ANNO V -N. 6-7 GIUGNO-LUGLIO 1952 RASSEGNA MENSILE DELL'AVVOCATURA DELLO STATO PUBBLICAZIONE DI SERVIZIO SOMMARIO I. ARTICOLI ORIGINALI La questione della legittimit costituzionale delle leggi di riforma agraria negli ulteriori sviluppi giurisprudenziali, degli avv. CESARE A.Bus e FRANCESCO AGR, pag. 85-98.. II. NOTE DI DOTTRINA l) ANGELO DE MATTIA: Errore ed eccesso nell'uso legittimo delle armi, recensione critica dell'avv. F. CHIAROTTI, pag. 99-100. 2) ROGEL VIDAL: L'evolution du dtournement de pouvoir dans la furisprudence administrative, recensione critica dell'avv. A. CHICCO, pag. 100-102. III. RACCOLTA DI GIURISPRUDENZA l) Amministrazione pubblica -Provvedimento straordinario di sicurezza pubblicQ. -Natura di atto politico (Corte di Cassazione), pag. 103-104. 2) Impiego pubblico -Impiegati dello Stato -Ruoli transitori (Consiglio di Stato), pag. 104. , 3) Imposta di registro -Prescrizione -Contratti a corrispettivo variabile o presunto (Corte di Cassazione), pag. 109-105. 4) Imposte e tasse -Imposta profitti di guerra -Responsabilit degli amministratori e liqmdatori (Corte di Cassazione), pag. 105-107. 5) Imposte e tasse -Com.missione Centrale -Ricorso per cassazione, art. 111 della Costituzione (Corte di Cassazione), pag. 107-109. 6) Responsabilit civile -Impiegato infortunato -Rivalsa del datore di lavoro contro il terzo (Corte di Cassazione), pag. 110-112. IV. ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI l) Competenza -Foro dello Stato (Corte d'Appello di Roma), pag. 113. 2) Competenza -Competenza per territorio (Tribunale di Roma), pag. 113. 3) Scambi e valute -Versamenti in clearing -Sequestro delle somme (Corte d'Appello di ~;1ilano), pag. 113-118. V. RASSEGNA DI LEGISLAZIONE, pag. 119. VI. INDIOE SISTEMATICO DELLE CONSULTAZIONI, pag. 120-123. ANNO V -N."'6-7 GIUGNO-LUGLIO 1952 RASSEGNA MENSILE DELL'AVVOCATURA DELLO PUBBLI(JAZIONE DI SERVIZIO LA QUESTIONE DELLA LEGITTIMITA ' COSTITUZIONALE DELLE LEGGI DI RIFORMA AGRARIA NEGLI ULTERIORI SVILUPPI GIURISPRUDENZIALI In questa Rassegna (1951, pagg. 153-156 e 177 -181) ci siamo gi. occupati delle questioni sorte circa la illegittimit. costituzionale delle leggi di riforma agraria e, in special modo, circa la pretesa incostituzionalit. dell'art. 5 della legge cosidetta silana (legge 12 maggio 1950, n. 230). Sulle questioni suddette si pronunciato il Consiglio di Stato che, con decisioni dell'Adunanza Plenaria del marzo 1952, dopo aver dichiarato ammissibili i ricorsi contro i decreti legislativi di esproprio emessi in base al citato art. 5, li ha in parte accolti. Le decisioni sono state pubblicate nelle maggiori riviste di giurisprudenza ed ampiamente commentate; si ravvisa pertanto inutile trascriverne il testo. Pubblichiamo invece, qui di seguito, per i lettori della nostra Rassegna, i motivi dei ricorsi proposti alle Sezioni Unite della Corte Suprema di Cassazione contro le suddette decisioni, nell'interesse del :Ministero Agricoltura e Foreste; in essi sono diffusamente confutate sia le tesi accolte nelle decisioni impugnate, sia le argomentazioni degli scrittori che le hanno sostenute. MOTIVO DI RICORSO PARTE PRIMA Difetto di giurisdizione per illegale costituzione del giudice. Violazione degli articoli 45 T. U. 26 giugno 1924, n. 1054, modificato dalla legge 21 dicembre 1950, n. 1018, e 1 decreto legislativo 5 maggio 1948, n. 642. Violazione del decreto del Presidente della Repubblica che costituisce l'Adu nanza Plenaria delle Sezioni giurisdizionali del Oonsiglio di Stato. Articoli 161, 360, 374 e 382 cod. proc. civ. Basta indugiare un momento sulle sottoscrizioni apposte alla decisione impugnata per convincersi che l'Adunanza Plenaria delle Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, che ebbe a pronunciarsi, non l'Adunanza Penaria prevista dal legislatore e dal Decreto del Presidente della Repubblica, relativo alla sua costituzione, per quantit. e per qualifica dei componenti. qui palese la. viola.zione degli articoli 45 T. U. 26 giugno 1924, n. 1054, pur come modificato dalla legge 21 dicembre 1950, n. 1018, e 1 decreto legislativo 5 maggio 1948, n. 642, ratificato dalla legge 19 marzo 1952, n. 161. palese, del pari, la violazione del decreto del Presidente della Repubblica che costituisce per l'anno di cui trattasi, l'Adunanza plenaria. Che il Collegio che ebbe a decidere difettasse di giurisdizione, non essendo quel Collegio al quale la legge attribuisce poteri giurisdizionali sembra verit. consta.tabile dai fatti, e che non necessita di dimostrazioni. Che, pertanto, la decisione, come tale, vada. dichiarata nulla, punto nel quale non sembra sorgano difficolt.. assai delicato, invece, il problema delle conseguenze di questa. nullit.. Giacch, da una parte, potrebbe la Suprema Corte di Cassazione limitarsi a dichiarare che nella controversia non ancora intervenuta una decisione, e -constatato di non essere stata investita di un ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione -lasciare che il Consiglio di Stato, gi. adito dal ricorrente, si pronunci validamente (come Consiglio di Stato), restando impregiudicati i diritti delle parti ad impugnare la decisione (una. volta che questa sia legalmente emessa) anche per improponibilit. assoluta della domanda o per difetto di giurisdizione. Ovvero, intendendosi la Corte Suprema investita di diversi problemi afferenti alla esistenza della giurisdi2!ione del Magistrato, a suo tempo adito, essa pu ritenere di dovere rispondere al quesito se il ricorso sia proponibile, ed il Consiglio di Stato, munito di poteri giurisdizionali nella soggetta materia. Per questa seconda ipotesi si formulano i se guenti ulteriori motivi d.i ricorso, preceduti da un preambolo nel quale verranno illustrati, meglio che non sia possibile fare nei singoli motivi di ricorso, gli esatti termini del problema giuridico che forma il fondo dell'attuale dibattito. p ARTE . S:ilCONDA Inesistenza della giurisdizione del Oonsiglio di Stato nella materia controversa --. Improponibilit assoluta della domanda. -86 PREAMBOLO .A.I MOTIVI DEL RICORSO 1) Perch leggi delegate? Non. sembra che il Oon.siglio di Stato, n.el pron. un.ciare le du decisioni sopra trascritte, si sia posta la domanda se la realt. sulla quale il legislatore del 1950 si proponeva di operare n.on. prospettasse per avventura problemi, che non si potessero altrimenti risolvere, ed esigenze, cui non.. si potesse altrimenti adempiere, se n.on. per via della delegazione legislativa del Parlamento al Governo, disposta dall'art. 5 della legge 12 maggio 1950, n.. 230. L'in.dagin.e relativa , come 'ognuno vede, del pi alto interesse giuridico. Trattasi, infatti, di fare uso del can.on.e storico-teologo di interpretazione delle leggi seguendo la via logica di identificare, in. primo luogo, il fin.e propostosi dal legislatore, per -successivamente -stabilire l'adeguatezza dello strumento usato rispetto allo scopo perseguito, riservando per ultima, ed in. quanto ammissibile a fil di diritto, la valutazione della legittimit. costituzionale di entrambi i termini del rapporto: se lo scopo sia costituzionalmente plausibile, e .se il mezzo per perseguirlo sia giuridicamente adeguato ed abbia diritto di cittadinanza nel vigente ordin.amen.to giuridico. In. altre parole qui (come in ogn.i campo di valutazioni logiche) in.evitabile che le domande: che cosa M a che cosa serve? precedano razionalmente l'altra: quanto vale? Ora, determinato in. tal guisa l'ordine naturale delle questioni,non apparisce dalle decisioni denunciate che il Giudice amministrativo (il quale, pure, nel tentar di rispondere alla domanda se i decreti delegati in questione ponessero un novum ius, aveva rasentata sia l'impostazione, sia addirittura l'esatta soluz.ione del problema) abbia adeguatamente considerata l'essenziale importanza del punto ora indicato: perch il Parlamento ha ritenuto di dover delegare in. questa materia la funzione legislativa al Governo~ N sembra risposta soddisfacente (o addirittura, se si vuole, riguardosa per il legislatore, impegnato in opera di tanto momento giuridico e politico), dir che la legge Sila aliud dixit, aliud voluit, non avendo il Parlamento, nonostante le parole usate, inteso conferire delega di sorta, ma solo stabilire un'attribuzione di competenza amministrativa, cosi come dato leggere nella decisione Gi~glielmi, o addirittura discorrere di apparenza di delega))' intesa a sottrarre a gravame un atto amministrativo, degna della pi aperta censura))' come il Collegio giudicante proclama nella decisione Giannelli. Invero, se il Consiglio di Stato, obliterando ogni impedimento costituzionale, intendeva veramente manomettere leggi delegate, non poteva esimersi da un.'in.dagine in profondit. in ordine alla norma di delegazione, indagine condotta su tutto quanto il corpus rappresentato dalie leggi Sila e stralcio, in relazione alle :finalit. concrete perseguite, e non circoscritta ad una frase estratta dai lavori preparatori della legge ed ad una costruzione meramente teoretica (che lo stesso Consiglio di Stato riconosce n.on avere espresso fondamento nelle disposizioni positive vigenti) sulla pretesa riserva dell'atto amministrativo. L(li difesa dell'amministrazione fida, anzi certa, che la Suprema Oorte Reg9la,trice non ometter. di dare il giusto peso all'identificazione della causa finale della delega legislativa di cui trattasi, e si permette, pertanto, di indicare quella che, a suo avviso, la ragione sufficiente di questo fenomeno giuridico. Quando si discorre di riforma agraria, di riforma fondiaria, etc., si enuncia non un singolo ed unico tema, ma una pluralit. di esigenze concorrenti, che ip.al si prestano ad una reductio ad unum. Per costituire la piccola propriet. contadina occorre, infatti, non solo togliere la terra a chi' la ha per distribuirla a chi non la possiede, non solo spezzare, l dove esista, il monopolio della propriet. fondiaria, ma anche, nello stesso tempo ed allo stesso livello di importanza, realizzare le condiz.ioni ambientali, economiche e tecniche, perch questa piccola propriet. possa impiantarsi e mantenersi vitale. Qui si cessa di ragionare in termini di leggi gracchiane, di maximum di propriet. fondiaria, di ripartizione, etc., per cominciarsi a discorrere di bonifica, di strade, di case, di acquedotti, di elet trodotti, etc. Trattasi cosi di trovare il punto di equilibrio fra pi esigenze concorrenti: redistribuzione della terra (e garanzie dei proprietari espropriati); esecuzione di opere pubbliche di riforma e bonifica; sorte dei diritti ad tempus di terzi soggetti (affittuari, cooperative, coltivatori diretti, etc.); sorte di usi civici eventualmente esistenti, etc. Tale complesso di necessit. non poteva, evidentemente essere soddisfatto, n autorizzando sic et simpliciter gli Organi amministrativi dello Stato e gli enti di. Riforma a far incondizionatamente, sul piano amministrativo, quel che volevano nelle zone Sila e stralcio (con il che, indipendentemente da qualsiasi rilievo di costituzionalit., si sarebbe, allora si davvero, aperto l'adito ad ogni arbitrio), n costringendo gli Organi ed Enti suddetti all'esatta, diuturna e costante osservanza di pre3etti astratti ed onnivalenti limitativi, e circoscrivendo in ogni modo l'attivit. dei medesimi nei confini spettanti alla ben limitata sfera di libert. nei mezzi, concessa all'amministratoreesecutore. Oi avrebbe, infatti, comportato il rischio di da,r vita ad una legge autofaga, dove il raggiungimento del fine sarebbe stato in tutto od in parte frustrato e vanificato dalla inadeguatezza del mezzo. Ovvero, l'altro, di assicurare in ogni caso la realizzazione dello scopo, limitando, a tal fine, le garanzie dei privati controinteressati in cos ristretti limiti, da assicurare in ogni caso l'attuazione della riforma agraria e fondiaria pur nel funzionamento universale delle garan,zie medesime. Ci che era, se possibile, ancor meno desiderabile ed ancor pi nocivo al pubblico interesse che non la prima soluzione. N era, evidentemente, da considerare possibile e plausibile limitare le leggi Sila e stralcio all'unico obiettivo della redistribuzione della terra, mandando l'.Amministrazione, per quel che con 7 i& TJ&Qb? Mi, ;tm i li -87 cerne l'obiettivo bonifica, a provvedere a' sensi della legge generale sulle espropriazioni per pubblica utilit.. Ragionare in questi termini significa negare la solidariet. della riforma agraria con la riforma fondiaria , e cio l'essenziale, inscindibile unit. del problema della piccola propriet. contadina, nel duplice aspetto: dare la terra ai contadini ed assicurare la possibilit. fisica ed economica che il contadino sia sulla terra e la coltivi; significa, inoltre, non rendersi conto dell'esigenza di sincronia fra distribuzione della terra e impianto delle opere di infrastruttura (bonifica, strade, etc.). Tanto premesso, chiaro che il problema non si risolve al livello amministrativo. Esso impone di assurgere a quello legislativo. Occorre che chi deve fare la riforma agraria abbia non la pi o meno estesa discrezionalit. dell'amministratore, ma la libert. del legislatore: che possa, cio, ius facere caso per-caso: dettare caso per carso il diritto obiettivo, nuovo per i fondi in questione, a seconda del prevalere di una o di un'altra necessit. di fatto. Non, adunque, meri atti. formali, rivestiti ad pompam del carattere e della dignit. di legge, e neppure atti semplicemente ordinati a superare questo o quell'altro ostacolo, identificato, derivante dall'ordinamento positivo vigente (come accade, p. es., per la legge di concessione della cittadinanza o di una pensione extra ordinem), bens vere e proprie leggi sostanziali ad oggetto limitato, si, ma poste veramente a creare il diritto, non ad applicarlo n a derogarvi. E leggi necessariamente delegate. Delegate, giacch occorreva superare lo iato che di fatto (e non di diritto) esiste tra Parlamento ed azione concreta condotta, in base a valutazioni tecniche esperibili