ANNO LXXIII - N. 3 LUGLIO - SETTEMBRE 2021 RASSEGNA AV V O C AT U R A DELLO STATO PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE DI SERVIZIO COMITATO SCIENTIfICO: Presidente: Michele Dipace. Componenti: Franco Coppi -Natalino Irti -Eugenio Picozza - Franco Gaetano Scoca. DIRETTORE RESPONSABILE: Giuseppe Fiengo -CONDIRETTORI: Maurizio Borgo, Danilo Del Gaizo e Stefano Varone. COMITATO DI REDAZIONE: Giacomo Aiello -Lorenzo D’Ascia -Gianni De Bellis -Wally Ferrante -Sergio Fiorentino -Paolo Gentili -Maria Vittoria Lumetti -Francesco Meloncelli -Marina Russo. CORRISPONDENTI DELLE AVVOCATURE DISTRETTUALI: Andrea Michele Caridi -Stefano Maria Cerillo Pierfrancesco La Spina -Marco Meloni -Maria Assunta Mercati -Alfonso Mezzotero -Riccardo Montagnoli -Domenico Mutino -Nicola Parri -Adele Quattrone -Piero Vitullo. HANNO COLLABORATO INOLTRE AL PRESENTE fASCICOLO: Salvatore Adamo, Enrico De Giovanni, Guido Di Biase, Luca Di Pede, Margherita Feleppa, Michele Gerardo, Andrea Giordano, Paolo Grasso, Tommaso Marsh, Marco Stigliano Messuti, Gaetana Natale, Gabriella Palmieri Sandulli, Fabio Tortora, Paola Maria Zerman. Email Giuseppe fiengo rassegna@avvocaturastato.it maurizio.borgo@avvocaturastato.it danilodelgaizo@avvocaturastato.it stefanovarone@avvocaturastato.it ABBONAMENTO ANNUO ..............................................................................€ 40,00 UN NUMERO .............................................................................................. € 12,00 Per abbonamenti ed acquisti inviare copia della quietanza di versamento di bonifico bancario o postale a favore della Tesoreria dello Stato specificando codice IBAN: IT 42Q 01000 03245 348 0 10 2368 05, causale di versamento, indirizzo ove effettuare la spedizione, codice fiscale del versante. I destinatari della rivista sono pregati di comunicare eventuali variazioni di indirizzo AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO RASSEGNA -Via dei Portoghesi, 12, 00186 Roma Email: rassegna@avvocaturastato.it - Sito www.avvocaturastato.it Stampato in Italia - Printed in Italy Autorizzazione Tribunale di Roma - Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 i n d i c e -s o m m a r i o Nomina ad Avvocato Generale Aggiunto dell’Avvocato Leonello Mariani, D.P.R. 7 dicembre 2021 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . TEMI ISTITUZIONALI Lectio magistralis dell’Avvocato Generale dello Stato, Gabriella Palmieri Sandulli “Le pari opportunità nella Costituzione e nella legislazione e il ruolo delle donne nella Pubblica Amministrazione” . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 1 Intervento dell’Avvocato Generale dello Stato in occasione della cerimonia di inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2022 . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 14 Intervento dell’Avvocato Generale dello Stato in occasione della cerimonia di insediamento del Presidente del Consiglio di Stato e di presentazione della “Relazione sull’attività della Giustizia Amministrativa” anno 2021. Inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2022 . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 17 Intervento dell’Avvocato Generale dello Stato in occasione della cerimonia di inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2022 del T.a.r. Lazio. . . . . . ›› 20 Regolamento recante norme per l’organizzazione e il funzionamento degli uffici dell’Avvocatura dello Stato, D.P.R. 29 ottobre 2021 n. 214 . . . . . . ›› 25 CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE Wally ferrante, Corte di giustizia Ue: filiazione omogenitoriale, la preminenza dell’interesse superiore del minore nel rispetto della identità nazionale di ciascun Stato membro. Le osservazioni del Governo italiano (C. giust. Ue, Grande Sezione, sent. 14 dicembre 2021, causa C-490/20) ›› 35 CONTENZIOSO NAZIONALE Margherita feleppa, Gli ingiustificati automatismi sanzionatori. La portata applicativa della sentenza della Corte Costituzionale n. 268/2016 alla luce della recente giurisprudenza amministrativa (C. cost., sent. 15 dicembre 2016 n. 268) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 67 Danilo Del Gaizo, Pagamento di imposte tramite cessione di beni culturali: il procedimento di istruttoria di cui all’art. 28 bis d.P.R. 602/73 (Cons. St., Sez. IV, sent. 5 luglio 2021 n. 5130). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 87 Wally ferrante, Il principio di trasparenza e l’accesso difensivo a documentazione con la classifica “riservato” (Cons. St., Sez. III, sent. 4 agosto 2021 n. 5735) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 98 I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO Tommaso Marsh, Istanza di modifica del cognome assunto a seguito di adozione di persone di maggiore età . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 103 Salvatore Adamo, Sisma Centro Italia 2016. Sulla difesa in giudizio del Comune di Norcia in controversie relative al contributo di autonoma sistemazione (CAS) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 112 Marco Stigliano Messuti, Contrattualistica pubblica e affidamenti in house providing. Convenzione con soggetto non rientrante nell’alveo delle società in house, prestazioni svolte e quantum da erogare . . . . . . . Paola Maria Zerman, Fondo Asilo, Migrazione ed Integrazione 20142020. Modalità di rendicontazione, monitoraggio e controllo applicabili agli Organismi internazionali coinvolti nella gestione dei fondi . . . . . . . Enrico De Giovanni, Istanza di riapertura di procedimento disciplinare, ai sensi dell'art. 1393, co. 2, d.lgs. n. 66 del 15 marzo 2010 (Codice del- l’Ordinamento Militare): disamina sui vari profili giuridici . . . . . . . . . . fabio Tortora, Fondo rotativo per il sostegno alle imprese e gli investimenti in ricerca di cui all’art. 1, co. 354, l. 30 dicembre 2004 n. 311 e s.m.i. Risoluzione di contratto di finanziamento agevolato per inadempienze e intervento finanziario di soggetto terzo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . francesco Meloncelli, Confisca di beni immobili ai sensi dell’art. 240 c.p.: sulla tutela dei diritti di garanzia dei terzi creditori del soggetto in danno del quale la confisca è operata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . LEGISLAZIONE ED ATTUALITà Andrea Giordano, Per un’intelligenza artificiale a misura d’uomo. Prefazione alla monografia “Intelligenza artificiale, neuroscienze, algoritmi: le sfide future per il giurista” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Gaetana Natale, Intelligenza artificiale, neuroscienze, algoritmi: le sfide future per il giurista . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . CONTRIBUTI DI DOTTRINA Michele Gerardo, Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica. Caratteri, procedimento e natura giuridica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Guido Di Biase, La risoluzione delle controversie sulla proprietà delle cose in sede penale, ed in particolare dei beni archeologici. Gli strumenti processuali a disposizione dello Stato italiano, a tutela del patrimonio culturale nazionale e straniero. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Luca Di Pede, La costituzione di parte civile nel procedimento ex d.lgs 231/2001: origine ed evoluzione di un dibattito incompiuto . . . . . . . . . . pag. 116 ›› 125 ›› 142 ›› 152 ›› 156 ›› 169 ›› 171 ›› 265 ›› 283 ›› 304 (*) COMUNICATO DELL’AVVOCATO GENERALE Con Decreto del Presidente della Repubblica del 7 dicembre 2021 l’Avvocato Leonello Mariani è stato nominato Avvocato Generale Aggiunto. Al caro ed illustre Collega e Amico vivissime congratulazioni e i più fervidi auguri. Gabriella Palmieri Sandulli (*) Email Segreteria Particolare, lunedì 27 dicembre 2021. TEMIISTITUZIONALI LECTIO MAGISTRALIS DELL’AVVOCATO GENERALE DELLO STATO (*) GABRIELLA PALMIERI SANDULLI Le pari opportunità nella Costituzione e nella legislazione e il ruolo delle donne nella Pubblica Amministrazione 1. Ringraziamenti e introduzione. Signor Vice Presidente della Corte costituzionale, Magnifica Rettrice, Magnifici Rettori, Autorità civili, militari e religiose, Direttrice Generale e Personale tecnico-amministrativo, care Allieve e cari Allievi, gentili Ospiti, desidero, innanzitutto, ringraziare davvero e non come una formula di mero stile la Magnifica Rettrice, Prof.ssa Sabina Nuti, per avermi invitato a tenere la lectio magistralis in occasione dell’inaugurazione dell’Anno Accademico 2021-2022 della prestigiosa Scuola Superiore S. Anna. Lo considero un grande onore per me e per l’Istituto che ho il privilegio di dirigere. L’Avvocatura dello Stato ha da sempre, per consolidata tradizione, un costante e vivo rapporto di collaborazione con le Università e ciò consente, attraverso l’aggiornamento e l’attenzione alle riflessioni giuridiche, il migliore svolgimento dei compiti istituzionali, in funzione di positivo completamento della professionalità. Ho scelto un argomento che non solo è di grande attualità anche in chiave sistemica, ma che attiene pure alla mia ormai quarantennale esperienza professionale e sul quale spero di dare un contributo, proprio per questo, non solo teorico. I tre livelli di trattazione dell’argomento sintetizzati nel titolo della mia (*) Lectio magistralis tenuta dall’Avvocato Generale dello Stato in occasione dell’Inaugurazione dell’Anno Accademico 2021/2022 della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, sabato 11 dicembre, ore 10,30, aula magna, sede centrale. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 3/2021 lectio magistralis sono non solo riassuntivi delle diverse angolazioni di visuale di esso, ma sono anche indicativi dell’approccio di valutazione: a) sistemico, appunto, di carattere generale (la Costituzione); b) di attuazione dei principi in materia in esso contenuti attraverso la ricognizione della legislazione in materia di pari opportunità nella pubblica Amministrazione; c) di concreta declinazione attraverso una ricostruzione dell’attuale situazione di fatto e di diritto nel settore pubblico. La pandemia o la sindemia, come si preferisce definire (dal Presidente dell’ISS -Istituto Superiore di Sanità Silvio Brusaferro), per la sua globalità e per l’interazione fra elementi biologici e sociali, l’attuale contesto emergenziale, ha fatto deflagrare le ineguaglianze già esistenti e ha colpito in modo più evidente i soggetti più deboli, le donne e i giovani, confermando anche l’asimmetria di genere nella distribuzione delle responsabilità di cura domestica e familiare (in tal senso il Rapporto ISTAT 2020). Anche se la condizione femminile è decisamente migliorata nei decenni della Repubblica, è un dato comune che occorra ancora adoperarsi per raggiungere un’effettiva uguaglianza; la pandemia, però, potrebbe diventare l’occasione per applicare in concreto il principio che anche dalla parità di genere passa uno sviluppo socioeconomico da costituire su nuove basi. La prima donna ambasciatrice britannica in Italia, Jill Morris, in un’intervista al Corriere della Sera del 23 ottobre 2021, ha affermato che non si può incentivare la ripresa economica senza la partecipazione delle donne e che “è una cosa giusta da fare da un punto di vista etico e morale”. D’altronde, la parità di genere rappresenta nell’ordinamento internazionale ed eurounitario un fattore di rilievo che coinvolge gli ordinamenti degli Stati membri e il dialogo tra Giudici comunitari e Giudici nazionali. Il Parlamento europeo ha approvato il 21 gennaio 2021 tre risoluzioni in materia e la Commissione europea ha adottato la strategia per la parità di genere 2020-2025 per sottolineare l’impegno delle istituzioni europee. La Commissione ha rilevato come, finora, nessuno Stato membro dell’Ue abbia realizzato la piena parità tra donne e uomini, i progressi sono lenti e i divari di genere persistono nel mondo del lavoro e a livello di retribuzioni, assistenza e pensioni. Ha sottolineato come l’azione legislativa possa aiutare a favorire la presenza delle donne nelle posizioni decisionali, migliorarne le opportunità di conciliazione tra lavoro e vita privata, integrare la dimensione di genere per rendere la parità tra le donne e gli uomini effettiva (gender lens), affinchè tutti possano avere le stesse opportunità nella vita indipendentemente dal genere. Gli articoli 2 e 3, paragrafo 3, del Trattato dell’Unione Europea fondano l’Unione stessa su un insieme di valori, tra cui l’uguaglianza, promuovendo la parità tra uomini e donne, obiettivi sanciti dall’art. 21 della Carta dei Diritti Fondamentali. TEMI ISTITUzIONALI Anche l’art. 8 del TFUE attribuisce all’Unione il compito di eliminare le disuguaglianze e di promuovere, appunto, la parità tra uomo e donna in tutte le attività (concetto noto come gender mainstraming -integrazione della dimensione di genere). Sin dal 1957 i Trattati sanciscono il principio della parità di retribuzione tra uomini e donne e l’art. 157 del TFUE autorizza anche l’azione positiva finalizzata all’emancipazione femminile e l’art. 19 prevede l’adozione di provvedimenti legislativi per combattere tutte le forme di discriminazione inclusa quella sul sesso. Il PNRR, quindi, si occupa diffusamente del tema e le 6 Missioni in esso individuate sono accomunate da priorità trasversali relative, fra le altre, proprio alle pari opportunità. Il programma Next Generation Eu rappresenta l’occasione per recuperare quelli che sono testualmente definiti gli “storici ritardi che penalizzano il nostro Paese” e che riguardano, appunto, persone con disabilità, i giovani, le donne e il Sud, le tre priorità trasversali. Va sottolineato che le Riforme e le Missioni del PNRR sono valutate sulla base dell’impatto che avranno, appunto, nel recupero di questi ritardi e nel recupero del potenziale delle donne, dei giovani e dei territori e nelle opportunità fornite a tutti senza discriminazione; e questa attenzione trasversale si ritrova in tutte le Missioni del PNRR e corrisponde alle raccomandazioni specifiche della Commissione europea. Si dispone, inoltre, che Linee di intervento del PNRR saranno accompagnate da una serie di indicatori qualitativi e quantitativi che consentirà una più accurata valutazione (ex ante ed ex post) degli effetti di genere e generazionali delle politiche e degli investimenti. L’ottica delle pari opportunità è considerata, dunque, fondamentale per la ripresa dell’Italia e presuppone interventi sulle molteplici dimensioni della discriminazione verso le donne. 2. Le pari opportunità nella Costituzione. 2.1. Il valore della Costituzione. L’analisi, necessariamente concentrata e sintetica in questa sede, non può che muovere dalla Costituzione italiana, non solo per la sua posizione sovraordinata nell’ambito della gerarchia delle fonti, ma anche e soprattutto perché, come altre Costituzioni contemporanee, non costruisce “l’uguaglianza tra situazioni giuridiche astratte attribuita a soggetti altrettanto astratti” (G. Sivestri). Inoltre, come osservato dal Presidente Giorgio Lattanzi, non è mai accaduto alla Corte costituzionale di trovarsi di fronte a questioni che non trovassero una soluzione nella Costituzione, usando un’espressione inusuale, ma di immediata percezione, secondo la quale “la Carta non si è mai sgualcita”, per sottolinearne proprio l’attualità e la completezza e affermando che “la Carta RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 3/2021 sa leggere il presente”, esprimendo con una formula sintetica, ma felice, anche la complessità dell’attività della Corte costituzionale. Una rassegna degli articoli della Costituzione che compongono il quadro complessivo di riferimento consente di inquadrare il tema in un’ottica di sistema e di coerenza ordinamentale. Peraltro, i profili costituzionali delle pari opportunità riflettono le problematiche e le tematiche generali sulla valenza dei principi costituzionali e, quindi, sono un significativo spunto di riflessione non circoscritto alla questione in esame. 2.2. La storia. Non si può non iniziare dalla storia. Come sottolineato, infatti, da più commentatori, la presenza delle donne all’Assemblea Costituente del 1946 ha rappresentato un momento chiave della storia costituzionale italiana. Su 566 componenti solo 21 donne furono elette deputate e, di esse soltanto cinque presero parte alla Commissione incaricata di redigere la Costituzione. Ma, pur appartenendo a schieramenti politici diversi (9 comuniste, 9 democristiane, 2 socialiste e 1 del Fronte dell’uomo qualunque) diedero vita a un grande e, soprattutto, nuovo esperimento di democrazia, trovando un accordo su temi cruciali per il futuro del Paese con una “sapiente azione orizzontale”. La condizione di vistosa inferiorità numerica, infatti, non impedì il lavoro delle “Madri” Costituenti, che furono tutte accumunate dalla forte volontà di realizzare una politica diretta al riconoscimento dei diritti delle donne. Dai rapporti delle discussioni e dagli atti delle sedute emerge che il loro lavoro non venne facilitato dall’atteggiamento della maggior parte dei deputati che si mostrarono quasi sempre poco collaborativi. L’importanza di tale momento storico fu riconosciuta dalle stesse deputate, tanto che Maria Federici sostenne che la donna “non avrebbe nella Costituzione il posto che di fatto vi ha, se non ci fosse stato alla Costituente quel gruppo di donne che il suffragio universale e l’esercizio dell’elettorato passivo, oltre che attivo, aveva portato nell’aula di Montecitorio”. Consapevoli delle proprie capacità, le deputate diedero avvio ad un consistente movimento in difesa della parità di genere, anche se non si limitarono solo a questo aspetto, affrontando ogni altra questione di rilievo, dalla prospettiva internazionale alle autonomie. 2.3. L’art. 3 della Costituzione. Tale intento prospettico generale è riscontrabile nelle singole norme costituzionali. In particolare, nell’art. 3, la norma cardine che, anche grazie a una attenta TEMI ISTITUzIONALI e sapiente giurisprudenza costituzionale, è l’architrave sulla quale poggia ogni considerazione in tema di parità di genere. Fu Lina Merlin a far introdurre nell’art. 3, comma 1, l’espressione “senza distinzione di sesso” (è significativo che, con la sentenza n. 141/19, relativa alla legge che porta il suo nome, la Corte costituzionale si sia soffermata sulla dignità umana, in particolare, delle donne e sui diritti fondamentali delle persone più vulnerabili); fu Teresa Mattei a pretendere che l’art. 3, comma 2, fosse integrato dalla locuzione “di fatto” che esplicita il principio di uguaglianza sostanziale nei termini in cui è nota nel nostro ordinamento; fu Teresa Noce ad insistere sulla diversità di previdenza ed assistenza di cui all’art. 38 Cost. Come sottolineato in dottrina, il desiderio di consacrare la parità di genere determinò la ripetizione di tale principio. Esso, infatti, è riscontrabile sia nell’art. 29, comma 2, Cost., dove statuisce che “il matrimonio è ordinato sulla eguaglianza morale e giuridica dei coniugi”, sia nell’art. 30, comma 1, Cost. in base al quale “è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio”. Il principio di uguaglianza di fatto è così intimamente connesso al tema delle cosiddette azioni positive. Lo stesso comma 1 dell’art. 3, portato come esempio di uguaglianza formale, afferma che “i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge”. Come osservato in sede di commento, non si tratta di una endiadi, ma di “due concetti diversi, anche se strettamente complementari” (G. Silvestri). Il punto rilevante è che la dignità sociale è la premessa indispensabile per l’uguaglianza affermata come tale e viene considerata sul piano concreto della società, dove essa “si scompone in una pluralità di diritti fondamentali, raggruppabili secondo diversi criteri (dignità del lavoratore, del malato…), seguendo le varie posizioni e collocazioni della persona concreta sociale” (G. Silvestri). Ne deriva che l’uguaglianza sia in senso formale sia in senso sostanziale non è mai “un insieme omogeneo”. Ecco perché l’art. 3 è non solo il punto di partenza, ma anche quello di arrivo di ogni riflessione in tema di pari opportunità e di pari opportunità fra donne e uomini. 2.4. L’art. 37 della Costituzione. Anche altri articoli della Costituzione sono rilevanti ai fini di una valutazione nell’ottica costituzionale delle pari opportunità. Per esempio, l’art. 37, che, come osservato in dottrina, si caratterizza per tre aspetti. Il primo consiste nella parità tra uomo e donna nel diritto al lavoro, diritto peraltro, intangibile anche per gli uomini. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 3/2021 Il secondo attiene alla volontà di tutelare la donna lavoratrice, al fine di consentire alla stessa di assolvere la sua essenziale funzione di moglie e di madre. Il terzo concerne la parità retributiva per uguale lavoro. Occorre sottolineare che, l’art. 37 Cost. è stato oggetto di un movimentato dibattito in Assemblea Costituente. In linea generale, l’art. 37 Cost. risulta di complessa lettura. Appare, però, comunque opportuno sottolineare che, la difficoltà non attiene alla coesistenza, nella medesima disposizione, di due prescrizioni diverse, quali la parità e la speciale tutela delle lavoratrici. Come espresso da una corrente di pensiero, la compresenza delle prescrizioni sopraindicate, si è risolta, per decenni, nella separazione dei percorsi seguiti dall’attuazione dell’art. 37 nella legislazione italiana. 2.5. L’art. 51 della Costituzione. L’integrazione del primo comma dell’art. 51 è avvenuta con la legge costituzionale n. 1/2003, che è stata preceduta da altri due interventi normativi, la legge costituzionale n. 2/2001, che aveva previsto la promozione delle condizioni di parità per l’accesso alle consultazioni elettorali al fine di conseguire l’equilibrio nella rappresentanza dei sessi, e la legge costituzionale n. 3/2001, che aveva modificato il Titolo V della Costituzione, introducendo il comma 7 dell’art. 117, rivolgendosi non solo al legislatore statale o regionale, ma delineando una attività promozionale ampia e variegata. Nel rigettare la questione di legittimità costituzionale della legge elettorale campana che introduceva sia quote di lista sia la doppia preferenza di genere, la Corte costituzionale ha affermato che “Il quadro normativo, costituzionale e statutario, è complessivamente ispirato al principio fondamentale dell’effettiva parità tra i due sessi nella rappresentanza politica, nazionale e regionale, nello spirito dell’art. 3, secondo comma, Cost., che impone alla Repubblica la rimozione di tutti gli ostacoli che di fatto impediscono una piena partecipazione di tutti i cittadini all’organizzazione politica del Paese. Preso atto della storica sotto-rappresentanza delle donne nelle assemblee elettive, non dovuta a preclusioni formali incidenti sui requisiti di eleggibilità, ma a fattori culturali, economici e sociali, i legislatori costituzionale e statutario indicano la via delle misure specifiche volte a dare effettività ad un principio di eguaglianza astrattamente sancito, ma non compiutamente realizzato nella prassi politica ed elettorale” (sentenza n. 4/2010, punto 3.1. del Considerato in diritto). Come osservato in dottrina, non si poteva descrivere in modo più efficace l’essenza delle politiche di pari opportunità in ambito politico-rappresentativo e il loro “ancoraggio costituzionale” al principio di uguaglianza sostanziale. Va ricordato che, con un parere reso nel luglio 2020, in relazione alla pos TEMI ISTITUzIONALI sibilità di emanare un decreto-legge per l’esercizio del potere sostitutivo nei confronti di una Regione, l’Avvocatura dello Stato ha ritenuto che le disposizioni dell’art. 4, comma 1, lett. c-bis, della legge n. 165/2004, relativo alla promozione delle pari opportunità tra uomini e donne nell’accesso alle cariche elettive, costituiscono uno dei principi fondamentali, stabiliti con legge della Repubblica, idonei a limitare, ai sensi dell’art. 122, comma primo, la competenza legislativa delle Regioni nella materia del sistema elettorale. La promozione delle pari opportunità tra uomini e donne nell’accesso alle cariche elettive rientra, infatti, nella materia della “tutela dell’unità giuridica della Repubblica” che, ai sensi dell’art. 120, comma secondo, della Costituzione legittima il Governo all’esercizio del potere sostitutivo (da adottare con l’emanazione di un decreto-legge in un Consiglio dei Ministri al quale sia invitato a partecipare il Presidente della Giunta Regionale; e il Commissario sia individuato, in omaggio ai principi di sussidiarietà e di leale collaborazione, in un organo della stessa Regione). Inoltre -e questo è il punto più significativo -la questione sembra rilevare anche ai fini della “tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali”. 2.6. L’art. 97 della Costituzione. La norma costituzionale detta alcuni principi che sono rilevanti anche per assicurare la parità fra donne e uomini nella Pubblica Amministrazione. Il contenuto precettivo dell’art. 97 è tradizionalmente riferito all’organizzazione della pubblica Amministrazione intesa come “apparato tecnico-burocratico”. Lo stretto rapporto tra principio di legalità e imparzialità come espressa nell’articolo è la chiave di lettura anche dell’ultimo comma che prevede la regola del concorso per l’accesso ai pubblici impieghi, considerato il mezzo che offre le migliori garanzie di selezione dei soggetti più capaci, poiché la professionalità della burocrazia è una modalità atta a garantire proprio l’imparzialità e l’efficienza della sua azione. La regola del pubblico concorso e la meritocrazia della selezione all’esito della quale si procede all’assunzione, l’esclusione di selezioni caratterizzate da arbitrarie e irragionevoli forme di restrizione dei soggetti legittimati a parteciparvi, rappresentano e diventano un utile strumento per assicurare l’effettività delle pari opportunità, quella competizione ad armi pari che assicura la uguaglianza tra donne e uomini sul lavoro almeno dei punti di partenza. 3. La legislazione per la promozione delle donne nella vita politica e istituzionale. Va ricordato che, se la legge 17 luglio 1919, n. 1176 escludeva le donne dagli impieghi pubblici implicanti poteri giurisdizionali, nonché l’esercizio di diritti e potestà pubbliche, successive norme hanno determinato il pieno superamento di questa ottica riduttiva. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 3/2021 In particolare, negli anni ottanta, il diritto comunitario assolve un ruolo cruciale con la Raccomandazione 84/635/CEE che invita gli Stati membri ad adottare azioni positive volte a rimuovere gli ostacoli che impediscono la piena partecipazione delle donne al lavoro, individuando nel settore pubblico l’area privilegiata di intervento. Va, quindi, menzionata la legge 10 aprile 1991, n. 165 che, per la prima volta, nell’ambito della disciplina delle elezioni per la Camera e il Senato, contiene specifiche prescrizioni per la presentazione delle candidature dirette a garantire l’equilibrio di genere nella rappresentanza politica (nella successione interna delle liste dei collegi plurinominali, i candidati sono collocati in un ordine alternato di genere a pena di inammissibilità della lista stessa e, limitatamente ai capilista, nelle liste nei collegi plurinominali, nessuno dei due generi può essere rappresentato -a livello nazionale alla Camera, a livello regionale al Senato - in misura superiore al 60%). Il decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, che contiene le norme generali sul lavoro alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni, sin dal primo articolo, pone grande attenzione al tema delle pari opportunità, nell’ottica dell’efficienza e della migliore utilizzazione delle risorse umane, tenendo conto delle pari opportunità nei criteri per il conferimento degli incarichi dirigenziali; all’art. 7 prevede che “le amministrazioni pubbliche garantiscono parità e pari opportunità tra uomini e donne per l’accesso al lavoro e al trattamento sul lavoro”; nonché l’istituzione all’interno di ogni Amministrazione del Comitato unico di garanzia per le pari opportunità, il cui ruolo è stato rafforzato con la Direttiva n. 2 del 26 giugno 2019, che tiene conto anche degli indirizzi comunitari. Il Codice per le pari opportunità, il d.lgs. 11 aprile 2006, n. 198, modificato da ultimo con la legge 27 dicembre 2017, n. 205, prevede l’obbligo per le pubbliche Amministrazioni di adottare i piani di azioni positive e la promozione delle pari opportunità è uno degli obiettivi dichiarati del D.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150 in materia di produttività del lavoro pubblico. Con l’intento di promuovere le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità l’art. 19, comma 3, del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito con modificazioni con la legge 4 agosto 2006, n. 248 ha istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri un Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità. 4. Il ruolo delle donne nella Pubblica Amministrazione. La questione va, innanzitutto, esaminata sotto un duplice angolo di visuale: le modalità di accesso e lo svolgimento della carriera. Anche se va immediatamente sottolineato il dato positivo che nella Pubblica Amministrazione non si pone quello che si definisce “gender pay gap”, perché non esiste una retribuzione “di genere”. A parità di mansioni e di car TEMI ISTITUzIONALI riera e di anzianità di servizio, infatti, non vi sono differenze stipendiali, ma una totale equiparazione, credo anche e proprio nell’ottica e e alla luce delle considerazioni svolte a proposito dell’art. 97 della Cost. Per l’accesso si può dire che sono stati rimossi tutti gli ostacoli per consentire una partecipazione paritaria fra uomini e donne ai concorsi pubblici, anche se di recente, la neo Presidente della SNA, Prof.ssa Paola Severino, ha illustrato un dato da lei stessa definito “sorprendente”, perché ha constatato che, nelle prove di accesso con domande a risposta multipla, la percentuale delle donne ammesse era significativamente più bassa di quella relativa alle ammesse a seguito di procedure selettive tradizionali e raggiungeva addirittura la soglia del 100% nelle selezioni finali del corso -concorso da dirigente. Approfondendo la questione, ha scoperto che la modalità a quiz, soprattutto se aperti a più percorsi di ragionamento, finiva per privilegiare gli uomini piuttosto che le donne, più propense all’approfondimento e, quindi, ha nominato una commissione per verificare che i quiz del prossimo corso -concorso avessero una risposta quanto più univoca per dare a tutti le stesse possibilità di superare il test, non in un’ottica “di privilegio”, ma in un’ottica di uguaglianza dei punti di partenza; e ha istituito un gruppo di monitoraggio statistico degli esiti della selezione in coordinamento con il Dipartimento della Funzione Pubblica per un’accurata verifica dei dati di genere con la loro evoluzione nel tempo e nelle tipologie di concorso. Se, dunque, per l’accesso alla carriera nella Pubblica Amministrazione la situazione è complessivamente positiva o, almeno, in positiva evoluzione, non altrettanto può dirsi per il raggiungimento delle posizioni apicali o dirigenziali. Su questo influisce, per alcune tipologie di carriere come la Prefettura, la Magistratura e la carriera Diplomatica, il dato temporale, perché i rispettivi accessi al concorso anche da parte delle donne sono stati consentiti a partire dal 1960 per la Prefettura, dal 1963 per la Magistratura e dal 1967 per la carriera diplomatica. Nella dirigenza statale un recente studio del ForumPA fa emergere un incremento numerico delle donne dirigenti, passate dal 42% nel 2007 al 50,6% nel 2017 e nell’ambito della dirigenza apicale (prima fascia) dei Ministeri al 37%. Sotto il profilo del genere, nel 2021 (fonte Annuario Statistico MAECI 2021) rimane stabile al 46% la percentuale femminile di personale di ruolo in servizio al Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. La quota percentuale di donne nella carriera diplomatica rimane stabile al 23%, ma diminuisce, rispetto all’anno precedente, di un punto percentuale la quota di donne dirigenti (32%). Nel 2020 nei gradi apicali della carriera diplomatica sono 4 le Ambasciatrici di grado, 24 le Ministre plenipotenziarie, 60 le Consigliere di ambasciata, 38 le Consigliere di Legazione e 106 le Segretarie di Legazione, per un totale di 232 donne su 1000 Diplomatici nel complesso. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 3/2021 Nella carriera prefettizia le donne sono più della metà 664 e 480 uomini, non così per il grado di Prefetto in questo caso è predominante la componente maschile, le donne sono 75 su 171, pari al 43,8%. Nella magistratura ordinaria dal 1987 i vincitori di concorso sono più donne che uomini, tra i 300 nuovi magistrati, le donne furono 156. Negli anni successivi il trend è altalenante fino al 1996, perché, da quel momento in poi, il numero delle donne vincitrici del concorso in magistratura è sempre superiore a quella degli uomini e il divario si allarga a partire dal 2007. Dal 2015 il numero totale delle donne presenti in magistratura ha superato quello degli uomini. Ma la percentuale cambia vistosamente nell’assegnazione di incarichi direttivi e semidirettivi, rispettivamente, il 71,4% e il 58% di uomini; per le funzioni semidirettive le donne sono il 43% sui 745 complessivi (fonte la relazione per il 2021 dell’Ufficio statistico del CSM). Una spiegazione potrebbe risiedere nella difficoltà di accettare trasferimenti di sede che consentano progressioni di carriera perché non sempre conciliabili con la famiglia. Nelle Forze Armate l’ingresso è avvenuto nel 2000 (legge n. 380/1999), ma è proprio l’ingresso delle donne a rappresentare uno dei più grandi cambiamenti che hanno segnato il profondo processo di trasformazione delle Forze Armate stesse e della giustizia militare. L’Arma dei carabinieri ha già ufficiali donne nei gradi di Generale di brigata e Colonnello provenienti dal Corpo Forestale e dalla polizia di stato. Impiegate anche in missioni all’estero. Più circoscritta, invece, la presenza femminile nelle Autorità indipendenti, dove nessuna donna ha mai ricoperto l’incarico di Presidente, ma solo di componente (attualmente né l’AGCOM né l’IVASS hanno una donna nel Collegio; a breve i Presidenti di Camera e Senato dovrebbero nominare il terzo componente, presumibilmente donna, dell’AGCM) o di Vicepresidente (il Garante per la protezione dei dati personali ha modalità di presentazione delle candidature che sembrano favorire una maggiore partecipazione femminile); sola presidenza, ma di un organo monocratico, è al femminile, quella dell’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, da qualcuno letta quasi fosse una competenza “tipica” di una donna, ma io non condivido questa chiave di lettura, troppo pessimista e riduttiva. Nessuna presidenza dei Collegi di autogoverno della Magistratura ordinaria (dove nessuna donna è stata eletta componente laica e nessuna togata); amministrativa e contabile (dopo che è andata in pensione la Presidente aggiunta). La presidenza della Corte costituzionale da parte di un Giudice donna è stata particolarmente significativa perché la Presidente è stata eletta dagli altri Componenti e, quindi, con una lungimirante considerazione delle sue capacità specifiche. TEMI ISTITUzIONALI Difettano buone pratiche tese a favorire una composizione gender-balanced che salvaguardi efficacemente il principio di parità. Il Ministro per le pari opportunità e la famiglia, Prof.ssa Elena Bonetti, consapevole di questa necessità, ha costituito un Gruppo di studio sul “Riequilibrio della rappresentanza di genere nei procedimenti di nomina”, composto da nove Docenti universitarie di diritto costituzionale, istituzioni di diritto pubblico e di diritto pubblico comparato, coordinato da un Professore di diritto costituzionale nell’aprile del 2021, presso il Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri; ed è nato dalla necessità di elaborare proposte per una piena partecipazione delle donne nelle istituzioni, in posizioni di leadership a tutti i livelli decisionali e in tutti gli aspetti della vita sociale, economica e politica. Il seminario conclusivo, il 1° dicembre scorso, si è svolto presso la sede dell’Avvocatura Generale dello Stato. Il Documento di lavoro finale è disponibile sul sito del Dipartimento. Esso, in particolare, individua le pari opportunità e la trasparenza come principi cardine della proposta di un nuovo intervento normativo al fine di incentivare la presenza femminile negli enti pubblici, delle autorità amministrative indipendenti e organi di garanzia, nelle società partecipate e negli enti disciplinati a livello regionale e locale. Standard minimi di trasparenza in relazione alla presentazione delle candidature e ai criteri di selezione delle stesse e, se possibile, norme dirette a garantire l’equilibrio di genere nella composizione dei collegi e un monitoraggio continuo sul rispetto dei vincoli di legge con la creazione di un organo ad hoc, l’Osservatorio per la parità di genere, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Potrà essere, infine, utile anche la prospettiva comparata, vedere che cosa accade negli altri Paesi che può fornire ulteriori spunti di riflessione. Nell’ambito dell’Unione europea vi sono Paesi, nei quali, in via di auto regolazione, senza, quindi, l’adozione di normative specifiche di tipo gender balance, si registra un elevato grado di presenza femminile all’interno delle istituzioni. Emblematico il caso della Svezia al primo posto nella Ue per gli standard di garanzia in tema di equilibri di genere. Un secondo gruppo di Paesi europei si caratterizza per l’introduzione di atti di hard law volti ad assicurare una rappresentanza paritaria con appositi sistemi di “quote”, come la Francia, particolarmente sensibile al tema della parità di genere, o almeno equilibrata, come il Portogallo e la Croazia; oppure hanno previsto meccanismi di comply or explain e, dunque l’obbligo di un supplemento di motivazione, rafforzata diremmo noi (non a caso, un onere analogo è stato individuato dalla giurisprudenza amministrativa in occasione di impugnative di nomine di incarichi direttivi della magistratura ordinaria) per le nomine adottate nella composizione degli organi costituzionali e delle autorità indipendenti in deroga al principio della parità di genere, come la Danimarca. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 3/2021 Assume particolare importanza il grado di evoluzione culturale e sociale che si riflette sulle scelte concrete anche in assenza di norme specifiche cogenti, come nel caso della Spagna. Nel Regno Unito è stata istituita una figura di garanzia ad hoc il Commissario per le nomine pubbliche, accanto a un elevato grado di trasparenza nella pubblicazione delle posizioni aperte e nella diffusione delle informazioni relative a tutte le fasi della procedura. 5. L’Avvocatura dello Stato. Non posso non illustrare, in conclusione, la situazione dell’Avvocatura dello Stato, sia per il mio ruolo di vertice, sia per la conoscenza che ho del- l’Istituto, avendo svolto anche le funzioni di Segretario Generale, quindi, di Capo del Personale amministrativo. La presenza femminile all’interno dell’Avvocatura è stata da sempre significativa come impegno e qualità professionale e trova oggi un importante riconoscimento proprio con la mia nomina ad Avvocato Generale. Basti pensare che su 25 Avvocati Distrettuali 11 sono donne e dirigono Avvocature importanti per qualità e quantità del contenzioso e del consultivo trattati e per la collocazione in un contesto regionale di rilievo (Bari, Cagliari, Catania, Genova, L’Aquila, Messina, Milano Palermo, Perugia, Salerno, Trieste); 2 donne fanno parte del Comitato Consultivo, composto da sei Avvocati dello Stato e presieduto dall’Avvocato Generale; 2 sono Responsabili, su 8 Sezioni, della gestione di due delle più strategiche e di rilievo; 5, su 8 Coordinatori sono donne; 2 Sezioni sono declinate interamente al femminile fra Responsabili e Coordinatrici (Sezione IV e VII); il mio staff di supporto di Avvocati dello Stato è interamente al femminile ed è una donna a ricoprire l’incarico di Vice Segretario generale. Tale tendenza si registra anche nel ruolo del Personale Amministrativo, dove la maggior parte dei Capi servizio sono donne. All’attualità (9 dicembre 2021), su 286 Avvocati in servizio, fra l’Avvocatura Generale e le Avvocature Distrettuali, 116 sono donne e 170 uomini; il sorpasso si registra per i 74 Procuratori in servizio, fra l’Avvocatura Generale e le Avvocature Distrettuali, poiché 39 sono donne e 35 uomini; per un totale complessivo di 361 unità di cui 156 donne e 205 uomini. All’ultimo concorso di Avvocato dello Stato i vincitori e idonei sono stati 22, di cui 6 donne; per quello in corso, potrebbe avvenire per la prima volta nella storia dell’Istituto il sorpasso, perchè su 38 ammessi all’orale 22 sono donne e 16 uomini, ma per ora mi limito a un sincero in bocca al lupo a tutti gli ammessi all’orale. All’ultimo concorso di Procuratore su 40 vincitori e idonei 17 sono donne e 23 uomini. Tratto comune è la capacità di coniugare il rilevante impegno professio TEMI ISTITUzIONALI nale con l’altrettanto rilevante impegno familiare, senza che l’uno arrechi pregiudizio all’altro in un sapiente equilibrio di ruoli. In occasione del saluto istituzionale rivolto alla prima Presidente donna della Corte costituzionale il 14 gennaio 2020, ho, innanzitutto, sottolineato la felice coincidenza che fossi io a porgerlo alla Presidente anche a nome del- l’Avvocatura dello Stato e mio personale e, poi, ho volutamente lasciato per ultimo, last but not least, la considerazione, sottolineata, invece, immediatamente da tutti all’atto della sua elezione a Presidente della Corte, che fosse la prima donna a ricoprire tale prestigiosissima carica nella storia della Corte costituzionale. Infatti, com’è stato efficacemente e ben più autorevolmente di me sottolineato, questa circostanza non è mera espressione della garanzia dell’uguaglianza in senso sostanziale che la stessa Costituzione impone senza distinzione di sesso, ma piuttosto di uguaglianza nella e della espressione della professionalità indipendentemente dal sesso. Di professionalità unanimemente riconosciute e costruite con passione e con impegno nel tempo. Come ha sottolineato il Presidente della Repubblica (in occasione della cerimonia degli auguri al Quirinale il 18 dicembre 2019), le recenti scelte di guida dei vertici istituzionali evidenziano come il merito non trovi ostacoli di genere e che la presenza delle donne anche nei ruoli di responsabilità delle imprese e della società civile è uno straordinario fattore di crescita e di equilibrio ed è la principale opportunità di sviluppo. “Avere aperto una strada”, espressione spesso usata per indicare che per la prima volta una donna ricopre una carica importante, è non solo uno splendido risultato individuale che premia il merito, ma è anche e, soprattutto, un importante incoraggiamento per tutte le donne, in particolare per le più giovani, a rendere possibile l’integrazione fra i due ruoli; e rappresenta la dimostrazione concreta che la realizzazione professionale non si consegue solo e soltanto dopo una serie più o meno lunga di rinunce o di scelte definitive verso l’una (professione) o l’altra (famiglia) in chiave di alternatività, conciliando la vita professionale e la vita familiare, con equilibrio e sensibilità che arricchiscono chi lo realizza e la società tutta. Grazie per l’attenzione. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 3/2021 CERIMONIA DI INAUGURAZIONE DELL’ANNO GIUDIZIARIO 2022 Intervento dell'Avvocato Generale dello Stato Avv. Gabriella Palmieri Sandulli Signor Presidente della Repubblica, Autorità Civili, Militari e Religiose, Signor Primo Presidente della Corte di Cassazione, Signor Procuratore Generale, prendo la parola in questa solenne Cerimonia per porgere il saluto del- l’Istituto che ho l’alto onore di dirigere. 2. Nella sua approfondita e ampia relazione il Primo Presidente ha riferito in modo analitico sui risultati raggiunti dalla Suprema Corte nell’anno 2021, frutto -ancora una volta -del grandissimo impegno profuso dai Magistrati e da tutto il Personale amministrativo, ai quali va il più vivo apprezzamento e il più sentito ringraziamento. La sinergia fra i diversi attori dell’attività giudiziaria si sviluppa, sul piano strettamente giurisdizionale, nel reciproco impegno per una celere ed efficace definizione del notevole contenzioso pendente. Anche nel 2021 è, infatti, proseguita la collaborazione dell’Avvocatura dello Stato con la Corte di cassazione, in particolare, con la Sezione tributaria, sia per lo svolgimento di udienze tematiche finalizzate alla decisione di un sempre maggiore numero di controversie e alla uniformità degli indirizzi giurisprudenziali; sia per la soluzione dei molteplici problemi pratici connessi alla estinzione delle numerose cause interessate dai vari provvedimenti di condono. 3. L’anno appena trascorso, sulla spinta delle prime modifiche normative introdotte a seguito dell’epidemia da Covid -19, ha portato, tra l’altro, a un ulteriore consolidamento della progressiva digitalizzazione dell’attività giudiziaria. Particolare rilievo ha assunto l’avvio dei depositi telematici nei procedimenti avanti alla Corte di cassazione, sia pure in regime di facoltatività, che rappresenta il punto di arrivo di un percorso che, nei gradi di merito, è iniziato molti anni fa: un percorso significativo, nel quale, insieme al Consiglio Nazionale Forense, e colgo l’occasione per porgere i più sinceri auguri di buon lavoro alla neo-eletta Presidente Avv. Maria Masi, l’Avvocatura dello Stato, anche per quanto specificatamente riguarda il giudizio di legittimità, ha dato il proprio fattivo contributo nei tavoli che, allo scopo, sono stati costituiti per l’analisi e l’individuazione delle possibili soluzioni normative, organizzative e tecniche rispetto ai problemi che, di volta in volta, si sono posti. TEMI ISTITUzIONALI Contributo frutto, peraltro, di un’esperienza maturata dall’Avvocatura dello Stato anche nel contenzioso sovranazionale innanzi alla Corte di giustizia e al Tribunale della Ue e alla CEDU, per i quali il processo telematico è già operativo da molti anni. Contributo di esperienza fornito anche alla Corte costituzionale per l’avviamento del sistema e-Cost. Va, comunque, ricordato che l’avvio del processo civile telematico avanti alla Corte di cassazione trova la fonte normativa nella disciplina emergenziale legata alla situazione che, purtroppo, è ancora in corso; è, dunque, necessario che si proceda, per il futuro, a un inquadramento sistematico della relativa disciplina, affinché essa possa spiegare i suoi effetti anche una volta terminata, speriamo molto presto, l’attuale fase emergenziale. In questa prospettiva appare necessario giungere a regole e piattaforme comuni tra i processi telematici, affinché sia possibile condividere, con le regole e la tecnologia, anche atti, documenti e informazioni fra tutte le giurisdizioni per una sempre più rapida ed efficiente risposta di giustizia per i cittadini. 4. La situazione emergenziale ha determinato anche una pressoché completa digitalizzazione e dematerializzazione dell’attività svolta dall’Avvocatura dello Stato, sia per i compiti amministrativi, sia per quelli defensionali. Vi è stato, infatti, nel 2021, un generalizzato incremento, di circa il 40%, nei depositi telematici avanti al Giudice Ordinario, rispetto all’anno 2020, che, a sua volta, aveva visto un incremento del 30% rispetto all’anno 2019 (passando da 50 mila a 67mila depositi telematici). È auspicabile che, con il progressivo superamento della fase transitoria dettata dalla situazione di emergenza, alcune soluzioni -che si sono rivelate decisive per assicurare il servizio giustizia anche nella fase più acuta della pandemia -siano confermate a regime, avendo determinato un significativo snellimento delle attività processuali nel giusto contemperamento con il diritto di difesa. Senza soffermarmi su specifici dati statistici, ritengo, però, opportuno richiamare alcuni indicatori numerici particolarmente significativi. Nell’anno appena trascorso, infatti, per l’Avvocatura dello Stato si è registrato su tutto il territorio nazionale un aumento di oltre il 10% degli affari nuovi rispetto al 2020, raggiungendo, solo all’Avvocatura Generale, la notevole cifra di circa 49.000 affari nuovi. Per quanto riguarda gli esiti dei giudizi innanzi alla Corte di cassazione in cui è parte l'Avvocatura dello Stato -che con il contenzioso tributario impegna in maniera rilevante la Corte -si conferma una percentuale di successo nelle cause patrocinate nella media superiore al 65%. Tali dati evidenziano la gravosità del lavoro e lo sforzo di tutti componenti della Avvocatura dello Stato per cercare di assicurare il più proficuo servizio a favore del Paese. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 3/2021 5. Anche quest’anno concludo, pertanto, questo mio intervento certa di poter confermare, Signor Presidente della Repubblica, che l’Avvocatura dello Stato e tutti i suoi Componenti continueranno a profondere il massimo impegno per essere sempre all’altezza delle rilevanti funzioni loro assegnate e della fiducia riposta in loro. Grazie per l’attenzione. Roma, 21 gennaio 2022 Palazzo di Giustizia, Aula Magna TEMI ISTITUzIONALI CERIMONIA DI INSEDIAMENTO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DI STATO E DI PRESENTAZIONE DELLA “RELAZIONE SULL’ATTIVITÀ DELLA GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA” ANNO 2021 INAUGURAZIONE DELL’ANNO GIUDIZIARIO 2022 Intervento dell'Avvocato Generale dello Stato Avv. Gabriella Palmieri Sandulli Signor Presidente della Repubblica, Signora Presidente del Senato, Signor Presidente del Consiglio dei Ministri, Signor Presidente della Corte costituzionale, Autorità Civili, Militari e Religiose, Signor Presidente del Consiglio di Stato, sono davvero onorata di prendere la parola in questa solenne Cerimonia per portare il saluto dell’Istituto che ho il privilegio di dirigere, nel segno della consolidata reciproca collaborazione istituzionale, della quale ringrazio Lei, Signor Presidente, il Suo Predecessore Presidente Filippo Patroni Griffi, al quale rinnovo gli auguri per la nuova prestigiosa carica di Giudice costituzionale, tutti i Magistrati e il Personale amministrativo. Collaborazione istituzionale che non solo ha consentito di affrontare efficacemente questo biennio di emergenza epidemiologica, ma rappresenta anche, nella sua più ampia accezione, l’espressione di un dialogo costruttivo con gli Avvocati, unitariamente intesi, Foro libero e Avvocatura pubblica, come metodo da non circoscrivere temporalmente e concettualmente alla fase emergenziale, anche al fine di assicurare l’espletamento dell’esercizio della giurisdizione in chiave di efficienza, di imparzialità e di affidabilità; perché, come da Lei, Signor Presidente della Repubblica, auspicato nel Messaggio al Parlamento il 3 febbraio scorso nel giorno del Giuramento, “La Magistratura e l’Avvocatura sono chiamate ad assicurare che il processo riformatore si realizzi, facendo recuperare appieno prestigio e credibilità alla funzione giustizia, allineandola agli standard europei”. Sono, poi, particolarmente onorata di partecipare a questa Cerimonia solenne poiché Lei, Presidente Frattini, ha iniziato la Sua brillante e prestigiosa carriera proprio nel nostro Istituto, all’Avvocatura Generale, dimostrando immediatamente di possedere le eccezionali doti di preparazione giuridica e l’altissima capacità professionale che hanno sempre accompagnato il Suo così rilevante percorso istituzionale. Il Suo esempio concreto, declinato come impegno e dedizione costanti coniugati con saggezza, equilibrio e profondo senso dello Stato, è stato pre RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 3/2021 zioso e ha ispirato generazioni di Avvocati e Procuratori dello Stato non solo dei concorsi prossimi al Suo. * L’emergenza sanitaria, grazie all’impegno costante degli Avvocati e Procuratori dello Stato e del Personale amministrativo, si è confermata un fattore di accelerazione della digitalizzazione, che era, peraltro, già in fase avanzata, e della consequenziale riorganizzazione dei processi di lavoro, condivisa con le Associazioni sindacali di categoria, in un’ottica di efficienza e di efficacia dell’attività defensionale. L’Avvocatura dello Stato ha eseguito complessivamente 50.000 depositi telematici al Consiglio di Stato con un incremento annuo pari all’11,29%. Dai predetti dati emerge ancora una volta l’intensità dell’impegno del- l’Istituto, unita alla considerazione circa importanza e centralità degli ambiti e delle materie che lo vedono quotidianamente impegnato davanti al Giudice Amministrativo. Per ragioni di brevità, mi limito a richiamare il contenzioso, in particolare, quello fra Stato e Regioni, nella materia riguardante le modalità di gestione dell’emergenza epidemiologica; sia in sede cautelare, sia in sede di merito, funzionale alla corretta individuazione degli ambiti di rispettiva competenza nell’adozione delle relative misure volte al suo contenimento; e la storica sentenza n. 37/21 della Corte costituzionale. * Come è continuato senza soste l’impegno innanzi alle giurisdizioni sovranazionali, Corte di giustizia e Tribunale della Ue e CEDU, essendo ineludibile la necessità di confrontarsi con la normativa europea e la tutela uniforme dei diritti che essa impone agli Stati Membri, ancora di più nell’attuale fase emergenziale. In questo delicato compito il Consiglio di Stato ha continuato a svolgere un importante ruolo di indirizzo, essendo, peraltro, Giudice di ultima istanza. L’importanza del rinvio pregiudiziale, strumento di cooperazione “da giudice a giudice”, è stata sottolineata dalla stessa Corte di giustizia come “chiave di volta” del sistema giurisdizionale della Ue. Proprio nel meccanismo del rinvio pregiudiziale si evidenzia la collaborazione istituzionale tra Consiglio di Stato e Avvocatura dello Stato, che, già presente nei giudizi nazionali, è chiamata a rappresentare le ragioni del Governo italiano anche innanzi alla Corte di giustizia e, poi, esiti e conseguenze alla ripresa del giudizio in sede nazionale. Un circuito virtuoso. Non posso non ricordare che proprio Lei, Signor Presidente, da Ministro degli Affari Esteri, nel 2009, con lungimirante visione sovranazionale, ha individuato nella figura dell’Agente del Governo italiano innanzi alla Corte di giustizia e al Tribunale dell’Ue l’espressione di una difesa tecnica e istituzionale; scelta, poi, codificata nell’art. 42, comma 3, della legge 24 dicembre TEMI ISTITUzIONALI 2012, n. 234 (1), divenuta modello ispiratore, con l’art. 15 del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, della difesa del Governo innanzi alla CEDU (2); e, in altri ambiti, l’ITLOS, il Tribunale Internazionale del diritto del mare di Amburgo e gli arbitrati internazionali di investimento. * Concludo questo mio intervento formulando a Lei, Signor Presidente, a nome dell’Avvocatura dello Stato e mio personale, gli auguri più fervidi e più sinceri di un proficuo lavoro, confermando che l’Avvocatura dello Stato continuerà a profondere il massimo impegno nello svolgimento degli importanti compiti assegnati per essere all’altezza della fiducia in essa riposta. Grazie per l’attenzione. Roma, 22 febbraio 2022 Palazzo Spada (1) “Il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per gli affari europei e il Ministro degli affari esteri nominano, quale agente del Governo italiano previsto dall'articolo 19 dello Statuto della Corte di giustizia dell'Unione europea, un avvocato dello Stato, sentito l'Avvocato generale dello Stato”. (2) Convertito con modificazioni con la legge 1° dicembre 2018, n. 132: “Le funzioni di agente del Governo a difesa dello Stato italiano dinanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo sono svolte dall'Avvocato generale dello Stato, che può delegare un avvocato dello Stato”. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 3/2021 CERIMONIA DI INAUGURAZIONE DELL’ANNO GIUDIZIARIO 2022 DEL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL LAZIO Intervento dell'Avvocato Generale dello Stato Avv. Gabriella Palmieri Sandulli Signor Presidente, Autorità, Signor Presidente, Colleghi Avvocati, Gentili Ospiti anche collegati da remoto, 1. Con grande piacere prendo la parola in questa Cerimonia (di inaugurazione) per portare il saluto dell'Istituto che ho l'alto onore di dirigere. È il terzo anno che l'Avvocatura, anche dello Stato, interviene in questa occasione così importante, importante anche e soprattutto perché segna il ritorno -almeno parziale -in presenza, dopo il biennio così difficile dell'emergenza epidemiologica, come sottolineato anche nella Sua Relazione. Questa partecipazione assume rilievo anche perché è divenuta ormai una significativa consuetudine di scambio e confronto tra l'Avvocatura, del Foro libero e Pubblica unitariamente intesa, e la Magistratura amministrativa; in linea con la partecipazione alla Cerimonia di inaugurazione da poco svoltasi, al Consiglio di Stato, a conferma di quello spirito di collaborazione istituzionale che sussiste e deve esserci tra il Giudice amministrativo e gli Avvocati, ancora più significativa e rilevante in relazione agli obiettivi contenuti nel PNRR e del programma straordinario di smaltimento dell'arretrato, richiamati nella Sua Relazione. Collaborazione istituzionale rafforzata dalle riflessioni del Presidente Frattini che ha fatto riferimento alla visione integrata con quella degli Avvocati della valutazione giuridica delle questioni, al fine dell'ottimizzazione della giustizia, della sua affidabilità e della sua credibilità. 2. Il Tar del Lazio è certamente un organo giudiziario che costituisce un unicum nel panorama sia nazionale che europeo, come è stato ricordato anche in occasione dei recenti Convegni che, nel 2021, hanno celebrato i 50 anni dell'istituzione dei Tribunali Amministrativi Regionali. Quale giudice amministrativo di primo grado, infatti, concentra in sé le competenze di Tar regionale e di Tar centrale, in quanto decide sugli atti dei Ministri e del Governo, degli organi a rilevanza costituzionale, come il CSM, delle Autorità indipendenti. Il contenzioso che gli è riservato, quindi, è tanto numeroso quanto delicato; public enforcement del diritto della concorrenza, regolazione dei mercati, che ormai riguarda pressoché tutti i settori economici; esercizio di poteri fondamentali dello Stato, come ad esempio il golden power, e, più in generale, tutti i principali atti di governo, che trovano nel TAR Lazio il loro giudice naturale. TEMI ISTITUzIONALI Si comprende, quindi, perché il TAR Lazio sia stato definito il Tribunale dell'economia, il TAR dei TAR, come ricordato nella Sua Relazione. L'evoluzione del quadro normativo interno, sempre più influenzato dalla compenetrazione con l'ordinamento eurounitario, pone, poi, il giudice amministrativo ed il Tar Lazio, in particolare, di fronte a nuove tipologie di contenziosi che sembrano discostarsi dal tradizionale paradigma del giudizio amministrativo come giudizio volto alla tutela di interessi e diritti lesi dal- l'esercizio asseritamente illegittimo del pubblico potere. Nello stesso tempo, la Pubblica Amministrazione si trova ad affrontare, nel perseguimento dell'interesse pubblico, sempre nuove sfide, come, appunto, quelle derivanti dal PNRR, determinate dai profondi mutamenti economici e sociali e dalla necessità di confrontarsi sempre più frequentemente con la normativa europea e la tutela uniforme dei diritti che essa impone agli Stati Membri. 3. L'intensa attività giurisdizionale del TAR Lazio vede nell'Avvocatura dello Stato, quale difensore istituzionale delle pubbliche Amministrazioni il principale interlocutore. I dati numerici ne sono un'evidente rappresentazione: nel 2021 sono stati impiantati in Avvocatura Generale oltre 10.000 nuovi affari di competenza delle Sezioni romane del TAR Lazio, con un aumento di circa il 19% rispetto all'anno precedente, in linea con quel consistente aumento generale del contenzioso segnalato nella Sua Relazione. Anche nel difficile periodo dell'emergenza epidemiologica è stata proficua, e tuttora permane, la collaborazione dell'Istituto con i rappresentanti della Giustizia amministrativa e dell'Avvocatura del libero foro, sia per assicurare lo svolgimento dell'attività processuale in condizioni di sicurezza, sia per il miglioramento del processo amministrativo telematico di cui, peraltro, l'Avvocatura dello Stato è il principale fruitore. Nel 2021, infatti, i depositi effettuati dall'Avvocatura dello Stato al Tar del Lazio (Roma) sono stati oltre 22.502, con un incremento annuo pari al 14,42%. 4. Occorre, poi, fare un seppure breve, come richiede la sobrietà della Cerimonia, riferimento al ruolo svolto dai TAR, in particolare dal TAR del Lazio, in occasione della gestione delle misure necessarie al contenimento dell'emergenza da Covid-19, che ha dato origine a un nutrito contenzioso fra Stato e Regioni, vertente sulla delimitazione delle rispettive competenze nella materia sanitaria e sulla individuazione di un punto di equilibrio tra le esigenze di tutela del diritto alla salute, nella sua dimensione di interesse individuale e della collettività, e l'esercizio delle libertà fondamentali garantite dalla Costituzione; e alla ben nota sentenza n. 37/21 della Corte costituzionale. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 3/2021 4.1. Per quanto riguarda le questioni più specifiche, può dirsi che si sono evolute con il mutare della situazione giuridica e fattuale. In una prima fase, a partire dalla primavera del 2021, sono stati proposti ricorsi, talvolta di segno diametralmente opposto, relativi all'attuazione della campagna vaccinale, intesi, talvolta, a ottenere l'accelerazione della somministrazione delle varie dosi e, talvolta, invece, il blocco delle vaccinazioni. Nella fase successiva, in corso, le questioni oggetto di ricorso hanno riguardato gli obblighi vaccinali introdotti a carico di determinate categorie di lavoratori e le misure conseguenti al mancato rispetto degli obblighi medesimi; in particolare, per quanto riguarda i dipendenti statali, si sono registrati numerosi ricorsi di appartenenti alle Forze armate e alle Forze di polizia, sempre, ovviamente, corredati da istanze cautelari e sostenuti da eccezioni di incostituzionalità delle norme emergenziali alla base dei provvedimenti impugnati. In modo estremamente sintetico, può dirsi che, pur se a fronte di talune decisioni di segno opposto, gli orientamenti del TAR del Lazio hanno confermato la legittimità dell'azione del Governo nel suo complesso e delle singole Amministrazioni nel contrasto alla pandemia, contrasto che ne è risultato certamente rafforzato. 4.2. I ricorsi contro le misure restrittive, per cittadini e imprese, adottate con DPCM sono stati numerosi fino a quando il provvedimento è stato sostituito, come fonte di regolazione, dal decreto-legge, come illustrato nella Sua Relazione; da quel momento in poi le contestazioni giudiziarie si sono concentrate soprattutto su obbligo vaccinale e green pass. Gli esiti del contenzioso sono stati in larga parte conformi alle tesi sostenute della difesa dello Stato, che hanno trovato riscontro nelle pronunce intervenute, generalmente ispirate alla verifica della legittimità delle misure adottate e della loro coerenza con i principi della Costituzione e del diritto sovranazionale, nonché con la finalità del più ragionevole contemperamento dei rilevantissimi interessi in gioco, a partire da quello alla salute dei cittadini, qualificato dall'art. 32 della Costituzione come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività. Numerose sono state le cause risarcitorie da parte delle categorie imprenditoriali colpite dalle restrizioni alle attività economiche, che lamentano l'inadeguatezza dei "ristori", e da parte di persone fisiche per le limitazioni alla libertà personale imposte dal lockdown, con richieste di indennizzi su base presuntiva. In una controversia avente ad oggetto il DPCM del 14 gennaio 2021, contenente varie disposizioni per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da Covid 19, tra le quali l'obbligo per i minori di età compresa fra i 6 e gli 11 anni di indossare la mascherina in ambito scolastico, è intervenuta la sentenza n. 1248/2022; che si segnala per la completezza delle argomentazioni in base alle quali il TAR, aderendo alle prospettazioni difensive dell'Avvocatura, ha TEMI ISTITUzIONALI ritenuto corretto l'operato dell'Amministrazione, incentrate su un'esaustiva ed approfondita ricognizione del quadro normativo costituzionale, internazionale e sovranazionale di riferimento, nonché della giurisprudenza della Corte costituzionale intervenuta con riguardo alla legittimità dei poteri emergenziali esercitati mediante decreti-legge e DDPCM, (cui è conseguita la conclusione che “Il fondamento comune di tutti i provvedimenti adottati dalle autorità politiche governative, nazionali, territoriali e tecniche, è stato -ed è -quello di assicurare, secondo il principio di massima precauzione, la salute dei cittadini, in quanto valore costituzionale primario e non negoziabile, tanto da comprimere -nei limiti e modi di volta in volta ritenuti indispensabili -anche l'esercizio di diversi diritti o libertà individuali, primo fra tutti quello alla libera circolazione”). E la sentenza (n. 391/22), con la quale è stata confermata la legittimità del DM (7 agosto 2020 del Ministero dello sviluppo economico) recante «Piano voucher sulle famiglie a basso reddito», che, a seguito della pandemia, ha previsto un intervento di sostegno per garantire la fruizione di servizi di connessione ad internet in banda ultra larga da parte delle famiglie con ISEE inferiore ad euro 20.000. Nell'ambito della ripresa della piena operatività delle Amministrazioni dopo il primo periodo di lockdown, ha assunto un notevole rilievo il piano di assunzione di personale pubblico previsto dalla legge di Bilancio 2021 che ha autorizzato le Amministrazioni ad incrementare il proprio organico entro il prossimo quadriennio, bandendo nuove procedure concorsuali per migliaia di posti (29.600 posti, di cui oltre 6 mila già dal 2021). Il cospicuo piano di assunzioni -che ha coinvolto i principali Ministeri, le Forze dell'ordine e altri Enti -si è tradotto in una consistente attività del Dipartimento della Funzione Pubblica, del FORMEz PA e dell'ARAN con l'incrementarsi del conseguente contenzioso connesso alle attività concorsuali. Lo stretto legame del TAR Lazio con l'ordinamento eurounitario si è espresso nelle controversie successive alla decisione in sede di rinvio pregiudiziale della Corte di Giustizia proposto dal TAR Lazio. Ricordo per tutte la questione, estremamente rilevante ai fini della corretta applicazione del protocollo di Kyoto, dei presupposti per l'aggregazione delle fonti di emissione ai fini del calcolo della potenza complessiva di un impianto e, conseguentemente, degli effetti inquinanti (sentenza n. 823/22; decisione della CGUE del 29 aprile 2021, causa C-617/19), con riferimento alla nozione di "impianto" unitario, rilevante ai fini del calcolo delle emissioni come definito dalla direttiva 2003/87/CE; e quella definita, con la sentenza n. 10164/21, in conformità ai vincolanti principi enunciati dalla Corte di Giustizia con decisione del 16 luglio 2020 (causa C-411/19), su questione pregiudiziale interpretativa sollevata nello stesso giudizio (provvedimenti in tema di compatibilità ambientale e approvazione del progetto preliminare per la realizzazione di un tratto della RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 3/2021 strada statale n. 675 "Umbro Laziale"), che si segnala perché il TAR ha anche tracciato, ai fini della riedizione del potere, l'iter per il riavvio del procedimento a partire dagli atti annullati. 5. Nel ringraziare ancora, Lei Signor Presidente, i Magistrati e il Personale amministrativo del TAR Lazio, confermo che l'Avvocatura dello Stato e tutti i suoi componenti continueranno a profondere il massimo impegno nello svolgimento degli importanti compiti loro assegnati. Grazie per l'attenzione. Roma, 2 marzo 2022 TEMI ISTITUzIONALI REGOLAMENTO RECANTE NORME PER L’ORGANIZZAZIONE E IL FUNZIONAMENTO DEGLI UFFICI DELL’AVVOCATURA DELLO STATO Da: Grasso Paolo Inviato: venerdì 17 dicembre 2021 23:43 A: Avvocati_tutti; Amministrativi_tutti Oggetto: DPR 214 del 29 ottobre 2021 Allegati: 20211217_299.pdf Informo che nella Gazzetta Ufficiale di oggi, venerdì 17 dicembre 2021, che allego, è stato pubblicato il decreto del Presidente della Repubblica n. 214 del 29 ottobre 2021, Regolamento recante norme per l’organizzazione e il funzionamento degli uffici dell’Avvocatura dello Stato. Il Segretario Generale DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 29 ottobre 2021, n. 214 Regolamento recante norme per l'organizzazione e il funzionamento degli uffici dell'Avvocatura dello Stato IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA Visto l'articolo 87, comma quinto, della Costituzione; Visto l'articolo 17, comma 1, lettera d) della legge 23 agosto 1988, n. 400; Visto il regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611; Visto il regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1612; Vista la legge 3 aprile 1979, n. 103, anche con riferimento alle competenze del consiglio degli avvocati e procuratori dello Stato definite dall'articolo 23; Vista la legge 7 giugno 2000, n. 150, recante disciplina delle attività di informazione e di comunicazione delle pubbliche amministrazioni; Visto il decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, recante norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche; Visto il decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, concernente codice in materia di protezione dei dati per sonali, recante disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento nazionale al regolamento (UE) n. 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera cir colazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE; Visto il decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, recante codice dell'amministrazione digitale; Vista la legge 6 novembre 2012, n. 190, recante dispo sizioni per la prevenzione e la repressione della corruzio ne e dell'illegalità nella pubblica amministrazione; Visto il decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, recan te riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni; Visto l'articolo 15, comma 01, del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2018, n. 132, che attribuisce all'Avvocato generale RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 3/2021 dello Stato le funzioni di Agente del Gover no a difesa dello Stato italiano dinanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo; Visto l'articolo 1, comma 318, della legge 30 dicembre 2018, n. 145, secondo il quale la dotazione organica dell'Avvocatura dello Stato è incrementata di 6 posizioni di livello dirigenziale non generale e di 85 unità di perso nale non dirigenziale; Visto l'articolo 1, comma 172, della legge 27 dicembre 2019, n. 160, secondo il quale al fine di supportare l'Agente del Governo a difesa dello Stato italiano dinanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo l'Avvocato generale dello Stato può nominare esperti, nel numero massi-modi otto; Visto l'articolo 1-bis, comma 2, del decreto-legge 31 dicembre 2020, n. 183, inserito dalla legge di conver sione 26 febbraio 2021, n. 21, secondo il quale, a decorrere dall'anno 2021, la dotazione organica del personale amministrativo dell'Avvocatura dello Stato è incrementata di 27 posizioni di livello dirigenziale non generale e di 166 unità di personale dell'Area III; Visto il decreto del Presidente della Repubblica 31 dicembre 1993, n. 584, recante norme sugli incarichi con sentiti o vietati agli avvocati e procuratori dello Stato ai sensi dell'articolo 58 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29; Visto il decreto del Presidente della Repubblica 5 luglio 1995, n. 333, recante norme per l'adeguamento dell'organizzazione e del funzionamento delle strutture amministrative dell'Avvocatura dello Stato alla disciplina prevista dall'articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421; Sentito il Consiglio di amministrazione dell'Avvocatura dello Stato nella seduta del 14 maggio 2021; Vista la deliberazione preliminare del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione del 15 luglio 2021; Udito il parere del Consiglio di Stato, espresso dalla Sezione consultiva per gli atti normativi nell'adunanza del 7 settembre 2021; Vista la deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione del 15 ottobre 2021; Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro per la pubblica amministrazione; EMANA il seguente regolamento: Art. 1. Oggetto e ambito di applicazione 1. Le disposizioni del presente regolamento disciplinano l'organizzazione e il funzionamento degli uffici dell'Avvocatura dello Stato, nel rispetto delle previsioni del regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611, della legge 3 aprile 1979, n. 103, e delle altre norme di legge che disciplinano la specifica materia. Art. 2. Criteri di organizzazione 1. L'Avvocatura dello Stato è ordinata secondo i seguenti criteri: a) articolazione degli uffici per funzioni omogenee; b) collegamento e coordinamento delle attività degli uffici, nel rispetto del principio di collaborazione, anche attraverso la comuncazione interna ed esterna e l'interconnessione mediante sistemi informatici e statistici pubblici; c) trasparenza, attraverso apposita struttura per l'in formazione ai cittadini e alle amministrazioni, e, per ciascun procedimento, attribuzione ad un unico ufficio della responsabilità complessiva dello stesso, nel rispetto della legge 7 agosto 1990, n. 241; TEMI ISTITUzIONALI d) armonizzazione degli orari di servizio e di aper tura degli uffici con le esigenze di funzionamento degli uffici giurisdizionali e con gli orari delle amministrazioni pubbliche dei Paesi e delle Istituzioni dell'Unione europea. Art. 3. Dotazione organica 1. La consistenza della dotazione organica del personale amministrativo di cui all'articolo 6 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, è definita, nell'ambito del po tenziale limite finanziario massimo della medesima, nel piano dei fabbisogni adottato con decreto dell'Avvocato generale dello Stato e approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro delegato, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze. 2. La consistenza della dotazione organica di cui al comma 1 è determinata, con riferimento a ciascuna sede territoriale, tenendo anche conto del numero di affari contenziosi e consultivi, nonché d'ordine e amministrativi, impiantati nell'ultimo triennio, del numero degli atti defensionali depositati e della corrispondenza inviata e ricevuta nell'ultimo triennio. Art. 4. Indirizzo amministrativo 1. L'Avvocato generale dello Stato definisce gli obiettivi ed i programmi da attuare avvalendosi del Segretario generale e verifica la rispondenza dei risultati della gestione amministrativa alle direttive generali impartite. A tal fine, anche sulla base delle proposte del Segretario generale, adotta ogni anno le direttive generali da seguire per l'azione amministrativa e per la gestione. 2. L'Avvocato generale è titolare, ai sensi della legge 7 giugno 2000, n. 150, dell'informazione e della comu nicazione istituzionale, che cura avvalendosi dell'Ufficio stampa di cui all'articolo 9, comma 2, della predetta leg ge, istituito quale struttura di livello non dirigenziale nei limiti delle risorse disponibili a legislazione vigente. 3. L'Avvocato generale, per lo svolgimento delle sue funzioni, può avvalersi della collaborazione di avvocati e procuratori dello Stato, fiduciariamente scelti. 4. Gli atti di competenza del Segretario generale e degli altri dirigenti non sono soggetti ad avocazione da parte dell'Avvocato generale. In caso di inerzia o ritardo si ap plicano le disposizioni di cui agli articoli 14, comma 3, e 15, comma 5, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. Art. 5. Attribuzioni del Segretario generale 1. Al Segretario generale spetta la gestione finanziaria, tecnico-organizzativa e amministrativa, compresa l'adozione di tutti gli atti che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di con trollo, ad eccezione di quelli delegati ai dirigenti. Egli è responsabile della gestione e dei relativi risultati. 2. In particolare, il Segretario generale: a) formula proposte all'Avvocato generale anche ai fini di cui all'articolo 4, comma 1; b) cura l'attuazione delle direttive generali emanate dall'Avvocato generale; c) conferisce gli incarichi ai dirigenti ai sensi dell'articolo 19 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e ne valuta le prestazioni alla stregua dei risultati raggiunti in relazione agli obiettivi annuali loro assegnati. La valu tazione del dirigente preposto all'Ufficio amministrativo unico distrettuale di cui all'articolo 16 è effettuata sentito l'Avvocato distrettuale competente; RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 3/2021 d) esercita i poteri di spesa nei limiti degli stanziamenti di bilancio e quelli di acquisizione delle entrate, definendo i limiti di valore delle spese che i dirigenti possono impegnare; e) definisce i criteri di organizzazione degli uffici, in conformità all'articolo 2, secondo le direttive dell'Avvo cato generale di cui all'articolo 4, comma 1; f) dirige, coordina e controlla l'attività dei dirigenti e dei responsabili dei procedimenti amministrativi, anche con potere sostitutivo in caso di inerzia, e adotta, nei confronti dei dirigenti, le misure previste dall'articolo 21 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165; g) svolge le attività di organizzazione e gestione del personale e di gestione dei rapporti sindacali e di lavoro; h) decide sui ricorsi gerarchici contro gli atti e i provvedimenti amministrativi non definitivi dei dirigenti; i) fornisce risposte ai rilievi degli organi di controllo sugli atti di competenza. 3. Fermo restando il disposto dell'articolo 6 del regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1612, il Segretario generale, per lo svolgimento delle sue funzioni, può avvalersi della collaborazione di avvocati e procuratori dello Stato, addetti all'Ufficio di segreteria generale, nominati dall'Avvocato generale su proposta del Segretario generale. 4. Il Segretario generale è responsabile del risultato dell'attività svolta dall'ufficio di segreteria generale cui è preposto, dell'attuazione delle direttive a lui impartite dall'Avvocato generale, della gestione del personale e delle risorse finanziarie e strumentali a lui assegnate. En tro il 30 aprile di ogni anno presenta all'Avvocato generale una relazione complessiva sul- l'attività svolta nell'anno precedente. Art. 6. Attribuzioni degli Avvocati distrettuali 1. Gli Avvocati distrettuali, oltre alle competenze previste da disposizioni legislative e regolamentari, svolgo no le seguenti funzioni: a) definiscono, in esecuzione delle direttive adottate dall'Avvocato generale, gli obiettivi e i programmi da attuare nell'ambito delle rispettive Avvocature distrettuali, indicandone la priorità. A tal fine adottano ogni anno le direttive generali da seguire per l'azione amministrativa e per la gestione, anche sulla base delle proposte formulate, nell'esercizio delle attribuzioni disciplinate dall'articolo 7, dal dirigente preposto all'Ufficio amministrativo unico distrettuale di cui all'articolo 16; b) richiedono, anche su proposta del dirigente preposto all'ufficio amministrativo unico distrettuale, il contingente di personale amministrativo necessario alle esigenze funzionali delle rispettive Avvocature distrettuali; c) esercitano, anche avvalendosi del dirigente preposto all'Ufficio amministrativo unico distrettuale, la sorveglianza sull'andamento dei servizi ed effettuano la verifica della rispondenza dei risultati della gestione amministrativa alle direttive impartite ai sensi della lettera a); d) dispongono in ordine all'adeguamento dell'orario di servizio alla specifica realtà locale, tenuto conto dei criteri generali determinati dal Segretario generale. 2. Gli Avvocati distrettuali sono responsabili dell'attuazione delle direttive ad essi impartite dall'Avvocato generale. Entro il 30 aprile di ogni anno presentano all'Avvocato generale una relazione complessiva sull'attività svolta nell'anno precedente. Art. 7. Attribuzioni dei dirigenti 1. I dirigenti esercitano i compiti e assumono le respon sabilità previsti dal decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. In particolare: TEMI ISTITUzIONALI a) formulano proposte ed esprimono pareri al Segretario generale e, in sede locale, all'Avvocato distrettuale; b) curano l'attuazione dei progetti e delle gestioni ad essi assegnati dal Segretario generale, adottando i relativi atti e provvedimenti amministrativi ed esercitando i poteri di spesa e di acquisizione delle entrate delegati dal Segretario generale, nell'ambito delle sue direttive e, in sede locale, di quelle dell'Avvocato distrettuale: c) svolgono tutti gli altri compiti ad essi delegati dal Segretario generale; d) dirigono, coordinano e controllano l'attività degli uffici ad essi affidati e dei responsabili dei procedimenti amministrativi, anche esercitando poteri sostitutivi in caso di inerzia ai sensi dell'articolo 17, comma 1, lett. d), del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165; e) provvedono alla gestione del personale e delle risorse finanziarie e strumentali assegnati agli uffici ad essi affidati; f) effettuano la valutazione del personale assegnato agli uffici ad essi affidati, nel rispetto del principio del merito, ai fini della progressione economica e tra le aree, nonché della corresponsione di indennità e premi incentivanti; g) forniscono le risposte ai rilievi degli organi di controllo sugli atti di propria competenza. 2. I dirigenti sono responsabili del risultato dell'attività svolta dagli uffici ai quali sono preposti, dell'attuazione delle direttive ad essi impartite dal Segretario generale e, in sede locale, dall'Avvocato distrettuale, della gestione del personale e delle risorse finanziarie e strumentali ad essi assegnate. Entro il 31 marzo di ogni anno presentano al Segretario generale e, in sede locale, anche all'Avvocato distrettuale, una relazione complessiva sull'attività svolta nell'anno precedente. Art. 8. Ufficio studi e formazione professionale 1. L'Ufficio studi e formazione professionale è struttura di livello non dirigenziale ed è costituito da avvocati o procuratori dello Stato nominati dall'Avvocato generale e coordinati dal- l'Avvocato generale aggiunto o da un Vice Avvocato generale. L'incarico dei componenti dura tre anni ed è rinnovabile non più di una volta. 2. L'Ufficio studi coadiuva l'Avvocato generale nelle seguenti attività: a) predisposizione delle relazioni periodiche previste dall'articolo 15 del regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611; b) elaborazione di studi e ricerche della normativa e della giurisprudenza rilevanti; c) rilevazione e analisi dell'attività parlamentare; d) elaborazione dei programmi di formazione e aggiornamento professionale degli avvocati e procuratori dello Stato. Art. 9. Segreterie particolari e Segreteria degli organi collegiali 1. Alle dirette dipendenze dell'Avvocato generale e del Segretario generale operano le rispettive segreterie particolari, cui sono addette unità di personale della dotazione organica dell'Avvocatura generale che attendono agli adempimenti connessi alle rispettive attività istituzionali. 2. La Segreteria particolare dell'Avvocato generale attende anche agli adempimenti connessi al cerimoniale, alla organizzazione di congressi e incontri di studio e alla partecipazione agli stessi. 3. Nell'ambito dell'ufficio di Segreteria generale opera la Segreteria degli organi collegiali, cui sono addette unità di personale che curano gli adempimenti relativi al funzionamento del RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 3/2021 Comitato consultivo, del Consiglio degli avvocati e procuratori dello Stato e del Consiglio di amministrazione. Art. 10. Responsabile per la transizione digitale 1. Il Responsabile per la transizione digitale è nominato dall'Avvocato generale, sentito il Segretario generale, tra gli avvocati dello Stato dotati di specifiche competenze ed esperienze professionali. L'incarico dura al massimo cinque anni ed è rinnovabile non più di una volta. 2. Il Responsabile per la transizione digitale cura i rap porti con le autorità e le amministrazioni che hanno competenze in ambito informatico, anche con riferimento ai processi giurisdizionali telematici, e definisce la strategia per l'assolvimento dei compiti di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, secondo le direttive dell'Avvo cato generale, nell'ottica della transizione verso modalità operative digitali, in conformità alle linee di indirizzo per l'informatica nella pubblica amministrazione e, in generale, alle vigenti disposizioni in materia di informatizzazione della pubblica amministrazione. Per lo svolgimento dei suoi compiti il Responsabile per la transizione digitale si avvale dell'ufficio VII -Risorse informatiche e statistica di cui all'articolo 15, comma 8. Art. 11. Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza I. Il Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza (RPCT) è nominato dall'Avvocato generale, sentito il Segretario generale, di norma tra i dirigenti di ruolo in servizio presso l'Avvocatura dello Stato in possesso di adeguata conoscenza dell'organizzazione e del funzionamento dell'amministrazione. 2. Il RPCT svolge i compiti stabiliti dall'articolo 1, comma 7, della legge 6 novembre 2012, n. 190. 3. A supporto del RPCT è costituita una unità organizzativa di livello non dirigenziale. Il personale assegnato è destinatario di specifica formazione. Art. 12. Responsabile della protezione dei dati personali 1. Il Responsabile della protezione dei dati personali è nominato dall'Avvocato generale, sentito il Segretario generale, tra gli avvocati o i procuratori dello Stato dotati di specifiche competenze ed esperienze professionali in materia. L'incarico dura al massimo cinque anni, al ter mine dei quali non può essere rinnovato. 2. lI Responsabile della protezione dei dati perso nali svolge i compiti stabiliti dal regolamento (UE) n. 2016/679 del Parlamento europeo e dl Consiglio, del 27 aprile 2016, e dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196. Art. 13. Organismo di valutazione della performance 1. L'Organismo di valutazione della performance ha il compito di valutare il funzionamento complessivo del sistema della valutazione, della trasparenza e integrità dei controlli interni e di garantire la correttezza dei processi di misurazione e valutazione della performance individuale del personale amministrativo. L'Organismo di valutazio ne opera in posizione di autonomia e risponde esclusivamente nei confonti dell'Avvocato generale dello Stato. 2. L'Organismo di valutazione è composto da un Vice Avvocato generale dello Stato, che lo presiede, e da due avvocati dello Stato, nominati dall'Avvocato generale. Il mandato dei componenti dell'organismo dura tre anni ed è rinnovabile non più di una volta. TEMI ISTITUzIONALI Art. 14. Organizzazione delle strutture amministrative dell'Avvocatura generale dello Stato 1. L'Avvocatura generale è articolata nei seguenti uffici dirigenziali di livello non generale: a) Ufficio I - Affari generali, programmazione e risorse umane; b) Ufficio II - Ragioneria, bilancio e trattamento economico; c) Ufficio III - Risorse strumentali e logistica; d) Ufficio lV - Contratti e documentazione giuridica; e) Ufficio V -Archivio e impianti; f) Ufficio VI - Servizi legali; g) Ufficio VII - Risorse informatiche e statistica; h) Ufficio VIII - Compensi professionali. 2. Gli Uffici di cui al comma 1 sono articolati nei servizi di livello non dirigenziale secondo le disposizioni di cui all'articolo 15, cui sono preposti funzionari di area terza. 3. L'articolazione dei servizi di cui all'articolo 15 trova applicazione presso le Avvocature distrettuali en tro limiti funzionali alla dimensione di ogni Avvocatura distrettuale. 4. Gli Uffici di cui al comma 1, nell'ambito delle rispettive competenze, assicurano adeguato supporto anche alle Avvocature distrettuali dello Stato. Art. 15. Attribuzioni degli Uffici e dei Servizi dell'Avvocatura generale dello Stato 1. Gli Uffici e i Servizi sono articolati secondo quanto previsto dal presente articolo. 2. L'Ufficio I -Affari generali, programmazione e risorse umane cura gli affari generali, la programmazione, la gestione del personale e della documentazione giuridica ed è articolato nei seguenti Servizi, con le competenze per ciascuno di seguito indicate: a) Servizio affari generali, organizzazione e meto do: ricezione, protocollo e smistamento della corrispon denza non riguardante affari legali; raccolta e conser vazione della normativa interna e degli atti relativi agli affari di Segreteria generale; relazioni con il pubblico, ai sensi dell'articolo 11 del decreto legislativo 30 mar zo 2001, n. 165; programmazione e pianificazione strategica dell'attività amministrativa dell'Avvocatura dello Stato, anche mediante la predisposizione del piano della performance e la redazione della relazione annuale sulla performance e della direttiva annuale dell'Avvocato generale sull'azione amministrativa; misurazione della performance e dei risultati dell'attività amministrativa, anche in funzione di supporto dell'organismo di valutazione della performance di cui all'articolo 13; formulazione di proposte di miglioramento dell'azione amministrativa e del benessere organizzativo; ufficio di supporto del Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, nonche del Responsabile della protezione dei dati personali; b) Servizio personale: gestione del personale, reclu tamento e trattamento giuridico degli avvocati e procuratori dello Stato e del personale amministrativo, formazione, disciplina, stato giuridico, gestione dei procedimenti disciplinari; predisposizione del piano dei fabbisogni; rapporti con le organizzazioni sindacali e contrattazione decentrata; svolgimento della pratica forense; conferimento di onorificenze; procedimento per il rilascio delle tessere di riconoscimento. Nell'ambito dell'ufficio è nominato il Responsabile dei processi di inserimento delle persone con disabilità, ai sensi dell'articolo 39-ter del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 3/2021 2. L'Ufficio II -Ragioneria, bilancio e trattamento economico cura la redazione del bilancio, la gestione dei capitoli e il trattamento economico del personale ed è articolato nei seguenti servizi, con le competenze per ciascuno di seguito indicate: a) Servizio ragioneria e bilancio: formazione e gestione dei capitoli di bilancio destinati all'acquisizione di beni e servizi; previsione e consuntivo delle spese di investimento e per consumi intermedi nell'ambito del bilancio finanziario ed economico; attività di coordinamento per la gestione del bilancio finanziario ed economico dell'Avvocatura dello Stato; gestione dei fondi spesa degli enti ed altri soggetti patrocinati e attività consequenziali; b) Servizio trattamento economico e di quiescenza degli avvocati e procuratori dello Stato: trattamento economico fondamentale e accessorio degli avvocati e procuratori dello Stato in servizio; previsione, gestione e consuntivo delle spese di personale degli avvocati e procuratori dello Stato nell'ambito del bilancio finanziario ed economico; accertamento dei servizi utili altrattamento di quiescenza e previdenza e alla liquidazione dei trattamenti pensionistici e di fine rapporto degli avvocati e procuratori dello Stato; c) Servizio trattamento economico e di quiescenza del personale amministrativo e provvidenze economiche: trattamento economico fondamentale e accessorio del personale amministrativo in servizio; previsione, gestione e consuntivo delle spese di personale amministrativo nell'ambito del bilancio finanziario ed economico; accertamento dei servizi utili al trattamento di quiescenza e previdenza e alla liquidazione dei trattamenti pensionistici e di fine rapporto del personale amministrativo; adempimenti in materia di sussidi e altre provvidenze econo miche in favore degli avvocati e procuratori dello Stato e del personale amministrativo. 4. L'Ufficio III -Risorse strumentali e logistica cura l’approvvigionamento e la manutenzione di beni e servizi, la vigilanza e la logistica ed è articolato nei seguenti ser vizi, con le competenze per ciascuno di seguito indicate: a) Servizio economato: riscossione e pagamento di somme di denaro, custodia valori e rendicontazione; richiesta di acquisizione dei beni mobili, dei servizi e rendicontazione; cura dei lavori di manutenzione ordinaria degli immobili sede dell'Avvocatura generale dello Stato nonché dei servizi di custodia, tecnici e di pulizia dei locali; telecomunicazioni; manutenzione delle apparecchiature multifunzione e dei veicoli di servizio; ritiro e spedizione posta; b) Servizi ausiliari: vigilanza, gestione delle esigenze logistiche e movimentazione, servizio automobilistico, servizio di portineria. centralino, fotocopie. 5. L'Ufficio IV -Contratti e documentazione giuridica cura le procedure per l'acquisizione di beni e servizi nonché l'acquisizione e la conservazione di libri, riviste e banche dati informatiche ed è articolato nei seguenti servizi, con le competenze per ciascuno di seguito indicate: a) Servizio contratti: predisposizione e gestione delle procedure per le acquisizioni di lavori, servizi e forniture, anche informatici, di competenza dell'Avvocatura generale, tenuto conto del programma delle acquisizioni, nonché delle esigenze rappresentate dagli Uffici, anche in relazione alle scadenze contrattuali, nei limiti delle disponibilità di bilancio; acquisizione dagli Uffici dei capitolati tecnici relativi ai lavori, ai servizi e alle forniture da espletare, nonché di ogni ulteriore supporto tecnico, ove necessari; assolvimento degli obblighi di comunicazione all'Autorità nazionale anticorruzione e degli obblighi di pubblicità e di trasparenza inerenti ai procedimenti di competenza; b) Servizio documentazione giuridica: servizio di biblioteca, di banche dati professionali e acquisto di libri: adempimenti per la stampa o copia delle pubblicazioni di servizio; ricerche presso banche dati esterne; supporto per la pubblicazione della Rassegna dell'Avvocatura dello Stato; attività di ricognizione e divulgazione delle novità normative e giurisprudenziali rile TEMI ISTITUzIONALI vanti per lo svolgimento dell'attività istituzionale, anche in funzione di supporto degli altri Uffici. 6. L'Ufficio V -Archivio e impianti cura la protocollazione e lo smistamento del flusso di corrispondenza ed atti giudiziari in entrata e in uscita ed è articolato nei seguenti servizi, con le competenze per ciascuno di seguito indicate: a) Servizio protocollo in entrata e impianti: adempimenti e lavorazioni relativi ad atti notificati, corrispon denza in arrivo, impianto affari; b) Servizio protocollo in uscita: adempimenti e lavo razioni relativi alla corrispondenza in partenza. 7. L'Ufficio VI -Servizi legali cura le attività strumen tali e di supporto alla professione legale ed è articolato nei seguenti servizi, con le competenze per ciascuno di seguito indicate: a) Servizio collaborazione professionale: servizio di segreteria di avvocati e procuratori; redazione materiale di atti e lettere, espletamento delle attività telematiche di gestione e deposito di atti e documenti e di notificazione di atti e provvedimenti; b) Servizio attività esterna e agenda: adempimen ti interni ed esterni in materia di: notificazione di atti e provvedimenti, depositi, ricerche e altri incombenti presso le cancellerie e segreterie delle autorità giudiziarie; acquisizione e lavorazione sentenze o altri provvedimenti decisori; agenda e scadenziere; c) Servizio supporto all'Agente del Governo presso la Corte europea dei diritti dell'uomo: adempimenti connessi alle attività istituzionali di competenza dell'Agente del Governo a difesa dello Stato italiano dinanzi alla Cor te europea dei diritti dell'uomo. 8. L'Ufficio VII -Risorse informatiche e statistica cura l'attività di analisi statistica, pianificazione e sviluppo dei sistemi informatici e della digitalizzazione, anche a supporto, per le materie di competenza, del Responsabile per la transizione digitale, ed è articolato nei seguenti servizi, con le competenze per ciascuno di seguito indicate: a) Servizio statistica e pianificazione: analisi statistiche riferite al patrimonio dati dell'amministrazione, anche in funzione di supporto degli altri Uffici; programmazione degli interventi di sviluppo e manutenzione evolutiva dei sistemi informativi in coerenza con le strategie dell'Avvocatura dello Stato e verifica dei risultati pianificati; definizione di accordi e protocolli d'intesa con altre pubbliche amministrazioni; supporto, per le materie di competenza, al Responsabile per la transizione digitale; b) Servizio informatica e digitalizzazione: acquisizione delle risorse strumentali in ambito ICT (Information and Communication Technology); gestione e manu tenzione dei sistemi elaborativi, degli apparati di rete e di sicurezza, con i relativi software costituenti il sistema informativo dell'Avvocatura generale; analisi, sviluppo e formazione di software applicativo e gestionale, curando la progettazione e l'implementazione di tutte le architetture ICT; assistenza tecnica agli utenti dell'Avvocatura dello Stato relativamente alle apparecchiature e ai sistemi informatici. 9. L'Ufficio VIII -Compensi professionali cura la liquidazione, il recupero e il riparto dei compensi professionali ed è articolato nei seguenti servizi, con le competenze per ciascuno di seguito indicate: a) Servizio liquidazione e recupero onorari: liquidazione e recupero onorari di competenza dell'Avvocatura generale dello Stato; istruttoria per onorari di competenza delle Avvocature distrettuali dello Stato; b) Servizio riparto onorari: rendicontazione e ripar to degli onorari di competenza dell'Avvocatura generale dello Stato; verifica dei rendiconti delle somme esatte a titolo di onorari di RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 3/2021 causa e relativi riparti e liquidazione a favore degli avvocati e procuratori dello Stato e del personale amministrativo avente diritto presso ciascun Ufficio dell'Avvocatura dello Stato; riparto e liquidazione dei compensi affluiti al fondo perequativo degli avvocati e procuratori dello Stato e al fondo perequativo del perso nale amministrativo. Art. 16. Uffici amministrativi unici distrettuali 1. Presso ciascuna Avvocatura distrettuale dello Stato è istituito un Ufficio amministrativo unico, di livello dirigenziale non generale, per la gestione unificata dei servizi amministrativi, comunque nei limiti della vigente dotazione organica del personale dirigenziale di livello non generale. Art. 17. Disposizioni transitorie 1. Le strutture esistenti alla data di entrata in vigore del presente decreto e i provvedimenti di attribuzione della titolarità degli organi e degli uffici in corso di efficacia alla medesima data sono fatti salvi fino alla definizione delle procedure di conferimento della titolarità delle strutture oggetto di riorganizzazione ai sensi del presente decreto. Fino alla conclusione delle procedure di conferimento della titolarità delle strutture oggetto di riorganizzazione ai sensi del presente decreto, le strutture già esistenti proseguono lo svolgimento delle ordinarie attività con le risorse umane e strumentali loro assegnate dalla normativa vigente. Art. 18. Disposizioni finali e abrogazioni 1. Con decreti motivati dell'Avvocato generale, sulla base di criteri di economicità, funzionalità, accorpamento di funzioni omogenee ed eliminazione di duplicazioni funzionali, possono essere definiti in dettaglio i compiti degli Uffici dirigenziali stabiliti dal presente decreto e rideterminate le articolazioni dei servizi definite dal presente decreto. 2. All'attuazione del presente decreto si provvede nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e senza nuovi o maggio ri oneri per la finanza pubblica. 3. Il decreto del Presidente della Repubblica 5 luglio 1995, n. 333, è abrogato a decorrere dall'entrata in vigore del presente regolamento. Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare. Dato a Roma, addì 29 ottobre 2021 MATTARELLA DRAGHI, Presidente del Con siglio dei ministri BRUNETTA, Ministro per la pubblica amministrazio ne Visto, il Guardasigilli: CARTABIA Registrato alla Corte dei conti il 2 dicembre 2021 Ufficio controllo atti P.C.M. Ministeri della giustizia e degli affari esteri e della cooperazione internazionale, reg.ne succ. n. 2876 ContenzioSoComUnitarioedinternazionaLe Corte di giustizia Ue: filiazione omogenitoriale, preminenza dell’interesse superiore del minore nel rispetto della identità nazionale e costituzionale di ciascun Stato membro. Le osservazioni del Governo italiano Corte di Giustizia dell’unione europea, Grande sezione, sentenza 14 diCembre 2021, Causa C-490/20 CT 38148/20 Avv. Ferrante CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA OSSERVAZIONI del GOVERNO DELLA REPUBBLICA ITALIANA, in persona dell’Agente designato per il presente giudizio, domiciliato presso l’Ambasciata d’Italia a Lussemburgo nella causa C-490/20 promossa ai sensi dell’art. 267 TFUE con ordinanza del 2 ottobre 2020 del Administrativen sad Sofia-grad - Bulgaria. ** ** ** 1. Con l’ordinanza in epigrafe, è stato chiesto alla Corte di Giustizia dell’Unione europea di pronunciarsi, ai sensi dell’art. 267 TFUE, sulle seguenti questioni pregiudiziali: 1. se l’articolo 20 tFue e l’articolo 21 tFue nonché gli articoli 7, 24 e 45 della Carta dei diritti fondamentali dell’unione europea debbano essere interpretati nel senso che non consentono alle autorità amministrative bulgare, presso le quali è stata presentata una domanda di certificazione della nascita di un bambino con nazionalità bulgara avvenuta in un altro stato membro dell’unione, che è stata attestata da un certificato di nascita spagnolo, nel quale due persone di sesso femminile sono registrate come madri, senza precisare ulteriormente se una di loro, e in caso affermativo quale, sia la madre biologica del bambino, di rifiutare il rilascio di un certificato di nascita bul RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 3/2021 garo con la motivazione che la ricorrente si rifiuta di indicare chi è la madre biologica del bambino. 2. se l’articolo 4, paragrafo 2, tue e l’articolo 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’unione europea debbano essere interpretati nel senso che la salvaguardia dell’identità nazionale e dell’identità costituzionale degli stati membri dell’unione significa che questi ultimi dispongono di un’ampia discrezionalità con riferimento alle disposizioni per l’accertamento della filiazione. in particolare: -se l’articolo 4, paragrafo 2, tue debba essere interpretato nel senso che consente agli stati membri di richiedere informazioni sulla discendenza biologica del bambino; -se l’articolo 4, paragrafo 2, tue in combinato disposto con l’articolo 7 e l’articolo 24, paragrafo 2, della Carta debba essere interpretato nel senso che è imprescindibile ponderare, da una parte, l’identità nazionale e l’identità costituzionale di uno stato membro e, dall’altra, l’interesse superiore del bambino nell’intento di bilanciare gli interessi, tenuto conto del fatto che attualmente non sussiste un consenso né dal punto di vista dei valori né da quello giuridico sulla possibilità di far registrare come genitori in un certificato di nascita persone dello stesso sesso, senza precisare ulteriormente se uno di loro, e in caso affermativo quale, sia il genitore biologico del bambino. in caso di risposta positiva a tale domanda, come si possa realizzare concretamente detto bilanciamento di interessi. 3. se le conseguenze giuridiche della brexit siano rilevanti per la risposta alla prima questione in quanto una delle madri, che è indicata nel certificato di nascita rilasciato in un altro stato membro, è cittadina del regno unito, l’altra madre è cittadina di uno stato membro dell’unione, se si considera in particolare che il rifiuto di rilasciare un certificato di nascita bulgaro del bambino rappresenta un ostacolo per il rilascio di un certificato di identità del bambino da parte di uno stato membro dell’unione e, di conseguenza, rende eventualmente più difficile il pieno esercizio dei suoi diritti come cittadino dell’unione. 4. se, in caso di risposta affermativa alla prima questione, il diritto dell’unione, in particolare il principio di effettività, obblighi le competenti autorità nazionali a discostarsi dal modello per la redazione di un certificato di nascita, che è parte costitutiva del diritto nazionale vigente. esposizione dei fatti di causa 2. La questione pregiudiziale sollevata dal Tribunale amministrativo Bulgaro riguarda la conformità agli artt. 20 e 21 TFUE nonché agli artt. 7, 24 e 45 della Carta di Nizza della legislazione Bulgara, che preclude il rilascio, da parte del Comune di Sofia, di un certificato di nascita di un minore, nato in Spagna nel 2019 ed ivi soggiornante, dal quale risultino come madri due persone dello stesso sesso, una cittadina bulgara, anch’essa soggiornante in Spagna, e una cittadina britannica che hanno contratto matrimonio nel Regno Unito. CONTENZIOSO COmUNITARIO ED INTERNAZIONALE 3. Nel certificato di nascita rilasciato in Spagna, risultano, quali genitori, due persone di sesso femminile: la cittadina bulgara, designata come "madre A", e la cittadina del Regno Unito, indicata come "madre". 4. La cittadina bulgara ricorrente ha richiesto alle competenti autorità bulgare il rilascio di un certificato di nascita del minore, sulla base dell'estratto del certificato di nascita di cui sopra. 5. Il Comune di Sofia, competente per la registrazione, ha assegnato alla ricorrente un termine per la presentazione delle prove della discendenza genetica del bambino rispetto alla sua madre biologica. 6. Tale informazione non è stata fornita in quanto, ad avviso della ricorrente, non vi è obbligo in tal senso alla luce della pertinente normativa vigente in Bulgaria. 7. Conseguentemente, il Comune di Sofia ha rifiutato di redigere il certificato di nascita. 8. La legislazione bulgara prevede, come quella italiana, che si considera madre chi ha partorito il nato; entrambe le normative non prevedono il matrimonio tra persone dello stesso sesso (quella bulgara non contempla nemmeno forme di unione civile da cui derivino effetti giuridici) e, analogamente, non prevedono il riconoscimento di una filiazione da parte di persone dello stesso sesso. 9. Contro il rifiuto di rilasciare il certificato di nascita recante l’indicazione di due madri è stato presentato ricorso al tribunale amministrativo al fine di ottenere un ordine a carico del Comune di Sofia di redigere detto certificato. 10. Le ragioni dell'amministrazione si basano sul fatto che non sussistono dati sufficienti sulla discendenza del bambino in relazione alla madre biologica e che la legislazione bulgara vigente non consente la registrazione di due genitori entrambi di sesso femminile (o entrambi di sesso maschile) nel certificato di nascita di un bambino, atteso che in Bulgaria è attualmente inammissibile il matrimonio tra persone dello stesso sesso, per cui non è neppure possibile registrare due genitori dello stesso sesso nell'atto di nascita, in quanto ciò contrasterebbe con l'ordine pubblico. 11. Secondo la parte ricorrente, invece, in base alle norme di diritto internazionale privato vigenti in Bulgaria e in base alla pertinente giurisprudenza della Corte di giustizia, in questo caso, non potrebbe essere sollevato il limite dell'ordine pubblico. 12. Inoltre la decisione impugnata costituirebbe un'interferenza illecita nella vita privata della richiedente, così come nel diritto, suo e della cittadina britannica, alla vita privata e familiare, nella misura in cui è stata richiesta una prova sulla discendenza biologica del figlio. normativa dell’Unione. 13. L’art. 20 del TFUE istituisce la cittadinanza dell’Unione e stabilisce che “è cittadino dell’unione chiunque abbia la cittadinanza di uno stato membro”. 14. L’art. 21 del TFUE prevede che “ogni cittadino dell’unione ha il di RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 3/2021 ritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli stati membri, fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dai trattati e dalle disposizioni adottate in applicazione degli stessi”. 15. Ai sensi dell’art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, c.d. Carta di Nizza, “ogni individuo ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e delle sue comunicazioni”. 16. L’art. 9 della Carta di Nizza dispone che “il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio” (enfasi aggiunta). 17. L’art. 24 della Carta di Nizza sui diritti del bambino prevede che “1. i bambini hanno diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere. essi possono esprimere liberamente la propria opinione; questa viene presa in considerazione sulle questioni che li riguardano in funzione della loro età e della loro maturità. 2. in tutti gli atti relativi ai bambini, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del bambino deve essere considerato preminente. 3. ogni bambino ha diritto di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, salvo qualora ciò sia contrario al suo interesse”. 18. A norma dell’art. 45 della Carta di Nizza, recante libertà di circolazione e di soggiorno, “1. ogni cittadino dell’unione ha il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli stati membri. 2. la libertà di circolazione e di soggiorno può essere accordata, conformemente al trattato che istituisce la Comunità europea, ai cittadini dei paesi terzi che risiedono legalmente nel territorio di uno stato membro”. 19. L’art. 4, paragrafo 2 del TUE stabilisce che “l’unione rispetta l’uguaglianza degli stati membri davanti ai trattati e la loro identità nazionale insita nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale, compreso il sistema delle autonomie locali e regionali. rispetta le funzioni essenziali dello stato, in particolare le funzioni di salvaguardia dell’integrità territoriale, di mantenimento dell’ordine pubblico e di tutela della sicurezza nazionale. in particolare, la sicurezza nazionale resta di esclusiva competenza di ciascuno stato membro” (enfasi aggiunta). risposta al primo quesito 20. Con il primo quesito, il giudice del rinvio chiede in sostanza alla Corte di giustizia di chiarire se gli articoli 20 (cittadinanza dell’Unione) e 21 (diritto di circolazione e di soggiorno nel territorio degli Stati membri) TFUE e gli articoli 7 (rispetto della vita privata e familiare), 24 (diritti del fanciullo) e 45 (libertà di circolazione e stabilimento) della Carta dei diritti fondamentali impediscano alle autorità amministrative bulgare di rifiutare il rilascio del certificato di nascita di un bambino nato in un altro Stato membro del- l'Unione, per il quale le autorità di questo Stato hanno registrato due madri, senza precisare quale delle due sia la madre biologica, adducendo (le autorità CONTENZIOSO COmUNITARIO ED INTERNAZIONALE bulgare) quale motivo ostativo la mancata indicazione, da parte della richiedente, della madre biologica. 21. Il giudice del rinvio ritiene che il caso ricada nell'ambito di applicazione del diritto dell'Unione in quanto il minore è figlio di un cittadino del- l'Unione che soggiorna legalmente nel territorio di un altro Stato membro ed ha quindi anche motivo di invocare il diritto alla libera circolazione. 22. Il rifiuto di rilasciare un certificato di nascita, necessario per ottenere un documento di identità, influirebbe sull'esercizio di tale diritto. 23. Le ragioni del rifiuto si fondano nella concezione della famiglia tradizionale, radicata nella Costituzione bulgara, e che trova espressione nel codice del diritto di famiglia, che prevede che la madre del bambino sia la donna che lo ha partorito, anche nel caso di "procreazione artificiale". 24. La legge nazionale, coerentemente con tale impostazione, prevede che l'ufficiale di stato civile deve redigere l'atto di nascita inserendo alcuni dati tra i quali la "discendenza accertata". A tal fine, vengono predisposti, dalle competenti autorità, modelli di atti dello stato civile che impongono, senza possibilità di operare una scelta diversa, di indicare la "madre" e il "padre", sicché in questo caso non sarebbe tecnicamente possibile rilasciare il certificato. 25. Tuttavia, il giudice si interroga sulla proporzionalità dell'impatto di questo rifiuto sull'interesse del minore all'esercizio dei suoi diritti di cittadino europeo. Sul punto il giudice rileva che "questo rifiuto non ha alcun effetto giuridico sulla cittadinanza bulgara del bambino". 26. Il Governo italiano ritiene di dare risposta negativa al primo quesito. 27. Si reputa infatti che l’articolo 20 TFUE e l’articolo 21 TFUE nonché gli articoli 7, 24 e 45 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea debbano essere interpretati nel senso che non ostino al rifiuto da parte delle autorità amministrative bulgare -presso le quali è stata presentata una domanda di certificazione della nascita di un bambino con nazionalità bulgara avvenuta in un altro Stato membro dell’Unione, che è stata attestata da un certificato di nascita spagnolo, nel quale due persone di sesso femminile sono registrate come madri, senza precisare ulteriormente se una di loro, e in caso affermativo quale, sia la madre biologica del bambino -di rilasciare un certificato di nascita bulgaro con la motivazione che la ricorrente si rifiuta di indicare chi è la madre biologica del bambino. 28. La questione posta dal tribunale del rinvio, come chiarito dallo stesso, non risulta essere stata ancora affrontata, nei medesimi e peculiari termini, dalla Corte di giustizia. 29. Essa essenzialmente verte sulla possibilità di affermare l'esistenza di un diritto ad ottenere la registrazione di un atto di nascita di un minore recante l’indicazione di due madri, tacendo sulle circostanze che hanno portato alla sua nascita e, in particolare, all'esistenza di un legame biologico o quantomeno "intenzionale", nell'ambito di un progetto di procreazione medicalmente assi RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 3/2021 stita o anche di maternità surrogata (non essendo specificato, come dato atto dal giudice bulgaro, se sia stato fatto ricorso a tale pratica), tra le persone che si dichiarano genitori e il nato. 30. Al riguardo, la giurisprudenza della Corte EDU, pur riconoscendo alla coppia omosessuale il diritto al rispetto della vita privata, anche familiare, ed includendo in tale nozione anche il diritto al rispetto della decisione di diventare genitore e del modo di diventarlo (cfr. Corte EDU, 16 gennaio 2018, Nedescu c. Romania; 27 agosto 2015, Parrillo c. Italia; 28 agosto 2012, Costa e Pavan c. Italia), ha escluso la possibilità di ravvisare un trattamento discriminatorio nella legge nazionale che attribuisca alla procreazione medicalmente assistita finalità esclusivamente terapeutiche, riservando alle coppie eterosessuali sterili il ricorso alle relative tecniche (cfr. Corte EDU, sent. 15 marzo 2012, Gas e Dubois c. Francia), ed ha riconosciuto che in tale materia gli Stati godono di un ampio margine di apprezzamento, soprattutto con riguardo a quei profili in relazione ai quali non si riscontra un generale consenso a livello Europeo (cfr. Corte EDU, sent. 3 novembre 2011, S.H. c. Austria). 31. Quanto poi all'interesse del minore, la Corte EDU, pur osservando che il mancato riconoscimento del rapporto di filiazione è destinato inevitabilmente ad incidere sulla vita familiare del minore, ha escluso la configurabilità di una violazione del diritto al rispetto della stessa, ove sia assicurata in concreto la possibilità di condurre un'esistenza paragonabile a quella delle altre famiglie (cfr. Corte EDU, sent. 26 giugno 2014, mennesson e Labassee c. Francia). 32. Tali principi non sembrano essere stati contraddetti dal recente parere della Grande Camera della Corte EDU del 10 aprile 2019. 33. Invero, al di là del valore giuridico non vincolante del suddetto parere ai sensi del Protocollo 16, soprattutto per paesi come la Bulgaria e l’Italia che non lo ha ratificato, non pare che lo stesso abbia una portata innovativa rispetto alla precedente giurisprudenza in materia della stessa Corte. 34. Non sembra, in particolare, che la Corte EDU abbia ridotto il margine di apprezzamento riservato agli Stati contraenti, essendosi limitata ad argomentare ulteriormente in ordine al rapporto tra l'articolo 8 CEDU e il superiore interesse del minore ribadendo, come già detto nella sentenza del 26 giugno 2014 resa sui casi menesson e Labassée c. Francia, che gli Stati contraenti non sono tenuti a riconoscere un rapporto di filiazione con il genitore d’intenzione, ma a prevedere una via legale effettivamente percorribile, alternativa al riconoscimento dell'atto di nascita, nell'ambito della quale possa essere valutato in concreto ed anche a distanza di tempo rispetto alla nascita, se tale legame meriti di essere riconosciuto nel superiore interesse del minore. 35. La Corte EDU ricorda, in tale occasione, che il riconoscimento del rapporto di filiazione con il genitore committente di maternità surrogata non sempre può essere considerato di per sé nell'interesse del minore e richiama CONTENZIOSO COmUNITARIO ED INTERNAZIONALE espressamente il caso Paradiso e Campanelli c. Italia (sentenza della Grande Camera del 24 gennaio 2017). 36. Non pare pertanto potersi ricavare dal citato parere un effettivo ribaltamento dei principi enunciati nei casi menesson e Labassée quanto ai margini di apprezzamento degli Stati contraenti e quanto alla conformità all'articolo 8 della Convenzione del rifiuto di riconoscere e trascrivere l'atto di nascita con riferimento alla filiazione tra genitore non biologico e minore. risposta al secondo quesito 37. Con il secondo quesito, il giudice del rinvio chiede se l'articolo 9 della Carta dei diritti fondamentali (diritto a contrarre matrimonio e a costituire una famiglia) e l'articolo 4, paragrafo 2 TUE (rispetto dell’identità nazionale degli Stati membri), consentano agli Stati membri di chiedere informazioni sulla discendenza biologica del bambino e se si debbano bilanciare, da un lato, l'identità nazionale e costituzionale dello Stato membro e, dall'altro, l'interesse superiore del minore considerando che in Bulgaria non vi è, al momento, una visione valoriale o giuridica condivisa in ordine alla possibilità stessa di registrare come genitori due persone dello stesso sesso, e senza che sia precisato se una di loro, e in caso affermativo quale, sia il genitore biologico del bambino. 38. In caso di risposta positiva a tale domanda il giudice chiede alla Corte di indicare i criteri in base ai quali condurre, in concreto, questo bilanciamento di interessi. 39. Il Governo italiano ritiene di rispondere positivamente al quesito. 40. Come si è visto, l’art. 9 della Carta di Nizza rinvia alle legislazioni nazionali per la disciplina del diritto di sposarsi e di costituire una famiglia. 41. Dal canto suo, l’art. 4, paragrafo 2 TUE sancisce il rispetto dell’identità nazionale degli Stati membri insita nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale. 42. In tale contesto, non può che sostenersi un’interpretazione delle citate norme unionali che salvaguardi il margine di apprezzamento riservato agli Stati membri in una materia eticamente sensibile quale quella oggetto del giudizio, nel rispetto dei valori costituzionali di ciascuno di essi. 43. Al riguardo, con la sentenza n. 221 del 2019, pronunciata proprio in un caso di filiazione da parte di una coppia omosessuale di sesso femminile, la Corte costituzionale italiana ha affermato la conformità al dettato costituzionale della legge n. 40/2004 nella parte in cui non consente il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita alle coppie formate da due persone di sesso femminile. 44. In proposito, la Corte Costituzionale, nella citata sentenza, ha affermato che l'infertilità "fisiologica" della coppia omosessuale non è affatto omologabile all'infertilità (di tipo assoluto e irreversibile) della coppia eterosessuale affetta da patologie riproduttive: così come non lo è l'infertilità "fisiologica" della donna sola e della coppia eterosessuale in età avanzata. Si RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 3/2021 tratta di fenomeni chiaramente e ontologicamente distinti. L'esclusione dalla procreazione medicalmente assistita delle coppie formate da due donne non è, dunque, fonte di alcuna distonia e neppure di una discriminazione basata sull'orientamento sessuale. 45. In questo senso, ricorda detta sentenza, si è, del resto, specificamente espressa anche la Corte europea dei diritti dell'uomo. Essa ha affermato, infatti, che una legge nazionale che riservi l'inseminazione artificiale a coppie eterosessuali sterili, attribuendole una finalità terapeutica, non può essere considerata fonte di una ingiustificata disparità di trattamento nei confronti delle coppie omosessuali, rilevante agli effetti degli artt. 8 e 14 CEDU: ciò, proprio perché la situazione delle seconde non è paragonabile a quella delle prime (Corte europea dei diritti dell'uomo, sentenza 15 marzo 2012, Gas e Dubois contro Francia). 46. Quanto al superiore interesse del minore, la Corte Costituzionale, nella citata sentenza, ha chiarito che di certo, non può considerarsi irrazionale e ingiustificata, in termini generali, la preoccupazione legislativa di garantire, a fronte delle nuove tecniche procreative, il rispetto delle condizioni ritenute migliori per lo sviluppo della personalità del nuovo nato. 47. In questa prospettiva, l'idea, sottesa alla disciplina in esame, che una famiglia ad instar naturae -due genitori, di sesso diverso, entrambi viventi e in età potenzialmente fertile -rappresenti, in linea di principio, il "luogo" più idoneo per accogliere e crescere il nuovo nato non può essere considerata, a sua volta, di per sé arbitraria o irrazionale. E ciò a prescindere dalla capacità della donna sola, della coppia omosessuale e della coppia eterosessuale in età avanzata di svolgere validamente anch'esse, all'occorrenza, le funzioni genitoriali. 48. Nell'esigere, in particolare, per l'accesso alla procreazione medicalmente assistita la diversità di sesso dei componenti della coppia -condizione peraltro chiaramente presupposta dalla disciplina costituzionale della famiglia -il legislatore ha tenuto conto, d'altronde, anche del grado di accettazione del fenomeno della cosiddetta “omogenitorialità” nell'ambito della comunità sociale, ritenendo che, all'epoca del varo della legge, non potesse registrarsi un sufficiente consenso sul punto. 49. In proposito, va evidenziato che l’accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita costituisce un prius rispetto alla trascrivibilità di un atto di nascita di altro Stato membro o di paese terzo recante l’indicazione di due madri o di due padri, che costituisce un posterius. 