualmente contenuta nel provvedimento. Il profilo della definitivit si ricollega, a sua volta, agli effetti del provvedimento sul piano contenzioso nel senso che il pregiudizio che ad una parte pu derivare dall'eventuale ingiustizia del contenuto del provvedimento medesimo debba essere irreparabile, in dipendenza del carattere immanente della definitivit e del giudicato e della inesistenza, nell'ordinamento giuridico vigente, della previsione di un qualsiasi riesame, ad opera dello stesso o di altro giudice. Il profilo in questione stato dalle parti prospettato sotto due distinti aspetti: il principio della modificabilit e revocabilit delle ordinanze istruttorie da parte dello stesso giudice che le ha pronun~ ciate, in dipendenza della premessa che nel caso concreto il Presidente del Tribunale di Montepulciano abbia emesso l'ordinanza non in tale in violazione degli artt. 41 e 367, nonostante che tale problema fosse stato affrontato altre volte, ed anche molto di recente, ed avesse dato luogo alla fissazione di principi che non sembrano in tutto armonizzare con quello affermato nella sentenza che si annota. Con la sentenza 17 febbraio 1965, n 259, le Sezioni Unite avevano precisato che, con la proposizione del regolamento, il Giudice adito spogliato della potestas judicandi e che la sospensione del procedimento ex artt. 41 e 367 opera ipso iure, senza che sia consentito derogarvi. Conseguentemente, sempre seondo la richiamata sentenza, il provvedimento emesso dal Giudice dopo la proposizione del regolamento deve ritenersi affetto da nullit per mancanza di un requisito essenziale (appunto la potestas judicandi). Tali principi trovano riscontro in. precedenti pronunce della Corte regolatrice. Con sentenza 11 dicembre 1950, n. 2705, Foro amm., 1951, II, 50, il Supremo Collegio aveva infatti ritenuto che la decisione emessa dopo la propsizione del 904 RA.SSEGNA DLL' A VVCATUf\A DLL STATO veste ma nell'altra di giudice istruttore della causa di convalida e merito, e lesistenza, nel procedimento di sequestro, del giudizio di convalida. Sotto il primo aspetto, va rilevato che la presenza da ritenersi esatta, in quanto la prospettata puntualizzazione appare la pi adeguata ad una situazione processuale nella quale il sequestro fu autorizzato, sia pure erroneamente, nelle more del regolamento preventivo di giurisdizione ed il procedimento che ne segu ebbe, a sua volta, un corso continuo, tale da non consentire, per h mancata applicazione in con. creto della sospensione di cui all'art. 367 c.p.c., alcun richiamo alla necessit di una riassunzione del processo ed alla conseguente specifica e temporanea competenza cautelare di cui all'art. 373 comma secondo di detto codice. Non altrettanto esatta , invece, la conseguenza che le resistenti pretendono trarre dalla riferibilit della matrice del provvedi mento all'attivit di un giudice istruttore e non lo proprio in relazione alla convalida, dal momento che questa si pone, rispetto alle ordinanze in tema di sequestro, nella posizione dello speciale mezzo di reclamo predisposto dalla legge e rende, di conseguenza, applicabile la norma derogatrice di cui all'art. 127, comma terzo, n. 3, c.p.c. Senza dubbio fondato , invece, il secondo proflo, posto che il giudice della convalida ha il potere-dovere di conoscere di tutte le questioni relative alla validit ed all'efficacia del sequestro, sia che esse attengano pi propriamente alla legittimit della esecuzione o alla osservanza delle norme relative al giudizio di convalida in stretto senso regolamento fosse affetta da nullit assoluta, rilevabile in sede di merito, ma anche in sede di esecuzione, e con tale orientamento non si pongono in contrasto le decisioni 31 marzo 1950, n. 877, Foro it., Rep., 1950, voce Competenza'" n. 453 e 21 gennaio 1949, n. 68, id., Rep., 1949, voce cit., 400, isprate da evidenti ragioni di economia processuale, secondo le quali la decisione emessa in trasgressione del l'obligo di sospensione cade nel nulla solo in caso di diniego della giurisdizione e non anche quando la giurisdizione sia riconosciuta in sede di decisione del regolamento. Conforme a tale orientamento, cfr., per la dottrina, SATTA, Commentario al codice di procedura civile, Milano, 1959, I, 178. Orbene, posto che quanto meno la pronuncia di diniego della giurisdizione emanata su regolamento comporta nullit assoluta (caducazione) del provvedimento emesso in trasgressione dell'obbligo di sospensione, ci si pu domandare se, nel caso di sequestro in tal guisa autorizzato, sussista necessit di proseguire nel giudizio di convalida, ovvero se l'ineffiacia del provvedimento possa essere dichiarata dal Giudice che lo aveva emesso in base ad una interpretazione analogica dell'art. 683. Si consideri che il Giudice della convalida non potrebbe che rigettare la relativa istanza dichiarando il difetto di giurisdizione del Magistrato che autorizz il seque stro, dovrebbe cio pronunciarsi una seconda volta sulla giurisdizione, sia pur per prendere atto della pronuncia emanata su regolamento. Nel caso, come risulta dalla sentenza che si annota, il Presidente del Tribu nale ritenne che le parti avessero inteso richiamare appunto l'art. 683 del codice di rito, pur escludendo, in concreto, l'applicazione della disposizione e ci sembra PARTE I, SEZ. II, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 905 sia che incidano sulla legittimit della misura cautelare in senso lato, in quanto contrastino la mancanza di presupposti necessari per la concessione del procedimento; che nel caso concreto si deduceva, per l'appunto, sostanzialmente la revoca del sequestro, in quanto nullo per mancanza di un presupposto processuale, cio della giurisdizione del giudice che ebbe ad autorizzarlo; che il potere-dovere di riesame del giudice della convalida non pu non comprendere, nell'ampio ambito della potenziale sua sfera di azione, anche la particolare decisione di non luogo " adottata nella fattispecie e sostituire eventualmente a quest'ultima, per quanto di ragione, una decisione di revoca, individuazione e restituzione; che, in relazione a quanto sopra, l'istanza della Emilia Cignozzi pu essere configurata pi che altro come richiesta di un provvedimento atipico avente l'essenziale scopo di anticipare, con forza esecutiva, gli effetti che la parte interessata si riprometteva di ottenere in sede di convalida. Il riconoscimento, conclusivo della sviluppata ratio decidendi, che non impugnabile con ricorso per Cassazione ai sensi dell'art. 111 della Costituzione, per difetto dei requisiti della decisoriet e della definitivit, lordinanza con la quale il giudice istruttore, richiesto di revocare il sequestro, a seguito della dichiarazione, in sede di regolamento preventivo di giurisdizione, del difetto di quest'ultima nel magistrato che ebbe ad autorizzarlo, dichiari non luogo a decidere sulla istanza e rinvii le parti a provvedersi nelle forme ordinarie, deve necessaria- denunciare in linea di fatto lo sforzo interpretativo compiuto dalla Corte Suprema per assegnare al provvedimento impugnato la natur di ordinanza istruttoria. Circa l'accenno contenuto nella sentenza alla facolt del Giudice adito di emanare provvedimenti urgenti in pendenza del regolamento, non sembra corretto il riferimento all'art. 373 c.p.c., che ;i inserisce nel sistema, radicalmente diverso, degli effetti inerenti alla proposizione dell'ordinario ricorso per Cassazione. La competenza per l'emanazione di provvedimenti urgenti (che dovrebbero tuttavia ritenersi caducati in caso di dichiarazione di difetto di giurisdizione) pu rinvenirsi invece, in forza di applicazione analogica dell'art. 48 c.p.c. In tal senso si vedano la gi citata sentenza n. 259 del 17 febbraio 1965 e Cass., 15 gennaio 1953, nn. 107, 108 e 109, Foro it., 1953, I, 176, nonch Trib. Milano, 14 luglio 1964, id., 1964, I, 1911 e Pretore Taranto, 7 ottobre 1951, ibidem, 952, I, 270. Per quanto riguarda la proponibilit di regolamento preventivo di giurisdi zione in sede di procedimento per la concessione del sequestro, si osserva che la ricordata sentenza n. 257 del 1964 ha risolto, per la prima volta in senso afferma tivo, tale problema (contra: Cass., Sez. Un., 30 novembre 1950, n. 2663, in questa Rassegna, 1950, 215, con nota critica). Il mutamento di giurisprudenza stato anticipato dal riconoscimento della proponibilit del regolamento nell'ipotesi di procedimento per concessione di provvedimento d'urgenza: Cass., Sez. Un., 3 no vembre 1959, n. 3262, Giust. civ., 1960, I, 515 e, da ultimo, Cass., Sez. Un., 9. febbraio 1965, n. 206, Foro it., Mass., 41. F. BATISTONI FERRARA 5 906 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO mente condurre alla dichiarazione di inammissibilit del ricorso proposto dalla Emilia Cignozzi. La ricorrente ha dedotto in linea subordinata che, in ogni caso, il ricorso deve essere considerato ammissibile perch involge una questione di giurisdizione nel senso che addebita al presidente istruttore del tribunale di Montepulciano di avere, col rifiutarsi di pronunciare, a seguito della sentenza di queste Sezioni Unite nella stessa causa, la nullit del sequestro come diretta conseguenza del difetto di giurisdizione del giudice ordinario a disporre il sequestro giudiziario della azienda, violato l'art. 4 della legge 20 marzo 1865, n. 2248 all. E. Si tratta, peraltro, di una questione evidentemente infondata perch con essa si pretende sostanzialmente che la Cassazione si pronunci per una seconda volta nello stesso processo su una questione di giurisdizione gi risolta. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 25 maggio 1965, n. 1026 -Pres. Lonardo -Est. Felicetti -P.M. Tavolaro (conf.) -I.A.C.P. di Udine (avv. Piccardi) c. Perulli ed altri (n.c.). Competenza e giurisdizione -Case popolari -Prezzo di cessione Determinazione -Impugnativa -Giurisdizione dell'a.g.o. Esclusione. (1. 21 marzo 1958, n. 447; d.P.R. 7 gennaio 1959, n. 2, art. 7; l. 27 aprile 1962, n. 231, art. 3). La deliberazione della Commissione Regionale, di cui aliart. 7 del decreto 7 gennaio 1959, n. 2, con la quale viene determinato il prezzo di cessione di alloggi delristituto Autonomo per le Case Popolari! agli aventi diritto, un atto amministrativo rispetto al quale la pretesa dell'ente interessato alla determinazione del valore venale degli alloggi deve con-figurarsi quale interesse legittimo: la relativa impugnativa, pertanto, esula dalla giurisdizione del giudice ordinario (1). (Omissis). -La sentenza impugnata ha sostanzialmente ritenuto che la determinazione del prezzo degli alloggi, da cedersi in propriet agli assegnatari da parte degli Istituti Autonomi per le Case Popolari, rientra fra gli accertamenti preparatori -involgenti una discrezionalit (1) Nello stesso senso cfr. Cass., 28 gennaio 1961, n. 156, Foro amm., 1961, II, 216. Le Sezioni Unite hanno desunto la qualificazione come interesse legittimo della pretesa dell'ente interessato alla determinazione del valore venale degli alloggi ceduti dal rilievo della natura prevalentemente pubblicistica del rapporto che si instaura fra l'I.A.C.P. e i concessionari (sul punto, cfr. Cass., Sez. Un., 28 gen PARTE I, SEZ. II, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 907 tecnica -del procedimento amministrativo diretto alla deliberazione di vendere da adottarsi, come atto conclusivo, dall'Ente proprietario. Alla stregua di tale presupposto la predetta sentenza ha ravvisato nell'Ente la titolarit d'un interesse legittimo alla " giusta valutazione degli immobili e non di un diritto soggettivo. L'Istituto ricorrente, premesso che contro loperato della Commissione Regionale adita in seconda istanza per l'accertamento del valore venale degli alloggi non sono ammessi ulteriori ricorsi amministrativi e che l'art. 113 della Costituzione assicura in ogni caso una tutela giurisdizionale, afferma in sostanza che, non potendosi negare agli assegnatari, in forza dell'art. 3 della legge 27 aprile 1962, n. 231, il << diritto soggettivo alla cessione in propriet degli appartamenti assegnati, si verrebbe a configurare un rapporto di compravendita, sia pure coattiva, nel quale al sopra cennato diritto, del compratore, di ricevere la propriet della cosa dovrebbe fare necessario riscontro un corrispondente controdiritto soggettivo, del venditore, di ricevere il prezzo stabilito dalla legge ; prezzo nella cui determinazione non inciderebbe, quindi, l'uso di alcun potere discrezionale. La Corte osserva che una siffatta tesi, attribuendo al rapporto in esame un carattere strettamente sinallagmatico ed assimilandolo indiscriminatamente ad un negozio tra privati a prestazioni corrispettive, non tiene nel debito conto la natura prevalentemente pubblicistica del rapporto medesimo, pi volte rilevata da questo Supremo Collegio (v., fra !'altre, sent. a Sezioni Unite n. 156 del 1961, n. 750 del 1964). Per tale preponderante carattere -che va principalmente desunto dalla qualit pubblica degli Istituti autonomi per le case popolari (enti pubblici non -economici) e dalla finalit da essi perseguita (finalit eminentemente sociale, propria dello Stato e ad essi delegata, di prov-vedere d'alloggio vaste categorie di cittadini meno abbienti) -il trasferimento degli alloggi in propriet dei privati assegnatari, com' stato esattamente ritenuto dall'impugnata sentenza, si configura come l'atto finale d'un complesso procedimento amministrativo del quale la determinazione del prezzo di cessione fa parte, costituendone un presupposto. naio 1961, n. 156, sopracitata, e Cass., Sez. Un., 6 aprile 1964, n. 750, Giust. civ., 1964, I, 1099, con nota di PUGLIESE). Peraltro, la giurisprudenza amministrativa ferma nel ritenere che la pretesa del privato alla cessione in propriet dell'alloggio costituisca un vero .e proprio diritto soggettivo (cos Cons. Stato, Sez. VI, 11 dicembre 1964, n. 948, Il Consiglio di Stato, 1964, I, 2250; Cons. Stato, Sez. VI, 27 ottobre 1964, n. 733, ivi, 1964, I, 1784; Cons. Stato, Sez. VI, 12 giugno 1963, n. 335, ivi, 1963, I, 1029). In talune di queste decisioni, e particolarmente nelle 948, e 733 del 1964, ricorre, anzi, un riferimento alla tassativit della determinazione del prezzo di cessione dal quale potrebbe argomentarsi qualche perplessit sulla soluzione accolta dalle Sezioni Unite. 908 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Pu soggiungersi che la predetta cessione di alloggi costituisce fine istituzionale degli Istituti. I quali, pertanto, entrano in rapporti con i cessionari e partecipano al sopra cennato procedimento non gi nella veste di privati venditori operanti per scopo di lucro, ma quali Pubbliche Amministrazioni agenti per fini collettiv~ in quanto concedono a riscatto o comunque cedono in propriet ai legittimi destinatari gli alloggi costruiti, in adempimento d'un obbligo che ne costituisce la finalit istituzionale, esercitando un'attivit di natura prevalentemente amministrativa e non un'attivit meramente negoziale. Ma quel che soprattutto importa rilevare che, alla stregua del sistema normativo introdotto dalla legge delega 21 marzo 1958, n. 477 e dal decreto 7 gennaio 1959, n. 2 modifcato dalla legge 27 aprile 1962, n. 231, la determinazione del prezzo degli alloggi da cedersi in propriet affidata ad un organo della Pubblica Amministrazione, qual' la Commissione provinciale prevista dalrart. 6 del decreto 7 gennaio 1959, n. 2; organo il cui carattere prevalentemente tecnico rilevato dalla qualit dei suoi componenti (Intendente di Finanza, Ingegnere Capo del Genio Civile). Ad un organo analogo, ancorch pi autorevole, quale la Commissione prevista dall'art. 7 dello stesso decreto e costituita presso ciascun Provveditorato alle Opere Pubbliche, deferita la cognizione dei ricorsi contro l'operato della Commissione Provinciale. Ora, nel complesso procedimento amministrativo della cessione degli alloggi agli assegnatari, l'attivit di tali Commissioni -le quali hanno indubbiamente, per volont della legge, una competenza tecnica esclusiva -non destinata a contrapporsi ma a concorrere con quella degli Istituti Autonomi per il conseguimento dei pubblici fini assistenziali dai quali essi traggono la loro ragione d'essere. N sarebbe sotto alcun aspetto concepibile una contrapposizione d'intere~si fra Istituti e Commissioni: queste ultime hanno ope legis il compito di partecipare al procedimento suddetto in veste di organi imparziali chiamati a determinare un elemento fondamentale, che nel contempo ne un presupposto, delle cessioni da effettuarsi dagli enti. Pertanto, se il legislatore ha disposto che le ripetute Commissioni debbono ragguagliare il prezzo di cessione al valore degli alloggi al momento nel quale gli enti interessati deliberano la cessione stessa, diminuito del 30 per cento nonch d'un ulteriore 0,25 per cento per ogni anno d'effettiva occupazione da parte dei richiedenti (art. 4 della legge 27 aprile 1962, n. 231), ci significa -come esattamente ha ritenuto la sentenza impugnata -eh' esso ha posto una norma diretta a dettare i criteri ai quali deve essere informato l'atto amministrativo (accertamento) agli appositi organi demandato affinch esso risulti rispondente ai fini pubblici perseguiti ed agli enti in parola istituzionalmente affidati. f; .' I II I;;. I , I PARTE I, SEZ. Il, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDJZIONE 909 Trattasi, cio, di attivit regolata, ma non gi in funzione diretta ed immediata d'un interesse proprio degli enti del quale il legislatore abbia inteso di assumere la diretta protezione, bens in funzione dell'equo contemperamento dell'esigenza pubblicista di realizzare i cennati fini assistenziali con l'esigenza, anch'essa di pubblico interesse, di contenere (al di fuori di ogni intento speculativo) il prezzo di cessione entro i limiti non inferiori al costo reale di produzione degli alloggi, pur procurando di renderlo il pi possibile vantaggioso e ridotto, come particolarmente si evince dal raffronto del citato art. 4 con l'art. 6 della legge n. 231 del 1962. Per le considerazioni sin qui esposte non pare sia giuridicamente configurabile un diritto soggettivo perfetto degli enti tenuti ad attenersi alla determinazione del prezzo di cessione definitivamente effettuato dalla Commissione presso il Provveditorato alle Opere Pubbliche proprio per il fatto che contro la deliberazione di essa non ammesso ulteriore ricorso: ed il cui interesse all'osservanza dei criteri fissati dalla legge -ancorch non meramente generico -trova nella norma legislativa un riconoscimento ed una tutela solo mediata e diretta. Ad escludere la configurabilit del diritto soggettivo sta ancora la considerazione eh' esso non sarebbe concepibile nei confronti delle Commissioni, queste essendo organi chiamati soltanto ad effettuare, imparzialmente e nell'interesse sia degli enti che dei cessionari, un accertamento nell'ambito d'un procedimento amministrativo. N sarebbe configurabile nei confronti degli assegnatari, poich la volont di costoro rimane assolutamente estranea alla determinazione del prezzo di cessione e rispetto ad essi loperato definitivo della Commissione Regionale del pari vincolante; sicch -in relazione alla ripetuta determinazione di prezzi -manca ogni possibilit di ravvisare una pretesa degli enti ad un determinato comportamento dei cessionari degli alloggi. E finalmente non pu trascurarsi il rilievo che non potrebbe sotto nessun aspetto ammettersi la possibilit d'un modo di determinazione del prezzo delle cessioni diverso da quello imperativamente stabilito dalla legge e d'affidarlo ad organo diverso, come accadrebbe se -riconoscendosi contro la deliberazione della Commissione Regionale l'ammissibilit d'un ricorso al giudice ordinario, che la legislazione speciale non consente -si venisse, in definitiva, a sostituire allo speciale provvedimento amministrativo prescritto da tale legislazione ed agli organi tecnici appositamente istituiti, un normale procedimento giudiziario, per altro inopportuno in materia di pura e semplice estimazione. Con ci non s'intende negare, sull'operato della Commissione Regionale ed a tutela degli interessi legittimi degli enti come dei concessionari, la possibilit giuridica d'un controllo di legittimit: la deliberazione con la quale viene determinato il prezzo di cessione, infatti, RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 910 un atto amministrativo, come taie soggetto al sindacato del Giudice Amministrativo qualora risulti affetto dai vizi tradizionali, come nella specie si era assunto, denunziandosi in sostanza il vizio di violazione di fogge. Il che porta a rilevare altres l'inconsistenza del riferimento del ricorrente all'art. 113 della Costituzione: come espressamente stabilito da tale norma, lesigenza della tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi contro atti della P.A. soddisfatta anche quando la tutela sia consentita soltanto dinanzi agli organi di giurisdizione amministrativa. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 5 giugno 1965, n. 1117 -Pres. Lonardo -Est. D1Amico -P.M. Di Majo (concl. diff.) -Autiero {avv.ti Zandinella e Ventura) c. Ministero Tesoro (avv. Stato Gargiulo). Competenza e giurisdizione -Giurisdizione ordinaria ed amministrativa -Impiego pubblico -Controversie relative alle assicurazioni obbligatorie non connesse col rapporto di impiego Competenza del Tribunale. (t.u. 26 giugno 1924, n. 1054, art. 29; 1. 2 aprile 1958, n. 322, art. unico; c.p.c., artt. 429, 459, 461). Procedimento civile -Regolamento di competenza -Decorrenza del termine -Comunicazione della sentenza a mezzo posta Riferimento alla data dell'effettiva recezione del relativo biglietto da parte del destinatario. (c.p.c., artt. 47, 136, 149). Le controversie relative alr assicurazione obbligatoria, anche se concernono pubblici impiegati, rientrano nella competenza del giudice ordinario (e cio -ratione materiae -del Tribunale, ai sensi delrart. 461, in relazione agli artt. 459 e 429 c.p.c.), ove la sussistenza o meno dell'obbligo delr assicurazione non sia da mettere in relazione in alcun modo con il rapporto di impiego (nella specie, stato riteny,to che risevata alla cognizione del Tribunale l'opposizione all'ingiunzione con il quale l'ex dipendente statale contesta di essere tenuto ad effettuare il pagamento dei contributi necessari a costituire la posizione assicurativa per l'invalidit, la vecchiaia ed i superstiti, ai sensi dell'art. unico della legge 2 aprile 1958, n. 322) (1). (1) costante giurisprudenza della Suprema Corte che la giurisdizione sulle questioni concernenti il rapporto di impiego pubblico spetti, in via esclusiva, al Consiglio di Stato, ai sensi dell'art. 29, n. 1 del t.u. 26 giugno 1924, n. 1054, tutte PARTE I, SEZ. II, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 911 Qualunque sia il modo cui ricorra il cancelliere per dare alle parti, ai sensi delr art. 136 c.p.c., le comunicazioni prescritte dalla legge o dal giudice .(consegna del biglietto al destinatario che ne rilascia ricevuta, o direttamente o per mezzo del(ufficio giudiziario, spedizione del biglietto stesso per posta in piego raccomandato) pur sempre necessario, quando dalla data di comunicazione decorra un termine per Timpugnazione (nella specie, regolamento di competenza), che si conosca il giorno in cui la notizia pervenuta al destinatario stesso. Si impone, perci, come per le notifiche a mezzo del servizio postale, che il piego raccomandato sia accompagnato dalr avviso di ricevimento ed in tal caso, i termini si computano dalla data della consegna del piego risultante dalla ricevuta di ritorno o, in mancanza, dal bollo apposto sulla medesima dall'ufficio postale che la restituisce (~). (Omissis). -L'eccezione di difetto di giurisdizione dell'autorit giudiziaria ordinaria, riproposta dal Ministero del Tesoro, deve essere disattesa. Nella presente controversia non , infatti, in alcun modo in discussione la disciplina del rapporfo di impiego. Questo cessato a seguito le volte che sussista un collegamento causale tra la pretesa dedotta in giudizio ed il detto rapporto di impiego e pi precisamente quando questo, nella sua costituzione e nel suo. svolgimento, funzioni da momento genetico, diretto ed immediato della pretesa in discussione (in tal senso, cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 30 dicembre 1963, n. 3246, in questa Rassegna, 1964, I, 37, con nota di richiami, cui adde Cass., 17 febbraio 1964, n. 349, Giur. it., 1964, I, 689; id., 28 luglio 1962, n. 2230, Giur. it., 1964, I, 1, 726 e Foro pad., 1962, I, 1386 e ibidem, 1963, I, 138, con nota contraria di CANNADA BARTOLI, Sui limiti della competenza esclusiva del giudice amministrativo; id., 27 febbraio 1962, n. 367, Foro it., Mass., 1962, 106). In particolare, in tema di assicurazioni obbligatorie, partendo dal presupposto che il rapporto previdenziale abbia carattere di autonomia rispetto a quello di prestazione d'opera, dal quale differisce per fonte, causa, soggetti e contenuto, diverse decisioni della S.C. riservano la decisione delle relative questioni al giudice ordinario, pur se il prestatore d'opera sia un dipendente dello Stato o di altro ente pubblico (cfr., in tal senso, Cass., 23 febbraio 1956, n. 517, Riv. it. prev. soc., 1957, 558, con nota di ScoTTo; id. 18 marzo 1963, n. 677, Giust. civ., Mass., 1963, 311; id., 23 giugno 1964, n. 1639, Giust. civ., 1965, I, 777; id., 6 ottobre 1964, n. 2524; ibidem, 776, con nota di CrACCIO, Giurisdizione ed accertamento incidenter tantum del presupposto del rapporto di impiego nelle controversie per danni da omessa od irregolare assicurazione sociale dei dipendenti di enti pubblici) Il suindicato indirizzo non peraltro cos assoluto come s.embrerebbe evincersi dalle massime estratte dalle citate sentenze. Se vero che il rapporto previdenziale e quello di impiego sono distinti ed indipendenti (CATALDI, Il sistema giuridico delle assicurazioni sociali in Trattato di diritto del lavoro, Padova, 1959, IV, parte I, 46; per la giurisprudenza, vedi le sentenze succitate), pur sempre vero che sussiste un evidente nesso di interdipendenza tra i medesimi, nel senso che il rapporto di assicurazione sociale sorge ex lege dalla costituzione del sottostante rapporto di prestazione d'opera e lo RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 912 delle dimissioni volontarie del ricorrente Autiero, l'unica questione che nella specie pu porsi e che dalle parti si pone, se, a norma dell'articolo unico della legge 2 aprile 1958, n. 322, sia o no dovuto dall' Autiero il versamento dei contributi per l'assicurazione di invalidit, vecchiaia e superstiti, per cui l'Amministrazione del Tesoro emise l'ingiunzione, avendo omesso di esercitare la facolt di trattenuta conc~ssale dalla legge: non dovuto se la predetta disposizione debba intendersi nel senso che la posizione assicurativa sia da costituire, per la durata del cessato impiego, solo quando si riallacci ad una precedente e ad una successiva posizione previdenziale, con un'attivit lavorativa quindi anteriore e posteriore al rapporto di impiego; dovuto, invece, se si attribuisca al legislatore l'intento di assicurare in ogni caso il beneficio al lavoratore, anche contro la sua volont, prescindendo dalla precedente e dalla successiva attivit previdenziale. !!: chiaro, quindi, che la questione obbiettivamente si profila in tal modo che il rapporto di pubblico impiego resta fuori-dalla pretesa dedotta in giudizio, a cui non menomamente collegata. Allo stesso modo si sarebbe presentata se non si fosse trattato di un rapporto di pubblico impiego. !!:, pertanto, puntuale l'applicazione del principio pi volte affermato da queste Sezioni Unite, secondo cui sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo, solo quando si riscontri un collegamento causale tra il rapporto di impiego pubblico e la pretesa dedotta in giudizio, collegamento Che va ravvisato solo se il rapporto funziona da momento genetico diretto ed immediato della pretesa {da ultimo Cass., Sez. Un., presuppone necessariamente: ci che -in materia di impiego pubblico ___;. ha rilievo sulla soluzione della questione di giurisdizione. Invero, alcune tra le pronuncie surrichiamate dalla S.C. (e cos le sentenze 23 giugno 1964, n. 1639 succitata e 30 dicembre 1963, n. 3247, Foro it., 1964, I, 670) chiariscono che ove la questione in esame riguardi la sussistenza o meno dell'obbligo di provvedere alla costituzione del rapporto assicurativo e di mantenere l'assicurazione efficiente, in relazione allo stato giuridico-economico del dipendente, la controversia attribuita alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. In tal caso, invero, motiva la sentenza n. 1639 del 1964 -emessa in materia di azioni di responsabilit intentata dal dipendente contro l'ente pubblico per omesso versamento dei contributi assicurativi -il fatto stesso che il diritto patrimoniale di cui si sarebbe chiesta la restaurazione era intimamente e radicalmente connesso al rapporto di lavoro, avrebbe importato che la questione fosse sottratta alla cognizione del giudice ordinario, involgendo la questione stessa necessariamente l'interpretazione del contenuto dei diritti e degli obblighi nascenti dal menzionato rapporto . Proprio tale esatta precisazione dei confini tra la giurisdizione del giudice amministrativo e di quello ordinario doveva portare a dichiarare nella fattispecie, il difetto di giurisdizione dell'A.G.O. a favore del Consiglio di Stato. Infatti, negava in sostauza l'opponente nell'ingiunzione, (ed affermava la p.a. ingiungente) che l'obbligo della costituzione del rapporto previdenziale imposto dalla legge 2 aprile 1958, n. 322 in favore dei lavoratori iscritti a forme obbligatorie di previdenza sostitutiva delle assicurazioni per invalidit, vecchiaia o ad PARTE I, SEZ. ll, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 913 30 dicembre 1963, n. 3246). Del resto, queste stesse Sezioni Unite (sentenze 23 giugno 1964, n. 16391 e 18 marzo 1963, n. 677) hanno avuto occasione di porre in evidenza, proprio in tema di assicurazioni obbligatorie, che le controversie relative, anche se concernono pubblici impiegati, restano affidate al giudice ordinario ove la sussistenza o meno del1' obbligo dell'assicurazione non da mettere in relazione in alcun modo con il rapporto di impiego. Da rigettare poi, per quanto ammissibile, l'istanza di regolamento di competenza proposta dall' Autiero. eAmministrazione resistente ne sostiene la inammissibilit, assumendo che il termine perentorio di trenta giorni per la proposizione del ricorso per regolamento di competenza decorre dalla data di spedizione della raccomandata, con cui il cancelliere comunica che stata pronunciata sentenza sulla competenza: nella specie il termine sarebbe decorso, risultando che la raccomandata stata spedita il 18 maggio 1964 e la notifica del ricorso avvenuta il 22 giugno dello stesso anno. Ma l'eccezione non ha fondamento. Qualunque sia il modo al quale il cancelliere ricorra per dare alle parti, ai sensi dell'art. 136 c.p.c. le comunicazioni prescritte dalla legge o dal giudice (consegna del biglietto al destinatario, che ne rilascia ricevuta, o direttamente o per mezzo dell'ufficiale giudiziario, spedizione del biglietto stesso per posta in piego raccomandato, pur sempre necessario, quando dalla data di comunicazione decorra il termine per un'impugnazione, che si conosca altri trahamenti di previdenza che abbiano dato titolo alla esclusione da detta assicurazione '" non avrebbe dovuto trovare applicazione nei confronti degli impiegati dello Stato di poi dedicatisi a professione liberale, sicch la p.a. non avrebbe potuto legittimamente operare la detrazione dei corrispondenti contributi in sede di pagamento dell'assegno spettante in luogo di pensione (o -come era successo nella specie -chiedere successivamente il rimborso dei contributi erroneamente non detratti). Tali essendo i termini della contestazione, sembra che la questione da risolvere comportasse necessariamente l'indagine se allo Stato, nella sua qualit di parte " del rapporto di impiego pubblico, spettasse il potere-dovere di provvedere alla costituzione della posizione assicurativa menzionata dalla citata legge n. 322 del 1958 e fosse correlativamente abilitato a pretendere dall'impiegato il rimborso dell'ammontare dei corrispondenti contributi: si trattava, quindi, di questione vertente sui poteri, obblighi e diritti compenetrati nel rapporto di impiego, come tale devoluto alla cognizione esclusiva del giudice amministrativo, essendo d'altro lato irrilevante in contrario l'intervenuta cessazione del predetto rapporto di pubblico impiego (Cons. Stato, 22 marzo 1952, Cons. Stato, 1952, 441; id., 29 agosto 1962, ibidem, 1952, 1055). (2) Sullo specifico punto non risultano precedenti giurisprudenziali editi. Com' noto, l'art. 47 c.p.c. fa decorrere il termine perentorio per il regolamento di competenza della comunicazione ,, della sentenza e l'art. 136 cpv. dello stesso codice dispone che il Cancelliere provveda a tale comunicazione con conse RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 914 il giorno in cui la notizia pervenuta, al destinatario. S'impone perci che, come per le notificazioni a mezzo del servizio postale (artt. 149 c.p.c. 5 e 6 del r.d. 21ottobre1923, n. 2393, 174 del r.d. 18 aprile 1940, n. 689), il piego raccomandato sia accompagnato dall'avviso di ricevimento, da cui soltanto si possono desumere il modo con cui il piego pervenuto al destinatario e la data in cui la consegna avvenuta (vedi per le notificazioni eseguite per posta, Cass., 22 giugno 1962 e n. 1629 e 4 agosto 1962, n. 2806). Esplicitamente l'art. 6 del richiamato r.d. 21 ottobre 1923, n. 2393 dispone che i termini, che decorrono da una notificazione eseguita per posta, si computano dalla data della consegna del piego, risultante dalla rioevuta di ritorno, e, se la data non risulti, tlal bollo apposto sulla ricevuta medesima dall'ufficio postale che la restituisce. Non vale invocare la giurisprudenza di questa Corte (tra le altre, Cass., 21 maggio 1962, n. 1161), in tema di notifica a persona irreperibile, nella quale ipotesi non stata considerata la consegna della raccomandata al destinatario ma la spedizione della raccomandata stessa, poich per la notifica agli irreperibili, a differenza della specie in esame, sono previste pi formalit per assicurare la ricezione dell'atto, cio il deposito della copia nella casa comunale, l'affissazione dell'avviso di deposito alla porta dell'abitazione o dell'ufficio del destinatario e, infine, la notizia a quest'ultimo mediante raccomandata con avviso di ricevimento. L'Amministrazione resistente ha esibito una dichiarazione della Direzione provinciale delle Poste di V f)nezia, da cui risulta che la gna del relativo biglietto o direttamente al destinatario, che ne rilascia ricevuta, o a mezzo di Ufficiale Giudiziario, ovvero cc per posta in piego raccomandato ". Sull'istituto della cc comunicazione,,, veggasi PuNzr, Comunicazione (dir. proc. civ.), Enc. dir., vol. VIII, 207; lANNuzzr, Comunicazione del provvedimento di volontaria giurisdizione, Giust. civ., 1964, I, 1915; cfr. anche CARNELUTTI, Comunicazione per biglietti di cancelleria, Riv. dir. proc., 1955, II, 252. Dato che la legge parla solo di spedizione in piego raccomandato, senza richiedere che esso sia accompagnato dall'avviso di ricevimento (cfr. anche -per le notifiche a mezzo di ufficiale giudiziario -l'art. 142), che invece esplicitamente richiesto per le ordinarie notifiche a mezzo posta (art. 149 c.p.c.; art. 5 r.d. 21 ottobre 1923, n. 2393; art. 170 a 182 reg. 18 aprile 1940, n. 689), da escludere la necessit di tale avviso di ricevimento (contrariamente a quanto sembra affermare la sentenza in rassegna) e, di conseguenza, deve negarsi che la mancata allegazione dello stesso avviso sia causa di nullit della comunicazione medesima: e ci anche a prescindere dalla ulteriore ed assorbente considerazione che le formalit stabilite dall'art. 136 non sono prescritte comunque a pena di nullit, essendo da ritenere valida la comunicazione -pur se effettuata in modo diverso da quello prescritto semprech essa abbia raggiunto lo scopo di informare il destinatario dell'esistenza e del contenuto del provvedimento (Cass., 3 dicembre 1959, n. 3490, Foro it., Rep., 1959, v. Sentenza civ. n. 134-135; Cass., 7 ottobre 1954, n. 3404, ibidem, 1954, v. Proc. civ., n. 243-244; in particolare, ai fini della decorrenza del termine per il regolamento di competenza, sull'efficacia del visto " del difensore sull'originale, PARTE I, SEZ. II, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 915 raccomandata fu consegnata in data 19 maggio 1964, distribuzione a firma Gina Marrone, impiegata . Anche ad ammettere che tale dichiarazione possa sostituire l'avviso di ricevimento, da rilevarne l'evidente inidoneit al fine, mancando qualsiasi indicazione sulla persona che ha ricevuto il plico, richiesta invece dall'art. 174 del r.d. 18 aprile 1940, n. 689. In difetto quindi della rituale comunicazione del deposito della sentenza, mancato l'inizio del decorso del termine e pertanto l'istanza di regolamento ammissibile. Ma, come si premesso, l'istanza stessa deve essere rigettata. L'art. 461 c.p.c. attribuisce al Tribunale la competenza a giudicare le controversie indicate nel primo comma dell'art. 459 dello stesso codice, e cio quelle derivanti dall'applicazione delle norme relative alle assicurazioni sociali, agli infortuni sul lavoro industriale o agricolo, alle malattie professionali, agli assegni familiari e ad ogni altra forma di previdenza e di assistenza obbligatorie, perch siano inerenti ai rapporti indicati nell'art. 429. Il ricorrente Autiero sostiene che questo ultimo requisito si riscontra nella specie in esame, trattandosi di rapporto di impiego, tra esso Autiero e il Ministero del Tesoro, che dalla legge devoluto ad altro giudice e cio al giudice amministrativo (art. 429, n. 4 c.p.c.). Questa tesi non ha consistenza come si gi sopra dimostrato nell'esaminare leccezione di difetto di giurisdizione dproposta dal Ministero del Tesoro: poich il rapporto di impiego dell' Autiero non cfr. Cass., 4 gennaio 1961, n. 20, Foro it., 1961, I, 559; id. 10 ottobre 1958, n. 3189, Giust. civ., Mass., 1958, 1136). Diversa questione quella relativa alla data di decorrenza degli effetti della comunicazione ed, in particolare, del termine per il regolamento di competenza: premesso, invero, che quando l'avviso trasmesso a mezzo posta, vi un intervallo di tempo intercorrente tra il momento della sua spedizione e quello della sua recezione da parte del destinatario, considerata la funzione della comunicazione (che -come si accennato -quella di portare a conoscenza dell'interessato l'esistenza ed il contenuto del provvedimento) e la necessit logica di subordinare la decorrenza del termine della impugnativa a tale conoscenza (sarebbe, invero, evidentemente assurdo far decorrere il relativo termine perentqrio dalla data della spedizione dell'avviso il quale -per possibili disguidi postali -potrebbe pervenire all'interessato anche dopo che l'intero termine si maturato), deve senza dubbio ritenersi che si debba aver riguardo alla data della recezione dell'avviso da parte del destinatario. In tali limiti, esatto far richiamo, anche per la fattispecie, alla costante giurisprudenza secondo la quale, ai fini della determinazione della data di notificazione di un atto giudiziario a mezzo del servizio postale, vale quella della consegna del plico raccomandato e non quella della sua spedizione (cfr., tra le altre, Cass., 29 luglio 1963, n. 2120, Giust. civ., Mass., 1963, 933; id., 4 ottobre 1962, n. 2806, Foro it., 1963, I, 409; id., 26 luglio 1962, n. 2136, Giust. civ., Mass., 1962, 1046; id., 22 giugno 1962, n. 1629, Giust. civ., 1963, I, 624; id., 18 dicembre 1957, n. 4733, Giust. civ., 1957, I, 241; in dottrina, veggasi CARNACINI, Ancora 916 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO e m collegamento causale con la pretesa dedotta in giudizio dall'Amministrazione predetta, il rapporto assi:curativo previdenziale deve essere oggetto di esame davanti al giudite ordinario; escluso quindi che la controversia sia devoluta ad altro giudice, la competenza non pu spettare ch al Tribunale, a norma del combinato disposto degli artt. 461, 459 e 429 c.p.c. N possibile considerare la lite come controversia individuale del lavoro, soggetta alla competenza per valore di cui alrart. 434 c.p.c., poich l'art. 459, comma secondo dello stesso codice trova applicazione solo quando la controversia fra lavoratore e datore di lavoro sia relativa all'inosservanza da parte di questo ultimo degli obblighi di assistenza e previdenza, ipotesi che non si verifica nel caso in esame. -{Omissis). una vittima delle notificazioni per posta, Riv. trim. dir. proc. civ., 1957, 1180; PuNZI, La notificazione degli atti nel processo civile, Milano, 1959, 172 e segg.); -~ Ma, appunto perch non essenziale l'avviso di ricevimento della raccomandata, la prova della data di recezione pu essere offerta anche in altro modo ed, in particolare, con lesibizione di un certificato dell'Amministrazione Postale attestante la data della onsegna della raccomandata al destinatario. G. MANDO' CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 2 luglio 1965, n. 1373 -Pres. Lonardo -Rel. Iannelli -P.M. Tavolaro {conf.) -Esattoria civica di Milano (avv. Guerra) c. Migliarese (avv. Ferrari) e c. Ministero finanze (avv. Stato Colletta). Imposte e tasse in genere -Concordato fallimentare -Azione diretta a farne riconoscere il carattere vincolante rispetto al credito d'imposta -Azione di accertamento -Giurisdizione del Magistrato ordinario. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645 delle leggi sulle imposte dirette, artt. 208, 209). Imposte e tasse in genere -Azione diretta a far dichiarare l'estinzione del credito di imposta -Previo ricorso alle Commissioni amministrative -Necessit. (r.d. 7 agosto 1936, n. 1639, art. 22). Imposte e tasse in. genere -Azione di accertamento della efficacia vincolante del concordato fallimentare -Legittimazione. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 917 Esecuzione fiscale -Esecuzione fallimentare -Autonomia processuale -Deroga alla par condicio creditorum -Insussistenza -Concordato fallimentare -Credito chirografario d'imposta Soggezione. (r.d. 16 marzo 1942, n. 267, disciplina del fallimento, artt. 51, 52, 137; t. u. 17 ottobre 1922, n. 1401, artt. l, 5, 87; t. u. 29 gennaio 1958, n. 645 delle leggi sulle imposte dirette, artt. 206, 209, 210). In quanto non concreti la contestazione del diritto deliesattore a procedere ad esecuzione, i azione diretta a conseguire l'accertamento del carattere vincolante del concordato fallimentare rispetto al credito chirografario d'imposta rientra nella giurisdizione del magistrato ordinario (1). Poich con tale azione non viene in discussione la legittimit della imposizione, ma l'estinzione sopravvenuta del credito tributario, presupposto della quale il riconoscimento della originaria sussistenza del credito stesso, essa immediatamente proponibile avanti all'autorit giudiziaria senza previo ricorso alle Commissioni amministrative (2). Legittimati a resistere all'azione stessa sono sia l'Amministrazione finanziaria, sia l'esattore (8). C autonomia deliesecuzione esattoriale rispetto alla esecuzione f allimentare opera esclusivamente sul piano processuale e non importa deroga al principio della par condicio dei creditori: anche il credito chirografario aimposta perci soggetto alla clausola del concordato fallimentare e va ridotto alla percentuale con esso stabilita (4). (Omissis). -Preliminare, poi, tra le questioni poste da'ne ricorrenti, quella che concerne la qualificazione giuridica dell'azione esperita dal Migliarese, giacch essa attiene all'eccepita improponibilit del1' azione medesima davanti al giudice ordinario e, conseguentemente, al difetto di giurisdizione di quest'ultimo. (1-4) Non si rinvengono precedenti specifici in ordine ai principi espressi .elle prime tre massime. La Corte di Cassazione ha anzitutto escluso che, nella specie, l'azione del contribuente, proposta per far valere lefficacia vincolante del concor dato fallimentare rispetto al credito d'imposta, concretasse opposizione all'esecuzione esattoriale, come tale vietata dall'art. 209 del t.u. delle leggi sulle imposte dirette, non ravvisando, in-concreto, una contestazione del diritto dell'esattore a procedere ad esecuzione, costituente petitum caratteristico dell'opposizione stessa. La domanda concreterebbe perci un'azione di accertamento di tale efficacia vincolante e della conseguente estinzione del credito tributario per la parte eccedente la percentuale concordataria, non suscettibile di spiegare effetti diretti sull'esecuzione esattoriale. L'ammissibilit di azini intese a far valere l'insussistenza del credito tributario -proposte anche nel corso dell'esecuzione esattoriale, ma senza diretta influenia su di essa -viene espressamente postulata dalla Corte Costituzionale nella sen 918 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Diversamente da quanto stato ritenuto dalla Corte d'Appello, che cio l'azione non avesse ad oggetto la contestazione del diritto a procedere esecutivamente per il soddisfacimento del credito tributario ma fosse diretta, piuttosto, soltanto all'accertamento dell'obbligatoriet, senza alcuna eccezione, del conco febbraio 1961, n. 207, Foro it., 1961, I, 611) natura di interesse legittimo. Successivamente, sia il Consiglio di Stato, sia la Corte regolatrice, affrontando il problema di discriminazione della giurisdizione ordinaria dalla giurisdizione del Supremo Collegio amministrativo, giurisdizione fissata pur sempre dall'art. 26 del t.u. delle leggi sul Consiglio di Stato, hanno ritenuto che la competenza a conoscere delle controversie concernenti l'imposta doganale spetti all'Autorit giudiziaria quante volte la posizione del cittadino si atteggi come diritto soggettivo e al Magistrato amministrativo quante volte essa abbia natura di interesse legittimo (Cass., Sez. Un., 4 aprile 1964, n. 733, Foro it., 1964, I, 232; Cons. Stato, 8 novembre 1961, Dir. prat. trib., 1962, II, 238; 11 dicembre 1963, n. 989, Il Consiglio di RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 932 potere del Ministro, di fronte al quale, come in genere nelle ipotesi di discrezionalit tecnica, la posizione del singolo non subisce alcuna degradazione e si configura come diritto soggettivo. A questa conclusione si obbietta dalfAmministrazione resistente che la determinazione del valore medio in via ufficiale si risolve in una questione di estimazione semplice sottratta alla cognizione del giudice ordinario, e che, come gi si accennato, il necessario tramite alla via contenziosa (secondo la resistente, dinanzi alla giurisdizione amministrativa) costituito dalla controversia doganale, che nella specie non stata sollevata. Alla prima obbiezione pu rispondersi che questione di estimazione complessa (e non semplice) attribuita al giudice ordinario, quella in cui, allo scopo di stabilire la sussistenza e la natura del diritto o di ricercare la causa che legittima fimposizione, si debba risolvere una questione giuridica concernente la interpretazione di una legge, di un regolamento od anche di un negozio giuridico; nel caso specifico, finterpretazione dell'art. 18, ultimo comma, della legge organica, all'effetto di determinare f ambito della delega conferita al Ministro per le finanze. Occorre poi aggiungere che se, in materia di i.g.e. all'importazione, rart. 51, secondo comma, della legge rinvia, per le controversie concer- Stato, 1963, I, 1952; 25 luglio 1964, n. 565, Foro it., 1965, III, 90; 17 novembre 1964, n. 8l'i, Foro amm., 1964, I, 2, 1325). Nonostante l'affermazione tassativa premessa alla motivazione, che escluderebbe la possibile esistenza di interessi legittimi in materia tributaria, anche la sentenza che si annota fa riferimento a tale criterio discriminatore, criterio che presuppone lesistenza di tali interessi giacch, ove essi non si dessero, sarebbe giocoforza inferire che il ricorso previsto dall'art. 26 t.u. 26 giugno 1924, n. 1054 configuri un'ipotesi di giurisdizione esclusiva (in tal senso, MAGNANI, Contenzioso in materia doganale, Dir. prat. trib., 1958, II, 238, e SANDULLI, Manuale del diritto amministrativo, Napoli, 1964, 742 e nota 132). Tale riferimento sembra escludere che la Corte Suprema abbia assegnato all'affermazione concernente l'inesistenza di posizioni di interesse legittimo nel rapporto tributario il valore assoluto che dovrebbe desumersi dalle espressioni usate, tanto pi in quanto tale affermazione rimane estranea allo schema logico della decisione. Se, infatti, si potesse accettare come premessa dimostrata l'inesistenza nel campo tributario di posizioni aventi natura di interesse legittimo, non sarebbe necessario scendere all'esame della singola fattispecie per idntificare in concreto la natura della posizione soggettiva della quale il contribuente portatore. E: quindi lecito concludere che l'affermazione anzidetta deve essere interpretata come espressione di una regola non priva di eccezioni, cio come constatazione della tendenza dell'ordinamento a configurare il rapporto giuridico d'imposta sulla base di norme di relazioni attributive di diritti soggettivi, regola tale da non pregiudicare l'esame inteso ad accertare, nei singoli casi, la natura di tali norme. III. -La natura della posizione soggettiva del privato rispetto al potere della Amministrazione avente ad oggetto la determinazione della base imponibile, forma oggetto di disputa dottrinale non sopita, giacch, anche prescindendo dalla parti PARTE I, -SEZ. II, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 933 nenti la classificazione e il valore delle merci, alle norme che regolano le controversie doganali, cio al t.u. 9 aprile 1911, n. 330 e successive modificazioni, codest9 rinvio deve essere coordinato sia al precetto del1' art. 113, primo comma, della Costituzione, secondo cui le posizioni soggettive dei cittadini, si tratti di posizioni di diritto soggettivo o di interesse legittimo, devono ricevere tutela giurisdizionale, sia alla sentenza della Corte Costituzionale, 27 giugno 1958, n. 40, che dichiar illegittimo perch in contrasto con lart 113, secondo comma, della Costituzione l'art. 26, secondo comma, del t.u. delle leggi sul Consiglio di di Stato 24 giugno 1924, n. 1054, limitatamente alle parole controversie doganali oppure : sia infine alla successiva giurisprudenza di questa Corte Suprema. Infatti, poich l'art. 26, secondo comma, del t.u. n. 1054 del 1924, disponeva che il ricorso giurisdizionale non ammesso in materia di controversie doganali se non per incompetenza o eccesso di potere, con esclusione della violazione di legge, ma ha cessato di avere efficacia, per tale parte, a seguito della citata sentenza della Corte Costituzionale, sicch anche per le controversie doganali il ricorso al giudice amministrativo ora ammissibile, giusta la norma generale dell'art. 26, primo comma, per tutti e tre i vizi di legittimit, e poich l'avere l'art. 26, colare posizione propria di ALLoruo, Diritto processuale tributario, Torino, 1962, 65 e segg., non ~ancano voci autorevoli a sostenere che il cittadino non fruisca, nel caso, che di una tutela riflessa, non sia cio titolare che di un interesse legittimo (PuGLIESE, Diritti soggettivi e interessi legittimi di fronte alla giurisdizione amministrativa speciale, Riv. dir. fin., 1938, I, 68; ZINGALI, L'elasticit della norma e la discrezionalit dell'Amministrazione nel campo tributario, Dir. prat. trib., 1960, I, 3 e segg. e, specialmente, 7 e 22). Questa tesi, avversata peraltro dalla dottrina prevalente (cfr. MoRTATI, Le giurisdizioni speciali di fronte alla Costituzione, Rass. dir. tecn. dog., 1954, 7; MIELE, Riflessi della Costituzione sul contenzioso tributario, Riv. trim. dir. pubbl., 1951, 829; A. D. GIANNINI, Istituzioni di diritto tributario, Milano, 1960, 213), era stata accolta esplicitamente dalla Cassazione in materia di determinazione del valore ai fini dell'imposta doganale (.Sez, Un., 10 febbraio 1961, n. 207, cit.), ed era stata poi ribadita con la sentenza, sempre a Sez. Un., n. 733 del 4 aprile 1964. Secondo il principio allora fissato, la determinazione del valore comporterebbe largo margine di discrezionalit e la posizione del privato avrebbe natura di interesse legittimo. In conformit si era pronunciata anche la Corte d'Appello di Torino (12 ottobre 1962, Foro it., 1963, I, 1400) e il Consiglio di Stato (Ad. plen., 21 gennaio 1959, n. 1. cit., con nota critica di MAGNANI, Osservazioni conclusive sulla giurisdizione per l'impugnativa delle decisioni ministeriali in tema di contro versie doganali, Dir. prat. trib., 1959, Il, 226; 21 giugno 1961, n. 568, Foro it., Rep,, 1961, voce Dogana, n. 26-28; 11 dicembre 1963, n. 989, id., 1963, voce cit., 38). Nella presente sentenza, sulla base di una nozione rigorosa di discrezionalit amministrativa come ponderazione di pubblici interessi fra loro in relazione (su cui cfr. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1964, 320; M. S. G1AN'NINI, Lezioni di diritto amministrativo, Milano, 1950, 97; MoRTATI, Discrezionalit, Novissimo Digesto italiano, V, 1098; PmAs, Discrezionalit amministrativa, Enci 934 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO secondo comma, ricordato espressamente le controversie doganali non significava che il legislatore avesse inteso sottrarre le questioni relative a tali controversie alla cognizione del giudice ordinario, per devolverle, anche se investivano laccertamento della violazione di un diritto soggettivo, al giudice amministrativo, e pertanto questa disposizione non intese derogare al principio stabilito dalla legge abolitiva del contenzioso amministrativo, per il quale il giudice ordinario giudice dei diritti P. quello amministrativo giudice degli interessi, ma soltanto limitare il ricorso al Consiglio di Stato ai vizi di incompetenza e di eccesso di potere, sempre nel presupposto e per le ipotesi in cui le controversie doganali avessero ad oggetto un interesse legittimo e non diritto soggettivo del contribuente (v. Cass., 27 ottobre 1959, n. 3124 e 4 aprile 1964, n. 733), la conclusione, alla quale deve pervenirsi, appare di sicura evidenza. Se ha consistenza di diritto soggettivo la posizione giuridica del contribuente nel rapporto tributario e, nella specie, ha tale consistenza la posizione dedotta dalla societ Ausonia a fondamento della sua pretesa di non subire imposizioni oltre i limiti stabiliti dalla legge; e se, d'altro lato, le determinazioni del Ministro per le finanze sulle controversie doganali hanno natura di atti amministrativi (v. Gass., 18 febbraio 1959, clopedia del diritto, Milano, 1964, 65 e segg.), il Supremo Collegio ha configurato il provvedimento ministeriale ex art. 18 della legge sull'i.g.e. alla stregua di un accertamento tecnico vincolato. Prescindendo da qualsiasi considerazione sul problema attinente al carattere vincolato o discrezionale della determinazione della base imponibile considerato in via generale, non sembra che la costruzione adottata dalla Corte si adatti al caso di fissazione in via ufficiale del valore di merci importate ai fini dell'i.g.e. Sia consentito, anzitutto, osservare che parlare di constatazione del valore medio effettivo delle merci in un determinato periodo per qualificare il decreto ministeriale alla stregua di un accertamento tecnico che ha, nel caso, ben poco significato, poich la constatazione verrebbe compiuta, secondo lo schema normativo, rispetto ad un periodo di tempo futuro e non determinato nella sua entit, ch l'art. 18 non precisa quale periodicit debbano avere i provvedimenti di fissazione del valore. Poich non possibile accertare o constatare il valore futuro di una merce (men che meno la media di tale valore rispetto ad un periodo di tempo non precisato), occorre concludere che non si .verte, nel caso, in tema di accertamento tecnico del valore, e che, secondo si esprime la legge, il Ministro non deve constatare, bens stabilire il valore ai fini dell'i.g.e., ossia deve fissare in via generale la base imponibile sulla quale l'imposta deve essere applicata. :Il; principio generale nel diritto tributario che l'imposta debba essere in relazione -quanto al suo ammontare ~con il fatto economico assunto a suo presupposto e tale principio, se corrisponde ad una evidente esigenza di giustizia, costituisce anche espressione di un interesse specifico dello Stato, avente ad oggetto la percezione di un tributo esattamente correlato alla capacit contributiva espressa dal cittadino. L'applicazione assoluta di tale principio comporterebbe, nel caso, che l'imposizione assumesse a base imponibile in ogni singolo caso il valore effettiv<: PARTE I, SEZ. II, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 985 n. 501), la regola della tutela giurisdizionale dei diritti (e degli interessi) contro gli atti della pubblica Amministrazione, posta dall'art. 113, primo comma, della Costit.uzione, impone che vadano in materia devolute alla cognizione del giudice ordinario anche le questioni che non siano, come quella in esame, di estimazione complessa, ma siano invece di estimazione semplice, cio riflettano la determinazione della base imponibile sulla scorta di indagini circoscritte ai fatti materiali formanti il presupposto della imposizione fiscale. Rispondendo, infine, alla seconda obbiezione formulata dall'Amministrazione resistente,. deve negarsi che la controversia doganale apra nella specie l'adito alla vita contenziosa dinanzi al giudice ordinario (e non a quello amministrativo, come l'Amministrazione ritiene). Le controversie di valore, cui si richiama l'art. 51, secondo comma, della legge organica, sono unicamente quelle riguardanti la valutazione della base imponibile, qualora sia determinata in base al valore delle merci poste al confine; valore che si estenderebbe automaticamente alla imposta sull'entrata se non fosse stabilito un diverso valore in via ufficiale per determinazione ministeriale. Di ci si ha indiretta conferma nell'art. 97 del regolamento approvato con r.d. 26 gennaio 1940, n. 10, il quale consente alla dogana di della merce importata. L'art. 18 della legge sull'i.g.e., peraltro, contrappone a tale principio (e al corrispondente interesse dello Stato), un diverso interesse, identificato anche dal Supremo Collegio, e cio quello di agevolare la riscossione del tributo sull'importazione di merci determinate (costituenti, secondo la Corte regolatrice, il nucleo fondamentale delle importazioni nazionali). Il Ministro delle Finanze non obbligato a determinare in via ufficiale il valore delle merci stesse, ma chiamato ad esercitare una facolt (rectius: potere) appunto attraverso l'esame ponderato dell'interesse alla percezione della giusta imposta in ogni singolo caso e dell'interesse alla sollecita e agevole percezione dell'imposta stessa. L'emanazione del decreto ex art. 18 costituisce perci frutto di una comparazione squisitamente discrezionale di interessi pubblici in confronto alla quale la posizione del cittadino non sembra potersi atteggiare che come interesse legittimo, Non dubbio che, in ragione della commisurazione normale dell'imposta al valore effettivo delle merci importate e della stessa formulazione dell'art. 18, ultimo comma, il Ministro debba procedere a stabilire il valore in via ufficiale tenendo presente il valore effettivo della merce al momento dell'emanazione del provvedimento e le eventuali variazioni a breve termine ragionevolmente prevedibili. L'inosservanza di tale norma, peraltro, poich essa attiene alla determinazione del contenuto di un provvedimento discrezionale, non sembra incida su un diritto soggettivo del cittadino. Essa si pone infatti come norma d'azione intesa a regolare il comportamento dell'Amministrazione pubblica, in quanto, lungi dall'attribuire al privato il diritto di pagare l'imposta sul valore reale della merce all'atto dell'importazione, presuppone la negazione di tale diritto e fissa la regola per la determinazione di una diversa base imponibile, da valere in via generale, e che tuttavia dalla prima non abbia a scostarsi eccessivamente. Si veda, per una fattispecie con caratteristiche di spiccata analogia, la gi ricordata sentenza del Consiglio di Stato n. 565 del 25 luglio 1964. 