soltanto cc in loco . Delegate, giacch non voler chiudere gli occhi di fronte alla realt. prescindere dall'ingorgo che nei lavori legislativi (e politici) ordinari delle Camere avrebbe determinata la votazione di questa massa di leggi in privos latae. Ed cosi che si spiega la presenza nell'ordinamento giuridico italiano delle leggi Sila e stralcio. Giacch i termini problematici in cui il Consiglio di Stato' avrebbe dovuto porre la questione, ad un certo punto e se si entri nello spirito giuridico delle cose, sono reversibili, potendosi il quesito sopra enunciato formulare come segue: perch il legislatore avrebbe regolato in maniera generale ed astratta le espropriazioni ad reformandum, dettandone una compiuta disciplina, se poi doveva delegare a tal. fine l'esercizio della funzione legislativa al Governo'I Rispondere con l'art. 42 della Costituzione (senza una legge generale non si eseguono espropri) risposta puramente formale. Nella sostanza deve dirsi che il Parlamento esigeva che il Governo nell'attuare le espropriazioni in questione si conformasse a determinate idee generali. E tali idee generali espresse sotto forma di legge, in quanto solo con leggi il Parlamendo pu esprimersi. Ma al tempo stesso intendeva il legislatore delegante, che il Governo assumento tali idee come direttive (scil. cc principi e criteri direttivi: art. 76 del_la Costituzione), impegnative quanto si voglia na non rigidamente vincolanti per il delegato. Cosi deve leggersi l'art. 5 della legge Sila (anche nel richiamo di cui all'art. 1 della legge .stralcio : che i principi e criteri direttivi siano quelli definiti dalla presente legge non n frase generica, dettata in ossequio: formale all'art. 76 della Costituzione, n imprecisione tecnica; invece l'espressione esatta ed adeguata della volont. del legislatore delegante. Gli articoli di legge, dai quali i provvedimenti in questione ricevono dettagliata disciplina (e ci ha indotto a negar carattere di legge ai decreti lgislativi delegati in argomento) sono vere d,irettive date dal parlamento al Governo ed attenersi ad una direttiva non affatto applicare meccanicamente un comando. N a questo, e correttamente, s' limitato il Pa:rlamento. Il teneat dum tenere potest che caratterizza siffatte forme di limitazione alla attribuzione di poteri; la delicatezza del problema delle garanzie esterne (se del caso, giurisdizionali) avverso gli atti delegati; la responsabilit., infine, che il Parlamento assumeva di fronte al Paese che la riforma fosse attuata ed attuata bene, furono sentite dal legislatore delegante. E tanto sentite che, fuor dai consueti schemi di delegazione, il Governo venne affiancato da una Commissione Parlamentare, che ne controllasse l'operato per riferirne, se del caso, alle Camere, .competenti agli effetti delle sanzioni politiche. Insistiamo, nonostante il contrario pensiero del Consiglio di Stato, su questo punto: che, se il Governo doveva agi+e da esecutore-amministratore, se cio, la delega fosse stata una pseudodelega, la presenza della Commissione Parlamentare avrebbe costituito pi che una scorrettezza, un errore costituzionale. Non. esatto che sia normale per l'ordinamento giuridico italiana impegnare la responsabilit. di (ci sia concessa l'espressione) cc Uffici distaccati del Potere legislativo )) in attivit. di Governo o di amministrazione. Ci pu accadere, e ben di rado, o quando al Governo sia affidata attivit. ricadente nell'ambito legislativo (cos per i codici o per qualche testo unico), o quando trattisi di funzioni politiche, e la Commissione parlamentare debba funzionare non come rappresentanza del Potere legislativo, ma come emanazione dei gruppi parlamentari, (cos, p. es., nel caso della R. A. I.) o, infine, per peculiari eccezionali forme di gestione finanziaria, a tutela della pubblica .fede. Mai, per quanto ci risulta, laddove il Governo agisca nella veste di Potere esecutivo e, meno che mai, nella specifica funzione di Amministrazione Pubblica. Con tale procedimento si raggiungeva un duplice effetto, n.on sappiamo sin.o a che punto presente alla mente delle due Camere quando la legge Sila venne discussa ed approvata, ma oggi (e particolarmente dopo le decisioni del Consiglio di Stato) rifulgente in piena nitidezza. Tale effetto essendo la certezza del diritto, e nei confronti di chi perdeva e nei confronti di chi acquistava od~ era destinato ad acquistare. Nei con.fronti dei proprietari espropriati: la forma e forza di legge e l'cc auctoritas patrum )) come sopra interposta, serviva ad assicurare che -88 li provvedimento era stato adottato al cospetto della rappresentanza legale del Paese raccolta nelle due Camere, e che il pur doloroso sacrificio era stato offerto veramente sull'altare del Dio. Nei confronti dei contadini assegnatari la maest. e sacert della legge valeva a render sicuro l'acquisto -in definitiva a suscitare e confermare la fede nella 1iforma agraria -di fronte a possibili trasformazioni nell'assetto storico delle cose d'Italia. E chi abbia presenti taluni precedenti storici (p. es. atteggiamento degli acquirenti dei beni nazionali di fronte al Termidoro, all'Impero ed alla Restaurazione) pu, ed a ragione, non sottovalutare il bene che per tale via, e forse inconsapevolmente, si arrecava alla causa della civica pace e della concordia. Devesi pertanto affermare, a conclusione di questi primi chiarimenti sul fon.do della questione, che i dati del problema di fronte al quale il legislatore delle leggi Sila e Stralcio si trovava, imponevano di necessit. la soluzione della delega legislativa. Ohe, inoltre, i provvedimenti per quali questione hanno natura e caratteri sostanziali, oltre che formali, di leggi. Ohe non risponde ad esattezza la strana ricostruzione dei fatti (non si comprende sino a qual punto condivisa dall'Adunanza Plenaria delle Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato), secondo la quale le Camere avrebbero imposto al Governo riluttante di servirsi d'una pseudo-delega per sottrarre a sindacato giurisdizionale veri e propri atti. amministrativi (giacch fu d'iniziativa del Parlamento e non del Governo, come ognuno sa, che l'art. 5 venne introdotto nella legge Sila). Se, poi, questa delega sia costituzionalmente legittima, e se comunque gli atti in tal guisa delegati possano formare oggetto principale di cognizioue diretta da parte del Giudice di legittimit. degli atti amministrativi, sono problemi che si tenter. di risolvere esponendo i motivi del presente ricorso. Qui g.iova soltanto porre un punto fermo: che trattasi di vere leggi sostanziali delegate, non di atti .amministrativi. 2) La qualificazione dell'atto da parte del Giudice Limiti. Qui non si tratta n di stabilire se di fronte ad un atto che esso stesso dichiari la propria cc forza di legge >> sia consentita l'indagine del Giudice, diretta a stabilire se questo conferimento di cc forza di legge >> abbia o non abbia in fatto effettivamente avuto luogo ad opera dell'Organo (legislativo) competente. E, neppure, se nel nostro ordinameuto costituzionale vi siano limiti a che il Parlamento attribuisca cc forza di legge >> a determinati atti del Potere Esecutivo. Nella sede presente, e per quanto interessa questo Preambolo, il problema che si pone il seguente: se, titenutosi da parte del Giudice della legittimit. degli atti amministrativi che il Potere legislativo abbia male (erroneamente od incostituzionalmente) siglato del segno della cc forza di legge>> atti intrinsecamente amministrativi, sia, poi, nei poteri di questo Giudice, al fine di affermare la propria giurisdizione sugli atti di cui trattasi, spogliare gli atti in questione della porpora legislativa usurpata e riconoscerli, prima, e trattarli, poi, come atti ammi:uistrativi. Tale quesito non avrebbe, nella sostanza delle cose, ragione di essere una volta che, come dianzi si brevemente dimostrato, nel caso in esame si di fronte a vere e proprie leggi delegate, a vere e proprie fonti di diritto obiettivo. Ma la Difesa dello Stato crede non inopportuno che alla Suprema Corte di Cassazione sia sottoposta la questione formale di principio, che si manifesta di una non sottovalutabile importanza per la sicurezza giuridica e l'ordinato esercizio dei pubblici poteri. E cominciamo da alcune pacifiche osservazi0ni. Ohe, nei termini pi generali, un atto vada inteso per quello che e per quel che comporta, indipendentemente dal nomen iuris i> che si trovi ad avere attribuito, verit. tanta ovvia, che sembra persino superfluo il dichiararla. Trattasi di principio di applicazione universale (come ben riconosce la decisione Guglielmi), valevole tanto nel campo del diritto sostan~iale, pubblico e privato, quanto i:n quello del processo. Non trattasi di fenomeno che vada necessariamente riferito all'esercizio della giurisdizione, e forse neppure all'uso dei pubblici poteri. Se il merciaiolo ambulante, imbonendo il proprio pubblico, proclama che egli non vende la mercanzia, ma la regala, chi aderisce alla sua offerta pu -o addirittura deve -sapere che egli, nonostante quanto l'altra parte vada dicendo, stipula una compravendita e non accetta una donazione. .Ad un pi alto livello: il Procuratore del Registro tassa l'atto per quel che dispone e per le clausole che porta e non per l'intestazione che ai contraenti sia piacuto di apporvi. .Ancora: il Giudice che si trovi di fronte ad un rapporto controverso, per prima cosa di fronte alle parti -ancorch queste nori. disputino affatto nella effettiva natura e definizione giuridica del rapporto medesimo -deve, per suo conto, indagare in che cosa consista il gestum negotii ed a quale categoria giuridica esso si appartenga. Del pari, il Giudice d'.Appello, se si trova di fronte ad una pronuncia che il Giudice di primo grado abbia denominato ordinanza, ed invece sia sentenza, e cosi via. Si pu arrivare sino al punto~che -per stare al caso trattato -il Giudice di legittimit. degli atti amministrativi, affermi la pro.:pria competenza su atti legislativi, assumendo che questi per la loro in,trinseca portata altro non sono (attenzione: non altro non dovrebbe essere!) che atti amministrativi~ E si pu spingere il funzionamento del meccanismo sino al punto di dire che l'Amministrazione, ricevendo siffatta pronuncia del Consiglio di Stato, per suo conto legga in essa non gi una decisione giurisdizionale, ma una legge di abrogazione di atti legislativi, e la consideri, pertanto, un nulla giuridico, atteso che-non spetta al Consiglio di Stato emanare leggi abrogative Eppure ci sarebbe, in un certo senso, perfettamente razionale, giacch certe posizioni logiche si collaudano al limite, ed il diritto-dovere .~ -89 _. di identi1care l'atto e trattarlo per quello che esso realmeD,te vale per tutti, od almeno per tutti i poteri dello Stato. Un limite, adunque, ci deve essere. Il problema sta a trovarlo. Sembra a chi scrive che sia erroneo considerare come un quid giuridico autonomo e comunque, come un potere giuridico, o qualcosa di simile, a s stante la qualificazione dell'atto e del negozio. Come, cio, se tale facolt costituisca una prerogativa ben identificata di chi deve eseguire od applicare la legge, concettualmente isolabile e con propri caratteri differenziali nel complesso universo giuridico, ovvero -d'altra parte -come manifestazione di un potere d'imperio, e non come constatazione e riconoscimento. , invece, da credere che pur in questo caso non si dia altro fenomeno se non quello generalissimo e costante della osservanza della legge. La definizione legislativa pur essa un precetto giuridico (iussum definitorium dei giuriconsulti rinascimentali), che esige obbedieD.za, esecuzione ed applicazione, volta a volta, da cbi chiamato al suo comando. Per stare agli esempi test addotti: l'acquirente obbedir alla legge civile che definisce compravendita e non donazion,e, lo scambio della cosa, con,tro il prezzo; il funzionario fiscale eseguir la legge tributaria, e per eseguirla applicher la qualifica che -imperativamente - data dal Codice o da altre leggi ad un determinato negozio; il Giudice applicher -a seconda dei casi la legge sostantiva o la legge processuale alla res sottopostagli, ed emetter il proprio comando in applicazione del precetto della legge. Possono qui darsi diverse posizioni del tema, ma tutte riconducibili ad unit, senza eccezioni. Pu la legge comandare a chi deve osservarla, di desumere, per via di interpretazione e di costruzione, la definizione del fenomeno regolato, o dal suo stesso sistema, ovvero addirittura mediante ricorso ai principi generali. E qui non pu negarsi all'interprete una certa qual libert di apprezzamento. Ovvero, essa pu del fenomeno giuridico dare la definizione costante e generale da valere perennemente e ad ogni efftto (ed il caso normale delle definizioni dei codici civili e penale). E qui il comando definitorio della legge validamente pu distaccarsi dai principi generali, e comunque dalle nozioni giuridicamente legislative, per avventura, una certa fattispecie fuori o addirittura contro quel che la logica e la realt e:x:tragiuridica vorrebbero. evidente che in tal caso chi deve osservare l'imperativo, primario o secondario, della legge non pu negarla n in nome dei principi generali del diritto, n in nome di esigenze che con il diritto nulla hanno a che vedere. Soltanto la legge pu, in certe ipotesi, derogare a s stessa. Ed all'interprete non resta che prenderne atto. Lo stesso codice civile pu definire in sede generale un certo atto come oneroso, ed in sede diversa e speciale considerarlo gratuito. Ovvero pu la legge civile riten.ere dichiarativo un atto, e la legge fiscale assumerlo per costitutivo, etc. Risulta da quando si detto che la qualificazione di un erto atto operazione logica di rico noscimento, in ossequio al comando della legge, e non operazione volitiva di imperio, che possa sovrapporsi, o addirittura prevalere, al comando definitorio della legge. Ch se, avventura, il legislatore abbia, poi, definito un certo atto in modo da :!Ie:b.dere un precetto costituzionale, non per questo la natura dell'atto cambia ad libitum del Giudice. Occorrer, in tal caso, carne sempre, che la congiuntura processuale (essendo dati immutabili del problema, il comando definitorio della legge, e l'atto cosi come esso dalla legge stato definito) consenta al Giudice in parola di esercitare il sindacato di legittimit costituzionale sulla legge de qua e disapplicarne, poi, l'iussum nel caso in questione e nell'atto in questione, gi. validamente sottoposto al proprio sindacato. Con la conseguenza che, come sar visto in seguito, allorquando la legge attribuisca ad un Organo un certo potere, in una qualifica costituzionalmente illegittima, salta non gi la qualifica (non potendo l diudice sostituirsi all'ipotetica volont del legislatore) ma tutto quanto l'atto, in cui potere e forma, sostanza e qualifica sono indissolubilmente compenetrate. Sia detto per inciso che tutto ci ha ben poco a che vedere con la trama delle decisioni in istudio, le quali partono da carattere di atto amministrativo nei decreti in questione, necessario per a:ffermar la giurisdizione del Consiglio di Stato. La verit test enunciata, e che si riduce a ci: che il Giudice deve obbedire alla legge, sembra. ovvia. Ma non deve esserfo tanto se l'.Adunanza Plenaria ha potuto spingersi sino a fare le considerazioni seguenti, fondamentali alla struttura logica delle decisioni: I. cc N a questa indagine (circa l'identificazione cc della natura giuridica dell'atto impugnato) pu cc costituire ostacolo -di regola -la formale nacc tura dell'atto o la definizione giuridica data ad {{ esso DALLA PARTE, o PER AVVENTURA DALLA LEGGE (sic!) tutte le volte che .a tale natura o -a tale definizione contraddica, al lume dell'indagine giuridica, la .