50. Al riguardo, la Corte costituzionale italiana, con la sentenza n. 230 del 2020 ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale della legge n. 76 del 2016 sulle unioni civili e del D.P.R. n. 396 del 2000 sull’ordinamento dello Stato civile nella parte in cui non consentono l’indicazione nell’atto di nascita di un minore di due madri, di cui una biologica e l’altra “intenzionale”. 51. La Corte costituzionale, pur avendo posto in risalto la libertà e la vo CONTENZIOSO COmUNITARIO ED INTERNAZIONALE lontarietà dell'atto che consente di diventare genitori, ha riconosciuto che tale valore dev'essere bilanciato con altri valori costituzionalmente protetti, soprattutto quando, come nella specie, si discuta della scelta di ricorrere a tecniche che, alterando le dinamiche naturalistiche del processo di generazione degli individui, aprono scenari affatto innovativi rispetto ai paradigmi della genitorialità e della famiglia storicamente radicati nella cultura sociale. 52. Precisato inoltre che la possibilità, dischiusa dai progressi scientifici e tecnologici, di una scissione tra atto sessuale e procreazione, mediata dal- l'intervento del medico, pone il problema di stabilire se il desiderio di avere un figlio tramite l'uso delle tecnologie meriti di essere soddisfatto sempre e comunque, ovvero se sia giustificabile la previsione di specifiche condizioni di accesso alle pratiche considerate, soprattutto in una prospettiva di salvaguardia dei diritti del concepito e del nato, si ritiene che il compito di ponderare gli interessi in gioco e di trovare un equilibrio tra le diverse istanze, tenendo conto degli orientamenti maggiormente diffusi all’interno del tessuto sociale nel singolo momento storico, spetti in via primaria al legislatore di ciascuno Stato membro, quale interprete della collettività nazionale. 53. Alla luce di tali principi, si reputa quindi che legittimamente uno Stato membro possa richiedere informazioni sulla discendenza biologica del bambino. 54. Nel caso di specie, considerando che la legge bulgara considera madre colei che partorisce il bambino e che, ciononostante, la ricorrente si è rifiutata di indicare se una delle due madri risultanti dal certificato di nascita spagnolo sia la madre biologica del bambino e, in caso positivo, chi sia delle due, è possibile ipotizzare che la coppia abbia potuto far ricorso alla maternità surrogata, fatto che può essere valutato da ciascuno Stato membro ai fini della compatibilità con i principi di ordine pubblico. 55. Come detto, lo stesso giudice del rinvio afferma che non vi sono elementi agli atti per escludere che la coppia abbia fatto ricorso alla surrogazione di maternità, che in diversi Stati membri è vietata (in Italia è sanzionata penalmente, il che comporta in sé una valutazione da parte del legislatore nazionale tale da determinarne la contrarietà all’ordine pubblico). 56. La stessa Corte costituzionale italiana, con la sentenza n. 272 del 2017 ha espresso una valutazione di elevato disvalore di tale pratica, ritenuta tale da “offendere in modo intollerabile la dignità della donna e da minare nel profondo le relazioni umane”. 57. Anche le Sezioni Unite della Corte di cassazione italiana (sentenza n. 12193/19) si sono occupate di vicenda analoga a quella oggetto del giudizio a quo (in quel caso si trattava di una coppia omosessuale maschile) e hanno ritenuto che, per stabilire quale sia in concreto il contenuto della nozione di ordine pubblico occorra prendere in considerazione sia i principi fondamentali dalla Carta costituzionale, sia quelli consacrati nelle fonti internazionali e sovranazionali, oltre che il modo in cui essi "si sono incarnati nella disciplina RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 3/2021 ordinaria dei singoli istituti", e della interpretazione fornita dalla giurisprudenza costituzionale e ordinaria. 58. Costituisce "ordine pubblico" quell'insieme dei valori fondanti di un ordinamento in un determinato momento storico. 59. Secondo le Sezioni Unite, per verificare se contrasta con l'ordine pubblico il riconoscimento di un atto di nascita, formato all'estero, che sancisce un rapporto di filiazione tra un minore e un adulto che non ha con lui alcun legame biologico, a seguito di ricorso a surrogazione di maternità, occorre considerare che tale pratica è tra quelle espressamente vietate, in Italia, dalla legge n. 40/2004 e occorre chiedersi se questo divieto esprima uno dei valori fondanti dell'ordinamento interno. 60. Le Sezioni Unite, nella richiamata sentenza, rispondono positivamente a tale interrogativo, rilevando che la sanzione penale contro la pratica della maternità surrogata esprime la volontà del legislatore di contribuire alla tutela concreta di beni fondamentali come quello della "dignità umana" della gestante, e del sistema legale di adozione dei minori, governato da regole particolari poste a tutela di tutti gli interessati e principalmente dei minori stessi. 61. Si tratta quindi di scelta che è il portato di un principio di ordine pubblico in forza del quale l'ordinamento nazionale pone un divieto all'ingresso di norme e provvedimenti stranieri che siano con esso contrastanti, a protezione della coerenza interna del sistema giuridico. 62. Questa nozione di ordine pubblico, secondo le Sezioni Unite, quindi, "non può ridursi ai soli valori condivisi dalla comunità internazionale, ma comprende anche principi e valori esclusivamente propri, purché fondamentali e (perciò) irrinunciabili". 63. Il divieto di maternità surrogata, in assenza del quale il descritto assetto di tutela di interessi fondamentali verrebbe messo nel nulla da un mero accordo tra privati, non può pertanto ritenersi irragionevole, né contrastante con l'interesse superiore del minore, tutelato dall'articolo 3 della Convenzione di New York. 64. Tale orientamento, che ha negato la trascrivibilità di un atto di nascita recante come genitori due persone dello stesso sesso è stato da ultimo recepito dalla Corte di Cassazione italiana anche con riguardo alla filiazione di una coppia omosessuale di sesso femminile che non aveva fatto ricorso alla surrogazione di maternità (Cass. n. 8029 del 2020). 65. In tale sentenza la Corte di cassazione ha osservato che le sentenze n. 162 del 2014 e n. 96 del 2015 della Corte costituzionale, pur avendo comportato un ampliamento del novero dei soggetti abilitati ad accedere alla procreazione medicalmente assistita, hanno lasciato inalterate le coordinate di fondo della predetta legge, costituite dalla configurazione di tali tecniche come rimedio alla sterilità o infertilità umana avente una causa patologica e non altrimenti rimuovibile e dall'intento di garantire che il nucleo familiare CONTENZIOSO COmUNITARIO ED INTERNAZIONALE scaturente dalla loro applicazione riproduca il modello della famiglia caratterizzata dalla presenza di una madre e di un padre. 66. Premesso che l'ammissione delle coppie omosessuali alla procreazione medicalmente assistita richiederebbe la sconfessione, sul piano della tenuta costituzionale, delle linee guida della relativa disciplina, ha rilevato che quest'ultima non presenta alcuna incongruenza interna, non essendo l'infertilità fisiologica della coppia omosessuale omologabile a quella della coppia eterosessuale affetta da patologie riproduttive. Pur confermando che nella nozione di formazione sociale di cui all’art. 2 della Costituzione, rientra anche l'unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone del medesimo sesso, ha ricordato che, come già affermato nella citata sentenza n. 162 del 2014, la Costituzione non pone una nozione di famiglia inscindibilmente correlata alla presenza di figli, ribadendo che il riconoscimento della libertà e volontarietà dell'atto che consente di diventare genitori di sicuro non implica che tale libertà possa esplicarsi senza limiti. 67. Alla luce di tali principi sembra dover essere concretamente realizzato il bilanciamento degli interessi in gioco. risposta al terzo quesito 68. Con il terzo quesito il giudice del rinvio chiede alla Corte se abbia rilevanza, nel caso concreto, il fatto che una delle madri registrate nel certificato formato in Spagna, abbia la cittadinanza del Regno Unito e se pertanto il rifiuto di rilascio di un certificato di nascita da parte delle autorità bulgare costituisca un ostacolo al pieno esercizio dei diritti del bambino come cittadino dell'Unione. 69. Il Governo italiano ritiene di dare risposta negativa al quesito. 70. Invero, da quanto affermato dallo stesso giudice del rinvio pregiudiziale, il bambino acquisisce la cittadinanza bulgara in virtù dell’articolo 25, paragrafo 1 della Costituzione della Repubblica di Bulgaria: è cittadino bulgaro chiunque abbia almeno un genitore di cittadinanza bulgara. Il mancato rilascio di un certificato di nascita bulgaro non integra un rifiuto della cittadinanza bulgara. Il figlio minorenne è per legge cittadino bulgaro, indipendentemente dal fatto che non gli sia stato rilasciato al momento alcun certificato di nascita bulgaro (punto 33 dell’ordinanza di rinvio). 71. Alla luce di tale precisazione del giudice nazionale, pare evidente l’irrilevanza del fatto che l’altra madre indicata nell’atto di nascita sia una cittadina britannica e che, per effetto della Brexit, la stessa non sia più una cittadina dell’Unione. 72. La cittadinanza dell’Unione del minore, derivante dalla cittadinanza bulgara della madre ricorrente comporta che nessuna violazione degli articoli 20 e 21 TFUE e degli articoli 7, 24 e 45 della Carta di Nizza possa ritenersi integrata nella fattispecie, come è confermato dal fatto che il minore sta legittimamente soggiornando in uno Stato membro (la Spagna) senza alcuna limitazione del suo diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio dell’Unione. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 3/2021 risposta al quarto quesito 73. Con il quarto quesito il giudice bulgaro chiede alla Corte se, in caso di risposta affermativa al primo quesito, il principio di effettività, imponga alle competenti autorità nazionali di discostarsi dal modello per la redazione di un certificato di nascita, che è parte costitutiva del diritto nazionale vigente. 74. Avendo risposto negativamente al primo quesito, il Governo italiano non ritiene di dover rispondere al quarto quesito. Conclusioni 75. Il Governo italiano propone quindi alla Corte di rispondere negativamente al primo quesito, affermando che l’articolo 20 TFUE e l’articolo 21 TFUE nonché gli articoli 7, 24 e 45 della Carta dei diritti fondamentali del- l’Unione europea debbano essere interpretati nel senso che non ostino al rifiuto da parte delle autorità amministrative bulgare -presso le quali è stata presentata una domanda di certificazione della nascita di un bambino con nazionalità bulgara avvenuta in un altro Stato membro dell’Unione, che è stata attestata da un certificato di nascita spagnolo, nel quale due persone di sesso femminile sono registrate come madri, senza precisare ulteriormente se una di loro, e in caso affermativo quale, sia la madre biologica del bambino -di rilasciare un certificato di nascita bulgaro con la motivazione che la ricorrente si rifiuta di indicare chi è la madre biologica del bambino. 76. Il Governo italiano propone inoltre alla Corte di rispondere positivamente al secondo quesito, affermando che l'articolo 9 della Carta dei diritti fondamentali e l'articolo 4, paragrafo 2 TUE consentono agli Stati membri di chiedere informazioni sulla discendenza biologica del bambino e di bilanciare, da un lato, l'identità nazionale e costituzionale dello Stato membro e, dall'altro, l'interesse superiore del minore, considerando che in Bulgaria non vi è, al momento, una visione valoriale o giuridica condivisa in ordine alla possibilità di registrare come genitori due persone dello stesso sesso, e senza che sia precisato se una di loro, e in caso affermativo quale, sia il genitore biologico del bambino. 77. Il Governo italiano propone infine alla Corte di rispondere negativamente al terzo quesito, affermando che le conseguenze giuridiche della Brexit sono irrilevanti per la risposta al primo quesito, atteso che la cittadinanza dell’Unione del minore, derivante dalla cittadinanza bulgara della madre ricorrente, garantisce allo stesso il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. 78. Avendo fornito risposta negativa al primo quesito, il Governo italiano non ritiene di dover rispondere al quarto quesito. Roma, 30 novembre 2020 Wally Ferrante Avvocato dello Stato CONTENZIOSO COmUNITARIO ED INTERNAZIONALE CT 38148/20 Avv. Ferrante CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA NOTE DI OSSERVAZIONI ORALI UDIENZA 9 FEBBRAIO 2021 del GOVERNO DELLA REPUBBLICA ITALIANA, in persona dell’Agente designato per il presente giudizio, domiciliato presso l’Ambasciata d’Italia a Lussemburgo nella causa C-490/20 promossa ai sensi dell’art. 267 TFUE con ordinanza del 2 ottobre 2020 del Administrativen sad Sofia-grad - Bulgaria. ** ** ** 1. Vista la complessità delle domande poste alle parti dalla Corte di Giustizia per una risposta orale (1), si osserva quanto segue. 2. Il Governo italiano ritiene che lo Stato membro di origine (la Bulgaria) (1) «III. Domande a tutti i partecipanti all’udienza: 1. lo stato membro di origine è tenuto -in virtù degli articoli 20 e 21 tFue, letti in combinato disposto con gli articoli 7, 24, paragrafo 2, e 45 della Carta di nizza e le disposizioni della direttiva 2004/38 a riconoscere il legame di filiazione, biologica o giuridica, che è stato legalmente stabilito dallo stato membro ospitante conformemente alle sue disposizioni nazionali applicabili e, in tal caso, in quale misura? un tale obbligo esiste in particolare: a) al fine di rilasciare dei documenti d’identità a un minore che possiede la nazionalità dello stato membro di origine? b) al fine di rilasciare un atto di nascita a tale minore nella misura in cui tale atto costituisce una condizione necessaria per il rilascio di documenti di identità? (in tale contesto: è ammissibile, da un punto di vista concettuale, adottare un atto di nascita al solo fine della libera circolazione nel territorio del- l’unione)? c) per fini diversi dal rilascio di documenti d’identità e/o di un atto di nascita a tale minore (per esempio ai fini dell’applicazione del diritto di famiglia o del diritto successorio dello stato membro di origine)? d) ai fini di stabilire la nazionalità del minore (e dunque dell’acquisto della nazionalità dello stato membro di origine)? (in particolare, un obbligo in tal senso potrebbe discendere dai diritti che al minore e/o al suo genitore cittadino dello stato membro di origine derivano dal diritto dell’unione?) e) per quanto concerne i due genitori inseriti nell’atto di nascita adottato dallo stato membro ospitante o unicamente per quanto concerne il genitore cittadino dello stato membro di origine? (a tale riguardo, vogliate prendere posizione anche sull’argomento sviluppato dal giudice del rinvio nell’ambito del secondo quesito, in base al quale una soluzione in tal senso potrebbe costituire un punto di equilibrio tra, da un lato, l’identità nazionale e costituzionale della repubblica di bulgaria e, dall’altro, il diritto alla vita privata e alla libera circolazione del minore.) 2. il richiamo all’identità nazionale o costituzionale di uno stato membro ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, tue, per giustificare un eventuale ostacolo alla libera circolazione, è sottoposto ad un controllo di proporzionalità? 3. Quali principi possono essere tratti per la presente causa a) dalla sentenza del 5 giugno 2018, Coman e. a. (C-673/16) e in particolare dal punto 45 della stessa? b) dalla sentenza del 14 ottobre 2008, Grunkin e paul (C-353/06)? c) dalla sentenza del 26 marzo 2019, sm (minore sottoposto a kafala algerina) C-129/18, punti da 50 a 54? d) dalla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 26 giugno 2014, mennesson c. Francia e del suo parere reso il 10 aprile 2019 a seguito della predetta sentenza (domanda n. p16-2018-001)?» (n.d.r.) RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 3/2021 non sia tenuto -in virtù degli articoli 20 e 21 TFUE, letti in combinato disposto con gli articoli 7, 24, paragrafo 2, e 45 della Carta di Nizza e le disposizioni della direttiva 2004/38 -a riconoscere il legame di filiazione, biologica o giuridica, che è stato legalmente stabilito dallo Stato membro ospitante (la Spagna) conformemente alle sue disposizioni nazionali applicabili (quesito della Corte sub III, 1). 3. Al riguardo, si ritiene che un tale obbligo non sussista per fini diversi dal rilascio di documenti d’identità e/o di un atto di nascita a tale minore, ad esempio ai fini dell’applicazione del diritto di famiglia o del diritto successorio dello Stato membro di origine, dovendosi rispondere quindi negativamente al quesito posto dalla Corte sub III, 1) c). 4. L’art. 9 della Carta di Nizza dispone infatti che “il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio”. La legge nazionale bulgara, da quanto affermato dal giudice del rinvio, non prevede né il matrimonio tra persone dello stesso sesso, né il riconoscimento del rapporto di filiazione tra un minore e genitori dello stesso sesso e, conseguentemente, non riconosce nemmeno diritti successori tra il minore e il genitore non biologico che ha partecipato al progetto di procreazione medicalmente assistita, c.d. genitore d’intenzione. 5. La risposta al quesito volto a stabilire se un tale obbligo di riconoscere la filiazione sussista ai fini di stabilire la nazionalità del minore e dunque del- l’acquisto della nazionalità bulgara (quesito posto dalla Corte sub III, 1) d), sembrerebbe essere implicita in quanto affermato dallo stesso giudice del rinvio, secondo il quale la questione del diritto del neonato alla cittadinanza non si pone nella presente controversia (punto 33 dell’ordinanza di rinvio). 6. Il Tribunale amministrativo di Sofia afferma infatti che il bambino acquisisce la cittadinanza bulgara in virtù dell’articolo 25, paragrafo 1, della Costituzione della Repubblica di Bulgaria: “È cittadino bulgaro chiunque abbia almeno un genitore di cittadinanza bulgara …” e ai sensi dell’art. 8 della legge sulla cittadinanza bulgara: “È cittadino bulgaro per discendenza chiunque abbia almeno un genitore di cittadinanza bulgara”. Il Giudice del rinvio precisa inoltre che il rilascio di un certificato di nascita bulgaro non integra un rifiuto della cittadinanza bulgara e che il figlio minorenne è per legge cittadino bulgaro, indipendentemente dal fatto che non gli sia stato rilasciato al momento alcun certificato di nascita bulgaro. 7. Il problema dell’acquisito della cittadinanza sembrerebbe quindi non porsi nella fattispecie. 8. Ciò detto, il Governo italiano ritiene di poter rispondere congiuntamente ai quesiti posti dalla Corte sub III, 1) a): se l’obbligo di riconoscere la filiazione sussista ai fini del rilascio di documenti d’identità a un minore che possieda la nazionalità dello Stato membro di origine; sub III, 1) b): se un tale obbligo sussista ai fini del rilascio di un atto di nascita a detto minore ove tale CONTENZIOSO COmUNITARIO ED INTERNAZIONALE atto sia una condizione necessaria per il rilascio di documenti di identità che consentano l’esercizio del diritto alla libera circolazione nel territorio del- l’Unione e sub III, 1) e). 9. Con tale ultimo quesito, la Corte chiede alle parti se l’obbligo di riconoscere un legame di filiazione esista in relazione ad entrambi i genitori inseriti nel- l’atto di nascita adottato dallo Stato membro ospitante (la Spagna) o unicamente in relazione al genitore cittadino dello Stato membro di origine (la Bulgaria). 10. Il Governo italiano ritiene che un obbligo in tal senso esista solo in relazione al genitore cittadino dello Stato membro di origine. 11. A tale riguardo, si ritiene di rispondere positivamente anche all’interrogativo posto dalla Corte in relazione all’argomento sviluppato dal giudice del rinvio nell’ambito del secondo quesito, in base al quale una soluzione in tal senso potrebbe costituire un punto di equilibrio tra, da un lato, l’identità nazionale e costituzionale della Repubblica di Bulgaria e, dall’altro, il diritto alla vita privata e alla libera circolazione del minore. 12. Come noto, analogo rinvio pregiudiziale è stato sollevato dal Tribunale amministrativo di Cracovia (Polonia) con ordinanza del 9 dicembre 2020, depositata il 4 gennaio 2021, causa C-2/21 K.S., che è stata sospesa in attesa della decisione sulla presente causa. 13. Le due differenze giuridiche e sostanziali rispetto alla presente causa risiedono nel fatto che, in quel caso, viene invocato, ai fini di stabilire la conformità al diritto dell’Unione del rifiuto delle competenti autorità polacche di trascrivere un atto di nascita spagnolo di un minore polacco dal quale risultino due madri, una polacca e una irlandese, anche l’art. 21 della Carta di Nizza, in base al quale è vietata ogni discriminazione fondata sul sesso, la razza, il colore della pelle, le origini etniche o sociali, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale. 14. Quanto alla differenza sostanziale, in quel caso, la madre biologica è stata individuata nella ricorrente polacca mentre nel caso di specie la ricorrente bulgara si è rifiutata di precisare se una delle due madri figuranti nell’atto di nascita spagnolo, e in caso positivo, chi delle due, sia la madre biologica del minore. 15. A tale riguardo, nella presente causa, il giudice del rinvio ha precisato che, mancando ogni informazione sulla madre biologica, non può escludersi che si tratti di maternità surrogata (punto 29 dell’ordinanza di rinvio). 16. Peraltro, il fatto che, in base alla legislazione Bulgara, sia considerata madre colei che partorisce, lascerebbe ipotizzare che l’omessa informazione su chi sia la madre biologica possa ricondursi proprio all’aver fatto ricorso a tale tecnica di procreazione medicalmente assistita. 17. Al riguardo sembra possibile affermare che lo Stato membro abbia il diritto di accertare la discendenza biologica del minore anche per valutare RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 3/2021 l’eventuale contrarietà o meno di un atto di nascita straniero al proprio ordine pubblico. 18. Da uno studio del Parlamento Europeo -Direzione generale Politiche Interne -Unità Tematica C -Diritti dei Cittadini e Affari Costituzionali su “Il regime di maternità surrogata negli Stati membri dell’U.E.” risulta infatti che: la maggior parte degli Stati prevede un divieto generalizzato di tale pratica; molti Stati prevedono il divieto di maternità surrogata c.d. commerciale; alcuni Stati hanno previsto particolari agevolazioni non normative; molti Stati non hanno adottato una legge specifica sulla maternità surrogata (i contratti non sono applicabili e il trasferimento della genitorialità legale richiede l’adozione). 19. Da quanto sopra, emerge chiaramente che in Europa vi è solo un ristrettissimo numero di Stati che ha legiferato, prevedendo comunque limitazioni e condizioni restrittive, in materia di maternità surrogata mentre la maggior parte degli Stati ha vietato espressamente tale pratica o non ha proprio legiferato in materia, non registrandosi ancora un diffuso consenso nella popolazione, dal punto di vista etico e valoriale, sulla percorribilità della pratica della gestazione per altri. 20. Ne deriva che ogni Stato membro, al fine di attestare la filiazione di un minore rispetto ai propri genitori, può legittimamente richiedere che siano fornite informazioni sulle modalità che hanno consentito la nascita dello stesso e sull’esistenza di un legame biologico del bambino con colui o colei che se ne dichiara genitore. Tali informazioni non sono state fornite, nemmeno su esplicita richiesta da parte delle autorità competenti, dalla ricorrente nel giudizio a quo. 21. Quanto al quesito posto dalla Corte al punto III, 2), il Governo italiano ritiene che il richiamo all’identità nazionale o costituzionale di uno Stato membro ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, TUE, per giustificare un eventuale ostacolo alla libera circolazione, debba essere certamente sottoposto ad un controllo di proporzionalità. 22. In tale quadro, va valutato se sia giustificato il rifiuto della ricorrente di fornire indicazioni sulle modalità che hanno consentito la nascita del bambino e sulla circostanza se una delle due madri indicate nell’atto di nascita spagnolo sia la madre biologica, e, in caso positivo, chi sia delle due. 23. Il giudice del rinvio, infatti, ritiene, correttamente, che le norme giuridiche che definiscono la discendenza del bambino tengano conto dello stato dell’evoluzione dei rapporti sociali nella Repubblica di Bulgaria, tanto da un punto di vista puramente giuridico, quanto con riferimento ai valori di importanza fondamentale nella tradizione costituzionale bulgara. 24. Pertanto, atteso che, ai sensi dell’art. 4, paragrafo 2 TUE, l’Unione rispetta l’uguaglianza degli Stati membri davanti ai trattati e la loro identità nazionale insita nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale, il giudice del rinvio dubita che l’obbligo imposto alle autorità amministrative bulgare, nella certificazione di una nascita avvenuta all’estero, di registrare CONTENZIOSO COmUNITARIO ED INTERNAZIONALE nel certificato di nascita bulgaro come genitori del bambino due madri, non pregiudichi l’identità nazionale dello Stato bulgaro, che non ha previsto, nel- l’ambito della discrezionalità legislativa riconosciuta in materia a ciascuno Stato, la possibilità di registrare nel certificato di nascita due genitori dello stesso sesso. 25. Il Governo italiano, ritiene di condividere tale dubbio. 26. Analoga legislazione esiste anche in Italia e di recente la Corte costituzionale ha ribadito il principio già espresso con la sentenza n. 230 del 2020 (citata ai punti da 50 a 52 dell’atto di intervento) con due ordinanze emesse all’esito dell’udienza del 27 gennaio 2020, come emerge dai comunicati stampa pubblicati sul sito della stessa Corte, nei giudizi con R.O. 79/20 e R.O. 99/20, che hanno dichiarato l’inammissibilità di identica questione di legittimità costituzionale decisa dalla sentenza n. 230 del 2020 sopra richiamata in relazione alla filiazione di una coppia omossessuale di sesso femminile e, rispettivamente, in relazione alla filiazione di una coppia omosessuale di sesso maschile che aveva fatto ricorso all’estero alla maternità surrogata. 27. Al riguardo, dal punto di vista del minore, non pare possa introdursi una disparità di trattamento tra chi sia nato, mediante tecniche di procreazione medicalmente assistita, da una coppia omossessuale femminile e chi sia nato da una coppia omosessuale maschile, che richiede ontologicamente il ricorso alla maternità surrogata, il cui maggior disvalore, compromettendo gravemente ed “offendendo in modo intollerabile la dignità della donna”, è sanzionato in modo più severo da molte legislazioni europee. 28. La Corte chiede infine alle parti di pronunciarsi su quali insegnamenti possono essere tratti da alcune sentenze della stessa CGUE e della CEDU (punto III, 3). 29. Quanto alla sentenza Coman, si osserva che, al punto 45, la Corte rileva che l’obbligo per uno Stato membro di riconoscere un matrimonio tra persone dello stesso sesso, contratto in un altro Stato membro conformemente alla normativa di quest’ultimo, ai soli fini della concessione di un permesso di soggiorno a un cittadino di uno Stato terzo, non pregiudica l’istituto del matrimonio in tale primo Stato membro, il quale è definito dal diritto nazionale e rientra nella competenza degli Stati membri. Esso non comporta l’obbligo, per detto Stato membro, di prevedere, nella normativa nazionale, l’istituto del matrimonio tra persone dello stesso sesso. 30. La Corte si è quindi limitata ad affermare che l’art. 21, paragrafo 1 TFUE osta a che le autorità competenti dello Stato membro di cui il cittadino dell’Unione ha la cittadinanza (Romania) rifiutino di concedere un diritto di soggiorno sul territorio di detto Stato membro al cittadino (americano) di uno Stato terzo dello stesso sesso che abbia contratto matrimonio con il primo, per il fatto che l’ordinamento di tale Stato membro non prevede il matrimonio fra persone dello stesso sesso. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 3/2021 31. Negare il permesso di soggiorno nelle circostanze di cui alla causa principale, soggiorno comunque sottoposto ai sensi dell’art. 7 della direttiva 2004/38/CE a diverse tassative condizioni (essere lavoratore o disporre di risorse economiche sufficienti o essere iscritto ad un corso di studi disponendo di un’assicurazione sanitaria o essere un familiare di un cittadino dell’Unione rispondente alla predette condizioni) è all’evidenza cosa ben diversa dal riconoscere un rapporto di filiazione, in assenza di un legame biologico, tra un minore e due persone dello stesso sesso senza nemmeno sapere se una delle due sia la madre biologica del bambino. 32. Tale riconoscimento infatti impatta in modo molto più radicale sul- l’identità nazionale e costituzionale di uno Stato membro e sulla sua libertà di autodeterminarsi nell’adozione di una legislazione in materia ed è idoneo ad influire in modo ben più penetrante sui valori etici e culturali di una nazione in un dato momento storico. 33. Quanto alla sentenza Grunkin e Paul, la Corte ha affermato che l’art. 18 CE (ora art. 21 TFUE), in circostanze come quelle della causa principale (un bambino tedesco, nato e cresciuto in Danimarca, da madre e padre entrambi tedeschi, il cui cognome recava il cognome di entrambi i genitori, possibilità esclusa dal diritto tedesco) osta a che le autorità di uno Stato membro (la Germania), in applicazione del diritto nazionale, rifiutino di riconoscere il cognome di un cittadino tedesco come esso è stato determinato e registrato in un altro Stato membro. 34. Al riguardo, si osserva che la Corte, nel giungere a tale conclusione ha espressamente affermato (al punto 38) che non era stata dedotta alcuna specifica ragione idonea ad ostare al riconoscimento del cognome del bambino così come era stato attribuito in Danimarca, come ad esempio la contrarietà di tale cognome all’ordine pubblico. 35. Nel caso di specie, invece, il giudizio di proporzionalità certamente va effettuato tenendo conto della possibile contrarietà della registrazione del- l’atto di nascita spagnolo all’ordine pubblico bulgaro, inteso come insieme di principi condivisi e di valori fondamentali, come tali irrinunciabili, di un determinato ordinamento. 36. Quanto alla sentenza Sm, C-129/18, pronunciata in un caso riguardante un uomo e una donna, cittadini francesi, sposatisi nel Regno Unito, e divenuti tutori di un bambina algerina, abbandonata dalla nascita, per effetto del regime algerino della kafala, ai quali è stata respinta la domanda di ingresso della minore nel Regno Unito in quanto figlia adottiva, atteso che il regime della kafala non è riconosciuto come “adozione” ai sensi della Convenzione dell’Aia del 1993, la Corte di Giustizia ha affermato che la nozione di «discendente diretto» rinvia di solito all’esistenza di un legame di filiazione, in linea diretta, che unisce la persona interessata ad un’altra persona. In assenza di qualsiasi legame di filiazione tra il cittadino dell’Unione e il mi CONTENZIOSO COmUNITARIO ED INTERNAZIONALE nore interessato, quest’ultimo non può essere qualificato come «discendente diretto» del primo, ai sensi della direttiva 2004/38/CE (punto 52). 37. La Corte ha quindi concluso che tale nozione di discendente diretto, contenuta nell’articolo 2, punto 2, lettera c) della predetta direttiva deve essere interpretata nel senso che non ricomprende un minore posto sotto la tutela legale permanente di un cittadino dell’Unione a titolo della kafala algerina in quanto tale sottoposizione non crea alcun legame di filiazione tra di loro. 38. La Corte ha soggiunto che è tuttavia compito delle autorità nazionali competenti agevolare l’ingresso e il soggiorno di un minore siffatto in quanto altro familiare di un cittadino dell’Unione, conformemente all’articolo 3, paragrafo 2, lettera a), di tale direttiva, letto alla luce dell’articolo 7 e dell’articolo 24, paragrafo 2, della Carta di Nizza, procedendo ad una valutazione equilibrata e ragionevole di tutte le circostanze attuali e pertinenti del caso di specie, che tenga conto dei diversi interessi presenti e, in particolare, dell’interesse superiore del minore in questione. 39. Il giudice del rinvio (Corte Suprema del Regno Unito) ha dato atto infatti che i coniugi si sono determinati a chiedere l’affidamento di un minore in Algeria secondo il regime della kafala dopo aver appreso che era più facile ottenere l’affidamento di un minore in tale paese che nel Regno unito e che il processo di valutazione della loro capacità di diventare tutori, in esito al quale sono stati considerati “idonei” ad accogliere un minore secondo il regime della kafala, era “limitato” rispetto a quello per addivenire ad una adozione. 40. Il giudice del rinvio ha paventato che l’interpretazione secondo la quale il minore posto sotto il regime della kafala sia considerato un discendente diretto potrebbe generare un rischio di sfruttamento, abuso e tratta di minori che la convenzione dell’Aia del 1993 mira ad impedire e a scoraggiare (punto 41). 41. Da tali principi si ricava che, anche nel caso di specie, il diritto di libera circolazione nel territorio dell’Unione Europea dovrebbe essere garantito al minore a prescindere dal riconoscimento di un rapporto di filiazione con due genitori dello stesso sesso. 42. Quanto alla sentenza della CEDU mennesson c. Francia, la Corte Europea, in un caso di coppia eterosessuale francese che ha fatto ricorso negli Stati Uniti alla tecnica delle procreazione medicalmente assistita della maternità surrogata, ha affermato che gli Stati contraenti non sono tenuti a riconoscere un rapporto di filiazione con il genitore d’intenzione, ma a prevedere una via legale effettivamente percorribile, alternativa al riconoscimento del- l'atto di nascita, nell'ambito della quale possa essere valutato in concreto se tale legame meriti di essere riconosciuto nel superiore interesse del minore. 43. Tale principio è stato ribadito con il parere del 10 aprile 2019, reso sullo stesso caso dalla Grande Chambre della CEDU, precisando che il diritto al rispetto della vita privata del bambino ai sensi dell’articolo 8 della CEDU non richiede che il riconoscimento di un legame di filiazione tra il bambino e RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 3/2021 la madre d’intenzione debba essere fatto tramite la trascrizione nei registri di stato civile dell’atto di nascita legalmente adottato all’estero, potendo tale diritto essere garantito con altro strumento quale quello dell’adozione del bambino da parte della madre d’intenzione. 44. Anche in base alla giurisprudenza della CEDU quindi non sussiste un obbligo dello Stato di origine di assicurare che il diritto alla libera circolazione del minore venga garantito necessariamente con la trascrizione, nell’atto di nascita bulgaro, delle due madri risultanti dal certificato di nascita spagnolo, in assenza della precisazione se una di loro e, in caso positivo quale, sia la madre biologica del bambino. Roma, 8 febbraio 2021 Wally Ferrante Avvocato dello Stato Corte di Giustizia dell’Unione europea, Grande Sezione, sentenza 14 dicembre 2021, causa C-490/20 -pres. K. Lenaerts, rel. m. Ilešič -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Administrativen sad Sofia-grad (Tribunale amministrativo di Sofia, Bulgaria) il 2 ottobre 2020 - V.m.A. / Stolichna obshtina, rayon «Pancharevo». «rinvio pregiudiziale -Cittadinanza dell’unione -articoli 20 e 21 tFue -diritto di libera circolazione e di libero soggiorno nel territorio degli stati membri -minore nato nello stato ospitante dei suoi genitori -atto di nascita rilasciato da tale stato membro che designa due madri per detto minore -rifiuto, da parte dello stato membro d’origine di una di tali due madri, di rilasciare un atto di nascita di detto minore in assenza di informazioni sull’identità della madre biologica del medesimo -possesso di siffatto atto quale presupposto per il rilascio di una carta d’identità o di un passaporto -normativa nazionale di tale stato membro d’origine che non ammette la genitorialità di persone dello stesso sesso» 1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 4, paragrafo 2, TUE, degli articoli 20 e 21 TFUE nonché degli articoli 7, 9, 24 e 45 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»). 2 Tale domanda è stata proposta nell’ambito di una controversia tra V.m.A. e la Stolichna obshtina, rayon «Pancharevo» (Comune di Sofia, distretto di Pancharevo, Bulgaria) (in prosieguo: il «Comune di Sofia»), in merito al rifiuto di quest’ultimo di rilasciare un atto di nascita della figlia di V.m.A. e di sua moglie. Contesto normativo Diritto internazionale 3 L’articolo 2 della Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989 (raccolta dei trattati delle nazioni unite, vol. 1577, pag. 3), così dispone: «1. Gli Stati parti si impegnano a rispettare i diritti enunciati nella presente Convenzione e a garantirli a ogni fanciullo che dipende dalla loro giurisdizione, senza distinzione di sorta e a prescindere da ogni considerazione di razza, di colore, di sesso, di lingua, di re CONTENZIOSO COmUNITARIO ED INTERNAZIONALE 55 ligione, di opinione politica o altra del fanciullo o dei suoi genitori o rappresentanti legali, dalla loro origine nazionale, etnica o sociale, dalla loro situazione finanziaria, dalla loro incapacità, dalla loro nascita o da ogni altra circostanza. 2. Gli Stati parti adottano tutti i provvedimenti appropriati affinché il fanciullo sia effettivamente tutelato contro ogni forma di discriminazione o di sanzione motivate dalla condizione sociale, dalle attività, opinioni professate o convinzioni dei suoi genitori, dei suoi rappresentanti legali o dei suoi familiari». 4 L’articolo 7 di tale Convenzione prevede quanto segue: «1. Il fanciullo è registrato immediatamente al momento della sua nascita e da allora ha diritto a un nome, ad acquisire una cittadinanza e, nella misura del possibile, a conoscere i suoi genitori e a essere allevato da essi. 2. Gli Stati parti vigilano affinché questi diritti siano attuati in conformità con la loro legislazione nazionale e con gli obblighi che sono imposti loro dagli strumenti internazionali applicabili in materia, in particolare nei casi in cui se ciò non fosse fatto, il fanciullo verrebbe a trovarsi apolide». diritto dell’Unione trattato ue 5 L’articolo 4, paragrafo 2, TUE così dispone: «L’Unione rispetta l’uguaglianza degli Stati membri davanti ai trattati e la loro identità nazionale insita nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale, compreso il sistema delle autonomie locali e regionali. Rispetta le funzioni essenziali dello Stato, in particolare le funzioni di salvaguardia dell’integrità territoriale, di mantenimento dell’ordine pubblico e di tutela della sicurezza nazionale. In particolare, la sicurezza nazionale resta di esclusiva competenza di ciascuno Stato membro». trattato Fue 6 L’articolo 20 TFUE dispone quanto segue: «1. È istituita una cittadinanza dell’Unione. È cittadino dell’Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro. La cittadinanza dell’Unione si aggiunge alla cittadinanza nazionale e non la sostituisce. 2. I cittadini dell’Unione godono dei diritti e sono soggetti ai doveri previsti nei trattati. Essi hanno, tra l’altro: a) il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri; (...) Tali diritti sono esercitati secondo le condizioni e i limiti definiti dai trattati e dalle misure adottate in applicazione degli stessi». 7 L’articolo 21, paragrafo 1, TFUE enuncia quanto segue: «Ogni cittadino dell’Unione ha il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dai trattati e dalle disposizioni adottate in applicazione degli stessi». Carta 8 L’articolo 7 della Carta, «Rispetto della vita privata e della vita familiare», prevede quanto segue: «Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e delle proprie comunicazioni». 9 L’articolo 9 della Carta, intitolato «Diritto di sposarsi e di costituire una famiglia», prevede: RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 3/2021 «Il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio». 10 L’articolo 24 della Carta, intitolato «Diritti del minore», recita come segue «1. I minori hanno diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere. Essi possono esprimere liberamente la propria opinione. Questa viene presa in considerazione sulle questioni che li riguardano in funzione della loro età e della loro maturità. 2. In tutti gli atti relativi ai minori, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del minore deve essere considerato preminente. 3. Il minore ha diritto di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, salvo qualora ciò sia contrario al suo interesse». 11 L’articolo 45 della Carta, intitolato «Libertà di circolazione e di soggiorno», recita: «1. Ogni cittadino dell’Unione ha il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. 2. La libertà di circolazione e di soggiorno può essere accordata, conformemente ai trattati, ai cittadini dei paesi terzi che risiedono legalmente nel territorio di uno Stato membro». direttiva 2004/38/Ce 12 La direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU 2004, L 158, pag. 77, e rettifica in GU 2004, L 229, pag. 35), prevede all’articolo 2, intitolato «Definizioni»: «Ai fini della presente direttiva, si intende per: 1) “cittadino dell’Unione”: qualsiasi persona avente la cittadinanza di uno Stato membro; 2) “familiare”: a) il coniuge; b) il partner che abbia contratto con il cittadino dell’Unione un’unione registrata sulla base della legislazione di uno Stato membro, qualora la legislazione dello Stato membro ospitante equipari l’unione registrata al matrimonio e nel rispetto delle condizioni previste dalla pertinente legislazione dello Stato membro ospitante; c) i discendenti diretti di età inferiore a 21 anni o a carico e quelli del coniuge o partner di cui alla lettera b); d) gli ascendenti diretti a carico e quelli del coniuge o partner di cui alla lettera b); 3) “Stato membro ospitante”: lo Stato membro nel quale il cittadino dell’Unione si reca al fine di esercitare il diritto di libera circolazione o di soggiorno». 13 L’articolo 4 di detta direttiva, intitolato «Diritto di uscita», prevede: «1. Senza pregiudizio delle disposizioni applicabili ai controlli dei documenti di viaggio alle frontiere nazionali, ogni cittadino dell’Unione munito di una carta d’identità o di un passaporto in corso di validità e i suoi familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro e muniti di passaporto in corso di validità hanno il diritto di lasciare il territorio di uno Stato membro per recarsi in un altro Stato membro. (...) 3. Gli Stati membri rilasciano o rinnovano ai loro cittadini, ai sensi della legislazione nazionale, una carta d’identità o un passaporto dai quali risulti la loro cittadinanza. 4. Il passaporto deve essere valido almeno per tutti gli Stati membri e per i paesi di transito diretto tra gli stessi. Qualora la legislazione di uno Stato membro non preveda il rilascio CONTENZIOSO COmUNITARIO ED INTERNAZIONALE 57 di una carta d’identità, il periodo di validità del passaporto, al momento del rilascio o del rinnovo, non può essere inferiore a cinque anni». 14 L’articolo 5 della direttiva, intitolato «Diritto di ingresso», recita: «1. Senza pregiudizio delle disposizioni applicabili ai controlli dei documenti di viaggio alle frontiere nazionali, gli Stati membri ammettono nel loro territorio il cittadino del- l’Unione munito di una carta d’identità o di un passaporto in corso di validità, nonché i suoi familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro, muniti di valido passaporto. (...) 4. Qualora il cittadino dell’Unione o il suo familiare non avente la cittadinanza di uno Stato membro sia sprovvisto dei documenti di viaggio o, eventualmente, dei visti necessari, lo Stato membro interessato concede, prima di procedere al respingimento, ogni possibile agevolazione affinché possa ottenere o far pervenire entro un periodo di tempo ragionevole i documenti necessari, oppure possa dimostrare o attestare con altri mezzi la qualifica di titolare del diritto di libera circolazione. (...)». diritto bulgaro 15 Ai sensi dell’articolo 25, paragrafo 1, della Konstitutsia na Republika Bulgaria (Costituzione della Repubblica di Bulgaria), (in prosieguo: la «Costituzione bulgara»): «La cittadinanza bulgara è detenuta da ogni persona di cui almeno un genitore sia cittadino bulgaro o che sia nata nel territorio bulgaro, se non acquisisce un’altra cittadinanza per filiazione. La cittadinanza bulgara può essere acquisita anche per naturalizzazione». 16 Ai sensi dell’articolo 8 della Zakon za balgarskoto grazhdanstvo (legge bulgara sulla cittadinanza), del 5 novembre 1998 (DV n. 136 del 18 novembre 1998, pag. 1), «una persona ha la cittadinanza bulgara per filiazione se almeno uno dei suoi genitori è cittadino bulgaro». 17 Il Semeen kodeks (codice di famiglia), del 12 giugno 2009 (DV n. 47 del 23 giugno 2009, pag. 19), prevede, all’articolo 60, intitolato «Filiazione nei confronti della madre»: «(1) La filiazione nei confronti della madre è determinata dalla nascita. (2) La madre del bambino è la donna che lo ha dato alla luce, anche in caso di procreazione assistita. (...)». Procedimento principale e questioni pregiudiziali 18 V.m.A. è cittadina bulgara e K.D.K. è cittadina del Regno Unito. Quest’ultima è nata a Gibilterra, dove le due donne si sono sposate nel 2018. Dal 2015 risiedono in Spagna. 19 Nel dicembre 2019, V.m.A. e K.D.K. hanno avuto una figlia, S.D.K.A., che è nata e vive con entrambi i genitori in Spagna. L’atto di nascita di detta figlia, rilasciato dalle autorità spagnole, menziona V.m.A. come «madre A» e K.D.K. come «madre». 20 Il 29 gennaio 2020, V.М.А. ha chiesto al comune di Sofia di rilasciarle un atto di nascita per S.D.K.A., essendo quest’ultimo necessario, in particolare, per il rilascio di un documento d’identità bulgaro. A sostegno della sua domanda, V.М.А. ha presentato una traduzione in lingua bulgara, legalizzata e autenticata, dell’estratto del registro dello stato civile di Barcellona (Spagna), relativo all’atto di nascita di S.D.K.A. 21 Con lettera del 7 febbraio 2020, il Comune di Sofia ha invitato V.m.A. a fornire, entro 7 giorni, prove relative alla filiazione di S.D.K.A, in relazione all’identità della madre biologica. Esso ha precisato a tal proposito che il modello di atto di nascita figurante nei modelli di atti di stato civile in vigore a livello nazionale prevede una sola casella per la «madre» e un’altra per il «padre», e solo un nome può apparire in ciascuna di queste caselle. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 3/2021 22 Il 18 febbraio 2020, V.М.А. ha risposto al Comune di Sofia che, in virtù della legislazione bulgara in vigore, non era obbligata a fornire l’informazione richiesta. 23 Con decisione del 5 marzo 2020, il Comune di Sofia ha quindi respinto la domanda di V.m.A. diretta al rilascio di un atto di nascita di S.D.K.A. Esso ha motivato tale decisione di rigetto con la mancanza di informazioni riguardanti l’identità della madre biologica del minore interessato e con il fatto che la menzione in un atto di nascita di due genitori di sesso femminile era contraria all’ordine pubblico della Repubblica di Bulgaria, che non autorizza il matrimonio tra due persone dello stesso sesso. 24 V.m.A. ha proposto ricorso avverso tale decisione di rigetto dinanzi all’Administrativen sad Sofia-grad (Tribunale amministrativo di Sofia, Bulgaria), il giudice del rinvio. 25 Detto giudice afferma che, ai sensi dell’articolo 25, paragrafo 1, della Costituzione bulgara e dell’articolo 8 della legge bulgara sulla cittadinanza, S.D.K.A. ha la cittadinanza bulgara, nonostante il fatto che, ad oggi, l’interessata non ha alcun atto di nascita rilasciato dalle autorità bulgare. Infatti, il rifiuto di dette autorità di rilasciarle un tale atto non significherebbe che le sia negata la cittadinanza bulgara. 26 Il giudice del rinvio nutre invece dubbi riguardo alla questione se il rifiuto, da parte delle autorità bulgare, di registrare la nascita di un cittadino bulgaro, avvenuta in un altro Stato membro e attestata da un atto di nascita che indica due madri, rilasciato dalle autorità competenti di quest’ultimo Stato membro, violi i diritti conferiti a detto cittadino dagli articoli 20 e 21 TFUE, nonché dagli articoli 7, 24 e 45 della Carta. Infatti, il rifiuto da parte delle autorità bulgare di rilasciare un atto di nascita -anche se non avrebbe alcun impatto giuridico sulla cittadinanza bulgara del minore interessato e, di conseguenza, sulla cittadinanza dell’Unione di quest’ultimo -potrebbe rendere più difficile il rilascio di un documento d’identità bulgaro e, di conseguenza, ostacolare l’esercizio da parte del minore del diritto alla libera circolazione e quindi il pieno godimento dei suoi diritti di cittadino dell’Unione. 27 Inoltre, poiché l’altra madre di S.D.K.A., K.D.K., è cittadina del Regno Unito, lo stesso giudice si chiede se le conseguenze giuridiche derivanti dall’accordo sul recesso del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord dall’Unione europea e dalla Comunità europea dell’energia atomica (GU 2020, L 29, pag. 7; in prosieguo: l’«accordo sul recesso»), e in particolare il fatto che tale minore non possa più godere dello status di cittadino dell’Unione in virtù della cittadinanza di K.D.K., siano pertinenti per la valutazione di tale questione. 28 Inoltre, l’Administrativen sad Sofia-grad (Tribunale amministrativo di Sofia) si chiede se l’obbligo eventualmente imposto alle autorità bulgare, nell’ambito dell’emissione di un atto di nascita, di menzionare in tale atto due madri come genitori del minore in questione, sia tale da pregiudicare l’ordine pubblico e l’identità nazionale della Repubblica di Bulgaria, poiché tale Stato membro non ha previsto la possibilità di menzionare in un atto di nascita due genitori dello stesso sesso per tale minore. Detto giudice rileva, a tal riguardo, che le disposizioni che disciplinano la filiazione di tale minore assumono un’importanza fondamentale nella tradizione costituzionale bulgara, nonché nella dottrina bulgara in materia di diritto di famiglia e delle successioni, sia sotto il profilo puramente giuridico sia sotto il profilo dei valori, tenuto conto dello stadio attuale di evoluzione della società in Bulgaria. 29 Pertanto, l’Administrativen sad Sofia-grad (Tribunale amministrativo di Sofia) ritiene necessario trovare un equilibrio tra, da un lato, l’identità costituzionale e nazionale della Repubblica di Bulgaria e, dall’altro, gli interessi del minore, e, in particolare, il suo diritto alla vita privata e alla libera circolazione. CONTENZIOSO COmUNITARIO ED INTERNAZIONALE 59 30 Tale giudice si chiede se, nel caso di specie, un tale equilibrio possa essere raggiunto in applicazione del principio di proporzionalità e, in particolare, se la menzione, nella rubrica «madre», del nome di una delle due madri che compaiono nell’atto di nascita emesso dalle autorità spagnole, dal momento che la stessa può essere sia la madre biologica del minore sia quella divenuta tale per altra via, ad esempio tramite l’adozione, senza compilare la rubrica «Padre», costituirebbe un equilibrio adeguato tra tali diversi legittimi interessi. Esso osserva che, sebbene una tale soluzione potrebbe anche comportare alcune difficoltà, a causa di eventuali differenze tra l’atto di nascita emesso dalle autorità bulgare e quello emesso dalle autorità spagnole, tale soluzione permetterebbe così il rilascio di un atto di nascita da parte delle autorità bulgare, eliminando così, o almeno attenuando, eventuali ostacoli alla libera circolazione del minore interessato. Tuttavia, detto giudice si chiede se questa soluzione sia compatibile con il diritto di tale minore alla vita privata e familiare, sancito dall’articolo 7 della Carta. 31 Infine, qualora la Corte giunga alla conclusione che il diritto dell’Unione esige che entrambe le madri del minore in questione siano menzionate nell’atto di nascita emesso dalle autorità bulgare, il giudice del rinvio si chiede come debba essere attuato tale obbligo, non potendo detto giudice sostituire il modello di atto di nascita figurante nei modelli di atti di stato civile in vigore a livello nazionale. 32 In tali circostanze, l’Administrativen sad Sofia-grad (Tribunale amministrativo di Sofia) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: «1) Se gli articoli 20 e 21 TFUE nonché gli articoli 7, 24 e 45 della [Carta] debbano essere interpretati nel senso che non consentono alle autorità amministrative bulgare, presso le quali è stata presentata una domanda di certificazione della nascita di un bambino, cittadino bulgaro, avvenuta in un altro Stato membro dell’Unione, e attestata da un atto di nascita spagnolo, nel quale due persone di sesso femminile sono state registrate come madri, senza precisare ulteriormente se una di esse, e in caso affermativo quale, sia la madre biologica del bambino, di rifiutare il rilascio di un atto di nascita bulgaro con la motivazione che la ricorrente si rifiuta di indicare chi è la madre biologica del bambino. 2) Se l’articolo 4, paragrafo 2, TUE e l’articolo 9 della Carta debbano essere interpretati nel senso che la salvaguardia dell’identità nazionale e dell’identità costituzionale degli Stati membri [dell’Unione] significa che questi ultimi dispongono di un’ampia discrezionalità con riferimento alle disposizioni per l’accertamento della filiazione. In particolare: se l’articolo 4, paragrafo 2, TUE debba essere interpretato nel senso che consente agli Stati membri di richiedere informazioni sulla discendenza biologica del bambino; se l’articolo 4, paragrafo 2, TUE, in combinato disposto con l’articolo 7 e con l’articolo 24, paragrafo 2, della Carta, debba essere interpretato nel senso che è imprescindibile ponderare, da una parte, l’identità nazionale e l’identità costituzionale di uno Stato membro e, dall’altra, l’interesse superiore del bambino, tenuto conto del fatto che attualmente non esiste consenso né dal punto di vista dei valori né dal punto di vista giuridico sulla possibilità di far registrare come genitori, in un atto di nascita, persone dello stesso sesso, senza precisare ulteriormente se uno di essi, e in caso affermativo quale, sia il genitore biologico del bambino. In caso di risposta affermativa a tale domanda, come si possa realizzare concretamente detto bilanciamento di interessi. 3) Se le conseguenze giuridiche del[l’accordo di recesso] siano rilevanti per la risposta alla prima questione, in quanto una delle madri, che è indicata nell’atto di nascita rilasciato RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 3/2021 in un altro Stato membro, è cittadina del Regno Unito, e l’altra madre è cittadina di uno Stato membro dell’Unione, se si considera in particolare che il rifiuto di rilasciare un atto di nascita bulgaro del bambino rappresenta un ostacolo per il rilascio di un certificato di identità del bambino da parte di uno Stato membro [dell’Unione] e, di conseguenza, rende eventualmente più difficile il pieno esercizio dei suoi diritti come cittadino dell’Unione. 4) Se, in caso di risposta affermativa alla prima questione, il diritto dell’Unione, in particolare il principio di effettività, obblighi le competenti autorità nazionali a discostarsi dal modello per la redazione di un atto di nascita [figurante nei modelli di atti di stato civile], che è parte costitutiva del diritto nazionale vigente». Procedimento dinanzi alla Corte 33 Nella sua domanda di pronuncia pregiudiziale, il giudice del rinvio chiede che la causa sia trattata con procedimento accelerato ai sensi dell’articolo 105 del regolamento di procedura della Corte. Tale giudice sostiene, in particolare, che il rifiuto delle autorità bulgare di rilasciare a S.D.K.A., che sarebbe cittadina bulgara, un atto di nascita causerebbe a tale minore serie difficoltà per ottenere un documento d’identità bulgaro e, di conseguenza, per esercitare il suo diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, garantito all’articolo 21 TFUE. 34 L’articolo 105, paragrafo 1, del regolamento di procedura prevede che, su domanda del giudice del rinvio o, in via eccezionale, d’ufficio, il presidente della Corte, sentiti il giudice relatore e l’avvocato generale, può decidere di sottoporre un rinvio pregiudiziale a procedimento accelerato quando la natura della causa richiede un suo rapido trattamento. 35 Nella fattispecie, il 19 ottobre 2020, il presidente della Corte ha deciso, sentiti il giudice relatore e l’avvocato generale, di accogliere la domanda di procedimento accelerato menzionata al punto 33 della presente sentenza. Tale decisione è stata motivata con il fatto che S.D.K.A., una minore in tenera età, è attualmente priva di un passaporto, mentre risiede in uno Stato membro di cui non è cittadina. Poiché le questioni poste sono volte a determinare se le autorità bulgare siano tenute a rilasciare un atto di nascita per tale minore e poiché dalla domanda di pronuncia pregiudiziale risulta che tale atto è necessario, secondo il diritto nazionale, per poter ottenere un passaporto bulgaro, una risposta della Corte entro un breve periodo di tempo può contribuire a che tale minore ottenga più rapidamente un passaporto (v., in tal senso, ordinanza del presidente della Corte del 3 luglio 2015, Gogova, C‑215/15, non pubblicata, EU:C:2015:466, punti da 12 a 14). Sulle questioni pregiudiziali 36 Con le sue questioni, che devono essere esaminate congiuntamente, il giudice nazionale chiede, in sostanza, se il diritto dell’Unione obblighi uno Stato membro a rilasciare un atto di nascita, al fine di ottenere un documento d’identità secondo le norme di tale Stato membro, per un minore, cittadino di tale Stato membro, la cui nascita in un altro Stato membro è attestata da un atto di nascita emesso dalle autorità di tale altro Stato membro, conformemente alla sua legislazione nazionale, e che designa, quali madri di tale minore, una cittadina del primo di tali Stati membri e sua moglie, senza precisare quale delle due donne abbia dato alla luce la bambina. In caso affermativo, detto giudice si chiede se il diritto dell’Unione esiga che un tale atto includa, come quello emesso dalle autorità dello Stato membro in cui il minore è nato, i nomi di tali due donne in qualità di madri. 37 Il suddetto giudice desidera anche sapere se il fatto che l’altra madre del minore in questione sia cittadina del Regno Unito, che non è più uno Stato membro, abbia una qualche influenza sulla risposta a tale questione. CONTENZIOSO COmUNITARIO ED INTERNAZIONALE 38 In via preliminare, è importante ricordare che, da un lato, la determinazione dei modi di acquisto e di perdita della cittadinanza rientra, in conformità al diritto internazionale, nella competenza di ciascuno Stato membro, e che, dall’altro, in situazioni ricadenti nel- l’ambito del diritto dell’Unione, le norme nazionali di cui trattasi devono rispettare quest’ultimo (sentenze del 2 marzo 2010, Rottmann, C‑135/08, EU:C:2010:104, punti 39 e 41, nonché del 12 marzo 2019, Tjebbes e altri, C‑221/17, EU:C:2019:189, punto 30). 39 Secondo gli accertamenti effettuati dal giudice del rinvio, che è l’unico competente in materia, S.D.K.A. è cittadina bulgara per nascita ai sensi dell’articolo 25, paragrafo 1, della Costituzione bulgara. 40 Ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 1, TFUE, è cittadino dell’Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro. Ne consegue che, in quanto cittadina bulgara, S.D.K.A. gode dello status di cittadino dell’Unione ai sensi della disposizione di cui trattasi. 41 A tale riguardo, la Corte ha ripetutamente affermato che lo status di cittadino dell’Unione è destinato ad essere lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri [v. sentenze del 20 settembre 2001, Grzelczyk, C‑184/99, EU:C:2001:458, punto 31 e del 15 luglio 2021, A (Assistenza sanitaria pubblica), C‑535/19, EU:C:2021:595, punto 41]. 42 Come risulta dalla giurisprudenza della Corte, un cittadino di uno Stato membro che, nella sua qualità di cittadino dell’Unione abbia esercitato la propria libertà di circolare e di soggiornare in uno Stato membro diverso dal suo Stato membro d’origine, può avvalersi dei diritti connessi a tale qualità, in particolare di quelli previsti dall’articolo 21, paragrafo 1, TFUE, anche, eventualmente, nei confronti del suo Stato membro d’origine (sentenza del 5 giugno 2018, Coman e a., C‑673/16, EU:C:2018:385, punto 31 e la giurisprudenza ivi citata). Anche i cittadini dell’Unione che sono nati nello Stato membro ospitante dei loro genitori e che non si sono mai avvalsi del diritto alla libera circolazione possono invocare tale disposizione e le disposizioni adottate per la sua applicazione (sentenza del 2 ottobre 2019, Bajratari, C‑93/18, EU:C:2019:809, punto 26 e giurisprudenza ivi citata). 43 Ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 1, TFUE, ogni cittadino dell’Unione ha il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dai trattati e dalle disposizioni adottate in applicazione degli stessi. Per permettere ai loro cittadini di esercitare tale diritto, l’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva 2004/38 impone agli Stati membri, conformemente alla loro legislazione, di rilasciare ai loro cittadini una carta d’identità o un passaporto che indichi la loro cittadinanza. 44 Pertanto, poiché S.D.K.A. è una cittadina bulgara, le autorità bulgare sono obbligate a rilasciarle una carta d’identità o un passaporto che indichi la sua cittadinanza e il suo cognome come risulta dall’atto di nascita emesso dalle autorità spagnole, in quanto la Corte ha già dichiarato che l’articolo 21 TFUE osta a che le autorità di uno Stato membro, in applicazione del diritto nazionale, rifiutino di riconoscere il cognome di un figlio così come esso è stato determinato e registrato in un altro Stato membro in cui tale figlio è nato e risiede sin dalla nascita (v., in tal senso, sentenza del 14 ottobre 2008, Grunkin e Paul, C‑353/06, EU:C:2008:559, punto 39). 45 Occorre inoltre precisare che l’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva 2004/38 impone alle autorità bulgare di rilasciare una carta d’identità o un passaporto a S.D.K.A. indipendentemente dall’emissione di un nuovo atto di nascita per tale minore. Così, nei limiti in cui il diritto bulgaro esige l’emissione di un atto di nascita bulgaro prima del rilascio di una carta d’identità o di un passaporto bulgaro, tale Stato membro non può invocare il suo RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 3/2021 diritto nazionale per rifiutare l’emissione di tale carta d’identità o passaporto per S.D.K.A. 46 Tale documento, da solo o in combinazione con altri documenti, eventualmente con un documento rilasciato dallo Stato membro ospitante del minore interessato, deve permettere a un minore in una situazione come quella di S.D.K.A di esercitare il proprio diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, garantito all’articolo 21, paragrafo 1, TFUE, con ciascuna delle sue due madri, il cui status di genitori di tale minore sia stato accertato dallo Stato membro ospitante delle medesime nel corso di un soggiorno conforme alla direttiva 2004/38. 47 Occorre ricordare che i diritti riconosciuti ai cittadini degli Stati membri all’articolo 21, paragrafo 1, TFUE includono il diritto di condurre una normale vita familiare sia nello Stato membro ospitante sia nello Stato membro del quale essi possiedono la cittadinanza, al ritorno in tale Stato membro, ivi beneficiando della presenza, al loro fianco, dei loro familiari (sentenza del 5 giugno 2018, Coman e a., C‑673/16, EU:C:2018:385, punto 32 e giurisprudenza citata). 48 È pacifico che, nel procedimento principale, le autorità spagnole hanno accertato legalmente l’esistenza di un rapporto di filiazione, biologica o giuridica, tra S.D.K.A. e i suoi due genitori, V.m.A. e K.D.K., e hanno attestato il medesimo nell’atto di nascita rilasciato per la figlia di queste ultime. In applicazione dell’articolo 21 TFUE e della direttiva 2004/38, a V.m.A. e K.D.K., in quanto genitori di un cittadino dell’Unione minorenne di cui hanno la custodia effettiva, deve quindi essere riconosciuto da tutti gli Stati membri il diritto di accompagnare quest’ultimo nell’esercizio del suo diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri (v., per analogia, sentenza del 13 settembre 2016, Rendón marín, C‑165/14, EU:C:2016:675, punti da 50 a 52 e giurisprudenza ivi citata). 49 Pertanto, le autorità bulgare, come quelle di qualsiasi altro Stato membro, sono tenute a riconoscere tale rapporto di filiazione al fine di consentire a S.D.K.A., poiché la medesima ha ottenuto, secondo il giudice del rinvio, la cittadinanza bulgara, di esercitare senza impedimenti, insieme a ciascuno dei suoi due genitori, il proprio diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, garantito all’articolo 21, paragrafo 1, TFUE. 50 Inoltre, per permettere effettivamente a S.D.K.A. di esercitare il proprio diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri con ciascuno dei suoi due genitori, è necessario che V.m.A. e K.D.K. possano disporre di un documento che le menzioni come persone autorizzate a viaggiare con tale minore. Nella fattispecie, le autorità dello Stato membro ospitante sono nella posizione migliore per emettere tale documento, che può consistere nell’atto di nascita. Gli altri Stati membri sono obbligati a riconoscere tale documento. 51 Vero è, come ha notato il giudice del rinvio, che l’articolo 9 della Carta prevede che il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio. 52 A questo proposito, allo stato attuale del diritto dell’Unione, lo status delle persone, in cui rientrano le norme sul matrimonio e sulla filiazione, è una questione di competenza degli Stati membri e il diritto dell’Unione non incide su tale competenza. Gli Stati membri sono quindi liberi di prevedere o meno, nel loro diritto nazionale, il matrimonio tra persone dello stesso sesso e la genitorialità di queste ultime. Tuttavia, nell’esercizio di tale competenza, ciascuno Stato membro deve rispettare il diritto dell’Unione e, in particolare, le disposizioni del Trattato FUE relative alla libertà riconosciuta a ogni cittadino del CONTENZIOSO COmUNITARIO ED INTERNAZIONALE l’Unione di circolare e di soggiornare nel territorio degli Stati membri, riconoscendo, a tal fine, lo status delle persone stabilito in un altro Stato membro conformemente al diritto di quest’ultimo (v., in tal senso, sentenza del 5 giugno 2018, Coman e a., C‑673/16, EU:C:2018:385, punti da 36 a 38 e giurisprudenza ivi citata). 53 In tale contesto, il giudice del rinvio chiede alla Corte se l’articolo 4, paragrafo 2, TUE possa giustificare il rifiuto delle autorità bulgare di rilasciare un atto di nascita di S.D.K.A e quindi una carta d’identità o un passaporto per tale minore. In particolare, detto giudice afferma che un eventuale obbligo per siffatte autorità di emettere un atto di nascita che indichi due persone di sesso femminile come genitori di tale minore potrebbe pregiudicare l’ordine pubblico e l’identità nazionale della Repubblica di Bulgaria, in quanto la Costituzione bulgara e il diritto di famiglia bulgaro non prevedono la genitorialità di due persone dello stesso sesso. 54 A tale riguardo, occorre ricordare che, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, TUE, l’Unione rispetta l’identità nazionale dei suoi Stati membri, insita nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale. 55 Inoltre, la Corte ha dichiarato in più occasioni che la nozione di «ordine pubblico», in quanto giustificazione di una deroga a una libertà fondamentale, dev’essere intesa in senso restrittivo, di guisa che la sua portata non può essere determinata unilateralmente da ciascuno Stato membro senza il controllo delle istituzioni dell’Unione. Ne consegue che l’ordine pubblico può essere invocato solo in presenza di una minaccia reale e sufficientemente grave che colpisce un interesse fondamentale della società (sentenza del 5 giugno 2018, Coman e a., C‑673/16, EU:C:2018:385, punto 44 e giurisprudenza ivi citata). 56 Orbene, come ha sottolineato l’avvocato generale ai paragrafi 150 e 151 delle sue conclusioni, l’obbligo per uno Stato membro, da un lato, di rilasciare una carta d’identità o un passaporto a un minore, cittadino di tale Stato membro, nato in un altro Stato membro e il cui atto di nascita rilasciato dalle autorità di quest’altro Stato membro designa come suoi genitori due persone dello stesso sesso, e, dall’altro, di riconoscere il rapporto di filiazione tra tale minore e ciascuna di queste due persone nell’ambito dell’esercizio, da parte del medesimo, dei suoi diritti a titolo dell’articolo 21 TFUE e degli atti di diritto derivato ai medesimi connessi, non viola l’identità nazionale né minaccia l’ordine pubblico di tale Stato membro. 57 Infatti, tale obbligo non impone allo Stato membro di cui il minore interessato ha la cittadinanza di prevedere nel suo diritto interno la genitorialità di persone dello stesso sesso o di riconoscere, a fini diversi dall’esercizio dei diritti che a tale minore derivano dal diritto dell’Unione, il rapporto di filiazione tra tale minore e le persone indicate come genitori di quest’ultimo nell’atto di nascita emesso dalle autorità dello Stato membro ospitante (v., per analogia, sentenza del 5 giugno 2018, Coman e a., C‑673/16, EU:C:2018:385, punti 45 e 46). 58 Si deve aggiungere che una misura nazionale idonea ad ostacolare l’esercizio della libera circolazione delle persone può essere giustificata solo se è conforme ai diritti fondamentali sanciti dalla Carta di cui la Corte garantisce il rispetto (sentenza del 5 giugno, Coman e a., C‑673/16, EU:C:2018:385, punto 47). 59 Nella situazione oggetto del procedimento principale, il diritto al rispetto della vita privata e familiare garantito dall’articolo 7 della Carta e i diritti del minore garantiti dall’articolo 24 della Carta, in particolare il diritto a che si tenga conto dell’interesse superiore del minore come una considerazione primaria in tutti gli atti relativi ai minori e il diritto di man RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 3/2021 tenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con entrambi i genitori, sono fondamentali. 60 A tale riguardo, come risulta dalle spiegazioni relative alla Carta dei diritti fondamentali (GU 2007, C 303, pag. 17), a norma dell’articolo 52, paragrafo 3, della Carta, i diritti garantiti dall’articolo 7 della medesima hanno lo stesso significato e la stessa portata di quelli garantiti dall’articolo 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950. 61 Orbene, dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo risulta che l’esistenza di una «vita familiare» è una questione di fatto dipendente dalla realtà pratica di stretti legami personali e che la possibilità per un genitore e il figlio di essere insieme rappresenta un elemento fondamentale della vita familiare (Corte EDU, 12 luglio 2001, K. e T. c. Finlandia, CE:ECHR:2001:0712JUD002570294, §§ 150 e 151). Inoltre, come la Corte ha avuto modo di constatare, da questa giurisprudenza risulta che la relazione intrattenuta da una coppia omosessuale può rientrare nel concetto di «vita privata» così come in quello di «vita familiare» allo stesso modo di una coppia di sesso opposto nella stessa situazione (v. sentenza del 5 giugno 2018, Coman e a., C‑673/16, EU:C:2018:385, punto 50, e giurisprudenza ivi citata). 62 Di conseguenza, come ha rilevato l’avvocato generale al paragrafo 153 delle sue conclusioni, il rapporto del minore interessato con ciascuna delle due persone con cui ha una vita familiare effettiva nello Stato membro ospitante e che sono menzionate come suoi genitori nel- l’atto di nascita emesso dalle autorità di tale Stato è protetto dall’articolo 7 della Carta. 63 Inoltre, come è stato ricordato al punto 59 della presente sentenza, il diritto al rispetto della vita familiare, quale sancito dall’articolo 7 della Carta, dev’essere letto in combinato disposto con l’obbligo di tener conto dell’interesse superiore del minore, riconosciuto dall’articolo 24, paragrafo 2, della Carta. Orbene, poiché l’articolo 24 della Carta costituisce, come ricordano le spiegazioni relative alla Carta dei diritti fondamentali, un’integrazione nel diritto dell’Unione dei principali diritti del minore sanciti nella Convenzione sui diritti del fanciullo, che è stata ratificata da tutti gli Stati membri, occorre, nell’interpretazione di detto articolo, tenere debitamente conto delle disposizioni di tale Convenzione [v., in tal senso, sentenze del 14 febbraio 2008, Dynamic medien, C‑244/06, EU:C:2008:85, punto 39, e dell’11 marzo 2021, État belge (Rimpatrio del genitore di un minore), C‑112/20, EU:C:2021:197, punto 37]. 64 In particolare, l’articolo 2 di tale Convenzione stabilisce il principio di non discriminazione del minore, il quale esige che i diritti enunciati in tale Convenzione, tra cui, all’articolo 7, il diritto di essere registrato alla nascita, di avere un nome e di acquisire una cittadinanza, siano garantiti al minore senza che quest’ultimo subisca discriminazioni al riguardo, comprese quelle basate sull’orientamento sessuale dei suoi genitori. 65 Ciò premesso, sarebbe contrario ai diritti fondamentali che gli articoli 7 e 24 della Carta garantiscono a tale minore privarlo del rapporto con uno dei suoi genitori nell’ambito dell’esercizio del suo diritto di circolare e di soggiornare liberamente sul territorio degli Stati membri o rendergli de facto impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio di tale diritto per il fatto che i suoi genitori sono dello stesso sesso. 66 Infine, il fatto che uno dei genitori del minore interessato sia cittadina del Regno Unito, che non è più uno Stato membro, è irrilevante al riguardo. 67 Inoltre, nel caso in cui, dopo la verifica, S.D.K.A. non dovesse possedere la cittadinanza bulgara, occorre ricordare che, indipendentemente dalla loro nazionalità e a prescindere CONTENZIOSO COmUNITARIO ED INTERNAZIONALE 65 dal fatto che esse stesse abbiano lo status di cittadine dell’Unione, K.D.K. e S.D.K.A. devono essere considerate da tutti gli Stati membri come, rispettivamente, il coniuge e la discendente diretta ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettere a) e c), della direttiva 2004/38 e, di conseguenza, come familiari di V.m.A. (v., in tal senso, sentenza del 5 giugno 2018, Coman e. C‑673/16, EU:C:2018:385, punto 36 e 51). 68 Infatti, un minore il cui status di cittadino dell’Unione non sia stato accertato e il cui atto di nascita rilasciato dalle autorità competenti di uno Stato membro designi come genitori due persone dello stesso sesso, una delle quali sia cittadina dell’Unione, deve essere considerato, da tutti gli Stati membri, come un discendente diretto di tale cittadina del- l’Unione, ai sensi della direttiva 2004/38, ai fini dell’esercizio dei diritti conferiti dall’articolo 21, paragrafo 1, TFUE e dagli atti di diritto derivato connessi. 69 Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alle questioni pregiudiziali dichiarando che l’articolo 4, paragrafo 2, TUE, gli articoli 20 e 21 TFUE nonché gli articoli 7, 24 e 45 della Carta, letti in combinato disposto con l’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva 2004/38, devono essere interpretati nel senso che, nel caso di un minore cittadino dell’Unione il cui atto di nascita rilasciato dalle autorità competenti dello Stato membro ospitante designi come suoi genitori due persone dello stesso sesso, lo Stato membro di cui tale minore è cittadino è tenuto, da un lato, a rilasciargli una carta d’identità o un passaporto, senza esigere la previa emissione di un atto di nascita da parte delle sue autorità nazionali e, dall’altro, a riconoscere, come ogni altro Stato membro, il documento promanante dallo Stato membro ospitante che consente a detto minore di esercitare, con ciascuna di tali due persone, il proprio diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. Sulle spese 70 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara: L’articolo 4, paragrafo 2, tUe, gli articoli 20 e 21 tFUe nonché gli articoli 7, 24 e 45 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in combinato disposto con l’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva 2004/38/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (Cee) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/Cee, 68/360/Cee, 72/194/Cee, 73/148/Cee, 75/34/Cee, 75/35/Cee, 90/364/Cee, 90/365/Cee e 93/96/Cee, devono essere interpretati nel senso che, nel caso di un minore, cittadino dell’Unione il cui atto di nascita rilasciato dalle autorità competenti dello Stato membro ospitante designi come suoi genitori due persone dello stesso sesso, lo Stato membro di cui tale minore è cittadino è tenuto, da un lato, a rilasciargli una carta d’identità o un passaporto, senza esigere la previa emissione di un atto di nascita da parte delle sue autorità nazionali e, dall’altro, a riconoscere, come ogni altro Stato membro, il documento promanante dallo Stato membro ospitante che consente a detto minore di esercitare, con ciascuna di tali due persone, il proprio diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. ContenziosonazionaLe Gli ingiustificati automatismi sanzionatori. La portata applicativa della sentenza della Corte Costituzionale n. 268/2016 alla luce della recente giurisprudenza amministrativa Margherita Feleppa* SoMMARIo: 1. Premessa. L’automatismo legislativo derivante dagli artt. 866, 867 e 923 d.lgs n. 66/2010 -2. La questione sottoposta alla Corte -3. I precedenti -4. La sentenza n. 268/2016 della Corte Costituzionale -5. La giurisprudenza amministrativa che ha applicato la sentenza n. 268/2016 - 6. Considerazioni conclusive. 1. Premessa. L’automatismo legislativo derivante dagli artt. 866, 867 e 923 d.lgs n. 66/2010. A distanza di sei anni dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 268/2016, il tema degli automatismi legislativi nell’ambito del pubblico impiego costituisce ancora un argomento di grande attualità, in virtù delle recenti pronunce del giudice amministrativo che hanno applicato il ragionamento della sentenza in commento, nonché di una pronuncia della Consulta del 2021. Con la sentenza n. 268/2016 depositata il 15 dicembre 2016 (1), la Corte (*) Dottoressa in Giurisprudenza, ammessa alla pratica forense presso l’Avvocatura Generale dello Stato (avv. Stato Liborio Coaccioli). Un ringraziamento all’avv. Stato Liborio Coaccioli per la revisione dell’articolo. (1) In G.U. n. 51 del 21 dicembre 2016, 1ª serie spec. Consultabile nella Rassegna dell’Arma dei Carabinieri con il commento di F. BASSettA, Legittimità costituzionale degli artt. 866 co. 1, 867 co. 3 e 923 co. 1, lett. i) del D.Lgs. 66/2010 (Codice ordinamento Militare) (Sentenza Cort. Cost. n. 268 del 19 ottobre 2016) in Rassegna dell’Arma dei Carabinieri, 2017, n. 1, pp. 188 e ss. Si veda anche il contributo di G. DoDAro, Incostituzionalità della cessazione automatica del rapporto di impiego militare per condanna a pena interdittiva temporanea in Dir. pen. processo, 2017, n. 6, pp. 773 e ss. rASSeGnA AVVoCAtUrA DeLLo StAto -n. 3/2021 Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 866, comma 1, 867, comma 3 e 923, comma 1, lettera i), del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (2) (codice dell’ordinamento militare, d’ora in avanti c.o.m.), nella parte in cui non prevedevano l’instaurarsi del procedimento disciplinare per la cessazione dal servizio per perdita del grado conseguente alla pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici ex art. 28 c.p. Invero, i citati articoli introducevano un meccanismo automatico di espulsione dal rapporto di pubblico impiego a seguito di sentenza penale irrevocabile di condanna, senza la previa attivazione del procedimento disciplinare e, dunque, senza che fosse possibile valutare da parte dell’Amministrazione procedente la gravità del reato commesso, la sua rilevanza rispetto all’attività svolta in concreto dal dipendente, né l’opportunità dell’eventuale mantenimento in servizio. Il descritto meccanismo automatico di espulsione dal rapporto di pubblico impiego evoca il citato tema degli automatismi legislativi, ovvero quei meccanismi che “al verificarsi d’una fattispecie concreta descritta con precisione dalla norma, fanno seguire la doverosa conseguenza, altrettanto precisamente definita della norma” (3). nel caso di specie, al verificarsi del presupposto di cui all’art. 866 c.o.m. -la pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici -seguiva la “doverosa conseguenza” della perdita del grado, conseguenza che azzerava ogni margine di discrezionalità. nella giurisprudenza costituzionale si registra una tendenza all’eliminazione degli automatismi, nello specifico verso gli automatismi che, come si dirà, vengono ritenuti ingiustificati (4). Questo è il filone giurisprudenziale in cui si inserisce la pronuncia in commento. Il presente contributo si propone, dunque, di esaminare la citata sentenza (2) Il decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (in G.U. Serie Generale n.106 del 8 maggio 2010 -Suppl. ordinario n. 84) disciplina “l'organizzazione, le funzioni e l’attività della difesa e sicurezza militare e delle Forze armate”, come statuito dall’art. 1. (3) G. ZAGreBeLSky, V. MArCenò, Giustizia costituzionale, Bologna, 2012, 210. Sugli automatismi sanzionatori nell’ambito del diritto penale si segnala G. BeFerA, Automatismi sanzionatori vs Corte costituzionale: un esito annunciato in Cass. Pen., 2018, n. 4, pp. 1184 e ss. (4) Cfr. Corte Cost. n. 40/1990 sull’automatismo scaturente dagli artt. 139, 142 e 158 della legge 16 febbraio 1913 n. 89 (ordinamento del notariato e degli archivi notarili) che prevedevano la destituzione e l'inabilitazione di diritto del notaio condannato per determinati reati. In essa si afferma: “l'automatismo di un'unica massima sanzione, prevista indifferentemente per l'infinita serie di situazioni che stanno nell'area della commissione di uno stesso pur grave reato, non può reggere il confronto con il principio di eguaglianza che come esige lo stesso trattamento per identiche situazioni, postula un trattamento differenziato per situazioni diverse”, nonché Corte Cost. n. 158/1990, n. 16/1991 e 197/1993 su cui si veda A. CAntAro, Ancora sulla destituzione di diritto e decadenza: novità e conferme della più recente giurisprudenza costituzionale in Giur. Cost., 1993, n. 2, pp. 1349 e ss. Si vedano anche G. SCIULLo, Destituzione di diritto e Corte costituzionale: a ciascuno -anche al legislatore -le sue responsabilità, in Le Regioni 1989, n. 6, pp. 1810 e ss. e A. AnDreonI, La destituzione di diritto nel rapporto di pubblico impiego (rivisitato), in Giur. Cost. 1988, n. 8, pp. 4577 e ss. Sul tema del rapporto d’impiego dei militari, cfr. Corte Cost. n. 363/1996. ContenZIoSo nAZIonALe della Corte Costituzionale, approfondendo i precedenti in materia ed affrontando le recenti pronunce del giudice amministrativo che hanno interpretato la sentenza 268/2016 e ne hanno chiarito la portata applicativa, toccando anche i recenti sviluppi che hanno portato la questione nuovamente al vaglio della Consulta nel 2021. Il fine ultimo è quello di offrire una breve panoramica sul- l’approccio del giudice delle leggi, che finora si è mostrato avverso agli automatismi legislativi riguardo al tema della cessazione del rapporto di impiego dei pubblici dipendenti, seppure con qualche eccezione. 2. La questione sottoposta alla Corte. Come anticipato, la sentenza in commento tratta la questione della cessazione dal servizio militare per perdita del grado conseguente alla pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici. oggetto della pronuncia sono i seguenti articoli del codice dell’ordinamento militare: -l’articolo 866, rubricato “Condanna penale”, il cui comma 1 recita: “La perdita del grado, senza giudizio disciplinare, consegue a condanna definitiva, non condizionalmente sospesa, per reato militare o delitto non colposo che comporti la pena accessoria della rimozione o della interdizione temporanea dai pubblici uffici, oppure una delle pene accessorie di cui all'articolo 19, comma 1, numeri 2) e 6) del codice penale”; -l’articolo 867, “Provvedimenti di perdita del grado”, comma 3, in cui si legge: “Se la perdita del grado consegue a condanna penale, la stessa decorre dal passaggio in giudicato della sentenza”; -infine, l’articolo 923, disciplinante le cause che determinano la cessazione del rapporto di impiego, nello specifico il comma 1, lettera i) secondo cui “Il rapporto di impiego del militare cessa per una delle seguenti cause [...] i) perdita del grado”. Dal tracciato quadro normativo discende che, quando un appartenente alle Forze armate riporta una condanna definitiva, non condizionalmente sospesa, per reato militare o delitto non colposo che comporti la pena accessoria della rimozione o della interdizione temporanea dai pubblici uffici, viene disposta la perdita del grado. Quest’ultima misura, come disposto dall’art. 923 c.o.m., è di per sé causa di cessazione del rapporto di impiego. Pertanto, l’effetto giuridico della perdita del grado si produce di pieno diritto, senza che sia necessario instaurare il procedimento disciplinare. Quanto alla dibattuta natura dell’istituto disciplinato dall’art. 866, occorre precisare che non si tratta di semplice pena accessoria, bensì di un effetto indiretto della pena accessoria di carattere interdittivo, quale l’interdizione dai pubblici uffici. Sul punto, sono intervenute due pronunce del Consiglio di Stato secondo cui detto effetto indiretto, “giustificato dalla fisiologica impossibilità di prosecuzione del rapporto in conseguenza dell’irrogazione di una sanzione di carattere interdittivo […]”, assurge a “mero presupposto oggettivo rASSeGnA AVVoCAtUrA DeLLo StAto -n. 3/2021 cui è ricollegato l’effetto ex lege della perdita del grado e della cessazione dal servizio” (5). Da tale qualificazione, discende l’applicazione del “principio generale tempus regit actum che impone, in assenza di deroghe, l’applicazione della normativa sostanziale vigente al momento dell’esercizio del potere amministrativo, in conformità a quanto disposto dall’art. 2187, d.lgs. n. 66/2010, secondo cui solo i procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del presente codice e del regolamento rimangono disciplinati dalla previgente normativa” (6). Perciò, l’art. 866 c.o.m., non contempla un procedimento disciplinare, ma un procedimento di presa d’atto degli effetti che ha sul rapporto d’impiego una sanzione penale che rende incompatibile la prosecuzione del rapporto (7). tornando alla questione sottoposta alla Corte Costituzionale, è legittimo prevedere la perdita del grado, senza l’espletamento del procedimento disciplinare per il dipendente delle Forze armate condannato definitivamente con pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici? Prima di analizzare la decisione, occorre effettuare una disamina retrospettiva dei precedenti. 3. I precedenti. Già nel 1988, con la sentenza n. 971, la Corte aveva affrontato una questione di simile tenore circa la destituzione del pubblico dipendente in seguito a condanna penale (8). nel caso di specie, veniva in esame l’articolo 85 lett. a) d.P.r. 10 gennaio 1957 n. 3 (statuto degli impiegati civili dello Stato), il quale disponeva che l'impiegato incorre nella destituzione senza l’attivazione del procedimento disciplinare a seguito di condanna per taluni delitti specificamente elencati, fra cui il peculato, reato commesso nel caso esaminato. La Corte, ragionando sulla “indispensabile gradualità sanzionatoria, ivi compresa la misura massima destitutoria [la quale] importa -dunque -che le valutazioni relative siano ricondotte, ognora, alla naturale sede di valutazione: il procedimento disciplinare” e ritenendo che “in difetto [di detto procedimento] ogni (5) Consiglio di Stato, Sez. VI, sentt. nn. 389 e 390 del 27 gennaio 2014. Così anche t.A.r. Campania, Salerno, Sez. I, sent. n. 2438 del 18 novembre 2015 e, da ultimo, Cons. St., Sez. II, sent. n. 3691 del 10 maggio 2021 e t.A.r. Lombardia, Sez. III, sent. 2371 del 15 dicembre 2016 confermata da Cons. St., Sez. IV, sent. n. 486 del 21 gennaio 2020. (6) Cons. St., Sez. VI, sentt. nn. 389 e 390 del 27 gennaio 2014, cit. (7) In questi termini si è espresso il Consiglio di Stato, Sez. I, parere n. 1916 del 23 novembre 2020, secondo cui “Di piana lettura è, infatti, la previsione dell’art. 866, comma 1, CoM. […] La norma in tale ipotesi, quindi, non solo non contempla un procedimento disciplinare ma anzi lo esclude espressamente, demandando all’amministrazione una mera presa d’atto degli effetti che ha sul rapporto d’impiego una sanzione penale che rende incompatibile la prosecuzione del rapporto d’impiego”. (8) In G.U. n. 42 del 19 ottobre 1988, 1ª serie spec. Si veda il commento di e. GrAGnoLI, La Corte costituzionale elimina la destituzione di diritto nel pubblico impiego, nota a Corte costituzionale 14 ottobre 1988, in Riv. it. dir. lav., 1989, n. 4, pp. 671 e ss. ContenZIoSo nAZIonALe relativa norma risulta incoerente, per il suo automatismo, e conseguentemente irrazionale”, dichiarava il citato articolo costituzionalmente illegittimo per contrasto con l’art. 3 Cost., così mostrandosi avversa agli automatismi sanzionatori collegati all’accertamento compiuto nel giudizio penale. tuttavia, bisogna attendere il 1999, nello specifico la sentenza n. 286, perché venga portato all’attenzione della Corte il tema dell’interdizione dai pubblici uffici, seppur, questa volta si trattava di interdizione perpetua (9). Veniva, pertanto, in rilievo il più specifico problema degli effetti destitutori di una pena accessoria interdittiva. I sospetti di illegittimità costituzionale riguardavano l’art. 29, primo comma, del codice penale, nella parte in cui statuisce che “la condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a cinque anni importa l'interdizione perpetua del condannato dai pubblici uffici”; e l'art. 85, lett. b), del d.P.r. 10 gennaio 1957, n. 3, nella parte in cui prescrive che l'impiegato incorre nella destituzione, escluso il procedimento disciplinare, per condanna passata in giudicato che importi l'interdizione dai pubblici uffici. La questione riguardava, infatti, un dipendente pubblico che era stato destituito a seguito di condanna a cinque anni e sei mesi di reclusione, nonché all’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Discostandosi da quanto deciso nel 1988, il giudice delle leggi dichiarava la questione non fondata, affermando che: “Il giudice a quo vorrebbe che dalla pena accessoria […] non scaturisse l'automatismo della rimozione, ma si affermasse nella sua ineludibilità l'interposizione del giudizio disciplinare. […] l'affermazione del principio della necessità del procedimento disciplinare, in luogo della destituzione di diritto dei pubblici dipendenti, non concerne le pene accessorie di carattere interdittivo, in genere, né l'interdizione dai pubblici uffici, in particolare. La risoluzione del rapporto d'impiego costituisce, in questo caso, soltanto un effetto indiretto della pena accessoria comminata in perpetuo. […] nella sua discrezionalità, il legislatore resta libero -sia pure con l'osservanza del principio di razionalità normativa -di determinare i presupposti, i contenuti e la durata della misura, assolvendo la pena accessoria finalità di difesa sociale e di prevenzione speciale”. Con tale precedente, perciò, si statuiva che il principio della necessaria previa instaurazione del procedimento disciplinare, di cui è evidenza la citata sentenza n. 971/1988, non poteva applicarsi alle pene accessorie di carattere interdittivo, quale l’interdizione dai pubblici uffici. nel 2013 la Corte tornò ad occuparsi del tema, questa volta con specifico riferimento alle Forze armate ed al codice dell’ordinamento militare. occorre notare sin d’ora che si versava nell’ipotesi della perdita del grado, ipotesi distinta, come dirà la Corte, dalla destituzione del pubblico dipendente. Con l’ordinanza n. 128 del 28 marzo 2013, il t.A.r. Lazio chiedeva alla Corte di pronunciarsi circa la legittimità costituzionale dell’art. 866 c.o.m., ritenendo (9) Corte Cost. n. 286/1999 in G.U. n. 28 del 14 luglio 1999, 1ª serie spec. rASSeGnA AVVoCAtUrA DeLLo StAto -n. 3/2021 che l’assenza del procedimento disciplinare e la tutela del diritto al lavoro rendessero la questione non manifestamente infondata (10). Sosteneva, inoltre, che dovesse trovare applicazione, anche nei confronti del pubblico dipendente che presta servizio nelle Forze armate, l’art. 9 della legge 7 febbraio 1990, n. 19 (Modifiche in tema di circostanze, sospensione condizionale della pena e destituzione dei pubblici dipendenti), in base al quale “Il pubblico dipendente non può essere destituito di diritto a seguito di condanna penale. È abrogata ogni contraria disposizione di legge. 2. La destituzione può essere sempre inflitta all’esito del procedimento disciplinare […]” (11). nel caso di specie, si trattava di un militare che aveva subito la perdita del grado per aver riportato una condanna alla pena di due anni e quattro mesi di reclusione, nonché alla pena accessoria della interdizione temporanea dai pubblici uffici per il reato di peculato continuato. tuttavia, con la sentenza n. 276/2013 la Corte ha pronunciato l’inammissibilità per insufficiente determinazione dei termini del giudizio e carenza di motivazione, ritenendo che il generico riferimento dell'ordinanza al principio generale in tema di destituzione del pubblico impiegato, contenuto nella l. n. 19 del 1990, e alla giurisprudenza costituzionale che intorno ad esso si è sviluppata, fosse del tutto insufficiente per una corretta prospettazione della questione (12). Invero, l’ordinanza di rimessione non specificava gli effetti della perdita del grado, non chiarendo la comparazione con la destituzione del pubblico impiegato. Secondo il giudice delle leggi, sarebbe stato, poi, necessario specificare le ragioni per cui il principio generale dettato per il pubblico impiego sarebbe stato di per sé applicabile anche agli appartenenti all’Arma dei Carabinieri, senza che assuma rilievo la peculiarità delle funzioni dell’Arma stessa. Giova richiamare, infine, quanto osservato dalla Corte circa l’evoluzione normativa nel cui contesto andrebbe letto l’art. 866: “a sostegno della prospettata questione di legittimità costituzionale, il TAR ha genericamente richiamato il disfavore mostrato dalla Corte costituzionale per le disposizioni di legge che comportano l’automatica cessazione del rapporto di pubblico impiego in seguito a condanna penale, senza tenere conto della più recente evoluzione normativa in materia di reati contro la pubblica amministrazione, disposta a partire dalla legge 27 marzo 2001, n. 97 (Norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche), successivamente modificata. Negli anni più recenti, il legislatore ha inasprito le pene per tale tipo di reati, tra cui quello di peculato che viene in rilievo nel caso di specie, oltre a rendere più severe le sanzioni accessorie relative all’interdizione dai pubblici uffici e ad incidere altresì, sempre nel senso (10) In G.U. n. 23 del 5 giugno 2013, 1ª serie spec. (11) Si tratta di una disposizione introdotta a seguito di Corte Cost. n. 971/1988. (12) In G.U. n. 48 del 27 novembre 2013, 1ª serie spec. ContenZIoSo nAZIonALe di un maggior rigore, sulle conseguenze relative al rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione, anche attraverso la previsione di ipotesi di estinzione automatica a seguito di condanna in sede penale, come risulta dal nuovo testo dell’art. 32-quinquies del codice penale. La disposizione impugnata deve essere necessariamente valutata in riferimento a tale contesto normativo, tanto più che essa è contenuta nel nuovo ordinamento militare, di cui al già citato d.lgs. n. 66 del 2010, ed è quindi coeva a questa linea legislativa particolarmente severa nei confronti dei reati contro la pubblica amministrazione”. Così, rimaneva aperta la questione della legittimità costituzionale della perdita del grado senza previo giudizio disciplinare, ma veniva chiarito che una futura pronuncia in merito avrebbe dovuto fare i conti con la linea legislativa particolarmente severa nei confronti dei reati contro la pubblica amministrazione. La sentenza del 2013 non ha, però, scoraggiato il giudice amministrativo a riproporre una questione del tutto analoga, che porterà alla sentenza n. 268/2016. La Corte, tuttavia, nel frattempo, esaminava una simile questione vertente sull’art. 8, primo comma, lettera c), del d.P.r. 25 ottobre 1981, n. 737 (Sanzioni disciplinari per il personale dell’Amministrazione di pubblica sicurezza e regolamentazione dei relativi procedimenti), disponente -per gli appartenenti ai ruoli dell’Amministrazione della pubblica sicurezza -la destituzione di diritto quale conseguenza automatica dell’applicazione di una misura di sicurezza personale. Con la sentenza n. 112/2014, la destituzione automatica veniva dichiarata costituzionalmente legittima in ragione “della peculiarità e delicatezza dei compiti affidati ad una particolare categoria di soggetti” per cui “il giudizio di pericolosità sociale, che è presupposto dell’applicazione della misura, è ostativo della permanenza del rapporto di impiego, stante la indefettibile necessità che sussistano -e non vi sia ragione di temere che possano venir meno in futuro -i requisiti soggettivi di idoneità richiesti dall’ordinamento” (13). Giova osservare che, trattandosi di misura di sicurezza personale, le valutazioni della Corte, come essa stessa dirà, non sono pienamente trasportabili sul piano di misure che non riguardano la pericolosità sociale del dipendente. Sullo sfondo delle analizzate pronunce, con ordinanza del 26 giugno 2015, il t.A.r. Lombardia sollevava la questione di legittimità costituzionale degli artt. 866, comma 1, 867, comma 3 e 923, comma 1 lettera i), del d.lgs. n. 66 del 2010, per violazione degli artt. 3, 4, 24, secondo comma, 35 e 97 Cost. riteneva che il combinato disposto di detti articoli fosse indice di una scelta sproporzionata del legislatore, nonché inosservante del principio di (13) Cfr. Corte Cost. n. 112/2014 in G.U. n. 20 del 7 maggio 2014, 1ª serie spec. e commento di G.P. DoLSo, La destituzione di diritto ancora al vaglio della Corte costituzionale in Giur. Cost., 2014, n. 4, pp. 3596 e ss. rASSeGnA AVVoCAtUrA DeLLo StAto -n. 3/2021 uguaglianza in quanto riservante un identico trattamento a situazioni strutturalmente diverse, equiparando gli effetti dell’interdizione perpetua a quelli dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici. Allo stesso modo, con l’ordinanza del 5 novembre 2015, il t.A.r. Campania sollevava la medesima questione vertente sugli stessi articoli invocati dal t.A.r. Lombardia (14). Il rimettente sospettava la violazione dell’art. 3 Cost. in quanto l’indiscriminata ampiezza del presupposto cui veniva collegata la misura espulsiva dall’Arma sarebbe inidonea a fondare una adeguata presunzione assoluta. Inoltre, a sostegno della contrarietà all’art. 3 militerebbero gli orientamenti della Corte circa la necessità di gradualità sanzionatoria che assicuri adeguatezza tra illecito e irroganda sanzione (sentenza n. 270 del 1986), nonché i precedenti circa la necessaria mediazione del procedimento disciplinare teso ad evitare l’automatismo della massima sanzione disciplinare, senza possibilità di discriminare tra i molteplici possibili comportamenti (sent. n. 40 e n. 158 del 1990, n. 16 e n. 104 del 1991, n. 197 del 1993, n. 363 del 1996). richiamando la sentenza n. 286 del 1999, il giudice a quo sottolineava la necessità di distinguere il (legittimo) effetto destitutorio in rapporto all’interdizione perpetua dai pubblici uffici, rispetto all’interdizione temporanea, inerente il caso di specie, per cui non vi sarebbe la strutturale incompatibilità con la prosecuzione del rapporto d’impiego pubblico, non ravvisandosi il carattere perpetuo della misura. Le norme censurate violerebbero anche il diritto di difesa garantito dall’art. 24, secondo comma, Cost., in quanto precludono ogni possibilità di difesa in relazione alla misura espulsiva, attività che avrebbe potuto trovare spazio nel solo procedimento disciplinare. Il rimettente prospettava anche la violazione del diritto al lavoro, tutelato dagli artt. 4 e 35 Cost., posto che la cessazione del rapporto d’impiego impedirebbe il reinserimento nel mondo del lavoro. Infine, si precluderebbe ogni possibile valutazione della pubblica amministrazione sulla possibilità di prosecuzione del rapporto d’impiego, così da incidere sul buon andamento sotto il profilo della migliore utilizzazione delle risorse professionali in violazione dell’art. 97 Cost. Analogamente all’ordinanza del t.A.r. Lombardia, anche i fatti all’esame del t.A.r. Campania riguardavano un militare nei cui confronti era stata pronunciata la perdita del grado e la contestuale cessazione del rapporto d’impiego, a seguito di pena pecuniaria e pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici, per avere intenzionalmente procurato a un terzo, nella sua qualità di pubblico ufficiale, l’indebito vantaggio consistito nella mancata elevazione del verbale di contravvenzione per non avere il terzo indossato la cintura di sicurezza. Spiccava, dunque, la tenuità del fatto. La Corte, pertanto, si è trovata nuovamente a decidere sulla questione. (14) Le due ordinanze sono pubblicate in G.U. nn. 46 del 18 novembre 2015 e 16 del 20 aprile 2016, 1ª serie spec. ContenZIoSo nAZIonALe 4. La sentenza n. 268/2016 della Corte Costituzionale. Visti i precedenti della Corte Costituzionale ed esaminate le ordinanze di rimessione, si procede ora all’analisi della sentenza in epigrafe. La Corte, dopo aver esaminato la cornice fattuale, si sofferma sul diritto, disponendo, innanzitutto, la riunione dei giudizi, vertendo le esaminate ordinanze sulle medesime questioni. Successivamente, viene espunto qualsiasi dubbio circa l’inammissibilità delle ordinanze, sottolineandosi come queste “non soffrano delle medesime carenze” dell’ordinanza che aveva dato luogo alla sentenza 276/2013, in quanto i giudici rimettenti hanno “ricostruito con completezza il quadro normativo di riferimento, anche alla luce delle più recenti evoluzioni legislative, hanno dato adeguato conto della giurisprudenza costituzionale e comune sul tema, si sono fatti carico delle necessarie precisazioni in ordine alle peculiarità delle funzioni dell’Arma dei carabinieri, attinenti alla pubblica sicurezza e all’ordine pubblico, e hanno precisato l’oggetto della questione, individuandolo nelle disposizioni, congiuntamente interpretate, di cui agli art. 866, comma 1, 867, comma 3 e 923 del citato d.lgs. n. 66 del 2010”. nel merito, la Corte esordisce affermando: “la questione è fondata in riferimento all’art. 3 Cost., sia per contrasto con il fondamentale canone di ragionevolezza e proporzionalità, a cui tutte le leggi debbono conformarsi, sia per violazione del principio di eguaglianza”. Prendendo le mosse dalla ragionevolezza e proporzionalità, la Corte richiama i precedenti circa l’illegittimità costituzionale dell’automatica destituzione da un pubblico impiego a seguito di sentenza penale, atteso che la sanzione disciplinare va graduata nell’ambito dell’autonomo procedimento disciplinare, in ossequio ai criteri di proporzionalità e adeguatezza, non potendo costituire l’effetto automatico di una condanna (sentenze n. 234 del 2015, n. 2 del 1999, n. 363 del 1996, n. 220 del 1995, n. 197 del 1993, n. 16 del 1991, n. 158 del 1990, n. 971 del 1988 e n. 270 del 1986, per il personale militare sentenze n. 363 del 1996 e n. 126 del 1995). Sullo sfondo di tali decisioni, nonché sul precedente circa l’interdizione perpetua dai pubblici uffici (sent. n. 286 del 1999), la Consulta, distinguendo il giudizio in esame dal precedente del 1999, afferma che “Solo eccezionalmente l’automatismo potrebbe essere giustificato: segnatamente quando la fattispecie penale abbia contenuto tale da essere radicalmente incompatibile con il rapporto di impiego o di servizio, come ad esempio quella sanzionata anche con la pena accessoria del- l’interdizione perpetua dai pubblici uffici ex art. 28, secondo comma, cod. pen. […] o dell’estinzione del rapporto di impiego ex art. 32-quinquies cod. pen. Queste ragioni di incompatibilità assoluta con la prosecuzione del rapporto di impiego -che giustifica l’automatismo destitutorio non come sanzione disciplinare, ma come effetto indiretto della pena già definitivamente inflitta -non sussiste in relazione all’interdizione temporanea dai pubblici uffici ex rASSeGnA AVVoCAtUrA DeLLo StAto -n. 3/2021 art. 28, terzo comma, cod. pen., connotata per definizione da un carattere provvisorio e, quindi, tale da non escludere la prosecuzione del rapporto momentaneamente interrotto. Da qui l’intrinseca irrazionalità della disciplina censurata che collega automaticamente -senza possibilità di alcuna valutazione discrezionale sulla proporzionale graduazione della sanzione disciplinare nel caso concreto -una grave conseguenza irreversibile ad una misura temporanea che, di per sé, non la implica necessariamente”. Segue il confronto con il precedente del 2014 (sent. n. 112 del 2014) con il quale era stata dichiarata la legittimità dell’automatica cessazione dal servizio del personale appartenente all’amministrazione di pubblica sicurezza riportate una misura di sicurezza personale. Viene chiarito che il conflitto tra il giudizio in esame e quello risalente al 2014 è solo apparente: mentre nella sent. n. 112/2014 si valutava l’esigenza di protezione della collettività derivante dalla misura, avente come presupposto necessario l’accertamento della pericolosità sociale del condannato (nel caso di specie, proprio un impiegato in ambito di pubblica sicurezza); nel caso in esame, l’interdizione temporanea dai pubblici uffici è soltanto una pena accessoria che non si applica solo a persone socialmente pericolose. A destituire di fondamento l’esaminato automatismo legislativo è, poi, anche la non riconducibilità di quest’ultimo ai canoni esplicitati dalla Corte circa le presunzioni legislative, le quali “violano il principio di eguaglianza, se sono arbitrarie e irrazionali, cioè se non rispondono a dati di esperienza generalizzati, riassunti nella formula dell’id quod plerumque accidit”, con la conseguenza che “l’irragionevolezza della presunzione assoluta si può cogliere tutte le volte in cui sia “agevole” formulare ipotesi di accadimenti reali contrari alla generalizzazione posta a base della presunzione stessa”(ex multis, sentenze n. 185 del 2015, n. 232 e n. 213 del 2013, n. 182 e n. 164 del 2011, n. 265 e n. 139 del 2010). Secondo la Corte, che aderisce alla tesi del t.A.r. Campania rimettente, tale presunzione collega l’automatica cessazione dal servizio ad una serie di presupposti eccessivamente ampi che, quindi, “non possono validamente fondare, in tutti i casi in esse ricompresi, una presunzione assoluta di inidoneità o indegnità morale o, tanto meno, di pericolosità dell’interessato, tale da giustificare una sanzione disciplinare così grave come la perdita del grado con conseguente cessazione dal servizio”. Ciò è confermato proprio dai fatti all’origine dell’ordinanza di rimessione del t.A.r. Campania, ovvero la condanna di un militare per abuso lieve d’ufficio (ove l’ indebito vantaggio consisteva nella mancata elevazione del verbale di contravvenzione stradale, per non aver indossato la cintura di sicurezza) a fronte della quale non è certo proporzionata la perdita del grado con conseguente cessazione dal servizio. Quanto alla violazione del principio di uguaglianza, la Corte spiega che le denunciate norme del c.o.m. sottopongono gli appartenenti alle Forze armate ad un ingiustificato trattamento deteriore rispetto ai dipendenti dello Stato e ContenZIoSo nAZIonALe di altre amministrazioni pubbliche per cui, invece, il legislatore ha previsto il menzionato divieto di destituzioni di diritto per condanna penale, in virtù del- l’art. 9 della legge 7 febbraio 1990, n. 19. La Corte precisa che l’evoluzione legislativa che ha previsto alcuni casi di cessazione automatica del rapporto di impiego non può assumersi quale indice di legittimità degli artt. 866, 867 e 923 c.o.m. Infatti, pur prevedendo l’art. 32-quinquies c.p. la cessazione del rapporto di impiego, si tratta di casi tassativamente indicati che hanno una “portata applicativa ben circoscritta e delimitata da precisi requisiti qualitativi e quantitativi, che non può in alcun modo essere assimilata all’ampiezza delle fattispecie che possono determinare la cessazione del rapporto di servizio del personale militare ai sensi degli impugnati articoli”. Concludendo sul punto, la Consulta osserva che detta disparità di trattamento non è giustificabile nemmeno avendo riguardo al peculiare status dei militari sotto il profilo delle garanzie procedimentali poste a presidio del diritto di difesa, a loro volta strumentali al buon andamento dell’Amministrazione, da ciò conseguendo anche la violazione degli artt. 24 e 97 Cost. (15). 5. La giurisprudenza amministrativa che ha applicato la sentenza n. 268/2016. Prima della sentenza n. 268, la giurisprudenza amministrativa era ferma nell’applicare gli insegnamenti della Consulta (nel particolare, la citata sent. 286/1999), sostenendo che l’applicazione delle sanzioni accessorie di carattere interdittivo al di fuori del procedimento amministrativo era giustificata in quanto si trattava di un effetto ex lege della condanna (16). ed, invero, un simile approccio si rinviene anche nella giurisprudenza che applica la sentenza della Corte Costituzionale n. 276/2013, secondo cui “continuano ad esistere nel nostro ordinamento fattispecie di destituzione automatica dei dipendenti pubblici e […] tali fattispecie sono costituite proprio dalle sanzioni accessorie penali” (17). (15) Sulla specialità dello status giuridico del personale militare si segnala la nota sentenza della Corte Costituzionale n. 120/2018 che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’articolo 1475, comma 2 del c.o.m., in quanto prevedeva che “I militari non possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale o aderire ad altre associazioni sindacali” invece di prevedere che “I militari possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale alle condizioni e con i limiti fissati dalla legge; non possono aderire ad altre associazioni sindacali”. Sul punto, si veda il contributo di C. PAn- ZerA, La libertà sindacale dei militari in un’atipica sentenza sostitutiva della Corte costituzionale in www.federalismi.it, 2019, n. 23 e di C. SALAZAr, La Carta sociale europea nella sentenza n. 120 del 2018 della Consulta: ogni cosa è illuminata? in Quad. cost. 2018, n. 4, pp. 905 e ss. (16) Cfr. Cons. St., Sez. VI, sent. nn. 389 e 390, cit., secondo cui: “È, infatti, la stessa Corte costituzionale ad affermare che il principio della necessaria previa instaurazione del procedimento disciplinare, in luogo della destituzione di diritto dei pubblici dipendenti, «non concerne le pene accessorie di carattere interdittivo, in genere, né l’interdizione dai pubblici uffici, in particolare» (v. Corte cost. n. 286 del 1999, e gli altri precedenti ivi richiamati)”, si veda anche t.A.r. Lombardia, Sez. III, sent. 2371, cit. (17) t.A.r. Lazio, Sez. I bis, sent. n. 2469 dell’11 febbraio 2015. rASSeGnA AVVoCAtUrA DeLLo StAto -n. 3/2021 Dopo la decisione della Corte Costituzionale n. 268/2016, il giudice amministrativo si è trovato più volte a giudicare casi analoghi nei quali, come si illustrerà, non solo ha applicato quanto disposto dalla citata sentenza n. 268, ma ne ha anche chiarito la portata. tra le varie sentenze sul tema, merita un approfondimento la n. 490 del 27 maggio 2019 resa dal Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana. I fatti riguardavano un militare a cui era stato irrogato un provvedimento di perdita del grado per rimozione conseguente alla pena accessoria della rimozione irrogata in sede penale. nonostante, quindi, si trattasse di una questione in parte differente da quella esaminata nella sentenza 268 (riguardante la perdita del grado conseguente alla pena accessoria della interdizione temporanea dai pubblici uffici), l’appellante prospettava l’ illegittimità costituzionale, per violazione degli artt. 3 e 97 Cost., degli artt. 866, comma 1, 867, comma 3 e 923 del c.o.m., nella parte in cui dispongono la cessazione dal servizio come conseguenza automatica dell’applicazione in sede di condanna penale definitiva della sanzione accessoria della rimozione del grado. Il Consiglio di giustizia amministrativa, nel respingere tale eccezione, osservava che: “La Corte […] ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell’art. 866, comma 1 c.o.m., solo nella parte in cui non prevede l'instaurarsi del procedimento disciplinare per la cessazione dal servizio per perdita del grado conseguente alla pena accessoria della interdizione temporanea dai pubblici uffici. Il che trova il suo fondamento logico nel carattere temporaneo della pena accessoria applicata dal giudice penale. Ma laddove il giudice penale, come nella specie, applica una pena accessoria di per sé perpetua ed espulsiva, quale è la rimozione, nulla può fare l’Amministrazione se non prenderne atto, e non può logicamente trovare spazio un procedimento disciplinare”. Con ciò si chiariva che la ratio della sentenza 268 è quella di eliminare non un qualsiasi automatismo legislativo, bensì solo quegli automatismi caratterizzati da mancanza di proporzionalità e ragionevolezza poiché ricollegano una grave conseguenza irreversibile ad una misura temporanea che, di per sé, non la implica necessariamente. Seguendo tale logica, la rimozione deve distinguersi dalla interdizione temporanea che, appunto, non può implicare conseguenze irreversibili quali la cessazione del rapporto di impiego. tale linea direttrice è stata seguita anche dal Consiglio di Stato che ha ritenuto che “la Corte costituzionale […] ha espressamente e specificamente valorizzato, a sostegno della decisione di accoglimento, il carattere “provvisorio e, quindi, tale da non escludere la prosecuzione del rapporto momentaneamente interrotto” proprio della pena accessoria del- l’interdizione temporanea dai pubblici uffici. Vi sono, dunque, evidenti ragioni per ritenere il decisum della Corte non estensibile alle conseguenze delle pene accessorie di carattere perpetuo, quali l’interdizione perpetua dai pubblici uffici (art. 28 c.p.), l’estinzione del rapporto di lavoro o di im ContenZIoSo nAZIonALe piego (art. 32-quinquies c.p.) e, appunto, la rimozione” (18). Parimenti, il t.A.r. Campania ha evidenziato “la mancata attinenza del ragionamento seguito dalla Corte costituzionale alle conseguenze delle pene accessorie di carattere perpetuo, quali, l’interdizione perpetua dai pubblici uffici (art. 28 c.p.), l’estinzione del rapporto di lavoro o di impiego (art. 32 -quinquies c.p.) e, come nella specie, la rimozione per perdita del grado” (19). Sebbene non paiono sussistere dubbi sull’efficacia retroattiva della sentenza n. 268/2016, la giurisprudenza amministrativa ha precisato che questa si applica quando “il rapporto giuridico in contestazione [risulta] ancora pendente” (20), specificando che “Va al riguardo richiamato il principio (tra le tante Cassazione civile, sezione lavoro, 7 ottobre 2015, n. 20100) secondo cui è ben vero che la efficacia retroattiva delle sentenze dichiarative dell'illegittimità costituzionale di una norma comporta che tali pronunce abbiano effetto anche in ordine ai rapporti di lavoro svoltisi precedentemente; ma ciò certamente non riguarda i rapporti definiti con sentenza passata in giudicato e le situazioni comunque definitivamente esaurite” (21). Conseguenza dell’applicazione della sentenza in commento sarà, perciò, la constatazione secondo cui: “venuto meno retroattivamente la base legale in virtù della quale il potere sanzionatorio è stato esercitato, il provvedimento impugnato risulta certamente viziato da (sopravvenuta) carenza di potere in concreto e va, dunque, annullato […]. Resta fermo il riesercizio del potere amministrativo, nel segmento di attività non astretto dai limiti del presente giudicato, con la conseguente possibilità per l’Amministrazione di appartenenza di rivalutare la vicenda sotto il profilo disciplinare, sempre che sussistano i presupposti previsti dalla legge, anche sotto il profilo della tempestività dell’azione” (22). Vi sono, invero, casi in cui l’Amministrazione, preso atto della sentenza 268, ha annullato in autotutela il provvedimento di perdita del grado ed ha, così, riattivato il proprio potere disciplinare, ben potendo rivalutare la vicenda sotto tale profilo (23). (18) Cons. St., Sez. IV, sent. n. 486, cit. (19) t.A.r. Campania, Sez. VII, sent. n. 4628 del 20 ottobre 2020. (20) In termini: Cons. St., Sez. IV, sent. n. 7921 dell’11 dicembre 2020. Del resto, anche la Guida tecnica “Procedure disciplinari” 7^ edizione aprile 2021 del Ministero della Difesa specifica che “Per quanto concerne il personale militare sprovvisto di attualità del rapporto di impiego (in congedo), la citata pronuncia della Corte Costituzionale è improduttiva di effetti. Infatti, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale degli articoli 866, comma 1, 867, comma 3 e 923, comma 1, lettera i), del c.o.m., la Corte interviene sulle conseguenze che la perdita del grado riverbera sul rapporto di impiego. ove il rapporto di impiego non sussiste (più), trovano applicazione i soli artt. 866, comma 1, e 867, comma 3, in quanto tali non affetti da illegittimità costituzionale” p. 190. (21) Cons. St., Sez. IV, sent. n. 838 del 4 febbraio 2019. nel caso di specie, il provvedimento di espulsione era stato impugnato dopo tre anni dalla sua emissione e comunicazione all’interessato. (22) Cons. St., Sez. IV, sent. n. 7921, cit. (23) Cfr. Cons. St., Sez. I, parere n. 180 dell’8 febbraio 2021. rASSeGnA AVVoCAtUrA DeLLo StAto -n. 3/2021 In conclusione, leggendo al contrario il principio affermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza 268/2016, si può affermare che: l’automatismo esaminato rimane giustificato nel caso della interdizione perpetua dai pubblici uffici ed estinzione del rapporto di impiego ex art. 32 quinquies c.p. A tale eccezione, la giurisprudenza amministrativa, come detto, aggiunge anche la misura della rimozione. 6. Considerazioni conclusive. Con la pronuncia in commento, il giudice delle leggi non solo ha confermato il proprio orientamento sfavorevole verso gli automatismi sanzionatori -secondo la Corte, questi ultimi devono rappresentare un’eccezione, piuttosto che una regola -ma ha anche smentito le indicazioni di segno contrario rinvenibili nei citati precedenti del 1999 e del 2014 (rispettivamente, sentt. nn. 286 e 112) (24). Così facendo, perciò, anche tali precedenti discordanti sono stati allineati con l’attuale orientamento della Consulta, disegnando un quadro ove i principi scaturenti dall’art. 3 Cost. lasciano poco spazio a situazioni in cui conseguenze definitive, quali la cessazione del rapporto d’impiego, discendono ope legis da situazioni di per sé temporanee. Sulla falsariga di tale ragionamento si è allineata la giurisprudenza amministrativa che, come si è visto, non ha esitato a sottolineare la centralità del carattere non definitivo dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici quale punto dirimente per la pronuncia di illegittimità costituzionale, riuscendo a tenere indenne l’ipotesi della rimozione. In seguito alla sentenza analizzata, l’illegittimità degli automatismi sanzionatori, come quello previsto dal combinato disposto degli artt. 866, 867 e 923 c.o.m., rappresenta un punto fermo. Ciò potrebbe far presumere la possibilità di ulteriori pronunce in tal senso. Già il t.A.r. Friuli Venezia Giulia ha, infatti, di recente sollevato una questione di legittimità costituzionale circa l’art. 6-ter, comma 3, del d.P.r. 24 aprile 1982, n. 335 (ordinamento del personale della Polizia di Stato che espleta funzioni di polizia), in riferimento agli artt. 3, 24 e 97 della Costituzione, nella parte in cui, per gli allievi agenti e gli agenti in prova, prevede l’espulsione dal corso a seguito del mero riscontro di mancanze punibili con sanzioni disciplinari più gravi della deplorazione. Il tribunale era stato investito dal ricorso per l’annullamento, previa sospensione, del provvedimento di espulsione dal corso di formazione per agenti della Polizia di Stato di un allievo agente che si sarebbe reso responsabile di una mancanza punibile con sanzione disciplinare più grave della deplorazione e, in particolare, della violazione di cui all’art. 6, citato, che punisce con la sospensione (san (24) Così, P. rIVeLLo, La Corte Costituzionale elimina un ingiustificato automatismo dal codice dell’ordinamento militare in Riv. dir. mil., 2017 n. 2, pp. 1 e ss. ContenZIoSo nAZIonALe zione più grave della deplorazione) l’appartenente ai ruoli dell’amministrazione della pubblica sicurezza che abbia fatto uso non terapeutico di sostanze stupefacenti o psicotrope. nell’ordinanza di rimessione si legge che: “La sentenza della Corte costituzionale n. 268/2016 […] presenta, ad avviso del Tribunale, particolari analogie con la presente, avendo riguardato proprio un automatismo sanzionatorio disciplinare che conseguiva al mero accertamento di una violazione, senza la mediazione di un apposito procedimento amministrativo. In questo caso l'infrazione era pur sempre accertata, in tutti i suoi elementi, nel contesto di un giudizio penale, con le relative garanzie e l'elevatissimo margine di certezza («al di là di ogni ragionevole dubbio», come recita l'art. 533 c.p.p.) che in tale sede guida l'accertamento della responsabilità. E tuttavia, l’impossibilità di graduare la sanzione disciplinare secondo criteri di proporzionalità e adeguatezza al caso concreto ha condotto la Corte a ritenere le disposizioni contestate irragionevoli e quindi in contrasto con l'art. 3 della Costituzione. Più in generale, la Corte ha nel tempo espunto dall’ordinamento diverse ipotesi di presunzioni assolute, laddove le stesse non esprimessero un rapporto causa- effetto conforme all'id quod plerumque accidit. […] Nel caso di specie, pur in una doverosa ottica di selezione morale nella fase che precede l'ingresso in servizio, si dubita che possa assolutamente presumersi l'indegnità alla funzione di chi commetta «mancanze punibili con sanzioni disciplinari più gravi della deplorazione» anche quando l'infrazione presenti in concreto una gravità e un trascurabile offensività ai valori e all'importanza del ruolo” (25). tuttavia, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 162/2021 ha pronunciato l’inammissibilità per difetto di rilevanza, a causa della contestuale definizione della domanda cautelare e non vi è stata, perciò, alcuna pronuncia sul merito della questione (26). Ad ogni modo, così come è avvenuto per la sentenza della Corte Costituzionale del 2016, nulla impedisce al giudice amministrativo di risollevare un’analoga questione in futuro, essendo ben possibile che ulteriori automatismi sanzionatori, per dirla con la Corte: “ingiustificati”, vengano espunti dall’ordinamento. (25) t.A.r. Friuli-Venezia Giulia, Sez. I, ord. n. 114 del 2 marzo 2020. (26) Corte Cost., 162/2021 in G.U. n. 30 del 28 luglio 2021, 1ª serie spec. che osserva “l’istanza cautelare avanzata nel giudizio a quo è stata rigettata a causa dell’insufficiente specificazione dei profili di periculum in mora e di concreta utilità del provvedimento interinale domandato, apparendo al TAR verosimile l’inattuabilità pratica della misura richiesta, cioè l’ammissione con riserva agli esami. L’incidente di costituzionalità della norma censurata, dunque, non viene proposto per decidere l’istanza cautelare di sospensione del provvedimento impugnato, bensì dopo il suo rigetto, al fine di dare soluzione al giudizio «sotto il profilo del merito», ma prima che si radichi la potestà decisoria a esso afferente”. rASSeGnA AVVoCAtUrA DeLLo StAto -n. 3/2021 Corte costituzionale, sentenza 15 dicembre 2016 n. 268 -Pres. Paolo Grossi, Red. Marta Cartabia -Giudizi di legittimità costituzionale degli articoli 866, comma 1, 867, comma 3, e 923, comma 1, lettera i), del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell’ordinamento militare), promossi dal tribunale amministrativo regionale per la Lombardia con ordinanza del 26 giugno 2015 e dal tribunale amministrativo regionale per la Campania con ordinanza del 5 novembre 2015. (omissis) Considerato in diritto 1.