936 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO sollevare la controversia di valore, sempre che non si tratti di valore fissato in via ufficiale ai sensi dell'art. 18, ultimo comma, della legge. Ma Yesclusione dell'iter delle controversie doganali di valore ex art. 18, ultimo comma, ora citato, ha un'autonoma ragione logica, che la giustifica pienamente. Il provvedimento ministeriale di determinazione del valore in via ufficiale precede, e non segue, l'eventuale controversia e per il congegno predisposto dal t.u. del 1911 al contribuente spetterebbe la scelta di dare inizio alla fase decisoria amministrativa o in due gradi (Camera di commercio e Ministro) oppure un unico grado direttamente dinanzi al Ministro; di guisa che il Ministro, nella medesima veste amministrativa, sarebbe nella migliore ipotesi posto nella condizione di ripetersi, mentre alla Camera di commercio dovrebbe in ogni caso riconoscersi, se adita prima del Ministro, il potere di modificare il provvedimento ministeriale, in contrasto coi principi basilari delfordinamento amministrativo. In conclusione, risolvendosi il conflitto; deve dichiararsi la giurisdizione del giudice ordinario, cassandosi la sentenza del tribunale di Genova, che ha ritenuto invece la giurisdizione del giudice amministrativo. -(Omissis). D'altra parte, veramente lecito escludere che il contenuto del provvedimento possa essere influenzato dalla (legittima) comparazione di altri interessi pubblici? :: ben noto che i dazi doganali {e l'i.g.e. all'importazione) costituiscono, oltre che tributi, strumenti economici tradizionali attraverso la cui manovra possibile scoraggiare o incoraggiare determinate importazioni, proteggere o esporre alla concorrenza internazionale determinate industrie interne. Non sarebbe azzardato ipotizzare che lart. 18, nel conferire al Ministro il potere di fissare in via generale la base imponibile ai fini di determinate merci da importare, abbia inteso tutelare anche questi interessi pubblici, la cui ponderazione entrerebbe legittimamente nella fissazione del valore. N sembra che, assegnando al provvedimento ministeriale tale natura, sia lecito dubitare della legittimit costituzionale dell'art. 18 in relazione all'art. 23 della legge fondamentale, poich il riferimento al valore effettivo, insito in tale articolo, definisce in maniera certamente sufficiente i criteri 'idonei a delimitare la discrezionalit del Ministro (cfr. Corte Cost., 10 marzo 1957, n. 47, Dir. prat. trib., 1957, II, 97; 26 gennaio 1957, n. 30, id., 1957, II, 88). F. BATISTONI FERRARA SEZIONE TERZA GIURISPRUDENZA CIVILE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 11 maggio 1964, n. 1123 -Pres. Varallo -Est. Cesaroni -P.M. Toro (conf.) -Pandolfi (avv. Muratori) c. Comune di Bologna (avv.ti Gherardi, Tura'.lza, Guidoboni). Espropriazione per p.u. -Dichiarazione di p.u. dell'opera -Dichiarazione di p.u. esplicita o implicita -Natura giuridica Effetti. (1. 25 giugno 1865, n. 2359, artt. 2-15). Espropriazione per p.u. -Dichiarazione di p.u. dell'opera -Prescrizione della legge sulle espropriazioni per p.u. di fissazione del termine per l'inizio ed il compimento delle espropriazioni - norma di azione e non di relazione. (1. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 13). Competenza e giurisdizione -Norme di azione e di relazione Violazione di norme di azione -Difetto di giurisdizione del G.O. -Giurisdizione del Giudice amministrativo. (1. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, artt. 2, 4; t.u. 26 giugno 1924, n. 1054, art. 26). Piano regolatore, di ricostruzione -Approvazione del piano Dichiarazione implicita di p.u. . Prefissione e proroghe dei termini per l'inizio delle espropriazioni e dei lavori . Inizio e compimento della procedura espropriativa entro tali termini, ma a notevole distanza di tempo dall'approvazione del piano Potere discrezionale della P.A. -Insindacabilit da parte del G.O. (d.Ig.Igt, 1 marzo 1945, n. 154, art. 7; I. 27 ottobre 1951, n. 1402, art. 7; I. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 13). La dichiarazione di p.u. (derivante, nella specie, dall'approvazione del piano di ricostruzione ai sensi dell'art. 7 del d.l.l. 1 marzo 1945, n. 154) un atto amministrativo discrezionale, di durata prestabilita, sia quanto all'inizio, sia per il termine di scadenza, destinato a spiegare i suoi effetti sulle posizioni giuridiche preesistenti, ossia ad affievolire 7 938 RASSEGNi\. DELL'AVVOCATURA DELLO STATO il diritto di propriet, durante il permanere del potere concesso alr ente espropriante (1). La norma di cui all'art. 13 l. 25 giugno 1865, n. 2359, che prescrive i la fissazione del termine per l'inizio e il compimento delle espropriazioni, diretta a regolare l'attivit della p.a., in vista dell'interesse pubblico da perseguire (norma di azione) e perci non pu ritenersi criterio valido quello di esaminarla dal punto di vista dell'espropriato, la cui tutela non pu essere che riflessa e indiretta, rispetto a que~la della pubblica utilit (2). Per la violazione di norme poste direttamente a tutela dell'interesse pubblico il cittadino non pu, a tutela del suo interesse leso, agire dinanzi al g.o., ma dinanzi al giudice amministrativo, e nei limiti in cui l'interesse privato di cui portatore coincida con quello pubblico (3). Il preteso ritardo nelfinizio e nel compimento della procedura espropriativa, se questi sono contenuti nei termini prefissati e prorogati di cui all'art. 13, l. 25 giugno 1865, n. 2359, attenendo al modo di esercizio del potere discrezionale della p.a., non pu essere sindacato dal g.o. (4). (Omissis). -Con il primo motivo, il Pandolfi, denunciando la violazione degli artt. 832 e 834 e.e., in relazione alla legge 25 giugno 1865 n. 2359, ripropone la tesi, gi sostenuta nei precedenti gradi del giudizio, che il ritardo colposo del Comune di Bologna, nell'attuazione del piano di ricostruzione della citt, approvato con d.m. 16 gen( 1) Cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 26 aprile 1961, n. 252, Il Consiglio di Stato, 961, 677 (sub 4); 8 giugno 1960, n. 574, id., 1960, 1103 (sub l); 19 dicembre 1958, n. 1170, id., 1958, 1461. In dottrina v. RorumssEN, La dichiarazione di p.u. e il reativo procedimento, Rass. lav. pubbl., 1960, 805; MOTZo e P.mAs, Espropriazione e pubblica utilit, Giur. Cost., 1959, 150; RossANo, L'espropriazione per p.u., Torino, 1964, 104 e 110. (2) Cos la mancata prefssione del termine nella dichiarazione di p.u. un vizio dell'atto, che attiene non ali' esistenza del potere di espropriare, ma alle condizioni del suo esercizio, ossia alla regolarit del procedimento, la cui violazione pu portare alla lesione di interessi legittimi, ma non di diritti subiettivi n : Trib. Messina, 31 maggio 1963, Arig c. Com. Me&sina, Riv. giur. ed., 1963, I, 932, sub 2, con nota di riferimenti; v. anche Cons. Stato, Sez. IV, 14 settembre 1962, n. 499, Il Consiglio di Stato, 1962, I, 1372. (3) Cfr. Cass., Sez. Un., 11 ottobre 1955, n. 2994, Giust. civ., 1955, I, 1580 e segg., sub. 7-8, con ampia nota di riferimenti; 14 aprile 1964, n. 894, in questa Rassegna, 1964, I, 848, e 25 luglio 1964, n. 2064, ibidem, 861 ed ivi altri riferimenti; v. anche, in dottrina, SANDULLI, Il giudizio davanti al Consiglio di Stato e ai giudici sottordinati, Napoli, 1963, 39 e segg., 48 e segg, ed ivi ampie citazioni di dottrina e giurisprudenza. . (4) Ed infatti, secondo quanto avvertito dalla sentenza in rassegna, nella massima sub l, durante la validit della dichiarazione di p.u. permane il potere concesso PARTE I, SEZ. ID, GIURISPRUDENZA CIVILE 939 naio 1948, si sarebbe concretato in una vera e propria violazione del suo diritto di propriet sull'immobile soggetto all'esproprio, per la impossibilit, durante il periodo intercorso fra l'approvazione del piano e I'espropro, protrattosi per oltre 8 anni, di disporre del bene stesso o di trarne i relativi utili. La censura deve essere disattesa. Il ricorrente non contesta il potere della p.a. di eseguire il piano di ricostruzione nei termini di scadenza stabiliti dai vari decreti ministeriali di proroga, ma deduce che il Comune avrebbe fatto cattivo uso di tale potere, incorrendo nella lesione del suo diritto di propriet per il ritardo frapposto nel procedere all'esproprio. Ora basta enunciare tale proposizione per scorgere gli errori che la travagliano. Anzitutto, da osservare che la dichiarazione di pubblica utilit (derivante, nella specie, dall'approvazione del piano di ricostruzione ai sensi dell'art. 7 del d.l.l. 1 marzo 1945 n. 154) un atto amministrativo discrezionale, di durata prestabilita sia quanto all'inizio, sia per il termine di scadenza, destinato, pertanto, a spiegare i suoi effetti sulle posizioni giuridiche preesistenti (affievolimento del diritto di propriet) durante il permanere del potere concesso all'ente espropriante. Ci posto, non si vede come Tatto lesivo lamentato, costituente, a sua volta, l'esplicazione di una potest giuridica concessa all'amministrazione, possa tradursi nella violazione di un diritto soggettivo. In secondo luogo, la norma (art. 13 della I. 25 giugno 1865 n. 2359) che prescrive la fissazione del termine per l'inizio e il compimento delle espropriazioni diretta a regolare l'attivit della p.a. in vista dell'interesse pubblico da perseguire {norma di azione) e perci non pu ritenersi criterio valido quello di esaminarla dal punto di vista dell'espropriato, la cui tutela non pu essere .che riflessa e indiretta, rispetto a quella della pubblica utilit. Ed noto che, per la violazione di norme poste direttamente a tutela dell'interesse pubblico, il cittadino pu agire a tutela del suo interesse leso~ non dinanzi al magistrato ordinario, ma dinanzi al giudice amministrativo, e nei limiti in cui l'interesse privato coincida con quello pubblico. all'ente espropriante e "la presenza di elementi discrezionali nell'attivit amministrativa vale, senz'altro, a negare la sussistenza di un diritto soggettivo del privato, tutelabile davanti al giudice ordinario : cfr. Cass., Sez. Un., 14 aprile 1964, n. 894, cit. nella nota precedente, in questa Rassegna, 1964, I, 849, sub 3, ed ivi riferimenti. Sull'efficacia dei piani di ricostruzione fino alla data di entrata in vigore del piano regolatore generale v. Cons. Stato, Sez. IV, 8 novembre 1963, n. 688, in questa Rassegna, 1964, I, 338 e segg., con nota di U. GARGIULO. 940 RA~SEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Infine, pure da considerare che, nel caso, nemmeno si adduce la violazione dei termini prefissati nel decreto di dichiarazione di pubblica utilit e successive proroghe (termini che sono stati pienamente rispettati dal Comune), ma si addebita all'Ente espropriante un comportamento colposo, per aver ritardato, oltre i limiti concessi da un'oculata e diligente amministrazione, l'inizio della procedura di esproprio. Con ci si chiede al giudice ordinario un'indagine avente per oggetto, non gi l'esistenza del potere, che non si contesta, o l'uso di esso oltre i limiti fissati dall'ordinamento, ma il suo esercizio, che si pretende scorretto sotto l'aspetto dell'urgenza, della necessit pubblica o della semplice opportunit; tutte condizioni, che, traducendosi nella valutazione dell'interesse pubblico giustificante l'azione amministrativa, sono sottratte al giudice ordinario, al quale inibito il sindacato dell'esercizio del potere discrezionale della p.a. Per le ragioni fin qui esposte, il primo motivo, dunque, appare infondato e deve rigettarsi. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 7 maggio 1965, n. 836 -Pres. Lonardo -Est. Ferrone Capano -P.M. Tavolaro (conf.) -Bi,sazza (avv.ti Moschella, Crisafulli) c. Comune di Messina (avv. Scarcella). Espropriazione per p.u. -Mancata esecuzine dell'opera -Decadenza della dichiarazione di p.u. -Retrocessione -Presupposti -Diversa destinazione anch'essa di p.u. data dalla P.A. espropriante all'immobile -Diritto del proprietario espropriato alla retrocessione -Sussiste ugualmente -Necessit per la rilevanza della nuova destinazione data all'immobile di apposita dichiarazione di p.u. e di nuova espropriazione secondo legge. (1. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 63). Leggi, decreti e regolamenti -Principio di irretroattivit della legge in generale -Carattere e valore di precetto costituzionale -Non sussiste per la materia civile. (disp. sulla legge in gen., art. 11). La decadenza della dichiarazione di p.u. ed il sorgere del conseguente diritto alla retrocessione dei beni espropriati hanno luogo non solo nel caso espressamente previsto dall'art. 63 l. 25 giugno 1865, n. 2359, che cio l'opera non sia stata eseguita nei termini all'uopo concessi o prorogati, ma anche nei casi, giuridicamente analoghi, in cui si abbia la certezza dell'assoluta impossibilit che l'opera possa essere PARTE I, SEZ. m, GIURISPRUDENZA CIVILE 941 compiuta cos corri era stata progettata, il che pu verificarsi allorquando ropera di p.u. sia stata realizzata in luogo diverso da quello prestabilito o quando i beni espropriati siano stati utilizzati .per una diversa e definitiva destinazione, incompatibile con rattuazione dell'opera per la quale era stata pronunciata respropriazione. Il diritto alla retrocessione, dunque, sorge per il solo fatto che l'immobile espropriato non ha avuto nel termine prescritto, o non pu pi avere, quella determinata destinazione per la quale fu disposta ed effettuata l'espropriazione, n il suo esercizio precluso dalla circostanza che fimmobile espropriato possa avere o di fatto abbia avuto una diversa destinazione, anch'essa di pubblica utilit, oocorrendo per la rilevanza della medesima al fine di impedire la retrocessione una apposita dichiarazione di pubblica utilit ed una nuova espropriazione, da effettuarsi a norma di legge (1). Il principio della irretroattivit della legge enunciato nelI' art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale, pur costituendo un principio generale del nostro ordinamento giuridico, non ha tuttavia carattere e valore di precetto costituzionale, in quanto l'art. 25 della eostituzione vieta la retroattivit solo in materia penale e non anche in materia civile, dove l'osservanza del principio generale della irretroattivit rimessa alla prudente valutazione del legislatore, il quale ha il potere di derogarvi in tutti i casi in cui lo ritenga opportuno (2). (1) Cfr. Cass., Sez. Un., 2 febbraio 1963, n. 183, Giust. civ., 1963, I, 259 (sub 2) e Foro it., 1963, I, 233 (nella motivazione). In dottrina v. RossANo, L'espropriazione per p.u., Torino, 1964, 335 e segg., in part. 337 ed ivi citazioni (sub 2) di ulteriore giurisprudenza. (2) Cfr. Cass., 17 novembre 1962, n. 3139, Giust. civ., Mass. Cass., 1962, 1467; 4 giugno 1962, n. 1345, ibidem, 672, ove si avverte (sub 2) che "la disposizione contenuta nell'art. 11 delle preleggi, secondo la quale la legge dispone per l'avvenire e non ha effetto retroattivo, inderogabile per il giudice che deve applicare la legge, ma non per il legislatore, salvo, per quest'ultimo, il limite previsto dall'art. 25 Cost. ; Cass., 16 ottobre 1957, n. 3809, Giust. civ., 1957, J, 1840, con nota di richiami di dottrina e giurisprudenza; v. anche Cons. Stato, Sez. VI, 20 gennaio 1960, n. 14, Il Consiglio di Stato, 1960, I, 85 (sub 2). La Corte Costituzionale, con sentenza 8 luglio 1957, n. 118, Giur. cast., 1957, 1067, ha affermato che il principio della irretroattivit della legge " non mai assurto nel nostro ordinamento alla dignit di norma costituzionale, n vi stato elevato dalla vigente Costituzione, se non per la materia penale ,, (1078), senza, tuttavia, escludere che " in singole materie, anche fuori di quella penale, l'emanazione di una legge retroattiva possa rivelarsi in contrasto con qualche specifico precetto costituzionale " (1079) e, con sentenza 30 dicembre 1958, n. 81, id., 1958, 1000, ha precisato che dall'art. 25 della Cost. non pu escludersi la retroattivit delle leggi finanziarie; v. anche, in argomento, la sentenza 9 marzo 1959, n. 9, id., 1959, 237, laddove si conferma (270) che per quanto concerne le leggi tributarie " non sia ricavabile dall'art. 23 Cost. un precetto costituzionale che precluda la possibilit di leggi retroattive. N una legge tributaria retroattiva pu dirsi in contrasto con l'art. 25 Cost., il quale riguarda soltanto la materia penale ,, . 942 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE DI CASSAZIONE, Sez. III, 18 maggio 1965, n. 952 -Pres. Mastropasqua -Est. Poggi -P.M. Toro (conf.) -Minnucci (avv. Fabrizio) c. Ministero Tesoro (avv. Stato Lancia). Danni -Danni a persone o a cose causati da azioni non di combattimento delle forze. armate alleate nel territorio italiano - I' ..::. @ Responsabilit dello Stato italiano ai sensi dell'art. 2043 e.e. - Esclusione -Diritto soggettivo del soggetto danneggiato - Contenuto -Esclusione dell'applicabilit delle norme ordinarie sulla responsabilit per fatto illecito -Indennit e non risarcimento. (I. 9 gennaio 1951, n. 10, artt. 1 e segg.). Spese giudiziali -Compensazione delle spese -Dovere del giudice di motivare la relativa pronuncia -Non sussiste -Normale incensurabilit del provvedimento del giudice in Cassazione -Eccezione -Fattispecie. (c.p.c., art. 92). Se vero che la pretesa vantata dal cittadino in base alla legge 9 gennaio 1951, n. 10 costituisce diritto soggettivo, tutelabile, dopo resperimento della procedura amministrativa, innanzi al G.0., altres vero che il contenuto di tale diritto trova il suo unico fondamento nella cennata legge speciale, emanata dallo Stato italiano in esecuzione di impegni internazionali risultanti dalle clausole del Trattato di pace e giustificata, altres, da motivi di solidariet sociale e non pu essere desunto dalle ordinarie norme sulla responsabilit per fatto illecito, inapplicabili nelr ipotesi di danni conseguenti non gi ad un fatto illecito dello Stato italiano, ma ad azioni non di combattimento delle forze armate alleate (1). Il giudice non tenuto ad una specifica illustrazione dei motivi che lo inducono a disporre la compensazione delle spese e il relativo provvedimento, implicando una valutazione di fatto, incensurabile in Cassazione, a meno che la motivazione, che il giVJdice, pur non essendovi tenuto, abbia creduto di formulare, si presenti viziata da errori logici e giuridici (2). {Omissis). -1) Col primo motivo di ricorso il Minnucci denunzia la violazione dell'art. 324 in relazione all'art. 360, n. 3 e 5, c.p.c. Secondo il ricorrente, la Corte di merito avrebbe violato il giudicato formatosi su un capo fondamentale della sentenza di primo grado, addivenendo {l) Cfr. Cass., 25 luglio 1962, n. 2114, in questa Rassegna, 1962, 151 e segg. (2) Cfr. Cass., 2 aprile 196'3, n. 820, Foro it., Mass., 1963, 236;. 27 maggio 1963, n. 1389, ibidem, 409; 7 giugno 1963, n. 1516, ibidem, 442. PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE alla riforma di quest'ultima in base ad un motivo di appello che la difesa del Ministero non aveva affatto proposto. Infatti -si sostiene -il Ministero del Tesoro aveva proposto appello solo in ordine al quantum della liquidazione del danno, senza contestare che questa dovesse avvenire secondo i principi di diritto comune; la Corte di merito, invece, ha accolto l'appello, e conseguentemente respinta la domanda del Minnucci, per il motivo che era stato chiesto il risarcimento dei danni ex art. 2043 e.e., e non l'attribuzione della speciale indennit di cui alla legge 9 gennaio 1951, n. 10. La censura infondata. Quando il ricorrente afferma che il Ministero del Tesoro si limit ad impugnare la sentenza di primo grado solo per la parte riguardante il quantum della liquidazione del danno, senza affatto contestare che questa dovesse essere compiuta secondo i principi di diritto comune (art. 2043 e.e.), afferma cosa assolutamente inesatta; e, a dimostrarlo, basta richiamare il preciso tenore del relativo atto di appello, ove il Ministero testualmente deduceva che il Tribunale aveva erroneamente ritenuto di non dovere tener conto dei tassativi limiti posti dalla legge per l'indennit di cui si discute, e che fa carico all'Erario, non per responsabilit aquiliana, ma per obbligazione ex lege, assunta conseguentemente ad impegni di carattere internazionale . Non si pu, certo, negare che il gravame proposto dal Ministero fosse in definitiva diretto contro il quantum della liquidazione e che l'Amministrazione appellante si proponesse, come risultato finale, quello della attribuzione al Minnucci di somme di ammontare inferiore a quello risultante dalla sentenza impugnata. Ma quello che preme di rilevare, agli effetti del presente ricorso, che il Ministero d~l tesoro, nel censurare la liquidazione del quantum dedusse specificamente la inapplicabilit, nella fattispecie, delle norme sulla responsabilit aquiliana, dovendo, invece, trovare applicazione la legge 9 gennaio 1951, n. 10, per la quale viene attril;mita al danneggiato soltanto una indennit da determinarsi con i particolari criteri ivi indicati. Resta cos assolutamente esclusa ogni preclusione, nel senso accennato dal ricorrente, per essere stato il punto relativo alla applicabilit delle norme comuni specificamente investito dall'appello proposto dal Ministero del Tesoro. 2) Col secondo motivo di ricorso (denunciandosi la violazione della legge 9 gennaio 1951, n. 10, del d.l. 9 ottobre 1922, n. 1403, e in generale delle norme che regolano la responsabilit da fatto illecito) si lamenta che la Corte di merito abbia negato che competesse al Minnucci I'ordinaria azione di responsabilit ex art. 2043 e.e., mentre le speciali norme della legge n. 10 del 1951 (a parte il richiamo ai criteri in materia di infortuni) comporterebbero la sola esigenza del previo esperimento 944 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO della procedura amministrativa, dopo di che il danneggiato sarebbe ammesso a svolgere lordinaria azione per il risarcimento dei danni dinanzi all'autorit giudiziaria. A conforto di questa tesi, il ricorrente richiama la sentenza delle Sez. Un. n. 724 del 12 marzo 1959. Anche questa censura priva di fondamento. ~ vero che questa Suprema Corte (sentenza delle Sez. Un. sopra ricordata) ha affermato che la pretesa di indennizzo in base alla legge n. 10 del 1951 costituisce un diritto soggettivo tutelabile, dopo I'esperimento della procedura amministrativa, davanti al giudice ordinario; ma, con tale affermazione, si inteso soltanto risolvere una questione di giurisdizione, escludendo cio che laccennata pretesa dovesse configurarsi come interesse legittimo tutelabile unicamente dinanzi alla giurisdizione amministrativa. Ma questa Corte non ha mai affermato che la pretesa all'indennit per i danni alla persona causati da azioni non di combattimento delle forze armate alleate si identifichi all'ordinaria azione diretta al risarcimento dei danni da fatto illecito (art. 2043 e.e.). La possibilit di una tale affermazione {come la Corte di merito ha chiaramente avvertito) , infatti, nettamente contrastata dal rilievo che la legge in esame ha inteso accordare, non gi il pieno risarcimento, ma una semplice indennit, per la cui commisurazione ha, inoltre, fissato precisi limiti e imposto l'osservanza di particolari criteri. Basta riflettere, d'altra parte, che la comune azione di responsabilit non sarebbe stata concepibile nei confronti della P.A. italiana per danni dipendenti dal fatto di forze armate straniere {significativo il diverso responso della giurisprudenza riguardo ai danni prodotti dalle Forze Armate italiane operanti in esecuzione dell'impegno di cobelligeranza); e, difatti, l'attribuzione della speciale indennit di cui alla legge in esame, giustificata, del resto, da motivi di solidariet sociale, analoghi a quelli sui quali si basa l'indennizzo per i danni di guerra, stata disposta in esecuzione di impegni internazionali, risultanti dalle clausoJe del trattato di pace. Ma il contenuto del relativo diritto, trovando il suo unico fondamento nella legge speciale, non pu essere desunto che dalle disposizioni di essa e non dalle norme ordinarie sulla responsabilit per fatto illecito. 3) Col terzo motivo (deducendosi la violazione degli artt. 112, 115 e 116 in relazione all'art. 360, n. 3 e 5, c.p.c.) si censura la sentenza impugnata per avere questa erroneamente affermato che il Minnucci non aveva mai formulato alcun rilievo in ordine alla esattezza del computo della indennit, n confutato in alcun modo quanto dedotto dalla Amministrazione del tesoro circa la completa osservanza dei criteri di Jiquidazione stabiliti dalla legge, mentre, in effetti -si afferma -il ricorrente aveva ripetutamente impugnata la liquidazione effettuata in sede amministrativa. PARTE I, SEZ. ID, GIURISPRUDENZA CIVILE 945 La censura, del tutto infondata, si basa su un completo travisamento delle chiare risultanze processuali, le. quali dimostrano in modo inequivocabile che il Minnucci si dichiarato - vero -insoddisfatto della liquidazione della indennit operata in sede amministrativa, ma non perch questa si sia discostata dai criteri di valutazione imposti dalla legge n. 10 del 1951; alla detta liquidazione, infatti, l'attuale ricorrente ha sempre contrapposta (dall'atto introduttivo del giudizio fino al presente ricorso) la pretesa -di cui si gi dimostrata la infondatezza -di ottenere il pieno risarcimento del danno a norma dell'art. 2043 e.e., mentre gli era consentito soltanto di conseguire l'indennit prevista dalla legge speciale, colla piena osservanza dei . criteri di valutazione dettati dalla legge medesima. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 25 giugno 1965, n. 1335 -Pres. Torrente -Est. Giannattasio -P.M. Tavolaro (conf.) -Societ Manifattura lana Gaetano Marzotto e figli e Lanificio V.E. Marzotto (avv.ti Scarpa, Nicol) c. Ministero Finanze {avv. Stato Coronas). Appello -Motivi -Duplice funzione: determinazione del quan tum devolutum ec esposizione delle ragioni del gravame Divieto di dedurre nuovi motivi al di fuori dell'atto di appello -Non riguarda la deduzione delle ragioni del gravame. (c.p.c., artt. 342, 34B). Appello -Domanda nuova vietata -Nozione -Introduzione di nuova ragione di diritto -Ammissibilit. (c.p.c., art. 345). I motivi di appello hanno la dupUce funzione di concorrere, con le conclusioni, a determinare il quantum devolutum e di esporre, al tempo stesso, le ragioni dell'impugnazione. Senonch il divieto di dedurre nuovi motivi al di fuori dell'atto introduttivo del giudizio d'appello riguarda soltanto il primo aspetto, che attiene ai limiti dell'impugnazione, mentre, quanto alle ragioni dell'impugnazione, queste non devono essere necessariamente enunciate nella citazione a:appello, epper la mancata deduzione di alcune di esse tra i motivi dell'impugnazione non preclude alla parte la facolt di esporle successivamente. Il giudicato, infatti, non si forma per le ragioni dell'impugnazione, che possono essere opposte in ogni tempo a quelle contenute nella motivazione della sentenza impugnata (1). (1) .1): noto che " nel giudizio d'appello il potere del giudice di riesaminare la causa trova un limite nei motivi di impugnazione, secondo il principio tantum devolutum quantum appellatum : Cass., 29 maggio 1965, n. 1105, Giur. it., Mass., RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 946 Per aversi domanda nuova, improponibile come tale in appello, necessario che la pretesa fatta valere davanti al giudice di secondo grado alteri i presupposti della domanda formulata in prime cure, di guisa da introdurre nel processo aappello un nuovo, diverso e pi ampio petitum, la decisione sul quale, postulando la necessit di nuove indagini su elementi diversi da quelli dedotti a f andamento delfistanza originaria, verrebbe a privare le parti della garanzia del doppio grado di giurisdizione. Cos, pure, mutamento della causa petendi, non consentito in appello, solo quello che produce un sostanziale mutamento della domanda, in quanto introdu.ce una situazione di fatto diversa da quella prospettata nelr atto di citazione, situazione che, provocando il my,tamento del fatto costitutivo del diritto dedotto in giudizio, intro 1965, 399. Per la formulazione dei motivi di appello non richiesto, per, l'uso di formule particolari o sacramentali, onde "ben pu la sfera obiettiva del gravame, in cui si concreta il quantum appellatum, essere desunta dal complesso delle deduzioni e ragioni svolte dall'appellante, a prescindere dall'eventuale incompletezza delle conclusioni adottate": Cass., 15 giugno 1965, n. 1237, ibidem, 447. In senso conforme alla distinzione fatta, nella massima surriportata, dalla sentenza in rassegna v. Cass., ~O maggio 1962, n. 1317, Giust. civ., 1963, I, 130 ed ivi (sub 2) nota di osservazioni e di riferimenti. Sulla funzione devolutiva dei motivi di appello, intesi come censure, v. Cass., 24 ottobre 1961, n. 2353, Foro it., Rep., 1961, voce Appello civile, c. 125, n. 33, ove si avverte anche che la mancanza di specificazione dei motivi di appello non importa la improcedibilit del gravame, " ove lappellato si sia costituito e l'appellante si avvalga della facolt di supplire all'eventuale difetto di specificazione dei motivi con la comparsa di costituzione '' . Cass., 9 aprile 1963, n. 917, Foro it., Mass., 1963, 264, afferma che non soddisfa all'art. 342 c.p.c. " il semplice riportarsi alle ragioni dedotte in prima istanza e non accolte dai primi giudici e a tutte le domande, eccezioni e conclusioni svolte in primo grado, trattandosi di espressioni troppo generiche, che non valgono a precisare i limiti delle questioni di cui si domanda il riesame " : v. anche Cass., 26 ottobre 1963, n. 2843, ibidem, 812; Cass., 14 ottobre 1963, n. 2733, ibidem, 777, avverte, a sua volta, che "l'esigenza dell'indicazione dei motivi di gravame nell'atto di appello, posta dall'art. 342 c.p.c., non deve essere intesa in senso di assolutezza e deve aversi per assolta sol che l'atto di appello manifesti, anche solo per implicito, il dissenso dell'appellante in modo da individuare il campo del riesame, senza ingenerare incertezze sul quantum appellatum; pertanto, deve ritenersi non necessaria una analitica indicazione dei motivi, quando il contesto dell'atto riveli chiaramente la volont dell'appellante di investire in toto la sentenza di primo grado "; infine, Cass., 5 marzo 1963, n. 536, Foro it., Mass., 1963, 154, precisa che " l'atto di appello che fissa il contenuto e la portata delle censure mosse dall'appellante contro la sentenza di primo grado e quindi l'appellante non pu nel corso ulteriore del giudizio d'appello allargare ancora il tema del dibattito giudiziale deducendo nuovi motivi di gravame contro la detta sentenza; pertanto, anche se si tratti di un semplice mutamento della causa petendi ammissibile in linea astratta in appello, esso pur sempre inammissibile in concreto per la sua tardivit, se sia stato effettuato dall'appellante non in seno all'atto di appello, ma nel corso ulteriore del giudizio di secondo grado, in sede di precisazione delle conclusioni "; v. anche Cass., 20 dicembre 1963, n. 3200, ibidem, 894. PARTE I, SEZ. ID, GIURISPRUDENZA CIVILE 947 duce nel processo un nuovo tema di indagine. Quando, invece, il petitum e la causa petendi restano immutati, la prospettazione di una nuova o alterna ragione di diritto un mutamento perfettamente consentito, sia che la si consideri una diversa qualificazione giuridica del rapporto, sia che la si consideri, pi propriamente, rapplicazione di una norma particolare, dirf3tta a risolvere la controversia, sebbene non invocata in primo grado (2). (2) Cfr. Cass., 20 febbraio 1963, n. 407, Foro it., Mass., 1963, 117; 6 giugno 1963, n. 1507, ibidem, 439. Cass., 25 settembre 1963, n. 2615, ibidem, 745, avverte che " mentre il divieto di domande nuove in appello di ordine pubblico, in quanto si ricollega alla stessa struttura ed alla funzione stessa del processo di appello, i divieti attinenti al mutamento della domanda ed all'ampliamento dell'oggetto della lite nel giudizio di primo grado derivano da un mero interesse privato; la proposizione di nuove domande nel giudizio di primo grado non d, quindi, luogo ad una nullit rilevabile di ufficio, con la conseguenza che la relativa preclusione non pu essere eccepita dalla parte che sul merito di detta domanda abbia gi accettato il contraddittorio n; Cass., 16 febbraio 1963, n. 352, ibidem, 102, precisa che " il divieto di proporre domande nuove in appello si concreta in una preclusione dell'esercizio della giurisdizione e, pertanto, al riguardo, la Corte di Cassazione pu anche svolgere indagini di fatto n. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 17 luglio 1965, n. 1588 -Pres. Rossano -Est. Giannattasio -P.M. Gentile (conf.) -Ministero LL.PP. (avv. Stato Savarese) c. Celona {avv. Scarcella), Istituto Autonomo per le Case Popolari della Provincia di Messina (avv. Brancati) e Comune di Messina (avv. Romano). Amministrazione dello Stato e degli enti pubblici -Delegazione amministrativa -Delegazione intersoggettiva -Nozione Effetti -Responsabilit del delegato verso i terzi. Edilizia popolare ed economica -Costruzione di alloggi per la eliminazione di case malsane a cura dell'amministrazione dei lavori pubblici -Potere di delega agli Istituti autonomi per le case popolari Modalit di esercizio di tale potere Necessit di indagine sul contenuto e sull'estensione della delega. (1. 9 agosto 1954, n. 640, art. 4). Occupazione -Occupazione di urgenza d'immobile preordinata all'espropriazione per p.u. -Obblighi dell'occupante -Mancata emissione nel biennio del decreto espropriativo -Obbligo di restituire l'immobile occupato. (1. 25 giugno 1865, n. 2359, artt. 71, 73). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 948 La delegazione amministrativa, che pu essere interorganica oppure intersoggettiva, a seconda che sia operativa nell'ambito di uno stesso ente pubblico o fra enti diversi, uno strumento in virt del quale, consentendolo la legge, l'organo o l'ente, investito in via origi naria della competenza a provvedere in una determinata materva, conferisce, autoritativamente ed unilateralmente, ad altro organo o ad altro ente una competenza (derivata) in ordine alla stessa materia. E sotto questo aspetto essa conferisce al delegato la legittimazione alfesercizio, entro i limiti prefissati nell'atto di conferimento, di poteri e di funzioni spettanti al delegante. Con specifico riferimento alZa delegazione intersoggettiva, la detta legittimazione, ancorch abbia rilevanza esterna, perch relativa ad attivit da esplicarsi nei confronti di terzi, non pu essere giuridicamente qualificata in base alle nozioni privatistiche del mandato e della rappresentanza, cos come non si pu, ovviamente, far ricorso a tali. nozioni per spiegare il fenomeno, sia pur diverso, della delegazione interorganica. da escludere che, nell'ipotesi di delegazione intersoggettiva e secondo la ratio dell'istituto, nei casi previsti dall'ordinamento positivo vigente, i ente delegato operi come un oergano, sia pure straordinario, dell'ente delegante. La delegazione, infatti, risponde ad un'esigenza di decentramento e mira altres a realizzare una semplificazione o riduzione, sotto i profili strutturale e funzionale~ dell'organizzazione amministrativa e delle dimensioni dell'ente delegante. In effetti ess11, importando una deroga preventivamente consentita dalla legge alle norme sulla competenza, pone il delegato, nei limiti della delega e per la durata di essa, in una condizione pari a quella del delegante, il quale, a sua volta, viene a trovarsi, rispetto agli atti di esecuzione della delega, nella posizione di soggetto investito di funzioni di controllo. Il che importa che, di regola e salvo che l'atto di conferimento non disponga espressamente in modo diverso, il delegato investito del potere di provvedere rispetto all'oggetto della delega in nome proprio e non in veste di rappresentante dell'altro soggetto, pur se per conto e nell'interesse di quesfultimo. Ne consegue che l'ente delegato direttamente responsabile nei confronti dei terzi degli atti posti in essere in esecuzione della delega, senza che in contrario possano aver rilievo le eventuali ripercussioni ed implicazioni degli atti stessi nell'ambito del rapporto (interno) con il delegante e la loero incidenza nella sfera giuridica del medesimo {l). (1-2) Cfr. Cass., Sez. Un., 20 gennaio 1964, n. 128, in questa Rassegna, 1964, I, 698 e segg, con nota (sub 3) di riferimenti giurisprudenziali ed annota:; zione di CARusr, In tema di delegazione amministrativa, ivi, 700 e segg.; v. anche Cass., 19 luglio 1965, n. 1608, Giur. it., Mass., 1965, 587-588 (sub c). In dottrina v., di recente, ALGOZINI, Brevi note in tema di delegazione amministrativa, Giur. sic., 1965, 333 e segg. PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 949 La l. 9 agosto 1954, n. 640 conferisce alr Amministrazione dei Lavori Pubblici il potere di delegare le attribuzioni e le incombenze ivi previste agli Istituti per le case popolari, ma l'Amministrazione anzidetta, avvalendosi in concreto di tale potere, libera di contenere la delega nei limiti che reputi pi opportuni, circoscrivendo i compiti specificamente demandati alr ente delegato, per cui occorre pur sempve procedere, caso per caso, ad una specifica indagine sul contenuto e sulr estensione. della delega, qualora insorgano contestazioni al riguardo e si debba accertare se r attivit dell'ente delegato abbia o meno esorbitato dai limiti ad essa posti (2). N elr ambito del rapporto che si instaura per effetto delr occupazione iliari dell'atto originario di Iassegnazione, non sono a tutt'oggi avvenuti, sicch non consentito in alcun modo parlare di ius superveniens, che si ha quando, cristallizzata la situazione quale emergeva dal giudizio di merito, sopraggiunga una nuova legge che regoli diversamente il rapporto. B chiaro, pertanto, che la legge del 1963 non pu essere invocata nel presente giudizio. Con l'unico motivo, si censura l'impugnata sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 12, 13, 14 della legge 28 febbraio 1949 n. 43, nonch per difetto di motivazione, sostenendosi che il rapporto tra la Gestione INA-Casa e l'assegnatario dell'alloggio non pu qualificarsi come promessa di vendita con consegna immediata dell'immobile e pagamento rateale del prezzo, con la conseguente inapplicabilit delle nol'llle relative ai miglioramenti ed alle addizioni in materia di locazioni (art. 1592 e 1593 e.e.), e ci in quanto tale rapporto si considera come una concessione amministrativa in propriet, con immissione dell'assegnatario nel possesso e nel godimen~o dell'immobile e con obbligo della Gestione INA-Casa di prestarsi, dopo il pagamento del prezzo, alle formalit della trascrizione del trasferimento. Cos qualificato il rapporto, ne discenderebbe, secondo l'assunto del ricorrente, che al concessionario non potrebbe essere riconosciuta una forma di godimento di intensit ed estensione minori di quella attribuita al conduttore, sicch non potrebbe essergli contestato il diritto d apportare miglioramenti e addizioni alla cosa secondo la disciplina degli ' artt. 1592 e 1593 e.e. ' ' ' ~ ' Nella specie, quindi, avrebbe dovuto dichiararsi il diritto del ricor ii: rente a mantenere la costruzione eseguita sul terreno annesso all' abi PARTE I, SEZ. ID, GIURISPRUDENZA CIVILE 967 tazione ass~gnatagli, in quanto costituente una mera accessione del!' alloggio stesso, tale da non importare una modifica sostanziale all'alloggio, fino al momento dell'eventuale pronunzia di decadenza dalla concessione. La censura infondata. La legge 28 febbrafo 1949 n. 43 sui provvedimenti per l'incremento della occupazione operaia prevede, vero, all'art. 13 lassegnazione di alloggi in locazione, ma il rapporto, che si istituito tra la Gestione INA-Casa e l'Arrigo, diverso perch quello dell'assegnazione a riscatto con patto di futura vendita, che disciplinato dagli artt. 12 e 14 della stessa legge. Esulano quindi dall'economia della presente decisione le disposizioni di cui agli artt. 1592 e 1593 e.e. invocate dal ricorrente. Occorre, invece, rifarsi alla disciplina speciale del rapporto di assegnazione a riscatto delle case di cui discussione. Secondo il disposto dell'art. 12 della citata legge n. 43 del 1949 le case costruite in esecuzione della legge e le relative aree restano in propriet della Gestione INA-Casa, .finch siano definitivamente trasferite; secondo irsuccessivo art. 14 l'assegnazione degli alloggi destinati ad essere trasferiti in propriet avviene a mezzo di promessa di vendita con consegna immediata e pagamento rateale. Come emerge chiaramente da tali articoli il contratt.o di assegnazione non idoneo a produrre l'effetto del trasferimento della propriet, che avviene soltanto alla scadenza dei 25 anni e al pagamento integrale del prezzo; non d luogo ad un rapporto di locazione, perch le rate mensili sono corrisposte a titolo di prezzo e non di canone locatizio. N vale dire, in contrario, che il rapporto di assegnazione, potendo concludersi con una futura vendita, sia qualcosa di pi intenso ed esteso del rapporto di locazione, con leffetto deff applicazione ad esso delle disposizioni degli artt. 1592 e 1593 e.e. relativi ai miglioramenti ed alle addizioni, perch il rapporto di assegnazione tra la Gestione INA-Casa e l'assegnatario non qualcosa di pi o qualcosa di meno di un rapporto di locazione, ma qualcosa di sostanzialmente diverso, sottoposto com' ad una propria specifica disciplina, che trascende quella strettamente privatistica, qual' invece quella dettata per i miglioramenti apportati e per le addizioni eseguite dal conduttore della casa locata. E non solo si tratta di disciplina pubblicistica, ma distinta e diversa dalla disciplina dell'edilizia popolare ed economica di cui al . r.d. 28 aprile 1938 n. 1165 e successive modificazioni, per cui non possono invocarsi precedenti giurisprudenziali che a quest'ultima regolamentazione si riferiscono. L'assegnatario di alloggio da parte della Gestione INA-Casa, a norma dell'art. 14 della ricordata legge n. 43 del 1949, immesso in una RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 968 forma di godimento concessa in previsione del futuro acquisto della propriet (che rimane dell'Ente) e, in tale situazione d'attesa, deve mantenere l'immobile nello stato in cui fha ricevuto e non pu apportarvi modificazioni sostanziali. Il che, del resto, evidente, ove si ha riguardo al rigido sistema predisposto dalla legge per l'ipotesi di decadenza e di successiva assegnazione dell'appartamento, che non consente modificazioni e innovazioni nell'alloggio. L'Arrigo, costruendo due vani nel piccolo giardino, ha occupato un'area di circa 30 metri quadrati, che il giudice di merito, nel suo insindacabile apprezzamento, ha ritenuto costituire una modifica sostanziale, violatrice del rapporto instaurato con l'Ente e tale valutazione sorretta da adeguata e logica motivazione. Il ricorso va, pertanto, rigettato, con le conseguenze di legge. (Omissis). TRIBUNALE DI NAPOLI, Sez. VI, 26 ottobre 1965 -Pres. Costagliola I -Est. Falco -Fusco e Marzano {avv. Belmonte) c. Cementir (avv.ti Calvetti e Scoppa). Obbligazioni e contratti Ritardo del debitore nell'adempimento dell'obbligazione positiva -Illiceit -Insussistenza in difetto di mora ex persona o ex re -Risarcimento del danno Esclusione. (e.e., artt. 1218, 1219 e 1222). Il semplice ritardo del debitore neliadempimento deliobbligazione positiva non pu qualificarsi illecito e non pu dare, conseguentemente, luogo a risarcimento del danno, quando non vi sia mora, ex persona o ex re, del debitore (1). (Omissis). -Per quanto riflette il ritardo delfadempimento non vi dubbio che la Cementir non ha eseguito il completamento della strada nel termine contrattuale 31 dicembre 1958 indicato nel contratto. (1) La massima apporta un notevole contributo alla chiarificazione dei rapporti intercorrenti tra l'art. 1218 e.e. ed il successivo art. 1219; tema di notevole delicatezza, che non risulta, per, fino ad oggi sufficientemente approfondito dalla giurisprudenza. In dottrina lo studio del V ALSECCHI (Sull'illiceit del ritardo nell'adempimento, Riv. dir. comm., 1963, I, 243, destinato a far parte degli Scritti in onore di Asquini) PARTE I;, SEZ. m, GIURISPRUDENZA CIVIl.E 969 Tale ritardo, per, non pu giristifi.care una richiesta di danni. Infatti, nella specie, trattasi di obbligazione di fare, per cui si rende necessaria per l'affermazione della responsabilit del debitore la costituzione in mora. In proposito, devesi osservare che, a differenza del precedente codice del 1865 che per le obbligazioni a termine prevedeva una mora ex re secondo il principio del dies interpellat pro homine, per cui nessun onere era previsto per il creditore, l'attuale codice ha previste le ipotesi separate tra obbligazioni portables e qurables, seguendo la dottrina francese (art. 1139 del codice napoleonico), introducendo il principfo della interpellatio del creditore verso il debitore, ossia della mora ex persona. Secondo lart. 1219, tale interpellatio non richiesta solo per quelle ipotesi ivi indicate e per le obbligazioni di non fare, previste dall'art. 1222. sembra una trattazione veramente organica ed esauriente dell'argomento. Altri testi sulla questione: RAVAZZONI, La costituzione in mora del debitore, Milano, 1957; ID.; Mora del debitore, Nuov. Dig. Italiano, vol. X, pag. 905, Torino, 1964; TONNI, Inadempimento, costituzione in mora e risoluzione del contratto, Giur. compl. Cass. civ., 1952, XXXI, II, 305; RUBINO, Costituzione in mora e risoluzione per inadempimento, Riv. dir. comm., 1947, I, 56; GimtGIANNI, L'inadempimento, Milano, 1959; FALZEA, L'offerta reale e la liberazione del debitore, Milano, 1947. Interessanti osservazioni sulla delimitazione concettuale dei termini inadempimento e mora sono anche in BARBERO, Sistema istituzionale del diritto privato italiano, vol. II, Torino, 1958. Secondo la decisione annotata, l'art. 1218 e.e., se consacra il principio della responsabilit per il ritardo nell'adempimento delle obbligazioni positive (con le quali soltanto compatibile il c.d. inadempimento non definitivo; per quelle negative v. art. 1222 e.e.), imponendo al debitore di prestare, oltre che esattamente, anche puntualmente, non dice con chiarezza quale sia il momento in cui il ritardo si qualifica illecito e diventa fonte di risarcimento del danno. Tale precisazione contenuta, invece, nel successivo art. 1219, con il quale l'art. 1218 dev'essere, pertanto, necessariamente coordinato, al fine di dare organicit alla nuova disciplina sull'illiceit del ritardo nell'adempimento introdotta dal legislatore del 1942. Orbene, secondo l'art. 1219 il ritardo diventa illecito, talvolta alla stessa scadenza del termine per l'adempimento -e sono questi i casi eccezionali e tassativamente elencati di mora ex re: obbligazioni da fatto illecito, obbligazioni in cui il debitore abbia dichiarato . di non volere adempiere, obbligazioni di adempiere presso il domicilio del creditore {c.d; obbligazioni "portables della dottrina fraricese) -talaltra, invece, dopo la costituzione in mora del debitore a seguito di interpellatio da parte del creditore ed questa l'ipotesi normale, avendo il nuovo codice elevata la mora ex persona a principio generale del nostro ordinamento. Dal dettato dei giudici di Napoli si ricava che i due termini di ritardo e mora, che sul piano lessicale sono dei veri e propri sinonimi, in campo giuridico vengono ad assumere un significato ben diverso, valendo il termine mora a qualificare il ritardo divenuto illecito, o. per scadenza del termine di adempimento, nei casi di mora ex re (e, beninteso, quando il termine non debba ritenersi essenziale, perch, 9 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 970 Infatti la mora, che pu definirsi il ritardo illecito, sorge dopo che sia scaduto il termine dell'adempimento per le obbligazioni, previste dai richiamati artt. 1218 e 1222 (mora ex re), o dalla interpellatio , ossia mora ex persona . Il semplice ritardo dell'adempimento, quindi, non equivalente alla mora che invece il ritardo colpevole o illecito per il quale pu essere configurata la responsabilit e conseguentemente la sanzione. Ci posto, non accettabile la tesi dell'istante che il caso in esame debba rientrare nell'ipotesi prevista dal n. 3 dell'art. 1219 che prevede appunto la non necessit della costituzione in mora allorquando la prestazione deve essere eseguita nel domicilio del creditore e ci nella considerazione che i creditori non dovessero dar alcun apporto per l'adempimento dell'obbligazione relativa alla costruzione della strada. invece chiaro che la richiamata disposizione del n. 3 si riferisce in tale ipotesi, la scadenza costituisce di per s inadempimento), o per intervenuta interpellatio da parte del creditore, negli altri casi. Ulteriore conseguenza che si pu trarre dalla sentenza che, nelle ipotesi in cui il creditore deve necessariamente costituire in mora il debitore mediante interpellatio, tra la scadenza del termine eventualmente fissato per l'adempimento e la costituzione in mora si viene a determinare una situazione di ritardo, priva di giuridici effetti, caratterizzata dal fatto che non appare ancora chiaro se l'adempimento mancher definitivamente o si verificher. Per un esame della diversa e pi razionale soluzione del problema adottata dal vecchio codice, si vedano: MoNTEL, La mora del debitore, Padova, 1930 e ScuTo, La mora del creditore, Catania, 1905. Si ricorda qui, in breve, che l'art. 1223 del codice 1865 disponeva che, nelle obbligazioni in cui era fissato un termine per l'adempimento, il debitore cadeva in ., mora per la sola scadenza del termine, mentre in quelle senza termine la sua mora si verificava solo dopo l'interpellatio da parte del creditore. Da tale sistematica, ispirata a tutta la nostra precedente tradizione giuridica in materia, il problema del risarcimento dei danni conseguenti al ritardo nell'adempimento rice I veva soluzione pi aderente alla logica ed al buon senso. Allo stato, per, la soluzione additata dal Tribunale di Napoli non pu non ritenersi conforme ai principi introdotti dal legislatore del 1942. Se la sanzione dei danni configurabile solo come reazione ad un ritardo illecito e se il ritardo non pu qualificarsi illecito se non dopo la costituzione in mora del debitore (ex re o ex persona), giocoforza ritenere che il ritardo antecedente all'interpellatio, in obbli gazioni per le quali non prevista la mora ex re, non pu dar luogo a risarcimento del danno e deve ritenersi giuridicamente irrilevante. Contra: DE MARTIN!, Mancato o ritardato adempimento .del contratto, ecc., Giur. compl. Cass. civ., 1948, XXVII, II, 754. Per la giurisprudenza, sul tema, cfr. Cass., 10 gennaio 1963, n. 30, Foro it., Mass., 1963, c. 10 e Monit. trib., f 1963, 565, con rilievi critici di E. MAsCIONE; 4 ottobre 1963, n. 2677, Foro it., 1964, I, 594. Per l'inapplicabilit della norma contenuta nel n. 3 dell'art. 1219 ai paga I menti da effettuarsi dalla P.A. cfr. Cass., 10 gennaio 1963, n. 30, Giust. civ., 1963, I I PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 971 principalmente al pagamento di somme o comunque ad obbligazioni da soddisfarsi al domicilio o nell'abitazione del creditore, mentre quella in esame doveva essere eseguita in localit del tutto differente, costituita da un obbligo di fare su terreno di propriet comune della Cementir e di essi Fusco. In definitiva, quindi, la domanda proposta dal Fusco deve essere rigettata. -(Omissis). [, 272 e Monit. trib., 1963, 565, con nota di MASCIONE, Sui rapporti tra inadempimento e mora. Per altri aspetti del problema del ritardo nei pagamenti della P.A. v. Cass., 3 febbraio 1965, n. 172, in questa Rassegna, 1965, 135 con ampi richiami dottrinali e giurisprudenziali. L. MAZZELLA SEZIONE QUARTA GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA CONSIGLIO DI STATO, Ad. plen. 11giugno1965, n. 10 -Pres. Bozzi Est. Vozzi -Soc. Ed. Trionfale Terreni e S.p.A. a La Goletta (avv. Delli Santi) c. Comune di Roma {avv. Rago) e Prefetto di Roma {avv. Stato Dallari). Giustizia amministrativa -Giudicato -Limiti oggettivi -Fattispecie in tema di espropriazione per p. u. Espropriazione per p. u. -Mercati coperti comunali -Norme applicabili -Distinzione -Criteri. (1. 30 luglio 1959, n. 595, art. 3; r.d.l. 6 luglio 1931, n. 981; 1. 4 giugno 1936, n. 1210; 1. 17 agosto 1942, n. 1150, artt. 18 e 20; 1. 3 agosto 1949, n. 589, art. 4). L'efficacia del giudicato amministrativo limitata oggettivamente dall'atto amministrativo f armante l'oggetto del ricorso giurisdizionale: pertanto nel giudizio di impugnazione del decreto prefettizio di espropriazione non pu essere utilmente invocato il giudicato f armatosi in sede di ricorso avverso il decreto che autorizza l'espropriante all' occupazione di urgenza dell'immobile successivamente espropriato (l)_. I mercati coperti comunali, anche se per la loro costruzione previsto un intervento tecnico e finanziario dello Stato, rientrano fra le cosiddette opere igieniche minori di interesse comunale: pertanto il Comune interessato (nella specie, Comune di Roma) legittimamente (1) Circa la nota questione dell'individuazione dell'oggetto del giudizio amministrativo, cfr., in dottrina, GuICcIARDI, La giustizia amminisirativa, Padova, 1953, 212 e segg.; ROMANO, La pregiudizialit nel processo amministrativo, Milano, 1958, 260 e segg.; CASSARINO, Le situazioni giuridiche e l'oggetto della giurisdizione amministrativa, Milano, 1956, 339 e segg.; per i quali tale oggetto andrebbe identificato con il provvedimento impugnato. In senso contrario, per, v. PIRAs, Interesse legittimo e giudizio amministrativo, Milano, 1962, 262 e segg. Una posizione intermedia quella del SANDULLI, Il giudizio davanti al Consiglio di Stato, Napoli, 1963, 51 e segg., secondo il quale oggetto del giudizio amministrativo sarebbe sia l'esistenza di un pregiudizio ad un bene (interesse o diritto soggettivo) di pertinenza del ricorrente, sia l'ascrivibilit di tale pregiudizio a un provvedimento amministrativo invalido. La decisione 8 novembre 1961, n. 550 della IV sezione, che i ricorrenti invocavano a sostegno della loro tesi, si legge in Riv. giur. edilizia, 1961, I, 1059. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 973 applica "le disposizioni di piano regolatore, concernenti l'indennit e la procedura di espropriazione, anzich l'art. 3 della legge 30 luglio 1959, n. 595 suli approvazione di progetti per la costruzione di opere igieniche. Peraltro, poich detta norma non in contrasto, ma in certa misura concorrente con le disposizioni del piano regolatore della citt di Roma, ben possibile che a determinati effetti (nella specie, per l'autorizzazione alioccupazione d'urgenza) il Comune si avvalga della legge n. 595 del 1959 (2). (Omissis). -1) Le Societ ricorrenti deducono la illegittimit del provvedimento impugnato per violazione del giudicato, e, al riguardo, fanno riferimento alla decisione 8 novembre 1961, n. 550, emessa dalla IV Sezione di questo Consiglio. La decisione, respingendo il ricorso proposto dalle stesse Societ avverso il decreto prefettizio che autorizza il Comune di Roma ad occupare in via d'urgenza i terreni necessari alla costruzione del mercato coperto di via Trionfale, ha affermato che, quando si tratti di provvedere alla costruzione di un mercato, trovano applicazione, non gi le norme del piano regolatore, ma quelle relative alla categoria di opere cui i mercati appartengono. La censura non ha fondamento. Non sussiste, nella specie, violazione di giudicato perch la efficacia del giudicato amministrativo limitata, oggettivamente, dall'atto amministrativo formante l'oggetto del ricorso giurisdizionale. La decisione menzionata d,alle Societ ricorrenti ha risolto una controversia avente per oggetto il decreto prefettizio 17 febbraio 1960 che autorizzava l'occupazione d'urgenza di alcuni terreni delle Societ ricorrenti, mentre il provvedimento impugnato con il presente rieorso il decreto prefettizio 26 febbraio 1962, che di quei terreni pronuncia la espropriazione. 2) Con altro motivo le Societ ricorrenti sostengono che, quando si tratti della costruzione di mercati coperti, applicabile, tanto per la procedura di espropriazione quanto per la determinazione della relativa indennit, la legge 30 luglio 1959, n. 595, la quale, non contenendo . norme specifiche in tema d'indennizzo rinvierebbe alla legge generale sulle espropriazioni 25 gennaio 1865, n. 2359. La legge sul piano rego (2) La soluzione contraria risultava accolta, sia pure per incidens, nella citata decisione n. 550 del 1961, nonch, implicitamente, in Cons. Stato, Sez. IV, 10 aprile 1962, n. 320, Riv. giur. edilizia, 1962, I, 639, e in Cons. Stato, Sez. IV, 7 marzo 1962, n. 226, Giust. civ., 1962, Il, 239, le quali avevano elaborato quella distinzione fra " opere di piano regolatore e " situazioni previste dal piano , cui fa riferimento la sentenza in rassegna. Per qualche riferimento v. pure Cons. Stato, Sez. IV, 26 aprile 1950, n. 212, Il Consiglio di Stato, 1950, I, 27, e Cons. Stato, Sez. IV, 7 marzo 1962, n. 226, Riv. giur. edilizia, 1962, I, 461. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 974 latore della citt di Roma 24 marzo 1932, n. 355, non sarebbe applicabile perch i mercati coperti rientrano tra quelle opere pubbliche che nel piano stesso trovano lo strumento per la riserva preordinata delle necessarie aree, ma che richiedono r approvazione, interventi e finanziamenti da parte delle autorit statali, previsti da leggi speciali. Anche questo motivo di doglianza infondato. Alcune recenti decisioni di questo Consiglio, richiamate dalla difesa delle Societ ricorrenti (Sezione IV: 8 novembre 1961, n. 550; 7 marzo 1962, n. 226; 10 aprile 1962, n. 320), hanno delineato una destinazione nell'ambito delle opere considerate dal piano regolatore della citt di Roma (approvato con r.d.l. 6 luglio 1931, n. 981, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 1932, n. 355), e dai piani particolareggiati, sviluppati e compilati in conformit delle direttive e dei criteri generali del piano medesimo. Si osservato che da una parte ci sono opere e impianti di piano regolatore (secondo la formulazione del decreto n. 981 del 1931) o (secondo la formulazione del successivo decreto 17 ottobre 1935, n. 1987, convertito nella legge 4 giugno 1936, n. 1210) cc opere previste dal piano regolatore (espressione ripetuta nell'art. 18 secondo comma, della legge urbanistica): queste I~sono opere ed impianti pubblici di competenza comunale, ritenuti essenzioni per rassetto o l'incremento edilizio, e intesi a soddisfare le esigenze . ~ della viabilit, dell'igiene e del pubblico decoro. Ci sono poi, accanto alle opere ora dette, ma distinte da esse, le ' II , . cc sistemazioni previste dal piano (secondo f espressione usata nel r art. 20, secondo comma della legge urbanistica); comprendenti tutte le altre opere che enti e privati eseguono uniformandosi alle prescrizioni del piano. Alla distinzione cos fatta la ricordata giurisprudenza d rilevanza in quanto limita f applicabilit della specie disciplinata dettata dal piano regolatore di Roma, in parziale deroga alle norme sostanziali e preordinate concernenti le espropriazioni per l'esecuzione di opere pub I bliche, solo a quelle opere di competenza comunale dirette all'attua zione del piano. Il fondamento della distinzione predetta ai fini ora indicati si vuol desumere da varie disposizioni della legge del piano regolatore di Roma: riguardanti alcune (come precisato nelle due citate decisioni, alle quali si fa riferimento) la determinazione della indennit di espropriazione (artt. 5 e 21); altre l'autorizzazione al Comune di Roma ad imporre ai proprietari dei beni che siano avvantaggiati dalla esecuzione delle opere previste dal piano regolatore edilizio e di ampliamento un contributo pari alla met dell'aumento effettivo di valore (art. 7); altre, infine, la procedura di esproprio {art. 11). Rileva in proposito l'Adunanza plenaria che la distinzione che si evince dalle disposizioni legislative ora menzionate non tanto quella PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 975 tra opere di attuazione e sistemazione generale del piano quanto, piuttosto, quella tra opere del piano regolatore che sono di competenza comunale e opere cui provvedono altri enti o privati. Anche accettando, peraltro, la distinzione proposta non se ne potrebbe accogliere l'applicazione che {solo per incidens, per) hanno fatto le dette decisioni della IV Sezione (n. 226 e n. 320 del 1962) con riguardo ai mercati coperti. I mercati sono opere di competenza comunale e, sotto questo profilo, nulla rileva che essi debbano -a termini dell'art. 2 della legge 30 luglio 1959, n. 595, manifestamente diretta ad assicurare I'adozione dei criteri tecnici pi razionali e moderni -conseguire l'approvazione dell'Autorit Statale (il Ministero per i Lavori Pubblici o il Provveditorato alle opere pubbliche). I mercati rientrano tra le cosiddette opere igieniche minori d'interesse comunale, per l'esecuzione delle quali la legge 3 agosto 1949, n. 589 (art. 4, u.c.) prevede il contributo statale. Intervento tecnico e intervento finanziario dello Stato non escludono che essi siano opere di attuazione del piano regolatore, nel senso suindicato dalle decisioni predette, in quanto ritenute essenziali per la soddisfazione di esigenze d'igiene e di decoro pubblico e sotto un certo aspetto, talvolta, anche di viabilit, potrebbe aggiungersi, intendendosi con i mercati coperti eliminare gli spacci di vendita all'aperto, su suolo pubblico, di generi alimentari o di altri generi. La tesi esposta nelle menzionate decisioni (per incidens, si ripete, dato che esse non riguardano espropriazioni per la costruzione di mercati coperti) escluderebbe dalla disciplina degli artt. 1, 4 e 11 della legge sul piano regolatore di Roma le opere di competenza comunale diverse dalle strade, le fognature, gli acquedotti, i parchi pubblici e altri spazi di uso pubblico. Ora, se fosse vera questa tesi, non si spiegherebbe -come ha rilevato la difesa del Comune di Roma -la disposizione dettata dal primo comma dell'art. 4 della legge sul piano regolatore di Roma. Questa, che fissa il criterio base per la determinazione della indennit spettante per l'espropriazione compiuta dal Comune per l'attuazione del piano regolatore, non avrebbe possibilit di applicazione in quanto sull'espropriazione delle aree destinate a strade, piazze e spazi di uso pubblico la indennit va calcolata secondo il diverso criterio fissato, con manifesto carattere di eccezione,. dal terzo comma dell'articolo stesso. Non sarebbe applicato neppure nelle espropriazioni necessarie lla costruzione di acquedotti e di fognature, che sono opere installate quasi nel sottosuolo stradale. Se ne deve concludere che il Comune di Roma, dovendo espropriare immobili per la costruzione di un mercato coperto, applica legittimamente le disposizioni degli artt. 4 e 11 del r.d.l. n. 1281 del 1931 (legge 24 marzo 1932, n. 355; d.l. 17 ottobre 1935, n. 1935, n. 1987; legge 4 giugno 1936, n. 1210), concernente rispettivamente l'indennit spettante ai proprietari espropriati e la procedura di espropriazione. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 976 3) Ci non esclude, peraltro, che il Comune, quando ne ravvlSI f opportunit, possa valersi altres dell'art. 3 della legge n. 595 del 1959. Le norme sul piano regolatore di Roma sono applicabili nel territorio di questa citt; quelle della legge n. 595 del 1959 sono applicabili in tutto il territorio dello Stato. L'approvazione del Piano regolatore equivale ad una deliberazione di pubblica utilit, e potr dar luogo alle espropriazioni delle propriet nel medesimo comprese {art. 92 legge 25 giugno 1865, n. 2359) L'approvazione dei progetti delle opere igieniche prevedute dalla legge n. 595 del 1959 implica la dichiarazione di pubblica utilit nonch di indifferibilit ed urgenza delle relative opere ai sensi e per gli effetti dell'art. 71 della legge 25 giugno 1865, n. 2359 e successive modificazioni {art. 3 della legge). Ne segue che il Comune di Roma, ove ritenga di richiedere al Prefetto f autorizzazione ad occupare i beni necessari per la costruzione del mercato coperto, sempre che ricorrano le ipotesi prevedute dall'art. 71 della legge sulle espropriazioni, si vale legittimamente della legge n. 595 del 1959, la quale, si ripete, implica la determinazione d'indifferibilit e di urgenza, che la legge del piano regolatore di Roma non prevede; quando poi intenda provvedere alla espropriazione pu legittimamente -~ valersi della legge del p.r., che contiene norme pi favorevoli. Nessuna contraddizione dato ravvisare nella possibilit di applicazione dell'una e dell'altra disposizione, che non risultano affatto in contrasto, ma in certa misura concorrenti. A questo proposito da ritenersi che appare inesatta la tesi delle ricorrenti secondo la quale la legge 30 luglio 1959, n. 595, non contenendo norme specifiche in tema d'indennit, rinvia alla legge generale sulle espropriazioni del 1865 e perci non sarebbe applicabile la legge sul p.r. di Roma. Pi esattamente deve dirsi che la legge 30 luglio 1959, n. 595, non contenendo norme specifiche in tema d'indennit, rinvia alle altre leggi sulla materia, dalle quali non pu escludersi la legge sul p.r. di Roma. N una contraddizione dato riscontrare (a prescindere dalla sua irrilevanza in ordine alla legittimit del provvedimento impugnato), sul comportamento tenuto dalla difesa del Comune. Nel precedente giudizio, promosso dalle stesse Societ con ricorso avverso il decreto prefettizio di occupazione d'urgenza dei medesimi immobili, detta difesa, movendo dal presupposto che, per il decreto del termine decennale preveduto dagli artt. 16 e 17 della legge urbanistica il piano particolareggiato di 46 ter, che prevedeva il mercato coperto del Trionfale, era divenuto inefficiente (come tutti i piani particolareggiati, secondo l'indirizzo giurisdizionale del tempo) aveva sostenuto, che in sed di espropriazione, findennit sarebbe stata determinata con le norme della legge del 1865, pi favorevole al proprietario, Mutato detto indirizzo e riconosciuta la perdurante efficacia dei piani particolareggiati, veniva a PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 977 cadere il cennato presupposto. Perci, nessuna contraddizione -come sopra si detto -pu addebitarsi alla difesa del Comune, ma, al contrario, la pi, ortodossa conseguenzialit se, riconosciutasi l'efficacia del piano particolareggiato n. 46 ter, essa sostiene ora l'applicabilit dell'art. 4 della legge sul piano regolatore della citata di Roma. 4) Quanto all'ultimo motivo di censura delle ricorrenti societ sufficiente rilevare, a dimostrazione della sua infondatezza, che nessun elemento di prova stato dalle medesime previsto a sostegno della tesi, peraltro prospettata in forma che appare dubitativa ( il Comune dovette... ) che nel calcolo dell'indennit per gli espropri necessari alla esecuzione del mercato coperto del Trionfale, lAmministrazione si sarebbe attenuta ai criteri della legge del 1865 per cui, mutando i criteri dell'indennizzo successivamente all'approvazione del decreto ministeriale, verrebbe illegittimamente ad avvantaggiarsi a danno del privato espropriato . del resto decisivo il rilievo che l'eventuale eccessivit del contri-' buto dello Stato nella spesa riconosciuta necessaria per lesecuzione dell'opera giustificherebbe, semmai, ladozione di provvedimenti correttivi, non gi la pretesa. del proprietario espropriato di far proprio l'indebito utile. -(Omissis). CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 28 aprile 1965, n. 392 -Pres. Polistina -Est. Napolitano -Meo-Evoli (avv. Conti, Paoletti) c. Ministero Interno e Prefetto Bari (avv. Stato Mataloni) nonch soc. Ceramica delle Puglie (avv. Maggi). Espropriazioni per p.u. -Termine per il compimento delle espro priazioni Proroga successiva alla scadenza -Illegittimit. (l. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 13). Il provvedimento di proroga del termine di cui aliart. 13 l. 25 giugno 1865, n. 2359 deve ritenersi illegittimo se sia emanato dopo la scadenza del termine stesso, a nulla rilevando che la domanda di proroga sia stata tempestivamente presentata (1). (1) Questa decisione si inserisce in un orientamento che, dopo la fondamentale pronuncia 7 giugno 1961, n. 17 dell'Adunanza plenaria {Foro it., 1962, III, 62), pu dirsi consolidato. In precedenza in giurisprudenza vi era stata qualche perplessit: in senso contrario alla tesi poi accolta dall'Adunanza plenaria, cfr. Trib. Sup. Acque, 11 marzo 1958, Foro it., Rep., 1958, voce: acque, n. 56, che si rifaceva ad una vecchia decisjone del Consiglio di Stato (la n. 44 del 18 dicembre 1931): nello stesso senso cfr., per, Cons. Stato, Sez. IV, 11 luglio 1958, n. 597, ivi, 1958, voce cit., n. 77; Cons. Stato, Sez. IV, 11 marzo 1959, n. 351, ivi, 1959, voce cit., RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 978 (Omissis). -Con decreto n. 23350 del 14 marzo 1962 il Prefetto di Bari ordin la esecutoriet del piano di espropriazione per l'esecuzione dei lavori di costruzione dello stabilimento cc Ceramica delle Puglie, s.p.a. n, in Monopoli, dichiarato di pubblica utilit direttamente ] dall'art. 4 del d.l. 14 dicembre 1947, n. 1598, modificato dall'art. 1 :-:-:della 1. 29 dicembre 1948, n. 1482, e nel contempo fiss il termine di venti mesi, decorrente dalla data del provvedimento stesso, per il compimento delle espropriazioni e delle opere. Non avendo potuto portare a compimento n le une n le altre prima della scadenza del predetto termine, avvenuta il 14 novembre 1963, la societ interessata, con domanda dell'll novembre 1963, ne chiese la proroga. Ma questa stata concessa dal Prefetto di Bari soltanto con il decreto n. 79455/1.7.C.3 del 17 dicembre 1963. Con il ricorso in esame, il ricorrente, proprietario dei beni soggetti ad esproprio per la costruzione del predetto stabilimento, cui giova la dichiarazione di pubblica utilit contenuta nell'art. 4 del d.l. 14 dicembre 1947, n. 1598, modificato dall'art. 1 della 1. 29 dicembre 1948, n. 1482, assume che la concessa proroga, essendo tardiva, illegittima per violazione dell'art. 13 della legge generale sulle espropriazioni. Tale assunto fondato. Infatti il potere di proroga previsto dal secondo comma del citato art. 13 deve essere esercitato prima della scadenza del termine originario, altrimenti si verrebbe a determinare, in ordine allo svolgimento del procedimento espropriativo ed alle realizzazioni dell'opera, quella situazione d'incertezza che il legislatore, a tutela dell'interesse pubblico ed indirettamente anche degli interessi dei privati, ha voluto impedire mediante robbligo di stabilire preventivamente i termini entro i quali debbono essere iniziati e completati sia n. 48. Successivamente, la giurisprudenza si adeguata all'interpretazione della Adunanza plenaria: cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 21 giugno 1961, n. 360, Il Consiglio di Stato, 1961, I, 1077; Cons. Stato, Sez. IV, 26 febbraio 1964, n. 82, Foro amm., 1964, I, 2, 154; Cons. giust. amm. sic., 14 marzo 1964, n. 106, Il Consiglio dii Stato, 1964, I, 609. Nello stesso senso anche la migliore dottrina (cfr. RossANo, L'espropriazione per pubblica utilit, Torino, 1964, 108 e segg.; CARUGNO, L'espropriazione per pubblica utilit, Milano, 1962, 110. In senso parzialmente contrario, cfr. per, CATTANEO, Sulla proroga dei termini per l'esecuzione delle espropriazioni per p.u. e dei lavori relativi, Riv. giur. edilizia, 1959, II, 139 e segg.). Per qualche riferimento vedi pure Trib. Sup Acque, 11 marzo 1964, n. 8, in questa Rassegna, ., 1964, I, 405. . Della decisione in esame sembra di particolare interesse l'affermazione secondo . la quale, poich la concessione della deroga sarebbe configurata dalla norma come . manifestazione di un potere discrezionale dell'amministrazione, l'interessato non . potrebbe mai vantare un diritto perfetto ad ottenerla quali che siano le cause . che hanno impedito il compimento delle espropriazioni e dei lavori entro il ter . mine originario . Peraltro, con decisione 14 febbraio 1964, n. 67 della IV sezione (Riv. giur. . < l!i.,% , ~ t ll1 PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 979 le espropriazioni che i lavori e dichiarando i termini stessi prorogabili per causa di forza maggiore o per altre ragioni indipendenti dalla volont del concessionario " ma, sempre con determinata prefissione di tempo . Se la proroga potesse essere concessa in ogni tempo, la funzione di garanzia, svolta nell'ambito del procedimento dalla prefissione dei predetti termini, verrebbe meno proprio quando si dovrebbero verificare gli effetti che, secondo i casi, conseguono al mancato tempestivo inizio o compimento delle' espropriazioni e dei lavori. N all'istanza di proroga tempestivamente presentata dall'interessato pu essere attribuito carattere conservativo perch la scadenza del termine originario si pone come limite di ordine obiettivo proprio rispetto al potere concesso alla pubblica autorit di promulgare i termini stessi. Sicch il provvedimento di proroga tardivamente emesso non pu essere considerato illegittimo ancorch regolarmente richiesto, Ed in tali sensi , ormai, costante l'indirizzo seguito dalla giurisprudenza di questo Consiglio che si pronunciato sulla questione anche in Adunanza Plenaria (decisione 7 giugno 1961, n, 17). La resistente societ Ceramica delle Puglie ha sostenuto che nel caso di specie la proroga si deve ritenere ritualmente concessa siccome giustificata da ragioni che per la loro evidenza ed obiettivit hanno precostituito un diritto al differimento. Senonch la concessione della proroga configurata dalla norma come manifestazione di un potere discrezionale dell'Amministrazione per cui il soggetto interessato non pu mai vantare un diritto ad ottenerla quali che siano le cause che hanno impedito il compimento delle espropriazioni e dei lavori entro il termine originario. Peraltro, nella specie, pur prescindendo da un apprezzamento di tali cause non necessario n consentito in questa sede, va rilevato che edilizia', 1964, I, 608) il Consiglio di Stato hl! ritenuto che cc l'azione volta a contestare la legittimit della proroga del termine per il compimento dei lavori, qualora le espropriazioni siano gi state compiute e tale termine sia gi scaduto, investe una questione di diritti soggettivi, ed pertanto improponibile in Consiglio di Stato ,, . Tale pronuncia muove evidentemente dal presupposto che la illegittimit del provvedimento di proroga equivalga alla scadenza del provvedimento di prefssione del termine e quindi -in ultima analisi -alla mancanza dello stesso. In questo senso, dovendosi ritenere mancata per scadenza dei termini la stessa dichiarazione di p.u,, si renderebbe applicabile quella nota giurisprudenza della Corte di Cassazione che ritiene sussistere la giurisdizione del giudice ordinario nel caso di inesistenza della dichiarazione di p.u., in quanto presupposto condizionante l'esistenza del potere di espropriazione (cfr. Cass., Sez. Un., 2 febbraio 1963, n. 179, Riv. giur. edilizia, 1963, I, 250), ovvero quando, per inutile decorso del termine per l'attuazione delle opere, sia venuto meno il potere discrezionale della p.a. di comprimere il diritto del privato attraendolo nella sfera degli interessi legittimi (Cass., Sez. Un., 19 maggio 1964, n. 1223, ivi, 1964, 1210). Peraltro la Cassazione con la sentenza 11 maggio 1964, n. 1123, ivi, 1964, 1064, ha negato che la mancata prefssione del termine di cui all'art. 13 possa legittimare l'azione innanzi al giudice ordinario. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 980 l'istanza di proroga, presentata soltanto tre giorni prima della scadenza del termine fissato nel decreto prefettizio del 14 marzo 1962, indica le ragioni che avevano impedito il completamento dell'opera, ma non fornisce alcuna giustificazione per il mancato completamento della procedura espropriativa. In ogni caso lesistenza di adeguate cause giustifi catrici condizione per l'accoglimento dell'istanza ma non pu sanare il vizio da cur affetto il relativo provvedimento emanato tardivamente. L'illegittimit dell'impugnato decreto di proroga si ripercuote e rende invalido anche il successivo provvedimento prefettizio del 23 maggio 1964 con il quale stata pronunciata l'espropriazione dei beni del ricorrente in favore della societ Ceramica delle Puglie . Pertanto entrambi gli atti anzidetti vanno annullati, salvo gli ulteriori provvedimenti dell'Amministrazione. -(Omissis). CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 9giugno1965, n. 474 -Pres. De Marco -Est. Landi -Rossano (avv. Salvia) c. Commissione Esaminatrice per gli esami di procuratore legale presso la Corte di Appello di I Napoli (avv. Stato Chiarotti). Avvocato e procuratore -Esami di abitazione professionale Elaborato non originale -Conseguenze. (r.d. 22 gennaio 1934, n. 37, art. 23, ult. cpv.). ' I I fil La Commissione esaminatrice per gli esami di procuratore legale, la quale dagli elementi in suo possesso si convinca che un elaborato non sia frutto della preparazione del candidato, non pu procedere al giu-' dizio sulla qualit intrinseca dell'elaborato; introducendovi un elemento estraneo quale il convincimento o il sospetto della non genuinit del lavoro, ma deve limitarsi ad annullare la prova, ai sensi dell'art. 23, ult. cpv., r.d. 22 gennaio 1934, n. 37 (1). I (Omissis). -La censura, intesa a lamentare il difetto di collegialit del giudizio, espresso dalla Commissione esaminatrice, non fondata. Risulta, bens, da un'annotazione a margine dell'elaborato, la nomina di I un relatore, in persona d'uno dei membri della Commissione. Ma lo svolgimento delle operazioni del concorso documentato dai verbali che fanno fede sino a querela di falso. Ora, il verbale n. 6 attesta che la Commissione, con l'intervento di tutti i suoi componenti, ha proceduto (1) Nello stesso senso cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 23 ottobre 1963, n. 638, ll Consiglio di Stato, 1963, I, 1326. La decisione appare esatta e convincentemente motivata e riteniamo che costituisca affermazione di principio generale valido per .tutti i concorsi. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 981 alla i:evisione ed alla valutazione degli elaborati, ed all'assegnazione dei voti. La circostanza, pertanto, che nell'organizzazione del lavoro sia stata utilizzata la nomina di relatori non pu valere ad escludere, che la valutazione definitiva sia stata compita collegialmente. La Sezione riconosce che la traduzione in coefficiente numerico del giudizio su ciascun elaborato, attiene !).l merito della valutazione compiuta dalla Commissione esaminatrice, e non quindi soggetta a sindacato di illegittimit. Senonch, nella specie i motivi del giudizio risultano dalla relazione del presidente della Commissione al Ministro di grazia e giustizia, in data 16 febbraio 1965: relazione della quale, per quanto esibita dal ricorrente (e non dalfAmministrazione) in copia fotostatica non autentica, l'Avvocatura dello Stato non ha contestato l'autenticit, e che ha anzi espressamente richiamato in memoria. In tale relazione testualmente si legge: Nella valutazione tecnica di tale elaborato, che nel suo complesso presentava aspetti di grave contrasto tra il contenuto notevole del suo svolgimento e la forma, che era riprovevole sotto l'aspetto grammaticale e quella della propriet e correttezza del linguaggio, per l'errore e le imperfezioni suindicate, la commissione ritenne che l'elaborato non fosse frutto della preparazione del candidato, e pertanto, attribuendo rilevanza determinante alla forma, espresse giudizio negativo, assegnando voto quattro . Tale motivazione manifestamente illegittima. Se la commissione avesse avuto elementi per ritenere che l'elaborato non fosse frutto della preparazione del candidato, avrebbe dovuto annullare la prova, applicando l'art. 23 r.d. 22 gennaio 1934, n. 37 (cfr. IV Sez., 23 ottobre 1963, n. 638), ed esprimendone i motivi. Non poteva invece introdurre, nel giudizio sulla qualit intrinseca dell'elaborato, un elemento straneo, come il convincimento o il sospetto della nO'l1 genuinit dell'esperimento. Il giudizio deve essere quindi annullato, salvo gli ulteriori provve- dimenti della pubblica amministrazione e le spese seguono la soccombenza . .:........ (Omissis). CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 9 giugno 1965, n. 483 -Pres. Polistina -Est. Napolitano -Eridania Zuccherifici Nazionali s.p.a. {avv. Sorrentino), Soc. Italiana per l'Industria degli Zuccheri (avv. M. S. Giannini), C.l.S.S.E.L. {avv. Selvaggi) c. Comitato Interministeriale Prezzi, Ministero Industria e Commercio, Ministero Agricoltura e Foreste (avv. Stato Dallari). Prezzi -Comitato interministeriale e Giunta -Composizione Tassativit -Co~seguenze. (d.l.lgt. 23 aprile 1946, n. S63, art. l; d.1.gt. 20 gennaio 1948, n. 10, art. 2, I. 22 dicembre 1956, n. 394, art. 5). 982 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Prezzi -Comitato interministeriale -Poteri -Fattispecie in tema di zuccheri. (1. 7 luglio 1959, n. 490; d.m. 11 febbraio 1961, art. 2; d.l.lgt. 19 ottobre 1944, n. 347, art. 4). La composizione del Comitato interministeriale dei prezzi, e della relativa Giunta, tassativamente determinata per legge, e non consente la partecipazione di membri estranei o di sostituti : pertanto illegittima la deliberazione del comitato, cui abbiano partecipato, in luogo dei ministri competenti, sottosegretari privi di delega o funzionari delle rispettive amministrazioni, ovvero sia intervenuto un ministro che nessuna norma preveda come membro effettivo deliorgano collegiale (1). Pur dopo la declaratoria di illegittimit costituzionale della legge 7 luglio 1959 n. 490, che ha travolto anche il decreto ministeriale 11 f ebbraio 1961, contenente le condizioni di cessione delle barbabietole, il comitato interministeriale dei prezzi, avendo un generale potere di determinazione dei prezzi di qualsiasi merce in ogni fase di scambio e non limitato alle sole merci bloccate, ben pu fissare il prezzo del seme delle bietole zuccherine (2). {Omissis). -Con il primo ricorso proposto dalla Societ Eridania Zuccherifici Nazionali stato dedotto (primo motivo, lettera B) che nella seduta dell'8 agosto 1961, in cui fu emanato il provvedimento n .. 939, la Giunta del Comitato Interministeriale dei prezzi non era composta nei modi previsti dalla legge. La stessa censura di irregolare composizione dell'organo deliberante stata dedotta, con riguardo al Comitato Interministeriale dei prezzi che nelle seduta del 15 dicembre 1961 adott il provvedimento n. 966, con il secondo ricorso della Societ Eridania Zuccherifici Nazionali {primo motivo, lettera B), e con il ricorso della Compagnia Industrie Saccarifere S. Eufemia Lamezia (secondo motivo). La censura fondata. (1) Cfr., nello stesso senso, Cons. Stato, Sez. IV, 13 marzo 1963, n. 152, Foro it., 1963, III, 164; Cons. Stato, 26 giugno 1963, n. 494, ivi, 1963, III, 265; e in particolare, Cons. Stato, Sez. IV, 26 febbraio 1964, n. 84, in questa Rassegna, 1964, I, 532. Sulla struttura del C.i.p., cfr., in dottrina, BACHELET, L'attivit di coordinamento nell'amministrazione pubblica dell'economia, Milano, 1957. (2) La sentenza 24 giugno 1961, n. 35 della Corte Costituzionale, richiamata nel testo, si legge in Foro it., 1961, I, 1051, e in Giust. civ., 1961, III, 148, nonch in Giur. cast., 1961, 629 e Giur. it., 1961, I, l, 1032. In genere sui poteri del C.i.p. cfr., in giurisprudenza, Cons. Stato, Sez. IV, 16 dicembre 1964, n. 1470, Il Consiglio di Stato, 1964, I, 2171, nonch Cons. Stato, Sez. IV, 13 marzo 1963, n. 152, citata: in dottrina, METTA, La aisciplina dei prezzi, Rass. petrolifera, 1964, 133 e segg. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 988 Infatti, a norma dell'art. 3 del d.l.G.p.S. 15 settembre 1957, n. 392, la Giunta del Comitato Interministeriale dei prezzi composta dal Ministro per l'jndustria ed il commercio, che la presiede, dal Ministro per il tesoro e dal Ministro per l'agricoltura e le foreste. Alla riunione tenuta dalla Giunta 1'8 agosto 1961, in cui fu emanato il primo provvedimento impugnato, parteciparono, invece, il Sottosegretario al tesoro ed il Sottosegretario all'agricoltura e . foreste, in sostituzione dei titolari dei rispettivi dicasteri, e non risulta, n stato dedotto, che essi fu:rcmo a ci formalmente delegati. Inoltre alla stessa riunione partecip il Ministro della sanit che n la citata disposizione n altra indica come membro della Giunta, organo ristretto competente a decidere nel caso di urgenza sulle materie di competenza del Comitato Interministeriale dei prezzi. Per quanto riguarda, poi, il Comitato l'art. 1 del d.l.l. 23 aprile 1945 n. 363, ntegrato dall'art. 2 del d.lgt. 20 gennaio 1948 n. 10 e dall'art. 5 della legge 22 dicembre 1956 n. 394, stabilisce che esso composto, oltre che dal Presidente del Consiglio dei Ministri, dai Ministri per le finanze, per il tesoro, per il bilancio, per l'agricoltura e le foreste, per i trasporti, per l'industria e il commercio, per i lavori pubblici, per il lavoro e la previdenza sociale, per il commercio estero, per le partecipazioni statali. Dal verbale del 15 dicembre 1961 risulta, invece, che alla riunione parteciparono soltanto il Ministro per l'industria e commercio, in qualit di presidente delegato ed il Ministro per l'agricoltura e le foreste, mentre per i Ministeri delle finanze, delle partecipazioni statali e dei trasporti, erano presenti i rispettivi sottosegretari di Stato ed i Ministeri del tesoro, del bilancio e dell'industria e commercio erano rappresentati da funzionari. Ora, poich la composizione dei predetti organi tassativa e non consente la partecipazione di membri estranei o di sostituti, come stato gi precisato dalla giurisprudenza di questo Consiglio (Sez. IV, decreti n. 152 del 13 marzo 1963 e n. 494 del 26 giugno 1963), evidente che la Giunta ed il Comitato non erano validamente composti nelle riunioni innanzi indicate. Ne consegue che le due deliberazioni impugnate sono per tale ragione illegittime e devono essere annullate. Ci comporta l'accoglimento dei tre predetti ricorsi, indipendentemente dall'esame delle altre censure dedotte che restano assorbite. Il Collegio ritiene, invece, di dover respingere il ricorso proposto dalla Societ italiana per l'industria degli zuccheri, perch i due motivi con esso dedotti sono infondati. Infatti con il primo motivo la predetta Societ assume che, essendo stata dichiarata incostituzionale la legge 7 luglio 1959, n. 490 con sentenza della Corte Costituzionale 24 giugno 1961, n. 35, che ha travolto anche il decreto ministeriale 11 febbraio 1961, contenente le condizioni 984 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO ,STATO di cessione delle barbabietole, il C.I.P., che non ha un potere generale j di determinazione dei prezzi, non poteva fissare il prezzo del seme delle bietole zuccherine, mai sottoposto a blocco. Senonch, se esatto che . la citata sentenza della Corte Costituzionale ha travolto anche il decreto ministeriale 11 febbraio 1961, che al ptimo comma dell'art. 2 stabiliva . , che i prezzi del seme di bietola sono quelli fissati con provvedimento del Comitato interministeriale dei prezzi , non esatto che ci abbia . privato tale organo del potere di determinare il prezzo in questione. Anzi in proposito pu dirsi che il citato decreto ministeriale fuori causa perch esso non attribuiva, n poteva attribuire, come rilevato dalla stessa ricorrente, un nuovo potere al C.l.P., ma si limitava a rinviare, nel dettare le condizioni per la fornitura e l'utilizzazione delle sementi, alle determinazioni che il C.l.P. avrebbe adottato in ordine al prezzo, in base al suo preesistente potere, cio quello attribuitogli dall'art. 4 del d.1.1. 19 ottobre 1944, n. 347. Potere che, contrariamente a quanto mostra di ritenere la ricorrente, ha carattere generale in quanto esteso ai prezzi di qualsiasi merce in ogni fase di scambio e non limitato alle sole merci bloccate; come stato gi precisato con la decisione n. 152 del 13 marzo 1963 di questa Sezione. N vi alcun dubbio che il provvedimento impugnato sia stato emanato in virt del citato art. 4, perch ci risulta chiaramente dal verbale della riunione dell'8 agosto 1961. Con il secondo motivo si denuncia un vizio di eccesso di potere per illogicit manifesta o per sviamento. Ma la censura, bench grave, dedotta dalla Societ italiana per l'industria degli zuccheri in termini generici, n stata sciolta con successive memorie la riserva di nuove deduzioni in proposito formulata. Si assume che il provvedimento ha apportato grosse falcidie ai costi indicati dagli industriali, senza, per, indicare i prezzi ritenuti giusti per ciascun tipo di seme nelle due distinte fasi di scambio, dai produttori alle industrie distributrici (industrie saccarifere) e da queste ai coltivator~ n le voci dell'analisi dei costi che sarebbero state falcidiate. nraltra parte tali elementi non possono desumersi dagli atti del procedimento perch, a prescindere da ogni altra considerazione, le osservazioni fatte dai rappresentanti delle industrie saccarifer() durante i lavori della Commissione centrale dei prezzi (riunioni del 30 maggio 1961 e del 23 giugno 1961), pur manifestando una certa opposizione al provvedimento da adottare, non forniscono precise e circostanziate indicazioni circa i punti controversi. In particolare tali oss~rvazioni furono dirette nella prima riunione a contrastare la proposta, poi non accolta, del rappresentante del Ministero per l'agricoltura e per le foreste di ridurre a lire 200 al kg. il prezzo del seme nazionale normale e nella seconda riunione a manifestare delle perplessit sui criteri di valutazione seguiti nell'accertamento dei costi. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 985 La ricorrente assume, altres, che il prezzo di importazione estera non riducibile perch esso non fissato da operatori italiani e che la riduzione autoritativa disposta addossa ai produttori prestazioni patrimoniali non previste. Senonch dagli atti si rileva che il prezzo di importazione non ha subito alcuna riduzione. Esso stato assunto ai fini della determinazione del prezzo di vendita in Italia nella sua misura effettiva (verbale del SO maggio 1961), cui sono stati aggiunti da una parte i diritti doganali, i compensi allo spedizioniere e la commissione all'ufficio italiano cambi, e dall'altra le spese di trasporto, facchinaggio, assicurazione, dispersione e cali, distribuzione, interessi passivi, nonch le spese generali e varie. Peraltro, neanche il prezzo di vendita in Italia stato ridotto, avendo il Comitato Interministeriale prezzi confermato, su proposta della Commissione, il prezzo precedentemente in vigore sia per il seme normale che per quello polipoide di provenienza estera. :: di tutta evidenza, infine, la inattendibilit dell'ultimo rilievo contenuto nel motivo in esame, secondo cui il prezzo del seme nazionale non sarebbe riducibile, essendo gi di gran lunga inferiore al prezzo del seme estero. La CO*Ilparazione tra i due prezzi priva di qualsiasi valore anche indiziario, agli effetti che qui interessano, siccome diversi sono i costi che concorrono alla determinazione dell'uno e dell'altro. E poich ciascun prezzo deve essere determinato esclusivamente in base ai costi analitici del prodotto cui si riferisce, il prezzo del seme di provenienza estera, determinato in buona parte da un dato rigido quale il prezzo di acquisto all'origine, non pu n confermare n escludere la congruit del prezzo del seme nazionale. -(Omissis). CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, SO luglio 1965, n. 5S7 -Pres. Polistina -Est. Battara -S.I.B.S. (avv. Selvaggi) c. Ministero Tesoro (avv. Stato Albisinni). Danni di guerra -Beni perduti all'estero per trattato di pace Indennizzo -Liquidazione -Impugnativa -Giurisdizione del Consiglio di Stato. I cittadini che hanno perduto beni all'estero per effetto del Trattato di pace sono titolari di un interesse legittimo e non di un diritto soggettivo all'indennizzo del danno subito: sussiste, pertanto, giurisdizione del Consiglio di Stato in ordine alfimpugnativa del decreto del Ministro del tesoro, con cui T:indennizzo viene liquidato {l). (1) La decisione si inserisce in un pi generale orientamento in materia di indennizzo per danni di guerra: cfr. di recente Cass., 13 maggio 1953, n. 1179, Giur. it., 1964, I, 1, 815; Cons. Stato, Sez. IV, 20 maggio 1964, n. 598, Il Consiglio di Stato, 1964, I, 890; Cass., 12 gennaio 1965, n. 63, Riv. giur. edilizia, 1965, I, 447. 10 986 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO : manifestamente infondata reccezione di illegittimit costituzionale della legge 29 ottobre 1954, n. 1050, in relazione agli artt. 3, 23 e 42 della Costituzione (2). (Omissis). -La Societ ricorrente ha sollevato due questioni pregiudiziali, l'una relativa al difetto di giurisdizione da parte di questo Consiglio di conoscere dei presunti diritti soggettivi derivanti dai ,danni subiti dai cittadini italiani per effetto del Trattato di pace, e l'altra relativa alla incostituzionalit della 1. 29 ottobre 1954, n. 1050, in relazione agli artt. 3, 23 e 42 della Costituzione, nella ipotesi che il risarcimento dei danni subiti per effetto del Trattato di pace sia qualificato come un interesse legittimo e non come un diritto soggettivo. Seguendo l'ordine delle eccezioni sollevate con il ricorso, coincidente del resto con l'ordine di precedenza delle pregiudiziali sollevate sotto il profilo processuale, il Collegio deve esaminare anzitutto la questione relativa alla competenza giurisdizionale. La dottrina e la giurisprudenza hanno da gran tempo precisato i criteri generali relativi alla determinazione della competenza di questo Consiglio e dell'Autorit giudiziaria ed ormai del tutto pacifico che " ai fini di individuare la natura giuridica della lesione non si pu che :: risalire all'esame del potere che di 'volta in volta esercita la pubblica Amministrazione nell'emanare l'atto che presumibilmente lede il cittadino. Da tale punto di vista, esclusi casi del tutto particolari, la lesione di un interesse legittimo si connette sempre all'esercizio, da parte del1' Amministrazione, di un ampio potere discrezionale, che non si risolve in una pura e semplice discrezionalit tecnica, mentre da ritenersi che I l'Amministrazione in genere leda un diritto soggettivo quando la legge ru vincola ogni sua possibilit di provvedere all'infuori della rigida appli ~ cazione della norma. Alla luce di tale principio generale, con la lontana decisione di questa Sezione del 5 luglio 1947, n. 320, fu ritenuto che con la legge n. 1543 del 1940 e con il r.d. n. 946 del 1941, al cittadino che aveva subito danni di guerra il legislatore non avesse conferito un Per l'analoga fattispecie di beni gi siti in territori nazionali, successivamente cec;luti per effetto del Trattato di pace, una diversa soluzione stata accolta da Cass., 28 aprile 1964, n. 1017, in questa Rassegna, 1964, 683, con nota critica di ZAGARI, Giurisdizione in materia di indennizzi per i beni italiani nei territori ceduti alla Jugoslavia. (2) Nulla in termini. E interessante notare come la sentenza in rassegna abbia correttamente dato la priorit, nell'ordine delle questioni, a quella attinente alla giurisdizione rispetto alla questione di legittimit costituzionale: cfr. Cass., 28 aprile 1964, n. 1017, citata. In dottrina v. BILE, La questione di legittimit costituzionale nell'ordine di precedenza delle questioni, Giust. civ., 1962, III, 121, con ampie indicazioni bibliografiche. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 987 diritto soggettivo all'indennizzo, ma soltanto un interesse legittimo ad ottenere una riparazione dei danni sopportati a causa degli eventi bellici. Indubbiamente la successiva legislazione sugli indennizzi dei danni di guerra e quella relativa alla corresponsione di indennizzi ai titolari di beni, diritti ed interessi a perdita in esecuzione degli artt. 74 e 79 del Trattato di pace hanno apportato sostanziali modificazioni ai criteri informatori contenuti nella legge sui danni di guerra del 1940, ma non per questo la giurisprudenza di questo Consiglio ha ritenuto che con le nuove leggi al cittadino fosse riconosciuto un diritto all'indennizzo e non invece un interesse legittimo. Basti al riguardo citare fra gli innumerevoli pareri e decisioni di questo Consiglio il parere dell' Ad. Gen. del 12 maggio 1955, n. 216, e la decisione di questa Sezione del 20 febbraio 1964, n. 77. Le ragioni che sostanzialmente hanno indotto a qualificare come interesse legittimo del cittadino le provvidenze disposte a favore dei danneggiati di guerra e di coloro che hanno perduti i loro beni per effetto degli artt. 74 e 79 del Trattato di pace, risiedono in primo luogo nell'interesse pubblico che con le leggi riparatrici si voluto perseguire, in secondo luogo nella indeterminezza del sacrificio finanziario al quale lo Stato andato incontro, per cui, come giustamente si affermava nella decisione di questa Sezione (n. 230 del 1947), la corresponsione degli indennizzi non poteva non trovare un limite nelle possibilit finanziarie dello Stato in base al principio ad impossibilia nemo tenetur, in terzo luogo nelle limitazioni poste dalla legge alla misura dell'indennizzo (esclusione del lucro cessante) al suo riconoscimento ad una data stabilit dalla legge, quale che fosse il momento della perdita effettiva, ai criteri di equit (tenendo conto delle condizioni economiche dei singoli paesi) ai quali improntare le valutazioni quando non possono accertarsi i valori alla data del Trattato di pace. Se tali considerazioni inducono a ritenere che i cittadini che hanno subito un danno in conseguenza del Trattato di pace sono portatori di un interesse legittimo e non di un diritto soggettivo, sembra al Collegio che anche la lettera della legge, non sorregga la tesi dei ricorrenti, in quanto l'indennizzo che con essa si autorizza a corrispondere non configura in alcun modo un risarcimento del danno subito. Che nella specie il cittadino sia portatore di un interesse legittimo e non di un diritto soggettivo stato affermato del resto anche in numerose sentenze della Suprema Corte di Cassazione ed anche ultimamente, con la sentenza delle Sez. Un. del 28 aprile 1964, n. 1017, pur essendo andata la Corte in contrario avviso relativamente ai beni perduti dai cittadini italiani nei territori ceduti per effetto del Trattato di pace, essa ha ribadito l'esistenza di una identit di posizione fra i danneggiati di guerra e coloro che per effetto dell'art. 79 del Trattato di pace hanno perduto i loro beni all'estero, ai quali ~ cos si afferma -non RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 988 pu competere un diritto soggettivo, ma un semplice interesse legitttimo s all'indennizzo (concesso o liquidato in modo discrezionale dallo Stato italiano). ' . Per i motivi esposti la questione relativa al difetto di giurisdizione l sollevata dalla Societ ricorrente deve essere dichiarata infondata. .. Manifestamente infondata anche la questione relativa alla legittimit costituzionale della legge n. 1050 del 1955 in relazione agli artt. 3, 23 e 42 della Costituzione della Repubblica. Della violazione del principio della libert e dell'eguaglianza dei cittadini, statuito dall'art. 3 della Costituzione, non pu esservi questione, perch la legge n. 1050 del 1954 non prevede alcun trattamento deteriore per i cittadini che hanno perduto i loro beni in conseguenza del Trattato di pace nei confronti dei cittadini che hanno subito danni per effetto delle distruzioni provocate dalle guerra o delle requisizioni conseguenti all'occupazione del territorio italiano. Secondo la tesi sostenuta dai ricorrenti la disparit di trattamento ,' nella specie avrebbe luogo nei confronti di tutti i cittadini che non hanno subito danni e che per tale fatto verrebbero a trovarsi in una posizione di vantaggio rispetto a coloro che li hanno subiti, il che evidentemente non pu configurare una disparit di trattamento di fronte alla legge I ed una violazione del principio dell'uguaglianza. Anche la presunta violazione degli artt. 23 e 42 della Costituzione I non sussiste nella specie. La legge non implica nessuna prestazione patri. I'. moniale agli interessati, n viola un diritto di propriet; essa prevede la . corresponsione di un indennizzo a seguito di un'istruttoria attraverso la I ' quale viene determinata la misura dell'indennizzo stesso. La circostanza che l'Amministrazione valuti la misura del danno in base alla documentazione fornita dal danneggiato ed in base a tutti gli elementi di fatto di cui essa pu disporre non impone una prestazione patrimoniale al danneggiato, n tanto meno viola .il diritto di propriet: Per la manifesta infondatezza l'eccezione di incostituzionalit della legge n. 1050 del 1954 in relazione agli artt. 2, 23 e 42 non luogo pertanto a sensi dell'art. 23 della I. 11 marzo 1953, n. 87, della trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale. -(Omissis). CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 17 settembre 1965, n. 547 -Pres. De Marco -Est. Tozzi -Soldati (avv.ti Sorrentino, Carocci) c. Ministero LL.PP. (avv. Stato Del Greco) nonch Comune di Roma (avv. Focacci) e Casa Generalizia Padri Sacramentini (avv.ti Dedin, Barra Caracciolo). Comune -Provvedimento di urgenza della Giunta -Vizi di forma -Sanatoria. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 989 Atti amministrativi -Decreto del Presidente della Repubblica Formula sentito il Consiglio dei Ministri -Valore. Piano regolatore -Art. 20 I. 24 marzo 1932, n. 355 sul piano regolatore della citt di Roma -Eccezione di illegittimit costituzionale -Infondatezza. Piano regolatore -Licenza edilizia -Annullamento -Successiva variazione al piano -Violazione del giudicato amministrativo -Esclusione. La ratifica consiliare sana ogni eventuale vizio di competenza e di forma della deliberazione, adottata dalla Giunta Comunale ex art. 140, della legge comunale e provinciale del 1915, soprattutto quando la ratifica sia stata operata dopo ampia discussione del prqvvedimento della Giunta stessa (1). La formula, cc sentito il Consiglio dei Ministri , che quella solitamente usata per gli atti del Presidente della Repubblica che sono emanati previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, sufficiente ad attestare che il Consiglio stesso ha adottato una vera e propria deliberazione e non un semplice parere (2). manifestamente infondata l'eccezione di illegittimit costituzionale delr art. 20 della legge 24 marzo 1932, n. 355 sul piano regolatore di Roma, in relazione all'art. 76 della Costituzione, in quanto detto art. 20, nel consentire al Governo di modificare il piano regolatore generale della citt, pur approvato con legge f armale, non contiene una delega legislativa ma si limita a restituire al potere esecutivo una sua originaria competenza (3). (1) Giurisprudenza costante: cfr. Cons. Stato, Sez. V, 10 marzo 1962 n. 220, Il Consiglio di Stato, 1962, I, 517; Cons. Stato, Sez. V, 2 dicembre 1961, n. 691, ivi, I, 2165. (2) Cfr. nello stesso senso Cons. Stato, Sez. IV, 28 giugno 1960, n. 708, Il Consiglio di Stato, 1960, I, 1157. La massima si riconnette all'affermazione che il Consiglio dei Ministri sia organo dotato di competenza essenzialmente deliberante, in quanto, " compie soltanto atti di , governo e di amministrazione attiva ,, . Conforme in dottrina, CuocoLO, Consiglio dei Ministri, Enc. dir., Milano, IX, 237 segg., con ampie indicazioni bibliografiche. (3) La giurisprudenza ha numerose volte :rtltenuto la manifesta infondatezz~ dell'eccezione di illegittimit costituzionale dell'art. 20 della legge sul piano regolatore della citt di Roma per preteso contrasto con l'art. 76 della Costituzione: cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 26 aprile 1961 n. 254, Riv. giur. edilizia, 1961, I, 549; Cons. Stato, Sez. IV, 7 marzo 1962 n. 225, Il Consiglio di Stato, 1962, I, 419. N elio stesso senso si espressa anche la Corte di Cassazione con la decisione 6 giugno 1960, n. 1479 (Foro it., 1960, I, 1506), nella quale si trova affermato il prdncipio che l'art. 20 della I. 24 marzo 1932 n. 355, non contiene alcuna delega 990 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Non si ha violazione del giudicato amministrativo nel caso in cui successivamente alr annullamento di una licenza edilizia, l'Amministra zione adotti un provvedimento di variante al piano regolatore che legit. timi la costruzione eseguita (4). (Omissis). -Per l'esame del ricorso proposto dal dr. Soldati, si pu prescindere dalla eccezione di inammissibilit per difetto di inte resse sollevata dalla difesa del Comune di Roma, essendo il ricorso stesso infondato. E invero, per quel che riguarda le censure contenute nel primo motivo, si deve in primo luogo osservare che la Giunta municipale, nella deliberazione impugnata, ha dichiarato espressamente di assu mere, per l'urgenza di provvedere, i poteri del Consiglio comunale, ai sensi dell'art. 140 della legge comunale e provinciale del 1915. Ci posto, evidente che il potere esercitato quello previsto dall'art. 140 suddetto, sicch l'unico esame possibile quello relativo alla esistenza o meno nella specie dei presupposti per l'esercizio del potere stesso, non potendo ritenersi, come il ricorrente vorrebbe, che l'esistenza concreta dei detti presupposti debba essere dimostrata nella deliberazione di urgenza. Ora, l'Amministrazione ha chiaramente indicato che l'urgenza di provvedere sorse dal fatto che il Consiglio comunale era in ferie e che la necessit di emettere la delibera sorse improvvisamente dopo l'ultima adunanza consiliare; quando cio venne notificata la decisione del Consiglio di Stato, emessa sul ricorso per esecuzione del giudicato, che assegnava il termine di sessanta giorni al Comune per provvedere. Tutto ci detto nella deliberazione di ratifica del Consiglio comunale e il ricorrente non ha contestato i fatti addotti, i quali pertanto debbono ritenersi per veri e sufficienti a legittimare l'esercizio del potere previsto dall'art. 140 pi volte richiamato da part,e della Giunta. A parte ci, e contrariamente a quanto assume il ricorrente, la pi recente e costante giurisprudenza in proposito sicuramente nel senso amministrativa ma unicamente un riconoscimento del potere amministrativo del l'autorit di governo in tale materia . Analoga questione era sorta per l'art. 9 della 1. 5 aprile 1908 n. 141, relativa al piano regolatore della citt di Torino, dn relazione al quale la Corte Costitu zionale con decisione 29 marzo 1961 n. 11 (Riv. giur. edilizia, 1961, I, 393 e Giur. cost., 1961, 63, con nota di MAZZAROLLI, Osservazioni in tema di piani regolatori approvati con legge) ha dichiarato infondata la relativa eccezione di illegittimit costituzionale. {4) Non risultano precedenti in termini. Per qualche riferimento cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 13 novembre 1963 n. 733, Riv. giur. edilizia, 1964, I, 183, con nota. La decisione 25 febbraio 1956 n. 138, con la quale la V Sezione aveva annul lato la licenza edilizia, si legge in Foro it., 1957, III, 53. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 991 che la ratifica consiliare sana eventuali vizi di competenza e di forma della deliberazione della Giunta, soprattutto quando la ratifica sia stata operata dopo ampia discussione del provvedimento della Giunta come appunto avvenuto nel caso in esame (v. decc. V Sez., n. 220 del 1962, n. 691 del 1961 e n. 309 del 1958). Il primo motivo di illegittimit dedotto con il secondo motivo del ricorso basato sul presupposto che il decreto presidenziale impugnato contenga soltanto una modifica del piano particolareggiato n. 38. Tale presupposto non esatto, perch gi nella deliberazione della Giunta detto chiaramente che la variante del piano particolareggiato importa una modif.ca del piano regolatore generale e che perci deve osservarsi la procedura prevista dall'art. 20 della legge 24 marzo 1932, n. 355: e poich detta procedura stata effettivamente seguita, non pu dubitarsi che il decreto presidenziale contenga in primo luogo una modifica del piano regolatore generale, con la conseguente modifica del piano particolareggiato. A dimostrare che il decreto presidenziale impugnato contiene soltanto la modifica del piano particolareggiato adduce che esso stato adottato a sensi dell'art. 3 e non dell'art. 20 della legge n. 355 del 1932, come dovrebbe ricavarsi dal fatto che il Consiglio dei Ministri avrebbe espresso soltanto un parere e non adottata una deliberazione e sarebbe confermato dall'osservazione che il decreto presidenziale parla soltanto di approvazione della variante al piano particolareggiato n. 38. Ora, per quel che riguarda l'ultimo rilievo, facile osservare che il decreto presidenziale, approvando esplicitamente l'ultimo atto della procedura, non esclude, anzi implicitamente contiene l'approvazione dell'atto che costituisce il presupposto necessario dell'ultimo, e ci si deve ricavare dal fatto che stata seguita la procedura prescritta per la modifica del piano regolatore generale, che evidentemente non sarebhe stata seguita se si fosse inteso di modificare soltanto il piano particolareggiato. Per quel che riguarda invece l'intervento del Consiglio dei Ministri, basta osservare che la formula sentito il Consiglio dei Ministri quella solitamente usata per gli atti del Presidente della Repubblica che sono emanati previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, ed sufficiente ad attestare che il Consiglio dei Ministri, cos come la legge prescrive, abbia adottata una vera e propria deliberazione (v. dee. IV Sez., n. 708 del 1960), anche perch, come noto, il Consiglio dei Ministri compie soltanto atti di governo di amministrazione attiva. Il profilo di incostituzionalit dell'art. 20 del r.d.l. 6 luglio 1931, n. 981, dedotto nello stesso secondo motivo di ricorso per la ipotesi in cui si fosse ravvisata, come stata ravvisata, nel decreto presidenziale anclie una r_nodifca del piano regolatore generale, chiaramente e manifestamente infondata, come concordemente ritenuto dalla giurisprudenza, la quale ha osservato che l'art. 20 suddetto, nel consentire 992 R~SSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO al Governo di modificare il piano regolatore generale, pur approvato con legge formale, non contiene una delega legislativa, ma si limita, per cos dire, a restituire al potere esecutivo, la sua originaria competenza. Non pu pertanto parlarsi di violazione dei limiti imposti dalla Costituzione alla delega legislativa, anche se per l'esercizio del potere stata prescritta una determinata procedura, dalla quale non ci si pu pi distaccare senza violare la legge (v. decc. IV Sez., n. 254 del 1961 e n. 225 del 1962; sentenza Cass., Sez. Un., 6 giugno 1960, n. 1479). L'ultimo motivo di ricorso parte dall'affermazione che la sentenza di questo Consiglio emessa sul ricorso per lesecuzione del giudicato imponeva al Comune lobbligo di ordinare la demolizione, per giungere alla conclusione che i provvedimenti impugnati sono stati attuati soltanto per violare ancora il giudicato, applicando l'art. 18 del regolamento edilizio ritenuto illegittimo, e che il mutamento di destinazione dell'area ex Villa Maraini operato con i provvedimenti impugnati stato disposto unicamente al fine di sanare una grave illegittimit, gi sanzionata dal giudice. Premesso che dalla decisione dl 1956 non derivava necessariamente all' Amministazione lobbligo di ordinare la demolizione dei fabbricati illegittimamente costruiti, perch, come ha recentemente ritenuto l'Adunanza plenaria del Consiglio (v. dee. n. 4 del 1965), oggetto del giudicato in tali casi soltanto l'annullamento della licenza edilizia e leffetto immediato di esso consiste nella produzione di una situazione giuridica nella quale la costruzione da considerare eseguita come se una licenza non fosse mai esistita, osserva il Collegio che neppure da un punto di vista sostanziale si pu parlare di violazione del giudicalo, in quanto'non risulta in alcun modo provato che l'Amministrazione abbia adottato i provvedimenti impugnati solo per eludere il giudicato stesso e non per una esigenza di interesse pubblico che imponesse la adozione dei provvedimenti stessi. Si deve anzi osservare che, nella specie, lAmministrazione aveva sempre ritenuto che i fabbricati in questione dovessero essere costruiti nel pubblico interesse e aveva soltanto usato un mezzo illegittimo per raggiungere lo scopo: consegue da ci; che, dovendosi in questa sede esaminare non pi il giudicato come tale, ma soltanto come uno degli elementi per provare l'eccesso di potere (affermandosi dal ricorrente che i provvedimenti impugnati non sarebbero ispirati al pubblico interesse, ma unicamente alla volont di eludere il giudicato), il fatto che sin dall'inizio l'Amministrazione aveva ritenuto di adottare i provvedimenti dei quali si discute, sia pure usando una forma illegittima, dimostra chiaramente che i provvedimenti stessi sono stati rinnovati nella forma legittima perch rispondenti all'interesse pubblico e. non allo scopo di violare il giudicato, dato che la volont di attuarli e il giudizio sulla rispondenza di essi all'interesse pubblico PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 993 preesistono al giudicato. E poich le stesse argomentazioni possono servire a confutare anche l'altro proflo di eccesso di potere, in quanto il. mutamento di destinazione dell'area dell'ex villa Maraini era stata ritenuta sin dall'inizio necessaria, si deve escludere che detto mutamento sia volto unicamente al fine di consolidare uno stato di fatto contrario al diritto. Si deve infine aggiungere che la pretesa volont di escludere il giudicato, se non vi fossero gli argomenti sopra addotti per escluderla, difficilmente nella specie potrebbe essere dimostrata, dato che gli atti impugnati, che sarebbero stati emessi per eludere il giudicato, non provengono unicamente dalla volont del Comune che aveva posto in essere l'atto annullato, ma dal concorso della volont del Comune con quella di altri organi dello Stato che furono estranei all'emanazione dell'atto annullato per i quali la pretesa volont di eludere il giudicato non potrebbe trovare alcuna logica spiegazione: al contrario, la partecipazione di detti organi all'emanazione dei provvedimenti impugnati, serve a confermare che l'interesse pubblico addotto dal Comune per giustificarli, effettivamente esistente. -(Omissis). CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 18 novembre 1964, n. 1352 -Pres. Potenza -Est. Granito -Zeppieri e S.T.E.A.R. (avv.ti Dedin e Sorrentino) c. Ministero dei Trasporti {avv. Stato Lancia) e S.T.E.F.E.R. (avv. Mezzatesta). Concessioni amministrative -Tranvie extraurbane -Prorogabilit massima di dieci anni -Abolizione. Concessfoni amministrative -Scadenza -Autorizzazione provvisoria alla continuazione del servizio -Legittimit. Concessioni amministrative -Tranvie extraurbane -Gestione diretta dell'Amministrazione -Presupposti. Concessio:Q.i amministrative -Tranvie extraurbane -Gestione provvisoria -Presupposti di fatto -Negligenza dell'Amministrazione -Irrilevanza. Concessioni amministrative -Tranvie -extraurbane sussidiate dallo Stato -Organo competente -Determinazione. Concessioni amministrative -Tranvie extraurbane -Proroga per quindici anni -Mancanza di adeguata istruttoria -Illegittimit. La norma dell'art. 5 della l. 23 aprile 1918, n. 560, la quale disponeva che il Ministero dei Trasporti poteva concedere proroghe alle concessioni di tranvie extraurbane anche senza il consenso degli enti proprietari delle strade, purch per tali proroghe non eccedessero in tutto 994 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO gli anni dieci, stata implicitamente abrogata dalla l. 2 agosto 1952, n. 1221 (1). Il principio secondo il quale alla scadenza di una concessione ammesso il rilascio di un'autorizzazione provvisoria, anche a favare del precedente titolare, per consentire temporaneamente la prosecuzione del servizio nelle more della emanazione di una nuova concessione, applicabile anche alle concessioni di servizi tranviari (2). Ai sensi dell'art. 18 della l. 2 agosto 1952, n. 1221, la facolt dell'Amministrazione di assumere la gestione diretta di una linea tranviaria extraurbana alla scadenza della concessione, subordinata alla impossibilit di procedere tempestivamente a nuova attribuzione ed al fatto che il precedente titolare non possa o non voglia continuare temporaneamente a gestire il servizio (S). I titolari di concessioni di linee automobilistiche non hnno alcun interesse a lamentare la mancata assunzione diretta di un servizio tranviario extraurbano da parte dell'Amministrazione (4). L'autorizzazione alla gestione provv~soria trova f andamento e giustificazione in una situazione obbiettiva e contingente di urgente necessit pubblica: ai fini della sua legittimit , pertanto, irrilevante accertare se detta situazione poteva essere o meno prevista ed evitata (5). La competenza a concedere la gestione di linee tranviarie extraurbane, per le quali siano previsti sussidi integrativi di bilancio da parte dello Stato, spetta al Ministero dei Trasporti e non alrispettorato compartimentale m.c.t.c. (6). Il rinnovo di una concessione per quindici anni non pu considerarsi una proroga provvisoria, e quindi richiede, per essere valido, uri adeguata istruttoria e l'esame delle proposte di tutti gli interessati alla concessione (7). (1) Non risultano precedenti in termini. (2) Circa la determinazione del principio, cui fa riferimento la decisione in rassegna, ma per l'analoga ipotesi di servizi automobilistici, cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 4 dicembre 1952, n. 979, Foro it., 1953, Il, 3, e Cons. Stato, Ad plen., 31 gennaio 1955, n. 1, ivi, 1955, III, 88. Sul punto specifico delle linee tranviarie non risultano precedenti. (3-4-5) Non risultano precedenti in termini. (6) In genere, sui sussidi integrativi di bilancio, cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 22 novembre 1961, n. 1016; Il Consiglio di Stato, 1961, I, 2025. Sulla competenza dell'Ispettorato compartimentale m.c.t.c. per la concessione di servizi automobilistici di linea v. Cons. Stato, Sez. IV, 5 maggio 1965, n. 405, in questa Rassegna, 1965, 742, con nota di precedenti. (7) Circa la necessit e i limiti dell'istruttoria, cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 31 gennaio 1958, n. 124, Il Consiglio di Stato, 1958, I, 50, e Cons. Stato, 19 ottobre 1956, n. 984, ivi, 1956, I, 1149. La decisione n. 460/59 della VI Sezione, richiamata in motivazione della pronuncia in rassegna, si_ legge in Foro amm., 1959, I, 1259. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 995 CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 2 aprile 1965, n. 222 -Pres. Breglia -Est. Benvenuto-Musso (avv. Sciacca) c. Ministero P.I. {avv. Stato Casamassima).. Demanio e patrimonio -Demanio storico e artistico -Provvedimento di vincolo -Potere di emanazione -Delega -Ammissibilit. (l. 1 giugno 1939, n. 1089, art. 3; d.l. 10 luglio 1924, n. 110, art. 2). Demanio e pattimonio -Demanio storico e artistico -Provvedimento di vincolo -Delega del relativo potere -Controllo della Corte dei conti -Esclusione. (l. 1 giugno 1939, n. 1089, art. 3; r.d. 23 maggio 1924, n. 827, artt, 105, 271 e 281; r:a. 12 luglio 1934, n. 1214, art. 18). Demanio e patrimonio -Demanio storico e artistico -Imposizione di vincolo -Istruttoria -Esigenza del contraddittorio Esclusione. (l. 1 giugno 1939, n. 1089, artt. 3 e segg.). Demanio e patrimonio -Demanio storico e artistico -Imposizione di vincolo -Presupposti. (I. 1 giugno 1939, n. 1089, artt. 3 e segg.). Demanio e patrimonio -Demanio storico e artistico -Vincolo Ragioni dell'imposizione -Comunanza ad altri edifici -Irrilevanza. (I. 1 giugno 1939, n. 1089, artt. 3 e segg.). Deve ritenersi pienamente legittima la delega di poteri dal Ministro al Sottosegretario per quanto concerne remanazione di provvedimenti costitutivi di vincolo di interesse artistico o storico a' sensi della legge 1 giugno 1939, n. 1089 (1). (1) La massima conseguenza dell'affermazione che il pnnc1p10 della delegabilit di poteri dal Ministro al Sottosegretario di Stato deve ritenersi generalmente applicabile quando ricorrano due condizioni: a) che non vi sia espressa riserva di poteri al Ministro; b) che si tratti dell'emanazione di atti amministrativi, che non abbiano rilievo politico o non esigano la compartecipazione di organi costituzionali. Sul concetto di delega cfr., di recente, GARGIULO, In tema di delega a decidere i ricorsi gerarchici, in questa Rivista, 1964, 539, per una ipotesi di competenza riservata dell'organo delegante; nonch CARus1, In tema di delegazione amministrativa, ivi, 1964, 700. La massima di specie ha un precedente in termini nella decisione 7 novem bre 1959, n. 790 della VI Sezione, Il Consiglio di Stato, 1959, I, 1539. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 996 Gli atti di delega dal Ministro al Sottosegretario sono soggetti al visto ed alla registrazione della Corte dei Conti solo quando i provvedimenti che costituiscono l'oggetto della delega siano, a loro volta, sottoposti al visto ed alla registrazione; pertanto, poich i provvedimenti ministeriali impositivi del vincolo di interesse storico o artistico non rientrano nel novero di quelli per i quali previsto il controllo della Corte dei Conti, detto controllo non necessario neppure per la delega preordinata al fine di consentire al Sottosegretario l'emanazione dei provvedimenti suddetti (2). Nessuna istruttoria formale necessaria nella fase preliminare del giudizio operato dall'Amministrazione cir.ca il valore storico o artistico di un immobile, cui imporre il vincolo previsto dall'art. 3 della legge 1 giugno 1939, n. 1089; e, pertanto, la eventuale mancanza del contraddittorio con il titolare dell'immobile deve considerarsi irrilevante (3). Ai fini dell'applicazione del vincolo di cui alla legge n. 1089 del 1939, quando sia opinabile l'attribuzione della paternit dell'opera, sufficiente che l'Amministrazione faccia leva sul notevole pregio artistico dell'opera stessa, in s e per s considerata (4). Il fatto che i notevoli pregi artistici di una costruzione siano comuni ad altri edifici ubicati nella stessa citt {o anche in altre) non elimina le ragioni di tutela sui singoli immobili ai sensi della legge n. 1089 del 1939 (5). (2) Non risultano precedenti in termini. (3) Numerose volte il Consiglio di Stato ha affermato che l'attivit preliminare svolta dall'Amministrazione al fine di pervenire al giudizio circa il valore storico o artistico dell'immobile non ha carattere tipico, e ci nel senso che la legge non solo non prevede che tale attivit si articoli in stadi o momenti distinti ovvero si svolga secondo determinate modalit, ma, addirittura, non fa cenno dell'attivit stessa: cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 12 dicembre 1962, n. 873, Il Consiglio di Stato, 1962, I, 2098; Cons. Stato, Sez. VI, 1 febbraio 1961, n. 116, iR.iv.' giur. edilizia, 1961, I, 162. Circa la discrezionalit del giudizio sull'imposizione del vincolo di interesse storico e artistico, cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 4 dicembre 1963, n. 951, in questa Rivista, 1964, 353; Cons. Stato, 23 ottobre 1963, n. 774, Il Consiglio di Stato, 1963, I, 1456; Cons. Stato, Sez. VI, Io febbraio 1961, n. 126, cit.; Cons. Stato, Sez. VI, 28 settembre 1960, n. 710, Riv. giur. edilizia, 1960, I, 1038. (4) Cfr., nello stesso senso, Cons. Stato, Sez. VI, 17 novembre 1964, n. 821, Riv. giur. edilizia, 1965, I, 186; Cons. Stato, Sez. VI, 18 ottobre 1961, n. 720, ivi, 1961, I, 1054. (5) Cfr., nello stesso senso, Cons. Stato, Sez. VI, 18 dicembre 1963, n. 1011, Il Consiglio di Stato, 1963, I, 1978; Cons. Stato, Sez. VI, 28 novembre 1862, n. 820, ivi, 1962, I, 1915. In analogo ordine di idee, Cons. Stato, Sez. VI, 17 novembre 1964, n. 821, Riv. giur. edilizia, 1965, I, 186, ha ritenuto che 11 non viziato da eccesso di potere per disparit di trattamento il provvedimento di imposizione del vincolo ,, f' ~~..iWJJ.WJ.