~ostanza dell'atto stesso, nel contenuto cc come negli effetti . (Decisione Giannelli, in aper tura della motivazione di diritto). .Affermazione veramente edificante: come quella che porta al dispregio, sia dell'ordinamento positivo, cui si sostituisce una metafisica indagine giuridica, che dovrebbe prescindere sia dalla legge, sia della forma giuridica) o della formale natura degli atti), sulla quale dovrebbero pre-vlere il contenuto e gli effetti. Dipregio della forma che trova contrappunto nel paragrafo 3 della motivazione in diritto della decisione Guglielmi: se il raggiungimento di determinate esigenze sostanziali reso impossibile dalla ferrea logica del processo (forma, anche qui), perisca il processo e si salvi la sostanza! Dove, resi i dovuti onori alla nobilt dell~ intenzioni, non pu non ravvisarsi il rischio che, adun certo momento, sia travolto tutto il diritto, forma e sostanza, e sostituito dall'arbitrio; che sempre arbitrio la giustizia qu~nd'essa neghi i propri limiti positivi. -90 n. (( ripugna alla logica, ancor prima che al diritto, che possa essere considerato legge l'atto dell'Amministrazione che si limita ad attuare, per il raggiungimento di concrete finalit, una prece dente volont di legge . (Decisione Guglielmi, paragrafo 2, in fin.e). E ripugna alla logica, ancor prima che al diritto (pu dirsi a mo' di commento) che il Giudice chiamato ad applicare la leggB al caso concreto comnci con. il negare la legge! * * * Oome spesso accade, a sorreggere l'errore si .invoca la verit. E la verit, nel caso in. esame, rappresentato dalla sentenza delle Sezioni Unite della Suprema Oorte di Oassazione, emessa in data 9 luglio 1947, n. 1093, che si trova, ad essere ricordata tanto nella decisione Guglielmi, quanto nella decisione Giann.elli. Nella specie trattavasi di idtin.tificare la natura giuridica delle cc Ordinanze emesse dall'Alta Oorte di Giustizia in tema di decadenza dalla carica di Senatore del Regno, a sensi del decreto legislativo luogotenenziale 27 luglio 1944, n. 159. Or qui va detto con estrema chiarezza, e ad onore del vero, che, per giungere al risultato di ravvisare in queste ordinanze delle vere e proprie pronunzie giurisdizionali, la Oorte ha applicata la legge che regolava i poteri dell'Alta Oorte di Giustizia e che formava oggetto del dibattito. Non si messa contro l'espresso dettato di questa legge, n, piu modestamente se pur piu sottilmente, ha mai pensato di dire che le parole usate dal legisla-. tore. ed i concetti giuridici espressi con siffatte parole,. costituivano meri fiatus vocis suscettibili di libere interpretazioni ad libitum del Giudice. Oon paziente e documentata indagine sul testo legislativo la Oorte ha infatti osservato, tra l'altro: a) che gli articoli 1 e 8 del decreto legislativo luogotenenziale 27 luglio 1944, n. 159 discorrono espressamente di decisione>> e di e< giudizio, espressioni caratteristiche ai procedimenti di ca rattere giurisdizionale; b) che tutto il corpus del citato Decreto Legislativo dichiara patentemente la natura giu risdizionale dell'Alta Oorte e le funzioni giurisdi zionali ad essa. costantemente, esclusivamente e senza eccezioni demandate; e) che, se pur l'ordinanza di decadenza costi tuisce provvedimento emesso in Camera di Oonsi glio, deve osservarsi che, secondo il nostro diritto positivo -sia per i procedimenti penali, che per quelli civili -il procedimento di Oamera di Oonsiglio viene adottato, ora, anche per molte plici materie di carattere giurisdizionale. La forma, adunque, non solo non contrasta la sostanza, ma la dichiara. N la legge del 1944 consente che siffatte ordinanze siano riconducibili a categoria diversa da quella dei provvedimenti giurisdizionali. In sintesi: che non solo la legge non attribuisce carattere diverso dal giurisdizionale a questi atti, ma che essa, invece, espressamente tale carattere proclama. In altri termini, la Suprema Corte ha posto e risolto il problema di identificare la volont del legislatore del 1944, tal quale essa si manifestava nei concetti espressi e nelle parole adoperate nel testo della legge. Non ha mai pensato di andar contro alla natura formle dell'atta o alla definizione giuridica data ad esso . ... dalla legge, adducendo che tale definizione ripugna alla logica, ancor prima che al diritto. Posti i termini della denuncia test formulata, la Difesa dello Stato invoca dalla Suprema Corte. di Oassazione precipuamente l'uso dell'art. 65 dell'Ordinamento giudiziario.J Qui non si tratta soltanto di fulminare di nullit una decisione emessa fuori e contro la legge, di risolvere puramente e semplicemente una questione di limiti di competenza e di attribuzioni. Qui la Oorte di Oassazione chiamata a pronunciarsi, anzitutto in veste di Organo supremo della giustizia, per assicurare l'unit del diritto oggettivo nazionale, minacciata attraverso l'arbitraria eliminazione di un preciso precetto di legge dall'ordinamento giuridico vigente e dalla sostituzione a questo precetto, del pensiero prsonale, autorevole quanto si voglia, ma non per questo legge, del Giudice. 3) La vera natura delle decisioni denunciate. giunto, cosi, il momento di proclamare la verit sull'operato dell'adunanza Plenaria; sulla funzione che il Consiglio di Stato ha inteso esercitare nel dibattito apertosi su leggi dello Stato: leggi delegate e leggi formali. Con la necessaria chiarezza va detto che qui non si amministrata giustizia, applicandosi, o negandosi applicazione, alle leggi in vigore, ma si emanata una legge di abrogazione, e degli atti delegati e della norma di delegzione. Non solo, ma, per quest'ultima, abrogatosi il vecchio precetto, a questo se ne sostituito uno nuovo, completamente diverso da quello formulato dal Parlamento, anzi, opposto a quel che gi costitu contenuto e scopo della volont del legislatore. Valga il vero. Far la riforma fondiaria, e farla attraverso decreti legislativi, rappresentava un unicum inscindibile cui si dirigeva la volont del Parlamento. Ohe per la legge Sila (e per la legge Stralcio), posti i noti precetti, fosse indifferente che questi fossero applicati ccn atti amministra tivi o con atti aventi valore di legge or4inaria, ipotesi di cui va celebrato il divorzio con la realt giuridica e con quella storica. Lo stesso Oonsiglio di Stato, nell'infliggere solenne reprimenda al legislatore dell'art. 5, come ha fatto nella deci sione Giannelli, accampando l'artificiosa (a suo dire) paralizzazione delle guarentigie di giustizia, di cui agli articoli 24 e 113 della Oostituzione, con fessa che nel caso che ne occupa, H legislatore ha veramente voluto operare per via di delegazione e che pertanto, mezzo e fine sono solidali, cio che la volont della norma di delegazione fa aorpo _ unitariamente con le volont delle altre norme della legge. Ora, se -posta questa ferrea ed insuperabile premessa -il Oonsiglio di Stato ha ravvisato nei decreti di espropriazione dei puri e semplici atti -91 amministrativi, ed al tempo stesso ha risolutamente negato che questa amministrativizzazione .di atti aventi valore di legge ordinaria fosse il risultato, di una operazione di conversione (che, per altro, il Consiglio di Stato non avrebbe potuto eseguire), non si esce dalla necessit di proclamare che I'Alto Consesso ha modificato la legge, ha cio, legiferato, ed ha legiferato in due tempi: prima abrogando l'art. 5, e poi costituendo ad esso un nuovo articolo 5, dal cui testo sono espunte le frasi per delega concessa con la presente legge, e con decreti aventi valore di legge ordinaria. Ci che neppure la Corte Costituzionale avrebbe potuto fare, essendo le funzioni di questo Collegio circoscritte all'abrogazione della norma di legge invalida costituzionalmente, e -se si vuole ad una messa in mora al Governo ed alle Camere (art. 136 della Costituzione) perch immediatamente provvedano alla sua sostituzione. Va @lui fatta una sosta e ripetuto: che nella specie non si trattava n di interpretare l'art. 5, n comunque, di eseguire una reductio ad propriam naturam dei decreti delegati, ostando alla prima operazione la chiara e nitida dizione del testo, ed alla seconda la forma de decreti ed il grado di intensit del volere che con gli stessi si intendeva raggiungere. Si trattava, invece di abrogare e . sostituire l'art. 5 con altra norma. E ci fu fatto dal Consiglio di Stato. Ancora, questa manomissione dell'art. 5, nel determinare una metamorfosi nella forma, nella natura, nei caratteri e negli effetti dei decreti delegati, ha inteso rendere ammissibile il giudizio in via principale e diretta, e non incidenter tantum, sui medesimi e la formazione di un (possibile) giudicato sul loro annullamento. Non sembri ritorsione, di fronte all'argomento, troppe volte ripetuto dai ricorrenti e che trova eco nelle decisioni denunciate, che atti amministrativi sarebbero stati indebitamente travestiti da atti legislativi, il rispondere qui che un solo travestimento ha avuto luogo. Quello operato dal Consiglio di Stato su leggi delegate ridotte ad atti amministrativi. * * * Rientrano nel fine di questo preambolo due osser. vazioni sulle conseguenze delle decisioni in esame. La prima concerne la circostanza che, dopo le pronuncie del Consiglio di Stato, si determinato nei proprietari espropriati lo stato d'animo che la riforma fondiaria sia definitivamente compromessa. Lo prova il numero di ricorsi, nell'ordine di grandezza del migliaio, che si propongono contro praticamente tutti i decreti di esproprio. La seconda, che il Governo (obbligato ad eseguire le leggi) ha dovuto necessariamente applicare le leggi Sila e Stralcio, ed assumere concrete responsabilit verso il Paese, pur nell'incertezza del diritto determinata dalle decisioni impugnate. con questo particolare che, essendo ormai in iscadenza i termini per l'emanazione dei decreti di espropriazione, il gi fatto restano crolla, essendo impossibile che sul terreno, sia pur limitatissimo, dell'attivit di amministrazione possa tornarsi indietro sugli espropri pronunciati. MOTIVI DI RICORSO 1) La delegazione conferita dalle Camere al Governo, a norma degli articoli 76 e 77 della Costituzione, fa assumere all'atto delegato valore di legge ordinaria. Ogni questione che s'apra a proposito della validit giuridica di U'('iO di questi atti delegati questione di costituzionalit di atto avente valore di legge ordinaria, e non questione di legittimit di atto amministrativo. L'atto delegato non pu, infatti, esssre considerato e trattato come atto amministrativo, in quanto esso, e per la sua natura e forza e per lo stesso soggetto onde promana, non riconducibile alla categoria di atti che la Pubblica Amministrazione, agendo per suo proprio conto e nella sua propria qualifica, pone in essere nell'esercizio della funzione amministrativa. Il Consiglio di Stato difetta, pertanto, di giurisdizione sui provvedimenti medesimi. (Difetto di giurisdizione in ragione della violazione degli articoli 76, 77, 100 e 113 della Costituzione, e dell'art. 26 T. U. 26 giugn 01924, n. 1054, in relazione agli articoli 2 e 15 delle preleggi Art. 382 cod. proc. civ. 2) La controversia relativa alla legittimit costituzionale di un atto avente forza di legge, pu essere portata a cognizione dei giudici ordinari ed amministrativi solo in via incidentale. Non pu chiedersi, in termini di oggettoiprincipale e diretto della; domanda o del ricorso, n la dichiarazione di illegittimit, n -tanto meno -l'annullamento di un atto emanato dal Governo per delegazione conNrita dal Parlamento, giusta gli articoli 76 e 77 della Co stituzione. N possibile riconoscere l'atto amministrativo in un provvedimento che, quanto meno formalmente, si manifesti come legge delegata. (Difetto di giurisdizione in ragione dell'improponibilit assoluta della domanda: Disposizione transitoria VII, in relazioneall'art. 134 della Costituzione -Art. 382 cod. iproc. civ.). 