– Con ordinanza del 26 giugno 2015 il tribunale amministrativo regionale per la Lombardia ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli articoli 866, comma 1, 867, comma 3 e 923 (recte: 923, comma 1, lettera i, del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell’ordinamento militare). Secondo la prospettazione del rimettente, per effetto delle disposizioni impugnate, il passaggio in giudicato della sentenza di condanna, non condizionalmente sospesa, per delitto non colposo che comporti la pena accessoria della interdizione temporanea dai pubblici uffici, determina la perdita del grado senza giudizio disciplinare; a sua volta, la perdita del grado è causa automatica di cessazione del rapporto di impiego del militare. La disciplina in esame violerebbe l’art. 3 Cost. sotto molteplici profili: anzitutto, sarebbe frutto di una scelta legislativa incongrua e sproporzionata, come tale del tutto irragionevole; inoltre, essa riserverebbe un identico trattamento, la cessazione automatica del rapporto di impiego, a situazioni strutturalmente diverse, per di più equiparando gli effetti della interdizione temporanea a quelli della interdizione perpetua dai pubblici uffici. 2.– Con ordinanza del 5 novembre 2015, il tribunale amministrativo regionale per la Campania ha sollevato questione di legittimità costituzionale delle medesime disposizioni contenute negli artt. 866, comma 1, 867, comma 3 e 923, comma 1 (recte: 923, comma 1, lettera i), del d.lgs. n. 66 del 2010, per violazione degli artt. 3, 24, secondo comma, 4, 35 e 97 Cost. Il giudice a quo ritiene che la disciplina in esame sia intrinsecamente irragionevole, perché prevedendo, a determinate condizioni, l’automatica perdita del grado senza procedimento disciplinare -la quale, a sua volta, è causa di automatica cessazione del rapporto di impiego violerebbe il principio di gradualità e proporzione delle sanzioni. La violazione sarebbe particolarmente evidente nella specie sottoposta a giudizio, in cui l’espulsione automatica del militare è conseguente ad una condanna per abuso lieve di ufficio, per non avere l’interessato elevato una contravvenzione stradale consistente nel mancato utilizzo delle cinture di sicurezza. L’automatismo della cessazione dal servizio determinerebbe, inoltre, una violazione del principio di uguaglianza. Si verificherebbe, infatti, una ingiustificata disparità di trattamento tra il militare che incorra nella ricordata sanzione penale accessoria temporanea, per la quale è previsto un automatismo espulsivo, rispetto allo stesso militare che sia soggetto all’analoga sanzione penale militare accessoria della rimozione, per la quale la perdita del grado e la cessazione dal servizio sono invece subordinate alle valutazioni da compiersi in un procedimento disciplinare. Parimenti ingiustificata sarebbe poi la disparità di trattamento rispetto al pubblico impiegato la cui posizione, per analoga interdizione temporanea dai pubblici uffici, dovrebbe invece essere vagliata in procedimento disciplinare all’uopo previsto dalla legge. oltre ai ricordati profili di violazione dell’art. 3 Cost., il rimettente ravvisa altresì la contestuale violazione: dell’art. 24, secondo comma, Cost., in quanto l’automatismo della perdita ContenZIoSo nAZIonALe del grado e la conseguente cessazione dal servizio impedirebbero all’interessato qualsiasi difesa in merito all’applicazione delle ricordate misure disciplinari; degli artt. 4 e 35 Cost., in quanto il predetto automatismo finirebbe per pregiudicare il diritto al lavoro; dell’art. 97 Cost., in quanto il medesimo automatismo pregiudicherebbe il buon andamento della pubblica amministrazione, impedendo all’amministrazione interessata ogni valutazione sulla perdurante opportunità della permanenza in servizio e, quindi, sulla migliore utilizzazione delle risorse professionali. 3.– In via preliminare deve osservarsi che le questioni sollevate con le due descritte ordinanze hanno ad oggetto le medesime disposizioni e lamentano la violazione di parametri almeno parzialmente coincidenti. Ai fini di una decisione congiunta è perciò opportuna la riunione dei relativi giudizi. 4.– Sempre in via preliminare, deve osservarsi, che la costituzione della parte privata D.M. è pienamente ammissibile, in quanto si tratta di parte nel giudizio a quo. 5.– non sono state eccepite, né risultano, cause di inammissibilità delle sollevate questioni, dovendosi escludere che le ordinanze introduttive del presente giudizio soffrano delle medesime carenze che hanno indotto questa Corte, con la sentenza n. 276 del 2013, a dichiarare inammissibile analoga questione sollevata sul solo art. 866 del d.lgs. n. 66 del 2010, per incompleta ricostruzione del quadro normativo e insufficienza di motivazione. Invero, entrambi i tribunali rimettenti si sono confrontati con la precedente sentenza di inammissibilità e hanno colmato le numerose lacune che avevano allora indotto questa Corte a ritenere che la questione di legittimità non fosse sufficientemente precisata nei suoi termini essenziali, né fosse sufficientemente sorretta da un adeguato iter argomentativo, alla luce della complessità del quadro normativo in cui la disposizione censurata doveva essere collocata. non così nel caso oggi all’esame della Corte. I giudici rimettenti hanno ricostruito con completezza il quadro normativo di riferimento, anche alla luce delle più recenti evoluzioni legislative, hanno dato adeguato conto della giurisprudenza costituzionale e comune sul tema, si sono fatti carico delle necessarie precisazioni in ordine alle peculiarità delle funzioni del- l’Arma dei carabinieri, attinenti alla pubblica sicurezza e all’ordine pubblico, e hanno precisato l’oggetto della questione, individuandolo nelle disposizioni, congiuntamente interpretate, di cui agli art. 866, comma 1, 867, comma 3 e 923 del citato d.lgs. n. 66 del 2010. Al riguardo deve solo osservarsi che, in riferimento a quest’ultima disposizione, la censura non investe l’intero articolo, ma deve essere circoscritta al solo comma 1, lett. i). tra le numerose cause di cessazione del rapporto di impiego enumerate nell’intero corpo dell’art. 923, viene in rilievo, nel presente giudizio, solo quella connessa alla «perdita del grado», indicata appunto al comma 1, lett. i), come si evince inequivocabilmente dalla puntuale motivazione delle due ordinanze di rimessione. Ad essa, dunque, deve limitarsi il giudizio di questa Corte. 6.– nel merito la questione è fondata in riferimento all’art. 3 Cost., sia per contrasto con il fondamentale canone di ragionevolezza e proporzionalità, a cui tutte le leggi debbono conformarsi, sia per violazione del principio di eguaglianza. 6.1.– Le disposizioni impugnate prevedono un caso di automatica cessazione del rapporto di pubblico impiego, applicabile al personale militare. Per effetto del congiunto operare delle disposizioni censurate -artt. 866, comma 1, 867, comma 3 e 923, comma 1, lettera i), del d.lgs. n. 66 del 2010 -il militare che abbia subito una condanna penale, non condizionalmente sospesa, per la quale è prevista la pena accessoria della interdizione temporanea dai pubblici uffici, cessa automaticamente e definitivamente dal servizio a partire dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna. Infatti, l’art. 923, rASSeGnA AVVoCAtUrA DeLLo StAto -n. 3/2021 comma 1, lettera i) stabilisce la cessazione dal servizio del militare in caso di «perdita del grado». A sua volta, ai sensi dell’art. 866, comma 1, la «perdita del grado» consegue, «senza giudizio disciplinare», alla condanna definitiva, non condizionalmente sospesa, per delitto non colposo che comporti l’interdizione temporanea dai pubblici uffici. In proposito, l’art. 867, comma 3, precisa che la perdita del grado decorre dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna. L’esplicita previsione che la cessazione dal servizio avviene «senza giudizio disciplinare» (art. 866, comma 1) e con decorrenza dal «passaggio in giudicato» della sentenza penale di condanna (art. 867, comma 3) attesta inequivocabilmente il carattere automatico della misura destitutoria. 6.2.– La giurisprudenza costituzionale è costante nell’affermare l’illegittimità costituzionale dell’automatica destituzione da un pubblico impiego a seguito di sentenza penale, senza la mediazione del procedimento disciplinare. Questa Corte ha, infatti, chiarito che la sanzione disciplinare va graduata, di regola, nel- l’ambito dell’autonomo procedimento a ciò preposto, secondo criteri di proporzionalità e adeguatezza al caso concreto, e non può pertanto costituire l’effetto automatico e incondizionato di una condanna penale (sentenze n. 234 del 2015, n. 2 del 1999, n. 363 del 1996, n. 220 del 1995, n. 197 del 1993, n. 16 del 1991, n. 158 del 1990, n. 971 del 1988 e n. 270 del 1986), neppure quando si tratti di rapporto di servizio del personale militare (ad esempio, sentenze n. 363 del 1996 e n. 126 del 1995). Solo eccezionalmente l’automatismo potrebbe essere giustificato: segnatamente quando la fattispecie penale abbia contenuto tale da essere radicalmente incompatibile con il rapporto di impiego o di servizio, come ad esempio quella sanzionata anche con la pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici ex art. 28, secondo comma, cod. pen. (sentenze n. 286 del 1999 e n. 363 del 1996) o dell’estinzione del rapporto di impiego ex art. 32-quinquies cod. pen. Queste ragioni di incompatibilità assoluta con la prosecuzione del rapporto di impiego che giustifica l’automatismo destitutorio non come sanzione disciplinare, ma come effetto indiretto della pena già definitivamente inflitta -non sussiste in relazione all’interdizione temporanea dai pubblici uffici ex art. 28, terzo comma, cod. pen., connotata per definizione da un carattere provvisorio e, quindi, tale da non escludere la prosecuzione del rapporto momentaneamente interrotto. Da qui l’intrinseca irrazionalità della disciplina censurata che collega automaticamente senza possibilità di alcuna valutazione discrezionale sulla proporzionale graduazione della sanzione disciplinare nel caso concreto -una grave conseguenza irreversibile ad una misura temporanea che, di per sé, non la implica necessariamente. 6.3.– né si versa, nella specie, in un caso in cui l’automatismo destitutorio si giustifica in vista della necessità di tutelare la collettività dalla pericolosità sociale del condannato, quale già accertata nel procedimento penale. Vero è che questa Corte, in nome di tale esigenza di protezione della collettività, ha ritenuto non illegittima la previsione -contenuta nell’art. 8, comma 1, lettera c), del d.P.r. 25 ottobre 1981, n. 737 (Sanzioni disciplinari per il personale dell’Amministrazione di pubblica sicurezza e regolamentazione dei relativi procedimenti) -dell’automatica cessazione dal servizio del personale appartenente all’amministrazione di pubblica sicurezza a cui, in sede penale, sia stata applicata una misura di sicurezza personale (così, ad esempio, nella sentenza n. 112 del 2014). ContenZIoSo nAZIonALe È altresì vero, però, che la misura di sicurezza ha come presupposto necessario della sua applicazione l’accertamento in concreto della pericolosità sociale della persona che vi è soggetta. Sicché la Corte ha ritenuto non irragionevole la scelta del legislatore di prevedere una presunzione assoluta di incompatibilità con il rapporto di servizio nell’ambito dell’amministrazione della pubblica sicurezza, della persona sottoposta a misura di sicurezza personale. L’interdizione temporanea dai pubblici uffici -di cui si tratta nel caso sottoposto all’attuale giudizio della Corte costituzionale -non è, invece, una misura di sicurezza che si applica esclusivamente a persone socialmente pericolose, ma è soltanto una pena accessoria. 6.4. Una presunzione assoluta (nella specie di incompatibilità con il rapporto di servizio) deve poi essere rispettosa dei canoni esplicitati dalla Corte in proposito. Secondo la costante giurisprudenza costituzionale, infatti, «le presunzioni assolute, specie quando limitano un diritto fondamentale della persona, violano il principio di eguaglianza, se sono arbitrarie e irrazionali, cioè se non rispondono a dati di esperienza generalizzati, riassunti nella formula dell’id quod plerumque accidit», con la conseguenza che «l’irragionevolezza della presunzione assoluta si può cogliere tutte le volte in cui sia “agevole” formulare ipotesi di accadimenti reali contrari alla generalizzazione posta a base della presunzione stessa» (ex multis, sentenze n. 185 del 2015, n. 232 e n. 213 del 2013, n. 182 e n. 164 del 2011, n. 265 e n. 139 del 2010). tali principi sono violati dalle disposizioni sottoposte allo scrutinio della Corte nel giudizio in esame. nella specie, proprio in uno dei procedimenti a quibus (r.o. n. 78 del 2016), si rinviene una chiara esemplificazione di un accadimento reale che smentisce la generalizzazione legislativa. Si tratta, segnatamente, di un militare condannato alla pena detentiva di mesi due e giorni venti di reclusione per abuso lieve d’ufficio. nel caso di specie, il condannato, agendo nella sua qualità di pubblico ufficiale, ha procurato intenzionalmente a un terzo (conducente di un’auto) un indebito vantaggio, consistente nella mancata elevazione del verbale di contravvenzione stradale, per non avere questi indossato la cintura di sicurezza. nella sentenza definitiva di condanna, con la quale la pena detentiva è stata sostituita con quella pecuniaria, sono stati evidenziati gli elementi di tenuità del fatto e lieve offensività in concreto, che contrastano con l’abnormità delle conseguenze derivanti dall’applicazione della massima sanzione disciplinare, basata sulla mera presunzione di pericolosità o indegnità del pubblico ufficiale. Dunque, a causa dell’ampiezza dei presupposti a cui viene collegata l’automatica cessazione dal servizio, le disposizioni impugnate non possono validamente fondare, in tutti i casi in esse ricompresi, una presunzione assoluta di inidoneità o indegnità morale o, tanto meno, di pericolosità dell’interessato, tale da giustificare una sanzione disciplinare così grave come la perdita del grado con conseguente cessazione dal servizio. L’automatica interruzione del rapporto di impiego è, infatti, suscettibile di essere applicata a una troppo ampia generalità di casi, rispetto ai quali è agevole formulare ipotesi in cui essa non rappresenta una misura proporzionata rispetto allo scopo perseguito. Di qui, l’irragionevolezza delle disposizioni oggetto di giudizio, e la conseguente violazione dell’art. 3 Cost. sotto questo profilo. 6.5.– La disciplina censurata viola anche il principio di uguaglianza, in quanto sottopone a un ingiustificato trattamento deteriore l’appartenente all’Arma dei carabinieri rispetto ai dipendenti dello Stato e di altre amministrazioni pubbliche. Per questi ultimi, infatti, il legislatore aveva disposto il radicale divieto di «destituzioni di diritto» per condanna penale, in virtù dell’art. 9 della legge 7 febbraio 1990, n. 19 (Modifiche rASSeGnA AVVoCAtUrA DeLLo StAto -n. 3/2021 in tema di circostanze, sospensione condizionale della pena e destituzione dei pubblici dipendenti). Successivamente sono intervenute altre disposizioni, tra le quali si deve ricordare l’art. 32quinquies cod. pen., inserito dall’art. 5 della legge 27 marzo 2001, n. 97 (norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche), modificato dall’art. 1, comma 75, lettera b), della legge 6 novembre 2012, n. 190 (Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione) e, poi, dall’art. 1 della legge 27 maggio 2015, n. 69 (Disposizioni in materia di delitti contro la pubblica amministrazione, di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio). La disposizione stabilisce che in casi tassativamente indicati si applica la cessazione automatica del rapporto di impiego, peraltro non come sanzione disciplinare, ma come pena accessoria. In particolare, si deve trattare di condanne per i delitti di cui agli articoli 314, primo comma, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, primo comma, e 320 cod. pen., per i quali sia stata in concreto inflitta la pena della reclusione per un tempo non inferiore a due anni. L’art. 32-quinquies cod. pen. ha, pertanto, una portata applicativa ben circoscritta e delimitata da precisi requisiti qualitativi e quantitativi, che non può in alcun modo essere assimilata all’ampiezza delle fattispecie che possono determinare la cessazione del rapporto di servizio del personale militare ai sensi degli impugnati artt. 866, 867 e 923 del Codice dell’ordinamento militare. Per i casi non rientranti nel citato art. 32-quinquies cod. pen., l’art. 5, comma 4, della legge n. 97 del 2001 prevede, invece, l’instaurazione di un apposito procedimento disciplinare. Anche tale disparità di trattamento non trova ragionevole giustificazione, considerato che questa Corte ha già avuto occasione di affermare che il peculiare status dei militari, che pure esige il rispetto di severi codici di rettitudine e onestà, non può costituire di per sé una valida ragione a sostegno di una discriminazione del personale militare rispetto agli impiegati civili dello Stato sotto il profilo delle garanzie procedimentali poste a presidio del diritto di difesa, che risultano altresì strumentali al buon andamento dell’amministrazione militare (sentenza n. 126 del 1995). Di qui anche la conseguente violazione degli artt. 24 e 97 Cost. 7.– Le rilevate ragioni di illegittimità costituzionale assumono rilievo assorbente degli ulteriori parametri dedotti. Per Questi Motivi LA Corte CoStItUZIonALe riuniti i giudizi, dichiara l’illegittimità costituzionale degli articoli 866, comma 1, 867, comma 3 e 923, comma 1, lettera i), del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell’ordinamento militare), nella parte in cui non prevedono l’instaurarsi del procedimento disciplinare per la cessazione dal servizio per perdita del grado conseguente alla pena accessoria della interdizione temporanea dai pubblici uffici. Così deciso in roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 ottobre 2016. ContenZIoSo nAZIonALe Pagamento di imposte tramite cessione di beni culturali: il procedimento di istruttoria di cui all’art. 28 bis d.P.R. 602/73 ANNoTAzIoNE A CoNSIGLIo DI STATo, SEzIoNE QuARTA, SENTENzA 5 LuGLIo 2021 N. 5130 Con la sentenza in rassegna il Consiglio di Stato ha fornito, a quanto consta, per la prima volta l’interpretazione dell’art. 28-bis d.P.r. 602/73, che disciplina il procedimento di cessione di beni culturali a scomputo del pagamento di imposte dirette. Con l’allegato atto di appello era stata impugnata l’avversa sentenza del tAr Lazio, la quale aveva ritenuto, in sostanza, che la Commissione interministeriale contemplata dalla norma non potesse rifiutare la cessione, esprimendo avviso contrastante con il parere favorevole della Soprintendenza competente circa l’interesse culturale dei beni offerti dal debitore d’imposta per il pagamento di quest’ultima. Danilo Del Gaizo* Ct 47201/2018 AVVoCAtUrA GenerALe DeLLo StAto ConSIGLIo DI StAto In S.G. rICorSo In APPeLLo per il MInIStero Per I BenI e Le AttIVItÀ CULtUrALI e Per IL tUrISMo (C.F. 80188210589), nonché per il MInIStero DeLL’eConoMIA e DeLLe FInAnZe (C.F. 80207790587), in persona dei Ministri pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato (C.F. 8022403058; fax: 0696514000, P.e.C.: ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it), presso i cui uffici domiciliano per legge in roma, Via dei Portoghesi, 12; -ricorrentecontro t.G., rappresentato e difeso dagli avvocati ercole Forgione (C.F. FrGrCL65t13H501k, P.e.C.: ercoleforgione@ordineavvocatiroma.org) e Salvatore Mileto (C.F. MLtSVt58S06H501C, P.e.C.: salvatoremileto@ordineavvocatiroma. org), con domicilio digitale come da PeC da registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Salvatore Mileto in roma, via Pietro Da Cortona 8; -resistenteper l’annullamento e/o la riforma (*) Vice Avvocato Generale dello Stato. rASSeGnA AVVoCAtUrA DeLLo StAto -n. 3/2021 della sentenza del tAr Lazio, sez. II-quater, n. 5179, pubblicata il 15 maggio 2020, non notificata. FAtto Con ricorso al tAr, il dott. t.G. chiedeva l’annullamento del decreto interministeriale adottato dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del turismo, di concerto con il Ministero economia e Finanze, rep. n. 613 in data 18 giugno 2018, con il quale era stata rigettata la propria domanda di cessione allo Stato, a scomputo di imposte dirette, di undici opere d’arte, in base all’istituto previsto dall’art. 28-bis del D.P.r. n. 602/1973. Il ricorrente deduceva una serie di profili di illegittimità, lamentando in particolare il vizio di incompetenza e di violazione e/o falsa applicazione del- l’art. 28-bis, commi 3 e 4, del D.P.r. n. 602/1973, nonché della Circolare MI- BACt -Segretariato generale -Servizio I n. 23, prot. 8497, in data 17 luglio 2015, poiché la Commissione interministeriale, “anziché limitarsi agli aspetti economici e finanziari” della cessione proposta, aveva “inopinatamente rimesso in discussione e rinnovato” la valutazione “squisitamente storico-artistica” espressa con nota del 22 settembre 2016 dalla Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio per il Comune di roma in ordine all’interesse all’acquisizione allo Stato dei beni offerti in cessione dal ricorrente. Si costituiva in giudizio il Ministero per i beni e le attività culturali, chiedendo il rigetto del ricorso. Con ordinanza in data 18 dicembre 2018, n. 7822 il tAr, ritenendo il ricorso assistito da fumus boni iuris, accoglieva la domanda cautelare proposta contestualmente con lo stesso, invitando il Ministero ad effettuare il riesame del provvedimento. In data 9 febbraio 2019, il Ministero depositava un’articolata memoria con la quale sosteneva una ricostruzione del procedimento di cessione in oggetto in cui, contrariamente a quanto sostenuto con il ricorso, il parere favorevole espresso dalla Soprintendenza in data 22 settembre 2016 era “da considerarsi mero atto endoprocedimentale, certamente non vincolante”, trattandosi “solo di una prima valutazione, che a norma dell’art. 7 della L. n. 512/82”, avrebbe dovuto poi essere “completata dalla dichiarazione dell’interesse dello Stato ad acquisire il bene (…) formalmente dichiarato dagli organi centrali del Ministero, gerarchicamente sovraordinati alle Soprintendenze, come analogamente accade per gli acquisti tramite prelazione o tramite procedura espropriativa”. Conseguentemente “la competenza dell’ufficio periferico” avrebbe dovuto “ritenersi circoscritta ad una prima fase istruttoria del procedimento”, mentre la Commissione interministeriale, istituita ai sensi del comma 4 art. 28-bis del D.P.r. 602/1973, avrebbe potuto agire “in piena autonomia rispetto a quanto espresso da ognuno degli Istituti periferici sul territorio”. Con ordinanza n. 4891/2019 il tAr ordinava al MIBACt di procedere al riesame del provvedimento, al quale l’Amministrazione provvedeva adot ContenZIoSo nAZIonALe tando il decreto interministeriale, rep. n. 1358 del 13 novembre 2019, con il quale respingeva nuovamente la proposta di cessione in oggetto. Il ricorrente impugnava quindi con ricorso per motivi aggiunti il nuovo decreto interministeriale, deducendo anche con riferimento a tale atto molteplici profili di “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 28-bis del DPr n. 602/1973” (nonché “cautelativamente” della stessa “Circolare MIBACt -Segretariato generale -Servizio I n. 23, prot. 8497, in data 17 luglio 2015”, ove interpretata nel senso sostenuto dalla parte resistente), poiché la Commissione si sarebbe ancora una volta illegittimamente sostituita al competente organo del MIBACt nella valutazione dell’interesse all’acquisto delle opere d’arte offerte in cessione. Con la sentenza indicata in epigrafe il tAr Lazio, sez. II-quater, dichiarata l’improcedibilità del ricorso introduttivo, per sopravvenuta carenza di interesse, accoglieva i motivi aggiunti proposti dal dott. G., e conseguentemente annullava per «macroscopico vizio di incompetenza» (p. 14) il Decreto rep. 1358 del 13 novembre 2019 emesso della Commissione Interministeriale -riunitasi nella composizione indicata al comma IV, dell’art. 28-bis D.P.r. 602/1973 -con il quale veniva disposto il rigetto dell’istanza di pagamento dell’imposte, mediante cessione di «beni culturali», avanzata dal ricorrente in data 1 ottobre 2015. A giudizio del Collegio, sinteticamente, la Commissione avrebbe esorbitato l’ambito di propria competenza, ribaltando indebitamente il «parere favorevole » all’acquisizione espresso dalla Soprintendenza ABAP, la quale avrebbe, nell’estrinsecarsi di tale procedimento, competenza esclusiva riguardo la definizione dell’«interesse culturale» all’acquisto da parte dello Stato. residuerebbe in capo alla Commissione una sfera di discrezionalità limitata, poiché, nel definire «le condizioni ed il valore della cessione», la medesima non si potrebbe discostare dalla valutazione posta in essere dalla Soprintendenza, in quanto dovrebbe esclusivamente apprezzare «la convenienza e l’opportunità in concreto della proposta di cessione, una volta che essa sia stata già valutata positivamente sotto il profilo dell’interesse culturale all’acquisto» (p. 10 della sentenza). La predetta pronuncia merita censura per i seguenti motivi di DIrItto i. Error in iudicando: errata interpretazione art. 28-bis, commi iii e iV, D.P.R. 602/1973. 1.-Sussistono motivate ragioni per propugnare la legittimità dell’operato della Commissione interministeriale, poiché la medesima nel disporre il provvedimento di diniego ha chiaramente operato nel pieno delle proprie attribuzioni, senza alcuno sconfinamento nella sfera di competenza appartenente alla Soprintendenza. 2.-L’istituto del pagamento di imposte tramite cessione di «beni culturali» ex art. 28-bis D.P.r. 602/1973 definisce un meccanismo, assimilabile alla c.d. «datio in solutum», mediante il quale il contribuente ha la possibilità di pro rASSeGnA AVVoCAtUrA DeLLo StAto -n. 3/2021 porre l’estinzione del proprio debito con l’erario garantendo la dazione di un bene in luogo del pagamento di una somma. In tale dinamica, evidentemente, intervengono due diversi interessi di natura pubblicistica che necessitano equa ponderazione. Da un lato, sussiste l’interesse dello Stato all’acquisizione del bene; dall’altro, vi è quello all’ottenimento del dovuto gettito erariale. Siffatta commistione giustifica la definizione del procedimento di istruttoria complesso e bifasico di cui all’art. 28-bis, commi III e IV, in quanto occorre definire nel concreto l’effettiva preponderanza dell’uno o dell’altro. In questo senso, nella prima fase la Soprintendenza individua per ogni singola opera offerta l’«esistenza delle caratteristiche previste dalla legislazione vigente di tutela», avendo particolare riguardo a profili di valenza storico- artistica, quali lo stato di conservazione e l’autenticità dei beni oggetto della procedura. Come evidentemente voluto ex art. 28-bis, comma III, tale valutazione ha ad oggetto la sola «attestazione» della rispondenza delle caratteristiche presentate dal bene offerto in cessione, singolarmente inteso, ai criteri in astratto predeterminati dal legislatore. 3.-ebbene, ogni altra valutazione, anche sotto il profilo dell’interesse culturale, che esorbiti dalla riconduzione, per sussunzione, di un bene ai criteri predeterminati per legge, pertiene alla Commissione. tale considerazione, viene suffragata fortemente dal dettato normativo, il quale attribuisce la definizione delle «condizioni ed il valore della cessione» alla Commissione interministeriale, delineando l’ambito valutativo di quest’ultima con riguardo alla cessione unitariamente intesa e non ad una valutazione «per ogni singolo bene». Pertanto, in questa seconda fase la Commissione dovrà necessariamente rinnovare a valutazione dell’interesse culturale, riferibile al bene singolarmente inteso, in un’ottica procedimentale ove il medesimo deve godere di una lettura in chiave economica e fattuale. Si pensi ad esempio alla destinazione museale delle opere, che non può in alcun modo esser contenuta nell’attestazione della Soprintendenza, se non in quanto mera proposta, poiché esorbitante dal procedimento di attestazione- sussunzione previsto dal comma III. Assumendo quanto riportato, pare evidente come non vi sia alcuna netta demarcazione tra le due fasi valutative, poiché entrambe insistono su una diversa profilazione del medesimo interesse, ossia quello culturale. Da un lato, la Soprintendenza definisce l’interesse storico-artistico per i singoli beni, mediante la ricognizione riguardante la rispondenza delle caratteristiche presentate dagli stessi con quelle individuate in astratto a livello legislativo; dall’altro, la Commissione valuta l’interesse culturale all’acquisto nella sua concreta effettività, considerando anche le possibilità e i costi di gestione del bene, una volta che lo stesso venga ceduto. ContenZIoSo nAZIonALe 3.- Del resto, già dando lettura alla motivazione del primo decreto di diniego (rep. n. 613 del 18 giungo 2018), rimane evidente come la Commissione, non si sia in alcun modo intromessa nel procedimento qualificatorio, previsto dal comma III come esclusivamente pertinente alla Soprintendenza. Veniva, difatti, affermato: «L’elenco delle opere è eterogeneo e non forma un insieme coerente. I prezzi di stima indicati solo al livello massimo, quando non lo superino. La Soprintendenza belle arti e paesaggio per il Comune di Roma non ha ritenuto di esercitare il vincolo sulle opere presentate, forse non valutandone l’eccezionalità nella produzione di ogni singolo artista. Per alcune, infatti, ha già dichiarato il proprio disinteresse concedendo l’attestato di libera circolazione. Trattasi inoltre di artisti già ben rappresentati nelle collezioni pubbliche, specialmente in quelle romane […]». Dunque, non pare che nessuna di queste riportate argomentazioni fondanti il rigetto possa dirsi sconfinante nelle prerogative della Soprintendenza, avendo le stesse ad oggetto la valutazione della cessione relativamente agli aspetti economico finanziari e/o la definizione dell’interesse culturale delle opere calato in un contesto esorbitante il semplice riscontro delle caratteristiche legislativamente necessarie al fine della determinazione del loro valore artistico. 4.- Stesse considerazioni possono spendersi rispetto le motivazioni specifiche che sono state addotte e aggiunte dal decreto di cui in questa sede si perora la legittimità. Sinteticamente, il rigetto viene giustificato in base a) al rilascio da parte del competente Ufficio esportazione di roma del- l’attestato di libera circolazione; b) dalla presenza di opere dei medesimi autori nelle collezioni pubbliche, specialmente nella Capitale; c) dall’assenza, per ciascuna opera, di precisi riferimenti con le Collezioni conservate nelle Gallerie nazionali d’Arte Antica di roma. ebbene, anche questo insieme di valutazioni non sembra in alcun modo insistere sulla sfera di competenza riservata alla Soprintendenza. Difatti, l’insieme delle motivazioni di diniego si fondano non su una diversa valutazione di merito artistico delle singole opere, bensì su una lettura dell’interesse culturale, già riscontrato e definito dalla Soprintendenza, calato nel contesto economico, pragmatico, fattuale che di per sé non appare favorevole all’acquisizione. ii. Error in iudicando: omessa pronuncia sul contenuto a monte vincolato del provvedimento emanato dalla Commissione interministeriale ex art. 21-octies, L. 241/90. 6.- In subordine, pare opportuno evidenziare come nel primo provvedimento di rigetto, con esplicito richiamo anche nel successivo, la Commissione riportasse come «l’ammontare della richiesta non trova[sse] capienza nella dotazione del capitolo prevista per l’anno in corso […]». Infatti, Il beneficio di cui all’art. 28-bis è da annoverarsi nella categoria rASSeGnA AVVoCAtUrA DeLLo StAto -n. 3/2021 dei crediti di imposta, i quali trovano capienza in apposito capitolo di spesa del Bilancio dello Stato. Precisamente, il capitolo 7756 («Somma da accreditare alla contabilità speciale 1778 Agenzia delle Entrate -Fondi di bilancio per essere riversata all’entrata del Bilancio dello Stato per i minori versamenti conseguenti alla fruizione dei crediti di imposta derivanti dalla cessione di beni di interesse culturale in luogo del pagamento di imposte») reca uno stanziamento di euro 3.000.000, annualmente stabilito dalla Legge di Bilancio dello Stato, che si deve considerare quale limite alla spesa. La determinazione di tale vincolo risponde alla fondamentale esigenza di contemperamento, per come sopra individuata, tra l’interesse dello Stato all’acquisizione e l’ottenimento delle somme dovute all’erario. ora, nel momento in cui si fronteggi l’incapienza della dotazione, appare evidente come l’istanza non possa in alcun modo avere esito positivo. Infatti, richiamando quale principio generale l’art. 21-octies L. 241/90, non si deve ritenere «annullabile un provvedimento per vizi formali che non incidano sulla sua legittimità sostanziale ed il cui contenuto non avrebbe potuto essere differente da quello in concreto adottato atteso che la dequotazione dei vizi formali dell'atto, mira a garantire una maggiore efficienza all'azione amministrativa, risparmiando antieconomiche ed inutili duplicazioni di attività, laddove il riesercizio del potere non potrebbe, comunque, portare all'attribuzione del bene della vita richiesto dall'interessato» (da ultimo, Cons. stato sez. ii, 18 marzo 2020, n. 1925). Pertanto, nell’originaria impossibilità per l’Amministrazione ministeriale di discostarsi dai vincoli finanziari, non sembra che un rinnovato esercizio del potere possa dare in alcun modo esito positivo. ***** *** Pertanto, per i su esposti motivi, si chiede che l’ecc.mo Consiglio di Stato in sede Giurisdizionale voglia accogliere il presente appello e per l’effetto, in annullamento dell’appellata sentenza n. 5179 del 15 maggio 2020 emessa dal t.A.r. Lazio, sez. II-quater, confermare il Decreto della Commissione Interministeriale rep. 1358 del 13 novembre 2019, avente ad oggetto il rigetto del- l’istanza ex art. 28-bis D.P.r. 602/1973 promossa da controparte. Con vittoria di spese ed onorari. Ai sensi dell’art. 13, comma 6-bis, D.P.r n. 115/2002, la presente controversia è soggetta al versamento del contributo unificato di € 975,00, da prenotarsi a debito. Unitamente al presente ricorso notificato saranno depositati l’originale della sentenza impugnata e l’istanza di fissazione udienza. roma lì, 12 dicembre 2020 Danilo Del Gaizo Avvocato dello Stato ContenZIoSo nAZIonALe Consiglio di stato, sezione Quarta, sentenza 5 luglio 2021 n. 5130 -Pres. L. Maruotti, Est. G. rotondo -Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo e Ministero dell'economia e delle finanze (Avv. Gen. Stato) contro G.t. (n.c.). FAtto 1. Con il ricorso in esame (n.r.g. 10237/2020), il Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo e il Ministero dell’economia e delle finanze impugnano la sentenza n. 5179, pubblicata il 15 maggio 2020, con la quale il t.a.r. per il Lazio, Sede di roma, sez. II-quater, previa declaratoria di improcedibilità del ricorso introduttivo per sopravvenuta carenza di interesse (proposto avverso il primo decreto di rigetto), ha accolto il ricorso per motivi aggiunti proposto dal sig. t.G. (odierno appellato) avverso il decreto interministeriale rep. n. 1358, datato 13 novembre 2019 (adottato a seguito delle ordinanze propulsive di riesame del t.a.r. n. 7822 del 2018 e n. 4891/2019), recante nuovo rigetto della proposta di cessione allo Stato di undici opere d’arte, a scomputo del pagamento di imposte dirette ex art. 28 bis del d.P.r. n. 602/1973. 2. Il ricorrente, nel ricorso di primo grado, deduceva che la Commissione interministeriale si sarebbe sostituita al competente organo del MIBACt nella valutazione dell’interesse all’acquisto delle opere d’arte offerte in cessione. 3. Si costituiva in giudizio il Ministero per i beni e le attività culturali, che offriva una diversa ricostruzione del procedimento di cessione ex art. 28-bis del d.P.r. n. 602 del 1973 che qualifica il parere favorevole espresso dalla Soprintendenza, reso in data 22 settembre 2016, come “mero atto endoprocedimentale, certamente non vincolante”, consistente soltanto in una “prima valutazione” circa l’opportunità e convenienza dell’operazione economica. 4. Il t.a.r., con la sentenza impugnata: -accoglieva il gravame sul presupposto che la Commissione interministeriale si sarebbe indebitamente sostituita alla Soprintendenza del MIBACt in ordine alla valutazione della sussistenza dell’interesse “culturale” all’acquisto delle opere, anziché limitarsi a stabilire “le condizioni e il valore” della cessione così come previsto dall’art. 28-bis del d.P.r. n. 602/1973; - compensava le spese. 4.1. Ad avviso del t.a.r., il . 5. Appellano la sentenza il Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo e il Ministero dell’economia e delle finanze, che deducono: 5.1. Error in iudicando: errata interpretazione dell’art. 28-bis, commi III e IV, del d.P.r. 602/1973; 5.2. Error in iudicando: mancata pronuncia sul contenuto del provvedimento emanato dalla Commissione Interministeriale ex art. 21-octies della L. 241/1990. 5.3. Le appellanti osservano che: -nel procedimento in questione rilevano due diversi interessi di natura pubblicistica, che necessitano equa ponderazione: da un lato, sussiste l’interesse dello Stato all’acquisizione del bene; dall’altro, vi è quello all’ottenimento del dovuto gettito erariale. nella prima fase, la Soprintendenza individua per ogni singola opera offerta l’«esistenza delle caratteristiche previste dalla legislazione vigente di tutela», avendo particolare riguardo a profili di valenza storico- artistica. ogni altra valutazione, anche sotto il profilo dell’interesse culturale, che esorbiti dalla riconduzione, per sussunzione, di un bene ai criteri predeterminati per legge, perterrebbe, invece, alla Commissione. -è stato evidenziato che «l’ammontare della richiesta non trova capienza nella dotazione del capitolo prevista per l’anno in corso». 6. L’appellato non si è costituito. 7. All’udienza del giorno 8 giugno 2021, la causa è stata trattenuta per la decisione. DIrItto 8. Preliminarmente, il Collegio dà atto che si è formato il giudicato sul capo di sentenza che ha dichiarato improcedibile il ricorso di primo grado proposto avverso il decreto interministeriale adottato dal “Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del turismo -Direzione generale Archeologia Belle Arti e Paesaggio”, di concerto con il “Ministero economia e Finanze -Dipartimento Finanze -Direzione Agenzie ed enti della Fiscalità”, rep. n. 613 in data 18 giungo 2018, e i relativi atti presupposti ivi richiamati. 9. L’appello s’incentra sulla legittimità del decreto interministeriale adottato dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo -Direzione generale archeologia belle arti e paesaggio, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze -Dipartimento Finanze -Direzione Agenzie ed enti della Fiscalità, rep. n. 1358; in data 13 novembre 2019, che ha sostituito il precedente decreto. 10. L’appello è fondato. 11. Il procedimento scandito dall’articolo 28-bis del d.P.r. 29 luglio 1973, n. 602, pur volto al perseguimento dell’interesse culturale, presenta natura bifasica, in quanto dispone che nel corso del procedimento si debbano pronunciare due organi statali. 11.1. Alla Soprintendenza è demandato il compito di definire l’interesse storico-artistico per ogni singolo bene proposto in cessione. La Soprintendenza procede alla ricognizione delle ContenZIoSo nAZIonALe caratteristiche presentate da tali beni al fine di appurarne la corrispondenza al paradigma normativo di riferimento, ovvero alle caratteristiche previste dalla legislazione di tutela di quei beni. La Commissione -pur dovendo anch’essa individuare l’interesse culturale all’acquisto dei beni culturali offerti in cessione a scomputo del debito erariale -valuta l’opportunità di acquisto in concreto, tenuto conto dei costi di gestione delle opere e della convenienza dell’acquisto, tenuto conto anche del loro valore oggettivo, dell’ammontare del credito vantato dallo Stato nei confronti del debitore che sia proprietario delle opere, nonché dell’attendibilità di quanto dichiarato dall’interessato sul loro valore. 11.2. È evidente, dunque, che la Commissione deve compiere una (ri)valutazione (rectius, medesima valutazione) dell’interesse culturale, ma questa volta in termini più complessi, ampi e concreti, riferiti cioè non solo all’interesse dello Stato all’acquisizione del bene, bensì anche all’interesse all’ottenimento del dovuto gettito erariale o di opere aventi un valore equivalente. 11.3. Il procedimento, così come regolato dall’art. 28-bis citato sconta, pertanto, un primo passaggio endoprocedimentale, che è quello volto alla valutazione circa la verifica dello stato di conservazione delle opere, al fine di appurarne l’autenticità e, quindi, l’afferenza alla procedura. La Soprintendenza, in questa fase, deve attestare la rispondenza delle caratteristiche presentate dai singoli beni offerti in cessione ai criteri indicati nel comma 3 dell’articolo in esame. tale verifica di interesse riguarda la sussunzione del bene nell’ambito dei criteri normativi. 11.4. non potrebbe, pertanto, la Soprintendenza, con la propria decisione, esaurire la fase di formazione della voluntas decidendi in ordine al definitivo acquisito delle opere; al riguardo, la sua eventuale dichiarazione di irrinunciabilità all’acquisto (come formulata nella specie) si rivela come espressiva di un forte auspicio che il procedimento si concluda con l’acquisto delle opere da parte dello Stato, avendo natura di parere favorevole, come va infatti qualificata la nota della Soprintendenza del 17 ottobre 2016, n. 14921. 11.5. D’altra parte, la Soprintendenza non può esprimere una volontà ‘definitiva’ e quindi esaurire la fase procedimentale relativa alla volontà di procedere all’acquisito: ai sensi dell’art. 28 bis, solo la Commissione -sulla base di una valutazione complessiva ed effettiva dell’intera “operazione” economica, pratica e fattuale -può verificare se vi siano disponibilità del bilancio per procedere all’acquisto; la procedura di ‘compensazione’, infatti, si sostanzia in ogni caso e comunque, secondo i principi di contabilità pubblica, in un ordinario impegno di spesa cui segue l’imputazione del pagamento e il relativo mandato. Sul punto, è particolarmente significativa la circostanza che la Commissione, in entrambi i provvedimenti, abbia affermato (nel secondo riportandosi all’affermazione contenuta nel primo provvedimento) che «l’ammontare della richiesta non trova[sse] capienza nella dotazione del capitolo prevista per l’anno in corso», evidentemente anche in ragione del valore attribuito dall’interessato alle opere. 11.6. La Soprintendenza, dunque, esprime in questa fase, secondo le modalità procedurali scandite dall’art. 28-bis del d.P.r. n. 602 del 1973, un parere di merito in relazione alla sussistenza di un interesse dello Stato di acquisire beni di particolare interesse, avuto riguardo a quanto stabilito dalla legge n. 512 del 1982, che si concretizza in una proposta rimessa alla valutazione conclusiva del Ministro per i beni culturali, che si esprime con il decreto finale. 11.7. Alla Commissione interministeriale compete, pertanto, la definizione delle «condizioni ed il valore della cessione». L’organo dovrà delineare l’ambito valutativo procedendo, questa rASSeGnA AVVoCAtUrA DeLLo StAto -n. 3/2021 volta, ad una valutazione unitariamente intesa e non più per singolo bene come operato dalla Soprintendenza. La valutazione riguarderà pur sempre il medesimo interesse culturale, quello culturale, ma questa sotto un’angolatura diversa ossia alla luce di una operazione più complessa e organica, in cui l’intero compendio viene apprezzato in un’ottica di convenienza economica e fattuale ai fini del suo acquisito definitivo. 12. Contrariamente a quanto ha dedotto l’interessato in primo grado, il procedimento seguito dall’Amministrazione neppure è incorso in profili di contraddizione, né ha arrecato alcun vulnus al regime delle competenze. 12.1. Ciascun organo ha operato, infatti, all’interno delle proprie attribuzioni, dando vita ad un unico procedimento a struttura bifasica in cui ciascuno di essi ha adempiuto al proprio compito: la Soprintendenza, valutando, ai fini dell’acquisito, la rispondenza delle caratteristiche presentate dai singoli beni all’interesse culturale di cui alla legge n. 512 del 1982; la Commissione, valutando il medesimo interesse culturale avuto riguardo ai beni (questa volta) unitariamente considerati e, dunque, della convenienza all’acquisto nella sua concreta effettività ed in relazione al valore dichiarato, tenuto anche conto della possibilità economica di assumere la spesa e dei costi di gestione dei beni una volta accettata la proposta e perfezionatosi l’acquisito mediante la datio rei (per i beni mobili come nella fattispecie). 13. neppure tra Soprintendenza e la Commissione interministeriale si è palesata una qualche interferenza per ambito di materia. 13.1. tanto si evince per tabulas dalla motivazione dell’atto datato 21 gennaio 2019, adottato dalla Commissione interministeriale, in cui si legge che: (i) “L’elenco delle opere è eterogeneo e non forma un insieme coerente” (valutazione unitaria dei beni); (ii) “I prezzi di stima indicati solo al livello massimo, quando non lo superino” (valutazione di convenienza economica); (iii) “La Soprintendenza belle arti e paesaggio per il Comune di roma non ha ritenuto di esercitare il vincolo sulle opere presentate, forse non valutandone l’eccezionalità nella produzione di ogni singolo artista. Per alcune, infatti, ha già dichiarato il proprio disinteresse concedendo l’attestato di libera circolazione. trattasi inoltre di artisti già ben rappresentati nelle collezioni pubbliche, specialmente in quelle romane” (valutazione in ordine alla carenza delle condizioni per procedere all’acquisito); (iv) “presenza di opere dei medesimi autori nelle collezioni pubbliche, specialmente nella Capitale” -“assenza, per ciascuna opera, di precisi riferimenti con le Collezioni conservate nelle Gallerie nazionali d’Arte Antica di roma” (valutazione unitaria operata su un piano diverso rispetto alla Soprintendenza, effettuata alla stregua del contesto economico di rilevanza pratica dei beni, quindi in concreto e in ragione della opportunità e convenienza fattuale). 14. Per quanto sin qui argomentato, l’appello è fondato e deve essere accolto; per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata (n. 5179 del 15 maggio 2020 emessa dal t.A.r. Lazio, sez. II-quater), deve essere respinto il ricorso di primo grado proposto avverso il decreto interministeriale adottato dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del turismo -Direzione generale Archeologia Belle Arti e Paesaggio, di concerto con il Ministero economia e Finanze -Dipartimento Finanze -Direzione Agenzie ed enti della Fiscalità, rep. n. 1358 in data 13 novembre 2019. 15. Le spese processuale di entrambi i gradi di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando ContenZIoSo nAZIonALe sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata (n. 5179 del 15 maggio 2020), respinge il ricorso proposto in primo grado dal sig. G.t. Condanna il sig. t.G. al pagamento delle spese processuali che liquida, in favore del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo e del Ministero dell’economia e delle finanze, in complessivi euro 5.000,00 oltre accessori di legge se dovuti. ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in roma nella camera di consiglio del giorno 8 giugno 2021. rASSeGnA AVVoCAtUrA DeLLo StAto -n. 3/2021 il principio di trasparenza e l’accesso difensivo a documentazione con la classifica “riservato” ANNoTAzIoNE A CoNSIGLIo DI STATo, SEzIoNE TERzA, SENTENzA 4 AGoSTo 2021 N. 5735 La sentenza del Consiglio di Stato n. 5735/2021, nell’ambito di un ricorso per l’accesso ai documenti relativi al procedimento finalizzato allo scioglimento di consiglio comunale ex art. 143 tUeL, ha affermato l’insussistenza di un obbligo di diffusa motivazione nella scelta di apporre la classifica “riservato” ad un documento atteso che “non incombeva certamente al Ministero dell’Interno -come diversamente adombrato dall’appellante con una esegesi della norma che condurrebbe, in realtà, a conseguenze assurde e contraddittorie -doppiare l’atto di classifica con un ulteriore provvedimento ad hoc che, nello specifico, avrebbe dovuto giustificare le ragioni dell’avvenuta classifica. Distinguere l’atto di volontà con cui si impone la classifica, con un separato atto che ne giustifichi le specifiche ragioni, finirebbe per disvelare quelle ragioni della segretezza poste a fondamento delle infra indicate disposizioni normative di riferimento; e questo non appare ragionevole e sicuramente contraddittorio dal punto vista logico giuridico”. Quanto all’onere in capo al richiedente di specificare le ragioni dell’istanza di accesso finalizzata alla tutela giurisdizionale, il Consiglio di Stato ha precisato che “Il legislatore ha, infatti, ulteriormente circoscritto l'oggetto della situazione legittimante l'accesso difensivo rispetto all'accesso "ordinario", esigendo che la stessa, oltre a corrispondere al contenuto dell'astratto paradigma legale, sia anche collegata al documento al quale è chiesto l'accesso (art. 24, comma 7, della l. n. 241 del 1990), in modo tale da evidenziare in maniera diretta ed inequivoca il nesso di strumentalità che avvince la situazione soggettiva finale al documento di cui viene richiesta l'ostensione, e per l'ottenimento del quale l'accesso difensivo, in quanto situazione strumentale, fa da tramite. La volontà del legislatore è di esigere che le finalità dell'accesso siano dedotte e rappresentate dalla parte in modo puntuale e specifico nell'istanza di ostensione, e suffragate con idonea documentazione, così da permettere al- l'amministrazione detentrice del documento il vaglio del nesso di strumentalità necessaria tra la documentazione richiesta sub specie di astratta pertinenza con la situazione "finale" controversa”. Wally Ferrante* (*) Avvocato dello Stato. ContenZIoSo nAZIonALe Consiglio di stato, sezione terza, sentenza 4 agosto 2021 n. 5735 -Pres. F. Frattini, Est. A.M. Marra -omissis (avv. F. Scafarelli) c. Ministero dell’Interno, Ufficio territoriale del Governo di Venezia (avv. gen. Stato). FAtto e DIrItto L’odierno appellante, eletto nel 2006 Sindaco del Comune di omissis, si è poi dimesso da tale carica elettiva a causa di un procedimento penale cui è stato sottoposto per il reato di “Scambio elettorale politico-mafioso, ai sensi dell’art. 416 ter cod. pen.”. Successivamente, il Prefetto di Venezia ha avviato il procedimento per lo scioglimento del Consiglio Comunale per il pericolo di infiltrazioni della criminalità organizzata ai sensi del- l’art. 143 t.U.e.L. In data 23 marzo 2020, l’odierno appellante ha chiesto l’accesso, per esercitare in giudizio il proprio diritto di difesa, ai seguenti atti e precisamente: 1) decreto del Ministro dell’Interno del omissis, con cui è stato delegato il Prefetto di Venezia, ed eventuali atti istruttori, prodromici e propedeutici; 2) decreto del Prefetto di Venezia del omissis di nomina della Commissione d’indagine, con cui è stato disposto l’accesso presso il Comune di omissis, ed il successivo provvedimento di proroga del omissis; 3) relazione della Commissione d’indagine del omissis; 4) verbale della seduta del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, sentito dal Prefetto ai sensi del comma 3 dell’art. 143 del t.U. enti Locali; 4) relazione del Prefetto di Venezia del omissis. Il provvedimento impugnato ha respinto tale richiesta, allegando che le “relazioni” redatte dalla Prefettura sdi Venezia “in quanto classificate Riservato sono sottratte all’accesso e, pertanto, non ostensibili”; citando, a sostegno, il disposto dell’art. 3, comma 1, lett. m) del d.m. 10 maggio 1994, n. 415, il quale esclude dall’accesso gli “atti, documenti e note informative utilizzate per l’istruttoria finalizzata all’adozione, tra l’altro, dei provvedimenti di cui al citato art. 143, in applicazione della normativa antimafia”. In estrema sintesi la Prefettura di Venezia , ha denegato la richiesta di accesso sul rilievo che: … “la documentazione richiesta, in quanto è stata attribuita la classifica di ‘riservato’, è sottratta all’accesso e pertanto non è ostensibile”. Indi l’interessato ha presentato nuova istanza di accesso a mezzo della quale ha richiesto: “di poter prendere visione ed estrarre copia dei provvedimenti di classificazione con le relative motivazioni, mediante i quali è stata attribuita la ricordata classifica di ‘riservato’ e di ‘segretezza’, nonché di tutti gli atti istruttori, prodromici e propedeutici afferenti ai medesimi subprocedimenti di classificazione”. A tale istanza la Prefettura ha dato riscontro precisando che “la classifica viene effettuata contestualmente all’elaborazione del documento stesso dall’ente originatore e pertanto non sussistono provvedimenti ad hoc per l’attribuzione di una classifica di segretezza”. L’odierno appellante ha impugnato ai sensi dell’art. 116 c.p.a. avanti al tribunale amministrativo regionale per il Veneto il diniego di accesso, articolando due motivi, e ne ha chiesto l’annullamento. A supporto di tale richiesta, l’appellante ha esposto di essere titolare di uno specifico interesse difensivo, che sarebbe prevalente anche nell’ipotesi di documenti riservati. La dichiarata finalità dell’accesso era quella di verificare la correttezza dei provvedimenti e degli atti assunti in seno al visto procedimento ex art. 143 del t.U. enti Locali asseritamente indispensabile per l’appellante nel menzionato procedimento penale. La sentenza appellata ha accolto parzialmente il ricorso; statuendo che il diritto del ricorrente rASSeGnA AVVoCAtUrA DeLLo StAto -n. 3/2021 deve essere riconosciuto limitatamente a quei documenti per i quali non sussiste un interesse pubblico alla riservatezza e segnatamente ai documenti indicati nella richiamata relazione della Prefettura, depositata in data 22 ottobre 2020. Quanto, invece, all’ulteriore censura, il primo giudice, nel respingerla ha chiarito che: .. nelle istanze di accesso non sono stati forniti gli elementi necessari a far considerare indispensabile l’ostensione dei documenti richiesti e quindi a far ritenere prevalente il diritto di accesso rispetto ai rilevantissimi interessi pubblici -giudiziari, alla sicurezza e all’ordine pubblico evidenziati dalle Amministrazioni resistenti con l’apposizione della classifica di “Riservati”, con la motivazione dei provvedimenti impugnati e altresì con la relazione depositata in data 22 ottobre 2020. Si è costituita l’Amministrazione dell’Interno appellata, che ha contestato la fondatezza del ricorso. nella pubblica udienza dell’8 giugno 2021 la causa è stata trattenuta in decisione. L’appello è infondato. osserva, anzitutto, il Collegio che la sentenza gravata è immune da censure nella parte in cui ha respinto la richiesta di accesso dei suririchimati atti classificati come “riservati”, in quanto il provvedimento impugnato, in primo grado, pur limitando le allegate prerogative dell’odierno appellante, non è privo di motivazione attesa la vista classificazione di cui gli stessi atti di cui si chiede l’ostensione sono coperti. È, dunque, evidente che, in tale quadro, rispetto al quale il provvedimento gravato non è affatto restato silente, non incombeva certamente al Ministero dell’Interno -come diversamente adombrato dall’appellante con una esegesi della norma che condurrebbe, in realtà, a conseguenze assurde e contraddittorie -doppiare l’atto di classifica con un ulteriore provvedimento ad hoc che, nello specifico, avrebbe dovuto giustificare le ragioni dell’avvenuta classifica. Distinguere l’atto di volontà con cui si impone la classifica, con un separato atto che ne giustifichi le specifiche ragioni, finirebbe per disvelare quelle ragioni della segretezza poste a fondamento delle infra indicate disposizioni normative di riferimento; e questo non appare ragionevole e sicuramente contraddittorio dal punto vista logico giuridico. Con questo non si vuol certamente contravvenire al principio di trasparenza, ma solo rimarcare in simili casi la possibilità degli interessati di utilizzare gli strumenti che l’ordinamento appresta facendo richiesta al giudice che disponga, come sovente accade nei procedimenti di scioglimento dei comuni ai sensi del citato art. 143, quando l’atto debba essere classificato ovvero quando sia possibile acquisirlo agli atti in plico sigillato, con divieto di estrazione copie e con le garanzie di preservazione del vincolo di classificazione. Spetta in definitiva, come condivisibilmente chiarito dal primo giudice, al soggetto che genera il documento la valutazione in ordine all’apposizione della classifica sulla base dei criteri di cui al quadro normativo di riferimento (art. 42 co. 2 e 4 L. n. 124/2007; art. 4, co. 6 e 8 del DPCM 12 giugno 2009, n. 7), senza che sia necessaria l’adozione di un provvedimento ad hoc che ne espliciti le motivazioni. Sotto diverso aspetto, la richiesta dell’appellante appare alquanto generica, in quanto l’interessato si limita ad affermare di voler esercitare il diritto di accesso al fine di difendersi in giudizio, senza spiegare per quale motivo gli atti oggetto della domanda di accesso siano necessari alla sua difesa, con la conseguenza che ciò finirebbe per impedire di cogliere… quel nesso di strumentalità a cui la giurisprudenza sovente fa richiamato (ad. plen., 18 marzo 2021, n. 4). Il legislatore ha, infatti, ulteriormente circoscritto l'oggetto della situazione legittimante l'ac ContenZIoSo nAZIonALe cesso difensivo rispetto all'accesso "ordinario", esigendo che la stessa, oltre a corrispondere al contenuto dell'astratto paradigma legale, sia anche collegata al documento al quale è chiesto l'accesso (art. 24, comma 7, della l. n. 241 del 1990), in modo tale da evidenziare in maniera diretta ed inequivoca il nesso di strumentalità che avvince la situazione soggettiva finale al documento di cui viene richiesta l'ostensione, e per l'ottenimento del quale l'accesso difensivo, in quanto situazione strumentale, fa da tramite. La volontà del legislatore è di esigere che le finalità dell'accesso siano dedotte e rappresentate dalla parte in modo puntuale e specifico nell'istanza di ostensione, e suffragate con idonea documentazione, così da permettere all'amministrazione detentrice del documento il vaglio del nesso di strumentalità necessaria tra la documentazione richiesta sub specie di astratta pertinenza con la situazione "finale" controversa. In conclusione, per tutte le ragioni esposte, l’appello deve essere respinto in entrambi i motivi dedotti, con la conseguente conferma della sentenza impugnata. Le spese del presente grado del giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza dell’odierno appellante nei confronti del Ministero dell’Interno. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna il sig. omissis a rifondere in favore del Ministero dell’Interno le spese del presente grado del giudizio, che liquida nell’importo di € 2.000,00, oltre gli accessori come per legge. ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del regolamento (Ue) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l’odierno appellante. Così deciso in roma nella camera di consiglio del giorno 8 giugno 2021. ParerIdelComItatoConsultIvo Istanza di modifica del cognome assunto a seguito di adozione di persone di maggiore età Parere del 10/03/2021-158818, al 24703/2020, avv. Tommaso marsh Con la presente nota si fornisce riscontro al quesito, posto da codesta Amministrazione, con riguardo al procedimento di modifica del cognome, avviato a seguito dell'istanza presentata dai fratelli omissis, prima con nota del 27 aprile 2018 e, successivamente, con nota dell'11dicembre 2018, prot. n. 463562, con la quale essi richiedevano di anteporre il proprio cognome d'origine -a seguito del procedimento di adozione di maggiorenne -a quello dell'adottante. L'istanza confluiva nel provvedimento con cui codesta Amministrazione dichiarava inammissibile la modifica richiesta, stante, da un lato, il chiaro tenore dell'art. 299 c.c., il quale sancisce che l'adottato maggiorenne vede anteposto il cognome dell'adottante a quello proprio di origine e, dall'altro, che in ogni caso non si ravvisano gli estremi di un'incisione del diritto all'identità personale degli interessati, attesa la conservazione del cognome d'origine, il quale semplicemente viene posposto a quello di adozione. Si richiede, in particolare, a questa Avvocatura, di indicare se sia ammissibile una lettura di sistema che consenta, anche alla luce di una interpretazione evolutiva del dato normativo consegnato all'art. 299 c.c., di superarne il tenore apparentemente imperativo. Di seguito, una sintetica ricostruzione dei fatti di maggior rilievo sottesi alla vicenda che occupa. *** Gli istanti, i signori omissis, nascevano il 23 agosto 1996 dall'unione coniugale tra i signori omissis, la cui separazione è stata omologata dal Tribunale di Napoli in data 3 marzo 1999. In seguito, la sig.ra omissis ha intrapreso un rapporto sentimentale stabile con il sig. omissis che, pertanto, si è preso cura dei fratelli omissis sin dalla te RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo -N. 3/2021 nera età, creando con loro un profondo e significativo legame affettivo, al pari di quello intrattenuto dagli stessi col padre biologico che, comunque, non ha mai mancato al suo ruolo genitoriale. Successivamente, il Tribunale di Roma, con sentenza del 24 marzo 2017, dichiarava l'adozione dei sig.ri omissis, da parte del sig. omissis, nulla disponendo tuttavia in ordine alla richiesta, sempre formulata dagli istanti, di conservare l'ordine prioritario del cognome d'origine. A seguito del provvedimento giudiziale anzidetto e alla pedissequa annotazione effettuata dal Comune di Napoli, gli interessati richiedevano a codesta Amministrazione di effettuare la modifica che occupa. L'istanza veniva corredata dalla dichiarazione di assenso di tutti i soggetti coinvolti nella vicenda. *** Alla questione relativa alla legittimità della modifica nel cognome nei termini anzidetti si ritiene debba rispondersi affermativamente, pur con le precisazioni e i limiti che di seguito verranno illustrati, previa una necessaria ricostruzione del quadro giuridico di riferimento. L'ordinamento contempla la regola secondo cui ogni individuo sin dalla nascita, oltre ad acquisire la capacità giuridica, insita nell'art. 1 c.c., ha diritto ad un nome (art. 6 c.c.), che consente di distinguersi, rispettivamente, all'interno della famiglia di appartenenza e nel più ampio ambito sociale, quale conseguenza del possesso di uno status familiae. Il diritto al nome si inserisce, come pacificamente riconosciuto dalla dottrina e dalla giurisprudenza, anche costituzionale, nel novero dei diritti fondamentali della persona di cui all'art. 2 Cost., costituendo il nome e la connessa tutela che ne viene fornita, diretta esplicazione della personalità dell'individuo. Il rango del valore del diritto al nome è confermato da quanto statuito dalla Corte Europea dei diritti dell'Uomo, la quale ha ricondotto nella nozione di "vita privata" -ambito tutelato dall'art. 8 CEDU -le problematiche relative al diritto al nome, che assurge a pieno titolo a rango di diritto della personalità. Più in particolare, la Corte di Strasburgo ha definito quello al nome come un diritto a conservare un segno che identifica l'individuo nel contesto sociale in cui vive. Viene, dunque, in esponente un diritto che fuoriesce dalla sfera strettamente individuale per porsi in una dimensione relazionale. Va, tuttavia, tenuto conto che, alla stregua dei principi affermati dalla Convenzione citata, il diritto al nome e all'identità personale sono suscettibili di bilanciamento, da compiersi in ossequio al principio di proporzionalità, con contrapposti interessi altrettanto meritevoli di tutela. Al riguardo, è necessario evidenziare che il diritto del singolo alla propria, unica e personale identità deve confrontarsi con l'esigenza pubblicistica della stabilità degli estremi anagrafici identificativi della persona e della certezza degli atti e dei rapporti giuridici. PARERI DEL ComITATo CoNSULTIVo L'art. 6, comma 3, c.c. dispone, infatti, che non sono ammessi cambiamenti, aggiunte o rettifiche al nome “se non nei casi e con le formalità dalla legge indicati”. Le vicende modificative del nome sono disciplinate, sotto il profilo sostanziale e procedimentale, dal D.P.R., n. 396/2000, recante “il regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento, dello stato civile, a norma dell'art. 2, comma 12, della l. n. 127/1997”. Quanto ai presupposti per l'attivazione del procedimento in questione, la giurisprudenza amministrativa ha chiarito che “la domanda (di cambiamento o aggiunta al nome/cognome) proposta ai sensi dell'art. 89, d.p.r. n. 396/2000, può essere sostenuta anche da intenti soggettivi e atipici, purché meritevoli di tutela e non contrastanti con il pubblico interesse alla stabilità ed alla certezza degli elementi identificativi della persona e del suo status giuridico e sociale (ex plurimis, Cons. St., III, 15 ottobre 2013, n. 5021). Quanto, invece, alla natura della funzione esplicata, si è chiarito che il decreto di modifica del nome costituisce provvedimento eminentemente discrezionale, in cui la salvaguardia dell'interesse pubblico alla tendenziale stabilità del nome, connesso ai profili pubblicistici dello stesso come mezzo di identificazione dell'individuo nella comunità sociale, può venire contemperata con gli interessi di coloro che quel nome intendano mutare o modificare nonché di coloro che a quel mutamento intendano opporsi. Sull'altro versante, l'art. 299, comma 1, così come sostituito dall'art. 61 della L. n. 184/1983, dispone che “l'adottato assume il cognome dell'adottante e lo antepone al proprio”. La formulazione antecedente la modifica anzidetta era la seguente “l'adottato assume il cognome dell'adottante e lo aggiunge al proprio". Dunque, occorre comprendere se la attuale formulazione della norma concernente le vicende modificative del cognome dell'adottato osti a una lettura che consente di ritenere ammissibile una modificazione dell'ordine dei cognomi come disposto dall'articolo in esame. La risoluzione della questione presuppone una ricostruzione analitica dello statuto complessivo dell'adozione di persone di maggiore età e dell'evoluzione dello stesso. originariamente l'istituto nasceva per assicurare la discendenza a chi non l'avesse (rendendo, così, possibile la trasmissione del patrimonio e del cognome): l'interesse primario protetto da questo tipo di adozione, in altri termini, era quello dell'adottante, che, privo di discendenza, intendesse trasmettere il patrimonio ed il nome ad un soggetto cui era legato da rapporti di affetto. La Corte Costituzionale, prima con sentenza n. 557 del 19 maggio 1988 e poi con sentenza n. 245 del 20 luglio 2004, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 291 c.c. -per contrasto con l'art. 3 Cost. -nella parte in cui non consente l'adozione a persone che abbiano discendenti legittimi, mi RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo -N. 3/2021 norenni o, se maggiorenni, consenzienti, valorizzando l'interesse personale dei soggetti coinvolti e superando la precedente concezione meramente patrimoniale sottesa all'istituto. In tale prospettiva, quindi, l'istituto dell'adozione del maggiorenne perde totalmente il presupposto di natura patrimoniale che connota l'impianto normativo di riferimento, diventando viceversa tale aspetto una mera conseguenza degli obblighi di solidarietà che incombono sul “genitore” adottivo, anche del maggiorenne. In quest'ottica deve essere interpretato il tenore del nuovo art. 299 c.c.: rendere pubblico e certo il nuovo stato dell'adottato, per un verso, e (soprattutto) valorizzare la volontà espressa dal soggetto maggiorenne di suggellare il legame venutosi a creare con l'adottante, del quale acquisisce il cognome. Dunque, la valorizzazione del rinnovato piano assiologico degli interessi autorizza a ritenere che la volontà insita nella sostituzione dell'art. 299, comma 1, c.c., fosse quella di attribuire preminente rilievo al nuovo rapporto costituitosi con l'adottante, tutelando la volontà dell'adottato. Sembra essere, dunque, questa la ragione di fondo che ha ispirato il legislatore del 1983. La chiara intenzione di superare una concezione arcaica dell'istituto del- l'adozione di maggiorenne, valorizzandolo là dove la "nuova famiglia" costituisce la formazione sociale per antonomasia all'interno della quale si sviluppa e realizza la personalità del soggetto, induce a ritenere che la scelta, operata dal legislatore, di disporre la anteposizione del nome d'adozione non possa essere intesa come una imposizione all'adottato, che altrimenti si vedrebbe costretto a rinunciare all'adozione ove non volesse rinunciare alla precedenza del proprio cognome. Detta considerazione induce, quindi, a concepire l'istituto come strumento volto alla valorizzazione della scelta operata dall'adottato stesso e dall'adottante, nei limiti in cui le descritte istanze esistenziali non si pongano in contrasto con i pur rilevanti interessi pubblici tuttora implicati nello statuto dell'adozione di maggiorenne e nelle vicende modificative del nome che ne scaturiscono. Tale lettura, che consente di ammettere una diversa modulazione dell'ordine dei cognomi dell'adottato maggiorenne, sembra anche trovare conferma in un'ottica di sistema. In primo luogo, viene in rilievo, l'art. 262 c.c., il quale, al comma 3 (come modificato dal decreto-legge n. 154/2014), enuncia che “se la filiazione nei confronti del padre è stata accertata o riconosciuta successivamente al riconoscimento da parte della madre, il figlio può assumere il cognome del padre aggiungendolo, anteponendolo o sostituendolo a quello della madre”. Si osserva, al riguardo, che, se il legislatore ha attribuito al figlio, successivamente riconosciuto, la libertà di scegliere l'ordine di cognomi, a fortiori PARERI DEL ComITATo CoNSULTIVo tale libertà non può ritenersi esclusa laddove la costituzione del rapporto (e con esso l'acquisizione e l'aggiunta del nuovo cognome) si inserisca nel contesto di un atto volontario posto in essere da un soggetto maggiorenne. Il presente approdo non sembra potersi ritenere scalfito dalla sentenza costituzionale n. 120/2001, con cui la Corte, chiamata a pronunciarsi anche in ordine alla legittimità costituzionale dell'art. 299, comma 1, c.c. afferma che “la precedenza del cognome dell'adottante non è irrazionale così come non costituisce violazione del diritto all’identità personale il fatto che il cognome adottivo preceda o segua quello originario. la lesione di tale identità sarebbe ravvisabile nella soppressione del segno distintivo, non certo nella sua collocazione dopo il cognome”. Il Giudice delle leggi, infatti, si limita a escludere la illegittimità del- l'enunciato normativo in esame, ritenendo non irrazionale la scelta legislativa di anteporre il cognome d'adozione. Tuttavia, non giunge ad escludere espressamente la possibilità che l'assetto configurato normativamente possa essere successivamente rimodulato laddove emergessero interessi collocabili su un superiore piano valoriale. In secondo luogo, viene in rilevo, da un lato, l'art. 33, D.P.R., n. 396/2000, e, dall'altro, l'art. 89 D.P.R. n. 396/2000 citato. Il primo articolo dispone che “Il figlio maggiorenne che subisce il cambiamento o la modifica del proprio cognome a seguito della variazione di quello del genitore da cui il cognome deriva, nonché il figlio nato fuori del matrimonio, riconosciuto, dopo il raggiungimento della maggiore età da uno dei genitori o contemporaneamente da entrambi, hanno facoltà: di scegliere, entro un anno dal giorno in cui ne vengono a conoscenza, di mantenere il cognome portato precedentemente, se diverso, ovvero di aggiungere o di anteporre ad esso, a loro scelta, quello del genitore". L'enunciato normativo richiamato conferisce vigore alla lettura sopra offerta della lettera dell'art. 299 c.c. Se quest'ultimo venisse inteso nel senso di non ammettere una modulazione differente dei cognomi, si incorrerebbe nel paradosso di consentire al figlio dell'adottato maggiorenne di disporre liberamente del cognome di cui subisce la modifica a causa di quella intervenuta su quella del padre a seguito dell'adozione precludendo a quest'ultimo di determinarsi in ordine al proprio cognome, modificato a causa dell'adozione. In secondo luogo, viene in rilievo l'art. 89 cit. Detta norma prevede che “chiunque vuole cambiare il nome o aggiungere al proprio un altro nome ovvero vuole cambiare il cognome, anche perché ridicolo o vergognoso o perché rivela l'origine naturale o aggiungere al proprio un altro cognome, deve farne domanda al prefetto (...)”. Alla luce della interpretazione teleologica e sistematica dell'enunciato del- l'art. 299, comma 1, c.c., è ragionevole ritenere che esso contenga una norma RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo -N. 3/2021 posta principalmente a tutela della scelta esistenziale espressa dall'adottato e dall'adottante, di cui l'anteposizione del cognome di quest'ultimo, nel complessivo cognome dell'adottante, costituisce una mero riflesso esteriore, con la conseguenza di poter ammettere, a fronte dell'emersione di motivi meritevoli di tutela, un diverso assetto eventualmente voluto dai soggetti coinvolti. A tale riguardo è opportuno precisare che l'eventualità di una modulazione dell'assetto dei cognomi divergente da quello prescritto dall'art. 299 c.c. non ne scalfisce la portata imperativa. Infatti, il tenore letterale dell'articolo in esame, in uno con la natura pubblicistica degli interessi implicati, ne confermano in ogni caso la natura inderogabile. In questa prospettiva, il rapporto che intercorre fra l'art. 299 c.c. e l'art. 89 D.P.R. n. 396/2000 citato è tutt'altro che antinomico: la prima norma trova immediatamente e inderogabilmente applicazione nel momento in cui interviene il provvedimento giurisdizionale che autorizza l'adozione di maggiorenne; la seconda norma citata, invece, interviene successivamente, nel contesto del procedimento amministrativo, attivato dai soggetti interessati alla modificazione di cui si discorre, con il quale è demandato al Prefetto il compito di ponderare gli interessi, pubblici e individuali, sopra identificati. Solo all'esito del descritto procedimento amministrativo, là dove le istanze esistenziali avanzate dagli interessati appaiano meritevoli di valorizzazione e non contrastanti con i contrapposti interessi superindividuali che vengono in esponente, sarà possibile adottare una decisione che autorizzi la modificazione nei termini anzidetti. Dunque, la modifica eventualmente accordata ai sensi dell'art. 89 cit. interverrebbe in un momento successivo a quello della sentenza d'adozione, in cui trova incondizionatamente applicazione il disposto dell'art. 299 c.c., il quale, pertanto, conserva la sua portata imperativa e dunque inderogabile. Tale ricostruzione, oltre che apparire coerente con la natura (ampiamente) discrezionale del potere attribuito dal Prefetto dall'art. 89 cit., trova pieno riscontro con le cadenze che hanno caratterizzato la vicenda concreta oggetto del presente parere. Infatti, come si è sopra accennato, il Tribunale di Roma, all'esito del procedimento di volontaria giurisdizione attivato dagli interessati, mentre ha autorizzato l'adozione non si è, invece, espresso in merito alla domanda formulata in ordine all'assetto dei cognomi. Tale esito non si configura quale omessa pronuncia, tale da inficiare, seppur parzialmente, il provvedimento in questione, ma si profila come il logico portato della natura delle situazioni giuridiche sottese alla fattispecie oggetto di giudizio. Da un lato, il diritto a conseguire l'adozione anelata; dall'altro l'interesse legittimo che si enuclea nella conservazione della priorità del cognome di origine degli adottati, interesse il cui vaglio non può che essere sottoposto in prima istanza all'autorità amministrativa. Diversamente, ossia nell'ipotesi in PARERI DEL ComITATo CoNSULTIVo cui il Tribunale avesse accordato la modificazione auspicata dagli istanti, lo stesso avrebbe operato un'indebita interferenza nella sfera che l'art. 89 cit. riserva ai pubblici poteri, nel caso di specie al Prefetto. Dunque, è nel procedimento amministrativo che potrà intervenire la modificazione richiesta, e la stessa potrà essere accordata nella misura in cui gli interessi individuali di cui sono portatori gli istanti siano suscettibili di un ragionevole contemperamento con il contrapposto interesse pubblicistico sopra descritto. *** Calando le coordinate giuridiche sinora tracciate nella fattispecie concreta, appare ragionevole concludere nel senso di dover operare un ponderato contemperamento degli interessi che vengono in rilievo, discendendone, pertanto, la constatazione per cui nella fattispecie concreta in esame l'interesse individuale manifestato dagli istanti non si pone in contrasto con l'interesse pubblicistico alla certezza e continuità delle risultanze anagrafiche. Invero, come emerge dalla documentazione fornita da codesta Amministrazione, i fratelli omissis non hanno manifestato il bisogno di discontinuità con il rapporto con il padre biologico e la famiglia di origine. Al contrario, tale legame è tuttora persistente e solido e la volontà di ricorrere all'adozione deriva per lo più dall'avvertita esigenza di fornire pieno suggello e riconoscimento al nuovo consorzio familiare costituitosi nel contesto della vita dei signori omissis. La conservazione del legame con il genitore, da un lato, la circostanza dell'identificazione degli istanti nel proprio cognome di origine, dall'altro, integrano circostanze che sembrano ampiamente giustificare la modificazione nel senso richiesto. L'interesse individuale in questione appare, inoltre, come sopra argomentato, non pregiudicare quello alla continuità dello stato e delle risultanze anagrafiche, che non risulta significativamente scalfito dalla modifica richiesta dagli istanti. In quest'ottica, la volontà concorde manifestata per iscritto da tutti i soggetti implicati nella vicenda consente di ritenere acquisiti tutti gli elementi necessari a dar seguito alla richiesta dei Signori omissis. *** A margine delle considerazioni che precedono, si può concludere nel senso che l'articolo 299 c.c. sia da considerarsi norma inderogabile, atteso che la stessa trova applicazione nel momento in cui viene pronunciata la sentenza che dispone l'adozione, con la conseguente annotazione del cognome modificato a margine dell'atto di nascita. L'articolo 89 d.p.r. 396/2000, invece, opera in un momento successivo e riguarda una distinta fattispecie, vale a dire quella, che viene in rilievo nel caso in esame, in cui l'adottato, che ha già visto anteporre il cognome dell'adottante RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo -N. 3/2021 al proprio, presenti un'istanza al Prefetto volta alla modifica di quel cognome. Deve, dunque, ritenersi possibile la modifica del cognome dell'adottato, ai sensi dell'articolo 89 cit., con riferimento alla fattispecie che occupa, perché in questo caso, in conformità con quanto statuito dalla giurisprudenza amministrativa, “sussistono quegli intenti soggettivi e atipici ... meritevoli di tutela e non contrastanti con il pubblico interesse alla stabilità ed alla certezza degli elementi identificativi della persona”(ex plurimis, Cons. St., III, 15 ottobre 2013, n. 5021 cit.). *** occorre, tuttavia, svolgere alcune fondamentali precisazioni, da valersi come imprescindibili coordinate di indirizzo dell'azione amministrativa da svolgersi nell'avvenire. Come si è osservato molteplici sono le problematiche interpretative che pone la questione trattata, così come non può certo sottacersi la, comunque attuale e consistente rilevanza che conserva il principio della certezza dello status e l'esigenza di ordine pubblico alla sua continuità. In questa prospettiva, il rilievo da attribuire alla dimensione individuale ed esistenziale della persona non può far del tutto scolorire i succitati interessi pubblicistici contrapposti, al punto da relegare le situazioni giuridiche connesse al nome a vicende totalmente assoggettate alla disponibilità delle parti. Tale fondamentale precisazione porta con sé dei fondamentali corollari, costituenti altrettante direttrici di indirizzo giuridico: in primo luogo, non possono essere totalmente pretermesse le rilevanti, seppur non dirimenti, valutazioni effettuate dal Giudice delle Leggi (v. supra), il quale, pur non soffermandosi diffusamente sulla possibilità di modificare l'assetto prefigurato dall'art. 299, c.c., ne ha affermato la non irragionevolezza nella parte in cui attribuisce la priorità del cognome dell'adottante nell'ordine dei cognomi dell'adottato maggiorenne. Se è vero che la giurisprudenza costituzionale, anche più recente (si vedano al riguardo i recenti e significativi approdi cui si è giunti in ordine alla delicata questione dell'attribuzione al figlio del cognome paterno e/o materno) ha rivelato un approccio gradualmente più vicino e sensibile agli interessi esistenziali di cui sono portatori i soggetti coinvolti, altrettanto vero è che non si dispone ancora di una netta linea di indirizzo che affermi la desuetudine costituzionale della formulazione della norma in esame o quantomeno ne fornisca una interpretazione che consenta di leggerla nel senso che, contestualmente o successivamente al provvedimento che autorizza l'adozione di maggiorenne, i soggetti interessati abbiano la facoltà, eventualmente alle condizioni sopra descritte, di derogare al precetto normativo in parola. Allo stato, una siffatta lettura sembra essere offerta in una isolata, per quanto ben motivata, sentenza di merito (Trib. Parma, sent., n. 2/2019). In ogni caso, le indicate coordinate ermeneutiche depongono nel senso di PARERI DEL ComITATo CoNSULTIVo confermare la natura imperativa del dettato dell'art. 299 c.c., con la conseguenza che un assetto del cognome dell'adottato divergente da quello prefigurato dalla norma anzidetta non potrà delinearsi contestualmente all'adozione, ma solo in un momento successivo, nell'ambito del procedimento amministrativo, a condizione che sussistano le condizioni sopra tracciate. In secondo luogo, nel fornire la soluzione prospettata nel presente parere assume rilievo fondamentale la circostanza costituita dal pieno e incondizionato consenso di tutte le parti interessate. Infatti, come sopra rappresentato, nel caso di specie, sia gli adottati, sia l'adottante, sia i genitori degli adottati sono concordi nell'apportare la modificazione di cui al presente parere. Ben più problematiche potrebbero configurarsi le questioni relative alle istanze proposte dall'adottato in mancanza dell'assenso di anche uno solo dei soggetti il cui interesse è implicato nella vicenda sottoposta all'attenzione del- l'Amministrazione. Si pensi, solo per fare un esempio, all'ipotesi in cui l'adottante dissenta dalla possibilità di non vedere anteposto, nell'ordine dei cognomi dell'adottato, il proprio cognome a quello del genitore. In un caso siffatto sarebbe arduo pretermettere del tutto tale istanza: d'altronde, la scelta di adottare un maggiorenne non rileva solo sul piano simbolico e affettivo, ma ha rilevanti ricadute sul piano giuridico e comporta una significativa assunzione di responsabilità, anche sul piano patrimoniale. Al contempo, sarebbe altrettanto arduo porre del tutto in disparte gli interessi parimenti rilevanti e dunque degni di tutela portati dal genitore: la scelta, operata dal figlio maggiorenne, di stabilire un rapporto adottivo con un soggetto estraneo, con la conseguenza di ridimensionare, almeno sul piano esistenziale, il pregresso rapporto con il genitore solleva la delicata questione se a quest'ultimo sia consentito opporsi alla scelta del figlio di conservare la priorità del cognome di nascita. Le considerazioni di sistema finora svolte conducono a circoscrivere le conclusioni cui si è giunti alla fattispecie concreta esaminata, tenuto conto della sua specificità. In considerazione della complessità e della novità della questione è stato sentito il Comitato Consultivo dell'Avvocatura dello Stato, che si è espresso in conformità nella seduta del 29 dicembre 2020. RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo -N. 3/2021 sisma Centro Italia 2016. sulla difesa in giudizio del Comune di norcia in controversie relative al contributo di autonoma sistemazione (Cas)(*) Parere del 10/03/2021-159921, al 31893/2020, avv. salvaTore adamo 1. Con la nota in data 11 settembre 2020, in riferimento, codesta Avvocatura Distrettuale ha chiesto alla Scrivente di esprimere le proprie valutazioni in ordine alla possibilità di assumere la rappresentanza e la difesa del Comune di Norcia nei giudizi promossi e promuovendi dai destinatari di provvedimenti di revoca del contributo di autonoma sistemazione adottati dal medesimo Comune, nel quadro dell'attuazione dell'ordinanza del Capo del dipartimento della protezione civile (di seguito oCDPC) n. 388/2016 emessa ai sensi del- l'art. 5 legge n. 225/92, in seguito alla delibera del Consiglio dei ministri in data 25 agosto 2016 (dichiarativa dello stato di emergenza in conseguenza del- l'eccezionale evento sismico che ha colpito il territorio delle Regioni Lazio, marche, Umbria e Abruzzo il 24 agosto 2016). In particolare, codesta Avvocatura, dopo aver rappresentato che l'anzidetto contributo è stato introdotto e disciplinato dalla predetta oCDPC n. 388/2016 a sostegno dei nuclei familiari, la cui abitazione principale abituale e continuativa sia stata distrutta in tutto o in parte in seguito al sisma, o comunque sia stata sgomberata in esecuzione di provvedimenti delle pubbliche Autorità, evidenzia che l'art. 3 della medesima ordinanza demanda ai Comuni interessati “l'istruttoria e la gestione delle attività volte all'assegnazione del contributo ai nuclei familiari”, nella qualità di “soggetti attuatori” abilitati, ai sensi dell'art. 1 della medesima ordinanza, al pari dei presidenti delle Regioni e dei prefetti, a valersi ai fini dell'attuazione dell'oCDPC, “delle rispettive strutture organizzative”: previsione, questa, del tutto coerente con quella dell'art. 25 del sopravvenuto D.lgs. 2 gennaio 2018, n. 1, recante il Codice della protezione civile. Ciò premesso, codesta Avvocatura ritiene dirimente, ai fini della soluzione del quesito sulla possibilità di assumere il patrocinio del Comune di Norcia, accertare se i provvedimenti di revoca del contributo di autonoma sistemazione oggetto delle controversie in questione debbano ritenersi adottati dall'ente locale “o piuttosto dal Comune quale organo straordinario dello stato”. Al riguardo, l'Avvocatura in indirizzo dopo aver ricordato che l'art. 16 del D.P.R. 6 febbraio 1981, n. 66, statuisce che il Sindaco, “quale ufficiale del Governo, è organo locale di protezione civile”, evidenzia che la giurisprudenza (in particolare la sentenza n. 2059/2007 del Tar Puglia), dopo l'entrata in vigore (*) Il parere, tenuto conto della sua specificità, non può automaticamente essere esteso ad altre e diverse ipotesi di Commissari / Soggetti Attuatori. PARERI DEL ComITATo CoNSULTIVo della legge n. 225/1992 (istitutiva del Servizio nazionale della protezione civile) ha distinto l'imputazione degli atti adottati dal sindaco in materia, a seconda che essi siano riferibili all'ambito di applicazione dell'art. 15 nell'esercizio dei poteri direttamente conferiti al Sindaco quale autorità territoriale di protezione civile -oppure alla sfera applicativa dell'art. 5 della medesima legge (il cui contenuto è poi confluito nell'art. 25 del Codice della protezione civile di cui al D.lgs. n. 1/2018 citato). In questo secondo caso, il Sindaco non eserciterebbe un'attribuzione propria, spettantegli quale Autorità territoriale di protezione civile, ma un potere conferitogli da specifiche disposizioni dettate da un'ordinanza di protezione civile nel contesto di una “delega interorganica con la conseguenza che in capo all'autorità comunale si ravvisa la natura di organo statale che ope legis trova domicilio presso la competente avvocatura dello stato” (così la citata sentenza n. 2059/2007 del Tar Puglia). In quest'ultimo senso, secondo codesta Avvocatura, potrebbe essere ricostruita la fattispecie che qui viene in considerazione, anche in ragione del fatto che l'ordinanza qualifica espressamente come “soggetto attuatore” il Comune nella gestione del contributo di autonoma sistemazione, nozione che rimanderebbe ad un ipotesi “di delegazione amministrativa con la conseguenza che la funzione esercitata dal delegato appartiene al delegante che costituisce dunque soggetto passivamente legittimato nei giudizi di riferimento (v. Tar lazio 27 aprile 2020, n. 4215 che espressamente afferma come gli atti adottati dal soggetto attuatore siano imputabili, in virtù del rapporto organico, al- l'amministrazione dello stato cui fa capo la funzione esercitata”). Con successiva nota in data 15 ottobre 2020, l'Avvocatura in indirizzo ha ulteriormente puntualizzato i termini della questione, per un verso, rimarcando il contrasto interpretativo tra la giurisprudenza della Corte di Cassazione e quella del Giudice amministrativo, con riguardo al profilo della legittimazione passiva -rispettivamente attribuita allo Stato e al Comune -nei giudizi promossi avverso gli atti adottati dal Sindaco quale ufficiale di Governo; per altro verso, evidenziando che l'anzidetta querelle giurisprudenziale potrebbe, comunque, non assumere rilievo decisivo per la soluzione del caso di specie, tenuto conto che la stessa giurisprudenza amministrativa che -in contrasto con alcune pronunce della Corte di Cassazione -nega la qualificazione di ufficiale di Governo al Sindaco che operi come autorità locale di protezione civile affermerebbe comunque che, quando il medesimo sia chiamato a partecipare al- l'attuazione delle ordinanze di protezione civile adottate dal Capo del competente dipartimento, agirebbe quale “soggetto attuatore” ed i relativi atti sarebbero imputabili allo Stato, come affermato dalla sentenza n. 4215 del 2020 del Tar Lazio. *** 2. Nel dare atto dell'accuratezza della disamina operata da codesta Avvocatura delle complesse e variegate questioni sottese al quesito, circa la possi RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo -N. 3/2021 bilità di assumere il patrocinio del Comune di Norcia nelle controversie che qui vengono in considerazione, la Scrivente ritiene, tuttavia, di dover svolgere alcune precisazioni in ordine alla possibilità prefigurata nella ricordata nota del 15 ottobre 2020, di individuarne la soluzione muovendo dalla considerazione, ritenuta assorbente, della qualità di “soggetto attuatore”, rivestita nella specie da quel Comune. In proposito, va rilevato che la citata sentenza del Tar Lazio n. 4215 del 2020, che codesta Avvocatura ha ritenuto confermativa di siffatto convincimento, è stata successivamente riformata dal Consiglio di Stato (Sez. V, 23 novembre 2020, n. 7332) proprio nella parte in cui affermava, ai fini dell'individuazione del soggetto passivamente legittimato e della corretta instaurazione del contraddittorio, l'automatica imputabilità dell'attività posta in essere dal “soggetto attuatore” al soggetto sostanzialmente interessato all'esito dei procedimenti attuativi. Il Consiglio di Stato ha, invece, ritenuto necessaria, ai medesimi fini, l'indagine sul soggetto cui fossero formalmente imputati (o imputabili) gli atti del procedimento posto in essere (nel caso di specie, trattandosi di una gara d'appalto curata e gestita dall'Anas quale soggetto attuatore, con funzioni di stazione appaltante, ai sensi dell'art. 61, comma 19, D.lgs. n. 50/2017, dei compiti commissariali previsti dal comma 13 del medesimo art. 61, il Consiglio di Stato ha ritenuto correttamente notificato all'Anas e non al Commissario, presso l'Avvocatura dello Stato, il ricorso avverso gli atti della gara d'appalto). Ad ogni buon conto, vero è che la più ampia problematica, nella quale si inscrive il quesito esaminato presenta, in effetti, connotazioni che mal si prestano a soluzioni di carattere unitario e generalizzato, in considerazione del tenore tutt'altro che univoco del quadro giurisprudenziale di riferimento, ma, soprattutto, per l'obiettiva eterogeneità della specifica disciplina normativa, concernente le varie gestioni commissariali e i rapporti con i soggetti attuatori. Ciò premesso, la Scrivente ritiene comunque condivisibile la soluzione affermativa del quesito prospettata da codesta Avvocatura, con riguardo al caso di specie. In questo senso, infatti, depone il fatto che la menzionata oCDPC n. 388/2016 (all'art. 1, comma 1), in coerenza con il contenuto dell'art. 5 della legge n. 225/1992 (poi trasfuso nell'art. 25 del D.lgs. n. 1/2018 citato), prevede la possibilità, per il Capo del Dipartimento della Protezione civile della Presidenza del Consiglio dei ministri, di "avvalersi", per l'attuazione dell'ordinanza, tra gli altri, “dei sindaci dei Comuni interessati dall'evento sismico". Può, pertanto, ritenersi che questi ultimi, a loro volta abilitati ad avvalersi “delle rispettive strutture organizzative”, agiscano, con riguardo all'attività che nella specie viene in considerazione -volta all'assegnazione ai nuclei familiari dei contributi di autonoma sistemazione nella misura puntualmente PARERI DEL ComITATo CoNSULTIVo specificata, al pari dei presupposti di fatto, dalla stessa ordinanza, all'art. 3 -, non già nell'esercizio di proprie attribuzioni, ma quali organi straordinari dello Stato deputati all'attuazione della medesima ordinanza del Capo Dipartimento, cui pertanto devono ritenersi imputate le relative attività (sul punto, cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 21 ottobre 2019, n. 7153, relativa a fattispecie pure regolata dalla legge n. 225/1992, all'art. 5, ove si afferma che “in casi siffatti, l'attività amministrativa è da imputarsi allo stato, irrilevante essendo la natura istituzionale dell'organo emittente, che, in tali ipotesi, agisce comunque quale organo straordinario dello stato”). *** Sulla base delle precedenti considerazioni, si ritiene conclusivamente che codesta Avvocatura possa assumere il patrocinio dell'autorità comunale interessata, quale organo straordinario del Dipartimento della Protezione civile della Presidenza del Consiglio dei ministri, nelle controversie in oggetto. Sulla questione è stato sentito il Comitato Consultivo che si è espresso in conformità nella seduta del 16 febbraio 2021. RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo -N. 3/2021 Contrattualistica pubblica e affidamenti in house providing. Convenzione con soggetto non rientrante nell’alveo delle società in house, prestazioni svolte e quantum da erogare Parere del 02/04/2021-216778, al 2776/2021, avv. marCo sTIGlIano messuTI Con la nota emarginata codesta Direzione Generale ha richiesto allo scrivente un parere finalizzato a comprendere lo status dei rapporti esistenti con il Consorzio interuniversitario C. Tale richiesta segue un precedente parere dello Scrivente del 21 gennaio 2016, con nota prot. 29459, in riscontro alla richiesta del ministero prot. mUR n. 25929 del 9 dicembre 2015. Nello specifico, codesta Direzione Generale ha formulato i seguenti quesiti: 1) se la «sentenza n. 2660/2015 del Consiglio di stato e le altre sentenze ivi citate (cfr. C. giust. ue 11 gennaio 2005, C-26/03, stadt halle; C. giust. ue 21 luglio 2005, C-231/05, Consorzio Coname; C. giust. ue, sez. I, 18 gennaio 2007, C-225/05, Jean auroux) [possano] configurare il requisito della “specifica giurisprudenza comunitaria e nazionale” richiesto dall'art. 11 della Convenzione e quindi possano rinvenirsi i presupposti per ritener risolte di diritto le due Convenzioni, ai sensi dell’art. 11 della medesima -"... in base alla specifica giurisprudenza comunitaria e nazionale..." (cfr. art. 11 della Convenzione)»; 2) se il ministero sia “tenuto comunque a corrispondere un indennizzo e/o corrispettivo al Consorzio in questione, visto che le prestazioni oggetto delle due convenzioni sono state da quest'ultimo eseguite. ed in caso di risposta positiva, con quali criteri e comunque alla luce di quale normativa vigente è da individuarsi il quantum da erogare al C.”. Al fine di una compiuta risoluzione del quesito in oggetto, occorre ricostruire le vicende intercorse in via di fatto tra il ministero e il Consorzio interuniversitario C. In data 28 marzo 2011 e 29 dicembre 2011, codesto ministero stipulava due convenzioni, rispettivamente, con il Consorzio (..) e con il Consorzio (..). In tali documenti si regolavano i rapporti tra i diversi soggetti, relativi ad affidamenti in house per varie attività nell'ambito universitario e della ricerca. Tutti i citati consorzi, in data 1° luglio 2013, confluivano nel C. a seguito di fusione per incorporazione. Con sentenza n. 2660, del 26 maggio 2015, il Consiglio di Stato, sezione VI, annullando un provvedimento di affidamento dell'Università della Calabria, negava a C. la natura di soggetto in house. Tale statuizione risultava motivata principalmente da un duplice ordine di ragioni: 1) mancanza di partecipazione pubblica totalitaria, per presenza anche di Università private; 2) insussistenza PARERI DEL ComITATo CoNSULTIVo del requisito dell'attività prevalentemente svolta a favore dei soggetti consorziati. Simili ragioni, dunque, precludevano la qualificazione quale “longa manus” delle università consorziate dell'allora ministero dell'Università e della Ricerca. Le conclusioni esposte, inoltre, venivano suffragate anche da ulteriori pronunce del giudice amministrativo in cui si ribadiva come dovesse “escludersi che, all'epoca dell’adozione dell'atto impugnato, C. fosse qualificabile quale organismo in house degli enti consorziati (ivi compreso il mIur) [...]” per assenza del “requisito del 'controllo analogo' in ragione della presenza di enti privati nella compagine del Consorzio C. [...]". Il controllo analogo, inoltre, è stato escluso anche a causa della "posizione di indiscussa primazia riconosciuta al mIur nell'ambito dell'organizzaione e del funzionamento [...]" del consorzio; così come è stato ritenuto inesistente anche “[...] il requisito del- l'attività prevalentemente svolta a favore dei soggetti consorziati, in ragione del fatto che il C. svolge, direttamente o tramite società controllate, una parte rilevante della propria attività a favore di soggetti non consorziati, pubblici e privati, sia in Italia che all'estero [...] ” (Consiglio di Stato, sezione VI, n. 6009, del 22 ottobre 2018, punto 7.3.1). In data 13 luglio 2015, anche alla luce della sopracitata pronuncia, la Ragioneria Generale dello Stato muoveva dei rilievi a codesto ministero proprio riguardanti gli affidamenti diretti operati con le due Convenzioni a favore del C., del (..) e del (..). A seguito di tali eventi, codesto ministero richiedeva di conoscere l'avviso della scrivente Avvocatura in merito agli effetti della sentenza sui rapporti intercorrenti con il C., nonché indicazioni in merito al contegno da tenere rispetto agli affidamenti in corso e ai rapporti economici pendenti. La richiesta di parere involgeva tutte relazioni sorte alla luce delle Convenzioni citate ed antecedentemente alla sentenza del Consiglio di Stato del 2015. Con il suddetto parere la scrivente Avvocatura osservava come i giudici amministrativi avessero negato la ricorrenza in capo al Consorzio dello status di ente in house in ragione: a) della mancata partecipazione pubblica totalitaria; b) dell'insussistenza del requisito dell'attività prevalentemente svolta a favore dei soggetti consorziati. Alla luce di ciò, nel precedente parere si evidenziavano dubbi circa la legittimità degli affidamenti diretti effettuati dal ministero in favore del C. e si suggeriva, per ragioni di opportunità, di “quanto meno al momento, soprassedere dal compimento di attività solutorie ulteriori”. A seguito di ciò, secondo quanto ricostruito con la presente richiesta di parere, il ministero ha interrotto l'erogazione dei compensi, nonostante le prestazioni pattuite siano state correttamente rese, come attestato dalla Commissione di Verifica dei risultati. Per completezza si evidenzia come allo stato attuale il rapporto giuridico tra ministero, gli enti pubblici consorziati ed il Consorzio stesso, è inquadra RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo -N. 3/2021 bile nel modello organizzativo dell'in house providing, a seguito degli interventi normativi contenuti nell'art. 9, commi 11-bis e ss., del decreto-legge n. 78 del 19 giugno 2015, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2015, n. 125, e della modifica statutaria di cui al D.m. 26 marzo 2018. *** Stante quanto sopra ricostruito in via di fatto, occorre ora evidenziare il complesso di norme convenzionali che regolano i rapporti tra il ministero e l'attuale C. Le relazioni tra i diversi soggetti risultano definite da due Convenzioni, la prima che vede come soggetto stipulante il (..), e la seconda il C. e (..). Tutti i citati soggetti sono, ad oggi ed alla data della sentenza del Consiglio di Stato del 2015, confluiti nell'unico consorzio C. In base agli artt. 10 e 11 (rispettivamente dell'Accordo con il (..) e di quello con il C. e (..)), le convenzioni debbono ritenersi risolte di diritto nel- l’ipotesi in cui vengano meno le «condizioni e i requisiti previsti e imposti dalla legge e/o in base a specifica giurisprudenza comunitaria e nazionale per la qualificazione di un soggetto giuridico quale soggetto in house», facendo salvi i compensi pattuititi per le attività svolte prima del verificarsi delle condizioni di risoluzione. Nello specifico le convenzioni, in testo identico, affermano che «1. la presente Convenzione s'intenderà risolta di diritto ove vengano meno con riferimento al (..) e/o al C. (o al (..)) le condizioni e i requisiti previsti e imposti dalla legge e/o in base a specifica giurisprudenza comunitaria e nazionale per la qualificazione di un soggetto giuridico quale soggetto ‘in house’. 2. In particolare e allo scopo, il (..) ed il C. (o il (..)), s'impegnano per tutta la durata della presente Convenzione ad ottemperare alle condizioni ed ai requisiti previsti e prescritti dalla legge e dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale per la qualifica di soggetto giuridico ‘in house’ed, in particolare, ad acquisire finanziamenti derivanti da prestazioni effettuate a vantaggio di imprese private e/o soggetti non pubblici in misura marginale e comunque di norma non superiore al 10% dei proventi complessivamente acquisiti nello svolgimento delle proprie attività. 3. risolta di diritto la presente Convenzione nei termini sopra indicati, cesserà qualsiasi posizione debitoria da parte del mIur nei confronti del (..) e del C. (o del (..)) fatti salvi i compensi per le attività espletate dai Consorzi, prima del verificarsi delle suddette condizioni». *** Per ragioni di maggiore analiticità, i quesiti posti verranno analizzati singolarmente. a) Per ciò che concerne la prima questione, e cioè se la «sentenza n. 2660/2015 del Consiglio di stato e le altre sentenze ivi citate (fr. C. giust. ue 11 gennaio 2005, C-26/03, stadt halle; C. giust. ue 21 luglio 2005, C-231/03, PARERI DEL ComITATo CoNSULTIVo Consorzio Coname; C. giust. ue, sez. I, 18 gennaio 2007, C-225/05, Jean auroux) [possano] configurare il requisito della "specifica giurisprudenza comunitaria e nazionale" richiesto dall’art. 11 della Convenzione e quindi possano rinvenirsi i presupposti per ritener risolte di diritto le due Convenzioni, ai sensi dell’art. 11 della medesima -"... in base alla specifica giurisprudenza comunitaria e nazionale..." (cfr. art. 11 della Convenzione)», occorre osservare preliminarmente come la pronuncia del Consiglio di Stato abbia negato la sussistenza dei requisiti, normativamente imposti, per l'applicabilità dell'istituto dell'in house providing. Simile assunto, dunque, comporta l'irrilevanza dell'interpretazione attribuibile agli artt. 10 e 11 delle Convenzioni, stante la loro radicale nullità ex art. 1418 cod. civ., per violazione di norme imperative. È principio noto, infatti, quello secondo cui i soggetti pubblici in sede di affidamento di contratti sono chiamati: a) predisporre apposita procedura selettiva a norma di legge; b) rispettare le previsioni relative alla disciplina in house, imposte ad oggi dal d.lgs. n. 50 del 2016, art. 5, ma all'epoca già vincolanti alla luce della stabile giurisprudenza europea (in primis ‘Teckal’, causa C-107/98). Tali due ordini di obblighi risultano imposti inderogabilmente dai principi regolatori il settore della contrattualistica pubblica. Nel caso di specie, invece, gli accordi intercorrenti tra il mIUR ed il Consorzio risultano volti a regolare e permettere affidamenti diretti ad un soggetto che, come più volte affermato dalla giurisprudenza amministrativa, risulta privo dei connotati tipici della società in house. Infatti, secondo la ricostruzione del Consiglio di Stato, C. avrebbe assunto la qualifica di longa manus dell'amministrazione solo a seguito dell'intervento normativo e delle modifiche statutarie. Tuttavia, l'art. 9, commi 11-bis e ss., del decreto-legge n. 78 del 19 giugno 2015, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2015, n. 125, e la modifica dello statuto del C. di cui al D.m. 26 marzo 2018, pur avendo previsto esplicitamente la natura in house del Consorzio, non risultano in grado di intervenire retroattivamente, con conseguente inoperatività per il caso di specie (Consiglio di Stato, sezione VI, 30 aprile 2018, n. 2583). L'adozione di una convenzione, dunque, volta a disciplinare degli affidamenti con un soggetto non rientrante nell'alveo delle società in house, si pone in contrasto con i principi generali regolatori la materia dei contratti pubblici. Questo sia per ciò che concerne la pubblicità e il rispetto della concorrenza, principi che devono permeare l'intera attività contrattuale della pubblica amministrazione, che rispetto alla specifica disciplina degli affidamenti diretti. A nulla rileva, sul punto, l'adozione delle apposite cautele relative alla risoluzione delle Convezioni a seguito della perdita dei requisiti dell'in house (artt. 10 e 11). Queste, infatti, troverebbero applicazione solo laddove la Convenzione, quantomeno al tempo della stipula, potesse considerarsi legittima e RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo -N. 3/2021 rispettosa degli obblighi di legge. Nel caso di specie, invece, la nullità che affligge l'intera pattuizione, provoca la decadenza ex tunc delle Convenzioni, con perdita di rilevanza ab origine degli obblighi convenuti. Alla luce delle considerazioni sopraesposte, dunque, le convenzioni in esame possono ritenersi nulle ab origine, stante la violazione della disciplina legislativa in materia di qualificazione e affidamento in house providing e la retroattività degli effetti della nullità contrattuale. *** 2) Venendo ora al secondo quesito, e cioè «se il ministero sia "tenuto comunque a corrispondere un indennizzo e/o corrispettivo al Consorzio in questione, visto che le prestazioni oggetto delle due convenzioni sono state da quest'ultimo eseguite. ed in caso di risposta positiva, con quali criteri e comunque alla luce di quale normativa vigente è da individuarsi il quantum da erogare al C.». Ciò che si richiede, dunque, riguarda l'attività economica in caso di risoluzione di diritto per prestazioni già erogate. Nel caso di specie, infatti, il Consorzio avrebbe svolto delle attività professionali a vantaggio di codesto ministero, senza però aver ancora ricevuto il corrispettivo delle proprie prestazioni. Sul punto occorre osservare come, stante l'inoperabilità della risoluzione in base a quanto precedentemente affermato, non possono trovare applicazione le norme dettate dalle stesse convenzioni rispetto alla liquidazione dei compensi (comma 3, degli artt. 10 e 11). Infatti, la già analizzata nullità ab origine del contratto, alla luce dei suoi effetti retroattivi, comporta la necessaria applicazione dei principi generali del diritto civile. In merito, è noto come l'ordinamento italiano non ammetta l'intervento di prestazioni economiche prive di una giustificazione causale. Rientrano in quest'ultima categoria, dunque, anche quelle attività svolte dal Consorzio in assenza di una qualsivoglia pattuizione e in relazione ad un illegittimo affidamento, stante la nullità delle Convenzioni. In tale ipotesi, perciò, pur venendo meno l'accordo regolante le attività pattuite, risulta evidente come il ministero abbia ottenuto un vantaggio dalle prestazioni ricevute, così come, correlatamente, il Consorzio abbia subito una diminuzione patrimoniale relativa ai costi sostenuti. Una simile ipotesi risulterebbe connotata proprio degli elementi tipici di cui all'art. 2041 c.c. laddove, appunto, viene riconosciuto il diritto all'indennizzo per la diminuzione patrimoniale subita. Il caso di specie, inoltre, non trova limitazioni nella natura pubblica di uno (o entrambi) dei soggetti, sono infatti le stesse Sezioni Unite della Cassazione, con sentenza 26 maggio 2015, n. 10798 a chiarire come la regola di carattere generale secondo cui non sono ammessi arricchimenti ingiustificati, né spostamenti patrimoniali ingiustificabili, trova applicazione paritaria nei confronti del soggetto privato come dell'ente pubblico e poiché il riconosci PARERI DEL ComITATo CoNSULTIVo mento dell'utilità non costituisce requisito dell'azione di indebito arricchimento, il privato, attore ex art. 2041 cod. civ. nei confronti della P.A., deve provare il solo fatto oggettivo dell'arricchimento (Cfr. anche Cass. n. 16793/2018). In tal caso, dunque, l’amministrazione sarà tenuta a versare nei limiti del- l'arricchimento un indennizzo pari alla diminuzione patrimoniale sofferta dal Consorzio, come specificamente imposto dalla disciplina civilistica. Questo alla luce dell'assenza di qualsiasi attività pattizia in grado di disciplinare i rapporti intercorsi tra mIUR e Consorzio - stante la nullità delle convenzioni. In proposito, è costante la giurisprudenza secondo cui “In tema di azione d'indebito arricchimento nei confronti della P.a., nell'ipotesi di nullità del contratto di appalto di un’opera pubblica, l'indennità prevista dall'art. 2041 c.c. va liquidata nei limiti della diminuzione patrimoniale subita dall'appaltatore, corrispondente, in concreto, ai costi effettivamente affrontati per la sua costruzione, non potendovi rientrare l'utile d'impresa né ogni altra posta volta a garantire quanto l'appaltatore stesso si riprometteva di ricavare dall'esecuzione di un valido contratto di appalto”(ex multis, Cass. sez. I, 10 maggio 2017 n. 11446). Si osserva, inoltre, come laddove alcuni pagamenti fossero già stati effettuati in favore del Consorzio, nell'errata convinzione della validità delle Convenzioni, la liquidazione delle spettanze ex art. 2041 cod. civ. per la restante parte delle attività, richiederebbe l'attivazione di una "stanza di compensazione", volta a liquidare solo l'eccedenza tra quanto già pagato a titolo di compenso, e quanto effettivamente deve essere ancora versato in ragione dell'ingiustificato arricchimento. La necessità di limitare rigorosamente le somme da riconoscere al C. al mero rimborso dei costi sostenuti implica, poi, la verifica se tali costi eccedessero quelli di mercato; e, in questo caso, implica di limitare l'indennizzo per arricchimento alla sola entità dei costi di mercato, e non dei costi (in ipotesi, eccessivi) effettivamente sostenuti dal C. Ciò anche per prevenire possibili dubbi in merito alla qualificazione come aiuti di Stato illegali, e come tali da restituire, delle somme corrisposte al C. sulla base di affidamenti di servizi senza gara, nonostante il C. non potesse essere qualificato come soggetto in house. La possibilità di configurare, in tale ipotesi, degli aiuti di Stato a favore del C. è stata approfonditamente esaminata, da ultimo, dal Tar del Lazio nella nota sentenza sez. III bis, 13 agosto 2019 n. 10528, in particolare nel paragrafo 3.3 della motivazione in diritto, a cui può rinviarsi. In sintesi, il TAR ha escluso che gli affidamenti diretti al C. di servizi verso corrispettivo possano configurare aiuti di Stato, ma in sostanza ha fondato tale conclusione sull'affermazione (par. 3.3.3.) che «la scelta dell'amministrazione di far svolgere un servizio al C., qualificato come ente in house, non si traduce in una previsione contrastante con la disciplina in tema di aiuti di stato, potendo semmai presentare RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo -N. 3/2021 rilievo ai fini della concorrenza per il mercato e, in particolare, nel senso della disapplicazione illegittima della procedura ad evidenza pubblica. In ogni caso, nel presente giudizio e alla luce delle modifiche normative e statutarie medio tempore intervenute appaiono sussistere adeguati elementi probatori, in termini probabilistici, per qualificare l'ente come in house, con riferimento ai requisiti del "controllo analogo congiunto", dell’“attività prevalente" e della "totale partecipazione pubblica", ai fini del presente giudizio. Il C. è attualmente interamente a capitale pubblico e le clausole statutarie non appaiono strumenti di agevole modifica della compagine statutaria finalizzati a introdurre soggetti di natura privata al suo interno. le modifiche statutarie sembrano aver consentito a tutti i consorziati di avere pari influenza dominante sulla gestione del Consorzio seppur in relazione alla relativa partecipazione.[...]. la permanenza di alcuni poteri di incidenza del miur, quale quello relativo alla revoca dell'amministratore, esercitabile comunque sulla base dei presupposti descritti nello statuto e previa attivazione da parte dei soci, non appare idoneo a incidere sulla natura del C. Il requisito dell'attività prevalente appare adeguatamente dimostrato dal C. e dalla documentazione depositata, mentre parte ricorrente non ha fornito adeguati elementi istruttori per ritenere il superamento della percentuale prescritta dalla norma. si ribadisce, in ogni caso e ai limitati fini del presente giudizio, che la questione della natura in house o meno del C. non incide sulla configurabilità dell'aiuto, ma eventualmente sulla legittimità dell'affidamento diretto». Non può quindi escludersi che, in un caso in cui le circostanze di fatto richiamate dal Tar non ricorrano, l'affidamento diretto al C. possa costituire non solo una violazione delle norme interne ed europee sulle procedure di aggiudicazione, ma altresì un aiuto di Stato illegale. E, in questo caso, sussisterebbe in capo al C. un obbligo di restituzione integrale, anche con interessi, del beneficio economico ricavato dall'affidamento (1). (1) Si veda, in un caso che potrebbe presentare analogie, la sentenza della Corte di giustizia del- l'Unione europea del 24 novembre 2020, causa C-445/19, Viasat Broadcasting UK Ltd, ove ai punti 4143 la Corte ha ribadito: 41. di conseguenza, gli aiuti di stato che non sono oggetto di deroga espressa alla regola generale costituita dall'obbligo di previa notifica, previsto all'articolo 108, paragrafo 3, prima frase, TFue, rimangono soggetti a tale obbligo, anche qualora gli aiuti siano destinati ad imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale. Pertanto, gli stati membri hanno l'obbligo di non attuare siffatte misure fin quando la Commissione non abbia adottato una decisione finale in merito. 42. si deve infine ricordare che, secondo giurisprudenza costante, tenuto conto del carattere imperativo del controllo sugli aiuti statali effettuato dalla Commissione ai sensi dell'articolo 108 TFue, da un lato, le imprese beneficiarie di un aiuto possono, in linea di principio, nutrire un legittimo affidamento quanto alla regolarità dell'aiuto soltanto qualora questo sia stato concesso nel rispetto della procedura prevista dal- l'articolo suddetto e, dall'altro, un operatore economico diligente deve normalmente essere in grado di accertarsi che tale procedura sia stata rispettata. In particolare, quando un aiuto è stato messo ad esecuzione PARERI DEL ComITATo CoNSULTIVo Donde, come detto, l'assoluta necessità di limitare quanto riconosciuto al C. allo stretto rimborso dei costi di mercato riferibili alle attività svolte in modo corretto ed effettivamente utilizzate o utilizzabili dall'amministrazione committente. *** In aggiunta a quanto finora detto, per ragioni di completezza, si evidenzia come codesto ministero potrebbe anche incorrere in responsabilità precontrattuale per effetto della nullità della convenzione. Nello specifico, l'affidamento ingenerato nel Consorzio circa la legittimità dell'operato ministeriale potrebbe provocare la configurazione dell'ipotesi di cui all'art. 1338 cod. civ., relativamente alla conoscenza delle cause di invalidità. Per quanto la giurisprudenza sia concorde nell'escludere tale responsabilità laddove "l'invalidità del contratto derivi da norme generali da presumersi note alla generalità dei consociati e quindi tali da escludere l'affidamento incolpevole della parte adempiente" (Cassazione civile, sez. lav., 26 giugno 2020, n. 12836; Cassazione civile, sez. lav., 31 gennaio 2020, n. 2316), l'evoluzione della disciplina dell'in house providing non permette di escludere in radice qualsivoglia ipotesi di legittimo affidamento. La cristallizzazione del concetto di "in house" da parte del legislatore (quale norma generale), infatti, è intervenuta solo con il codice dei contratti pubblici del 2016. In precedenza l'istituto, pur operando nell'ordinamento, trovava fondamento nelle sole pronunce della Corte di giustizia dell'Unione Europea, nonché della giurisprudenza nazionale (a partire dalla storica sentenza Teckal, causa C-107/98, per proseguire con le sentenze 11 gennaio 2005, causa C-26/03 -stadt halle e rPl lochauc; 21 luglio 2005, causa C-231/03 -Coname; 13 ottobre 2005, causa C-458/03 -Parking Brixen Gmbh; 10 novembre 2005, causa C-29/04 -mölding e Commissione c/austria; 6 aprile 2006, causa C-410/04 -anavc/Comune di Bari; 11 maggio 2006, causa C-340/04 -Carbotermo). Non sembrerebbe, dunque, possibile con certezza escludere un "affidamento incolpevole" a causa della presenza di "norme generali, da presumersi note alla generalità dei consociati", come, invece, richiesto dalla Suprema Corte per escludere la responsabilità della PA. senza previa notifica alla Commissione, ed è pertanto illegale in forza dell'articolo 108, paragrafo 3, TFue, il beneficiario dell'aiuto in questione non può, in quel momento, nutrire alcun legittimo affidamento né sulla regolarità della concessione del medesimo (sentenza del 5 marzo 2019, eesti Pagar, C-349/17, eu:C:2019:172, punto 98 e giurisprudenza ivi citata), né di conseguenza, sulla regolarità del vantaggio che trae dal mancato versamento degli interessi dovuti per il periodo d'illegalità dell'aiuto stesso. 