(4.f,4.fffg~..P#J[fW~ W..qyr-f.:'P.&.-fil't"&f.'%}(-:W'tffl?J.?f:f~jW@rqfilWd[p1?74Y%.$9ff$.'J - PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 997 di interesse storico o artistico su di un immobile per avere l'Amministrazione omesso di sottoporre al vincolo altri immobili vicini che il ricorrente asserisce dotati di pregio, perch il riconoscimento di tale pregio involge una valutazione di merito esulante dal giudizio di legittimit, e manca il presupposto essenziale del vizio di disparit di trattamento, costituito dalla identit delle situazioni poste a raffronto ". Nello stesso senso v. pure Cons. Stato, Sez. IV, 25 settembre 1964, n. 997, ivi, 1964, 1551, con nota di precedenti. CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 2 luglio 1965, n. 507 -Pres. Toro Est. Pezzana -Scolaro (avv. Giannini) c. Ministero LL.PP. (avv. Stato lUcci) e soc. coop. << Lutezia (avv. Sorrentino). Edilizia popolare ed economica -Commissione di vigilanza -Provvedimento confermativo dell'esclusione da una cooperativa Ricorso al Consiglio di Stato -Deduzione di motivi nuovi Inammissibilit. (t.u., 28 aprile 1938, n. 1165, art. 103, primo comma). Edilizia popolare ed economica -Commissione di vigilanza -Attri buzioni di vigilanza e ili decisione -Distinzione -Fattispecie. (t.u., 28 apr~le 1938, n; 1165, art. 131, secondo comma). Non ammissibile la deduzione di motivi nuovi in sede di ricorso giurisdizionale avverso il provvedimento della Commissione di vigilanza per l'edilizia popolare ed economica che abbia pronunciato sul ricorso proposto contro la deliberazione di decadenza dalla qualit di socio, emessa dal Consiglio di amministrazione di una cooperativa edilizia (1). La Commissione di vigilanza, che sul ricorso dell'interessato sia chiamata a pronunciarsi circa la legittimit di un provvedimento del Consiglio di amministrazione di una cooperativa, non tenuta ad intervenire, nell'esercizio dei suoi poteri di ufficio, al fine di eliminare lamentate irregolarit nella gestione sociale, quando tali irregolarit non attengano alla validit del provvedimento impugnato {2). (1) In termini nello stesso senso, cfr. Cons. Stato, Sez. VI, Io febbraio 1961, n. 105, Foro amm., 1961, I, 759, e Il Consiglio di Stato, 1961, I, 335. La massima puntuale conseguenza dell'assimilazione operata in giurisprudenza (e di cui la sentenza in rassegna costituisce ulteriore affermazione) del ricorso alla Commissione di vigilanza con il ricorso gerarchico improprio: cfr. Cass., 14 marzo 1961, n. 576, Foro it., Rep., 1961, voce: case pop., n. 34; Cass., 10 ottobre 1962, n. 2926, Giust. civ., 1963, I, 811. Circa il principio della inammissibilit di motivi nuovi in sede di ricorso giurisdizionale cfr., di recente, Cons. Stato, Sez. VI, 24 giugno 1964, n. 502, Foro it., 1964, III, 473. (2) Esatta applicazf-One del principio secondo il quale le attribuzioni di vigilanza, che la Commissione esercita di ufficio, a tutela dell'interesse pubblico, e le attribuzioni decisorie, che vengono esercitate su ricorso degli interessati, non si confondono tra di loro ma rimangono distinte ed autonome: cfr. Cons. Stato, Sez. VI, . 998 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (Omissis). -In ordine al primo motivo osserva la Sezione che l'art. 13, lett. b) dello statuto sociale, invocato dal ricorrente, si riferisce l",~.,;i '.'. soltanto alle ipotesi del socio che si renda moroso nel versamento delle quote sociali sottoscritte ovvero non adempia puntualmente gli I impegni assunti a qualunque titolo verso la societ >>, espressione questa ~ ultima che sembra doversi intendere nel senso di inadempimento delle obbligazioni contrattuali assunte verso la cooperativa. Il mancato pagamento delle quote sociali per le spese di amministrazione sembra invece rientrare nella previsione dell'art. 13, lett. a) (inosservanza delle disposizioni dell'atto costitutivo o dello statuto o delle deliberazioni dell'assemblea e del consiglio d'amministrazione) in relazione all'art. 8 dello statuto sociale (norma che contempla espressamente l'obbligo del pagamento della quota in questione); e l'art. 13, lett. a) non prevede, ai fini della dichiarazione di decadenza, alcuna particolare procedura, oltre quella prescritta dalla legge, che fu, come pacifico, nella specie osservata. Comunque, ed il rilievo dispensa la Sezione da un pi approfondito esame della questione anche in rapporto al problema della prevalden 1 za o meno della norma d~ lebg~1e su quella statutaria, le censure dedotte a ricorrente sono inamm1ssi 1 i in quanto a suo tempo non proposte ,I ,, dinanzi alla Commissione di Vigilanza in sede di ricorso contro la deli1=:. j. berazione di decadenza emessa dal Consiglio d'Amministrazione della , Cooperativa (cfr. VI Sez., l" febbraio 1961, n. 105). La difesa del ricorrente riconosce la mancata deduzione del motivo fi in sede di ricorso amministrativo. Essa tuttavia chiede il riesame della !!l giurisprudenza sul punto, sostenendo che ai rapporti fra ricorso giurisdizionale e ricorso alla Commissione di Vigilanza non sarebbero applicabili i principi costante.mente affermati da questo Consesso in ordine ai rapporti tra rimedi giurisdizionali e riconio gerarchico. Infatti, il principio secondo cui in sede giurisdizionale non possono dedursi motivi non proposti in sede gerarchica, troverebbe la sua spiegazione nel carattere giustiziale del ricorso gerarchico; tale carattere difetterebbe al ricorso dinanzi alla Commissione di Vigilanza, la quale assomma in s funzioni contenziose e di amministrazione attiva. Questa tesi, per quanto abilmente svolta, non pu essere condivisa dalla Sezione. Sembrano a tal proposito decisive le seguenti considerazioni: 16 ottobre 1963, n. 535, in questa Rassegna, 1964, I, 137; Cons. Stato, Sez. VI, 7 novembre 1962, n. 779, Il Consiglio di Stato, 1962, I, 1884. In particolare, cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 30 aprile 1960, n. 285, ivi, 1960,~I, 760, che ha ritenuto illegittima la decisione della Commissione la quale, pur respingendo i motivi proposti in sede contenziosa, pervenga alla stesso risultato pratico perseguito dal ricorrente, esercitando i poteri di ufficio spettanti alla Commissione .. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 999 A) La giurisprudenza ha assimilato il ricorso alla Commissione di Vigilanza contro i provvedimenti delle Cooperative al ricorso gerarchico improprio. Sotto questo profilo stato, fra l'altro, ritenuto che, in difetto di norme sui termini di impugnazione, il ricorso deve essere propsto nei trenta giorni dalla notificazione o comunicazione o dalla piena conoscenza del provvedimento. In sostanza il ricorso alla Commissione di Vigilanza una forma particolare di ricorso amministrativo, nel quale l'atto impugnato promana da un soggetto privato, ma preordinato nell'interesse pubblico, il che giustifica che la cognizione della impugnativa sia sottratta al regime proprio dei ricrsi contro le deliberazioni delle societ commerciali e sia invece devoluta in prima istanza ad un organo amministrativo e poi al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale. Stante questa assimilazione del ricorso de quo al ricorso gerarchico improprio, si devono applicare integralmente i principi elaborati dalla giurisprudenza in materia di ricorso gerarchico, proprio ed improprio, e fra essi quello della non deducibilit in sede giurisdizionale dei motivi non proposti in sede di reclamo amministrativo. B) Ammesso che il principio da ultimo ricordato trovi la sua spiega. zione nel carattere di istituto preordinato a fini di giustizia, proprio del ricorso gerarchico, esso, anche a prescindere dalle considerazioni sopra svolte, deve trovare applicazione per quanto riguarda la Commissione di Vigilanza. vero che la Commissione di Vigilanza (come del resto anche normalmente nel ricorso gerarhico proprio riguardo aL superiore gerarchico) esercita funzioni di carattere contenzioso e funzioni di amministrazione attiva. Tuttavia essa non pu svolgere tali funzioni in modo promiscuo. Tanto che stata considerata illegittima la decisione la quale, pur respingendo i motivi proposti in sede contenziosa, pervenga allo stesso risultato pratico, perseguito dal ricorrente, esercitando i poteri d'ufficio spettanti alla Commissione (VI Sez., SO aprile 1960, n. 285). C) Pi che nel carattere e< giustiziale n del procedimento sul ricorso gerarchico, il principio della non deducibilit in sede giurisdizionale dei motivi non proposti in sede amministrativa, trova la sua ragione nella natura del sindacato di legittimit, il quale si esercita soltanto sul!' atto impugnato. Ora quando-il provvedimento impugnato ha natura decisoria, e dato che in sede di ricorso gerarchico lAutorit amministrativa non pu pronunziarsi che sui motivi dedotti, ammettendo la possibilit di proporre in sede giurisdizionale censure non fatte valere in sede decisoria gerarchica, si verrebbe a considerare oggetto della impugnativa giurisdizionale il provvedimento amministrativo di primo grado, con la conseguenza di svuotare di pratico contenuto l'istituto del ricorso gerarchico (VI Sez., 24 giugno 1964, n. 502). .,, 1000 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO In base alle argomentazioni che precedono, il primo mezzo deve pertanto essere considerato inammissibile, in quanto non dedotto dinanzi alla Commissione di Vigilanza in sede di ricorso contro il provvedimento del Consiglio d'Amministrazione della Cooperativa. In ord.ine al secondo mezzo osserva la Sezione che esattamente la Commissione di Vigilanza ritenne che le irregolarit addebitate dal dott. Scolaro agli amministratori della Cooperativa non esoneravano lo stesso dall'obbligo di corrispondere i contributi sociali. Egli infatti non aveva a suo tempo impugnato le delibere con le quali i detti contributi erano stati posti a carico dei soci. D'altra parte il ricorrente non pu dolersi del mancato intervento della Commissione di Vigilanza al fine di eliminare le lamentate irregolarit nella gestione sociale e per adottare eventuali provvedimenti a carico degli amministratori. I provvedimenti in questione attengono ai poteri d'ufficio della Commissione di Vigilanza e non a quelli decisivi, dalla medesima esercitata nel caso di specie. Nella presente controversia la Commissione era soltanto chiamata a pronunziarsi sulla legittimit del provvedimento del Consiglio di Amministrazione, con il quale il dott. Scolaro era stato dichiarato decaduto da socio della Cooperativa. Una volta accertato che le denunziate irregolarit non inficiavano la validit del provvedimento impugnato, la Commissione di Vigilanza non aveva, nell'esercizio delle sue funzioni di carattere contenzioso alcuna statuizione da emettere. ~ inoltre da osservare che, una volta irrevocabilmente accertata la legittimit dell'esclusione da socio del dott. Scolaro, il medesimo non ha pi interesse legittimo a far valere le eventuali irregolarit nell'amministrazione della Cooperativa. -(Omissis). CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 9 luglio 1965, n. 514 -Pres. Breglia -Est. Anelli -Bascone {avv. D'Agostino) c. Ministero Pubblica Istruzione (avv. Stato Faranda). Impiego pubblico -Maestro elementare -Collocamento a riposo Norme applicabili. (1. 15 febbraio 1958, n. 46, art. 1; t.u. 5 febbraio 1928, n. 577, art. 134). Leggi, decreti e regolamenti -Interpretazione della legge Ricorso ai lavori parlamentari -Esclusione. L'art. 1 della legge 15 febbraio 1958 n. 46, che ha disciplinato su nuova base il collocamento a riposo dei dipendenti civili dello Stato, fissandolo al compimento del sessantacinquesimo anno di et, ha abro j j . ~y4fff&?-'$.@'g:'.<::mr:wm:r~.-~1."f61&'...1f.W~'"-WW'"-1&'~%F:flffr.~4"%f%'=~'&.VWJ.%. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 1001 gato "l'art. 134 del t.u. 5 febbraio 1928 n. 577 sull'istruzione elementare, ed pertanto applicabile anche agli insegnanti elementari (l). I lavori parlamentari non possono essere invocati per sostenere una interpretazione diversa da quella consentita dai criteri di ermeneutica (2). (Omissis). -Il ricorso infondato. Con il primo motivo viene riproposta all'esame del Collegio la questione della sopravvivenza dell'art. 134 del t.u. 5 febbraio 1928, n. 577, in seguito ali' entrata in vigore della I. 15 febbraio 1958, n. 46. In particolare viene sostenuto nel ricorso che agli insegnanti elementari non dovrebbe essere applicato il primo comma dell'art. 1 della I. 15 febbraio 1958, n. 46 (il quale stabilisce che gli impiegati di ruolo dello Stato vengono collocati a riposo al compimento del 65 anno di et) ma dovrebbe essere tuttora applicato l'art. 134 del t.u. sull'istruzione elementare 5 febbraio 1928, n. 577, il quale, al primo comma, prevede la cessazione dal servizio dei maestri alla maturazione del doppio limite di 65 anni di et e di 45 anni di servizio. In proposito viene invocato il comma quarto del citato art. 1 della l. 15 febbraio 1958 n. 46, il quale stabilisce che nulla innovato alle norme vigenti, che stabiliscono limiti fissi di et per il collocamento a riposo n e si assume che fra tali norme, dovrebbe essere compreso l'art. 134 del t.u. citato il quale stabilisce anch'esso un termine fisso per la cessazione dal servizio, che sarebbe costituito dal giorno in cui sono maturati i limiti di et (65 anni) e di servizio ( 45 anni). Nel ricorso e nella memoria poi sostenuto che lart. 1 della legge n. 46 del 1958 ha avuto il fine di eliminare la discrezionalit dell' Amministrazione in materia di collocamento a riposo dei dipendenti civili. Ora tale discrezionalit non sussisterebbe per il collocamento a riposo (1) Giurisprudenza costante, nuovamente confermata dal Consiglio di Stato con la decisione in rassegna e con le ulteriori decisioni nn. 515-516 e 517, di cui si omette la pubblicazione perch identiche a quella annotata. Per i precedenti cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 14 marzo 1962, n. 255, Il Consiglio di Stato, 1962, I, 560; Cons. Stato, Sez. VI, 28 febbraio 1962, n. 216, Foro it., Rep., 1962, voce: maestro, n. 46; Cons. Stato, Sez. VI, 21 febbraio 1962, n. 184, Il Consiglio di Stato, 1962, I, 324; Cons. Stato, Sez. VI, 21 febbraio 1962, n. 193, Mass. amm., 1962, II, 125; Cons. Stato, Sez. VI, 10 maggio 1961, n. 424, Il Consiglio di Stato, 1961, I, 966; Cons. Stato, Sez. I, parere 20 agosto 1958, n. 1397, ivi, 1959, I, 294. (2) Brevi note in tema di interpretazione teleologica. L'affermazione della decisione annotata, che i lavori parlamentari non possano essere invocati per sostenere un'interpretazione diversa da quella consentita dai criteri di ermeneutica, seppure sostenuta quasi per incidens nel corso della motivazione, del massimo interesse perch implica una presa di posizione .del massimo giudice amministrativo su fondamentali problemi di metodologia interpre li 1002 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dei maestri, i quali cesserebbero dal servizio, al di fuori di ogni apprezzamento discrezionale della P.A., al verificarsi delle condizioni oggettive, stabilite dalla legge. Di conseguenza, mancherebbe il presupposto per l'applicazione del primo comma dell'art. 1 citato ai maestri, i quali dovrebbero essere quindi compresi fra le categorie di personale, previste nel successivo quarto comma, alle quali continuano ad essere applicate le speciali disposizioni che prevedono diversi " limiti fissi di et. Tutte queste argomentazioni sono state esaminate e disattese dal Consiglio di Stato sia in sede consultiva (Sez. I, 20 agosto 1958, n. 1397) sia in sede giurisdizionale {Sez. VI, 10 maggio 1961, n. 424; 28 febbraio 1962, n. 184; 21 .febbraio 1962, n. 100; 28 febbraio 1962, n. 216217; 14 marzo 1962, n. 255) per motivi che la Sezione non pu ora che confermare. La sopracennata giurisprudenza ha chiarito che la legge 15 febbraio 1948, n. 46, ha disciplinato su nuove basi l'istituto del collocamento a riposo dei dipendenti civili dello Stato, abolendo la discrezionalit dell'Amministrazione nel collocamento a riposo e stabilendo l'irrilevanza dell'anzianit al fine della cessazione dal servizio. tativa. Per meglio comprendere la portata della questione, occorre chiarire che il ricorrente, impugnando un provvedimento del competente Provveditorato agli studi, con il quale era stato disposto il suo collocamento a riposo, ed invocando la permanenza in vigore dell'art. 134 del t.u. 5 febbraio 1928, n. 577 pur dopo l'emanazione della legge 15 febbraio 1958, n. 46 aveva, tra gli altri motivi, dedotto la manifesta ingiustizia del provvedimento, e ci in quanto i maestri elementari, applicando al loro caso la disciplina dell'art. 1 della legge del 1958, verrebbero a costituire l'unica categoria di dipendenti civili dello Stato danneggiata da detta legge, mentre dai lavori parlamentari risulterebbe che le norme relative furono dettate con l'intento di favorire gli impiegati. Il Consiglio di Stato, facendo giustizia di tale tesi, ha riconfermato l'estraneit del momento prenormativo (ed in particolare dell'eventuale interesse posto a base della normazione) dal procedimento ermeneutico. .Si ripropone, cos, una antica antitesi fra due opposte concezioni dell'interpretazione della norma, sulla quale molto ed autorevolmente si scritto (1). (1) Per la letteratura pi recente, cfr. BoBBlo, L'analogia nella logica del diritto, Torino, 1938; BETTIOL, Giurisprudenza degli interessi e diritto penale, Riv. it. dir. pen., 1938, 385 e segg.; GIANNINI M. S., L'interpretazione dell'atto amministrativo, Milano, 1939; In., Analogia giuridica, fus, 1941, 561 e segg. e 1942, 41 e segg.; GoRLA, L'interpretazione del diritto, Milano, 1941; SAcco, li concetto d'interpretazione del diritto, Torino, 1947; SCARPELLI, Scienza del diritto e analisi del linguaggio, Riv. dir. comm., 1948, 212 e segg.; BURDESE e GALLO, Ipotesi normativa ed intenpretazio.ne del diritto, Riv. it. se. giur., 1949, 356 e segg.; BETTI, Le categorie civilistiche dell'interpretazione, Riv. it. se. giur., 1949, 34 e segg.; In., L'interpretazione della legge e degli atti giuridici, Milano, 1949; In., Teoria generale dell'interpretazione, Milano, 1955; cfr. anche BoBBIO, Scienza del diritto e analisi del linguaggio, Riv. trim. dir. proc. ci,v., 1950, 342 e segg.; RUBINO, Valutazione degli interessi nell'interpretazione della legge, Foro it., 1949, IV, 4; AI.LoRro, La vita del diritto in Italia, /us, 1950, 42 e segg. ; I .. I ~. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMlNISTRATIVA 1003 In particolare la legge anzidetta ha stabilito che il collocamento a riposo degli impiegati debba essere disposto al raggiungimento di un limite fisso di et nel presupposto che l'et sia l'unico elemento dal quale si possa in via astratta e presuntiva desumere l'attitudine dell'impiegato a prestare proficuo servizio. La finalit della norma non dunque solo quella di evitare che gli impiegati siano collocati a riposo in et diversa, a causa della discrezionalit della P.A. nella scelta del momento della cessazione dal servizio, ma anche quella di negare a quel fine la influenza del!' anzianit, che non pu essere considerato elemento dal quale si possa dedurre presuntivamente l'attitudine a proficuo lavoro. Il quarto comma della 1. 15 febbraio 1958, n. 46 non deroga, ma conferma questo principio allorch stabilisce che nulla innovato alle norme vigenti che stabiliscono limiti fissi di et per il collocamento a riposo di dipendenti civili dello Stato, che appartengano a particolari categorie . Invero queste leggi, fatte salve dal citato comma, gi adottavano il criterio della cessazione dal servizio alla maturazione di una determinata et {criterio poi generalizzato dalla legge n. 46 del 1958) ed assicuravano quindi la cessazione dal servizio ad una et fissa, In questa sede, senza pretendere di entrar~ nel vivo della questione, baster qualche cenno per giustificare l'adesione alla tesi fatta propria dal Consiglio di Stato. Bench abbia trovato autorevoli e rilevanti consensi anche di recente (2), la tesi della valutazione comparata degli interessi non sembra convincente. Ed infatti, o l'interesse, cui la norma d la priorit nella valutazione operata, un dato economico-sociale che preso bens in considerazione (quale presupposto o quale motivo secondo che si preferisca accentuare l'uno o l'altro punto di vista) (3) nella posizione della norma, ma non sussunto nell'atto posto attraverso il procedimento di formazione legislativa, cio nella norma stessa; ovvero tale sussunzione operata di guisa che l'interesse compare, sia pure, come ovvio, implicitamente, nella previsione normativa. Nella prima ipotesi non vedo la possibilit di ricorrere alla valutazione di un siffatto dato senza negare la regola della chiusura dell'ordinamento (4); cio senza escludere la scientificit stessa del diritto (5). N l'alternativa si risolve facendo riferimento alla c.d. mens legis, dato che l'interpretazione di quest'ultima (mens legis o intenzione che sia) si converte pur sempre in una inter( 2) BETTI, Interpretazione, cit., passim; In., Teoria genrale, cit., 789 e segg.; (3) Si tratta sostanzialmente del medesimo dato che rileva ad un tempo quale precedente storico dell'opera legislativa e quale scapo (o intenzione) del legislatore. (4) Regola, il cui valore non pu essere messo in dubbio neppure in relazione. al .procedimento analogico, posto che -come ha limpidamente dimostrato BOBBIO in L'analogia, cit. h1 estensione analogica atto interpretativo in senso proprio. Sostanzialmente conforme BETTI, Interpretazione, cit., 69. Vedi anche PUGLIATTI, Precisazioni in tema di vendita a scopo di garanzia, Riv. trim. dir. proc. civ., 1950, 298 e segg. (5) Sul concetto di scienza come un sistema chiuso e coerente di proposizioni definite cfr. BoBBIO, Scienza del diritto, cit., 351. ' 1004 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO valevole per tutti gli appartenenti alla categoria (es. 700 anno di et per i professori secondari, articolo unico della 1. 7 giugno 1951, n. 500; 75 anni di et per i professori universitari, art. 1 d.l. 26 ottobre 1947, n. 1251, modificato dalla I. 4 luglio 1950, n. 498). Solo queste leggi che, in relazione a particolari esigenze dei servizi ed ai caratteri delle prestazioni rese, hanno stabilito diversi limiti fissi di et per la cessazione dal servizio, il quarto comma citato ha fatte salve. Le altre norme che prevedevano la cessazione dal servizio non ad una data fissa, stabilita con riferimento al raggiungimento di un limite di et, ma ad un'et variabile in relazione all'anzianit di servizio, devono, invece, ritenersi abrogate per incompatibilit con il sistema stabilito dalla I. 15 febbraio 1958, n. 46. E fra tali norme senza dubbio rientra l'art. 143, primo comma, del t.u. 5 febbraio 1928, n. 577 il quale prevedeva che la cessazione dal servizio dei maestri dovesse avvenire alla maturazione di 65 anni di et e di 45 anni di servizio; sicch teoricamente il maestro, entrato in servizio in base a norme che lo esonerassero dai limiti di et stabiliti per l'accesso all'impiego, poteva restare in servizio sino a circa 110 anni di et. pretazione di verba. Il passaggio dall'interpretazione della lettera all'interpretazione dello spirito della norma avviene sempre nell'ambito dell'ordinamento normativo, in quanto la scoperta dell'intenzione non pu essere, in realt, che una scoperta di proposizioni nuove con le quali sempre meglio si riesce a determinare il significato della proposizione data (6). D'altro canto, l'interpretazione storica (cui porta, in ultima analisi, l'accettazione del criterio della valutazione comparata degli interessi), risolvendosi nella esigenza di adeguare la proposizione normativa alla c.d. realt sociale, implica, come di fatto avviene nei pi coerenti dei suoi sostenitori (7), l'accettazione della c.d. interpretazione evolutiva. Ma, dopo le fondamentali pagine del Romano al riguardo (8), non sembra lecito dubitare che tale tipo di atto interpretativo -almeno (6) Cos testualmente BoBBIO, Scienza del diritto, cit., 359. Questo punto va inteso ben chiaramente: o la mens legis viene concepita, come mi sembra preferibile, in quanto formulazione (talvolta esplicita in dipendenza della connessione di vari contesti legislativi, ma pi spesso implicita) della norma; oppure la si intende come un dato e~trinseco alla norma posta. (7) BETTI, Teoria generale, cit., 833 e segg. (8) SANTI RoMANo, Frammenti di un dizionario giuridico, Milano, I953 n9 e segg. Le obb:ezioni mosse dal BETTI al RoMANo non sembrano persuasive. Ed infatti: a) non esatto che l'impostazione del ROMANO sia ancorata a posizioni gnoseologiche prekantiane; cosa significa, infatti, ammettere che la riproduzione dell'oggetto nell'intelletto pensante si realizzi necessariamente con modificazioni ed alterazioni in dipendenza dalla struttura stessa dell'intelletto -cos SANTI RoMANo, op. cit., 120 -se non ammettere, anche se forse con scarsa consapevolezza, un processo sintetico di assimilazione dell'oggetto nello spirito?; b) La validit del criterio della valutazione degli interessi il quod demonstrandum, e non pu essere invocato -a pena di porre una petizione di principio -quale argomento. Ammette la validit dell'interpretazione evolutiva CARNELUTTI, Teoria generale del diritto, Roma 1940, 388. , ..: -~ PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 1005 Nella memoria stato sostenuto che tale aberrante conseguenza (evidentemente in contrasto con la lettera e con la ratio della legge n. 46 del 1958) sarebbe evitata con l'adozione di un sistema che consenta il mantenimento in servizio dei maestri solo quando essi, con il cumulo dell'anzianit e dell'et, non superino il coefficiente 110 e comunque non superino il 700 anno di et. Ma non esistono norme che prevedono un siffatto sistema. Sembra che nella memoria si alluda piuttosto ad una prassi in tal senso seguita dall'Amministrazione sotto il vigore dell'art. 143 del t.u. n. 577 del 1928; ma tale prassi sarebbe stata in contrasto con la chiara norma del citato art. 143 che non prevedeva affatto le limitazioni sopra indicate. Le argomentazioni svolte esonerano il Collegio da una analitica confutazione del secondo motivo, che riproduce sostanzialmente il primo. :: esatto che il quarto comma dell'art. 1 della I. 15 febbraio 1958, n. 46 si applica anche ai maestri elementari, l dove dispone che restano in vigore le norme che stabiliscono per il personale insegnante " una particolare decorrenza della cessazione dal servizio (stabilita dalla nel senso preciso che gli viene attribuito (9) -non abbia diritto di cittadinanza nella teoria dell'interpretazione giuridica. D'altra parte, individuare con certezza l'interesse, cui si vorrebbe ricorrere per aver lumi, presenta difficolt virtualmente insuperabili. Prescindo dall'appunto -peraltro convincente sul piano empirico nel quale circoscritta la sua validit che sostituire una giurisprudenza d'interessi all'analisi della norma non realizza quel superamento di posizioni antinomiche, in vista del quale si dovrebbe fare riferimento all'interesse tutelato; e ci perch l'indagine su tale interesse non o9:re maggiori garanzie di certezza di qualsiasi altro canone ermeneutico. Ci che mi preme piuttosto chiarire che la difficolt di una tale indagine dipende dalla irriducibilit del fine prefisso ai mezzi che sono a disposizione del giurista. Questi, come qualsiasi altro operatore, in tanto pu validamente (e, cio, con rigore di metodo) operare in quanto il fine che si propone di conseguire sia definito nell'ambito dello stesso sistema concettuale dal quale estrae gli strumenti di cui si serve. Si riproduce in sostanza lequivoco accennato: come potr l'interprete dall'analisi della norma ricavare la nozione di un interesse che per definizione fuori di tale norma? e se -per ci fare -deve egli stesso porsi al di l del sistema, non dovr dirsi che egli rinneghi l'autonomia e la completezza del sistema stesso? (9) Nessuno, credo, potrebbe contestare la validit di un procedimento interpretativo orientato nel senso che l'interprete non possa limitarsi a ripensare la norma nel suo primitivo collocamento storico ma debba anche e soprattutto mettere d'accordo quell'idea con. la presente .attualit, purch il concetto fosse inteso in riferimento all'attualit dell'ordinamento e non ad una posizione metag:uridica, vagamente designata come storica (cos, invece, a quanto sembra, GIORDANO, Vecchi e nuovi orientamenti in tema di interpretazione giuridica, Riv. dir. comm., 1950, 414). 1006 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO I. 9 agosto 1954, n. 637 al 30 settembre, successivo al giorno della maturazione dei prescritti requisiti), ma non si pu desumere da ci l'appli, cabilit agli insegnanti elementari anche della prima parte del citato comma quarto. N affatto illogico che l'applicazione della prima parte .:~ del ripetuto quarto comma sia stata limitata agli insegnanti medi universitari. Come si dett, le norme sul collocamento a riposo degli insegnanti secondari ed universitari gi avevano adottato il criterio della cessazione dal servizio alla maturazione di una certa et e si erano quindi ispirate allo stesso criterio adottato poi dalla legge n. 46 del 1958. Non altrettanto accadeva per i maestri elementari nei riguardi dei quali, come si rilevato pi volte, il collocamento a riposo veniva disposto tenendosi conto anche dell'anzianit di servizio, e cio in base ad un criterio non pi seguito dalla nuova legge. N si vede poi perch dovrebbe essere considerata una conseguenza illogica ed aberrante quella dello spostamento del limite di et da 65 a 70 anni nel caso di maestro elementare, passato nei ruoli degli insegnanti secondari. ovvio che, avendo la legge stabilito limiti di et per la cessazione dal servizio degli insegnanti elementari e di quelli secondari, in Opinare diversamente mi sembra che sia un disconoscere quell'esigenza di autointegrazione, che dell'ordine giuridico. Sotto un diverso profilo non direi che fissare la ratio iuris della norma nella valutazione degli interessi operata originariamente sia indispensabile per accertare in quale misura essa subisca modificazioni con il sopravvenire di mutamenti nel!' ambiente sociale o di nuovi orientamenti nell'ordine giuridico, realizzando in tal modo quell'adeguamento dell'ordinamento alla realt sociale cui l'interprete dovrebbe por mente (10). Mi sembra al contrario che l'enucleazione e la precisazione dell'interesse originariamente considerato possa operare quale remora a siffatto adeguamento, posto che la posizione di un dato metagiuridico nel sistema indurrebbe la rilevanza di un elemento estrinseco che, non potendo essere modificato in quanto determinazione precisa (in riferimento al momento in cui stato posto), impedirebbe il libero svolgersi della logica del sistema; la quale, al contrario, per essere del tutto interiore e dipendente dalla struttura del sistema stesso, si presenta come estremamente duttile, e quindi sensibile -per se stessa -a mutate esigenze storiche. In altri termini, la norma (vista, ben s'intende, nei rapporti con la totalit dell'ordinamento) -per la sua struttura di qualificazione formale -perfettamente idonea ad assumere una diversit di significato qualificante in ordine a mutate strutture pregiuridiche, laddove la precisazione di un interesse realizza un isolamento -parziale e perci valido soltanto nel concorso di determinate condizioni -della realt sociale. Un esempio varr a chiarire. Tradizionalmente si ripete che l'onere della forma ad substantiam imposta per gli atti traslativi dei diritti reali al fine di avvertire i contraenti dell'importanza dell'atto che si accingono (ro) Cos BETTI, Teoria generale, cit., 824. Su posizioni sostanzialmente analoghe sembra essere LEVI, Teoria generale dt:l diritto, Padova, I953, 2u e segg. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 1007 caso di passaggio del maestro nel ruolo degli insegnanti secondari debba aversi l'applicazione delle norme, stabilite per il collocamento a riposo di quest'ultimi, essendo diversa la natura dell'insegnamento secondario e diverse le attitudini per impartirlo. Il terzo motivo pone in rilievo che l'art. 143 del t.u. citato stato fatto salvo dalle norme della legge n. 675 del 1942, che ha inquadrato i maestri nel gruppo B dell'ordinamento gerarchico e dalle leggi n. 1066 del 1948 e n. 690 del 1952. Ma trattasi di disposizioni anteriori alla legge n. 46 del 1958; ed chiaro che la circostanza (peraltro non contestata) che, anteriormente alla legge n. 46 del 1958, l'art. 143 citato fosse applicabile non giova a dimostrare lapplicabilit dell'articolo medesimo anche dopo lentrata in vigore della ripetuta legge n. 46. La circostanza poi che la legge n. 165 del 1958 non abbia abrogato espressamente il citato art. 143 non argomento pregevole, atteso che la citata legge non poteva abrogare una norma, gi abrogata dalla precedente legge n. 46 del 1958. Il quarto motivo deduce l'illegittimit della circolare 11 ottobre 1958, nel presupposto che fosse errata l'interpretazione in essa data all'art. 1 della legge n. 46 del 1958. a compiere. Si faccia ora l'ipotesi che, per mutate condizioni dell'esperienza economica, siffatta categoria di atti non rivesta pi la medesima rilevanza (ipotesi tutt'altro che di scuola, ove si pensi che si tratta di un processo gi parzialmente in atto) (11). Che conto si dovr allora fare dell'interesse in precedenza rilevato? Se tale interesse avesse valore autenticamente determinante nell'opera dell'interprete, se -iri altre parole -la norma valesse in quanto sia sussistente l'interesse considerato, dovrebbe concludersi per la disapplicazione della norma. Ma se il precetto legislativo dovr purtuttavia essere attuato, allora parrebbe necessario sostituire alla primitiva valutazione pratica un altro scopo che dia ragione della sua conservazione. Quale potr essere siffatto scopo in un ambiente economico del tipo ipotizzato? Forse l'avvertimento per i contraenti che essi si accingono a compiere un atto di trascurabile (o, comunqu<;i, minore) rilevanza sociale? L'assurdit della soluzione prova l'erroneit del principio. Per altro aspetto, il rilievo, che secondo la teoria teleologica va dato all'esito pratico cui dovrebbe mirare l'interprete attraverso l'atto di interpretazione, pu condurre a confusioni pericolose, qual' quella di considerare attivit interpretativa in senso proprio (sia pure con il correttivo della presenza di un momento meramente ricognitivo) la c.d. interpretazione autentica. Infatti, soltanto nell'ambito di un sistema che postuli (o presupponga) la funzione non esclusivamente ricognitiva dell'atto interpretativo possibile attribuire qualificazione di interpretazione ad una operazione che tale non certamente (12). (n) Cfr. SANTORo PASSARELLI, Dottrine, cit., 44~ (12) Che la c. d. interpretazione autentica non realizzi un atto interpretativo non mi sembra seriamente contestabile. Giova riferire le parole di SAcco, Alcune novit in materia d'interpretazione, Riv. trim. dir. proc. civ., 1951, 748 e segg., 761: L'interpretazione autentica vincola l'interprete, dunque norma. Se in pi sia anche dichiarazione di scienza, non 1008 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Ma la circolare anzidetta ha seguito il criterio interpretativo indicato dalla sopraindicata giurisprudenza di questo Consiglio; pertanto la censura suddetta resta assorbita dalle considerazioni che precedono. Il quinto motivo deduce ingiustizia manifesta in quanto i maestri costituirebbero l'unica categoria di dipendenti danneggiata dalla legge del 1958, mentre dai lavori parlamentari risulterebbe che la legge stessa avrebbe inteso favorire gli impiegati. Osserva la Sezione che, di fronte al chiaro dettato della legge, non giova il richiamo ai lavori parlamentari che, come noto, non possono essere invocati per sostenere un'interpretazione diversa da quella con- sentita dai criteri di ermeneutica. Peraltro l'affermazione (desunta da un'espressione usata nella relazione al disegno della legge del 1958) che la legge stessa non avrebbe recato danno agli impiegati, va evidentemente intesa nel senso che dalla legge medesima le categorie impiegatizie avrebbero tratto in via generale vantaggio, essendo chiaro che la possibilit di cessazione dal servizio, con anticipazione rispetto alla precedente legislazione, insita nel sistema della nuova legge che ha esclusa la possibilit degli impiegati di restare in servizio (dopo l'applicazione delle norme transitorie dell'art. 4), oltre il limite di et di 65 anni. -(Omissis). interessa, n pu interessare il giurista. Spesso anche norme non interpretative sono, nella psiche di chi le detta, pure ricognizioni (i legislatori illuministi credevano di interpretare il diritto naturale). Ma la funzione della norma sempliemente il contenuto della stessa (quella che grosso modo si esprime con l'elenco imperare permittere vetare) a prescindere se il legislatore supponga di svolgere attivit volitiva o ricognitiva, Il giurista non avrebbe alcun motivo di considerare a parte le norme interpretative se non avvenisse che de jure interpretando bisogna ricercare se il legislatore abbia voluto dare alla norma contenuto retroattivo, e la formulazione interpretativa della norma importante mezzo per scoprire che il suo contenuto deve essere retrospettivamente applicato. Aggiunger soltanto che questi concetti valgono per l'interpretazione autentica non solo di norme legislative ma anche di precetti dell'autonomia privata. Non mi pare, infatti, si possa dubitare -alla luce dei pi recenti studi che il potere di accertamento incompatibile con l'autonomia privata; in altri termini, che il negozio di accertamento non ammissibile nel nostro ordinamento (cos, da ultimo, SANTORO PASSARELLI, La transazione, Napoli, 1958, 25 e segg., ed autori ivi citati). Diverso potrebbe essere il discorso per il caso che l'interesse valutato sia stato sussunto nella norma. Un esempio interessante del fenomeno pu rinvenirsi nella teoria penalistica dell'oggettivit giuridica del reato: dove, per, opportuno chiarire che la sussunzione dell'interesse tutelato nella norma, e cos la sua riduzione nell'ambito della fenomenologia giuridica, pi che dubbia tanto che la stessa dottrina penalistica resta a trarre tutte le conclusioni che si impongono dall'accettazione del principio. Comunque -e riducendo la citazione in forma di ipotesi per comodit di ragionamento -sta di fatto che in tal caso l'interesse valutato bens rilevante (e di esso l'interprete dovr tener conto ai fini dell'intendere) ma unicamente in quanto assunto dal campo metagiuridico all'ambito della norma; ed allora si ricade nell'ordine concettuale di una interpretazione concepita come analisi del linguaggio, che non ha nulla a che vedere con la teoria della valutazione degli interessi, T. ALIBRANDI SEZIONE QUINTA GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA CORTE DI CASSAZIONE, Sez .. I, 9 novembre 1964, n. 2705 -Pres. Ross~no -Est. Straniero -P.M. Tavolaro (conf.) -Soc. Petrolifera Toscana (avv. Azzolini) c. Ministero Finanze {avv. Stato Carafa). Imposta di registro -Concessione di terreno per costruirvi una stazione di servizio con impianto di distributori di carburanti. (tariffa all. A legge registro, artt. 1 e 44). Obbligazioni e contratti -Concessione ad aedificanclum e loca zione -Differenze -Qualificazione del contratto -Incensura bilit -Limiti. Nella concessione del godimento di un terreno per costruirvi una stazione di servizio con l'impianto di distributori di carburanti e lubrificanti, che non contenga una f3'splicita esclusione degli effetti caratteristici del diritto reale {in particolare della efficacia erga omnes), non pu negarsi la costituzione di un diritto di superficie che risulti altrimenti e, in particolare, dalla rinuncia, esplicita o implicita, del dominus soli all'acquisto per accessione della propriet delle costruzioni da edificarsi (1). La pronuncia del giudice di merito che per la qualificazione giuridica di un contratto come concessione ad aedificandum anzich come locazione, abbia interpretato e ricostruito la volont dei contraenti desumendola essenzialmente dallo scopo e dagli effetti da essi voluti e dalla funzione strumentale del godimento del terreno nella economia complessiva del contratto, non sindacabile in cassazione, perch consegue ad una valutazione condotta a norma delle regole di ermeneutica prescritte dalla legge, ed giustificata da una motivazione adeguata (1-2) Sulla tassazione dei contratti di concessione di terreni per la costruzione di stazioni di servizio con l'impianto di distributori di carburanti. Con la sentenza in esame la Cassazione ha risolto per la prima volta il problema fiscale relativo alla qualificazione giuridica del contratto con cui si concede il godimento di un terreno per costruirvi una stazione di servizio con l'impianto di 1010 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ed aderente ai principi giuridici sugli elementi caratteristici e diff erenziatori della superficie e della locazione, ed , infine, esente da vizi logici (2). (Omissis). -Il problema che le parti sottopongono all'esame di questo Supremo Collegio, dopo le opposte statuizioni dei giudici del merito, consiste nell'accertare se il contratto di cui alla scrittura privata 1 settembre 1958, relativa alla concessione di un terreno, da parte di Agostino Pallini alla Petrolifera Toscana, affinch quest'ultima potesse costruirvi una stazione di servizio con l'impianto di distributori di carburanti e lubrificanti, abbia posto in essere un diritto reale di superficie a tempo determinato ovvero un diritto personale di godimento del terreno e delle addizioni che vi fossero state fatte: ci per dedurne, ai fini tributari, l'assoggettabilit del contratto medesimo all'aliquota di imposta prevista dall'art. 1 della tariffa all. A alla legge di registro, che, per l'appunto, contempla, fra l'altro, gli atti traslativi a titolo oneroso dei diritti reali su immobili, ovvero all'altra enunciata nell'art. 44 della tariffa medesima, per le locazioni e sublocazioni di beni mobili ed immobili. La decisione della Corte di Firenze, che ha ritenuto doversi pronunciare per il riconoscimento della superficie, , infatti, denunciata dalla Petrolifera per violazione e falsa applicazione degli artt. 1322, 1325, 1362 e segg., 1571 e segg. 952 e.e. e dell'art. 8 r.d. 30 dicem distributori di carburanti, del quale si gi data notizia in questa Rassegna, 1957, 161, in occasione della decisione di analoga controversia da parte del Tribunale di Roma. La soluzione che la Suprema Corte ha dato a tale problema appare corretta, sia per l'esatta impostazione dell'indagine compiuta, sia per i risultati concreti raggiunti. E non deve trarre in inganno il fatto che altra sentenza pubblicata lo stesso giorno in causa pendente fra le stesse parti (la n. 2706 che la sola massimata ufficialmente) rechi un dispositivo diverso, dato che con quella seconda sentenza la Cassazione ha cassato la pronuncia impugnata per difetto di motivazione in ordine agli argo.menti decisivi posti in luce con la sentenza in esame ed ha disposto la rinnovazione dell'indagine di merito per la concreta e motivata applicazione dei principi di diritto .conformemente affermati con le due pronuncie. Non va dimenticato infatti che, come la Suprema Corte ha ribadito con la sentenza in esame, il problema della qualificazione giuridica di un negozio si risolve in due distinte operazioni di ordine logico: prima (di fatto) relativa alla interpretazione del contratto, una seconda (di diritto) consistente nell'attribuzione del nomen iuris, previa interpretazione sul pfano giuridico degli elementi precedentemente accertati (gi nello stesso senso, Cass., 14 settembre 1963, n. 2509 Foro it., Mass., 1963, 714). Onde chiaro che l'indagine relativa alla qualificazione giuridica di un contratto si risolve sempre in una pronuncia di specie, e quello che interessa pertanto non la concreta soluzione adottata, ma la precisazione dei criteri in base ai quali l'indagine deve essere svolta, PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1011 bre 1923 n; 3269, nonch per motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c. Con una prima censura la ricorrente investe le premesse poste dalla sentenza impugnata a base della sua indagine. Ci, sotto il profilo che il principio, statuito dall'art. 8 della legge organica, secondo la quale la tassa di registro va applicata secondo la intrinseca natura degli atti e dei trasferimenti ancorch non vi corrispondano il titolo o la forma apparente, non autorizza l'interprete a prescindere dalla effettiva e concreta volont negoziale delle parti per richiamarsi allo schema contrattuale in astratto pi adatto agli scopi pratici delle parti stesse perseguiti n, tanto meno, autorizza l'interprete medesimo a prescegliere, per l'indagine sulla qualificazione del contratto, un criterio-guida di carattere tributario. La norma fiscale non ha voluto, invero, derogare al principio, fondamentale del diritto privato, dell'autonomia dei contraenti ma soltanto affermare e ribadire il concetto che l'indagine sul contenuto volitivo va effettuata alla stregua delle clausole e degli effetti giuridici voluti e conseguiti e che, in ogni caso, deve prevalere su ogni altro diverso elem@to il contenuto effettivo quale risulta dalla volont manifestata. Questa prima censura non fondata. La Corte di merito non ha affatto contestato il principio che l'interprete debba attenersi, in tema di applicazione dell'art. 8 della legge di registro, al contratto realmente posto in essere dalle parti piuttosto che Ed da tale punto di vista che la sentenza in esame particolarmente interessante, perch con essa la Cassazione ha esattamente risolto il quesito sottoposto in tutti i momenti del procedimento logico seguito, e cio: nella precisazione del metodo di indagine, nella individuazione dei criteri di qualificazione del contratto, e nella appli_cazione di tali criteri alla fattispecie risultante dagli accertamenti insindacabili del giudici di merito. . In ordine alla precisazione del metodo di indagine, infatti, la Suprema Corte ha esattamente affermato che, trattandosi nel caso della qualificazione di un contratto per i fini della relativa tassazione di registro, l'interpretazione di esso deve essere compiuta in considerazione degli elementi determinanti posti in luce dal!' art. 8 della legge di registro (intrinseca natura ed effetti sostanziali conseguiti, anzich ttolo e forma apparente), ed ha altres esattamente stabilito che tutto ci non significa violazione della volont contrattuale, ma esatta precisazione della sua sostanziale portata. In ordine poi alla individuazione dei criteri di qualificazione fra concessione ad aedifcandum (di natura reale) e locazione di immobile con facolt di effettuare addizioni (di natura personale), la Cassazione ha anzitutto negato efficacia determinante a quelle che sono caratteristiche comuni ad entrambe le fattispecie, e in particolare sorte riservata dalle parti alle costruzioni compiute dal concessionario alla scadenza del contratto. Per quanto riguarda il termine di durata infatti certo che esso si adatta indifferentemente ad entrambe le fattispecie (cfr. artt. 952 e 1573 e.e.), mentre 1012 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ad uno schema astratto, ma ha voluto soltanto porre giustamente nella dovuta evidenza la necessit di tener conto della sostanza piuttosto che dell'apparen~a della convenzione, degli effetti giuridici conseguiti dal contratto piuttosto che degli scopi pratici non conseguiti, della realt giuridica ed economica inerente al contratto medesimo, piuttosto che della qualificazione a quest'ultima data, erroneamente o fraudolentemente, dalle parti. N le si pu ragionevolmente muovere l'addebito di avere impostato l'indagine su un criterio-guida tributario, nel senso che l'angQlo visuale dal quale occorreva esaminare la fattispecie fosse, necessariamente ed esclusivamente, quello rilevante in ordine alla legge di registro, se vero che questa Corte ha gi precisato sia (Sez. Un., sentenza 81 gennaio 1958, n. 282) che l'attivit tributaria, nel caso in cui presuppone e prende a base delle imposte negozi di diritto privato, segue criteri propri al diritto tributario e in conformit a tali criteri ne qualifica gli effetti, anche eventualmente in difformit dai principi di diritto privato che li reggono, sia, pi specificamente {sent. 18 giugno 1956, n. 2150) che la legge fiscale pu dettare tassativamente i criteri ai quali l'interprete deve attenersi per determinare la natura di taluni contratti ai fini dell'applicazione di determinati tributi, senza che, in tal caso, possa essere dato rilievo alcuno al nomen juris, attribuito dalle parti in difformit dai criteri stessi. Le altre censure riguardano, invece, la ratio decidendi, interpretativa e deduttiva, che la Corte di merito ha tratto da talune clausole per quanto riguarda la sorte delle costruzioni alla scadenza del contratto deve ricordarsi che, se stabilito dall'art. 953 e.e. che al cessare della concessione " il proprietario del suolo diventa proprietario della costruzione "' tuttavia noto che tale disposizione ha natura semplicemente dispositiva, tale cio da consentire un diverso regolamento pattizio della sorte delle costruzioni (cfr. PULGIESE, Commentario Scialoia e Branca, sub art. 953, 453; SALIS, La superficie, Trattato dir. civ., Vassalli, Torino, 1954, 73, 74 e ivi nota 5; BALBI, Il diritto di superficie, Torino, 1948, p. 167, 168; SIMONCELLI, Nuovo digesto italiano, voce Superficie, n. 9; LuccI, Del diritto di superficie, Trattato dir. civ., gi diretto da FIORE, Torino, 1927, 237). Sia che le parti abbiano quindi stabilito che alla scadenza del rapporto la costruzione appartenga al proprietario, o che la stessa debba essere demolita a cura e spse del concessionario, in entrambi i casi ci si potr indifferentemente trovare di fronte ad una locazione o ad una concessione ad aedificandum, da qualificarsi evidentemente in base ad altri criteri, essendo la sorte riservata alle costruzioni alla cessazione del rapporto elemento indifferente a tal fine. E lo stesso discorso potrebbe ripetersi per quanto riguarda la forma del contratto e la sua trascrizione. E noto infatti che la concessione ad aedificandum deve essere stipulata per iscritto (cfr. App. Roma, 27 novembre 1958, Giust. civ., Rep., 1959, 2, 3042; Cass., 7 ottobre 1958, n. 3135, Foro it., Rep., 1958, col. 2601, n. 2), mentre la locazione endonovennale pu essere stipulata anche verbalmente, ma chiaro che, se questa ultima stipulata anch'essa per iscritto, l'elemento formale non vale pi a distin PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1013 contrattuali, sovratutto, dalla terza che dava facolt alla Petrolifera di utilizzare il terreno, come meglio avesse ritenuto opportuno, per lo svolgimento della sua attivit commerciale e, quindi, di collocarvi distributori di carburanti e lubrificanti ed altre apparecchiature mobili ed infisse, asportabili e recuperabili in qualsiasi momento perch il Pallini riconosceva espressamente che tutto il materiale della stazione non costituiva infisso. Un primo ordine di tali censure investe direttamente tanto l'interpretazione, secondo la quale la Corte ha ritenuto che l'attribuzione alla Petrolifera della immediata piena disponibilit di tutto il materiale, la riferibilit dell'espressione materiale per la sua palese onniespressivit , alle costruzioni in muratura e, in genere, alle installazioni incorporate nel suolo, lesclusione pattizia, ci malgrado, della nozione di infisso e delle sue conseguenze dimostrano che le parti avevano voluto escludere l'accessione a favore della propriet del suolo, quanto, sovratutto, la deduzione che siffatta esclusione, in quanto prevista quale effetto giuridico effettivo del contratto, denuncia di per s la costituzione di un diritto reale di superficie ed elimina, per converso, la configurabilit della loca:iione. Un' secondo ordine investe, invece, l'ulteriore argomento della sentenza impugnata, secondo il quale, indipendentemente dagli effetti della convenzione, la superficie pu comunque trovare un autonomo e decisivo apporto nel fatto che il contratto in esame intendeva tutelare quale guere le due fattispecie. E ci senza considerare comunque che la mancanza dell'atto scritto non varrebbe mai a mutare la concessione ad aedifcandum in locazione, bens renderebbe nulla quella concessione per mancanza della forma richiesta ad aedifcandum. La trascrizione poi, a cui sono soggette sia la concessione ad aedifcandum che la locazione ultranovennale (art. 2643, nn. 2 e 8 e.e.), in quanto mezzo di pubblicit del titolo, elemento anch'esso sicuramente indifferente per l'individuazione della natura del rapporto, e non pu quindi essere utilizzata per i fini del nostro problema (cfr., in argomento, MEssINEO, Manuale dir. civ. comm., 2, 502; DE Ruaamno, Istituzioni dir. civ., 3, 334). Nella fattispecie poi era stato anche sostenuto dalla ricorrente che, essendo elementi caratteristici della concessione ad aedifcandum di natura reale da alienabilit, la ipotecabilit, la trasmissibilit e la tutela erga omnes del relativo diritto del concessionario, laddove tali caratteristiche non risultino dal relativo contratto, non ' possibile parlare di rapporto reale. Anche in proposito, peraltro, la Cassazione ha esattamente affermato che, in mancanza di alcun riferimento a tali elementi, gli stessi non rivestono alcuna efficacia qualificante, e non escludono pertanto che la natura del contratto possa essere esattamente individuata prescindendo da quelle caratteristiche ed applicando invece il vero criterio di qualificazione fra le due fattispecie. Non pu certamente negarsi infatti che la concessione ad aedifcandum abbia natura reale, e che la locazione invece abbia natura personale, che il diritto del 1014 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO interesse primario non il godimento del terreno, sia pur incrementato da talune addizioni, ma l'installazione della stazione di servizio, dal momento che in ipotesi la qualificazione del negozio pu essere desunta anche dalla funzione del godimento del terreno quale utilit primaria nell'economia complessiva del contratto ovvero, soltanto quale utilit strumentale rispetto alle addizioni e nel caso concreto dal rilievo che, nella mancanza di una normativa contrattuale che abbia statuito l'operativit del principio dell'accessione e nella presenza, invece, di una clausola che tale principio esclude, la concessione alla Petrolifera del diritto di servirsi del terreno per " fare e mantenere " le cstruzioni non 'J'.U essere altrimenti individuata che quale oggetto principale cl,el contratto, idoneo a caratterizzare quest'ultimo come costitutivo di un diritto reale di superficie. Osserva al riguardo la ricorrente che la Corte non ha tenuto sufficiente conto del carattere temporaneo della durata del diritto sulle costruzioni, dell' amovibilit e della modestia delle opere, della circostanza che l'accertamento della ,causa non pu costituire, elemento decisivo per individuare la natura del negozio o pi specificamente, l'attribuzione ad esso di effetti reali owero soltanto obbligatori. L'ipotesi di una concessione ad aedificandum con .carattere di diritto personle, fondato su un rapporto meramente obbligatorio, non pu considerarsi estranea all'ordinamento giuridico vigente e, di conseguenza, l'identificazione del diritto di superficie, di natura reale, quale oggetto superficiario, e non quello del locatario, sia alienabile, ipotecabile, prescrittibile e tutelabile erga omnes. Quello che deve negarsi per che tali caratteristiche, costituenti esclusivamente degli effetti del negozio, possano valere, in mancanza di esplicito e sostanziale riferimento ad esse, come criterio di qualificazione del singolo contratto. Fermo infatti, ad esempio, che la superficie ha natura reale e che il diritto del superficiatario pu essere quindi tutelato erga omnes, di fronte ad un contratto con cui si cede semplicemente il godimento di un terreno per effettuarvi delle costruzioni, potr parlarsi di effetti reali ed ammettersi la tutela erga omnes dei diritti del concessionario, solo dopo che quel contratto sia stato qualificato come superficie e non come locazione. E ugualmente per quanto riguarda la alienabilit, la ipotecabilit e la prescrittibilit del diritto del superficiatario. Costui potr, infatti, ritenersi destinatario delle relative disposizioni (artt. 965, 2810, n. 3, 954, quarto comma, e.e.) soltanto in quanto potr dimostrare che il suo contratto una concessione ad aedifcandum e non una locazione. In altre parole, quindi, la realit della superficie e la personalit della locazione, come l'assolutezza e la relativit dei diritti che d esse diversamente derivano, costituiscono le consegne e gli effetti di una operata qualificazione del titolo costitutivo del rapporto e non possono pertanto valere, in mancanza di un esplicito e sostanziale riferimento contrattuale, come criteri in base ai quali simile operazione deve essere condotta. Oltre a ci, quindi, la Cassazione ha sostanzialmente condiviso, in ordine al problema in esame, le seguenti considerazioni. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1015 di una concessione del genere, pu aversi soltanto qualora si accerti che le parti abbiano posto in essere le condizioni e gli elementi che caratterizzano fistituto ed abbiano voluto costituire un diritto reale. La fattispecie, d'altra parte, rappresenta, per l'appunto, una concessione ad aedi-ficandum di natura e contenuto strettamente personali e tale da risolversi in un tipo anomalo di locazione, in quanto nel rapporto non si ritrovano i requisiti esclusivi e tipici della concessione ad aedificandum ad effetti reali e l'acquisto immediato della propriet delle opere da parte della Petrolifera a norma di contratto non incompatibile con il regime particolare della locazione che contempli fra le sue pattuizioni .la facolt del locatario di eseguire addizioni uel fondo locato, dal momento che la possibilit di esercizio dello jus tollendi da parte del locatario fa s che l'acquisto effettivo della propriet dell'addizione da p~rte del proprietario del suolo non si verifica, per diritto di accessione, nel momento stesso della incorporazione e nella pendenza del rapporto ma coincida, invece, con la fine di quest'ultimo e con la dichiarazione del proprietario di voler ritenere. Le censure non sono fondate, posto che l'indagine va effettuata sulla base del principio, di recente ribadito da questo Supremo Collegio (sentenza 14 settembre 1963, n. 2509), che il problema della qualificazione giuridica di un negozio si risolve normalmente in due distinte operazioni di ordine logico, rispettivamente accentrate nell'identificazione degli elementi costitutivi dell'attivit negoziale e delle finalit Come si gi avuto occasione di ricordare in questa Rassegna, 1964, 952, la dottrina e la giurisprudenza hanno da tempo riconosciuto che l'elemento differenziatore dei singoli negozi dato dalla loro causa, alla quale, costituendo lo scopo, pratico ed impersonale, che assiste ogni fattispeie e ne giustifica la tutela giuridica, deve riconoscersi, per ci stesso, una funzione tipica di elemento differenziatore dei diversi negozi. E mentre la causa della locazione consiste nella semplice cessione onerosa del godimento di un bene (art. 1571 e.e.), quella della concessione ad aedifcandum consiste invece nell'autorizzazione di fare e mantenere una costruzione su suolo altrui, acquistandone la propriet (art. 952 e.e.). Nella prima cio la funzione del negozio si esaurisce nella cessione del godimenti di un bene gi esistente e secondo la propria consistenza e naturale destinazione {casa per essere abitata, fondo per essere coltivato, azienda per essere gestita nell'esercizio d'impresa); nella seconda invece la stessa funzione si esaurisce nell'autorizzazione ad effettuare una costruzione su suolo altrui ed a godere di questa, seppure temporaneamente, come proprietario. Si tratta in sostanza di due scopi pratici completamente distinti, sui quali, data la loro tipica immodificabilit, necessario fondare la soluzione del problema di qualificazione delle singole fattispecie conci:.ete. ' E la fattispecie che ora interessa riguarda il contratto con cui un imprenditore esercente attivit in campo petrolifero ottiene il godimento di un terreno per costruirvi una stazione di servizio ed installarvi (sul suolo e nel sottosuolo) impianti di distribuzione carburanti, impegnandosi ad eseguire a sue spese tali manufatti, :-:. 