3) Quando si impugni un atto legislativo deducendosi la illegittimit costituzionale della legge di delegazione, e su tale questione si formulino esplicite domande dalle parti, l'illegittimit costituzionale della legge di de'fegazione non pu considerarsi come mero punto pregiudiziale, n la domanda relativa proposta in via incidentale, e la pronuncia sulla costituzionalit della delega destinata ad assumere valore di cosa giudicata. Ci che non consentito dalla VII Disposizione transitoria della Costituzione. (Difetto di giurisdizione: Disposizione transitoria VII della Costituzione in relazione all'art. 34 cod. proc. civ. -Art. 382 cod. proc. civ.). 4) Non consentito attualmente che il Giudice, investito a norma della VII Disposizione transitoria della Costituzione delle controversie sulla legittimit delle leggi, risolva un conflitto d'attribuzioni. fra legislativo ed esecutivo. E, per altro, non esiste ostacolo costituzionale a che singole espropriazioni siano effettuate con atti aventi valore di legge ordinaria. -92 (Difetto assoluto di giurisdizione in ragione di altra violazione degli art. 76 e 77 della Costituzione e della falsa applicazione del successivo art. 113. Violazione dell'art. 134 della Costituzione in relazione alla VII Disposizione transitoria. -Art. 382 cod. proc. civ.). 10 MOTIVO Difetto di giurisdizione, derivante dalla violazione 'degli articoli 76, 77, 100 e 113 della Costituzione, e dell'art. 26 T. U. 26 giugno 1924, in. 1054, in relazione agli articoli 2 e 15 delle preleggi. Il Consiglio di Stato, in Adunanza Plenaria, nelle sue decisioni del 20 marzo 1952, ha creduto po ter affermare la propria competenza a decidere sulle impugnative proposte dagli interessati contro i decreti del Presidente della Repubblica, ema nati per delegazione legislativa. I motivi di tale affermazione sono, come si visto, i seguenti: il giudfoe, per stabilire la propria competenza, non deve arrestarsi alla veste este riore del provvedimento (anche se si tratti di atto del Governo avente efficacia di legge formale), non deve fermarsi al nomen iuris che stato attribuito, sia pure dal legislatore, all'atto mede simo. Il Giudice, ha, invece, piena potest di qualificazione dell'atto allo scopo di scoprirne ed intenderne la natura vera e la essenza. questo un potere che discende da quello pi generale di compiere tutte le indagini necessarie per pronunziare, innanzi tutto, sulla giurisdizione e sulla competenza. In conseguenza di tali principi il Consiglio di Stato, tenuto conto che i Decreti Presidenziali in. questione emanano dal potere esecutivo ed hanno un contenuto tipicamente amministrativo, e, perci riguarderebbero inateria non delegabile diti Parlamento allo esecutivo, ha creduto di poter concludere che i decreti di cui trattasi, sono, per la loro vera natura, atti soggettivamente ed oggettivamente amministrativi e non leggi delegate, di modo che quella parte della disposizione della legge di delega in cui si stabilisce che i detti decreti hanno valore di legge ordinaria, devesi ritenere addirittura come priva di qualsiasi efficacia giuridica e come non scritta. A tale concezione si giunge, secondo il Consesso Giurisdizionale Amministrativo, attraverso un semplice procedimento di indagine sulla natura dello atto ai fini della sua qualificazione, procedimento che nulla ha a che fare con quello di conversione del provvegimento o dell'atto giuridico. facile scorgere in tali rilievi, le cause vere e profonde dell'errore insolitamente grave in cui caduto il Consiglio di Stato. Gi abbiamo spiegato, nel proemio del presente ricors, quale, secondo la difesa dell'Amministrazione sia l'ambito entro cui pu svolgersi l'indagine del Magistrato per la definizione e la qualificazione di un atto o di un provvedimento (sia ai fini della determinazione della giurisdizione e della competenza, sia ai fini della decisione di merito) e quale debba essere lo scopo finale cui tale indagiqe deve tendere, e cio: identificare il vero con~ tenuto del provvedimento e dell'atto seco.ndo la volont della legge, sia tale legge, naturalmente, di contenuto astratto e generale che di contenuto concreto. E ricercare quella che la volont della legge nei confronti di un atto o di un provvedimento altro non significa _; a parerenostro -che rico struire tutto il contenuto sostanziale della volont medesima. Ora, di tale contenuto non fanno parte soltanto le disposizioni relative agli elementi essenziali e naturali di quella categoria di provvedimenti od atti, ma anche quelle riguardanti un particolare modo di essere, una speciale attitudine o forza od efficacia di tali atti o provvedimenti. Nessuno pu negare che se il legislatore ha voluto che un particolare atto sia dotato di un'efficacia preminente rispetto ad altri atti, abbia in realt voluto qualcosa di sostanziale, abbia cio impresso una natura giuridica a quell'atto speciale, abbia innovato, rispetto alla categoria degli atti non forniti di tale efficacia e non si sia invece, soltanto limitato ad un'affermazione di carattere teorico e puramente formale della quale il Giudice pu non tener conto (in non condivisa ipotesi) per la dettirminazione della vera natura dell'atto o provvedimento. In particolare, venendo al caso dei decreti legislativi presidenziali impugnati, devesi recisamente affermare, in opposizione a quanto ha dich arato il Consiglio di Stato, che quando il legislatore, avvalendosi della facolt espressamente concessagli dagli artt. 76 e 77 della Costituzione, ha delegato il Governo ad emanare, secondo i principi ed i criteri direttivi definiti dalla legge di delega, decreti aventi valore di legge ordinaria per gli oggetti di cui all'art. 5 della legge 12 maggio 1950, n. 230, nello attribuire a tali decreti forza di legge non ha certamente dato ad essi un nomen iuris, una etichetta diversa da quella che identifica il loro contenuto sostanziale, ma ha attribuito, con operazione volitiva d'imperio e non riconoscitiva una particolare sostanza ed efficacia ai decreti medesimi. In altre parole, ha mutato la natura di tali atti rispetto a quella che essi avrebbero avuto se tale forza di legge non fosse stata loro attribuita. Il legislatore ha dato il crisma di atto legislativo a tali decreti emanati in suo nome e per suo conto (essenza questa della delegazione legislativa) dal Governo. La forza di legge ( appena opportuno ricordarlo ed , invero strano che il Consiglio di Stato lo abbia dimenticato), ne de profondamente sulla sostanza dell'atto a cui conferita. Nessuno n in dottrina, n in giurisprudenza ne ha mai dubitato. Questa verit stata anche di recente riaffermata dal GUARINO: Profili Costituzionali, amministrativi e processuali delle leggi per l'Altopiano della Sila e sulla riforma agraria e fondiaria in Foro Italiano 1952, fase. 7-VIII, parte IV, p. 74). Particolare efficacia dell'atto fornito di forza di legge che consiste principalme'llt~ com.' _no_to: a) nella preminenza dell'atto su tutti gli al tri atti emanati da qualsiasi potere statale; b) nella capacit dell'atto di derogare od abrogare qualsiasi altra diversa manifestazione di volont dello Stato o dei singoli; -93 c) nella resistenza dell'atto agli attacchi di ogni altra manifestazione di volont che non sia . emanata in forma di legge, di modo che l'atto cui conferita tale forza non pu essere abrogato o modific'lito se non mediante altra legge; d) infine, nell'insindacabilit di tale atto da parte di qualsiasi Giudice, salvo, s' ntende, per motivi di legittimit costituzionale e nelle forme e nei modi stabiliti dalla Carta Costituzionale nei regimi (come il nostro) a costituzione rigida (ved. per tutti l'esauriente esposto del FODERARO: Il concetto di legge, Milano 1948, p. 167 e segg. e spec. p. 169). forse necessario ricordare a proposito della natura e della portata della forza di legge la sug gestiva e sempre attuale definizione del O.ARRE' DE MALBERG. (La Loi, Paris 1931, p. 49): . la loi ftpparait, donc en tout cela, comme ayant une puissance renforce, comme pourvne d'une vigueur plus grande que les autres manjfe stations du pouvoir tatique '' Forza della legge che un attributo sostanziale generico proprio di ogni provvedimento legislativo (sia sso di carattere astratto o concreto) indipen dentemente dallo specifico contenuto delle singole leggi. E questo un insegnamento costante della dottrina e che in Italia una tradizione di lunghi decenni a partire dal CAMMEO: Manifestazioni della volont dello Statq, in Trattato dell'ORLANDO, vol. III, p. 55) per giungere, di recente, al FODE RARO, op. cit. ip. 167. Dalle suesposte considerazioni chiaramente emer ge che il Consiglio di Stato non av-eva alcun potere, al fine di stabilire la sua competenza, di conside nre come non esistente l'attribuzione della forza di legge ordinaria ai decreti presidenziali. A tale risultato non poteva giungere in verun modo senza violare, o, per meglio, dire, abrogare una disposi zione di legge. In re'.1lt, con la sua impensabile interpretazione, il Supremo Organo della Giurisdizione Ammini- strativa non ha qualificato i noti decreti presiden ziali per quel che sono, secondo la loro vera natura giuridica (non cio quella che avrebbero potuto a-strattamente avere, m'1 quella effettivamente at tribuita nella specie, dal legislatore), ma, ci si passi il bisticcio, li ha squalificati, degrada,ndoli, arbi trariamente, ad atti amministrativi. C1ncellando dal testo dell'art. 5 della legge n. 230, la frase cc aventi valore di legge ordinanaria , il Consiglio di Stato ha, come si detto, considerando il vero significato delle sue decisioni, abrogato una disposizione di legge con effetti sostanziali ed ha creato una norma che il legislatore non ha voluto, ed anzi, ha categoricamente ripudiato. Infatti esso ha voluto decreti legislativi e non provvedimenti della pubblica Amministrazione, perch esso non ha mai pensato ad un semplice spostamento di competenza amministrativa (dal Prefetto al Governo), ma ha voluto atti con vigore assolutamente preminente non solo su quelli dell'Amministrazione ma su quelli di qualsiasi altra manifestazione di volont dello Stato. Nella sua ricerca dell'atto amministrativo, necessario presupposto della sua competenza, il Consiglio di Stato , dunque, giusto sino a far opera di legislatore perch, come gi si accennato, allo art. 5 della legge Sila ne ha sostituito un altro di suo gradimento, ove si troverebbero presenti, appunto quel provvedimento o quei provvedi menti della Pubblica Amministrazione che il cit tadino potrebbe impugnar13 fl_inanzi alla Gforisd zione Amministrativa per i soliti motivi di legit timit. Il Consiglio di Stato ha considerato come inesi stente la legge per quanto riguarda la vera e pro pria delegazione legislativa e, conseguentemente, come non legge ma atti amministrativi, i decreti presidenziali delegati. E qui sta il nucleo dell'errore del Giudice Am ministrativo: esso ha confuso un problema di esistenza della legge con un problema di costitu zionalit della medesima (ved. su questo concetto, da ultimo, il GUARINO, op. cit. p. 83). Il Consiglio di Stato si sforzato di dimostrare che, per vari motivi (tutti infondati, del resto come fra breve vedremo), il legislatore non poteva delegare al Governo, la materia attinente agli espropri agrari. Ma.questo un problema di costituzionalit della legge, non della sua esistenza, e va risolto nelle forme e nei modi con cui attualmente, giusta la norma VII, della Disposizioni Transitorie della Costituzione si risolvono le que "stioni di costituzionalit. Non si pu dire, in altre parole, che il legisltore, delegante, non ha voluto quel che ha voluto, ma se mai, che non lo ha voluto validamente. Ma per poter affermare questo occorre, evidentemente, che il Giudice sia previamente competente a giudicare sulla questione di costituzionalit incidenter tantum giusta la citata Disp. VII, ed in particolare, per quanto riguarda il Consiglio di Stato, occorre, perch esso possa risolvere la questione di costituzionalit, che sia stato impugnato qualificativo un vero e proprio atto amministrativo e come tale qualificato o qualificabile e non un atto legislativo (come tale voluto dal legislatore) sia esso emanato in conformit delle norme costituzionali, oppure no. Non pu il Consiglio di Stato estrarre da una legge (della cui costituzionalit soltanto pu discutersi e non certamente dinanzi a tale Con sesso) l'atto amministrativo su cui assidere la sua competenza. contrario al buon senso, ancor prima che allo ordinamento giuridico, pensare che una legge ove la si ritenga incostituzionale, possa degradare ad atto amministrativo. Se per avventura (ci che da escludersi nel modo piu assoluto) la legge di delega incostituzionale, l'atto emesso dall'organo competente su delega invalida sar esso stesso invalido, sar cio, una legge incostituzionale, ma, sar pur sempre, un atto legislativo. Quale corollario di tali principi emerge ilsegu~nte rilievo: Una legge costituzionale ed essa pu disporre di diritti di propriet dei cittadini. od incostituzionale ed allora li viola. Ma una legge delegata incostituzionale (per il ricordato motivo di invalidit della legge di delega) non pu trasformarsi in un atto amministrativo capace di affievolire il diritto dipropriet in un intere.~se legittimo, di modo che si venga a radicare -94 la competenza di legittimit del Consiglio di Stato per le impugnative di tali decreti di legge. Tale principio trova conferma in un altro rilievo d'importanza non trascurabile: il legislatore delegato cui stato affidato l'esercizio di una competenza propria del potere legislativo ordinario (ved. RANELLETTI: Prinooipi di diritto amministrativo, Napoli 1912, voi. I, p. 211 e segg.; ROMANO: Corso di diritto costituzionale, Padova 1928, p. 69 e 114; . GIROLO: Teoria del decentramento amministrativo, Torino 1929, p. 297) esprime non una volont per cosi dire, in proprio nome, ma in nome e per conto del legislatore delegante, per suo mandato. Ora, anche sotto questo punto diivista, non pu parlarsi, come ha fatto invece il Consiglio di Stato, di atto soggettivamente amministrativo a propo sito di un provvedimento emesso dal Governo sulla base di una legge di delega. Qui non l'Amministrazione che vuole discre zionalmente qualcosa nell'ambito della legge; qui non vi una volont riferibile integralmente alla Amministrazione, vi invece, una manifestazione di volont del Governo quale organo legislativo delegato espressa in nome e per conto del legisla tore ordinario e che diretta a modificare norme giuridiche e leggi vigenti. Mancano. dunque in tale attivit gli elementi che caratterizzano, dal punto di vista soggettivo; .gli atti amministrativi . .Anche per questo motivo, il Consiglio -di Stato non. poteva far altro che dichiarare la propria incompetenza a conoscere delle impugnative dei decreti in questione n poteva, per giungere a risultato opposto, contrapporre alla volizione so stanziale del legislatore una propria, inammis sibile supervolizione. 