43. ne consegue che, al fine di garantire l'effetto utile dell'obbligo di notifica, previsto da tale disposizione, nonché un esame adeguato e completo degli aiuti di stato da parte della Commissione, i giudici nazionali sono tenuti a trarre tutte le conseguenze di una violazione di tale obbligo e ad adottare le misure idonee a porvi rimedio, il che, come è stato esposto al punto 26 della presente sentenza, include l'obbligo, per il beneficiario di un aiuto illegale, di pagare interessi per il periodo d'illegalità dell'aiuto medesimo, anche nel caso in cui detto beneficiario sia un’impresa incaricata della gestione di un servizjo di interesse economico generale, ai sensi dell'articolo 106, paragrafo 2, TFue. RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo -N. 3/2021 Se, infatti, la conoscenza del "diritto vivente", regolante l'attività contrattuale dell'amministrazione, deve presumersi e ritenersi inderogabile per ciò che concerne la PA stessa, un obbligo altrettanto stringente non può attribuirsi in capo al soggetto privato. Tale ricostruzione risulta suffragata anche dall'ormai consolidato principio secondo cui in ambito contrattuale la responsabilità della pubblica amministrazione debba essere valutata in termini particolarmente stringenti, soprattutto rispetto all'affidamento prodotto o producibile nella controparte (a titolo di esempio si pensi alla responsabilità oggettiva derivante da provvedimento illegittimo nel settore degli appalti, così come ricostruita da Consiglio di Stato, sez. V, 8 novembre 2012, n. 5686). Qualora il C. avanzi pretese in tal senso, oltre ad opporre comunque l'inconfigurabilità di una responsabilità precontrattuale alla stregua della giurisprudenza sopra menzionata (sia pure con le riserve appena esposte), dal punto di vista della quantificazione e della prova del danno codesta Amministrazione dovrà opporre il consolidato principio secondo cui "l'erronea scelta del contraente di un contratto di appalto, divenuto inefficace e "tamquam non esset" per effetto dell'annullamento dell’aggiudicazione da parte del giudice amministrativo, espone la P.a. a dover corrispondere il risarcimento dei danni per le perdite e i mancati guadagni subiti dal privato aggiudicatario; tale responsabilità non è qualificabile né come aquiliana, né come contrattuale in senso proprio, sebbene a questa si avvicini poiché consegue al "contatto" fra le parti nella fase procedimentale anteriore alla stipula del contratto, ed ha origine nella violazione del dovere di buonafede e correttezza. Pertanto, il risarcimento del danno dovuto all'appaltatore va parametrato non già alla conclusione del contratto, bensì al cd. interesse contrattuale negativo che copre sia il danno emergente, ovvero le spese sostenute, che il lucro cessante, da intendersi, però, non come mancato guadagno rispetto al contratto non eseguito ma in riferimento ad altre occasioni di contratto che la parte allega di avere perso" (così, da ultimo, Cass. 25 luglio 2018 n. 19775). *** In conclusione, per i motivi sopraesposti, a parere dello scrivente: a) le convenzioni regolanti i rapporti tra il Consorzio C. e codesto ministero risultano nulle ab origine, ex art. 1418 cod. civ., per violazione delle norme imperative in materia di affidamento contrattuale; b) con riferimento ai pagamenti, invece, le prestazioni svolte rientrerebbero nell'alveo dell'art. 2041 c.c., con conseguente pagamento dell'indebito con i limiti indicati nel corpo del parere. Sulla questione è stato sentito il Comitato Consultivo di quest'Avvocatura che, nella seduta del 18 marzo 2021, si è espresso in conformità. Si resta a disposizione per ogni ulteriore ed eventuale chiarimento. PARERI DEL ComITATo CoNSULTIVo Fondo asilo, migrazione ed Integrazione 2014-2020. modalità di rendicontazione, monitoraggio e controllo applicabili agli organismi internazionali coinvolti nella gestione dei fondi (*) Parere del 12/05/2021-300455, al 6330/2020, avv. Paola marIa Zerman Con la nota a margine codesto Ufficio ha chiesto un'integrazione del parere reso dalla Scrivente in data 31 marzo 2020 prot. 180925 circa il regime di rendicontazione delle spese, da parte di organismi internazionali, in relazione ai finanziamenti europei da parte del Fondo Asilo, migrazione e Integrazione (FAmI) istituito con regolamento UE n. 516/2014 -per la quota destinata all'Italia in qualità di Stato membro UE per il periodo 2014-2020. In concreto, codesta Amministrazione aveva evidenziato la situazione di criticità venutasi a creare nei rapporti con i prefati organismi internazionali, assumendo, questi ultimi, che il sistema di controllo e rendicontazione adottati dagli stessi rendono nella sostanza superfluo il ricorso ad audit esterno e controlli da parte di codesta Autorità Responsabile, come previsto dalla regolamentazione europea. Particolarmente, chiedono: -l'oIm, di poter rendicontare nelle modalità già stabilite per gli interventi finanziati a valere sui Fondi Solid 2008-2013 a suo tempo avallati sia dalla CE che dai successivi audit sia della Commissione Europea che della Corte dei Conti europea. Al riguardo codesta AR riferiva che, a seguito di interlocuzione con la CE (secondo cui l'AR può prevedere specifiche regole di rendicontazione all'interno della Convenzione di sovvenzione sottoscritta dal Beneficiario), aveva acconsentito alla parziale semplificazione delle modalità di rendicontazione e controlli. -l'unHCr l'applicazione dell'accordo FAFA (Financial and amministrative Framework agreement) stipulato tra l'oNU e la Commissione Europea, sugli interventi finanziati nell'ambito della FAmI, che prevede i principi ai quali attenersi nel caso in cui la Commissione finanzi un programma o progetto amministrato dalle Nazioni Unite, tra cui le modalità di rendicontazione e controllo sulle spese. Codesta A.R. rendeva noto che, a seguito di numerose interlocuzioni con la Commissione, la quale peraltro in una nota ha ritenuto non applicabile il FAFA ai singoli Stati membri, era dapprima addivenuta all'accordo di limitare le verifiche al 10 % delle spese, ma che l'UNHCR aveva (con nota del 5 aprile 2017), richiesto di addivenire ad un'ulteriore semplificazione. (*) Il regolamento (ue) 2021/1147 del 7 luglio 2021, che istituisce il fondo asilo, migrazione e Integrazione 2021-2027, ha disciplinato espressamente, all’art. 22, il regime delle verifiche di gestione e audit di progetti eseguiti da organizzazioni internazionali. RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo -N. 3/2021 *** Con la nota a margine codesto Ufficio evidenzia che, a seguito del citato parere, la situazione di criticità con gli enti citati non appare risolta, atteso che gli stessi ribadiscono di avere una disciplina speciale, in quanto enti di natura internazionale, e, ancor più, manifestano la propria indisponibilità sia a sottoscrivere le convenzioni come predisposte da codesta Amministrazione, che a una generale futura collaborazione. *** -I‑ Excursus argomentativo del parere già reso in data 31 marzo 2020. Approfondita la questione, nel precitato parere, la Scrivente ha ritenuto di dover illustrare in modo sintetico il sistema europeo delineato per la gestione e controllo dei programmi FAmI, al fine di comprendere se la richiesta dei precitati organismi si ponesse o meno in contrasto con i principi o regole di corretta e trasparente gestione richiesta dalla UE e di cui codesto Dipartimento è responsabile. Al riguardo, esponeva. 1. La rendicontazione contabile deve, come suo fondamento, essere rivolta all'Ente che eroga il denaro da amministrare. Per quanto concerne le risorse investite dall'Unione europea nel FAmI, il predetto principio è articolato in uno plurimo livello di controllo previsto dal Regolamento UE n. 514/2014 recante disposizioni generali sul Fondo in questione, che però in ultima analisi deve garantire la possibilità di verifica da parte della Commissione, diretto all'accertamento dell'efficacia dei sistemi di gestione nazionale, oltre ad ulteriori valutazioni (art. 31). 2. Il regolamento prevede che gli Stati membri pongano in essere una serie di controlli dei programmi nazionali conformemente ai principi previsti dalla stessa normativa (art. 24 comma 2) che rimane comunque applicabile in ragione del principio di sussidiarietà (punto 22 della premessa, nonché punto 47 e art. 11). 3. Gli Stati membri rispondono dell'attività di controllo e di audit, sicché gli stessi sono responsabili del rimborso dell'importo indebitamente versato a un beneficiario come "conseguenza della colpa o della negligenza di uno sato membro" e non recuperato (art. 5 comma 3). 4. A ciò si aggiunga la previsione del co-finanziamento delle azioni sostenute nei programmi di cui al FAmI, da altre fonti anche pubbliche, con la conseguente applicazione della disciplina nazionale in materia di contabilità, sia per la gestione trasparente, che in tema di controllo e responsabilità. 5. I vari livelli di controllo previsti dal regolamento vanno, in sintesi, da quello svolto a livello nazionale dal singolo Stato membro, al controllo da parte della stessa Commissione europea, nonché della Corte dei Conti europea PARERI DEL ComITATo CoNSULTIVo (oltre che nazionale). Egualmente l'oLAF può svolgere verifiche in loco per verificare se vi siano state violazioni. 6. Il soggetto centrale nella attività di controllo, a livello nazionale, è come noto, l'autorità responsabile (art. 27) -designata a seguito di parere positivo di un organismo di audit, ex art. 26 (ruolo svolto da codesto Dipartimento). 7. A sua volta l'AR è tenuta a fornire all'autorità di audit, di cui all'art. 29 del regolamento ue n. 514/2014, tutti i dati necessari relative procedure di gestione e controllo sulle spese, affinché la stessa possa formulare il parere di validazione della regolarità dei conti richiesto dall'art. 59 del regolamento UE 966/2012 -che stabilisce le regole finanziarie applicabili al bilancio del- l'Unione - necessario ai fini dell'erogazione del finanziamento previsto. 8. La Commissione, cooperando con la citata attività di audit, controlla "i controllori" e cioè se gli Stati membri abbiano istituito adeguati sistemi di gestione e controllo e se "detti sistemi funzionino in modo efficace nel corso dell'esecuzione dei programmi nazionali" (art. 31 R.514/2014, nonché art. 14 comma 3 lett. C) del regolamento UE 1042/2014 che integra il regolamento n. 514/2014), anche facendo audit o controlli sul posto, diretti a verificare l'efficacia dei sistemi di gestione e controllo, l'esistenza di documenti giustificativi richiesti e la loro rispondenza alle azioni finanziate, e, in conclusione, la sana gestione finanziaria del programma. 9. La pluralità di controlli sopra indicati attestano un elevato indice di rigore, che deve essere diretto a verificare che non ci siano state frodi nella gestione del denaro pubblico. 10. Esaminando più specificamente la disciplina dei controlli a cui si deve attenere ogni Stato membro (artt. 21 e seguenti), essa si basa sul principio della separazione delle funzioni tra autorità di gestione e di controllo (rispettato da codesta AR mediante l'assegnazione delle due diverse funzioni a due Dipartimenti distinti, rispettivamente quello per le libertà civili e la Direzione Centrale per le risorse umane finanziarie e strumentali, come riportato a pag. 16 del manuale relativo al sistema di gestione e controllo dell'AR, versione 27 marzo 2015). 11. Il regolamento di esecuzione 2015/840 UE disciplina l'attività di gestione e controllo della spesa che deve essere svolta dalle ar (che può essere anche affidato a Revisori indipendenti) -e cioè un "controllo amministrativo sistematico e, per raggiungere un livello sufficiente di affidabilità lo completa(no) con controlli sul posto, in caso anche con controlli sul posto senza preavviso delle spese connesse alle richieste di pagamento dei beneficiari, che sono dichiarate nei conti annuali" (art. 27). 12. In particolare, impone una duplice categoria di controlli, una di natura amministrativa e quella sul posto. 13. I controlli sul posto sono oltre che di natura operativa, anche finanziaria su almeno il 10% del contributo della ue (che possono ridursi se in RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo -N. 3/2021 precedenza il tasso di errore è stato inferiore al 2% art. 4), diretti, in particolare, ad evitare che sui progetti interessati vi sia un doppio finanziamento sia da parte della UE che nazionale, nonché alla verifica della regolarità contabile. Nello specifico, l'AR deve verificare che le spese inerenti alle dichiarazioni finanziarie, corrispondano effettivamente alle registrazioni contabili, e siano ammissibili secondo quanto previsto dal regolamento 514 del 2014 (art. 3). 14. I controlli amministrativi vengono svolti dall'AR su tutte le dichiarazioni finanziarie inviate dai beneficiari per ricevere i finanziamenti, e vanno dall'esame analitico per valutare la pertinenza della spesa alla correttezza formale e l'accuratezza matematica delle dichiarazioni finanziarie. L'AR "può esigere che il beneficiario ottenga da un revisore dei conti indipendente un certificato di audit" sugli aspetti indicati (art. 1). 15. In tale contesto, come evidenziato, particolarmente rigoroso per la tutela degli interessi finanziari dell'Unione, si inserisce il sistema di controlli che i prefati organismi internazionali (oIm e UNHCR), in quanto destinatari, tra gli altri, dei progetti finanziati dal FAmI (art. 8 comma 1 lett. D), ritengono di poter applicare in virtù di ulteriore normativa internazionale. 16. Il Financial and administrative framework agreement (FAFA) stipulato il 29 aprile 2003 e modificato nel 2018, stabilisce le regole finanziarie applicabili tra le Nazioni Unite, intese anche come singole articolazioni in Dipartimenti, compreso l'UNHCR e la Commissione UE, con riferimento a tutti i Servizi all'interno della Commissione. 17. Come chiarito nel preambolo, i principi dell'accordo sono applicabili in caso di finanziamento o contributo ad un'operazione, programma o progetto, gestito dalle NU, firmato dalla Commissione o dal paese beneficiario e approvato dalla Commissione, in particolare di finanziamenti relativi al Fondo di sviluppo ed Echo (european civil protection and humanitarian aid operations). 18. L'accordo regola le modalità di rendicontazione delle spese, l'ammissibilità delle stesse, meglio specificate nelle linee guida del 2012 applicabili tra UE e Nazioni Unite nelle azioni congiunte di carattere umanitario (1). 19. Secondo quanto scritto nel preambolo del FAFA (versione consolidata del 2018), l'UN può gestire i contributi comunitari secondo le proprie regole, (1) eCho-un Guidelines eCho's Guidance applicable to humanitarian aid actions implemented by the un Compiled by the un-eCho Joint Task-Force June 2012. "These Joint eCho-un Guidelines are meant as a useful tool for staff in the un and the eC, or more specically by the directorate General for humanitarian aid and civil protection (eCho). These Guidelines aim to offer them concrete advice on specific aspects particular to the eu-un partnership in the provision of aid for the prevention of and recovery from humanitarian crises. The shared objectives, principles and commitments of the un and the eu have been outlined in a number of strategic policy and programmatic frameworks1, including the Financial and administrative Framework agreement (the FaFa) which set the basis for the eu-un partnership in practice. The FaFa2 allows for a signicant simplification of the programmatic partnership between the two organizations which also facilitates eu-un cooperation in the domain of humanitarian aid". PARERI DEL ComITATo CoNSULTIVo ove così valutato da parte della Commissione (2). In ogni caso, i principi di controllo e di rendicontazione indicati nell'accordo, appaiono molto essenziali, riguardano nello specifico, l'attività di reporting (n. 2), i costi ammissibili (eligible direct costs n. 3): in sintesi gli stessi devono essere direttamente attribuibili all'azione perseguita, necessari allo scopo, identificabili. Il punto 3.2 indica in modo specifico quali costi rientrano nelle categorie indicate. Secondo quanto descritto dai punti 12 e seguenti, la Commissione riconosce il primato obbligatorio del sistema di controllo dell'un incluso il principio di audit esterno esclusivo dell'UN. 20. Da parte sua, l'UN riconosce la necessità per la Commissione di relazionare agli organi competenti dell'UE in ordine alle spese sostenute per i progetti e pertanto di poter accedere ai documenti e dati per controllare e richiedere tutte le informazioni finanziarie rilevanti. Le attività finanziate o co-finanziate dalla UE devono essere soggette a procedure di interni ed esterni audit stabilite dalle Nazioni Unite (3). 21. Dall'accordo emerge, dunque, che, in sintesi, per quanto concerne i progetti regolati dallo stesso, occorre fare riferimento alla procedura di controllo e auditing previsto dalla normativa e prassi oNU, sebbene sia prevista la disponibilità alla verifica anche in loco da parte della Commissione per l'accertamento della correttezza delle procedure. *** Riportato in sintesi il quadro normativo sopra descritto, la Scrivente osservava: 1. Esaminando il testo dell'accordo, non si può non notare come, con ogni probabilità in ragione di dinamiche di fiducia e rispetto internazionali, la tipologia e le modalità di controllo appaiano meno stringenti rispetto a quelli previsti dalla regolamentazione ue sopra citata, sia in relazione alla entità della verifica contabile-amministrativa (prevista allora del 100% e quantitativamente non indicata nell'accordo FAFA), che al generale quanto generico riferimento a sistemi di audit interno ed esterno in ordine alla verifica della correttezza contabile. 2. Tale circostanza, poi, potrebbe diventare particolarmente critica laddove, come accade, gli organismi internazionali sopra citati concorrano con altri soggetti pubblici e privati nella gestione dei progetti finanziati dal FAmI. ove si ritenga applicabile l'accordo FAFA rispetto alla normativa ordinaria, si verrebbero a creare due dissimili sistemi di controllo e di rendicontazione con( 2) "un organization may manage european union.. contributions in accordance with their own rules and regulations as assessed by the Commission". (3) "The financial transactions and financial statements concerning the activities financed or cofinanced by the european union shall be subject to the internal and external auditing procedures laid down in the applicable financial regulations, rules and directives of the un organizations". RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo -N. 3/2021 tabile, violando gli stessi principi regolamentari, diretti a garantire non solo la trasparenza e la correttezza delle spese, ma anche la parità di trattamento tra i diversi enti/organismi che partecipano ai progetti. Questi ultimi sarebbero, infatti, soggetti a stringenti controlli, mentre quelli riconducibili al- l'oNU opererebbero in regime nella sostanza speciale, in virtù di un rapporto fiduciario tra Enti sovranazionali. 3. ma proprio la natura dell'Accordo FAFA manifesta i limiti soggettivi della sua applicazione. Come scritto in premessa, lo stesso è diretto a migliorare la partnership tra UE e Commissione attraverso una disciplina di riferimento (4). 4. Non pare, al riguardo, trovare applicazione l'art. 216 del TFUE, laddove prevede l'efficacia degli accordi conclusi dall'Unione nei confronti degli Stati membri (5), non risultando che la procedura di adozione del FAFA sia quella assai articolata prevista a tal fine dal successivo art. 218, per gli accordi internazionali (capo V), quanto piuttosto l'art. 220 dello stesso TFUE che contempla la possibilità di collaborazione tra l'Unione e le organizzazioni internazionali (6), collaborazione che necessariamente si traduce in accordi dall'efficacia limitata ai soggetti che li hanno sottoscritti, e cioè l'Organizzazione delle Nazioni Unite e la UE e non i singoli Stati attuatori di progetti con denaro ad essi destinato in quota parte dall'UE. Infatti, la procedura di conclusione degli accordi internazionali contenuta nell'art. 218 TFUE presuppone l'adempimento di specifiche formalità che scandiscono le diverse fasi che conducono alla approvazione e conclusione di un trattato ed è comunemente considerata norma autonoma e generale di portata costituzionale (7), perciò non derogabile. Trattasi, come noto, di una procedura che vede protagonisti la Commissione, organo al quale è affidata l'iniziativa e la conduzione dei negoziati (8) in (4) ".. this agreement sets out a framework for the un and the Commission to enhance their cooperation including programmatic partneship". (5) "1. l'unione può concludere un accordo con uno o più paesi terzi o organizzazioni internazionali qualora i trattati lo prevedano o qualora la conclusione di un accordo sia necessaria per realizzare, nell'ambito delle politiche dell'unione, uno degli obiettivi fissati dai trattati, o sia prevista in un atto giuridico vincolante dell'unione, oppure possa incidere su norme comuni o alterarne la portata. 2. Gli accordi conclusi dall'unione vincolano le istituzioni dell'unione e gli stati membri". (6) "TITolo vI relaZIonI dell'unIone Con le orGanIZZaZIonI InTernaZIonalI e I PaesI TerZI e deleGaZIonI dell'unIone articolo 220 (ex articoli da 302 a 304 del TCe) 1. L'Unione attua ogni utile forma di cooperazione con gli organi delle Nazioni Unite e degli istituti specializzati delle Nazioni Unite, il Consiglio d'europa, l'organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in europa e l'organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico". (7) CGUE, sentenza del 9 agosto 1994, Repubblica francese c. Commissione delle Comunità europee, causa C-327/91, in Racc., 1994, p. I-3641, p.to 28. (8) È richiesto alla predetta istituzione anche l’impegno ad «adoperarsi affinché gli accordi negoziati siano compatibili con le politiche e norme interne dell'unione» (così L.S. RoSSI, Il «paradosso del metodo intergovernativo» (gli equilibri istituzionali nel progetto della convenzione europea), in L.S. RoSSI, (a cura di), Il progetto di Trattato-Costituzione. verso una nuova architettura dell'unione europea, Giuffré, milano, 2004, pp. 141-167). PARERI DEL ComITATo CoNSULTIVo quanto chiamata ad «assicura[re] la rappresentanza esterna dell'unione» (art. 17, par. 1 TUE), il Consiglio, il quale «autorizza l'avvio dei negoziati, definisce le direttive di negoziato, autorizza la firma e conclude gli accordi [...] ed imparti[ sce] direttive al negoziatore e designa un comitato speciale» nei casi previsti dal Trattato (art. 218, parr. 2 e 4 TFUE) e il Parlamento europeo (9). Peraltro, ai sensi dell'art. 218, comma 6 lettera a) punto iii), la previa approvazione del Parlamento è necessaria per gli accordi che "creano un quadro istituzionale specifico organizzando procedure di cooperazione", a cui potrebbe essere ricondotto il FAFA. Solo con riferimento agli impegni internazionali assunti nel rispetto della procedura formale di cui all'art. 218 TFUE, «gli accordi conclusi dal- l'unione vincolano le istituzioni dell'unione e gli stati membri» (art. 216, par. 2, TFUE) (10). Coinvolgimento, che, al contrario, non è richiesto nelle diverse forme di collaborazione tra l'Unione e le organizzazioni internazionali (ai sensi dell'art. 220 TFUE). Com'è noto, infatti, e come si è già avuto modo di precisare, «l'unione attua ogni utile forma di cooperazione con gli organi delle nazioni unite» (art. 220, par. 1 TFUE); pertanto, sono molteplici le forme di collaborazione -tradottesi nell'adozione di accordi internazionali -nelle materie di cosiddetta "cooperazione multilaterale", ossia in settori che coinvolgono interessi particolarmente sensibili. In tali casi, il ricorso alla procedura formale, ove avvenga, è indicato all'incipit del trattato. Tuttavia, in mancanza di indicazioni in merito alla procedura seguita, non pare ammissibile l'estensione soggettiva degli accordi agli altri Stati, dovendosi ritenere le norme sui Trattati di stretta interpretazione. 5. Il trattato FAFA non pare quindi applicabile nell'ambito di azioni umanitarie che siano state demandate alla autonoma gestione dei singoli Stati membri, in relazione a progetti specifici finanziati dal FAmI, e dettagliatamente regolamentati nella precitata normativa, anche per le ragioni che si indicano di seguito: a) Per assicurare la parità di trattamento nei confronti di tutti i soggetti pubblici e privati coinvolti nelle azioni finanziate dal FamI: (9) Per ulteriori approfondimenti si veda E. BARoNCINI, l'unione europea e la procedura di conclusione degli accordi internazionali dopo il Trattato di lisbona, in Cuadernos de derecho Transnacional (marzo 2013), Vol. 5, n. 1, pp. 5-37. (10) Il Consiglio, pertanto, oltre ad impartire direttive al negoziatore, autorizza la firma dell'accordo e la sua conclusione; viceversa, dispone la sospensione dell'accordo, ai sensi dell'art. 218, par. 9, qualora ravvisi profili di incompatibilità con la tutela dei diritti fondamentali dell'Unione ovvero, più in generale, con le finalità di cooperazione poste alla base degli accordi che detti Paesi hanno sottoscritto con l'Unione (cfr. E. BARoNCINI, op. cit., p. 31). RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo -N. 3/2021 come già rilevato, diversamente opinando, si porrebbe in essere una disciplina difforme tra i vari organismi coinvolti, che, sotto il profilo operativo, verrebbe a vantaggio degli organismi internazionali, in violazione del principio di parità degli operatori previsto dalla normativa UE. b) Per il regime di responsabilità contabile che attiene alla gestione del FamI: anche in tal caso si è già evidenziato che il predetto Fondo può essere cofinanziato dai singoli Stati membri. Ne deriva la sicura assoggettabilità ai controlli contabili previsti nei singoli Stati, a tutela della sana gestione del denaro dei cittadini, con conseguente responsabilità personale per dolo o colpa grave (ai sensi dell'art. 1 L. 1994 n. 20) dei pubblici funzionari dell'AR che hanno autorizzato eventuali rimborsi non dovuti o spese ritenute non ammissibili. Da qui, la necessità del controllo amministrativo contabile sulla totalità delle dichiarazioni finanziarie, salva eventuale riduzione ove, come scritto al punto 13, ne ricorrano le condizioni previste dalla legge. c) Per un principio di trasparenza amministrativo-contabile in ordine alla gestione e rendicontazione delle spese a carico del FamI. Sebbene l'Accordo FAFA preveda una serie di principi attinenti al corretto utilizzo del denaro e di rendicontazione delle spese, nonché di possibilità di verifica da parte della Commissione, non vi è dubbio che un sistema di rendicontazione così semplificato, sia facilmente giustificabile nell'ambito di progetti gestiti direttamente dalla Commissione, ma diventi poco trasparente laddove i singoli Stati membri finanzino programmi di elevati importo senza potere procedere ad una puntuale e specifica verifica delle singole spese. d) In ragione della necessità di uniformare le procedure contabili e rendicontazione anche ai fini della più efficace azione amministrativa. L'impiego di diversi sistemi di rendicontazione e controllo in ordine al medesimo programma, inevitabilmente determina una maggiore difficoltà nelle procedure, con ciò rallentando, invece che semplificando, l'azione amministrativa. Una gradualità nell'intensità nel controllo, come detto, è prevista dalla regolamentazione UE solo in casi precisi e determinati, al di fuori dei quali non paiono giustificate ulteriori riduzione dei controlli. *** -II‑ Conclusioni del parere già reso. Espresso quanto sopra, questo G.U. rendeva il parere richiesto nel senso che: 1. Si ritiene che le modalità di rendicontazione, monitoraggio e controllo dei programmi finanziati dal FAmI dovessero attenersi esclusivamente alla articolata e stringente disciplina prevista dai regolamenti ue. 2. ove codesta AR fosse stata ancora sollecitata sia dall'oIm che dal UNHCR, in ordine all'adozione di procedure semplificate, avrebbe potuto ri PARERI DEL ComITATo CoNSULTIVo chiedere in via ufficiale una interpretazione autentica alla stessa Commissione al fine di chiarire la portata e il limite del FAFA, peraltro del tutto ammissibile in relazione alle dinamiche collaborative previste nella disciplina comunitaria citata. 3. Per quanto concerne le procedure di rendicontazione richieste dal- l'oIm, secondo le modalità già stabilite per gli interventi finanziati sui Fondi solId (Solidarietà e gestione dei flussi migratori) 2008 -2013 non parevano esserci preclusioni, laddove la rendicontazione avesse seguito le consuete modalità allora previste in sede regolamentare anche in considerazione del fatto che le stesse sono state avallate, come rappresentato con la nota a margine, sia dalla CE che dai successivi audit della Commissione Europea e della Corte dei Conti europea. 4. Poiché in base all'art. 60 era previsto il riesame del regolamento del FamI n. 514 del 2014, entro il 30 giugno 2020, si suggeriva a codesta AR di attivarsi nel senso della apposizione di una disposizione chiarificatrice del regime di rendicontazione applicabile alle precitate organizzazioni Internazionali, e da inserire in modo chiaro ed univoco nelle singole Convenzioni di progetto. *** -IIISull'inapplicabilità del regime delle immunità alle organizzazioni in questione nella materia di cui è parere. Con la nota a margine viene riportata la posizione dei predetti organismi internazionali, che invocando tale status, e la conseguente immunità riconosciuta dalla Convenzione di New York, affermano che da questa discenderebbe l'inapplicabilità della normativa europea e italiana nella materia di cui è il parere. Non si ritiene che la prefata posizione sia giuridicamente corretta. Al fine di definire più correttamente la posizione degli enti in questione alla luce del diritto internazionale, pare opportuno soffermarsi con maggiore attenzione sulla tematica relativa all'applicabilità della Convenzione sui privilegi delle istituzioni specializzate, conclusa a New York il 21 novembre 1947, e sul relativo regime di specialità e di immunità dalla giurisdizione invocato dai medesimi. Sembra opportuno fare chiarezza sulla disciplina delle immunità delineata dalla Convenzione di New York e, più in generale, dagli ulteriori accordi in materia, nonché dal diritto consuetudinario, al fine di comprenderne la reale portata. Il diritto internazionale "classico", formatosi sulla convinzione di una assoluta parità tra gli Stati e di una conseguente omogeneità tra i membri della comunità internazionale, accoglieva un regime delle immunità definito c.d. RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo -N. 3/2021 "assoluto", in forza del quale, cioè, si escludeva in maniera radicale la possibilità di convenire in giudizio uno Stato straniero. L'assenza di qualsiasi forma di gerarchia nei rapporti tra gli Stati imponeva a ciascuno di astenersi dall'adottare atti autoritativi nei confronti di un altro Stato, che potessero risultare lesivi della propria sovranità; e ciò in virtù del principio di matrice consuetudinaria par in parem non habet iudicium. Progressivamente, col mutare del panorama internazionale e delle funzioni assunte nel tempo dagli Stati, il principio di immunità assoluta ha finito col rappresentare un mero retaggio storico. Soprattutto dal momento in cui gli Stati, a partire dalla seconda metà del Novecento, hanno acquisito un ruolo protagonista nell'ambito dei rapporti privatistici e delle transazioni commerciali, per cui è parso necessario restringere il perimetro delle attività esenti. Si è così formata una prassi consuetudinaria, di seguito recepita dalla Convenzione delle nazioni unite sulle immunità giurisdizionali degli stati e dei loro beni (11) del 2004, la quale ha posto l'accento sulla necessaria distinzione da operare tra attività iure imperii ed attività iure gestionis di uno Stato. In particolare, in base alla c.d. teoria della immunità ristretta o relativa, solo le attività poste in essere da uno Stato nell'esercizio delle funzioni sovrane sarebbero radicalmente escluse da ogni interferenza esterna, e dunque per esse opera il regime di immunità (atti iure imperii) (12). Viceversa, ogniqualvolta lo Stato opera al pari dei privati, e dunque, ad esempio, nell'ambito delle attività commerciali o di emissione dei prestiti obbligazionari, le attività poste in essere (atti iure gestionis) sono assoggettabili al sindacato giurisdizionale altrui (13). La rilevanza, quale principio comunemente accolto dal diritto internazionale, della distinzione tra attività che esprimono l'esercizio dei poteri sovrani ed attività iure gestionis per le quali l'immunità non può essere invocata, è (11) l'art. 5 della Convenzione sancisce in via generale il principio dell'immunità dalla giurisdizione degli Stati, fatte salve, però, «le disposizioni della presente Convenzione». La Convenzione, nella Parte terza (artt. 10-17), individua una serie di attività per le quali non opera la regola dell'immunità, e dunque a causa dell'esercizio delle quali lo Stato può essere sottoposto all'altrui giurisdizione. Tra queste sono annoverate, ad esempio, le transazioni commerciali (art. 10), i rapporti di lavoro (art. 11), la partecipazione ad una società o ad un gruppo di società aventi sede o essendosi costituiti nel territorio dello Stato del foro (art. 15). (12) Siffatto regime, almeno fino alla sentenza n. 5004 del 2004 (Ferrini) della Corte di cassazione italiana, è stato considerato applicabile nel caso di danni causati da azioni belliche. Tuttavia, si segnala un'inversione di tendenza, la quale è stata inaugurata dalla sentenza Ferrini -e recentemente sembra essere riaffiorata per mezzo della sentenza della Corte costituzionale n. 238 del 2014 -con cui si è negata la possibilità di invocare la norma sull'immunità anche per gli atti compiuti dallo Stato nell'esercizio di poteri sovrani, quale appunto è il caso dei danni causati dalla commissione di crimini internazionali durante la Seconda guerra mondiale, laddove l'operatività di tale prassi si ponga in contrasto con la tutela costituzionale dei diritti inviolabili della persona, che operano perciò come controlimiti. (13) Principio, altresì, condiviso dalla Corte di giustizia dell'Unione europea la quale, nella sentenza C. giust. 19-7-2012, causa C-154/11, mahamdia, ha confermato che l'immunità opera esclusivamente per determinate attività, che sono sostanzialmente qualificabili come atti di governo. PARERI DEL ComITATo CoNSULTIVo stata recentemente riaffermata dalle sezioni unite della Corte di Cassazione italiana, nella sentenza n. 28180 del 2020: «Il principio di diritto internazionale consuetudinario sull'immunità dalla giurisdizione civile degli stati esteri ("par in parem non habet imperium") non ha valore assoluto ma trova operatività esclusivamente con riferimento agli atti compiuti "iure imperii ", che costituiscono estrinsecazione della sovranità propria della potestà politica. [...] la nozione di immunità rileva solo quando la controversia riguardi "atti di sovranità compiuti iure imperii", per modo che, contemporaneamente e di contro, ogni affermazione di immunità deve essere esclusa tutte le volte in cui la domanda verta su atti (ovvero sulle conseguenze di atti) che in quella specifica nozione non rientrino» (14). Sempre negli ultimi anni, la Corte di giustizia UE, nell'esplicitare le interferenze intercorrenti tra le attività di classificazione e di certificazione di navi per conto e su delega di uno Stato sovrano e la nozione di "materia civile e commerciale" finalizzata all'applicazione del Regolamento UE n. 44 del 2001, al fine di definire più correttamente le attività "di diritto privato e commerciale" per le quali non opera l'immunità, ha precisato che: «l'art. 1, paragrafo 1, del regolamento n. 44/2001 deve essere interpretato nel senso che un ricorso per risarcimento danni proposto contro persone giuridiche di diritto privato che esercitano un'attività di classificazione e di certificazione di navi per conto e su delega di uno stato terzo rientra nella nozione di "materia civile e commerciale" ai sensi di tale disposizione e, di conseguenza, nell'ambito di applicazione di tale regolamento, qualora tale attività non sia esercitata in forza di prerogative dei pubblici poteri ai sensi del diritto dell'unione, circostanza che spetta al giudice del rinvio valutare. Il principio di diritto internazionale consuetudinario sull'immunità giurisdizionale non osta all'esercizio, da parte del giudice nazionale adito, della competenza giurisdizionale prevista da detto regolamento in una controversia relativa a un siffatto ricorso, qualora detto giudice constati che tali organismi non si sono avvalsi delle prerogative dei pubblici poteri ai sensi del diritto internazionale ». Valutazione che, pertanto, spetta al giudice adito caso per caso, in considerazione del fatto che si tratti o meno di «poteri definiti in tutti i loro aspetti dal quadro normativo nazionale [...] riconducibili all'autonomia decisionale propria dell'esercizio di prerogative dei pubblici poteri» (C. giust. 12 dicembre 2013, in causa C-327/12). (14) Nella specie, la Suprema Corte, cassando la sentenza di merito che aveva dichiarato l'immunità dalla giurisdizione italiana di una organizzazione riconosciuta di Stato estero delegata a svolgere attività di classificazione e certificazione di navi, ha escluso l'operatività dell'immunità giurisdizionale rispetto a tali attività, le quali non comportano un potere decisionale avulso dal quadro normativo, di fonte eminentemente internazionale, predefinito a garantire le condizioni di sicurezza in mare. RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo -N. 3/2021 Accanto alle immunità di tipo assoluto e relativo, la prassi internazionale conosce una serie di immunità riconosciute a persone o ad organizzazioni internazionali nell'esercizio delle loro funzioni (immunità funzionale). In particolare, la Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche del 1961 distingue tra immunità spettanti alla missione diplomatica e ai suoi membri proprio nell'ambito dell'esercizio della funzione diplomatica (ratione materiae), ed immunità personali le quali, pertanto, sono riconducibili al singolo individuo proprio in virtù dell'incarico e della funzione ricoperta (ratione personae). Una particolare categoria di immunità funzionale è quella riconosciuta dall'art. 105 della Carta delle nazioni unite all'organizzazione delle Nazioni Unite, nonché ai rappresentanti dei membri delle Nazioni Unite e ai funzionari dell'organizzazione. Al di là dell'immunità riconosciuta ai rappresentanti dei membri dell'oNU e ai funzionari dell'organizzazione (comma 2), appare dirimente, con riguardo alla tematica in oggetto, valutare l'applicabilità o meno del comma 1 della disposizione agli enti riconducibili all'organizzazione delle Nazioni Unite, e dunque all'oIm e all'UNHCR. Ai sensi dell'art. 105, primo comma, "l'organizzazione gode, nel territorio di ciascuno dei suoi membri, dei privilegi e delle immunità necessari per il conseguimento dei suoi fini". L'immunità riconosciuta in capo alla predetta organizzazione, all'interno del territorio dei propri membri, è chiaramente strumentale al raggiungimento degli scopi dell'organizzazione medesima. Ciò significa che essa ha ragione di essere riconosciuta per tutte le attività che appaiono necessarie a realizzare uno degli obiettivi indicati nello Statuto. La Carta delle Nazioni Unite ha, pertanto, indicato in maniera chiara e dettagliata i fini (art. 1) ed i principi (art. 2) sui quali si fonda l'organizzazione. Per esigenze di chiarezza se ne riporta il contenuto: articolo 1 I fini delle nazioni unite sono: 1. mantenere la pace e la sicurezza internazionale, ed a questo scopo: prendere efficaci misure collettive per prevenire e rimuovere le minacce alla pace e per reprimere gli atti di aggressione o le altre violazioni della pace, e conseguire con mezzi pacifici, ed in conformità ai principi della giustizia e del diritto internazionale, la composizione o la soluzione delle controversie o delle situazioni internazionali che potrebbero portare ad una violazione della pace; 2. sviluppare tra le nazioni relazioni amichevoli fondate sul rispetto e sul principio dell'eguaglianza dei diritti e dell'auto-determinazione dei popoli e prendere altre misure atte a rafforzare la pace universale; PARERI DEL ComITATo CoNSULTIVo 3. Conseguire la cooperazione internazionale nella soluzione dei problemi internazionali di carattere economico, sociale culturale od umanitario e nel promuovere ed incoraggiare il rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali per tutti senza distinzioni di razza, di sesso, di lingua o di religione; 4. Costituire un centro per il coordinamento dell'attività delle nazioni volta al conseguimento di questi fini comuni. In attuazione dei suddetti principi e finalità, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato le Convenzioni generali sulle immunità e i privilegi dell'oNU e degli istituti specializzati (del 13 febbraio 1946 e del 21 novembre 1947), le quali sono state per l'appunto invocate dalla controparte nella fattispecie di odierna trattazione, al fine di poter beneficiare del regime di immunità e privilegi in esse contenuto. Tali convenzioni sono state ratificate, rispettivamente, con legge 20 dicembre 1957 n. 1318 e con legge 24 luglio 1951 n. 1740. La convenzione del 1947, come risulta dal suo preambolo, ha inteso unificare il regime delle immunità delle istituzioni specializzate e quello dell'oNU, stabilito invece dalla convenzione del 1946. Stando, dunque, al tenore testuale della convenzione del 1947 (art. I) le immunità si applicano alle seguenti istituzioni specializzate: "a) l'organizzazione Internazionale del lavoro, b) l'organizzazione delle nazioni unite per l'alimentazione e l'agricoltura, c) l'organizzazione delle nazioni unite per l'educazione, la scienza e la Cultura, d) l'organizzazione dell'aviazione civile internazionale, e) il Fondo monetario internazionale, f) la Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo, g) l'organizzazione mondiale della sanità, h) l'unione postale universale, i) l'unione internazionale delle telecomunicazioni". Tra queste non figurano l'oIm e I'UNHCR. Tuttavia, l'art. 1 prevede che la convenzione si applica a, "j) qualsiasi altra istituzione collegata all'organizzazione delle nazioni unite ai sensi degli articoli 57 e 63 dello statuto". A questo riguardo si osserva che l'UNHCR non sembra riconducibile alle figure contemplate nell'art. 57, che sono soltanto "I vari istituti specializzati costituiti con accordi intergovernativi ed aventi, in conformità ai loro statuti, vasti compiti internazionali nei campi economico, sociale, culturale, educativo, sanitario e simili sono collegati con le Nazioni Unite in conformità alle disposizioni dell'articolo 63". L'UNHCR fu, infatti, costituito non con un accordo intergovernativo, bensì direttamente dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite con deliberazione del 14 dicembre 1950. Neppure risulta che l'oNU, nei confronti dell'UNHCR, abbia, come previsto dall'art. 63 per le organizzazioni intergovernative, ritenuto di concludere "accordi con qualsiasi istituto di quelli indicati all'articolo 57 per definire le condizioni in base alle quali l'istituto considerato sarà collegato con le nazioni unite". RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo -N. 3/2021 Sembra, quindi, che l'UNHCR costituisca un organo direttamente incardinato nell'oNU; sicché le immunità da riconoscere a questa entità vanno determinate applicando direttamente la convenzione del 1946. Discorso diverso va fatto per l'oIm. Questa venne costituita il 5 dicembre 1951 da un accordo intergovernativo stipulato a Bruxelles al di fuori dell'oNU, come Comitato intergovernativo per la migrazione europea, ratificato con legge 22 febbraio 1968 n. 441. Assunse successivamente la denominazione di organizzazione internazionale della migrazione. Soltanto dal settembre 2016 l'oIm è entrata nel sistema oNU diventando Agenzia Collegata alle Nazioni Unite ai sensi degli artt. 57 e 63 dello Statuto dell'oNU sopra richiamati. Il regime delle immunità riconoscibili all'UNHCR è posto, quindi, come detto, dalla Convenzione del 1946. L'art. 1 di questa prevede nelle Sezioni 2, 3 e 5: "Sezione 2 l'organizzazione, con i suoi beni e averi, indipendentemente dal luogo in cui si trovano e dal loro detentore, gode dell'immunità di giurisdizione, salvo esplicita rinuncia dell'organizzazione a tale immunità in un caso particolare. resta tuttavia inteso che tale rinuncia non può estendersi alle misure esecutive. Sezione 3 I locali dell'organizzazione sono inviolabili. I suoi beni e averi, indipendentemente dal luogo in cui si trovano e dal loro detentore, sono esenti da perquisizioni, requisizioni, confische, espropriazioni e qualsiasi altra forma di coercizione esecutiva, amministrativa, giudiziaria o legislativa. Sezione 5 senza essere sottoposta ad alcun controllo, regolamento o moratoria finanziaria, l'organizzazione può: a) possedere fondi, oro o divise di qualsiasi natura e avere conti in qualsiasi moneta; b) trasferire liberamente, da un Paese a un altro o all'interno di un qualsiasi Paese, i fondi, l'oro o le divise in suo possesso e convertire queste ultime in qualsiasi altra moneta". Come si vede, si tratta di immunità strettamente riferite al possesso e alla gestione dei beni in proprietà dell'organizzazione. Esse, quindi, non possono essere invocate al ben diverso fine, assolutamente non considerato dalla convenzione, di sottrarre l'organizzazione ai controlli sull'impiego che essa faccia di risorse finanziarie non proprie bensì concessele da uno Stato contraente per un fine specifico di interesse comune a tale Stato e all'organizzazione, la quale accetta, in sostanza, di agire come "longa manus" dello Stato in questione. Sembra, quindi, che sia infondata la pretesa dell'UNHCR di considerare illegittimi i controlli sulla gestione dei fondi FAmI da parte dell'autorità italiana, basandosi sulle sue immunità convenzionali. Peraltro, dagli atti trasmessi non risulta che l'UNHCR abbia assunto tale posizione. Posizione che, invece, è stata assunta dall'oIm. Venendo al regime di questa, si osserva che la convenzione istitutiva del 1951, sopra ricordata, prevede soltanto, in tema di immunità, che "1. The or PARERI DEL ComITATo CoNSULTIVo ganization shall enjoy such privileges and immunities as are necessary for the exercise of its functions and the fulfilment of its purposes. (...) 3. These privileges and immunities shall be defined in agreements between the organization and the states concerned or through other measures taken by these states" (art. 23, paragrafi 1 e 3). Vi è, quindi, una chiara affermazione di immunità meramente funzionale, alla stregua dell'art. 105 della Carta dell'oNU; e non risultano accordi specifici tra lo Stato italiano e l'oIm conclusi ai sensi del paragrafo 3. Peraltro, come detto, a partire dal settembre 2016 l'oIm è divenuta un ente collegato all'oNU ai sensi degli artt. 57 e 63 dello Statuto oNU. Potrebbe, quindi, ritenersi che all'oIm si applichi dal settembre 2016 anche la convenzione del 1947. Peraltro, l'art. III di questa, nelle Sezioni 4, 5, 7 riproduce testualmente, riferendole alle istituzioni specializzate, le disposizioni dell'art. I, Sezioni 2, 3, 5 della convenzione del 1946 relativa all'oNU, sopra riportate. Valgono, quindi, anche per l'oIm le considerazioni ivi fatte a proposito dell'infondatezza del richiamo a tali disposizioni. Questo excursus conferma quanto poc'anzi affermato, vale a dire che la questione va risolta alla luce del concetto di immunità meramente funzionale. Anche le Convenzioni del 1946 e del 1947, in quanto attuative del disposto dell'art. 105 Carta oNU, a volerle ritenere applicabili, andrebbero lette nella cornice dei principi e, soprattutto, delle finalità indicate nella Carta, le quali costituiscono i criteri interpretativi ai fini di una loro corretta applicazione. Alla luce dei citati scopi, indicati dall'art. 1 della Carta oNU -per il rinvio operato dall'art. 105 -non sembra possa farsi applicazione del prefato sistema contenuto nelle Convenzioni, atteso che certamente gli enti in questione non operano all'interno del territorio nazionale per il conseguimento dei fini propri dell'organizzazione delle Nazioni Unite indicati dall'art. 1. In sostanza, a parere della Scrivente, l'applicazione di un regime di rendicontazione privilegiato (o meglio, di sottrazione a qualsiasi controllo dell'autorità nazionale responsabile) non troverebbe alcuna giustificazione nell'esigenza di garantire il conseguimento degli obiettivi dell'oNU indicati dalla Carta delle Nazioni Unite (immunità funzionale), e dunque sarebbe privo di qualsivoglia fondamento pattizio e consuetudinario e, pertanto, ingiustificato. Peraltro, qualora si insistesse nel ritenere applicabili le norme convenzionali sulle immunità sopra illustrate, dovrebbe anche tenersi conto delle Sezioni, rispettivamente, 6 dell'art. I della convenzione del 1946 e 8 dell'art. III della convenzione del 1947, i quali, con formulazione sostanzialmente identica, dispongono: "Sezione 8 nell'esercizio dei diritti concessi loro in virtù della sezione 7 di cui sopra, ogni istituzione specializzata tiene conto di qualsiasi esigenza presentatale dal Governo di uno stato Parte della presente Con RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo -N. 3/2021 venzione, nella misura in cui ritenga di potervi adempiere senza pregiudicare i propri interessi". Vi è quindi un obbligo convenzionale delle organizzazioni di accettare ogni limitazione delle immunità che serva a soddisfare esigenze obiettive dello Stato contraente e che non pregiudichi gli interessi dell'organizzazione stessa. Questa previsione potrebbe essere applicata al caso qui in esame, in cui l'esigenza dello Stato di non incorrere in censure da parte della Commissione europea è obiettiva, e lo svolgimento dei controlli risponde anche agli interessi delle organizzazioni internazionali in quanto consente proprio il migliore conseguimento dei loro scopi istituzionali, in vista dei quali esse hanno ottenuto il finanziamento da parte del FAmI. Tantomeno potrebbe invocarsi il regime di immunità assoluta o relativa per le organizzazioni in oggetto che, come si è avuto modo di precisare diffusamente, trova applicazione esclusivamente per gli Stati. In concreto, naturalmente, ci si potrebbe scontrare con l'incoercibilità di un eventuale rifiuto delle organizzazioni di consentire i controlli di gestione dell'autorità nazionale responsabile. Anche esclusa l'immunità dalla giurisdizione alla stregua delle considerazioni sopra svolte, eventuali provvedimenti giurisdizionali che volessero sottoporre le organizzazioni ai controlli in questione potrebbero risultare all'atto pratico non eseguibili. In tali ipotesi, l'autorità responsabile dovrebbe valutare la possibilità di rettificare il concorso del FAmI ai progetti di cui le organizzazioni siano beneficiarie finali ma in ordine ai quali rifiutino di consentire i controlli regolamentari, sospendendo le ulteriori erogazioni e recuperando quelle effettuate. L'impossibilità di un regolare controllo sulla gestione del beneficiario finale è, infatti, equiparabile ad una gestione scorretta dei fondi a questi affidati. Ciò allo scopo di prevenire rettifiche da parte della Commissione a carico dello Stato per non avere assicurato un regolare controllo sull'utilizzo dei fondi FAmI da parte dei beneficiari in questione. *** Ciò rappresentato a titolo di inquadramento strettamente tecnico-giuridico, la Scrivente ravvisa nella questione nuovamente sottoposta a questo G.U., profili di natura prettamente politica che potrebbero non trovare una soluzione sotto il mero profilo tecnico-giuridico e che attengono, nella sostanza, alla qualità dei rapporti tra Stato e organizzazioni Internazionali. I risvolti di natura politica, con la conseguente necessità di mantenere una collaborazione attiva con gli organismi internazionali coinvolti nella gestione dei Fondi Fami, possono suggerire, considerata la rilevanza internazionale dei predetti organismi, di adottare protocolli speciali, in considerazione della peculiarità dei soggetti, a seguito di un'interlocuzione formale con la Commissione, nei quali si faccia riferimento alla disciplina derogatoria prevista a favore di organismi internazionali, sia in quanto tali, che, in alternativa, in PARERI DEL ComITATo CoNSULTIVo virtù dell'applicazione soggettiva del predetto FAFA anche in relazione ai progetti gestiti dai singoli Stati con il FAmI. Nulla, infatti, vieta ai singoli Stati di aderire a convenzioni già in atto tra UE e organizzazioni laddove non in contrasto con gli interessi degli stessi. Nel caso di specie, peraltro, le forme di controllo e contabilità ritenute adeguate nei rapporti tra UE e organismi facenti capo all'oNU, grazie al trattato FAFA, ben potrebbero essere estese anche ai singoli Stati che ritengano di farne applicazione. Una volta adottati, ne conseguirebbe il venir meno anche della responsabilità amministrativo-contabile dei soggetti coinvolti ed erogatori dei finanziamenti, secondo le procedure speciali contemplate dai prefati protocolli. Trattandosi di questione di massima è stato sentito il Comitato Consultivo dell'Avvocatura dello Stato che, nella seduta del 30 aprile 2021, si è espresso in conformità. RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo -N. 3/2021 Istanza di riapertura di procedimento disciplinare, ai sensi dell'art. 1393, co. 2, d.lgs. n. 66 del 15 marzo 2010 (Codice dell’ordinamento militare): disamina sui vari profili giuridici Parere del 12/05/2021-300713, al 26457/2020, avv. enrICo de GIovannI Codesta Direzione Generale ha chiesto un parere in merito alla vicenda riguardante l'allora C.le magg. Sc. omissis, rappresentando quanto segue. Il "Tribunale di Pisa, con sentenza n. 212/2012 in data 24 maggio 2012, divenuta irrevocabile il 10 luglio 2012, applicava all’omissis la pena di anni uno e mesi quattro di reclusione ed euro 4.000,00 di multa, in ordine al reato di "produzione, traffico e detenzione illecita di sostanze stupefacenti"; si precisa che trattasi di sentenza patteggiata. Sotto il profilo disciplinare, il Graduato venne quindi sanzionato con la perdita del grado per rimozione, inflittagli con decreto n. 417/I-3/2013 in data 8 agosto 2013. Avverso tale decreto l'omissis propose ricorso al T.A.R. per la Toscana, che lo respinse con sentenza n. 275/2014 del 5 febbraio 2014, avverso la quale egli propose ricorso in appello al Consiglio di Stato. Il Consiglio di Stato, con ordinanza n. 2115/2014 del 20 maggio 2014, rigettò la richiesta di sospensione cautelare della sentenza impugnata, mentre il merito dell'impugnazione non fu deciso, e anzi, con decreto in data 24 settembre 2020 il ricorso in appello fu dichiarato perento per inattività. Sotto il profilo penale, tuttavia, con sentenza n. 14590/2015 del 7 gennaio 2015, la Corte di Cassazione, adita dall'omissis ex art. 606 lett. c) c.p.p. per violazione del diritto di difesa dovuto alla mancata convocazione dell'imputato, accoglieva il ricorso e annullava la citata sentenza del Tribunale di Pisa, rimettendo gli atti del processo al medesimo Tribunale. Quest'ultimo, con sentenza n. 488/18 del 16 marzo 2018, divenuta irrevocabile il 15 ottobre 2019, ha ritenuto che “all'esito dell'istruttoria dibattimentale, a parere di questo giudicante, non è emersa la prova della penale responsabilità di omissis", e di conseguenza ha assolto il militare "per non aver commesso il fatto" ai sensi dell'art. 530 secondo comma c.p.p. Alla luce di tale pronuncia liberatoria, l'omissis ha proposto istanza di riapertura del procedimento disciplinare, ai sensi dell'art. 1393, comma 2, d.lgs. n. 66 del 15 marzo 2010. A tal riguardo, codesta Amministrazione ritiene, da un lato, che l'operato degli organi disciplinari che ha portato all'emanazione dell'atto di destituzione impugnato non risulti affetto da criticità e, dall'altro lato, che l'istanza in questione sia da considerare inammissibile, in quanto con essa si invoca l'applicazione di un istituto non vigente all'epoca dei fatti e del relativo procedimento disciplinare. Codesta Direzione Generale, peraltro, tenuto conto di quanto disposto PARERI DEL ComITATo CoNSULTIVo dall'art. 653 c.p.p. e ritenuto che ragioni di giustizia suggeriscano l'opportunità di riconsiderare il caso nella prospettiva di massima garanzia possibile per l'interessato (che ha subito una destituzione a seguito dell'esito sfavorevole di un processo penale, successivamente sovvertito con sentenza di assoluzione), prospetta, per un verso, l'impossibilità di ritenere il provvedimento amministrativo disciplinare in questione affetto da nullità o annullabilità (artt. 21 septies e 21 octies legge n. 241 del 1990); per altro verso, la possibilità di inquadrare la fattispecie nel concetto di revocabilità dell'atto amministrativo per mutamento della situazione di fatto, ai sensi dell'art. 21 quinquies legge n. 241 del 1990, con conseguente riammissione in servizio dell'omissis. Da ultimo, codesta Direzione Generale rappresenta che l'art. 1394 d.lgs. n. 66 del 2010, recante "ricostruzione di carriera", non sembrerebbe poter trovare applicazione nella vicenda in esame, evidenziando come l'eventuale revoca del provvedimento disciplinare non configurerebbe nessuna delle ipotesi contemplate da tale disposizione. Questa Avvocatura osserva quanto segue, partitamente sui vari profili giuridici della complessa e peculiare vicenda. -sull'istanza di riapertura del procedimento disciplinare, ai sensi dell'art. 1393, comma 2, d.lgs. n. 66 del 15 marzo 2010. L' art. 1393 del d.lgs. n. 66 del 2010, recante "Codice dell'ordinamento militare" (d'ora in poi C.o.m.), nel testo vigente anteriormente alla legge n. 124 del 7 agosto 2015 e al d.lgs. n. 91 del 26 aprile 2016, prevedeva, nel caso in cui il militare fosse stato già rinviato a giudizio (o sottoposto ad una delle misure di cui all'art. 915, comma 1, C.o.m.), il divieto di promuovere nei suoi confronti un procedimento disciplinare avente ad oggetto il medesimo fatto, sino alla conclusione del processo penale (o sino alla conclusione del procedimento di prevenzione). La disposizione citata prevedeva inoltre, nel caso in cui il procedimento disciplinare de eadem re et persona fosse stato già avviato, la sospensione di tale procedimento fino alla definizione del processo celebrato in sede penale. Tale "meccanismo" (c.d. pregiudiziale penale) era diretto a prevenire ed evitare contrasti tra l'esito del procedimento disciplinare promosso nei confronti del militare e l'esito del procedimento penale avente ad oggetto la medesima vicenda e la medesima persona (di questo avviso, Cons. Stato, Sez. IV, sent. n. 1302 del 23 febbraio 2017, dep. 22 marzo 2017, il quale, con riferimento all'art. 1393 C.o.m., ha affermato che "È evidente, infatti, che la ratio legis sottesa a questa disposizione mira a vincolare il procedimento disciplinare agli esiti del processo penale in punto, in particolare, di accertamento del fatto materiale di reato, la cui definitiva individuazione ad opera del giudice penale si riflette a valle anche nel procedimento disciplinare, costituendo la base oggettiva da cui si diramano le autonome delibazioni am RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo -N. 3/2021 ministrative dell'autorità"); ciò, anche alla luce dell'art. 653 cod. proc. pen., rubricato "efficacia della sentenza penale nel giudizio disciplinare". A seguito delle profonde innovazioni apportate alla disposizione in discorso (dapprima, con la legge n. 124 del 2015 e, poi, con il d.lgs. n. 91 del 2016), il legislatore ha abolito la c.d. pregiudiziale penale, ammettendo l'avvio, il proseguimento e la conclusione del procedimento disciplinare nei confronti del militare sottoposto a processo penale per il medesimo fatto. Consapevole della necessità di evitare possibili incompatibilità tra l'esito del procedimento disciplinare e l'esito del procedimento penale insistenti sulla medesima vicenda e riguardanti il medesimo individuo, il legislatore ha previsto, ai commi 2 e 3 dell'art. 1393 C.o.m., la possibilità di una riapertura del procedimento disciplinare: a) se il procedimento disciplinare non sospeso si conclude con l'adozione di una sanzione e successivamente il processo penale termina con una sentenza irrevocabile di assoluzione che riconosce che il fatto addebitato al dipendente non sussiste o non costituisce illecito penale o che il militare non lo ha commesso; b) se il procedimento disciplinare si conclude senza una sanzione e successivamente il processo penale perviene ad una sentenza irrevocabile di condanna; c) se dalla sentenza irrevocabile di condanna risulta che il fatto addebitabile al dipendente in sede disciplinare può comportare la sanzione di stato della perdita del grado per rimozione, oppure la cessazione dalla ferma o dalla rafferma, mentre in esito al procedimento disciplinare è stata irrogata una sanzione diversa. operata tale premessa, la Scrivente ritiene che, come osservato da codesta Amministrazione, con riferimento alle disposizioni del C.o.m. debba trovare applicazione il principio tempus regit actum (con specifico riferimento all'art. 1393 C.o.m., si vedano: T.A.R. Puglia, Lecce, sez. II, 23 maggio 2018, n. 883; T.A.R. Lazio, Latina, sez. I, 3 agosto 2017, n. 416; T.A.R. Veneto, Sez. I, Sent. del 3 ottobre 2018, dep. 12 ottobre 2018, n. 937; T.A.R. Veneto, Sez. I, n. 345 del 10 aprile 2020, che ha chiarito che "con riguardo ai rapporti tra il giudizio disciplinare e il giudizio penale che scaturiscano dagli stessi fatti nei confronti del militare, la (ulteriore) modifica recata dall'art. 4, co. 1, lett. t), d.lgs. n. 91/2016 alla nuova disciplina introdotta dall'art. 15, co. 1, della l. n. 124/2015, non può che applicarsi ai soli fatti aventi rilievo disciplinare verificatisi dopo la sua entrata in vigore; i fatti verificatisi in epoca anteriore, invece, restano regolati dalla precedente formulazione dell'art. 1393 del d.lgs. n. 66/2010"). Pertanto, considerato che il fatto da cui ha avuto origine il procedimento disciplinare in discorso risale al periodo 2010-2012 e che il procedimento disciplinare medesimo si è concluso con il decreto n. 417/I-3/2013 in data 8 agosto 2013, nel caso in esame non può che trovare applicazione la disciplina di cui all'art. 1393 C.o.m. nel testo antecedente le modifiche apportate dal legislatore con le riforme del 2015 e 2016, da cui discende l'inammissibilità dell'istanza di riapertura del procedimento disciplinare avanzata PARERI DEL ComITATo CoNSULTIVo dall'omissis ai sensi dell'art. 1393 C.o.m. così come modificato dalle citate riforme. -In generale, sui rapporti tra procedimento disciplinare e giudicato penale. Tanto premesso, preso atto della circostanza che nel caso in esame il provvedimento disciplinare è stato adottato in esito ad un giudizio penale conclusosi con sentenza di patteggiamento che codesta Amministrazione aveva ritenuto (erroneamente, come più avanti si vedrà) irrevocabile e che solo in un momento successivo all'adozione della sanzione disciplinare la citata sentenza penale è stata dapprima annullata, per vizi di procedura, dalla Cassazione e poi sovvertita da una sentenza assolutoria passata in giudicato, appare opportuno, al fine di rispondere all'insieme dei quesiti proposti, analizzare brevemente il rapporto sussistente tra procedimento disciplinare e giudicato penale. La costante giurisprudenza amministrativa è granitica nell'affermare l'esistenza di un rapporto di autonomia tra procedimento disciplinare e procedimento penale. In particolare, il Consiglio di Stato ha precisato che "In riferimento al personale della Guardia di Finanza l'illiceità penale e quella disciplinare degli arruolati orbitano su piani assolutamente differenti, per cui l'amministrazione conserva sempre il suo potere di autonoma valutazione del- l'illecito nell'ambito del procedimento disciplinare anche in presenza di una sentenza di assoluzione. l'area dell'illecito penale è infatti notoriamente più ristretta rispetto a quella dell'illecito disciplinare, per cui uno stesso fatto può essere giudicato lecito dal punto di vista penale, ed illecito sotto il profilo disciplinare" (Cons. Stato Sez. IV Sent., 7 novembre 2012, n. 5669; dello stesso avviso, T.A.R. Friuli-V. Giulia Trieste Sez. I, 27 marzo 2019, n. 146). Più di recente, è stato ribadito che "in sede disciplinare, l'amministrazione può legittimamente tener conto delle risultanze emerse nelle varie fasi del pregresso procedimento penale, sì da evitare ulteriori accertamenti istruttori alla luce del principio di economicità del procedimento, ma a condizione che di tali risultanze sia autonomamente valutata la rilevanza in chiave disciplinare" (Cons. Stato Sez. IV, 2 marzo 2020, n. 1499, sottolineatura nostra). Tuttavia, detto rapporto di autonomia trova una rilevante eccezione in tutti quei casi in cui il processo penale si concluda con sentenza irrevocabile di assoluzione per insussistenza del fatto o per non commissione dello stesso da parte dell'imputato, nonché, all'opposto, nelle ipotesi in cui venga accertata la responsabilità penale dell'imputato. Infatti, per un verso, qualora il processo penale si concluda con sentenza irrevocabile di assoluzione per insussistenza del fatto o per non commissione dello stesso da parte dell'imputato, tale pronuncia fa stato nel procedimento disciplinare, precludendo l'esercizio del- l'azione disciplinare medesima e risultando "ostativa ad una diversa RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo -N. 3/2021 valutazione dei fatti in senso disciplinare da parte dell'amministrazione" (cfr. Cons. Stato Sez. VI Sent., 30 luglio 2010, n. 5035; Cons. Stato Sez. IV Sent., 22 maggio 2012, n. 2971), salvo che l'assoluzione non sia stata pronunciata ai sensi dell'art. 530, capoverso, cod. proc. pen., ipotesi in cui l'Amministrazione non è vincolata dal giudicato penale di condanna e può anche procedere ad un accertamento e ad una valutazione dei fatti diversi da quelli compiuti dal giudice penale; per altro verso, qualora il processo penale si concluda con sentenza irrevocabile di condanna (o di patteggiarnento), tale sentenza "ha efficacia di giudicato nel procedimento disciplinare quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, alla sua illiceità penale e alla sua commissione da parte dell'imputato", con la conseguenza che l'Amministrazione deve limitarsi ad una valutazione in ordine alla rilevanza disciplinare dei fatti così come accertati in sede penale, non potendo, di contro, procedere ad un accertamento dei fatti diverso da quello compiuto dal giudice penale (cfr. Cons. Stato Sez. VI, 5 dicembre 2006, n. 7108; Cons. Stato Sez. IV, 16 marzo 2020, n. 1864). -sul contrasto, nel caso di specie, tra giudicato penale e provvedimento disciplinare. Nel caso in esame, il decreto del Vice Direttore Generale della Direzione Generale per il Personale militare del ministero della Difesa emesso in data 8 agosto 2013 ha disposto la perdita del grado per rimozione nei confronti del omissis ritenendo rilevanti sotto il profilo disciplinare i fatti così come accertati nella sentenza del GIP del Tribunale di Pisa n. 212/2012 del 24 maggio 2012, conclusiva del relativo procedimento penale (ma richiamando nelle premesse anche il rendimento in servizio e precedenti disciplinari del omissis). Peraltro, a conferma del fatto che, conformemente a quanto stabilito dal- l'art. 653, comma 1 bis, cod. proc. pen., il provvedimento disciplinare è stato adottato sulla base dei fatti così come accertati in sede penale, si pone la stessa motivazione del provvedimento disciplinare, la quale recepisce sostanzialmente il capo di imputazione di cui alla citata sentenza di patteggiamento n. 212/2012; tant'è che nel citato decreto del Vice Direttore Generale si legge: "Graduato dell'esercito, dal giugno 2010 al maggio 2012, in Tirrenia, Pisa e livorno, svolgeva attività di consumo e cessione di sostanza stupefacente del tipo hashish e marijuana. Inoltre, il 18 novembre 2010 veniva trovato in possesso presso la propria abitazione di un panetto di hashish di 99,9 grammi, nonché di due quantitativi separati di marijuana rispettivamente di 140,4 e 3,5 grammi lordi [...]". orbene, deve notarsi che a seguito della "riapertura" del medesimo processo penale in forza della sentenza della Cassazione n. 14590/2015, l'accertamento dei fatti operato nella citata sentenza n. 212/2012 con riferimento al omissis non solo è stato annullato, ma è stato anche sovvertito dalla successiva sentenza irrevocabile di assoluzione, emessa dal Tribunale di Pisa il 16 marzo PARERI DEL ComITATo CoNSULTIVo 2018, ai sensi dell'art. 530, comma 2, c.p.p., per mancata commissione del fatto da parte dell'imputato; ci si trova quindi di fronte ad un parziale contrasto fra il provvedimento disciplinare, nella parte in cui fa riferimento all'attività di cessione di stupefacenti, e la sentenza definitiva che, nell'assolvere l'omissis ai sensi dell'art. 530, comma 2, c.p.p. (essendo risultata mancante o insufficiente la prova del reato), pur affermando che nella "camera indicata come quella occupata dall'omissis ... veniva trovato un panetto di hashish di gr. 99,9", ritiene che "le indagini non sono state esaustive e, soprattutto, la modalità in cui è stato riscontrato nel omissis un potenziale spacciatore, solo sulla base di una dichiarazione di un soggetto che aveva sentito il nome di ricki, come colui che forniva sostanze stupefacenti" (sic). Fermo quanto sopra occorre preliminarmente chiedersi se sia corretto ritenere che, come si legge nella nota di codesta Amministrazione "l'operato degli organi disciplinari che ha portato all'emanazione dell'atto destitutivo impugnato non risulti affetto da criticità di sorta". - sul provvedimento di destituzione. Come si è osservato, il provvedimento destitutivo è stato assunto sul presupposto della irrevocabilità della sentenza del Tribunale di Pisa n. 212/2012 in data 24 maggio 2012, presupposto poi rivelatosi errato. La stessa copia della sentenza trasmessa alla Scrivente reca, in prima pagina, la data del deposito, ma non quella della irrevocabilità; e, comunque, la circostanza che essa non fosse irrevocabile è stata inequivocabilmente comprovata dall'annullamento della medesima a seguito del ricorso per cassazione. Va tuttavia sottolineato che il provvedimento era ancorato anche a presupposti di fatto, quali la detenzione di stupefacenti, il rendimento in servizio e precedenti disciplinari del omissis, che non risultano smentiti dalla sentenza di assoluzione; ma comunque, anche a voler ritenere il provvedimento di destituzione affetto da criticità, va osservato che la sua legittimità è stata affermata dal Giudice amministrativo con sentenza ormai passata in giudicato. Il giudicato amministrativo venutosi a formare fa sì che risulti giudizialmente accertata la legittimità del provvedimento amministrativo impugnato (quanto meno in relazione ai vizi contestati con i motivi di ricorso formulati), e ciò esclude che nel caso di specie si possa o debba far luogo all'annullamento d'ufficio dell'atto ai sensi dell'art. 21-nonies della L. 241/1990. In sostanza, dunque, pur se la destituzione fu, forse, affetta da taluni vizi, il provvedimento appare ormai ragionevolmente consolidato e non si colgono, per quanto noto alla Scrivente, ragioni di pubblico interesse che ne consiglino l'annullamento ex officio, che, peraltro, determinerebbe effetti ex tunc, anche sul piano retributivo e di carriera, con negative conseguenze per l'Amministrazione. RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo -N. 3/2021 - sull'applicabilità dell'art. 21-quinquies della legge 241/90. Resta da chiedersi se l'Amministrazione possa procedere alla revoca del provvedimento di destituzione ai sensi dell'art. 21-quinquies della l. 241/2001; il primo comma della norma citata stabilisce infatti che "1. Per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di- fatto non prevedibile al momento dell'adozione del provvedimento o, salvo che per i provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, di nuova valutazione dell'interesse pubblico originario, il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato da parte dell'organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. la revoca determina la inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti. se la revoca comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, l'amministrazione ha l'obbligo di provvedere al loro indennizzo". In via generale va ritenuto quanto segue. La revoca prevista dall'art. 21-quinquies della legge sul procedimento amministrativo per "mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell'adozione del provvedimento" non è, a rigore, una vera e propria revoca, dando a tale istituto il senso e il significato attribuitogli da parte della dottrina amministrativistica, che pone in luce come essa si fondi e si basi essenzialmente su motivi di opportunità connessi alla valutazione o alla rivalutazione dell'interesse pubblico sotteso all'atto (si tratterebbe, con riferimento alla norma in esame, di concetto meglio riferibile alle altre due ipotesi -"sopravvenuti motivi di pubblico interesse" ovvero "nuova valutazione dell'interesse pubblico originario" - contemplate dalla stessa disposizione). La terza ipotesi introdotta dalla norma in esame -quella basata sul "mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell'adozione del provvedimento" -nei sensi suddetti non costituirebbe invece una revoca in senso proprio -quantomeno ove si intenda questa secondo la ricordata accezione del termine -, risultando in linea astratta più corretto parlare, a questo riguardo, di rimozione, la quale, al pari della revoca, presuppone che l'atto che ne costituisce oggetto fosse originariamente legittimo e che, successivamente, siano venute meno le condizioni -per 1'art. 21‑quinquies, di fatto -che ne avevano legittimato l'adozione: donde l'obbligo, per l'Amministrazione, di rimuoverlo, o, meglio, di far venire meno gli effetti dallo stesso prodotti. Si tratta, in altri termini, del tema (della rilevanza giuridica) delle sopravvenienze, le quali, com'è noto, possono essere di fatto o di diritto: il successivo mutamento della situazione -di fatto o di diritto -esistente al momento dell'adozione dell'atto amministrativo -situazione in ragione e in considerazione della quale questo è stato emanato -comporta infatti il dovere dell'Amministrazione di rimuovere l'atto -o meglio di rimuovere il rapporto da questo creato o gli effetti duraturi da questo prodotti -tutte le volte in cui tale rapporto o tali effetti non siano più conformi alla legge in ragione, ap PARERI DEL ComITATo CoNSULTIVo punto, del mutamento determinatosi nella situazione di fatto o diritto sottesa all'atto. A differenza della revoca in senso proprio -la quale si fonda su ragioni di opportunità (sopravvenute) -, la rimozione attiene invece al tema della legalità perché nella mutata situazione -di fatto o di diritto -il perdurare del rapporto o dell'effetto dell'atto non risulta più conforme a legge. Dunque, ai sensi della ricostruzione fornita, l'art. 21-quinquies della l. n. 241/1990 disciplina soltanto la revoca/rimozione motivata da sopravvenienze di fatto stabilendo che essa è possibile solo se il mutamento della situazione fattuale era imprevedibile al momento dell'adozione dell'atto; la revoca/rimozione motivata da sopravvenienze di diritto esulerebbe invece totalmente dal- l'ambito di applicazione della disposizione. Tanto premesso, si torna a sottolineare che l'applicabilità della norma è sottoposta alla ricorrenza di alcune condizioni, ovvero: 1) quella del mutamento della situazione di fatto, 2) la non prevedibilità di tale circostanza al momento dell'adozione del provvedimento e 3) la natura di provvedimento ad efficacia durevole dell'atto da revocare. Esaminando la fattispecie oggetto del presente parere alla luce della ricordata previsione normativa, va considerato quanto segue. 1. La sopravvenuta inesistenza di una sentenza penale di condanna non appare costituire un mutamento "di fatto". Infatti, in ordine alla ricorrenza del descritto requisito, cui l'art. 21-quinquies della legge sul procedimento amministrativo condiziona la "revoca" con riferimento al "mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell'adozione del provvedimento", deve ritenersi che un mutamento della situazione di fatto ricorra soltanto nel caso in cui muti la condizione materiale -e, quindi, di fatto -delle persone, dei luoghi, delle cose oggetto del provvedimento; e, specularmente, che si verifichi un mutamento della situazione di diritto quando cambi, oltre che il quadro giuridico di riferimento, la condizione giuridica -e, quindi, di diritto, appunto -di quelle persone, di quei luoghi, di quelle cose; in questo quadro si deve ritenere che il mutamento della condizione giuridica dell'ex dipendente da condannato ad assolto costituisce un mutamento della situazione di diritto -e non di fatto -del destinatario del provvedimento disciplinare il che, di per sé, impedirebbe la revoca del provvedimento medesimo, quantomeno ai sensi della norma in esame -il citato art. 21-quinquies. 2. La non prevedibilità del mutamento, che nella fattispecie sarebbe consistita nel sovvertimento della decisione del giudice penale, non sussiste. Al riguardo, fermo restando che occorre tenere distinta l'imprevedibilità soggettiva da quella oggettiva, occorre chiedersi se non sia solo a quest'ultima che la disposizione faccia riferimento. occorre dunque stabilire se in base all'articolo in esame sia o meno necessario che quel mutamento fosse o meno RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo -N. 3/2021 oggettivamente prevedibile secondo un criterio di media ed ordinaria diligenza. ora, nella specie, l'assoluzione dell'ex dipendente era un'eventualità in astratto prevedibile e che non è stata in concreto prevista sol perché non è stata svolta un'adeguata istruttoria -accertando, in particolare, che la sentenza fosse debitamente munita dell'attestazione di irrevocabilità -, assumendo, all'esito del procedimento disciplinare, un provvedimento viziato ma ritenuto (erroneamente) ormai definitivo ed inoppugnabile: nella descritta situazione non sarebbe dunque possibile per l'Amministrazione surrogarsi ora all'ex dipendente per rimuovere un provvedimento ab origine illegittimo ma la cui illegittimità -prima di tutto originaria, a prescindere, cioè, dall'esito assolutorio del processo penale -avrebbe dovuto essere fatta valere dallo stesso destinatario attraverso la diligente coltivazione dell'impugnazione avverso lo stesso tempestivamente proposta. 3. Quanto, infine, alla natura di atto ad efficacia durevole del provvedimento da revocare, sembra che vada anch'essa esclusa nella presente fattispecie. Proseguendo a ragionare nell'ottica in esame, la rimozione -ma anche la revoca, siano esse motivate da sopravvenienze fattuali o giuridiche -è concepibile soltanto con riferimento ad atti ad efficacia prolungata, i quali, come tali, non esauriscono i propri effetti nel momento in cui vengono adottati -perché, in questo caso, non vi è nulla da rimuovere o da revocare -, ma i cui effetti si protraggono nel tempo fintantoché non venga meno il rapporto giuridico al quale hanno dato origine (come avviene, ad esempio, nel caso delle concessioni, degli atti permissivi -licenze, autorizzazioni -, degli atti ablativi -espropriazioni, requisizioni -, di quelli di pianificazione). In questa prospettiva, si può ipotizzare una diversa classificazione, dal punto di vista degli effetti e dell'efficacia, del provvedimento disciplinare di perdita del grado per rimozione rispetto al requisito richiesto dalla norma in esame. Quanto agli effetti, si tratta certamente di un atto costitutivo nella misura in cui fa venir meno, estinguendolo, il rapporto di pubblico impiego. Quanto all'efficacia, esso deve ritenersi dotato di un'efficacia istantanea perché il suo effetto -consistente nell'estinzione del rapporto di servizio -si realizza e si esaurisce nel momento stesso in cui viene posto in essere: il che, naturalmente, non significa che dopo tale momento vengano meno (anche) gli effetti - risoluzione del rapporto - da esso determinati. L'atto che interessa, dunque, non deve essere classificato, dal punto di vista dell'efficacia, quale atto ad efficacia prolungata. ma se il provvedimento disciplinare che ne occupa è atto ad efficacia istantanea, riesce ben difficile configurare, rispetto ad esso, una revoca-rimozione la quale, per principio, è predicabile soltanto con riferimento ad atti ad efficacia prolungata. PARERI DEL ComITATo CoNSULTIVo In realtà, l'atto, proprio perché ad efficacia istantanea ed illegittimo, avrebbe potuto -e potrebbe -formare oggetto soltanto di annullamento, oltre che giurisdizionale, anche d'ufficio, a condizione, in questa seconda ipotesi, che fosse esistito -o esistesse -un interesse pubblico ulteriore rispetto a quello al semplice ripristino della legalità violata; mentre, come ho detto, la rimozione presuppone, al pari della revoca, che l'atto rimuovendo-revocando sia/fosse stato originariamente legittimo -e non è il nostro caso -e che, successivamente, siano/fossero venute meno le condizioni che ne avevano legittimato l'adozione: donde l'obbligo, per l'Amministrazione, di rimuoverlo, o, meglio, di far venire meno gli effetti (prolungati) e i rapporti dallo stesso prodotti. Dunque, nel caso di specie l'atto non è revocabile poiché non è un "provvedimento amministrativo ad efficacia durevole". - Conclusioni. Dall'insieme delle considerazioni che precedono consegue l'impraticabilità della revoca ex art. 21-quinquies citato, fermo il rigetto, per le ragioni già esposte, dell'istanza formulata dall'interessato ai sensi dell'art. 1393, comma 2, d.lgs. n. 66 del 15 marzo 2010. In tal senso è il parere della Scrivente. Sul presente parere, in relazione alla complessità giuridica delle questioni affrontate, è stato sentito il Comitato Consultivo dell'Avvocatura dello Stato, che si è espresso in conformità in data 7 maggio 2021. RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo -N. 3/2021 Fondo rotativo per il sostegno alle imprese e gli investimenti in ricerca di cui all’art. 1, co. 354, l. 30 dicembre 2004 n. 311 e s.m.i. risoluzione di contratto di finanziamento agevolato per inadempienze e intervento finanziario di soggetto terzo Parere del 30/06/2021-406404, al 17176/2021, avv. FaBIo TorTora Con la nota in epigrafe codesto ministero, premessa la ricostruzione sistematica della normativa di riferimento, e cioè dell'art. 1, comma 354, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (che ha previsto l'istituzione, presso la Gestione separata della Cassa depositi e prestiti S.p.A., del Fondo rotativo per il sostegno alle imprese e gli investimenti in ricerca per la concessione di finanziamenti agevolati alle imprese rimborsabili con un piano di rientro pluriennale, con Garanzia statale di ultima istanza), e dei successivi commi da 355 a 361 del medesimo art. 1 (che dettano la disciplina per l'operatività del Fondo), oltre che dei successivi Decreti attuativi del 2006 e del 2011, ed illustrata sinteticamente la vicenda che occupa, avente ad oggetto risoluzione di contratto di finanziamento agevolato, già concesso in base alla normativa richiamata a omissis, a seguito di inadempienze della medesima, chiede alla Scrivente Avvocatura di esprimersi sulla correttezza delle valutazioni operate in ordine alla determinazione di accoglimento di proposta transattiva pervenuta, nell'ambito della detta materia e già positivamente vagliata dalla CDP S.p.A., avente ad oggetto l'intervento finanziario di un terzo ad integrazione di quanto già recuperato in sede di ordinaria gestione del contratto. Deve necessariamente premettersi che, benché la nota a riscontro si concluda con una richiesta alla Scrivente Avvocatura "di rendere con urgenza il proprio parere ai sensi dell'articolo 13 del r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611", nel caso di specie non sembra vertersi in ipotesi di atto di transazione ex art. 1965 c.c. già formato da codesta Amministrazione, o di atto di transazione da predisporre a cura della Scrivente, ma di semplice disamina giuridica preliminare di una proposta, che allo stato non sembra aver ancora coinvolto direttamente il debitore (la proposta perviene direttamente dal soggetto terzo), ed avente ad oggetto sostanzialmente una possibile cessione del debito a soggetto terzo, che se lo accollerebbe, a fronte di acquisto del corrispondente credito con le correlate garanzie rilasciate, in favore del debitore, dalla Congregazione (..), soggetto fideiussore e terzo datore di ipoteca per il detto finanziamento. L'operazione, come illustrata dal soggetto terzo (..) nella propria proposta del 27 ottobre 2020, sarebbe finalizzata ad "acquisire la Casa di Cura di proprietà della omonima Congregazione che è anche titolare dell'intero capitale sociale di omissis". Rappresenta codesto Dipartimento che, a fronte di una esposizione debitoria iniziale pari ad € 2.548.665,00, e successivi incassi per una somma non PARERI DEL ComITATo CoNSULTIVo quantificata (che per differenza si calcola in € 617.376,19), l'esposizione debitoria attuale della omissis ammonterebbe ad € 1.931.288,81. L'intervento del terzo, illustrato nella proposta allegata, permetterebbe di recuperare un importo pari ad € 1.515.000,00, portando la percentuale finale di realizzo (considerato il già versato dalla debitrice) a circa l’84% dell'importo originariamente finanziato (€ 2.132.376,19). Come detto, tale proposta ha già trovato favorevole accoglimento presso la CDP S.p.A., organismo finanziatore, alla luce soprattutto delle valutazioni espresse in proposito dal Soggetto Agente (Banca (..)) sui seguenti punti: "la stessa è "meritevole di accettazione e conveniente in quanto prevede: a) un ammontare superiore del credito recuperato [pari a complessivi euro 3.030.000 da ripartire in parti uguali con il soggetto Finanziatore] rispetto a quello che potrebbe rinvenire dalle procedure esecutive [stimato in complessivi euro 2.010.000 da ripartire in parti uguali con il soggetto Finanziatore]; b) un azzeramento del rischio di mancato incasso; c) una netta riduzione dei tempi di recupero". Su tale base la CDP S.p.A. ha sottoposto tale proposta al parere preventivo di codesto Dipartimento, in base a quanto stabilito dall'art. 2, co. 1, del Decreto del Direttore Generale del Tesoro del 15 novembre 2011 n. 90562 (che prevede che, in caso di adesione da parte di CDP a procedure di concordato preventivo o in caso di accettazione di proposte transattive avanzate dal beneficiario del finanziamento, la garanzia dello Stato opera esclusivamente in presenza di una preventiva autorizzazione da parte del Dipartimento del Tesoro su tali operazioni). Tutto ciò considerato, la proposta, per come rappresentata e documentata da codesta Amministrazione, appare comunque orientata al soddisfacimento di una non trascurabile percentuale dell'originario debito, comportando una soddisfazione nell'ordine dell'84 % circa dello stesso. Ciò appare coerente, in linea teorica, con quanto stabilito dall'art. 2, co. 3, del decreto attuativo del ministro dell'economia e delle finanze del 12 luglio 2006 n. 72963, che stabilisce che la Garanzia statale di ultima istanza, già prevista dall'art. 1 comma 359, della Legge n. 311/2004, nel caso in cui CDP recuperi parzialmente il proprio credito per il tramite di accordi transattivi, "opera per la restante parte del credito, ma comunque per un importo non superiore al 40 per cento del- l'ammontare del finanziamento agevolato concesso", come riportato nella richiesta di parere. Inoltre la proposta, qualora finalizzata in un accordo del quale sia parte anche il debitore, parrebbe dar luogo, sul piano giuridico, a una fattispecie negoziale compatibile con le previsioni dello stesso decreto ministeriale, avendo ad oggetto, a fronte della rilevata riduzione del credito vantato da CDP e della rinuncia di quest'ultima alle procedure esecutive pendenti e alle garanzie che assistono i relativi crediti, l'immediato soddisfacimento dello stesso, nella con RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo -N. 3/2021 siderevole misura sopra indicata, da parte di un terzo soggetto, evitando l'allungamento temporale e l'alea concernente la possibilità di recuperare un credito di pari importo, connessi all'ulteriore corso delle suddette procedure esecutive. Tenuto, peraltro, conto, della circostanza che il suddetto accordo dovrebbe necessariamente avere ad oggetto diritti disponibili dei sottoscrittori, si evidenzia che, diversamente da quanto sembra ipotizzato nella proposta in esame, il saldo definitivo del debito nella misura convenuta, da parte del terzo, dovrebbe avvenire contestualmente alla rinuncia alle procedure esecutive da parte di CDP e non già anche all'acquisizione degli immobili assoggettati ad esecuzione, non risultando la stessa CDP e il Soggetto Agente gli esclusivi titolari di tutte le azioni esecutive in corso e non dipendendo, quindi, soltanto dalla loro rinuncia la cessazione delle suddette procedure. Dati per presupposti ed accertati in concreto, con valutazione non di competenza della Scrivente: -sia il verificarsi della condizione prevista dall'art. 2, comma 1, lett. a), del Decreto attuativo del ministro dell'economia e delle finanze del 12 luglio 2006 n. 72963; -sia la insussistenza delle cause di inefficacia della garanzia previste dal- l'art. 2, comma 2, lett. a) e b), del medesimo Decreto; -sia le minori e più dilazionate possibilità di realizzazione del credito in executivis, in escussione tanto delle "garanzie personali" (risultando fideiussione in atti) che "reali costituite a tutela del credito"(ex art. 1, comma 2, lett. b), del medesimo Decreto) secondo la valutazione espressa dal Soggetto Agente, nella comunicazione del 4 dicembre 2020, nella relazione integrativa del 23 febbraio 2021, nonché la complessiva convenienza dell'operazione sotto il profilo economico; tenuto, altresì, conto, della necessità di assicurare la sussistenza degli ulteriori presupposti per l'operatività della garanzia statale, indicati nei citati decreti ministeriali, allo stato non si rinvengono motivi ostativi alla espressione di un parere favorevole di codesto ministero sulla proposta formulata, nei sensi rappresentati nella nota a riscontro e nei termini sopra evidenziati, a condizione che l'eventuale accordo concluso sulla base di quest'ultima faccia comunque salvo il diritto di surroga dello Stato nei diritti di credito di CDP, nei limiti della garanzia statale effettivamente prestata, atteso che, in caso di positivo esito della complessa operazione, sarà onere di codesto ministero "proseguire o dare avvio a tutte le ulteriori attività di recupero di quanto già dovuto alla CdP dal debitore", come previsto dall'art. 2, comma 5, del Decreto del Direttore Generale del Tesoro del 15 novembre 2011 n. 90562, in base alla surroga prevista dal precedente comma 4. Valuterà, infine, codesta Direzione, come per altra analoga precedente fattispecie (miragica S.p.A. -ns. CS 35876/20), l'opportunità di prevedere da parte di CDP S.p.A. che l'accordo transattivo soggiaccia alla condizione riso PARERI DEL ComITATo CoNSULTIVo lutiva espressa, sia del mancato puntuale adempimento anche di parte degli impegni assunti dal Soggetto proponente e/o delle condizioni previste dall'accordo medesimo; sia della ricorrenza di un evento lesivo e/o pregiudizievole all'adempimento degli impegni assunti. Sulla questione è stato sentito il Comitato Consultivo dell’Avvocatura dello Stato che, nella seduta del 30 giugno 2021, si è espresso in conformità. Si resta, comunque, a disposizione per eventuali ulteriori necessità. RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo -N. 3/2021 Confisca di beni immobili ai sensi dell’art. 240 c.p.: sulla tutela dei diritti di garanzia dei terzi creditori del soggetto in danno del quale la confisca è operata Parere del 23/12/2021-748432, al 44027/2020, avv. FranCesCo melonCellI la richiesta di parere. In relazione al procedimento penale in oggetto, codesta Avvocatura Distrettuale riferisce che è stata pronunciata sentenza penale irrevocabile che, ai sensi dell'art. 240 cp, ha disposto la confisca di una serie di beni immobili, consegnati poi all'Agenzia del demanio, sui quali risultavano trascritti ipoteche e pignoramenti anche antecedenti al relativo sequestro preventivo. Dall'Agenzia del demanio è stato allora posto un quesito circa le modalità di gestione dei suddetti beni, soprattutto in relazione alle eventuali esigenze di tutela del terzo creditore. Codesta Avvocatura Distrettuale, al termine di un'approfondita e condividibile disamina della problematica sollevata dall'amministrazione, pone all'attenzione il seguente dilemma: se l'Agenzia del demanio possa procedere in ogni caso alla vendita degli immobili, previa richiesta al conservatore dei registri immobiliari di cancellare le ipoteche e i pignoramenti, anche anteriori al sequestro preventivo, sulla base del solo provvedimento di confisca, ovvero se essa debba, invece, rivolgersi al Tribunale che ha disposto la confisca, per chiedere di procedere alla vendita, sicché, a seguito dell'informativa che ne riceverebbero i creditori procedenti, sarebbe probabile la proposizione, da parte loro, di un incidente d'esecuzione, con consequenziale verifica della loro buona fede e, in caso d'accertamento positivo, di loro partecipazione alla distribuzione del ricavato. Ritenendo che il dilemma costituisca questione di massima da sottoporre all'Avvocatura Generale, codesta Distrettuale mostra di propendere in favore di un'interpretazione estensiva degli artt. 52 e ss. del D.Lgs 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia), quanto alla tutela dei diritti di garanzia dei terzi creditori. le disposizioni normative rilevanti. La normativa in materia di confisca è ampia e assai articolata, comprendendo norme di carattere generale a fianco di numerose norme di carattere speciale e particolare. Limitandosi, perciò e di primo acchito, alle disposizioni tenute presenti nella richiesta di parere, figura, anzitutto, l'art. 240 cp (Confisca), il quale dispone che «nel caso di condanna, il giudice può ordinare la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, e delle cose, che ne sono il prodotto o il profitto. PARERI DEL ComITATo CoNSULTIVo È sempre ordinata la confisca: 1. delle cose che costituiscono il prezzo del reato; 1-bis. dei beni e degli strumenti informatici o telematici che risultino essere stati in tutto o in parte utilizzati per la commissione dei reati di cui agli articoli 615-ter, 615-quater, 615-quinquies, 617-bis, 617-ter, 617-quater, 617quinquies, 617-sexies, 635-bis, 635-ter, 635-quater, 635-quinquies, 640-ter e 640-quinquies nonché dei beni che ne costituiscono il profitto o il prodotto ovvero di somme di denaro, beni o altre utilità di cui il colpevole ha la disponibilità per un valore corrispondente a tale profitto o prodotto, se non è possibile eseguire la confisca del profitto o del prodotto diretti; 2. delle cose, la fabbricazione, l'uso, il porto, la detenzione o l'alienazione delle quali costituisce reato, anche se non è stata pronunciata condanna. le disposizioni della prima parte e dei numeri 1 e 1-bis del capoverso precedente non si applicano se la cosa o il bene o lo strumento informatico o telematico appartiene a persona estranea al reato. la disposizione del numero 1-bis del capoverso precedente si applica anche nel caso di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale. la disposizione del n. 2 non si applica se la cosa appartiene a persona estranea al reato e la fabbricazione, l'uso, il porto, la detenzione o l'alienazione possono essere consentiti mediante autorizzazione amministrativa». Si precisa, peraltro, che il comma 1-bis dell'art. 240 cp, ratione temporis applicabile ai fatti di causa, così prevedeva: «1-bis, dei beni e degli strumenti informatici o telematici che risultino essere stati in tutto o in parte utilizzati per la commissione dei reati di cui agli articoli 615-ter, 615-quater, 615-quinquies, 617-bis, 617-ter, 617-quater, 617-quinquies, 617-sexies, 635-bis, 635ter, 635-quater, 635-quinquies, 640-ter e 640-quinquies». Inoltre, l'art. 52 del DLgs n. 159/2011 (diritti dei terzi) prevede, tra l'altro, che «1. la confisca non pregiudica i diritti di credito dei terzi che risultano da atti aventi data certa anteriore al sequestro, nonché i diritti reali di garanzia costituiti in epoca anteriore al sequestro, ove ricorrano le seguenti condizioni: a) che il proposto non disponga di altri beni sui quali esercitare la garanzia patrimoniale idonea al soddisfacimento del credito, salvo che per i crediti assistiti da cause legittime di prelazione su beni sequestrati; b) che il credito non sia strumentale all'attività illecita o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego, sempre che il creditore dimostri la buona fede e l'inconsapevole affidamento; c) nel caso di promessa di pagamento o di ricognizione di debito, che sia provato il rapporto fondamentale; d) nel caso di titoli di credito, che il portatore provi il rapporto fondamentale e quello che ne legittima il possesso. RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo -N. 3/2021 2. I crediti di cui al comma 1 devono essere accertati secondo le disposizioni contenute negli articoli 57, 58 e 59 e concorrono al riparto sul valore dei beni o dei compendi aziendali ai quali si riferiscono in base alle risultanze della contabilità separata di cui all'articolo 37, comma 5. 2-bis. Gli interessi convenzionali, moratori e a qualunque altro titolo dovuti sui crediti di cui al comma 1 sono riconosciuti, nel loro complesso, nella misura massima comunque non superiore al tasso calcolato e pubblicato dalla Banca d'Italia sulla base di un paniere composto dai buoni del tesoro poliennali quotati sul mercato obbligazionario telematico (rendIsTaTo). 3. nella valutazione della buonafede, il tribunale tiene conto delle condizioni delle parti, dei rapporti personali e patrimoniali tra le stesse e del tipo di attività svolta dal creditore, anche con riferimento al ramo di attività, alla sussistenza di particolari obblighi di diligenza nella fase precontrattuale nonché, in caso di enti, alle dimensioni degli stessi. 3-bis. Il decreto con cui sia stata rigettata definitivamente la domanda di ammissione del credito, presentata ai sensi dell'articolo 58, comma 2, in ragione del mancato riconoscimento della buonafede nella concessione del credito, proposta da soggetto sottoposto alla vigilanza della Banca d'Italia, è comunicato a quest'ultima ai sensi dell'articolo 9 del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, e successive modificazioni. 4. la confisca definitiva di un bene determina lo scioglimento dei contratti aventi ad oggetto un diritto personale di godimento o un diritto reale di garanzia, nonché l'estinzione dei diritti reali di godimento sui beni stessi. 5. ai titolari dei diritti di cui al comma 4, spetta in prededuzione un equo indennizzo commisurato alla durata residua del contratto o alla durata del diritto reale. se il diritto reale si estingue con la morte del titolare, la durata residua del diritto è calcolata alla stregua della durata media della vita determinata sulla base di parametri statistici. le modalità di calcolo dell'indennizzo sono stabilite con decreto da emanarsi dal ministro dell'economia e delle finanze e del ministro della giustizia entro centoottanta giorni dall'entrata in vigore del presente decreto. 6. se sono confiscati beni di cui viene dichiarata l'intestazione o il trasferimento fittizio, i creditori del proposto sono preferiti ai creditori chirografari in buonafede dell'intestatario fittizio, se il loro credito è anteriore all'atto di intestazione fittizia...». metodologia e limitazione dell'ambito del parere. occorre anzitutto prendere atto che in materia di confisca il quadro dottrinale e giurisprudenziale si presenta al momento in forte evoluzione e frammentato, al punto che appare arduo individuare persino un punto fermo sulla natura in generale dell'istituto della confisca in ambito penale. Come noto, infatti, quale effetto della contrapposizione di punti di vista diversi e di una co PARERI DEL ComITATo CoNSULTIVo piosa normazione disorganica, è stato prospettato, anche e soprattutto in giurisprudenza, che nell'ordinamento s'individua una pluralità di confische (a mero titolo d'esempio, obbligatoria, facoltativa, codicistica di parte generale, codicistica di parte speciale, extracodicistica, generale/speciale/particolare, diretta/ per equivalente o di valore, allargata, per sproporzione, di prevenzione, amministrativa da depenalizzazione, variamente combinate tra di loro). Pertanto, in giurisprudenza, si è affermata da tempo la tendenza a privilegiare valutazioni casistiche, che cioè variano da caso a caso, a seconda del tipo di confisca di cui si tratta (cfr. Cass. pen. Sez. Unite Sent., 27 marzo 2008, n. 26654). In linea con questa tendenza, risulta allora preferibile e maggiormente confacente all'esigenza dell'Agenzia del demanio, all'attualità, piuttosto che tracciare una soluzione generale riferibile a un istituto unitario (la confisca in sé), verificare preliminarmente quale confisca sia stata disposta nella fattispecie in esame, al fine di risolvere il caso concreto da cui muove la richiesta di consulenza legale, senza pretesa, in questa sede, di fornire una soluzione generale che sia valevole per ogni figura di confisca presente nell'ordinamento, cosicché si possa formulare sì un parere di massima, concernente soltanto lo specifico oggetto d'interesse che, come subito si vedrà, è costituito dalla confisca ai sensi dell'art. 240 cp. Ebbene, dal dispositivo della sentenza del Tribunale di Lecce del 5 aprile 2013, che sarebbe stata confermata in Corte d'appello (agli atti è leggibile con chiarezza soltanto il dispositivo della sentenza di primo grado), risulta confermato che la confisca di beni immobili già in sequestro -gli unici d'interesse per l'Agenzia del demanio -è stata ordinata soltanto ai sensi dell'art. 240 cp, senza ulteriore specificazione. Non risulta del tutto chiaro a quale titolo di reato siano state comminate le condanne, profilandosi, peraltro, un'associazione a delinquere (art. 416 cp) per rapina (628 cp) e reati per produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope (art. 73 DPR n. 309/1990). Appare dunque estraneo al caso in disamina l'art. 12-sexies (Ipotesi particolari di confisca) del DL 8 giugno 1992, n. 306, conv. con mod. in L. 7 agosto 1992, n. 356, che è citato nella richiesta di parere, seppur al solo scopo di comparazione delle fattispecie, e ai sensi del quale alla c.d. confisca allargata si applica, tra gli altri, l'art. 52 del DLgs n. 159/2011. Inoltre, a meno che gli immobili non costituiscano il prezzo del reato, cosa che pare doversi qui escludere, salvo diversa verifica di codesta Avvocatura Distrettuale, la confisca disposta non può che configurarsi come facoltativa e diretta, di cui al primo comma dell'art. 240 cp. Gli orientamenti della giurisprudenza italiana sulla tutela del terzo creditore rispetto alla confisca. Siccome si tratta di confisca diretta e facoltativa, essa rientra, secondo RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo -N. 3/2021 tradizione, nell'istituto delle misure di sicurezza reali o patrimoniali, a carattere non punitivo bensì cautelare, aventi finalità preventiva fondata sulla pericolosità del reo (anche indiretta per mezzo della pericolosità della cosa) derivante dalla disponibilità di alcune cose che servirono o furono destinate a commettere il reato ovvero delle cose che ne sono il prodotto o il profitto. Trattandosi di misura di sicurezza patrimoniale, dalla confisca consegue un istantaneo trasferimento del bene in favore del patrimonio dello Stato. È discusso se l'acquisto sia effettuato a titolo derivativo o originario. Vi sono pronunce che ne affermano in generale la natura derivativa: la confisca, sia essa quella regolata dagli artt. 236 e 240 cp, quale misura di sicurezza, sia quella disciplinata come vera e propria sanzione o surrogato di sanzione da alcune leggi speciali (soprattutto in materia fiscale), e sia quella avente - infine - duplice carattere preventivo e repressivo, dà luogo ad un acquisto in favore dello Stato, del bene confiscato, non altrimenti definibile che come "derivativo", proprio in quanto esso non prescinde dal rapporto già esistente fra quel bene ed il precedente titolare, ma anzi un tale rapporto "presuppone" ed un tal rapporto è volto a fare venir meno, per ragioni di prevenzione e/o di politica criminale, con l'attuare il trasferimento del diritto, dal privato condannato o indiziato di appartenenza ad associazioni mafiose, allo Stato (Cass. Sez. 1 civ., Sentenza n. 5988 del 3 luglio 1997). Vi sono, per converso, pronunce che ne affermano la natura di acquisto a titolo originario, se si tratti di confisca preventiva: nel riferirsi ai commi da 189 a 205 della L. 24 dicembre 2012, n. 228, Cass. civ. Sez. Unite, Sent., (ud. 26 febbraio 2013) 7 maggio 2013, n. 10533 ha ritenuto che «il legislatore sembra avere risolto, nel senso della prevalenza della misura di prevenzione patrimoniale, il quesito relativo ai rapporti ipoteca-confisca, indipendentemente dal dato temporale, con conseguente estinzione di diritto degli oneri e pesi iscritti o trascritti. nessun dubbio che la norma faccia riferimento anche all'ipoteca, al sequestro conservativo ed al pignoramento ricompresi tra i pesi e gli oneri dei quali è affermata l'estinzione. ma, quel che pare anche avere avuto soluzione è la natura dell'acquisto del bene confiscato da parte dello stato che, a seguito dell'estinzione di diritto dei pesi e degli oneri iscritti o trascritti prima della misura di prevenzione della confisca acquista un bene non più a titolo derivativo, ma libero dai pesi e dagli oneri, pur iscritti o trascritti anteriormente alla misura di prevenzione. In sostanza, superando la condivisa opinione della giurisprudenza civile e penale sulla natura derivativa del titolo di acquisto del bene immobile da parte dello stato a seguito della confisca, il legislatore ha inteso ricomprendere questa misura nel solco delle cause di estinzione dell'ipoteca disciplinate dall'art. 2878 c.c. PARERI DEL ComITATo CoNSULTIVo alla stregua di tale normativa, dunque, in ogni caso, la confisca prevarrà sull'ipoteca. la salvaguardia del preminente interesse pubblico, dunque, giustifica il sacrificio inflitto al terzo di buonafede, titolare di un diritto reale di godimento o di garanzia, ammesso, ora, ad una tutela di tipo risarcitorio. Il bilanciamento dei contrapposti interessi viene, quindi, differito ad un momento successivo, allorché il terzo creditore di buona fede chiederà -attraverso l'apposito procedimento - il riconoscimento del suo credito». Si rinvengono poi pronunce giurisprudenziali che nell'ambito dell'una o dell'altra categorizzazione, o a prescindere da essa, effettuano distinzioni specifiche. In funzione delle differenza specifica costituita dalla finalità preventiva o repressiva, si è così anzitutto affermato nella giurisprudenza di legittimità, con riguardo all'art. 240 cp, che, pur riconoscendo alla confisca il carattere di modo di acquisto a titolo originario a favore dello Stato, non ne consegue, come effetto necessario ed indiscriminato, l'estinzione di ogni diritto reale e di garanzia reale gravante sulla cosa, tale estinzione operando rispetto ai diritti reali o di garanzia che appaiono nelle singole ipotesi incompatibili con la funzione e gli scopi in vista dei quali è previsto il sorgere di un diritto a titolo originario. Deve distinguersi al riguardo la confisca preventiva dalla confisca repressiva. mentre nel primo caso i diritti reali o di garanzia reale del terzo vengono in genere soppressi, e solo eccezionalmente si convertono nel diritto ad un parziale indennizzo per la perdita subita, nel secondo caso non vi è alcuna incompatibilità concettuale al permanere dei diritti reali e di garanzia sulla cosa confiscata che viene acquisita al patrimonio disponibile dello Stato (Cass. Sez. 3 civ., Sentenza n. 1207 del 30 maggio 1967). Così, per Cass. pen. Sez. I Sent., 27 ottobre 2017, n. 15534, in tema di confisca per equivalente, la natura sanzionatoria del provvedimento non osta alla tutela del diritto sul bene oggetto di confisca vantato da un terzo estraneo alla condotta illecita altrui, che versa in condizione di buona fede. Non manca, però, la giurisprudenza che sembra invertire il rapporto di genere a specie, di cui si è appena letto nella risalente pronuncia della Suprema Corte dell'anno 1967. Infatti, per Cass. pen. Sez. III Sent., 18 aprile 2019, n. 38608, la previsione dell'art. 52 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, secondo cui la confisca non pregiudica i diritti di credito dei terzi e i diritti reali di garanzia anteriori al sequestro, sebbene riferita alla cd. confisca di prevenzione, esprime un principio generale, valido anche per gli altri tipi di confisca, diretta o per equivalente, per i quali venga in rilievo la posizione del terzo titolare di diritti di credito o di garanzia, ivi compresa quella in ambito tributario di cui all'art. 12-bis d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74. La disciplina in materia di tutela dei terzi rispetto alla confisca preventiva nel settore antimafia viene dunque letta, non come un'eccezione, ma come un'applicazione settoriale di un principio di più RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo -N. 3/2021 ampia portata. Si tratta dell'estensione, che sarebbe soltanto esplicitata nel diritto positivo proprio nella normativa antimafia, del principio generale di tutela del terzo in buona fede che ha agito con affidamento incolpevole, derivabile dall'art. 27 Cost. sulla personalità della responsabilità penale. Quanto all'ipoteca, la giurisprudenza di legittimità s'è consolidata in effetti, per lo meno a partire da Cass. pen. Sez. Unite ord., 28 aprile 1999, n. 9, a proposito della confisca per equivalente, nel senso che l'applicazione della confisca non determina l'estinzione del preesistente diritto reale di garanzia costituito a favore di terzi sulle cose che ne sono oggetto quando costoro, avendo tratto oggettivamente vantaggio dall'altrui attività criminosa, riescano a provare di trovarsi in una situazione di buona fede e di affidamento incolpevole. Sempre in materia di confisca per equivalente, però, la posizione non è granitica: secondo Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 11 luglio 2018) 18 gennaio 2019, n. 2351, «il rilievo della ontologica differenza tra la confisca per equivalente e quella di prevenzione, giacché, mentre quella disposta all'esito del giudizio penale postula l'accertamento della consumazione di un reato e l'affermazione della relativa responsabilità, a fronte dei quali le garanzie dei terzi sui beni confiscati sono destinate a recedere, quella di prevenzione si fonda sui presupposti stabiliti dal d.lgs. n. 159 del 2011, art. 24 ..., e, ai sensi del d.lgs. n. 159 del 2011, art. 16, può essere disposta nei confronti dei soggetti di cui al d.lgs. n. 159 del 2001, art. 4 ...: tale radicale differenza di presupposti, destinatari e funzione, giustifica anche la diversa disciplina applicabile, sicché non è dato rilevare la ingiustificata disparità di trattamento prospettata ..., né i presupposti per una estensione adeguatrice della disciplina dettata per la confisca di prevenzione». Analogamente, v. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 8935 del 20 gennaio 2016; Sez. 4, Sentenza n. 36092 del 6 luglio 2017; Sez. 2, Sentenza n. 10471 del 12 febbraio 2014. Qualche mese dopo, nello stesso anno, tuttavia, la Corte di cassazione, Sez. 3 pen., con la già citata sentenza n. 38608 del 18 aprile 2019, ha di nuovo sostenuto che la previsione dell'art. 52 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, secondo cui la confisca non pregiudica i diritti di credito dei terzi e i diritti reali di garanzia anteriori al sequestro, sebbene riferita alla cd. confisca di prevenzione, esprime un principio generale, valido anche per gli altri tipi di confisca, diretta o per equivalente, per i quali venga in rilievo la posizione del terzo titolare di diritti di credito o di garanzia, ivi compresa quella in ambito tributario di cui all'art. 12-bis d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74. Si tratta di posizione confermata, da ultimo, anche da Corte di cassazione, Sez. 3 pen., 9 settembre 2021, n. 33429/21, secondo cui «3.14. le disposizioni in materia di tutela dei terzi e di esecuzione del sequestro previste dal codice delle leggi antimafia di cui al d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, si applicano anche alle confische disposte da fonti normative poste al di fuori del codice penale e, dunque, anche a quella disposta ai sensi del d.lgs. n. 74 del 2000, art. 12-bis. PARERI DEL ComITATo CoNSULTIVo 3.15. resta da appurare in che modo operi tale tutela. 3.16. al riguardo non possono che venire in rilievo le norme contenute nel Titolo Iv libro I, d.lgs. n. 159 del 2011, ed in particolare gli artt. 52 e 55. 3.17. l 'art. 55, comma 1, in particolare, esclude che sui beni sottoposti a sequestro ("scilicet" anche finalizzato ad una delle confische di cui all'art. 240-bis c.p., e/o art. 578-bis c.p.p.) possano essere iniziate o proseguite azioni esecutive. Il successivo comma 2 sancisce l'estinzione tout court delle procedure esecutive in relazione a beni oggetto di provvedimento definitivo di confisca. 3.18. la tutela del terzo creditore in buona fede non opera, dunque, mediante la sterilizzazione nei suoi confronti del provvedimento ablativo, bensì nei termini e modi stabiliti dall'art. 52, d.lgs. n. 159, cit., il cui comma 1 stabilisce che "la confisca non pregiudica i diritti di credito dei terzi che risultano da atti aventi data certa anteriore al sequestro, nonché i diritti reali di garanzia costituiti in epoca anteriore al sequestro", se ricorrono le condizioni indicate alle successive lettere a), b), c) e d). 3.19. Ciò perché la confisca comporta l'acquisizione del bene allo stato libero da oneri e pesi (d.lgs. n. 159 del 2011, art. 45, comma 1). 3.20. Il terzo, dunque, può far valere le proprie ragioni creditorie in sede esecutiva penale... 3.21. Ciò non esclude in alcun modo che la Banca non abbia un interesse tutelabile in sede penale sol perché non proprietaria del bene confiscato, bensì, come nel caso di specie, di un diritto reale di garanzia (ma sarebbe sufficiente anche un diritto credito chirografario azionato in sede esecutiva sul bene confiscato); si deve al contrario riconoscere che la banca è titolare di una situazione giuridica soggettiva attiva preesistente al provvedimento ablatorio che non solo la legittimava all'esercizio dell'azione in sede esecutiva per la riscossione coattiva del credito ma anche alla conservazione del bene che costituisce la garanzia immediata e diretta del proprio credito e alla conseguente prosecuzione in sede civilistica dell'azione esecutiva definitivamente estinta dal sopravvenuto provvedimento di confisca. Tale provvedimento ha sicuramente inciso non sul diritto di credito bensì sui limiti e modi di esercizio del diritto stesso che, in caso di confisca, possono pregiudicarne il riconoscimento o limitarne l'oggetto. dunque la banca ha certamente interesse alla eliminazione dal modo giuridico di un provvedimento che pregiudica e/o limita il pieno e incondizionato esercizio del proprio diritto di credito». In funzione della distinzione tra tutela penale e civile, altra giurisprudenza ha, infine, sancito che gli effetti della confisca penale (di qualunque natura), ordinata anteriormente all'assegnazione o all'aggiudicazione nell'espropriazione forzata, prevalgono sui diritti dei terzi creditori del soggetto in danno del quale la confisca è operata, anche se si tratta di diritti reali di garanzia RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo -N. 3/2021 iscritti anteriormente, sicché la confisca penale intervenuta prima del pignoramento prevale senz'altro su quest'ultimo, sul piano civile, indipendentemente dalla data della sua trascrizione, mentre l'eventuale tutela dei diritti dei creditori pignoranti o titolari di diritti reali di garanzia è possibile solo in sede penale, nell'ambito dell'esecuzione penale (Cass. civ. Sez. III, 30 novenbre 2018, n. 30990). Ancor più recentemente, però, prendendo espressamente in considerazione quest'ultima posizione della stessa Sezione, Cass. civ. Sez. III, Sent., 10 dicembre 2020, n. 28242, ha opinato che «... successivamente alla giurisprudenza delle sezioni unite civili di questa Corte del 2013 ed alle sue prime pronunce applicative (applicata poi dalle più recenti Cass. 30/11/2018, n. 30990, ma a confisca d.l. n. 306 del 1992, ex art. 12-sexies nonchè Cass. 08/02/2019, n. 3709, ma a confisca ai sensi della l. n. 575 del 1965), l'evoluzione della disciplina sostanziale e processuale della confisca (tra cui soprattutto quella introdotta dalla razionalizzazione operata con la l. 17 ottobre 2017, n. 161) e la giurisprudenza di legittimità penale hanno chiaramente interpretato come speciale la disciplina dettata dal d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, così escludendo che questa possa reputarsi invece espressione di un principio generale di prevalenza delle esigenze pubblicistiche sottese ai corrispondenti istituti in materia penale e di prevenzione. 3. ne segue che, da un lato, i rapporti tra confisca e procedure esecutive civili sono regolati dal d.lgs. n. 159 del 2011 (con sostanziale prevalenza del- l'istituto penalistico sui diritti reali dei terzi, che solo se di buona fede possono vedere tutelate le loro ragioni, ma in sede di procedimento di prevenzione o di esecuzione penale) esclusivamente nelle ipotesi di confisca che sono disciplinate da quello direttamente o da norme che esplicitamente vi rinviano (come l’art. 104-bis disp. att. cpp.; da ultimo: Cass. pen. 13/05/2 20, n. 14378, imp. marchio, ud. 12/12/2019; Cass. pen. 10/07/2019, n. 30422, imp. samariti, ud. 30/05/2019); e, dall'altro, che pure a regolare i rapporti tra le tipologie di confisca diverse da quelle del d.lgs. n. 159 del 2011 (e da quelle ad esse equiparate per espressa previsione normativa) e le procedure esecutive civili si applica il principio generale della successione temporale delle formalità nei pubblici registri (Cass. pen. sez. III, 09/11/2018, n. 51043, deri e altri, c.d. 03/10/2018, per la quale, "ai sensi dell'art. 2915 c.c., l'opponibilità del vincolo penale al terzo acquirente in sede esecutiva dipende dalla trascrizione del sequestro, ai sensi dell'art. 104 disp. att. c.p.p., che deve essere antecedente a quella del pignoramento immobiliare, venendo così a rappresentare il presupposto per la confisca anche successivamente all'acquisto"; sicché, "se la trascrizione del sequestro è successiva, il bene deve ritenersi appartenente al terzo pieno iure, con conseguente impossibilità della confisca posteriore all'acquisto") ». Nel senso della compatibilità tra vincoli penali e civili, con consequen PARERI DEL ComITATo CoNSULTIVo ziale applicazione del sistema ordinario di priorità delle trascrizioni (art. 2915 cc), si è espressa anche Cass. pen. Sez. III, Sent., 9 novembre 2018, n. 51043, secondo cui «in tema di rapporto tra sequestro e confisca in sede penale e procedimento immobiliare in sede civile con riferimento alla posizione dei terzi acquirenti, difettando specifiche disposizioni che lo disciplinino, deve ritenersi che il legislatore abbia considerato ed ammesso la possibilità di una contemporanea pendenza di due procedimenti, cui consegue la possibilità di rinvenire un punto di coordinamento nel principio secondo il quale la confisca diretta del profitto, .... non può attingere beni appartenenti a persone estranee al reato. ... va poi rilevato, tenuto conto anche del disposto dell'art. 2915 c.c., che l'opponibilità del vincolo penale al terzo acquirente in sede esecutiva dipende dalla trascrizione del sequestro (ex art. 104 disp. att. c.p.p.), che deve essere antecedente a quella del pignoramento immobiliare, venendo così a rappresentare il presupposto per la confisca anche successivamente all'acquisto. diversamente, se la trascrizione del sequestro è successiva, il bene deve ritenersi appartenente al terzo "pieno iure" con conseguente impossibilità della confisca posteriore all'acquisto». In conclusione, quale risultato della disamina della giurisprudenza, deve convenirsi con codesta Avvocatura Distrettuale che non si rinvengono pronunce risolutive sull'art. 240 cp, con riguardo alla tutela dei creditori del soggetto assoggettato a confisca, e che, al riguardo, il quadro giurisprudenziale non è comunque univoco. l'ordinamento comunitario. A fronte della frammentata interpretazione normativa risultante dalla giurisprudenza nazionale, appena descritta, non può non esaminarsi l'ordinamento comunitario in materia. In proposito, il 18 dicembre 2020 (v. art. 41) è entrato in vigore il Reg. (CE) 14/11/2018, n. 2018/1805/UE, relativo al riconoscimento reciproco dei provvedimenti di congelamento e di confisca. Con la finalità di agevolare e semplificare il riconoscimento e l'esecuzione dei provvedimenti di congelamento e confisca emessi dalle autorità di uno Stato membro diverso da quello in cui devono produrre i loro effetti, il regolamento armonizza le norme nazionali che prevedono le varie tipologie di provvedimento ablativo e offre a tutti gli Stati membri un quadro generale di riferimento, in quanto "dovrebbe applicarsi a tutti i provvedimenti di congelamento e tutti i provvedimenti di confisca emessi nel quadro di un procedimento in materia penale. «Procedimento in materia penale» è un concetto autonomo del diritto dell'unione interpretato dalla Corte di giustizia del- l'unione europea, ferma restando la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo. Tale termine contempla pertanto tutti i tipi di provvedimenti RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo -N. 3/2021 di congelamento e provvedimenti di confisca emessi in seguito a procedimenti connessi ad un reato e non solo i provvedimenti che rientrano nell'ambito di applicazione della direttiva 2014/42/ue. esso contempla inoltre altri tipi di provvedimenti emessi in assenza di una condanna definitiva" (considerando n. 13 del Regolamento). L'ambito d'applicazione è dunque molto esteso e comprende senz'altro la fattispecie oggetto della richiesta di parere dell'Agenzia del demanio, ovverosia la confisca tradizionale (misura di sicurezza) prevista dal codice penale all'art. 240. Infatti, ai sensi dei par. 1 e par. 4 dell'art. 1 del Regolamento, «1. Il presente regolamento stabilisce le norme secondo le quali uno stato membro riconosce ed esegue nel suo territorio provvedimenti di congelamento e provvedimenti di confisca emessi da un altro stato membro nel quadro di un procedimento in materia penale ... 