1016 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO pratiche perseguite dalle parti e nella attribuzione del nomen juris previa interpretazione sul piano giuridico degli elementi precedentemente accertati, e che, di dette operazion~ mentre la seconda consente il sindacato di legittimit, in quanto, esaurendosi nella sussunzione del fatto nello schema che gli proprio, implica la soluzione di un problema giuridico e, quindi, la possibilit di un errore di diritto, la prima, viceversa, vi si sottrae perch il giudice di merito, nel corso dell'indagine diretta a riconoscere la comune volont delle parti, pu incorrere soltanto in errori di fatto. Non vi dubbio, invero, che, sotto il profilo della sussunzione del contratto, quale risulta dalla interpretazione delle clausole e dalla volont negoziale nelle stesse concretatasi, nessun addebito possa muoversi alla sentenza impugnata. Non giova, infatti, richiamarsi in contrario senso al carattere temporaneo del godimento del suolo {e, di riflesso delle costruzioni) da parte della Petrolifera, proprietaria delle costruzioni medesime, soltanto fino alla scadenza del contratto, perch il concetto di realit non postula sempre e necessariamente, quello di perpetuit e la superficie a tempo determinato ammesso dall'ordinamento giuridico vigente {art. 953 e.e.). Non giova neppure richiamarsi alla pretesa amovibilit dei manufatti ed alla conseguente loro non incorporabilit nel terreno perch il contratto prevedeva espressamente la possibilit di installazioni anche di apparecchiature infisse e gi questa Corte ha avuto occasione di precisare (sentenza 13 maggio 1959, n. 1477) che "alla vera e propria incorporazione pu ben essere equi- per goderne come dominus per tutta la durata del contratto e dietro il pagamento di un corrispettivo annuo prestabilito. Con un tale contratto il concessionario ha s ottenuto dal proprietario il godimento di un terreno, ma la funzione del negozio non consiste nello sfruttamento di tale terreno secondo la sua consistenza e naturale destinazione, bens nella possibilit di costruirvi e mantenervi una costruzione, al pieno godimento della quale il concessionario, conformemente ai propri fini professionali, ha volto esclusivamente la volont contrattuale. E tale funzione, in quanto perfettamente corrispondente alla causa oggettiva del negozio di concessione ad aedifcandum, vale da sola ad attribuire al contratto la corrispondente natura. N si dica che, essendo pure concepibile una locazione di terreno con facolt di effettuarvi costruzioni, tale facolt pu ben conciliarsi con la causa della locazione, onde nel caso che interessa essa non varrebbe ad attribuire al contratto la natura di concessione ad aedifcandum. Tale affermazione sarebbe infatti chiaramente inesatta perch le costruzioni che l'affittuario pu essere autorizzato a fare nei limiti del godimento del fondo acquisito col contratto di locazione, per rimanere nell'ambito della relativa causa contrattuale, devono sempre costituire degli accessori, volti allo scopo di un miglioramento di quel godimento, il quale rimane sempre l'elemento differenziatore dell'intero contratto (cfr. Trib. Roma, 24 gennaio 1959, Giust. civ., Rep., 1959, 2, 3042, n. 10). Quando invece la costruzione acquista esclusiva rilevanza causale nel ,;-: PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1017 parata l'infissione con stabile aderenza al suolo . Non giova, infine, prospettare una pretesa mancanza di elementi essenziali per la caratterizzazione della superficie, in particolare della efficacia erga omnes del diritto della Petrolifera di fare e mantenere costruzioni sul suolo altrui perch, se pur vero che la premessa sulla essenzialit esatta e che sua conseguenza inequivocabile l'inconfigurabilit della superficie quale oggetto di un negozio che pur le parti abbiano qualificato siccome della stessa costitutivo quando nel negozio medesimo l'efficacia in questione risulti esplicitamente esclusa, non men vero che, in mancanza di una clausola limitativa o di qualsiasi altro elemento che possa comunque essere interpretato come indicativo, nella volont delle parti, di identici effetti esclusivi, non vi motivo per contestare sotto tal profilo l'esistenza di un diritto reale di superficie che risulti altrimenti, in particolare dalla rinuncia, espHcita o implicita, del dominus soli all'acquisto per accessione delle costruzioni da edificarsi, rinuncia che pone le premesse per il sorgere della propriet separata del costruttore e del diritto di superficie a favore dello stesso che nella specie la Corte ha incensurabilmente accertato e che, sotto il profilo obiettivo, ostacola la configurabilit della locazione malgrado il richiamo della ricorrente allo jus tollendi. noto infatti che in tema di locazione vige il principio generale statuito dall'art. 934 e.e.; che, pertanto, il proprietario del fondo locato acquista le addizioni col fatto e nel momento stesso della incorporazione o infissione, che lo jus tollendi del conduttore limitato, in ogni caso, alle addizioni separabili, non pu modificare il prin contratto, essa non pu pi intendersi come un accessorio del fondo, che senza di essa non avrebbe pi alcun interesse per le parti, mentre la causa stessa del contratto non corrisponde pi a quella tipica della locazione, bens a quell'altra, tipica anch'essa, della concessione ad aedificandum. Oltre a ci, poi, va altres ricordato che le differenze causali fra locazione e concessione ad aedificandum non consistono soltanto in questo. L'autorizzazione a costruire infatti che pu essere connessa con una locazione del fondo, non pu mai confondersi con quella che costituisce l'elemento esclusivo della concessione ad aedificandum, perch questa e non quella vale ad attribuire al concessionario la propriet, perpetua o temporanea, della costruzione. ti: la tradizione romanistica che ha tramandato al vigente ordinamento giuridico (art. 934 e.e.) un principio che nei rapporti fra privati assoluto ed indiscutibile; superficies solo cedit. Per esso ogni costruzione, da chiunque effettuata. accede materialmente e giuridicamente al suolo, s che il proprietario di questo ne acquista originariamente, e per il fatto stesso della costruzione, la propriet. Unica eccezione a tale principio, tramandata anch'essa dal diritto romano, e per la quale soltanto possibile una divisione della propriet immobiliare per piani orizzontali (cfr. per tutti MESSINEO, Manuale cit., 2, 394 e segg.), costituita dal diritto di superficie. Per essa, infatti, la causa del negozio costitutivo, che abbiamo gi ricordato in conformit della lettera dell'art. 952 e.e., non si esaurisce nella autorizzazione a costruire, ma si completa con l'attribuzione al concessionario della 12 1018 RASSEGNA DELLAVVOCATURA DELLO STATO cipio s vero (Cass., 13 maggio 1960, n. 1133) che esso deve sempre cedere alla volont contraria del locatore e che quest'ultimo tenuto a dichiarare la sua volont di ritenere soltanto se il locatario manifesta l'intenzione di asportare. Il ricorso non pu, d'altra parte, essere accolto neppure ricollegandosi al rilievo che la fattispecie concreta riguarda una concessione ad aedificandum e che dottrin:;t e giurisprudenza {Cass., sentenze 15 luglio 1959, n. 2318 e 26 marzo 1963, n. 779) hanno riconosc:iuto la possibilit che in taluni casi detta concessione, pur attribuendo il godimento esclusivo dell'opera in correlazione con la durata del diritto di godimento del terreno, abbia un contenuto diverso dal reale e possa, in particolare, assumere le caratteristiche di un diritto personale che trovi la sua fonte e la sua disciplina in un contratto ad effetti meramente obbligatori, qualificabile eventualmente come un contratto atipico o un tipo anomalo di locazione. Gli elementi che la ricorrente apporta a favore della tesi di una facolt di addizione a carattere precario, intesa al fine di assicurare il miglior godimento della cosa locata, e, come tale, concorrente a formare il contenuto di un rapporto di locazione, cio la natura e la modesta entit delle opere, l'intestazione del contratto come scrittura privata di locazione, i riferimenti di talune clausole contrattuali alla locazione o al canone di affitto, incidorio, infatti, in quanto necessariamente si ricollegano alla volont negoziale e alle finalit perseguite dalle parti, su quella funzione interpretativa e ricostruttiva della volont dei contraenti che la Corte di merito ha svolto e la cui propriet della costruzione per tutta la durata del rapporto. In ci consiste infatti il caratteristico effetto reale di quel negozio e l'indiscussa natura reale del diritto del superficiatario. Si pu quindi concludere che il criterio di qualificazione di un contratto come ., _..; concessione ad aedifcandum o come locazione di terreno con facolt di effettuarvi costruzioni, consiste nella diversa causa dei due negozi, che nel primo caso riguarda la costituzione di una propriet superficiaria, e nel secondo caso invece si esaurisce nel godimento del fondo e delle eventuali addizioni che ad esso accedono, in conformit della sua consistenza e naturale destinazione. A confutazione di ci stato richiamato nella fattispecie l'ius tollendi codificato dall'art. 1593 e.e., il quale invece conferma la conclusione a cui si pervenuti, dal momento che la stessa Cassazione, con la sentenza in esame, ha riaffermato in proposito il principio gi ritenuto con sentenza 13 maggio 1960, n. 1133, Giust. civ., Mass., 1960, 428, secondo cui il proprietario del fondo locato acquista le addizi. oni, ossia i miglioramenti costituiti da opere, costruzioni e piantagioni, con l'incorporazione. L'ius tollendi, spettante al conduttore alla fine della locazione, cede di fronte alla contraria volont del locatore, il quale solo se laltro manifesta l'intenzione di togliere le addizioni (separabili), tenuto a dichiarare che vuole ritenerle" In sostanza, quindi, e come abbiamo gi osservato, al di fuori dell'ipotesi del diritto di superficie, ogni costruzione accede al suolo e appartiene originariamente al proprietario di questo per accessione. Quando la costruzione fatta dal loca PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1019 conclusione negativa, desunta essenzialmente dallo scopo e dagli effetti da essi voluti e dalla funzione strumentale del godimento del terreno nella economia complessiva del contratto, non sindacabile in questa sede perch consegue ad una valutazione condotta a norma delle regole di ermeneutica prescritte dalla legge, giustificata da una motivazione adeguata ed aderente ai principi giuridici sugli elementi caratteristici e differenziali della superficie e della locazione, , infine, esente da vizi logici. -{Omissis). tario e costituisce addizione separabile, come quando fatta in genere dal terzo (art. 936 e.e.), il proprietario del suolo che intende conservare anche la propriet della costruzione deve, salvo patto contrario, corrispondere al conduttore un giusto indennizzo; altrimenti a questi compete l'ius tollendi, ma mai la propriet della costruzione separatamente da quella del suolo (propriet superficiaria). In base a tali considerazioni pu quindi . concludersi che il contratto con cui si cede il godimento di un terreno per effettuarvi una costruzione, l'utilizzazione della quale da parte del concessionario costituisce lo scopo esclusivo della contrattazione e pu svolgersi per tutta la durata del contratto con le normali facolt del proprietario, tale contratto una concessione ad aedificandum e non una locazione. G. ANGELINI ROTA CORTE DI CASSAZIONE, Sez. 1, 23 marzo 1965, n. 478 -Pres. Lonardo -Est. Alliney -P.M. Pedace {conf.) -Ministero Finanze (avv. Stato Cavalli) c. SO.CE.NE (avv. Degli Uberti). Imposte e tasse in genere -Imposte indirette -Ricorso alle commissioni tributar;ie e azione giudiziaria -Coesistenza -Autonomia. Imposta di registro -Ricorso alle commissioni tributarie e azione giudiziaria -Autonomia. (r.d. SO dicembre 1923, n. 3269, art. 146). Imposta di registro -Azione giudiziaria -Decadenza per passaggio in giudicato della decisione della commissione tributaria adita contemporaneamente -Insussistenza. Imposta di registro -Case di abitazione non di lusso -Agevolazione fiscale degli appalti per la loro costruzione -Concetto di costruzione. (l. 2 luglio 1949, n. 408, art. 14). Imposta di registro -Case di abitazione non di lusso -Agevolazione fiscale degli appalti per la loro costruzione -Estensione ai subappalti. (l. 2 luglio 1949, n. 408, art. 14). 1020 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO In tema di imposte indirette, le due azioni concorrenti, quella davanti alla eammissione tributaria e quella davanti al giudice ordinario, sono del tutto autonome e possono coesistere sino a quando non si sia farmato il giudicato nel processo davanti all'autorit giudiziaria o non sia stato proposto ricorso per cassazione ex art. 111 della costi-. tuzione contro la decisione della Commissione centrale (1). L'art. 146 della legge di registro, approvata con r.d. SO dicembre 1923 n. 3269, offre la possibilit di instaurare il giudizio ordinario anche nella ipotesi che sia stata previamente esperita la procedura amministrativa: tale giudizio ordinario, pur essendo soggetto a un termine di decadenza, non ha carattere di giudizio di impugnazione rispetto alla decisione amministrativa, ma costituisce un giudizio ex novo, aperto, senza limiti, al completo esame della controversia (2), Tale indipendenza del giudizio avanti al giudice ordinario rispetto alle precorse pronuncie amministrative permane anche nel caso in cui, essendo in corso entrambi i procedimenti, venga pronunciata una decisione della eammissione tributaria, simultaneamente adita, e contro di essa non venga proposto gravame (S). L'art. 14 della legge 2 luglio 1949 n. 408, sull'incremento delle costruzioni edilizie, stabilisce il beneficio della tassa fissa, in tema di imposta di registro, riguardo ai contratti di appalto che abbiano per oggetto la costruzione delle case non di lusso di cui all'art. 13 della stessa legge. Al fine di tale norma deve ritenersi che, perch si abbia " costruzione n in senso tecnico di un edificio, basta che di questo sussistano gli elementi essenziali, cio gli elementi atti ad imprimergli (1-3) La precedente giuriprudenza della Cassazione in ordine ai rapporti fra azione giudiziaria e ricorsi alle commissioni stata recentemente in questa Rassegna, 1965, 1, 377 in nota a Cass., 23 novembre 1964, n. 2407. Con la presente sentenza e sempre facendo leva sul principio dell'autonomia dei due procedimenti, la Cassazione ha escluso che il giudicato formatosi dinanzi alle commissioni possa impedire l'ulteriore proseguimento dell'azione giudiziaria gi proposta. E non pu disconoscersi che tale precisazione costituisca un utile chiarimento in una materia legislativamente disciplinata in modo tanto frammentario e discusso. Ci che non appare per convincente la motivazione resa in proposito dalla Suprema Corte, perch proprio l'autonomia fra i due procedimenti che implica la denunciata possibilit di un conflitto di giudicati; tanto vero che altre volte (sentt. 30 ottobre 1963, n. 2901 e 2902) la Cassazione, proprio per evitare tale possibilit, aveva affermato che l'azione giudiziaria proposta in pendenza del ricorso alle commissioni importa rinuncia a tale ricorso. Potr anche discutersi del fondamento di una simile affermazione, ma non pu negarsi che essa aveva definito in radice i rapporti fra azione giudiziaria e ricorsi alle commissioni, escludendo in via di principio quella possibilit di conflitto di giudicati dipendente dalla natura ugualmente giurisdizionale delle pronuncie conclusive dei due procedimenti e dalla loro completa autonomia. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1021 lo specifico carattere di casa di abitazione, a nulla rilevando che vi facciano difetto determinate rifiniture di carattere accessorio (4). Deve ritenersi che, non diversamente dalle altre leggi tributarie, anche r art. 14 della legge 2 luglio 1949, n. 408, che preve1de il beneficio della tassa fissa, in materia di imposta di registro, per i contratti di appalto aventi ad oggetto la costruzione delle case di cui alr art. 13 della stessa legge, abbia usato r espressione (( contratti di appalto )) secondo la sua corretta accezione tecnica, comprendendo cio nelr appalto la figura, sostanzialmente non dissimile, del subappalto (5). (4) La questione della estensione ai subappalti delle agevolazioni fiscali accordate dall'art. 14 della l. n. 408 del 1949 agli appalti, era gi stata risolta negli stessi sensi dalla Cassazione con la sentenza 6 ottobre 1959, n. 2690, che aveva innovato in proposito il precedente indirizzo giurisprudenziale. Le ragioni nuovamente addotte a sostegno della pronuncia non appaiono esatte. Innanzitutto facile rilevare l'inconsistenza dell'argomento formale secondo cui la lettera della legge " contratti di appalto " dovrebbe essere genericamente riferita ai contratti regolati dal capo settimo, titolo terzo del libro quarto del e.e., e cio agli appalti (art. 1655) ed ai subappalti (art. 1656). La verit intuitiva infatti che, se tale riferimento fosse esatto, esso troverebbe puntuale riscontro nella lettera dell'art. 14. Siccome tale norma si riferisce invece esclusivamente agli appalti, la sua estensione ai subappalti non ha alcuna giustificazione testuale, specie se si considera che anche nel sistema vigente e proprio per la distinzione fra lart. 1655 e lart. 1656 e.e., il subappalto costituisce una fattispecie contrattuale diversa, seppure derivata, dall'appalto. Del tutto errata poi la considerazione che, nel sistema dell'imposta di registro e dato che la tariffa all. A non contempla i subappalti, questi devono comprendersi nella generica espressione " appalti ,, . Se cos non fosse, si aggiunge, in difetto di specifica menzione, i contratti di subappalto non sarebbero soggetti ad imposta di registro. In tal modo la Cassazione ha evidentemente dimenticato la norma dell'art. 8 c.p.v. della legge di registro la quale, in considerazione dell'analogia sostanziale fra appalti e subappalti, giustifica la tassazione di questi con lapplicazione delle stesse imposte proporzionali stabilite per gli appalti. Ma tale disposizione, non contrastando col principio dell'impossibilit di inter pretazione analogica delle norme eccezionali, conferma implicitamente che, al di fuori del suo contenuto normativo e per lapplicazione in particolare dei benefici fiscali, appalti e subappalti costituiscono due entit sostanziali distinte, e fra le quali non quindi consentita analogia. Facilmente criticabili appaiono infine anche le considerazioni che la Cassazione ha tratto dalla ratio legis e secondo cui, essendo i benefici della I. n. 408 del 1949 accordati per la costruzione di case di abitazione non di lusso e consistendo l'oggetto del subappalto in tale costruzione, ad esso dovrebbero giustamente estendersi quei benefici. : proprio tale ratio che convince invece del contrario. Infatti, proprio per favorire la costruzione delle case ipotizzate riducendone il relativo costo, il legislatore ne ha fiscalmente agevolato gli appalti, che normalmente realizzano tale scopo; ed chiaro che, se tale agevolazione dovesse essere accordata ai subappalti in considerazione della loro aderenza allo stesso scopo, essa dovrebbe per essere revocata per gli appalti che quello scopo non hanno perseguito. Con la conse 1022 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (Omissis). -L'Amministrazione delle Finanze denuncia, col primo motivo di ricorso, la violazione del principio del giudicato con particolare riferimento all'art. 146 della legge di registro. In tema di imposte indirette non applicabile -assume la ricorrente -il principio, attinente alla sola materia delle imposte dirette, che impone il previo esperimento del reclamo alle Commissioni tributarie come condizione di ammissibilit dell'azione davanti al giudice ordinario. anzi possibile il contemporaneo svolgimento, sul medesimo oggetto, delle due procedure, amministrativa e giudiziaria. Data per la natura giurisdizionale delle Commissioni tributarie, necessario - affinch rimanga aperto il ricorso al giudice ordinario o ne sia possibile, se gi proposto, l'ulteriore svolgimento che sulle decisioni emesse nel procedimento amministrativo -decisioni aventi carattere-e valore di sentenza -non si sia costituito il giudicato per acquiescenza o per mancata proposizione del gravame. Senonch nella specie -conclude l'Amministrazione.Finanziaria -la SO.CE.NE propose reclamo in via amministrativa, ma non impugn la sfavorevole pronuncia, regolarmente notificatale, della Commissione tributaria, sicch sull'oggetto comune ad entrambi i procedimenti in corso si formato il giudicato: consegU:entemente la Corte di merito avrebbe dovuto, anche d'ufficio, dichiarare improcedibile l'azione giudiziaria per sopravvenuta preclusione. La censura infondata. principio di diritto consolidato dalle costanti pronunce di questa Corte Suprema che, in tema di imposte indirette, le due azioni concorrenti -quella davanti alle Commissioni tributarie e quella davanti al giudice ordinario -sono del tutto autonome e possono coesistere sino a quando non si sia formato il giudic'ato nel processo davanti all'autorit giudiziaria o non sia stato proposto ricorso per cassazione, ex art. 111 della Costituzione, contro la decisione della Commissione centrale. guenza che la stipulazione del subappalto implicherebbe comunque un onere fiscale, determinante un maggior costo della costruzione. E siccome certo che il legislatore ha inteso favorire la costruzione delle case di abitazione non di lusso, e non l'attivit di intermediazione nella relativa esecu~ zione (l'appaltatore che subappalta non costruttore, ma semplice intermediario), anche evidente che tale scopo integralmente conseguito mediante l'agevolazione di uno solo dei vari rapporti attraverso cui, per proliferazione, si attua la costruzione. E se tale agevolazione stata gi concessa all'appalto e non pu essere per esso revocata (l'effetto di tale revoca del resto sarebbe identico alla tassazione del :__: subappalto), essa non deve essere estesa anche al subappalto. . Per questa analogia di argomento si richiama infine la nota in questa Rassegna, 1964, 946. G. ANGELINI ROTA PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1023 Tale principio attinge sostanziale giustificazione dal rilievo che, mentre il giudizio davanti alle Commissioni tributarie si svolge di norma durante la formazione dell'atto amministrativo di imposizione del tributo e ha per oggetto la determinazione degli elementi dell'obbligazione tributaria, di cui il soggetto passivo tende a impedire il perfezionamento, l'azione giudiziaria soccorre, invece, quando l'obbligazione tributaria perfetta, per modo che .J'impugnativa ha per oggetto la legittimit dell'accertamento, tradotto in titolo esecutivo, che il contribuente denuncia come lesivo del suo diritto soggettivo. Ma, anche astraendo da ci, un argomento. tratto proprio dalla disposizione dell'art. 146 legge di registro, di cui si lamenta la violazione, sembra decisivo contro la tesi dell'Amministrazione ricorrente. Dispone tale norma che in tutte le controversie riguardanti le tasse e sopratasse in tema di registro, le quali abbiano formato oggetto di decisione amministrativa, pu essere proposto ricorso all'autorit giudiziaria entro il termine di sei mesi dalla notificazione del provvedimento amministrativo. Nell'ipotesi che sia stata previamente esperita la procedura amministrativa si offre, dunque, la possibilit di instaurare il giudizio ordinario che, per essendo, per ovvie ragioni, soggetto a un termine di decadenza, non ha, per universale consenso, il carattere di un giudizio di impugnazione, ma costituisce un giudizio ex novo, aperto, senza limiti, al completo esame della controversia. E proprio in ci -nella facolt di percorrere ancora, in tutti i suoi gradi, la via giudiziaria ordinaria -si ha la conferma dell'assoluta indifferenza del giudizio davanti al giudice ordinario alle precorse pronunce amministrative. Ma, stabilito ci, evidente che tale indifferenza permane eadem legis ratione anche nel caso in cui, essendo in corso entrambi i procedimenti, venga pronunciata una decisione della Commissione tributaria, . simultaneamente adita, e contro di essa non venga proposto gravame. . Se infatti -grazie all'autonomia dei due procedimenti - possibile adire il giudice ordinario dopo lesaurimento del giudizio davanti alle Commissioni tributarie, non si vede per quale ragione la gi avviata azione giudiziaria non dovrebbe proseguire il suo corso malgrado la formazione del giudicato nel concomitante procedimento amministrativo. Invero il medesimo evento non pu, ad un tempo, essere e non essere ostativo all'indagine del giudice ordinario. Si pu, anzi, dire che lazione giudiziaria gi in corso anticipa quell'esame autonomo della controversia che la legge riserva dopo l'esperimento dei rimedi amministrativi. Il primo motivo di ricorso, essendo fondato su una inesatta nozione del rapporto intercedente tra procedimento davanti alle Commissioni suo complesso . Nemmeno codesta censura pu essere condivisa. suo complesso . Nemmeno codesta censura pu essere condivisa. 1024 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO tributarie e procedimento davanti al giudice ordinario, va conseguentemente disatteso. Si denuncia, col secondo motivo, il difetto di attivit della Corte di merito per non avere " dimostrato che la costruzione di cui si discute " sia stata eseguita nel biennio e senza le caratteristiche di abitazione di lusso , condizioni, entrambe, necessarie perch sorga il diritto alla contestata agevolazione tributaria. Anche questa complessa censura, sommariamente enunciata, non sorretta da valide ragioni giuridiche. Priva di fondamento , anzitutto, la prima doglianza, giacch il fatto che la costruzione sia stata iniziata, come prescrive l'art. 13 della legge n. 408 del 1949, entro il 31 dicembre 1953 e ultimata entro il biennio successivo, non stato contestato, in nessuna delle sedi di merito, dall' Amininistrazione Finanziaria, che a ben altri motivi ha costantemente affidata la propria resistenza alle istanze della SO.CE.NE. La Corte d'Appello non era, conseguentemente, tenuta a indagare e a pronunciarsi su un elemento di fatto che mai aveva formato oggetto di discussione tra le parti e che doveva pertanto ritenersi del tutto incontroverso. Similmente infondata l'altra doglianza. Infatti la Corte di merito, postosi espressamente il problema del carattere -di lusso o no -della costruzione data in appalto alla SO.GE.NE, lo ha risolto in senso negativo, osservando che dal testo della convenzione era facile dedurre che l'edificio in questione non si poteva certo classificare come casa di lusso, giacch a contraria conclusione conduceva l'esame delle " varie voci dei lavori principali e di rifinitura nonch il numero degli appartamenti (58 da due, tre, quattro vani) che componevano lo stabile. E con questo apprezzamento, condotto con criterio logicamente e giuridicamente irreprensibile, la Corte d'Appello ha assolto, in modo pi che adeguato, l'obbligo della motivazione in ordine alla sussistenza, nella specie, del requisito sopra menzionato. Col terzo motivo la ricorrente avanza due distinte censure, fondate su presupposti di fatto antitetici. Deduce con la prima censura -presupponente la conclusione, tra la societ Industrie Edilizie e la SO.GE.NE, di un contratto d'appalto -che male la Corte d'Appello ha accolto la duplice opposizione, .-;; poich alla SO.GE.NE fu affidata l'esecuzione di una parte soltanto delle opere, mentre il beneficio previsto dalla legge citata applicabile, si asserisce, " solo quando l'oggetto dell'appalto relativo alla costruzione di case di abitazione si estende alla intera costruzione nel PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1025 La Corte di merito ha accertato, alla stregua della scrittura 29 luglio 1951, che il contratto aveva per oggetto " la parte principale delle opere necessarie e buona parte di quelle di rifinitura dell'edificio progettato, " e, sulla base di tale incontestato accertamento, ha ritenuto che l'opus commesso alla SO.CE.NE si traducesse, secondo la previsione della legge, nella costruzione di una casa di abitazione. Ora questi:J. ragionamento giuridicamente corretto. L:art. 14 della legge n. 408 del 1949 stabilisce il beneficio in questione riguardo ai contratti di appalto che cc abbiano per oggetto la " costruzione" delle case (non di lusso) di cui al precedente art. 13 n. Ora, perch si abbia la costruzione, in senso tecnico, di un edificio, basta che di questo sussistano gli elementi essenziali, cio gli elementi atti a imprimergli lo specifico carattere di casa di abitazione, a nulla rilevando che vi facciano difetto determinate rifiniture di carattere accessorio. Va inoltre rilevato, con riferimento al negozio in discussione, che l'imprenditore cui viene affidata la costruzione di una casa provvede normalmente al compimento delle opere edilizie essenziali, perch soltanto queste rientrano, normalmente, nell'ambito della sua attivit imprenditoriale non preordinata a prestazioni di diversa natura (quali, ad es., gli impianti idraulici, elettrici, i serramenti, ecc.) che vengono di solito, richieste ad altre specializzate imprese. Pienamente giustificata pertanto la conclusione che, parlando di appalto per la costruzione di case di abitazione, il legislatore, certo non ignaro dei compiti solitamente assegnati agli imprenditori edili, volle riferirsi alle sole opere necessarie e sufficienti per il sorgere di un edificio: non anche alle secondarie e complementari. U altra censura muove, invece, dal presupposto che tra la Societ Industrie Edilizie e la SO.CE.NE sia stato concluso un contratto di subappalto, per trarne la conseguenza che il beneficio fiscale, previsto dalla legge per i contratti d'appalto aventi per oggetto la costruzione di case di abitazione non di lusso, non poteva nella specie essere concesso. Sebbene il Tribunale, argomentando dalle clausole della scrittura 29 luglio 1951, avesse ravvisato nel negozio in contestazione gli elementi tipici del contratto d'appalto, la Corte d'Appello si dispensata da ogni accertamento in proposito sul rilievo che, si trattasse di appalto o di subappalto, l'agevolazione tributaria pretesa dalla SO.CE.NE non avrebbe potuto essere negata. Compito di questo Supremo Collegio pertanto quello di statuire se l'assimilazione, agli effetti tributari, dei due istituti sia o no conforme alla legge. Va subito detto che su questo specifico tema, altre volte dibattuto, questa Corte, mutando il proprio anteriore indirizzo giurisprudenziale, si pronunciata in senso affermativo con la sentenza n. 2690 del 6 otto 1026 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO bre 1959, e che nulla consiglia di disapprovare gli insegnamenti ivi contenuti. Le ragioni che avvalorano la soluzione positiva del problema sono molteplici e convergenti. Un primo argomento si ricava dalla dizione letterale dell'art. 14 -:~ legge citata che parla, genericamente, di contratti di appalto. Ora, sotto l'aspetto della struttura giuridica, il subappalto in nulla differisce dall'appalto, poich di questo ha il tipico contenuto negoziale: esso altro non , infatti, che un appalto concluso dall'appaltatore (che assume la veste e le obbligazioni del committente) verso un terzo (subappaltatore), e che ha il medesimo oggetto del contratto d'appalto precedentemente concluso dai soggetti originari. A codesta nozione dell'istituto in parola si adegua il codice civile, che, sotto la denominazione Dell'appalto, regola indistintamente entrambe le figure contrattuali, in quanto del subappalto fa menzione, agli artt. 1656 e 1670, solo per stabilire che l'appaltatore non pu dare in subappalto l'opera senza il consenso del committente, e per disciplinare la responsabilit dei subappaltatori rispetto all'appaltatore. Se, dunque, tra i due istituti in esame, accomunati dalla medesima disciplina giuridica, non corre alcuna sostanziale differenza, e se da ritenere che ogni disposizione legislativa usi le parole nel senso tecnicamente pi appropriato, pure da presumere che una legge, che, senza distinguere, parli di contratti di appalto, abbia inteso riferirsi ai contratti regolati nel capo VII, titolo III, del libro IV del codice civile: cio anche del subappalto. Ma altri argomenti, tratti dalla stessa legislazione tributaria, convincono che l'interpretazione restrittiva dell'art. 14. della legge in esame, propugnata dall'Amministrazione Finanziaria, non pu essere accolta. ' anzitutto da notare che la tariffa, all. A, della legge di registro (r.d. 31 dicembre 1923, n. 3269) contempla, agli artt. 52 e 53, gli appalti e, separatamente da questi, la cessione e la risoluzione di tali contratti. Non fa, invece, parola dei subappalti ed perci da ritenere che questi debbano comprendersi nella generica espressione appalti , non potendosi ammettere che, ip. difetto di specifica menzione, i contratti di subappalto non siano soggetti a imposta di registro. Va pure rilevato che la legge 4 aprile 1953, n. 261 -che all'art. 4 modifica, analogamente alla precedente legge n. 1924 del 1937, l'aliquota dell'imposta cc sugli atti contemplati all'art. 52 della tariffa della legge di registro -indica il proprio oggetto col solo riferimento alle modificazioni del regime fiscale delle cessioni di credito, dei mutui e degli appalti , senza far menzione dei subappalti, i quali, per quanto si osservato, non possono non essere compresi, nella previsione dell'art. 52, tra i contratti di appalto. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA Legittima , conseguentemente, la presunzione che, non diversamente dalle altre leggi tributarie, anche l'art. 14 della legge 2 luglio 1949 n. 408, abbia adoperato le parole contratti di appalto secondo la loro corretta accezione tecnica, comprendendo, cio, nell'appalto la figura, sostanzialmente non dissimile, del subappalto. Il risultato cui conduce l'interpretazione letterale della norma in esame riceve peraltro persuasiva conferma dalla ratio legis che, sinteticamente espressa nell'intestazione del testo legislativo, si riassume nell'intento di favorire, riducendone il costo, l'incremento delle costruzioni edilizie per ovviare, nell'interesse sociale, alle gravi carenze conseguenti alle distruzioni e alla inattivit costruttiva del periodo bellico. Oppone lAmministrazione ricorrente che l'intento legislativo non va ricercato nel generico scopo di agevolare le costruzioni edilizie, ma nel presupposto che la elargizione dei benefici fiscali sia concessa all'effettiva attuazione delle costruzioni edilizie da parte di chi a tal fine appronta e stipula il negozio giuridico considerato ; sl che a il trattamento di favore da negare allorch le finalit della legge rimangono frustrate per effetto della stipulazione di un subappalto che, attraverso la costituzione di un nuovo rapporto obbligatorio, trasferisce a un terzo l'impegno di costruire case . L'obiezione, che difetta peraltro di chiarezza, p.on ha intrinseco pregio. Se vero, infatti, che il subappalto opera, rispetto al contratto da cui deriva, una ~ostituzione soggettiva, anche vero che dell'appalto esso realizza loggetto: con la conseguenza che, se tale oggetto consiste nella costruzione di case aventi i noti requisiti, le finalit della legge sarebbero veramente eluse ove si negassero al subappalto i temperamenti fiscali concessi all'appalto. L'effetto di una simile disparit di trattamento sarebbe quello di non consentire, in caso di subappalto, quella riduzione del costo delle costruzioni edilizie -costo naturalmente sopportato da chi assume l'iniziativa della costruzione -che il legislatore ha avuto di mira per fini di utilit generale. -{Omissis). 00.RTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 26 inarzo 1965, n. 512 -Pres. Fibbi -Est. Ferrone Capano -P.M. Gedda (conf.) -Brambilla (avv. Allorio) c. Ministero Finanze (avv. Stato Peronaci). Imposta di registro Trasferimento contestuale di nuda propriet e usufrutto a persone diverse . Art. 21 legge di registro Applicabilit. (r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 2i). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 1028 Imposta di registro -Art. 21, primo comma, legge organica Eccezione di incostituzionalit per violazione dell'art. 53 della Costituzione -Manifesta infondatezza. (r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, artt. 29 e 21; Cost., art. 53). Imposta di registro -Trasferimento contestuale a titolo oneroso di nuda propriet e usufrutto a persone diverse -Pagamento immediato dell'imposta di trasferimento sull'intero valore reale del bene -Tassa di consolidazione - dovuta. (r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 21). Imposta di registro -Imputazione di pagamento -Non fatto ma apprezzamento -Confessione giudiziale -Inapplicabilit. (e.e., artt. 2730 e 2697; c.p.c., art. 115). Imposta di registro -Tassa di consolidazione -Scorte esistenti al tempo della cessazione dell'usufrutto -Mancata prova da parte della finanza della esistenza al tempo del trasferimento a titolo oneroso -Art. 47 legge organica -Applicabilit Esclusione. (r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, artt. 21 e 47). ~ La tassa di consolidazione di cui alI'art. 21 della legge di registro si applica a tutti i casi di riunione delI' usufrutto alla nuda propriet e quindi, non solo quando vi sia stato trasferimento a titolo oneroso della nuda propriet con riserva di usufrutto, ma anche quando siano stati contestualmente trasferiti a soggetti diversi la nuda propriet e l'usu IIfrutto dello stesso immobile (1). (1) Il principio affermato nella prima massima pu ritenersi ormai consolidato: la Suprema Corte ebbe ad affermarlo sin dal 1935 (Cass., 19 luglio 1935, n. 2858, Riv. leg. fisc., 1935, 722) confermandolo poi nel 1958 (Cass., 5 marzo 1958, n. 736, Riv. leg. fisc., 1958, 1163) e non dovrebbe dar luogo a controversie ulteriori. L'esattezza di tale principio discende dalla natura stessa della tassa di consolidazione. Come stato esattamente avvertito, essa infatti non ha natura autonoma (UKMAR, La legge di registro, CED.AIM, 1958, voi. I, 277; GuGLIELMr-AzzARITI, Le imposte di registro, YY; Relazioni Avv. dello Stato, anni 1951-1955, voi. I, 579; }AMMARINO, Commento alle imposte di registro, voi. I, 100; CLEMENTINI, Leggi sulle tasse di registro, vol. I, 201), ma deve considerarsi come una parte del tributo afferente al trasferimento della nuda propriet (contra: BELIRJ, Le leggi del registro, 1961, 309), parte che va liquidata e riscossa al momento della consolidaione dell'usufrutto alla nuda propriet sul valore attuale della piena propriet, dedotto il corrispettivo gi tassato al momento della trasmissione della nuda propriet. Ogni trasferimento della nuda propriet infatti " porta al trasferimento della propriet piena, giacch in un tempo pi o meno lungo, l'usufrutto deve necessariamente riunirsi alla nuda propriet {UKMAR, op. loc. cit.) e comporta, di conseguenza, l'applicazione dell'imposta sul valore della piena propriet. Peraltro, PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1029 manifestamente infondata la eccezione di illegittimit costituzionale dell'art. 21 della legge di registro in relazione all'art. 20 stessa legge per violazione delfart. 53 della eostituzione, giacch le ipotesi previste dai due articoli non sono espressione di una identica capacit contributiva (2). Se, per errore dell'Ufficio finanziario, all'atto del trasferimento contestuale a titolo oneroso della nuda propriet e dell'usufrutto a persone diverse venga richiesto ed effettuato il pagamento della imposta suliintero valore reale del bene, pur sempre dovuta al momento della riunione dell'usufrutto alla nuda propriet, la tassa di consolidazione a' sensi dell'art. 21 (3). La causale di un pagamento e quindi la sua imputazione, costituisce non un fatto, ma un semplice apprezzamento e come tale non suscettibile di confessione giudiziale n, in mancanza di contesta- anche in considerazione del fatto che la propriet non si trasferisce ab" origine come piena, l'imposta viene riscossa in due tempi e cio, al momento della registrazione del contratto di trasferimento a titolo oneroso della nuda propriet, si tassa il corrispettivo ontrattuahnente stabilito, mentre, al momento della consolidazione, si tassa la differenza tra il valore attuale della piena propriet e il corrispettivo dichiarato nell'atto e gi tassato. Se quindi l'imposta di consolidazione non che una parte dell'imposta dovuta sul trasferimento della nuda propriet, consegue necessariamente che essa dovuta in ogni caso, indipendentemente dal fatto che l'usufrutto sia stato riservato dal venditore o sia stato trasferito ad altri, precedentemente o contestuahnente al trasferimento della nuda propriet. '. appena il caso di rilevare poi che il trasferimento dell'usufrutto soggetto alle normali imposte di registro, senza che peraltro ci possa minimamente riflettersi sulla liquidazione dell'imposta sulla nuda propriet, sia al momento del trasferimento che a quello della consolidazione. (2) La questione di legittimit costituzionale dell'art. 21 legge di registro, in rapporto all'art. 53 della Costituzione e con riferimento all'art. 20 l.r., gi stata esaminata dalla Corte Costituzionale che, con sentenza 6 giugno 1963, n. 92 (Foro it., 1963, I, 1531) l'ha dichiarata infondata. La Corte ha esattamente ritenuto che le fattispecie previste rispettivamente dagli artt. 20 e 21 l.r. (trasferimento a titolo gratuito e trasferimento a titolo oneroso della nuda propriet) non sono espressione di una del tutto identica capacit contributiva, s che la relativa, diversa regolamentazione non pu costituire violazione del principio della parit di imposizione a parit di capacit contributiva sancito dall'art. 53 della Costituzione. Nella specie, il contribuente aveva riproposto la questione negli stessi termini gi esaminati dalla Corte Costituzionale e, pur non costituendo la precedente sentenza della Corte, una preclusione alla riproposizione della questione (cfr. PIERANDREI, voce: Corte Costituzionale, in Enciclopedia del Diritto, vol. X, 982 e segg.; CARusr, Ancora in tema di efficacia delle decisioni di rigetto della Corte Costituzionale, in questa Rassegna, 1964, 521; ID., Gli effetti delle pronunzie della Corte Costituzionale nei giudizi di legittimit costituzionale, La Corte Costituzionale, Raccolta di studi, Roma, 1957, 239 e segg.), del tutto rettamente la Corte di Cassazione l'ha dichiarata manifestamente infondata. 1030 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO zione, deve essere assunto dal giudice come un fatto ammesso a' & sensi degli artt. 2697 e.e. e 115 c.p.c. (4). L'art. 47 della legge di registro (e la presunzione in esso contenuta) si applica esclusivamente ai trasferimenti a titolo oneroso. E, poich nella riunione deliusufrutto alla nuda propriet non si verifica alcun trasferimento, ma la sola estinzione del diritto reale parziario con conseguente espansione del diritto dominicale gi compresso, non pu trovare applicazione, ai fini della imposta di consolidazione, la regola deliart. 47 medesimo, salvo che non si provi, a cura della Finanza, che le pertinenze o accessioni esistenti al momento della consolidazione erano state oggetto del trasferimento della nuda propriet (5). (Omissis). -Col primo motivo, nel denunciare la falsa applicazione dell'art. 21 della legge del registro, approvata con r.d. SO dicembre 1928, n. 8269, il ricorrente sostiene che il detto art. 21, primo comma, applicabile solo nei casi di trasferimento a titolo oneroso della nuda propriet con riserva di usufrutto, e non anche nei casi in cui la nuda propriet e l'usufrutto vengano alienati con uno stesso atto (3) La terza massima va pienamente condivisa. Essa discende direttamente dal principio per cui, pur sorgendo il debito di imposta al verificarsi del fatto cui la legge ricollega l'imposizione, esso non pu essere assolto dal debitore se non dopo l'accertamento. E poich nell'ipotesi di cui all'art. 21 l.r. l'accertamento rimandato al momento della consolidazione, in nessun caso potrebbe dirsi che il pagamento sull'intero valore venale al momento _del trasferimento della nuda propriet costituisca corresponsione anticipata della tassa di consolidazione. Conseguentemente l'errore della Finanza in tal senso non pu far venir meno il suo diritto a percepire la tassa di consolidazione al momento della riunione. In tal senso la giurisprudenza della Cassazione ben ferma. In proposito la sentenza n. 736 del 5 marzo 1958 della Suprema Corte (citata sub 1)-ebbe ad affermare che un simile errore da parte dell'Ufficio impositore, pu solo dar luogo, da parte del contribuente, a ricorso nei modi e nei termini di legge, ma non pu certo considerarsi 11 una cosciente volont di deviazione per il caso singolo dai principi della legge fiscale . Principio, questo, del tutto ovvio sol che si consideri l'indisponibilit del diritto all'imposta. (4) Che la confessione debba riguardare un fatto ., cos come solo un fatto sia suscettibile di essere pacificamente ammesso a sensi dell'art. 2697 e.e. e che, di conseguenza, non possa costituire oggetto di confessione o di ammissione la qualificazione giuridica di un rapporto o un apprezzamento, costituisce ormai giurisprudenza consolidata. (Cfr. Cass., 21 febbraio 1959, Rep. giust. civ., voce Confessione, n. 2; Cass., 3 agosto 1960, n. 2277, Giur. imp., 1961, 312; Cass., 29 marzo 1962, n. 659, Rep. giust. civ., 1962, voce Confessione, n. 4; Cass., 22 aprile 1963, n. 1025, Mass. giust. civ., 1963, 481). {5) Non risultano precedenti. Cfr., sia pure per un caso diverso, Sez. Un., 2 marzo 1964, n. 475, in questa Rassegna, 1964, I, 567. A. MERCATALI PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1031 a persone diverse (come nella specie), poich in questo secondo caso, essendo possibile accertare il valore di entrambi i diritti, mancherebbe la ragione per rinviare la valutazione dell'usufrutto al tempo della consolidazione. L'assunto infondato. Come esattamente ha osservato la Corte di merito, l'art. 21 della legge del registro non contiene la distinzione prospettata dal ricorrente; ed anzi, disponendo che l'imposta di consolidazione si applica cc sulla differenza tra il prezzo o corrispettivo tassato al tempo dell'alienazione ed il valore della piena propriet al momento della riunione , esige che la valutazione della piena propriet, comprensiva della nuda propriet e dell'usufrutto, venga fatta al tempo della consolidazione e secondo i valori dello stesso tempo. La questione, del resto, stata gi esaminata da questa Suprema Corte, con sentenza 19 luglio 1935 n. 2856 e 5 marzo 1958 n. 736, con le quali stato ritenuto che l'art. 21 della legge di registro si applica anche nei casi in cui, con un unico atto, vengano alienati a due soggetti diversi la nuda propriet e l'usufrutto dello stesso immobile. Col secondo motivo si denuncia l'illegittimit costituzionale del predetto art. 21, primo comma, in rapporto all'art. 53 della Costituzione ed in riferimento all'art. 20 della legge di registro. Ma anche questa questione stata gi decisa in senso contrario all'assunto del ricorrente. La Corte costituzionale, infatti, con sentenza n. 92 del 18 giugno 1963, ha esaminato la questione di legittimit costituzionale dell'.art. 21 della legge di registro, con riguardo all'art. 20 della stessa legge e dell'art. 53 della Costituzione, e l'ha dichiarata infondata per ragioni che superfluo riprodurre. Qui sufficiente rilevare che le ragioni addotte dal ricorrente, a sostegno della sua eccezione di illegittimit costituzionale, sono le stesse gi esaminate e disattese dalla Corte Costituzionale, dal che consegue che quella eccezione, pur non essendo preclusa dalla sentenza della Corte Costituzionale (che non ha efficacia vincolante), deve tuttavia ritenersi manifestamente infondata, ai sensi dell'art. 4 della legge 11 marzo 1953, n. 87. Col terzo motivo si deduce che la Corte d'Appello non avrebbe potuto escludere, come escluse, che l'imposta di consolidazione fosse stata pagata in via anticipata nell'anno 1921, allorch venne corrisposta l'imposta di registro sul trasferimento della nuda propriet. Pi precisamente, il ricorrente addebita all'impugnata sentenza i seguenti errori: a) l'aver omesso di tener conto che l'anticipato pagamento dell'imposta di consolidazione era un dato di fatto esplicitamente ammesso dalle Commissioni tributarie, sia da quella provinciale che da quella centrale e non contestato nel presente giudizio se non con la comparsa conclusionale d'appello, ossia tardivamente; b) il non aver considerato che lAmministrazione finanziaria, col riconoscere {nel giudizio di primo grado e nella prima fase del giudizio di appello) che l'imposta di con 1032 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO solidazione era stata gi scontata nel 1921, aveva reso al riguardo una confessione giudiziale, la quale formava piena prova a danno della stessa, ai sensi degli artt. 2730 e seguenti del e.e.; e) l'aver omesso di valutare alcuni elementi di natura indiziaria, dai quali era possibile desumere che la detta imposta era stata pagata in via anticipata, e l'essere incorsa nel vizio di insufficiente motivazione; d) l'aver violato il principio del contraddittorio, oltre che le disposizioni degli articoli 697 e.e. e 115 c.p.c., per non aver posto a base della propria decisione quel fatto {anticipato pagamento dell'imposta di consolidazione) che non era stato tempestivamente contestato dall'Amministrazione finanziaria e che, di conseguenza, non aveva fatto sorgere alcun onere di prova a carico della controparte. Ma nessuna di tali censure risulta fondata. Il fatto pacifico, perch mai contestato ed anzi esplicitamente ammesso da entrambe le parti, era che nel 1921 il Brambilla ebbe a pagare l'imposta di registro sulla base del valore della piena propriet dell'immobile, valore che venne determinato a mezzo di concordato. Leggesi nella sentenza di primo grado che cc il Brambilla pag l'imposta di trasferimento sull'intero valore reale del bene n, ossia sul valore attribuito al fondo nel 1921. Era questo il fatto pacifico, da ritenersi certo e non abbisognevole di prova. In un primo tempo, fino alla comparsa conclusionale d'appello, entrambe le parti mostrarono di ritenere che la somma pagata nel 1921 comprendesse anche l'imposta di consolidazione, come se questa fosse stata corrisposta in via anticipata e fosse stata liquidata con violazione della norma dell'art. 21 della legge di registro, secondo cui l'imposta di consolidazione deve essere applicata con riguardo l valore della piena propriet nel momento della riunione dell'usufrutto con la nuda propriet. Ma questo non era un fatto, non era, cio, un dato di fatto obiettivo, vincolante per il giudice, il quale tenuto a porre a base della propria decisione non solo i fatti ritualmente acquisiti, ma anche quelli concordemente affermati dalle parti in materia di diritti disponibili. L'opinione manifesta dalle parti in ordine al titolo causale del detto pagamento rappresentava un semplice apprezzamento, che non poteva impedire al giudice, chiamato a giudicare sulla legittimit o meno della successiva imposizione tributaria, di accertarne i necessari presupposti e, quindi, di interpretare nella loro esatta portata gli atti ed i documenti del procedimento di tassazione. E ci era tanto pi necessario nel caso in esame, in quanto l' Amministrazione finanziaria, rifacendosi ad una interpretazione gi prospettata in sede di contenzioso tributario, modific, sia pure nella comparsa conclusionale d'appello, il suo precedente apprezzamento e sostenne che la somma pagata nel 1921 non comprendeva l'imposta di consolidazione. Non sussistono, pertanto, le violazioni di legge denunciate dal ricorrente: non quella relativa alla confessione giudiziale, poich la con PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1033 fessione non pu avere per oggetto apprezzamenti o valutazioni, ma solo fatti concreti ed obiettivi (e non pu essere resa dal difensore, ma solo dalla parte); n quelle sulle prove e sul contraddittorio, appunto perch la Corte d'Appello non ebbe ad immutare o trascurare i fatti pacifici fra le parti, ma ebbe invece a giudicare sulla interpretazione che le parti ritenevano di poter dare a quei fatti. E non sussiste neppure il denunciato difetto di motivazione, poich il giudice non tenuto a motivare specificamente su tutti gli elementi indiziari, e, nella specie, la Corte di merito ha fornito adeguata e logica spiegazione del suo convincimento, secondo cui il tributo pagato nel 1921 riguardava l'imposta sul trasferimento .della nuda propriet e l'imposta sul trasferimento dell'usufrutto {in sostanza, quindi, l'imposta sul valore che in quell'epoca aveva l'intero fondo). Rimaneva invece di pagare, in conformit della norma di legge applicabile al caso (art. 21 della legge del registro); l'imposta sulla riunione dell'usufrutto alla nuda propriet, imposta che -ripetesi -va applicata con riguardo al valore della piena propriet al momento della consolidazione. L'infondatezza delle predette censure dispensa dall'accertare se C\)sse incidano, o meno, su un punto decisivo della controversia. Il che quanto meno dubbio, avendo questa Corte gi ritenuto (con la citata sentenza n. 736 del 5 marzo 1958) che l'anticipato pagamento dell'imposta di consolidazione non consentito dalla legge e non preclude il potere-dovere dell'Amministrazione finanziaria di esigere il tributo nell'importo realmente dovuto, con riferimento ai valod dell'epoca in cui si verifica la riunione dell'usufrutto con la nuda propriet. Col quarto ed ultimo motivo di ricorso si censura la denunciata sentenza nella parte in cui ha ritenuto che l'imposta di consolidazione sia dovuta anche sul valore delle scorte esistenti sul fondo al tempo della cessazione dell'usufrutto, pur non risultando che esse esistessero al momento della vendita. Questa censura fondata (e perci superfluo occuparsi delle altre censure formulate nello stesso motivo). La Corte di merito ha ritenuto di poter applicare l'art. 47 della legge del registro, il quale dispone che nei trasferimenti immobiliari a titolo oneroso, gli immobili per destinazione, che trovansi in servizo o per la coltivazione del fondo, sono considerati, agli effetti della tassa di registro, trasferiti all'acquirente dell'immobile, ancorch nell'atto si dichiarino esclusi (primo comma). E nel secondo comma aggiunge che per vincere tale presunzione l'acquirente dell'immobile deve provare che gli immobili per destinazione gli sono pervenuti da altri, o appartengono ad altri, per atto che abbia acquistato data certa anteriore col mezzo della registrazione Non condividendo l'opinione espressa dalla Commissione centrale per le imposte, la quale aveva ritenuto che nella specie non fosse appli 13 1034 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO cabile la presunzione prevista dall'art. 47 della legge di registro, in quanto nella riunione dell'usufrutto alla nuda propriet non si ha un trasferimento a titolo oneroso, ma una semplice riunione di due diritti inerenti al medesimo bene, la Corte d'Appello ha osservato, invece, che l'imposta di consolidazione non ha carattere autonomo, ma a parte residua dell'imposta dovuta per il trasferimento della piena propriet, la cui liquidazione resta sospesa fino al momento nel quale si verifica la riunione dell'usufrutto alla nuda propriet . E pertanto, dato .che, ai fini della liquidazione dell'imposta di consolidazione, laccertamento va fatto al momento della riunione alla nuda propriet dell'usufrutto, il quale si estende alle scorte, e dato che l'imposta di consolidazione parte dell'imposta di trasferimento, la quale nel caso in esame investe la vendita 1 settembre 1920, e cio uno degli atti di trasferimento immobiliare a titolo oneroso espressamente previsti dal menzionato art. 47, non pu per il caso in esame negarsi l'applicabilit della presunzione in esso contemplata, con riferimento al momento della consolidazione . Siffatte argomentazioni, per, non giustificano la soluzione che stata data al problema. certo, infatti, che il primo comma del'art. 47 della legge di registro riguarda i trasferimenti immobiliari a titolo oneroso, ond' che solo in tali trasferimenti pu essere applicata la presunzione riguardante le pertinenze (immobili per destinazione), sancita dallo stesso articolo. La questione da risolvere consiste nello stabilire se la riunione dell'usufrutto alla nuda propriet dell'immobile, dopo che i due diritti sono stati alienati a soggetti diversi, possa considerarsi un trasferimento immobiliare a titolo oneroso, al fine di rendere applicabile la suindicata presunzione. La risposta non pu essere che negativa, in quanto nelle leggi tributarie, come del resto nelle altre leggi, la locuzione trasferimento {senza specificazioni) viene adoperata per significare il trasferimento della propriet; e nel vigente ordinamento giqridico il diritto di propriet non concepito come un fascio di diritti, suscettibili di essere isolatamente staccati a favore di altri soggetti, bensl come un diritto unico ed indivisibile, di modo che lacquisto della nuda propriet di un bene comporta lacquisto del diritto di propriet sul bene stesso. Tra propriet ed usufrutto ricorre una differenza non quantitativa, ma qualitativa, poich l'usufrutto che un diritto reale limitato e che non concepibile su cosa propria, presuppone che titolare del diritto di propriet sia un diverso soggetto e limita nel tempo la piena estrinsecazione dell'altrui diritto dominicale. Ci porta ad escludere che effetto della costituzione dell'usufrutto sia un trasferimento del bene che ne oggetto, il quale rimane, invece, nella sfera giuridica del proprietario. Di conseguenza, da escludere che si abbia un trasferimento del bene allorch si verifica la riunione dell'usufrutto alla nuda propriet. Per la legge di registro, poi, l'acquisto PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1035 della nuda propriet non soggetto a regime diverso da quello del1' acquisto della piena propriet, nel senso che la piena propriet considerata come fine ultimo del trasferimento, sotto il riflesso che, estinguendosi il diritto di usufrutto, anzich verificarsi un nuovo trasferimento, il diritto di propriet si espande automaticamente per quel carattere elastico e dinamico che lo caratterizza. In tali sensi, sia pure a proposito di una diversa questione, si sono gi pronunciate le Sezioni Unite di questa Corte con sentenza 2 marzo 1964, n. 474. E qui non occorre aggiungere altro per poter affermare che la riunione dell'usufrutto alla nuda propriet non d luogo ad un trasferimento dell'immobile che formava oggetto dei due diritti, n equiparabile ad un trasferimento immobiliare, s da rendere applicabile la presunzione stabilita dall'art. 47 della legge di registro. :i!: ovvio, infatti, che non possibile applicare una disposizione dettata specificamente per i trasferimenti immobiliari ad un atto o fatto giuridico che non implica alcun trasferimento di propriet. Nella specie, quindi, al fine di colpire con l'imposta di consolidazione anche Ie scorte esistenti sul fondo al tempo della cessazione dell'usufrutto, lAmministrazione finanziaria non poteva limitarsi ad invocare la presunzione prevista dal citato art. 47, ma avrebbe dovuto accertare che le scorte formavano anch'esse oggetto dell'usufrutto, in quanto vendute con l'atto del 1920, ed erano perci soggette alla restituzione prescritta dall'art. 998 e.e. In mancanza di tale accertamento, si sarebbe potuto eventualmente applicare un'altra imposta (per l'eventuale acquisto o trasferimento delle scorte), ma non l'imposta di consolidazione, che presuppone la riunione dell'usufrutto alla nuda propriet della cosa trasferita a titolo oneroso. -{Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 24 maggio 1965, n. 994 -Pres. Favara -Est. Alliney -P.M. Toro {conf.) -Bartoli Ercole ed altri {avv. Marino) c. Ministero Finanze {avv. Stato Coronas). Imposta di successione -Sicilia Fondi soggetti a conferimento Asse imponibile Estremi. (I. Reg. Sic. 27 dicembre 1950, n. 104). Imposta di successione Sicilia Fondi soggetti a conferimento Valore venale in comune commercio Determinazione Possibilit. (r.d.l. 7 agosto 1936, n. 1639, artt. 15-20). I terreni soggetti a conferimento, a norma della legge regionale 27 dicembre 1950, n. 104 sulla riforma agraria in Sicilia, rimangono nel patrimonio del proprietario, sebbene in una situazione di indisponi 1036 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO bilit relativa, fino a quando non ne venga effettuata i assegnazione. Pertanto, in caso di morte del proprietario, prima deliassegnazione, i terreni stessi, e non i indennizzo versato agli eredi al termine del procedimento espropriativo, cadono nella successione e concorrono a farmare l'asse imponibile (1). Il particolare status degli immobili soggetti a conferimento, pur potendo eventualmente incidere sulla stima, non impedisce il normale procedimento valutativo voluto dalla legge per la determinazione della base imponibile dell'imposta di successione (2). {Omissis). -Col primo mezzo i ricorrenti sostengono -denun ciando violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 22, 23, SO, 36, 40, 42 e 46 della legge regionale 27 dicembre 1950 n. 104 sulla riforma agraria in Sicilia~ che la Commissione Centrale ha errato nel ritenere che oggetto del trasferimento ereditario e della correlativa imposta di successione fossero i terreni soggetti a scorporo anzich l'indennit di ( 1-2) La sentenza fa corretta applicazione delle norme della legge regionale siciliana sulla riforma agraria e delle norme sull'imposta di successione. La legislazione particolare vigente. in Sicilia per la riforma agraria -legislazione che si distacca notevolmente da quella nazionale -prevede un procedimento espropriativo particolarmente complesso. Tale procedimento ha inizio con l'individuazione dei terreni da conferire (piani di conferimento, art. 35); prosegue attraverso i piani di ripartizione (art. 38); sfocia e si conclude nell'assegnazione dei lotti IImediante sorteggio (art. 40). In arg. cfr. la costante giurisprudenza del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regone Sicilana e da ultmo dee. 23 giugno 1960, n. 247, Il Consiglio di Stato, 1960, I, 1442. In relazione alla complessit di tale procedimento la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha sottolineato che: a) il diritto di propriet dei terreni soggetti a conferimento rimane integro fino al momento dell'approvazione dei piani di conferimento e solo dopo questa approvazione si affievolisce (Cass., 28 aprile 1959, n. 1254, Giur. it., 1960, I, 1, 168); b} il proprietario espropriando rimane nel possesso, quanto meno di fatto, nella gestione e nel godimento del fondo da espropriare, anche dopo che i piani di conferimento siano divenuti esecutivi, e fino alla fine dell'annata agraria in corso alla data del sorteggio e dell'assegnazione (Cass., 26 novembre 1960, n. 3139, Giust. civ., 1961, I, 12; 18 aprile 1961, n. 852, Giust. civ., 1961, I, 536); c) non vi un doppio trapasso di propriet dall'espropriando all'ERAS e da questo all'assegnatario, ma un unico trasferimento dal proprietario espropriato all'assegnatario: e ci perch la propriet non si perde con l'approvazione del piano di conferimento, ma soltanto dopo l'assegnazione ed il sorteggio (Cass., 18 aprile 1961, n. 582, cit.; Cass., 18 giugno 1959, n. 1918, Foro it., 1959, I, 432). Alla stregua dei suesposti principi s'intende agevolmente come i terreni soggetti a conferimento siano suscettibili di trasmissione per causa di morte e in tal caso concorrano a formare l'asse imponibile, essendo canone fondamentale dell'imposta di successione che essa colpisce il trasferimento dei beni avuto riguardo alla I loro consistenza ed al loro valore al momento dell'apertura della successione (art. 15, r.d.l. 7 agosto 1936, n. 1639, che ha sostituito l'art. 34, r.d. 30 dicembre 1923, n. 3270, in relazione agli artt. 1 e 20 r.d. n. 3270 del 1923). PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1037 espropriazione loro corrisposta, in titoli di Stato, dopo la morte del de cuius. Argomentano gli eredi Bartoli: la legge regfonale n. 104 del 1950 ha stabilito sino dal momento della sua entrata in vigore, avvenuta anteriormente alla morte di Bartoli Gerolamo, vincoli e limitazioni tali da determinare la indisponibilit assoluta dei terreni soggetti a conf erimento. La volont del legislatore di vincolare immediatamente, ai fini della riforma agraria, i fondi assoggettati a scorporo si chiaramente espressa nel primo comma dell'art. 30 legge citata, a termini del quale la propriet complessiva, soggetta a conferimento a norma degli artt. 22 e 28, si determina con riguardo al momento dell'entrata in vigore della legge . Ad assicurare, poi, il raggiungimento dello scopo perseguito dal legislatore sono preordinate le sanzioni contenute nei comini successivi, dove si dispone non doversi tener conto dei trasferimenti tra vivi registrati dopo il 31 dicembre 1949, qualora comportino una riduzione della superficie da conferire, e viene comminata la nullit di diritto degli atti di trasferimento se il conferimento ricade, anche parzialmente, su terreni alienati. Pertanto gli immobili in parola, essendo sottratti, per finalit di carattere pubblico, ad ogni possibilit di negoziazione, devono considerarsi extra commercium sino dal momento delf entrata in vigore della legge di riforma agraria. Di qui la conseguenza -concludono i ricorrenti -che dato che la soggezione delle terre allo scorporo e la indisponibilit di esse preesistevano legalmente al fatto giurdico della successione... e che il soggetto passivo dell'esproprio colui che risulta titolare dei beni scorporandi al momento dell'entrata in vigore della legge di riforma, ne risulta che agli eredi Bartoli non potevano essere trasferite le terre oggetto dello scorporo, bens solo le relative indennit . La censura infondata. Non pu essere condivisa l'affermazione, secondo cui l'entrata in vigore della legge in esame avrebbe determinato, con effetto immediato e assoluto, l'incommerciabilit dei terreni soggetti a scorporo. Infatti, il secondo comma dell'art. 30 esclude dal computo, agli effetti della determinazione della propriet complessiva soggetta a conferimento, i trasferimenti derivanti da donazioni in favore di enti morali e da donazioni a carico del patrimonio di uno dei coniugi, in favore di ciascun figlio, sino a un dato imponibile, nonch i trasferimenti avvenuti in contemplazione di matrimonio, o diretti alla formazione della piccola propriet contadina. Si potrebbe, pertanto, correttamente configurare, se mai, una situazione di indisponibilit relativa, in relazione ai limiti soggettivi ed oggettivi fissati dalla legge, ma non mai una avulsione immediata dei beni stessi dal patrimonio della persona colpita. 