20 MOTIVO Difetto di giurisdizione per improponibilit assoluta della domanda -Violazione della VII disposizione transitoria della Costituzione, in relazione all'art. 26 T. U. 26 giugno 1924, n. 1054. In ogni caso, e si pensi quel che si vuole sui poteri di qualificazione dell'atto d~ parte del Con siglio di Stato, certo che i provvedimenti di espropriazione arrivanoo alla cognizione dell'Alto Consesso, qual che ne fosse la reale ed effettiva sostanza, nella forma (intestazione, richiamo alla delega, clausola finale) della legge delegata e non in quella dell'atto amministrativo speciale. appena da notare che questa concezione in s, e per s errata: giacch quando si discorre di conferimento di forza di legge si pone un dato del problema nel quale non pili consentito distin guere forma da sostanza, intensit del volere da effetti, origine dell'atto della sua resistenza, e cosi via. Comunque, si vuol qui seguire il Consi glio di Stato pur nell'errore, ed ammettere come giuridicamente possibile quel che non : la diffe, renziazione dell'indifferenziabile, la separabilit in altre parole, della volont unitaria del legislatore. Con questa premessa, va ulteriormente rilevato che il Consiglio di Stato, pur animato dall'inten zione di attribuirsi ogni possibile libert di apprez zamento sulla reale natura, sui caratteri e sugli effetti dell'atto portato a sua cognizione, non poteva alternarne la forma di legge delegata, ancorch avesse riconosciuta come costituzionalmente illegittima, o giuridicamente erronea la relativa attribuzione. "Esso, cio, doveva necessariamente riconoscere come realmente presente ed ineliminabile la forma dell'atto, e da tale base prender le mosse per svolgere le operazioni che intendeva effettuare. Ora, per poter cominciare ad esaminare quale sia la reale portata dell'atto, iquale la qualifica dello stesso da riconoscersi nell'universo giuridico, occorre anzitutto che dell'atto (nella sua forma attuale) si abbia valida cognizione nella sfera di attribuzioni propria dell'Organo che a tale operazione si accinge.iQuesto prius logico, non solo cronologico. Come nell'ipotesi di un Tribunale che, disappli cando i principi della legge 20 marzo 1865, n. 2248, alt E, si sostituisca alla Pubblica Amministrazione nell'emanazione di un atto amministrativo, il potere di riconoscere la reale portata della sentenza e di reprimere la violazione del diritto spetta al Giudice di Appello, n pensabile che il contenuto, pur chiaramente riconoscibile, di atto amministrativo, determini la giurfsdizione del Consiglio di Stato su la pronuncia in questione, come -al contrario -nell'ipotesi di un Prefetto che, con proprio decreto, emesso ai sensi dell'art. 19, legge com. e prov., decida una lite fra privati (il caso realmente accaduto) il potere di prender cognizione dell'atto, pur nella sostanza giurisdizionale, spetta al giudice, della legittimit degli atti della pubblica amministrazione e non al Magistrato d'Appello, cos da dire in termini generali che per gli atti aventi una forma tipica e monovalente, la forma dell'atto a determinare la giurisdizione, prima ed al di sopra di ogni questione di sostanza e consistenza giuridica. Ora, un atto formalmente e tipicamente legislativo non trova il suo giudice nel Consiglio di Stato. Questo, invero, pu solo conoscere in via incidentale delle leggi e degli atti aventi forza di legge per. disapplicarli nel giudizio che abbia ad oggetto la dichiarazione di illegittimit di un atto amministrativo, recte et rite proposto. Non pu, inve~e, sottoporre al proprio giudizio come oggetto principale, diretto ed im:rp.ediato di esame e di pro: nuncia un atto che quoad formam si presenti come diverso da un'atto amministrativo. Si pensi, invero, alle -a dir poco -strane conseguenze che deriverebbero da una pretesa prevalenza _della sostanza effettuale sulla forma ai fini della' domanda. Oltre agli esempi test addotti, si faccia il caso di un Ministro che legiferi nella forma del decreto ministeriale o della c-"rcolare. Si vorr dire che in questo caso, riconoscendosi la legge agli effetti dell'art. 134 della Costituzione, s.tto le i:_ne~tite e dimesse spoglie dell'atto amministrativo, l'an: nullamento di atti del genere spetti alla Corte costituzionale~ Eppure questa sarebbe la fatale ed evidente conseguenza del singolare sostanzialismo professato dal Consiglio di Stato ai fini I .Ji h I .Ji h -95 della determinazione della giurisdizione. Sostanzialismo . concettualmente non configurabile di fronte ad atti aventi forza di legge, e rivelantesi addirittura paradossale nelle conseguenze che ne deriverebbero nell'applicazione . concreta. 30 MOTIVO' Difetto di giurisdizione -Violazione della VII Disposizione transitoria della Costituzione, in relazione all'art. 34 cod. proc. civ. Sin qui le critiche della Difesa dello Stato si sono dirette avverso l'operato del Consiglio di Stato sui decreti legislativi delegati disponenti gli espropri. Si visto che atti aventi forma e forza di legge (per tacere, ora, del contenuto) n potevano degradarsi ad atti amministrativi speciali, n formare oggetto principale e diretto di pronuneia d'annullamento. Trattasi, ora, di vedere se la disposizione transitoria VII della Costituzione sia stata osservata per quel che concerne la norma di delegazione, vale a dire l'art. 5 della legge Sila. Va, anzitutto, premesso che il richiamo alle cc forme e limiti delle norme preesistenti n, di cui alla VII disposizione transitoria, ha un duplice aspetto: per quel che concerne il modo .di proposi zione della domanda (incidenter tantum: e cio nel corso .di un .giudizio civile, penale, od ammini strativo. validamente proposto, e con un proprio oggetto), e per quanto riguarda la pronuncia del giudice (pronuncia emessa in sede pregiudiziale e quindi senza efficacia di cosa giudicata: arg. ex art. 34 c.p.c.). ' Ora, nei casi. in questione, non pu in alcun modo dirsi che il Consiglio di Stato abbia osser vato queste due regole, le quali -piuttosto che come limite -vanno intese come fondamento del potere dei Giudici, ordinari e speciali, ai fini della soluzione delle questioni di costituzionalit delle leggi. Si vuole, innanzi tutto, scartare l'inverosimile ipotesi che il Parlamento, nel votare l'art. 5 non. sapesse quel che faceva ed avesse conferito una attribuzione amministrativa usando formule e parole proprie alle leggi di dlegazione. Lo stesso Consiglio di Stato, in entrambe le decisioni in esame, pur adombrando una tesi del genere, dimo stra di attribuirvi .minimo peso, ed ancora minore fiducia, rifugiandosi a chiusura d'argomenti nella tesi della incostituzionalit del citato art. 5, almeno per quel che attiene al conferimento di forza di legge dagli atti delegati, per violazione dell'art. 76 della Costituzione e per elusione degli articoli 24 e 113 della stessa. A.dunque vera e propria pronuncia sulla inco stituzionalit dell'art. 5 legge Sila. . Tale pronuncia pu dirsi veramente eme.ssa su questione pregiudiziale~ Osserva esattamente la Difesa dell'Ente per la Colonizzazione della Maremma Tosco Laziale nel ricorso contro il sig. Guglielmi di iVulci, che la questione di incostituzinalit non pregiudiziale in senso tecnico, perch essa si identifica in tutto e per tutto con l'oggetto della domanda. Una volta risolta in senso negativo la questione di costituzionalit dell'art. 5, legge Sila, non rimane, infatti, merito da esaminare, perch la legge delegata (come legge delegata) illegittima, e quindi (come legge delegata) da annullare. Che, dopo questa constatata e (gium;a le pre messe) inevitabile nullit, il Consiglio di Stato si sia concessa la libert di metamorfizzare (con un'impossibile conversione, che invano le decisioni tentano di negare: qui prtestatio ontra fact"um non valet la legge delegata nulla in atto amministrativo, per accordarsi, poi, il lusso di annullare anche quest'ultimo, procedimento che sta nelle decisioni di cui si discute, e che era inevitabile ai fini del ritrovamento dell'atto ammi" nistrativo sul quale, soltanto, il iGiudice poteva assidere la propria competenza. Ma dal punto di vista della logica e del diritto sostanziale, tutto ci ha il valore ed il senso di una appendice, pensata e redatta una volta esaurito senza residui, il tema nella controversta, necessariamente concluso in questo giro di pensiero; nulla, perch incostituzionale la legge di delegazione, nulla, perch incostituzionale, la legge delegata. . Non pregiudiziale, adunque, ma vero e proprio oggetto del giudizio: essendo qui tale il rapporto tra legge di delegazione e legge delegata, che i. due termini si compenetrano e si presentano solidalmente ed indissolubilmente, in condizioni processuali di parit, all'esame del Giudice. D'altra parte, l'art. 34 del codice di procedura civile, impone di attribuire alla pronuncia di inco stituzionalit dell'art. 5, legge Sila, emessa dal Consiglio di Stato a senso ed effetti di giudicato.sostan ziale. Invero su tale punto si ebbero esplicite domande ' . . . ed esplicite contestazioni di tutte le parti m gm dizio, ricorrenti e resistenti: la questione si pose non come mero punto pregiudiziale, ma come vera e propria controversia da decidere: per ~splicit~ domanda di una delle parti fu necessario deci dere con efficacia di giudicato, una questione pregiudiziale (art. 34 cod. civ. proc.). E ci il Consiglio di Stato non poteva fare senz~ violare la VII disposizione transitoria della Costi tuzione. Il giudicato qui presente non nella con dannata forma del giudicato implicito, ma nella piu chiara e manifesta forma espressa, come risul tava postulata dalla struttura della domanda d~ annullamento delle leggi delegate proposta dai ricorrenti. A domande improponibili ha fatto riscontro una pronuncia viziata da difetto di giu risdizione. 40 MOTIVO Difetto assoluto di giurisdizione per altra violazione degli art. 76 e 77 della Costituzione e pefalsa applicazione del successivo art. 113. -Violazione dell'art. 134 della Costituzione, in relazione alla V II disposizione transitoria. Si sino ad ora tentato di dimostrare che if Consiglio di Stato ha s'eguito una via errata, avendo creduto di possedere e di avere facolt di esercitare poteri che a quel Consesso il vigente ordinamento giuridico non attribuisce assolutamente. r I -96 Sorge, ora, spontanea la domanda se alla strada sbagliata non corrisponda, per avventura, una mta giusta. Se cio, indipendentemente dalla circost:tnza che il Consiglio di Stato non poteva pronunciare sulla materia sottoposta al suo giudizio, il prinCipio che, in un certo senso, funziona volta a volta da punto di partenza e da punto di arrivo nelle decisioni denunciate, e cio che non possono essere effettuate espropriazioni per leggi delegate, sia vero o sia falso. Giacch pu essere psicologicamente comprensibile (ancorcl giuridicamente scorretto, ed in ogni caso condannabile) che l'intenzione di difendere un punto fondamentale del diritto obiettivo vigente si imponga al Giudice con tanta forza, da fargli travalicare i limiti posti dall'ordinamento positivo alla sua: giurisdizione. Cos che potrebbe darsi il caso che le decisioni denunciate, pur essendo, come decisioni, irrimediabilmente viziate, enuncino una verit giuridica plausibile su piani diversi da quello giurisdizionale: dallo scientifico al politico. Si ha qui lo scrupolo di esaminare se ci accada nei casi che si considerano: se il principio che non si possano effettuare espropriazioni per leggi delegate, in s e per s (e cio enunciato fuor da un improponibile processo e fuor da una impronunciabile sentenza), sia vero o falso. . Ora, si consideri anzitutto la questione nel suo complesso. Essa comunque la si configuri, poggia sul punto che l'espropriazione per pubblica utilit atto tipicamente amministrativo; e che in virtu del dogma della divisione dei poteri, l'attribuzione relativa si -appartiene naturaliter al :_Governo, al quale, pertanto, non pu il legislatore conferirla in via di delega. E qui un'osservazione preliminare si impone. Se si dice: in questo campo il legislatore non poteva entrare (scil. con un comando delegatorio), vigendo una riserva posta dalla Costituzione a favore del potere esecutivo, non si fa tanto questione di costituzionalit della norma di delega, quando sostanzialmente -si solleva un conflitto di attribuzione. L'apparenza di critica alla legittimit costituzionale della norma di delegazione travolta, infatti, dalla sostanza di actio finium regundorum fra i poteri-funzioni dello Stato, e comunque dalla finalit in tal guisa perseguita: dica il Giudice a quale potere-organo dello Stato si appartenga di emanare certi atti e dichiari costituzionalmente illegittima l'usurpazione compiuta da altro potere. L'art. 134 della Costituzione, con il prevedere il conflitto d'attribuzione (che pure pu porsi con il legislativo, e quindi avere quale substrato una legge) separatamente dalle controversie sulla legittimit costituzionale delle leggi, sottolinea questa prevalenza della realt di fondo sull'apparenza, e. dichiara con ci stesso irrilevante l'occasione onde il conflitto si manifesti, ove essa consista nella critica ad una norma di legge. M:a la disposizione transitoria VII, che pure d un Giudice ad interim alle vere e proprie controversie sulla legittimit