4. Il presente regolamento non si applica ai provvedimenti di congelamento e ai provvedimenti di confisca emessi nel quadro di un procedimento in materia civile o amministrativa»; provvedimento di confisca è «una sanzione o misura definitiva imposta da un organo giurisdizionale a seguito di un procedimento connesso a un reato, che provoca la privazione definitiva di un bene di una persona fisica o giuridica» (art. 2 n. 2 del Regolamento). Deve notarsi, poi, che per il n. 10 dell'art. 2 del Regolamento sono annoverati tra i soggetti colpiti dalla confisca anche i terzi i cui diritti relativi ai beni oggetto del provvedimento di confisca sono direttamente lesi da detto provvedimento secondo il diritto dello Stato di esecuzione. Si tratta di definizione del terzo che rinvia alla legislazione degli Stati membri, dovendo ricavarsi la qualifica in questione, volta per volta, in base alla legge nazionale dello Stato di esecuzione (v. Considerando n. 15). La considerazione del terzo, nell'art. 2 del Regolamento, tra i soggetti colpiti dalla confisca è rilevante per attribuirgli i diritti d'informativa, di cui all'art. 32, e la legittimazione processuale, sia a contestare il contenuto del provvedimento ablatorio (art. 33) sia ad esperire la tutela risarcitoria (art. 34). Ancorché il Regolamento sia applicabile a decorrere dal 19 dicembre 2020 (art. 41), può comunque ben reputarsi che la realizzazione della tutela dei diritti fondamentali, anche a favore dei terzi creditori, sia stata anticipata dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, la quale, pur in mancanza di disposizioni normative esplicite sulla necessità di tutelare i diritti dei terzi in buona fede, aveva già affermato che una normativa nazionale che consenta la confisca di un bene che appartenga a un terzo in buona fede è in contrasto con il diritto dell'Unione e, in particolare, con l'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali, ai sensi del quale ogni persona, i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell'Unione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice. Ne risulta che un terzo, cui è stato confiscato un bene, deve poter contestare la legittimità di tale misura al fine di recuperare tale bene qualora PARERI DEL ComITATo CoNSULTIVo la confisca non sia giustificata e che, dunque, una normativa nazionale che consente la confisca, nell'ambito di un procedimento penale, di un bene appartenente a una persona diversa da quella che ha commesso il reato, senza che tale persona estranea al reato disponga di un effettivo mezzo giuridico di tutela, è in contrasto con il diritto dell'Unione (sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea 14 gennaio 2021, n. 393/19). Pur riferendosi la Corte di giustizia, in ragione della fattispecie esaminata, soltanto all'appartenenza del bene a terzi, la Scrivente ritiene che la medesima valutazione, tenuto conto dell'esigenza del rispetto dei principi comunitari di proporzionalità e di necessità delle misure di sicurezza (cfr. Considerando n. 21 del Regolamento cit. e par. 53 della sentenza della Corte di giustizia cit.), non possa che coinvolgere qualsiasi altro diritto soggettivo o situazione di fatto giuridicamente tutelata, ancorché diverso dalla proprietà e/o dal possesso, che il terzo vanti sul bene. Queste conclusioni sono di carattere generale, al punto che le distinzioni operate nella giurisprudenza nazionale, sopra riferite, non appaiono più in grado d'impedire l'esplicazione della tutela del terzo al livello massimo possibile nell'ordinamento, come si desume dalla premessa della cit. pronuncia della Corte di giustizia (par. 48 della sentenza cit.), attuale ad avviso di chi scrive anche dopo l'entrata in vigore del Regolamento cit., secondo cui dalla formulazione della definizione comunitaria di confisca risulta che poco importa che la confisca costituisca o meno una pena nel diritto penale, visto che una misura che comporta una privazione permanente del bene sequestrato, disposta da un giudice in relazione a un reato, rientra comunque nella nozione di «confisca». l'interpretazione sistematica preferibile. Alla luce dell'evoluzione avutasi nell'ordinamento comunitario e dell'efficacia diretta del Reg. (CE) 14/11/2018, n. 2018/1805/UE nell'ordinamento nazionale, deve ritenersi consequenzialmente innovato, dal punto di vista sistematico, il sopra descritto quadro normativo italiano. Ne consegue che per il divieto di discriminazione alla rovescia (art. 53 L. 24 dicembre 2012, n. 234) nonché in virtù dei principi generali dell'ordinamento, italiano e comunitario nonché internazionale (v. art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e l'art. 1 del relativo Protocollo addizionale), di buona fede e di affidamento, e del principio di personalità della responsabilità penale (art. 27 Cost.), appare preferibile interpretare il sistema normativo italiano, anche per il periodo anteriore all'entrata in vigore del Reg. (CE) 14/11/2018, n. 2018/1805/UE, nel senso che sia il più garantistico a tutela dei diritti dei terzi (anche aventi la qualifica di creditori), il cui interesse di contestazione è stato ritenuto meritevole di tutela anche nella sentenza della Cass. pen. Sez. Unite, Sent., (ud. 20 luglio 2017) 19 ottobre 2017, n. 48126 (cfr. par. 8.1.). RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo -N. 3/2021 la risposta al quesito. Alla luce di tutto quanto si è fin qui esposto, la Scrivente esprime il parere di massima, secondo il quale è necessario, da parte dell'Agenzia del demanio, in caso di pignoramenti o iscrizioni d'ipoteca anteriori alla confisca di beni immobili, rivolgersi al giudice che, in base all'art. 240, primo comma, del codice penale, ha disposto la confisca, per chiedere di procedere alla vendita dei beni confiscati, in modo che, a seguito dell'informativa che ne ricevano i creditori (ipotecari o pignoranti), possa consentirsi la proposizione, da parte loro, di un incidente d'esecuzione in sede penale, con consequenziale verifica della loro buona fede, permettendo così a loro di partecipare alla distribuzione del ricavato in caso d'accertamento positivo di siffatto stato soggettivo. Questo parere, riguardante questione di massima, è stato sottoposto al Comitato consultivo del 22 dicembre 2021, che si è espresso conformemente a quanto sopra enunciato. LEGISLAZIONEEDATTUALITÀ Intelligenza artificiale, neuroscienze, algoritmi: le sfide future per il giurista Gaetana Natale* Prefazione - Per un’intelligenza artificiale a misura d’uomo L’intelligenza artificiale è tra le più grandi sfide del terzo millennio (G. ALPA [a cura di], Diritto e intelligenza artificiale, Pisa, 2020, 13; già S. Ro- Dotà, Tecnologie e diritti, Bologna, 1995, ora edito a cura di G. ALPA, G. ReStA, M.R. MAReLLA, Bologna, 2021). I sistemi che «mostrano un comportamento intelligente», «analizzando il proprio ambiente e compiendo azioni, con un certo grado di autonomia, per raggiungere specifici obiettivi» (CoMMISSIone euRoPeA, Comunicazione «intelligenza artificiale per l’europa», 25 aprile 2018, n. 237, 1) danno risposte inedite e pongono, al contempo, nuovi punti di domanda. L’artificial intelligence sembra impattare ogni ambito dell’orizzonte giuridico e delle professioni legali. Rende attuale e possibile ciò che appariva avveniristico. Dischiude un «grande teatro delle meraviglie», in cui «si vedono cose che parevano impossibili fino a ieri, e che ci conducono in una sorta di iper-realtà» (A. GARAPon -J. LASSèGue, La giustizia digitale. Determinismo tecnologico e libertà, Bologna, 2021, 11, che richiamano Baudrillard). Investe il diritto civile e il suo processo, il procedimento amministrativo e le tecniche di tutela avanti agli organi di giustizia (cfr. cap. II della mono (*) Avvocato dello Stato, Professore a contratto di Sistemi Giuridici Comparati, Consigliere Giuridico del Garante per la Privacy. Redazione delle note a cura delle Dott.sse Giulia Arcari e Valentina Sabatino, ammesse alla pratica forense presso l’Avvocatura Generale dello Stato. RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 3/2021 grafia), i rapporti di lavoro, il diritto dei contratti (cfr. cap. IV della monografia), il sistema del diritto penale e delle correlate garanzie nelle indagini e nel giudizio (cfr. cap. III della monografia). Rinnova nel profondo le professioni legali, rendendo possibili le ricerche selettive dei dati, l’automazione dell’attività di analisi casistica, il confezionamento di testi giudiziali e negoziali (P. MoRo, intelligenza artificiale e professioni legali. La questione del metodo, in Journal of ethics and Legal Technologies, n. 1/2019, 25) e persino la previsione della sentenza ‘probabile’ (G. ZACCARIA, figure del giudicare: calcolabilità, precedenti, decisione robotica, in riv. dir. civ., n. 2/2020, 277). Il diritto ha, del resto, un’anima matematica (cfr. già L. LoeVInGeR, Jurimetrics. The next step forward, in Minnesota Law review, n. 33/1949, 455). Come si è sostenuto, tutte le questioni di diritto puro possono essere definite con «certezza geometrica» (G.W. LeIBnIZ, Principi ed esempi della scienza generale, in ID., Scritti di logica, a cura di F. BARone, Milano, 2009, 121). Attribuendo a ciascuno ciò che gli spetta (D. 1.1.10), le norme postulano equilibrio e proporzionalità. Presuppongono un ordo coerente; sono tanto più vicine all’uomo quanto più risultano prevedibili e calcolabili (n. IRtI, Un diritto incalcolabile, torino, 2016). Le rinnovate possibilità sono, tendenzialmente, illimitate. eppure, la scienza giuridica impone, anzitutto, la critica della ragion pura, lo scrutinio dei limiti che danno, in definitiva, senso a quelle late possibilità. Di qui l’importanza dei principi etici elaborati negli Stati uniti d’America, del diritto unionale e della conforme giurisprudenza nazionale, che esortano il giurista a indagare l’a.i. con spirito critico (G. ALPA, L’intelligenza artificiale. il contesto giuridico, Modena, 2021, 14). Gli algoritmi non stravolgono gli istituti; non tutti i procedimenti sono suscettibili di trattazione telematica; non tutti i momenti dei processi possono svolgersi su un cloud che sovrasta il mondo delle cose. Ammesso pure che i robot -inquietanti ma, al contempo, familiari (A. PunZI, Judge in the machine. e se fossero le macchine a restituirci l’umanità del giudicare?, in A. CARLeo [a cura di], Decisione robotica, Bologna, 2019, 319, che richiama Freud) -pensino e provino sentimenti (e. BeRkeLey, Giant Brains or machines that think, new york, 1961), il giurista in carne e ossa non appare surrogabile. Le decisioni automatizzate non esonerano l’uomo dalla loro verifica, che postula l’effettiva conoscenza dei processi che governano gli algoritmi. non è dato rinunciare alla piena conoscibilità delle sequenze informatiche, «secondo una declinazione rafforzata del principio di trasparenza» (Cons. St., sez. VI, 8 aprile 2019, n. 2270), alla loro comprensibilità, al loro sindacato con gli strumenti che inverano l’effettività. LeGISLAZIone eD AttuALItà La sinergia tra il «right to explainability» e il principio di non esclusività riporta l’algoritmo all’uomo. L’apertura al nuovo, con giudizio, è il monito sotteso alle pagine della Monografia che presentiamo; una Monografia che guarda al futuro senza dimenticarsi dell’antico, di quell’uomo che è causa -efficiente e finale -di ogni ordinamento. I capitoli, densi di riferimenti ai più recenti orientamenti tanto quanto alle pagine dei classici, ci ricordano che il diritto è costituito per l’uomo (D. 1.5.2). Che l’ingresso nell’ordinamento di un’intelligenza soltanto artificiale snaturerebbe il sistema delle regole, tanto da farne un disumano e, dunque, ineffettivo -controsenso. Che il giurista è un sacerdote che come insegna il Digesto -coltiva la giustizia e professa la conoscenza del buono e del giusto «separando ciò che è equo da ciò che è iniquo, discernendo il lecito dall’illecito, […] aspirando […] alla vera filosofia, e non ad una simulata». Andrea Giordano* SoMMario: 1. i problemi che gli algoritmi pongono oggi al giurista -2. algoritmo e diritto amministrativo -3. algoritmo e diritto penale -4. algoritmo e contratto -5. il governo della tecnica e il controllo umano delle sue applicazioni -6. Qual è oggi la più grande intelligenza artificiale del mondo? -7. algoritmi, neuroscienze e neurodiritti. L’algoritmo e l’adolescenza -8. Strumenti normativi regolatori e prospettive future nella dimensione euro-unitaria e in quella nazionale -9. Servizio civile digitale -10. Hate speech: un fenomeno incontrollabile? -11. La figura degli influencer -12. La commercializzazione dei dati personali: il caso facebook -13. La tutela dei minori e il diritto all’oblio -14. L’“eredità digitale” -15. il fenomeno del c.d. revenge porn -16. La diffamazione tramite chat privata o mailing list - 17. L’interoperabilità: il dialogo necessario tra il digitale e il diritto. 1. i problemi che gli algoritmi pongono oggi al giurista. if this, then that: con questa semplice espressione, che sta ad indicare il concetto di algoritmo, ossia una sequenza di passaggi elementari in un tempo finito, si racchiude il futuro della tecnologia e del destino dell’uomo. nella complessità che caratterizza il nostro tempo, il giurista, spinto da una visione essenzialmente antropocentrica, dovrà svolgere una funzione “ordinante”, che ponga l’algoritmo non in sostituzione dell’essere umano, bensì al suo servizio. Come, però, potrà svolgere tale funzione, con quali strumenti normativi (*) Magistrato della Corte dei Conti. Della presente monografia si pubblicano i primi cinque capitoli, i successivi nel prossimo volume della Rassegna (n.d.r.). RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 3/2021 ed interpretativi, con quali categorie giuridiche, con quali processi di modellizzazione concettuale idonei a cogliere, gestire e regolare la complessità? «il limite di Prometeo invocato dalla cultura greca oggi evidenzia il rischio di una tecnologia che compie un processo di mimesi e di superamento della razionalità umana. Questo, perché l’algoritmo oggi non costituisce più un “mere tool”, ossia mero elemento di trasmissione della volontà umana, ma un coelemento essenziale ed imprescindibile di formazione della volontà stessa che incide sul processo di autodeterminazione dell’individuo. Le neuroscienze aprono scenari inimmaginabili nel binomio “coscienza e identità”: cogito ergo sum, secondo Cartesio, l’uomo è il pensiero, ma il pensiero è il correlato neuronale della coscienza umana, quella coscienza suitas che nell’antica Grecia consentiva di distinguere l’ardire dalla Hybris. in fondo, se ci pensiamo bene, Prometeo è colui che vede ed agisce in tempo nella consapevolezza del Katèchon, ossia del limite: il limite di ammissibilità etica, giuridica, sociale delle innovazioni tecnologiche. non tutto ciò che è tecnologicamente possibile, è giuridicamente ed eticamente accettabile e condivisibile. Se Parmenide affermava: «il pensiero è l’essere: è la stessa cosa pensare e pensare ciò che è, perché senza l’essere in ciò che è detto non troverai il pensare», il profilo della libertà cognitiva come presupposto di autodeterminazione individuale oggi è messa a dura prova dai c.d. neuro-link: gli algoritmi entrano nell’intime sphere e nella predittività dei propri pensieri, delle decisioni e delle scelte individuali. Se l’habeas corpus ha rappresentato la base dello Stato di diritto, l’habeas data la base del diritto di autodeterminazione digitale, l’habeas mentem diventa il fulcro dei c.d. “neuro-diritti” per evitare la deriva neurodeterministica, c.d. “riduzionismo scientifico” e “determinismo tecnologico”». Sono queste le autorevoli considerazioni del Garante per la Privacy, il Professore Pasquale Stanzione, esposte in un convegno sul tema delle neuroscienze e la tutela dei dati (1). occorre, dunque, uno statuto giuridico ed etico, che coniughi l’innovazione con la dignità umana, intesa sempre come fine, e mai come mezzo, facendo tesoro dell’insegnamento di kant. Vi è da chiedersi, però, se occorra oggi introdurre un concetto di neuroetica, ossia di etica della neurotecnologia, per proporre un approccio etico, sistematico e integrato alle tecnologie di intelligenza artificiale. Langdon Winner (2) affermava che ogni disposizione tecnologica è espressione di potere e Lewis Mumford (3) parlava di “Technical arrangements (1) Il discorso è stato tenuto al Convegno del 28 gennaio 2021, a Roma, sul tema “Giornata europea per privacy, neurodiritti e neuroscienze”, in occasione dei 40 anni della Convenzione europea per la protezione dei dati personali firmata a Strasburgo il 28 gennaio 1981. (2) L. WInneR, “autonomous technology”, Cambridge, Mass., 1977. (3) L. MuMFoRD, “Technics and Civilization”, 1961. LeGISLAZIone eD AttuALItà as forms of order”: oggi il problema che si affaccia all’orizzonte non è solo l’implementazione della tutela dei dati, che costituiscono i new oils, essential facilities della driven data economy, ma anche la tutela della facoltà cognitiva dei cittadini, utenti, consumatori o fruitori dei servizi. Vi è da chiedersi cosa resta della libertà e responsabilità umana? Il dato neuronale, con le c.d. tecniche di brain reading nell’interfaccia uomo-computer, viene immesso per la prima volta nell’area dei dati digitali, nella c.d. infosfera, ecosistema digitale, andando al di là delle applicazioni di neuro-enhancement nel campo bio medico e ponendo il problema della «opacità del machine learning». Il dato neuronale è un dato differente dagli altri: 1) ha un’importanza ontologica, perché è la sede dei processi vitali, è coscienza, pensiero, memoria; 2) ha un’importanza antropologica nell’autopercezione di sé, dimensione fenomenologica e soggettiva della persona; 3) ha un’importanza epistemologica, il dato neuronale è predittivo come il dato genetico; 4) ha un’importanza metodologica, i dati neuronali possono essere rimodulati, il brain reading si può trasformare in brain writing. Siamo oltre il test di Turing, criterio per determinare se una macchina sia in grado di esibire un comportamento intelligente (4). (4) Interessante sul tema l’articolo del fisico I. LICAtA, “i teoremi di Gödel e l’intelligenza artificiale”, su https://www.indiscreto.org/i-teoremi-di-godel-e-lintelligenza-artificiale/. nella visione collettiva, i risultati dell’opera del matematico Kurt Gödel fissano dei “limiti” alle capacità razionali della mente umana. Si tratta della famosa teoria sulla indecidibilità, che oggi si riflette sulle teorie sull’I.A. I teoremi di Gödel (1931) fissano dei limiti molto precisi alla matematica e al metodo assiomatico del ‘900, riconducibile a Hilbert. Secondo il primo teorema di Gödel, ogni sistema sufficientemente potente, coerente ed assiomatizzabile è sintatticamente incompleto, per cui è sempre possibile produrre una proposizione P indecidibile, ossia della quale è impossibile stabilire, con gli strumenti del sistema, la verità o la falsità. Il secondo teorema di Gödel, ancora più drastico, prevede che ogni sistema sufficientemente potente, coerente e assiomatizzabile è incapace di dimostrare una proposizione che esprima in modo canonico la coerenza dello stesso sistema. Si veda k. GöDeL, “Sulle proposizioni formalmente indecidibili dei Principia Mathematica e di sistemi affini”, in S.G. ShAnkeR (a cura di), “il teorema di Gödel”, trad. it. di P. PAGLI, Franco Muzzio editore, Padova, 1991, che a pp. 23-25 scrive: «La tendenza della matematica verso un sempre maggiore rigore ha portato, come è ben noto, alla formalizzazione di suoi ampi settori, così che al loro interno è possibile dimostrare un teorema usando solo poche regole meccaniche. i sistemi formali più ampi elaborati sino a questo momento sono quello dei Principia Mathematica (PM), e il sistema di assiomi di zermelo-fraenkel per la teoria degli insiemi (con i successivi sviluppi di J. Von neumann). Questi due sistemi sono talmente generali che tutti i metodi dimostrativi attualmente impiegati in matematica sono stati formalizzati al loro interno, cioè ridotti a pochi assiomi e alcune regole di inferenza. Si potrebbe quindi supporre che questi assiomi e queste regole siano sufficienti a decidere ogni quesito matematico formalmente esprimibile in essi. Si dimostrerà più avanti che non è così, e che al contrario esistono nei due sistemi citati problemi relativamente semplici riguardanti la teoria dei numeri naturali che non possono venire decisi sulla base degli assiomi». Dagli studi di Gödel, per cui la matematica non è che un sistema aperto, in grado di generare sempre nuovi problemi, deriva la teoria generale dei sistemi complessi logicamente aperti. I risultati di Gödel RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 3/2021 tale criterio, si ricorderà, fu suggerito da alan Turing, inventore del computer, nel suo noto articolo “Computing machinery and intelligence”, apparso nel 1950 sulla rivista Mind; ma certamente allora turing non poteva immaginare gli scenari attuali (5). “il futuro non è ciò che progettiamo, ma è Kairòs, ciò che ci sorprende”, diceva San Paolo di tarso. Stiamo andando verso l’iperumano, il transumano e postumano, il c.d. Ubermensh di cui parlava nietzsche? Le scienze contemporanee hanno contribuito a definire l’uomo come un “sé multiplo”, la mente è l’idea del corpo, il corpo è brain feeling, siamo un complesso di mente e corpo: così si esprime antonio Damasio nel suo scritto “l’errore di Cartesio”. Ma se spostiamo la nostra analisi nell’universo quantistico, non possiamo non tener conto di quanto ha affermato roger Penrose, premio nobel per la fisica, con riferimento alla c.d. “libertà dell’evento”. In altri termini, oggi noi viviamo in un universo quantistico in cui il possibile è la base di comprensione dell’evento, “brain imaging”. Se questo è vero, allora le neurotecnologie possono anche favorire uno sviluppo qualitativo dell’uomo, inteso come com producono effetti sulle teorie dell’IA: se consideriamo un sistema di IA “forte”, basato sulla manipolazione simbolica e implementato tramite funzioni turing-computabili, si tratta di un sistema formale, per cui potremmo considerare i teoremi di indecidibilità anche in questo caso. Gödel ne parlò nella “Conferenza Gibbs” del 26 dicembre 1951, quando il tema dell’IA era già nell’aria: turing nel 1950 aveva pubblicato “Computing Machinery and intelligence”, e già nel 1937 aveva teorizzato la definizione di “numeri calcolabili”. nella conferenza si parlò della connessione tra i risultati di Gödel e quelli di turing, contributi che portavano una limitazione precisa dei sistemi formali. Gödel introdusse la distinzione tra proposizioni matematiche obiettivamente vere e proposizioni vere in relazione ad un sistema formale e sostenne che la capacità della mente umana di gestire le prime non era limitata dai teoremi relativi al secondo tipo di proposizioni. Sostenne la possibilità di considerare una “macchina intelligente” e la possibilità di trovare una somiglianza tra il cervello e un automa finito, che, secondo Gödel, potrebbe andare incontro a questioni indecidibili, così come la mente umana, con la differenza che quest’ultima può sempre escogitare strategie per superare gli ostacoli e le difficoltà. Sull’argomento c’è una bibliografia molto vasta: si vedano, ad esempio, J.W. DAWSon JR., “Dilemmi logici. La vita e l’opera di Kurt Gödel”, Bollati Boringhieri, torino, 2001; R. GoLDSteIn, “incompletezza. La dimostrazione e il paradosso di Kurt Gödel”, Codice edizioni, torino, 2006; J.L. CAStI, W. De PAuLI, “Gödel. L’eccentrica vita di un genio”, Raffaello-Cortina edizioni, Milano, 2001; A. hoDGeS, “Storia di un enigma. Vita di alan Turing 1912-1954”, Bollati Boringhieri, torino, 2004; D. LeAVItt, “L’uomo che sapeva troppo. alan Turing e l’invenzione del computer”, La Biblioteca delle Scienze, Milano, 2009; I. LICAtA, “La logica aperta della mente”, Codice edizioni, torino, 2008; “Piccole variazioni sulla scienza”, Dedalo, Bari, 2016; “Complessità. Un’introduzione semplice”, Di Renzo editore, 2018; A. tuRInG, “Le basi chimiche della morfogenesi”, Mimesis edizioni, Sesto San Giovanni, 2021; S. SteRRett, “Bringing up Turing’s “Child Machine”, in “How the world computes” turing Centenary Conference, Springer, 2012. (5) Interessante, in proposito, è il recente studio dell’università della California, che prevede che entro il 2052 l’intelligenza artificiale uguaglierà le funzioni del cervello umano, fino a superarle, così che non riusciremo più a superare il test di Turing. Questo perché gli algoritmi ci studiano, scelgono per noi, ci ricordano le nostre preferenze e i nostri impegni, scrivono per noi, completando i nostri discorsi digitali; v. https://www.ilfoglio.it/bandiera-bianca/2021/11/03/news/scommettiamo-che-tra-un-po-nonriusciremo- piu-a-superare-il-test-di-turing--3328633/. LeGISLAZIone eD AttuALItà plesso unico di mente e corpo, pensieri, emozioni, coscienza, critica. è questa la sfida che attende il giurista: a lui l’arduo compito di individuare, attraverso un approccio multidisciplinare, principi, regole, principles and model-rules capaci di realizzare quello che è stato di recente definito “l’umanesimo digitale” (6). Sembrerà strano, ma il primo computer è stato un computer a vapore, un calcolatore universale, risalente alla prima metà dell’800 (7), e la prima programmatrice è stata una donna, ada Lovelance, definita da Charles Babbage “incantatrice dei numeri”. Certo molti anni dovettero trascorrere prima che Tim Berners-Lee, nel 1989, presso i laboratori Cern di Ginevra, presentasse il primo sistema di “information management”(called Mesh), il primo website concepito come “a democratic arena” per lo scambio di informazioni al servizio dei cittadini, (6) nell’elaborazione filosofica dell’IA e del rapporto tra uomo e macchina, possiamo ricordare le parole di Gödel, sopra richiamato, che nel suo platonismo critico e moderato dichiarò che «o la mente umana oltrepassa infinitamente la potenza di ogni macchina finita, o altrimenti devono esistere problemi diofantini insolubili in modo assoluto». Per Gödel le teorie sull’IA, come la tesi di Church-turing che sostiene sia possibile simulare qualunque processo mentale tramite funzioni turing-computabili, erano ingenue; tuttavia, i suoi argomenti non erano ancora abbastanza forti. Quando fu pubblicato l’articolo “anti IA” del filosofo J.R. LuCAS, “Mind, Machines and Gödel”, in Philosophy, 36, nel 1961, incentrato sulla possibilità per un sistema logico-formale di “restare in scacco” davanti a una proposizione indecidibile ottenuta con la procedura di Gödel, quest’ultimo non si oppose criticamente. tra l’altro questa tesi è stata ripresa nel libro di R. PenRoSe, “La Mente nuova dell’imperatore”, nel 1992. Se secondo turing «la memoria umana è necessariamente limitata», secondo Gödel, invece, «la mente nel suo uso, non è statica, ma si sviluppa costantemente (…) Quindi, benché a ogni stadio del suo sviluppo il numero dei suoi stati possibili discernibili sia finito, non c’è motivo per cui questo numero non possa divergere all’infinito nel corso di questo sviluppo». L’idea di Gödel era la seguente: si può costruire una macchina intelligente fondata su un gruppo di assiomi di partenza, ma durante l’interazione con l’ambiente, a causa di elementi casuali, questa può diventare via via più complessa, modificandosi strutturalmente in modo imprevisto, fino a sfuggirci. Per Gödel le capacità innovative, intuitive, strategiche della mente umana non hanno quasi nulla a che fare con le proposizioni indecidibili dei sistemi formali. Per quanto si possa spiegare un comportamento umano con le Macchine di turing, ciò è diverso dalla capacità di produrre quei comportamenti. Gödel aveva capito che la mente umana è logicamente aperta ed in grado di produrre nuova informazione, potendo cambiare continuamente le “regole del gioco” (si pensi ai modelli distribuiti sub-simbolici connessionisti e bio-morfi), mentre le architetture “classiche” dell’IA “forte” hanno dimostrato di essere logicamente chiuse, avendo successo solo nei mondi limitati semanticamente. Quanto detto ci porta a pensare che verosimilmente la mente artificiale sarà meno “meccanica” di quanto si pensi e sarà basata su modelli capaci di implementare un’apertura logica, e allora ci chiederemo (come un nuovo test di turing): le macchine intelligenti avranno la capacità di gestire l’incertezza e fare scommesse sul mondo? (7) Le macchine hanno cominciato a fare calcoli semplici e oggi, dopo “appena” 200 anni, un’intelligenza artificiale ha formulato, per la prima volta, congetture matematiche. è un risultato di uno studio condotto dai ricercatori di DeepMind e dell’università di oxford, pubblicato sulla rivista scientifica nature: si è scoperto che i moderni computer, che da molti anni ci aiutano nella soluzione di problemi di matematica, grazie all’apprendimento automatico sono riusciti a rilevare connessioni matematiche altrimenti invisibili agli esseri umani. Si tratta di un grande passo avanti e sono auspicabili applicazioni in altri campi, coma la biologia e l’economia, v. https://www.wired.it/article/intelligenzaartificiale- deepmind-matematica-nodi/. RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 3/2021 senza royalties o speculazioni. Ma tale idea democratica e gratuita del web è stata oggi vanificata dalle grandi piattaforme Facebook, Google e Amazon, che ne hanno monopolizzato l’utilizzo, disponendo di un’enorme quantità di dati, senza precise regole volte ad una loro effettiva responsabilizzazione. Tim Berners-Lee, insieme ad altri scienziati, sta lavorando oggi ad un progetto chiamato Solid per ridecentrare il web e renderlo di nuovo uno spazio libero. è emblematico che, nel 1909, lo scrittore britannico forster abbia scritto una storia di fantascienza intitolata “The machine stops”, in cui l’autore immagina che le persone vivono isolate accanto ad una macchina che provvede a tutti i loro bisogni. Gli umani in tale racconto vivono connessi, pur rimanendo isolati, determinando in loro la paura delle esperienze dirette. Questo è il motivo per cui la tecnologia deve considerarsi “as a tool, not a master”. Ma dal punto di vista giuridico, come deve considerarsi il rapporto uomo- macchina? Il grande giurista Gunther Teubner ha, per primo, affrontato il tema dell’algoritmo e degli agenti digitali autonomi, ossia di quelli che possono elaborare e prendere decisioni indipendentemente dal produttore e dall’utilizzatore del programma. Secondo tale autore, occorre analizzare il rapporto che si instaura tra l’uomo e il software utilizzato, nonché la distribuzione della responsabilità per danni cagionati nella sfera giuridica di coloro i quali hanno fatto affidamento incolpevole sulla dichiarazione dell’agente digitale autonomo, soprattutto se si tiene conto della prevalenza nel sistema della teoria oggettiva della dichiarazione di volontà. L’assistente digitale è diventato sempre meno un semplice nuncius della volontà della persona fisica. e, sicuramente, non è tale quando è capace di prendere decisioni autonome e, in quanto tale, causare danni a terzi. Le categorie che vengono in rilievo sono chiaramente la rappresentanza e il rapporto associativo uomo/macchina. occorrerà soffermarsi sul nuovo concetto di informazione, sempre più alterata non solo dalle c.d. fake news, ma dalla c.d. “information pollution”, ossia dall’inquinamento delle informazioni. tale concetto si declina nei fenomeni di clickbait, sloppy journalism, misleading headings, biased news and filter bubble. Sono tutti processi che contengono notizie false, notizie manipolate o informazioni modellate su profilazioni del soggetto che effettua delle ricerche sul web, riuscendo a trovare le informazioni sempre più corrispondenti alla propria formazione culturale e ai propri interessi, con una selezione subdola di dati che avviene a sua insaputa. Siamo in una dimensione bel lontana dalla parresìa, ossia dalla verità di cui parlavano i greci nel sistema democratico della polis. Luciano Floridi, docente di Filosofia ed etica dell’Informazione a oxford, nel suo libro “Pensare l’infosfera”, sostiene che viviamo ormai in un mondo virtuale, l’infosfera appunto, in cui tutti siamo degli inforgs, organismi del sostrato informazionale (8). La postmodernità rifugge sempre più dalle cose, per (8) Interessante anche l’analisi del suo nuovo libro, “intelligenza artificiale. L’uso delle nuove LeGISLAZIone eD AttuALItà andare verso relazioni con inarrestabile astrazione dal materiale. Siamo passati da una posizione ontologica assoluta -modellata su un mondo letto in termini aristotelici (c.d. primato della cosa) e newtoniani (primato nello spazio e nel tempo) -a quella epistemologica-relazionale, dominante nell’infosfera; un costruzionismo di ispirazione neo-kantiana, definito come processo di modellizzazione (non copia platonica del modello) che dà forma alla realtà, rendendola intelligibile. Se Cartesio affermava “cogito ergo sum”, oggi possiamo dire “videor ergo sum”: la costruzione del sé (c.d. Bildung) passa attraverso lo strumento digitale. Il selfie è il sentirsi, il realizzarsi nello sguardo dell’altro, Leib a Korper, la pietrificazione del sé, di cui parla Sartre in pagine memorabili di “L’essere e il nulla”. Il selfie è l’esposizione del corpo online, che ha come unità di misura i likes. un famoso psichiatra, Giovanni Stanghellini, parla di “selfie come sentirsi nello sguardo dell’altro, l’altro è l’unica possibilità di essere riconosciuti”. tutto questo a che prezzo per l’uomo? Il c.d. “effetto flynn” ci dovrebbe far riflettere: richard flynn ha condotto uno studio tra il 1990 e il 2009, dimostrando che il quoziente intellettivo (Qi) stia cominciando lentamente, ma inesorabilmente, a calare. un calo costante che, oggi, è diventato un vero e proprio tracollo, se pensiamo alla percentuale di persone afflitte dal c.d. “analfabetismo funzionale” (sanno leggere, ma non capiscono il senso, né sono in grado di rielaborarlo). I giovani hanno oggi molte informazioni e poca conoscenza, o meglio, una “conoscenza irrelata e non correlata”. Le nuove tecnologie digitali, specialmente per i più giovani, rappresentano un potentissimo e pervasivo elemento di degradazione delle facoltà cognitive, emotive e relazionali. Perché questo accade, quali sono le ragioni? Il neurobiologo Laurent alexandre (9) ritiene che la ragione risieda in questa considerazione: “laddove il libro favoriva una concentrazione duratura e creativa, internet incoraggia la rapidità, il campionamento distratto di piccoli frammenti di informazioni provenienti da fonti diverse”. Il processo che consiste nell’immagazzinare i dati, creando così la memoria, per poi elaborarli, creando un ordine diverso, si chiama “apprendimento”. Il problema è che oggi è l’intelligenza artificiale ad occuparsi del processo di immagazzinamento dei dati (memoria ed elaborazione dei dati), con l’intelligenza umana ridotta a svolgere un ruolo ausiliario e sempre più ininfluente. macchine”, Bompiani, 2021. nella sua intervista su “il foglio”, di G. LeGAnZA, “Luciano floridi ci spiega cosa c’è di antico nell’intelligenza artificiale”, l’autore spiega che “siamo noi che adattiamo il mondo alle macchine, non viceversa. nell’ai è presente la tradizione filosofica greca. La differenza con l’intelligenza umana? i computer sono più bravi, ma noi sappiamo adattarci meglio”, su https://www.ilfoglio. it/cultura/2021/12/04/news/luciano-floridi-ci-spiega-cosa-c-e-di-antico-nell-intelligenzaartificiale- 3426829/. (9) L. ALexAnDRe, “La guerra delle intelligenze, intelligenza artificiale contro intelligenza umana”, pag. 75, ed. torino, 2017. RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 3/2021 ecco che, allora, abbiamo assistito alla nascita del GPt3, Generative Pretrained Transformer: l’11 giugno 2020 è stata presentata GPt3, un’intelligenza artificiale in grado di scrivere un romanzo nello stile dello scrittore che si preferisce, che scrive in pochi istanti il racconto che si preferisce. Ricorda il generatore automatico di lettere d’amore che alan Turing sperimentò nel 1952 a Manchester. GPt3 è la terza versione di un progetto di ricerca di un laboratorio fondato a San Francisco nel 2015, open ai, che, tra i fondatori, ha elon Musk e tra i finanziatori Microsoft. non è trascorso nemmeno un anno e GPt3 non scrive romanzi, ma è già utilizzato da oltre 10.000 sviluppatori ed è presente in oltre 300 applicazioni. Rientrano in questo processo le risposte ancora semplici di alexa e Siri nei nostri smartphone e gli assistenti vocali, i dialoghi non facili con le chatbot quando andiamo sul sito della nostra banca o di una grande azienda che fornisce telefonia, acqua e luce; qui sappiamo di dialogare con un risponditore automatico. Il confine tra umano e artificiale nel GPt3 è meno netto, impercettibile, sarà sempre più difficile distinguere volti, suoni e testi creati da un’intelligenza artificiale da quelli reali. è innegabile la difficoltà di lettura di algoritmi che utilizzano grandi quantità di dati (big data) e, in misura crescente, si caratterizzano per l’impiego di tecnologie basate sull’intelligenza artificiale che non si limitano a seguire fedelmente le istruzioni del programmatore, ma diventano intelligenza spontaneus, autocreativa, autoevolutiva, inventando soluzioni e percorsi inediti, con il risultato che neppure colui che ha fornito le istruzioni alla macchina attraverso l’algoritmo è pienamente in grado di ripercorrere il processo decisionale e offrire una spiegazione comprensibile. Il problema del carattere non neutrale dell’algoritmo, e la sua scarsa trasparenza, assume un ruolo centrale nel dibattito giuridico recente, da qui il pericolo che la società possa diventare una grande, unica scatola nera, una “black box society” (10). è il c.d. “surveillance capitalism” di cui parla S. zuboff (11). Sulla base della complessità di tali considerazioni, la Commissione europea ha elaborato il Digital Services act che, considerando essenziale “la legalità procedimentale della conservazione dei dati”, il c.d. Digital Due Process, predispone una tutela del cittadino basata su due principi fondamentali: il principio dell’autodeterminazione del singolo e il principio di responsabilizzazione delle piattaforme digitali. (10) F. PASQuALe, “The Black Box Society. The secret algorithms that Control Money and information”, Cambridge - Ma 2015. (11) S. ZuBoFF, “Big other: surveillance capitalism and the prospects of an information civilization”, “Journal of information Technology” (2015) 30, 75-89; ID., “The age of Surveillance Capitalism. The fight for a Human future at the new frontier of Power”, London, 2019. LeGISLAZIone eD AttuALItà Sono questi i binari lungo i quali dovranno essere definite, a livello europeo, le norme che saranno determinanti per costruire un corretto rapporto uomo-macchina. Sul piano della qualità e del livello della regolamentazione (12), si distingue tra auto-regolazione, co-regolazione ed eteroregolazione, ponendosi il problema se e in che in termini la regolamentazione dei social network debba essere affidata alle grandi società monopoliste del web, o se occorra un intervento più incisivo della normativa nazionale e sovranazionale. Sappiamo che Facebook ha, al suo interno, sotto forma di trust, il facebook oversight Board, che esamina le questioni poste dalla Community, ma occorre un intervento di eteroregolazione sovranazionale, capace di impedire che pubbliche funzioni siano esercitate da poteri privati. In questa ottica, il Digital Services act, attualmente a livello di proposta della Commissione, si pone l’obiettivo di prevenire il disordine normativo e di creare un mercato digitale online sicuro ed affidabile (13). nella nuova re (12) Per quanto concerne il problema relativo al tipo di legislazione che deve regolare l’IA, ad oggi abbiamo due fondamentali esempi di approccio globale all’IA da parte delle legislazioni dei vari paesi nel mondo. Da un lato, abbiamo l’esempio del Rapporto dell’Alto Commissario delle nazioni unite per i diritti umani sul “Diritto alla Privacy nell’era digitale”, commissionato dal Consiglio per i diritti umani nella sua risoluzione 42/15, in cui si analizza come l’uso diffuso da parte degli Stati e delle imprese dell’I.A., tra cui rientrano la profilazione, il processo decisionale automatizzato e le tecnologie di apprendimento automatico, influenzi il godimento del diritto alla privacy e dei diritti connessi, fornendo alcune raccomandazioni agli Stati e alle imprese in merito alla progettazione e all’attuazione di salvaguardie per prevenire e minimizzare i risultati dannosi. Dall’altro lato, c’è il primo accordo mondiale sull’etica dell’I.A. stipulato recentemente dall’unesco, approvato il 25 novembre 2021, che prende atto che l’I.A. pone importanti quesiti e problemi etici, che necessitano un intervento sovranazionale. Il direttore generale dell’unesco, audrey azoulay, ha presentato una “Raccomandazione” di 28 pagine, ratificata dai 193 stati membri, tra cui anche la Cina. A fronte di un cospicuo aumento dei pregiudizi di genere ed etnici e di minacce significative alla privacy, alla dignità e ad altri diritti, si vuole, infatti, rispondere con un testo che assicuri la massima trasparenza e intelligibilità sul funzionamento degli algoritmi, dato che si influisce sui diritti dell’uomo e sulle libertà fondamentali. I valori e i principi comuni che devono guidare la costruzione delle macchine che impiegano l’Intelligenza Artificiale sono elencati dal secondo articolo della Raccomandazione e sono i seguenti: equità e non discriminazione, sostenibilità, privacy, sicurezza e protezione, trasparenza e “spiegabilità”, responsabilità e accountability, consapevolezza e alfabetizzazione. Per un approfondimento sul tema di veda L. MISChIteLLI, “intelligenza artificiale etica: ecco l’approccio “globale” Unesco (approvato anche dalla Cina)”, su agendadigitale.eu. (13) Il mercato digitale è in continua espansione. Sul nuovo fenomeno dell’acquisto di terreni virtuali vedi W. FeRRI, “2,4 milioni per 500mq di cyber spazio: il Metaverso e la corsa all’oro digitale”, su lindipendenteonline.it, che spiega bene questa “corsa all’oro in salsa digitale”: gli investitori accorrono oggi alle risorse offerte da Metaverso per ottenere (in futuro) grandi ritorni economici. non è una novità, ma la portata del fenomeno cresce quanto più si ingigantisce “la febbre per il digitale”. Lo dimostrerebbero i dati pubblicati da Dappradar, portale secondo cui il mercato dei terreni virtuali ha smosso circa 100 milioni di dollari sui soli The Sandbox, Decentraland, CryptoVoxels e Somnium Space. non sarebbero solo piccoli investitori in ricerca di facili guadagni. Si parla anche di agenzie immobiliari virtuali, che comprano grandi lotti per scommettere su un loro aumento di valore nel prossimo futuro. The Metaverse Group, nell’ultimo periodo, ha riscattato 500 metri quadrati digitali sulla piattaforma virtuale Decentraland: la transazione ha mosso 2,43 milioni di dollari. è il fenomeno dei RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 3/2021 golazione delle piattaforme digitali, la Commissione europea sta cercando di affermare uno Standard europeo regolatorio per la definizione del nuovo capitalismo digitale, che si basi su un concetto di “sicurezza funzionale”, security by design. La Commissione europea sollecita gli Stati membri non con regole, ma con obiettivi, per far diventare l’europa un Hub di regole digitali, il protagonista della trasformazione digitale ed ecologica entro il 2030. In un’epoca caratterizzata da un eccesso di informazioni, la c.d. infodemia, è necessaria anche un’igiene informativa: secondo Vittorio Loreto, fisico della materia presso l’università La Sapienza di Roma, che collabora ad un progetto di ricerca definito “Cartesio, ergo news”, se il dubbio è l’inizio della conoscenza, occorrono sistemi per valutare l’affidabilità di una notizia. Viviamo attualmente in delle “bolle informative”, con i c.d. “sistemi di raccomandazione” che non consentono di esplorare “l’adiacente possibile”. Ma come controllare la qualità dell’informazione? Sono sufficienti gli appositi software per controllare la tracciabilità della notizia? Possiamo parlare di graduazione delle falsità informative? Il fisico Pauli, fondatore della meccanica quantistica, parlava di “nothing in wrong”; noi possiamo parlare di “nothing in fake”? ognuno di noi è alle prese con cookies di funzionalità, cookies analitici e cookies di profilazione di terze parti. Per prestare il proprio consenso, siamo costretti a consultare la Cookie policy, con la automatica conseguenza che, chiudendo il banner o accedendo a qualunque elemento del sito, acconsentiamo automaticamente all’uso dei cookies. La credibilità, la decentralizzazione e l’intermediazione sono presenti nei c.d. “filter bubbles”, “gabbie virtuali”, in cui gli algoritmi rinchiudono gli utenti, raccogliendo dati e preferenze sulla base di precedenti click, cronologia delle ricerche e localizzazioni (14). La dottrina parla di disordini dell’inforlatifondisti 4.0, letteralmente in espansione; v. https://www.lindipendente.online/2021/12/04/24-milioni- per-500mq-di-cyber-spazio-il-metaverso-e-la-corsa-alloro-digitale/. Interessante anche il tema dell’acquisto del mattone virtuale, v. A. GReCo, “il metaverso come il Monopoli: scatta la corsa al mattone virtuale”, su repubblica.it; il fenomeno si sta sviluppando negli ultimi 5 mesi con Metaverso, gli acquisti immobiliari con le criptovalute stanno diventando virtuali, v. https://www.repubblica.it/cronaca/ 2021/12/06/news/il_metaverso_come_il_monopoli_scatta_la_corsa_al_mattone_virtuale329215917/. (14) Come è noto, le app installate sui nostri smartphone “ci spiano” e vivono di dati sempre più numerosi sulle nostre abitudini, sui luoghi che frequentiamo; tuttavia, non tutti sanno che i dati raccolti sulla posizione non sono solo quelli che si ricavano dal GPS. una definizione che non tutti conoscono è quella di “location tracking”, dietro cui si cela una articolata serie di dati, tra cui rientrano la posizione (coordinate, indirizzo IP, posizione del Wi-Fi), la pressione barometrica, i dati del giroscopio e dell’accelerometro. Questi ultimi due strumenti permettono di tracciare il profilo di utilizzo del telefono, fungendo da “backdoor” per la privacy, soprattutto su sistemi ioS. L’accelerometro, infatti, è molto sofisticato e arriva a captare le vibrazioni del luogo frequentato, i nostri stessi passi, la nostra voce, i rumori e le voci nel luogo in cui ci troviamo. Ciò avviene anche senza il nostro esplicito consenso e non solo sul telefonino (si pensi agli smartwatch, ai braccialetti e ai trackers da polso, che usano gli sportivi). LeGISLAZIone eD AttuALItà mazione, di varie categorie di disturbi dell’informazione, distinguendo tra “disinformazione”, “misinformazione” e “malainformazione”. Le stesse piattaforme digitali si stanno attrezzando per arginare tale fenomeno: ad esempio, Facebook utilizza i c.d. “educational pop-ups”, pop ups informativi con etichettature specifiche sulle notizie e con rimozione automatica dei contenuti falsi; twitter distingue tra notizie misleading, disputed and unverified, con sistemi c.d. di Strike System, nel senso che, dopo alcuni richiami, vi è il blocco dell’account. Ma quali rimedi possono/devono essere rimessi allo Stato e ad organismi sovranazionali, e quali alle stesse piattaforme? La comunicazione sui social network, infatti, è caratterizzata da pervasività ed invasività, dalla illimitatezza spazio/temporale, dalla disintermediazione e dalla semplificazione del messaggio. In Francia è stata approvata nel 2018 la legge n. 1202, contro la manipolazione dell’informazione; in Germania è stata approvata il 30 giugno 2017 la legge sull’hate speech, prevedendo fattispecie criminose sulle figure già previste dal codice penale tedesco, con un sistema di “notice and take down”, ossia di reclamo da rivolgere alla stessa piattaforma, prima di un vero e proprio ricorso all’autorità giurisdizionale. In Italia, vi è stata la presentazione del disegno di legge Gambaro nel 2017, e di recente un nuovo DDL approvato alla Camera e attualmente in discussione al Senato con la istituzione di una commissione parlamentare di inchiesta sulla diffusione massiva di informazioni false. Presso l’AgCom è stato istituito un tavolo tecnico sulle piattaforme digitali e il pluralismo informativo, mentre al livello europeo è stato approvato, il 26 settembre 2018, il Code of Practice on Disinformation. Ma occorre chiedersi se vi sia la necessità di valutare la privacy policy in un sistema di merger control, attraverso un’azione di collaborazione e di coordinamento tra le varie Autorità regolatorie, e se sia necessario affiancare agli strumenti di enforcement una regolazione ex ante con sistemi di pre-emptive remedy, ossia rimedi preventivi e proattivi. Soprattutto chiarire che tipo di regolazione introdurre: funzionale o strutturale? omogenea o differenziata a seconda dei settori? occorre un coordinamento a livello di regolamentazione euro-unitaria tra Digital Services act, Digital Governace act e Digital Markets act; sono questi i tre elementi nel nuovo pilastro digitale europeo. A volte è lo stesso sistema di un’app ad essere progettato per raccogliere dati da molti sensori, spesso necessari per far sì che il sistema stesso funzioni. Il problema è che le app possono arrivare a rintracciare quello che facciamo con il nostro telefono, su quali siti navighiamo, come ci muoviamo sul touchscreen, quanto tempo passiamo su una pagina internet, ecc. I produttori dei sistemi operativi come apple ed android, prima di concedere le autorizzazioni alle app, dovrebbero potenziare il controllo sulla privacy, evitando il raggiro di blocchi espliciti. Si veda l’articolo di n. RuGGIeRo, “Quanto (e come) ci spia lo smartphone? Tutte le trappole che ignoriamo”, su agendadigitale.eu. RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 3/2021 Sempre più il processo di “monetizzazione dei dati”, nella data driven economy, pone una stretta relazione tra “informazione e concorrenza”, inducendoci a chiederci se le regole preposte alla tutela della concorrenza siano ancora adatte o vadano integrate per i mercati digitali. Il primo problema è l’individuazione della nozione di “quote di mercato”, “indici di concentrazione”, di “mercato rilevante” per i mercati digitali, che sono “mercati con strutture multiversanti”, le c.d. piattaforme di attenzione (“attention platforms”), con effetti di rete diretti e indiretti, switching benefits e costs, economie di scala e di scopo e con assenza di prezzo. I dati personali sono utilizzati come “controprestazioni” per un servizio gratuito. Il potere di mercato risiede non nel possesso dei dati, ma nel c.d. “data mining”, ossia nella capacità di estrarre valore dai dati, (teSt SSnDQ: “small, but significant non-transitory decrease in quality”). La tutela della privacy e la trasparenza sono «fattori qualitativi del confronto concorrenziale», l’utente è concepito non solo come consumatore, ma anche come produttore di dati. Partendo da r. Posner e G. Weyl (15), i dati personali non sono solo risorse, ma beni giuridici attinenti alla tutela dei diritti fondamentali della persona. nelle controversie che hanno visto coinvolti Facebook e l’AgCom, è venuta spesso in rilievo la violazione degli artt. 20, 21, 22, 24 e 25 del D.lgs. n. 206/2005, ossia la sanzione per pratiche commerciali ingannevoli e pratiche commerciali aggressive, con abuso di posizione dominante di sfruttamento e privacy policy in violazione dell’art. 6 GDPR. nelle sentenze del tar Lazio nn. 260 e 261 del 10 gennaio 2020, si è fatto per la prima volta riferimento al “fenomeno della patrimonializzazione del dato personale” e, più recentemente, il Consiglio di Stato, sez. VI, con le sentenze nn. 2630 e 2631 del 29 marzo 2021, ha posto l’esigenza di garantire una “tutela multivello”, un sistema di tutela integrato che coinvolga in un unicum la privacy con il profilo consumeristico del fruitore del servizio digitale. Ma vediamo come il Digital Services act ha definito, da un punto di vista (15) V. l’opera di R.A. PoSneR, “The right of Privacy”, 12 Georgia Law review 393, 1977. La patria della privacy viene indicata negli uSA. “The concept of privacy is elusive and ill defined” scriveva Richard Posner nel suo saggio del 1977. Sul finire dell’800, soprattutto a partire dalla città di Boston, si delinea “the right to be let alone”, lo “jus solitudinis”, da parte di S.D. WARRen e L.D. BRAnDeIS, “The right to privacy”, Harvard Law review, 1890; nell’ambito della law of torts, si veda anche l’opera di t.M. CooLey, “a Treatise on the Law of Torts or the Wrongs Which arise independent of Contract”, Chicago, 1888. Riguardo al “the right to be forgotten” il caso noto è quello Melvin contro reid, definito nel 1931, originato dall’utilizzo di dati personali all’interno di una pellicola cinematografica. La Corte d’Appello della California si era occupata delle doglianze formulate da un’ex prostituta, accusata di omicidio e poi assolta. La signora aveva cercato di “lasciarsi alle spalle” il caso di cronaca che l’aveva vista coinvolta, un tentativo (in parte riuscito) di rifarsi una vita “normale”. tuttavia, il film “The red Kimono” rivelava la storia della prostituta, andando a ripercorrere i gravi fatti di cui la signora era stata accusata. La Corte accolse le richieste dell’istante, affermando che «a qualsiasi persona condannata ma poi assolta va riconosciuto il diritto alla felicità, che include il diritto di difendersi da attacchi inutili alla propria sfera personale, alla condizione sociale e alla reputazione». LeGISLAZIone eD AttuALItà giuridico, i social network e come ha predisposto il sistema di tutela per fare poi un confronto con il Digital Markets act, basato sui principi di equità e contendibilità, considerata la stretta connessione tra tutela della privacy e tutela della concorrenza. nel primo Considerando del Regolamento del parlamento europeo e del Consiglio relativo a un mercato unico dei servizi digitali (legge sui servizi digitali) e che modifica la direttiva 2000/31/Ce, si legge testualmente, con un’esplicita dichiarazione di intenti, che: Considerando (1) «i servizi della società dell’informazione e in particolare i servizi intermediari sono diventati, una componente significativa del- l’economia dell’Unione e della vita quotidiana dei suoi cittadini. a vent’anni dell’adozione del quadro giuridico esistente applicabile a tali servizi stabilito nella direttiva 2000/31/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, modelli aziendali e servizi nuovi e innovativi, quali i social network e i mercati online, hanno consentito agli utenti commerciali e ai consumatori di accedere alle informazioni, diffonderle ed effettuare transazioni in modi nuovi. attualmente la maggior parte dei cittadini dell’Unione utilizza tali servizi su base giornaliera. La trasformazione digitale e il maggior utilizzo di tali servizi hanno tuttavia anche dato origine a nuovi rischi e sfide sia per i singoli utenti sia per la società nel suo insieme». Considerando (2) «Gli Stati membri stanno sempre più introducendo, o stanno valutando di introdurre, legislazioni nazionali sulle materie disciplinate dal presente regolamento, imponendo in particolare obblighi di diligenza per i prestatori di servizi intermediari. Tenendo conto del carattere intrinsecamente transfrontaliero di internet, generalmente utilizzato per prestare i suddetti servizi, tali legislazioni nazionali divergenti incidono negativamente sul mercato interno, che, ai sensi dell’art. 26 del Trattato, comporta uno spazio senza frontiere interne, nel quale è assicurata la libera circolazione di merci e di servizi e la libertà di stabilimento. Le condizioni per le prestazioni dei servizi intermediari in tutto il mercato interno dovrebbero essere armonizzate in modo da offrire alle imprese accesso ai nuovi mercati e opportunità di sfruttare i vantaggi del mercato interno, consentendo nel contempo ai consumatori e agli altri destinatari dei servizi di disporre di una scelta più ampia». Se in questi due primi considerando vengono prese in considerazione le ragioni del mercato, nel terzo Considerando viene in rilievo il profilo della “responsabilità”: Considerando (3) «Un comportamento responsabile e diligente da parte dei prestatori di servizi intermediari è essenziale per un ambiente online sicuro, prevedibile e affidabile e per consentire ai cittadini dell’Unione e ad altre persone di esercitare i loro diritti fondamentali garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in particolare la libertà di espressione e di informazione, la libertà di impresa e il diritto alla non discriminazione». RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 3/2021 Da qui l’enunciazione della necessità di una regolamentazione euro-unitaria enunciata nel Considerando (4): «È, pertanto, opportuno stabilire una serie mirata di norme obbligatorie uniformi, efficaci e proporzionate a livello dell’Unione, al fine di tutelare e migliorare il funzionamento del mercato interno. il presente regolamento stabilisce le condizioni per lo sviluppo e l’espansione di servizi digitali innovativi nel mercato interno. il ravvicinamento delle misure nazionali di regolamentazione a livello dell’Unione in materia di obblighi per i prestatori di servizi intermediari è necessario per evitare la frammentazione del mercato interno, porvi fine e garantir e la certezza del diritto, così da ridurre l’incertezza per gli sviluppatori e promuovere l’interoperabilità. il ricorso a prescrizioni tecnologicamente neutre dovrebbe stimolare l’innovazione anziché ostacolarla». La necessità di una regolamentazione eurounitaria viene collegata al concetto di neutralità della tecnologia, laddove i servizi di intermediazione vengono distinti in servizi di “mere conduit”, ossia di semplice trasporto, “caching”, memorizzazione temporanea e di “hosting”, consistente nel memorizzare informazioni fornite da un destinatario del servizio su richiesta di quest’ultimo. Sono le definizioni dell’attività poste in essere dalle piattaforme digitali, definite giuridicamente per la prima volta nell’art. 2 del Digital Services act, assieme alla nozione di “contenuto illegale”, rispettivamente nella lettera h) e g). La lettera h) dell’art. 2 recita espressamente: «“piattaforma on line” (è) un prestatore di servizi di hosting che, su richiesta di un destinatario del servizio, memorizza e diffonde al pubblico informazioni, tranne qualora tale attività sia una funzione minore e puramente accessoria di un altro servizio, e, per ragioni oggettive e tecniche, non possa essere utilizzata senza tale altro servizio e a condizione che l’integrazione di tale funzione nell’altro servizio non sia un mezzo per eludere l’applicabilità del presente regolamento». La lettera g) definisce “contenuto illegale”«qualsiasi informazione che, di per sé o in relazione ad un’attività, tra cui la vendita di prodotti o la prestazione di servizi, non è conforme alle disposizioni normative dell’Unione o di uno Stato membro, indipendentemente dalla natura o dall’oggetto specifico di tali disposizioni». Se il criterio ispiratore del Digital Services act è la responsabilizzazione delle piattaforme digitali, è pur vero che resta in piedi la clausola del buon samaritano nell’art. 7, rubricato “assenza di obblighi generali di sorveglianza o di accertamento attivo”, in cui si prevede che «ai prestatori di servizi intermediari non è imposto alcun obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni che tali prestatori trasmettono, né di accertare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illegali». Vi è, però, l’obbligo di attivarsi nel rimuovere i contenuti illegali o disabilitare l’accesso non appena si venga a conoscenza di attività o contenuti illegali o si diviene consapevoli LeGISLAZIone eD AttuALItà di fatti o circostanze illecite, lasciando impregiudicata, secondo gli ordinamenti giuridici degli Stati membri, che un organo giurisdizionale o un’autorità amministrativa esiga al prestatore di lavoro di impedire o porre fine ad una violazione. Viene mantenuto un sistema di “notifica ed azione” con l’introduzione, però, di un sistema di valutazione del rischio (artt. 26 e 27), che costituisce un sistema preventivo e non repressivo della tutela, con un’evoluzione qualitativa dall’“enforcement” al “pre-emptive remedy”, ossia al rimedio preventivo e proattivo, incentrato sul “concetto di rischio di sistema”. L’art. 26, infatti, prevede che almeno una volta all’anno «le piattaforme on line di dimensioni molto grandi individuano, analizzano e valutano eventuali rischi sistemici significativi derivanti dal funzionamento e dall’uso dei loro servizi nell’Unione. La valutazione del rischio deve essere specifica per i loro servizi e comprendere i seguenti rischi sistemici: a) La diffusione di contenuti illegali tramite i loro servizi; b) eventuali effetti negativi per l’esercizio dei diritti fondamentali al rispetto della vita privata e familiare e alla libertà di espressione e di informazione, del diritto alla non discriminazione e dei diritti del minore, sanciti rispettivamente dagli articoli 7, 11, 21 e 24 della Carta; c) La manipolazione intenzionale del servizio, anche mediante un uso non autentico o uno sfruttamento automatizzato del servizio, con ripercussioni negative, effettive o prevedibili, sulla tutela della salute pubblica, dei minori, del dibattito civico, o con effetti reali o prevedibili sui processi elettorali e sulla sicurezza pubblica». Alla valutazione di analisi del “rischio di sistema” segue la fase attiva di “attenuazione dei rischi”, prevista dall’art. 27: «Le piattaforme online di dimensioni molto grandi adottano misure di attenuazione ragionevoli, proporzionate ed efficaci, adattate ai rischi sistemici specifici …Tali misure possono comprendere, ove opportuno: a) L’adeguamento dei sistemi di moderazione dei contenuti o di raccomandazione, dei loro processi decisionali, delle caratteristiche o del funzionamento dei loro servizi, o delle loro condizioni generali; b) Misure mirate volte a limitare la visualizzazione della pubblicità associata al servizio da esse prestato; c) il rafforzamento dei processi interni o della vigilanza sulle loro attività, in particolare per quanto riguarda il rilevamento dei rischi sistemici; d) L’avvio o l’adeguamento della cooperazione con i segnalatori attendibili (figura qualificata introdotta nell’art. 19 del Digital Services act); e) L’avvio o l’adeguamento della cooperazione con altre piattaforme on line attraverso i codici di condotta e i protocolli di crisi (previsti dagli artt. 35 e 37 del Digital Services act)». un aspetto di grande rilievo è da rinvenirsi nell’obbligo di disclosure e di trasparenza, che viene introdotto come finalità principale dell’attività svolta RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 3/2021 dalla nuova figura dei “responsabili della Conformità” (art. 32), figura chiave che assicura, assieme al “coordinatore dei servizi digitali”, la conformità del- l’attività delle piattaforme alle norme contenute nel Digital Services act. Viene definito e mitigato l’automatismo informativo dei c.d. “sistemi di raccomandazione”, ossia di quei sistemi che forniscono informazioni tramite le profilazioni, impedendo di ricevere notizie legate al c.d. “adiacente possibile”. L’art. 29 “Sistemi di raccomandazione” del Digital Services act prevede che: «1. Le piattaforme on line di dimensioni molto grandi che si avvalgono di sistemi di raccomandazione specificano nelle loro condizioni generali, in modo chiaro, accessibile e facilmente comprensibile, i principali parametri utilizzati nei loro sistemi di raccomandazione, nonché qualunque opzione che possano avere messo a disposizione dei destinatari del servizio per consentire loro di modificare o influenzare tali parametri principali, compresa almeno un’opzione non basata sulla profilazione, ai sensi dell’articolo 4, punto 4) del regolamento (Ue) 2016/679. 2. Qualora siano disponibili più opzioni a norma del paragrafo 1, le piattaforme online di dimensioni molto grandi mettono a disposizione una funzionalità facilmente accessibile sulla loro interfaccia online che consenta ai destinatari del servizio di selezionare e modificare in qualsiasi momento l’opzione da essi preferita per ciascuno dei sistemi di raccomandazione che determina l’ordine relativo delle informazioni loro presentate». tale previsione cerca di garantire al singolo un’autonomia operativa, valutativa e decisionale nel suo rapporto con la piattaforma, superando quella asimmetria di posizioni che lo vede attualmente ingabbiato in automatismi informativi, collegati alla sua inconsapevole profilazione. naturalmente, le previsioni sopra descritte dovranno seguire il loro iter legislativo prima di costituire un rilevante elemento di riferimento normativo che valga a costituire un preciso centro autonomo di imputazione della responsabilità. Per ora, occorre puntualizzare i principi elaborati soprattutto dalla giurisprudenza per poter definire i principi guida della materia in esame. 2. algoritmo e diritto amministrativo. tra le varie giurisdizioni, quella amministrativa è stata la più incisiva nell’affermazione di una visione antropocentrica dell’utilizzo degli algoritmi, attraverso il criterio dello human in the loop, ossia attraverso la configurazione di un centro di imputabilità della responsabilità in capo esclusivamente al- l’agente umano. Il riferimento principale è l’art. 22 del GDPR, rubricato “Processo decisionale automatizzato relativo alle persone fisiche, compresa la profilazione”, articolo che afferma il c.d. “principio di non esclusività”. tale articolo recita espressamente: LeGISLAZIone eD AttuALItà «1. L’interessato ha il diritto di non essere sottoposto a una decisione basata unicamente sul trattamento automatizzato, compresa la profilazione, che produca effetti giuridici che lo riguardano o che incida in modo analogo significativamente sulla sua persona. 2. il paragrafo 1 non si applica nel caso in cui la decisione: a) sia necessaria per la conclusione o l’esecuzione di un contratto tra l’interessato e un titolare del trattamento; b) sia autorizzata dal diritto dell’Unione o dello Stato membro cui è soggetto il titolare del trattamento che precisa altresì misure adeguate a tutela dei diritti, delle libertà e dei legittimi interessi dell’interessato; c) si basi sul consenso esplicito dell’interessato». tale principio “di non esclusività” è, oggi, secondo parte della dottrina (16), un principio “debole” che, a fronte di tecniche algoritmiche sempre più invasive, pervasive ed incisive sui diritti fondamentali, necessita di essere integrato dal principio di comprensibilità e di motivabilità (c.d. “right to explainability”). tale principio si traduce, sul piano operativo, nel principio di trasparenza, nel diritto di accesso al codice sorgente: se le decisioni interferiscono con i diritti fondamentali, si radica un obbligo stringente di motivazione, sottoposto a controllo giurisdizionale, nel rispetto del principio di legalità, proporzionalità e ragionevolezza. è bene precisare che tali principi si applicano sia alle decisioni private, laddove vengano in rilievo asimmetrie legate ai c.d. poteri privati (si pensi alla posizione dei lavoratori nei confronti del datore di lavoro o al delicato settore anti-trust), sia alle decisioni pubbliche, laddove gli artt. 41 e 47 della Carta dei diritti Fondamentali dell’unione europea sanciscono il diritto ad una buona Amministrazione, con obbligo di dare adeguata motivazione ai provvedimenti e l’art. 97 della Costituzione sancisce il principio del buon andamento dell’attività amministrativa, ispirata a criteri di efficienza, efficacia ed economicità. è, però, bene precisare che l’algoritmo deve essere creato in modo da rispettare i diritti fondamentali dell’uomo: il modello degli oversight Board e dei comitati etici, incentrato sul controllo ex post, non ha funzionato. Il principio della configurazione predefinita degli standard di sicurezza, sin dal momento della progettazione del sistema, c.d. privacy by design and default, che è posto alla base del principio di accountability, deve evolvere in design by education, che veda i suoi strumenti nella co-regolazione (e non nella self-regulation), nella paideia, ossia nella formazione digitale integrata, consapevole, continua dei cittadini e nella collaborazione fra le varie Autorità regolatorie, per promuovere una tutela proattiva e preventiva della tutela dei dati. Il Consiglio di Stato è la giurisdizione che ha affrontato in maniera più (16) A. SIMonCInI, “L’algoritmo incostituzionale: intelligenza artificiale e il futuro delle libertà”, 2019. RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 3/2021 approfondita il cambiamento dell’Amministrazione 4.0, giungendo ad analizzare la c.d. tecnificazione dei principi amministrativi: se, infatti, il xx secolo ha visto il passaggio dall’amministrazione tradizionale, caratterizzata dall’utilizzo della carta e macchina da scrivere, a un’amministrazione 2.0, che fa uso di computer e stampanti, per poi giungere, all’inizio del xxI secolo, nell’era dell’amministrazione digitale 3.0, nella quale il soggetto pubblico fa ampio ricorso alla comunicazione via internet, il nuovo processo al quale si comincia ad assistere è quello di un’attività amministrativa che, sempre più frequentemente, ricorre a forme di automazione della decisione amministrativa. Si pensi al procedimento per la formazione delle liste dei professori universitari che possono far parte delle commissioni per l’ASn (Abilitazione scientifica nazionale) (17). tale ipotesi è un esempio di «automazione del provvedimento» per la dichiarazione di “sorteggiabilità” di quanti aspirino a divenire commissari, nel procedimento di attribuzione dell’abilitazione scientifica per rivestire il ruolo di professore universitario. Molti regolamenti comunali ricorrono a un algoritmo al fine di determinare l’ammontare della sanzione paesaggistica, ai sensi dell’art. 167, comma 5, del D.lgs. 42 del 2004. Assai frequenti sono anche i provvedimenti di esclusione dalle procedure concorsuali, la cui domanda di partecipazione avviene attraverso una piattaforma informatica, materia che ha conosciuto un ricco contenzioso amministrativo maturato in tutte quelli ipotesi in cui viene disposta l’esclusione dalla procedura per problemi legati al cattivo funzionamento del sistema informatici. In altri casi ancora, le amministrazioni hanno fatto ricorso a sistemi informatici per i provvedimenti di assegnazione delle farmacie (18). Più di recente, il ricorso all’algoritmo si è avuto nella vicenda nota come la riforma della “buona scuola”. Con la legge n. 107 del 2015, il Miur aveva avviato un Piano straordinario di assunzioni a tempo indeterminato e di mobilità su scala nazionale, riguardante la scuola primaria e secondaria, nell’ambito di un progetto complessivo di riforma della scuola. Le assunzioni erano avvenute anche attraverso un piano di trasferimenti interprovinciali del personale docente (c.d. mobilità della “buona scuola”), la cui gestione è stata attuata attraverso il ricorso a un codice sorgente, elaborato da una società privata, la hPe Services S.r.l., su incarico del Miur, al fine di consentire all’amministrazione di svolgere più agevolmente la complessa procedura di mobilità dei docenti. In questa vicenda, l’algoritmo aveva sostituito il procedimento amministrativo, nel senso che, l’individuazione della sede spettante al singolo docente nell’ambito della mobilità è avvenuta attraverso l’im (17) M. D’AnGeLoSAnte, “La consistenza del modello dell’amministrazione invisibile nell’età della tecnificazione della formazione delle decisioni alla responsabilità per le decisioni”, in S. CIVItA- ReSe MAtteuCCI - L. toRChIA (a cura di), “La tecnificazione”, pag. 165. (18) Vedi Sent. tar Lazio, Roma, sez. III, 3 luglio 2018, n. 7368; Sent. CdS, sez. VI, 7 novembre 2017, n. 5136, Sent. tar trentino-Alto Adige, sez. I, 15 aprile 2015, n. 149. LeGISLAZIone eD AttuALItà plementazione del predetto algoritmo, per mezzo del codice sorgente, elaborato dalla società hPe Service S.r.l. La vicenda è divenuta nota, anche perché dal- l’applicazione di tale algoritmo è scaturito un cospicuo contenzioso dinanzi al giudice amministrativo, nonché davanti al giudice del lavoro. occorre incentrare l’analisi sui profili di ammissibilità di tali forme variabili di decisioni automatizzate, per ricondurre a sistema le principali questioni di integrazione dell’algoritmo con i principi del diritto amministrativo ad esso sottesi: in particolare, l’individuazione dei criteri di imputazione e le conseguenti forme di responsabilità a cui le stesse rimandano. è opinione diffusa, sia dottrina che in giurisprudenza (19), che il terreno di elezione della decisione amministrativa in forma automatizzata sarebbe quello dell’attività vincolata, mentre la stessa sarebbe preclusa nel campo dell’attività discrezionale. Ciò perché, l’attività vincolata di un’amministrazione implica la nota sequenza norma-fatto-effetto, tale per cui l’individuazione univoca ed incontrovertibile dei presupposti fissati dalla legge rende certa la conseguente decisione amministrativa (20). Per tale ragione, è possibile per l’attività vincolata affidare a un software la costruzione dei passaggi necessari: si realizza così l’immissione di una serie di input, vale a dire di presupposti predeterminati dalla legge, cui segue lo svolgimento «di una serie finita di passi elementari», cioè la verifica della sussistenza di quei presupposti nel caso di specie, per giungere alla «soluzione del problema», che coincide con la decisione finale, o output (21). Al contrario, una simile operazione non potrebbe trovare applicazione nell’ambito dell’attività discrezionale che, invece, implica la sequenza norma-potere-effetto e che presuppone un apprezzamento e una valutazione comparativa di più interessi pubblici e privati, il cui svolgimento non può in alcun modo essere affidato alla macchina. In realtà, la questione non è così semplice, non solo perché la distinzione sopra esposta tra attività vincolata e attività discrezionale non è unanimemente condivisa (22), ma soprattutto perché, anche a volere ammettere che l’attività (19) Cass. Civ., sez. I, 28 dicembre 2000, n. 16204, secondo cui «sono atti amministrativi informatici in senso stretto quegli atti provenienti dalla p.a., direttamente ed automaticamente elaborati dal sistema informatico, in quanto non richiedono valutazioni discrezionali e motivazioni correlate alla particolarità del caso concreto»; M. D’AnGeLoSAnte, op. cit., p. 164; P. otRAnto, “Decisione amministrativa e digitalizzazione della p.a.”, in federalismi.it; F. PAtRonI GRIFFI, “La decisione robotica e il giudice amministrativo”, in giustizia-amministrativa.it. (20) Su tali questioni, qui semplicemente evocate, si veda e. CAPACCIoLI, “Manuale di diritto amministrativo”, Padova, 1983, p. 267; A. PRoto PISAnI, “appunti sulla c.d. tutela costitutiva e sulle tecniche di produzione degli effetti sostanziali”, in riv. dir. proc., 1991, pp. 62 ss.; più in generale, n. IRtI, “norme e fatti. Saggi di teoria generale del diritto”, Milano 1984, pp. 51 ss.; rimane centrale, in tema di efficacia giuridica, A. FALZeA, “Teoria dell’efficacia giuridica”, oggiin “ricerche di teoria generale del diritto e di dogmatica giuridica”, vol. I, Milano, 1999, pp. 45 ss.; in giurisprudenza si veda Cass., Sez. un., 4 maggio 2004, n. 8430. (21) P. FeRRAGInA -F. LuCCIo, “il pensiero computazionale. Dagli algoritmi al coding”, Bologna, 2017. RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 3/2021 vincolata si presti maggiormente all’automazione della decisione, è pur vero che in taluni casi anche siffatta attività implica un processo di valutazione, o quantomeno di interpretazione, rispetto al presupposto che giustifica l’adozione dell’atto. Circostanza questa, che rimanda all’altra questione rilevante, ossia l’imputazione dell’atto automatizzato e la relativa responsabilità. Se, infatti, il ricorso alla procedura automatizzata da una macchina risponde a logiche di efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa, sulla base del presupposto che, laddove l’attività tradizionalmente svolta dal funzionario venga affidata a una macchina, si riducono i tempi di realizzazione e si ottengono soluzioni certe ed esatte, ciò nonostante, a parte le frequenti ipotesi di fallibilità del software (vedi i casi frequenti di malware), l’automazione del- l’attività amministrativa non può mai comportare la totale sostituzione del- l’essere umano nelle scelte amministrative, e la stessa attività deve essere imputata all’amministrazione nel rispetto del principio di responsabilità. Il problema centrale è il carattere non neutrale dell’algoritmo e la sua scarsa trasparenza. Questa considerazione emerge in tutta la sua criticità nel caso della “buona scuola” che mi accingo a descrivere. una prima sentenza (23) aveva avuto ad oggetto il diritto di accesso all’algoritmo. L’istanza di accesso era stata formulata da un’organizzazione sindacale ed era giustificata dalla necessità di garantire l’eventuale diritto di difesa degli iscritti alla stessa organizzazione, nell’eventualità di un’impugnazione del provvedimento di assegnazione della sede di docenza. Il Miur aveva esibito il documento descrittivo dell’algoritmo che gestiva il software, negando, invece, l’accesso al codice sorgente, in quanto riteneva che lo stesso dovesse essere protetto dai principi in materia di proprietà intellettuale. Il tar ha, invece, consentito l’accesso, perché il software è il provvedimento amministrativo: nella ricostruzione fatta dai giudici si sostiene che «l’algoritmo è diretta espressione dell’attività svolta dalla pubblica amministrazione che è indubbiamente attività di pubblico interesse, in quanto relativo all’organizzazione del servizio di pubblica istruzione. Tale algoritmo è entrato nella procedura di mobilità quale elemento decisivo». Pur non condividendo del tutto la suddivisione sopra menzionata, secondo cui l’automazione della decisione amministrativa può essere ammessa nell’attività vincolata, ma non in caso di attività discrezionale, il tar afferma che nel caso di specie si è, comunque, in presenza di attività vincolata, particolarmente complessa in considerazione degli innumerevoli elementi che devono essere valutati: ciò non comporta un apprezzamento discrezionale, trattandosi di elementi di tipo oggettivo e di immediato riscontro, che l’Amministrazione ha il (22) F. SAIttA, “Le patologie dell’atto amministrativo elettronico e il sindacato del giudice amministrativo”, in riv.dir.amm.elettronico, disponibile on line, 2003, 10. (23) tar Lazio, sez. III bis, 14 febbraio 2017, n. 3769. LeGISLAZIone eD AttuALItà dovere di acquisire al procedimento e di interrelazionare correttamente tra loro, ai fini dell’adozione dell’atto finale. Dunque, nel caso considerato, il software «assume una rilevanza centrale nel procedimento amministrativo». tenuto conto che il software ha natura informatica, che la sua elaborazione è imputabile ad una società esterna e non all’amministrazione e che la sua funzione è di ausilio e di supporto rispetto all’attività dell’amministrazione e del funzionario, il tar conclude nel senso che «è con il software che si concretizza la volontà finale dell’amministrazione procedente» e«che l’amministrazione costituisce, modifica o estingue le situazioni giuridiche individuali». Per tale ragione, il tar, con l’ordinanza soprarichiamata, ha ordinato la esibizione del software, annullando il diniego di accesso opposto dall’amministrazione. Diversa è, invece, l’impostazione seguita dal tar in una diversa sentenza (24), sempre relativa alla vicenda della “buona scuola”, ma riguardante l’impugnazione della graduatoria di mobilità, nella quale i ricorrenti contestavano il trasferimento in province più lontane da quella della propria residenza o da quella indicata come scelta prioritaria, sottolineando, soprattutto, il fatto che nelle predette province fossero presenti posti disponibili. In tal caso, i privati lamentavano prevalentemente l’assenza di ogni attività amministrativa, essendo stata integralmente affidata la decisione sulla mobilità alla procedura informatica. A differenza di quanto sostenuto nella precedente pronuncia, in tale caso il tar ha stigmatizzato l’assenza «di una vera e propria attività amministrativa, essendosi demandato a un impersonale algoritmo lo svolgimento dell’intera procedura di assegnazione dei docenti alle sedi disponibili», con evidente pregiudizio dei principi di trasparenza, di partecipazione e di imparzialità dell’amministrazione. In tale vicenda il giudice amministrativo afferma che la procedura così automatizzata non può mai sostituire «l’attività cognitiva, acquisitiva e di giudizio che solo un’istruttoria affidata a un funzionario persona fisica è in grado di svolgere», anche e soprattutto al fine di assicurare «l’osservanza degli istituti di partecipazione, di interlocuzione procedimentale e di acquisizione degli apporti collaborativi del privato e degli interessi coinvolti nel procedimento». Anche volendo ammettere che la procedura informatica possa dare un esito corretto e indiscutibile, rimane il fatto che una decisione del tutto automatizzata è priva di motivazione, con grave pregiudizio per le aspettative di tutela dei privati, particolarmente delicate e rilevanti, dal momento che nella vicenda considerata la decisione amministrativa ha un impatto rilevante sulla vita lavorativa dei docenti, incidendo inevitabilmente sui diritti costituzionalmente garantiti. Le due sentenze sopraesaminate presentano una contraddizione intrinseca. nel primo caso, per l’esigenza comprensibile e condivisibile di consentire l’accesso al codice sorgente, al fine di assicurare la garanzia del diritto di difesa (24) tar Lazio, Roma, sez. III bis, 11 luglio 2018, n. 9230. RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 3/2021 dei ricorrenti, il tar si spinge ad affermare che “l’algoritmo è il provvedimento amministrativo” e, dunque, deve essere esibito. nel secondo caso, al contrario, pur se la finalità rimane quella di garantire le aspettative di tutela dei ricorrenti, il tar esclude che l’algoritmo possa sostituire integralmente il procedimento e il provvedimento amministrativo, nonostante si tratti di una vicenda analoga a quella precedentemente esaminata e si possa affermare che si tratti di attività vincolata, nella quale è assente (o quasi del tutto assente) ogni apprezzamento discrezionale e, dunque, una valutazione comparativa di interessi. Alla luce dei principi di partecipazione e di istruttoria procedimentale a cui l’Amministrazione è tenuta a conformarsi, unitamente all’obbligo di motivazione che in caso di decisione automatizzata rimarrebbe inosservato, occorre ritenere necessaria la riconducibilità di ogni decisione amministrativa a un organo, che ne è responsabile, escludendo forme di tale automatizzazione della decisione. L’algoritmo deve, dunque, considerarsi il presupposto su cui la decisione si fonda, secondo il modello, già noto, dell’apprezzamento tecnico come presupposto del provvedimento amministrativo. Così posta la questione, viene in rilievo il rapporto assai discusso tra tecnica ed amministrazione, che a sua volta trova soluzione nella nozione di discrezionalità tecnica (25). Secondo la più tradizionale elaborazione, a differenza della discrezionalità pura, che implica la ponderazione tra i diversi interessi coinvolti dalla decisione amministrativa (c.d. ermessen), la discrezionalità tecnica non necessariamente comporta una ponderazione comparativa degli interessi, bensì tra fatti da accertare alla stregua di canoni scientifici, tecnici, letterari, artistici, ecc. Il potere di scelta in ordine allo strumento più idoneo ad assicurare la migliore cura dell’interesse pubblico è un potere successivo, che consegue all’esito del giudizio tecnico, laddove questo abbia un esito incerto che apre a più soluzioni. In ogni caso, la valutazione tecnica e l’accertamento tecnico (a seconda del livello di esattezza della scienza preso a modello di riferimento) operano come presupposto della decisione amministrativa (26). ed è proprio questa la chiave di lettura che, sia pure implicitamente, rileva dal confronto tra le due sentenze. Come evidenziato dagli stessi giudici, l’automatizzazione della procedura si traduce in un supporto di tipo tecnico a un’attività che altrimenti dovrebbe essere svolta dal funzionario e, in tal modo, è possibile conseguire in tempi più ragionevoli la decisione finale. Ma questa attività non può integralmente (25) Sull’autonomia concettuale della tecnica rispetto all’esercizio del potere discrezionale vedi M.S. GIAnnInI, “il potere discrezionale della pubblica amministrazione. Concetto e problemi”, Milano, 1939; V. BACheLet, “L’attività tecnica della pubblica amministrazione”, 1967; F. LeDDA, “Potere, tecnica e sindacato giudiziario”, in “Studi in memoria di V. Bachelet”, Milano, 1987, p. 247. (26) Si veda F. VoLPe, “Discrezionalità tecnica e presupposti dell’atto amministrativo”, in Dir. amm., 2008, 791. LeGISLAZIone eD AttuALItà sostituire la decisione finale, perché ne sarebbero pregiudicati i principi di imparzialità, di buon andamento e di trasparenza dell’azione amministrativa. Prescindendo dalla distinzione tra attività vincolata ed attività discrezionale, la soluzione più condivisibile è quella di considerare la procedura automatizzata alla stregua di un accertamento tecnico, che presuppone, comunque, l’adozione di un provvedimento finale che ne faccia proprio l’esito. Riprendendo le osservazioni svolte dal giudice amministrativo, le procedure informatiche sono predisposte «in funzione servente» e ad esse va affidato un «ruolo strumentale e meramente ausiliario in seno al procedimento amministrativo e giammai dominante o surrogatorio dell’attività dell’uomo». tale ricostruzione è confermata dal Supremo Consesso Amministrativo che, con la sentenza dell’8 aprile 2019, n. 2270, in una vicenda relativa al- l’impugnazione della proposta di assunzione conseguente al piano straordinario di mobilità dei docenti, ha prospettato una soluzione per certi versi intermedia rispetto alle pronunce dei giudici di prime cure. Per un verso, il Consiglio di Stato ammette che in alcuni casi come quello relativo alla “buona scuola”, il ricorso a una procedura automatizzata deve ritenersi legittimo, anzi utile e vantaggioso, poiché in presenza di procedure seriali o standardizzate, consente di addivenire a una decisione in tempi più celeri, a garanzia dell’interesse pubblico e dei principi di efficienza e di buon andamento. D’altra parte, prosegue: «l’utilizzo di procedure robotizzate non può essere motivo di elusione dei principi che conformano il nostro ordinamento e che regolano lo svolgersi dell’attività amministrativa». Ciò significa che, se è vero che «l’algoritmo, ossia il software deve essere considerato a tutti gli effetti come un atto amministrativo informatico» che si fonda su una «regola tecnica», va, altresì, considerato che l’atto così generato, e la regola tecnica che esso incorpora, devono essere soggetti ai principi fondamentali dell’azione amministrativa, tra cui la trasparenza e la conoscibilità, nonché il pieno sindacato del giudice amministrativo, il quale deve poter valutare «la correttezza del processo informatico in tutte le sue componenti: dalla sua costruzione, all’inserimento dei dati, alla loro validità, alla loro gestione». Il punto è che può accadere che l’algoritmo, inteso come regola tecnica, assuma un ruolo che si spinga al di là del mero presupposto su cui si fonda la decisione, potendo giungere a costituire un sistema di formazione della stessa volontà procedimentale. Il tema evoca il rapporto tra tecnica e amministrazione e la soluzione potrebbe essere quella che individua nel sapere tecnico e scientifico, e dunque nell’algoritmo, il presupposto della decisione amministrativa. Per altro verso, il quid novi dell’algoritmo consiste nella possibilità che esso, in quanto strumento di formazione della volontà dell’amministrazione, possa sostituirsi alla decisione finale. Pertanto, sulla scorta delle argomentazioni condotte dal giudice amministrativo, come pure dalle indicazioni contenute nel Regola RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 3/2021 mento ue 2016/679, appare utile provare a cogliere “nella sequenza di passaggi elementari” che caratterizzano un algoritmo e che, dunque, costituiscono l’essenza della decisione automatizzata, i principi fondamentali dell’ordinamento che assicurano il corretto dispiegarsi del procedimento amministrativo. occorre, dunque, enucleare un complesso di regole e principi che definiscano “un giusto processo tecnologico”, c.d. Digital o Technological Due Process, secondo un’espressione che riassume l’esigenza che gli algoritmi che ci governano riflettano i valori fondanti e condivisi della nostra società e siano soggetti al controllo democratico (27). occorre considerare anche il rapporto tra algoritmi e diritti fondamentali della persona alla luce degli artt. 13 e 14 del GDPR, secondo cui l’interessato deve essere informato dell’eventuale esecuzione di un processo decisionale automatizzato e dell’art. 22 (c.d. principio di non esclusività), che esclude la possibilità che la decisione sia basata unicamente sul trattamento automatizzato (28). Il Sistema di tutela deve, dunque, incentrarsi sul principio di trasparenza, condizione necessaria per la comprensione dei meccanismi di funzionamento dei processi decisionali compiuti dalle macchine. La trasparenza, in tal caso, è intesa quale sinonimo di conoscenza del percorso seguito per giungere alla decisione automatizzata. ed è in un’ottica di trasparenza che, da più parti, si sollecita l’intervento di “algoritmisti”, una sorta di consulente tecnico d’ufficio con competenze informatiche che svolga il ruolo di controllore delle società dell’algoritmo, con il compito di attestare la correttezza di un certo algoritmo (29). Il tema centrale nella decisione automatizzata diviene, così, quello della sua “spiegabilità”(explanability), attraverso l’individuazione di strumenti che consentano di interpretarne il codice sorgente per ricostruire i passaggi logici che lo compongono e stabilire, per questa via, i passaggi e le procedure che hanno determinano i risultati. Sotto tale profilo, la spiegabilità della procedura automatizzata, la cui necessità è stata sottolineata dal Consiglio di Stato nella sentenza sopra richiamata, non si allontana molto dalla necessaria motivazione del provvedimento: l’amministrazione che assume una decisione attraverso il (27) A. MoRettI, “algoritmi e diritti fondamentali della persona. il contributo del regolamento Ue 2016/679”, in “Diritto dell’informazione e dell’informatica”, 2018, 799; D. keAtS CItRon, “Technological Due Process”, 85, Wash. un.L.Rev.1249; D. keAtS CItRon & F. PASQuALe, “The Scored Society: Due Process for automated Predictions”, 89 WASh.L.ReV. 1 (2014); k. CRAWFoRD & J. SChuLtZ, “Big Data and Due Process: toward a framework to redress Predictive Privacy Harms”, 55 B.C.L. ReV.93 (2014). (28) Su questa falsariga si vedano, ad esempio, ePRS /european Parliamentary Research Service -Panel for the future of Science and Technology (StoA), “a governance framework for algorithmic accountability and transparency”, March 2019; high-Level expert Group on Artificial Intelligence, “ethics guidelines for trustworthy ai”, April 2019; in tal senso, M. ZALnIeRIute, L. Bennett MoSeS, G. WILLIAMS, “The rule of law and automation of Government Decision-Making”, in “The modern law review”, 2019, 425. (29) V. MAyeR -SChoeneRGeR, k. CukIeR, “Big Data. Una rivoluzione che trasformerà il nostro modo di vivere”, Garzanti, Milano, 2016. LeGISLAZIone eD AttuALItà ricorso a un algoritmo deve essere in grado di spiegare l’iter logico-giuridico che conduce alla decisione finale. trasparenza e conoscenza, o spiegabilità, della procedura automatizzata assicurano, a loro volta, un’adeguata partecipazione del privato alla procedura algoritmica. In qualunque passaggio della procedura, deve sempre essere assicurata al privato la facoltà di intervenire nel procedimento, di interloquire con il responsabile, di presentare memorie e documenti per orientare la decisione che lo riguarda, ma soprattutto per anticipare in sede procedimentale le proprie aspettative di tutela. ed è proprio questo il vulnus della decisione sulla mobilità dei docenti che, nella ricostruzione del tAR, ha comportato l’illegittimità della decisione medesima affidata per intero ad un algoritmo. L’esigenza è quella di evitare che l’automatizzazione della procedura possa generare un processo di spersonalizzazione della decisione, con un duplice effetto distorsivo: per un verso, perché impedisce la virtuosa partecipazione del privato al procedimento, in quanto manca un interlocutore al quale il privato possa rivolgersi; per altro verso, perché rischia di generare una polverizzazione della responsabilità conseguente alla decisione assunta (30). è, dunque, nel processo di procedimentalizzazione dell’attività algoritmica che si declina la tutela per il privato. Se l’algoritmo si proietta nella decisione finale, sino a sostituirla del tutto, ancor di più i profili di interesse si concentrano sulle prospettive di tutela e le garanzie dei privati dinanzi a una decisione pubblica assunta attraverso procedure automatizzate. In tal caso, oltre ai menzionati principi di trasparenza e partecipazione, a venire in rilievo è soprattutto il principio di responsabilità declinato in una duplice direzione: se, infatti, esso impone di ritenere sempre responsabile il funzionario che abbia agito “in violazione dei diritti” (31), sotto altro profilo, la decisione automatizzata implica la necessità di una responsabilità già nella “costruzione” e nell’“educazione” dell’algoritmo. Il modo in cui l’amministrazione decide di selezionare e scegliere i dati su cui dovrà essere costruito l’algoritmo, ne condiziona fatalmente il risultato. è in questa fase, ad esempio, che si è parlato di “non discriminazione algoritmica” (32), nel senso che i dati su cui si sviluppa l’algoritmo devono es (30) Sul tema, si rinvia alle suggestive riflessioni di e. PICoZZA, “Problems about enforcement”, in e. PICoZZA, “neurolaw. an introduction”, ed. Springer, 2016, pp. 79 ss. (31) Sul principio di responsabilità dell’amministrazione, v. A. PoLICe, “il principio di responsabilità”, in M. RennA, F. SAIttA, (a cura di) “Studi sui principii del diritto amministrativo”, Milano, 2012, 195 ss.; sull’art. 28 Cost., v. ex multis, M. CLARICh, “La responsabilità della pubblica amministrazione nel diritto italiano”, in riv. Trim. Dir. Pubbl., 1989, 1085. (32) A. SIMonCInI, “L’algoritmo incostituzionale, intelligenza artificiale, il futuro delle libertà”, cit., che riporta il caso della c.d. “decisione Compas”, rispetto alla quale, da uno studio condotto su un campione di 10.000 imputati, nella predizione della recidiva l’algoritmo sovrastimava sistematicamente il rischio di recidiva per gli imputati neri ed altrettanto sistematicamente sottostimava il rischio per i bianchi. RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 3/2021 sere selezionati in modo da evitare ogni effetto discriminatorio all’esito della decisione algoritmica. Se, allora, l’automatizzazione di una decisione pubblica consente la formazione della volontà dell’amministrazione, il processo che ne sta alla base, dall’inserimento degli input alla gestione dell’output, deve conformarsi ai principi generali che governano l’agire amministrativo; deve cioè, essere chiaro, conoscibile e partecipato per rispondere adeguatamente alle esigenze di tutela dei destinatari della decisione automatizzata. Il rischio, infatti, risiede nella circostanza che l’assunzione sempre più frequente e nei settori più variegati di decisioni automatizzate, che dovrebbero proiettare l’amministrazione verso forme di azioni innovative, tecnologicamente avanzate, assicurando l’efficienza, la correttezza e la oggettiva imparzialità della decisione, possa generare un arretramento sotto il profilo delle garanzie procedimentali del cittadino, dalla partecipazione in senso tecnico, attraverso la presentazione di memorie e documenti, alla possibilità di una concreta interlocuzione con il responsabile del procedimento. Per questo, si fa sempre più stringente la necessità di ancorare il procedimento di formazione della decisione automatizzata ai principi generali che conformano l’agire amministrativo, ivi inclusa le condizioni per l’esercizio di un sindacato giudiziario e delle relative conseguenze, anche in termini di responsabilità dell’amministrazione e dei suoi agenti (33). Al di là dell’inquadramento teorico della responsabilità dell’amministrazione in generale, è comunque evidente che se la decisione automatizzata è espressione di un potere, rispetto al cui esercizio l’algoritmo costituisce un presupposto ovvero coincide con il provvedimento, sovrapponendosi ad esso, quella appena considerata rappresenterebbe un’ipotesi di responsabilità per illegittimo esercizio del potere, la cui azione trova oggi fondamento nell’art. 30 c.p.a. Dopo la sentenza n. 500 del 1999 sulla risarcibilità dell’interesse legittimo e dopo l’entrata in vigore del codice del processo amministrativo nel 2010, la previsione di una specifica azione di condanna dinanzi al giudice amministrativo, soggetta a un termine di decadenza, consente di ipotizzare un superamento del paradigma di responsabilità extracontrattuale, lasciando invero irrisolte non poche questioni, tra cui quella della giurisdizione (34). (33) Il tema della responsabilità dell’amministrazione è estremamente complesso e variegato e racchiude una pluralità di questioni che difficilmente possono trovare composizione: per un’idea del contesto al quale ci si riferisce, v. A. CASSAteLLA, “La responsabilità funzionale nell’amministrare. Termini e questioni”, in Dir. amm., 2018, 677. (34) e. FoLLIeRI, “La tipologia delle azioni proponibili”, in F.G. SCoCA (a cura di), “Giustizia amministrativa”, torino, 2017, pp. 190 ss.; V. CeRuLLI IReLLI, “Giurisdizione amministrativa e pluralità delle azioni (dalla Costituzione al Codice del processo amministartivo)”, in Dir. Proc. amm., 2012, 436. In termini assai generali e senza alcuna pretesa di esaustività, una ricca costruzione storica del dibattito sopra richiamato si trova in F.G. SCoCA, “L’interesse legittimo. Storia e teoria”, torino, 2017; nonché, per una diversa ricostruzione della natura dell’interesse legittimo, G. GReCo, “Dal dilemma diritto soggettivo- interesse legittimo, alla differenziazione interesse strumentale-interesse finale”, in Dir. amm., LeGISLAZIone eD AttuALItà Questa è, dunque, la linea interpretativa che ha tracciato il Consiglio di Stato: superando ogni possibile limite al sindacato giudiziario sulla discrezionalità amministrativa e tecnica, rivendica la necessità di esercitare il proprio sindacato sull’algoritmo che costituisce l’essenza della decisione finale e sulla correttezza di tutti i passaggi della procedura informatica, ivi inclusa la costruzione dell’algoritmo, l’inserimento dei dati e la loro gestione. La questione, così impostata, rimanda al problema della fallibilità del software, al quale ci si affida sul presupposto che esso sia in grado di offrire una soluzione efficiente, perché adottata in tempi ridotti e non soggetta ad errore, ma che nei fatti può dar luogo a risultati non corretti, come mostra bene il caso delle assegnazioni dei docenti nella procedura di mobilità avviata con la riforma della “buona scuola”. è evidente che tali assegnazioni erano avvenute in modo non coerente alla scelta prioritaria formulata dagli interessati, con la conseguenza che alcuni docenti erano stati destinati in sedi più distanti da quella indicata o da quella di residenza e pur essendo disponibili svariati posti presso le sedi di elezione. A fronte del margine di errore del software, si fa sempre più sentita la necessità di assicurare la trasparenza, la conoscibilità e la partecipazione del privato al procedimento di formazione di ogni decisione pubblica, sia nell’ipotesi in cui l’algoritmo funga da presupposto per una decisione successiva, sia nel caso in cui il suo prodotto coincida con la stessa decisione. Fermo restando che, per il principio di responsabilità, l’amministrazione, e non un software, deve rispondere dei danni prodotti. In altri termini, applicato al processo di automazione della decisione pubblica, il principio di responsabilità si traduce, in un primo tempo, nell’esigenza di limitare il ruolo della tecnica in generale, e dell’algoritmo in particolare, a strumento servente dell’amministrazione, mantenendo così in capo all’agente la competenza e la responsabilità che deriva dall’assunzione della decisione (35). 2014, 479; C. CAStRonoVo, “La «civilizzazione» della pubblica amministrazione”, in europa e dir. priv., 2013, 637. Più in generale, sulla responsabilità civile, sul cui paradigma si è ricostruita la nozione di responsabilità dell’amministrazione per lesione dell’interesse legittimo, da ultimo nella trattatistica si vedano, tra gli altri, C. CAStRonoVo, “responsabilità civile”, Milano, 2018; G. ALPA, “La responsabilità civile. Principi”, Milano, 2018; P. tRIMARChI, “La responsabilità civile: atti illeciti, rischio, danno, responsabilità civile”; A. DI MAJo, “Profili della responsabilità civile”, torino, 2010; P.G. MonAteRI, “La responsabilità civile”, torino, 2006. (35) Qui, al di là del modello di responsabilità accolto, e del conseguente regime giuridico, la questione centrale riguarda il profilo dell’imputazione della responsabilità in capo all’amministrazione, su cui la giurisprudenza pare avere assunto un orientamento che oscilla tra la sussistenza della c.d. colpa d’apparato e la ricerca di un errore scusabile; CdS, sez. V, 20 agosto 2013, n. 4189, secondo cui «l’imputazione alla p.a. di una responsabilità extracontrattuale non può avvenire sulla base del mero dato obiettivo dell’illegittimità dell’azione amministrativa, ma il giudice deve svolgere una più penetrante indagine, non limitata al solo accertamento dell’illegittimità del provvedimento in relazione alla normativa ad esso applicabile, bensì estesa anche alla valutazione della colpa, non del funzionario agente e da riferire ai parametri della negligenza o imperizia, ma dell’amministrazione intesa come apparato, RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 3/2021 In modo complementare, il medesimo principio potrebbe condurre a stabilire, ad esempio, obblighi di tipo fiduciario a carico di chi raccoglie, analizza e utilizza informazioni nei confronti sia dei diretti interessati che della collettività in generale (36). Ancora, sempre in attuazione del principio di responsabilità, potrebbe essere auspicabile adottare specifiche prescrizioni tecniche per la progettazione di algoritmi “equi”, disegnati, cioè in modo da rispettare i valori fondanti della nostra società (37). Dinanzi alla continua evoluzione della scienza e alla velocità delle trasformazioni tecnologiche, un atteggiamento di resistenza rispetto all’impiego di algoritmi nella formazione della volontà procedimentale risulta ingiustificato, oltre che di difficile attuazione, dato che il ricorso a software che possano supportare l’azione amministrativa è destinato a essere sempre più frequente e gli ambiti applicativi delle decisioni automatizzate aumentano di continuo. Di recente, il Professore Giorgio Parisi, vincitore del premio nobel per la fisica 2021, ci ha illustrato le dinamiche dei sistemi complessi su scala atomica e planetaria, dimostrandoci che la massa è un fenomeno dinamico. Anche il mondo degli algoritmi presenta una complessità che il giurista deve cercare di regolare per metterla al servizio dell’interesse dell’uomo. è relativamente recente la notizia che in Sardegna è stata avviata una sperimentazione, che riguarda ancora pochi comuni, per il monitoraggio del territorio attraverso satelliti radar che, tra i diversi obiettivi, si propone anche quello di individuare manufatti ed edifici abusivi. In particolare, la neMea Sistemi -che dal 2015 è socia del distretto aerospaziale della Sardegna -intende calcolare «un algoritmo che consentirà di misurare se i fabbricati si innalzano oppure no, offrendo alla pubblica ammi che sarà configurabile nel caso in cui l’adozione e l’esecuzione dell’atto illegittimo e lesivo dell’interesse del danneggiato siano avvenute in violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione alle quali l’esercizio della funzione amministrativa deve ispirarsi»; nonché CdS, sez. V, 18 gennaio 2016, n. 148, che afferma che «ai fini della configurabilità della responsabilità della Pubblica amministrazione devono ricorrere i presupposti del comportamento colposo, del danno ingiusto e del nesso di conseguenzialità tra i fatti; pertanto, l’imputazione della colpa alla Pubblica amministrazione non può avvenire, sulla base del mero dato obiettivo dell’illegittimità dell’atto amministrativo e, comunque, essa va negata in particolare quando l’indagine conduca al riconoscimento dell’errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l’incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto». (36) J.M. BALkIn, “information fiduciaries and the first amendament”, 49 u.C Davis L.ReV.1183 (2015); per una recente ricognizione del tema degli obblighi fiduciari in prospettiva comparatistica, si rinvia a e.J. CRIDDLe, P.B. MILLeR & R.h. SItkoFF “oxford Handbook of fiduciary Law”, oxford, 2018. (37) S. BARoCAS, “accountable algorithms”, 165 u.PA.L.ReV. 633 (2017). Con ciò sfruttando il codice sorgente e l’architettura della rete come strumenti per governare la sfera digitale (il riferimento è a L. LeSSIG, “Code.Version 2.0”, new york, 2006). Rimane ovviamente la difficoltà di definire tali valori e principi e di tradurli in comandi eseguibili dalle macchine. Vedi J. kRoLL, “accountable algorithms”, 165 univ.Penn.L.Rev. 2017. LeGISLAZIone eD AttuALItà nistrazione uno strumento formidabile per individuare abusi e interventi sui fabbricati» (38). La questione è molto complessa, se si considera il noto orientamento della giurisprudenza amministrativa sulla possibilità di valutare le aerofotogrammetrie quali prove dell’avvenuto abuso (39). negare l’utilità degli algoritmi nell’attività amministrativa potrebbe rappresentare una forma di neoluddismo, la “c.d. paura del nuovo imponderabile”, non auspicabile in un’era postmoderna. L’utilizzo dell’intelligenza algoritmica implica, però, che l’esercizio del potere pubblico debba essere chiamato a rispondere degli eventuali pregiudizi arrecati, laddove incide in misura apprezzabile sulla libertà dei singoli. L’obiettivo è allora quello di definire un sistema adeguato di accountability per le decisioni assunte in modo automatizzato, senza dover rinunciare ai vantaggi innegabili scaturenti dall’innovazione digitale. occorre delineare una nozione di “algoritmo dominabile”, che consenta di costruire la logica della decisione. Qualche Autore (40) sottolinea la distinzione tra due tipi di algoritmo: l’algoritmo definito tradizionale e quello che si inserisce in un contesto di intelligenza artificiale. tale impostazione duale è di fondamentale importanza, perché in base ad essa si delineano situazioni giuridiche soggettive completamente differenti, rischi differenti e, quindi, esigenze di tutela del tutto differenti. “L’algoritmo tradizionale è uno strumento a cui si ricorre spesso nell’ambito dell’attività normativa o amministrativa. in questa prospettiva, l’algoritmo diventa una rappresentazione della norma e della sua interpretazione applicativa; si traduce in un vero e proprio metodo matematico per applicare la legge. La legge, quindi, in questo caso, precede l’algoritmo che diventa solo un mezzo per applicare più celermente le scelte normative. Talvolta si tratta di algoritmi semplici, quasi coincidenti con formule matematiche più o meno complesse: si pensi, in via esemplificativa, ai criteri di individuazione delle offerte economicamente più vantaggiose o agli algoritmi utilizzati dal Ministero del- l’istruzione per l’assunzione e l’assegnazione delle sedi ai docenti delle scuole che sono stati oggetto di recente di un’interessante vicenda giudiziaria oltre che di grande attenzione mediatica. in casi come questi, l’analisi dell’algoritmo consente di ricostruire la logica della decisione. L’algoritmo è “dominabile”. Certo, talvolta la sua complessità rende più difficile l’analisi e più facile l’errore, ma si tratta pur sempre di fallacia dell’uomo, di scelte sbagliate del (38) G. SIAS, “La nuova Sardegna”, 2 febbraio 2018. (39) Vedi da ultimo, Cons. Stato, sez. VI, sentenza n. 2363 del 10 aprile 2019, con la quale è stata riformata la sentenza di primo grado concernente la sospensione dei lavori di montaggio di una veranda, il diniego di condono e l’ordine di demolizione, per l’impossibilità di stabilire con esattezza la data di ultimazione del manufatto di cui si contestava la regolarità. (40) M. CoRRADIno, “intelligenza artificiale e pubblica amministrazione: sfide concrete e prospettive future”, pubblicato il 10 settembre 2021 sul sito www.giustizia-amministrativa.it. RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 3/2021 l’uomo in cui il vizio non è ontologicamente differente da quelli tradizionalmente incasellati nella tradizionale triade oggi scolpita dalla legge sul procedimento amministrativo: incompetenza, violazione di legge ed eccesso di potere. accanto all’algoritmo “tradizionale” che presuppone la partecipazione intellettiva umana, vi è, però, l’algoritmo basato sull’intelligenza artificiale che perde il carattere della “dominabilità”. in questi casi, agli algoritmi -o, meglio, all’intelligenza artificiale -viene richiesto qualcosa in più e cioè assumere decisioni al posto dell’uomo. L’intelligenza artificiale si sostituisce all’uomo nella scelta dell’atto da compiere, secondo un processo di analisi, acquisizione di dati e scelte autonome a cui la volontà umana risulta estranea” (41). In realtà, la volontà umana è ancora presente ed immanente nella fase di “creazione dell’algoritmo”, con l’immissione dei dati che devono essere il più possibile neutrali e nella fase della c.d. «educazione dell’algoritmo», poiché l’intelligenza artificiale può evolvere in intelligenza “spontaneus”, evolversi autonomamente dagli input dati dall’uomo. ecco che, allora, può venire a delinearsi la c.d. opacità dell’algoritmo e la decisione algoritmica perde la sua decifrabilità e la sua intelligibilità. Al termine del percorso di valutazione, rielaborazione e creazione di nuove e autonome determinazioni, essa è sempre più difficilmente ricostruibile, perché è il risultato di una combinazione di valutazioni e decisioni “esterna”, “estranea” al sistema intellettivo umano. Il percorso non è per sintassi, ma per “inferenza”. La logica del “what if”, tipica del nostro sistema normativo, la logica del “norma-fatto/potere-effetto” che è tipica del nostro sistema giuridico, viene sostituita in questo quadro da una sovrapposizione di inferenze, che è elaborata e poi espressa in un altro linguaggio: il linguaggio della macchina, che è strutturalmente differente da quello umano. tutto ciò incide sulla capacità decisionale dell’uomo e sulle sue libere scelte? Incide sull’efficacia delle leggi e sul potere regolatorio di uno Stato? L’autore prima citato giustamente osserva (42): «Quanti di noi stamattina hanno deciso di non prendere una strada soltanto, perché Google maps ha ritenuto che fosse più trafficata del solito inducendo, così, la maggior parte della popolazione a percorrerne un’altra? e la capacità di dettare e fare applicare regole è tanto più efficace quanto essa si salda con le tecniche di “nudging”, la spinta gentile che orienta determinati comportamenti senza prevedere obblighi o minacciare sanzioni. ancora più rilevante il tema delle blockchain, una tecnologia che consente di dare certezza assoluta alle transazioni avvenute tra soggetti appartenenti ad un determinato network e che è (41) Vedi M. CoRRADIno, “intelligenza artificiale e pubblica amministrazione: sfide concrete e prospettive future”, cit., pp. 1 e 2. (42) M. CoRRADIno, “intelligenza artificiale e pubblica amministrazione: sfide concrete e prospettive future”, cit., pp. 3 e 4. LeGISLAZIone eD AttuALItà stata oggetto di grande attenzione mediatica, in quanto struttura sulla quale viaggiano, tra l’altro, gli scambi di bitcoin. in essa la funzione di certificazione e di creazione di fiducia -che è tipica dello Stato -è esercitata in forma decentrata da tutti i soggetti che partecipano alla comunità di riferimento. in questo caso, le caratteristiche della tecnologia informatica -un registro condiviso e impossibile da modificare che registra in modo sequenziale qualunque tipo di transazione in modo che tutti i membri della comunità ne siano al tempo stesso fruitori e guardiani -permette di rinunciare ad un’autorità pubblica centralizzata di controllo. La diffusione del modello nel settore finanziario e più in generale in quello di scambio di asset sia tangibile che intangibili dovrebbe far riflettere sulla capacità della tecnologia di cambiare il mondo giuridico nel quale siamo fin qui vissuti. il disimpegno dello Stato nella formazione della norma, o quanto meno dei comportamenti, è vissuto più serenamente nel diritto civile che storicamente ha già vissuto senza traumi la liberazione dello Stato nell’affermarsi della lex mercatoria. ne è una testimonianza la scarna regolamentazione legislativa degli smarts contracts che viaggiano proprio sulle strutture della blockchain contenute nella legge 22 febbraio 2019 n.12. Tale fonte normativa, dopo aver dettato la nozione ed averli assimilati ai contratti a forma scritta, non sente la necessità di individuare dettagliatamente la disciplina e ne rimette la struttura, regolamentazioni e contenuti all’autonomia delle parti. il problema si caratterizza in modo diverso, però, nel diritto amministrativo che è regolazione e controllo del potere pubblico e in cui il tema dell’autonomia dell’intelligenza artificiale nell’assunzione delle decisioni si salda con quelli della sovranità, della divisione dei poteri, del collegamento necessario tra la decisione della pubblica amministrazione e la volontà popolare. in una parola con la democrazia ». tale Autore pone in luce la maggiore complessità dell’utilizzo dell’algoritmo nell’attività amministrativa rispetto all’attività contrattualistica tra privati, venendo in rilievo l’esercizio del potere pubblico. Vi sono state sentenze, come quella del tAR Lazio, sez. III, n. 4409 del 15 aprile 2021, in cui viene espressa la preoccupazione in merito alla «abdicazione da parte del responsabile del procedimento del suo ruolo di timoniere ed anche di correttore». Ma maggiore apertura si riscontra nell’orientamento del Consiglio di Stato (43), che testualmente ha affermato: «non vi sono ragioni di principio, ovvero concrete, per limitare l’utilizzo all’attività amministrativa vincolata piuttosto che discrezionale, entrambe espressione di attività autoritativa svolta nel perseguimento del pubblico interesse». Il problema reale è quello relativo alla perimetrazione dei limiti posti a (43) Vedi CdS, sez. VI, sentenza n. 881 del 4 febbraio 2020. RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 3/2021 garanzia dei diritti fondamentali. tali limiti sono essenzialmente quelli che rinveniamo nel Regolamento in materia di Privacy (Regolamento ue n. 2016/679 del 27 aprile 2016, attuato dal D.lgs. 2018 n. 101) (44) e che troviamo confermati nella Proposta di Regolamento del parlamento europea e del Consiglio del 21 aprile 2021, che stabilisce regole armonizzate sull’intelligenza artificiale e modifica alcuni atti legislativi dell’unione. Sono i limiti della “conoscibilità”, della “non esclusività” e “della non discriminazione”. tali principi delineano un’adeguata tutela in caso di algoritmo definito tradizionale, ma siamo sicuri che tali principi possano assicurare un’adeguata tutela anche nel campo dell’intelligenza artificiale? Il principio della conoscibilità si inserisce all’interno della trasparenza amministrativa: la conoscenza dell’algoritmo è lo strumento base per la conoscenza dell’iter decisionale che ne consente la valutazione sotto il profilo giuridico. emblematico il “Caso Loomis” deciso dalla Supreme Court of Winsconsin (45), in cui una pena molto grave venne comminata da una corte statunitense sulla base di una valutazione di pericolosità formulata dall’intelligenza artificiale. La Corte rifiutò alla difesa il diritto di conoscere i criteri che orientarono il giudizio di pericolosità, perché nel bilanciamento tra gli interessi in gioco e tenuto conto della possibilità di giustificare la pena sulla base di altri fattori, le esigenze di tutela del segreto industriale vennero ritenute prevalenti su quelle di trasparenza e di conoscibilità dell’algoritmo. La conoscenza dei criteri dell’algoritmo si traduce nella conoscenza del percorso logico-motivazionale del provvedimento: la black box, però, nucleo decisionale dell’intelligenza artificiale, risultato di sintesi della capacità della (44) Si tenga presente che la Corte costituzionale con la sentenza n. 260 del 2021 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 18, comma 5, del decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101, sancendo l’illegittimità della norma che prevedeva l’interruzione ex lege del termine di prescrizione, relativamente ai procedimenti sanzionatori che, alla data di applicazione del regolamento n. 679/2016/ue, siano stati avviati, ma non ancora definiti con l’adozione dell’ordinanza-ingiunzione. Secondo la Corte, è evidente che «l’interruzione automatica del termine di prescrizione quinquennale, che già di per sé rende eccessivamente squilibrato il rapporto fra privato e pubblica amministrazione, si traduca in una intollerabile compressione delle ragioni di tutela del privato». Si violerebbero i principi di proporzionalità e ragionevolezza, infatti «l’amministrazione può attivarsi per la riscossione delle somme dovute in base all’ordinanza-ingiunzione prodottasi ope legis, oppure, nell’ipotesi in cui il privato presenti nuove memorie difensive ai sensi dell’art. 18, comma 4, del d.lgs. n. 101 del 2018, può emettere l’ordinanza-ingiunzione, anche oltre un quinquennio dall’unico atto che è stato notificato all’interessato: grazie all’interruzione, si sommano infatti altri cinque anni al tempo già trascorso dalla notifica della contestazione alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 101 del 2018. Per converso, il privato, dopo aver rispettato il termine di trenta giorni per opporsi alla contestazione della sanzione amministrativa, può doversi difendere, sempre entro trenta giorni dalla notifica della cartella o dalla notifica dell’ordinanza- ingiunzione, a distanza di oltre cinque anni dalla notifica dell’atto con il quale gli era stata contestata la violazione. nessun’altra comunicazione, infatti, è tenuta ad effettuare l’amministrazione medio tempore, neppure con riferimento alle facoltà concesse ai privati dai primi commi dell’art. 18 e alle conseguenze derivanti a carico di coloro che non si avvalgano di tali facoltà». (45) State of Wisconsin v. eric L.Loomis, Case no. 2015AP157-CR, 5 April-13 July 2016. LeGISLAZIone eD AttuALItà macchina di autoevoluzione cognitiva, autoapprendimento e di affinamento di criteri di conoscenza e scelta per la realizzazione più efficiente dell’obiettivo, è non conoscibile, indecifrabile per natura. Rendere conoscibile quello che la Suprema Corte di Cassazione ha definito lo “schema esecutivo” dell’algoritmo non necessariamente svela o non necessariamente consente di svelare la correttezza della decisione. oppure, un’altra possibilità che si potrebbe verificare è che la correttezza della decisione potrebbe essere conoscibile solo da soggetti che presentino una particolare qualificazione professionale e tecnica, una platea ristretta di pochi eletti, con la conseguenza, come sottolineato da autorevole dottrina, di creare una generazione di tecnocrati che governano il mondo. ed è proprio per questo che, in un’ottica di acquisizione di competenze trasversali, in molte facoltà di giurisprudenza, soprattutto del nord europa, tra le materie giuridiche viene inserito anche il “coding”, passaggio più qualificato della mera “alfabetizzazione” materiale. La giurisprudenza amministrativa insiste molto, però, anche sul principio di non esclusività fissato dall’art. 22 del citato Regolamento sulla privacy e sul necessario intervento correttivo dello Human in the loop, così come previsto nella Risoluzione del parlamento europeo, A9-0002/2021 del 20 gennaio 2021 sull’intelligenza artificiale. occorre, però, considerare che non tutte le decisioni pubbliche fondate sull’intelligenza artificiale sono comprimibili in un’alternativa on/off. Spesso le decisioni sono multifattoriali, complesse, possono portare ad un’alternativa di risultati diversi la cui individuazione dipende dall’elaborazione dei dati, dalla loro valutazione, dall’applicazione dei principi di proporzionalità e di precauzione soprattutto dal c.d. “ermessen”, dal c.d. bilanciamento degli interessi basato su valori costituzionali. Logica umana e logica della macchina possono convivere nel medesimo procedimento senza che la prima sia in grado di sostituirsi alla seconda e spesso nemmeno di comprenderla. Ciò potrebbe presentare dei problemi di discriminazione tra soggetti che aspirano al medesimo bene nelle ipotesi di provvedimento amministrativo plurimo, con effetti scindibili di natura discrezionale o tecnico-discrezionale; una graduatoria, ad esempio, in cui il giudice annulli la determinazione con riferimento alla posizione del solo ricorrente. In tal caso, i destinatari del provvedimento si vedranno giudicati con criteri differenti: la logica dell’uomo-giudice per il caso portato alla sua attenzione e la logica della macchina per tutti gli altri. La non esclusività non può dirsi criterio sufficiente oggi per assicurare una tutela piena ed effettiva. Va certamente integrato con il principio di non discriminazione. “Garbage in, garbage out”: è importante verificare la correttezza dei dati inseriti e la corretta utilizzazione delle leggi statistiche. Ce lo ha ricordato con molta umiltà il Professore Giorgio Parisi parlando dell’algoritmo Chain Montecarlo durante la pandemia da Covid-19. RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 3/2021 Il caso Compass è rimasto un precedente importante nel ricordarci tale principio: una non corretta immissione di dati statistici relativi alla pericolosità correlata all’origine etnica delle persone, nel caso de quo afro-americane, aveva indotto la macchina ad allargare oltremodo i confini della recidiva, pur in assenza delle necessarie condizioni. La “legge di Moore”, secondo la quale i microchip raddoppieranno la loro potenza e la loro velocità esponenziale induce il giurista a non assumere un atteggiamento di rifiuto, dando origine al c.d. neoluddismo, ma a tracciare dei criteri di regolazione che tengano in debito conto la complessità dei c.d. “agenti intelligenti”. A tal proposito, giova ricordare che il tribunale di Milano, con la sentenza n. 843 del 13 marzo 2021, al fine di interpretare un bando di gara, ha messo in evidenza la necessità di non confondere «la nozione di “algoritmo” con quella di “intelligenza artificiale”, riconducibile, invece, allo studio di “agenti intelligenti”, vale a dire allo studio di sistemi che percepiscono ciò che li circonda e intraprendono azioni che massimizzano la probabilità di ottenere con successo gli obiettivi prefissati». Anche volendo negare l’intelligenza artificiale, quest’ultima avrà un’efficacia pervasiva ed invasiva di cui non si potrà fare a meno. Pensiamo ai prezzi di riferimento dell’AnAC, che hanno un ruolo centrale nella regolamentazione economica degli appalti e che sono sostanzialmente basati su formule algoritmiche che tengono conto di fattori diversi per individuare il prezzo medio effettivo “depurandolo” da fattori straordinari che influenzano localmente la formazione dei prezzi che concorrono alla definizione del campione. Molto importante è la recente sentenza del Consiglio di Stato del 25 novembre 2021, n. 7891, in cui, in tema di intelligenza artificiale e algoritmo nell’appalto di forniture di un dispositivo medico con elevato grado di autonomazione, la terza Sezione ha chiarito che «la nozione comune e generale di algoritmo riporti alla mente “semplicemente una sequenza finita di istruzioni, ben definite e non ambigue, così da poter essere eseguite meccanicamente e tali da produrre un determinato risultato” (questa la definizione fornita in prime cure). nondimeno si osserva che la nozione, quando è applicata a sistemi tecnologici, è ineludibilmente collegata al concetto di automazione ossia a sistemi di azione e controllo idonei a ridurre l’intervento umano. il grado e la frequenza dell’intervento umano dipendono dalla complessità e dall’accuratezza dell’algoritmo che la macchina è chiamata a processare. Cosa diversa è l’intelligenza artificiale. in questo caso l’algoritmo contempla meccanismi di machine learning e crea un sistema che non si limita solo ad applicare le regole software e i parametri preimpostati (come fa invece l’algoritmo “tradizionale”) ma, al contrario, elabora costantemente nuovi criteri di inferenza tra dati e assume decisioni efficienti sulla base di tali elabora LeGISLAZIone eD AttuALItà zioni, secondo un processo di apprendimento automatico. nel caso di specie, per ottenere la fornitura di un dispositivo con elevato grado di automazione non occorreva che l’amministrazione facesse espresso riferimento a elementi di intelligenza artificiale, essendo del tutto sufficiente -come ha fatto -anche in considerazione della peculiarità del prodotto (pacemaker dotati, per definizione, di una funzione continuativa di “sensing” del ritmo cardiaco e di regolazione dello stesso) il riferimento allo specifico concetto di algoritmo, ossia ad istruzioni capaci di fornire un efficiente grado di automazione, ulteriore rispetto a quello di base, sia nell’area della prevenzione che del trattamento delle tachiaritmie atriali. i pacemakers moderni e di alta fascia sono infatti dotati di un numero sempre maggiore di parametri programmabili e di algoritmi specifici progettati per ottimizzare la terapia di stimolazione in rapporto alle caratteristiche specifiche del paziente. L’amministrazione ha espresso preferenza per la presenza congiunta di algoritmi di prevenzione e trattamento delle “tachiaritmie atriali”» (46). Con tale sentenza il Consiglio di Stato è giunto ad una distinzione netta tra il concetto di algoritmo e quello di intelligenza artificiale, proprio perché nel pratico c’è una confusione tra sistemi automatici e sistemi artificiali. tale differenza è posta in evidenza sia a livello nazionale che europeo. La stessa Commissione europea, nella proposta di regolamentazione dell’IA del 21 aprile 2021, ha statuito che «la nozione di sistema di ia dovrebbe essere chiaramente definita per garantire la certezza del diritto, fornendo nel contempo la flessibilità necessaria per accogliere i futuri sviluppi tecnologici. La definizione dovrebbe essere basata sulle caratteristiche funzionali chiave del software, in particolare la capacità, per un dato insieme di obiettivi definiti dall’uomo, di generare output quali contenuti, previsioni, raccomandazioni o decisioni che influenzano l’ambiente con cui il sistema interagisce, sia in una dimensione fisica che digitale. i sistemi di intelligenza artificiale possono essere progettati per funzionare con diversi livelli di autonomia ed essere utilizzati in modo autonomo o come componente di un prodotto, indipendentemente dal fatto che il sistema sia fisicamente integrato nel prodotto (incorporato) o serva la funzionalità del prodotto senza esservi integrato (non incorporato)». non a caso, l’art. 3 della proposta dà una definizione di sistema “IA”: «un software sviluppato con una o più delle tecniche e degli approcci elencati nell’allegato i, che può, per una determinata serie di obiettivi definiti dal- l’uomo, generare output quali contenuti, previsioni, raccomandazioni o decisioni che influenzano gli ambienti con cui interagiscono», e l’allegato I richiamato comprende sia il machine learning (compreso l’apprendimento su (46) Si veda M. IASeLLI, “Consiglio di Stato: quando si può parlare di intelligenza artificiale? Palazzo Spada affronta una delicata questione tecnica sulla nozione di algoritmo, che assume notevole importanza anche per le necessarie conseguenze di carattere giuridico”, su altalex.it. RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 3/2021 pervisionato, non supervisionato e profondo come il deep learning), sia gli approcci basati sulla logica e sulla conoscenza (rappresentazione della conoscenza, programmazione logica induttiva, basi di conoscenza, motori deduttivi e inferenziali, ragionamento simbolico e sistemi esperti nonché persino approcci statistici, stima bayesiana, metodi di ricerca e ottimizzazione). Rientra nella definizione della Commissione sia l’IA “forte”, volta a creare computer in grado di comprendere e possedere stati cognitivi, sia l’IA “debole”, finalizzata a realizzare sistemi informatici in grado di porre in essere prestazioni normalmente attribuite all’intelligenza umana. Dunque, il Consiglio di Stato pone l’attenzione sulla differenza tra sistemi automatici e attività intelligenti, che si basano su un impiego attivo, non rigidamente predeterminato, della conoscenza. nei sistemi informatici tradizionali, «la conoscenza non è mai rappresentata esplicitamente e non è mai separata dalle procedure che la usano e che ne disciplinano l’elaborazione; la conoscenza è applicata in modo rigidamente predeterminato; non è possibile aggiungere nuova conoscenza senza modificare le procedure; il sistema non è in grado di esporre la conoscenza sulla quale si basa né di spiegare perché, sulla base della stessa, sia giunto a determinati risultati». Al contrario, nei sistemi basati sulla conoscenza, «la conoscenza è contenuta in una determinata base, dove è rappresentata in un linguaggio ad alto livello, cioè in una forma relativamente vicina al linguaggio usato nella comunicazione umana; è possibile adottare una rappresentazione dichiarativa del compito affidato al sistema informatico, lasciando al sistema l’individuazione della procedura da seguire per svolgere quel compito; la conoscenza è usata da un motore inferenziale, ovvero un meccanismo in grado di interpretare il contenuto della base di conoscenza ed effettuare deduzioni logiche in modo da risolvere il problema posto al sistema; la base di conoscenza può essere arricchita di nuove informazioni senza intervenire sul motore inferenziale; il sistema è in grado di esporre in forma comprensibile le premesse e le inferenze che hanno condotto ad un determinato risultato, cioè di giustificare le conclusioni cui giunge» (47). negare l’intelligenza artificiale significa negare l’incalzare dell’innovazione tecnologica: il giurista deve allora tracciare delle linee direttrici. La prima è intervenire sui dati, sull’input, il primo momento su cui si basa l’elaborazione dell’intelligenza artificiale. La nozione di “interoperabilità” dei dati, con le c.d. porte di dominio, potrà realizzarsi solo se i dati sono esatti con razionali metodi di acquisizione. Si pensi, volendo richiamare ancora una volta la materia degli appalti, alla grande banca dati dell’AnAC che è immensa, ma non è autoalimentata. Le amministrazioni non mandano i dati all’AnAC, ma a degli osservatori regionali che li rielaborano, inoltrandolo poi all’AnAC stessa. Molto spesso i dati si presentano obsoleti o ridondanti, (47) V.M. IASeLLI, “Consiglio di Stato: quando si può parlare di intelligenza artificiale?”, cit. LeGISLAZIone eD AttuALItà carenti di informazioni che potrebbero essere fondamentali nell’analisi dei mercati. Il primo livello di controllo consiste nell’attività di selezione dei dati: inserire nella macchina dati necessari e corretti, di cui si abbia la governabilità, trustwhorthy, ossia meritevole di “fiducia”; è il primo livello di tutela per prevenire soluzioni viziate ab origine. La seconda linea direttrice è modulare e declinare le tradizionali categorie giuridiche in modo che possano adeguarsi agli schemi operativi dell’intelligenza artificiale. Pensiamo all’accertamento del nesso di causalità: la Risoluzione del Parlamento europeo del 25 marzo 2021 (sull’attuazione della direttiva 2009/81/Ce, relativa agli appalti nei settori della difesa e della sicurezza, e della direttiva 2009/43/Ce, relativa ai trasferimenti di prodotti per la difesa 2019/2204 (InI)) si preoccupa di ricordare che occorre ribadire la responsabilità dello Stato per i danni creati dai droni militari alle popolazioni civili, perché il dato soggettivo relativo all’attribuzione della colpa, non appare più certo, atteso che le scelte dalle quali i danni possono derivare, i luoghi da bombardare ad esempio, non sono attribuibili all’uomo. Allo stesso modo altri concetti fondamentali come l’imputabilità, la responsabilità, la discrezionalità, il sindacato giurisdizionale, il sillogismo giuridico sono da rimodulare sul funzionamento dei c.d. agenti intelligenti. Sotto tale profilo, il Consiglio di Stato coglie la novità dell’intelligenza artificiale, statuendo nella nota sentenza n. 881/2020 che «non può, quindi, ritenersi applicabile in modo indiscriminato …all’attività amministrativa algoritmica, tutta la legge sul procedimento amministrativo, concepita in un’epoca nella quale l’amministrazione non era investita dalla rivoluzione tecnologica. ..il tema dei pericoli connessi allo strumento non è ovviato dalla rigida e meccanica applicazione di tutte le minute regole procedimentali della L. 241/1990 (quali ad esempio la comunicazione di avvio del procedimento sulla quale si appunta buona parte dell’atto di appello o il responsabile del procedimento che, con tutta evidenza, non può essere una macchina in assenza di disposizioni espresse), dovendosi, invece, ritenere che la fondamentale esigenza di tutela posta dall’utilizzazione dello strumento informatico c.d. algoritmico sia la trasparenza nei termini prima evidenziati riconducibili al principio di motivazione e/o giustificazione della decisione». La terza direttrice è il permanente controllo dell’uomo e la sua possibilità di intervento volto a far prevalere sempre un criterio di equità e di giustizia sostanziale nei processi di decision making, in cui grande rilevanza deve mantenere la componente intuitiva ed emozionale, non solo la fredda sequenza algoritmica. RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 3/2021 3. algoritmo e diritto penale. L’analisi del rapporto tra algoritmo e diritto penale (48) deve essere necessariamente condotta sotto un triplice profilo: quello del rapporto con il profilo della privacy nell’ambito del circuito investigativo, quello relativo al profilo dell’imputabilità e quello relativo alla configurazione di nuovi reati con l’utilizzo delle nuove tecnologie. In questo capitolo cercheremo di affrontare i profili problematici legati alle intercettazioni e tabulati in relazione alla tutela della privacy, per poi affrontare il tema della eventuale riformulazione dell’imputabilità tramite algoritmi e la configurazione dei nuovi reati tramite chat o altri mezzi informatici nei capitoli successivi. Il tema del rapporto tra algoritmi basati sulla raccolta dei dati e tutela della privacy è venuto alla ribalta in seguito ad una nota sentenza della Corte di Giustizia dell’unione europea dello scorso marzo 2021, in merito al rapporto tra data retention e serious crimes: il principio emerso è che per i tabulati con i numeri di telefono serve l’autorizzazione di un’autorità terza che non sia il Pubblico Ministero. La data retention, quindi, è ammissibile solo per serious crimes, in Italia quelli previsti dall’art. 266 c.p.p. Ma analizziamo il testo della sentenza della Corte di Giustizia dell’unione europea, Grande sezione, sentenza 2 marzo 2021, Causa C-746/18 nelle sue conclusioni: “1) L’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2002/58/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 luglio 2002, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche (direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche), come modificata dalla direttiva 2009/136/Ce del Parlamento europeo e del consiglio, del 25 novembre 2009, letto alla luce degli art. 7, 8 e 11, nonché dell’articolo 52, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale, la quale consenta l’accesso di autorità pubbliche a un insieme di dati relativi al traffico o di dati relativi all’ubicazione, idonei a fornire informazioni (48) Sul tema v. C. BuRChARD, “L’intelligenza artificiale come fine del diritto penale? Sulla trasformazione algoritmica della società”, in rivista italiana di diritto e procedura penale, 2019, Vol. 62; C. CAth, S. WAChteR, B. MItteLStADt, M. tADDeo, L. FLoRIDI, “artificial intelligence and the “Good Society”: the US, eU, and UK approach”, in Science and eng. ethics, 2018; L. Bennet MoSeS, J. ChAn, “algorithmic Prediction in Policing: assumptions, evaluation, and accountability”, in Policing and Society, 2016; G. MAStRoBuonI, “Crime is Terribly revealing: information Technology and Police Productivity”, 2017; L. PASCuLLI, “Genetics, robotics and Crime Prevention” e R. PeLLICCIA, “Polizia predittiva”, Human rights Data analysis Group (hrdag), https://hrdag.org/usa/; A.R. LoDDeR, J. Ze- LeZnIkoW, “artificial intelligence and online Dispute resolution”, in A.R. LoDDeR, J. ZeLeZnIkoW, “enhaced Dispute resolution through the Use of information Technology”, Cambridge university Press, 2010; e. LAtIFAh, A.h. BAJRektAReVIC, M.n. IMAnuLLAh, “Digital Justice in online Dispute resolution: The Shifting from Traditional to the new Generation of Dispute resolution”, in Brawijaya Law Journal - Journal of Legal Studies, vol. 6, aprile 2019. LeGISLAZIone eD AttuALItà sulle comunicazioni effettuate da un utente di un mezzo di comunicazione elettronica o sull’ubicazione delle apparecchiature terminali da costui utilizzate e a permettere di trarre precise conclusioni sulla sua vita privata, per finalità di prevenzione, ricerca, accertamento e perseguimento di reati, senza che tale accesso sia circoscritto a procedure aventi per scopo la lotta contro le forme gravi di criminalità o la prevenzione di gravi minacce alla sicurezza pubblica, e ciò indipendentemente dalla durata del periodo per il quale l’accesso ai dati suddetti viene richiesto, nonché dalla quantità o dalla natura dei dati disponibili per tale periodo. 