1038 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Inoltre, a ben guardare, l'indagine sullo status dei beni in questione se pu avere rilevanza, nella competente sede fiscale, agli effetti della determinazione del valore dei beni colpiti ai fini dell'imposta di successione -non pu certo condurre, come i ricorrenti. pretendono, addirittura alla avulsione dei beni stessi caduti nella successione di Bartoli Gerolamo. Ai fini del decidere, occorre infatti accertare, non tanto quale fosse, al momento dell'apertura della successione, la situazione giuridica dei terreni soggetti a scorporo, ma se i terreni stessi -quali che fossero i limiti posti alla loro commerciabilit -facessero, o meno, ancora parte del patrimonio del defunto. Ora, , in proposito, risolutiva la disposizione dell'art. 40, 'secondo comma, legge citata, a termini della quale il passaggio della propriet dei terreni dall'espropriato all'assegnatario si attua col verbale di sorteggio che, precisa la norma, tiene luogo dell'atto di trasferimento,,, Ne discende che -essendo, nella specie, pacifi.co che lassegnazione dei terreni avvenuta dopo la morte del de cuius -sono caduti nella successione i terreni stessi, e non mai i titoli di Stato, versati agli eredi al termine del procedimento espropriativo, molto tempo dopo tale data. Che, poi, in conseguenza del vincolo che li astringeva ai fini della riforma agraria, tali immobili avessero {come assumono i ricorrenti) un valore grandemente ridotto, una circostanza, ripetesi, che, se anche si possa, o voglia dire esatta, in ogni caso assolutamente estranea alla identificazione del relictum e della quale deve, se mai, tenersi naturalmente conto soltanto in sede di ricerca del valore tassabile in applicazione dell'imposta di successione. Il primo mezzo di ricorso, col quale si propugna, in contrasto con la norma sopra citata, una sostituzione o surrogazione oggettiva dei beni realmente lasciati dal defunto, deve essere pertanto rigettato. Si denuncia, col secondo mezzo, la violazione dell'art. 34 della legge tributaria sulle successioni, modificato dagli artt. da 15 a 20 del r.d.l. 7 agosto 1936, n. 1639. Assumono i ricorrenti che la particolare situazione dei terreni di cui si discute rendeva impossibile la commisurazione dell'imposta successoria secondo i criteri legali dettati dagli artt. 15 e 16 del r.d. n. 1639 del 1936. Non era infatti possibile -si asserisce -la determinazione, in conformit di tali norme, del valore venale in comune commercio di immobili praticamente insuscettibili di libere contrattazioni, n era possibile il raffronto con altri immobili situati nella medesima localit e in analoghe condizioni , posto l'enorme divario di valore esistente tra i due termini della comparazione. PARTE I, SE'Z. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1039 Donde la necessit -si conclude -di far coincidere leffettivo valore dei detti immobili ereditari con l'indennit stabilita dall'art. 42 della citata legge di riforma agraria. Anche a questa censura va negato fondamento. Va anzitutto osservato che, essendo caduti nella successione i ter reni, e non l'indennit, nessuna disposizione di legge consentiva di com misurare l'imposta di successione sui titoli di Stato, in cui il valore dei terreni si convertito solo al termine della procedura di scorporo. N, d'altra parte, esatto, che, relativamente a immobili soggetti a conferimento, i criteri di valutazione dettati dalle citate disposizioni di legge siano inapplicabili, giacch il particolare status degli immobili stessi -pur potendo incidere, eventualmente, sulla stima -non pu certo impedire il procedimento valutativo voluto dalla legge per la determinazione dell'imposta successoria in concreto dovuta. Che se, nella specie, il valore stimato dagli organi competenti ha ecceduto. quello che, secondo i ricorrenti, si sarebbe potuto attribuire in comune commercio, per effetto, sia pure, dello scorporo, agli immo bili in questione, ci attiene solo al giudizio sul quantum non censu rabile sicuramente in questa sede di mera legittimit. Disatteso, pertanto, il secondo mezzo, brevi considerazioni bastano per dimostrare l'inconsistenza del terzo e del quarto. Si deduce, con l'uno, la violazione del principio concernente la causa giuridica dell'obbligazione tributaria degli eredi; e, con l'altro, la violazione del principio di diritto secondo cui gli eredi, venendo a trovarsi nella medesima situazione girn:idica del defunto, non acqui stano diritti maggiori, o diversi, da quelli di cui era titolare il de cuius medesimo. Movendo, per la sua preminenza logica, da quest'ultima censura, evidente che essa ricalca, sotto diverso profilo, la sostanza del primo mezzo di ricorso, da cui mutua il concetto informatore. Vale pertanto, . anche riguardo ad essa, ,quanto. si detto in precedenza: che oggetto della trasmissione ereditaria furono, cio, gli immobili, sia pure nella condizione creata dalla procedura di escorporo in corso, perch, al momento dell'apertura della successione, nel patrimonio del de cuius si trovavano i terreni, e non l'indennit, in cui il valore degli stessi si convert per effetto della successiva assegnazione ai beneficiari della riforma. Non dunque esatto che, nella specie, sia stato disapplicato il principio della corrispondenza tra diritto trasmesso e diritto acquistato jure successionis. N a diversa conclusione conduce l'esame dell'altro motivo, col quale si deduce che. gli eredi Bartoli non potevano essere a tassati per un incremento patrimoniale -quello costituito dagli immobili scorporandi -di fatto non verificatosi. In realt gli immobili in que 1040 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO stione sono entrati nel patrimonio dei ricorrenti, e questo basta per identificare in essi il cespite da assoggettare all'imposta di successione. Quale sia stata, poi, l'entit dell'arricchimento in effetti conseguito dai Bartoli questione che, concernendo, come si detto, il quantum dell'imposta, non pu essere sollevata in questa sede di legittimit. Similmente infondato il quinto mezzo, col quale si denuncia la disapplicazione della circolare del Ministero delle Finanze n. 21 del 16 aprile 1956. Pur dovendosi, in linea di principio, negare alle circolari emanate dalla p.a. valore di interpretazione autentica della legge, con efficacia vincolante per il giudice, in concreto risolutivo il rilievo che la circolare sopra menzionata riguarda un'ipotesi nettamente distinta da quella di specie. Essa riguarda, infatti, il caso che, al momento dell'apertura della successione, pur essendosi gi concluso il procedimento di espropriazione, i titoli costituenti l'indennit non siano stati ancora materialmente consegnati, e avverte che, in tale evenienza, l'imposta di successione deve essere commisurata sul valore dei titoli, non dei terreni, per essere questi rimasti estranei alla trasmissione ereditaria. Situazione, questa, ra:dicalmente diversa da quella dibattuta, dato che, al momento dell'apertura della successione di Bartoli Gerolamo, il procedimento di scorporo non si era ancora esaurito. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 25 giugno 1965, n. 1336 -Pres. Torrente -Est. Giannattasio -P.M. Tavolaro (conf.) -Ministero Finanze (avv. Stato Coronas) c. Societ Conservificio Nord Adriatico e Industria della Pesca {avv.ti Palladino e Maris). Dogana -Diritto di licenza -Importazione a dogana, avvenuta in epoca anteriore alla I. 15 giugno 1950, n. 330 abolitiva del diritto di licenza, a norma dei dd.mm. 13 aprile 1946 e 21 settembre 1949 -Esclusione. (r.d.l. 13 maggio 1935, n. 894; l. 15 giugno 1950, n. 330). Il diritto di licenza introdotto dal r.d.l. 13 maggio 1935, n. 894 e soppresso con la l. 15 giugno 1950, n. 330, non dovuto per le importazioni a dogana delle merci contemplate nella tab. A del d.m. 13 aprile 1946 ed in quella annessa al d.m. 21 settembre 1949, con i quali stato attuato, per le merci stesse, una piena liberalizzazione degli scambi (1). (1) In tal senso gi si era pronunciata la Cassazione, Sez. I, con la sentenza 22 aprile 1964, n. 955, in questa Rassegna, 1964, I, 586. L'Amministrazione si uniformata alla giurisprudenza della Cassazione ormai costante. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1041 (Omissis). -Con l'unico motivo l'Amministrazione ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2 e 3 del r.d.l. 13 maggio 1935, n. 894 (conv. in 1. 17 febbraio 1936, n. 334), in relazione agli artt. 1, 2, 3 e 4 d.l. 14 novembre 1926, n. 1923; 1 r.d. 20 maggio 1935, n. 654, 1, 2 e 3 r.d. 3 novembre 1935, n. 1891, r.d.l. 29 dicembre 1935, n. 2186; 2, r.d. 14 marzo 1938, n. 643; 1, d.l. 16 gennaio 1946, n. 12; 1e2, d.m. 21 settembre 1949 e successivo d.m. di modifica 21 dicembre 1949, nonch in relazione alla legge 15 giugno 1950, n. 330; e difetto di motivazione, ai sensi dell'art. 360, n. 5 c.p.c. Lamenta la ricorrente che la Corte di merito abbia equiparato la importazione cosiddetta a dogana , di cui ai dd.mm. 21 settembre 1949 e 21 dicembre 1949 alla importazione vincolata da qualsiasi forma di permesso, sostenendo che solo la importazione a licenza avrebbe comportato l'obbligo di pagare lo speciale diritto di licenza e sostiene che il d.m. 21 settembre 1949 non pu riconnettersi alla possibilit di modificare la tabella di merci di vietata importazione, ma comporta la possibilit di accordare deroghe ai divieti vigenti, onde si tratta di un atto amministrativo generale di autorizzazione in deroga, avente gli stessi effetti degli atti amministrativi speciali di autorizzazione e, come questi, presupponente il divieto di carattere generale, e per ci stesso costituente, a sua volta, presupposto per la percezione del diritto di licenza. Osserva al riguardo lAmministrazione che con il d.m. 13 aprile 1946 furono cos istituite le importazioni a dogana, cos dette perch le dogane erano autorizzate a consentire, in deroga ai divieti di carattere economico e valutario, la introduzione nel territorio della Repubblica, in base a benestare bancario, di determinate merci, che avessero una determinata provenienza. Tale importazione si distingueva da quella su licenza solo perch il permesso non ra concesso caso per caso, ma per categorie ben precisate di merci, che in tanto si potevano importare, in quanto era intervenuto un discrezionale provvedimento ministeriale, considerazioni queste che valgono anche per il d.m. 21 settembre 1949. Questo decreto non ha modificato la tabella dei divieti, ma ha fatto venire meno il divieto per talune merci, provenienti da taluni paesi, il che comprova che si trattasse di provvedimento in deroga ai divieti di carattere generale. In definitiva la deroga particolare, emessa dal Commercio Estero, doveva essere accompagnata da una licenza ministeriale, quella generale da un consenso della Dogana, ma, in entrambi i casi l'intervento della P.A. era indirizzato a verificare che l'imposta fosse assolta. Si conclude pertanto dal ricorrente che se l'imposta di licenza intendeva colpire il soprareddito al maggiore incremento economico derivante all'importatore di merci dalla situazione di privilegio in cui veniva messo, rispetto alla sua categoria, della concessione del permesso o licenza, tale privilegio permane anche a seguito del decreto del 1949 fra coloro che prov 1042 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO vedono alla importazione delle merci consentite dai Paesi contemplati e coloro che, per le stesse merci, devono rivolgersi ad altri Paesi. Le censure, cos riassunte, riproducono sostanzialmente le ragioni gi addotte dall'Amministrazione finanziaria dello Stato nei precedenti giudizi e che furono disattese da questo Supremo Collegio, allorch ebbe a fissare il criterio, per cui, a seguito dei provvedimenti sulla liberalizzazione degli scambi, di cui al d.m. 13 aprile 1946 e 21 settembre 1949, il diritto di licenza, previsto dal r.d.l. 13 maggio 1935, n. 894; e poi soppresso con l. 15 giugno 1950, n. 330, non poteva essere applicato nell'importazione delle merci la cui introduzione, ai sensi dei citati decreti ministeriali, poteva essere consentita direttamente dalle dogane {Cass., 22 aprile 1964, nn. 955, 956, 957 e 958). Da questo criterio, che perfettamente aderente al sistema legislativo, non intendono discostarsi queste Sezioni Unite, in mancanza di argomenti nuovi che possono giustificare un riesame e condurre eventualmente a diversa conclusione. Gi del resto, questa Corte regolatrice, con la sentenza 29 luglio 1957, n. 3191, aveva avuto modo di precisare che il diritto di licenza fu istituito col decreto n. 894 del 1935 per colpire il soprareddito o maggior incremento economico derivante all'importatore di merci dalla situazione di privilegio, in cui veniva posto rispetto agli altri che quel permesso non avevano ottenuto. Tributo quindi, imposto da ragioni di perequazione tributaria che si inquadrava nel regime autarchico allora vigente; in Cl,li la regola era costituita dal divieto di esportazione o di importazione di merci, leccezione dello speciale permesso o licenza da rilasciarsi, per singoli casi, su domanda degli interessati (d.l. 14 novembre 1926, n. 1923, art. 4, d.m. 28 dicembre 1939, 15 e 19 luglio 1940). L'ultimo dei qecreti citati disponeva che tutte le merci, a decorrere dal 1 gennaio 1960, erano dichiarate di vietata importazione ad eccezione di quelle poche comprese nella tabella B, ammessa al r.d. 3 novembre 1935, n. 1891. In tale sistema, dunque, il diritto di licenza incideva solo Sl,l individuali singole merci, per le quali appunto, in deroga al generale divieto di importazione, venivano rilasciate dal Ministero delle Finanze particolari autorizzazioni denominate permessi in derogazione (art. 4, decreto n. 1923 del 1926). Ne discendeva ovviamente che ove una data merce era esclusa dai divieti essa poteva essere importata liberamente ed era sottratta al pagamento dei diritti di licenza, salva losservanza degli obblighi di carattere valutario. A questo punto sorge spontanea la considerazione che se per effetto dell'attuale liberalizzazione degli scambi, si generalizzata la autorizzazione all'importazione e tutti gli operatori economici hanno potuto introdurre nello Stato quelle determinate merci, che sono elencate nei decreti di PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1043 liberalizzazione, venuto a cessare il presupposto dell'imposizione tributaria, considerato che non esistevano pi situazioni di privilegio da colpi.re con l'imposizione speciale. Ma l'esattezza di questa affemazione si ricava dalle disposizioni emanate nel periodo del dopoguerra che ha preceduto la legge del 1950 abolitiva del tributo e che sono tutte ispirate al nuovo indirizzo della liberalizzazione degli scambi. Con il d.l.l. 10 gennaio 1946, n. 12, venne costituito il Ministero del commercio con l'estero, al quale venne attribuita competenza in materia di a coordinamento ed esecuzione dei programmi di importazione e di esportazione e di disciplina dei movimenti valutari concernenti le importazioni e le esportazioni di merce . Sopravvenne, poi, un provvedimento di particolare importanza, e cio il d.l.l. 26 marzo 1946, n. 139, per effetto del quale la disciplina delle importazioni ed esportazioni venne radicalmente mutata sia in rapporto agli obblighi di carattere valutario, sia in rapporto alla disciplina dei divieti. L'esportatore non aveva pi l'obbligo di cedere allo Stato l'integrale importo in valuta estera che aveva ricavato dall'operazione di esportazione, ma soltanto la met; l'altra met veniva lasciata a disposizione dell'esportatore che poteva impiegarla in operazioni di importazione o cederla a terzi al fne dello stesso impiego. Il decreto delegava al Ministero per il commercio con lestero la emanazione delle norme di applicazione e di elenco delle merci che con quella valuta potevano essere importate e manteneva ferma l'inapplicabilit del regime dei divieti alle merci provenienti dai Paesi con i quali vigevano accordi o trattati. In virt di tale delega il Ministero del commercio con l'estero emanava il decreto 13 aprile 1946, che elencava le merci che potevano essere importate senza licenza (art. 5) e quelle per le quali occorreva ancora la licenza (art. 6). AI posto del regime di generale restrizione si istituiva cos una liberalizzazione valutaria limitatamente al 50% della divisa estera che entrava in Italia, ad una liberalizzazione unilaterale degli scambi con lestero per molte materie prime, compiendosi cos un passo importante verso la graduale libert degli scambi e dei pagamenti. Successivamente, con il d.m. 21 settembre 1949 le dogane furono autorizzate a consentire, in deroga ai vigenti divieti di carattere economico la introduzione delle merci elencate nell'annessa tabella I di origine e di provenienza dei Paesi dell'O.E.C.E. (art. 1), subordinatamente all'adempimento delle disposizioni e formalit vigenti all'atto dell'imposizione . (art. 2). In forza di questa formula ( le dogane sono autorizzate a convertire ) le merci, elencate nella tabella annessa o sono sottratte ad ogni divieto di importazione -salvi gli adempimenti valutari -e allora 1044 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO non occorre la licenza (art. 5), o il divieto d'importazione persiste, e allora l'importazione deve essere consentita su presentazione della licenza o permesso ministeriale (art. 6). L'espressione le dogane sono autorizzate a conventire non pu avere che un solo significato: le dogane, per le merci elencate nella tabella A) e per quelle da importare da Paesi aventi accordi interstatali, sono tenute a consentire l'importazione che prima era vietata. N vale sostenere, come fa l'Amministrazione ricorrente che l'autorizzazione alle dogane, a consentire, in deroga ai divieti di carattere economico, l'importazione di determinate merci in base a permesso valutario (c.d. importazione a dogana) si sarebbe dovuta configurare come una deroga generale al sistema restrittivo e perci soltanto la introduzione delle merci sarebbe stata colpita dal diritto di licenza. Fermo il concetto che questo tributo collegato alla licenza (che elimina il divieto economico di importazione di quella determinata merce) e non all'osservanza delle formalit valutarie, decisivo sottolineare che il potere di ampliare o di restringere i divieti d'importazione spetta unicamente all'autorit governativa centrale (prima al Ministero delle finanze, e succssivamente al Ministero degli scambi e valute, infine al Ministero del commercio con l'estero), potere che pu assumere o il contenuto di modificazione dl divieto a carattere generale (elenco di merci di vietata importazione, art. 2, decreto n. 1923 del 1926); o quello di modificazione del divieto a carattere particolare {permesso o licenza per singoli casi, art. 4). Il provvedimento ministeriale che istituisce la cosiddetta importazione a dogana, perci, non atto che opera sullo stesso piano di un singolo provvedimento di deroga (permesso o licenza), ma implica, per la ricordata attribuzione di poteri conferita dal potere > legislativo a quello esecutivo; vera e propria modificazione del regime > dei divieti, che sottrae definitivamente ai divieti medesimi quelle deter. -: minate merci elencate nelle tabelle. Pertanto, se il Ministero del commercio con l'estero, attraverso i decreti 13 aprile 1946 e 21 settembre 1949, ha esercitato i suoi poteri di modificazione delle tabelle di importazione delle merci, deve ritenersi in coerenza alle premesse, che l'importazione a dogana rappresenta una piena liberalizzazione delle merci elencate in quei provvedimenti. Le quali merci, in quanto esenti dal permesso d'importazione (salvi gli obblighi di carattere valutario) non potevano perci dirsi soggette all'imposizione del diritto di licenza. Questo alla sua abolizione, intervenuta con 1. 5 giugno 1950, n. 330, riguardava oramai soltanto quelle merci per le quali erano ancora sussistenti il divieto di importazione e il correlativo obbligo di pagamento del tributo per l'eventuale permesso o licenza, a carattere particolare, rilasciato in deroga al divieto medesimo. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1045 E poich non controverso che la merce importata (stoccafisso) era compresa tra quelle che, per effetto del decreto 21 settembre 1949, modificato con successivo d.m. 21 dicembre 1949, potevano essere liberamente introdotte in Italia, esattamente la Corte di merito ha riconosciuto il diritto della societ resistente a pretendere il rimborso delle somme pagate per un tributo non dovuto. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 14 luglio 1965, n. 1488 -Pres. Rossano -Est. Saya -P.M. Gedda (diff.) -Ditta I.S.E. (a,vv. Mela) c. Ministero Finanze (avv. Stato Peronaci). Imposta di registro -Costruzione di case per senza tetto a seguito di eventi bellici -Agevolazione fiscale ex art. 93 d.l.l. 10 aprile 197, n. 261 -Subappalto -Applicabilit. (d.l.l. 10 aprile 1947, n. 261, art. 93). L'agevolazione fiscale stabilita dalrart. 93 del d.l.l. 10 aprile 1947, n. 261 rivolta a favorire tutti gli atti e contratti occorrenti per la costruzione di nuove case per i senzatetto, e precisamente tutti quei negozi che, come mezzo al fine, sono in correlazione con queli obiettivo, senza distinguere tra i rapporti della Pubblica Amministrazione con il concessionario e gli altri che intercorrono fra quest'ultimo ed eventuali subappaltatori {l). {Omissis). -Fondato invece il primo mezzo, con cui la ricorrente si duole della ricordata interpretazione restrittiva, denunziando violazione e falsa applicazione del citato art. 93 d.l.C.p.S. 10 aprile 1947, n. 261. Sulla questione gi il Cupremo Collegio si pronunciato ( cfr. sent. 27 luglio 1964, n. 2094) risolvendola in senso favorevole alla ricorrente, e tale orientamento va seguito. Invero, la ratio della norma che prevede il beneficio fiscale in questione, come risulta anche dal suo tenore letterale, rivolta a favorire tutti quegli atti e contratti occorrenti per la costruzione di nuove case per i senzatetto e precisamente tutti quei negozi che, come mezzo al fine, sono in correlazione con quelfobiettivo, senza distinguere tra i rapporti della Pubblica Amministrazione con il concessionario e gli altri che intercorrono tra quest'ultimo ed eventuali subappaltatori. Analogamente, peraltro, a quanto stato gi ritenuto rispetto alla legge (1) Nello stesso senso Cass., 27 luglio 1964, n. 2094, in questa Rassegna, 1964, 1, 946 con nota. 1046 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 2 luglio 1959, n. 408, che d luogo ad un problema perfettamente identico {cfr. in proposito: Cass., 6 ottobre 1959, n. 2690 ed anche per riferimenti generali: Cass., 27 maggio 1963, n. 1379). L'argomento addotto dall'impugnata sentenza per arrivare ad un opposto risultato consiste unicamente nella considerazione che il beneficio avrebbe ragion d'essere nei confronti dell'Amministrazione al fine di consentirle un'economia che potrebbe essere utilizzata per la costruzione di un maggior numero di case per i senzatetto, mentre risulterebbe privo di giustificazione per i rapporti tra concessionario e subappaltatore, essendo tali rapporti caratterizzati da finalit di lucro. Ma tale argomento soltanto apparente, essendo intuitivo che il concessionario pretenderebbe un corrispettivo pi elevato da parte dell' Amministrazione se per i contratti di subappalto dovesse essere scontata la normale imposta di registro, costituendo ci un onere di cui il subappaltatore terrebbe a sua volta conto nella pretesa del corrispettivo a lui dovuto dal concessionario medesimo sicch, in definitiva, lonere verrebbe a ripercuotersi sulla Pubblica Amministrazione, contraendo quei fondi, che, invece, il legislatore ha voluto fossero interamente destinati alla costruzione delle case per i senzatetto, concedendo perci il beneficio della registrazione a imposta fissa. -(Omissis). CORTrE DI CASSAZIONE, Sez. I, 15 luglio 1965, n. 1537 -Pres.. Rossano -Est. Gambogi -P.M. Polimeni (conf.) -Bassani (avv.ti Ungaro e Gr~vone) c. Comune di Milano (avv.ti Consolini e Sartogo). Imposte e tasse in genere -Avviso di accertamento -Comunicazioni in via amministrativa -Natura giuridica -Requisito di esistenza -Raggiungimento del fine -Limite di forma Osservanza del procedimento stabilito dalla legge. (t.u. 14 settembre 1931, n. 1175, art. 277). Imposte e tasse in genere -Avviso di accertamento -Notifica mediante consegna di copia non sottoscritta -Nullit ed inesistenza -Esclusione. (t.u. 14 settembre 1931, n. 1175, art. 277; t.u. 3 marzo 1934, n. 383, art. 273). Imposta di famiglia -Imponibile -Distinzione delle singole fonti di reddito -Valutazione presuntiva di ciascuna di esse -Illegittimit -Esclusione. (t.u. 14 settembre 1931, n. 1175, art. 117). Gli atti di comunicazione in via amministrativa, quali le notificazioni, gli avvisi, le pubblicazioni e simili, pur essendo attivit svolte da organi della p.a., non rientrano, almeno in senso proprio, nella categoria PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1047 degli atti amministrativi, ma costituiscono mere op~razioni amministrative, cio attivit materiali svolte dalf amministrazione in adempimento di atti amministrativi veri e propri. Alle operazioni amministrative non si estendono i requisiti f armali necessari per la esistenza stessa dell'atto amministrativo; criterio fondamentale per accertare la giuridica esistenza e la volont di un'operazione amministrativa quello del raggiungimento del fine cui roperazione stessa era destinata, e l'unico limite di forma rappresentato dalfosservanza della procedura espressamente stabilita dalla legge per compiere l'operazione (l). La mancanza della firma del competente funzionario sull'avviso di accertamento di imponibile per tributo locale, notificato dal messo comunale non comporta nullit, n tantomeno inesistenza, dell'avviso (1-2) La sentenza merita piena adesione per le conclusioni cui pervenuta. Ai motivi addotti per disattendere il primo motivo di ricorso pu aggiungersene un altro al quale, sotto il profilo logico, dovrebbe attribuirsi carattere di priorit. Infatti il contribuente dalla mancanza di sottoscrizione dell'avviso di accertamento da parte del funzionario competente, ha dedotto, prima ancora della nullit della. notificazione, l'inesistenza stessa cc dell'atto amministrativo oggetto della notifica. A tale rilievo la Corte ha risposto che il documeno consegnato senza firma non che l'avviso, il mezzo materiale mediante il quale avvenuta, ai sensi dell'art. 277 del t.u. sulla finanza locale, la notificazione della variazione dei ruoli. Bench dalla citata norma non si deduca con certezza che la comunicazione al contribuente possa concretamente realizzarsi con la consegna di un semplice avviso piuttosto che di copia conforme dell'atto amministrativo di iscrizione o variazione dei ruoli o di rettificazione delle denunzie -come pure sarebbe possibile ritenere, atteso che il soggetto obbligato per legge alla comunicazione non pu adempierlo addossando al destinatario di essa l'onere di un comportamento positivo diretto a prendere effettiva conoscenza dell'atto (OTTAVIANO, La comunicazione degli atti amministrativi, 125) -resta il fatto che l'assunto del ricorrente urta inevitabilmente contro il principio dell'autonomia della comunicazione rispetto al provvedimento cui si riferisce, dal quale discende che, qualunque sia il sistema di trasmissione seguito, eventuali sue irregolarit, non si riflettono sulla legittimit o la validit dell'atto comunicato (Cons. Stato, Sez. IV, 30 dicembre 1954, n. 1048, Consiglio di Stato, 1954, I, 1184; Cons. Stato, Sez. V, 11 febbraio 1961, n. 50, ivi, I, 306), . incidendo, tutt'al pi, sulla sua efficacia (Cass., 3 maggio 1958, n. 1462, Giur. it., 1959, I, 1, 458; Cass., Sez. Un., 11 dicembre 1963, n. 3132, Foro it., 1964, I, 888). Pertanto, anche interpretando l'art. 277 citato nel senso che la notifica debba essere eseguitamediante consegna di copia conforme, certo che dalla mancata sottoscrizione di essa non pu dedursene l'inesistenza dell'originale. Oltre a ci la corte, dopo aver ricordato la dottrina secondo cui gli atti di comunicazione in via amministrativa sarebbero mere operazioni, cc e cio attivit materiali svolte dall'Amministrazione in esecuzione o adempimento di atti amministrativi veri e propri ", con la conseguenza che ad esse non si estendono i requisiti formali propri di questi ultimi, ha ritenuto esistente e valida loperazione tutte le volte che essa abbia raggiunto , il fine cui destinata con losservanza della procedura stabilita dalla legge. Wr'-;fr-~.~'''r-01'1'1_...._____,.:._.__ .. ..:.%_ ..........:-.- .._._ ... . ...:::: .:-:=:~ :..-..:-..... ::::...... :-: ...:-:% :::::: ..... .. ......- ....-.-...,.,...__ ... %~:,. :::; 1048 RA:SSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO medesimo, che rappresenta il mezzo materiale mediante il quale avvenuta, ai sensi degli artt. 276 e 277 t.u.f.l. la notificazione della variazione dei ruoli, e si qualifica come operazione amministrativa .destinata al raggiungimento dello scopo di dare notificazione al destinatario della variazione stessa, notificazione da effettuarsi, giusta la prescrizione di legge (art. 277 t.u.f.l.) a mezzo di messo comunale. Del resto, anche applicando alla fattispecie le regole della procedura civile, che sono quelle normalmente adottate dalla legge in tema di procedimento contenzioso fiscale, non essendosi avuta inosservanza di forme prescritte a pena di nullit, ed avendo ratto raggiunto lo scopo cui era destinato, lq notificazione deve ritenersi valida, o quanto meno sanata con la successiva proposizione del reclamo {2). Secondo la sentenza annotata, tale ultima circostanza ricorreva certamente nella specie per essere stata la notifica eseguita dal messo comunale come esige lart. 277 citato. La decisione ha dunque accolto la dottrina (SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, 265 e segg.) e che, in relazione ad una particolare definizione degli atti giuridici (SANDULLI, op. cit., 91), colloca le comunicazioni nella categoria delle . operazioni amministrative caratterizzate dalla irrilevanza della volont dell'agente in ordine alla produzione degli effetti che l'ordinamento vi ricollega. Ora, pur II dovendosi riconoscere che la definizione recepita in sentenza, non pacifica, atteso che altri autori (V~A, Diritto amm., vol. I, par. 89, 417; OTTAVIANO, op. cit., 125; VrGoRITA, In tema di comunicazione dell'atto amministrativo, Giur. Cass. Civ., ~ . 1952, 1560), considerano le comunicazioni come veri e propri atti giuridici non , negoziali, anche se si riscontrano incertezze nell'indicazione della categoria cui assegnarle: dichiarazioni di scienza, certificazioni, dichiarazioni di rappresentazione . (Cons. Stato, Sez. V, 3 giugno 1941, n. 365, Foro amm., 1941, I, 2, 192), non pu II non convenirsi che differiscono certamente dagli atti negoziali, non tanto sotto il ' profilo dei requisiti formali, necessari per la loro esistenza, quanto sotto quello ' dei vizi che le invalidano. Il problema della identificazione di questi va risolto ricordando che se la comunicazione ha lo scopo di provocare la conoscenza certa di un atto, essa, per essere produttiva di effetti, per ragg'iungere, cio, il fine cui destinata, non solo deve essere eseguita dall'organo competente per legge -come giustamente ha rilevato la Corte -ma deve anche presentare determinati requisiti di forma (cfr. SANDULLI, op. cit., 266). Tra questi rientra certamente anche I ;) la conformit del documento consegnato all'originale dell'atto documentato (Cons. Stato, Sez. IV, 5 maggio 1965, n. 403, Consiglio di Stato, 1965, I, 833), attesa l'esigenza di certezza che la notificazione deve soddisfare. Tale conformit pu essere assicurata in due modi: o mediante sottoscrizione della copia da parte dell'autore dell'originale, o mediante certificazione da parte dell'organo incaricato della trasmissione se investito del rel.ativo potere (OTTAVIANO, op. cit., 161). Se si applicano questi criteri al caso di specie, si vedr che, essendo la notifica prevista dall'art. 277 t.u. sulla finanza locale avvenuta tramite il messo comunale :: .-} che ha il potere di notificare atti (t.u. 3 marzo 1934, n. 383, art. 273) e quindi di certificarne in sede di relazione la conformit all'originale, la mancanza di sottoscrizione della copia irrilevante perch il destinatario ha la certezza che il documento a lui consegnato rappresenta l'atto. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1049 Secondo l:art. 117, lett. a), del t.u. 14 settembre 1931, n. 1175, per fissare l'imponibile agli effetti dell'imposta di famiglia si deve tener conto analiticamente dei vari redditi e proventi del contribuente al netto delle spese di produzione; ma una volta distinte e classificate le varie fonti di reddito consentito procedere al calcolo dell'imponibile valutando presuntivamente, secondo i 'criteri di fatto dettati dalla comune esperienza (art. 115 c.p.c.) il reddito netto di ciascuna fonte, per poi procedere al coacervo di tutti i redditi singoli, esponendo nella decisione solo il risultato finale del calcolo (3). {Omissis). -Col primo motivo di ricorso il Bassani, denunzia la violazione dell'art. 277 del t.u. sulla finanza locale, sostenendo che la mancanza della firma def competente funzionario sull'avviso di accertamento di imponibile notificatogli dal messo comunale produce la inesistenza, e non la semplice nullit sanabile, dell'atto amministrativo oggetto della notifica, con la conseguente impossibilit della sanatoria ritenuta dalla Commissione Centrale a seguito della proposizione del ricorso alla Commissione Comunale. La doglianza infondata. L'atto amministrativo notificato al contribuente costituito, infatti, dalla variazione ai ruoli dell'imposta di famiglia apportata, per il Bassani, dal Sindaco con la deliberazione di cui all'art. 276 del t.u. della finanza locale; e il documento senza firma consegnato al Bassani dal messo comunale non che l'avviso, il mezzo materiale mediante il quale avvenuta, ai sensi del successivo art. 277, la notificazione della suddetta variazione dei ruoli. Secondo quelle che sono nozioni pacifiche in dottrina, gli atti di comunicazione in via amministrativa, quali le notificazioni, gli avvisi, le pubblicazioni e simili, pur essendo attivit svolte da organi della p.a., non rientrano, almeno in senso proprio, nella categoria degli atti amministrativi, ma costituiscono, secondo la terminologia oggi adottata, mere operazioni amministrative, e cio attivit materiali svolte dall'Amministrazione in esecuzione o adempimento di atti amministrativi veri e propri. A codeste operazioni, ovviamente, non si estendono i requisiti formali che sono necessari per la esistenza stessa dell'atto amministrativo. Criterio fon (S) Il principio affermato dalla Cassazione, anche se relativo a fattispecie singolare, si ricollega all'orientamento, ormai pacifico, secondo cui, in materia di imposta di famiglia, pur essendo quello analitico il metodo base per laccertamento del reddito, pu farsi ricorso anche a quello induttivo allorquando le risultanze del primo non siano sufficienti a rilevare la capacit contributiva del soggetto passivo, pur dovendosi, in tal caso, tenere presenti fatti ed indici positivi da indicare specificamente (Cass., 28 gennaio 1963, n. 137, Riv. leg. fsc., 1963, 1265; Cass., 28 luglio 1962, n. 2226, Foro it., 1962, I, 1428; Cass., Sez. Un., 12 ottobre 1960, n. 2688, Riv. leg. fsc., 1961, 688). 1050 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO damentale per accertare la giuridica esistenza e la validit di una ope-~ razione amministrativa , invero, quello del raggiungimento del fine cui l'operazione stessa era destinata; e cos, nel caso della notificazione o dell'avviso della emanazione di un atto amministrativo, l'operazione sar da ritenersi valida qualora abbia raggiunto lo scopo di notificare il destinatario dell'atto stesso. L'unico limite di forma , semmai, quello dell'osservanza della procedura che sia espressamente stabilita dalla legge per compiere l'operazione; ma nella specie l'art. 277 t.u.f.l. prescrive solamente che la notificazione della variazione ai ruoli venga fatta dal messo comunale, come nella specie . ritualmente avvenuto. Nessuna causa di nullit, e tantomeno di inesistenza giuridica dell'atto, quindi sussiste. A diverse conclusioni, del resto, non si giunge se si applichino alla fattispecie le regole della procedura civile, che sono quelle .normalmente adottate dalla legge in tema di procedimento contenzioso fiscale, come ad esempio, risulta dal disposto degli artt. 40 e 44 del r.d. 8 luglio 1937 n. 1516 sul funzionamento delle commissioni per le imposte. Basta, infatti, richiamare le disposizioni del primo e terzo comma del1' art. 156 c.p.c. per constatare che nella specie, non essendosi avuta inosservanza di forme prescritte a pena di nullit ed avendo l'atto raggiunto lo scopo cui era destinato, la notificazione deve ritenersi valida o, quanto meno, sanata con la successiva proposizione del reclamo da parte del Bassani. -1~ Il primo mezzo di ricorso deve essere quindi rigettato. Col secondo mezzo il ricorrente denunzia la violazione dell'art. 117 J del t.u. s.ulla finanza locale ed il difetto di motivazione sul punto decisivo lamentando che la Commissione Centrale non abbia valutato come la g.p.a. singolarmente i suoi vari redditi, considerando soltanto l'indicazione delle fonti di reddito. Anche questa censura infondata. La lett. a) dell'art. 117, infatti, prescrive solamente che per fissare l'imponibile agli effetti dell'imposta di famiglia si tenga conto dei vari redditi e proventi del contribuente, al netto delle spese di produzione; ma l'obbligo dell'analisi si arresta a questo punto e nulla vieta che chi procede al calcolo dell'imponibile, una volta adempiuto alla distinzione e classificazione delle varie fonti di reddito (e tale distinzione stata compiuta, con larghezza di particolari, dalla decisione di merito della g.p.a.) valuti presuntivamente, secondo i criteri di fatto dettati dalla comune esperienza (art. 115 c.p.c.) il reddito netto di ciascuna fonte, ! per poi procedere al coacervo di tutti i redditi singoli, esponendo nella & decisione solo il risultato finale del calcolo, cos come nella specie ~ stato fatto. Per quanto, poi, concerne il richiamo agli indici di ricchezza, che il Bassani lamenta non essergli stati contestati prima del giudizio dinanzi PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1051 alla g.p.a., basta osservare che le risultanze di tali indici furono utilizzate soltanto ad abundantiam, ad integrazione, cio di una valutazione analitica dei redditi del contribuente ritenuta gi di per s sufficiente a giustificare l'imponibile accertato. Qualunque rilievo circa la ritualit dell'adozione nella specie del metodo induttivo di cui alla lett. c) dell'art. 117 del t.u. resta cos assorbito. -(Omissis): CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 15 luglio 1965, n. 1548 -Pres. Rossano -Est. Malfitano -P.M. Trotta (conf.) -Soc. Elettrica Sarda {avv. Satta) c. Amministrazione Finanziaria (avv. Stato Masi). Imposta di registro Agevolazioni -Benefici fiscali accordati dall'art. 5 d.l. C.P.S. 14 dicembre 1947, n. 1598 Presupposti Trasferimento di stabilimento industriale gi esistente Inapplicabilit. Imposta di registro -Agevolazioni -Benefici fiscali accordati dall'art. 5 d.l. C.P.S 14 dicembre 1947, n. 1598 -Presupposti per la provvisoria applicazione dell'agevolazione -Accertamento Competenza esclusiva dell'Amministrazione finanziaria Fattispecie. A norma dell'art. 5 del d.l. C.P.S. 14 dicembre 1947, n. 1598, contenente disposizioni per findustrializzazione delfltalia meridionale ed insulare, il primo trasferimento di propriet di terreni o di fabbricati occorrenti per [attuazione delle iniziative industriali, di cui ali art. 2 dello stesso decreto, soggetto ad imposta fissa; ma il tributo dovuto nella misura normale, qualora, entro il termine di tre anni dalla registrazione dell'atto, non sia dimostrato, con dichiarazione del Ministro per l'industria ed il commercio, che il fine dell'acquisto sia stato conseguit dal primo acquirente. L'agevolazione, pertanto, si applica in via provvisoria solo se risulti che l'atto sottoposto alla registrazione abbia ad oggetto un primo trasferimento di terreni o fabbricati occorrenti al primo impianto di stabilimenti industriali tecnicamente organizzati nelle province dell'Italia meridionale ed insulare, e non in base alla semplice richiesta dell'acquirente. Non rientra nell'agevolazione il trasferimento di uno stabilimento industriale gi esistente che non d luogo al perseguito incremento del patrimonio industrale (1). (1-2) Con la sentenza di cui sopra e con altre tre pubblicate in pari data, ma distinte dai numeri 1554, 1555 e 1556, relative ad identiche cause vertenti tra le medesime parti, la Corte Suprema ha confermato l'indirizzo giurisprudenziale espresso con la sentenza 7 maggio 1963, n. 111 (Giust. civ., 1963, I, 2109). 1052 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO All'accertamento dei presupposti per la provvisor~a applicazione dell'agevolazione deve provvedere l'Amministrazione finanziaria, e non il Ministro per l'industria e commercio, cui devoluto soltanto il compito di accertare se il fine dell'acquirente sia stato conseguito. Nella specie stato negato il beneficio al trasferimento di un complesso aziendale, e si considerata irrilevante l'attestazione del Ministero dell'industria e commercio sulla sussistenza dei requisiti per l'applicazione dell'agevolazione (2). {Omissis). -Con l'unico motivo deLricorso, denunciandosi la violazione dell'art. 5 del d.l. C.P.S. 14 dicembre 1947, n. 1598 e della 1. 29 di- La prima massima applica esattamente il princ1p10 secondo cui compete, in via autonoma, all'Amministrazione finanziaria, in ogni fase del rapporto di imposta, accertare la sussistenza degli elementi di fatto atti a realizzare le diverse fattispecie legali. Quanto alla seconda massima, la chiarezza del dettato legislativo rende difficile ipotizzare una diversa interpretazione dell'art. 5 d.l. C.P.S., n. 1598 del 1947 il quale, agevolando il primo trasferimento di propriet di terreni e di fabbricati occorrenti per il primo impianto di stabilimenti tecnicamente organizzati (art. 2 d.l. ult. cit.) nel mezzogiorno e nelle isole, esclude per converso dall'ambito di applicazione del beneficio i trasferimenti di stabilimenti gi esistenti, in ordine ai quali, non essendo possibile parlare di iniziative tendenti ad incrementare il patrimonio industriale, viene meno la ratio della norma regolatrice. Con riferimento al beneficio fiscale stabilito dall'art. 5 del d.l. 14 dicembre 1947, n. 1598 deve qui ricordarsi che l'art. 37 della legge 20 luglio 1957, n. 634 ha stabilito, fra l'altro, che con decreto del Ministro delle Finanze, di concerto con quelli per l'industria e commercio e per lagricoltura e foreste, il beneficio pu essere assentito per gli atti di acquisto in propriet, in enfiteusi o di affitto ultracentennale con o senza ipoteca, di terreni da assoggettare a radicale trasformazione con rilevanti investimenti di capitale o al rimboschimento in quanto i prodotti ottenibili siano interamente utilizzati quali materia prima e trasformati nello stabilimento industriale al cui esercizio i terreni sono funzionalmente destnati . Ed il successivo art. 39, ultimo comma, stabilisce che gli interessati sono ammessi provvisoriamente alle agevolazioni dietro esibizione agli uffici finanziari di un certificato comprovante l'avvenuta presentazione della istanza di concessione debitamente documentata . Le gravi difficolt, a cui dnno luogo tali disposizioni illegittimamente precedute, e con ben maggiore estensione, da leggi regionali (legge siciliana n. 29 del 20 marzo 1950, art. 4), derivano dal fatto che nessun termine stabilito al regime di provvisoriet del beneficio fiscale concesso in base a semplice esibizione del certificato comprovante la presentazione dell'istanza di concessione del beneficio stesso, onde tale situazione di provvisoriet potrebbe protrarsi sine die nel caso in cui sulla detta istanza non provvedano le Amministrazioni competenti; con evidente pregiudizio della certezza dei rapporti e con possibilit di gravi contestazioni in ordine alla decorrenza dei termini di prescrizione delle normali imposte da liquidarsi in caso di rigetto dell'istanza di concessione del beneficio. :i!; pertanto auspicabile che il legislatore intervenga con nuove disposizioni, ponendo, anche per tali casi, limiti temporali entro cni i presupposti di fatto per la definitiva concessione del beneficio fiscale debbano verificarsi. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1053 cembre 1948, n. 1482 in relazione agli artt. 5 della 1. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, 36 e 38 della I. 29 luglio 1957, n. 634, nonch l'insufficienza e la contraddittoriet di motivazione della sentenza impugnata si censura la sentenza medesima per avere ritenuto inapplicabili al contratto di vendita stipulato tra le parti i benefici fiscali previsti dall'art. 5 del citato decreto del 1947. Al riguardo si deduce che la Corte di merito ha erroneamente ritenuto che l'Ufficio del registro potesse respingere la richiesta di applicazione provvisoria dei benefici fiscali, in quanto esso avrebbe dovuto procedere a tale applicazione subordinando la concessione definitiva dei benefici medesimi alla tempestiva produzione della prescritta insindacabile dichiarazione del Ministro dell'Industria e Commercio attestante che la Societ Elettrica Sarda era la prima acquirente .dei beni oggetto della vendita, che questi erano destinati all'attuazione delle iniziative industriali di cui al decreto n. 1598 del 1947 e che detto fine era stato conseguito. Si aggiunge che la Corte ha erroneamente ritenuto che i cennati benefici possano essere concessi soltanto nella ipotesi di vendita di case o di terreni e che, nella specie, essi non fossero applicabili per essere stati oggetto dell'atto sottoposto alla registrazione, l'azienda di distribuzione di energia elettrica gestita dai Pietrasanta, prevedendo la legge la concessione della agevolazione tributaria anche nell'ipotesi di trasferimento di stabilimenti industriali gi esistenti. La censura infondata. A norma dell'art. 5 del decreto n. 1598 del 1947, contenente disposizioni per l'industrializzazione dell'Italia meridionale e insulare, il primo trasferimento di propriet di terreni ed i fabbricati occorrenti per l'attuazione delle iniziative industriali, di cui all'art. 2 dello stesso decreto, soggetto a imposta di registro e di trascrizione nella misura fissa di lire duecento. L'imposta dovuta nella misura normale, qualora, entro il termine di tre anni dalla registrazione dell'atto, non sia dimostrato con dichiarazione del Ministro per l'Industria e il Commercio che il fine dell'acquisto sia stato conseguito dal primo acquirente. Alla stregua di questa disposizione lagevolazione fiscale applicata, in via provvisoria, se risulti che l'atto sottoposto alla registrazione abbia ad oggetto un primo trasferimento di terreni e fabbricati occorrenti al primo impianto di stabilimenti industriali tecnicamente organizzati nelle province dell'Italia meridionale e insulare e tale applicazione diventa definitiva qualora nel termine stabilito dalla legge prodotto il certificato attestante che il fine stato conseguito. L'Ufficio del registro, quindi, deve applicare l'agevolazione tributaria, in via provvisoria, non in base alla semplice richiesta dell' acquirente, ma soltanto se concorrono i presupposti per l'applicazione di essa. N nell'accertamento di tali presupposti pu all'Amministrazione 1054 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO finanziaria sostituirsi il Ministro delflndustria e Commercio, essendo a questi devoluto soltanto il compito di accertare se il fine dell'acquirente sia stato conseguito. L'agevolazione fiscale, poi, si applica al trasferimento di terreni e fabbricati e non anche a quello di uno stabilimento industriale gi esistente, in quanto soltanto nel primo caso ha luogo l'incremento del patrimonio industriale, in considerazione del quale l'agevolazione stata concessa dalla legge (v. sent. n. 1111 del 1963). Nella specie, la Corte di merito si puntualmente uniformata a questi principi perch, accertato con incensurabile apprezzamento di fatto, che l'atto sottoposto alla registrazione aveva ad oggetto il trasferimento di un complesso aziendale e non di singoli beni, ha ritenuto che non sussistono i presupposti per l'applicazione dell'agevolazione fiscale e che, pertanto, l'attestazione del Ministro dell'Industria e Commercio fosse irrilevante ai fini di tale applicazione. Consegue che si deve rigettare il ricorso e condannare l'Ente Nazionale per l'Energia Elettrica che nel corso del giudizio si sostituito alla Societ Elettrica Sarda, alla perdita del deposito e al rimborso delle spese di questo giudizio di cassazione a favore della resistente . .!..:.__ (Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 16 luglio 1965, n. 1573 -Pres. Vi. stoso -Est. Arienzo -P.M. Gentile (conf.) -Soc. Mineraria Siderur.; , gica f erromin (avv. Guidi) . Ministero Finanze (avv. Stato Soprano). Imposte e tasse in gnere -Ricorso alla Commissione Centrale quale giudice di secondo grado -Indicazione motivi -Necessit -Limiti. (1. 8 luglio 1937, n. 1516, artt. 45, 46 e 38). Miniere, cave o torbiere -Contratti di escavazione e di sfruttamento -Natura giuridica. Imposta di registro -Concessione temporanea del diritto di escavazione mineraria -Aliquota applicabile -Ininfluenza della natura giuridica del negozio. (r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 8; tariffa all. A, art. 1). Il ricorso alla Commissione Centrale non pu essere meramente interruttivo, ma deve contenere, a pena di inammissibilit, l'indicazione dei motivi di gravame; sufficiente, per altro, che dalla enunciazione dei motivi stessi risulti identificata la ragione giuridica per la quale si PARTE . I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1055 chiede la riforma della decisione, ed a tal fine l'indicazione espressa delle norme di diritto non richiesta come requisito autonomo del ricorso, ma soltanto un elemento che pu servire all'individuazione dei motivi (1). I contratti di escavazione e di sfruttamento . di miniere possono assumere configurazioni giuridiche diverse secondo lo scopo perseguito dalle parti e costituiscono locazione allorch abbiano per oggetto la concessione del temporaneo godimento delle miniere secondo la loro normale destinazione (2). L'inclusione di un negozio giuridico in una voce della tariffa intesa a stabilire l'identit dell'aliquota delfimposta fissata per altri . contratti e, pertanto, ai fini della relativa tassazione, irrilevante se le concessioni dell'esercizio temporaneo di escavazione di materiale da una miniera costituiscano una vendita immobiliare o una locazione di cose, essendo dovuta l'imposta proporzionale in entrambe le ipotesi, per la quiparazione di tali concessioni ai trasferimenti immobiliari disposta dall'art. 1 tariffa all. A alla legge di registro (3). (Omissis). -Col primo motivo la ricorrente deduce la violazione degli artt. 45, 46 e 38 l. 8 luglio 1937, n. 1516 con riferimento all'art. 360, n. 3 c.p.c. e censura la sentenza impugnata per aver preso in esame il gravame delfufficio nonostante il difetto di specifica indicazione dei motivi. (1) La sentenza in esame pubblicata anche nella Riv. leg. fisc., 1965, 1910 e segg. r(ivi altri richiami). Nel medesimo senso vedasi da ultimo, oltre alla giurispru. denza della Commissione Centrale, Cass., 19 maggio 1964, n. 1247; 16 aprile 1964, n. 904; SO gennaio 1964, n. 248, Giust. civ., I, 1772, e 16 marzo 1964, n. 597, ivi, 936, con ulteriori ampi richiami. (2) Giurisprudenza costante. Vedasi, da ultiino, Cass., 25 marzo 1961, n. 682, Giust. civ., 1961, I, 969; 23 ottobre 1959, n. 3046, Riv. leg. fisc. 1960, 468; 15 aprile 1959, n. llll, Giust. civ., 1959, I, 1256; 18 luglio 1958, 2638 Foro it., 1958, I, 1258. (S) Nel medesimo senso, vedasi Cass., 23 ottobre 1959, n. 3046, cit. Tale sentenza, anzi, adduce -a conforto della tesi accolta -pi ampie argomentazioni desunte dall'interpretazione logica e sistematica dell'art. 1 tariffa ali. A, precisando espressamente che tale norma comprende nella sua previsione tutti i diritti di escavazione, siano essi reali od obbligatori. La sentenza ora richiamata, per altro, ha ritenuto (e quella che si annota sembra confermare) che l'equiparazione disposta dall'art. 1 tariffa all. A opera soltanto ai fini dell'aliquota e non anche ad ogni altro effetto, quale l'applicabilit del procedimento di valutazione ex art. 15 e segg., I. 7 agosto 1936, n. 1639: affermazione, codesta, che non appare accettabile, dal momento che anche la tariffa fa parte iritegrante della legge di registro (art. 2 della legge) e pertanto l'equiparazione introdotta non pu soffrire discriminazioni. P. SACCHETTO 1056 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Sostiene, in particolare, la ricorrente che la Commissione Centrale abbia errato nel ritenere sufficiente per la specificazione dei motivi il generico .;~ 1056 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Sostiene, in particolare, la ricorrente che la Commissione Centrale abbia errato nel ritenere sufficiente per la specificazione dei motivi il generico .;~ richiamo per relationem alle deduzioni presentate nella precedente fase = del giudizio e la semplice indicazione della norma che si assumeva vio. ~-. lata, mentre i motivi del gravame, oltre che essere specifici, debbono riferirsi al giudizio espresso dalla decisione impugnata. La doglianza, pur richiamando esatti principi di diritto, infondata con riguardo al caso concreto. Invero, non contestato che il ricorso alla Commissione Centrale delle imposte non pu essere semplicemente interruttivo, ma deve contenere, a pena di inammissibilit, f indicazione dei motivi di gravame, quale requisito essenziale. Tale esigenza imposta dall'art. 46 del r.d. 8 luglio 1937, n. 1516, il quale dispone che, nei ricorsi alla Commissione Centrale, devono essere esposti il fatto, le questioni ed i capi della decisione contestata con l'indicazione degli articoli di legge o di regolamento che si affermano violati o erroneamente applicati. Non sono richieste particolari formalit e la enunciazione dei motivi si risolve nella indicazione delle ragioni per le quali si ricorre contro la decisione che si assume viziata. Con riferimento a questa sostanziale finalit, risultano applicabili i principi elaborati in relazione all'art. 366 n. 4 c.p.c., il quale richiede l'indicazione dei motivi e delle norme di dfritto su cui si fonda il ricorso per cassazione, e, cio, che il ricorso inammissibile solo quando dallo svolgimento dei motivi non sia possibile identificare il principio di diritto che si assume violato e per il quale si chiede la cassazione della sentenza impugnata. L'indicazione delle norme di diritto, peraltro, non richiesta come requisito autonomo del ricorso, ma come un elemento che pu servire all'individuazione dei motivi. Orbene, la Commissione Centrale delle imposte non incorsa nella violazione dei cennati principi. Infatti, precisate le contestazioni svoltesi nel precedente giudizio, ha ritenuto che l'indicazione dell'art. 1 della tariffa all. A alla legge di registro non consentiva alcun dubbio sul contenuto della doglianza e sulla ragione giuridica invocata per la riforma della decisione impugnata, giacch si chiedeva f applicazione dell'imposta di trasferimento immobiliare di cui all'art. 1 cit. in luogo di quella prevista per le locazioni, che il primo giudice aveva ritenuto applicabile. Pertanto, con riguardo alle questioni dibattute tra le parti, all'oggetto della controversia, alle norme di cui si invocava l'applicazione e alla decisione impugnata, il gravame dell'ufficio, con l'indicazione della norma che si assumeva violata ed il richiamo delle ragioni gi esposte e a conoscenza della contribuente, consentiva, senza desumere aliunde altri elementi, di identificare la ragione giuridica per la PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1057 quale si chiedeva la riforma della decisione, attuando la sostanziale finalit che giustifica la specificazione dei motivi. Col secondo motivo, sotto il profilo della violazione degli articoli 1615 e.e. con riferimento all'art. 8 r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, si censura la sentenza impugnata per aver ritenuto applicabile al canone di concessione mineraria laliquota sui trasferimenti immobiliari ex art. 1 della tariffa, anzich quella di affitto ex art. 44, sull'errato presupposto che non sia giuridicamente configurabile un rapporto locatizio avente per oggetto l'attribuzione del diritto di sfruttamento di una miniera. La censura infondata. Invero, esatto che i contratti di escavazione e di sfruttamento di miniere possono assumere configurazioni giuridiche diverse secondo lo scopo perseguito dalle parti. Essi, contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, costituiscono locazione allorch abbiano per oggetto la concessione del temporaneo godimento della miniera secondo la sua normale destinazione, non essendo lescavazione e lapprensione dei prodotti incompatibili con l'obbligo del conduttore di restituire la cosa locata nello stato in cui l'ha ricevuta. Ma, ci posto a correzione di un errore contenuto nella motivazione della sentenza impugnata, la decisione risulta, tuttavia, conforme al diritto e sorretta da altre considerazioni. Infatti, la Corte del merito, pur essendo incorsa nell'errore di affermare in via generale che il negozio di trasmissione del diritto, di escavare sia incompatibile con la nozione di locazione, ha, poi, fondato la sua decisione sull'art. 1 della tariffa all. A alla legge di registro che assoggetta all'aliquota prevista per l'imposta dei trasferimenti immobiliari onerosi gli atti con i quali si trasmette il diritto di escavare e di prendere materia da terreni o miniere. Nell'ambito della citata norma, per lespressa equiparazione legale ed indipendentemente dalla natura giuridica dell'atto da registrare, sono compresi anche i negozi obbligatori nei quali il conferimento sia attributivo del semplice esercizio del diritto di sfruttamento di miniere. L'inclusione di un negozio giuridico in una voce della tariffa intesa a stabilire l'identit dell'aliquota dell'imposta fissata per altri contratti e non pu conferire al negozio una configurazione diversa da quella prevista dal codice civile. Pertanto, ai fini della presente controversia, irrilevante la questione se la concessione dell'esercizio temporaneo di escavazione di materiale da una miniera costituiva una vendita immobiliare o una locazione di cose, essendo, in entrambe le ipotesi, dovuta l'imposta proporzionale per lequiparazione che la legge del registro ne fa ai trasferimenti immobiliari ai fini di determinare l'aliquota dell'imposizione tributaria. -(Omissis). 