costituzionale delle leggi, in attesa della entrata in funzione della Corte Costituzionale, tace sui conflitti d'attribuzione. N potrebbe del resto disporre, ch un conflitto d'attri buzione con il legislativo un novum il quale presuppone la nuova Costituzione rigida, e pertanto cc le forme ed i limiti delle norme preesistenti alla entrata in vigore della Costituzione rappresenterebbero qui pili che un richiamo inappropriato un autentico non senso, volto contro i tempi della evoluzione del patrio diritto. Quindi: il Consiglio di Stato, ancorch (e lo si nega) avesse potuto constatare il conflitto, non avrebbe potuto deciderlo. Ma si chiudano pur gli occhi avanti a questo ostacolo, e si proceda. vero che l'art. 5 legge Sila, nella parte in cui discorre di delega al Governo e di forza di legge, incostituzionale~ Ed in primo luogo: vero che, giusta la Costituzione, esista una zona di cc riserva>> a favore della Pubblica .Amministrazione, e che in questa riserva rientri l'espropriazione per pubblica utilit~ Si comincia con l'osservare che mentre la Costituzione discorre espressamente di cc funzione legislativa e di cc funzione giurisdizionale , come attribuito stabile di due Poteri-Organi, le Camere e la Magistratura (art. 70 e 102),, siffatta dizione fa difetto per quel che attiene alla problematica cc funzione amministrativa . N sotto la rubrica del titolo cc Il Governo , n sotto quella della sezione cc La Pubblica .Amministrazione, la Carta Costituzionale determina attribuzioni primarie (scil. sostituzionalmente rilevanti) alla Pubblica .Amministrazione. Ch, anzi, l'art. 95 con il rinviare alla legge per quel che ha tratto all'ordinamento della Presidenza del Consiglio ed alla determinazione non solo del numero e dell'organizzazione, ma anche delle attribuzioni dei Ministeri, non pu dire pi chiaramente che la funzione amministrativa quella che le leggi assegnano agli Uffici esecutivi del Governo; che essa ha inizio, in altre parole, dove ha termine la legge; che l'esecuzioneamministrazione condizionata dalla legislazione e non la condiziona; che infine non possibile n rivendicare un'autonomia categorica della funzione ammini.strativa rispetto a quella legislativa, n, men.o che inai, stabilire un rapporto di dipendenza . costituzionale della seconda rispetto alla prima. Ci riceve ulteriore conferma dall'art. 97 che ri manda alle cc disposizioni di legge per tutto quanto attiene all'organizzazione, al buon andamento ed all'imparzialit nella trattazione degli affari demandati . agli Uffici amministratiV,i. ora da esaminare se il principio della riserva non venga per avventura ad emergere da una interdizione posta dalla Costituzione al legislatore ordinario. In altre parole, se si dimostra che la Corte Costituzionale proibisce l'emanazione di leggi con contenuto concreto, la riserva a favore della Pubblica .Amministrazione verrebbe a risultare indirettamente da un divieto di siffatta natura. Ora, tale divieto non dimostrabile, giacch proprio la stessa Costituzione a considerare in termini di assoluta parit di preyisione leggi a contenuto generale ed astratto e leggi a con.tenutQ specifico e concreto. Non , forse, vero che l'art. 21 quando vuole interdire che si adottino leges in singulos latae a carico di singoli giornali, lo proibi sce espressamente usando l'espressione con nor me di carattere generale>>~ E non , forse, vero, -========&a&-::;:t -========&a&-::;:t -97" del pari che una indicazione in senso contrario, a favore, cio delle leggi a contenuto concreto, . posta dalla stessa Carta Costituzionale in tema di nazionalizzazione e socializzazione, all'art. 43, con le parole determinate imprese o categorie di imprese))~ Del resto, la Costituzione abbonda di indicazioni \li leggi a contenuto concreto: art. 127, 132, 133, etc. (cfr. GUARINO, Profili costituzionali cit., Foro It. 1952, col. 76). Ed infine, come stato acutamente osservato, se la competenza degli organi legislativi dovesse definirsi come emanazione di precetti generali, ed astratti, si verrebbe a negare il fondamento della potest regolamentare (i regolamenti non possono essere che generali ed astratti), come propria all'esecutivo. Si dovrebbe allora dire che i regolamenti si possono emanare solo in base a delega, ma la delega sarebbe illegittima, perch ogni organo tenuto ad esercitare direttamente la competenza ad esso attribuita. (cfr. GUARINO, l. cit., col. 77; ZANOBINI, La potest regolamentare e la costituzione, Riv. trim. dir. pubblico. 1951, 559). Devesi, invece, dire che la competenza del potere legislativo consiste nella potest di emanare leggi, atti -cio -che si identificano per carattere diversi dalla normativit.. In particolare la funzione legislativa n cfr. art. 70 della Costituzione) si definisce in ragione dell'Organo competente (direttamente o per delega), in ragione del procedimento di formazione dello atto, della sua forma, degli effetti legali (cfr. supra sub I Motivo di ricorso), degli effetti precettivi, ecc. Non in ragione della generalit. di astrattezza del contenuto della norma. E neppure in ragione di quel carattere equivocamente definito com.e novit)) del precetto, carattere invocato per negare natura legislativa ai decreti che ne occupano. Novit)) novit alla stregua della fattispecie normativa e non della fattispecie concreta: l'atto nuovo, e rinnova la fonte del pre cetto, non perch ha un contenuto nuovo, ma perch espressione di una fattispecie normativa che avrebbe consentito di disporre anche in modo nuovo n (cos GUARINO, l. cit. col. 78, V. pure SANDULLI, ivi cit.). nuova, cosi, una legge che riproduca un precetto in vigore, nuova la legge il cui contenuto sia compiutamente esaurito in una della norme-annuncio, che cominciano ad abbandonare nella legislazione italiana (((Con legge successiva sar. stabilito, ecc..... n). .Aggiungasi, del resto, che per i motivi addotti nel primo capitolo introduttivo ai motivi di ricorso, i decreti in questione, intesi a stabilire il novum ius )) dei fondi soggetti a riforma, sia pur nei limiti della legge di delega, debbono ritenersi porre nuovi precetti anche in termini di fattispecie concreta. Rimane da rispondere a due ultime possibili obiezioni. L'una, circa la delegabilit. di leggi a contenuto concreto (il Parlamento pu emanarle, e sta bene, ma pu delegarne l'eman'1zione al Governo). La seconda circa l'effettuazione per legge delegata di singoli espropri. Sul primo punto, e definita come dianzi si fatto la funzione legislativa n, non dovrebbero sorgere difficolt.. Il Parlamento non pu dele gare al Governo delle sue funzioni se non quella di fare le leggi (quindi: non la nomina o la elezione a certe cariche primarie; -articoli 83 e .. 135 costituz.); non la funzione costituente (art. 138)\ non quella di controllo politico (art. 94), n di accusa (art. 96), etc.). Ma questa senza riserve od eccezioni circa il possibile contenuto delle leggi delegate. Sul secondo punto, l'attenta lettura dell'art. 42 della Costituzione basta a convincere che nel nostro diritto occorre sempre una legge di carattere generale che preveda .i casi di espropriazione: ma da ci non deriva una riserva a favore dello esecutivo per l'effettuazione in concreto dei singoli espropri. Quando, infatti, la Costituzione ha voluto stabilire un.a riserva a favore di determinati organi lo ha detto espressamente (p. es. v. art. 13, 15 e 21). Quando ha voluto che un atto seguisse in una certa forma, lo ha pur detto espresamente (art. 17 cpv. 33, ult. comma; 34 ult. comma, etc.). Quindi dalla giusta premessa (pres visione generale della espropriazione in um.i, legge) non segue, n pu seguire la conseguenza della riserva a favore dell'esecutivo in punto ai singoli atti di espropriazione, conseguenza che arbitraria ed infondata. Si , infine, asserito che attraverso la soluzione degli atti aventi valore di legge ordinaria si sono confiscate le garanzie giurisdizionali assicurate ai privati espropriati dagli articoli 24 e 113 della Costituzione. Nonostante qualche affermazione in senso diverso, deve dirsi che in siffatta elusione (ove effettivamente essa sia dimostrabile, ed abbi:oii giuridica rilevanza, il che si nega) sarebbe da ravvisare non gi. un vizio di violazione di legge nella norma di delega, ma -se mai -un caso di eccesso di potere legislativo. In verit., gli articoli 24 e 113 non sono stati violati, giacch n si interdetta l'adizione del giudice a presidio di diritti ed interessi legittimi, n si e dichiarato inimpugnabi_le un atto amministrativo. La materia in questione stata, invece, regolata in modo che legum necessitate dictante n, questi articoli della Costituzione non potessero addirittura essere invocati, adottandosi una figura giuridica consentita dagli artt. 76 e 77 della Carta Costituzione: la delega con attribuzione di forza di legge. Quindi: frode alla Costituzione. Cio deviazione nel fine. Cio eccesso di potere. Ora, assai dubbio che l'eccesso di potere legislativo possa essere sindacato dalla stessa Corte Costituzionale. Ohi autorevolmente lo nega, fonda la sua argo mentazione sul dato che la ricerca e la valutazione del fine di una legge si appartiene all'ambito della politica e non a quello del diritto, valendo per l'apprezzamento strettamente giuridico l'assioma finis legis est ipsa lex. .. Quel che, invece, certo che attualmente _ siffatto giudizio sfugge al Magistrato investito ad interim delle controversie sulla legittimit costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge . .A meno che non. si voglia cancellare dalla VII Disposizione transitoria l'inciso nelle forme -98 e nei limiti delle norme preesistenti all'entrata in vigore della Costituzione n, deve ritenersi che con la migliore volont. del mondo (ed anche ci assai controverso) - gi. tanto dire che il sindacato giurisdizionale pu essere oltre che formale, anche sostanziale, ma non in alcun modo possibile andar pi oltre per sottoporre a censura giudiziaria l'intenzione del Parlamento. Ad ogni modo, l'accusa al legislatore ordinario cosi lanciata falsa ed infondata. Si visto sopra (Preambolo alla II Parte dei Motivi) che il ricorso alla delega legislativa fu determinato non dall'arbitrio, n dalla prava intenzione di annullare certe garanzie giurisdizionali, ma dal concorso di determinate necessit. pratiche, che costituisce il sottofondo di merito della riforma agraria e fondiaria. Ci basta a battere in breccia in punto di fatto la censura raccolta dal Consiglio di Stato. Ma deve dirsi ancora qualche cosa. E cio che l'argomentazione sopra indicata fonda su due strane interversioni logiche. La prima (che ha riferimento all'art. 24 della Costituzione) consiste nel ritenere che le preesistenti situazioni di diritto funzionino da limite al comando del legislatore ordinario. Ohe, cio, la nuova legge (ordinaria o delegata, a contenuto generale od a contenuto concreto, ci non rileva) debba mantenere fermo il diritto gi. costituitosi sotto la vecchia legge. Il che logicamente falso, e storicamente inat~ tuale. Giacch, quanto meno dal risorgere delle concezioni giuridiche romanistiche contro le idee medievali, dogma giuridico che lex posterior der_ogat priori, e che il nuovo comando legislativo idoneo ad annullare o modificare i comandi precedenti, a trasformare -cio -o a distruggere situazioni di diritto gi. esistenti, senza che al privato interessato resti alcun mezzo di ;gravame se non quello fondato nella dimostrazione che il legislatore non poteva volere a termini di Costituzione un certo iussum, e ci nelle forme e nei limiti in cui tale gravam ammissibile. La seconda (che ha riferimento all'art. 113 della Costituzione) si riassume nella falsa impostazione che gli atti siano fatti per i controlli, e non i controlli per gli atti. Ohe, cio, il (preteso), patrimonio di attribuzioni della Pubblica Amministrazione debba, in ogni ipotesi, rimanere integro, non per altra ragione, se non per quella di consentire il ricorso al Giudice di legittimit. degli atti amministrativi. Ora, ci non esatto. esatto, invece, che i controlli disposti dalla Costituzione e dalle leggi ordinarie mirano a ci: ad assicurare la conformit. dell'atto alla ipotetica volont concreta del legislatore, e che essi non hanno modo di esplicarsi ove il legislatore, direttamente o per delega, si sia pronunciato in una certa fattispecie concreta. Ci tanto pi quando l'atto, come nel caso attuale, possa considerarsi valutato ed apprezzato dal legislatore ordinario, immanentemente presente nella sua formazione, attraverso l'opera della Commissione Parlamentare. Per i suesposti motivi . SI CONCLUDE Piaccia all'Ecc.ma Corte di Cassazione a Sezioni Unite, in accoglimento del presente ricorso, dichiarare il difetto di giurisdizione del Consiglio di Stato e di ogni altro Giudice nella soggetta materia, annullando per l'effetto la decisione impugnata. Con ogni altra statuizione di conseguenza, anche in ordine alle spese del giudizio. Salvo e riservato ogni altro diritto. Roma, 27 luglio 1952. CESARE ARIAS Sost avv. gen. dello Stato Prof. FRANCESCO AGR Avvocato dello Stato NOTE D I DOTT.RINA ANGELO DE MATTIA : Errore ed eccesso nell'uso legittimo delle armi. (Giustizia penale, 1952, II, 518 e segg.) I. una nota alla sentenza 11 luglio 1950 della seconda sezione penale della Corte di Cassazione (ricorso Montesi ed altri), nella quale - esaminata la distinzione fra errore sulla legittimazione all'uso ed eccesso nell'uso legittimo delle armi. La sentenza contiene anche la ni.assima relativa alla responsabilit. del conducente dell'autoveicolo che non si ferma all'intimazione degli agenti di polizia, ma anzi accelera per sottrarsi al suo obbligo: afferma la Corte che, con tale comportamento, detto conducente pone in essere la causa prima ed efficiente della morte di un passeggero causata dai colpi di mitra sparati sull'autoveicolo dagli agenti di polizia. Di questa massima la nota non si occupa, onde non ce ne occupiamo, ex professo, neppure noi: ci limitiamo ad esprimere