2) L’art. 15, paragrafo 1, della direttiva 2002/58, come modificata dalla direttiva 2009/136, letto alla luce degli articoli 7, 8 e 11, nonché dell’articolo 52, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali, deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale, la quale renda il pubblico ministero, il cui compito è di dirigere il procedimento istruttorio penale e di esercitare, eventualmente, l’azione penale in un successivo procedimento, competente ad autorizzare l’accesso di un’autorità pubblica ai dati relativi al traffico e ai dati relativi all’ubicazione ai fini di un’istruttoria penale”. Si è affermato che la sentenza CGue del 2 marzo 2021 apre scenari imprevedibili nell’assetto costituzionale e processuale del pubblico ministero. La prospettiva della CGue è affatto diversa da quella nazionale, poiché non assegna alcun rilievo alla collocazione ordinamentale del pubblico ministero e volge lo sguardo, in modo esclusivo, al procedimento penale e alle sue regole. una traiettoria che assume, anche, una valenza attuale alla luce del progetto di riforma del processo penale e al dibattito sulla cosiddetta “separazione delle carriere”. La mistica del pubblico ministero racchiuso nell’ossimoro della “parte imparziale”, si trova pragmaticamente a essere messa in discussione. La Corte di Giustizia si era già espressa, nel 2014, con la sentenza Digital rigths ireland e nel 2016 con la sentenza Tele 2 Sverige e la Corte di Cassazione, investita della questione dell’applicazione di questa giurisprudenza eurounitaria in modo diretto, aveva da ultimo convalidato tale impostazione, sostenendo che certamente si doveva rientrare nel novero dei serious crimes: «nel caso in esame, essendosi proceduto per associazione a delinquere finalizzata alla consumazione di reati contro il patrimonio, nonché per molteplici episodi di furti aggravati ed anche rapina, deve ritenersi che l’accesso ai dati di traffico sia avvenuto in un contesto di indagini di criminalità organizzata a seguito di provvedimento di un’autorità giurisdizionale e con l’acquisizione effettuata entro il biennio che costituisce un periodo di tempo limitato» (49). non si può omettere di considerare che la giurisprudenza nazionale aveva, (49) Così, in motivazione, Cassazione, sez. II, n. 5741 del 13 febbraio 2020, m.278568. RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 3/2021 comunque, dichiarato di porsi sulla scia delle precedenti pronunce della Corte di Lussemburgo, quanto meno ai fini della delimitazione dei casi e dei tempi per l’acquisizione dei dati di traffico (50). Quel che era inatteso -e che è destinato a sollevare innumerevoli controversie -è che la Corte di Giustizia negasse al pubblico ministero la potestà di poter operare direttamente tali acquisizioni senza il tramite di un provvedimento adottato da un giudice terzo e imparziale. Autorevole dottrina ha sostenuto che “imparzialità e terzietà sono concetti in rapporto di specialità; il più generale è quello della imparzialità, il più specifico quello della terzietà, cosicché mentre si possono avere casi di imparzialità senza terzietà, non è pensabile una terzietà senza imparzialità. Usando i diagrammi di Venn, l’imparzialità è un cerchio più ampio al cui interno sta interamente un cerchio più piccolo che rappresenta la terzietà” (51); in altre parole, a prescindere da precari equilibrismi verbali, può anche convenirsi che il pubblico ministero, quale organo pubblico, agisca con imparzialità e che gli possa competere la qualifica di “parte imparziale”, ma quel che deve escludersi radicalmente è che il munus sia connotato dal requisito della terzietà, fondamento costitutivo della giurisdizione. ed è proprio nel solco di questa riflessione che si colloca la sentenza della Corte di Giustizia del 2 marzo 2021, la quale esclude che il pubblico ministero possa assolvere alla funzione di equilibrato, giusto e terzo titolare del potere di acquisizione dei dati di traffico presso i gestori. Sul punto, la pronuncia esprime valutazioni irretrattabili e definitive che, per la prima volta, revocano in dubbio anche la tesi di una protezione della privacy a “sfere concentriche” (secondo l’approccio della dottrina costituzionale tedesca), per cui si dovrebbe assicurare il massimo di tutela in presenza di captazioni e intercettazioni, laddove per i c.d. “dati esteriori di traffico” si potrebbe assicurare una protezione affievolita sia in ordine ai presupposti, che all’autorità procedente. La densità assiologica del diritto coinvolto è tale, infatti, da non consentire graduazioni di tal fatta e di decentrare, quindi, l’individuazione dell’autorità che deve disporre l’acquisizione nel perimetro giurisdizionale (giudice) o fuori di esso (pubblico ministero), in funzione della sola entità della lesione che va a realizzare. (50) Si veda anche Cassazione, sez. III, n. 48737 del 25 settembre 2019, m.277353; sez. V, n. 33851 del 24 aprile 2018, m.273892. Sul tema si vedano anche n. ReZenDe, “Dati esterni alle comunicazioni e processo penale: questioni ancora aperte in tema di data retention”, nota a Cass., sez. III, 19 aprile 2019 (dep. 23 agosto 2019), n. 36380, in www.sistemapenale.it; L. LuPARIA, “Data retention e processo penale. Un’occasione mancata per prendere i diritti davvero sul serio”, in Diritto di internet, 2019, 4, p. 762. (51) G.u. ReSCIGno, “L’esercizio dell’azione pubblica ed il pubblico ministero”, relazione dell’8 novembre 2004 al Convegno dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti su “Separazione dei poteri e funzione giurisdizionale”. LeGISLAZIone eD AttuALItà Lo snodo argomentativo è chiaro e conduce a conclusioni che sono inevitabili: il pubblico ministero, per quanto possa agire imparzialmente, è, comunque, sprovvisto di terzietà rispetto al privato cittadino (sia esso indagato o no) e l’indipendenza che la Grundnorm comunitaria esige per l’autorità che dispone l’ingerenza nella vita privata «impone che tale autorità abbia la qualità di terzo rispetto a quella che chiede l’accesso ai dati, di modo che la prima sia in grado di esercitare tale controllo in modo obiettivo e imparziale al riparo da qualsiasi influenza esterna. in particolare, in ambito penale, il requisito di indipendenza implica, come in sostanza rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 126 delle sue conclusioni, che l’autorità incaricata di tale controllo preventivo, da un lato, non sia coinvolta nella conduzione dell’indagine penale di cui trattasi e, dall’altro, abbia una posizione di neutralità nei confronti delle parti del procedimento penale. Ciò non si verifica nel caso di un pubblico ministero che dirige il procedimento di indagine ed esercita, se del caso, l’azione penale. infatti, il pubblico ministero non ha il compito di dirimere in piena indipendenza una controversia, bensì quello di sottoporla, se del caso, al giudice competente, in quanto parte del processo che esercita l’azione penale» (§ 54-55). tale sentenza della Corte di Giustizia supera, altresì, la posizione della Corte di Cassazione, che aveva fatto riferimento alla categoria dell’inutilizzabilità in relazione ai dati acquisiti dal pubblico ministero, oltre i limiti temporali previsti dall’art. 132 Codice Privacy, fondandola sulla violazione di un divieto probatorio posto a tutela dei diritti fondamentali della persona, quali il diritto alla inviolabilità del domicilio o della corrispondenza (52). Sarà tutto da esplorare il tema delle ricadute che questa sentenza può essere destinata a svolgere in Italia nei settori contigui delle intercettazioni e delle acquisizioni di dati di traffico per finalità preventive (art. 226 delle disposizioni di attuazione del c.p.p.), per il controllo delle misure di prevenzione (art. 78 del Codice Antimafia) e per le necessità dei Servizi di informazione per la sicurezza nazionale (art. 4 del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144). tutte attività rimesse all’attività di un organo della pubblica accusa (nei primi casi le procure ordinarie e distrettuali, a seconda della competenza, e nell’ultimo la Procura generale presso la Corte di appello di Roma) e certamente ingerenti nella privacy dei singoli. Sono attività intrusive consentite, ma che, secondo la direttiva 2002/758/Ce, devono essere declinate in modo appropriato e proporzionato allo scopo perseguito attraverso la previsione di garanzie che salvaguardino i principi stabiliti nella Carta dei diritti fondamentali dell’unione europea, in particolare agli art. 7 (ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita pri (52) Cassazione, sez. V, n. 7265 del 25 gennaio 2016, m.267144-01; in motivazione Sezioni unite, n. 155 del 2012 e Sezioni unite n. 52117 del 2014; sez. V, n. 15613 del 5 dicembre 2014, m.263805. RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 3/2021 vata e familiare, del proprio domicilio e delle proprie comunicazioni), art. 8 (ogni persona ha diritto alla protezione dei dati di carattere personale che la riguardano), art. 11 (ogni persona ha diritto alla libertà di espressione; tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera) e art. 52 (laddove è stabilito che eventuali limitazioni dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla Carta devono essere previste dalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e libertà, con la conseguenza che possono essere apportate limitazioni, nel rispetto del principio di proporzionalità, solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui). Il principio del “fair balance test”, “principle of lawfulness” investe la c.d. “struttura trifasica progressiva della proporzionalità”, laddove si è posta come evidente il problema della compatibilità euro-unitaria della disciplina italiana acquisitiva dei tabulati telefonici : art. 226 delle disposizioni di attuazione del c.p.p e art. 132 del D.lgs. 30 giugno 2003, n. 196. In realtà, la sentenza sembrerebbe porre anche un problema di competenza a disporre l’acquisizione dei tabulati, laddove esclude che tale soggetto possa essere il pubblico ministero. Ma soprattutto da noi la decisione pone qualche dubbio su alcune interpretazioni e sulle conseguenti prassi applicative in tema di intercettazioni (con riguardo soprattutto all’utilizzo in sede diversa da quella ove l’intercettazione è stata disposta) e in tema di utilizzo in sede extrapenale di “conversazioni” il cui contenuto è stato acquisito in sede penale (53). Per quanto riguarda le intercettazioni, la sentenza impone un notevole rigore ermeneutico. Affinché, attraverso una non consentita ampia lettura dell’art. 270 del c.p.p., si possa finire con il legittimare le intercettazioni “a strascico”, con il rischio di utilizzazioni per una platea di reati diversi (e meno gravi) di quelli per cui è stata disposta l’attività intercettativa. Il rigore applicativo si pone come necessario dopo tale sentenza della Corte di Giustizia. Così, per quanto riguarda le intercettazioni “ordinarie”, provvede il di (53) Sul tema: C. PARoDI, “Tabulati telefonici e contrasti interpretativi: come sopravvivere in attesa di una nuova legge”, su ilpenalista.it, 3 maggio 2021; C. PARoDI, “Tabulati telefonici: la Suprema Corte si esprime dopo le indicazioni della CGUe”, su ilpenalista.it, 5 agosto 2021; G. SPAnGheR, “i tabulati: un difficile equilibrio tra esigenze di accertamento e tutela di diritti fondamentali”, in Giustizia insieme, 3 maggio 2021; J. DeLLA toRRe, “L’acquisizione dei tabulati telefonici nel processo penale dopo la sentenza della Grande Camera della Corte di Giustizia Ue: la svolta garantista in un primo provvedimento del Gip di roma”, su sistemapenale.it; L. CuSAno, “Tabulati telefonici: ulteriori ricadute della sentenza della CGUe del 2 marzo 2021 sul piano della utilizzabilità degli esiti di prova”, nota a trib. Bari, sez. GIP, 1° maggio 2021, su ilpenalista.it, 25 maggio 2021; F. ReStA, “Conservazione dei dati e diritto alla riservatezza. La Corte di giustizia interviene sulla data retention. i riflessi sulla disciplina interna”, su Giustizia insieme. LeGISLAZIone eD AttuALItà sposto dell’art. 270, comma 1, del c.p.p., laddove si stabilisce la regola secondo cui i risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati disposti, salvo che risultino “rilevanti” e indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza e «dei reati di cui all’art. 266, comma 1 del c.p.p.». Deve, dunque, trattarsi di intercettazioni contenenti elementi rilevanti e spendibili per la prova di reati per i quali lo strumento delle intercettazioni sarebbe stato ordinariamente consentito. Rileva, in tal senso, la puntualizzazione della sentenza 28 novembre 2019, Cavallo e altro, nella quale le Sezioni unite hanno affermato che, al di là di ogni considerazione formale circa l’iscrizione (all’interno del medesimo fascicolo o in via autonoma), si è, comunque, al di fuori del divieto di utilizzazione stabilito dall’art. 270 c.p.p. rispetto ai reati che risultino connessi ex art. 12 del c.p.p., a quelli in relazione ai quali l’autorizzazione era stata ab origine disposta, sempreché rientrino nei limiti di ammissibilità previsti dall’art. 266 del c.p.p. Quanto alle intercettazioni tramite captatore, il comma 1-bis dell’art. 270 del c.p.p. prevede che, fermo restando quanto previsto dal comma 1, i risultati delle intercettazioni tra presenti operate con captatore informatico su dispositivo elettronico portatile possono essere utilizzati anche per la prova di reati diversi da quelli per i quali è stato emesso il decreto di autorizzazione, «qualora risultino indispensabili per l’accertamento dei delitti indicati dall’articolo 266, comma 2-bis, del c.p.p.». Per l’effetto, i risultati delle intercettazioni tramite trojan possono essere utilizzati anche per la prova di “reati diversi” da quelli per i quali è stato emesso il decreto di autorizzazione, «qualora risultino indispensabili per l’accertamento dei delitti indicati dall’art. 266, comma 2-bis, del c.p.p.» (ossia, i delitti di cui all’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del c.p.p., ovvero i delitti dei pubblici ufficiali e degli incaricati di un pubblico servizio contro la pubblica amministrazione). Il rigore notevole che accompagna l’utilizzabilità delle intercettazioni in “altri” e “diversi” procedimenti penali, alla luce degli argomenti sviluppati nella sentenza della Corte europea a garanzia e presidio della riservatezza, quando non ricorrono le esigenze di contrasto di gravi reati, sembrerebbero imporre una rilettura della giurisprudenza delle sezioni unite che, in modo ormai ripetitivo e riproduttivo di principi consolidati, ammette l’utilizzabilità delle intercettazioni anche in sede disciplinare a carico di magistrati (54). La decisione della Corte europea dovrebbe indurre a una più meditata riflessione sull’esportabilità automatica di registrazioni in contesti e per finalità diverse dal contrasto dei “gravi reati” che, nella lettura dei giudici europei, è l’unica ragione legittimante l’invasione della sfera privata altrui. Conclusione, (54) Vedi, ad esempio, Cass., Sezioni unite n. 741 del 2020. RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 3/2021 questa, maggiormente valida ove si discuta di utilizzabilità delle intercettazioni a mezzo captatore informatico: proprio l’invasività del captatore ha già imposto una disciplina di maggior rigore rispetto a quelle delle ordinarie intercettazioni (art. 270, comma 1, c.p.p.) e ciò, proprio alla luce delle indicazioni della Corte europea, dovrebbe far riflettere sull’automatica esportabilità delle intercettazioni tramite trojan (magari riguardanti anche soggetti diversi da quelli oggetto di controllo giudiziario in sede disciplinare o paradisciplinare). tale esportabilità si porrebbe in contrasto con gli artt. 7 e 8 della Carta dei diritti fondamentali della unione europea: trattasi di conversazioni private non correlate con l’addebito penale e, quindi, prive di alcun collegamento con la finalità di repressione di gravi reati, in termini tali da non ravvisarsi una ragione giustificativa a supporto della legittima limitazione del diritto alla segretezza delle comunicazioni. Alla luce della sentenza della Corte di Giustizia del 2 marzo 2021, si poneva come necessaria una revisione dell’art. 132 del Codice della privacy, la cui disciplina si poneva come derogatoria a quella prevista dalla direttiva 2002/58/Ce sulla acquisizione e conservazione dei dati ed in particolare l’art. 132, terzo comma, che consente la richiesta al pubblico ministero, e comma quarto (ter, quater, quinquies) che lo consente anche via decreto del Ministero dell’Interno. tale modifica è intervenuta con il decreto legge del 30 settembre 2021 n. 132, convertito nella legge 23 novembre 2021 n. 178 che ha recepito la necessità di introdurre in tale delicata materia il filtro del controllo del giudice terzo. è noto come la direttiva 2002/58/Ce non si applica alle attività che esulano dal campo di applicazione del trattato sul Funzionamento dell’unione europea né, comunque, alle attività riguardanti la sicurezza pubblica, la difesa, la sicurezza dello Stato o alle attività dello Stato in settori che rientrano nel diritto penale. L’art. 15, paragrafo 1, della direttiva soprarichiamata attribuisce agli Stati membri la possibilità di adottare disposizioni legislative volte a limitare taluni diritti da essa conferiti, qualora tale restrizione sia necessaria, opportuna e proporzionata per la salvaguardia della sicurezza nazionale, della difesa, della sicurezza pubblica; e la prevenzione, ricerca, accertamento e perseguimento dei reati, ovvero dell’uso non autorizzato del sistema di comunicazione elettronica. A tal fine, gli Stati membri possono, tra l’altro, adottare misure legislative, le quali prevedano che i dati siano conservati per un periodo di tempo limitato. A fronte di tale disciplina, la Corte estone ha posto due quesiti. In primo luogo, la questione se la durata del periodo cui si riferiscono i dati ai quali i servizi inquirenti hanno avuto accesso costituisca un criterio che permette di valutare la gravità dell’ingerenza rappresentata da tale accesso nei diritti fondamentali delle persone interessate. Il giudice supremo estone si è chiesto, in particolare, per il caso in cui questo periodo sia molto breve o la LeGISLAZIone eD AttuALItà quantità di dati raccolti sia assai limitata, se l’obiettivo della lotta contro la criminalità in generale, e non soltanto contro le forme più gravi di criminalità, sia idoneo a giustificare una siffatta ingerenza. In secondo luogo, se il pubblico ministero estone, tenuto conto delle varie funzioni affidategli dalla normativa nazionale, costituisca un’autorità amministrativa «indipendente». I quesiti si inseriscono in un contesto interpretativo già segnato con importanti decisioni della Corte di Giustizia che, a partire dal 2014, ha chiarito gradualmente i vari profili del tema in esame. tra queste precedenti sentenze, occorre ricordare quella relativa ai Digital rights dell’8 aprile 2014, con la quale la Corte di Giustizia ha dichiarato l’illegittimità della direttiva “Frattini” (2006/24/Ce), per violazione del principio di proporzionalità nel bilanciamento tra diritto alla protezione dei dati personali ed esigenze di pubblica sicurezza. All’attenzione della Corte erano state portate le disposizioni della direttiva volte a garantire la conservazione dei dati di traffico telefonico e telematico, i dati relativi all’ubicazione e quelli necessari all’identificazione dell’abbonato, per fini di accertamento e repressione dei reati. Se, in linea generale, l’accesso a tali dati può giustificarsi in ragione di un obiettivo di interesse generale, quale, appunto, il contrasto a gravi forme di criminalità e, in definitiva, le esigenze di pubblica sicurezza, la direttiva avrebbe, secondo la Corte, ecceduto i limiti imposti dal principio di proporzionalità. tale violazione si sarebbe sostanziata, secondo la Corte, nell’avere la direttiva: 1) previsto le misure di conservazione dei dati come applicabili in via indifferenziata e generalizzata «all’insieme degli individui, dei mezzi di comunicazione elettronica e dei dati relativi al traffico, senza che venga operata alcuna differenziazione, limitazione o eccezione in ragione dell’obiettivo della lotta contro i reati gravi»; 2) omesso di prevedere alcun criterio oggettivo che limiti l’accesso a tali dati per sole esigenze di accertamento di reati «sufficientemente gravi da giustificare una simile ingerenza»; 3) omesso di sancire i presupposti sostanziali e procedurali ai quali subordinare l’accesso, da parte delle competenti autorità nazionali, ai dati in esame, in particolare non richiedendo in ogni caso il previo controllo dell’autorità giudiziaria o di un’autorità amministrativa indipendente; 4) omesso di prevedere criteri necessari a differenziare la durata della conservazione dei dati, limitandosi a stabilire i soli termini minimi (6 mesi) e massimi (24 mesi); 5) omesso di imporre che i dati così acquisiti siano conservati nel solo territorio ue. Sulla stessa scia si pone la sentenza resa nel caso Tele2 Sverige del 21 di RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 3/2021 cembre 2016, con la quale la Corte di Giustizia ha dichiarato incompatibile con la direttiva 2002/58/Ce la disciplina interna che, per fini di contrasto dei reati: a) imponga la generale e indiscriminata conservazione di tutti i dati di traffico e relativi all’ubicazione degli utenti dei mezzi; b) legittimi l’accesso delle autorità nazionali competenti ai dati conservati per finalità ulteriori rispetto a quelle di contrasto dei crimini gravi, in assenza di un previo vaglio giurisdizionale o comunque di un’autorità amministrativa indipendente e di garanzie relative alla conservazione dei dati nella ue. In tale sentenza la Corte ha, tuttavia, anche chiarito che la direttiva non osta ad una normativa nazionale che imponga una conservazione mirata dei dati per finalità di lotta contro gravi fenomeni di criminalità, a condizione che tale conservazione dei dati sia, per quanto riguarda le categorie di dati da conservare, i mezzi di comunicazione interessati, le persone implicate, nonché la durata di conservazione prevista, limitata allo stretto necessario. Qualsiasi normativa nazionale che vada in tal senso deve essere chiara e precisa “accessible” e prevedere garanzie sufficienti al fine di proteggere i dati contro i rischi di abuso. Le discipline interne sulla conservazione dei dati devono, pertanto, prevedere l’accessibilità dei dati conservati solo da parte dell’autorità giudiziaria o di un’autorità amministrativa indipendente, in base a circostanze e procedure disciplinate dalla legge per esigenze di accertamento di gravi reati, notificando la misura all’interessato, non appena le esigenze investigative lo consentano. Infine, tenuto conto della quantità di dati conservati, del carattere sensibile di tali dati, nonché del rischio di accesso illecito a questi ultimi, la normativa nazionale deve prevedere che i dati siano conservati nel territorio dell’unione e che essi vengano irreversibilmente distrutti al termine della durata della loro conservazione. nella sentenza Ministerio fiscal del 2 ottobre 2018, la Corte si è occupata dell’accesso ai dati che mirano all’identificazione dei titolari di carte Sim attivate con un telefono cellulare rubato, come il cognome, il nome e, se del caso, l’indirizzo di tali soggetti. Sebbene tale accesso determini un’ingerenza nei diritti fondamentali degli interessati sanciti nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’unione europea, esso non presenta una gravità tale da dover limitare il suddetto accesso, in materia di prevenzione, ricerca, accertamento e perseguimento dei reati, alla lotta contro la criminalità grave. è da ricordare ancora la sentenza Privacy international del 6 ottobre 2020, con la quale la Corte di Giustizia ha sancito la contrarietà alla direttiva 2002/58/Ce di una disciplina che imponga ai fornitori di servizi di comunicazione elettronica, al fine di salvaguardare la sicurezza nazionale, di effettuare la conservazione generale e indiscriminata dei dati sul traffico e dei dati sull’ubicazione come misura preventiva. In altri termini, si è escluso che l’esimente della funzionalità del trattamento ai fini di sicurezza nazionale possa “coprire” anche la indiscriminata conservazione dei dati ad esso finalizzata. LeGISLAZIone eD AttuALItà Fondamentale è la conclusione che un organo giurisdizionale, il quale consideri che una parte non è in grado di svolgere efficacemente le proprie osservazioni in merito a un mezzo di prova rientrante in una materia estranea alla conoscenza dei giudici (in quanto decisa da un pubblico ministero) e idoneo a influire in modo preponderante sulla valutazione dei fatti, deve constatare una violazione del diritto a un processo equo ed escludere tale mezzo di prova, al fine di evitare una violazione siffatta. Ciò dovrebbe indurre, secondo la Corte di giustizia, il giudice penale nazionale ad escludere informazioni ed elementi di prova che siano stati ottenuti mediante una conservazione generalizzata e indifferenziata dei dati relativi al traffico e dei dati relativi all’ubicazione, incompatibile con il diritto dell’unione, o anche mediante un accesso dell’autorità competente a tali dati in violazione del diritto dell’unione. Circa la competenza ad autorizzare l’accesso di un’autorità pubblica ai dati relativi al traffico e ai dati relativi all’ubicazione, al fine di dirigere un’istruttoria penale, la Corte osserva che è essenziale che l’accesso delle autorità nazionali competenti ai dati conservati sia subordinato a un controllo preventivo effettuato o da un giudice o da un’entità amministrativa indipendente. Da ciò consegue che il requisito dell’indipendenza che l’autorità incaricata di esercitare il controllo preventivo deve soddisfare impone che tale autorità abbia la qualità di terzo rispetto a quella che chiede l’accesso ai dati, di modo che la prima sia in grado di esercitare tale controllo in modo obiettivo e imparziale, al riparo da qualsiasi influenza esterna. In ambito penale, il requisito di indipendenza implica che l’autorità incaricata di tale controllo preventivo, da un lato, non sia coinvolta nella conduzione dell’indagine penale di cui trattasi, dall’altro, abbia una posizione di neutralità nei confronti delle parti del procedimento penale. Il pubblico ministero non garantisce la sua terzietà. In realtà, prima di tali pronunce della Corte di Giustizia dell’unione europea, il Garante della privacy aveva invitato, senza successo, il legislatore a riformare la disciplina interna sulla conservazione dei tabulati che non limita l’acquisizione ai soli reati gravi né subordina tale acquisizione al vaglio del giudice (55). Similmente, anche la Corte di Cassazione, con sentenza 13 febbraio 2020, n. 5741, aveva “salvato” la “data retention” italiana, ritenendo che le sentenze Digital rights e Tele2 Sverige della Corte di Giustizia non intaccassero la compatibilità delle previsioni dell’art. 132 con il diritto dell’ue. A prescindere dalle perplessità che le affermazioni della Cassazione hanno suscitato sulla corretta lettura delle pronunce della Corte di Giustizia, era ormai inevitabile una revisione dell’art. 132 del Codice della Privacy. (55) Si vedano le osservazioni di M. MASSIMI, art. 132, in R. SCIAuDone (a cura di) “il Codice della Privacy”, Pacini, ospedaletto, 2019, pag. 668. RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 3/2021 Di recente, la Cassazione Penale (56) si è pronunciata sugli effetti della sentenza del 2 marzo 2021 della Corte di Giustizia dell’unione europea nella causa C-746/18. L’impostazione della CGue -si legge nella decisione -«deve essere confrontata con l’assetto normativo attualmente delineatosi nel nostro ordinamento e, in particolare, con il consolidato orientamento della Suprema Corte, secondo cui, in tema di acquisizione dei dati contenuti nei cd. tabulati telefonici, la disciplina italiana di conservazione dei dati di cui all’art. 132 dlgs. 196/2003 deve ritenersi compatibile con le direttive in tema di privacy, e ciò poiché la deroga stabilita dalla norma alla riservatezza delle comunicazioni è prevista dall’art. 132 cit. per un periodo di tempo limitato, ha come esclusivo obiettivo l’accertamento e la repressione dei reati ed è subordinata alla emissione di un provvedimento di una autorità giurisdizionale indipendente com’è appunto il pubblico ministero». Invero, se da un lato, «è indubitabile che debba attribuirsi ai principi espressi nelle sentenze CGUe il valore fondante del diritto comunitario con efficacia erga omnes nell’ambito della Comunità», dall’altro, «l’attività interpretativa del significato e dei imiti di applicazione delle norme comunitarie, operata nelle sentenze CGUe, può avere efficacia immediata e diretta nel nostro ordinamento limitatamente alle ipotesi in cui non residuino, negli istituti giuridici regolati, concreti problemi applicativi e correlati profili di discrezionalità che richiedano l’intervento del legislatore nazionale, tanto più laddove si tratti di interpretazioni di norme contenute nelle direttive». Allo stato, quindi, «non può che ritenersi come l’interpretazione proposta dalla CGUe sia del tutto generica nell’individuazione dei casi nei quali i dati di traffico telematico e telefonico possono essere acquisiti (“lotta contro le forme gravi di criminalità” o “prevenzione di gravi minacce alla sicurezza pubblica”), essendo evidente che tali aspetti non possono essere disciplinati da singole (e potenzialmente contrastanti) decisioni giurisprudenziali, dovendosi demandare al legislatore nazionale il compito di trasfondere i principi interpretativi delineati dalla Corte in una legge dello Stato». ne deriva -conclude la Cassazione -«l’impossibilità di ritenere che la sentenza della CGUe possa trovare diretta applicazione in italia fino a quando non interverrà il legislatore italiano ed anche europeo, in quanto allo stato può e deve ritenersi applicabile l’art. 132 dlgs 196/2003» (57). (56) Cass. Pen., sez. II, 7 settembre 2021, n. 33116 e Cass. Pen., sez. II, 3 settembre 2021, n. 33118, disponibile su dejure.it; commentata da G. LuIGI, “La Corte di cassazione ritorna sull’acquisizione dei tabulati telefonici dopo le indicazioni della CGUe”, su ilpenalista.it, 5 ottobre 2021. (57) Sul tema, si veda l’articolo di e. RInALDInI, “Data retention e procedimento penale. Gli effetti della sentenza della Corte di Giustizia nel caso H.K. sul regime dell’acquisizione dei tabulati telefonici e telematici: urge l’intervento del legislatore”, in Giurisprudenza Penale Web, 2021, 5, l’ordinanza con cui il tribunale di Rieti ha proposto questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’unione europea, LeGISLAZIone eD AttuALItà Si ricorda, comunque, che la Cassazione, con sentenza del 1° settembre 2021, ha escluso l’applicabilità del principio di diritto enucleato nella sentenza “Cavallo” in materia di intercettazioni quando, dopo l’attività di captazione, l’imputazione venga riqualificata in altra non annoverata nello speciale elenco di cui all’art. 266 c.p.p. (si pensi al concetto di “inutilizzabilità derivata”: l’ordinanza del GuP del tribunale di Perugia del 20 giugno 2021 nel procedimento c.d. “Palamara bis”). L’auspicato intervento normativo si è concretizzato nell’art. 1 del decreto- legge 30 settembre 2021, n. 132, con il quale il legislatore è intervenuto in via d’urgenza a ridisciplinare la materia dell’acquisizione dei dati di traffico telefonico e telematico per fini di indagini penale (c.d. tabulati). L’adeguamento del nostro sistema ai principi comunitari non poteva che richiedere un intervento del legislatore, non essendosi in presenza di una decisione immediatamente e automaticamente autoapplicativa, quanto meno con riguardo alla “selezione” dei reati “gravi”, tali da legittimare l’acquisizione dei tabulati (58). Con l’art. 1 del decreto-legge soprarichiamato si interviene ad introdurre le modifiche necessarie all’art. 132 del decreto legislativo n. 196/2003. Le modifiche sono volte a perimetrare la competenza ad acquisire i tabulati attribuita al giudice, che deve provvedere con decreto motivato sulla rilevanza di tale acquisizione «ai fini della prosecuzione delle indagini», e non più al pubblico ministero. Peraltro, la sollecitazione al giudice è attribuita, nell’ambito delle investigazioni difensive, anche al difensore dell’imputato, della persona offesa e delle altre parti private. Si profila, però, un problema interpretativo nel testo del decreto-legge, laddove si attribuisce la competenza al “giudice” correlandosi la ragione della richiesta alla rilevanza «ai fini della prosecuzione delle indagini». In realtà, il tema dell’acquisizione dei tabulati si può porre anche dopo l’esercizio dell’azione penale, davanti al giudice del dibattimento, ma anche davanti a quello dell’udienza preliminare chiamato a definire il processo in sede di rito abbreviato condizionato dal pubblico ministero o dalla persona offesa/parte civile; vuoi per smentirla, in caso di richiesta proveniente dalla difesa dell’imputato. Il nuovo comma 3-bis dell’art. 132 disciplina le situazioni urgenti, rispetto nonché le ordinanze con cui il tribunale di tivoli e la Corte di Assise di napoli hanno escluso un’applicazione diretta della CGue. (58) Per un primo commento alla nuova disciplina, si vedano M. BoRGoBeLLo, “acquisizione di tabulati telefonici: che cambia col nuovo decreto-legge”, su agendadigitale.ue, 4 ottobre 2021; L. FILIPPI, “La nuova disciplina dei tabulati: il commento “a caldo” del Prof. filippi”, su penaledp.it, 1° ottobre 2021; C. PARoDI, “Sottratto al P.M. il potere di richiedere autonomamente i tabulati”, su ilpenalista.it, 1° ottobre 2021; G. PeSteLLI, “D.L. 132/2021: un discutibile e inutile aggravio di procedura per tabulati telefonici e telematici”, su quotidianogiuridico.it, 4 ottobre 2021; F. ReStA, “La nuova disciplina del- l’acquisizione dei tabulati”, su Giustizia insieme, 2 ottobre 2021; A. MALACARne, “La decretazione d’urgenza del Governo in materia di tabulati telefonici: breve commento a prima lettura del d.l. 30 settembre 2021, n. 132”, su Sistema Penale, 8 ottobre 2021. RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 3/2021 alle quali è conservato un potere di intervento diretto del pubblico ministero, sottoposto poi alla convalida del giudice. Infatti, allorquando ricorrono ragioni di urgenza e vi è fondato motivo di ritenere che dal ritardo possa derivare grave pregiudizio alle indagini, il pubblico ministero ha la facoltà di disporre direttamente l’acquisizione dei dati con decreto motivato, non solo sulle ragioni investigative giustificanti l’acquisizione, ma anche sulle ragioni di urgenza e sul pregiudizio che deriverebbe dal ritardo nell’acquisizione. In base alle indicazioni della Corte europea, si limita l’acquisibilità dei tabulati a specifiche ipotesi incriminatrici “gravi”: deve trattarsi di reati per quali la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a 3 anni. Si escludono così dal catalogo dei reati alcune fattispecie a forte allarme sociale punite con una pena inferiore. tra i presupposti per acquisire i tabulati, il modificato comma 3 dell’art. 132 prevede, però, anche la “sussistenza di sufficienti indizi di reato”. Da tale espressione si evince chiaramente che “gli indizi di reato” richiesti per poter acquisire i tabulati afferiscono alla sussistenza di un reato e non alla colpevolezza di un determinato soggetto, sicché per procedere legittimamente ad acquisire i tabulati non è necessario che tali indizi siano a carico di un soggetto individuato o di colui le cui conversazioni debbano essere controllate al fine dell’indagine. La motivazione del decreto (del giudice o del pubblico ministero quando opera d’urgenza, salvo convalida del giudice entro le 48 ore successive) deve, quindi, esprimere solo una valutazione sull’esistenza di un fatto storico integrante una determinata ipotesi di reato, il cui accertamento impone l’adozione dello strumento acquisitivo. Sarà, quindi, sufficiente che tale valutazione trovi fondamento in un “livello minimo di indizi giudiziari” e non saranno richiesti, invece, i gravi indizi ordinariamente previsti per le intercettazioni all’art. 267, comma 3, c.p.p., che evocano la necessità di un giudizio altamente probabilistico della sussistenza di un reato. è stato giustamente osservato che la soluzione del legislatore è stata, in primis, quella di agganciare il giudizio di “gravità” alla pena edittale, ma la soluzione mostra i suoi limiti, in quanto non tutti i reati rientranti nel range della norma rientrano nel novero delle fattispecie incriminatrici dirette a contrastare «le forme gravi di criminalità» o a prevenire «gravi minacce alla sicurezza pubblica», come preteso dalla Corte di Giustizia. Volendo definire in via interpretativa il regime transitorio non disciplinato dal decreto-legge 30 settembre 2021, n. 132 soprarichiamato, è da ritenere corretto che i tabulati acquisiti prima del novum normativo non siano affetti dal vizio dell’inutilizzabilità ex art. 190 c.p.p., perché non sono stati illegittimamente acquisiti. Al contrario, sono stati acquisiti nel rispetto delle indicazioni normative all’epoca vigenti. Infatti, essendo la successione delle leggi processuali governata dal principio tempus regit actum, ciò dovrebbe comportare la LeGISLAZIone eD AttuALItà persistente validità ed efficacia degli atti compiuti nell’osservanza delle leggi all’epoca vigenti (59). In questa ottica, neppure dovrebbe porsi un problema generalizzato di acquisizione al processo dei tabulati ritualmente acquisiti nel rispetto della normativa all’epoca vigente. Sembrerebbe allora superfluo, rispetto ai tabulati acquisiti ante decreto n. 132, un’attività generalizzata di richiesta al giudice per un’acquisizione “ora per allora”. tale autorizzazione si profilerebbe necessaria ove, però, sorgessero contestazioni: in tal caso sarebbe opportuno chiedere al giudice la formale acquisizione dei tabulati, quanto meno ex art. 507 c.p.p., e lo stesso potrebbe farsi in appello, in sede di rinnovazione del- l’istruttoria dibattimentale ex art. 603 c.p.p. occorre, però, distinguere i concetti di acquisibilità dei tabulati dalla loro utilizzabilità in concreto. Il tema dell’acquisizione soggiace alle regole all’epoca vigenti, mentre quello della valutazione non può che essere regolata dalla nuova normativa. In altri termini, nulla quaestio per l’acquisizione dei tabulati, ma questi potranno essere valorizzati sul piano probatorio solo nel rispetto delle condizioni di legittimità da oggi previste nel nuovo comma 3 dell’articolo 132 (catalogo dei reati, sufficienza degli indizi, rilevanza investigativa o probatoria). è interessante anche il tema dell’introduzione di un apposito provvedimento di «deindicizzazione», a tutela del diritto all’oblio degli indagati o imputati la cui posizione sia stata definita da un decreto di archiviazione, sentenza di non luogo a procedere o di assoluzione. L’art. 1, comma 25 della legge n. 134 del 2021 delega il Governo a modificare le norme di attuazione, di coordinamento e transitorie al codice di procedura penale in materia di comunicazione della sentenza, stabilendo la necessità di prevedere che il decreto di archiviazione, la sentenza di non luogo a procedere e di assoluzione costituiscano titolo per ottenere un provvedimento di deindicizzazione. Si vuole, infatti, rendere effettivo il diritto all’oblio degli indagati o imputati, nel rispetto della normativa europea in tema di protezione dei dati personali. Il diritto all’oblio (60), chiamato anche diritto alla cancellazione, è disciplinato dall’art. 17 del GDPR, il quale elenca i casi in cui l’interessato ha il diritto di ottenere dal titolare del trattamento (il motore di ricerca o service provider) la cancellazione dei dati personali che lo riguardano, a tutela della (59) Cass., Sezioni unite, 26 novembre 2003, n. 919. (60) «…La vera damnatio, per le persone, è ormai rappresentata dalla conservazione, non dalla distruzione della memoria. Che cosa diventa la persona quando viene consegnata alle banche dati e alle loro interconnessioni, ai motori di ricerca che rendono immediato l’accesso a qualsiasi informazione, quando le viene negato il diritto di sottrarsi allo sguardo indesiderato, di ritirarsi dietro le quinte, in una zona d’ombra?... Che cosa diviene la vita nel tempo in cui “Google ricorda sempre”?», così si pronuncia S. RoDotà nel suo breve trattato “il mondo nella rete. Quali diritti, quali vincoli”, editori Laterza e la Repubblica, Roma-Bari, 2014, pp. 41-42, da “il diritto di avere diritti”. RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 3/2021 propria riservatezza e della propria identità personale, ove essi non siano più necessari «rispetto alle finalità per i quali sono stati raccolti» (61). La norma è il frutto di un percorso giurisprudenziale iniziato con la celebre sentenza 13 maggio 2014, C-113/12 della Corte di Giustizia, c.d. Sentenza “Google Spain”, in cui la Corte ha delineato il rapporto tra libertà di espressione e diritti della personalità sul web, manifestando un’attitudine garantista nei confronti della privacy nell’ambito digitale, introducendo il “diritto all’oblio in internet” e riconoscendo, dunque, il diritto di ciascuno di “controllare” i risultati che appaiono sul web a seguito della digitazione del proprio nome. In tal modo, ciascuno può richiedere al gestore di un motore di ricerca la rimozione di tutti i link che portano a contenuti, seppur legittimi e veritieri, ritenuti non più pertinenti con la propria immagine “sociale”, non più attuali, essendo trascorso un determinato lasso di tempo. Il diritto all’oblio è un tema molto interessante ed esprime il più ampio diritto del singolo alla protezione dei dati personali che lo riguardano; tuttavia, non si configura come diritto assoluto, essendo necessario un bilanciamento con l’interesse economico del gestore del motore di ricerca e con l’interesse pubblico ad accedere alle informazioni contenute anche online. eppure, la riforma, che si incentra sulle informazioni di carattere giudiziario, sembrerebbe fornire una tutela non suscettibile di bilanciamento con gli interessi contrapposti: qualora, infatti, un procedimento penale si concluda in senso favorevole all’indagato/imputato, si pone come preminente il diritto dell’interessato alla deindicizzazione dei dati e delle notizie ad esso relative. In tutti gli altri casi, invece, si ricorrerà ai presupposti, positivi e negativi, individuati dall’art. 17 GDPR e precisati dalla giurisprudenza (si pensi, ad esempio, all’insussistenza di un interesse pubblico specifico e attuale alla diffusione della notizia). Come è stato osservato dalla dottrina, il riferimento alla «deindicizzazione » sembrerebbe «limitare la portata di questo “speciale” diritto all’oblio al solo contesto dei motori di ricerca e affini, lasciando impregiudicata la facoltà di editori e responsabili di testate giornalistiche o telematiche di pubblicare, conservare su archivi telematici e rendere accessibili sul proprio sito web notizie relative a procedimenti penali (passati), pur se definiti con archiviazione, non luogo a procedere o assoluzione» (62). In questo caso si applicherà la disciplina generale, come interpretata dalle Sezioni unite della Corte di Cassazione nella sentenza n. 1981 del 2019, che ha ribadito la necessità di bilanciare la libertà delle scelte editoriali con la sus (61) P. CARettI e A. CARDone, “Diritto dell’informazione e della comunicazione nell’era della convergenza”, Bologna, Mulino, 2019, p. 253. (62) F. MARenGhI, “riforma giustizia penale: il provvedimento di «deindicizzazione»”, su altalex.com. LeGISLAZIone eD AttuALItà sistenza di un attuale interesse della collettività alla notizia e con l’impiego di modalità espressive non eccedenti lo scopo informativo. Comunque, la legge delega non specifica la forma o la procedura del «provvedimento di deindicizzazione»; inoltre, bisognerà definire la portata territoriale dei provvedimenti di deindicizzazione, data la necessità di garantire una tutela effettiva nello spazio a-territoriale e globale della rete. Su questo aspetto si è recentemente pronunciata la Corte di Giustizia (nella causa C507/ 17, Google/CniL), la quale ha specificato che i gestori dei motori di ricerca sono tenuti a operare la deindicizzazione dei contenuti indicati dall’interessato nel solo ambito territoriale di tutti gli Stati membri dell’unione. In conclusione, il diritto alla deindicizzazione rappresenta il crocevia tra la disciplina della tutela dei dati personali e il diritto processuale penale ed esprime la necessità più ampia di adattare la disciplina del processo penale alle nuove esigenze della società digitale, collegandosi con il recente decreto legislativo di attuazione della direttiva ue 2016/343 in materia di presunzione di innocenza approvato l’8 novembre 2021 (63). (63) Il D.lgs. 8 novembre 2021, n. 188, in vigore dal 14 dicembre 2021, rende conforme la normativa italiana alle indicazioni euro-unitarie in tema di presunzione di innocenza. Sul tema, v. F. MA- RenGhI, “Diritto alla presunzione di innocenza e nuovi strumenti di tutela”, su altalex.com, febbraio 2022. L’art. 2 del nuovo decreto ha introdotto un divieto espresso per le pubbliche autorità di indicare pubblicamente come colpevole la persona indagata o imputata, fino al momento in cui la colpevolezza non sia accertata con sentenza o decreto penale di condanna irrevocabili. Se tale disposizione viene violata, oltre alle conseguenze penali, disciplinari e risarcitorie già previste dall’ordinamento, è ora possibile per l’interessato richiedere alla stessa autorità dichiarante la rettifica della dichiarazione lesiva del diritto alla presunzione di innocenza. Se l’autorità ritiene fondata la richiesta, si può procedere immediatamente (o comunque non oltre 48 ore) alla rettifica, altrimenti l’autorità può non accogliere la richiesta, ove questa risulti infondata. In questo ultimo caso, e nel caso in cui la rettifica non rispetti le modalità di pubblicazione previste, l’interessato può ricorrere al tribunale ex art. 700 c.p.c., al fine di ottenere l’ordine diretto all’autorità di pubblicazione della rettifica. L’art. 3 della novella legislativa modifica la disciplina dei rapporti tra Pubblico Ministero e gli organi di informazione, introducendo le seguenti previsioni: «il procuratore della repubblica (o il magistrato dell’ufficio appositamente delegato) mantengono i rapporti con gli organi di informazione esclusivamente tramite comunicati ufficiali, oppure nei casi di particolare rilevanza pubblica dei fatti, e sulla base di determinazione assunta con atto motivato che dia conto delle specifiche ragioni di interesse pubblico -tramite conferenze stampa; la diffusione di informazioni sui procedimenti penali è d’ora innanzi consentita soltanto quando strettamente necessaria per la prosecuzione delle indagini o in presenza di altre specifiche ragioni di interesse pubblico; nei casi in cui la diffusione di informazioni sui procedimenti penali è consentita, il procuratore della repubblica può autorizzare (con atto motivato) gli ufficiali di polizia giudiziaria a fornire, tramite comunicati ufficiali o conferenze stampa, informazioni sugli atti di indagine compiuti; nei comunicati e nelle conferenze stampa è vietato assegnare ai procedimenti pendenti denominazioni lesive della presunzione di innocenza. La vigilanza sul rispetto di tali modalità e divieti è affidata al Procuratore Generale presso la Corte di appello». Anche l’art. 329 c.p.p., in tema di segreto sugli atti di indagine, è stato modificato, con la previsione che il Pubblico Ministero possa autorizzare la pubblicazione di singoli atti o parti di essi soltanto qualora ciò sia «strettamente» necessario per la prosecuzione delle indagini. un’altra novità importante è rappresentata dal nuovo art. 115-bis c.p.p. sulla garanzia della presunzione di innocenza: «nei provvedimenti diversi da quelli che decidono della responsabilità penale dell’imputato (e con esclusione degli atti del pubblico ministero volti a dimostrare la colpevolezza della persona interessata), la persona indagata o imputata non può essere indicata come colpevole, fino a quando la RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 3/2021 Si tratta di una misura che rientra tra quelle previste dal PnRR in ambito penale per limitare la diffusione delle notizie sui procedimenti penali, avendo riguardo delle dichiarazioni delle autorità pubbliche e dei rapporti con la stampa (64). 4. algoritmo e contratto. L’algoritmo ha determinato oggi un “mutamento genetico” del contratto, destinato ad evolversi da strumento di “concretizzazione” dell’autonomia privata ex art. 1322 c.c. a strumento totalmente “eterodeterminato”. La tecnologia si inserisce nelle dinamiche contrattuali e decide in luogo delle parti, superando le impostazioni concettuali sia del giusrealismo che del giusformalismo, volti a definire il concetto della giustizia contrattuale come principio di equilibrio. La nozione funzionale della “causa”, intesa come “causa in concreto”, funzione economico-individuale, si evolve, così, sempre più in “considera colpevolezza non è stata accertata con sentenza o decreto penale di condanna irrevocabili; in caso di violazione, la persona interessata può, nei dieci giorni successivi, richiedere la correzione del provvedimento, quando è necessario per salvaguardare la presunzione di innocenza nel processo. Sull’istanza di correzione il giudice provvede, con decreto motivato, entro quarantotto ore dal suo deposito. il decreto è notificato all’interessato e alle altre parti e comunicato al pubblico ministero, i quali nei dieci giorni successivi possono proporre opposizione al presidente del tribunale o della corte; nei provvedimenti diversi da quelli che decidono della responsabilità penale dell’imputato e che tuttavia presuppongono la valutazione di prove, elementi di prova o indizi di colpevolezza, l’autorità giudiziaria deve limitare i riferimenti alla colpevolezza della persona indagata o imputata a quanto necessario (presupposti, requisiti e condizioni) per l’adozione del provvedimento». (64) In conclusione, si può accennare alla problematica relativa all’acquisibilità delle testimonianze degli assistenti vocali nel processo penale. Sappiamo che è dal 2015 che negli Stati uniti alexa assume le vesti di vero e proprio testimone nel processo: il caso più recente si è verificato nel luglio del 2019, in Florida, quando un uomo è stato accusato di aver ucciso la fidanzata nella loro abitazione. Gli inquirenti, tramite mandato di perquisizione, hanno analizzato le registrazioni del dispositivo di assistenza vocale presente in casa, per ottenere indizi o prove sull’accaduto. Sul tema, vedi F. ZAMBonIn, “alexa testimone in un caso di omicidio”, su il tuo legale, 2019 e A. BenVeGnù, “alexa, unica testimone di un omicidio. e (legittime) domande sulla nostra privacy”, su nera-Mente, 2020. Per quanto riguarda la normativa italiana, in astratto, le registrazioni degli smart assistant e le trascrizioni possono essere utilizzate nel processo nel rispetto della disciplina penalistica e civilistica. Il problema che si pone è che la registrazione sonora di una conversazione da parte di un soggetto che ne sia parte presuppone, di norma, il consenso anche degli altri interlocutori, tranne però il caso in cui la raccolta dei dati intervenga per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria o stragiudiziale (Cass. Civ., sent. n. 11322/2018). Inoltre, se l’interlocutore registra la conversazione all’insaputa dell’altro, non si configura la fattispecie dell’intercettazione, bensì una mera modalità di documentazione dei contenuti già nella disponibilità di chi effettua la registrazione, con la possibilità di trasporre il contenuto nel processo attraverso la testimonianza (Cass. Pen. Sez. II, sent. n. 19158/2015). Comunque, in Italia non c’è ancora una normativa specifica che si occupi dell’acquisizione della testimonianza dei dispositivi di assistenza vocale: in dottrina si sta facendo riferimento ad un possibile futuro ingresso nel procedimento penale delle registrazioni tramite smart speaker come prova atipica (ex art. 189 c.p.p. -che così dispone: «Quando è richiesta una prova non disciplinata dalla legge, il giudice può assumerla se essa risulta idonea ad assicurare l'accertamento dei fatti e non pregiudica la libertà morale della persona. il giudice provvede all'ammissione, sentite le parti sulle modalità di assunzione della prova» -articolo concepito come “valvola di sicurezza” per convogliare il progresso scientifico all’interno del processo penale). LeGISLAZIone eD AttuALItà tion”, in valore e certezza delle prestazioni. Questo fenomeno evolutivo si coglie nella figura degli smart-contract: pur non essendo dei contratti in senso giuridico possono integrare atti della vicenda contrattuale, laddove gli algoritmi che li costituiscono siano programmati per il compimento di atti che costituiscono fasi (o esauriscono) la conclusione o esecuzione del contratto. uno smart-contract o più smart-contract possono essere programmati in maniera tale da individuare quando coincidono le richieste di due o più parti ai fini della conclusione di un contratto ovvero per trasferire un determinato bene digitale al verificarsi di una certa condizione, avendo intercettato un algoritmo che è programmato per il pagamento al verificarsi della medesima condizione. Ad esempio, un protocollo può essere istruito al fine di vendere/acquistare un certo tipo di bene (ad esempio, partecipazioni azionarie) una volta che il prezzo raggiunge una certa soglia o ulteriori condizioni vengano soddisfatte (secondo la sequenza informativa dell’if-then). è, altresì, possibile che uno smart-contract svolga un ruolo nella sola fase di esecuzione del contratto, prevedendo il pagamento online una volta che il bene sia consegnato al compratore. una delle manifestazioni più diffuse di smart-contract è quella dove gli stessi applicano un registro decentralizzato ai rapporti di scambio costituita dalla blockchain che è la tecnologia alla base del software protocollo bitcoin per il trasferimento moneta/valore digitale. La blockchain è una piattaforma senza intermediari -e perciò, decentralizzata, priva di sorveglianza o intervento di terzi sulle operazioni -per la conclusione, formalizzazione e gestione di rapporti di scambio digitali (ambiente informatico dematerializzato) di beni immateriali/dematerializzati. Il controllo è decentralizzato grazie ad un data base pubblico e condiviso da tutti i c.d. miner del network, rappresentati da tutti gli utenti del Bitcoin. Il sistema dei registri decentralizzati opera come un sistema di contabilità e i blocchi di operazioni vengono man mano validati ed eseguiti con una tempistica serrata di dieci minuti, in maniera tale da non poter essere modificati dopo questo intervallo. oltre alla pseudonimia degli utenti, l’utilità di questo registro decentralizzato sta nel fatto che, tramite la piattaforma, qualsiasi bene virtuale o tangibile, ma rappresentato digitalmente, può essere trasferito mediante la stessa ed è registrato in maniera indelebile. Questa tecnologia veloce riduce i rischi di errori dell’intermediario e, se si guarda al funzionamento della blockchain dalla prospettiva delle vicende giuridiche della fase esecutiva, appare evidente che l’automazione delle operazioni riduce il rischio di inadempimento contrattuale implicito nella conclusione del contratto. Si determina, così, la “certezza assoluta dell’adempimento contrattuale” con un automatismo certificato. L’esecuzione viene affidata ad una rete e non può essere influenzata una volta lanciato lo smart-contract nella blockchain. L’automazione può inerire esclusivamente la formazione di un contratto: ciò si realizza qualora un algoritmo sia impiegato nella definizione del contenuto contrattuale, deline RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 3/2021 ando le obbligazioni delle parti prima o dopo la conclusione del contratto c.d. gap filler and loss distribution. Si parla, a tal proposito, di self-driving contracts, qualora le parti individuino un obiettivo comune, lasciando all’algoritmo, che in questo caso è una forma di intelligenza artificiale (analytics), il compito di definire il contenuto del contratto. un esempio del genere è chiaro in quelle assicurazioni in cui il premio varia a seconda dello stile di guida per come monitorato dall’applicazione app per smartphone che permette di conoscere l’esatta posizione del veicolo, la sua velocità e la quantità di chilometri percorsi. occorre, però, chiedersi: l’algoritmo può sostituire totalmente l’autonomia privata insita nella definizione giuridica del contratto ex art. 1321 c.c.? Allo stato attuale, la valutazione tramite analitycs non modifica automaticamente il contenuto/oggetto del contratto. un punteggio elevato corrisponde ad una certificazione di basso profilo di rischio e se l’assicurazione decide di inserire la valutazione nel calcolo delle tariffe, il cliente usufruisce di uno sconto al momento del rinnovo della polizza. Abbiamo poi i contratti c.d. High frequency Trading o dynamic pricing, o contratti ioT, come il servizio amazon’s Dash replenishment: quest’ultimo consente a dispositivi tra loro connessi tramite sensori di ordinare beni su Amazon, quando lo stesso si sta esaurendo presso l’utente del servizio. Fino a che punto, però, l’intelligenza artificiale può riprodurre il processo decisorio dell’uomo? La dottrina più autorevole è nel senso di ritenere che l’operare dell’algoritmo possa costituire dichiarazione, anche tacita, ovvero costituire inizio di esecuzione valevole alla conclusione del contratto o al compimento di altro atto esecutivo. Più critico appare affrontare il problema del malfunzionamento del programma o del governo della responsabilità. Il malfunzionamento dell’algoritmo va valutato nell’ambito della distribuzione del rischio contrattuale in un’accezione ampia, che non si riduce alla gestione delle sopravvenienze (thèorie dell’imprevisiòn o doctrine of frustation), ma al rischio di inadempimento che comporti la mancata soddisfazione economica dell’affare. Il malfunzionamento dell’algoritmo rientrerebbe nel caso fortuito o nel generale concetto di rischio nell’attività di impresa i cui costi devono essere allocati nella c.d. curva dell’indifferenza, volendo aderire alla teoria di analisi economica del diritto di Shavell. Ma se optiamo per una definizione di responsabilità basata sulla colpa, allora occorre considerare il grado di autonomia decisionale dell’algoritmo, ossia se è “mere tool”, o dotato di “ability to learn and decide”. Quest’ultima prospettiva è stata fatta propria dalla recente Risoluzione del Parlamento europeo del 16 febbraio 2017 recante Raccomandazione della Commissione concernente norme di diritto civile sulla robotica, che non solo pone un problema di riconoscimento della personalità elettronica per i robot autonomi e decisionali, ma anche di responsabilità contrattuale delle macchine. Di recente, la giurisprudenza ha evidenziato che gli algoritmi possono essere utilizzati nei contratti se le parti hanno contezza dei c.d. “schemi esecutivi”. LeGISLAZIone eD AttuALItà La Suprema Corte di Cassazione, sez. I civile, con ordinanza 25 maggio 2021, n. 14381, ha stabilito che «il consenso al trattamento di dati finalizzato all’elaborazione di profili reputazionali di singole persone fisiche e all’attribuzione di punteggi di affidabilità attraverso un algoritmo può dirsi “informato”, “specifico” e “consapevole” solo se il titolare rende conoscibile in modo trasparente agli interessati lo schema esecutivo dell’algoritmo e i parametri su cui si basa la valutazione dallo stesso svolta». Ma cosa significa conoscere lo schema esecutivo di un algoritmo? In via preliminare, occorre precisare che la decisione della Cassazione si pone in linea con quanto previsto dalle Guidelines on the protection of individuals with regard to the processing of personal data in a world of Big Data del gennaio 2017, dalla Convention 108 e dalle Linee Guida del WP29 relative alla trasparenza di aprile 2018 e ai processi decisionali automatizzati relativi alle persone fisiche e alla profilazione di febbraio 2018, ove viene sottolineata l’importanza che gli interessati siano adeguatamente informati sulle modalità di impiego dei propri dati personali nell’ambito dei processi elaborativi legati all’utilizzo dei Big Data. Le Guidelines, in particolare, prevedono che all’interessato siano illustrati i rischi legati all’utilizzo dei propri dati mediante tecnologie Big Data, così da evitare che vengano sottoposti a un trattamento che risulti in qualche modo non prevedibile o inappropriato. Ciò, anche, mediante la condivisione con gli interessati degli aspetti più rilevanti delle valutazioni di impatto dei trattamenti sottesi nei termini di cui all’art. 35 del GDPR che possono meglio chiarire modalità e termini dei trattamenti. Sulla base di tale previsione, secondo una certa impostazione dottrinaria, non esisterebbe solo il diritto di non esclusività di cui all’art. 22 del GDPR, ma un vero e proprio right to explanation, ossia uno specifico diritto degli interessati di conoscibilità delle modalità di funzionamento dell’algoritmo. tale diritto sarebbe enucleabile in via interpretativa dall’art. 15 del GDPR che statuisce il diritto di accesso degli interessati: muovendo da tale ricostruzione, i fautori di questa tesi giungono a definire un nuovo concetto di trasparenza in termini di legibility, da intendersi quale capacità degli interessati di capire autonomamente i dati e i parametri presi in considerazione dal titolare nelle sue elaborazioni. occorre, però, a questo punto chiedersi quale sia il livello di trasparenza da attuare e in che cosa concretamente dovrà tradursi l’esplicitazione dello “schema esecutivo” dell’algoritmo utilizzato per il trattamento dei dati. tale schema esecutivo potrà presentare una notevole complessità tecnica che il cittadino comune potrebbe anche non cogliere perfettamente. un articolato contenuto tecnico potrebbe, infatti, risultare eccessivo e non far realmente comprendere la logica algoritmica utilizzata, ma, anzi, scoraggiare il destinatario “medio” di servizi, anche molto complessi, da una reale ed effettiva comprensione del funzionamento degli stessi. L’eccessiva scrupolosità RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 3/2021 tecnica nella descrizione delle logiche algoritmiche potrebbe non colmare quel deficit formativo dell’interessato, specie tenuto conto dell’efficacia media delle informative attualmente già distribuite, e indurre lo stesso a fornire comunque un consenso altrettanto non informato. Alla luce di quanto sopra osservato, rispetto agli elementi di cui si compone un algoritmo, infatti, deve ritenersi che la verifica possa essere svolta esclusivamente sui dati oggetto di trattamento e le relative finalità. ecco perché la lettera f) dell’articolo 13 del GDPR fa riferimento, quando declina l’onere informativo, alla “logica utilizzata” nel processo decisionale. La puntuale descrizione dei passaggi computazionali effettuati da un algoritmo e delle variabili prese in esame potrebbero non presentare quel livello di trasparenza che la Cassazione ha individuato come presupposto per la informata, valida e consapevole prestazione del consenso. Ciò, in quanto la consapevolezza del trattamento cui saranno sottoposti i dati si ritiene presupponga il possesso di molteplici conoscenze e “competenze trasversali” che consentono di comprendere quanto rappresentato dal titolare in sede informativa. In ambito farmaceutico, ad esempio, tale valutazione viene rimessa ad un soggetto terzo, come l’Aifa, in ambito nazionale e l’ema, in ambito europeo, che certifica, e quindi autorizza (anche con CMA, ossia conditional market authorisation), la commercializzazione di farmaci dei quali il cittadino comune non è in grado di valutare l’efficacia e la sicurezza per la propria salute, residuando in capo al paziente il solo diritto a conoscere la mera elencazione statistica delle possibili controindicazioni che potrebbero derivare dall’assunzione del farmaco. Inoltre, si osserva che il paragrafo 6, dell’articolo 5, del Regolamento 2019/1150, cosiddetto Platform to Business, espressamente esclude che le piattaforme e i motori di ricerca abbiano l’obbligo di «rivelare algoritmi o informazioni ». Viene allora da chiedersi come bilanciare l’obbligo di trasparenza con le necessarie tutele degli investimenti realizzati dai privati e con il principio di accountability che governa il GDPR. nel settore farmaceutico, si osserva come la trasparenza della formula chimica, non algoritmica, sia subordinata al riconoscimento di un diritto di privativa rappresentato dal brevetto che consente al privato di non veder pregiudicati gli investimenti di sviluppo sostenuti. nel settore limitrofo dell’alimentazione, la trasparenza della formula è sostituita dalla elencazione degli ingredienti, cosicché vengono comunemente commercializzate bibite gassate di cui si conoscono gli ingredienti, ma non la esatta composizione e il cui oggetto costituisce, dopo decine di anni, il vantaggio commerciale su cui è stato costruito un impero economico. In questo senso, deve dedursi che il diritto di accesso di cui all’art. 15 del GDPR trovi un limite nei diritti del titolare di non svelare tutti i passaggi computazionali dell’algoritmo impiegato per l’elaborazione effettuata, in quanto LeGISLAZIone eD AttuALItà “segreto industriale”, atteso che il “segreto” costituisce la miglior protezione possibile, anche rispetto alle forme di privative tradizionali del diritto di autore e del brevetto, sia rispetto agli algoritmi che con riferimento ai loro prodotti. L’art. 121-ter del D.lgs. 30/2005, ove è stata recepita la direttiva 943/2016, legittima la conoscibilità dei segreti industriali da parte di terzi esclusivamente nei procedimenti giurisdizionali, non anche nel corso di istruttorie amministrative come quella svolta dal Garante, sebbene la direttiva europea genericamente parlasse di conoscibilità dei segreti da parte delle autorità pubbliche. Peraltro, l’indicazione risulta confermata dall’art. 5 del Regolamento P2B, che circoscrive il potere di analisi e verifica delle autorità statali alla disamina dei “criteri generali” usati ai fini del posizionamento. Anche in tale caso, comunque, è l’Agcom ad essere competente ad effettuare le relative verifiche, senza pregiudizio della segretezza degli algoritmi sviluppati. In che termini, allora, deve svolgersi la c.d. valutazione di impatto “Dpia” sul trattamento dei dati? La valutazione eseguita dal titolare può dirsi sufficiente a garantire l’interessato, se ancora oggi non esistono modalità di misurazione dei rischi certe ed univoche (programma del Cnil, tool di enisa, ecc.)? Viene, in altri termini, da chiedersi se non possa prevedersi la facoltà, per i titolari del trattamento che vogliono effettuare nuove forme di trattamento incentrate sulla intelligenza artificiale e su elaborazioni algoritmiche, di rivolgersi, in ottica di preventiva validazione, all’autorità di controllo con meccanismi celeri di valutazione, compatibili con i tempi di sviluppo dell’attività imprenditoriale, anche prevedendo dei contributi finanziari volti a coprire i relativi costi amministrativi. è, d’altronde, riconosciuta e condivisa la circostanza per cui i trattamenti dei dati legati alle nuove tecnologie presentino delle specificità che richiedono un nuovo approccio dinamico basato su una due diligence in ragione dell’impossibilità di definire ex ante tutte le finalità del trattamento, anche in ragione della impossibilità di predeterminare tutti gli output informativi e i relativi utilizzi da parte del titolare. Ciò, soprattutto, nelle ipotesi, come quella su cui si è pronunciata la Cassazione, ove il trattamento viene a coincidere esattamente con il servizio prestato dal titolare. L’art. 32 del GDPR sancisce il principio dell’accountability: tale principio comporta che sia il titolare del trattamento a determinare le misure di sicurezza designate al trattamento dei dati personali, che effettua “tenendo conto dello stato dell’arte e dei costi di attuazione, nonché della natura, dell’oggetto, del contesto e della finalità del trattamento, come anche del rischio di varia probabilità e gravità per i diritti e le libertà delle persone fisiche”. In questo caso, come in altri, il legislatore affida al titolare l’onere di individuare in che modo adempiere alle prescrizioni dettate dalla norma, calandola nella fattispecie concreta, assumendosi la responsabilità non solo della implementazione, ma anche della valutazione. RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 3/2021 Con riguardo alle applicazioni di intelligenza artificiale, un tentativo di formulare un modello di responsabilità non può prescindere da una combinazione, da un lato, dell’accountability del titolare del trattamento, dall’altro, da una formulazione che prescinde dagli elementi soggettivi, nonché dalla individuazione dell’errore, “issue of liability”, “issue of permittance”, “responsability gap”. Se è vero che il modello di protezione dei dati deve essere dinamico e non statico, il principio dell’accountability basato sull’autodeterminazione non può essere idoneo a regolare l’intelligenza artificiale e i Big data, per i quali la determinabilità a priori dei processi di elaborazione non è scontata e nelle quali la finalità del trattamento non potrebbe essere chiara. Questo perché l’algoritmo AI self learning, nato buono, può travalicare in “malware”(malicious software) a causa del suo addestramento. Quindi, anche il consenso inequivoco, specifico, consapevole non può costituire l’unico strumento di tutela in una dimensione globale del trattamento dei dati. “Methaphorically, it is a law of the sea were based on the principle of controlling every drop of water in the oceans according to its origin” (Sembra quasi che si tenti di governare le onde del mare goccia a goccia, individualmente considerando la goccia): così Bergè Grumbach (65). L’ideatore dell’algoritmo dovrebbe essere ritenuto responsabile non solo verso il committente, ma anche verso i terzi lesi dall’entità intelligente, configurando un risarcimento del danno da IA in base al criterio di “provenienza prossima”. Si entra così nella sfera del “tecnodiritto”: responsabilità della machine learning, deep learning, responsabilità del produttore, dell’ideatore dell’algoritmo, dell’addestratore self learning, al di là del pensiero computazionale, responsabilità da prodotto product liability (labile confine tra “prodotto” e “servizio” nel settore dell’IA) ed anche responsabilità ex art. 2051 c.c. da cose in custodia e responsabilità per attività pericolosa ex art. 2050 c.c., anche in relazione all’elevata incidenza del “rischio da sviluppo”. Ma se l’intelligenza artificiale è autoevolutiva, allora si potrebbe attribuire a tale entità la c.d. personalità giuridica elettronica: Teubner per primo ha parlato di “soggetti giuridici digitali”. Allora, ecco che si compie il salto quantico: il passaggio dal “bene” ad “essere”, “machine sapiens”o “machine senties” con autocoscienza, da “antropomorfizzazione” al concetto di “entità dotata da autonomia”. Da qui, il concetto di responsabilità da atto lecito, Gefahrdungshaftung invocata per i soggetti giuridici digitali. L’IA si nutre di Big Data: la sua capacità di crescita è inversamente proporzionale al tasso di tutela della privacy, maggiore è l’accesso ai dati, maggiore è la sua capacità di crescita. (65) Z. ZenCoVICh, “The Datasphere, Data flows beyond control and the challenges for law and governance”, in european Journal of Comparative Law and Governance, V, 2019/162. LeGISLAZIone eD AttuALItà La qualità dei dati diventa, come sopra già esposto, essenziale: da dati qualitativamente non corretti, non possono che scaturire elaborazioni non corrette, secondo il noto principio “garbage in, garbage out”, sulla base dello “Human in command”. è evidente il contrasto che emerge, da un lato, tra l’esigenza di disporre di un’ingente mole di dati ai fini dello sviluppo di sistemi di intelligenza artificiale, e, dall’altro, la necessità di conservare il principio di proporzionalità e di minimizzazione dettato dal Regolamento 679/2016, secondo cui il trattamento dovrebbe avere ad oggetto soltanto i dati strettamente necessari e pertinenti rispetto alle finalità perseguite. tale tensione impone necessariamente un bilanciamento di interessi, che vede contrapposti il diritto alla protezione dei dati personali e l’esigenza di disporre dei dati personali per sviluppare le applicazioni di intelligenza artificiale. Ci si è chiesti (66) se il titolare del trattamento (c.d. “controller”) possa essere la stessa applicazione di intelligenza artificiale, o se si preferisce, il robot. La definizione di titolare del trattamento contenuta nel Regolamento (art. 4, n. 7) indica che il titolare debba essere una persona giuridica o fisica o, comunque, soggetto giuridico (“il titolare del trattamento è la persona fisica o giuridica, l’autorità pubblica, il servizio o altro organismo che, singolarmente o insieme ad altri, determini la finalità e i mezzi di trattamento dei dati personali”). Se l’applicazione non ha soggettività giuridica, evidentemente non può essere titolare. Ma l’attribuzione di soggettività giuridica deve corrispondere ad una precisa e consapevole scelta metodologica e fondare un nuovo approccio al tema della responsabilità. Ai sensi dell’art. 4, n. 8 del GDPR, il responsabile del trattamento (c.d. “processor”) è “la persona fisica o giuridica, o l’autorità pubblica, il servizio o altro organismo che tratta dati personali per conto del titolare del trattamento”. Se all’applicazione non viene attribuita una disponibilità economica e se non viene ridisegnato un regime di responsabilità che prescinda da elementi soggettivi, evidentemente non riferibili all’applicazione, l’attribuzione di soggettività giuridica alle applicazioni di intelligenza artificiale e ai robot diviene un atto non qualificabile giuridicamente. Lo stesso argomento si può svolgere per la designazione dei robot quale responsabile del trattamento. Anche in questo caso la designazione del robot quale responsabile richiede la soggettività giuridica del medesimo, soggettività che non può essere, tuttavia, fine a sé stessa, ma che si deve inserire in un nuovo modello di responsabilità. Chi è il soggetto responsabile nel caso di danni cagionati da un’applica (66) F. PIZZettI, “intelligenza artificiale, protezione dei dati personali e regolazione”, torino, 2018. RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 3/2021 zione di intelligenza artificiale? (67). In particolare, l’attenzione si focalizza sui casi in cui l’esito dell’elaborazione effettuata dalla applicazione di intelligenza artificiale non sia del tutto controllabile a priori e sia caratterizzato da un certo grado di imprevedibilità: non sia, cioè, un processo deterministico, ma sia caratterizzato da una certa autonomia elaborativa. Si discute se sia l’autore del programma, il produttore, il venditore o l’utilizzatore che ne trae vantaggio. nella consapevolezza che ogni fenomeno nuovo richiede nuove norme, il tema della responsabilità nelle applicazioni di intelligenza artificiale richiede un approccio nuovo e basato su un modello concettuale differente, per rubare un termine alla tecnologia, “disruptive”. occorre superare il paradigma basato sull’errore e sulla colpa e, invece, affrontare il tema sotto il profilo dell’“allocazione del rischio”. occorre prevedere meccanismi di allocazione del costo del danno cagionato su quei soggetti che astrattamente potrebbero essere responsabili, ad esempio, mediante la costituzione di un fondo al quale attingere, prescindendo dall’individuazione delle modalità dell’incidente o dell’errore. Analogo meccanismo è stato previsto nel circuito delle carte di credito, per il caso di danneggiamento o furto. uno degli obiettivi perseguiti con questo tipo di sistema di allocazione del rischio è immediatamente evidente ed è quello di rassicurare i potenziali utilizzatori sul fatto che, a prescindere dagli esiti di una costosa ricerca del- l’errore, otterranno un risarcimento. A tal proposito, è stata significativa la Risoluzione del Parlamento europeo del 16 febbraio 2017 -recante raccomandazioni alla Commissione concernenti norme di diritto civile sulla robotica (2015/2103 InL) -ove la Commissione europea è invitata a valutare talune soluzioni giuridiche possibili in relazione al regime di responsabilità dei robot, tra cui «l’istituzione di uno status giuridico specifico per i robot nel lungo termine (...), nonché eventualmente il riconoscimento della personalità elettronica dei “robot” (par. 59, lett. f)». Come si concilia, però, il concetto di decisione robotizzata o automatizzata con il principio di accountability? Il termine accountability può essere tradotto in responsabilità e, insieme, (67) Il tema è molto ampio. In ambito penale si vedano i contributi di G. hALLeVy, “The Criminal Liability of artificial intelligence entities -from Science fiction to Legal Social Control”, in akron intellectual Property Journal, 2010; “i, robot -i, Criminal -When Science fiction Becomes reality: Legal Liability of ai robots committing Criminal offences”, in Syracuse Science & Technology Law reporter, 2010; “Virtual Criminal responsibility”, in original Law review, 2010; “Dangerous robots -artificial intelligence vs. Human intelligence”; “Unmanned Vehicles: Subordination to Criminal Law under the Modern Concept of Criminal Liability”, in Journal of Law, information and Science, 2012; “When robots Kill. artificial intelligence under Criminal Law”, Boston, 2013; “Liability for Crimes involving artificial intelligence Systems”, Springer (Dordrecht), 2015; S. RIonDAto, “robotica e diritto penale (robot, ibridi, chimere, “animali tecnologici”)”, in D. PRoVoLo, S. RIonDAto, F. yenISey (a cura di), “Genetics, robotics, Law, Punishment”. LeGISLAZIone eD AttuALItà prova della responsabilità. Il titolare del trattamento deve essere in grado di dimostrare che ha adottato un processo complessivo di misure giuridiche, organizzative, tecniche per la protezione dei dati personali, anche attraverso l’adozione di specifici modelli organizzativi che si possono pensare analoghi a quelli utilizzati in Italia nell’applicazione del D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231. Le norme del regolamento sull’accountability hanno, dunque, lo scopo di promuovere l’adozione di misure concrete e pratiche, trasformando i principi generali della protezione dei dati in politiche e procedure organizzative concrete, nel rispetto delle leggi e dei regolamenti applicabili. Il titolare del trattamento deve anche garantire l’efficacia delle misure adottate e dimostrare, su richiesta, di aver intrapreso tali azioni. In altre parole, l’accountability è un meccanismo a due livelli: da un lato, l’attuazione di misure e procedure, e dall’altro, la conservazione delle relative prove. Come può operare questo sistema a due livelli con un’entità intelligente? Si potrebbe ipotizzare un doppio livello di operatività anche della responsabilità: un regime di responsabilità oggettiva per i sistemi ad alto rischio sintetizzato nei termini liability, transparency e security; e responsabilità aggravata, per colpa presunta, secondo il modello attuale del GDPR, che prescinde dalla soggettività giuridica. Come potrebbero applicarsi tali principi alle tecnologie basate sui “registri distribuiti”? Per poter regolare tali meccanismi, il giurista deve prima comprenderli nella loro intrinseca essenza ed operatività. Al c.d. Decreto Semplificazioni 2019 (d.l. 135/2018) è stato aggiunto, in sede di conversione in legge, l’art. 8-ter, il quale ha introdotto, nel nostro ordinamento, la definizione di “tecnologie basate su registri distribuiti” e di “smart contract”. Ai sensi del primo comma dell’art. 8-ter,«si definiscono “tecnologie basate su registri distribuiti” le tecnologie e i protocolli informatici che usano un registro condiviso, distribuito, replicabile, accessibile simultaneamente, architetturalmente decentralizzato su basi crittografiche, tali da consentire la registrazione, la convalida, l’aggiornamento e l’archiviazione di dati sia in chiaro che ulteriormente protetti da crittografia verificabili da ciascun partecipante, non alterabili e non modificabili». Le tecnologie basate su registri distribuiti sembrerebbero richiamare le c.d. distributed ledger technologies (o DLt), ossia le reti digitali decentralizzate ispirate alla Bitcoin, ormai famosa in tutto il mondo. Bitcoin fu creata nel 2008 da alcuni hacker anonimi che volevano creare una forma digitale di denaro (c.d. criptovaluta), senza che essa avesse corso legale nello Stato né alcun sottostante materiale in controvalore. La moneta virtuale chiamata Bitcoin è diventata, ormai, molto sostenuta tra il pubblico mondiale: il suo successo è dovuto ad alcuni ideali monetari di RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 3/2021 stampo democratico e internazionalista, a motivi speculativi (68) o di agevolazione delle transazioni legate ad attività illecite e, soprattutto, al superamento di due cruciali problemi che scoraggiavano l’adozione di forme integralmente digitali di denaro. Da un lato, era temuto il rischio della doppia spesa della stessa unità monetaria e, dall’altro, si paventava la necessità di essere assistiti da intermediari di fiducia per ogni transazione. Bitcoin ha offerto proprio una soluzione tecnologica a tali criticità, tramite la creazione di un registro delle transazioni decentralizzato, distribuito fra tutti gli utenti della rete, che possono accedere a ogni sua parte e verificarne autonomamente la regolarità. L’organizzazione del registro è su base crittografica, in modo tale da risultare, di norma, immutabile e insuscettibile di manomissioni fraudolente. è necessaria la firma digitale per riservare al titolare effettivo la disponibilità esclusiva di ogni unità di criptovaluta. La rete DLt sinonimo per antonomasia è la c.d. blockchain (“catena di blocchi”), inaugurata da Bitcoin; vi rientrano anche i c.d. ledger (“libro mastro”) tradizionale e il tangle (“intreccio”). Questi ultimi operano in base a diversi sistemi di raggruppamento delle transazioni da validare prima per essere iscritte permanentemente nel registro condiviso. ogni rete può usare diversi sistemi di controllo decentralizzato della regolarità delle transazioni, basati sempre su tecniche di crittografia, in particolare: (i) il voto a maggioranza; (ii) la proof of work (“prova di lavoro”); (iii) la proof of stake (“prova della posta in gioco”); (iv) la proof of authority (“prova di autorevolezza”). Le reti DLt, oltre a rappresentare il valore monetario, possono, se progettate in tal senso, ospitare anche altre forme di “elementi” digitali, i c.d. token (“gettoni”), fungibili o meno, stringhe di codice irripetibili rappresentative di diritti o beni materiali effettivamente esistenti nel mondo “analogico”, oppure utilizzati per riservare l’accesso esclusivo a servizi digitali telematici. (68) Mentre si scrivono le presenti pagine, è scoppiata con toni drammatici una rivolta in kazakistan per il caro bollette, dipesa dai proprio dai Bitcoin, che ormai sembrano essere diventati uno strumento di alterazione degli equilibri internazionali. I c.d. “Miners”, ossia coloro che gestiscono le criptovalute, sono “scappati” dalla Cina, che ha proibito qualsiasi attività legata alle criptovalute, e si sono spostati in kazakistan per ottenere maggiore guadagno, utilizzando l’energia dei carboni fossili. Ciò ha fatto salire le bollette e il costo dei carburanti nel paese, per cui è nata una rivolta che si sta evolvendo in una guerra civile, tanto che è stato necessario l’intervento della Russia per ristabilire l’ordine. I Miners con ogni probabilità si sposteranno negli Stati uniti, dove si stanno concentrando sull’energia rinnovabile. Questa vicenda ci fa comprendere che non si tratta più di alterazione della borsa, ma collegandosi con la produzione dell’energia di uno Stato, le piattaforme sono diventate veri e propri soggetti di diritto internazionale, che alterano gli equilibri internazionali. LeGISLAZIone eD AttuALItà Per quanto concerne, invece, la nozione di “smart contract” (“contratto intelligente”), si tratta di «un programma per elaboratore che opera su tecnologie basate su registri distribuiti e la cui esecuzione vincola automaticamente due o più parti sulla base di effetti predefiniti dalle stesse. Gli smart contract soddisfano il requisito della forma scritta previa identificazione informatica delle parti interessate, attraverso un processo avente i requisiti fissati dal- l’agenzia per l’italia digitale con linee guida da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto». Si tratta di una forma di software applicativo capace di realizzare, su una rete DLt, transazioni articolate e condizionali. Il suo utilizzo può essere anche quello di portare a esecuzione figure negoziali tradizionali (es. contratti o promesse al pubblico). Gli smart contract acquistano tutte le caratteristiche tecniche tipiche delle reti DLt su cui operano, come la pubblicità, la trasparenza, l’immutabilità, l’irrevocabilità e la permanenza. L’autore di un “contratto intelligente” può anche escludere queste ultime tre qualità, ma lo deve fare in modo preventivo, in sede di programmazione, al fine di predisporre apposite funzioni che ne sospendano l’operatività, ne modifichino il contenuto o lo rimuovano definitivamente dalla rete (es. la c.d. funzione self-destruct, “auto-distruzione”, o il c.d. kill switch, “tasto di spegnimento immediato”). Sono funzioni attivabili ad opera di uno o più soggetti predeterminati, disgiuntamente o congiuntamente secondo le circostanze. Le transazioni possono avere ad oggetto tanto unità criptovalutarie, quanto token, fungibili o infungibili, presenti sulla relativa rete DLt, ma anche qualsiasi istruzione informatica diretta, come output, a computer o altri dispositivi digitali telematicamente connessi. Anche gli input recepiti dallo smart contract possono provenire da soggetti predeterminati, come le parti della transazione in questione oppure i c.d. oracoli, ossia terzi attori estranei interpellati dal contratto stesso. tali oracoli possono essere umani, computer o altri dispositivi (anche provenienti dalla c.d. internet of Things, “Iot”) telematicamente connessi. essi possono essere in grado, secondo i casi, di fornire informazioni su un determinato stato della realtà esterna alla rete DLt o di risolvere di controversie tra le parti (come un “arbitro” o “arbitratore”). Ma quali sono i vantaggi principali del c.d. Smart Contract? (69). Anzitutto, la garanzia di una esecuzione automatica ed esatta del programma contrattuale, sia in ipotesi fisiologiche (c.d. self-execution, “esecuzione automatica”), sia nei casi in cui lo smart contract spiegherà la propria capacità (69) Sul tema, vedi V. BeLLoMIA, “il contratto intelligente: questioni di diritto civile”, su judicium.it, 10 dicembre 2020; F. FeRRonettI, “Blockchain e smart contract, servono regole chiare: lo scenario”, su agendadigitale.eu, 14 ottobre 2021. RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 3/2021 di c.d. self-enforcement, “tutela coercitiva automatica”, come una vera e propria autotutela privata (consentita o meno dall’ordinamento giuridico). tuttavia, se è vero che non ci sono incertezze interpretative o eccezioni, è anche vero che non vi è alcun riguardo a norme imperative che tutelano contraenti definiti deboli o interessi superiori (70). tra l’altro, in mancanza di una apposita funzione predisposta dalle parti nello smart contract e senza il consenso dell’obbligato, l’autorità giudiziaria non potrebbe portare a esecuzione forzata una sentenza di condanna contraria al contratto intelligente. Per l’interprete è difficile capire se adottare una interpretazione teleologica della disposizione normativa in senso permissivo o in senso restrittivo. nell’attuale panorama nazionale ed europeo, il fine della norma dovrebbe essere l’estensione dell’efficacia giuridica dei preesistenti smart contract, intesi in senso informatico, o quantomeno nella conferma di tale capacità di produrre diritti e doveri. Il termine «esecuzione» di cui al primo periodo del paragrafo esaminato è inteso comunemente come “avvio del software applicativo sulla rete DLT”, e il «requisito della forma scritta», per il principio di conservazione degli atti giuridici, porta a ritenere che lo scopo della disposizione normativa sia non tanto quello di definizione di un fenomeno tecnologico preesistente, né quello di riaffermare, in modo ripetitivo, l’equiparazione del file digitale al documento scritto e sottoscritto, già prevista dal Codice dell’Amministrazione Digitale (“CAD”, D.lgs. 82/2005) e dal Regolamento n. 910/2014 (Regolamento eIDAS), quanto piuttosto probabilmente quello di attribuire efficacia giuridica allo smart contract in quanto tale, anche se esso è scritto in un linguaggio diverso, cioè informatico compilato. Lo smart contract passerebbe dalla condizione di mero strumento di esecuzione di un negozio giuridico a quella di fonte diretta e autosufficiente di costituzione e disciplina. Sorgono problemi nel rapporto con gli artt. 1321 ss. c.c. Anzitutto, ci si può chiedere se l’art. 8-ter voglia escludere ogni rilevanza tanto ad eventuali bug (“errori di programmazione”) dello smart contract, quanto a possibili fraintendimenti del suo funzionamento da parte di una parte contraente all’atto dell’avvio dello stesso. Inoltre, si potrebbe parlare di asimmetria tra le competenze informatiche delle parti, soprattutto perché il codice compilato di uno smart contract può essere anche molto più difficile a leggersi, rispetto al corrispondente codice sorgente. (70) Si pensi alla vendita con patto di riservato dominio di un veicolo, in cui il venditore potrebbe programmare il relativo smart contract per bloccare ogni accesso all’automobile qualora l’acquirente manchi di pagare anche solo una rata del prezzo, inferiore all’ottava parte del prezzo, contrariamente al disposto di cui all’art. 1525 c.c. LeGISLAZIone eD AttuALItà Poi potrebbe configurarsi il caso di contraenti che affidino a terzi soggetti esperti la scrittura del proprio smart contract. Sono possibili diverse interpretazioni, da quelle che attribuiscono la massima portata innovativa all’art. 8-ter, con conseguente irrilevanza di ogni errore commesso dai contraenti (bug inclusi), a quelle che affermano un’incidenza minima della disposizione in commento sull’assetto normativo previgente (essa si limiterebbe a chiarire la possibilità di creare un rapporto giuridico negoziale con la semplice esecuzione di uno smart contract). C’è anche una possibilità intermedia, per molti preferibile: l’istituto dello smart contract sarebbe una nuova possibilità espressiva di volontà negoziale, alternativa alla comunicazione verbale e ai facta concludentia, con la conseguente applicazione in generale delle norme di cui agli artt. 1321 ss. c.c., inclusa la disciplina dell’errore-vizio e dell’errore ostativo. Le tecnologie basate su registro distribuito e gli smart contract assumeranno, molto probabilmente, una grande rilevanza economico-sociale in futuro. Sarà necessario, dunque, un intervento del legislatore per risolvere la menzionata impossibilità di assoggettare a esecuzione forzata alcun ordine della pubblica autorità riguardante le reti telematiche, per trovare una soluzione per quanto riguarda i negozi illeciti o contrari a norme imperative, e per rimuovere eventuali contenuti digitali illeciti permanentemente registrati su reti DLt. Il punto di svolta, comunque, potrebbe arrivare in futuro con l’adozione di una criptovaluta della Banca Centrale europea avente corso legale, che è già stata studiata per anni dalla BCe (71). 5. il governo della tecnica e il controllo umano delle sue applicazioni. Il tema della “gestione del rischio” pone la delicata questione del governo della tecnica e della necessità di un approccio antropocentrico e antropogenico dell’intelligenza artificiale (72): il Libro Bianco sull’intelligenza artificiale prevede che, entro il 2030, 20 miliardi di euro saranno investiti in intelligenza artificiale ed è necessario che i giuristi pongano delle regole per modulare il rapporto uomo-macchina tenendo ben presente la forza pervasiva, performativa che la tecnologia può avere sull’io, sulla stessa essenza dell’uomo (73). (71) Il 10 dicembre 2021, Fabio Panetta, membro del Comitato esecutivo della BCe, ha annunciato l’euro digitale, che entro 5 anni affiancherà l’euro tradizionale. tale valuta digitale sarà diversa dalle criptovalute e dai Bitcoin, perché sarà assicurata dalla Banca Centrale europea ed assicurerà la Privacy e la certezza delle transazioni, per ridurre il potere delle grandi piattaforme digitali. (72) “Libro Bianco sull’intelligenza artificiale -Un approccio europeo all’eccellenza e alla fiducia”, Commissione europea, Bruxelles, 19.2.2020 CoM (2020) 65 final. (73) L’esperto di social media intelligence F. BeRGeR, “intelligenza artificiale, rileggere la storia per evitare un nuovo inverno”, su formiche.net, esprime la necessità di analizzare la storia dell’I.A. per evitare “delusioni” o un nuovo letargo della ricerca. Infatti, l’autore fa partire l’analisi dagli anni Cinquanta fino ad arrivare a metà degli anni Settanta, dove il settore dell’IA conobbe un vero e proprio boom grazie a programmi di ricerca dedicati, portati avanti soprattutto dagli americani nel campo della RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 3/2021 einstein affermava: «un giorno le macchine riusciranno a risolvere tutti i problemi, ma mai nessuna di esse potrà porne uno», volendo mettere in rilievo la ragion critica che è propria dell’uomo e non della macchina. eppure, oggi questa ragion critica può essere incisa e manipolata dalla stessa intelligenza artificiale. Di recente, elon Musk durante un’intervista ha parlato di “transumanesimo”, dichiarando lo scorso 5 ottobre 2021, in una trasmissione televisiva, che: «Per unirsi in modo davvero simbiotico all’intelligenza artificiale serve un’interfaccia con il cervello, un collegamento diretto tra cervello e computer. io penso che la soluzione migliore sia avere all’interno del cervello un livello di intelligenza artificiale che operi simbioticamente con te, proprio come fa il tuo cervello biologico». Ma è qualcosa che richiede un intervento chirurgico? -gli ha domandato l’intervistatore -«assolutamente no -ha risposto Musk -puoi iniettarlo nel sangue o direttamente nella giugulare: da li arriva velocemente ai neuroni. Si introducono con delle tecniche genetiche dei piccoli interruttori di proteine che si possono attivare: accendono o spengono il neurone mandando piccoli fasci di luce per indurre il neurone stesso a dire quello che noi vogliamo fargli dire». tale dichiarazione suscita un’inquietudine di fondo, poiché il c.d. transumanesimo, che sembrava un’idea futuristica, appare un’idea molto vicina alla sua concreta realizzazione. Gran parte dei seguaci del transumanesimo vive nella Silicon Valley e molti di loro hanno ruoli ai vertici di quelle aziende che stanno investendo su tecnologia web e genetica. emblematiche sono state le parole pronunciate da Klaus Schwab, direttore del World economic forum e promotore del Grande Reset: «La differenza di questa quarta rivoluzione industriale è che non cambia ciò che fai, ma cambia te stesso, cambia ciò che intendiamo come umano». difesa e della sicurezza. negli anni della legge di Moore (1965), infatti, il positivismo nei confronti del- l’Intelligenza Artificiale era talmente diffuso che quasi tutta la comunità scientifica era arrivata a credere che le macchine avrebbero presto superato gli esseri umani (c.d. IA “forte”o “generale”). Il primo “inverno dell’IA”, però, era alle porte: tra la fine degli anni Settanta e i primi anni ottanta prese piede il pessimismo scientifico nei confronti di questi sistemi, con conseguente riduzione dei fondi destinati alla ricerca. Gli scienziati si erano scontrati con i limiti delle macchine. Poi, a partire dagli anni ottanta, la popolarizzazione delle tecniche di machine learning e deep learning e i c.d. expert system fecero risvegliare il settore, “scongelando l’inverno dell’intelligenza artificiale”. Questa c.d. seconda ondata dell’IA ha creato i presupposti per la nuova generazione di ricercatori che si sono mossi tra la fine del secolo scorso e il primo decennio del nuovo millennio, eppure, nonostante gran parte della comunità scientifica sia convinta che l’IA “forte” o “generale” arriverà a breve, l’obiettivo oggi è diventato l’I.A. c.d. “debole” o “narrow”, che punta a sistemi in grado di gestire un singolo o un numero limitato di compiti, con un approccio più bilanciato e realistico, anche se c’è ancora un enorme potenziale inesplorato. edward Grefenstette, ricercatore del gruppo Meta, ha dichiarato che «una delle più grandi sfide è quella di sviluppare metodi che siano estremamente efficienti in termini di quantità di dati e potenza computazionale richiesta per risolvere correttamente un problema», piuttosto che concentrarsi su sistemi in grado di dare una soluzione a tutti i problemi. Si rischia altrimenti di «cadere in un nuovo inverno». LeGISLAZIone eD AttuALItà Siamo ben oltre l’esaltazione della tecnologia che fu il pensiero dominante del futurismo all’inizio del ventesimo secolo: si ricorderà come ungaretti esaltasse la macchina come strumento di progresso. La stessa parola cibernetica deriva dal greco “kybernetike teckhne” che significa “arte del pilota o del timoniere”. L’etimologia della parola ci suscita l’idea di una guida nel progresso della tecnica che deve rinvenirsi nella coscienza umana. Sappiamo che la cibernetica è quel ramo della scienza pura e applicata, che si prefigge lo studio e la realizzazione di dispositivi e macchine capaci di simulare le funzioni del cervello umano, autoregolandosi per mezzo di segnali di comando e di controllo in circuiti elettrici ed elettronici o in sistemi meccanici (74). Ma oggi siamo in presenza di algoritmi che incidono sul processo decisionale dell’uomo, mettendo in discussione gli stessi principi di libertà e democrazia di un paese. La parola algoritmo deriva dal nome del matematico arabo al-Khuwarizmi, importante matematico arabo del nono secolo. al-Khwarizmi è famoso per averci insegnato i c.d. numeri arabi: la sua opera “Libro di al-Khwarizmi sui numeri indiani” fu tradotta in latino come “algoritmi de numero indorum”. Fu su questo libro che l’europa intera imparò ad usare il sistema di notazione decimale posizionale. Le procedure che permettevano di effettuare calcoli in notazioni decimale divennero così note come “Algorismi” o “Algoritmi” e più tardi lo stesso termine fu applicato in generale alle procedure di calcolo necessarie per ottenere un determinato risultato. oggi l’algoritmo è entrato nella dimensione digitale assumendo una forza intrusiva e pervasiva nella vita degli uomini che certamente il matematico arabo al-khwarizmi non poteva immaginare. tale forza pervasiva pone la necessità di un dialogo tra la matematica e la regola giuridica, affinché si colgano le necessarie interrelazioni tra la scienza applicata e il diritto. Si ricorderà la nota frase di Calamandrei: “Cosa sono le leggi se non esse stesse, correnti di pensiero? Le leggi sono vive poiché dietro le proposte formule (74) ormai non si simula più solo il cervello umano, ma si è arrivati anche a robot in grado di replicare espressioni facciali umane: si pensi ai robot ameca e Mesmer, capaci di esprimere stupore, felicità, cordialità, fare l’occhiolino, v. https://www.macitynet.it/i-robot-ameca-e-mesmer-hannoespressioni- facciali-umane/. Si è arrivati addirittura a concepire un algoritmo che può sostituire il Pubblico Ministero: in Cina è stato sperimentato un magistrato-software in grado di incriminare i cittadini. è chiaro, però, che affidare la pubblica accusa all’intelligenza artificiale, in grado di individuare fino a otto diversi reati, è particolarmente pericoloso e rischia di risultare un’operazione inaffidabile, dato anche il clima sociale in continuo mutamento. Anche alcune Procure in Germania utilizzano l’I.A. per analizzare le immagini, tuttavia quest’ultima ha un ruolo molto limitato, perché non partecipa al processo decisionale relativo alle accuse e alle sentenze. L’amministrazione statunitense di Joe Biden ritiene che sia necessaria una “carta dei diritti” per regolamentare l’intelligenza artificiale, al fine di difendere noi stessi “dalle potenti tecnologie che abbiamo creato”, hanno scritto eric Lander e Alondra nelson, direttore e vicedirettore dell’office of science and technology policy della Casa Bianca; v. https://formiche.net/2021/12/intelligenza-artificiale-cina/. RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 3/2021 bisogna far circolare il pensiero del nostro tempo, lasciarvi entrare l’aria che respiriamo… Le norme sono figli, mandati per il mondo in cerca di fortuna”. Le leggi che devono governare i processi algoritmici devono poggiare su principi solidaristici e personalistici: sotto una prospettiva antropocentrica le norme devono contenere il principio di trasparenza, di non esclusività, di sindacabilità, di digital due process, di correttezza procedurale del trattamento dei dati nel rispetto della c.d. libertà di coscienza dell’uomo (75). (75) Anche la presenza femminile nel settore dell’IA può contribuire a realizzare una tecnologia più antropocentrica e scevra da pregiudizi. Si riporta l’intervista pubblicata su https://www.italian.tech/2021/12/27/news/il_futuro_visto_da_annalisa_barla_la_prof_che_insegna_machine_ learning-331506239/ fatta alla Professoressa Annalisa Barla, docente di machine learning. «facevo machine learning prima che fare machine learning fosse cool» ha affermato la Professoressa associata di Informatica del Dibris e affiliata al Machine Learning Genoa Center dell’università di Genova, che da 12 anni insegna i segreti dell’IA mettendoli in pratica. Secondo Barla, gli strumenti di IA «sono strumenti di cui in futuro non potremo fare a meno», perché «viviamo in un mondo complesso e che sta diventando sempre più complesso, anche a causa nostra, e le ia sono e saranno fondamentali per capirlo. Per capire come sta cambiando, dove sta andando, per comprendere meglio la scienza, la ricerca, la medicina». Le macchine possono aiutare chi governa «a prendere decisioni migliori e più efficaci su una grande varietà di aspetti, cosa che ormai non si può più fare senza basarsi sui dati. e con i dati le ia sono bravissime: possono leggerli, immagazzinarli, elaborarli, fare previsioni e stime», ha affermato Barla, tuttavia «è fondamentale, e lo sarà sempre di più nei prossimi anni, un miglioramento o una ridefinizione delle competenze dei lavoratori. Le persone dovranno imparare a usare questi strumenti, a fare altro e reinventarsi, e scuole e università dovranno puntare molto di più sull’alfabetizzazione digitale e sulla creazione di competenze che prima non c’erano». Infatti, forse i robot non arriveranno a rubarci il lavoro, ma sicuramente ci porteranno a cambiarlo. «non si può più pensare, come facevano i nostri genitori, di fare la stessa cosa per 20-30 anni. e chi non si evolverà sarà travolto, come Blockbuster è stata travolta dall’arrivo di netflix, come le librerie tradizionali si sono dovute adeguare all’esistenza di amazon» ha sostenuto la Professoressa di IA, che si sofferma sull’importanza della IA per ridurre il gap generazionale: con le macchine che leggono i dati «anche un medico giovane e con poca esperienza saprà prendere decisioni buone, sfruttando sistemi intelligenti costruiti con le competenze dei colleghi più esperti». Secondo Barla, «grazie alla loro capacità di fare previsioni, stime e calcoli, le ia potranno dare ai ricercatori un’idea di come un test potrebbe concludersi senza bisogno di effettuarlo, magari facendo scartare una strada che non porterebbe da nessuna parte», tuttavia la Professoressa non sa fare previsioni su quando verrà sviluppata la cosiddetta IA forte (Strong ai). Sele macchine «riusciranno a capire ironia e sarcasmo, pregiudizio e razzismo, potranno gestire da sole la moderazione dei commenti e dei post sui social network», andando oltre il ruolo di assistenti che hanno ora, ha affermato Barla. «Se ci sarà un’altra pandemia, la affronteremo meglio, saremo più preparati». Anche per quanto riguarda il tema del climate change, secondo Barla ci sono ancora grandi passi avanti che le IA possono fare per aiutarci a risolvere il problema, ma ci vuole tempo… Qualcosa di oscuro però è nascosto anche da strumenti intelligenti e utili come le IA: «il rischio più grande -secondo Barla -è di avere ia che siano condizionate, di parte, consapevolmente o inconsapevolmente schierate, algoritmi che non riflettano la pluralità del mondo e delle comunità su cui poi verranno applicati, nel senso che a oggi la maggior parte delle persone che programmano queste macchine sono maschi, bianchi, etero e questo porta a squilibri anche gravi nelle capacità delle ia di capire il mondo che le circonda. rischiando di renderle inutili, se non addirittura pericolose». Soprattutto per quanto riguarda il linguaggio, «il problema è che stiamo allenando le ia con quello che trovano in rete, solo che quello che trovano in rete è quello che abbiamo messo noi umani». e così potremmo ritrovaci IA razziste, misogine, maschiliste, violente. non solo, ci sono i «software di image recognition che identificano come sposi le coppie uomo-donna con abito scuro e vestito bianco e però non sanno come catalogare una coppia africana vestita con abiti tradizionali per il loro matrimonio -sostiene Barla -c’è il dispenser automatico LeGISLAZIone eD AttuALItà I principi di accountability e di right to explanation contenuti nel GDPR possono certamente costituire il primo livello regolatore dell’intelligenza artificiale, ma le numerose applicazioni di quest’ultima nella vita quotidiana pongono il problema di un’evoluzione qualitativa della normativa volta ad un rafforzamento della tutela della propria identità. Si pensi al sistema c.d. ACR “automatic Content recognition”: applicato al televisore, fornisce a ogni parte del contenuto una sorta di “impronta digitale”, andando ad incrociare basi di dati generando altri dati e informazioni che iniziano a circolare indipendentemente dalla nostra volontà. Si pensi ancora al Generative adversarial network, access, ai aaS Human Centric ai, intelligenza artificiale che crea volti umani. Si pensi ancora alla nota questione dei microfoni degli smartphone, sempre accesi a carpire informazioni rivendute poi a società per fare proposte commerciali. un fenomeno sempre più diffuso, che sembrerebbe causato anche dalle app che scarichiamo sui nostri cellulari. Molte app, infatti, tra le autorizzazioni di accesso che richiedono al momento del download, inseriscono anche l’utilizzazione del microfono. una volta che si accetta, senza pensarci troppo e senza informarsi sull’uso che verrà fatto dei propri dati, il gioco è fatto. Su questo illecito uso di dati il garante per la Privacy ha avviato un’indagine, dopo che un servizio televisivo e diversi utenti hanno segnalato come basterebbe pronunciare alcune parole sui loro gusti, progetti, viaggi o semplici desideri per vedersi arrivare sul cellulare la pubblicità di un’auto, di un’agenzia turistica, di un prodotto cosmetico. L’Autorità ha avviato un’istruttoria, in collaborazione con il nucleo speciale privacy e frodi tecnologiche della Guardia di Finanza, che prevede l’esame di una serie di app tra le più scaricate e la verifica che l’informativa resa agli utenti sia chiara e trasparente e che sia stato correttamente acquisito il loro consenso. La nuova attività del Garante si affianca a quella già avviata sulla semplificazione delle informative, attraverso simboli ed immagini, affinché gli di sapone che non riconosce la pelle degli afroamericani, c’è facebook che nell’Year in review del 2014 ricordò a una persona che il suo post di maggior successo era stato quello relativo alla morte della figlia, causandogli ulteriore dolore». Si tratta di macchine pensate e progettate male, senza tenere conto delle diversità di cultura, di pelle, di sentimenti. Secondo Barla, un altro rischio è quello legato alla IA “forte”: «Dobbiamo capire perché vogliamo svilupparla, qual è lo scopo, a che cosa ci serve e come ci può aiutare (che è una cosa che ci aveva detto pure Giorgio Metta, attuale direttore scientifico dell’iit), e non perseguirla solo per scopi economici, che potrebbero ritorcersi contro di noi», altrimenti il rischio è quello di «rendere parte degli umani irrilevanti e inutili, di ampliare ancora la forbice fra chi serve e chi non serve nel mondo del lavoro». e se un giorno i robot dovessero superare gli umani? Secondo Barla sarà necessario puntare su «sistemi ibridi, in cui il supporto delle intelligenze artificiali ai processi umani si fondi sull’incremento e il completamento delle capacità del lavoratore, gli garantisca controllo sul processo e sull’esito finale e anche gli fornisca un chiaro quadro dei vantaggi ottenuti ». RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 3/2021 utenti e i consumatori siano messi in grado in maniera sintetica ed efficace di fare scelte libere e consapevoli. Si pensi ancora all’oBA, on line behavioral advertising, la profilazione per azioni pubblicitarie mirate ed efficaci. La valutazione dell’impatto del trattamento sui diritti e sulle libertà fondamentali degli interessati è di cruciale importanza nel balancing test. Gli effetti negativi non sono rappresentati solo dai classici danni morali e materiali (harm and damage), ma possono essere rappresentati anche dalle minacce alla reputazione, al potere negoziale e all’autonomia degli interessati, o più genericamente in quegli impatti emotivi, come paura, irritazione, nonché il “chilling effect”, derivante dalla consapevolezza di essere sottoposti ad un monitoraggio costante e continuo, il c.d. pedinamento digitale o al punteggio sociale (c.d. scoring, secondo il modello social credit cinese), basato su “bolle profilative” e “inferred data”, o il c.d. “enrichment”, creazione di profili sempre più specifici e dettagliati “finger printing”. è significativo ricordare, al riguardo, che le nuove Linee Guida del garante sui Cookies, distinguendo tra cookies tecnici e cookies di profilazione analytics (per i quali occorre il consenso informato, ai sensi dell’art. 122 del GDPR), ha vietato il c.d. scrolling e il c.d. Cookie wall, ossia il sistema basato sul c.d. “take it or leave it”: l’utente è obbligato a fornire il proprio consenso, pena l’impossibilità di accedere al sito. Se quelli appena descritti sono alcuni dei provvedimenti limitativi dell’applicazione della tecnologia in violazioni dei diritti e delle libertà fondamentali dell’uomo, occorre considerare che l’intelligenza artificiale può andare ben oltre, in quanto, come ha osservato Rita Cucchiara, una delle massime scienziate di IA, tale tipo di tecnologia è di tipo “generativo”, creando un’integrazione tra mondo reale e mondo digitale di cui è difficile individuare il limite. Si è coniato così il termine di “giurimetria”, strumentalità della tecnologia basata sul principio di precauzione e proporzionalità: libertà non solo di manifestare il pensiero, ma di formare autonomamente il nostro pensiero, nuova sfida della sovranità degli Stati da parte dei giganti del web, il passaggio dal territorio al cloud, dalla legge ai protocolli informatici, la dimensione onlife di Floridi che investe l’umanità in tutte le sue manifestazioni. occorre considerare la relazione tra IA e tutela della dignità della persona umana. L’IA potrebbe essere utilizzata per il c.d. enhancement umano, che, utilissimo nel campo medico per prevenire malattie neurodegenerative, potrebbe, al di fuori di tali applicazioni terapeutiche, mettere in crisi il principio di uguaglianza sostanziale. Verrebbe ad affermarsi il diritto o la ricerca della happiness, prevista dalla Dichiarazione di Indipendenza americana e nell’ambito dell’accertamento della responsabilità non vi sarebbe più scansione tra disposizione della norma, accertamento e irrogazione della sanzione. LeGISLAZIone