1058 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO I CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 17 luglio 1965, n. 1592 -Pres. Torrente ~ Est. Corduas -P.M. Tavolaro (conf .) -Ministero Finanze (avv. Stato Soprano) c. S. Antiorittogamici prodotti elettrochimici (avv. Guttieres). Imposta generale sull'entrata -Azione giudiziaria -Estimazione semplice -Difetto di giurisdizione -Esclusione -Limiti. (l. 20 marzo 1865, n. 2248, ali. E, art. 6; I. 19 giugno 1940, n. 762, art. 52; d.l. 3 maggio 1948, n. 799, art. 18). Imposta generale sull'entrata -Controversie in materia di violazione all'i.g.e. -Decreto del Ministro e ordinanza dell'intendente -Impugnativa -Ricorso al Consiglio di Stato Esclusione. (I. 19 giugno 1940, n. 762, art. 52). Il principio della esclusione delle controversie di estimazione semplice dall'ambito della giurisdizione dell'autorit giudiziaria ordinaria applicabile soltanto ed in quanto le controversie medesime siano devolute a giurisdizioni speciali; pertanto in materia di imposta generale sull'entrata tale principio pu essere applicato nelle ipotesi in cui l'imposta sia riscossa in abbonamento, in quanto l'art. 18 del d.l. 3 maggio 1948, n. 799 prevede al riguardo il ricorso alle commissioni distrettuali e provinciali delle imposte, ma non nelle ipotesi in cui la legge non prevede il ricorso ad alcun organo giurisdizionale, quale quella delle controversie in materia di violazione della imposta medesima in genere, per le quali l'art. 52 della legge istitutiva (d.l. 9 gennaio 1940, n. 2, convertito nella legge 19 giugno 1940, n. 762) prevede unicamente il ricorso al Ministro delle finanze, con riferimento alle norme poste dalla l. 7 gennaio 1929, n. 4, per la repressione delle violazioni delle leggi finanziarie (1). Il decreto del Ministro delle Finanze e l'ordinanza dell'Intendente, che decidono le controversie in materia di violazione all'i.g.e., non sono impugnabili con ricorso al Consiglio di Stato, vertendo essi su situazioni soggettive che consistono in diritti e non in interessi legittimi (diritto a non subire una imposizione oltre i limiti di legge) (2). II CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 24 giugno 1965, n. 1322 -Pres. Mastropasqua -Est. Mirabelli -P.M. Di Maio (conf.) -Ministero Finanze (avv. Stato Graziano) Soc. Fratelli Parisi (avv. Celucci). PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1059 Procedimento civile -Giudizio di appello -Pronuncia che afferma la giurisdizione del giudice di primo grado ma trattiene irritualmente la causa -Natura di sentenza non definitiva Successiva pronuncia che, revocando la precedente, rimette le parti al primo giudice -Natura di sentenza definitiva di appello -Impugnazione dell'una e dell'altra pronuncia Ammissibilit avverso la prima della impugnazione immediata e della riserva di impugnazione e avverso la seconda della sola impugnazione immediata. (c.p.c., artt. 361, 325, secondo comma). Imposta generale sull'entrata -Intere!!se del contribuente ad essere assoggettato alla contribuzione, e in adeguata misura -Sua consistenza. Natura di diritto soggettivo -Tutela -Inesistenza di una giurisdizione speciale -Conseguente giurisdizione del~ l'a.g.o. -Applicazione di tale giurisdizione in materia di viola~ zione alle leggi sull'imposta generale sull'entrata. (1. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 6; 1. 19 giugno 1940, n. 762, art. 52). Imposta generale sull'entrata -Violazione alle leggi relative a tale imposta -Cognizione -Competenza del Ministro per le finanze -Pronuncia -Impugnativa -Competenza del Consiglio di Stato -Esclusione -Competenza delle Commissioni tributarie -Esclusione. (1. 19 giugno 1940,, n. 762, art. 52). Imposta generale sull'entrata -Violazione alle leggi relative a tale imposta -Giurisdizione dell'a.g.o. -Limiti -Richiesta di fissare tali limiti al giudice investito della questione di gurisdizione -Inammissibilit -Competenza del giudice di merito. Il provvedimento con cui il giudice aappello, pure affermando la giurisdizione del giudice di primo grado, non rimette a questo le parti, ma trattiene irritualmente la causa per ulteriori pronuncie, da qualificarsi sentenza non definitiva, mentre il provvedimento che, revocando la precedente ordinanza istruttoria, rimette le parti al primo giudice, pur non contenendo la decisione sulla questione di giurisdizione, esso, ed esso solo, la sentenza definitiva di appello. Di conseguenza, avverso la prima pronuncia ammissibile sia l'impugnazione immediata, sia la riserva di impugnazione ai sensi dell'art. 361 c.p.c.; avvers la seconda senz'altro ammissibile il ricorso nel termine prescritto dall'art. 325, secondo comma,-c.p.c. (3). L'interesse del privato contri:(mente ad essere assoggettato, o meno, alla contribuzione in adeguata misura tutelato direttamente, sicch assume la consistenza di diritto soggettivo; e pertanto la giurisdizione 1060 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO sulle relative controversie spetta all' a.g.o. tutte le volte che non sia previsto un organo speciale di giurisdizione con competenza esclusiva. In materia di violazione delle leggi sull'imposta generale sull'entrata non prevista l'attribuzione delle controversie ad organi speciali di giurisdizione; e pertanto esse rientrano nella giurisdizione dell' a.g.o. (4). L'impugnativa della pronuncia che il Ministro delle Finanze emette allorch conosce delle contestazioni in materia di violazione alle leggi sull'imposta sulle entrate non rientra nella competenza del giudice amministrativo, vertendosi su lesioni di diritto soggettivo e non di interesse legittimo; n rientra nella competenza delle Commissioni tributarie, avendo le leggi istituita la competenza dell'Intendente e del Ministro (5). Non spetta al giudice che, in qualsiasi grado, pronunci sulla giurisdizione, fissare i principi ai quali il giudice competente, cui la controversia devoluta, debba attenersi nel successivo giudizio di merito, compete, invece, al giudice del merito determinare i criteri ed i limiti del giudizio, che gli viene attribuito, e solo ove sia impugnata la sua pronuncia potr aver luogo un sindacato su tali valutazioni, in sede di impugnazione di merito o di legittimit {6). I (Omissis). -Con il primo mezzo si denuncia la violazione dell'art. 6 1. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E; 22 e 29 r.d.l. 7 agosto 1936, n. 1639, in relazione alle norme che regolano l'imposta generale sulrentrata e, particolarmente, l'art. 52 della 1. 19 giugno 1940, n. 762; per avere la Corte di merito affermato la giurisdizione del giudice ordinario a conoscere della questione di estimazione semplice in tema di i.g.e. (1-2-4-5) Con la presente sentenza, le Sezioni Unite della Cassazione hanno confermato la propria giurisprudenza .(sent. 27 luglio 1962, n. 2173), secondo cui in materia di violazione i.g.e., a differenza di quanto avviene nell'ipotesi di i.g.e. corrisposta in abbonamento, la competenza dell'Autorit giudiziaria ordinaria si estende anche alle questioni di semplice estimazione che vertono su diritti soggettivi, con la conseguenza che deve escludersi la competenza del Consiglio di Stato. Tale affermazione, sui cui non appare possibile tornare a discutere, turba gravemente il sistema tradizionale e costantemente adottato della limitazione della competenza dell'a.g.o. in materia tributaria alle sole questioni di diritto e di cosiddetta estimazione complessa, onde appare auspicabile un intervento del legislatore che, estendendo a tutte le controversie relative all'i.g.e. la competenza delle commissioni amministrative, ristabilisca, anche in questa materia, la naturale competenza dell' a.g.o. per le sole questioni di diritto. (6) Fin quando tale intervento non .ha luogo, nelle cause in corso, in relazione alle affermazioni contenute nella sentenza in nota, per la parte che qui interessa, sembra opportuno insistere nella tesi che limita la giurisdizione ordinaria PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1061 non corrisposta in abbonamento, rispetto alla quale non contemplato il ricorso alle commissioni tributarie. La censura infondata. La legge istitutiva dell'imposta generale sulle entrate, r.d.l. 9 gen naio 1940, n. 2, convertito, con modificazioni nella 1. 19 giugno 1940, n. 762; prevede le modalit di riscossione dell'imposta, che pu avvenire mediante applicazione di marche, a mezzo del servizio dei conti correnti postali, oppure in modo virtuale, vale a dire, in quest'ultimo caso, attr;:tverso la stipulazione di convenzioni di abbonamento annuali. I primi due sistemi sono disciplinati dagli art. 9 e segg., il terzo dall'art. 16. L'art. 52 della ricordata legge, dopo aver stabilito che per l'accertamento, la cognizione e la definizione delle violazioni finanziarie sono applicabili le norme contenute nella 1. 7 gennaio 1929, n. 4 (ricorso gerarchico all'Intendente ed indi al Ministero delle Finanze), prescrive che contro l'ordinanza definitiva dell'Intendente o contro il decreto del Ministro Ǐ consentito gravame dinanzi alla Autorit giudiziaria in sede civile . Con l'art. 18 del d.l. 3 maggio 1948, n. 798, contenente nuovi prov~ vedimenti in materia di i.g.e., vennero disciplinate, sul piano giurisdizionale, le controversie in via amministrativa tra l'Amministrazione finanziaria ed i contribuenti -relative, per, solo all'applicazione dell'imposta corrisposta in abbonamento -che vennero demandate in prima istanza ad una speciale sezione delle commissioni distrettuali ed in grado di appello alle commissioni provinciali di cui all'art. 16 del d.l.C.p.S. 27 dicembre 1946, n. 469. Il quesito che si pone alle Sezioni Unite quello di stabilire se in tema di i.g.e. non corrisposta in abbonamento -come nella specie per la quale la legge non prevede il controllo giurisdizionale delle com al controllo sul piano giuridico dell'iter logico seguto per pervenire all'accertamento, e della regolarit .procedurale dell'accertamento stesso; dovendosi in ogni caso escludere, per la stessa ripartizione istituzionale delle attribuzioni fra i poteri dello Stato, che possa il giudice ordinario procedere ad indagini di mero fatto, che sostanzialmente dovrebbero condurre a rifare l'accertamento tributario (e questo vale sia di fronte ad accertamenti ordinari che ad accertamenti aventi ad oggetto infrazioni a leggi tributarie) in sede giudiziaria. Deve cio, in ogni caso, restar fermo il principio -che attiene alla stessa divisione fra i poteri dello Stato, e sul quale, a ben vedere, si fonda la norma dell'art. 6 della 1. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E circa la sottrazione al giudice ordinario delle questioni di semplice estimazione -che l'autorit giudiziaria ordinaria non ha veste per procedere all'accertamento tributario (come in realt si chiede dai contribuenti in casi del genere), attraverso calcoli e conteggi, esami di libri contabili e simili, dai quali ricavare l'attivit in concreto svolta dal contribuente e quindi l'entit dell'imposta da pagare; n ha veste per procedere a indagini e valutazioni di prove testimoniali -non ammesse nel procedimento tributario RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 1062 m1ss10ni amministrative, la competenza del giudice ordinario di cui al citato art. 52 si estenda a tutte le controversie che possono insorger tra Amministrazione e contribuenti, comprese le controversie di semplice estimazione, quelle, cio, in cui l'indagine, esclusa ogni questione di diritto, sia limitata ai fatti materiali costituenti il presupposto della imposizione fiscale. In proposito, la ricorrente Amministrazione finanziaria osserva: 1) che, secondo un principio fondamentale della disciplina del contenzioso tributario, deducibile dall'art. 6 della 1. 20 marzo 1865, n. 2248, ali. E; ogni controversia di estimazione semplice sempre sottratta alla giurisdizione del giudice ordinario. 2) che la tesi secondo cui, non prevedendo la legge, in tema di i.g.e. corrisposta mediante marche o a mezzo di conto corrente postale, il ricorso alle commissioni tributarie amministrative, deve ritenersi ammissibile il rkorso al giudice ordinario a norma dell'art. 113 della Costituzione, sarebbe errata, in quanto la tutela giurisdizionale, invece, esisterebbe, potendo l'interessato impugnare i provvedimenti dell'Intendente o Ministro. presso il Consiglio di Stato in sede di legittimit o, come fAmministrazione ritiene pi esatto, presso le Commissioni distrettuali e provinciali in materia di imposte indirette, previste dall'art. 29 della 7 agosto 1936, n. 1639. Queste tesi sono entrambe infondate. Che esista un principio di portata generale, secondo cui, in materia tributaria, di regola esclusa la competenza del giudice ordinario, per le questioni di estimazione semplice, stato pi volte affermato dalla giurisprudenza, deducendosi tale principio sia dall'art. 6 della legge sul contenzioso amministrativo (che, in verit, secondo la sua formulazione, non contiene, di per s, una limitazione, di carattere generale della competenza del giudice ordinario), sia, piuttosto, dall'art. 22 del r.d.l. 7 agosto 1936, n. 1639, sulla riforma degli ordinamenti tributari, che, bench dettato in tema di imposte dirette, si ritenuto applicabile, in genere, anche alle imposte indirette (come l'i.g.e.). 'Senonch, l'errore d'impostazione del problema consiste nel fatto di ritenere il suindicato principio applicabile in ogni caso alle contro. ' versie in tema di i.g.e., sia questa corrisposta nei modi normali che in al fine di determinare la consistenza del fatto imponibile; ma pu e deve semmai, ..: contenere il proprio intervento all'esame della legittimit del procedimento seguto, da parte degli organi a ci istituzionalmente preposti per pervenire all'accertamento. E questo vale tanto pi nei casi in cui, come in quello sottoposto all'esame dell'Ecc.ma Corte Suprema, l'accertamento costituisce l'atto terminale di una procedura amministrativa-contenziosa, che si svolge fin dal momento iniziale in contraddittorio fra lAmministrazione e contribuente. (3) Massima esatta. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1063 abbonamento, e cio prescindendo dalla particolare disciplina della materia da parte del legislatore. Se, infatti, vero che quasi tutte le leggi tributarie, in genere, contengono la distinzione tra questioni di estimazione semplice e complessa, per escludere nel primo caso la competenza del giudice ordinario e per ammetterla nel secondo, pur vero che, proprio per il fatto che tali leggi hanno ritenuto necessaria questa precisazione, occorre esaminare quale sia la disciplina dettata per l'imposta di cui trattasi, per la quale la predetta distinzione non stata posta. In materia di i.g.e., come si visto, l'art. 52 della citata legge n. 762 del 1940, dopo la previsione del ricorso gerarchico all'Intendente ed al Ministro (e cio alla stessa Amministrazione) stabilisce che contro provvedimenti delle predette Autorit consentito gravame al giudice ordinario; senza che, al riguardo, sia stata posta alcuna esclusione limitazione, e ci ha una particolare rilevanza e non senza significato, ove si consideri che nel precedente art. 51 della stessa legge, relativo alle controversie circa la valutazione dell'imposta derivante dalle operazioni compiute da istituti di credito, dopo la previsione del ricorso ad una speciale commissione tributaria, esplicitamente stabilito che contro le decisioni di tali commissioni ammesso il gravame in sede giudiziaria per le questioni di diritto . In questa ipotesi, come si vede, nella quale prevista ,la tutela giurisdizionale in sede amministrativa, riaffiora la distinzione tra questioni di estimazione semplice e complessa ed il fatto che la legge, in due disposizioni successive, ammetta, nella prima, la possibilit di adire il giudice ordinario senza limitazioni, mentre nella seconda restringe tale possibilit per le sole questioni di diritto, dimostra l'intento del legislatore di voler limitare la competenza del giudice ordinario solo nel secondo caso e non anche nel primo. Che tale interpretazione debba considerarsi esatta discende, poi, da una ulteriore considerazione; se, infatti, deve sicuramente ammettersi che in tema di i.g.e. dovuta nei modi normali, diversamente da quanto stato poi disposto per l'i.g.e. dovuta in abbonamento, non previsto -come verr spiegato -l'assoggettamento delle controversie commissioni aventi carattere giurisdizionale, non pu la legge aver inteso sottrarre alla cognizione piena del giudice ordinario le questioni di estimazione semplice, giacch, se cos fosse, le parti interessate resterebbero prive di ogni garanzia giurisdizionale. Tale principio, secondo cui il giudice ordinario giudice anche di fatto quando per la controversia di imposta non sia predisposto alcun organo di giurisdizione speciale amministrativa, stato, peraltro, gi affermato in tema di imposta di consumo (Sez. Un., 14 giugno 1954, n. 1990) e riaffermato in tema di i.g.e., corrisposta non in abbonamento (Sez. Un., 27 luglio 1962, n. 2173). ...:::-.< ...:::-.< RASSEGNA DELLAVVOCATURA DELLO STATO 1064 Sotto altro aspetto, alla medesima soluzione, si perviene in appli" cazione dell'art. 113 della Costituzione, secondo cui cc contro gli atti della p.a. sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria ed amministrativa . Nella materia in esame, ora, il ricorso alle Commissioni Tributarie previsto solo per l'i.g.e. corrisposta in abbonamento {art. 18 citato d.l. n. 799 del 1948) e non anche per quella dovuta mediante marche o il servizio dei conti correnti; se, quindi, la competenza dell'Autorit giudiziaria venisse limitata alle controversie aventi per oggetto questioni di estimazione semplice, ne deriverebbe che, per queste ultime, verrebbe meno ogni tutela giurisdizionale, in violazione del precetto costituzionale, posto che il ricorso all'Intendente ed al Ministro delle Finanze, non ins~aura, come evidente, un procedimento di natura giurisdizionale. N esatto, come afferma la ricorrente Amministrazione, che la tutela giurisdizionale esisterebbe per la possibilit di impugnare i provvedimenti dell'Intendente o del Ministro dinanzi al Consiglio di Stato o dinanzi alle Commissioni Tributarie previste dall'art. 29 della legge n. 1639 del 1936. Come stato gi affermato nelle citate decisioni di queste Sezioni Unite (n. 1990 del 1954 e n. 2137 del 1962), le norme tributarie, se da un lato danno diritto alla p.a. di riscuotere il credito di imposta, dal!' altro danno egualmente diritto al contribuente di non subire una imposizione oltre i limiti stabiliti dalla legge. Esse, infatti, non tutelano un interesse generale ed occasionalmente un interesse del privato, ma tutelano direttamente ed immediatamente anche quest'ultimo interesse, che assume, quindi, la consistenza di un vero e proprio diritto soggettivo. Ci posto, poich la competenza giurisdizionale del Consiglio di ~ Stato, salvo i casi eccezionali nei quali si estende anche ai diritti sog. gettivi (art. 29 t.u. 26 giugno 1924, n. 1054) attiene soltanto agli atti amministrativi lesivi di interessi legittimi (art. 26 t.u. citato ed art. 103, comma primo, della Costituzione), e poich tale discriminazione di competenza assoluta, nel senso che non sarebbe consentita, fuori dei casi di giurisdizione esclusiva, una pronuncia del Consiglio di Stato su diritti soggettivi, evidente la impossibilit di ricorrere a tale Organo della giustizia amministrativa contro le decisioni dell'Intendente o del Ministro emesse in tema di i.g.e. dovuta nei modi normali. La sentenza delle Sezioni Unite 1 febbraio 1961 n. 207, richiamata dalla ricorrente, non si pone in contrasto con la suesposta tesi, ma anzi ne costituisce la conferma, in quanto, nel caso ivi esaminato, la controversia ricadeva su leggi doganali e venne ammessa la impugnabilit dei decreti del Ministro delle Finanze dinanzi al Consiglio di Stato proprio perch si ritenne che tali decreti, per il loro particolare con PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1065 tenuto, fossero lesivi non gi di un. diritto soggettivo, bens di un interesse legittimo. Del pari, inesistente l'asserita possibilit di ricorrere, per l'i.g.e. corrisposta nei modi normali, alle predette Commissioni Tributarie. Nelle controversie in tema di imposte indirette, infatti, la competenza delle Commissioni Amministrative prevista dal citato decreto limitata alla imposta di registro, di successione, surrogazione, manomorta ed ipotecaria (art. 28) e tale elencazione tassativa, per cui da escludere dalla competenza di tali Commissioni ogni altra imposta indiretta, salvo espresso richiamo legislativo. D'altra parte, non superfluo aggiungere che l'i.g.e. istituita con la citata legge del 1940, ha sostituito la vecchia tassa di scambio e, in relazione a quest'ultimo tributo, l'art. 28 del decreto n. 1639 del 1936 stabil una esplicita esclusione della competenza delle Commissioni Amministrative, precisando che continuavano ad avere applicazione le norme preesistenti. Pertanto, sotto ogni aspetto, deve ritenersi che, allorquando l'imposta sulle entrate non corrisposta in abbonamento, ma mediante applicazione di marche ovvero per mezzo del servizio dei conti correnti postali, il giudice ordinario competente a conoscere anche le questioni di estimazione semplice. Giova infine precisare che questo principio non si pone in contrasto con precedenti decisioni di queste Sezioni Unite, secondo le quali ogni questione di estimazione semplice in tema di i.g.e. sottratta alla giurisdizione del giudice ordinario, in quanto tale criterio stato ritenuto operante qualora si tratti di imposta dovuta in abbonamento, ed a tale forma di tributo si riferivano le predette decisioni. -(Omissis). II (Omissis). -Preliminarmente va esaminata l'eccezione di inammissibilit del ricorso, proposta dal controricorrente, con la quale si sostiene che, avendo l'Amministrazione ricorrente proposto riserva di impugnazione avverso la sentenza che, affermata la giurisdizione dell'Autorit giudiziaria ordinaria, rimetteva la causa in istruttoria, tale riserva non pu dar luogo ad impugnazione finch non sia emessa una sentenza definitva e che, non potendosi qualificare sentenza definitiva il successivo provvedimento con il quale la Corte d'Appello, revocata l'ordinanza, ha rimesso le parti al primo giudice, in quanto ha un mero contenuto ordinatorio, non vi possibilit di proposizione di un ricorso per cassazione nell'attuale stato della lite. La censura, per, palesemente infondata. Non dubbio che la Corte di Napoli ha errato quando, dichiarata 'i 15 1066 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO la sussistenza della giurisdizione delrAutorit giudiziaria ordinaria, che era stata negata dal Tribunale, in luogo di rimettere la causa dinanzi a questo, a' sensi dell'art. 353 c.p.c., ha trattenuto la causa, disponendo l'istruttoria del merito, ma non dubbio, parimenti, che tale abnorme provvedimento non pu essere qualificato come sentenza definitiva, contro la quale debba essere proposto immediato ricorso, nel termine prescritto dall'art. 325, secondo comma, c.p.c., e che, invece, il successivo provvedimento, con il quale stata pronunciata la rimessione della causa al primo giudice, ha efficacia e contenuto di sentenza definitiva, avverso la quale pienamente ammissibile il ricorso, con gli effetti previsti dall'art. 361, secondo comma. Nel primo provvedimento, invero, difettava l'elemento che, solo, p:n attribuire ad una pronuncia il carattere della definitivit, e cio la statuizione che pone termine alla fase giudiziaria dmanzi al giudice ehe l'emette. Bench con quel provvedimento, infatti, fosse stata risolta l'unica questione sulla quale i giudici di appello erano abilitati a portare il loro esame, ttittavia quella pronuncia, cos come era stata formulata, non era capace di produrre alcun effetto diretto, in quanto I non rendeva possibile la soluzione della controversia n da parte dello stesso giudice, il quale si era riservato di pronunciarsi in seguito, n I da parte del giudice al quale la causa avrebbe dovuto essre rimessa, ; in quanto mancava, appunto, la pronuncia di rimessione, attraverso la quale soltanto la causa avrebbe potuto pervenire alla cognizione di questo. Nel secondo provvedimento, invece, non contenuta soltanto la pronuncia di revoca della precedente ordinaza, ma anche contenuto il. completamento della proimnci decisoria, con lemanazione di quella statuizione che nella prima mancava e che, appunto, ha reso possibile la chiusura della fase processuale, con lattribuzione della potest decisoria al giudice ritualmente competente a decidere l'intera controversia. Il secondo provvedimento, cio, pur non enunciando la soluzione di alcuna questione, contiene una pronuncia decisoria definitiva intorno ll'attuazione del rapporto processuale. Deve essere affermato, quindi, che il provvedimento con cui il giudice d'appello, pur affermando la giurisdizione del giudice di primo grado, non rimette a questo le parti, ma trattiene irritualmente la causa per ulteriori pronunce, da qualificare sentenza non definitiva, mentre il provvedimento che, revocando la precedente ordinanza istruttoria, rimette le parti al primo giudice, pur non contenendo la decisione intorno alla giurisdizione, esso, ed esso solo, la sentenza definitiva di appello. Conseguentemente, mentre avverso la prima pronuncia ammissibile sia l'impugnazione immediata sia la riserva di impugnazione, a' sensi dell'art. 361 c.p.c., avverso la seconda senz'altro ammissibile il PARTE I, SEZ. V, GIUIUSPRUDENZA TRIBUTARIA 1067 ricorso, nel termine prescritto dall'art. 325, secondo comma, dello stesso codice. Respinta, per queste ragioni, leccezione preliminare di inammissibilit, va esaminato l'unico, complesso, motivo di ricorso proposto dalrAmministrazione ricorrente, che si rivolge contro la decisione contenuta nella sentenza non definitiva. L'Amministrazione, denunciando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 6 legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E; 22 r.d.l. 7 agosto 1936, n. 1639, ed in generale delle norme che regolano l'imposta generale sull'entrata e l'accertamento delle violazioni in materia tributaria, nonch contraddittoriet di motivazione, sostiene che erroneamente la sentenza impugnata ha affermato la giurisdizione dell'Autorit giudiziaria ordinaria sulla controversia, che concerne l'accertamento del valore tassabile con l'imposta generale sulle entrate. L'Amministrazione ricorrente, cio, premesso che nel caso in esame si tratti di estimazione semplice, e non, come ha affermato subordinatamente la sentenza impugnata, di estimazione complessa, sostiene che la presente controversia, come ogni altra relativa ad estimazione semJ), lice, sottratta alla giurisdizione dell'Autorit giudiziaria, in forza del principio generale enunciato dall'art. 6 della legge sul contenzioso amministrativo, bench tale principio non sia stato recepito, con norma espressa, nella legislazione concernente l'imposta generale sull'entrata. La sentenza impugnata, invece, pur esprimendo incidentalmente l'avviso che nella specie si tratti di estimazione complessa, ha ritenuto, comunque, che il principio dell'esclusione delle controversie di estimazione semplice dall'ambito della giurisdizione dell'Autorit giudiziaria ordinaria sia applicabile soltanto se ed in quanto le controversie medesime. siano devolute a giurisdizioni speciali, e che, quindi, in materia di imposta generale sulle entrate il principio pu essere applicato nelle ipotsi in cui l'imposta sia riscossa per abbonamento, in quanto l'art. 18 del d.I. 3 maggio 1948, n. 799, prevede al riguardo il ricorso alle Commissioni distrettuale e provinciale delle imposte, ma non nelle ipotesi in cui la legge non prevede il ricorso ad alcun organo giurisdizionale, quale quella delle controversie in materia di violazione delle norme relative all'applicazione dell'imposta medesima, in generale, per le quali l'art. 52 della legge istitutiva (d.I. 9 gennaio 1949, n. 2, conv. nella legge 19 giugno 1940, n. 762), prevede unicamente il ricorso al Ministero delle Finanze, con riferimento alle norme poste dalla fogge 7 gennaio 1929, n. 4, per la repressione delle violazioni delle leggi finanziarie. Queste Sezioni Unite hanno gi esaminato la questione, con la sentenza 27 luglio 1962, n. 2173, risolvendola, in conformit con altra precedente pronuncia relativa alla analoga questione sorta in materia di imposta di consumo {Cass., Sez. Un., 14 giugno 1954, n. 1990), nel senso accolto dalla sentenza ora impugnata. 1068 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO La difesa dell'Amministrazione ricorrente, non ignorando tali precedenti pronunce, ha insistito perch la questione venga riesaminata, anche l lume di nuove considerazioni, acutamente prospettate. Questo Collegio ritiene,. per, di dovere confermare i principi enun. ciati nelle precedenti pronunce e di dovere negare che le tesi ora prospettate possano indurre ad una soluzione diversa. Il principio al quale s sono informate le precedenti pronunce, , invero, che l'interesse del privato contribuente ad essere assoggettato, o meno, alla contribuzione ed alla adeguata misura della contribuzione stessa tutelato direttamente ed immediatamente, s che assume la consistenza di diritto soggettivo, e che, pertanto, la giurisdizione sulle controversie concernenti la tutela di tale diritto spetta all'Autorit giudiziaria ordinaria tutte le volte che non sia predisposto un organo speciale di giurisdizione, con competenza esclusiva. E tale principio non sembr_a che possa essere posto in discussione. La precedente pronuncia, poi, che ha esaminato specificamente la questione che qui si discute, ha affermato che in materia di violazioni alle leggi sull'imposta generale sulle entrate le leggi speciali non prevedono l'attribuzione delle controversie a speciali organi di giurisdizione; ed anche tale affermazione non pu essere seriamente contestata, giacch il citato art. 52 della legge istitutiva ammette, in caso di contestazioni, soltanto il ricorso al Ministro. ~ vero che in passato venne avanzata l'ipotesi che nei casi in cui al Ministro attribuita la cognizione delle contestazioni in materia di violazioni di leggi tributarie, al Ministro stesso fosse attribuita una funzione sostanzialmente giurisdizionale, ma tale tesi ormai unanimamente respinta, s che non pu dubitarsi che l'atto del Ministro, che si pronuncia sopra il ricorso, un atto amministrativo. Tuttavia, l'Amministrazione ricorrente prospetta, nelle sue difese, l'ulteriore ipotesi che, invece, le controversie medesime siano egualmente devolute a giurisdizioni speciali, proponendo due diverse soluzioni. Nel ricorso, infatt~ richiamando i principi generali del diritto amministrativo e la giurisprudenza di questa Corte in materia di imposte doganali, si sostiene che competente a conoscere dei ricorsi avverso il provvedimento del Ministro sia il Consiglio di Stato; nella memoria, poi, invocando le norme contenute negli artt. 22, 28 e 29 del d.l. 7 agosto 1936, n. 1639, sulla riforma degli ordinamenti tributari, si sostiene che le controversie, di cui si tratta, non si sottraggono alla giurisdizione delle Commissioni tributarie competenti in materia di imposte indirette sui trasferimenti di ricchezza. Queste Sezoni Unite non ritengono, per, che alcuna di tali proposizioni meriti accoglimento. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1069 La prima posizione trova netta smentita, invero, nelle stesse pronunce invocate (Cass., Sez. Un., 1 febbraio 1961, n. 207, e 4 aprile 1964, n. 733), nelle quali si trova chiaramente precisato che intanto pu essere riconosciuta la competenza del giudice amministrativo in relazione a provvedimenti in materia di imposta, in quanto all' Amministrazione sia attribuita una potest discrezionale di valutazione, che valga a configurare la posizione del _singolo come interesse legittimo, e non come diritto soggettivo. N pu essere accolta la tesi che ogni provvedimento di estimazione semplice sia da considerare come provvedimento discrezionale; che, anzi, va confermato quanto nella seconda delle pronunce citate si trova inequivocabilmente precisato al riguardo, e cio che l'accertamento del valore, costituendo uno dei presupposti del potere di imposizione, e quindi dell'assoggettamento del privato alla prestazione tributaria, attiene direttamente al diritto soggettivo del singolo all'adeguatezza dell'imposizione. La seconda proposizione trova smentita nello stesso sistema della legislazione in materia di imposta sull'entrata, giacch nella legge istitutiva risulta in modo inequivoco che la materia della violazione fu sottratta alla competenza delle Commissioni tributarie, per essere devoluta all'Intendente di finanza ed al Ministro, e che, nelle successive modificazioni, la giurisdizione delle Commissioni medesime stata prevista soltanto in relazione ad ipotesi particolari e con modificazioni alla disciplina generale delle Commissioni medesime (art. 19, d.l. 3 maggio 1948, n. 799, cit.). Da ultimo, poi, la difesa dell'Amministrazione ricorrente sostiene che, qualora anche si debba ritenere che la giurisdizione sulle controversie, di cui si discute, spetti all'Autorit giudiziaria ordinaria, erroneamente le sentenze impugnate hanno omesso di specificare i limiti della cognizione del giudice ordinario, e che anzi la prima, dando ingresso, sia pure irritualmente, all'accertamento sul merito, ha implicitamente ritenuta ammissibile una cognizione piena, in violazione dei principi generali che regolano il contenzioso amministrativo. Con riferimento ' a tale censura, l'Amministrazione ricorrente chiede, quindi, che questa Corte enunci espressamente i limiti cui dovr attenersi il giudice del merito nell'esame della presente controversia. Ma va rilevato che non spetta al giudice che, in qualsiasi grado, pronunci sulla giurisdizione, fissare i principi ai quali il giudice competente, cui la controversia devoluta, debba attenersi nel successivo giudizio di merito. Compete, invece, al giudice del merito determinare i criteri ed i limiti del giudizio, che gli viene attribuito e solo ove sia impugnata la sua pronuncia potr aver luogo un sindacato su tali valutazioni, in' sede di impugnazione di merito o di legittimit. -(Omissis). 1070 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE DI CASSAZIONE; Sez. Un., 17 luglio 1965, n. 1594 -Pres. Mastrapasqua -Est. Malfitano -P.M. Di Majo (conf.) -Ministero Finanze {avv. Stato Graziano) c. Cammarata e Taormina. Imposta di registro -Contenzioso -Ricorso all'autorit giudiziaria ai sensi dell'art. 29, terzo comma, r.d.l. 7 agosto 1936, n. 1639 Decadenza ex art. 41 r.d. 8 luglio 1937, n. 1516 -Esclusione. Imposta di registro -Contenzioso -Ricorso all'autorit giudiziaria ai sensi dell'art. 29, terzo comma, r.d.l. 7 agosto 1936, n. 1639 Decadenza ex art. 146 r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269 -Applicabilit. Il ricorso alfautorit giudiziria previsto dall'art. 29, comma terzo; del r.d.l. 7 agosto 1936, n. 1639, contro le decisioni delle Commissioni provinciali in materia di imposte indirette sui trasferimenti della rie~ chezza per quanto attiene alla determinazione del valore nei due casi tipici previsti (grave ed evidente errore di apprezzamento, mancanza ed insufficienza di calcolo nella determinazione del valore) svincolato dalla decadenza prevista dalfart. 41 del r.d. 8 luglio 1937, n. 1516, nell'ipotesi di mancata notificazione della decisione della Commissione da parte dell'Amministrazione finanziaria, nel termine di sessanta giorni dalla data di ricevimento, che concerne unicamente il procedimento innanzi le Commissioni tributarie distinto da quello innanzi ai tribunali per il quale l'ordinamento giuridico disciplina la proponibilit della relativa qzione con apposite norme nelle varie leggi tributarie (1). Unica decadenza comminata dalla legge del registro per il ricorso alr autorit giudiziaria ex art. 29, del r.d.l. 7 agosto 1936, n. 1639, quella contenuta nelrart. 146 stessa legge che consegue alla mancata proposizione del ricorso medesimo, sia da parte dell'Ufficio che del contribuente, nel termine di sei mesi dalla data di notificazione della decisione della Commissione provincial (2). (Omissis). -Con l'unico motivo si censura la sentenza impugnata per avere ritenuto che il ricorso all'Autorit giudiziaria contro le deci-. sioni della Commissione provinciale delle imposte in materia di determinazione del valore, previsto dall'art. 29, terzo comma, del r.d.l. 7 agosto 1936, n. 1639, non dia luogo a un giudizio autonomo ex novo ma si (1-2) Con la riportata sentenza le Sezioni Unite della Corte Suprema, investite dell'importante questione per dirime~e la divergenza di opinioni manifestate dalle contrastanti sentenze 23 marzo 1957, n. 988, e 11 marzo 1958, n. 828, hanno accolto in ogni sua parte la tesi sostenuta dall'Amministrazione. Il contrario avviso contenuto nella citata sentenza n. 828 del 1958 si fondava su un duplice ordine di considerazioni. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1071 configuri corne una impugnazione di legittimit diretta ad ottenere l'annullamento della decisione impugnata e la remissione della contro-. versia alla stessa cornrnissione tributaria e instauri, quindi, un giudizio che costituisce lo svolgimento e la prosecuzione del giudizio arnrninis_ trativo carne una fase del procedimento rnedesirno e che, conseguen-ternente, al menzionato ricorso all'autorit giudiziaria sia applicabile la decadenza espressamente prevista dall'art. 41 del r.d. 8 luglio 1937, n. 1516, qualora lAmministrazione finanziaria non abbia provveduto, carne si verificato nella specie, alla noti;fcazione della decisione della commissione provinciale nel terrnirie di sessanta giorni dalla data dii ricevi_rnento di essa. Al riguardo si deduc_e che le decadenze comminate negli artt. 35; 41 e 45 del decreto n. 1516 del 1937 operano soltant0 nell'ambito del procedimento davanti alle Cornrnissioni tributarie, mn-tre i termini ele eventuali decadenze per la proposizione delle domande davanti l'autorit giudiziaria sono stabilite nelle varie leggi tributarie e, in particolare per quanto riguarda le controversie in materia, di imposte indirette sugli affari, nell'art: 146 della legge di registro. La questione stata gi oggetto di esame da parte di questa Corte Suprema, la quale, a se;?:ione semplice, mentre con la sentnza n. 828 del 1958 ha enunciato il principio cui si uniformata la sentenza impugnata, con la precedente sentenza n. 988 del 1957 aveva affermato l'opposto principio richiamato dall' Arnrninistrazione a sostegno del proprio ricorso. Ora queste Sezioni Unite, riesaminata la questione, ritengono che quest'ultimo principio debba essere riaffermato. Invero, le norme contenute nel decreto n. 1516 del 1937 regolano esclusivamente la costituzione e il funzionamento delle commissio;ni tributarie per le imposte dirette .e indirette sugli affari e ci lungi eia og;ni riferimento al procedimento davanti ai tribunali ordinari i quali hanno competenza e giurisdizione per tutte le cause di imposte e tasse (artt. 9 c.p.c., 2 e 6 1. 20 marzo 1865, n. 2248 all. E e 113 della Costituzione). In quel decreto si premette che le decisioni di dette Commissioni (distrettuale, provinciale, centrale) si intendono pubblicate nella data di ricevimento delle decisioni medesime da parte dell'ufficio delle imposte o del registro (artt. 34, 41, 48). Viene poi su questo presupposto di pubblicazione regolato il relativo procedimento in appello, stabilen~ Da un lato si sosteneva la portata generale della norma contenuta nell'art. 41 r.d. n. 1516 del 1937 che avrebbe esteso la decadenza ex art. 35 ad ogni impugnativa consentita contro le decisioni della Commissione provinciale, e quindi anche all'impugnazione ex art. 29, terzo comma, r.d. n. 1639 del 1936 avanti l'a.g.o n; dall'altro, premessa la configurazione dell'azione giudiziaria, consentita da tale ultima norma, come una fase eventuale del giudizio amministrativo di accerta 1072 RASSEGNA DELLAVVOCATURA DELLO STATO dosi che f ufficio decade da questa impugnativa qualora la decisione di prima istanza non venga notificata a cura dell'ufficio stesso entro sessanta giorni da quello della data di pubblicazione (art. 35). E analogamente dispone per f impugnativa dell'ufficio contro la decisione della Commissione provinciale, alla Commissione Centrale (art. 45, terzo comma). Ipotesi, quindi, ben delineate e tassative circa la decadenza dell'ufficio dal diritto d'impugnazione di quelle decisioni, le quali, per la verificatasi decadenza, divengono definitive; il che vuol dire che se lobbligo della notificazione entro il previsto termine funziona da elemento condizinante la impugnativa dinanzi al giudice speciale (Commissione Centrale o provinciale, a seconda dei casi) ci implica che un effetto preclusivo, per la continuazione del procedimento, non pu intendersi che nell'ambito delle sole Commissioni tributarie. Se dunque le norme di cui si discute non riguardano sicuramente il procedimento dinanzi al giudice ordinario, stante la diversa struttura dei due procedimenti, si delinea agevolmente che il ricorso all'autorit giudiziaria ex art. 29, terzo comma, r.d.l. 7 agosto 1936, n. 1639, contro le decisioni delle Commissioni provinciali in materia di imposte indirette per quanto attiene alla determinazione del valore nei due casi tipici previsti (grave ed evidente errore di apprezzamento -mancanza o insufficienza di calcolo nella determinazione del valore) svincolato dalla decadenza prevista dall'art. 41 del r.d. 8 luglio 1937, n. 1516, decadenza che concerne, come innanzi si rilevato, unicamente il procedimento innanzi le Commissioni Tributarie. Non pu infatti configurarsi che norme proprie di un procedimento quali sono quelle sulla decadenza per f ufficio dal diritto d'impugnativa mento delle imposte in quanto diretta alla impugnativa di mera legittimit delle decisioni della Commissione provinciale, si riteneva conforme al sistema l'estensione, all'azione giudiziaria ridetta, della decadenza comminata dal citato art. 41 allo scopo di " evitare al contribuente di veder protratta indefnitivamente la risoluzione della vertenza tributaria . Le Sezioni Unite hanno disatteso il primo ordine di considerazioni con un'ar_ gomentazione fondata sul sistema nel quale si inquadra il r.d. 1516 del 1937. Se, infatti, le norme in esso contenute hanno, per esplicita volont del legislatore (art. 45 r.d.l. 7 agosto 1936, n. 1639) e per il loro contenuto, un ambito di applicazione limitato alla costituzione delle Commissioni tributarie, al loro funzionamento ed al procedimento dinanzi ad esse, non possibile estenderne la portata al procedimento davanti al giudice regolato, in via del tutto autonoma, da altre disposizioni. Deve peraltro aggiungersi che la stessa lettera della legge, invocata dalla sentenza 828 del 1958, conferma quanto sopra: l'art. 41 del r.d. n. 1516 del 1937 parla infatti " di ricorsi in appello '" mentre lazione giudiziaria, anche quella definita " ricorso dall'art. 29, terzo comma, d.l. n. 1639 del 1936, non mai un appello dalla decisione della Commissione delle imposte; inoltre appare chiaro come il richiamo che nell'art. 41 si fa all'art. 35 mira soltanto a ribadire la " decadenza f~ : PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1073 delle decisioni delle Commissioni tributarie e che operano, ripetesi, unicamente nell'ambito del procedimento medesimo, estendano la loro efficacia, ossia formino un unicum con il procedimento innanzi i tribunali per il quale l'ordinamento giuridico disciplina con apposite norme la proponibilit della relativa azione nelle varie leggi tributarie. Cos per quanto concerne la fattispecie in esame, l'art. 146 della legge di registro, fissa, a pena di decadenza, in sei mesi il termine per ricorrere alla Autorit giudiziaria in tutte le controversie riguardanti le imposte e le sopratasse stabilite dalla legge stessa, controversie che abbiano formato oggetto di decisione amministrativa; termine questo che decorre sia per l'ufficio che per il contribuente dalla data di notificazione della detta decisione. E poich le controversie indicate nell'art. 29, terzo comma del r.d. 1639 del 1936 riguardano anche quelle concernenti i casi di grave errore di apprezzamento ed insufficienza di calcolo nella determinazione del valore (e ci in deviazione dal normale principio che non consente al giudice ordinario di conoscere, in materia di registro, di questioni ,che attengano alla semplice estimazione, per cui, in questa particolare ipotesi, il potere di detto giudice limitato all'annullamento o .alla conferma della decisione impugnata), ne deriva ineluttabilmente che per questa eccezionale impugnazione l'unico termine da osservare quello del cennato art. 146 della legge di registro, ossia di sei mesi dalla data di notificazione della decisione della Commissione provinciale. Nella specie, essendo pacifico ,che la decisione 19 maggio 1953 della Commissione provinciale di Palermo, pervenuta all'ufficio il 26 maggio successivo fu notificata al Taormina il 12 settembre 1953, il termine dal dirito di apello stabilita appunto dall'art. 35. Non si vede, quindi, come sia possibile attribuire al citato art. 41 quella portata, non solo generale, ma addirittura di cardine nel sistema di decadenze dall'azione dinanzi all'a.g.o. In realt, come hanno ben visto le Sezioni Unite, la sedes materiae ordinaria delle norme concernenti i termini, le eventuali decadenze ed i limiti per la proposizione dell'azione giudiziaria, deve ricercarsi nelle singole leggi tributarie ed in particolare, per quanto riguarda le controversie in materia di imposte indirette sugli affari, nell'art. 146 della legge di registro. Ne a tale regola si sottrae il ricorso consentito dall'art. 29, terzo comma, d.l. n. 1639 del 1936. I limitati poteri ivi attribuiti al giudice ordinario, in deroga al generale principio che esclude dalla competenza dell'autorit giudiziaria le questioni di estimazione semplice (art. 6, I. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E e disposizioni successive), se autorizzano a parlare di giurisdizione di mera legittimit o di mero annullamento, non consentono affatto di snaturale l'azione giudiziaria trasformandola in una fase del contenzioso amministrativo. Per riuscire persuasiva, la tesi qui contrastata avrebbe dovuto perlomeno spiegare in quale modo il giudice ordinario possa inserirsi in un procedimento di giurisdizione speciale senza avere n i relativi poteri, n la corrispondente struttura RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 1074 di sei mesi per l'impugnazione di tale pronuncia davanti al giudice 'ordinario non era sicuramente scaduto al momento in cui r Amministra zione delle finanze, con la citazione del 27 gennaio 1954, instaur il giudizio innanzi al Tribunale di Palermo chiedendo rannullamento della decisione stessa per mancanza assoluta di calcolo e p~r grave, evidente errnre di apprezzamento. Ogni altra considerazione superflua, ditalch la impugnata pronuncia, che dai principi sin qui affermati si discostata, deve essere cassata con rinvio ad altra Corte d'Appello che, nel nuovo esam~, si atterr al principio secondo ,cui unica decadenza comminata dalla legge del registro per il .ricorso alla Autorit giudiziaria ex art. 29; terzo comma stessa legge, quella che consegue alla mancata proposizione del ricorso medesimo; sia da parte dell'ufficio che del contribuente, nel termine di sei mesi dalla data della notificazione della decisione della Commissione provinciale. -{Omissis). e per converso giustificare .come un procedimento di giurisdizione speciale possa svolgersi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria. L'evidente impossibilit di risportder positivamente a tali quesiti, conferma che anche le ontroversie ex art. 29, terzo comma, devono nettamente distinguersi, sotto il profilo concettuale e normativo, dai procedimenti dinanzi alle Commissioni delle imposte dalla . cui specifica disciplina non mutuano alcuna disposizione. Le Sezioni Unite hanno infine disatteso, con eloquente silenzio, lo specioso argomento secondo cui le norme che comminano la decadenza dovrebbero appli carsi anche nelle controversie previste dal cit. art. 29, terzo comma, perch ispi rate al fine di contenere entro ragionevoli limiti temporali la durata delle contro versie tribut;uie. . infatti evidente che tale interpretazione della norma varrebbe tutt'al pi a segnalare un inconveniente della vigente disciplina, non a realizzarne la pretesa finalit perch alla supposta decadenza dell'Ufficio per tardiva notifica, non corri sponderebbe affatto analoga decadenza del contribuente, il quale conserverebbe pur sempre il diritto di impugnativa dinanzi all'a.g.o. entro i sei mesi dalla notifca della decisione della Commissione. R. SEMBIANTE SEZIONE SESTA SEZIONE SESTA GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE .PUBBLICHE, APPALTI E FORNITURE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 20 marzo 1965; n. 462 -Pres. Pece ~ Est. Gambogi -P.M. Pedace (conf.) -Consorzio Interprovinciale fra cooperative di produzione e di lavoro di Genova (avy.ti Fa;n.. ciani, B'evilacqua) c. Fallimento di V. Frunzo (avv. Appiani). ,,:.. . Fallimento -. Clausola compromissoria contenuta iD. contratto . Inefficacia. Contratti pubblici -Enti pubblici diversi dallo StatQ -:aichiamo al capitolato generale per gli appalti di opere pubbliche ... Valore negoziale. (c.p.c., art. 806; legge fallimentare, artt. 24 e 52). La dichiarazione di fallimento, se interviene prima della costitu;;. zione del collegio arbitrale, fa venir meno refficacia' della clausola com'promissoria ex contractu stipulata anteriormente dalfimprenditore poi fallito (1). Mentre le clausole del Capitolato generale dello Stato per gli appalti delle opere pubbliche hanno natura regolamentare, ha invece carattere negoziale il richiamo che di quelle clausole viene fatto nei cpitolati predisposti dagli enti pubblici diversi dallo Stato (2). (1-2) Mentre, in ordine al problema oggetto della seconda massima; si osserva che la breve motivazione della sentenza in rassegna non appare esauriente (si rimanda alle note di G. DEL GRECO, Sulla natura giuridica del Cap.itolato di appalto della Gestione Case per lavoratori, ecc., in questa Rassegna, 1964, I, 603 e segg. e di F. CARus1, Spunti in tema di efficacia regolamentare del Capitolato Generale! oo.pp, e di rinvio alle sue norme, in questa Rassegna, 1965, I, 225 e segg., in part. 232 e segg., ove anche riferimenti di legislazione, dottrina e giurisprudenza), si correda la prima massima in rassegna della seguente nota di commento. Effetti del fallimento sulla clausola compromissoria. L'affermazione secondo cui la clausola compromissoria diviene inoperante ex lege per effetto della dichiarazione di fallimento di uno dei contraenti costante nella giurisprudenza della Corte di Cassazione. Le prime enunciazioni del principio possono rinvenirsi nella sentenza 17 novembre 1926 (Pea c. Venturelli, Dir. fall.; 1076 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (Omissis). -Poich la sentenza impugnata ha ritenuto il carattere obbligatorio ed assoluto della competenza arbitrale stabilita dai capitolati di appalto relativi alle costruzioni per la gestione dell'INA-Casa, pregiudiziale l'esame del secondo mezzo del ricorso, col quale si contesta appunto tale carattere normativo della clausola compromissoria in questione. La contestazione fondata. Per giurisprudenza costante di questa Corte Suprema (sentenze n. 1266 del 1963; n. 1474 del 1959; n. 923 del 1958) solo le clausole del Capitolato generale dello Stato per gli appalti delle opere pubbliche 1927, 146); 20 dicembre (Bucchetti c. Agip, Foro it., 1985, I, 262) e 22 giugno 1942, n. 1754 (inedita, la massima in Foro it., Mass., 1942, 414); pi recentemente il principio risulta confermato, prima che nella sentenza che si annota, nelle sentenze 12 gennaio 1956, n. 30, Foro it., 1956, I, 528; Giust. civ., 1956, I, 209 e Dir. fall., 1956, II, 57; 4 agosto 1958, n. 2866, Foro pad., 1958, I, 970; Giust. civ., 1959, I, 130; Dir. fall., 1958, Il, 590; 18 maggio 1959, n. 1474, Giur. it., 1959, I, 1, 838; Foro it., 1959, I, 848 e Giust. civ., 1959, I, 1751; nonch -a quanto dato comprendere dalla massima -nella sentenza 18 novembre 1961, n. 2694, Giur. it., Rep., 962, 1815, mass. 189. Le pi antiche delle citate sentenze, invero, affermano soltanto che il fallimento non travolge il giudizio arbitrale gi pendente, rimanendo cos inespressa la implicita adesione della giurisprudenza all'opinione espressa dal MORTARA (nel Commentario, 1928, voi. III, 71) secondo il quale il fallimento produrrebbe la decadenza del compromesso in quanto questo non sarebbe " perfetto che con l'accettazione dell'incarico da parte degli arbitri. Solo nelle sentenze pi recenti viene enunciato chiaramente che il fallimento priva di efficacia la clausola compromissoria. A sostegno di questa affermazione si adducono: o la inopponibilit della clausola compromissoria ali' Amministrazione fallimentare in quanto non pu dirsi che il curatore succeda al fallito (nella sentenza n. 30 del 1956); o il " carattere funzionale e inderogabile della competenza del tribunale fallimentare a conoscere delle cause che derivano dal fallimento {nella sentenza n. 2866 del 1958); o l'argomentazione secondo cui "la clausola compromissoria presuppone...... la fiducia che una parte ripone nella scelta che la controparte far del proprio arbitro (nella sentenza n. 1474 del 1959); o (nella medesima sentenza) la configurazione della clausola compromissoria come contratto avente efficacia e valore preliminare... s che la sua stipulazione d luogo ad una fattispecie incompleta... produttiva soltanto di alcuni effetti preliminari ; o, infine (nella sentenza che si annota), l'argomentazione secondo cui i crediti nei confronti del fallito non possono essere fatti valere " se non attraverso la procedura di accertamento stabilita dagli artt. 52 e 92 e segg. della legge fallimentare . Il riferito orientamento giurisprudenziale -anche in relazione alle argomentazioni addotte a suo sostegno -non pare possa andare esente da critiche. In primo luogo, la questione relativa alla possibilit di un giudizio arbitrale in materie attribuite alla competenza del giudice delegato o a quella del tribunale fallimentare, non pu essere risolta sulla base dell'art. 24 della legge fallimentare, posto che I tale disposizione quando attribuisce al tribunale fallimentare la competenza a conoscere delle controversie derivanti dal fallimento, detta una norma regolatrice della competenza dei diversi giudici appartenenti all'Autorit Giudiziaria Ordinaria, I PARTE I, SEZ. VI, GIURI$. IN MATERlA DI ACQUE, APPALTI E FORNITURE 1077 hanno natura regolamentare, mentre ha carattere negoziale il richiamo che di quelle clausole viene fatto nei capitolati predisposti dagli enti pubblici diversi dallo Stato. La sentenza impugnata, per vero, si richiamata specificamente al capoverso dell'art. 6 del d.P. 22 giugno 1949, n. 340, per sostenere da altro punto li vista il carattere obbligatorio della competenza arbitrale ivi prevista; ma nemmeno tale richiamo rilevante all'uopo. Infatti, la predetta disposizione non vincola in modo assoluto le parti alle norme del Capitolato Generale dello Stato; al contrario prevede espressamente la possibilit che le parti convengano di adottare ma non riserva a questa Autorit la materia delle cause derivanti dal fallimento e cio non esclude la possibilit di un giudizio arbitrale (in tal senso, CAPACCIOLI, L'amministrazione fallimentare di fronte all'arbitrato, Riv. dir. proc., 1959, 534 e segg.). L'ordine attribuisce in via generale ai soggetti il potere di far decidere da arbitri le controversie tra di loro insorte n (art. 806 c.p.c.) o quelle che potranno nascere da un contratto (art. 808 c.p.c.), e quindi attribuisce il potere di stipulare quei negozi (compromessi o clausole compromissorie) che hanno per causa 11 il deferimento della lite agli arbitri. Questo generale potere incontra certamente dei limiti, ma -evidentemente -i limiti hanno carattere eccezionale e debbono perci essere posti da norme espresse o quanto meno da norme ricavabili dal sistema. Cos esplicitamente l'art. 806 c.p.c. esclude la deferibilit agli arbitri delle controversie concernenti diritti indisponibili (oltre ad altre ipotesi specificatamente indicate); mentre implicitamente il giudizio arbitrale escluso, ad esempio, nelle controversie nelle quali previsto l'intervento del Pubblico Ministero. Pu comun que escludersi che le norme che attribuiscono le controversie insorte in una determinata materia ad un ufficio giudiziario anzich ad altro ufficio giudiziario contengano implicitamente l'esclusione per quella materia del potere dei soggetti contendenti di deferire la lite ad arbitri. '. sufficiente considerare quanto assurdo sarebbe escludere la deferibilit ad arbitri delle cause di cui all'art. 8, n. 2 e n. 4 c.p.c. Tuttavia, quando si supera l'argomentazione fondata sul disposto dell'art. 24 citato, non si esaurisce affatto la trattazione della questione relativa alle conseguenze del fallimento sulla competenza arbitrale; altre norme della legge fallimentare, coordinate con la disciplina dell'arbitrato, limitano il potere di adire la giustizia arbitrale. Cos, anzitutto l'art. 52, secondo comma, l.f. esclude la possibilit che l'accertamento del passivo o anche l'accertamento di singoli debiti possa avvenire in sede arbitrale, o comunque fuori dell'ambito del procedimento previsto dagli artt. 92 e segg l.f. (in parte contraria, senza una esplicita considerazione dell'art. 52 l.f., l'opinione del CAPACCIOLI, op. cit., 539). Un secondo limite alla competenza arbitrale pu ricavarsi dal sistema e concerne le azioni revocatorie; non , infatti, possibile la stipulazione di una clausola compromissoria (o anche di un compro messo) anteriore al fallimento, avente ad oggetto delle controversie nelle quali -salva l'ipotesi della revocatoria ordinaria -viene esercitato un potere, che sorge solo con la dichiarazione di fallimento ed al cui esercizio legittimata solo l'ammi nistrazione fallimentare. La competenza arbitrale non pu invece ritenersi esclusa, almeno per quanto concerne i limiti al potere di far decidere da arbitri " (ossia i limiti operanti sul piano della competenza), nelle controversie -ancorch derivanti n o influen zate 11 dal fallimento -concernenti le azioni con le quali l'imprenditore poi fallito (dopo il fallimento sostituito dall'amministrazione fallimentare) fa valere un proprio RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 1078 capitdla:ti diversi, sia pure dopo una valutazione della idoneit di essi; E tale possibilit sufficiente ad escludere il carattere obbligatorio assoluto della clausola compromissoria di cui si discute; che ne richiederebbe, invece, la imposizione ex lege in ogni