il nostro dubbio sulla esattezza di essa. La questione indubbiamente molto complessa, perch investe gli effetti del concorso di cause fra l'azione od omission'e e l'ev!'lnto, istituto fra i pi tormentati del diritto penale: a noi sembra che la fattispecie non potesse, in parte de qua, essere giudicata con considerazionilche sanno di eccessivo semplicismo. Il.Rileva esattamente il De Mattia che se l'errore cade sulla legittimazione all'uso delle armi, nel senso che si impieghino le armi o altri mezzi di coazione fisica fuori dei casi per i quali l'uso auto.rizzato, nell'erroneo presupposto che sussistano certe condizioni di fatto, si tratta di un errore su una causa di esclusione della pena, che deve essere valutata alla stregua dell'art. 59 c. p.; se l'errore si verifica invece quando l'uso delle armi consentito, nel momento puramente esecutivo, esso si traduce in un eccesso nei limiti di impiego, considerato dall'art. 55 c. p. L'indagine sulla colpa deve essere quindi condotta in duplice direzione: si deve cio prima accertare se non si siano colposamente usate le armi fuori dei casi consentiti; controllare poi se non si sia ecceduto nell'uso e cio nell'impiego cc legittimo dei mezzi coattivi. Osservato inoltre che la disubbidienza all'ordine di .fermarsi e la fuga di un automobilista non autorizzano ai sensi dell'art. 53 c. p. l'uso delle armi, perch non concretano n una violenza da affrontare n una resistenza da vincere, ma un modo naturale di fuggire che pu essere neutralizzato soltanto con l'inseguimento e l'uso di sbarramenti adatti, l'A. rileva che nel caso in esame non era questione di eccesso, ma di assenza delle necessarie condizioni legittimanti l'azione a fuoco, che rese inevitabile l'affermazione di una responsabilit. penale degli agenti. III. La conclusione, in relazione alle prmesse ortodosse, esatta: di eccesso colposo, a sensi dell'art. 55 c. p., si deve parlare solo nel caso di errore sui limiti di impiego. Nell'ipotesi invece di errore sulla esistenza di circostanze di esclusione della pena (art. 59, 2 comma c. p.), per quanto le conseguenze siano le stesse, diversa la norma che la regola. Appare evidente che in questo caso l'errore del soggetto in pratica verte di regola sulla esistenza della necessit di vincere una resistenza: potrebbe anche in linea del tutto astratta immaginarsi che l'agente ritenga di poter usare le armi contro persona che rifiuti di dare conto di s indipendentemente dalla erronea interpretazione del primo comma dell'art. 53 c. p., ma piu probabile che l'errore del soggetto verta solo sulla nozione della cc necessit di vincere una resistenza. Nell'una e nell'altra ipotesi spetta. al Giudice analizzare l'entit delle cognizioni giuridiche dell'imputato, ed il giudizio, di fronte ad una categorica affermazione di ignoranza da questo avanzata, non pu prescindere del tutto da valutazioni a carattere presuntivo, in relazione alla esperienza professionale dell'agente che dovrebbe portare, di regola, ad esludere l'ignoranza della illegittimit dell'uso delle armi fatto per impedire che il conducente di un automezzo a cui stato intimato l'alt non ubbidisca all'ordine ricevuto. IV. Questa considerazione ci spinge a rilevare come erroneamente la Giurisprudenza, senza distinguere caso da caso, si riporti all'art. 55 c. p. anche nella fattispecie in cui non in errore nel momento esecutivo si ve,rte e nelle quali richiamo conferente sarebbe quello che riguarda o l'art. 59 o, piu spesso ancora, e neppure il De Mattia vi accenna, l'art. 83 c. p. Il rilievo particolarmente inter_~ssante per le conseguenze che in pratica si possono trarre. __ Per quel che ci consta non ci risulta che il Magistrato, all'esame del quale frequentemente si presentano fattispecie analoghe a quella di cui trattasi, abbia mai considerato come non solo illegittimo, -100 in' pres~nza delle accennate circostanze, l'uso delle armi contro le persone, ma anche illegittimo quello contro i mezzi: l'ipotesi che in pratica piu spesso si verifica proprio quella di uso delle armi intenzionalmente rivolto a fermare il mezzo (spari contro il motore o le gotnme) il quale provoca, come evento non voluto, lesioni o morte di persone trasportate a bordo. Non ci sono note sentenze che, escluso l'errore sulla facolt dell'uso delle armi in simili ipotesi, abbiano anche considerato il comportamento dell'agente sub specie di responsabilit a sensi dell'art. 635 c. p.; probabilmente il bene leso di maggior importanza (integrit personale) fa; passatre in secondo piano le lesioni del bene di minor rilievo (patrimonio) e, non curando la persona offesa la presentazione della querela per il delitto di danneggiamento, il Giudice neppure rileva, per il difetto di procedibilit, questo reato. Ohe l'episodio maggiore offuschi quello meno importante al punto che questo non affatto considerato, non significa per che in pratica il caso che di regola si verifica proprio quello che consiste nell'intenzionale danneggiamento del mezzo (al fine di obbligarlo a fermarsi), con la determinazione, quale evento non voluto, delle lesioni o della morte di persona trasportata: ipotesi disciplinata dall'art. 83 c. p. in relazione all'art. 59, se l'agente dimostri l'errore sulla nozione della necessit di vincere una resistenza . V. Quid juris, dato di chiederci a questo punto, per quanto riguarda la responsabilit dell' A mministrazione, nel caso in cui il suo dipendente sia condannato per danneggiamento e per lesioni colpose od omicidio colposo? Quid juris anche se risulti che il dipendente sapeva d non poter sparare neppure sul mezzo, ma non si proceduto nei confronti di esso per il delitto di cui all'art. 635 c. p. per difetto di quelera? Si accenna, a questo punto, ad un problema molto complesso che non risulta sia mai stato in pratica sottosposto all'esame del Magistrato e sulla soluzione del quale chi scrive non si nasconde abbiano ad interferire considerazioni di ordine umanitario alle quali estranea la rigorosa ortodossia giuridica nella definizione di un caso, la sistemazione dogmatica del quale non appare oltre.tutto agevole. Sembra al riguardo si possa esattamente affermare che, rompendo il dolo in modo assuluto qualsiasi rapporto fra l'ente pubblico ed il dipendente e facendo considerare l'atto compiuto da questo, come assolutamente estraneo all'ambito delle sue attribuzioni, tutte le conseguenze che all'atto, cronologicamente successive a questo, ad esso siano ricollegabili, anche se di esse a titolo di colpa il dipendente debba rispondere, non siano piu idonee ad investire la responsabilit dell'Amministrazione, ormai separata dal dipendente per l'intero ciclo degli episodi che al primo fatto, di n(JJ(;ura dolosa, sono intimamente collegati. Non conta che non coincidano le persone offese dei diversi fatti, perch la questione deve Bssere riguardata nella sua consistenza sostanziale di rottura del rapporto tra l'ente e l'agente su cui non influisce tale non coincidenza ( tutto l'ex-post al fatto doloso, ad esso collegato, che non riguarda pi l'ente, qualunque sia la persona su cui gli effetti hanno inciso); e non interessa che l'iniziale fatto doloso non sia punito per difetto di querela, non venendo meno, per la mancanza di questa, il suo carattere di illeceit a titolo di dolo con la idoneit alla rottura del rapporto suddetto. Una situazione analoga a quella in esame si presenta nel caso di danni arrecati con comportamento colposo a persona abusivamente trasportata da un dipendente dell'Amministrazione alla guida di un automezzo di questa. Solo ad un osservatore superficiale pu sembrare che i danni siano riferibili unicamente a detto comportamento e che quindi di essi debba rispondere l'Amministrazione: il comportamento criminoso colposo l'ultimo anello di una catena, ormai spezzata al precedente anello a causa dell'attivit arbitraria posta in essere in concorso necessario dall'autista o dal danneggiato. Barebbe immorale concludere diversamente attribuendo all'Amministrazione la responsabilit di un fatto dannoso ad origine del quale sta la violazione di. norme di diritto amministrativo, a tutti note, attuata da colui il quale pretende poi di essere risarcito. Un caso del genere, per il quale non risul-, tano precedenti giurisprudenziali alla Corte Suprema attualmente all'esame dei Giudici di merito che in primo grado l'hanno risolto disattendendo la tesi dell'Amministrazione con affermazioni del tutto apodittiche, non suffragate da con'l!enienti deduzioni giuridiche. (F. C.) RoGER VIDAL : L'evolution du dtournement de pouvoir dans la .iurisprudence administratlve, ( Revue du droit public et de la science politique en France et I'tranger , 1952, da pag. 275 a pag. 316 ). Questa ampia monografia inizia mettendo in rilievo, sotto un profilo storico e dogmatico, l'errore di volere inquadrare lo sviamento di potere nell'incompetenza. Secondo l'opinione diffusa, questo inquadramento risalirebbe al Laferrire, il quale :;i,veva osservato come lo sviamento di potere si concreti nell'uso in parte della Pubblica .Amministrazione di poteri che le appartengono per uno scopo diverso da quello previsto dalla legge: ed in ci il Laferrire aveva ravvisato una specie di incompetenza. Tuttavia, il pensiero del Laferrire era stato precisato in un'altra parte della sua classica opera, l dove aveva riconosciuto che una vera e propria incompetenza si sarebbe potuta verificare soltanto quando la finalit illegittima fosse completamente fuori delle attribuzioni dell' .Amministrazione. Ma neppure cos limitato il pensiero del Laferrire sembra all' .A. accettabile. Infatti, se lo scopo illegittimo del tutto fuori delle attribuzioni dell' .Amministrazione, ci significa che l'atto compiuto non di competenza di alcun organo, e ci pone l'atto addirittura fuori del diritto amministrativo. L'illegittimit diviene; in taL modo_, una illegittimit sostanziale rispetto allo scopo, il che separa questo vizio da quello dell'incompetenza, normalmente intesa come illegittimit esterna rispetto all'organo. -101 Tanto meno accettabile , per l'A., la teoria del Duguit che, superando le incertezze e le limi . tazioni del Laferrire, comprende senz'altro le sviamento di potere, in tutte le sue forme, nell'incompetenza. Secondo il Duguit, la competenza sarebbe il potere di agire secondo determinate forme, in un determinato campo e con un determinato scopo. Lo sviamento di potere sarebbe quindi semplicemente agire senza rispettare lo scopo voluto dalla legge n, cio, violando il terzo elemento caratteristico della competenza. Ma questa costruzione, di cui l'A. riconosce la organicit, amplia eccessivamente il concetto di incompetenza, sino al punto di farvi rientrare qualsiasi vizio di ecceso di potere, e non solo lo sviamento: conseguenza non solo dogmaticamente, ma anche storicamente inaccettabile. A ben vedere, le imprecisioni del Laferrire e del Duguit derivano, secondo l'A., dall'aver sottovalutato alcune caratteristiche originarie dello sviamento di potere, il quale giunse ad una vita autonoma innestandosi sul ceppo primitivo dell'eccesso di potere, e alimentandosi con il crescente progredire del principio del controllo dei motivi dell'atto amministrativo. A questo riguardo, senza tuttavia prendere posizione nella discussa questione dei motivi dell'atto amministrativo, e dei suoi riflessi sulla causa, l'A. mette in rilievo come l'indagine sui motivi dell'atto abbia dato luogo in Francia ad una notevole elaborazione dottrinale e giurisprudenziale, culminante nella teoria dell'annullamento per inesistenza di motivi. Inteso per motivo un elemento obbiettivo esterno e antecedente alla manifestazione di volont. della Pubblica Amministrazione, distinto dallo scopo e dal contenuto dell'atto amministrativo e distinto altres dalPintenzione dell'agente, l'A. osserva che il motivo strettamente collegato allo scopo, tanto che l'illegittimit di questo non pu essere concepita se non come conseguente ad una inesistenza o ad un'errata valutazione dei motivi. A questa distinzione il diritto amministrativo francese non giunse d'emble, ma attraverso una evoluzione del controllo sui motivi, che illustrata diffusamente dall'A. Quando Laferrire segnalava come le intenzioni della Pubblica Amministrazione sgorghino dalle circostanze che hanno determinato la Pubblica Amministrazione ad emettere l'atto amministrativo viziato da sviamento di potere, egli sostanzialmente metteva in luce la possibilit di un. controllo sui motivi dell'atto. Lentamente, pur senza ancora parlare fil sviamento di potere, il Consiglio di Stato cominci ad esercitare tale controllo 'sui motivi in alcuni casi particolarmente gravi, in cui tutti gli elementi dello sviamento di potere erano assolutamente evidenti. Ma il controllo sui motivi, sorto come sviluppo -o come necessit. -dello sviamento di potere, flui poi per assumere contorni a s stanti e configurazione autonoma quando si trov di fronte, secondo l'espressione di Hauriou il campo sterminato del potere discrezionale . A questo punto, il controllo sui motivi apparve, quale , il mezzo pi agevole per saggiare la legit timit dell'atto discrezionale, esaminando da un lato se esistono legittimi motivi di fatto e diritto, e se lo scopo dell'atto risponda realmente a quello voluto dalla legge. Ma oltre a questi casi di inesistenza dei motivi, rimangono i casi in cui i motivi esistono fu.a sono erroneamente valutati: e questo caso, secondo 1'A. costituirebbe lo sviamento di potere in senso proprio. Dall'amplissima rassegna fatta dall'A. traiamo un esempio della prima forma di illegittimit, nel provvedimento di un prefetto in materia di acque, indirizzato al solo scopo di porre fine ad una controversia fra priv-ati. Evidentemente, qui mancherebbe completamente il motivo di interesse pubblico. Esempio della seconda forma sarebbe un'ordinanza di un Sindaco che vieti lo smercio di carni non macellate in determinati mattatoi pubblici. Qui il motivo (minor garanzia di rispetto