eD AttuALItà tutto allora dipende dall’individuazione della responsabilità che può discendere dalla macchina, rectius dall’applicazione dell’algoritmo: occorre perimetrare il centro di imputazione della responsabilità umana (76). In tale ottica, autorevoli Autori (77) pongono la necessità di una visione antropocentrica che non sia riduttivamente antropomorfa. Come governare l’IA significa delineare il sistema di difesa dei diritti (78). A tal proposito, occorre precisare che l’IA ragiona per inferenza e non per causalità, ha capacità sintattica, ma non semantica. Sulla base di tale considerazione, autorevoli civilistici hanno giustamente osservato che la nuova proposta di regolamento sull’intelligenza artificiale contiene più disposizioni amministrative che norme di diritto civile: contrariamente alla Risoluzione del Parlamento europeo del 2017, non spinge per inserire norme sui contratti e sulla responsabilità, introduce principi generali, general clauses, model rules, lasciando molto spazio più all’evoluzione interpretativa che all’integrazione normativa. Questo perché l’evoluzione tecnologica è talmente veloce, che una normativa ad alto contenuto precettivo può costituire un elemento inadeguato ad un’effettiva regolazione. Qualche autorevole civilista ha osservato che alcune norme del nostro codice civile possono essere ancora utili per regolare alcuni profili applicativi dell’IA. Si pensi ai diritti della persona in relazione allo (76) u. RuFFoLo, A. AMIDeI, “intelligenza artificiale e diritti della persona: le frontiere del transumanesimo”; u. RuFFoLo, e. AL MuReDen, “autonomous vehicles e responsabilità nel nostro sistema ed in quello statunitense”, in Giurisprudenza italiana, 2019, pp. 1657 e ss. (77) u. RuFFoLo, “intelligenza artificiale, machine learning e responsabilità da algoritmo”, in Giurisprudenza italiana n. 7/2019, utet Giuridica, torino. (78) Importante è anche la posizione del Vaticano sull’IA, espressa di recente dal Monsignor John D. Putzer, incaricato presso la Missione di osservatore permanente della Santa Sede all’onu di Ginevra e capo delegazione alla sesta Conferenza di revisione della “Convenzione sulla proibizione o la limitazione dell’uso di alcune armi convenzionali che possono essere considerate dannose o aventi effetti indiscriminati”. L’intervento della Santa Sede ha preso le mosse da una nuova tecnologia che sta prendendo piede: Robot-soldato addestrati a individuare bersagli da abbattere senza la gestione dell’uomo, ben oltre i droni a guida umana. Questi LaWS (Lethal autonomous Weapon Systems) pongono una serie di problemi etici e legali e hanno perciò portato il Vaticano a soffermarsi sulla necessità di lanciare un messaggio importante «verso il disarmo generale e completo sotto un rigoroso ed efficace controllo internazionale », con la necessità di «continuare la codificazione e lo sviluppo progressivo delle regole del diritto internazionale applicabili nei conflitti armati». Gli esseri umani devono supervisionare le macchine perché solo loro possono effettivamente prevedere i risultati delle loro azioni. è necessario introdurre condizioni per garantire il rispetto del diritto internazionale umanitario, per cui dovrebbe essere sempre l’uomo a «guidare la ricerca, lo sviluppo e l’uso dei sistemi d’arma, anche in assenza di norme giuridiche specifiche, come implica la “clausola Martens”» (si tratta della norma secondo cui le persone civili e i combattenti in un conflitto sono protetti dai diritti in uso al momento e nel luogo in questione e dai principi umanitari dettati dalla coscienza pubblica). Secondo il Vaticano, bisognerebbe creare un’organizzazione internazionale per l’IA affinché tutti gli Stati partecipino allo scambio di informazioni scientifiche e tecnologiche «per usi pacifici e per il bene comune di tutta la famiglia umana». V. https://www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2021-12/santa-sede-onu-ginevra-putzer-ente-usointelligenza- artificiale.html. RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 3/2021 human enhancement e ai c.d. neurodiritti, ossia alla possibilità di inserire nel cervello dei microchips che potenziano le nostre capacità cerebrali. In questo caso, potrebbe venire in nostro aiuto l’art. 5 c.c. rubricato “atti di disposizioni del proprio corpo” secondo il quale: «Gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionino una diminuzione permanente dell’integrità fisica o quando siano altrimenti contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume». occorre valutare se il brain enhancement possa costituire una modifica permanente della propria integrità fisica e valutare la liceità del suo scopo, certamente ammissibile in campo medico per la cura di malattie neurodegenerative. L’habeas corpus diviene allora habeas mentem. Se spostiamo l’analisi sul diritto dei contratti, non si può non rilevare che oggi le macchine contrattano tra loro, sono nuncius e rappresentanti, ma delineare una soggettività giuridica della macchina, come ha fatto la Risoluzione del parlamento europeo del 2017, e una sua conseguente responsabilità civile, significa deresponsabilizzare gli utilizzatori, visto che l’input resta pur sempre umano. La macchina potrebbe essere soggetto di tutela, non mera res, quasi come l’animale che è essere senziente secondo la coscienza sociale: di qui il passaggio alla responsabilizzazione potrebbe avvenire secondo lo schema della responsabilità vicaria, o la responsabilità da prodotto oppure, per le forme di intelligenza artificiale ad alto rischio, lo schema della responsabilità per attività pericolose ex art. 2050 c.c., che potrebbe integrare la responsabilità da prodotto. Si pensi alla dibattuta questione della responsabilità dell’autore dell’algoritmo con capacità di apprendimento autoevolutivo: se sono autore di un componente del software, ne risponderò come produttore di un componente. Ma se il software uscito dalla catena di produzione, viene educato male, vengono in rilievo l’art. 2043 c.c. e l’art. 2051 c.c. da cosa inanimata, viene meno la responsabilità del produttore e si delinea la responsabilità dell’utilizzatore ed educatore dell’algoritmo, perché “l’utilizzatore lo ha educato male”. occorre considerare un’altra evenienza: se il produttore non ha inserito nel processo di produzione dell’algoritmo un “codice sorgente” che può bloccare una cattiva educazione dell’algoritmo, la sua responsabilità non viene meno, ma si associa a quella dell’educatore stesso, volendo seguire le note leggi di Asimov. Il codice civile ha governato l’intelligenza umana, può governare l’intelligenza artificiale? Il problema appare molto complesso, se solo si pensa che in molte società quotate l’algoritmo sta entrando nel consiglio di amministrazione: se vi è un componente robotizzato come dovrebbe funzionare tale organo deliberativo? Se addirittura l’algoritmo sostituisse l’amministratore unico, verrebbe LeGISLAZIone eD AttuALItà meno la pluripersonalità: il tema della personalità sarebbe impostato in maniera diversa e sarebbe da configurare in via esclusiva all’inventore dell’algoritmo in caso di self-driving society. In altri termini, chi controlla l’algoritmo controlla la società. La distinzione del CDA in esecutivo e non esecutivo (monitor board), richiederebbe una nuova concezione dell’organo di amministrazione, attraverso la previsione dell’alghoritmus officer e alghoritmus compliance, un robot board, un CDa automatizzato che metterebbe in discussione il rapporto tra controllante e controllato, ben oltre il concetto di controllo societario ex art. 2359 c.c. L’algoritmo diventa manager con soft skills e capacità di problem solving basata anche sull’intuizione e non solo sulla razionalità. ecco che allora il discorso sulla tecnica è un discorso sul potere, sulla libertà e, quindi, sulla democrazia. “agire e non subire la tecnologia” (espressione utilizzata dal Garante per la Privacy, il Professore P. Stanzione) significa intendere lo studio dell’IA sia come “oggetto di produzione” sia come “strumento di regolazione”. ogni ora, su Facebook, si registrano 400 milioni di twitter, 24 milioni di miliardi di dati vengono processati ogni giorno, determinando un flusso di informazioni non governabili. Si pensi al noto caso Gamestop, che ha posto il delicato tema dell’IA nella vigilanza dei mercati, hitech e finanza e la necessaria azione degli organi di controllo. Come è noto, Gamestop gestisce negozi di videogiochi americani che, durante il periodo del lockdown, è entrato in una profonda crisi. Pertanto, aveva lanciato nell’ambito Sec borsa americana una nuova campagna di acquisti su ecommerce: con app gratuite (apparentemente gratuite, «se è gratis il prezzo sei tu») molti esponenti della zgeneration e Millenium hanno acquistato in maniera massiva titoli che sono passati dal valore di 0 a 350 dollari (millenium retails) dando origine al c.d. “trading no fee”, “trading gamification”, che ha rappresentato anche la reazione della zgeneration millenium vs “establishment”. Ma il vero vincitore di tale wolf-herding effect è stata, in realtà, la piattaforma di negoziazione che ha guadagnato tantissimo, eludendo i controlli delle autorità di vigilanza. tale episodio ha messo in luce la carenza di un “deep learnig financial data science” in grado di bloccare simili fenomeni manipolativi e speculativi. Si profilano, dunque, ipotesi di overconfidence in relazione ai dati strutturali quantitativi e qualitativi, che impongono un dovere di “inspection and detection”, (ossia l’individuazione e il blocco dell’iniziatore di un’attività speculativa che utilizzi i social media per controllare il mercato), adottando una strategia con approccio modulare ed incrementale. Viene in rilievo la necessità della definizione di standard minimi di qualità RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 3/2021 e sicurezza dei sistemi di intelligenza artificiale, volto a creare un vero e proprio “ecosistema” di fiducia che copra l’intero processo di produzione e di evoluzione dell’algoritmo. Il Centro di Intelligenza artificiale della Stanford university ha redatto un report in base al quale risulta che nel 2020 sono stati investiti 68 miliardi di dollari, investimenti aumentati del 40% rispetto al 2019. nel contesto globale, è evidente che la Cina voglia diventare una superpotenza dell’IA (79) e che tenda verso player resistenti e competitivi. Se spostiamo l’analisi sui modelli di governance attualmente esistenti in materia di IA, osserviamo che negli uSA non vi è una legge federale sulla IA e trattamento dei dati (vi sono atti normativi in alcuni Stati come California Consumer act che si ispira alla normativa europea). In Cina vi è un forte controllo statale con sorveglianza digitale, c.d. “social scoring” (punteggio sociale), anche se si comincia a parlare di necessità e proporzionalità. In europa, abbiamo il Regolamento per la protezione dei dati personali, le varie proposte di regolamento Digital Services act, Data Governance act, Digital Markets act, la proposta di regolamento sulla intelligenza artificiale, basata sull’idea di una IA rappresentativa dell’umanità, idea di Human Centre che non ostacoli lo sviluppo tecnologico, ma che lo orienti in termini di un suo utilizzo etico al servizio dell’uomo, sostenibilità, di interoperabilità dei dati, di prevenzione dei monopoli, favorendo senz’altro le start-up che saranno, secondo le più attuali previsioni, circa 250 entro il 2030. L’utilizzo sempre più massiccio dell’intelligenza artificiale sta sviluppando studi approfonditi anche sul piano assicurativo, per individuare nella distribuzione dei rischi la c.d. liability gap. Si è osservato che il cervello umano (79) Da un recente report del CnR (Consiglio nazionale delle ricerche) sulla IA («L’intelligenza artificiale per lo sviluppo sostenibile») è emersa la volontà della Cina di attuare una strategia volta ad aumentare la sua potenza tramite il settore delle tecnologie IA. «Le nazioni più avanzate nel campo del- l’i.a.» -si legge nel dossier -«si trovano in europa occidentale e nel nord america; gli Stati Uniti la fanno da padrone in virtù soprattutto della Silicon Valley». nell’europa occidentale, dove non c’è «ancora alcun hub tecnologico alla pari con gli Usa», vi è «un’alta concentrazione di strategie nazionali di i.a. supportate dalla strategia dell’Unione europea». D’altronde, il 24 novembre 2021 l’Italia ha adottato il «Programma strategico per l’i.a. 2021-2024». nel report si legge anche che «la Cina sta avanzando velocemente grazie a forti investimenti, supporto statale e spregiudicatezza di fondo». Ad esempio, i c.d. unicorni (start-up con almeno un miliardo di dollari o di euro di capitalizzazione) tecnologici negli uSA sono 198, e in Cina arrivano a 103. La Cina, nel luglio 2017, ha lanciato il suo «“next Generation artificial intelligence Development Plan”, sfruttando al massimo le sue capacità attraverso dei piani concreti e rapidi, avvantaggiati dall’enorme quantità di dati a disposizione». tuttavia, le acquisizioni cinesi di aziende europee hanno provocato non poca preoccupazione: la nazione è decisa a diventare un «leader mondiale nella definizione di norme etiche e standard per l’i.a.», ma il problema è che in Cina non ci sono precisi regolamenti per tutelare i dati personali, e c’è il serio pericolo di mettere a rischio la privacy di tantissimi utenti, dal momento che il governo di Pechino «ha a disposizione un quantitativo di dati spropositato», come si legge sul report. LeGISLAZIone eD AttuALItà appartiene alla categoria del calcolatore, vi è una responsabilità di una entità pensante, pensiero autonomo e personalità elettronica. L’IVASS non ha preteso, fino ad ora, di andare ad individuare una disciplina specifica che si traduca in maggiori oneri: devono essere gli stessi operatori che devono impegnarsi con il controllo interno, corporate governance al rispetto dei principi etici dell’IA. Si pensi anche al Codice di autodisciplina della Consob. Il mercato assicurativo utilizza l’IA per la personalizzazione dei contratti assicurativi e del premio giusto adeguato al livello di rischio, senza far venir meno il carattere di mutualità rispetto alla granularità del dato. ecco che allora nell’ambito assicurativo si distinguono tre soggetti con un’apposita configurazione: 1) il soggetto produttore della parte meccanica; 2) il codificatore del software; 3) l’ideatore dell’algoritmo. Sulla base di tale tripartizione, si analizza il problema dell’imputabilità giuridica, secondo l’analisi economica del diritto. Per l’utente si fa riferimento all’art. 2051 c.c., responsabilità per le cose in custodia, mentre si richiama l’art. 2050 c.c., responsabilità per attività pericolose, per l’operatore economico che sostituisce l’uomo con IA, ma in tal caso il soggetto danneggiato si trova in una posizione di maggior svantaggio, perché l’operatore può provare di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno. Calzante è il riferimento anche all’art. 2049 c.c., responsabilità indiretta che non ammette prova contraria e che si basa sul nesso di “occasionalità necessaria”. Si è discusso se, per l’ideatore dell’algoritmo, possa farsi riferimento alla responsabilità del produttore: il limite di applicabilità è dato, come sopra già, esposto dalla capacità autoevolutiva dell’algoritmo nei sistemi di deep learning, autoevoluzione che può prescindere totalmente dalla volontà dell’ideatore. nell’ambito del diritto uniforme è stata lungimirante la Risoluzione del parlamento europeo dell’ottobre 2020, che invitava la Commissione ad adottare un regolamento che uniformi la disciplina dell’onere della prova a carico del produttore di un software stand/alone o anche come componente di un’entità materiale ed immateriale. Si è giunti così ad un doppio binario: a) responsabilità oggettiva per attività ad alto rischio salvo prova contraria: b) responsabilità aggravata per colpa presunta con prova contraria dell’operatore (ad esempio, se il sistema è stato utilizzato a sua insaputa). Appare ovvio, in tale contesto, che l’operatore back-end o front-end richieda una copertura assicurativa obbligatoria. In un sistema tecnologico in continua evoluzione, le tecniche di assicurazione richiedono a loro volta un continuo adattamento con un abbassamento dei costi di accesso, con un cloud che abbia un elevato potere di calcolo computazionale, open source. RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 3/2021 Se quella appena descritta è la situazione attuale nel campo assicurativo, maggiore complessità applicativa presenta il campo medico, la c.d. Med tech ia (80). Si è calcolato che l’applicazione dell’IA nel campo terapeutico potrebbe salvare circa 400.000 vite all’anno, con un risparmio di 200 miliardi di euro ed ulteriore risparmio di 2000 ore lavorative in ambito sanitario. occorre precisare che i software utilizzati nel campo medico sono dei veri e propri dispositivi medici, tutte le app sono dispositivi medici con classificazione di rischio (classe 1 e classe 2) sottoposte alla specifica disciplina eurounitaria dei dispositivi medici del 2021 (81). (80) V.A. CReA, “L’intelligenza artificiale sta rivelando una biologia sconosciuta”, su https://www.tomshw.it/scienze/lintelligenza-artificiale-sta-rivelando-una-biologia-sconosciuta/. Come riportato nell’articolo, in un campo estraneo al diritto, è stato constatato che «la maggior parte delle malattie umane può essere ricondotta a parti malfunzionanti di una cellula, un tumore è in grado di crescere perché un gene non è stato accuratamente tradotto in una particolare proteina, o una malattia metabolica sorge perché i mitocondri non si attivano correttamente, per esempio». unendo insieme microscopia, tecniche di biochimica e IA, alcuni ricercatori e collaboratori della University of California San Diego School of Medicine hanno fatto un grande passo avanti nella comprensione delle cellule umane. La tecnica, chiamata Multi-Scale integrated Cell (MuSIC), è stata descritta il 24 novembre 2021 su nature, e nell’articolo sopra citato si legge che «“Se immagini una cellula, probabilmente immagini il diagramma colorato nel tuo libro di testo di biologia cellulare, con mitocondri, reticolo endoplasmatico e nucleo. Ma è tutta qui? Sicuramente no”, sono state le parole di Trey ideker, PhD, professore alla UC San Diego School of Medicine e al Moores Cancer Center. “Gli scienziati si sono resi conto da tempo che c’è di più che non sappiamo di quanto sappiamo, ma ora abbiamo finalmente un modo per guardare più in profondità”. nello studio pilota, MuSiC ha rivelato circa 70 componenti contenuti all’interno di una linea cellulare renale umana, metà dei quali non era mai stata vista prima. in un esempio, i ricercatori hanno individuato un gruppo di proteine che formano una struttura sconosciuta. Lavorando con il collega della UC San Diego Gene Yeo, PhD, alla fine hanno determinato che la struttura è un nuovo complesso di proteine che lega l’rna. il complesso è probabilmente coinvolto nello splicing, un importante evento cellulare che consente la traduzione dei geni in proteine e aiuta a determinare quali geni vengono attivati in quali momenti. L’interno delle cellule e le molte proteine che si trovano lì, sono tipicamente studiate utilizzando una delle due tecniche: imaging al microscopio o associazione biofisica. Con l’imaging, i ricercatori aggiungono tag fluorescenti di vari colori alle proteine di interesse e tracciano i loro movimenti e associazioni attraverso il campo visivo del microscopio. Per esaminare le associazioni biofisiche, i ricercatori potrebbero utilizzare un anticorpo, specifico per una proteina, per estrarlo dalla cellula e vedere cos’altro è collegato ad esso. i microscopi consentono agli scienziati di vedere fino al livello di un singolo micron, circa le dimensioni di alcuni organelli, come i mitocondri. Gli elementi più piccoli, come le singole proteine e i complessi proteici, non possono essere visti attraverso un microscopio. Le tecniche di biochimica, che iniziano con una singola proteina, consentono agli scienziati di scendere alla scala nanometrica. (Un nanometro è un miliardesimo di metro, o 1.000 micron). “Ma come si fa a colmare questo divario dalla scala nanometrica a quella micrometrica? Questo è stato a lungo un grande ostacolo nelle scienze biologiche”, ha detto ideker, che è anche fondatore della UC Cancer Cell Map initiative e dell’UC San Diego Center for Computational Biology and Bioinformatics. “Si scopre che puoi farlo con l’intelligenza artificiale, guardando i dati da più fonti e chiedendo al sistema di assemblarlo in un modello di una cella”. ideker ha sottolineato che questo era uno studio pilota per testare MuSiC. Hanno esaminato solo 661 proteine e un tipo di cellula. “il chiaro passo successivo è quello di indagare attraverso l’intera cellula umana”, ha detto ideker, “e poi passare a diversi tipi di cellule, persone e specie. alla fine, potremmo essere in grado di comprendere meglio le basi molecolari di molte malattie confrontando ciò che è diverso tra cellule sane e malate”». LeGISLAZIone eD AttuALItà Il Libro bianco sull’intelligenza artificiale fa espressamente riferimento al campo medico, basti pensare che tutta l’industria Med tech rappresenta un giro di affari di 120 miliardi di euro. Vi sono smartphone capaci di calcolare il battito cardiaco, segnalare l’aritmia al medico curante, attivare gli allert per la fibrillazione atriale, essendo un valido aiuto anche per la diagnosi precoce (82). Ma cosa succede se le funzionalità del software cambiano con machine learning, assumendo delle caratteristiche diverse da quelle per le quali ha ricevuto il marchio Ce? In questo caso è in gioco la stessa salute del paziente. La food and Drug administration si sta concentrando non solo sul rischio, ma anche su un protocollo di modifica dell’algoritmo “effort change”, che non blocchi l’evoluzione dell’algoritmo e l’innovazione tecnologica, ma che salvaguardi la salute del paziente. Dal 26 maggio 2021 è entrato in vigore il nuovo regolamento sui dispositivi medici (83), con analisi rischio/beneficio in ambito sanitario. A tal riguardo, occorre precisare che la tutela della salute in senso ampio deve intendersi anche come protezione: negli ultimi anni, in tutto il mondo, medici e ricercatori hanno delle reti neuronali utilizzate dagli algoritmi per modellizzare il comportamento umano attraverso dati strutturati e processati per il c.d. customer journey. In una serie di articoli dell’economist, che provano a immaginare come sarà il futuro, intitolata “What if”, l’immaginaria vincitrice del premio nobel per la medicina del 2036 è Yulya, un’intelligenza artificiale che ha salvato 4 milioni di vite grazie al superamento del problema dell’antibiotico-resistenza, il fenomeno per cui molti batteri resistono all’attività degli antibiotici rendendoli inefficaci. nello scenario immaginato dall’economist, nel 2034 per errore viene consentito a Yulya -progettata per sviluppare nuove cure contri i tumori -di accedere a un enorme database di studi sui farmaci. In questo modo, riesce a migliorare le proprie conoscenze sull’antibiotico-resistenza, trovando nuove (81) Regolamento 2017/745 relativo ai dispositivi medici (Medical Devices regulation, MDr), ufficialmente entrato in vigore il 26 maggio 2021. (82) Il rapporto tra Intelligenza Artificiale e medicina è veramente prezioso: oggi l’I.A. fornisce grandi armi in più alla medicina, e ce lo ricorda anche il fisico A. VeSPIGAnI, docente della northeastern University, che di recente ha fatto un appello affinché le istituzioni sfruttino l’I.A. nel modo migliore possibile. Bisogna ripensare alla salute pubblica in scala globale, sfruttando anche l’insegnamento della Pandemia da Covid-19: «le piattaforme sviluppate per affrontare il coronavirus saranno il motore per un futuro diverso in termini di ricerca anche contro altre malattie. L’altro grande avanzamento è la presa di coscienza dell’immenso valore dei dati: non tanto come fotografia statica, ma in quanto materia dinamica che ci serve per avere delle letture sulla gestione delle crisi sanitarie. Quindi in combinazione con intelligenza artificiale, statistica, apprendimento automatico. Queste nuove analisi dati rappresentano anche un ritorno alla visione collettiva della salute di una popolazione, nella direzione di un nuovo approccio alla sanità pubblica» ha detto il famoso fisico; v. l’intervista su https://www.ilfoglio. it/scienza/2021/09/18/video/-la-pandemia-ci-deve-far-ripensare-la-sanita-pubblica-parla-ilfisico- alessandro-vespignani-2951628/. (83) Regolamento 2017/745 cit. RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 3/2021 combinazioni di farmaci e risolvendo così un problema considerato attualmente dalle autorità sanitarie una grave minaccia. è una storia inventata ovviamente che, però, prova a ipotizzare cosa succederà in futuro sulla base delle evidenze scientifiche al momento disponibili. non è una suggestione insensata pensare che in futuro l’intelligenza artificiale possa curare le persone o aiutare a prevedere le malattie: negli ultimi anni, in tutto il mondo, medici e ricercatori hanno collaborato e discusso su come sfruttare una risorsa tecnologica così potente (84). ne hanno anche valutato i limiti, i possibili effetti distorsivi e gli errori, che anche in ambito sanitario dipendono da come viene strutturata questa tecnologia e di quanti e quali dati si serve. “L’intelligenza artificiale può migliorare l’assistenza sanitaria e la medicina in tutto il mondo, ma solo se l’etica e i diritti umani vengono messi al centro della sua progettazione, implementazione ed utilizzo”, si legge nel report “etica e governance dell’intelligenza artificiale per la salute”, pubblicato a fine giugno dall’organizzazione mondiale della Sanità (oMS) e risultato di una consultazione tra esperti durata due anni. nonostante sia spesso percepita con un’accezione fantascientifica o distopica, l’intelligenza artificiale viene già utilizzata in molte discipline della medicina come strumento di supporto per migliorare il giudizio e in generale il lavoro dei medici. I principali settori di applicazione sono la diagnostica, lo sviluppo di nuovi farmaci e vaccini, la riabilitazione e la telemedicina (85). è utile nell’analizzare le immagini per dia (84) Con l’Intelligenza Artificiale siamo arrivati a tecnologie in grado di crescere un feto, grazie all’esperimento cinese degli scienziati dell’Istituto di ingegneria e tecnologia biomedica di Suzhou. Si stima addirittura che la gestazione artificiale sarà più efficiente e sana di quella umana. L’esperimento ha riguardato un vero e proprio grembo artificiale capace di far crescere un feto in sicurezza, sotto la gestione di un’intelligenza artificiale che monitora e accudisce il nascituro con un altissimo livello di efficienza. La c.d. “mamma ia”, che ora sta gestendo grandi quantità di embrioni animali, potrebbe, in futuro, addirittura eliminare la necessità per una donna di crescere in grembo il proprio bambino, permettendo un’evoluzione del feto più sicura ed efficiente fuori dal suo corpo. Insomma, un incubatore 2.0 che simula il grembo materno, con effetti positivi sui nati prematuri che spesso, anche nei paesi dotati di buoni ospedali, hanno pochissime possibilità di sopravvivere. V. https://formiche.net/2022/02/ia-gestazione-artificiale-cina/. (85) Come è stato riportato su ansa.it, “Science, ia che predice la forma delle proteine è stata la scoperta del 2021”, secondo la rivista Science l’IA che predice la struttura 3D delle proteine è stata la scoperta dell’anno e ha scalato tutte le classifiche battendo le pillole anti-Covid e i terremoti su Marte. Grazie agli sviluppi dell’ultimo periodo, il direttore di Science, Holden Thorp, ha dichiarato che questa scoperta «innanzitutto risolve un problema scientifico che resisteva da 50 anni. Poi è una tecnica rivoluzionaria che, come la Crispr o la microscopia crioelettronica, imprimerà una forte accelerazione alle scoperte scientifiche». Prima dell’avvento dell’IA, determinare la struttura di una proteina era un compito complesso. Comunque, la svolta decisiva è arrivata l’estate scorsa da parte di due gruppi di ricerca che hanno condiviso i propri risultati con la comunità scientifica. è stato prima il turno di uno studio pubblicato su nature e guidato da David Baker dell’università di Washington: roseTTafold ha risolto la struttura di centinaia di proteine note per essere bersagli di farmaci di uso comune. Poi è arrivata la pubblicazione su Science dello studio condotto dall’azienda britannica DeepMind di Google: l’azienda ha risolto la struttura di 350.000 proteine umane. LeGISLAZIone eD AttuALItà gnosi radiologiche in oncologia, soprattutto per radiografie toraciche, colonscopie, mammografie, tAC cerebrali; viene usata anche per esami non radiologici, in dermatologia, e in oculistica, e aiuta ad accorciare i tempi di analisi (sequenziamento) dell’RnA e del DnA. I possibili sviluppi sono tantissimi: potrebbe consentire ai medici di individuare precocemente eventi di una certa gravità come l’ictus, il tumore al seno, le malattie coronariche, le polmoniti e il diabete. Anche in caso di malattia conclamata, l’intelligenza artificiale potrebbe essere utilizzata per integrare le cartelle cliniche dei pazienti durante lo studio di una cura o avere informazioni più dettagliate prima di prendere decisioni terapeutiche delicate come un ricovero o un’operazione chirurgica. La tecnologia può anche migliorare la comunicazione tra le strutture sanitarie, i medici di famiglia e i pazienti e attraverso controlli costanti aiutare le persone malate ad avere più consapevolezza e controllo delle proprie condizioni di salute, di come e quando assumere farmaci, di quanto sia importante avere un’alimentazione sana e fare regolare attività fisica. Lo sviluppo dell’intelligenza artificiale in medicina è legato all’aumento significativo dei dati: in ogni momento della giornata tutte le persone ne producono una notevole quantità, e sempre più dettagliati. un esempio banale e immediato è l’app Salute presente su Ios, il sistema operativo degli iPhone, che conta i passi fatti in un giorno e osserva il battito del cuore, se collegata a un dispositivo come uno smartwatch. Anche quando ci si sottopone a un esame in ospedale vengono raccolti dati in diverse forme: possono essere semplici, come la rilevazione della pressione arteriosa, o complessi come una tAC di ultima generazione, tecnica di indagine approfondita che consente di ricostruire un’immagine tridimensionale degli organi. I dati alimentano diversi sistemi di analisi che si basano su algoritmi e sono essenziali per far sì che l’intelligenza artificiale sia davvero intelligente. uno dei sistemi di analisi più utilizzati è il machine learning che consiste nello studio e nella costruzione di algoritmi che permettano ai computer di imparare a eseguire un compito preciso come riconoscere un’immagine o fare previsioni attendibili, a partire da un insieme di dati forniti dagli sviluppatori. L’algoritmo non impara cosa è un cane sulla base delle sue caratteristiche -ha quattro zampe, due occhi, può avere orecchie di una certa grandezza e il naso di una certa forma -ma riesce a identificarlo dopo aver imparato come è fatto osservando migliaia di foto che gli sviluppatori hanno categorizzato come immagini di cani. Capire come funziona il machine learning è importante per comprendere le potenzialità dell’intelligenza artificiale in medicina, anche se fino a pochi anni fa erano una risorsa poco o mal utilizzata. Giuseppe Sollazzo è l’“Head of artificial intelligence Skunkworks and deployment” del Servizio sanitario inglese. Significa che è a capo di una squadra di analisti dei dati che ha il compito di capire come usare l’intelligenza artificiale nel sistema sanitario e negli ospedali. L’ambito più promet RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 3/2021 tente riguarda l’analisi delle immagini. L’intelligenza artificiale può osservare la tAC, un’immagine tridimensionale, per capire come una malattia evolve nel tempo e, quindi, se le condizioni di una persona migliorano o peggiorano. un medico riesce a capirlo guardando la tAC grazie agli studi e all’esperienza: attraverso il machine learning, un’intelligenza artificiale può analizzare le stesse immagini più rapidamente, con una maggiore possibilità di individuare lesioni minuscole. e aiutare il medico a prendere decisioni. C’è un modo per prevedere come si evolvono malattie come il glaucoma (una malattia cronica e progressiva che colpisce il nervo ottico) prima che le condizioni diventino più gravi? è una delle domande a cui l’intelligenza artificiale può dare una risposta attraverso l’analisi di milioni di immagini. uno dei problemi più rilevanti è la mancanza di dati dettagliati per studiare modelli che siano validi per tutte le persone. Rimediare alla scarsità di dati è complesso, anche perché i dati sanitari sono dati sensibili e non possono essere raccolti e gestiti con leggerezza. Servono accortezze e tutele per evitare abusi come l’uso improprio da parte delle aziende (86). (86) Art. 110 GDPR (Ricerca medica, biomedica ed epidemiologica): “1. il consenso dell'interessato per il trattamento dei dati relativi alla salute, a fini di ricerca scientifica in campo medico, biomedico o epidemiologico, non è necessario quando la ricerca è effettuata in base a disposizioni di legge o di regolamento o al diritto dell'Unione europea in conformità all'articolo 9, paragrafo 2, lettera j), del regolamento, ivi incluso il caso in cui la ricerca rientra in un programma di ricerca biomedica o sanitaria previsto ai sensi dell'articolo 12-bis del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, ed è condotta e resa pubblica una valutazione d'impatto ai sensi degli articoli 35 e 36 del regolamento. il consenso non è inoltre necessario quando, a causa di particolari ragioni, informare gli interessati risulta impossibile o implica uno sforzo sproporzionato, oppure rischia di rendere impossibile o di pregiudicare gravemente il conseguimento delle finalità della ricerca. in tali casi, il titolare del trattamento adotta misure appropriate per tutelare i diritti, le libertà e i legittimi interessi dell'interessato, il programma di ricerca è oggetto di motivato parere favorevole del competente comitato etico a livello territoriale e deve essere sottoposto a preventiva consultazione del Garante ai sensi dell'articolo 36 del regolamento. 2. in caso di esercizio dei diritti dell'interessato ai sensi dell'articolo 16 del regolamento nei riguardi dei trattamenti di cui al comma 1, la rettificazione e l'integrazione dei dati sono annotati senza modificare questi ultimi, quando il risultato di tali operazioni non produce effetti significativi sul risultato della ricerca”. Art. 110-bis GDPR (trattamento ulteriore da parte di terzi dei dati personali a fini di ricerca scientifica o a fini statistici): “1. il Garante può autorizzare il trattamento ulteriore di dati personali, compresi quelli dei trattamenti speciali di cui all'articolo 9 del regolamento, a fini di ricerca scientifica o a fini statistici da parte di soggetti terzi che svolgano principalmente tali attività quando, a causa di particolari ragioni, informare gli interessati risulta impossibile o implica uno sforzo sproporzionato, oppure rischia di rendere impossibile o di pregiudicare gravemente il conseguimento delle finalità della ricerca, a condizione che siano adottate misure appropriate per tutelare i diritti, le libertà e i legittimi interessi dell'interessato, in conformità all'articolo 89 del regolamento, comprese forme preventive di minimizzazione e di anonimizzazione dei dati. 2. il Garante comunica la decisione adottata sulla richiesta di autorizzazione entro quarantacinque giorni, decorsi i quali la mancata pronuncia equivale a rigetto. Con il provvedimento di autorizzazione o anche successivamente, sulla base di eventuali verifiche, il Garante stabilisce le condizioni e le misure necessarie ad assicurare adeguate garanzie a tutela degli interessati nell'ambito del trattamento ulteriore LeGISLAZIone eD AttuALItà Da qualche anno, anche in Italia, esperti di sanità e di intelligenza artificiale si confrontano e studiano possibili applicazioni in sanità. uno degli esempi più rilevanti è la “cartella clinica del cittadino”, attivata nel 2012 dalla provincia autonoma di trento. è un fascicolo sanitario elettronico che non archivia e analizza solo i dati raccolti in ospedale, come i risultati degli esami, ma anche quelli prodotti ogni giorno dal paziente. una persona diabetica, per esempio, inserisce ogni giorno i valori della glicemia, il tipo di pasto consumato e a che ora ha mangiato. “L’intelligenza artificiale non sostituisce il medico: il medico usa l’intelligenza artificiale per controllare le condizioni di salute del paziente in modo più approfondito e prescrivere cure personalizzate”, spiega Paolo traverso, direttore del Dipartimento Strategia e Sviluppo della Fondazione Bruno kessler di trento, che ha collaborato allo sviluppo della cartella clinica del cittadino e tra i più qualificati esperti italiani di intelligenza artificiale. L’app della cartella clinica del cittadino interagisce con le persone e i medici, e aiuta a comprendere meglio come sta un paziente e come si evolvono le sue condizioni nel tempo. I medici portano la conoscenza, l’app consente di osservare meglio la realtà: così si affinano i modelli di cura. Al momento, la piattaforma è utilizzata da oltre 140 mila persone nella provincia autonoma di trento e la fondazione Bruno Kessler ha stretto accordi anche con emilia-Romagna, umbria, Friuli-Venezia Giulia e in ospedali come il fatebenefratelli per cui è stata messa a punto Mumapp, un’app per seguire le fasi dello sviluppo dei neonati nei primi mille giorni di vita. A tutti i progetti lavorano esperti di intelligenza artificiale e giuristi, perché il tema della protezione dei dati e del consenso informato è essenziale, utilizzando il metodo “privacy by design”, un approccio che considera la privacy come centrale nello sviluppo. nel report “etica e governance dell’intelligenza artificiale per la salute” (87), gli esperti dell’oMS hanno individuato sei principi per garantire che l’in dei dati personali da parte di terzi, anche sotto il profilo della loro sicurezza. 3. il trattamento ulteriore di dati personali da parte di terzi per le finalità di cui al presente articolo può essere autorizzato dal Garante anche mediante provvedimenti generali, adottati d'ufficio e anche in relazione a determinate categorie di titolari e di trattamenti, con i quali sono stabilite le condizioni dell'ulteriore trattamento e prescritte le misure necessarie per assicurare adeguate garanzie a tutela degli interessati. i provvedimenti adottati a norma del presente comma sono pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della repubblica italiana. 4. non costituisce trattamento ulteriore da parte di terzi il trattamento dei dati personali raccolti per l'attività clinica, a fini di ricerca, da parte degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, pubblici e privati, in ragione del carattere strumentale dell'attività di assistenza sanitaria svolta dai predetti istituti rispetto alla ricerca, nell'osservanza di quanto previsto dall'articolo 89 del regolamento”. (87) Consultabile su https://www.biodiritto.org/Biolaw-pedia/Docs/oMS-ethics-ad-Governanceof- artificial-intelligence-for-Health-WHo-Guidance. RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 3/2021 telligenza artificiale per la cura della persona funzioni nell’interesse pubblico e nel rispetto della privacy. Il primo è la protezione dell’autonomia umana: i medici devono mantenere il controllo dei sistemi sanitari e delle decisioni mediche. un altro principio rilevante è la necessità di garantire trasparenza attraverso la pubblicazione di tutte le informazioni sulla progettazione di un sistema di intelligenza artificiale. Le informazioni devono essere facilmente accessibili e stimolare un dibattito sull’uso corretto della tecnologia. Inoltre, devono essere garantite inclusività ed equità. L’oMS spiega che l’intelligenza artificiale per la salute deve essere «progettata per incoraggiare l’uso e l’accesso più equo possibile, indipendentemente da età, sesso, genere, reddito, razza, etnia, orientamento sessuale, abilità o altre caratteristiche protette dai codici dei diritti umani». In tale visione, si sta sviluppando la c.d. Webscience, una nuova materia accademica multidisciplinare, che studia la tecnologia alla base del web, ma anche le relazioni tra uomo e web, delineando gli ecosistemi digitali di internet sulla base dello Human centre,a complex pattern of relationships, involgendo materie come psicologia e sociologia, robotica ed economia. Meredith Broussard, professoressa di Journalism presso la new york university, autrice del libro “artificial Unintelligence”, ha di recente coniato il termine “Technoschauvinism”, ossia il concetto che ciò che è svolto dalla tecnologia rappresenti “il meglio possibile”. occorre, però, chiarire cosa si intenda per “meglio”. Abbiamo visto come l’algoritmo può diventare giudice, può diventare manager, può diventare assicuratore, può diventare operatore di borsa, può diventare medico. occorre allora chiedersi se l’algoritmo sia un semioforo, ossia l’oggetto visibile di un mondo invisibile che assume rilievo in relazione alla sua “funzione di apprendimento continuo”. Ma se ragioniamo sulla derivazione etimologica di robot, dalla lingua ceca “lavoro forzato”, allora viene in rilievo la dinamica servo-padrone della “fenomenologia dello spirito” di hegel. L’algoritmo è divenuto il nuovo padrone dell’uomo: si pensi al caso dei lavoratori della Delivery food (88). (88) Interessante il recente caso in cui è intervenuta la Procura di Milano, che ha ordinato a Deliveroo l’assunzione regolare dei riders. Il tema è molto dibattuto, ed è stata da poco presentata dalla Commissione la proposta di direttiva europea che disciplina il lavoro dei riders come lavoro dipendente. Ciò pone fine al contrasto giurisprudenziale italiano in cui si è dibattuto se applicare o no il Jobs act a questi lavoratori, che secondo il tribunale di Milano (sentenza 10 settembre 2018, n. 1853), andavano considerati collaboratori, mentre secondo la tesi del tribunale di Palermo (sentenza 24 novembre 2020, n. 3570), andrebbero inquadrati nel rapporto di lavoro dipendente. Per una accurata sintesi del contrasto giurisprudenziale si veda F. tARSItAno, “il diritto del lavoro alla prova degli algoritmi: la “tappa” della Procura di Milano nella corsa alla tutela dei riders”, su quotidianogiuridico.it, marzo 2021. Dall’analisi dei dati è emerso che circa 28 milioni di persone in europa lavorano per le piattaforme digitali, da quelle del food delivery a uber. Se è vero che il 90% è inquadrato come autonomo, è anche vero che almeno LeGISLAZIone eD AttuALItà I“riders” sono schiavi di un algoritmo che non rispetta il diritto alla disconnessione e alla non sorveglianza continua della prestazione lavorativa (89). Viene in mente il libro del Professore Marco Revelli “Umano, inumano e postumano” (2020). Ma cosa è l’humanitas? L’humanitas è la capacità di vedere nell’altro tracce di se stesso. tale termine risale a Cicerone, per il quale humanus è l’uomo politicus che ha dignità: recte loqui, honeste vivere. terenzio diceva homo sum e nulla di ciò che è umano mi è estraneo. Humanitas è comunanza consapevole sviluppatasi poi nel cristianesimo, la paideia è applicazione dell’humanitas. oggi si parla di paideia digitale ed appare attualissimo l’invito di Rousseau: “Uomini, siate umani”. Si può parlare oggi di Digital Humanist? La Professoressa Velardi, do 5,5 milioni avrebbero le caratteristiche per essere considerati dipendenti a tutti gli effetti. ecco che l’8 dicembre 2021 l’esecutivo dell’unione europea ha approvato un pacchetto di misure, in cui vi è la proposta di una direttiva, volta ad aumentare le tutele, secondo cui può essere riconosciuto un rapporto di subordinazione qualora siano rispettati almeno due criteri su cinque. Dovrà essere verificato se vi è la determinazione o meno del salario o di un tetto allo stipendio; se vi è vigilanza sul lavoro attraverso strumenti elettronici; se vi sono restrizioni all’orario di lavoro o al periodo di vacanza e al trasferimento a terzi dell’impegno preso; se vi sono regole vincolanti sul lavoro da garantire; o restrizioni alla possibilità di allargare la propria clientela. Se almeno due di queste cinque condizioni sono rispettate, i collaboratori avranno diritto a salario minimo, ferie, malattia, congedi parentali e ogni altra tutela garantita ai dipendenti. Le piattaforme si possono opporre a questo accertamento imposto dalle autorità nazionali, ma su di loro grava l’onere di provare che il lavoratore è autonomo. Il secondo pilastro della proposta riguarda la trasparenza nell’uso degli algoritmi: i “gig worker”, come i sindacati e le autorità, avranno il diritto di essere informati sul funzionamento del sistema che assegna i compiti, i compensi e i bonus. La riforma potrà portare, secondo le stime degli esperti, ad una “riqualificazione” come dipendenti di 4,1 milioni di lavoratori. La proposta deve ancora essere approvata dal Parlamento e dal Consiglio ue e poi i singoli Stati dovranno recepire la direttiva nella legislazione nazionale. Per ora, solamente la Spagna ha adottato una legge secondo cui i riders sono lavoratori dipendenti e così Deliveroo ha lasciato il Paese. tuttavia, se l’azione dei Paesi europei sarà congiunta, è certo che aggirare l’imposizione di maggiori tutele sarà molto difficile. (89) La gig-economy è gestita da piattaforme che non riconoscono i diritti fondamentali ai lavoratori e celano una quantità enorme di contributi previdenziali non pagati. La Cassazione, con la sentenza n. 1663 del 2020, riconosce all’art. 2, comma 1, del D.lgs n. 81/2015 un intento protettivo, rimediale, antielusivo. David Card ha ricevuto quest’anno il premio nobel per l’economia proprio per i suoi studi sul salario minimo, mettendo in evidenza che esso incide non tanto sull’occupazione, ma sulla stessa produttività di un sistema economico. In tal senso, la flexsecurity può rappresentare un rimedio alla frammentarietà dell’occupazione, poiché qui le web corporation hanno “poco lavoro regolamentato”, ma molta tecnologia. è il fenomeno della liberalizzazione del firing e del “working poor”, ossia il fenomeno di coloro che non hanno diritti e che guadagnano meno del 60 per cento del reddito mediano. I livelli occupazionali sono spesso messi in pericolo anche da operazioni economiche che vedono società estere determinate ad acquisire quote di partecipazione in imprese strategiche nazionali. Si pensi al caso di Kkr, società americana che di recente sta cercando di acquisire quote societarie di tim accanto alle quote di Cassa Depositi e Prestiti e la società francese Vivendi. tim ha un ruolo strategico nella realizzazione di una rete unica digitale con l’infrastruttura della banda ultra larga determinante per il processo di digitalizzazione del paese. Proprio per tale motivo, e per garantire i livelli occupazionali, il Governo sta valutando la possibilità di attivare lo strumento del golden power, ossia la possibilità di opporre un veto a tale genere di operazioni per tutelare l’interesse nazionale. L’opera di digitalizzazione ha l’insito pericolo di renderci totalmente dipendenti da società estere come intel, più “robuste” sul piano delle competenze tecnologiche. RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 3/2021 cente di informatica presso l’università La Sapienza, ritiene che una giusta applicazione del concetto di humanitas all’utilizzo degli algoritmi sia rinvenibile nell’ambito della gerotecnologia, la c.d. tecnologia buona applicata nella medicina: sensori ambientali e sensori indossabili (wearable) per monitorare lo stato di salute di persone anziane e disabili. è un esempio della applicazione della tecnologia ispirata ai principi di humanitas e di solidarietà sociale, uso “valoriale” dell’algoritmo, su paradigmi epistemologici nuovi, sulla base della dicotomia kantiana “sein e sollen”, essere e dover essere. Popper nella sua teoria dei tre mondi parlava del mondo 1, ossia del mondo reale, del mondo 2, ossia del mondo psicologico, interiore; il diritto è il mondo 3, filosofia, morale, in cui rileva lo spirito oggettivo hegeliano. oggi nel mondo 3 il giurista deve confrontarsi con l’intelligenza artificiale, andando ben oltre le leggi di Asimov (90). Il campo di applicazione elettivo dell’IA in termini di “utilità umana” è senz’altro nel rapporto medico-paziente. Il rapporto tra algoritmo e medicina vede oggi applicazioni sempre più variegate. ne è un esempio la c.d. diagnostica vocale. Vocalis Health è, ad esempio, una startup israelo-statunitense, che sviluppa sistemi di riconoscimento vocale e che si è posta un obiettivo piuttosto ambizioso: riconoscere le persone malate di Covid-19 dal modo in cui parlano. Il sistema potrebbe semplificare la diagnosi della malattia (che nelle sue fasi iniziali ha sintomi che possono essere confusi con l’influenza o altri problemi respiratori) ed è solo uno degli sviluppi più recenti delle soluzioni per riconoscere automaticamente problemi di salute tramite il tono della voce. Il settore è in piena espansione e potrebbe portare un giorno ad avere assistenti vocali, come Siri o alexa, in grado di rilevare la presenza di particolari malattie nei loro interlocutori. Come racconta nature in un lungo articolo dedicato al tema, qualche tempo fa gli sviluppatori di Vocalis avevano realizzato un’applicazione per smartphone in grado di rilevare affezioni croniche polmonari -come le ostruzioni bronchiali -attraverso l’analisi della voce degli utenti. Partendo da quell’esperienza, hanno realizzato un’app sperimentale, chiedendo a individui risultati positivi al coronavirus di partecipare, registrando la loro voce una (90) I. ASIMoV, “Circolo vizioso”, 1942. Le tre leggi implementate dall’autore nei suoi robot dovevano rispettare la necessità di sicurezza (Prima legge), di servizio (Seconda legge) e di autoconservazione (terza legge) di questi oggetti sofisticati: “1. Un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del suo mancato intervento, un essere umano riceva danno. 2. Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non vadano in contrasto alla Prima Legge. 3. Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché la salvaguardia di essa non contrasti con la Prima o con la Seconda Legge”. LeGISLAZIone eD AttuALItà volta al giorno seguendo le indicazioni indicate su uno schermo (descrivere una fotografia, oppure contare da 50 a 70). Vocalis ha poi utilizzato i propri sistemi di intelligenza artificiale, mettendo a confronto le registrazioni con quelle di chi era invece, risultato negativo al test per il coronavirus. Attraverso processi di apprendimento automatico (“machine learning”), il sistema ha provato a identificare una sorta di impronta vocale della malattia da Covid-19. Grazie a circa 1500 campioni sonori raccolti dai volontari, è stato poi possibile sviluppare uno strumento ora sperimentato in diversi ospedali in giro per il mondo in parallelo con i tradizionali sistemi per le diagnosi. Secondo i promotori dell’iniziativa, lo strumento potrebbe rivelarsi utile per rilevare i casi più probabilmente positivi tra gli individui che mostrano sintomi, anche lievi, al punto da non rendersi conto di essere malati. Ciò consentirebbe di concentrare le attività di test sui probabili infetti indicati dall’applicazione, riducendo tempi e costi per le analisi di laboratorio. Alcuni centri di ricerca hanno sviluppato app per provare a riconoscere l’infezione da Covid-19 dal modo in cui si tossisce, con risultati preliminari valutati con interesse dalla comunità scientifica. Ancor prima dell’inizio della pandemia, i sistemi di diagnostica vocale avevano iniziato a raccogliere importanti investimenti, complice il miglioramento delle intelligenze artificiali e la possibilità di sperimentare su un grande numero di dispositivi, dagli smartphone agli assistenti per la casa. Le soluzioni proposte non riguardano solamente malattie respiratorie, ma anche autismo, problemi cardiovascolari, demenza e depressione. Alcune sono ai primi stadi, altre hanno raggiunto forme più avanzate e iniziano ad essere commercializzate, seppure nell’ambito di programmi sperimentali con pochi pazienti. Il nostro modo di respirare e di parlare coinvolge numerose strutture anatomiche, dai polmoni al setto nasale, passando per la trachea, e le minime variazioni nel funzionamento di alcune di queste parti possono essere identificate da sistemi di analisi piuttosto raffinati, come quelli resi possibili dal machine learning. La grande disponibilità di dati e registrazioni audio di voci umane, in qualsiasi contesto e la potenza raggiunta dai computer rendono possibile l’analisi di quantità gigantesche di dati dai quali si possono trarre specifiche informazioni tramite gli algoritmi. Alcune malattie modificano sensibilmente il nostro modo di parlare, e per questo le prime ricerche avviate anni fa si erano orientate verso il loro studio e la loro analisi al computer. La malattia di Parkinson è una di queste: comporta problemi motori e spasmi muscolari che si riflettono anche nella respirazione e nel modo di articolare le parole. Gli individui malati di Parkinson tendono ad avere una voce più debole e a volte tremante, facilmente distinguibile a orecchio. Ma un algoritmo che attraverso 10 mila campioni di RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 3/2021 voci si è allenato a riconoscere queste caratteristiche riesce ad essere molto più preciso, e potrebbe rivelarsi utile per aiutare nella diagnosi della malattia in una sua fase precoce, quando è ancora molto difficile da identificare. La rivista nature fa l’esempio di una ricerca pubblicata nel 2012 e condotta presso l’università di Birmingham nel Regno unito. I suoi autori si chiesero se fosse possibile aiutare i medici a compiere diagnosi attraverso l’analisi della voce dei loro pazienti. utilizzarono le registrazioni di 43 pazienti, 33 dei quali soffrivano di Parkinson, ai quali era stato richiesto di pronunciare a lungo la vocale “A”. utilizzarono poi algoritmi di analisi del parlato, identificando 10 indicatori tipicamente ricorrenti nelle voci dei pazienti. utilizzandoli, il sistema fu in grado di distinguere la voce di un individuo sano da uno malato con una precisazione del 99 per cento. I ricercatori, in seguito, hanno rilevato alcune caratteristiche della voce che aiutano a comprendere il livello di gravità dei sintomi del Parkinson. Il loro sistema è ancora sperimentale, ma potrebbe essere impiegato in numerosi ambiti, per esempio per monitorare più facilmente gli individui a rischio di sviluppare la malattia, oppure per offrire servizi di diagnosi preliminare, in attesa di avviare un percorso tradizionale di visita da un neurologo. Le malattie neurodegenerative sono un campo dove le tecnologie di analisi vocale potrebbero offrire importanti opportunità. In Canada, per esempio, un gruppo di ricercatori ha utilizzato i campioni di voce di 250 individui per identificare tratti tipici nel modo di parlare di chi potrebbe avere l’Alzheimer. La ricerca ha rilevato come le persone che hanno poi ricevuto una diagnosi della malattia tendessero a utilizzare parole più corte, un maggior numero di pronomi rispetto ai sostantivi e ripetizioni nelle stesse frasi. Isolati 35 marcatori vocali, il sistema è stato in grado di riconoscere individui con l’Alzheimer con una precisione dell’82 per cento. In successive analisi, il sistema è stato poi perfezionato, raggiungendo un’accuratezza del 92 per cento. Anche in questo caso, una soluzione di questo tipo potrebbe essere impiegata per compiere diagnosi precoci per una malattia difficile da identificare nei suoi primi stadi. Altri sistemi sono stati sperimentati in individui più giovani, con problemi di sviluppo neurologico. una ricerca svolta tre anni fa in Germania, su un numero ristretto di neonati, ha portato allo sviluppo di un algoritmo per predire casi di autismo. nella fase sperimentale, il sistema classificò correttamente l’80 per cento dei casi di bambini con autismo. Con una soluzione analoga, è stata sviluppata una soluzione di analisi per rilevare il disturbo da deficit di attenzione/iperattività (ADhD). un’altra ricerca negli Stati uniti si è, invece, dedicata all’analisi della voce degli individui che soffrono di disturbo da stress post-traumatico, una condizione psicologica che si sviluppa a causa di un evento traumatico o violento di grande rilevanza per il soggetto (riguarda ad esempio, molti soldati al LeGISLAZIone eD AttuALItà loro ritorno dal fronte). Dall’analisi delle registrazioni di 129 reduci di guerra, sono stati estratti 18 indicatori, quasi tutti legati a un modo di parlare lento e monotono, che hanno poi permesso di identificare quali ex soldati avessero problemi psicologici con una precisione del 90 per cento. Gli studi condotti finora hanno riguardato un numero ristretto di individui, e per questo molti osservatori sono scettici sull’efficacia dei sistemi, considerato che gli esiti degli esperimenti sono difficili da riprodurre. Per superare queste limitazioni, alcune aziende hanno avviato programmi per raccogliere grandi quantità di registrazioni, o per facilitare la loro raccolta attraverso iniziative online. La società statunitense Sonde Health, per esempio, gestisce SurveyLex, una piattaforma online, che permette ai ricercatori di creare facilmente campagne per la raccolta di registrazioni vocali da parte di volontari. L’idea è di poter catalogare decine di migliaia di voci, in modo da affinare gli algoritmi e le capacità di riconoscimento. La stessa azienda ha collaborato lo scorso anno ad una ricerca per valutare quanto influisca la qualità delle registrazioni sulla capacità dei sistemi di rilevare automaticamente le malattie. Con tracce vocali registrate tramite microfoni ad alta fedeltà in laboratorio, i sistemi hanno riconosciuto i volontari affetti da depressione con una precisazione del 94 per cento, mentre il livello di accuratezza è sceso al 75 per cento in un esperimento condotto utilizzando registrazioni effettuate con gli smartphone, in ambienti diversi dai laboratori e, quindi, con maggiore rumore di fondo. L’impiego di una maggiore quantità di campioni per istruire le intelligenze artificiali dovrebbe contribuire a rendere meno rilevante il problema, ma pone, comunque, ulteriori domande sull’utilità di queste soluzioni. escluse alcune startup più agguerrite di altre nel modo in cui comunicano i loro risultati, per ora nessuno sviluppatore o ricercatore serio propone di sostituire le conoscenze e le capacità diagnostiche di un medico con un sistema per l’analisi della propria voce. L’idea è di utilizzare questi sistemi come una risorsa aggiuntiva per fare le diagnosi, inserendoli, quindi, tra gli strumenti di cui dispongono i medici per svolgere la propria professione. Seppure non sia ancora molto evoluta, questa tecnologia pone, comunque, non pochi problemi etici e legati alla tutela della privacy, soprattutto in un settore delicato come quello della salute. nulla impedirebbe, un domani, di utilizzare un sistema di diagnostica vocale per scoprire dalla registrazione della voce di qualcuno se sia malato o meno. Informazioni di questo tipo, raccolte senza esplicito consenso, potrebbero essere utilizzate da un’azienda per decidere se assumere qualcuno, oppure da una compagnia di assicurazione per concedere o meno una polizza sulla vita. una tecnologia non è di per sé cattiva: dipende dall’uso che se ne fa e da come si decide di normarne gli impieghi. nel caso della diagnostica vocale, RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 3/2021 c’è ancora tempo prima di avere soluzioni pratiche affidabili a sufficienza, ma secondo gli esperti questo non dovrebbe distogliere dalla necessità di iniziare a parlarne, e soprattutto di valutare come metterla in pratica per trarne benefici, riducendo al minimo i rischi. L’utilizzo dell’intelligenza artificiale non si limita al campo della medicina, ma può generare, in tutti i campi, ipotesi a cui gli umani non avevano mai pensato (91). Facciamo qualche esempio recente. Stiamo vedendo una diffusione rapida dei veicoli elettrici (92), ma c’è tuttavia un problema anche nella transizione ecologica: le case automobilistiche stanno esaurendo i materiali per fabbricare le batterie. Il nichel, infatti, potrebbe causare carenze di approvvigionamento già alla fine di quest’anno. Così per le terre rare, il litio, il coltan, i semiconduttori. Cosa fare? L’intelligenza artificiale può dare una risposta (93). Affidandosi all’IA, gli scienziati dell’università di Liverpool in Inghilterra hanno fatto esaminare 300 sostanze chimiche a un algoritmo; quest’ultimo è riuscito a trovare quattro nuovi materiali che potrebbero aiutare gli (91) Si pensi che, di recente, all’I.A. è stato attribuito addirittura un brevetto. Si tratta di un “semplice” contenitore di bevande, ma quel che rileva è che è la prima volta che si riconosce un’invenzione ad una macchina e che ad essa vengono riconosciuti diritti legali. Vedi e. BuCCI, “anche all’intelligenza artificiale può essere attribuito un brevetto”, 2021, su https://www.ilfoglio.it/scienza/2021/08/05/news/ancheall- intelligenza-artificiale-puo-essere-attribuito-un-brevetto-2752258/. Si pensi, ancora, al nuovo rapporto tra intelligenza artificiale e arte: la national Gallery ha recentemente comunicato che un sistema di I.A., paragonando i dettagli di centoquarantotto quadri sicuramente attribuibili al rubens e confrontandoli con il dipinto “Sansone e Dalila” attribuito al pittore, è riuscito a stabilire che, addirittura al 91%, il quadro non è autentico. (92) L’I.A. è arrivata nei semafori di Roma ed è iniziato l’iter che permetterà a Google di iniziare la sperimentazione sulle strade della Capitale, per abbattere i tempi di attesa nel traffico (circa 254 ore annue) e ridurre i consumi di benzina e le emissioni ambientali degli automobilisti. Vedi l’articolo su https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/12/09/roma-lintelligenza-artificiale-per-i-semaforisperimentazione- del-comune-con-google-per-ridurre-emissioni-e-tempi-dattesa-neltraffico/ 6420072/. (93) un bell’esempio di applicazione dell’I.A. è quello che proviene dalla recente invenzione dei c.d. Xenobot, creati da una rana e da un’intelligenza artificiale, capaci di muoversi nello spazio e persino di riprodursi. Sono, infatti, dei robot viventi, organismi multicellulari artificiali e programmati per svolgere funzioni diverse da quelle naturali: il loro studio è stato condotto dalla Harvard University, l’università del Vermond e la Tuft University, ed è pubblicato sulla rivista dell’Accademia Americana delle Scienze. è un bellissimo esempio di congiunzione tra biologia e I.A. che potrebbe avere un’applicazione pratica come pulire gli oceani. un altro esempio di applicazione pratica ed utile della robotica è quello che ci viene dai robot umanoidi ideati da Daniele Pucci, Direttore del Laboratorio d’Intelligenza Artificiale e Meccanica dell’Istituto Italiano di tecnologia di Genova, che ha introdotto un jetpack sul retro di un robot noto come ironCub, pensato appositamente per il volo, in grado di intervenire in disastri ambientali e superare gli ostacoli che inevitabilmente si pongono agli umani nelle operazioni di soccorso estreme. Pucci ha dichiarato: «i robot Umanoidi aerei uniscono capacità come la manipolazione aerea e la robotica umanoide. in questo modo, essi risolvono i problemi di locomozione terrestre dei robot aerei e, al contempo, estendono le capacità di locomozione dei robot umanoidi anche al movimento in aria. i robot aerei Umanoidi possono camminare, volare, trasportare oggetti e manipolarli, offrendo soluzioni energeticamente efficienti al trasporto di oggetti e alla loro manipolazione». LeGISLAZIone eD AttuALItà esperti nella creazione di nuove batterie per i veicoli elettrici in futuro (proprio per questo motivo, secondo un ex dirigente Google, si sta creando Dio, espressione forte ed inquietante) (94). renato renner, fisico dell’Istituto di fisica teorica di Zurigo, ha dichiarato che spera, un giorno, di utilizzare l’apprendimento automatico per sviluppare una teoria unificata del funzionamento dell’universo. una domanda allora sorge spontanea: l’IA, in futuro, potrebbe hackerare il nostro cervello? Il professore israeliano Yuval noah Harari è autore di alcuni grandi bestsellers come “Sapiens”, “Homo Deus”o “21 lezioni per il XXi”. I suoi libri hanno venduto 35 milioni di copie in 65 lingue, consacrando harari nel novero dei divulgatori scientifici di fama mondiale. L’autore, in passato, ha espresso molta preoccupazione per l’intelligenza artificiale e la bioingegneria, sostenendo la necessità di una previdente e sensata regolamentazione. Secondo ha- rari, senza la fissazione di precisi limiti normativi, i cervelli umani potrebbero essere violati dalla IA da loro stessi creati. “Quello che abbiamo visto finora sono società e governi che raccolgono dati su dove andiamo, chi incontriamo e quali film guardiamo. La fase successiva è la sorveglianza che ci va sotto la pelle” afferma harari. “nella guerra fredda c’era la cortina di ferro, ora abbiamo la cortina di silicio. il mondo è sempre più diviso tra Stati Uniti e Cina, i tuoi dati vanno in California o vanno a Shenzhen?”. Secondo tale scrittore, oggi grandi compagnie come netflix e Amazon ci dicono cosa guardare e cosa comprare, mentre tra 10, 20 o 30 anni “tali algoritmi potrebbero anche dirti cosa studiare all’università, dove lavorare, chi sposare e anche per chi votare”. Cosa fare per mitigare tale rischio? Si deve iniziare a regolamentare l’IA a livello globale (a livello nazionale, secondo harari, non sarebbe sufficiente). ovviamente harari sostiene anche che, nelle mani giuste, l’IA potrebbe essere molto utile: secondo l’esperto, infatti, i nostri dati potrebbero essere utilizzati per sanare le crepe nei nostri sistemi sanitari, infrastrutturali e di governo. “Una regola chiave è che se ottieni i miei dati, questi dovrebbero essere (94) è interessante l’articolo di M. ADInoLFI, “L’intelligenza artificiale che Platone non si aspettava. Vinceranno gli algoritmi?”, 2021, dove l’autore, richiamando un’immagine del filosofo Platone che «rischia di finire in soffitta», “lamenta” la perdita di centralità dell’uomo, che con l’avvento dell’I.A., «non è più l’unico e il solo essere a detenere la conoscenza, e a farla funzionare». In passato, era l’uomo a detenere «la chiave dei significati, è l’uomo che possiede la mente (o addirittura un’anima), è solo l’uomo che ha intelligenza di ciò che è scritto». Invece ora ci sono le macchine, che «forniscono prestazioni superiori all’uomo in una quantità di situazioni in cui noi metteremmo il pensiero, mentre loro si limitano (si fa per dire) a macinare dati. Miliardi di dati» e le cui capacità di calcolo «superano di gran lunga qualunque capacità di controllo da parte del “padre”, cioè dell’uomo». V. https://www.ilfoglio. it/tecnologia/2021/11/13/news/l-intelligenza-artificiale-che-platone-non-si-aspettavavinceranno- gli-algoritmi--3356675/. RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 3/2021 usati per aiutarmi e non per manipolarmi. Un’altra regola chiave è che ogni volta che aumenti la sorveglianza degli individui, dovresti simultaneamente aumentare la sorveglianza della società e dei governi e le persone al vertice”. Insomma, secondo harari, l’IA deve avere al suo interno dei pesi e contrappesi che le consentano di evolvere lungo le coordinate del rispetto della dignità della persona umana e del diritto all’autodeterminazione. Il controllore deve essere a sua volta controllato (95). Se l’intrattenimento basato sulla fantascienza ci ha insegnato qualcosa, è che se si sviluppasse un’intelligenza artificiale troppo avanzata non saremmo più in grado di controllarla. ebbene, una recente ricerca accredita questo distopico scenario (96). Il problema risiederebbe nella comprensione, da parte dell’uomo, della super-intelligenza artificiale, la quale risulterebbe essere imprevedibile per la stessa natura dei suoi schemi di ragionamento. Regole di programmazione come “non danneggiare gli esseri umani”, non potrebbero essere applicate, dato che il sistema funzionerebbe ad un livello superiore rispetto a quello codificabile dai programmatori umani. A tal proposito, l’I.A. super intelligente, in grado di imparare nuove strategie autonomamente, potrebbe aggirare i vari algoritmi di contenimento concepiti allo scopo di arrestare il sistema, attraverso la potenziale assimilazione di tutti i programmi per computer direttamente nella sua memoria. In questo senso, Lyad rahwan, Direttore del Center for Humans and Ma (95) Harari non è l’unico ad essere scettico nei confronti dell’I.A.; anche Stephen Hawking ha criticato l’Intelligenza Artificiale, ritenendola il male assoluto. C’è anche chi, come Mo Gadwat, ci mette in guardia dal voler “creare Dio” attraverso sistemi di I.A. (96) non siamo ancora arrivati a ciò, eppure non sono pochi i casi in cui l’I.A. è andata troppo oltre… Per esempio, è stata utilizzata per prevedere e prevenire la criminalità dal viso delle persone: dall’università di Harrisburg è arrivata la notizia di un software che predice se qualcuno è un criminale, scovando i reati con un tasso di precisione di oltre l’80%, configurando un possibile ausilio per le forze dell’ordine. La reazione tra gli esperti non è stata (per fortuna) positiva e l’università, preso atto della situazione, ha fatto un passo indietro. oppure si ricorderà di quella volta in cui, nel 2016, Microsoft ha rilasciato la chatbot “Tay”, progettata per imparare dall’interazione con le persone sul social network Twitter. L’esito non è stato positivo e a causa dei messaggi provocatori e razzisti degli utenti che sono entrati in contatto con la chatbot, l’I.A. è arrivata a mettere in discussione pubblicamente l’esistenza dell’olocausto…fortunatamente Microsoft ha sospeso l’account poche ore dopo la sua presentazione. Per non parlare dell’utilizzo diffuso della tecnologia Deepfake nella vita quotidiana da parte di quei soggetti che, grazie all’app Deepnude, ottenevano l’immagine di nudo finto di una donna… l’app in questione è stata fortunatamente rimossa, anche se ne sono nate altre al suo posto, che attualmente girano sul canale Telegram, poco controllato dalle autorità. L’assenza di protezioni legali per le persone vittime di contenuti deepfake non è una novità... Si ricorderà anche quel video virale che ha visto protagonisti gli assistenti intelligenti di Google nest, che se da un lato possono darci un aiuto nella vita di tutti i giorni, dall’altro rischiano di andare troppo oltre, quando vengono utilizzati in maniera scorretta: nel caso che ha fatto scalpore i dispositivi Vladimir ed estragon, mentre venivano ripresi dall’account Twitch seebotschat, hanno cominciato ad insultarsi, il che non è molto rassicurante, se consideriamo che le tecnologie I.A. dovrebbero servire per migliorare il mondo, non farlo rimanere com’è o peggiorarlo. V. https://www.futuroprossimo.it/2021/12/quando-ai-va-oltre/. LeGISLAZIone eD AttuALItà chines, ha dichiarato: “Sulla base dei nostri calcoli il problema del contenimento è incomputabile, ovvero nessun algoritmo può trovare una soluzione per determinare se un’ia potrebbe produrre danni al mondo. Potremmo anche non accorgerci del momento in cui le macchine super intelligenti emergeranno, perché stabilire il grado di intelligenza dei sistemi rientrerebbe nello stesso ambito”. Altresì, una possibile soluzione per salvaguardare il genere umano consisterebbe nel limitare le capacità della super-intelligenza informatica, ad esempio, escludendola da parti della rete internet. tuttavia, una ricerca pubblicata sul Journal of artificial intelligence research, rifiuta tale proposta, sostenendo che tale metodo limiterebbe la portata dell’intelligenza artificiale: “Se non la useremo per risolvere problemi oltre la portata degli umani, perché crearla?”. Di recente, vi è stata una convergenza di intenti globali con l’approvazione della Raccomandazione uneSCo del 25 novembre 2021. Si tratta di un testo storico in cui vengono tracciate le coordinate mondiali sull’etica del- l’Intelligenza Artificiale. nel preambolo alla “raccomandazione” di 28 pagine ratificata dai 193 Stati Membri dell’unesco (tra cui anche la Cina) si legge questa dichiarazione del Direttore Generale, audrey azoulay:«Le tecnologie dell’ia possono rendere grandi servizi all’umanità e tutti i paesi possono beneficiarne, ma sollevano anche preoccupazioni etiche di fondo». Il testo della raccomandazione definisce i valori e i principi comuni che concorreranno alla costruzione dell’infrastruttura necessaria per garantire il sano sviluppo dell’IA. Se è vero, infatti, che «l’intelligenza artificiale è pervasiva e consente molte delle nostre routine quotidiane: prenotazione di voli, guida di auto senza conducente e personalizzazione dei nostri feed di notizie mattutine…supportando anche il processo decisionale dei governi e del settore privato», è anche vero che in questa tecnologia sempre più spesso «vediamo un aumento dei pregiudizi di genere ed etnici, minacce significative alla privacy, alla dignità e all’agenzia, pericoli della sorveglianza di massa e un maggiore uso di tecnologie di intelligenza artificiale inaffidabili nelle forze dell’ordine, solo per citarne alcuni». Dunque, poiché i sistemi di IA e gli algoritmi possono incidere anche negativamente sui «diritti dell’uomo e le libertà fondamentali, l’eguaglianza dei generi, la democrazia», il testo è essenziale per la protezione dei dati, per vietare il punteggio sociale e la sorveglianza di massa, per aiutare a monitorare la protezione dell’ambiente. La “raccomandazione” è il frutto di un lavoro iniziato nel 2018 e fondato sui seguenti valori: «rispetto, protezione e promozione dei diritti dell’Uomo, diversità ed inclusione, promozione delle società pacifiche e dell’ambiente». Si deve tenere presente, inoltre, che l’Italia ha adottato, con l’approva RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 3/2021 zione in Consiglio dei ministri, il Programma Strategico per l’Intelligenza Artificiale (IA) 2022-2024, frutto del lavoro congiunto del Ministero dell’università e della Ricerca, del Ministero dello Sviluppo economico e del Ministro per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale (97). (97) Questo il comunicato stampa del 24 novembre 2021: https://assets.innovazione.gov.it/1637779156-csprogrammastrategico-ia.pdf. Il documento evidenzia i ritardi dell’Italia per quanto concerne l’Intelligenza Artificiale. Il Piano strategico appena adottato è fondamentale perché servirà per utilizzare i fondi del Pnrr per la digitalizzazione. I dati del Politecnico di Milano ci dicono che: “il 53% delle imprese medio-grandi italiane dichiaravano di aver avviato almeno un progetto di ai. i settori che mostrano la maggiore diffusione di progetti pienamente operativi sono il manifatturiero (22% del totale dei progetti iniziati), bancario-finanziario (16%) e le assicurazioni (10%)”. Purtroppo, l’Italia attualmente si posiziona al di sotto della media europea in tema di I.A. e digitalizzazione. I dati sulla spesa in materia sono scoraggianti: si spende in ricerca l’1,45% del pil. I ricercatori sull’I.A. (739) sono meno di un terzo di quelli di Germania (2.660), Francia (2.755) e Regno unito (2.974), anche se la situazione migliora nella produzione scientifica. A livello di domande brevettuali, l’Italia è molto indietro con 32.001 domande rispetto alle 178.184 tedesche, 67.294 francesi e le 54.762 inglesi. nel privato, gli investimenti aziendali in I.A. ammontano allo 0,84% del pil del 2018. Con i fondi del Pnrr, l’Italia potrebbe rimettersi al passo e sfruttare al meglio il suo potenziale, (ri)chiamando i talenti dall’estero e coltivandone di nuovi. Per facilitare le sperimentazioni, è prevista la possibilità di usare due elementi, che sono i c.d. sandbox (letteralmente “recinti di sabbia”), spazi in cui sperimentare l’IA e la formazione, con la creazione di un ecosistema robusto tra università, centri di ricerca, impresa con partenariato pubblico-privato. Con una adozione più diffusa di sistemi di I.A., i dati del World economic forum parlano di 97 milioni di posti di lavoro creati a fronte di 85 milioni persi, e non tutti quelli persi saranno riconvertiti nei nuovi. V. https://www.wired.it/article/intelligenza-artificiale- strategia-italia/. ContRibutididottRina Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica. Caratteri, procedimento e natura giuridica Michele Gerardo* SommARIo: 1. I ricorsi amministrativi - 2. I ricorsi amministrativi ordinari - 3. Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica -4. Attivazione del ricorso straordinario ed istruttoria -5. Parere sul ricorso straordinario -6. Decisione del ricorso straordinario -7. Impugnazione della decisione del ricorso straordinario -8. Natura giuridica del ricorso straordinario -9. (segue) Natura giuridica del ricorso straordinario. Il ricorso straordinario come una forma di arbitrato avente ad oggetto interessi legittimi. 1. I ricorsi amministrativi. i ricorsi amministrativi hanno una storia antica: previsti dall’art. 3 l. 20 marzo 1865, n. 2248, All. E (1), sono attualmente disciplinati dal d.P.r. 24 novembre 1971, n. 1199 (2). Essi consentono al soggetto che si reputi leso da un atto amministrativo di proporre una impugnativa ad una pubblica autorità non giurisdizionale al (*) Avvocato dello Stato. (1) “Gli affari non compresi nell'articolo precedente saranno attribuiti alle autorità amministrative, le quali, ammesse le deduzioni e le osservazioni in iscritto delle parti interessate, provvederanno con decreti motivati, previo parere dei consigli amministrativi che pei diversi casi siano dalla legge stabiliti. Contro tali decreti, che saranno scritti in calce del parere egualmente motivato, è ammesso il ricorso in via gerarchica in conformità delle leggi amministrative”. (2) Per una esposizione generale: A.M. SAndulli, voce Ricorso amministrativo, in Noviss. Digesto, vol. XV, uTET, 1968, pp. 975-987; V. CAiAniEllo, voce Ricorsi amministrativi, in Noviss. Digesto. Appendice, vol. Vi, uTET, 1986, pp. 748-762; l. Migliorini, voce Ricorsi amministrativi, in Enc. Dir., Xl, giuffré, 1989, pp. 684-704; A. CAlEgAri, voce Ricorsi amministrativi (Dir. Amm.), in Il diritto. Enciclopedia giuridica del Sole 24 ore, vol. Xiii, Corriere della sera Il Sole 24 ore, 2007, pp. 493-505; F.g. SCoCA (a cura di), Giustizia amministrativa, Viii edizione, giappichelli, 2020, pp. 661-704. rASSEgnA AVVoCATurA dEllo STATo -n. 3/2021 fine di conseguire giustizia e quindi la caducazione dell’atto censurato. i ricorsi possono essere distinti secondo quattro criteri: -ordinari e straordinari a seconda che abbiano ad oggetto un atto amministrativo non definitivo (3) oppure un atto amministrativo definitivo (4). ricorsi ordinari sono il ricorso gerarchico, il ricorso in opposizione e il ricorso gerarchico improprio. unica tipologia di ricorso straordinario è il ricorso straordinario al Presidente della repubblica. il distinguo tra le due tipologie di ricorso è, quindi, la definitività o meno dell’atto. Atto definitivo è quello che esprime la volontà ultima dell’Amm.ne. la detta volontà sussiste allorché la legge qualifica espressamente come definitivo l’atto (definitività esplicita) oppure allorché l’atto non è utilmente contestabile dinanzi al superiore gerarchico (definitività implicita: perché non si può proporre il ricorso oppure perché si poteva proporre il ricorso, ma è decorso il termine decadenziale per impugnare). la regola è che laddove vi sia un rapporto gerarchico tra organi l’atto dell’organo inferiore è di regola impugnabile all’organo superiore. nelle Amm.ni statali, anche ad ordinamento autonomo, gli atti e provvedimenti dei dirigenti di uffici dirigenziali non generali non qualificati definitivi dalla legge sono impugnabili con ricorso gerarchico dinanzi al dirigente del pertinente ufficio dirigenziale generale (art. 16, comma 1, lett. i, d.l.vo 30 marzo 2001, n. 165). nella evenienza che la filiera gerarchica abbia più di due organi il ricorso è ammesso in unica istanza all’organo immediatamente sovraordinato (così art. 1, comma 1, d.P.r. n. 1199/1971), non essendo ammesso un ulteriore grado di impugnativa. Attesa la distinzione tra organi politici ed organi gestori, non vi è un rapporto di gerarchia tra Ministro e dirigenti statali, sicché “Gli atti e i provvedimenti adottati dai dirigenti preposti al vertice dell'amministrazione e dai dirigenti di uffici dirigenziali generali di cui al presente articolo non sono suscettibili di ricorso gerarchico” (art. 16, comma 4, d.l.vo n. 165/2001). un rapporto di gerarchia, di norma, non è configurabile tra gli organi di una regione o un ente locale (Comune e Provincia). Corollario di tale regola è che fuori dal rapporto gerarchico tra organi non vi è lo strumento in esame. Sicché sono definitivi (in via implicita): gli atti adottati dai dirigenti apicali; gli atti adottati da organi collegiali (la gerarchia sussiste tra organi individuali); gli atti adottati dagli organi politici; gli atti adottati da enti. la legge, in determinati casi, ammette la possibilità di proporre ricorsi determinando i casi, i limiti e le modalità -anche al di fuori del rapporto gerarchico come innanzi delineato: questo è il c.d. ricorso gerarchico improprio. (3) Art. 1, comma 1, d.P.r. n. 1199/1971 per il ricorso gerarchico; art. 1, comma 2, d.P.r. n. 1199/1971 per il ricorso gerarchico improprio; art. 7, comma 2, d.P.r. n. 1199/1971 per il ricorso in opposizione. (4) Art. 8, comma 1, d.P.r. n. 1199/1971 per il ricorso straordinario al Presidente della repubblica. ConTribuTi di doTTrinA oppure consente di proporre ricorso allo stesso organo che ha adottato l’atto: questo è il ricorso in opposizione; -generali ed eccezionali a seconda che possono essere sempre proposti oppure possono essere proposti solo quando una norma speciale lo consenta. ricorsi generali sono il ricorso gerarchico e il ricorso al Capo dello stato, ricorsi eccezionali sono il ricorso in opposizione e il ricorso gerarchico improprio; -impugnatori e non impugnatori a seconda che l’oggetto del ricorso sia l’atto oppure il rapporto inter partes. i ricorsi gerarchici e quelli in opposizione sono impugnatori. i ricorsi al Presidente della repubblica ed i ricorsi gerarchici impropri possono essere nei casi previsti dalla legge -anche non impugnatori (ad esempio ove vengano in rilievo diritti soggettivi); -di legittimità e anche di merito (detti anche: eliminatori e rinnovatori) a seconda che si possa censurare la sola illegittimità (nullità o annullabilità) oppure anche il merito delle scelte amministrative. il ricorso gerarchico (5) e il ricorso in opposizione (6) consentono di censurare sia i vizi di legittimità che quelli di merito. il ricorso al Presidente della repubblica consente di censurare solo i vizi di legittimità (7). Per il ricorso gerarchico improprio il tipo di censura dipende dalla previsione legislativa regolativa dello stesso; ove nulla sia previsto la regola è che si può censurare tutto, venendo in rilievo un rimedio nell’ambito dell’esercizio della funzione amministrativa. 2. I ricorsi amministrativi ordinari. i ricorsi amministrativi ordinari illo tempore costituivano condizioni di procedibilità della domanda al giudice amministrativo, e quindi strumenti preventivi necessari. ora, con la riforma del 1971, sono strumenti preventivi facoltativi previsti in funzione della possibile definizione della lite nella sede amministrativa di una vertenza coinvolgente un atto amministrativo, e quindi, interessi legittimi degli amministrati. Attesa la evidenziata facoltatività, l’atto censurabile con il ricorso amministrativo è direttamente impugnabile dinanzi al giudice amministrativo. A fronte dell’atto amministrativo, quindi, l’interessato può -a sua scelta -proporre sia il ricorso amministrativo che quello giurisdizionale. opera sempre il principio dispositivo: la legittimazione ad agire non spetta a quisque de populo, ma a chi faccia valere una situazione soggettiva. (5) Previsione espressa dell’art. 1, comma 1, d.P.r. n.1199/1971 per il ricorso gerarchico. (6) l’art. 7, comma 2, d.P.r. n. 1199/1971, con riguardo al ricorso in opposizione richiama le disposizioni contenute nel capo i, ossia gli artt.1-6. (7) Previsione espressa dell’art. 8, comma 1, d.P.r. n. 1199/1971. rASSEgnA AVVoCATurA dEllo STATo -n. 3/2021 l’interessato ove proponga -solo il ricorso amministrativo, l’atto amministrativo impugnato -non impugnato nei termini decadenziali dinanzi al giudice amministrativo -può essere ancora impugnato dinanzi al giudice amministrativo allorché maturi il silenzio-rigetto ex art. 6 d.P.r. n. 1199/1971. -solo il ricorso giurisdizionale, l’atto amministrativo impugnato -non impugnato nei termini decadenziali dinanzi all’autorità amministrativa -non può essere impugnato dinanzi all’autorità amministrativa. un’eventuale impugnativa sarebbe inammissibile per tardività, oltre che per la regola della prevalenza del ricorso giurisdizionale; -sia il ricorso amministrativo che quello giurisdizionale -nei rispettivi termini decadenziali -il primo diviene improcedibile o inammissibile (a seconda che sia proposto prima o dopo quello giurisdizionale) per la prevalenza del ricorso giurisdizionale, non essendo ammissibili due rimedi giustiziali avverso lo stesso atto. Punti di forza dei ricorsi amministrativi ordinari sono: l’assenza di spese legali, non essendo previsto il pagamento del contributo unificato delle spese di lite; la possibilità di azione diretta da parte dell’interessato, non essendo obbligatorio il patrocinio legale; la celerità del procedimento; la possibilità almeno di norma -di sindacare anche il merito del provvedimento; la fidelizzazione degli amministrati alla P.A. Punti di debolezza sono: l’assenza di “vera” terzietà, ma soprattutto l’assenza di specifica professionalità del decidente; l’atteggiamento di chiusura dell’Amm.ne, in certe Amm.ni rasentante l’ottusità nel difendere, a prescindere, il proprio operato. Questi ricorsi amministrativi sono poco utilizzati nella pratica, sintomo che gli aspetti negativi prevalgono su quelli positivi. Con il ricorso ordinario si attua una sorta di giustizia nell’Amm.ne. il ricorso apre un procedimento che è amministrativo -e non giurisdizionale -con il quale l’interessato sottopone all’Amm.ne, di norma la stessa che ha adottato l’atto oppure il superiore gerarchico, l’esame di specifiche critiche all’atto amministrativo. la disciplina, come detto, è contenuta nel d.P.r. n. 1199/1971. Venendo in rilievo un procedimento amministrativo, ancorché in funzione giustiziale, in caso di lacune si applica la disciplina generale del procedimento contenuta nella l. 7 agosto 1990, n. 241 in quanto compatibile con il d.P.r. n. 1199/1971. Sicché si applica la disciplina generale relativa al responsabile del procedimento, alla comunicazione dell’avvio del procedimento, all’accesso ai documenti; non anche quella relativa al preavviso di rigetto, incompatibile con i tempi procedimentali fissati nel d.P.r. l’Amm.ne -nel rispetto del principio di legalità ex art. 97, comma 2, Cost. -è tenuta ad esaminare le doglianze e, ove queste risultassero fondate, è tenuta ad annullare l’atto impugnato. Viene in rilievo un annullamento c.d. giustiziale, che è (rectius: dovrebbe ConTribuTi di doTTrinA essere) un atto dovuto. l’Amm.ne non può prendere in considerazione ulteriori interessi pubblici che militerebbero per la conservazione dell’atto nonostante l’accertamento del vizio. Questo annullamento è, quindi, diverso dall’annullamento in autotutela ex art. 21 novies l. n. 241/1990 e potrebbe anche -sussistendo ragioni di pubblico interesse -non sfociare nell’annullamento, nonostante il vizio. E l’annullamento giustiziale e l’annullamento in autotutela costituiscono provvedimenti amministrativi adottati all’esito di un procedimento amministrativo. diversa tuttavia è la funzione: definire una controversia nell’ambito dell’amministrazione il primo, curare sempre lo specifico interesse pubblico in attribuzione il secondo. la funzione giustiziale del conseguente provvedimento decisorio comporta che con la decisione l’Amm.ne esaurisce il proprio potere, con inammissibilità di successiva revoca o annullamento. la natura provvedimentale della decisione implica che, nel caso di accoglimento del ricorso ed annullamento dell’atto impugnato, l’Amm.ne deve adottare gli atti conseguenziali. l’eventuale inadempimento, rectius: condotta non coerente con la decisione, non può essere censurato con il giudizio di ottemperanza, atteso che la decisione del ricorso amministrativo non è un provvedimento giurisdizionale. la condotta conseguenziale della P.A. non coerente con la decisione può essere impugnata dinanzi al giudice amministrativo per eccesso di potere. 3. Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica. il ricorso al Presidente della repubblica (8) è un ricorso -straordinario, generale e di legittimità, come risulta dall’art. 8, comma 1, d.P.r. n. 1199/1971 secondo cui: “Contro gli atti amministrativi definitivi è ammesso ricorso straordinario al Presidente della Repubblica per motivi di legittimità da parte di chi vi abbia interesse”; -impugnatorio o non impugnatorio, a seconda che l’oggetto del ricorso sia l’atto oppure il rapporto. la non impugnatorietà del ricorso -formalmente non contemplata nella disposizione appena citata -si desume dalla circostanza che lo stesso, essendo attivabile per tutti gli ambiti della giurisdizione amministrativa ordinaria (plesso T.A.r. -Consiglio di Stato) e quindi anche quella esclusiva, può coinvolgere anche diritti soggettivi nell’ambito di un rapporto. A tale ricorso corrisponde, nella regione Sicilia, nei confronti degli atti regionali, il ricorso straordinario al Presidente della regione, ai sensi dell’art. 23, comma 4, dello Statuto della regione Siciliana secondo cui “I ricorsi amministrativi, avanzati in linea straordinaria contro atti amministrativi regio (8) Sul quale, ex plurimis: g. ChEVAllArd, voce Ricorso straordinario al Capo dello Stato, in Noviss. Digesto, vol. XV, uTET, 1968, pp. 1040-1050; F.g. SCoCA (a cura di), Giustizia amministrativa, cit., pp. 683-704. rASSEgnA AVVoCATurA dEllo STATo -n. 3/2021 nali, saranno decisi dal Presidente della Regione, sentite le Sezioni regionali del Consiglio di Stato”. il procedimento è delineato nel Capo iii (artt. 8-15) d.P.r. n. 1199/1971. nel 2009-2010 l’iter ha avuto incisive modifiche legislative che, anche alla luce dell’interpretazione giurisprudenziale, ne hanno modificato la natura giuridica (9). É un rimedio non solo facoltativo ma anche alternativo a quello giurisdizionale. A fronte dell’atto amministrativo, quindi, l’interessato può -a sua scelta -proporre sia il ricorso amministrativo che quello giurisdizionale dinanzi al giudice amministrativo ordinario. Ma electa una via non datur recursus ad alteram. Tanto è enunciato nel- l’art. 8, comma 2, d.P.r. n. 1199/1971: “Quando l'atto sia stato impugnato con ricorso giurisdizionale, non è ammesso il ricorso straordinario da parte dello stesso interessato”. ove l’interessato proponga, dopo la proposizione del ricorso giurisdizionale, ricorso al Capo dello Stato avente lo stesso oggetto di quello giurisdizionale, il ricorso al Capo dello Stato è inammissibile. Analogamente, ove l’interessato proponga prima ricorso al Capo dello Stato e dopo quello giurisdizionale -nei rispettivi termini decadenziali -il secondo è inammissibile (10). All’evidenza è importante delineare con esattezza il momento della proposizione del ricorso, al fine della prevenzione. la priorità tra ricorso giurisdizionale e ricorso al Capo dello Stato è determinata dal deposito, sicché il ricorso straordinario è proponibile dallo stesso soggetto che ha già proposto ricorso in sede giurisdizionale se, pur avendo notificato l’atto, non proceda al suo deposito (11); tanto in ossequio alla regola generale degli effetti processuali della domanda ancorati al deposito del ricorso ex art. 39, comma 3, c.p.c. la regola non opera nell’ipotesi in cui uno stesso atto venga contestual (9) Art. 69, l. 18 giugno 2009, n. 69 novellante, gli artt. 13-14 d.P.r. n. 1199/1971 con riguardo al ruolo del parere del Consiglio di Stato (previsione della possibilità -da parte dell’organo consultivo -di sollevare la questione di legittimità costituzionale e natura vincolante del parere); art. 7, comma 8, c.p.a. sull’ambito del ricorso straordinario. Con decisione della Corte di giustizia dell'unione europea del 16 ottobre 1997 nelle cause riunite da C-69/96 a C-79/96, si è riconosciuta la facoltà di rimessione di questione pregiudiziale alla stessa Corte in sede di ricorso straordinario. (10) invero non vi è, all’attualità, una disposizione espressa sul punto (una disposizione espressa era contenuta nell’art. 34, comma 2, r.d. 26 giugno 1924, n. 1054 -poi abrogato dal d.l.vo 2 luglio 2010, n. 104 -secondo cui il ricorso giurisdizionale “non è più ammesso, quando contro il provvedimento definitivo, siasi presentato ricorso al Re in sede amministrativa, secondo la legge vigente”). Tuttavia, l’alternatività è sempre stata un carattere tipico dell’istituto e la prevalenza del ricorso giurisdizionale sul ricorso al Capo dello Stato è prevista solo nella disciplina della trasposizione del ricorso ancorata a determinati requisiti. (11) in tal senso anche C.E. gAllo, manuale di giustizia amministrativa, iX edizione, giappichelli, 2018, pp. 183-184 e l. MAzzArolli, g. PEriCu, A. roMAno, F.A. roVErSi MonACo, F.g. SCoCA (a cura di), Diritto amministrativo, ii vol., iV edizione, Monduzzi, 2005, pp. 436-437. ConTribuTi di doTTrinA mente impugnato in sedi diverse da due cointeressati. il coordinamento in questo caso è garantito dal fatto che il rigetto del ricorso straordinario non vincola la decisione del giudice amministrativo, mentre l’annullamento in accoglimento di uno dei due ricorsi determina la cessazione della materia del contendere nel ricorso proposto nell’altra sede (12). il ricorso al Capo dello Stato, come l’arbitrato, comporta la rinuncia alla giurisdizione amministrativa ordinaria. Sicché in ordine alla rimessione della lite al Capo dello Stato tutte le parti coinvolte nel procedimento devono essere d’accordo, in via espressa o in via tacita. nel caso di mancato accordo prevale la via giurisdizionale. Tanto è confermato dallo strumento della opposizione che le parti diverse dal ricorrente -ossia il controinteressato e l’Amm.ne, diversa da quella statale, autrice dell’atto -possono proporre alla prosecuzione del ricorso al Capo dello Stato; in tale evenienza è onere del ricorrente attivarsi per proseguire nella sede giurisdizionale. la disciplina dell’opposizione è contenuta nell’art. 10, all’esito della pronuncia di incostituzionalità con sentenza 29 luglio 1982, n. 148 della Corte costituzionale ed è così riassumibile: -i controinteressati e l'ente pubblico, diverso dallo Stato (13), che ha emanato l'atto impugnato, entro il termine di sessanta giorni dalla notificazione del ricorso, possono richiedere, con atto notificato al ricorrente e all'organo che ha emanato l'atto impugnato, che il ricorso sia deciso in sede giurisdizionale. in tal caso, il ricorrente, qualora intenda insistere nel ricorso, deve depositare nella segreteria del giudice amministrativo competente, nel termine di sessanta giorni dal ricevimento dell'atto di opposizione, l'atto di costituzione in giudizio, dandone avviso mediante notificazione all'organo che ha emanato l'atto impugnato ed ai controinteressati e il giudizio segue in sede giurisdizionale (14). il collegio giudicante, qualora riconosca che il ricorso è inammissibile in sede giurisdizionale, ma può essere deciso in sede straordinaria dispone la rimessione degli atti al Ministero competente per l'istruzione dell'affare (15); (12) Così F.g. SCoCA (a cura di), Giustizia amministrativa, cit., p. 693. (13) l’opposizione non è proponibile dalle Amm.ni statali le quali sono già sufficientemente garantite dal fatto che la decisione del ricorso straordinario è comunque affidata agli organi di vertice del- l’apparato statale. (14) diversamente, ove -nonostante l’opposizione -il ricorrente prosegua nel ricorso straordinario, questo deve essere dichiarato improcedibile. (15) Questo impianto viene confermato dall’art. 48 c.p.a., rubricato “Giudizio conseguente alla trasposizione del ricorso straordinario” a termini del quale: “1. Qualora la parte nei cui confronti sia stato proposto ricorso straordinario ai sensi degli articoli 8 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 24 novembre 1971, n. 1199, proponga opposizione, il giudizio segue dinanzi al tribunale amministrativo regionale se il ricorrente, entro il termine perentorio di sessanta giorni dal ricevimento dell'atto di opposizione, deposita nella relativa segreteria l'atto di costituzione in giudizio, dandone avviso mediante notificazione alle altre parti. 2. Le pronunce sull'istanza cautelare rese in sede straordinaria perdono efficacia alla scadenza del sessantesimo giorno successivo alla data di deposito dell'atto di costituzione in giudizio previsto dal comma 1. Il ricorrente può comunque riproporre l'istanza cautelare al tribunale amministrativo regionale. 3. Qualora l'opposizione sia inammissibile, il tribunale rASSEgnA AVVoCATurA dEllo STATo -n. 3/2021 -la mancata opposizione preclude ai controinteressati e all'ente pubblico, diverso dallo Stato, che ha emanato l'atto impugnato, ai quali sia stato notificato il ricorso straordinario, l'impugnazione dinanzi al giudice amministrativo ordinario competente della decisione di accoglimento del Presidente della repubblica, salvo che per vizi di forma o di procedimento propri del medesimo. A differenza dei ricorsi amministrativi ordinari, il ricorso al Capo dello Stato riscuote un discreto successo nella pratica, per molteplici ragioni: accentuata terzietà del decidente; moderato carico di spese (è dovuto solo il pagamento del contributo unificato delle spese di lite, ma vi è la possibilità di azione diretta da parte dell’interessato, non essendo obbligatorio il patrocinio legale e nel caso di rigetto non vi è condanna alle spese); celerità del procedimento; termine di proposizione doppio rispetto al ricorso giurisdizionale, sicché decorso quest’ultimo termine, l’interessato ha un’àncora di salvezza nel ricorso de quo. l’ambito del ricorso al Capo dello Stato è, salve specifiche eccezioni, lo stesso della giurisdizione del giudice amministrativo ordinario, come confermato dall’art. 7, comma 8, c.p.a.: “Il ricorso straordinario è ammesso unicamente per le controversie devolute alla giurisdizione amministrativa”. Ciò per tutti gli ambiti della giurisdizione, anche esclusiva. Sicché, alla cognizione del Capo dello Stato si possono sottoporre “le controversie, nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi, concernenti l'esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all'esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni” (art. 7, comma 1, c.p.a.). Tutte le PP.AA. -statali, regionali, enti locali, amministrazioni indipendenti -sono evocabili dinanzi al Capo dello Stato, finanche i “soggetti ad esse equiparati o comunque tenuti al rispetto dei principi del procedimento amministrativo” (art. 7, comma 2, c.p.a.), ossia i soggetti privati preposti all'esercizio di attività amministrative (art. 1, comma 1 ter, l. n. 241/1990), espressione quest’ultima che può riferirsi tanto a funzioni pubbliche in senso stretto, quanto ai servizi pubblici (16). in via di eccezione non è proponibile il ricorso straordinario al Capo dello Stato per il rito speciale relativo alle procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture ex art. 119, comma 1, lett. a, c.p.a. (art. 120, comma 1, c.p.a.), per il contenzioso sulle operazioni elettorali (art. 128 c.p.a.), per le controversie originate dalla gestione delle crisi degli enti creditizi (art. 95, comma 1, d.l.vo 16 novembre 2015, n. 180). Ciò per la necessità della definizione dei procedimenti in esame con assoluta celerità. amministrativo regionale dispone la restituzione del fascicolo per la prosecuzione del giudizio in sede straordinaria”. All’evidenza, opera l’istituto della traslatio iudicii. (16) Conf. M. d’AlbErTi, Lezioni di diritto amministrativo, iV edizione, giappichelli, 2019, p. 81. ConTribuTi di doTTrinA la statuizione secondo cui il ricorso al capo dello Stato “è ammesso unicamente per le controversie devolute alla giurisdizione amministrativa” comporta che ove la tutela giurisdizionale sia devoluta ad un giudice di altro plesso giurisdizionale (A.g.o., Corte dei Conti ed altri giudici speciali) non è consentito il ricorso straordinario. Se il ricorso è ammesso “unicamente” per le controversie devolute alla giurisdizione amministrativa, la regola dell’alternatività comporta che è ammesso per tutte le controversie devolute alla giurisdizione amministrativa e quindi, come innanzi evidenziato, anche per quelle rimesse alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. nel d.P.r. n. 1199/1971 il ricorso è costruito in termini impugnatori (l’oggetto del ricorso è un atto amministrativo; l’impugnazione va proposta entro un termine decadenziale). Tuttavia la completa potenzialità della regola dell’alternatività e del principio della pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale implica che tutte le azioni proponibili e tutte le pronunce adottabili dinanzi al giudice amministrativo, anche in sede di giurisdizione esclusiva, sono proponibili e adottabili in sede di ricorso al Capo dello Stato (17). 4. Attivazione del ricorso straordinario ed istruttoria. il procedimento inizia con la notificazione di un ricorso, ossia di un atto che contiene solo la editio actionis (individuazione di personae, petitum e causa petendi) e non anche la vocatio in ius. la forma-contenuto del ricorso è quella indicata nell’art. 125 c.p.c., lex generalis in materia, e quindi lo stesso deve indicare: l’autorità adita (Capo dello Stato), le parti, l'oggetto, le ragioni della domanda e le conclusioni o l'istanza. il ricorso deve essere sottoscritto dalla parte, se essa sta in giudizio personalmente, oppure -se nominato, attesa la facoltatività -dal difensore che indica il proprio codice fiscale. Va pagato il contributo unificato delle spese di lite ammontante ad euro 650 (art. 13, comma 6 bis, lett. e, d.P.r. 30 maggio 2002, n. 115) (18). il ricorso deve essere proposto nel termine di centoventi giorni dalla data della notificazione o della comunicazione dell'atto impugnato o da quando l'interessato ne abbia avuto piena conoscenza. non opera la sospensione feriale (17) il prevalente orientamento giurisprudenziale (riportato in C.E. gAllo, manuale di giustizia amministrativa, iX edizione, giappichelli, 2018, p.12) è contrario. il Consiglio di Stato in sede consultiva -parere 11 giugno 2018, n. 1517 -ha sostenuto che in base al principio dell’effettività della tutela, nel ricorso straordinario al Capo dello Stato sono ammesse azioni diverse da quelle di annullamento, come le azioni di adempimento ex art. 34 comma 1 lett. c, c.p.a., aventi ad oggetto la condanna della pubblica amministrazione all’emanazione di un provvedimento; non è possibile, invece -sempre a giudizio del parere - una richiesta risarcitoria. (18) gli importi -giusta il comma 6 bis -1. -sono aumentati della metà qualora la parte ometta di indicare il codice fiscale nel ricorso. rASSEgnA AVVoCATurA dEllo STATo -n. 3/2021 dei termini, non venendo in rilievo un ricorso giurisdizionale al giudice amministrativo al quale si applica la previsione di cui all’art. 54, comma 2, c.p.a. (19). nel detto termine, il ricorso deve essere notificato nei modi e con le forme prescritti per i ricorsi giurisdizionali ad uno almeno dei controinteressati e presentato con la prova dell'eseguita notificazione all'organo che ha emanato l'atto o al Ministero competente (20), direttamente o mediante notificazione o mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento. nel primo caso l'ufficio ne rilascia ricevuta. Quando il ricorso è inviato a mezzo posta, la data di spedizione vale quale data di presentazione. il ricorso deve essere notificato, in origine o in seguito su impulso del- l’istruttore, a tutti i controinteressati ed altresì anche all’ente pubblico, diverso dallo Stato, che ha emanato l’atto impugnato, il quale ha la stessa posizione procedimentale del controinteressato. Se il ricorso è a tutela di diritti soggettivi il termine entro il quale proporlo non è quello di decadenza, ma quello di prescrizione. in assenza di disposizioni di legge: a) si riconosce al ricorrente il potere di proporre motivi aggiunti al ricorso straordinario, quando sia venuto a conoscenza di ulteriori profili di illegittimità dell’atto impugnato (21); b) si ammette la possibilità dell’intervento ad adiuvandum o ad opponendum (22). l'organo, che ha ricevuto il ricorso, lo trasmette immediatamente al Ministero competente, al quale riferisce. Ai controinteressati è assegnato un termine di sessanta giorni dalla notificazione del ricorso per presentare al Ministero che istruisce l'affare deduzioni e documenti ed eventualmente per proporre ricorso incidentale. Quando il ricorso sia stato notificato ad alcuni soltanto dei controinteressati, il Ministero ordina l'integrazione del procedimento, determinando i soggetti cui il ricorso stesso deve essere notificato e le modalità e i termini entro i quali il ricorrente deve provvedere all'integrazione. Entro centoventi giorni dalla scadenza del termine assegnato ai controinteressati per presentare deduzioni e documenti ed eventualmente per proporre ricorso incidentale, il ricorso, istruito dal Ministero competente, è trasmesso, insieme con gli atti e i documenti che vi si riferiscono, al Consiglio di Stato per il parere. (19) “I termini processuali sono sospesi dal 1° agosto al 31 agosto di ciascun anno”. (20) i ricorsi con i quali si impugnano atti di enti pubblici in materie per le quali manchi uno specifico collegamento con le competenze di un determinato Ministero devono essere presentati alla Presidenza del Consiglio dei Ministri che ne cura la relativa istruttoria. (21) A. roMAno (a cura di), Commentario breve alle leggi sulla giustizia amministrativa, ii edizione, CEdAM, 2001, p. 218, ove si evidenzia che ciò è ammesso dalla dottrina ed altresì -fin dagli anni ‘70 del secolo trascorso - dalla giurisprudenza amministrativa. (22) A. roMAno (a cura di), Commentario breve alle leggi sulla giustizia amministrativa, cit., ove si evidenzia che ciò è ammesso dalla dottrina. ConTribuTi di doTTrinA Trascorso il detto termine, il ricorrente può richiedere, con atto notificato al Ministero competente, se il ricorso sia stato trasmesso al Consiglio di Stato. in caso di risposta negativa o di mancata risposta entro trenta giorni, lo stesso ricorrente può depositare direttamente copia del ricorso presso il Consiglio di Stato. 5. Parere sul ricorso straordinario. il parere viene reso dal Consiglio di Stato in sede consultiva ed è espresso dalla sezione o dalla commissione speciale, alla quale il ricorso è assegnato. Trattasi di parere sui generis: - è un parere obbligatorio e vincolante; -la funzione è consultiva, ma la struttura giurisdizionale dell’organo che rende il parere comporta, come per la Corte dei conti in sede di controllo nel giudizio di parificazione sui consuntivi dello Stato e delle regioni, il potere di sollevare la questione di legittimità costituzionale (per previsione espressa di cui al comma 1 dell’art. 13 d.P.r. n. 1199/1971) e -analogicamente -il potere di rimettere alla Corte di giustizia dell’u.E. una questione pregiudiziale relativa all’interpretazione del T.F.u.E. Questo il contenuto dell’art. 13: il Consiglio di Stato, se riconosce che l'istruttoria è incompleta o che i fatti affermati nell'atto impugnato sono in contraddizione con i documenti, può richiedere al Ministero competente nuovi chiarimenti o documenti ovvero ordinare al Ministero medesimo di disporre nuove verificazioni, autorizzando le parti ad assistervi ed a produrre nuovi documenti; se il ricorso sia stato notificato ad alcuni soltanto dei controinteressati, manda allo stesso Ministero di ordinare l'integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri; se ritiene che il ricorso non possa essere deciso indipendentemente dalla risoluzione di una questione di legittimità costituzionale che non risulti manifestamente infondata, sospende l'espressione del parere e, riferendo i termini e i motivi della questione, ordina alla segreteria l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, ai sensi e per gli effetti di cui agli articoli 23 e ss. l. 11 marzo 1953, n. 87, nonché la notifica del provvedimento ai soggetti ivi indicati; se l'istruttoria è completa e il contraddittorio è regolare, esprime parere: a) per la dichiarazione di inammissibilità, se riconosce che il ricorso non poteva essere proposto, salva la facoltà dell'assegnazione di un breve termine per presentare all'organo competente il ricorso proposto, per errore ritenuto scusabile, contro atti non definitivi; b) per l'assegnazione al ricorrente di un termine per la regolarizzazione, se ravvisa una irregolarità sanabile, e, se questi non vi provvede, per la dichiarazione di improcedibilità del ricorso; c) per la reiezione, se riconosce infondato il ricorso; d) per accoglimento e la rimessione degli atti all'organo competente, se riconosce fondato il ricorso per il motivo di incompetenza; rASSEgnA AVVoCATurA dEllo STATo -n. 3/2021 e) per l'accoglimento, salvo gli ulteriori provvedimenti dell'amministrazione, se riconosce fondato il ricorso per altri motivi di legittimità. All’evidenza il parere del Consiglio di Stato è, in realtà, l’atto con il quale si decide in concreto il ricorso straordinario. una volta emesso il parere, il Consiglio di Stato consuma il suo potere. Sicché non è consentito, al Ministro competente, chiederne il riesame o la modifica (23). in casi eccezionali -da una giurisprudenza degli anni ’50/’70 del secolo trascorso, confermata nell’anno 2000 -si è ammesso, ragionevolmente, il riesame del parere emesso (in presenza di presupposti che legittimerebbero un ricorso per revocazione o in caso di ius superveniens) (24). 6. Decisione del ricorso straordinario. “La decisione del ricorso straordinario è adottata con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del ministero competente, conforme al parere del Consiglio di Stato”. Questo il testo dell’art. 14, comma 1, d.P.r. n. 1199/1971. Si ritiene che il decreto presidenziale si configuri come un atto che si limita ad esternare la decisione assunta dal Consiglio di Stato (25). Tale è peraltro la prassi diuturna, nella quale il decreto presidenziale si limita a rinviare al parere del Consiglio di Stato (“Il tal ricorso è deciso nei termini di cui all’allegato parere del Consiglio di Stato”). Tenuto conto dei caratteri della decisione in esame non è pienamente condivisibile la descritta opinione. nel caso di specie viene in rilievo un atto formalmente presidenziale e sostanzialmente governativo (il cui contenuto è cioè predisposto e voluto dai membri del governo) (26). il presidente, in linea tendenziale, prende atto di quanto proposto dal governo tramite il Ministro com (23) Conf. P. VirgA, La tutela giurisdizionale nei confronti della pubblica amministrazione, iii edizione, giuffré, 1982, p. 94. (24) Per queste ipotesi: A.M. SAndulli, manuale di diritto amministrativo, ii vol., XV edizione, Jovene, 1989, p. 1274; F.g. SCoCA (a cura di), Giustizia amministrativa, cit., p. 696 riporta -quali altri casi di richiesta di riesame enucleati dalla giurisprudenza amministrativa, in continuità con i citati orientamenti degli anni ’50/’70 -il caso di contrasto con indirizzi giurisprudenziali consolidati; questo caso non deve considerarsi ragionevole, atteso che si va a reinvestire il Consiglio di Stato del giudizio di puro diritto in assenza di sopravvenienze. (25) E. CASETTA, manuale di diritto amministrativo, XVi edizione, giuffré, 2014, p. 1009; P. VirgA, La tutela giurisdizionale nei confronti della pubblica amministrazione, cit., p. 95, per il quale il Capo dello Stato non può discostarsi dal parere, neanche con congrua motivazione. (26) Ex plurimis: T. MArTinES, Diritto costituzionale, iii edizione, giuffré, 1984, p. 530 e pp. 536-539; r. bin, g. PiTruzzEllA, Diritto costituzionale, Viii edizione, giappichelli, 2007, p. 245. g. ChEVAllArd, voce Ricorso straordinario al Capo dello Stato, cit., p. 1046. rispetto alla categoria del- l’atto formalmente presidenziale e sostanzialmente governativo si evidenzia in dottrina che “il Presidente della repubblica può esercitare solo un controllo di legittimità (o, anche se limitatamente, di merito) senza poter incidere sulla determinazione di volontà del Governo o del ministro competente. Per cui se l’organo che li ha emessi insiste nel volere il provvedimento, il Presidente non può ulteriormente rifiutarsi di sottoscriverli”: così T. MArTinES, Diritto costituzionale, cit., p. 537. ConTribuTi di doTTrinA petente; tuttavia ove venga in rilievo un atto palesemente in contrasto con l’ordinamento giuridico (un’ipotesi quasi di scuola) il presidente dovrebbe rifiutarsi di adottare il decreto; si evidenzia che -dal punto di vista delle disposizioni rilevanti -ciò che deve essere conforme al parere del Consiglio di Stato è la proposta del Ministero competente e non certo la decisione del ricorso straordinario da parte del Presidente della repubblica. la decisione può essere in rito (dichiarazione di inammissibilità o di improcedibilità) oppure sul merito (rigetto o accoglimento del ricorso). ove accolto il ricorso la decisione dispone l’annullamento dell’atto impugnato, nell’ipotesi in cui sia proposta un’azione di annullamento, oppure accerta o condanna nell’ipotesi in cui sia proposta la corrisponde azione nell’ambito della tutela dei diritti. Qualora il decreto di decisione del ricorso straordinario pronunci l'annullamento di atti amministrativi generali a contenuto normativo, del decreto stesso deve essere data, a cura dell'Amministrazione interessata, nel termine di trenta giorni dalla emanazione, pubblicità nelle medesime forme di pubblicazione degli atti annullati. in conseguenza della novella del 2009 che ha eliminato la possibilità per il governo di andare di diverso avviso rispetto al parere del Consiglio di Stato -mediante delibera del Consiglio dei Ministri sottoposta a controllo preventivo di legittimità ex art. 3, comma 1, lett. a, l. 14 gennaio 1994, n. 20 -il decreto che decide il ricorso straordinario non è più sottoposto al visto e alla registrazione della Corte dei conti ex art. 17, comma 1, r.d. 12 luglio 1934, n. 1214 (27). 7. Impugnazione della decisione del ricorso straordinario. il decreto del Presidente della repubblica che decide il ricorso straordinario può essere impugnato con rimedi ordinari (preclusivi della formazione della definitività) o straordinari (proponibili a prescindere dalla definitività). Avendo portata sostitutiva alla tutela giurisdizionale ordinaria il decreto è impugnabile, in via ordinaria, solo dinanzi al T.A.r. (28) ed unicamente per vizi di forma o di procedimento propri del medesimo (arg. ex art. 10, (27) “I decreti reali, qualunque sia il ministero da cui emanano e qualunque ne sia l'oggetto, sono presentati alla Corte perché, esercitato il controllo di legittimità, vi si apponga il visto e ne sia fatta registrazione”. (28) Conf. Cons. Stato, 19 marzo 2014, n. 1346: “Quanto alla individuazione del giudice amministrativo competente a giudicare su tale impugnazione, si osserva che l'art. 10, terzo comma, del D.P.R. n. 1199 del 1971 contiene un riferimento esplicito al Consiglio di Stato. Tuttavia è opinione corrente che in quel contesto il Consiglio di Stato sia menzionato in quanto al momento della emanazione del D.Lgs. (24 novembre 1971) non era ancora promulgata la legge istitutiva dei Tribunali amministrativi regionali (6 dicembre 1971). Di fatto, la prassi giurisprudenziale consolidata è nel senso che l'impugnazione si propone davanti al Tribunale amministrativo regionale”. in senso analogo in dottrina già P. VirgA, La tutela giurisdizionale nei confronti della pubblica amministrazione, cit., p. 97. rASSEgnA AVVoCATurA dEllo STATo -n. 3/2021 comma 3), ossia successivi all’espressione del parere da parte del Consiglio di Stato. l’impugnazione al T.A.r. è altresì possibile, senza limiti e quindi anche per vizi di legittimità, da parte dei soggetti che siano stati pretermessi nel procedimento del ricorso straordinario, perché ad essi il ricorso non è stato notificato (29). il decreto del Capo dello Stato è altresì impugnabile, in via straordinaria con ricorso per revocazione, nei casi previsti dall'art. 395 c.p.c. (art. 15), da proporre nelle stesse forme del primo ricorso. 8. Natura giuridica del ricorso straordinario. il ricorso straordinario, illo tempore, aveva la natura giuridica di normale ricorso amministrativo (30). Modificato il ruolo del Consiglio di Stato nel procedimento all’esito di una novella del 2009 (parere vincolante e potestà di sollevare la questione di legittimità costituzionale), tenuto conto delle innovazioni conseguenti alla adozione nel 2010 del codice del processo amministrativo ed attesi gli orientamenti della Corte di giustizia sulla sollevabilità della questione pregiudiziale comunitaria, si è posto il problema della attualità della qualificazione. la tesi più diffusa ed ormai consolidata è nel senso che il ricorso in esame -pur avendo forma amministrativa -ha una sostanza giurisdizionale (31). da ciò i corollari: -che il ricorso introduttivo della lite deve essere notificato presso l’Avvocatura dello Stato ex art. 11 r.d. 30 ottobre 1933, n.1611 (32); -che l’inosservanza del decreto di decisione del ricorso straordinario faculta la proposizione dell’azione di ottemperanza (33); (29) Conf. Cons. Stato, Ad. Plen., 27 giugno 2006, n. 9; Cons. Stato n. 1346/2014 cit. secondo cui il controinteressato non ritualmente evocato può impugnare la decisione senza quelle limitazioni e preclusioni che sono opponibili al controinteressato evocato, e, in genere, a tutte le parti che abbiano accettato la procedura in sede straordinaria e può dunque impugnare il decreto decisorio davanti al giudice Amministrativo anche per vizi inerenti al parere del Consiglio di Stato (e alle fasi procedurali anteriori). (30) l. Migliorini, voce Ricorsi amministrativi, cit., p. 700: “il ricorso straordinario è sempre stato concepito come un rimedio amministrativo avverso provvedimenti amministrativi”. Analogamente g. ChEVAllArd, voce Ricorso straordinario al Capo dello Stato, cit., p. 1049. (31) Così Cass. S.u., 6 settembre 2013, n. 20569 e Cons. Stato, Ad. Plen., 6 maggio 2013, n. 9. Corte cost., 2 aprile 2014, n. 73 reputa che il ricorso straordinario è un rimedio giustiziale che ha caratteristiche strutturali e funzionali “in parte” assimilabili a quelle tipiche del processo amministrativo. Analoga la prevalente dottrina: ex plurimis, M. ClAriCh, manuale di diritto amministrativo, iii edizione, il Mulino, 2017, p. 498: “assimilabile sostanzialmente a un ricorso giurisdizionale”. (32) Così Cons. Stato, 24 febbraio 2014, n. 859. (33) la sostanza giurisdizionale consente di ricondurli nell'ambito dei provvedimenti esecutivi del giudice amministrativo di cui al comma 2, lett. b) dell'art. 112 c.p.a. Conf. ex plurimis Cons. Stato, Ad. Plen., 6 maggio 2013, n. 9; Cons. Stato, 29 maggio 2015, n. 2690; Cass. S.u., 28 gennaio 2011, n. 2065. il ricorso per l'ottemperanza deve essere proposto sempre dinanzi al Consiglio di Stato, ai sensi dell'art. 113, comma primo, c.p.a., secondo cui nell'ipotesi di cui alla lett. b), comma secondo, dell'art. 112 c.p.a. (sentenze esecutive e di altri provvedimenti esecutivi del giudice amministrativo), il ricorso si presenta ConTribuTi di doTTrinA -dell'idoneità del decreto emesso dal Presidente della repubblica a seguito di ricorso straordinario a essere impugnabile con ricorso per cassazione per motivi di giurisdizione ex art. 111, ultimo comma, Cost. (34) ed a formare "giudicato" (35). la qualificazione di forma amministrativa e sostanza giurisdizionale è una etichetta ambigua. il ricorso al capo dello Stato non sarebbe né un procedimento amministrativo, né un procedimento giurisdizionale, ma una via di mezzo tra i due procedimenti nel quale l’applicabilità delle norme di un ambito (amministrativo o giurisprudenziale) dipende dagli orientamenti degli interpreti, soprattutto -intuitivamente -giurisprudenziali. Ciò non deve ritenersi ammesso, atteso che l’ordinamento non consente siffatti istituti misti ed ambigui, i quali danno luogo ad arbitri ed aporie. Per evidenziare solo un’aporia: ci sarebbe molto da discutere sulla circostanza che il ricorso introduttivo della lite deve essere notificato presso l’Avvocatura dello Stato ex art. 11 r.d. n. 1611/1933. nella realtà, l’etichetta di forma amministrativa e sostanza giurisdizionale attribuita al ricorso al Capo dello Stato conduce inevitabilmente a qualificare come giudice speciale il Capo dello Stato in questa funzione. Così ricostruito, all’esito del mutamento di natura operato nel 2009-2010, l’istituto del ricorso straordinario al presidente della repubblica è incostituzionale, in quanto violativo dell’art. 102, comma 2, Cost. secondo cui: “Non possono essere istituiti […] giudici speciali” (36), ossia giudici con competenze ritagliate in base agli interessi o alle materie in questione. All’evidenza -tenendo conto dei corollari della sopraindicata tesi -nel caso di specie, le innovazioni del 2009-2010 (successive alla Costituzione) avrebbero condotto alla istituzione di un giudice speciale, quale è il Capo dello Stato allorché decide il ricorso straordinario. 