caso e con riferimento ad una composizione del Collegio arbitrale che fosse anche essa direttamente predisposta dalla legge (Sez. Un., sent. n. 2250 del 1950). Ritenuto cos che anche nel caso di specie si verte in una ipotesi di normale competenza arbitrale a carattere Convenzionale, resta assorbito il problema della prevalenza o meno della competenza del Tribunale faliimentare in relazione ad altre eventuali competenze a carattere funzionale. diritto reale o di credito, le azioni costitutive relative ai " rapporti giuridici preesii> tenti al fallimento '" le azioni reali immobiliari contro il fallito. Nessuna norma CiJSplicita o implicita, infatti, impedisce che la decisione di ,queste controversie sia resa da arbitri anzich dal giudice ordinario competente (sia esso o meno il Tribunale fallimentare);. e in difetto di una siffatta deroga non si vede come possa privarsi di efficacia la clausola compromissoria e il compromesso stipulato anteriormente al ~allimento nell'esercizio di un potere ai soggetti contraenti attribuito dall'ordinamento. A sostegno della affermata " inoperativit della clausola compromissoria non pu per neppure addursi che la clausola stessa sarebbe 11 inopponibile all'amministrazione fallimentare (nel senso della inopponibilit si espresso AzzoLINA, Il fallimento, 1953, II, 1049). Sembra infatti che alla base della tesi, secondo cui la clausola compromissoria sarebbe inopponibile all'Amministrazione fallimentare, si cela un equivoco: e precisamente lerronea. opinione che i contratti stipulati dallo ir.prenditore prima del ,suo fallimento non vincolino detta amministrazione. In realt, il principio di diritto -cui numerosi articoli della legge fallimentare danno applicazione o a)lche apportano deroga o correzione - che lAmministrazione fallimentare . subentra in tutte le situazioni soggettive del fallito, e che quindi alla stessa sono opporibili i contratti stipulati dall'imprenditore prima del suo fallimento; tanto vero che l'art. 44 l.f. esplicitamente dichiara inopponibili >, perch rispondente all'unico imperativo di agire in con formit dell'interesse pubblico. Tale teoria -secondo il Piras -avrebbe avuto il merito, rispetto alla vecchia dottrina, di aver ricondotto l'attivit discrezionale sotto un paradigma normativo, ma presenterebbe il difetto di prendere in considerazione interessi generici, che si dicono pubblici solo perch tali appaiono nella realt sociale. Dopo questa teoria, l'A. passa ad esaminare quelle tesi, pi estremiste, secondo le quali la legge, nei casi in cui rimette alla discrezionalit della P.A. l'attuazione di una disposizione, rinvia per la disciplina del rapporto a norme e regole non giuridiche gi certe ed obbiettivamente accertabili e capaci di dare sempre la misura dell'unica soluzione possibile per la realizzazione dell'interesse pubblico. Rileva in proposito l'A. che regole o principi, contenuti di esperienza o criteri di giudizio, capaci di individuare la ragione predeterminante dell'unica soluzione possibile in ogni concreta ipotesi che si possa presentare all'esame del giurista, non dato rinvenirne nella nostra realt giuridica. La dimostrazione, veramente convincente, di questo assunto data da una ampia esemplificazione desunta dal diritto positivo, che costituisce la parte pi incisiva e di maggiore utilit pratica di tutto il lavoro in esame. L'opinione del Piras che, nonostante tutti gli sforzi delle teorizzazioni pi radicali ed estremiste, si deve necessariamente riconoscere che nella discrezionalit amministrativa esiste un margine libero di scelta e di volont costituito, appunto, dall'attivit rivolta alla ponderazione dell'opportunit di attuare in un modo o nell'altro questo o quello interesse pubblico. La scelta discrezionale dipende dal valore che si assegna all'interesse pubblico emergente dalla situazione, ossia da un giudizio, lato sensu, politico, che in nessun modo risulta dall'applicazione di una preesistente norma o regola non giuridica d'esperienza. Solo che -prosegue l'A. -l'interesse pubblico, per svolgere il suo ruolo rispetto alla discrezionalit, dev'essere rilevante rispetto agli scopi della funzone assegnata all'organo della P.A.; deve riflettere il soddisfacimento di, un bisogno gi qualificato pubblico da una norma (o direttamente mediante l'attribuzione di una certa com petenza a questa o quella autorit amministrativa, o indirettamente con l'ordina mento dei pubblici uffici). Dev'essere, in poche parole, un interesse pubblico specifico e non generico. Da queste considerazioni l'A. fa derivare, altresi, la necessit di col legare il concetto di discrezionalit alla funzione ed all'attivit della P.A., in senso lato, e non all'atto, potendo la discrezionalit manifestarsi anche con il non-agire, in un momento anteriore, cio, all'emanazione dell'atto. Com' chiaro, l'A., ricalcando vie gi tracciate da altri e dalla giurisprudenza, tenta di raggiungere un punto di equilibrid tra opposte vedute anche se egli stesso non si nasconde l'obbiezione che nell'attivit amministrativa non sempre agevole isolare un interesse pubblico specifico correlato alla funzione che non si trovi in necessaria ed indissolubile connessione con altri pubblici interessi che ogni organo della P.A. deve pur valutare nell'esercizio della sua attivit. In definitiva, ci sembra di poter dire che lo studio in rassegna, pur offrendo un notevole contributo all'informazione per la ricchezza di dati su dottrine italiane e straniere e pur imponendosi all'attenzione per lo sforzo sotteso di dare sempre ai problemi soluzioni equilibrate e lontane dagli estremismi, ispirati, in special modo, a certa giurisprudenza di origine germanica, non riesce ad eliminare dal campo della discrezionalit amministrativa tutte quelle ambiguit e confusioni che sempre hanno caratterizzato l'elaborazione dottrinale e giurisprudenziale in materia. Ma chiaro che di tali ambiguit e confusioni non si pu far carico n al Piras n agli altri illustri ed autorevoli studiosi che si sono occupati dell'argomento, bensl unica mente all'assoluta mancanza di disposizioni legislative chiarificatrici. ...: ~ " ., ~ =~ : PARTE Il, RASSEGNA DI DOITRINA Vogliamo aggiungere che dall'impossibilit di un'elaborazione concettuale della discrezionalit amministrativa su sicure basi normative derivata una situazione in cui la proliferazione delle teorie pi che essere alimentata da riuove considerazioni di ordine giuridico continuamente sollecitata dall'ansia, latente anche in giuristi di ben noto equilibrio, di vedere progressivamente sempre pi ridotto il margine di libert di scelta della P.A. nell'esercizio delle proprie funzioni. E su questa via una giurisprudenza, pressocch libera dal tradizionale mito dell'amministrazione della giustizia come opera di mera deduzione logica da norme giuridiche (nella specie, inesistenti), ha fatto il resto, corrispondendo a quell'ansia, pi politica che giuridica, in misura a volte pi larga di quella sperata. Come ultimo rilievo, osserviamo che poco sviluppato, rispetto all'intera economia del lavoro, ci sembra il tema della discrezionalit tecnica, sul quale, per questo motivo, non ci soffermiamo oltre. P. GASPARRI, Eccesso di potere (in diritto amministrativo). Anche dello studio del Gasparri, che s'inserisce nel filone della lunga e difficile elaborazione teorica del concetto dell'eccesso di potere, ricorderemo qui di seguito, sintetizzandolo, solo il nucleo essenziale, tralasciando sia l'analisi dell'originl'! storica dell'espressione, nel diritto francese ed in quello italiano, sia le considerazioni sull'eziologia del vizio in esame, cio sulle possibili cause (involontarie ed intenzionali) del suo verificarsi, e sia, infine, la sua differenziazione dalle altre figure di vizi di legittimit: incompetenza e violazione di legge. Per una migliore comprensione della tesi posta dall'A. a fondamento del suo studio, necessario ricordare che gi da tempo la migliore dottrina (seguita dalla giurisprudenza) ha individuato la presenza di un nesso, di un legame tra la configurabilit del vizio di eccesso di potere e l'esistenza di un potere discrezionale nella P.A. (Sul punto v. Relazione Avv. Stato, anni 1956-60, par. 337). Si , cio, rilevato che la discrezionalit amministrativa costituisce un presupposto necessario per la sussistenza dell'eccesso di potere, il quale non appare configurabile di fronte ad una attivit amministrativa vincolata.. Ora se ci vero, per altrettanto incontestabile che l'esatta definizione del legame e, sopratutto, la linea di demarcazione tra l'eccesso di potere ed il vizio di merito, che il tipico errore di apprezzamento e di scelta discrezionale, non sono state fino ad oggi sufficientemente chiarite e sono tuttora oggetto di vivace discussione fra i vari autori. Nella soluzione adottata nel lavoro in esame per delineare la figura dell'eccesso di potere, definito concisamente come vizio di legittimit inerente ad una scelta discrezionale, il Gasparri prende appunto l'avvio dall'esame dei rapporti tra eccesso di potere e vizio di merito. Egli, partendo dalla considerazione che quando si parla di eccesso di potere ci si riferisce sempre ad un dato tipo di scorrettezza di una scelta discrezionale, precisa successivamente .che tale scorrettezza non consiste in un errore di apprezzamento, e quindi di scelta (errore che costituisce l'essenza del vizio di merito) ma piuttosto nel fatto che il tipo di apprezzamento che l'Amministrazione fa non conforme al modello di apprzzamento che la legge vuole sia fatto: in questo senso, ed in questo senso soltanto, pu dirsi che la scelta discrezionale non corretta. Tutto ci -secondo il Gasparri -certamente non pu verificarsi quando alla P.A. attribuita quella competenza di valutazione e di scelta cosi ampia che si suol chiamare politica perch, in tal caso, il legislatore non delimitando i tipi di interessi che la P.A. deve tener presenti, consente alla medesima di prescindere da ogni tipo precostituito di apprezzamento. Ma quando la delimitazione dei tipi di interesse da valutare imposta alla P.A. unitamente all'imposizione di prescindere dalla considerazione di ogni altro tipo RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 136 di interesse non contemplato, quando, cio, la discrezionalit propriamente "amministrativa e non politica, l'iter mentale segulto dall'organo della P.A. non pu essere diverso da quello che, per legge, doveva essere segulto: altrimenti -secondo I' A -si ha eccesso di potere. Questa espressione, in altri termini, metterebbe in evidenza che l'organo della P.A., titolare di un potere discrezionale e responsabile del suo uso, uscito dal :~ binario logico che la lgge gli prescriveva di rispettare nei ragionamenti preliminari sull'uso del potere. Dopo aver cos configurato l'eccesso di potere, come vizio, cio, consistente nella considerazione da parte della P.A. di un quadro di interessi diverso., in tutto o in parte, da quello stabilito dalla legge, il Gasparri, per far rientrare nella nozione da lui delineata il cosiddetto " travisamento dei fatti >>, aggiunge che, a suo avviso, anche in tale figura l'erronea rappresentazione dei fatti conduce, fuorviando l'iter mentale dell'organo amministrativo, ad una scelta abnorme rispetto al modello legislativo. Diciamo subito che proprio quest'ultimo non convincente tentativo a determinare serie perplessit sulla tesi dell' A., la quale se ha la piacevole chiarezza dei contorni non ha la possibilit di comprendere in unica nozione le varie figure di eccesso di potere che si sono venute delineando nella nostra realt giuridica. Nel cosidetto travisamento dei fatti non vi affatto la considerazione di un quadro d'interessi diverso da quello stabilito dalla legge, ma solo la considerazione di una situazione di fatto diversa da quella effettiva; che cosa ben diversa. Ma se ci vero, non pu negarsi, d'altro canto, che i contributi del tipo di quello in rassegna, mirando dichiaratamente a soddisfare l'esigenza, da pi parti avvertita, di mettere ordine in un campo cosl importante e delicato, sono estremamente salutari per la scienza giuridica. A maggior ragione ci deve dirsi quando essi tendono, altresl, come quello in esame a porre un argine a quella caotica proliferazione, accanto alla figura tradizionale, di altre figure di eccesso di potere, verificatasi a ritmo crescente in questi ultimi anni specie ad opera della giurisprudenza. L. MAZZELLA RASSEGNA DI LEGISLAZIONE PROVVEDIMENTI LEGISLATIVI* D.L. 6 SETrEMBRE 1965, N. 1022 (1) -Prevede norme per l'incentivazione dell'attivit edilizia, in tre titoli: il primo contenente provvedimenti per l'edilizia popolare; il secondo relativo alle agevolazioni creditizie per l'edilizia; il terzo comprendente le disposizioni finali e le agevolazioni fiscali (G.U. 6 settembre 1965, n. 224). D.P.R. 26 LUGLIO 1965, N. 1074 -Reca, disposizioni di attuazione dello statuto della Regione Siciliana in materia finanziaria con dieci articoli e quattro tabelle annesse (G.U. 18 settembre lg65, n. 235). D.P.R. 26 AGOSTO 1965, N. 1098 -Sostituisce il d.p. 8 marzo 1965, n. 699, e stabilisce che l'anno finanziario degli elencati enti pubblici sottoposti al controllo della Corte dei conti a norma della legge 21 marzo 1958, n. 259, comincia il lo gennaio e termina il 31. dicembre di ogni anno , dettando conseguenzili disposizioni pure transitorie (G.U. 29 settembre 1965, n. 245). LEGGE lo OTTOBRE 1965, N. l IIO -Proroga al 31 dicembre 1965 talune disposizioni in tema di locazioni di immobili urbani (G.U. 2 ottobre 1965, n. 248). D.P.R. 26 AGOSTO 1965, N. u 16 -Reca disposizioni di attuazione dello statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia in materia di agricoltura e foreste, industria e commercio, turismo ed industria alberghiera, istituzioni ricreative e sportive, lavori pubblici, nonch in materia di trasferimento di uffici statali e personale, con norme finali e transitorie (G.U. 8 ottobre 1965, n. 253). D.L. 7 OTTOBRE 1965, N. 1118 (2) -Prevede la sospensione dell'imposta di fabbricazione sui filati di lana e la istituzione di una addizionale speciale all'imposta generale sull'entrata per le materie prime tessili di lana (G.U. 9 ottobre 1965, n. 254). D.P.R. 30 GIUGNO 1965, N. 1124 -Coordina in un unico testo legislativo le norme sull'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. Il testo unico consta di tre titoli: il primo contenente le norme sull'assicurazione infortuni e malattie professionali nell'industria, suddiviso in dieci capi, rispettivamente relativi alle attivit protette (art. l ), all'oggetto dell'assicurazione (artt. 2-3), alle persone assicurate (artt. 4-8), ai datori di lavoro (artt. 9-65), alle prestazioni (artt. 66-130), alle disposizioni speciali per le malattie professionali (artt. 131-139), alle disposizioni speciali per la silicosi e l'asbetosi (artt. 140-177), all'assistenza ai grandi invalidi (artt. 178-189), alle disposizioni generali, transitorie e finali (artt. 190-204); il secondo contenente le norme sull'assicurazione infortuni e malatti professionali nell'agricoltura, suddiviso in sei capi, rispettivamente relativi al campo di applicazione -soggetti e lavorazioni -(artt. 205-209), all'oggetto dell'assicurazione (artt. 210-2u), alle prestazioni (artt. 212-248), alle disposizioni spe" Si segnalano quelli ritenuti di maggior interesse. (1) stato convertito nella legge 1-0 novembre 1965, n. n79 (G. U. 3 novembre 1965, n. 275), con modificazioni varie. (2) stato convertito nella legge 4 dicembre 1965, n. 1309 (G. U. 7 dicembre 1965, n. 305), con alcune modificazioni. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 138 ciali per le malattie professionali (artt. 249-255), all'organizzazione tecnica e finanziaria dell'assicurazione (attt, 256-285), alle disposizioni generali, transitorie e finali (artt. 286-290); il terzo contenente le norme sui regimi speciali (art. 291); il quarto contenente le norme con disposizioni per particolari categorie (artt. 292-294) e con disposizioni finali del provvedimento (artt. 295-296), ivi comprese quelle relative alla deco~renza del provvedimento stesso (G.U. 13 ottobre 1965, n. 257, supplemento). LEGGE 13 OTTOBRE 1965, N. rr71 -Modifica il r.d. 20 luglio 1934 n. 1404, convertito in legge 27 maggio 1935 n. 835, concernente la istituzione ed il funzionamento del, Tribunale per i minorenni, nell'art. 20, relativo alla sospensione condizionale della pena (G.U. 30 ottobre 1965, n. 272). DISEGNI E PROPOSTE DI LEGGE DISEGNO nr LEGGE n. 985 (Senato), presentato il 5 febbraio 1965 dai senatori Bonacina, Alberti ed altri: Istituzione di una relazione annuale sullo stato della pubblica amministrazione. cc Testo: ART. I. Il Presidente del Consiglio dei ministri riferisce annualmente al Parlamento sullo stato della pubblica amministrazione. La relazione indica, con riferimento al precedente anno finanziario: r) i dati opportunamente elaborati, concernenti la spesa per il personale in attivit di servizio e in quiescenza, nonch la spesa corrente per l'acquisto di beni e servizi; 2) i problemi concernenti il reclutamento, la preparazione professionale e l'impiego del personale, con particolare riferimento ai funzionari direttivi, ai tecnici e agli specialisti, nonch i problemi concernenti l'incremento della produttivit; 3) lo stato delle attrezzature e la situazione organizzativa della pubblica amministrazione, nonch le iniziative adottate dal Governo per migliorarle e i risultati conseguiti; 4) i provvedimenti adottati in attuazione del decentramento amministrativo; 5) i criteri generali a cui si ispirata l'attivit di vigilanza e tutela della pubblica amministrazione sugli enti pubblici, i principali rilievi sollevati e i risultati conseguiti. La relazione illustra in particolare l'attivit di vigilanza e tutela svolta nei confronti degli enti pubblici aventi dimensioni e compiti di rilevante importanza economica e sociale, o i cui conti consuntivi debbono essere presentati al Parlamento ai sensi dell'articolo 35-bis del regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440; 6) l'andamento del contenzioso amministrativo. La relazione fornisce al Parlamento ogni altra informazione utile ad aggiornarlo sull'efficienza dell'azione amministrativa, sulle carenze e sui mezzi pi idonei per superarle. ~1 " Pubblicirto, con le osservazioni, in Rassegna Parlamentare, n. 7-9 del 1965. , . . '. <:" PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 139 La relazione indica specificamente: a) l'elenco delle gestioni di fondi, in tutto o in parte non stanziati nel bilancio dello Stato, qualunque sia il titolo e la denominazione sotto la quale i fondi stessi siano stati percetti o erogati, condotte direttamente o indirettamente nell'ambito delle amministrazioni dello Stato, ivi comprese le amministrazioni con ordinamento autonomo. L'elenco integrato dal rendiconto consuntivo, se previsto, o dalla situazione contabile di ciascuna gestion.e, che evidenzi le entrate e le uscite relative all'ultimo esercizio, e i corrispondenti titoli giustificativi. Per ciascuna gestione viene inoltre indicato l'ente .o l'istituto al quale affidato il servizio di cassa o presso il quale sono depositati i fondi; b) l'elenco nominativo dei magistrati ordinari e dei magistrati del Consiglio di Stato e della Corte dei conti che, nel precedente anno finanziario, siano stati impiegati nei gabinetti, negli uffici legislativi o nelle segreterie particolari dei Ministeri, anche con incarichi temporanei o accessori; e) il numero degli insegnanti e dei dipendenti dello Stato civili e militari, di ruolo e non di ruolo, qualunque sia la carriera di appartenenza, e degli estranei alla pubblica amministrazione, i quali siano di fatto addetti, anche saltuariamente o parzialmente o con semplici incarichi di consulenza, ai gabinetti o alle segreterie particolari, distintamente individuate, dei Ministri, dei Sottosegretari e dei Direttori generali. !/indicazione di cui al presente punto ripartisce gli addetti secondo le classificazioni per carriere e per coefficienti contemplate dalla tabella unica allegata al decreto del Pr,esidente della Repubblica 11 gennaio 1956, n. 19; d) il numero, per ciascuno dei Ministeri e delle Aziende autonome dello Stato. dei dipendenti i quali si trovino in posizione di distacco o di comando presso i gabinetti o le segreterie particolari di altri Ministeri o presso enti pubblici; e) l'elenco nominativo dei magistrati di Cassazione e di Corte d'appello, dei magistrati amministrativi, degli insegnarzti e dei funzionari civili e militari dello Stato aventi qualifica con coefficiente pari o superiore a 500, che durante il precedente anno finanziario, o in parte di esso, abbiano ricoperto incarichi di membro del consiglio di amministrazione o del collegio sindacale o di amministratore straordinario in istituti o aziende di credito, in enti pubblici sottoposti al controllo della Corte dei conti ai sensi della legge 21 marzo 1958, n. 259, o in imprese con partecipazione azionaria dello Stato, diretta o indiretta. Per ciascun nominativo devono essere elencati tutti gli incarichi ricoperti. La relazione si coordina anche mediante rinvio alle indicazioni, ai dati e alle comunicazioni che, sulle stesse materie di cui al presente articolo, sono contenuti in altri analoghi documenti sottoposti al Parlamento, riguardanti particolari settori della pubblica amministrazione. ART. 2. Il Consiglio di Stato e la Corte dei conti riferiscono annualmente al Parlamento sull'attivit giurisdizionale, di controllo e consultiva, svolta nel precedente anno finanziario, con particolare riferimento ai principali oggetti dei ricorsi decisi, dei rilievi formulati e dei pareri emessi. Le relazioni di cui al presente articolo contengono osservazioni intorno al modo con il quale le varie amministrazioni si sono conformate alle leggi ed ai regolamenti; esse inoltre si esprimono intorno alle riforme che rispettivamente il Consiglio di Stato e la Corte dei conti ritengono opportuno siano apportate alle leggi ed ai regolamenti riguardanti l'ordinamento, le attribuzioni, le procedure e la responsabilit della pubblica amministrazione, ovvero riguardanti la gestione e i conti del pubblico denaro. Alle relazioni si uniscono prospetti dimostrativi dell'attivit svolta. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 140 ART. 3 La relazione del Presidente del Consiglio dei ministri presentata in allegato alla relazione generale sulla situazione economica del Paese, di cui all'articolo 4 della legge 10 marzo 1964, n. 62. Le relazioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti sono presentate entro il mese di marzo. La prima applicazione della presente legge avr luogo con la presentazione della relazione generale sulla situazione economica del Paese relativa al 1964. Osservazioni : Il disegno di legge n. 985 si propone di istituire una relazione annuale sullo stato della pubblica amministrazione al fine di porre in grado il Parlamento e, per il suo tramite, la pubblica opinione di conoscere i problemi, le eventuali deficienze e le esigenze della P.A. nonch i rapporti fra questa ed il cittadino. La relazione, che accompagna il disegno di legge, afferma che le condizioni, in cui versa la P.A., nel suo complesso, sono note e per nulla edificanti >>, ma riconosce che il fenomeno investe per dire la verit fino in fondo la stessa vita politica organizzata nei partiti, senza dei quali tuttavia nessun ordinamento democratico pu sopravvivere . Per la prima volta viene, cosl, posta, sia pure implicitamente e con qualche riserva, la questione circa la responsabilit per il notevole scadimento del costume e cc i gravi fenomeni d'involuzione politica, organizzativa e, in alcuni casi, perfino morale dell'apparato politico-amministrativo ; se essa, cio, incomba in misura maggiore sulla classe politica o sulla burocrazia. Peraltro, questa visione cosl diffusamente pessimistica dello stato della P.A. e dei suoi rapporti con i cittadini non corrisponde del tutto alla realt. Vi sono stati, vi sono e certamente vi saranno ancora fenomeni, anche gravi, di malcostume, peraltro, propri di tutte le epoche; ma nella generalit dei casi la P.A. funziona correttamente, anche se con quella lentezza dovuta alla complessit del procedimento ed all'aumento, considerevole, delle funzioni attribuite alla P.A. In proposito, peraltro, non si crede possa trascurarsi il fenomeno, cui pure accenna la Relazione del cc diffuso ottundimento del senso dello Stato , per cui il cittadino pronto a pretendere, ma sempre pi restio a dare. L'esigenza di tutela del cittadino nei confronti della P.A. non pu far trascurare l'esigenza del funzionamento di questa, spesso paralizzato da iniziative giudiziarie o da interventi para-politici mossi da spirito di chicane o di speculazione, piuttosto che dal sentito bisogno di giustizia. E su queste iniziative tutti sono portati a indulgere! Si crede, perci, che il problema dei rapporti fra cittadino e P.A. nonch quello della tutela dei diritti e degli interessi legittimi del primo nei riguardi della seconda debba essere affrontato con serena obiettivit e con animo scevro di pregiudizi contro la P.A. Da un lato giusto pretendere che il cittadino veda soddisfatte e con sollecitudine le sue legittime richieste; dall'altro lato, per, necessario evitare la paralisi della P.A. In proposito, degna di meditazione profonda la giurisprudenza del Consiglio di Stato, che amplia sempre pi la tutela del cittadino contro gli atti della P.A. fino a comprendervi interessi semplici e pervenire, cosl, a sterili annulla menti di provvedimenti amministrativi per violazione di norme poste nell'esclusivo interesse del!' Amministrazione, senza alcuna, sia pure occasionale, considerazione dell'interesse privato. Ci importa una duplice, grave conseguenza: che il provve dimento amministrativo, dopo una lunga quanto inutile remora, legittimamente confermato con la eliminazione del vizio formale riscontrato ed il cittadino rimane .deuso per gli effetti -si ripete legittimamente -nulli del suo effimero e, spesso, costoso successo. , Questo aspetto del problema, relativo ai rapporti del cittadino con la P.A., induce ad esaminare quello della opportunit e, sotto certi aspetti, della legittimit della PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE istituzione, anche in Italia, di un relatore del Parlamento " incaricato di riferire sulle esigenze di tutela del cittadino nei rapporti con la P.A. ed eventualmente spiegare interventi concreti per l'attuazione della tutela stessa. Aggiungere alla tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi del cittadino contro la P.A. anche una tutela parlamentare, peraltro, non sembra opportuno. Essa si tradurrebbe, in definitiva, in un ulteriore intralcio dell'attivt amministrativa. D'altra parte, il Parlamento pu gi intervenire, con interrogazioni, interpellanze e, nei casi pi gravi, con inchieste, per conoscere e controllare atti e fatti della P.A. L'istituzione di un organo parlamentare permanente, incaricato di vigilare sulla P.A. ed assicurare al cittadino la tutela nei rapporti con questa, non sarebbe neppure del tutto conforme al principio della separazione dei poteri, sancito dalla Costituzione, e tenderebbe ad invadere il campo da questa riservato agli organi giurisdizionali. Per gli stessi motivi si crede debba dubitarsi della legittimit costituzionale della norma contenuta nell'art. 2 del disegno di legge, che fa obbligo al Consiglio di Stato ed alla Corte dei Conti di riferire annualmente al Parlamento sull'attivit giurisdizionale svolta, presentando, altres, prospetti dimostrativi dell'attivit svolta. Questa relazione, accompagnata da dati statistici, menoma anche se non lede l'autonomia del potere giurisdizionale e, d'altra parte, per conoscere l'andamento del contenzioso amministrativo sufficiente la relazione del Presidente del Consiglio. Per il resto, il disegno di legge non d luogo ad osservazioni. La relazione prevista dall'art. 1, piuttosto complessa e certamente costosa, serve ad illustrare al Parlamento la reale situazione della P.A. anche se difficile sperare che serva a superare la crisi della P.A., lo stato di disagio, morale ed economico, dei pubblici funzionari e la scarsa, reciproca fiducia, che, purtroppo e il pi delle volte senza ragione, permea di s i rapporti fra il cittadino e la P.A. o, per essere pi precisi, gli altri cittadini investiti di una pubblica funzione. G. GUGLIELMI PROVVEDIMENTI LEGISLATIVI SOTTOPOSTI A GIUDIZIO DI COSTITUZIONALITA' DISPOSIZIONI DI LEGGE IN RAPPORTO ALLE QUALI E' STATO PROMOSSO GIUDIZIO DI LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE CODICE CIVILE: art. 156 (Effetti della separazione), primo comma. La questione di legittimit costituzionale della suindicata disposizione in relazione all'art. 145 e.e., per quanto nel caso di separazione senza colpa di alcuno dei coniugi creerebbe una situazione di disparit tra marito e moglie rispetto ai doveri di carattere patrimoniale, stata ritenuta non manifestamente infondata dal Tribunale di La Spezia, con riferimento agli artt. 3 e 29 della Costituzione (ord. 19 maggio 1965, G.U. 4 settembre 1965, n. 223, ed. spec.). CODICE CIVILE: art. 340 (Nuove nozze della madre). La questione di legittimit costituzionale della suindicata disposizione, in quanto collega determinati effetti alle nuove nozze della madre soltanto, per l'amministra RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 142 zione del patrimonio e per l'educazione dei figli, stata ritenuta non manifestamente infondata dal Tribunale per i minorenni di Torino, con riferimento agli artt. 3 e 29 della Costituzione (ord. IO luglio 1965, G.U. 25 settembre 1965, n. 242, ed. spec.). CODICE DI PROCEDURA CIVILE: art. 348 (Improcedibilit dell'appello), secondo comma. R.D. 30 DICEMBRE 1923, N. 3269 (Legge del registro): art. u7, primo comma. La questione di legittimit costituzionale, alternativamente, dell'art. 348 c.p.c., secondo comma, in relazione all'art. 347 c.p.c., secondo comma, o dell'art. I17 del r.d. n. 3269 del 1923, limitatamente al divieto fatto ai cancellieri di rilasciare prima della registrazione copia delle sentenze, anche non munite di ,formula esecutiva, stata ritenuta non manifestamente infondata dalla Corte d'Appello di Catania, con riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione (ord. I6 luglio 1965, G.U. 25 settembre 1965, n. 242, ed. spec.). Per ogni buon fine si segnala che la questione di legittimit costituzionale degli artt. 85, 106, 108, u8, 121 e 122 del r.d. 30 dicembre I923, n. 3269 (modificati con il r.d. 23 gennaio 1936, n. 2313, e con l'art. 7 r.d. 15 novembre 1937, n. I924, allegato B) e dell'art. 2 della legge 3 dicembre 1942, n. I548, contenente norme relative al bollo e alla registrazione degli atti e documenti prodotti dalle parti nei procedimenti civili, stata dichiarata non fondata dalla Corte costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione (sent. 9 aprile 1963, n. 45, G.U. 13 aprile I963, n. IOI, ed. spec.; ordinanze di rimessione: Pretore Firenze, 5 dicembre I96I, G.U. 24 febbraio I962, n. 51, ed. spec., e Pretore Cuneo, 9 maggio 1962, G.U. 30 giugno 1962, n. 164, ed. spec.). CODICE DI PROCEDURA PENALE: art. 389 (Casi in cui si procede con istruzione sommaria) e rt. 392 (Forme, avocazione e trasformazione dell'istruzione sommaria). La questione di legittimit costituzionale delle suindicate disposizioni, in quanto rendano inapplicabili all'istruzione sommaria le norme degli artt. 304 bis, 304 ter, 304 quater e 320 c.p.p., stata ritenuta non manifestamente infondata dal Pretore di Catania, con riferimento all'art. 24 della Costituzione (ord. 28 maggio 1965, G.U. 4 settembre 1965, n. 223, ed. spec.). La disposizione dell'art. 392 c.p.p., peraltro, stata dichiarata costituzionalmente illegittima, con riferimento all'art. 24 della Costituzione, proprio nella parte in cui, con l'inciso in quanto applicabili >>, rende possibile non applicare all'istruzione sommaria le norme degli artt. 304 bis. 304 ter e 304 quater c.p.p. (v., retro, II, 104; v. pure retro, II, 47 e Io7), mentre, come noto, l'art. 320 c.p.p. tratta del compimento della perizia ne'.l'istruzione sommaria e l'ultimo comma dell'art. 389 c.p.p. si limita a disporre che il Pretore per i reati di sua competenza procede con istruzione sommaria, quando non procede a giudizio direttissimo o con decreto '" CODICE DI PROCEDURA PENALE: art. 398 (Poteri del Pretore nel procedimento con istruzione sommaria), ultimo comma. La questione di legittimit costituzionale della suindicata disposizione, nella parte che facoltizza il Pretore a rinviare a giudizio l'imputato senza interrogarlo o senza enunciare il fatto in un mandato rimasto privo di effetto, stata ritenuta non manifestamente infondata dal Pretore di Padova, con riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione (ord. 8_ luglio 1965, G.U. 4 settembre I965, n. 223, ed. spec.; v. pure, retro, II; 78 e Io7). CODICE DI PROCEDURA PENALE: art. 506 (Casi di giudizio per decreto e poteri del Pretore). La questione di legittimit costituzionale della suindicata disposizione, nella parte che facoltizza il Pretore a pronunciare condanna per decreto penale, senza aver prima PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE interrogato l'imputato o enunciato il fatto in un mandato rimasto privo di effetto, stata ritenuta non manifestamente 'infondata dal Pretore di Padova, con riferimento all'art. 24 della Costituzione (ord. 19 luglio 1965, G.U. 30 ottobre 1965, n. 273, ed. spec). T.u. 4 FEBBRAIO 1915, N. 148 (Legge comunale e provinciale): art. 132. D.P.R. 16 MAGGIO 1960, N. 570 (Testo unico delle leggi per la composizione degli organi delle amministrazioni comunali): art. 15, nn. 3, 6, 8 e 9. La questione di legittimit costituzionale delle suindicate disposizioni stata rimessa alla Corte Costituzipnale, per quanto riguarda l'art. 132 del t.u. n. 148 del 1915, con riferimento all'art. 130 della Costituzione (v. retro, II, 78) ed il n. 3 del l'art. 15 del d.P.R. n. 570 del 196o con riferimento agli artt. 48 e 51 della Costituzione, dal Consiglio comunale di Belcastro (delib. 19 febbraio 1965, G.U. 25 settembre 1965, n. 242, ed. spec.); per quanto riguarda il n. 8 dell'art. 15 del d.P.R. n. 570 del 1960 con riferimento agli artt. 48 e 51 della Costituzione, dal Consiglio comunale di Lucera (delib. 6 lug!lo 1965, G.U. 25 settembre 1965, n. HZ, ed. spec.); per quanto riguarda i nn. 6 e .9 dell'art. 15 del d.P.R. n. 570 del 1960 con riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Consiglio comunale di Roccarainola (delib. 27 febbraio 1965, G.U. 30 ottobre 1965, n. 273, ed. spec.). Per ragguagli in merito alle disposizioni dell'art. 15 del d.P.R. n. 570 del 1960 e nei vari suoi numeri con riferimento alle diverse norme della Costituzione v. retro, Il, 110 ed, ivi, i richiami alle precedenti ordinanze di rimessione nonch alle gi intervenute pronunzie della Corte Costituzionale. R.D. 30 DICEMBRE 1923, n. 3267 (Riordinamento e riforma della legislazione in materia di boschi e terreni montani) : artt. 10 e 11. Le questione di legittimit costituzionale delle suindicate disposizioni, in quanto, tra l'altro, sarebbe demandato per esse ad organi amministrativi di emanare, nella materia, norme penalmente sanzionate, stata ritenuta non manifestamente infondata dal Tribunale di Ascoli Piceno, con riferimento agli artt. 3, 25 e 70 della Costituzione (ord. 10 maggio 1965, G.U. 25 settembre 1965, n. 242, ed. spec.). LEGGE 24 DICEMBRE 1928, N. 3134 (Provvedimenti per la bonifica integrale): art. 13. R.D. 13 FEBBRAIO 1933, N. 215 (Nuove norme per la bonifica integrale): artt. 11 e 59. La questione di legittimit costituzionale delle suindicate disposizioni, per quanto il governo delegato ad emanare norme nella materia (art. 13 cit.) avrebbe delegato, a sua volta, i consorzi di bonifica per la ripartizione, in principio con i propri statuti o con successive delibere, delle quote di contribuzione da imporre ai proprietari consorziati (artt. 11 e 59 citati), il che sarebbe tutto avvenuto senza la fissazione dei criteri relativi alla imposizione ed alla durata dei contributi a carico degli utenti, stata ritenuta non manifestamente infondata dal Conciliatore di Irsina, con riferimento agli artt. 23 e 76 della Costituzione (ord. 20 agosto 1965, G.U. 30 ottobre 1965, n. 273, ed. spec.). R.D. 18 GWGNO 1931, N. 773 (Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza): art. 156. R.D. 6 MAGGIO 1940, N. 635 (Regolamento per l'esecuzione del testo unico di pubblica sicurezza) artt. 285 e 286, ultimo comma. La questione di legittimit costituzionale delle suindicate disposizioni, per ci che vietano le collette e le questue senza licenza del Questore, salvo quanto disposto in materia ecclesiastica, stata ritenuta non manifestamente infondata dal Tribunale di Brescia, con riferimento all'art. 3 della Costituzione (ord. 14 settembre 1965, G.U. 30 ottobre 1965, n. 273, ed. spec.). In relazione alle stesse disposizioni e con rife1~mento agli artt. 17, 18, 19, 21, 33, 39, 45 e 49 .della Costituzione la questione stata gi dichiarata non fondata dalla Corte Costituzionale (sent. 26 gennaio 1957, n. 2, G.U. 30 gennaio 1957, n. 27, ed. spec.). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO LEGGE 18 GIUGNO 1931, N. 987 (Disposizioni per la difesa delle piante coltivate e dei prodotti agrari dalle cause nemiche e sui relativi servizi): art. 1, primo comma, parte prima. La questione di legittimit costituzionale della suindicata disposizione, in quanto n dalla stessa n da alcuna altra disposizione della legge sono neppure sommariamente indicati i criteri per i quali l'autorizzazione" dell'autorit amministrativa all'impianto di vivai ecc. o al commercio di piante ecc. pu o deve essere concessa o negata >>, stata dal Pretore di Strambino ritenuta non manifestamente infondata, con riferimento all'art. 41, primo, secondo e terzo compia, della Costituzione (ord. 27 luglio 1965, G.U. 25 settembre 1g65, n. 242, ed. spec.). R.D.L. 29 SETIEMBRE 1931, N. 1207 (Autorizzazione al Ministro per le finanze ad emanare norme per la disciplina del commercio dei cambi): art. 1, convertito in LEGGE Il GENNAIO 1932, N. 18. La questione di legittimit costituzionale della suindicata disposizione, concer nente la facolt data al Ministro di emanare con propri decreti provvedimenti diretti a disciplinare il commercio dei cambi, stata ritenuta non manifestamente infondata dalla Corte di appello di Roma, con riferimento agli artt. 76, 77 e 41 della Costituzione (ord. 13 aprile 1965, G.U. 4 settembre 1965, n. 223, ed. spec.) e dal Tribunale di Roma, con riferimento agli artt. 76, 77, 41 e 43 della Costituzione (ord. 26 febbraio 1965, G.U. 30 ottobre 1965, n. 273, ed spec.). R.D. 27 NOVEMBRE 1933, N. 1578 (Ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore): art. 5. La questione di legittimit costituzionale della suindicata disposizine, per quanto prevede che i procuratori possano esercitare la professione solo nel distretto, in cui compreso il Tribunale al quale sono assegnati (e di conseguenza quella dell'art. 6 del r.d. n. 1578 del 1933 per la parte in cui limita territorialmente l'esercizio della professione dei procuratori pure nei giudizi penali) stata ritenuta non manifestamente infondata dal Pretore di Rovato, con riferimento agli artt. 24 e 33 della Costituzione (ord. 26 giugno 1965, G.U. 30 ottobre 1965, n. 273, ed. spec.). R.D. 3 MARZO 1934, N. 383 (Testo .unico della legge comunale e provinciale): artt. 23, 29, 251, 26o, 3!0 e 3II. La questione di legittimit costituzionale delle suindicate disposizioni, concernenti la composizione ed il modo di operare dei Consigli di prefettura in sede giurisdizionale, . stata dalla Corte dei conti -sezione giurisdizionale -ritenuta non manifestamente infondata, con riferimento agli artt. 3, 24, IOI e w8 della Costituzione (ord. 4 maggio 1965, G.U. 4 settembre 1965, n. 223, ed. spec.). La questione di legittimit costituzionale dell'art. 26o del r.d. n. 383 del 1934 stata, con riferimento' all'art. w3 della Costituzione ed al principio costituzionale di imparzialit della funzione giurisdizionale, dichiarata non fondata dalla Corte Costituzionale (sent. 31 marzo I'965, n. 17, G.U. 3 aprile 1965, n. 85, ed. spec.; ord. di rimessione, Corte dei conti -sezione giurisdizionale -28 aprile 1964, G.U. 11 luglio 1964, n. 16g, ed spec. v. retro, Il, 44 ed in questa stessa Rassegna, 1964, II, 133). R.D.L. 4 OTIOBRE 1935, N. 1827 (Perfezionamento e coordinamento legislativo della previdenza sociale: artt. 111 e 112. LEGGE 4 APRILE 1952, N. 218 (Riordinamento delle pensioni dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidit, la vecchiaia ed i superstiti): artt. 23 e 24. n.P.R. 30 MAGGIO 1955, N. 797 (Testo unico delle leggi sugli assegni familan): art. 82, primo comma. La questione di legittimit costituzionale delle disposizioni, di cui agli artt. 111 e 112 del r.d.l. n. 1827 del 1935 e 23 e 24 della legge n. 218 del 1952, in quanto PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 145 prevedono a carico degli inadempienti il pagamento di somme aggiuntive attribuendo un ampio potere discrezionale all'ente creditore per la determinazione dell'ammontare della prestazione, stata ritenuta non manifestamente infondata dal Tribunale di Rovereto, con riferimento all'art. 23, nonch agli artt. 3 e 53, della Costituzione (ord. 19 maggio 1965, G.U. 4 settembre 1965, n. 223, ed. spec.). La questione di legittimit costituzionale delle disposizioni, di cui agli artt. 23, primo comma, della legge n. 218 del 1952 e 82, primo comma, del d.P.R. n. 797 del 1955, per quanto prevedono il versamento a carico del datore di lavoro, che non provvede al pagamento dei contributi entro il termine stabilito o vi provvede in misura inferiore al dovuto, di una somma aggiuntiva pari a quella non pagata, stata ritenuta non manifestamente infondata dal Pretore di Filadelfia, con riferimento agli artt. 3, primo comma, e 24, primo comma, della Costituzione (ord. 28 giugno 1965, G.U. 4 settembre 1965, n. 223, ed. spec.). R.D. 5 GIUGNO 1939, N. 1016 (Approvazione del testo unico delle norme per la protezione della selvaggina e per l'esercizio della caccia): art. 19, terzo comma, ultima parte. La questione di legittimit costituzionale della suindicata disposizione, in quanto fa salvi i diritti quesiti di fronte alla previsione di consenso dei proprietari del terreno contenuto nel raggio di rispetto di un appostamento, stata ritenuta non manifestamente infondata dal Pretore di Rovato, con riferimento agli artt. 3, 41 e 42 della Costituzione (ord. 2 luglio 1965, G.U. 30 ottobre 1965, n. 273, ed. spec.). D.L.P. 6 MAGGIO 1948, N. 655 (Istituzione di sezioni della Corte dei conti per la Regione siciliana): artt. 2, secondo comma, e 6, primo e secondo comma. La questione di legittimit costituzionale delle suindicate disposizioni, concernenti gli effetti del rifiuto di registrazione e della registrazione con riserva rispetto agli atti degli organi regionali, stata rimessa alla Corte Costituzionale dalle sezioni riunite della Corte dei Conti per la Regim;_e siciliana, con riferimento agli artt. 100 e 125 della Costituzione e, nei riflessi di quest'ultimo, all'art. 23 dello statuto della Regione siciliana (ord. 10 luglio 1965, G.U. 4 settembre 1965, n. 223, ed. spec.). LEGGE 23 MARZO 1956, N. 136 (Modificazioni al testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle amministrazioni comunali): art. 43. La questione di legittimit costituzionale della suindicata norma, concernente l'attribuzione di funzioni giurisdizionali ai consigli comunali stata rimessa alla Corte Costituzionale dal Consiglio comunale di Noto, con riferimento agli artt. 3, 102, 103, 104 e VI disposizione transitoria della Costituzione (delib. 14 giugno 1965, 25 settembre 1965, n. 242, ed. spec.; v. pure retro, Il, 109). LEGGE 31 DICEMBRE 1962, N. 1859 (Istituzione ed ordinamento della scuola media statale): artt. 4 e 9. La questione di kgittimit costituzionale delle suindicate disposizioni, per quanto prevedono, con l'art. 4, il solo esonero dalle tasse e dai contributi e, con l'art. 9, facilitazioni esclusivamente per gli alunni appartenenti a famiglie di disagiate condizioni economiche, stata ritenuta non manifestamente infondata dal Pretore di Campopasso, in riferimento agli artt. 34, secondo comma, e 3, prima parte, della Costituzione (ord. 16 luglio 1965, G.U. 30 ottobre 1965, n. 273, ed. spec.). LEGGE 3 FEBBRAIO 1963, N. 126 (Disciplina della riproduzione bovina): artt. 2 e 3. La questione di legittimit costituzionale delle suindicate disposizioni, in quanto limiterebbero la libera iniziativa dei privati allevatori di bestiame, demandando all'autorit amministrativa la determinazione concreta di tali limiti nell'ambito di RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 146 una discrezionalit di fatto illimitata>>, stata ritenuta non manifestamente infon data dal Pretore di Padova con riferimento all'art. 41, terzo comma, della Costitu zione (ord. 16 giugno 1965, G.U. 4 settembre 1965, n. 223, ed. spec.) LEGGE 14 LUGLIO 1965, N. 91 -rectius: 901 -(Delega al Governo per l'organizzazione degli Enti di sviluppo e norme relative alla loro attivit): artt. l, primo comma, n. 2, 2 e 3, secondo e terzo comma. La Regione sarda ha chiesto la declaratoria di illegittimit costituzionale delle suindicate disposizioni, nonch di quella prevista dall'art. 8, quinto comma, della medesima legge se agli enti di sviluppo andasse riconosciuto carattere regionale, e di ogni altra, la quale dovesse essere ritenuta dalle stesse logicamente derivata, in quanto sarebbero interpretabili come invasive o disconoscitive di competenze di essa Regione, con riferimento agli artt. 3, lettere A e D, e 4, lettera C, dello statuto speciale (rie. depositato nella cancelleria della Corte Costituzionale 1'8 settembre 1965, G.U. 25 settembre 1965, n. 242, ed. lfpec.). CONSULTAZIONI AMMINISTRAZIONE PUBBLICA A.N.. 4.S. -Consiglio di Amministrazione. r) Se vi sia incompatibilit tra la qualit di membro effettivo del Consiglio di Amministrazione dell'A.N.A.S. e l'incarico di Sindaco effettivo delle societ la cui attivit sia diretta alla costruzione, sistemazione o manutenzione di strade (n. 302). Competenza -Pesca. 2) Se la competenza a disciplinare l'attivit peschereccia nelle acque interne anche se appartenenti al demanio marittimo, spetti al Ministero Agricoltura e Foreste (n. 303). ANTICHITA' E BELLE ARTI Espropriazione per pubblica utilit -Occupazione temporanea. r) Se il potere di disporre l'occupazione temporanea di immobili privati per la esecuzione di ricerche archeologiche sia condizionato alla mancata realizzazione dell'accordo sulla determinazione della indennit (n. 56). 2) Quali criteri debbono aversi per la determinazione dell'indennit stessa (n. 56). APPALTO Fallimento dell'appaltatore. r) Se in caso di fallimento della impresa appaltatrice il rapporto di appalto possa continuare nei confronti del supplente anche agli effetti della ciiuzione e delle ritenute di garanzia, in base all'art. 9, C. 3, del capitolato generale della Cassa 1954 (n. 287). Revisione prezzi -Conduzioni manutenzione impianti fissi. 2) Se per gli appalti affidati a ditte private per la conduzione e manutenzione di impianti fissi (nei quali la prestazione di mano d'opera costituisce la parte preponderante) possa applicarsi l'istituto della revisione dei prezzi, previsto dalla legislazione per gli appalti di opere pubbliche (n. 288). CACCIA E PESCA Se la competenza a disciplinare l'attivit peschereccia nelle acque interne, anche se appartenenti al demanio marittimo, spetti al Ministero Agricoltura e Foreste (n. 29). COMPROMESSO ED ARBITRI Infortuni sul lavoro. Se l'assenza dell'arbitro di parte per l'infortunato dalla riunione del collegio arbitrale, nominato per la decisione di controversie relative ad infortuni sul lavoro, comprometta la validit della decisione stessa in quei casi in cui l'arbitro di parte, prima della riunione abbia dichiarato di concordare con il giudizio del terzo arbitro (n. 21). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 148 CONCESSIONI AMMINISTRATIVE Concessione pioppicoltura. 1) Se il valore della met delle piante da versare all'Amministrazione vada determinato con il riferimento alla maturazione delle stesse o al taglio (n. 76). 2) Se l'onere delle spese di abbattimento debba gravare esclusivamente sul concessionario (n. 76). Spiaggie lacuali. 3) Se, nel caso in cui siano presentate pi istanze di concessione di aree lacuali, possa derogarsi alle disposizioni dell'art. 10 r.d. 1 dicembre 1895, n. 726, e in particolare alla disposizione che prevede la risoluzione della concorrenza mediante il sistema del pubblico incanto, sostituendo ad esse un criterio puramente cronologico (n. 77). CONCORSI Compagnie lavoratori portuali. Se sia applicabile ad un concorso bandito da una compagnia lavoratori portuali il principio dell'aumento del decimo dei posti messi a concorso (n. 8). CONTENZIOSO TRIBUTARIO .,, Notifica di atti (decisioni tributarie). Se, avendo il contribuente eletto domicilio presso lo studio del proprio avvocato, le notificazioni di tutti gli atti del procedimento tributario debbono essere effettuate nel domicilio eletto (n. 2). CONTRIBUTI E FINANZIAMENTI Cumulabilit dei contributi. Se gli interventi dello Stato, disciplinati dalla legge 622 / 59, nei vari settori dell'economia nazionale, siano cumulabili con interventi, pure dello Stato, previsti da altre disposizioni di legge, ivi compresi i mutui di favore accordati con anticipazioni dalla Cassa per il Mezzogiorno (n. 57). DEMANIO Condizione giuridica dei fabbricati ex conventuali, concessi ai Comuni a seguito di provvedimenti eversivi -Interpretazione dell'art. 21, .l. n. 3036 del 1866. 1) Se l'art. 21 della l. n. 3036 del 1866, che stabilisca il definitivo acquisto da parte dello Stato, delle Provincie e dei Comuni, degli edifici monastici, gi concessi in esecuzione alle leggi anteriori soppressive, si riferisca ai soli provvedimenti adottati dallo stesso Stato Italiano dal 1859 al 1862, o non si estenda anche alle concessioni gi disposte per effetto di provvedimenti emanati dai governi degli ex Stati (nella specie Regno delle Due Sicilie) (n. 200). PARTE II, CONSULTAZIONI 149 Spiagge lacuali -Concessioni. 2) Se, nel caso in cui siano presentate pi istanze di concessione di aree lacuali, possa derogarsi alle disposizioni dell'art. 10, r.d. 1 dicembre 1895, n. 726, e in partico! are alla disposizione che prevede la risoluzione della concorrenza mediante il sistema del pubblico incanto, sostituendo ad esse un criterio puramente cronologico (n. 20I). ESECUZIONE FORZATA Obbligo di demolizione di immobile. Se l'onere reale di demolizione derivante da violazione di norme regolamentari urbanistiche di un immobile assoggettato ad esecuzione forzata, si estingua con il provvedimento di aggiudicazione (n. 38). ESPROPRIAZIONE PER P. U; Occupazione temporanea -Antichit e belle arti. l) Se il potere di disporre l'occupazione temporanea di immobili privati per la esecuzione di ricerche archeologiche sia condizionato alla mancata realizzazione dell'accordo sulla determinazione delle indennit (n. 209). 2) Quali criteri debbono osservarsi per la determinazione delle indennit stesse (n. 209). FALLIMENTO Appalto Se in caso di fallimento della impresa appaltatrice il rapporto di appalto possa continuare nei confronti del supplente anche agli effetti della cauzione e della ritenuta di garanzia, in base all'art. 9 c. 3, del capitolato generale della Cassa 1954 (n. 94). FERROVIE Navi traghetto -Personale a contratto. Se il contratto collettivo nazionale di lavoro 23 luglio 1959, dichiarato efficace erga omnes con il d.P.R. 28 agosto 1960, n. 1333 sia applicabile anche al personale a contratto (non di ruolo) imbarcato su navi traghetto (n. 371). FORESTE Concessioni pioppicultura. Se il valore della met delle piante da versare alla Amministrazione vada determinato con riferimento alla maturazione delle stesse o al loro taglio (n. 4). Se l'onere delle spese di abbattimento debba gravare esclusivamente sul concessionario (n. 4). IMPIEGO PUBBLICO A.N.A.S. -Indennit speciale dipendenti. 1) Se l'indennit speciale prevista dall'art. 2 c. l, I. 31 dicembre 1962, n. 1845 debba essere concessa soltanto al personale che svolge mansioni direttamente inerenti alla gestione tecnica ed amministrativa dell'autostrada Salerno-Reggio Calabria (n. 588). 18 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO ~TATO 150 Consiglio Nazionale Ricerche. 2) Se possa il Consiglio Nazionale delle Ricerche -in relazione al disposto dell'art. 17, C. 4, d.1.1. r marzo 1945, n. 82, e dell'art. 7, I. II dicembre 1962, n. 1683 assumere, con contratto a tempo determinato, personale per l'esplicazione di funzioni e mansioni di carattere amministrativo (n. 589). Istituto Commercio Estero. 3) Se, in mancanza di specifiche disposizioni normative che regolino il rapporto di lavoro del personale assunto dagli uffici l.C.E. all'estero, ad esso possano applicarsi le norme vigenti per il persona'.e dell'I.C.E. (n. 590). 4) Se per l'ipotesi che non vadano applicate le norme vigenti per il personale del- 1'1.C.E., il suddetto rapporto venga regolato dalla legge italiana o straniera (n. ,590). Quote di aggiunta di famiglia. 5) Se spettino al coniuge superstite, nel caso di dichiarazione di morte presunta, le quote di aggiunta di famiglia sin dalla data presunta di morte, indicata nella relativa sentenza (n. 591). IMPOSTA DI BOLLO Quietanza. Se le quietanze rilasciate all'I.N.A.l.L. dai propri dipendenti per gli assegni riscossi siano soggette al normale trattamento dell'imposta di bollo (n. 27). IMPOSTA DI REGISTRO Mancata registrazione dell'atto e decadenza dai benefici fiscali. r) Se in mancanza di pagamento della imposta di registro per inadeguata costituzione del relativo deposito, sia legittima la dichiarazione di decadenza ex art. r ro l.r. dal beneficio fiscale (n. 226). Vendita immobiliare pubblici incanti -Accertamento maggior valore. 2) Se sia ammissibile ai fini dell'applicazione dell'imposta di registro l'accertamento di maggior valore, quando il prezzo del trasferimento immobiliare risulti da un regolare procedimento di vendita ai pubblici incanti (n. 227). IMPOSTA GENERALE SULL'ENTRATA Amministrazione e manutenzione ordinaria alloggi G.E.S.C.A.L. dati in locazione. Se siano soggette all'l.G.E. le somme che gli enti amministratori degli alloggi costruiti dalla G.E.S.C.A.L. e dati in locazione trattengono sui canoni a copertura de.le spese di amministrazione e manutenzione ordinaria (n. 109). IMPOSTE E TASSE Ispezione tributaria -Ordinanza intendentizia. r) Se l'ordinanza intendentizia di cui all'art. 55, I. 7 gennaio 1929, n. 4 sia esecutiva nonostante la pendenza di intempestivo ricorso al Ministro, ricorso non ancora dichiarato irricevibile (n. 393). PARTE II, CONSULTAZIONI 151 Notifica decisioni tribfitarie. 2) Se avendo il contribuente eletto domicilio presso lo studio del proprio avvocato, le notificazioni di tutti gli atti del procedimento tributario debbano essere effettuate nel domicilio eletto (n. 394). Notifica verbale di accertamento di trasgressione di norme tributarie a societ di capitali -Inesatte indicazioni, in detti verbali, della norma punitiva. 3) Se i processi verbali della Guardia di Finanza per violazione di norme tributarie da parte di societ di capitali, regolarmente costituite, possano legittimamente contestarsi al Consigliere delegato (n. 395). 4) Se nei processi verbali della Guardia di Finanza per violazione di norme tributarie, l'erronea indicazione delle norme punitive, ove siano stati indicati esattamente gli articoli di legge trasgrediti, comporti la invalidit formale dell'atto (n. 395). Sospensione dei termini processuali di cui alla l. 14 luglio 1965, n. 818. 5) Se la sospensione dei termini processuali di cui alla !. 14 luglio 1965, n. 818, possa applicarsi ai termini stabiliti per i ricorsi al'e Commissioni tributarie di primo grado (n. 396). Trattamento tributario. istituti di credito a medio e lungo termine. 6) Se la !. 27 luglio 1962, n. 1228, concernente la nuova disciplina del sistema di pagamento dei tributi dovuti dagli Istituti e Aziende di Credito per i finanziamenti a medio e lungo termine, si applichi alle convenzioni recanti clauso:a per estinzione anticipata (n. 397). INFORTUNI SUL LAVORO Compromesso ed arbitri. Se l'assenza dell'arbitro di parte per l'infortunato dalla riunione del collegio arbitrale, nominato per la decisione di controversie relative ad infortuni sul lavoro, comprometta la validit del'.a decisione stessa in quei casi in cui l'arbitro di parte, prima della riunione abbia dichiarato di concordare con il giudizio del terzo arbitro (n. 46). LOCAZIONE DI COSE Cessazione regime vincolistico. Se, in seguito alla cessazione del regime vincolistico degli immobili urbani adibiti ad uso diverso dall'abitazione, sia da ritenere implicitamente abrogato anche H disposto dell'art. 2, u.co., !. 21 dicembre 196o, n. 1521, secondo cui il locatore che intende avvalersi della cessazione della proroga tenuto a dare il preavviso al conduttore almeno 4 mesi prima della data in cui vuole conseguire la disponibilit del:'immobile (n. 124). NAVI Navi traghetto -Personale a contratto. Se il contratto col!ettivo nazionale di lavoro 23 luglio 1959, dichiarato efficace erga omnes con il d.P.R. 28 agosto 1960, n. 1333 sia applicabile anche al personale a contratto (non di ruolo) imbarcato sulle navi traghetto (n. u2). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 152 NOTIFICAZIONE Procedimento tributario. Se, avendo il contribuente eletto domicilio presso lo studio del proprio avvocato, le notificazioni di tutti gli atti del procedimento tributario debbano essere effettuate nel domicilio eletto (n. 22). PIANI REGOLATORI Natura dell'interesse leso in caso di violazione di norme regolamentari urbanistiche. Se la violazione di norme regolamentari urbanistiche possa dar luogo a lesione di diritto soggettivo o interesse legittimo (n. I'.2). PORTI Concorso compagnia lavoratori portuali. Se sia applicabile ad un concorso bandito da una compagnia lavoratori portuali il principio dell'aumento del decimo dei posti messi a concorso (n. 14). POSTE E TELEGRAFI Servizi Telex -Canoni. Se sia dovuta dal Centro Euratom di Ispra l'indennit di mora, che l'utente del serv1z10 telex tenuto a corrispondere in caso di ritardato pagamento dei canoni stabiliti (n. 118). PREZZI Revisione -Conduzione manutenzione impianti fissi. Se per gli appalti affidati a ditte private per la conduzione e manutenzione di impianti fissi (nei quali la prestazione di mano d'opera costituisca la parte preponderante) possa applicarsi l'istituto della revisione dei prezzi, prevista dalla legislazione per gli appalti di opere pubbliche (n. 63). PROPRIETA' Prova. 1) Se, ai fini del parere sulla propriet e libert degli immobili sia necessario l'esame dei certificati immobi,liari per l'intero ventennio a carico dei successivi intestatari (n. 41). 2) Se siano assoggettabili a trascrizione gli eventuali atti iii disposizione anteriore all'acquisto di un bene immobile (n. 41). 3) Se l'esame dei certificati immobiliari possa essere contenuto dei limiti del ventennio (n. 41). 4) Secondo quali criteri debba essere condotto l'esame dei certificati immobiliari ai fini del parere indicato (n. 41). PARTE II, CONSULTAZIONI 153 REGIONI Regione Siciliana -Calamit naturali. 1) Se sia possibile nell'utilizzazione dei fondi di cui all'art. 2, l: 6 aprile 1965, n. 351, comprendere qualsiasi tipo di provvidenza a favore dell'agricoltura e delle provincie di Catania e Ragusa, ivi compreso l'indennizzo per i danni della produzione (n. 130). 2) Se per stabilire le quote di ripartizione, di cui all'art. 6, l.r. 25 giugno 1965, n. 16, si debba far riferimento alla disciplina statale (l. 15 agosto 1964, n. 756) ovvero a quella regionale (l.r. 16 marzo 1964, n. 4) (n. 130). RESPONSABILITA' CIVILE Convenzione di Londra 19 giugno 1951 -Danni causati da automezzi della N.A.T.O. Se debba applicarsi il principio dell'indennit ex gratia prevista dall'art. VII, Convenzione di Londra 19 giugno 1951, per danni provocati dall'uso non autorizzato di veicoli appartenenti alle Forze Armate di uno degli Stati appartenenti alla N.A.T.O., oppure il principio dell'integrale risarcimento, in caso di incidente causato da veicolo autorizzato, che abbia per seguito un itinerario diverso da quello assegnato (n. 221). SINDACATI Istituto Poligrafico dello Stato. Se l'Istituto Poligrafico dello Stato possa aderire ad una associazione sindacale di datori di lavoro (n. 22). TRANSAZIONE Forma delle transazioni stipulate dalla P.A. Se la P.A. -nella specie FF.SS. -per la definizione transattiva delle controversie relative a risarcimento di danni da fatto illecito, debba necessariamente stipulare regolari contratti di transazione in forma pubblica amministrativa o in forma privata (n. 12). TRATTATI E CONVENZIONI INTERNAZIONALI Convenzione di Londra 19 giugno 1951 -Danni causati da automezzi della N.A.T.O. Se debba applicarsi il principio dell'indennit ex gratia -previsto dall'art. VIII, Convenzione di Londra 19 giugno 1951, per danni provocati dall'uso non autorizzato di veicoli appartenenti alla N.A.T.O. -oppure il principio dell'integrale risarcimento, in caso di incidente causato da veicolo autorizzato, che abbia seguito itinerario diverso da quello assegnato (n. 21). ' ~