9. (segue) Natura giuridica del ricorso straordinario. Il ricorso straordinario come una forma di arbitrato avente ad oggetto interessi legittimi. deve ritenersi che il procedimento attivato con il ricorso straordinario, al "giudice che ha emesso il provvedimento della cui ottemperanza si tratta", che in questo caso non può che essere identificato nel Consiglio di Stato che emette il parere obbligatorio e vincolante in base al quale è reso il decreto decisorio finale (Conf. ex plurimis Cons. Stato, 25 giugno 2013, n. 3440). (34) Così Cass. S.u., 6 novembre 2017, n. 26258 evidenziante che la decisione presidenziale conforme al parere del Consiglio di Stato ripete dal parere stesso la natura di atto giurisdizionale in senso sostanziale, come tale impugnabile in cassazione per motivi di giurisdizione, atteso che la legge n. 69 del 2009, art. 69 -che rende vincolante il parere del Consiglio di Stato e legittima l'organo consultivo a sollevare questione incidentale di legittimità costituzionale -e il d.lgs. n. 104 del 2010, art. 7 -il quale ammette il ricorso straordinario per le sole controversie sulle quali vi è giurisdizione del giudice amministrativo -evidenziano l'avvenuta “giurisdizionalizzazione” dell'istituto. Così già Cass. S.u., 19 dicembre 2012, n. 23464. (35) Così, ancora Cass. S.u., n. 20569/2013 cit.; Cons. Stato, Ad. Plen., n. 9/2013. (36) Salve le eccezioni costituzionali (art. 103 Cost.) ed i giudici speciali preesistenti alla Costituzione. rASSEgnA AVVoCATurA dEllo STATo -n. 3/2021 attesi i dati in gioco, non va qualificato come un giudizio speciale. lo stesso è da ricondurre all’arbitrato rituale secondo diritto avente ad oggetto interessi legittimi. Circa i rapporti tra arbitrato e giurisdizione del giudice amministrativo vi è la regola dell’art. 12 c.p.a. per la quale “Le controversie concernenti diritti soggettivi devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo possono essere risolte mediante arbitrato rituale di diritto ai sensi degli articoli 806 e seguenti del codice di procedura civile” (37). nulla è previsto nella detta disposizione circa l’arbitrato in una lite coinvolgente gli interessi legittimi. Si ritiene che tale mancata previsione, in uno alla previsione di cui all’art. 806 c.p.c. (38) inibisca la possibilità di un giudizio arbitrale su interessi legittimi. Sul punto è necessaria una puntualizzazione essenziale sui caratteri del- l’arbitrato. l’arbitrato -previsto nel processo civile -è un giudizio privato attivabile quando le parti sono d’accordo e la lite verte su diritti disponibili. due sono, quindi, i requisiti per l’ammissibilità dell’arbitrato, l’accordo delle parti ed i diritti disponibili: a) accordo delle parti. Con la previsione costituzionale secondo cui “Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi”, vi è la libertà di tutti di accedere agli organi giurisdizionali. Sicché l’arbitrato non può essere previsto -da una fonte unilaterale -come obbligatorio. E difatti le previsioni della legislazione del passato che prevedevano ipotesi di arbitrato obbligatorio sono state eliminate: o per dichiarazione di incostituzionalità o per abrogazione legislativa. l’accordo delle parti deve rivestire la forma scritta sotto pena di nullità, giusta previsione dell’art. 807 c.p.c. (39) e comunque con riguardo alla P.A. - per le regole generali in materia; b) diritti disponibili. oggetto del giudizio arbitrale possono essere solo situazioni giuridiche soggettive nella titolarità delle parti, secondo il principio generale della disponibilità delle proprie -solo delle proprie, come evidenziato nell’art. 24 Cost. - situazioni giuridiche soggettive. Con l’arbitrato si dà vita -consensualmente -ad una giustizia privata alternativa a quella istituzionale. l’arbitrato può essere rituale oppure irrituale. l’arbitrato è rituale quando la definizione avviene all’esito di un procedimento paragiurisdizionale con una decisione (lodo) che ha l’efficacia di sentenza del giudice competente. (37) Sulla problematica A. SAndulli, L'arbitrato nel codice del processo amministrativo, in Giornale Dir. Amm., 2013, 2, pp. 205 e ss. (38) “Le parti possono far decidere da arbitri le controversie tra di loro insorte che non abbiano per oggetto diritti indisponibili, salvo espresso divieto di legge. Le controversie di cui all'articolo 409 possono essere decise da arbitri solo se previsto dalla legge o nei contratti o accordi collettivi di lavoro”. (39) “Il compromesso deve, a pena di nullità, essere fatto per iscritto e determinare l'oggetto della controversia. La forma scritta s'intende rispettata anche quando la volontà delle parti è espressa per telegrafo o telescrivente telefacsimile o messaggio telematico nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la trasmissione e la ricezione dei documenti teletrasmessi”. ConTribuTi di doTTrinA Tanto è enunciato dall’art. 824 bis c.p.c. statuente che “Salvo quanto disposto dall'articolo 825, il lodo ha dalla data della sua ultima sottoscrizione gli effetti della sentenza pronunciata dall'autorità giudiziaria”. Alla luce del richiamo dell’art. 825 c.p.c. ove si voglia mettere in esecuzione il lodo l’efficacia della sentenza si consegue non al momento dell’ultima sottoscrizione, ma al momento dell’exequatur -ossia della delibazione, del controllo della mera regolarità formale -da parte dell’A.g.o. (40). diversamente è irrituale e vale quale definizione negoziale di una lite inter partes con valore, a seconda del contenuto della definizione, di transazione e/o riconoscimento del debito e/o rinunce. Sul punto vi è la disciplina dell’art. 808 ter c.p.c. l’arbitrato, sia rituale che irrituale, può essere, poi, secondo diritto o secondo equità. giusta l’art. 822 c.p.c. “Gli arbitri decidono secondo le norme di diritto [arbitrato di diritto], salvo che le parti li abbiano autorizzati con qualsiasi espressione a pronunciare secondo equità [arbitrato secondo equità]”. il procedimento arbitrale rituale si deve svolgere nel rispetto del principio del contraddittorio, con la concessione alle parti di ragionevoli ed equivalenti possibilità di difesa. Va definito nel termine fissato dalle parti, diversamente vale il termine legale di duecentoquaranta giorni. il lodo, avendo portata sostitutiva della decisione del giudice che sarebbe competente in via ordinaria, è impugnabile, tendenzialmente, dinanzi al giudice che sarebbe competente per l’appello ove la decisione fosse stata adottata dal giudice ordinariamente competente. Per scelta legislativa l’impugnazione è a critica vincolata. il lodo può essere censurato poi con i mezzi straordinari di impugnazione. Tanto è enunciato nell’art. 827 c.p.c. secondo cui “Il lodo è soggetto soltanto all'impugnazione per nullità, per revocazione o per opposizione di terzo. I mezzi di impugnazione possono essere proposti indipendentemente dal deposito del lodo”. l'impugnazione per nullità è ammessa per vizi di forma o di procedura; è ammessa per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia se espressamente disposta dalle parti o dalla legge e per contrarietà all'ordine pubblico (art. 829 c.p.c.). Fatta questa puntualizzazione sui caratteri dell’arbitrato, il ricorso straordinario al Capo dello Stato può essere qualificato come un arbitrato rituale secondo diritto avente ad oggetto interessi legittimi. Vuol dirsi che alla stregua dell’ordinamento giuridico nel suo complesso è ammesso -con forme speciali -il giudizio arbitrale su interessi legittimi. ossia: la disciplina contenuta negli (40) “La parte che intende far eseguire il lodo nel territorio della Repubblica ne propone istanza depositando il lodo in originale o in copia conforme, insieme con l'atto contenente la convenzione d'arbitrato, in originale o in copia conforme, nella cancelleria del tribunale nel cui circondario è la sede dell'arbitrato. Il tribunale, accertata la regolarità formale del lodo, lo dichiara esecutivo con decreto. Il lodo reso esecutivo è soggetto a trascrizione o annotazione, in tutti i casi nei quali sarebbe soggetta a trascrizione la sentenza avente il medesimo contenuto. Del deposito e del provvedimento del tribunale è data notizia dalla cancelleria alle parti nei modi stabiliti nell'articolo 133, secondo comma”. rASSEgnA AVVoCATurA dEllo STATo -n. 3/2021 artt. 8-15 d.P.r. n. 1199/1971 costituisce una ipotesi di previsione legale di giudizio arbitrale su interessi legittimi, accanto alla previsione dell’art. 12 c.p.a. Tanto alla luce degli elementi qualificanti del ricorso in esame, riconducibili all’archetipo dell’arbitrato. in sintesi tali elementi sono: - facoltatività del rimedio; -alternatività e sostitutività ad un giudizio dinanzi ad una autorità giurisdizionale; -accordo delle parti (risultante, in via implicita, dalla mancata opposizione ex art. 10); -limiti alla impugnazione giurisdizionale (critica vincolata; tendenzialmente errores in procedendo). All’evidenza, questi sono gli elementi qualificanti dell’arbitrato. Circa il requisito della disponibilità delle situazioni giuridiche soggettive deve rilevarsi che il pubblico potere è negoziabile dalla P.A. (arg. ex art. 11 l. n. 241/1990), ovviamente sempre in funzione della tutela degli interessi pubblici; egualmente negoziabile, disponibile è l’interesse legittimo da parte del titolare. in disparte alla negoziabilità o meno delle situazioni soggettive è comunque l’ordinamento giuridico a consentire l’utilizzo di un istituto qualificabile, per induzione dagli elementi rilevanti, come arbitrato in controversia su interessi legittimi. Conclusivamente, il ricorso straordinario al Capo dello Stato è -nel suo nucleo qualificante - un giudizio arbitrale, con forme e regole speciali. ConTribuTi di doTTrinA La risoluzione delle controversie sulla proprietà delle cose sequestrate in sede penale, ed in particolare dei beni archeologici. Gli strumenti processuali a disposizione dello Stato italiano, a tutela del patrimonio culturale nazionale e straniero Guido Di Biase* SommARIo: 1. La presunzione di appartenenza dei beni archeologici al patrimonio indisponibile dello Stato e la sua rilevanza nel processo penale -2. Iniziative processuali a disposizione del ministero per i beni e le attività culturali: intervento, impugnazione, incidente di esecuzione -3. La rimessione della controversia al giudice civile ex art. 263, comma 3, c.p.p.: forme della translatio iudicii e rapporti con la rivendicazione ex art. 948 c.c. -4. Le iniziative esperibili di fronte al sequestro di beni archeologici provenienti da Paesi stranieri. 1. La presunzione di appartenenza dei beni archeologici al patrimonio indisponibile dello Stato e la sua rilevanza nel processo penale. Per regola generale, nell’ordinamento italiano i beni archeologici (1) sono ipso jure ricompresi nel patrimonio indisponibile dello Stato, come si evince dal combinato disposto degli artt. 826 c.c. (2) e 91, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (3). A discapito del loro rilievo eminentemente civilistico, le due disposizioni (4) si trovano ad essere applicate con particolare frequenza dalla magistratura (*) Procuratore dello Stato. il presente scritto è edito nel volume a cura di b. CorTESE, “Il diritto dei beni culturali. Atti del convegno oGiPaC in memoria di Paolo Giorgio Ferri. Roma, 27 maggio 2021”, roma Tre-Press, 2021, pp. 7194. le opinioni espresse nel presente scritto rappresentano il pensiero dell’Autore e non necessariamente quello della istituzione presso la quale presta servizio. (1) intesi come “tutti i vestigi, beni ed altre tracce dell'esistenza dell'umanità nel passato”, secondo la definizione dettata dall’art. 1 della Convenzione europea per la protezione del patrimonio archeologico, siglata a la Valletta il 16 gennaio 1992, e ratificata con l. 29 aprile 2015, n. 57. (2) A mente del quale “Fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato [...] le cose d'interesse storico, archeologico, paletnologico, paleontologico e artistico, da chiunque e in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo”. (3) Secondo il quale “Le cose indicate nell'articolo 10 [i.e. i beni culturali, ndr] da chiunque e in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo o sui fondali marini, appartengono allo Stato [...]”). (4) le quali si riferiscono precipuamente ai beni archeologici mobili, mentre gli immobili sono attribuiti al demanio dagli artt. 822 c.c. e 53 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42. la principale differenza di regime giuridico tra le due categorie si evince dall’art. 54 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, che -per quanto più interessa in questa sede -annovera tra i beni “inalienabili” soltanto “i beni del demanio culturale di seguito indicati: a) gli immobili e le aree di interesse archeologico; […] c) le raccolte di musei, pinacoteche, gallerie e biblioteche”. Se ne desume l’ascrivibilità dei beni mobili di valenza archeologica alla categoria “dei beni culturali appartenenti allo Stato, alle regioni e agli altri enti pubblici territoriali, e diversi da quelli indicati negli articoli 54, commi 1 e 2, e 55, comma 1”, la cui alienazione è ammissibile, ancorché “soggetta ad autorizzazione da parte del ministero” ai sensi dell’art. 55 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, da leggere in combinato disposto con l’art. 828, comma 2, c.c. (a mente del quale “I beni rASSEgnA AVVoCATurA dEllo STATo -n. 3/2021 penale, allorquando si tratti di individuare l’avente diritto alla restituzione dei beni sequestrati. in effetti, ogniqualvolta penda un procedimento penale volto alla repressione di condotte illecite insistenti su reperti archeologici (5), i medesimi vengono pressoché immancabilmente sottoposti a vincolo reale: si tratti di sequestro preventivo finalizzato alla confisca ex art. 321, comma 2, c.p.p. (6) ovvero di sequestro probatorio volto all’apprensione del corpo del reato ex art. 253 c.p.p. (7). che fanno parte del patrimonio indisponibile non possono essere sottratti alla loro destinazione, se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano”). Cfr. sul punto M. Fiorilli, S. gATTi, Beni culturali. Fiscalità, mecenatismo, circolazione, Editoriale Scientifica, napoli, 2019, pp. 208 ss. (5) il riferimento è innanzitutto alle fattispecie incriminatrici delineate dagli artt. 174 ss. d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, ma anche ad ulteriori ipotesi di reato, contemplate dal codice penale (in primis ricettazione, riciclaggio e danneggiamento ex art. 733 c.p.) e da altre leggi speciali, come ad esempio il codice della navigazione approvato con r.d. 30 marzo 1942, n. 327 (cfr. in particolare l’art. 1146). un quadro delle forme di criminalità avverso il patrimonio archeologico e degli strumenti normativi per farvi fronte è stato esaustivamente delineato dal compianto P.g. FErri, Brevi osservazioni sulla tutela penale dei reperti archeologici, in AES -Arts+Economics, n. 7, gennaio 2020, pp. 85 ss., al quale “preme […] sottolineare come nell’attuale quadro normativo la tutela più efficace sia paradossalmente quella che può essere realizzata attraverso il codice penale, il quale, ovviamente, non distingue -se non in rari casi -tra bene comune e bene a valenza culturale, assoggettando quest’ultimo alla stessa tutela di altri beni, considerati soprattutto in relazione al valore economico. Vengono, quindi, trascurati gli aspetti intangibili ed immateriali propri di ogni bene culturale” (così a p. 87, nt. 5). Sulla “immanenza dell’immateriale giuridico sulla cosa”, costituente il proprium che contraddistingue i beni culturali da ogni altra categoria di beni, cfr. per tutti g. SEVErini, L'immateriale economico nei beni culturali, in Aedon -Rivista di arti e diritto on line, n. 3/2015, sulla scia di M.S. giAnnini, I beni culturali, in Riv. trim. dir. pubbl., 1976, i, pp. 24 ss. in generale, sui profili sostanziali della normativa penalistica a tutela dei beni culturali, cfr. ex plurimis P. CArPEnTiEri, La tutela penale dei beni culturali in Italia e le prospettive di riforma: i profili sostanziali, in S. MAnACordA, A. ViSConTi (a cura di), Beni culturali e sistema penale, Vita e pensiero, Milano, 2013, pp. 31 ss.; g.P. dEMuro, Beni culturali e tecniche di tutela penale, giuffrè, Milano, 2002; d. di ViCo, Sul possesso ingiustificato dei beni culturali, in Cass. pen., 2001, p. 1591; V. MAnES, La tutela penale, in C. bArbATi, M. CAMMElli, g. SCiullo (a cura di), Diritto e gestione dei beni culturali, il Mulino, bologna, 2011, pp. 308 ss.; A. MAnnA, Introduzione al settore penalistico del codice dei beni culturali e del paesaggio, in A. MAnnA (a cura di), Il Codice dei beni culturali e del paesaggio, giuffrè, Milano, 2005, p. 19; F. MAnToVAni, Lineamenti di tutela penale del patrimonio artistico, in Riv. it. dir. proc. pen., 1976, pp. 73 ss.; A. MASSAro, Diritto penale e beni culturali: aporie e prospettive, in E. bATTElli, b. CorTESE, A. gEMMA, A. MASSAro, (a cura di) Patrimonio culturale. Profili giuridici e tecniche di tutela, romaTre-press, 2017, pp. 179 ss.; S. MoCCiA, Riflessioni sulla tutela penale dei beni culturali, in Riv. it. dir. proc. pen., 1993, pp. 1297 ss.; g. PiolETTi, voce Beni culturali -Diritto penale, in Enc. giur. Treccani, V, roma, 2005, pp. 16 ss.; M. SAVino, La circolazione illecita, in l. CASini (a cura di), La globalizzazione dei beni culturali, il Mulino, bologna, 2010, pp. 141 ss.; C. SoTiS, La tutela penale dei beni culturali mobili. osservazioni in prospettiva de iure condendo in AAVV, Circolazione dei beni culturali mobili e tutela penale: un’analisi di diritto interno, comparato ed internazionale, in Collana dei Convegni di studio “Enrico de Nicola”. Problemi attuali di diritto e procedura penale, n. 27, Milano, 2015 pp. 111 ss. Sulla riforma penale attualmente in discussione in Parlamento cfr. P.g. FErri, La riforma del sistema di protezione penale dei beni culturali: luci ed ombre, in Eunomika, 6 marzo 2020. (6) il riferimento è in primo luogo alla confisca obbligatoria contemplata dall’art. 174, comma 3, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, accessoria al delitto di “uscita o esportazione illecite” delineato dal primo comma della medesima disposizione. laddove il procedimento penale abbia ad oggetto una fattispecie ConTribuTi di doTTrinA nell’uno e nell’altro caso, la definizione della sorte del bene presuppone l’individuazione del suo titolare, che ricorrano o meno (8) i presupposti della confisca. Effettivamente, la stessa adozione di un siffatto provvedimento ablatorio dev’essere anticipata dall’identificazione del dominus, sol che si consideri che per regola generale la confisca “non si applica se la cosa appartiene a persona estranea al reato” (9), né se la cosa è già ricompresa nel patrimonio statale (10). Tale notazione, seppur condivisa in giurisprudenza sul piano delle enunciazioni di principio, è sovente disattesa nella pratica. È infatti tutt’altro che inusuale imbattersi in statuizioni giurisprudenziali volte ad ordinare la confisca di beni archeologici facendo espresso riferimento all’esigenza di “ripristinare materialmente la situazione di dominio che, ex lege, lo Stato vanta sui beni in questione” (11), i.e. di consentire la materiale incriminatrice eterogenea non considerata da un’ipotesi speciale di confisca (come ad esempio avviene per il riciclaggio ex art. 648-quater c.p.) troverà applicazione la disposizione generale dell’art. 240 c.p., alternativamente nella forma facoltativa tratteggiata dal primo comma o in quella obbligatoria delineata dal capoverso (il cui n. 2 impone la confisca “delle cose, [...] l'uso, il porto, la detenzione e l'alienazione delle quali costituisce reato, anche se non è stata pronunciata condanna”). (7) Cfr. sul punto l. luPAriA, Tutela dei beni culturali e processo penale, in E. bATTElli, b. Cor- TESE, A. gEMMA, A. MASSAro, (a cura di) Patrimonio culturale. Profili giuridici e tecniche di tutela, cit., pp. 196 s. (8) la necessità di individuare l’avente diritto alla restituzione in assenza dei presupposti per la confisca emerge univocamente dall’art. 262, comma 4, c.p.p., secondo il quale “dopo la sentenza non più soggetta a impugnazione le cose sequestrate sono restituite a chi ne abbia diritto, salvo che sia disposta la confisca”. (9) Così dispone l’art. 240 c.p., ai commi 3 e 4. nello stesso senso cfr. l’art. 174, comma 3, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, come anche l’art. 648-quater c.p. e la generalità delle disposizioni in materia di confisca, tenendo conto della giurisprudenza consolidata della Corte costituzionale, laddove ha enunciato “in via generale che, se possono esservi cose il cui possesso può configurare un'illiceità obbiettiva in senso assoluto, la quale prescinde dal rapporto col soggetto che ne dispone e legittimamente debbono essere confiscate presso chiunque le detenga (art. 240 cod. pen.), in ogni altro caso l'art. 27, primo comma, Cost. non può consentire che si proceda a confisca di cose pertinenti a reato, ove chi ne sia proprietario al momento in cui la confisca debba essere disposta non sia l'autore del reato o non ne abbia tratto in alcun modo profitto. Pertanto, facendo applicazione di tale principio, va dichiarata l'illegittimità costituzionale -in riferimento all'art. 27, primo comma, Cost. -dell'art. 66 della l. 1° giugno 1939, n. 1089 e dell'articolo 116, primo comma, della l. 25 settembre 1940, n. 1424 (ora art. 301, primo comma, d.P.R. n. 43 del 1973), nella parte in cui prevedono la confisca di opere tutelate ai sensi della stessa l. n. 1089 del 1939 oggetto di esportazione abusiva, anche quando esse risultino, di proprietà di chi non sia autore del reato e non ne abbia tratto in alcun modo profitto” (così Corte Cost., 19 gennaio 1987, n. 2, specificando i principi già enunciati da Corte Cost., 17 luglio 1974, n. 229 e 29 dicembre 1976, n. 256, successivamente ribaditi ex plurimis da Corte Cost., 10 gennaio 1997, n. 1). (10) Per dirla con P.g. FErri, Brevi osservazioni sulla tutela penale dei reperti archeologici, cit., p. 95, nt. 20, “dei reperti archeologici non deve essere disposta la confisca -procedimento ablativo che in pochissimi casi ha ragione di essere -in quanto la cosa appartiene ab origine allo Stato. Eccezionalmente, quando il reperto sia stato acquisito prima del 1909 ovvero si trovi all’estero, sarà possibile la confisca”. (11) in tal senso Cass. pen., Sez. iii, 30 novembre 2018 (dep. 2 gennaio 2019), n. 22, la quale appare emblematica della contraddizione indicata nel testo. infatti, pur attestando che “l'esistenza di un titolo proprietario, astrattamente legittimo, è il presupposto logico della confisca, in quanto diversamente, rASSEgnA AVVoCATurA dEllo STATo -n. 3/2021 restituzione dei reperti all’ente pubblico che per legge ne è già proprietario, ed in quanto tale titolare di un diritto dominicale che rende quantomeno superflua (se non anche giuridicamente inconfigurabile) l’adozione di un provvedimento come la confisca, i cui effetti si esaurirebbero nel perfezionare un ulteriore acquisto a titolo originario (12) in capo al medesimo soggetto. Sta di fatto che la valutazione relativa alla titolarità pubblica del bene è sovente sovrapposta al vaglio delle condizioni per disporre la confisca, finendo spesse volte per essere assorbita da quest’ultima (13). non essendo mai il bene uscito dalla sfera di titolarità dello Stato, non avrebbe senso riferirsi all'istituto della confisca, non potendo essere oggetto di confisca qualche cosa che è già dello Stato”, la pronuncia rileva la preordinazione “della confisca stabilita dal D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 174, comma 3 […] a ripristinare materialmente la situazione di dominio che, ex lege, lo Stato vanta sui beni in questione, situazione di dominio evidentemente violata attraverso la illecita esportazione del bene in discorso al di fuori dei confini dello Stato e, pertanto, al di fuori dei margini di esercitabilità materiale del dominio de quo loquitur”. la sentenza in commento si segnala all’attenzione per aver posto fine alla complessa vicenda giudiziaria del c.d. “atleta vittorioso”, attribuito allo scultore greco lisippo di Sicione e ritrovato accidentalmente al largo della costa marchigiana negli anni Sessanta, per essere poi -a seguito di una serie di trasferimenti intermedi -acquistato dal getty museum di Malibu, dove è tuttora esposto. Sulla vicenda cfr. P. CiPollA, Sulla obbligatorietà della confisca di beni culturali appartenenti allo stato illecitamente esportati, in Giur. merito, 9/2011; A. gAiTo -M. AnTinuCCi, Prescrizione, terzo estraneo e confisca in executivis di beni archeologici (a margine della vicenda dell’atleta vittorioso di Lisippo), in La giustizia patrimoniale penale, a cura di A. bArgi, Vol. ii, utet, Torino, 2011, pp. 1188 ss.; A. lAnCioTTi, Patrimonio culturale sommerso: tutela dei beni archeologici e limiti alla cooperazione internazionale, in Arch. pen., 2011, p. 209; l. luPAriA, Tutela dei beni culturali e processo penale, cit., pp. 199 ss. (12) Che la confisca comporti un acquisto a titolo originario in favore dello Stato è riconosciuto da giurisprudenza pressoché unanime: cfr. ex plurimis Cass. civ., Sez. trib., 15 gennaio 2020, n. 554; Cass. civ., Sez. ii, 19 agosto 2019, n. 21445; Cass. pen., Sez. un., 19 dicembre 2006 (dep. 8 gennaio 2007), n. 57; Cass. pen., Sez. i, 31 gennaio 2018, (dep. 17 maggio 2018), n. 21975, secondo la quale “A ben vedere, lì dove sul bene oggetto di confisca insista un preesistente diritto reale di godimento la attribuzione del bene allo Stato a titolo originario ne provoca l'estinzione (arg. D.Lgs. n. 159 del 2011, ex art. 45) e l'unico tema di discussione risulta essere l'esistenza o meno di un diritto dell'usufruttuario ad ottenere un indennizzo, in applicazione analogica di quanto previsto dall'art. 1020 c.c.”. del resto, tale conclusione trova un’esplicita conferma nell’art. 45, comma 1, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, il quale -in armonia con quanto disposto per il provvedimento di espropriazione dall’art. 25, d.P.r. 8 giugno 2001, n. 327 -dispone che “A seguito della confisca definitiva di prevenzione i beni sono acquisiti al patrimonio dello Stato liberi da oneri e pesi. La tutela dei diritti dei terzi è garantita entro i limiti e nelle forme di cui al titolo IV”: ciò secondo una disposizione espressamente dettata per la confisca di prevenzione, la cui analitica disciplina è considerata dalla giurisprudenza maggioritaria come punto di riferimento per la totalità delle confische, regolate da una normativa ben più laconica. (13) l’affermazione si attaglia in modo particolare alla confisca prevista dall’art. 174, comma 3, d.lgs. 22 gennaio 2004, definita dalla giurisprudenza maggioritaria come “misura recuperatoria di carattere amministrativo”, adottabile anche in caso di proscioglimento per prescrizione, “anche se il giudizio penale fosse stato introdotto al solo scopo di poter disporre, attraverso gli accertamenti connessi allo svolgimento degli atti di fronte alla Autorità giudiziaria [...] la confisca” (così Cass. pen., Sez. iii, 30 novembre 2018, dep. 2 gennaio 2019, n. 22, cit.) ovvero contestualmente ad un provvedimento di archiviazione: cfr. in tal senso Cass. pen., Sez. iii, 10 giugno 2015, n. 42458, in Dir. Pen. Cont., 23 novembre 2015, con nota di r. MuzziCA, Confisca dei beni culturali e prescrizione: contro o oltre Varvara?, il quale critica l’inquadramento giurisprudenziale dell’istituto, qualificando la misura come “sanzione civilistica” (cfr. in particolare pp. 13 ss.). ConTribuTi di doTTrinA in ogni caso, l’individuazione dell’avente diritto alla restituzione dei beni archeologici sequestrati è affidata alla tralatizia affermazione giurisprudenziale per cui “secondo la costante interpretazione offerta dal giudice di legittimità alla disposizione prevista dal D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 91, il possesso di beni di interesse archeologico -appartenenti come tali al patrimonio indisponibile dello Stato -si presume illegittimo, a meno che il detentore non dimostri di averli legittimamente acquistati in epoca antecedente all'entrata in vigore della L. 20 giugno 1909, n. 364” (14), ovvero non dimostri la ricorrenza degli eccezionali casi “di proprietà privata di beni archeologici ritrovati o scoperti dopo il 1909, quando i beni stessi siano stati ceduti dallo Stato come indennizzo (art. 43), premio (artt. 44, 46, 47 e 49) o ad altro titolo (L. n. 1089 del 1939, artt. 24 e 25)” (15). in altri termini, al di fuori di alcune marginali evenienze, la giurisprudenza ritiene operante una vera e propria presunzione di appartenenza dei beni archeologici al patrimonio indisponibile dello Stato (16), desunta dal combinato disposto dei citati artt. 826 c.c. e 91, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (17) e riassumibile nell’espressione “in dubio pro aerario”. (14) Così Cass. pen., Sez. iV, 22 marzo 2016 (dep. 11 aprile 2016), n. 14792. (15) Così Cass. pen., Sez. iii, 26 aprile 2018 (dep. 29 maggio 2018), n. 24065. nello stesso senso, cfr. Cass. pen., Sez. iii, 11 marzo 2021 (dep. 30 aprile 2021), n. 16513. È bene sottolineare che nel citare le ipotesi in cui “i beni stessi siano stati ceduti dallo Stato come indennizzo (art. 43), premio (artt. 44, 46, 47 e 49) o ad altro titolo (L. n. 1089 del 1939, artt. 24 e 25)”, la Suprema Corte fa riferimento a disposizioni contemplate dalla non più vigente l. 1 giugno 1939, n. 1089, abrogata dall'art. 166, d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490. Per le ipotesi di dominio privato su beni archeologici contemplate dalla normativa vigente cfr. supra, nt. 4. (16) È bene sottolineare che per la giurisprudenza tale “presunzione di proprietà statale […] non crea un'ingiustificata posizione di privilegio probatorio perché siffatta presunzione si fonda, oltre che sull'id quod plerumque accidit, anche su una "normalità normativa" sicché, opponendosi una circostanza eccezionale, idonea a vincere la presunzione, deve darsene la prova da chi vi abbia interesse”: così Cass. pen., Sez. iii, 30 novembre 2018, dep. 2 gennaio 2019, n. 22, cit. (confermata ex plurimis da Cass. pen., Sez. iii, 11 marzo 2021, dep. 30 aprile 2021, n. 16513), il cui argomentare trova rispondenza anche nella giurisprudenza civile. Cfr. Cass. civ., Sez. i, 10 febbraio 2006, n. 2995, in Giust. civ., 2007, pp. 2231 ss. con nota di P. CiPollA, Discordanze tra cassazione civile e penale in tema di beni culturali. (17) in apertura del presente scritto si è visto come le due disposizioni si riferiscano ai reperti archeologici e ad altre categorie di beni culturali tassativamente individuate. ne discende che per i beni culturali non annoverati in tale elencazione si applicherà un diverso regime (tratteggiato dal d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42), ed ogniqualvolta si tratti di un bene mobile di proprietà privata (con conseguente inapplicabilità dell’art. 1145 c.c.) si presta ad essere invocata la regola “possesso vale titolo” ex art. 1153 c.c. nondimeno, onde evitare di legittimare l’acquisto di beni culturali sottratti illecitamente, la giurisprudenza sottopone ad un vaglio particolarmente attento la verifica del presupposto della buona fede soggettiva. È al riguardo emblematica la sentenza Cass. civ., Sez. ii, 14 settembre 1999, n. 9782, che ha negato l’applicabilità della regola “possesso vale titolo” in un caso di acquisto all’asta di un dipinto di giorgio de Chirico ("natura morta con pesci") precedentemente oggetto di furto in abitazione, anche considerando che l’acquirente era “nelle condizioni, quale esperto conoscitore delle opere di De Chirico, di accertare se il quadro in questione rientrasse tra quelli oggetto di indagini da parte degli organi di polizia o dei carabinieri ad esse preposti, tal che era fondato ritenere che il predetto avesse omesso di usare anche quel minimo di diligenza proprio delle persone non competenti in tale settore”. rASSEgnA AVVoCATurA dEllo STATo -n. 3/2021 nonostante la probatio diabolica posta a carico dei privati dalla costante giurisprudenza di legittimità possa apparire prima facie in grado di prevenire in radice ogni controversia sulla titolarità dei diritti dominicali sui beni archeologici sequestrati, va segnalato che a volte può risultare dubbia la ricorrenza dei presupposti di una siffatta presunzione. Segnatamente, possono talvolta non risultare pacifici: lo stesso carattere archeologico dei beni (il quale presuppone una valutazione tecnica intrinsecamente opinabile) (18); il reperimento dei beni medesimi “nel sottosuolo” (secondo quanto prescritto dai citati artt. 826 c.c. e 91, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42); la provenienza dei beni suddetti dal territorio italiano (tenuto conto che secondo l’unanime -condivisibile -orientamento giurisprudenziale in materia “gli art. 826 e 828 c.c. [...] nel definire il patrimonio indisponibile dello Stato [...] si riferiscono esclusivamente al patrimonio artistico nazionale” (19). in particolare, la Suprema Corte ha statuito che “La buona fede rilevante, ai sensi dell'art. 1153 c.c., per l'acquisto a non domino della proprietà di beni mobili, deve ricorrere in capo all'acquirente al momento dell'acquisto (mala fides superveniens non nocet) e la relativa presunzione di sussistenza, può essere vinta in concreto anche tramite presunzioni semplici, le quali siano gravi, precise e concordanti e forniscano, in via indiretta (com'è normale, trattandosi di accertare l'esistenza o meno di uno stato psicologico), il convincimento della esistenza in capo all'acquirente del ragionevole sospetto di una situazione di illegittima provenienza del bene. Gli elementi sui quali si possono fondare dette presunzioni possono essere costituiti (oltre che da circostanze coeve) anche da circostanze estrinseche precedenti all'acquisto”. il tema è approfondito da g. MAgri, Beni culturali e acquisto a non domino, in Riv. Dir. Civ., 2013, pp. 10741 ss., il quale auspica l’esclusione de jure condendo dei beni culturali dal campo di applicazione del citato art. 1153, in quanto allo stato “un bene culturale rubato in uno Stato estero, rivenduto in Italia (dove il giudice applica il 1153) e quindi nuovamente trasferito nello Stato d'origine, non potrà più essere rivendicato dal vecchio proprietario neppure invocando direttiva o convenzioni, le quali hanno efficacia ed impongono obblighi restitutori solo e fintanto che i beni si trovano all'estero. È abbastanza evidente come questo escamotage rischi di rendere l'Italia un mercato particolarmente appetibile per i beni culturali rubati. Le prove non mancano, basti pensare al celebre caso degli arazzi del Palazzo di Giustizia di Riom, i quali, rubati in Francia e rivenduti in Italia, non furono restituiti allo Stato francese, che li rivendicava, proprio in virtù della lex loci e dell'applicabilità del 1153 c.c. Ancora più emblematico il caso Winkworth vs. Christie, riguardante alcuni pezzi di antiquariato giapponese, rubati in Inghilterra, quindi trasferiti in Italia, dove furono acquistati in buona fede da un privato, il quale li affidò alla nota casa d'aste Christie's, affinché li rivendesse in Inghilterra. Il vecchio e derubato proprietario, accortosi della vendita, agì in giudizio sia nei confronti dell'acquirente italiano, sia della casa d'aste, chiedendo la restituzione dei beni. Nella sua sentenza Justice Slade respinse la domanda osservando che "under Italian law a purchaser of movables acquires a good title notwithstanding any defect in the seller's title or in that of prior transferors provided that the purchaser is in good faith at the time of delivery, the transaction is carried out in a manner which is appropriate, as regards the documentation effecting or evidencing the sale, to a transaction of the type in question rather than in some manner which is irregular as regards documentation and the purchaser is not aware of any unlawful origin of the goods at the time when he acquires them" ”. Cfr. anche infra, nt. 19. (18) nello stesso senso cfr. M. Fiorilli -S. gATTi, Beni culturali. Fiscalità, mecenatismo, circolazione, cit., p. 19. (19) Così Cass. civ., Sez. i, 24 novembre 1995, n. 12166, che ha respinto il ricorso promosso nel- l’interesse dello Stato francese per ottenere la restituzione di due arazzi del 1760 (trafugati dal Palazzo di giustizia di riom e successivamente venduti in italia), rilevando che “invero, il carattere di indisponibilità del bene mobile in oggetto, non deriva sic et simpliciter dalla disciplina degli artt. 826 e 828 c.c. Infatti ConTribuTi di doTTrinA il metro di giudizio adottato in giurisprudenza per risolvere i casi dubbi è tutt’altro che univoco. A fronte di un orientamento volto ad affermare che i beni “devono essere restituiti allo Stato non soltanto in caso di positiva verifica del loro ‘interesse culturale’, ma anche nel caso in cui, risoltasi negativamente detta verifica, il detentore non fornisca prova della legittimità della detenzione” (20) (così rafforzando ulteriormente la presunzione anzidetta), si ravvisano nella giurisprudenza di merito pronunce restie ad ordinare la restituzione allo Stato dei beni non pacificamente connotati dai presupposti per l’applicazione degli artt. 826 c.c. e 91, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, ed inclini a disporne la restituzione agli individui destinatari del provvedimento cautelare (21), ovvero -più cautamente -a rimettere la questione al giudice civile ai sensi degli artt. 263, comma 3 e 324, comma 8, c.p.p. (22), mantenendo nel frattempo il sequestro. 2. Iniziative processuali a disposizione del ministero per i beni e le attività culturali: intervento, impugnazione, incidente di esecuzione. il più delle volte, la decisione sulla restituzione sarà adottata senza previo contraddittorio con lo Stato (ed in particolare con il Ministero per i beni e le attività culturali)(23), che non riveste la qualità di parte necessaria. le disposizioni qualificative e precettive di una norma interna ineriscono essenzialmente a categorie giuridiche riconosciute come proprie da quello stesso ordinamento, non necessariamente a quelle tipiche di un ordinamento straniero. Così, quando gli articoli citati del codice civile fanno riferimento al patrimonio indisponibile dello "Stato, delle province e dei comuni", adottano qualificazioni di enti pubblici territoriali dell'ordinamento italiano […] Né con riferimento alle cose di interesse artistico e storico, l'inalienabilità prevista dall'art. 23 della L. 1 giugno 1939 n. 1039, qualora le cose appartengano allo "Stato o ad altro ente o istituto pubblico", può avere riferimento a qualsiasi Stato o ente pubblico straniero, essendo tutto il sistema della legge volto alla tutela dei beni di interesse storico ed artistico secondo l'ordinamento interno, tanto che il divieto di esportazione (art. 35) viene rapportato al "danno per il patrimonio storico e culturale nazionale", con un riferimento evidente all'ordinamento italiano. […] solo dimostrando l'acquisto di mala fede, o in situazione di colpa grave […] lo Stato ricorrente potrebbe superare la presunzione di buona fede dell'art. 1147 comma 3 c.c. nonché il titolo di proprietà, costituito dal possesso di buona fede ai sensi dell'art. 1153 c.c.”. Cfr. supra, nt. 17, nonché g. MAgri, Beni culturali e acquisto a non domino, cit., spec. nt. 63, ove si legge che “la sentenza, alla luce del diritto attualmente vigente, non sarebbe più condivisibile; contrasterebbero, con il principio in essa enunciato, oltre che la direttiva 93/7/CEE più volte citata ed attuata in Italia soltanto nel 1998 (legge 30 marzo 1998, n. 88), anche la convenzione Unidroit (ratificata dall'Italia con legge 7 giugno 1999, n. 213) che impegna gli Stati aderenti a vigilare e reprimere l'esportazione-importazione di beni culturali rubati o illecitamente sottratti prevedendo l'obbligo di restituzione dei beni culturali che siano stati rubati, illecitamente esportati, o ricavati da scavi illeciti”. Che l’art. 826 c.c. “non si applica a beni appartenenti a Stato estero” è stato confermato anche da T.A.r. lazio, sez. ii, 20 aprile 2007, n. 3518, considerata infra, nt. 54. (20) Così Cass. pen., Sez. iV, 22 marzo 2016 (dep. 11 aprile 2016), n. 14792, cit. (21) Cfr. Trib. bolzano, 10 ottobre 2018, inedita. (22) Cfr. Trib. Verona, 6 luglio 2020, inedita. (23) il quale è titolare del compito di assicurare la “tutela, gestione e valorizzazione dei beni culturali”, ai sensi dell’art. 1, d.lgs. 20 ottobre 1998, n. 368. Tale disposizione induce ad attribuire la legit rASSEgnA AVVoCATurA dEllo STATo -n. 3/2021 nondimeno, la possibilità che i beni sequestrati vengano restituiti all’imputato (o ad altro soggetto privato) alimenta l’interesse statale a partecipare ai relativi procedimenti, al fine di dimostrare la sussistenza dei presupposti dettati dall’art. 826 c.c. Fino a quando non sia stato individuato il titolare del diritto alla restituzione dei beni sequestrati, è pressoché indiscusso che il Ministero (al pari di qualsivoglia altro soggetto che si ritenga proprietario) abbia facoltà di intervenire nel procedimento, a sostegno delle proprie ragioni. depongono in tal senso in primo luogo i capoversi degli artt. 263 e 355 c.p.p., che nella fase delle indagini preliminari impongono il coinvolgimento dei soggetti diversi dall’imputato che appaiano titolari dei beni sottoposti a vincolo reale. Al contempo, militano nella stessa direzione i poteri di impugnazione espressamente accordati dalla legge alla persona “che avrebbe diritto alla restituzione” dei beni sequestrati. il riferimento è agli artt. 257, 322 e 355, comma 3 c.p.p., che nel delineare una siffatta facoltà di proporre gravame avverso determinati provvedimenti, sembrano sottintendere una facoltà di partecipazione ai relativi procedimenti: come esplicitamente statuito dalle Sezioni unite in relazione al procedimento di riesame, “l'intervento spontaneo nel giudizio [...] della persona offesa che abbia diritto alle restituzioni [...] rappresenta la manifestazione "minore" di una più ampia facoltà espressamente ammessa dalla legge (art. 322 c.p.p.). Corollario di tale principio è l'attribuzione all'interveniente qualificato delle stesse prerogative riconosciute al richiedente” (24). laddove la notizia del sequestro di beni archeologici giunga a conoscenza del Ministero soltanto successivamente alla definizione del giudizio e all’adozione di un provvedimento di restituzione nei confronti di soggetti privati, lo strumento processuale esperibile sarà l’incidente di esecuzione. Tale conclusione si fonda sul combinato disposto degli artt. 263, comma 6 e 676 c.p.p. (il quale prevede tra l’altro che “il giudice dell’esecuzione è competente a decidere in ordine [...] alla restituzione delle cose sequestrate”), ed è imposta dall’esigenza di offrire al legittimo titolare la possibilità di determinare la caducazione di un provvedimento giudiziale volto a disporre la restituzione del bene ad individui privi di titolo, senza essere costretto ad instaurare un giudizio petitorio in sede civile, suscettibile di dar luogo ad un contrasto tra giudicati. timazione a partecipare ai procedimenti sulla proprietà di beni archeologici al dicastero preposto alla cura e alla promozione della Cultura, piuttosto che al Ministero dell’Economia e delle Finanze, chiamato a gestire il patrimonio statale ex art. 23 d.lgs. 30 luglio 1999, n. 300. (24) Così Cass. pen., Sez. un., 29 maggio 2008 (dep. 26 giugno 2008), n. 25932, in Cass. pen., 2009, pp. 1110 ss. con nota di A. ViolA, Sull'estensione del diritto di partecipazione all'udienza di riesame ex art. 324 c.p.p. ConTribuTi di doTTrinA le considerazioni appena esposte hanno trovato conferma in sede giurisprudenziale, laddove è stato affermato che “la scelta del legislatore di non assicurare la partecipazione dei controinteressati al procedimento [...] non è suscettibile di recare pregiudizio irreparabile alle ragioni dell'avente diritto alla restituzione delle cose sequestrate. Infatti, ‘il terzo rimasto estraneo al procedimento di restituzione delle cose sottoposte a sequestro preventivo può proporre esclusivamente incidente di esecuzione avverso la decisione conclusiva dello stesso, per far valere, in ogni tempo, il proprio diritto alla restituzione’ ” (25). la medesima soluzione si impone a fortiori nei casi in cui l’interessato, oltre a non aver partecipato al procedimento, sia sprovvisto del potere di proporre gravame avverso la decisione adottata: il che ad esempio avviene laddove la restituzione in favore di un soggetto privo di titolo sia stata disposta a seguito di incidente di esecuzione (26), posto che l’art. 667, comma 4, c.p.p. (27) (richiamato dall’art. 676, comma 1, ultimo periodo) sembra riservare la facoltà di impugnazione a chi abbia ricevuto apposita comunicazione dalla cancelleria. Ad ogni modo, come anticipato, nel prendere atto che in virtù di una preclusione siffatta “i terzi interessati [...] non potendo impugnare la sentenza in tal caso rimarrebbero sforniti di tutela”, la giurisprudenza ammette che “il terzo, che non è parte del giudizio, è legittimato a promuovere incidente di esecuzione per far valere le proprie ragioni, in linea con il disposto di cui all'art. 263 c.p.p., comma 6” (28). in definitiva, i (non numerosi) precedenti di legittimità editi sulla questione depongono nel senso di abilitare l’avente diritto che non abbia partecipato al processo a proporre in ogni tempo incidente di esecuzione per ottenere la restituzione dei beni attribuiti ad altri soggetti dal giudice penale, dato che altrimenti opinando l’interessato sarebbe gravato dell’onere di proporre una complessa azione di rivendicazione innanzi al giudice civile, con il connesso rischio di dar luogo ad un conflitto tra provvedimenti giurisdizionali. (25) Così Cass. pen., Sez. ii, 13 ottobre 2011 (dep. 28 ottobre 2011), n. 39210. (26) Cfr. la citata Cass. pen., Sez. iii, 30 novembre 2018 (dep. 2 gennaio 2019), n. 22, laddove ha ribadito “quanto già rilevato da questa Corte con la ordinanza n. 24356 del 2014. Invero, in tale caso, la Corte di cassazione (richiamato un ulteriore precedente giurisprudenziale costituito dalla sentenza Corte di cassazione, Sezione 1 penale, 21 gennaio 2009, n. 2453) […] ha rilevato che la procedura di esecuzione costituisce la sede ove può essere operato ogni accertamento che si sia reso necessario per valutare la domanda introdotta con l'incidente di esecuzione, tenuto conto dei principi in tema di ampiezza dell'accertamento che il giudice può compiere in occasione della valutabilità della richiesta di confisca anche in presenza di una sentenza di proscioglimento ovvero di un provvedimento di archiviazione”. (27) in base al quale “Il giudice dell'esecuzione provvede in ogni caso senza formalità con ordinanza comunicata al pubblico ministero e notificata all'interessato. Contro l'ordinanza possono proporre opposizione davanti allo stesso giudice il pubblico ministero, l'interessato e il difensore; in tal caso si procede a norma dell'articolo 666. L'opposizione è proposta, a pena di decadenza, entro quindici giorni dalla comunicazione o dalla notificazione dell'ordinanza”. (28) Così Cass. pen., Sez. V, 9 febbraio 2015 (dep. 22 luglio 2015), n. 32262. rASSEgnA AVVoCATurA dEllo STATo -n. 3/2021 3. La rimessione della controversia al giudice civile ex art. 263, comma 3, c.p.p.: forme della translatio iudicii e rapporti con la rivendicazione ex art. 948 c.c. Tanto in sede di incidente di esecuzione, quanto nel corso del procedimento, il giudice penale è dotato di un ambito di cognizione piuttosto ristretto in punto di accertamento della proprietà di beni sequestrati, come risulta univocamente dal codice di rito. Come anticipato, l’art. 263, comma 3 c.p.p. (richiamato dall’art. 676 c.p.p. e pressoché testualmente riprodotto dall’art. 324, comma 8, c.p.p.) sancisce che “In caso di controversia sulla proprietà delle cose sequestrate, il giudice ne rimette la risoluzione al giudice civile del luogo competente in primo grado, mantenendo nel frattempo il sequestro”. nel disporre in tal senso, le previsioni appena citate svelano come, laddove sorga una “controversia sulla proprietà” (indiziata dall’esigenza di procedere ad accertamenti dotati di un qualche grado di complessità, ad esempio in quanto si riveli opportuno integrare il contraddittorio nei confronti di soggetti terzi ovvero disporre una perizia), al giudice penale sia precluso procedere oltre, essendo egli vincolato a rimettere la questione al suo giudice naturale, i.e. al giudice civile. Al contempo, secondo la Corte di legittimità, affinché l’accertamento della proprietà di beni sequestrati sia demandato al giudice civile, è imprescindibile che “il giudice penale dia adeguato apprezzamento in motivazione della serietà della potenziale controversia” (29): può dirsi infatti “consolidata la giurisprudenza secondo la quale in tema di riesame, il principio di cui all'art. 324 c.p.p., comma 8, secondo cui, nel caso di contestazione della proprietà, il giudice penale rinvia la decisione della controversia al giudice civile, mantenendo nel frattempo il sequestro, presuppone che il giudice adempia al- l'onere di accertare la reale esistenza di una controversia, che deve essere effettiva e, quindi, già instaurata oppure instauranda” (30). Ad ogni modo, nonostante la legge imponga al giudice un vaglio siffatto, la decisione ex art. 263, comma 3, c.p.p. che sia stata adottata in assenza di esso non appare in concreto censurabile, tenendo conto che per giurisprudenza costante “è inoppugnabile il provvedimento con cui il giudice [...] rimette le parti dinanzi al giudice civile per la risoluzione della questione sulla proprietà, in quanto esso non ha contenuto decisorio, né formale, né sostanziale, ma ha natura interlocutoria e non pregiudica i diritti delle parti che possono essere fatti valere nel giudizio civile” (31). in definitiva, in concreto il giudice penale ha il potere insindacabile di ri (29) Così Cass. pen., Sez. ii, 24 ottobre 2019 (dep. 5 dicembre 2019), n. 49531. (30) Così Cass. pen., Sez. ii, 12 novembre 2013 (dep. 24 febbraio 2014), n. 8827. (31) Così Cass. pen., Sez. i, 25 giugno 2018 (dep. 9 luglio 2018), n. 31088. ConTribuTi di doTTrinA mettere al giudice civile la controversia sulla proprietà dei beni sequestrati, mantenendo il vincolo ablativo fino alla definizione del contenzioso civile. restano da individuare tempi e forme della translatio iudicii (32), posto che il citato art. 263 nulla dispone in proposito. nel silenzio della legge, la scelta dell’atto difensivo da predisporre oscilla tra una comparsa in riassunzione ex art. 125 disp. att. c.p.c. (33) ed un’ordinaria citazione in rivendicazione ex artt. 163 c.p.c. e 948 c.c., da proporsi su impulso della parte più diligente (34). Al contempo, la mancata previsione di un termine perentorio sembra indiziare la proponibilità dell’azione sine die, a fronte del principio generale di tassatività dei termini decadenziali, scolpito negli artt. 152, comma 2, c.p.c. e 173, comma 1, c.p.p. (35). Tra gli aspetti più problematici vi è la definizione del grado di assimilabilità del procedimento “riassunto” ex art. 263, comma 3, c.p.p. ad un’ordinaria rei vindicatio ex art. 948 c.c., specie per quanto riguarda la ripartizione del- l’onere probatorio. (32) È peraltro dubbio se l’art. 263, comma 3 c.p.p. dia luogo ad una translatio in senso tecnico, intesa come “translatio iudicii con conservazione degli effetti della domanda”, secondo la terminologia utilizzata nell’importante sentenza C. Cost., 12 marzo 2007, n. 77, in federalismi.it con nota di M.A. SAndulli, I recenti interventi della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione sulla traslatio iudicii. in senso contrario alla configurabilità di una translatio in senso tecnico sembra deporre la circostanza per cui “La giurisprudenza civile, infatti, in più di un'occasione ha stabilito che il problema della ripartizione della potestas iudicandi, nel plesso giurisdizionale ordinario, tra il giudice civile ed il giudice penale non pone una questione di competenza, secondo la nozione desumibile dal codice di procedura civile, configurabile esclusivamente in riferimento a contestazioni riguardanti l'individuazione del giudice al quale, tra i vari organi di giurisdizione in materia civile, è devoluta la cognizione di una determinata controversia [e] non pone neppure una questione di ripartizione della potestas iudicandi tra organi cui è demandato l'apprezzamento del medesimo profilo, potendo determinare esclusivamente un'interferenza tra giudizi, che si traduce in un limite che attiene alla proponibilità della domanda”: così Cass. civ., Sez. Vi, 24 maggio 2021, n. 14174, che ha sollecitato un revirement rispetto a tali principi di diritto, rimettendo “gli atti al Primo Presidente, affinché valuti l'opportunità di affidare la decisione del presente regolamento di competenza all'esame delle Sezioni Unite, per risolvere la stasi processuale che si è venuta a creare in ragione del conflitto di competenza tra giudice penale e giudice civile”. Sembra deporre in senso contrario ad una translatio in senso stretto anche Cass. pen., Sez. un., 28 gennaio 2021 (dep. 4 giugno 2021), n. 22065, nei passaggi argomentativi citati infra, nt. 40. (33) Ai sensi del quale, per quanto più interessa in questa sede, “Salvo che dalla legge sia disposto altrimenti, la riassunzione della causa è fatta con comparsa, che deve contenere: (omissis)”. (34) Altra questione concerne l’individuazione del giudice civile competente. Se in generale gli artt. 25 c.p.c. e 6 r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611 radicano la competenza delle controversie civili che coinvolgano un’Amministrazione statale presso il “giudice del luogo dove ha sede l'ufficio dell'Avvocatura dello Stato, nel cui distretto si trova il giudice che sarebbe competente secondo le norme ordinarie” (c.d. Foro erariale), il riferimento dell’art. 263, comma 3, c.p.p. al “giudice civile del luogo” sembrerebbe attribuire alla disposizione carattere speciale (sulla falsariga degli artt. 413 c.p.c. o 6, comma 2, d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150), con conseguente ascrizione della controversia alla cognizione del medesimo Tribunale competente in sede penale. (35) in particolare, il capoverso della disposizione processualcivilistica prevede che “I termini stabiliti dalla legge sono ordinatori, tranne che la legge stessa li dichiari espressamente perentori”, mentre in base alla previsione processualpenalistica “I termini si considerano stabiliti a pena di decadenza soltanto nei casi previsti dalla legge”. rASSEgnA AVVoCATurA dEllo STATo -n. 3/2021 Come è noto, per giurisprudenza costante l’accoglimento della domanda di rivendicazione è subordinato all’assolvimento della “probatio diabolica della titolarità del proprio diritto” (36), posto che in caso contrario l’art. 2697 c.c. impone la reiezione della domanda a vantaggio del convenuto, che ben può limitarsi a stare in giudizio avvalendosi della difesa “possideo quia possideo” (37) e risultare vittorioso in ragione del mero stato di possessore, quand’anche sprovvisto di un titolo di proprietà. del resto, la Suprema Corte ha più volte affermato che tale riparto del- l’onere probatorio resta fermo anche laddove il convenuto in rivendicazione formuli una domanda riconvenzionale volta all’accertamento del proprio diritto dominicale (38), secondo un principio che si presta ad essere applicato anche laddove la res contesa sia sottoposta a sequestro giudiziario ex art. 670 c.p.c. (39). (36) Così ex plurimis Cass. civ., Sez. ii, 29 ottobre 2019, n. 27700. Cfr. anche Cass. civ., Sez. Vi, 10 settembre 2018, n. 21940, secondo la quale “In tema di azione di rivendicazione, ai fini della "probatio diabolica" gravante sull'attore, tenuto a provare la proprietà risalendo, anche attraverso i propri danti causa, fino all'acquisto a titolo originario, ovvero dimostrando il compimento dell'usucapione, non è sufficiente produrre l'atto di accettazione ereditaria, che non prova il possesso del dante causa, né il contratto di acquisto del bene, che non prova l'immissione in possesso dell'acquirente”. Tale consolidato orientamento dottrinale e giurisprudenziale è sottoposto a critica da A. nATuCCi, L'onere della prova nell'azione di rivendica, in Nuova Giur. Civ. Comm., 2015, pp. 531 ss. in particolare, l’Autore rileva come nel diritto romano “L'usucapione non sembra dunque che fosse essenziale nel processo di rivendica, ma soltanto eventuale, essendo richiesta solo se il titolo derivativo vantato dall'attore fosse stato contestato”, ravvisando il fondamento dell’orientamento consolidato “nel fraintendimento del carattere di assolutezza del diritto di proprietà e nell'asserita necessità conseguente che venga provato un titolo valevole in assoluto, erga omnes [...] ogni diritto, infatti, relativo o assoluto che sia, viene accertato giudizialmente, e «fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa», come dispone l'art. 2909 cod. civ. sulla cosa giudicata. E a questa regola non fa certamente eccezione la proprietà che, sebbene sia un diritto assoluto, viene accertato con efficacia di giudicato verso le parti, i loro successori universali (gli eredi) e nei confronti di particolari terzi, gli aventi causa (a titolo particolare), legati alle parti da un nesso di dipendenza; non certo, però, nei confronti di tutti coloro (i ceteri omnes) che sono estranei al diritto di proprietà. […] A colui che esercita l'azione di rivendica s'impone l'onere di provare un valido fatto acquisitivo della proprietà, senza distinguere, come non distingue la legge (art. 922 cod. civ.), se sia a titolo derivativo o a titolo originario. Sarà poi compito e onere del convenuto proporre eccezioni idonee a togliere fondamento all'affermazione e alle prove dell'attore […] E solo in base alla contestazione del convenuto sarà necessaria la prova di un acquisto a titolo originario”. (37) Sull’origine storica del c.d. commodum possessionis cfr. A. nATuCCi, L'onere della prova nell'azione di rivendica, cit., pp. 531 ss. (38) Cfr. Cass. civ., Sez. ii, 19 agosto 2019, n. 21457, secondo cui “Il rigore della regola secondo cui chi agisce in rivendicazione deve provare la sussistenza del proprio diritto di proprietà o di altro diritto reale sul bene anche attraverso i propri danti causa, fino a risalire a un acquisto a titolo originario o dimostrando il compimento dell'usucapione, non riceve attenuazione per il fatto che la controparte proponga domanda riconvenzionale ovvero eccezione di usucapione, in quanto chi è convenuto nel giudizio di rivendicazione non ha l'onere di fornire alcuna prova, potendo avvalersi del principio possideo quia possideo, anche nel caso in cui opponga un proprio diritto di dominio sulla cosa rivendicata, dal momento che tale difesa non implica alcuna rinuncia alla più vantaggiosa posizione di possessore”. nello stesso senso cfr. ex plurimis Cass. civ., Sez. iii, 7 giugno 2018, n. 14734. (39) in base a tale disposizione, il giudice può autorizzare un siffatto sequestro di beni mobili o immobili, “quando ne è controversa la proprietà o il possesso, ed è opportuno provvedere alla loro cu ConTribuTi di doTTrinA orbene, se la natura sostanzialmente petitoria della controversia rimessa al giudice civile con ordinanza ex art. 263, comma 3, c.p.p. può apparire tale da comportare l’integrale applicazione delle regole che governano la rei vindicatio (40) (con conseguente collocazione della parte convenuta in una posizione più agevole di quella che abbia introdotto il giudizio, gravata del c.d. “rischio della mancata prova” ex art. 2697 c.c.) (41), potrebbe anche sostenersi che la preesistenza di un sequestro penale sia in grado di giustificare una conclusione differente, secondo la quale il mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte di chi abbia instaurato il giudizio non comporterebbe senz’altro un esito favorevole alla parte convenuta. Secondo tale prospettazione, in particolare, laddove neanche la parte chiamata in giudizio dimostri di essere proprietaria, il giudice civile non sarebbe legittimato a disporre la restituzione del bene in favore di uno dei contendenti, dovendo lasciar permanere il sequestro sine die, ferma restando la possibilità che soggetti terzi propongano un nuovo incidente di esecuzione teso all’apprensione dei beni sottoposti a vincolo cautelare. Ad ogni modo, a fronte dell’opacità del dato normativo (e della plausibilità della tesi che ascrive integralmente il processo “riassunto” alle regole civilistiche), va da sé che la parte che si ritenga priva di consistenti chances di vittoria eviterà di introdurre il giudizio, attendendo che vi provveda l’altro contendente, secondo una strategia processuale in grado di permettergli di beneficiare del più favorevole trattamento riservato alla parte convenuta. Va a questo punto rilevato come, nella valutazione relativa all’opportunità di introdurre il giudizio, rispetto ai soggetti privati lo Stato sia in una posizione di favore. in effetti, quest’ultimo appare nella condizione di acquisire la titolarità dei cespiti anche laddove nessuna delle parti proceda ad instaurare il giudizio civile, ovvero laddove il medesimo non si concluda a vantaggio di alcuna delle parti. stodia o alla loro gestione temporanea”. la natura cautelare di tale misura ne comporta l’ininfluenza rispetto alla definizione della causa di merito, che resta soggetta alle regole sue proprie. Cfr. ex plurimis C. FErri, voce Sequestro, in Dig. Disc. Priv., Cedam, Padova, 1998. (40) Sembra deporre in tal senso la decisione Cass. pen., Sez. un., 28 gennaio 2021 (dep. 4 giugno 2021), n. 22065, che nell’enunciare il principio di diritto per cui “In caso di annullamento ai soli effetti civili, da parte della Corte di cassazione, per la mancata rinnovazione in appello di prova dichiarativa ritenuta decisiva, della sentenza che in accoglimento dell'appello della parte civile avverso la sentenza di assoluzione di primo grado, abbia condannato l'imputato al risarcimento del danno, il rinvio per il nuovo giudizio va disposto dinanzi al giudice civile competente per valore in grado di appello”, ha condiviso la “tesi della fase autonoma del giudizio civile di ‘rinvio’”, con la conseguenza “ragionevole che all’illecito civile tornino ad applicarsi le regole sue proprie […] La configurazione del giudizio conseguente all’annullamento in sede penale ai soli effetti civili (art. 622) come giudizio autonomo rispetto a quello svoltosi in sede penale consente alle parti di introdurlo nelle forme civilistiche […] La natura autonoma del giudizio civile comporta conseguenze anche con riferimento all’individuazione delle regole processuali applicabili”. (41) Cfr. per tutti F.P. luiSo, Diritto processuale civile, i, X Ed., giuffré, Milano, 2019, p. 262. rASSEgnA AVVoCATurA dEllo STATo -n. 3/2021 detta conclusione poggia sugli artt. 151, comma 1, e 152, comma 2, del d.P.r. 30 maggio 2002, n. 115 (c.d. testo unico in materia di spese di giustizia), volti a disciplinare in via residuale “la restituzione e la vendita di beni sottoposti a sequestro penale” che non riceva specifica regolamentazione in disposizioni speciali (42). in particolare, in base alla prima disposizione “se l'avente diritto alla restituzione delle cose affidate in custodia a terzi, ovvero alla cancelleria, è ignoto o irreperibile, il cancelliere presenta gli atti al magistrato, il quale ordina la vendita delle cose sequestrate da eseguirsi non oltre sessanta giorni dalla data del provvedimento”, mentre per il capoverso del citato art. 152 “se i beni hanno interesse scientifico o pregio di antichità o di arte, prima della vendita, è avvisato il ministero della giustizia per l'eventuale destinazione di questi beni al museo criminale presso il ministero o altri istituti”. in altri termini, laddove resti ignoto l’avente diritto alla consegna di beni sequestrati dotati di “pregio di antichità”, i medesimi potranno essere definitivamente acquisiti al patrimonio statale, ancorché per il tramite di una articolazione (il Ministero della giustizia) distinta da quella abilitata ad agire in sede giudiziale, da individuare nel Ministero per i beni e le attività culturali (43). Peraltro, la normativa appena esaminata fa sì che lo Stato possa vedersi attribuiti anche i beni di non agevole sussunzione nel paradigma tratteggiato dagli artt. 826 c.c. e 91, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, i.e. i cespiti dei quali risulti dubbio il valore archeologico, come anche il reperimento nel sottosuolo o la provenienza da territorio estero (44). (42) Cfr. in particolare l’art. 149 d.P.r. 30 maggio 2002, n. 115, ove prevede che “La restituzione e la vendita di beni sottoposti a sequestro penale è regolata dalle norme del presente capo, se non diversamente previsto da norme speciali”. il caso in cui l’avente diritto alla restituzione resti ignoto per mancata introduzione del giudizio civile non sembra oggetto di alcuna regolamentazione speciale, a differenza di quanto avviene per la “vendita o distruzione delle cose deperibili”, alla luce del combinato disposto degli artt. 260, comma 3, c.p.p. e 83 ss. disp. att. c.p.p. (43) Cfr. supra, nt. 23. (44) Va ad ogni modo dato conto di orientamenti giurisprudenziali inclini ad interpretare con una certa larghezza il requisito della provenienza dal territorio nazionale: cfr. la più volte citata Cass. pen., Sez. iii, 30 novembre 2018 (dep. 2 gennaio 2019), n. 22, ove statuisce che “diversamente da quanto ritenuto da parte della ricorrente difesa, non vi è dubbio che la statua dell'"atleta vittorioso", in quanto espressione artistica il cui rinvenimento la ha condotta ad essere portata all'interno del territorio nazionale, sia oggetto che costituisce parte del patrimonio artistico dello Stato. Tale rilievo si fonda non solo sulla indubbia circostanza che l'opera è stata rinvenuta da un peschereccio italiano ed issata a bordo di esso, già in tal modo entrando all'interno del territorio nazionale, ma essa è giustificata dalla appartenenza di essa a quella continuità culturale che ha, fin dai primordi del suo sviluppo, legato la civiltà dapprima italica e poi romana alla esperienza culturale greca, di cui quella romana ben può dirsi la continuatrice. […] non può che dedursi la esistenza di un continuum fra la civiltà greca, importata in territorio italico, e la successiva esperienza culturale romana; continuum del quale costituisce una conferma proprio la presenza al largo di (omISSIS), in quelle che ora sono le marche, della statua dell'"atleta vittorioso". Invero in relazione ad essa può ragionevolmente dedursi che, sia che fosse trasportata da una nave salpata a sua volta dal territorio italico -è, infatti, come detto documentata la ConTribuTi di doTTrinA Si è evidentemente di fronte ad una conclusione ampiamente divergente dai principi generali, ma che può trovare giustificazione nel regime derogatorio che caratterizza i beni culturali in genere (45), volto ad assicurarne l’adibizione alla fruizione collettiva. in definitiva, le innanzi citate disposizioni in materia di spese di giustizia, dettate al precipuo scopo di razionalizzare la gestione delle cose sequestrate in genere (46), nel caso dei beni archeologici finiscono per irrobustire la regola di giudizio “in dubio pro aerario” che si è vista discendere dal quadro normativo e giurisprudenziale vigente: anche laddove il giudice penale chiamato ad individuare il titolare delle cose sequestrate rimetta le parti innanzi al giudice civile ex art. 263, comma 3, c.p.p. (così discostandosi dall’orientamento che designa lo Stato “non soltanto in caso di positiva verifica del loro ‘interesse culturale’, ma anche nel caso in cui, risoltasi negativamente detta verifica, il detentore non fornisca prova della legittimità della detenzione”) (47), i beni andranno devoluti all’Erario non solo quando la loro appartenenza al patrimonio indisponibile sia dimostrata nel giudizio civile, ma anche laddove il medesimo non sia affatto introdotto, ovvero si sia concluso senza individuare il legittimo proprietario, lasciando permanere il sequestro. ovviamente, anche successivamente all’attribuzione dei beni allo Stato resta salva la possibilità che un “terzo rimasto estraneo al procedimento di restituzione delle cose sottoposte a sequestro [proponga] incidente di esecuzione […] per far valere, in ogni tempo, il proprio diritto alla restituzione” (48). presenza di Lisippo sicionio in quella che era Taranto -sia che fosse stata trasportata da una nave partita dalle coste ioniche della penisola greca, il luogo di destinazione fosse uno dei porti adriatici della penisola italiana, ad ulteriore testimonianza della appartenenza, ab illo tempore, del manufatto all'orbita culturale del nostro Paese. Ciò, in ragione del rilevante legame culturale fra la statua e l'ambiente nazionale (del quale, come detto, essa costituisce una testimonianza del risalente processo di formazione), rende evidentemente giustificata la esigenza della speciale protezione che deve essere accordata al bene in questione, anche attraverso la sua necessaria materiale riacquisizione al patrimonio artistico nazionale, violato a causa della sua illegittima esportazione all'estero”. (45) il punto è ben illustrato da g. SEVErini, L'immateriale economico nei beni culturali, cit., laddove afferma che “Lo stesso sostantivo "bene", in "beni culturali", sembra implicare una differenziazione, quella da "beni economici": quasi un ossimoro rispetto all'accezione usuale di bene, che intende piuttosto una cosa utile soprattutto economicamente. Il binomio bene culturale va a negare che la giuridicità si esaurisca nel riflesso di un'utilità economica e vi sovrappone un'altra, diversa utilità e meritevolezza di protezione, quella culturale: di suo metaindividuale, di imputazione generale e di finalità metaeconomica; dunque di eccezione a quell'altra e alle istanze individualizzanti e riduttive al mercato (la base dell'eccezione del patrimonio culturale). Non c'è corrispondenza univoca tra i due valori, ma reciproca autonomia e possibile divergenza”. (46) oltre che di evitare che i beni più rilevanti dal punto di vista economico diventino res nullius, sulla falsariga dell’art. 827 c.c. (secondo il quale “I beni immobili che non sono in proprietà di alcuno spettano al patrimonio dello Stato”) e 586 c.c. (a mente del quale “In mancanza di altri successibili, l'eredità è devoluta allo Stato (omissis)”. Sul rapporto tra le due disposizioni cfr. F. d’AVino, La successione dello Stato, in Rass. Avv. Stato, 2020, pp. 279 ss. (47) Così Cass. pen., Sez. iV, 22 marzo 2016 (dep. 11 aprile 2016), n. 14792, cit. (48) Così Cass. pen., Sez. ii, 13 ottobre 2011 (dep. 28 ottobre 2011), n. 39210, cit. rASSEgnA AVVoCATurA dEllo STATo -n. 3/2021 infatti, non è possibile escludere a priori che un terzo rimasto estraneo al giudizio agisca per vedersi riconoscere un diritto dominicale che trovi fonte in una delle eccezionali fattispecie che legittimano il dominio privato su beni archeologici (49). nondimeno, è piuttosto improbabile che ricorra in concreto un siffatto epilogo processuale, il quale peraltro è astrattamente configurabile in relazione ad ogni contenzioso che verta sulla titolarità di beni determinati, tanto in sede penale quanto in sede civile: d’altra parte, l’art. 2909 c.c. esclude che il giudicato faccia stato nei confronti di soggetti diversi dalle parti e dai relativi eredi o aventi causa (50). l’astratta possibilità che il dominio sul bene venga rivendicato da soggetti terzi a seguito della definizione del procedimento sdrammatizza la mancata previsione di un termine decadenziale per “riassumere” il giudizio innanzi al giudice civile a seguito di ordinanza ex art. 263, comma 3, c.p.p., come anche di un termine decorso il quale il cancelliere sia tenuto a demandare al giudice le determinazioni ex art. 151 d.P.r. 30 maggio 2002, n. 115. Volendo porre un argine temporale alla definizione della “controversia sulla proprietà” rimessa dal giudice penale al proprio omologo civile, potrebbe forse proporsi un parallelismo con quanto disposto dall’art. 262 comma 3-bis, c.p.p. (51) laddove prevede che “Trascorsi cinque anni dalla data della sentenza non più soggetta ad impugnazione, le somme di denaro sequestrate, se non ne è stata disposta la confisca e nessuno ne ha chiesto la restituzione, reclamando di averne diritto, sono devolute allo Stato”. Tuttavia, se tale disposizione si presta ad essere posta a base di un’interpretazione analogica volta ad individuare il termine che abiliti il cancelliere a provvedere ai sensi dell’art. 151 d.P.r. 30 maggio 2002, n. 115, non sembra che la medesima possa essere valorizzata per precludere la “riassunzione” del giudizio petitorio innanzi al giudice civile una volta che sia decorso un quinquennio dall’ordinanza emanata ex art. 263, comma 3 c.p.p., considerando che i citati artt. 152 c.p.c. e 173 c.p.p. escludono in radice l’imposizione di termini decadenziali in via analogica (52). (49) Cfr. supra, nt. 15. (50) Cfr. supra, nt. 36. il punto è ben chiarito anche da F.P. luiSo, Diritto processuale civile, ii, X Ed., giuffré, Milano, 2019, p. 522, ove, in relazione al rimedio ex art. 404 c.p.c. si illustra che “l’opposizione di terzo è comunemente ritenuta un rimedio facoltativo [...] nel senso [...] pregnante, per cui il terzo può raggiungere lo stesso risultato anche con altri mezzi, in particolare con un’autonoma domanda in via ordinaria. […] ma il punto non è evidentemente questo: […] l’opposizione è l’unico strumento idoneo ad impedire l’attuazione inter partes della situazione che fa capo alle parti originarie, e che è accertata nella sentenza opposta; ed è in questo senso che è necessaria”. (51) Comma inserito dalla l. 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008). (52) Cfr. supra, nt. 35. ConTribuTi di doTTrinA 4. Le iniziative esperibili di fronte al sequestro di beni archeologici provenienti da Paesi stranieri. un’ulteriore questione controversa concerne la possibilità che il Ministero per i beni e le attività culturali, a fronte del sequestro di beni archeologici esteri (eventualmente disposto congiuntamente al sequestro di beni italiani), possa attivarsi giudizialmente per impedire che i medesimi vengano restituiti a soggetti privi di titolo, onde vederseli attribuire in custodia, per poi consegnarli allo Stato di provenienza. in assenza di una previsione espressamente rivolta in tal senso, sembra potersi avanzare una risposta positiva, sulla base della normativa vigente. Viene in rilievo in primo luogo il combinato disposto degli artt. 82 e 83 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, laddove la prima disposizione prevede che “l'azione di restituzione dei beni culturali usciti illecitamente dal territorio italiano è esercitata dal ministero, d'intesa con il mistero degli affari esteri, davanti al giudice dello Stato membro dell'Unione europea in cui si trova il bene culturale”, mentre la successiva dispone che “1. Qualora il bene culturale restituito non appartenga allo Stato, il ministero provvede alla sua custodia fino alla consegna all'avente diritto. [...] 4. Qualora l'avente diritto non ne richieda la consegna entro cinque anni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell'avviso previsto dal comma 3, il bene è acquisito al demanio dello Stato. Il ministero, sentiti il competente organo consultivo e le regioni interessate, dispone che il bene sia assegnato ad un museo, biblioteca o archivio dello Stato, di una regione o di altro ente pubblico territoriale, al fine di assicurarne la migliore tutela e la pubblica fruizione nel contesto culturale più opportuno”. in altri termini, il codice dei beni culturali attribuisce espressamente allo Stato italiano la legittimazione ad agire per ottenere la restituzione di ogni bene culturale uscito dal proprio territorio, anche laddove il medesimo non afferisca al patrimonio indisponibile ex artt. 826 c.c. e 91, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (53). in tal caso, in particolare, lo Stato italiano viene investito della qualità di custode, tenuto ad instaurare un procedimento amministrativo volto all’individuazione del legittimo titolare, e suscettibile di concludersi con l’acquisizione dei beni da parte dello Stato medesimo, in assenza di richieste in tal senso. un quadro normativo siffatto suggerisce l’adozione di una lettura volta a scongiurare disparità di trattamento tra l’azione volta alla restituzione dei beni (53) A discapito della collocazione sistematica degli articoli 82 e 83 nella Parte ii, Titolo i, Capo V, Sezione iii del c.d. codice urbani (denominata “Disciplina in materia di restituzione, nell'ambito dell'Unione europea, di beni culturali illecitamente usciti dal territorio di uno Stato membro”), il loro ampio tenore letterale si presta ad essere riferito non solo ai beni appartenenti a Stati membri dell’unione Europea, ma ai beni culturali in genere, chiunque ne sia il proprietario. rASSEgnA AVVoCATurA dEllo STATo -n. 3/2021 “usciti illecitamente dal territorio italiano” e quella dei beni detenuti illegalmente sul territorio italiano, mediante un’interpretazione che abiliti lo Stato italiano ad agire per ottenere la consegna di beni esteri che siano stati abusivamente importati sul suolo nazionale. Seguendo tale prospettazione, ad esempio, una volta che il Ministero dei beni e delle attività culturali intraprenda un’azione giudiziaria volta al recupero dei beni rientranti nel proprio patrimonio indisponibile, non vi sarebbe ragione di escludere la sua legittimazione a recuperare anche i beni appartenenti a Paesi stranieri che siano detenuti congiuntamente ai primi, per poi curarne la consegna agli aventi diritto. una diversa interpretazione comporterebbe il rischio di consentire a chi abbia illegalmente importato beni archeologici stranieri in territorio italiano di cristallizzare il proprio dominio sui medesimi, a meno che lo Stato estero interessato si attivi in prima persona: evenienza non sempre agevolmente realizzabile nella pratica, oltre che evidentemente antieconomica nei -non infrequenti -casi in cui i beni esteri siano abusivamente detenuti congiuntamente a beni italiani, oggetto di iniziative processuali esperite dal Ministero competente. in particolare, laddove si escludesse la legittimazione in parola, la consolidazione della proprietà privata su beni pubblici abusivamente importati dall’estero potrebbe essere scongiurata soltanto mediante un’iniziativa officiosa del giudice penale, volta a respingere la domanda di restituzione formulata dall’interessato, disponendo la consegna dei cespiti allo Stato di provenienza o la rimessione della questione al giudice civile: il che in entrambi i casi presuppone lo svolgimento di accertamenti piuttosto complessi (specie ove il sequestro abbia ad oggetto una pluralità di beni provenienti da diversi Paesi), i quali potrebbero più agilmente essere svolti in sede amministrativa, nel corso del procedimento tratteggiato dal citato art. 83. del resto, non ammettere la legittimazione statale ad agire per eliminare gli abusi perpetrati su beni culturali stranieri rischia di tradursi nella violazione di obblighi internazionali gravanti sullo Stato italiano (54). (54) il riferimento è ad obblighi non soltanto pattizi, ma anche consuetudinari. Cfr. sul punto l’ampia e istruttiva disamina di T. SCoVAzzi, La dimensione internazionale della tutela. Principi etici e norme giuridiche in materia di restituzione dei beni culturali, in S. MAnACordA, A. ViSConTi (a cura di), Beni culturali e sistema penale, cit., che a p. 126 trae le proprie conclusioni evidenziando che “Un nucleo di principi può essere desunto dalle tendenze evolutive della pratica internazionale contemporanea nel campo del patrimonio culturale […] il principio di non sfruttamento della debolezza di un altro soggetto per ottenere un guadagno culturale, che si applica a situazioni di guerra, dominio coloniale, occupazione straniera o coinvolgenti popoli indigeni, e il principio della cooperazione contro i trasferimenti illeciti di beni culturali, che ha una portata di applicazione generale. Essi sono collegati al principio di preservazione dell’integrità dei contesti culturali, che è profondamente radicato nella natura del patrimonio culturale. Un quarto principio, di carattere procedurale, è il principio di cooperazione nella soluzione di controversie sul rientro di beni culturali, tenendo conto di tutte le circostanze pertinenti”. ConTribuTi di doTTrinA il riferimento è in primo luogo alla c.d. Convenzione di Parigi “concernente le misure da adottare per interdire e impedire la illecita importazione, esportazione e trasferimento di proprietà dei beni culturali” e ratificata dal- l’italia con l. 30 ottobre 1975, n. 873, volta a disporre -tra l’altro -che “Gli Stati parti della presente Convenzione s'impegnano: (a) ad adottare tutte le misure necessarie, in conformità con la legislazione nazionale, per impedire l'acquisizione, da parte di musei e altre istituzioni similari dislocate sul proprio territorio, di beni culturali provenienti da un altro Stato parte della Convenzione, [...]; (ii) ad adottare misure appropriate per recuperare e restituire su richiesta dello Stato d'origine parte della Convenzione qualsiasi bene culturale rubato e importato in tal modo dopo l'entrata in vigore della presente Convenzione” (così l’art. 7, da leggere in combinato disposto con gli artt. 9 e 13)(55). inoltre, l’illustrata interpretazione degli artt. 82 e 83 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 risulterebbe funzionale ad onorare l’impegno assunto dallo Stato italiano a “contribuire con efficacia alla lotta contro il traffico illecito dei beni culturali” e ad “agevolare la restituzione ed il ritorno dei beni culturali”, secondo quanto si legge nel preambolo della Convenzione unidroit sui beni culturali rubati o illecitamente esportati, siglata a roma il 24 giugno 1995 e ratificata con l. 7 giugno 1999, n. 213, alla quale è stata riconosciuta valenza complementare alla suddetta convenzione di Parigi (56), in sede della conferenza unESCo del 24 giugno 2005. d’altra parte, la ratifica delle due convenzioni menzionate è stata raccomandata agli Stati membri dell’unione Europea, come si legge nel preambolo (57) della direttiva 2014/60/uE del 15 maggio 2014 (58), finalizzata a “con- in giurisprudenza, cfr. Cons. St., Sez. Vi, 23 giugno 2008, n. 3154, che ha riconosciuto “la vigenza di una norma consuetudinaria comportante l’obbligo di restituzione […] di cose di interesse culturale”, nel confermare la pronuncia T.A.r. lazio, Sez. ii, 20 aprile 2007, n. 3518, la quale aveva respinto il ricorso proposto da italia nostra o.n.l.u.s. avverso il decreto ministeriale volto a disporre il “passaggio della ‘statua marmorea acefala di Afrodite, c.d. Venere di Cirene dal demanio al patrimonio dello Stato’ […] al fine di procedere al trasferimento della statua presso gli istituti museali della Repubblica della Libia”. Come si legge nella sentenza da ultimo citata, la statua era stata “rinvenuta dalle truppe italiane in data 28 dicembre 1913 in occasione dell'occupazione militare della Cirenaica e successivamente tradotta in Patria nel 1915 al fine di preservarla dal rischio di distruzione nel periodo bellico”. (55) il citato art. 13 appare particolarmente significativo laddove prescrive che “Gli Stati parti della presente Convenzione s'impegnano inoltre, nel quadro della legislazione di ciascuno Stato: (a) a impedire con tutti i mezzi adeguati, i trasferimenti di proprietà di beni culturali diretti a favorire l'importazione o l'esportazione illecite di tali beni; […] (c) a consentire un'azione di rivendicazione dei beni culturali perduti o rubati esercitata dal proprietario legittimo o in suo nome; (d) a riconoscere inoltre, il diritto imprescindibile di ciascuno Stato parte della presente Convenzione, di classificare e dichiarare inalienabili alcuni beni culturali che per questo motivo non devono essere esportati, e a facilitare il recupero di tali beni da parte dello Stato interessato nel caso in cui essi siano stati esportati”. (56) Sul rapporto tra le due convenzioni cfr. per tutti T. SCoVAzzi, La dimensione internazionale della tutela. Principi etici e norme giuridiche in materia di restituzione dei beni culturali, cit., p. 102 ss. rASSEgnA AVVoCATurA dEllo STATo -n. 3/2021 sentire la restituzione dei beni culturali classificati o definiti come patrimonio nazionale usciti illecitamente dal territorio degli Stati membri” (59) ed attuata con il d.lgs. 7 gennaio 2016, n. 2, volto a modificare gli artt. 73 ss. d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (60). Se è vero che le citate disposizioni del codice dei beni culturali impongono al Ministero soltanto oneri di collaborazione, assistenza, conservazione (61) e “notifica agli Stati membri interessati il ritrovamento nel territorio nazionale di un bene la cui illecita uscita da uno Stato membro possa presumersi per indizi precisi e concordanti” (62) rimettendo l’esercizio dell’azione di restituzione agli Stati interessati (63), è altrettanto vero che previsioni siffatte non escludono la legittimazione statale ad esperire in proprio un’azione “recuperatoria” strumentale alla riconsegna dei beni agli Stati di provenienza (64), almeno ogniqualvolta risulti difficoltoso o antieconomico interpellare previamente questi ultimi. in definitiva, pur nella consapevolezza che in linea di principio si impone una lettura rigorosa delle ipotesi di legittimazione straordinaria ex art. 81 c.p.c. (65), pare che la “eccezione dei beni culturali” (66) giustifichi la supra prospettata interpretazione dei citati artt. 82 e 83. Così come l’ordinamento contempla una presunzione di dominio pubblico che diverge dai principi regolatori desumibili dal terzo libro del codice civile, (57) Cfr. in particolare il sedicesimo considerando, ove si legge che “il Consiglio ha raccomandato agli Stati membri di prendere in considerazione la ratifica della convenzione dell'Unesco concernente le misure da adottare per interdire e impedire l'illecita importazione, esportazione e trasferimento di proprietà dei beni culturali, firmata a Parigi il 17 novembre 1970, e della convenzione dell'UNIDRoIT sui beni culturali rubati o illecitamente esportati, firmata a Roma il 24 giugno 1995”. (58) Cfr. buonoMo, La restituzione dei beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato membro alla luce della direttiva 2014/60/UE, in Aedon, n. 3/2014. (59) Così il ventesimo considerando. (60) Cfr. M. Fiorilli -S. gATTi, Beni culturali. Fiscalità, mecenatismo, circolazione, cit., pp. 359 ss. (61) Cfr. l’art. 76, comma 2, laddove prevede che “Per il ritrovamento e la restituzione dei beni culturali appartenenti al patrimonio di altro Stato membro dell'Unione europea, il ministero: [...] e) dispone, ove necessario, la rimozione del bene e la sua temporanea custodia presso istituti pubblici nonché ogni altra misura necessaria per assicurarne la conservazione ed impedirne la sottrazione alla procedura di restituzione”. (62) Così l’art. 76, comma 2, lettera c). (63) Cfr. in particolare l’art. 77: “Per i beni culturali usciti illecitamente dal loro territorio, gli Stati membri dell'unione europea possono esercitare l'azione di restituzione davanti all'autorità giudiziaria ordinaria, secondo quanto previsto dall'articolo 75. 2. L'azione è proposta davanti al tribunale del luogo in cui il bene si trova. (omissis)”. (64) del resto, lo stesso art. 16 della direttiva prevede che “La presente direttiva lascia impregiudicate le azioni civili o penali spettanti, in base al diritto nazionale degli Stati membri, allo Stato membro richiedente e/o al proprietario cui è stato sottratto il bene”. (65) Secondo il quale “Fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, nessuno può far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui”. (66) Così g. SEVErini, L'immateriale economico nei beni culturali, cit., p. 2. ConTribuTi di doTTrinA allo stesso modo va riconosciuta in capo all’apparato statale una particolarmente ampia legittimazione ad agire per recuperare i beni archeologici abusivamente detenuti da soggetti privati, affinché (se non in italia, nei Paesi di provenienza)(67) siano adibiti alla fruizione collettiva, in modo da offrire ristoro ad un “danno [che] non va calcolato con riferimento esclusivo alla nazione che subisce l’emorragia dei propri beni, bensì con riguardo all’intera umanità che perde pagine e pagine della propria storia” (68). (67) Che la collocazione “naturale” dei beni culturali vada ravvisata nei Paesi di provenienza è ben sottolineato da T. SCoVAzzi, La dimensione internazionale della tutela. Principi etici e norme giuridiche in materia di restituzione dei beni culturali, cit., p. 121, laddove discorre del “principio di preservazione dell’integrità dei contesti culturali, che è profondamente radicato nella natura dei beni culturali e non è necessariamente connesso all’illegalità di un determinato trasferimento di beni culturali. Il concetto di integrità di un contesto può riferirsi sia a un singolo monumento che a un sito culturale in cui sono collocati numerosi monumenti e manufatti. Gli oggetti rimossi dal loro contesto per essere venduti a fine di guadagno commerciale possono fornire ben poche informazioni in merito alla storia e alla cultura degli spesso sconosciuti siti da cui sono stati presi e delle civiltà a cui appartenevano. Dato che arte e storia sono sempre associate a un contesto geografico, le testimonianze culturali dovrebbero essere conservate in situ”. l’Autore rinviene la matrice di tale principio nel pensiero di Antoine- Chrysostome Quatremère de Quincy, che in un proprio scritto del 1796 (Lettres sur le préjudice qu’occasionneroient aux Arts et à la Science, le déplacement des monumens de l’art de l’Italie, le démembrement de ses Ecoles, et la spoliation de ses Collections, Galeries, musées, etc., s.n., roma 1815) aveva sostenuto tra l’altro che “dividere i beni culturali, rimuovendoli dal luogo dove sono stati creati, equivale a distruggerli (“diviser c’est détruire’’). La rimozione di tali beni dà un colpo mortale alla cultura dei Paesi d’origine, senza portare vantaggio al Paese che se ne appropria”. Così T. SCoVAzzi, op. cit., p. 79, laddove il testo di Quatremère viene presentato come un “grande alleato” dello scultore Antonio Canova nella propria missione diplomatica effettuata nel 1815 a Parigi per conto dello Stato pontificio, conclusasi con la restituzione di settantasette opere d’arte, tra cui il laocoonte, l’Apollo del belvedere, la Trasfigurazione di raffaello, la deposizione di Caravaggio. (68) Così P.g. FErri, Brevi osservazioni sulla tutela penale dei reperti archeologici, cit., p. 86, il quale nella successiva p. 88, nt. 6, prosegue affermando che “lo strumento penale, per quanto estremo, risulta invero tra i più efficaci ed idonei a fronteggiare in maniera risolutiva il fenomeno dei traffici illeciti di beni culturali, la cui gravità è riassunta dall’espressione (che ne rende il vero significato) “stealing history”, da usare come vero e proprio marchio”. rASSEgnA AVVoCATurA dEllo STATo -n. 3/2021 La costituzione di parte civile nel procedimento ex d.lgs. 231/2001: origine ed evoluzione di un dibattito incompiuto Luca Di Pede* SommARIo: 1. Premessa. Danno derivante da reato e possibilità di costituzione di parte civile nel “processo 231” -2. Due differenti ricostruzioni a confronto -3. La soluzione fornita dalla giurisprudenza di legittimità -3.1 La riemersione della tesi affermativa nelle pronunce della giurisprudenza di merito - 4. Considerazioni conclusive. 1. Premessa. Danno derivante da reato e possibilità di costituzione di parte civile nel “processo 231”. il tema della costituzione di parte civile ha assunto un crescente rilievo nel dibattito dottrinale e giurisprudenziale relativo al procedimento ex d.lgs. 8 giugno 2001 n. 231 contenente la disciplina sulla responsabilità amministrativa delle società e degli enti: ciò in quanto, in assenza di qualsiasi riferimento esplicito a questo istituto nel “microcosmo normativo de societate”, è controversa la ammissibilità della costituzione di parte civile nel procedimento nei confronti del soggetto collettivo. Più precisamente, si tratta di verificare se possa sussistere in capo all’ente una responsabilità civile diretta per i danni cagionati dall’illecito, postulato che lo stesso potrebbe esser chiamato a rispondere indirettamente nel procedimento nei confronti dell’imputato -intraneus autore del reato presupposto attraverso l’istituto del responsabile civile ex art. 83 c.p.p. dalla risposta, affermativa o negativa, a questo quesito discendono rilevanti conseguenze, sia dal punto di vista del diritto sostanziale sia dal punto di vista processuale: dal momento in cui il decreto legislativo 231/2001 prevede anche delle ipotesi di responsabilità autonoma dell’ente “quando l’autore del reato non è stato identificato o non è imputabile”o“il reato si estingue per causa diversa dall’amnistia” (1), non essendo in questi casi possibile agire nei confronti dell’individuo, ci si è chiesto se sia possibile una costituzione di parte civile da parte della persona offesa dall’illecito direttamente nel procedimento nei confronti del soggetto collettivo. Ed ancora, nel caso in cui il procedimento nei confronti dell’imputato autore del reato presupposto si sia concluso con una assoluzione, se la pretesa risarcitoria del danneggiato sopravviva nei confronti dell’ente (2). le ipotesi di un differente (*) dottore in giurisprudenza, ammesso alla pratica forense presso l’Avvocatura generale dello Stato (avv. Stato Carlo Maria Pisana). (1) Così statuisce l’art. 8 del d.lgs. 231/2001. ConTribuTi di doTTrinA “decorso” del procedimento a carico dell’individuo rispetto a quello a carico dell’ente non sono marginali. Potrebbe avvenire, ad esempio, che vi sia la maturazione dei termini prescrizionali del reato commesso dal soggetto intraneus con l’azione penale nei confronti del soggetto collettivo che prosegue autonomamente in un diverso procedimento (3): in questi casi la maturazione dei termini prescrizionali gioverà solo alla persona fisica, con il procedimento contra societate che continuerà nel suo corso. 2. Due differenti ricostruzioni a confronto. nel cercare di risolvere questo nodo interpretativo, è opportuno segnalare che sin dalle origini di questo dibattito nella giurisprudenza di merito (e nella dottrina) si sono contese il terreno due teorie: 1-una tesi negativa, la quale per l’appunto non ammette la possibilità di una costituzione di parte civile nel procedimento riguardante il soggetto collettivo; 2 -una tesi affermativa, secondo la quale vi è, pur in assenza di un esplicito richiamo nel decreto 231/2001, la possibilità di costituzione di parte civile direttamente nei confronti dell’ente. la prima tesi (4) nega l’ammissibilità della costituzione di parte civile in base a plurime argomentazioni. in primo luogo, la natura giuridica della responsabilità prevista dal decreto in esame sarebbe amministrativa: ciò non permetterebbe una estensione analogica degli artt. 185 c.p. e 74 c.p.p. nel procedimento ex d.lgs. 231/2001. (2) Ciò in quanto “la condanna al risarcimento in sede penale presuppone la responsabilità penale e la condanna dell’imputato”, cosi d. biAnChi: “Ancora sulla problematica (in)ammissibilità della costituzione di parte civile nel processo penale de societate. Inquietudini costituzionali ed alternative ermeneutiche”, in Diritto Penale Contemporaneo, 2013, p. 3. Pertanto, nel momento in cui questa venga meno, la pretesa risarcitoria indiretta azionata nei confronti dell’ente quale responsabile civile sarà tamquam non esset. (3) Si rammenti che l’art. 22 del d.lgs. 231/2001 prevede che le sanzioni amministrative previste nel decreto stesso si prescrivono nel termine di cinque anni dalla data di consumazione del reato; il comma 2 prosegue prevedendo l’interruzione della prescrizione con la richiesta di applicazione di misure cautelari interdittive e con la contestazione dell’illecito amministrativo a norma dell’art. 59; infine, il quarto comma prevede che “se l’interruzione è avvenuta mediante la contestazione dell’illecito amministrativo dipendente da reato, la prescrizione non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio”. Pertanto, la contestazione dell’illecito attraverso uno degli atti indicati dall’art. 405 c.p.p. rende il fatto ascrivibile all’ente sostanzialmente imprescrittibile. Ciò comporta che, nei casi in cui si proceda separatamente nei confronti dell’ente, il procedimento nei confronti di quest’ultimo proseguirebbe da solo il cammino processuale, “anche a notevole distanza dalla commissione del reato e nonostante l’intervenuta prescrizione di quest’ultimo a seguito di contestazione”. Sul punto, diffusamente, u. dinACCi: “La prescrizione dell’illecito dell’ente: alla ricerca di una lettura ragionevole tra inquadramenti sistematici, dato positivo e limiti costituzionali”, in Archivio penale, n. 2, 2020. (4) Sostenuta in varie pronunce di merito: Trib. Milano 9 marzo 2004; Trib. Torino 27 novembre 2004; Trib. Milano 25 gennaio 2005. Pronunce richiamate da E. CECCArElli: “La costituzione di parte civile nei processi di accertamento della responsabilità dell’ente”, in Archivio nuova procedura penale, 2009, p. 95. rASSEgnA AVVoCATurA dEllo STATo -n. 3/2021 in secondo, la costituzione di parte civile sarebbe possibile solo qualora ricorrano i requisiti tassativamente previsti dagli articoli ora citati: in particolare, secondo una interpretazione letterale dell’art. 74 c.p.p. dovrebbe esservi un reato, affinché vi possa esser costituzione di parte civile. l’ente invece non sarebbe autore di un reato bensì di un qualcosa di differente, ossia dell’illecito corporativo: vi sarebbe “mancanza di un rapporto giuridicamente rilevante tra tale illecito e i danni da reato” (5). in altri termini, il reato della persona fisica non esaurirebbe l’illecito della persona giuridica, ma costituirebbe solo “una parte del tutto”, una parte di quegli elementi che, in ossequio a quanto previsto dagli artt. 5 e 6 del decreto legislativo 231/2001, fanno sorgere la responsabilità dell’ente. infine, l’inammissibilità della costituzione di parte civile troverebbe alimento nella interpretazione letterale del decreto 231 e in quella sistematica con riferimento ad alcune disposizioni del codice di rito, in particolare si è osservato che: -il capo iii dedicato ai “soggetti, giurisdizione e competenza”, non contiene alcuna menzione alla parte civile; -l’art. 27, rubricato “responsabilità patrimoniale dell’ente”, non contiene alcuna menzione al risarcimento del danno sofferto dalla persona offesa; -l’art. 54, dedicato al sequestro conservativo, prevede che tale misura cautelare possa esser richiesta da parte del Pubblico ministero con esplicito richiamo alle disposizioni degli artt. 316, comma 4, 317, 318, 319, 320 c.p.p. Ad avviso della giurisprudenza in parola il legislatore, richiamando nel decreto legislativo 231 il solo comma 4 dell’art. 316, avrebbe escluso una estensione analogica del comma 2 dell’art. 316 (che consente la richiesta anche dalla parte civile) e del comma 3 (che stabilisce che il sequestro richiesto dal P.M. giova anche alla parte civile); -infine, l’art. 69 d.lgs. 231/2001 dedicato alle conseguenze derivanti dalla sentenza di condanna afferma che: “se l’ente risulta responsabile dell’illecito amministrativo contestato, il giudice applica la sanzione prevista dalla legge e lo condanna al pagamento delle spese processuali”, senza fare alcun riferimento al risarcimento del danno, differentemente dal codice di procedura penale, che agli artt. 548 ss. dedica una specifica e dettagliata disciplina a riguardo. la tesi affermativa (6), partendo dall’antitetico presupposto, secondo cui la responsabilità delineata dal decreto 231/2001 sarebbe di natura penale (o (5) d. biAnChi, “Ancora sulla problematica (in)ammissibilità della costituzione di parte civile nel processo penale de societate, inquietudini costituzionali ed alternative ermeneutiche”, in Diritto Penale Contemporaneo, 2013, p. 7 (6) Sostenuta da Trib. Torino 12 gennaio 2006; Trib. roma 21 aprile 2005 fra le altre, sempre richiamate da E. CECCArElli, “La costituzione di parte civile nei processi di accertamento della responsabilità dell’ente”, in Archivio nuova procedura penale, 1-2009, p. 95. ConTribuTi di doTTrinA quantomeno un “tertium genus” non riconducibile né all’ambito strettamente penale né all’ambito amministrativo), sostiene che il mancato richiamo all’istituto della parte civile nell’impianto in esame sarebbe stato determinato dalla volontà del legislatore di non appesantire eccessivamente il sistema con richiami ad ogni singolo istituto contenuto nel codice di procedura penale (7). l’applicazione della disciplina del codice di rito si renderebbe possibile sulla base del combinato disposto ex artt. 34 e 35 d.lgs. 231/2001 i quali estendono al procedimento de societate le disposizioni e le garanzie previste dal codice di procedura penale, salvo compatibilità. rispetto alla costituzione di parte civile, la incompatibilità non vi sarebbe in quanto si tratta di un illecito produttivo di un danno derivante “dal medesimo fatto qualificato sia come reato per la persona fisica che come illecito amministrativo per l’ente, pertanto il danno risulterà sempre e comunque legato eziologicamente al reato” (8). delle omissioni contenute nel decreto legislativo 231/2001 l’orientamento in parola propone una differente chiave di lettura: ad esempio, il mancato richiamo nella disciplina dedicata al sequestro conservativo dei commi 2 e 3 dell’art. 316 c.p.p. sarebbe rivelatore della volontà di introdurre una specifica deroga a quanto previsto dal codice di rito solo per quanto previsto rispetto alla attività del P.M., mentre la disciplina residuale sarebbe applicabile integralmente. Altresì, a favore della ammissibilità della costituzione di parte civile i sostenitori della tesi estensiva hanno sottolineato la posizione di fondamentale importanza che nell’intero impianto 231 ha il danneggiato: il d.lgs. 231/2001 prevede una riduzione della sanzione pecuniaria se il danno patrimoniale è di particolare tenuità ovvero se l’ente ha risarcito integralmente il danno (art. 12); l’esclusione delle sanzioni interdittive quando l’ente ha risarcito integralmente il danno (art. 17); l’esclusione della confisca per la parte di prezzo o profitto del reato che può essere restituita al danneggiato (art. 19); l’esperibilità delle condotte riparatorie di cui all’art. 17 sia nel procedimento cautelare per l’applicazione delle sanzioni interdittive, sia successivamente al passaggio in giudicato della sentenza di condanna pronunciata a carico dell’ente. orbene, per i fautori di questa tesi sarebbe in un certo qual modo un controsenso attribuire tale rilevanza alla figura del danneggiato ma poi contestualmente escluderne la presenza nel giudizio a carico della società. il contrasto testé riportato è rimasto limato, almeno fino alla seconda de (7) d. biAnChi, “Ancora sulla problematica (in)ammissibilità...”, cit., p. 7: “d’altronde, il decreto legislativo 231, nella sezione dedicata ai “soggetti”, non prevede esplicitamente nemmeno il pubblico ministero e la polizia giudiziaria, ma nessuno si è mai sognato di dire che tali soggetti sono estranei al procedimento a carico della societas; discorso analogo per il giudizio immediato e il giudizio direttissimo che, secondo un’opinione pressoché pacifica, sono ritenuti esperibili a prescindere dal fatto che non siano richiamati da alcuna norma del d.lgs. 231”. (8) E. CECCArElli, “La costituzione di parte civile...”, cit., p. 95. rASSEgnA AVVoCATurA dEllo STATo -n. 3/2021 cade degli anni 2000, all’ambito dottrinale e alle pronunce della giurisprudenza di merito, con conseguenti ricadute in punto di certezza del diritto e sull’esercizio del diritto di difesa della persona danneggiata dall’illecito: ad avviso di alcuni autori (9), limitare la costituzione di parte civile escludendola dal procedimento nei confronti della persona giuridica costituirebbe una limitazione del diritto di difesa della persona offesa; per altri, ammettere la costituzione di parte civile diretta nei confronti della corporation porterebbe al pericolo di una duplicazione della pretesa risarcitoria derivante dal medesimo illecito nei confronti di due soggetti distinti, ovverosia intraneus da un lato e soggetto collettivo dall’altro. 3. La soluzione fornita da parte della giurisprudenza di legittimità. il tema della costituzione di parte civile nel processo 231 è stato affrontato per la prima volta dalla Corte di legittimità con la sentenza della Sesta Sezione penale n. 2251 del 2011 (10). nell’udienza preliminare dinanzi al Tribunale di Milano (nell’ambito di un procedimento in cui risultavano imputate numerose persone e società in ordine a reati di associazione per delinquere, corruzione, appropriazione indebita, oltre che per illeciti amministrativi ex d.lgs. 231/2001) vi erano state delle costituzioni di parte civile direttamente nei confronti delle persone giuridiche sostenute da una lettura estensiva delle previsioni contenute all’interno degli artt. 74 c.p.p. e 185, comma 2, c.p. il giudice aveva ammesso la costituzione di parte civile, pronunciando nei confronti delle società una sentenza di “patteggiamento”, con cui le condannava anche al pagamento delle spese a favore delle costituite parti civili. Proprio questa statuizione è poi stata investita da uno dei motivi di ricorso sottoposti al giudice di legittimità. Preliminarmente, la Corte ha affermato che l’ammissibilità o meno della costituzione di parte civile nel procedimento a carico dell’ente non ha alcuna correlazione con l’identificazione della natura giuridica della responsabilità prevista dal decreto 231: “la risposta ai quesiti posti dal d.lg. n. 231 del 2001, quale quello di cui si discute può esser svincolata dal tema relativo alla definizione della tipologia della responsabilità da reato, che rischia di diventare una questione meramente nominalistica, per esser affrontata attraverso l’esame positivo dei contenuti della speciale normativa che disciplina il processo nei confronti degli enti” (11). in altri termini, la risposta ad avviso della Suprema Corte va cercata nel dettato normativo, attraverso una ricostruzione (9) d. biAnChi, “Ancora sulla problematica (in)ammissibilità...”, cit., p. 8. (10) Commento da parte di P. bAlduCCi, “La Corte di Cassazione prende posizione sulla costituzione di parte civile nel processo a carico dell’ente”, in Rivista trimestrale diritto penale dell’economia, 2011, pp. 275 ss.; g. VArrASo, “L’ostinato silenzio del d.lg. 231 del 2001 sulla costituzione di parte civile nei confronti dell’ente ha un suo ‘perché”, in Cassazione penale, 2011, pp. 2546 e ss. (11) Cosi Cass. 2251/2010, richiamata da g. VArrASo, “L’ostinato silenzio del d.lgs 231 ...”, cit., p. 2548. ConTribuTi di doTTrinA sistematica dell’istituto civilistico ospite del procedimento penale, anche alla luce delle disposizioni del codice di rito che lo riguardano. Ciò premesso, il Collegio di legittimità ha affermato che la mancanza di qualsiasi riferimento all’istituto di parte civile nel decreto legislativo 231/2001 non sarebbe frutto di una lacuna normativa, bensì la risultante “di una scelta consapevole [del legislatore], escludendo la funzione di garantire le obbligazioni civili, funzione che, nella struttura della norma codicistica, presuppone la richiesta della parte civile” (12). Questo renderebbe di per sé non percorribile la strada della estensione analogica dell’istituto della parte civile attraverso la disposizione “a carattere generale” dell’art. 34 d.lgs. 231/2001: ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit. inoltre, due ulteriori argomenti a sostegno della affermata inammissibilità di costituzione di parte civile: a) gli articoli 185 c.p. e 74 c.p.p. operano un riferimento al reato in senso tecnico, ed ai danni da quest’ultimo cagionati, mentre “il reato che viene realizzato dai vertici dell’ente, ovvero dai suoi dipendenti, è solo uno degli elementi da cui deriva la responsabilità dell’ente, che costituisce una fattispecie complessa, in cui il reato rappresenta il presupposto fondamentale, accanto alla qualifica soggettiva della persona fisica e alla sussistenza dell’interesse o del vantaggio che l’ente deve aver conseguito dalla condotta delittuosa” (13); b) non potrebbe esser accolta neanche l’osservazione fornita dal ricorrente nel caso concreto, secondo cui la volontà del legislatore di dar rilievo al danno prodotto dal reato si ricaverebbe dalla importanza che lo stesso ha dato nel decreto alle condotte riparatorie, in quanto “le disposizioni menzionate [la Corte si riferisce agli artt. 12 e 17 d.lgs. 231 richiamati dal ricorrente] si riferiscono al danno derivante dal reato e non a quello determinato dall’illecito amministrativo commesso dall’ente, sicché le argomentazioni possono esser rovesciate e sostenere che il legislatore, ancora una volta, ha escluso la configurabilità di conseguenze dannose derivanti dall’illecito amministrativo, limitandosi a prevedere ‘sconti’ di sanzione collegati esclusivamente a forme di reintegrazione dei danni da reato” (14). in definitiva, accogliendo il motivo di ricorso, la Corte di Cassazione ha escluso la possibilità di costituzione di parte civile nel procedimento de societate: non vi è, ad avviso del giudice di legittimità, un danno risarcibile immediato e diretto derivante dalla condotta delittuosa del soggetto collettivo. Successivamente, nel giro di pochi mesi si sono pronunciate, seppur “incidentalmente”, sul tema due autorevoli corti. (12) Cosi Cass. 2251/2010, consultabile in Rivista trimestrale diritto penale dell’economia, 2011, p. 281. (13) Ibidem, p. 282. (14) Ibidem, p. 288. rASSEgnA AVVoCATurA dEllo STATo -n. 3/2021 la Corte di giustizia dell’unione Europea (sentenza 23 luglio 2012, Giovanardi, C-79/11), ha dichiarato la conformità della normativa nazionale al diritto comunitario laddove non prevede che, nell’ambito della responsabilità ex crimine del soggetto collettivo, la vittima possa chiedere il risarcimento dei danni all’ente autore dell’illecito (15). la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile la questione posta sulla legittimità dell’art. 83 del codice di procedura penale e del decreto legislativo n. 231/2001 sollevata dal guP del Tribunale di Firenze in riferimento all’art. 3 della Costituzione “nella parte in cui non prevedono espressamente e non permettono che la persona offesa e vittima del reato non possa chiedere direttamente alle persone giuridiche e agli enti il risarcimento in via civile e nel processo penale nei loro confronti dei danni subiti e di cui le stesse persone giuridiche siano stati chiamati a rispondere per il comportamento dei loro dipendenti” (16). (15) in questo caso il giudice comunitario non si apprestava a verificare direttamente la possibilità di costituzione di parte civile secondo quanto disposto dal decreto 231, bensì la conformità della disciplina ivi dettata e la interpretazione che ne dà il giudice italiano con l’ordinamento comunitario, in particolare con la decisione quadro 2001/220/gAi. l’art. 9 di questa fonte comunitaria richiede agli Stati membri di garantire alla vittima del reato la possibilità di ottenere una pronuncia sul risarcimento del danno da parte dell’autore del reato. Ad avviso del giudice rimettente questa norma sarebbe stata violata dal diritto interno in quanto la persona offesa dal reato commesso dal soggetto collettivo non avrebbe potuto né costituirsi parte civile -secondo i principi espressi dal giudice di legittimità con la sentenza 2251/2010 appena esaminata -né il soggetto collettivo esser citato quale responsabile civile nel procedimento a carico del soggetto persona fisica in quanto questo sarebbe precluso dall’art. 83, comma 1, c.p.p. (fatto che porterà anche il medesimo giudice a sollevare questione di legittimità costituzionale, che esamineremo nella prossima nota). la Corte di lussemburgo, non condividendo quelle che erano state le argomentazioni del giudice rimettente e dell’avvocato generale, conclude confermando quelli che erano stati gli approdi della Suprema Corte, affermando che la decisione quadro 2001/220/gAi richiede che venga assicurata al danneggiato la possibilità di ottenere un risarcimento, e tale possibilità non sarebbe menomata nel diritto italiano in quanto la persona offesa potrà esercitare la azione civile nel processo penale contro la persona fisica autore del reato. Sul punto g. buonAMiCi, “La Corte di Giustizia UE esclude la costituzione di parte civile nei confronti dell’ente imputato”, in Archivio nuova procedura penale, 2012, pp. 477 ss. (16) Sentenza C. Cost. n. 218/2014 pubblicata in g.u. 23 luglio 2014 n. 231. l’eccezione di costituzionalità è stata sollevata dal medesimo Tribunale che aveva sollevato violazione della normativa comunitaria esaminata nella nota precedente. il guP ritenne non conforme a costituzione l’art. 83 c.p.p. e le disposizioni del decreto legislativo 231/2001 in quanto, ad avviso dello stesso, si avrebbe una ingiusta disparità di trattamento e quindi violazione del principio di uguaglianza ex art. 3 Cost. per la persona offesa, non potendo questa costituirsi nei confronti della società, e non potendo ottenere un risarcimento indiretto attraverso l’istituto del responsabile civile per il fatto del coimputato persona fisica, ostando a ciò il disposto dell’art. 83 c.p.p. il quale stabilirebbe che l’imputato non può esser chiamato a rispondere in via civile nel processo penale per il fatto dei coimputati, qualora prima non sia stato prosciolto o non sia stata pronunziata nei suoi confronti una sentenza di non luogo a procedere. Poiché nel processo de societate l’ente sarebbe imputato/coimputato assieme agli imputati propri dipendenti, non sarebbe consentita una sua citazione anche come responsabile civile. la Corte Costituzionale ha dichiarato l’inammissibilità della questione sotto un duplice profilo. In primis, è stata denunciata la assoluta genericità del rinvio, in quanto è stata lamentata dal giudice a quo la incostituzionalità delle disposizioni integrali del d.lgs. 231/2001, mentre quest’ultimo sarebbe tenuto ad indivi ConTribuTi di doTTrinA 3.1. La riemersione della tesi affermativa nelle pronunce della giurisprudenza di merito. la vexata quaestio sembrava definitivamente risolta nel senso di negare tale possibilità per il soggetto danneggiato (17). Tuttavia, due recenti pronunce della giurisprudenza di merito hanno nuovamente posto la questione: si tratta dell’ordinanza n. 689 del 7 maggio 2019 del Tribunale di Trani (18) e della ordinanza 29 gennaio 2021 del Tribunale di lecce (19). il Tribunale tranese ha ammesso la possibilità per il danneggiato di avanzare la propria pretesa risarcitoria direttamente nei confronti dell’ente, per una serie di ragioni. in primo luogo, il Collegio ha accolto la ricostruzione fornita dalle S.u. sentenza 38343/2014 (cd. sentenza Thyssenkrupp) secondo cui “il sistema normativo introdotto dal d.lgs. n. 231 del 2001, coniugando i tratti dell’ordinamento penale e di quello amministrativo, configura un ‘tertium genus’ di responsabilità compatibile con i principi costituzionali di responsabilità per fatto proprio e di colpevolezza”. Partendo da tali considerazioni preliminari, posto che l’art. 8 d.lgs. 231/2001 prevede la responsabilità autonoma dell’ente nel caso in cui l’autore del reato presupposto non sia individuato o il reato sia estinto per causa diversa dall’amnistia, ne deriverebbe ad avviso del collegio tranese che la responsabilità dell’ente ha natura autonoma rispetto a quella della persona fisica autrice del reato presupposto: la commissione di un reato da parte della persona fisica investe solo una porzione della responsabilità ex crimine della società, non la sua intera concretizzazione. il giudice di primo grado afferma: “il reato commesso dal soggetto inserito nella compagine dell’ente, in vista del perseguimento dell’interesse o del vantaggio di questo, è qualificabile come proprio anche della persona giuridica e ciò in duare la norma, o la parte di essa, che determina la violazione dei parametri costituzionali individuati. in secondo luogo, la Corte ha affermato la erronea interpretazione che il giudice del rinvio avrebbe dato dell’art. 83 c.p.p.: secondo la Consulta l’illecito ascrivibile all’ente costituisce una fattispecie complessa che non si identifica con il reato commesso dalla persona fisica, il quale è solo uno degli elementi che formano l’illecito da cui deriva la responsabilità amministrativa; se l’illecito de societate non coincide con il reato, l’ente e l’autore materiale del reato presupposto non possono qualificarsi coimputati, essendo ad essi ascritti due illeciti strutturalmente diversi. Quindi, nessun impedimento alla citazione dell’ente come responsabile civile nel procedimento a carico dell’intraneus. Sul punto A. ViglionE, “L’inammissibilità della costituzione di parte civile nei processi a carico dell’ente”, in Le Società, 2015, n. 6, p. 746. (17) la maggioranza delle pronunce posteriori la decisione della Suprema Corte n. 2251/2011 hanno escluso la ammissibilità della costituzione di parte civile nel processo a carico dell’ente. Fra le altre Tribunale Milano, Sez. iV, sentenza 4 febbraio 2013; Tribunale di Torino, ordinanza 22 novembre 2013; Cass. Pen., 27 gennaio 2015, n. 3786; Corte d’Appello di Firenze, Sez. iii penale, n. 5957/2019. (18) Consultabile in dirittopenalecontemporaneo.it con commento di g. Angiolini, “Costituzione di parte civile nei confronti dell’ente incolpato dell’illecito da reato: ammissibile secondo il Tribunale di Trani nel processo penale relativo al disastro ferroviario sulla linea Andria -Corato”, 2019. (19) Con commento di E. bErgonzi, “La secessione pugliese. Commento all’ordinanza del Tribunale di Lecce emessa in data 29 gennaio 2021 (processo Tap)”, in Giurisprudenza Penale web, 2021, 2. rASSEgnA AVVoCATurA dEllo STATo -n. 3/2021 forza del rapporto di immedesimazione organica che lega il primo alla seconda”. da ciò si fa derivare che dal fatto dell’ente, ossia da quella colpa di organizzazione la quale ha permesso la commissione dell’illecito, possa derivare un danno risarcibile per fatto proprio dell’ente, obbligandolo a norma dell’art. 185 c.p. e 74 c.p.p. il diritto delle persone offese ad esercitare l’azione risarcitoria direttamente nei confronti dell’ente non sarebbe smentito dalle pronunce della Corte di giustizia e della Corte Costituzionale: la sentenza della Corte di giustizia n. 79 del 2011 non sarebbe dirimente in quanto si era limitata a definire “improprio” il richiamo all’art. 9 della decisione quadro n. 2001/220/gAi, che si riferisce alle vittime di un reato, mentre per il diritto interno l’ente non è autore del reato. Parimenti, la pronuncia della Consulta non sarebbe entrata nel merito della questione, limitandosi ad affermare la incertezza del petitum sollevato dal giudice a quo e che l’illecito cui è chiamato a rispondere la società non coincide con il reato ascritto alla persona fisica e quindi quest’ultima e l’ente non sono da considerarsi coimputati nel medesimo reato. l’ordinanza del Tribunale di lecce del gennaio del 2021 ha ritenuto che dal fatto illecito ascrivibile all’ente possa derivare un danno risarcibile per fatto proprio. i giudici hanno richiamato il rinvio operato dagli artt. 34 e 35 del d.lgs., facendo proprie quelle argomentazioni letterali, storico-interpretative, sistematiche sostenute dalla dottrina e dalla giurisprudenza (si ribadisce, esclusivamente di merito) che nel corso degli anni ha sostenuto la ammissibilità della costituzione di parte civile nel processo 231. Per cui, ha concluso il Tribunale: “non può escludersi che dal fatto dell’ente (cd. colpa di organizzazione; deficit di organizzazione e di controllo rispetto ad un modello di diligenza esigibile, ex artt. 6 e 7 D.L.vo 231/2001) possa derivare un danno risarcibile per fatto proprio dell’ente, che lo obbliga, a norma dell’art. 185 c.p., come richiamato dall’art. 74 c.p.p.”. 4. Considerazioni conclusive. riguardo la tematica della costituzione di parte civile nel processo ex d.lgs. 231/2001, sembra assumere rilevanza la norma cardine dell’art. 8 del decreto legislativo, la quale al primo comma prevede che: “la responsabilità dell’ente sussiste anche quando: a) l’autore del reato non è stato identificato o non è imputabile; b) il reato si estingue per una causa diversa dall’amnistia”. Tale disposizione pone infatti il principio della “colpevolezza d’organizzazione”, punto di arrivo di una lunga evoluzione. gli ordinamenti anglosassoni (la sentenza new York Central & hudson river r.r. v. united States risale al 1909, circa un secolo prima dell’entrata in vigore del decreto 231), muovendo da un concetto originario di responsabilità dell’ente “par ricochet”, si sono poi allontanati da questo modello, elaborando il principio della “corporate liability”, secondo il quale il soggetto meta-individuale risponde se ConTribuTi di doTTrinA condo gli ordinari canoni della colpevolezza (sotto la veste della cd. colpevolezza di organizzazione) del reato commesso dal soggetto intraneus quale autonomo centro d’imputazione rispetto all’autore del reato presupposto. in altri termini, il fatto del soggetto collettivo è fatto suo proprio, nonostante questo discenda dall’illecito commesso dall’apicale/subordinato. non si tratta quindi di responsabilità “oggettiva”, bensì di una responsabilità per fatto proprio, senza alcuna violazione del principio costituzionale del divieto di responsabilità per fatto altrui. in definitiva, non potrà dirsi raggiunto l’obiettivo della piena, autonoma colpevolezza dell’ente fino al momento in cui quest’ultimo, pur essendo chiamato a rispondere dell’illecito quale autonomo centro d’imputazione, non risponda però dei danni che derivano dall’illecito stesso in capo alla persona offesa. non si discute che il concetto di reato sia differente da quello di danno derivante da reato. Ciò nonostante, la configurabilità di una costituzione di parte civile diretta nei confronti dell’ente sembra la naturale conseguenza della consacrazione dell’autonomia della responsabilità del soggetto collettivo. A fortiori, il quesito in ordine alla ammissibilità della costituzione di parte civile sembra porsi nell’ipotesi in cui l’autore del reato presupposto non sia individuabile. Vige nel nostro ordinamento il principio del favor separationis rispetto all’azione per il risarcimento del danno (esercitabile in sede civile) e il processo penale. Ma l’evidente ratio della figura processuale della parte civile in sede penale è quella di evitare (quando possibile) che un soggetto, già danneggiato da un fatto illecito altrui, debba anche esser sottoposto alle lungaggini di un estenuante procedimento civile, potendo anche (in sede penale) beneficiare della attività istruttoria compiuta dal Pubblico Ministero. invero, le ipotesi in cui l’autore del reato presupposto non sia individuabile sono tutt’altro che infrequenti, in quanto nella odierna realtà economica sovente le organizzazioni aziendali sono talmente articolate da rendere ardua l’individuazione della specifica persona fisica a cui ascrivere la commissione del reato presupposto (20). in tali ipotesi, un’interpretazione del decreto che renda ammissibile una costituzione di parte civile diretta nei confronti dell’ente non sembra né irragionevole, né contraria ai principi costituzionali (in particolare, viene invocata la violazione del principio di legalità). Assumono infatti rilievo due ulteriori principi fondamentali, anch’essi sanciti direttamente dall’art. 24 della Costituzione: il diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi; quello di difesa ex secondo comma dello stesso, il quale subirebbe una inevitabile compressione, se fosse preclusa la possibilità al soggetto offeso di ottenere in sede penale un ristoro del danno da quest’ultimo patito. (20) un esempio pratico di una ipotesi di questo tipo è stato brillantemente fornito da C. SAnToriEllo, “Ammessa la costituzione di parte civile dell’ente per i reati fiscali commessi dal suo amministratore”, in Fisco, 2020, 9, 868. rASSEgnA AVVoCATurA dEllo STATo -n. 3/2021 la problematica della costituzione di parte civile nel processo de societate permane quindi attuale. in attesa di ulteriori arresti della giurisprudenza di merito e di legittimità, sarebbe auspicabile un intervento risolutore del legislatore. Ciò potrebbe avvenire, ad esempio, attraverso una rimodulazione adeguatrice ad hoc dell’istituto dedicato alla figura processuale del responsabile civile ex art. 83 c.p.p. proprio per le ipotesi in cui non sia individuabile l’autore del reato presupposto: prevedere l’azione diretta del danneggiato nei confronti del soggetto collettivo nei casi in cui l’intraneus autore del reato presupposto non sia individuato o non sia individuabile. una disposizione di questo tipo avrebbe il pregio di evitare il rischio, paventato da parte della dottrina, che la costituzione di parte civile contro l’ente produca una duplicazione del risarcimento quando i danni derivanti dal reato della persona fisica e dall’illecito dovessero coincidere. Finito di stampare nel mese di marzo 2022 Stabilimenti Tipografici Carlo Colombo S.p.A. Vicolo della Guardiola n. 22 - 00186 Roma