delle norme di igiene) pu sussistere, ma male apprezzato dalla Pubblica Amministra zione. E evidente, particolarmente nella seconda forma (caratterizzante lo sviamento di potere in senso tecnico), come la dimostrazione dell'illegittimit. sia raggiungibile in pratica solo attraverso la conoscenza dei moventi dell'atto. A questo proposito l'A. mette in rilievo come in Francia il Consiglio di Stato abbia sempre proceduto a questa ricerca con grande cautela, senza mai esorbitare dall'esame degli atti sottoposti al suo esame. Di fatto, lo sviamento di potere, per quanto soggettivo nel suo fondamento, si orienta fatalmente, in sede di prova, verso una. concezione assolutamente obbiettiva. Forse per questa ragion.e in Francia il Consiglio di Stato fin :Per giungere all'annullamento quasi sempre facendo leva sulla inesistenza dei motivi, assai raramente sull'erroneo apprezzamento di motivi esistenti. Non solo: ma nel caso di pluralit. di motivi, alcun.i legittimi e altri illegittimi, il Consiglio di Stato evit accuratamente di processare le intenzioni, riconoscendo la legittimit. dell'atto come fondato sul concorrente motivo, ogni volta che questo (e soltanto questo) fosse conforme allo scopo voluto dalla legge. Le benemerenze del Consiglio di Stato nello sviluppo delle indagin.i sullo scopo della legge sono infine illustrate dall' A. nella terza parte dell'articolo. Lo scopo di una norma trascende la sua letterale formulazion.e, e investe lo spirito della norma stessa. Quella che Hauriou chiamava La moralit. amministrativa ,estrinsecata in un'organizzazione di mezzi intesi al raggiungi mento del pubblico interesse, pass dal piano della moralit a quello del diritto appunto attra verso la giurisprudenza del Consiglio di Stato. E, in questo passaggio, lo sviamento di potere ebbe una parte essenziale come punto di partenza della teoria del controllo dei motivi. Nonostante il carattere storico dell'articolo, questo riveste particolare interesse per lo studio dei rapporti fra l'annullamento per in.esistenza dei motivi e l'annullamento per errata valutazione dei motivi. Da tempo, e non solo mediante trapianto di concetti ...... :.== -102 di diritto privato, il nostro diritto amministrativo ha differenziato la causa astratta e tipica di un atto, dai motivi di questo (cfr. per utili richiami in argomento, ROSSANO, Eccesso di potere, in Foro it. 1952, III, 117 e BENVENUTI, Eccesso di potere amministrativo per vizio della funzione, Rassegna di dir. pubblico 1950, parte I, 1, e segg.). rt; , L'inesistenza totale dei motivi tuttavia da una parte della nostra dottrina parificata praticamente alla mancanza della causa, concepita come l'inesistenza di una finalit apprezzabile dal punto di vista del pubblico interesse (cfr. PAP.ALDO, L'eccesso di potere amministrativo in Studi per il centenario del Consiglio di Stato, voi. II, p. 439). Essa costituirebbe semplicemente una delle tre forme fondamentali dello sviamento di potere (falsit, illiceit, mancanza della causa). Questa gravitazione su un elemento obbiettivo quale la causa, anzich sui motivi, concepiti come elementi formativi della volont rispetto al singolo atto, permette forse un maggior adattamento a casi in cui l'illegittimit dell'atto prescinde completamente dall'elemento intenzionale (Oons. di Stato, Sez. IV, decis. 3maggio1950, n. 246, cc Riv. Amm. 1950, 564: <> (Vitta, op. cit. p. 433). Verissimo: ma tutto ci vale rispetto ad un atto amministrativo, e non pare adattabile all'atto di governo, che atto amministrativo non , e che, .comunque, caratterizzato -anche nella sua immunit o insindacabilit -dal permanere appunto delle esigenze dei supremi interessi dello Stato. Quella deviazione degli scopi prefissi dalla legge, nel che si sostanzia l'eccesso di potete, appare inconciliabile con quella latitudine degli interessi tutelati, che rispondono a esigenze primarie e fondamentali dello Stato. difficile infatti porre l'ipotesi di una deviazione, quando si ha di mira un orizzonte cos vasto. Per quanto riguarda il caso specifico, va ricordato che il prelievo e la successiva espropriazine di (tppq,recchi rq,dio ha dato luogo a interessanti ver tenze, nel caso di prelievo per opera di partigiani (Torino 5 gennaio 1948, Bologna 16 aprile 1947, Foro pad. 1948, I, 271; Trib. Cuneo, Foro it. 1947, I, 1016 con nota). Sebbene un parallelo con il caso esaminato dalla sentenza annotata sia azzardato, non fuori luogo osservare ome, in definitiva, la esistenza di ragioni superiori ha fatto ritenere pienamente legittimo non solo lo spossessamento temporaneo, ma la definitiva confisca degli apparecchi in questione. IMPIEGO PUBBLICO -Impiegati dello Stato-Ruoli transitori -Medici di riparto delle ferrovie dello Stato. (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, Decisione n. 14 del 1952 -Archi contro Ministero dei Trasporti). I medici di reparto delle ferrovie dello Stato non hanno qualit di impiegati, n di ruolo, n non di ruolo. .Ad essi pertanto non applicabile il D. L. 7 aprile 1948, n. 262 sui ruoli speciali transitori. La decisione appare ineccepibile, ove si tenga conto della natura giuridica del rapporto tra Amministrazione ferroviaria e medici di riparto, rapporto chi, secondo quanto afferma appunto il Consiglio . di Stato rientra piuttosto nella previsione dell' articolo $ del D. L. 7 aprile 1948, n. 262, che nn nell'art. 1 del Decreto legislativo medesimo, per quanto ampia sia. la dizione di questo. Il Consiglio di Stato si dato carico di precedenti decisioni nelle quali. aveva, sia pure ambiguamente riconosciuto ai medici di riparto qualit di impiegati, ma ha precisato che tali decisioni era.no da considerarsi in 'relazione al motivo che le aveva ispirate e cio al concedere ai predetti medici delle indennit, per cessazine del rapporto di impiego, che non sarebbero spettate ove ci si fosse rigidamente attenuti alla natura non impiegatizia del rapporto. IMPOSTA DI REGISTRO -Pre~crizione -Contratti a corrispettivo variabile o presunto -Decorr~nza della prescrizione. (Corte di Cass., Sez. I, Sent. n. 346-52 - Pres. : Cannada-Bartoli, Est. : Novelli, P. M.: Toro I.N.P.S. contro Firenz0). Per la registrazione dei contratti a corrispettivo variabile o presunto, quando la domanda di restituzione del .contribuente investe il diritto della Finanza al tributo ed i criteri per la determinazione della qualit della tassa da applicare e non tocca invece i criteri adottati per stabilire la quantit. della tassa applicata, il triennio, nel quale si prescrive l'azione, decorre dalla data del .l'accertamento definitivo del corrispettivo; e ci anche quando l'azion.e sia diretta ad ottenere la restituzione della sola tassa complementare sul corrispettivo definito (art. 136 primo comma L. R.). Oi sembra necessario e sufficientr<, per la intelligenza della massima sopra trascritta, riporta-re U testo d.ella sentenza, la quale costituisce un esempio di motivazione nitida e precisa. cc Il secondo motivo di ricorso torna a proporre la questione se il triennio entro il quale il contribuente pu utilmente reclamare la restituzione della . -105 maggiore imposta di registro pagata per un contratto a corrispettivo variabile, quando si disputa sul criterio di tassazione, decorra dal giorno in cui fu eseguita la registrazione dell'atto, ovvero dalla data dell'accertamento definitivo. Questa Corte non ha motivo di recedere dalla soluzione adottata, nel contrasto della dottrina e della giurisprudenza, con le sentenze 2447 del 1933, 2869 del 1940 e 415 del 1944 nel senso che per la registrazione dei contratti a corrispettivo variabile o presunto, quando la domanda di restituzione del contribuente investe i criteri per la determinazione della qualit della tassa da applicare e non tocca invece i criteri adottati per stabilire la quantit della tassa applicata, il triennio, nel quale si prescrive l'azione, decorre dalla data della registrazione e non da quella dell'accertamento definitivo del corrispettivo. Per rendersi conto dell'esattezza del principio occorre richiamare il sistema della legge del registro in tema di registrazione di contratto di appalto a corrispettivo presunto. Per detti contratti, a norma dell'art. 32, la tassa provvisoriamente riscossa sul valore dichiarato dalle parti; successivamente alla denunzia dell'ammontare definitivo dei prezzi e dei corrispettivi (art. 79), secondo che il prezzo definitivo risulti maggiore o minore, si fa luogo a riscossione di tassa complementare od a restituzione entro il termine di cui all'art. 137, che fissa lo stesso termine prescrizionale di tre anni sia per l'azione dell'amministrazione diretta al conseguimento della tassa complementare; che per quella del privato diretta alla restituzione della maggior tassa pagata alla registrazione con decorrenza, per quest'ultima dal giorno in cui venne accertato il valore definitivo . Dal citato art. 137 risulta che il termine di prescri zione per il contribuente comincia a decorrere dal giorno sul quale si accerta il valore definitivo del corrispettivo soltanto nel caso in cui vi divario quantitativo tra la somma pagata e quella dovuta in base all'accertamento definitivo. Quando invece non si discute dell'ammontare dovuto, ma dalla qua lit della tassa, trova applicazione l'art. 136, primo comma, secondo il quale l'azione del contribuente per chiedere la restituzione delle tasse pagate si pre scrive col decorso di tre anni dalla data di pagamento. Tale data, secondo il sistema esposto innanzi, quella della registrazione dell'atto anche per i con tratti a corrispettivo variabile, poi che per questi il legislatore ha inteso derogare unicamente nell'ipo tesi preveduta dall'art. 137; fuori da tale eccezione resta quindi applicabile l'art. 136, che ha portata generale e riguarda ogni specie di rimborso. Nel caso in esame non si fa questione della quan tit della tassa perch il contribuente richiamandosi all'art. 33 della tabella all. O, sostiene che il contratto doveva ritenersi esente da imposta, e pertanto la prescrizione dell'azione regolata dall'art. 136 e non dall'art. 137. N , come stato rilevato con la decisione n. 2869 del 1940, potrebbe farsi fondatamente distinzione fra tassa principale sul corrispettivo presunto e tassa complementare sul corrispettivo definitivo per con cludere, in un caso come questo in esame, che l'azione per chiedere il rimborso della prima si prescrive in tre anni dalla registrazione e l'azione per domandare la restituzione della seconda si prescrive in tre anni dallo accertamento definitivo, applicando cos parallelamente gli articoli 136 e 137, perch la prescrizione dell'art. 136 unica e decorre dalla registrazione. Invero la perce10ione della imposta al. momento dell'accertamento provvisorio presuppone necessariamente la definizione della natura del negozio e dell'assoggettabilit al tributo, nonch la determinazione dell'aliquota, mentre la provvisoriet della riscossio'ne si riferisce esclusivamente alla quantit del valore dell'ritto o trasferimento. E se, col decorso del triennio dal pagamento della tassa principale, non piu impugnabile la legittimit dell'accertamento tributario, divenuto ormai definitivo, nessun rilievo pu avere, a fonda mento della pretesa di ritenere aperto un nuovo termine prescrizionale, l'ulteriore pagamento della tassa complementare, pagata in seguito all'accertamento definitivo. Il ricorrente tenta di spezzare il legame che sussiste tra l'imposta principale e quella complementare, sostenendo che possa discutersi dei presupposti di legittimit dell'imposizione ai limitati fini del rimborso dell'imposta complementare, ma in contrario pu osservarsi che l'unicit del rapporto giuridico di imposta, anche nei contratti di corrispettivo variabile o presunto dimostrata dal fatto stesso di poter pretendere, dopo la liquidazione definitiva, il rimborso di ci che inizialmente sia stato versato in piu nell'opinione che il valore dei corrispettivi fosse maggiore. Infine, come stato rilevato nei precedenti giudicati, il regolamento della prescrizione fiscale costituisce una logica applicazione dei principi in tema di nascita, esercizio ed estinzione della azione. Infatti, mentre l'azione per la restituzione di quando stato pagq,to in piu, relativamente al valore, nasce quando si stabilisce definitivamente il valr)re stesso, l'azione diretta a negare il fondamento della tassa nasce senz'altro al momento della regi strazione, perch in quel momento l'ufficio identi fica la fattispecie fiscale, fissando il criterio di tassa zione, dopo avere affermato il diritto. della finanza al tributo . IMPOSTE E TASSE -Imposta profitti di guerra Responsabilit degli amministratori e liquidatori "solve et repete (art. 16 del R.D.L. 27 maggio 1946, n. 436). (Corte di Cass., Sez. Unite, 9 febbraio 1952 - Pres.: Ferrara, Rel.: Lorizio, P. M.: Eula -Amministrazione Finanze contro Costantini e Menghini. Pur iniziandosi l'art. 16 del R. D. L. 27 maggio 1946, n. 436 colle parole All'art. 22 del testo unico approvato con R. D. 3 giugno 1943, n. 598 sostituito il seguente n, tuttavia nel testo dell'articolo la frase alla data di entrata in vigore del presente decreto ii si riferisce alla data di entrata in vigore di esso decreto n..436 del 1946 e non a quella del decreto 3 giugno 1943, n. 598: pertanto l'automatica responsabilit. degli amministratori e dei liquidatori per il debito dJimposta di profitti di guerra della societ sussiste soltanto- per coloro che avevano queste cariche alla data di entrata in vigore del decreto n. 436 del 1946 o le abbiano avute successivamente. Per gli altri, che tali cariche abbiano esercitato in data precedente, -106 la responsabilit per debito d'imposta subordin:: i,ta alla sussistenza di un11 delle ipotesi di cui alle lettere a), b), c), d) del ripetuto art. 16. Indipendentemente da un"'' dichiarazion.0 giudiziale di responsabilit degli amministratori con riferimento a una delle ipotesi suddette, pu lo Esattore procedere coattivamente contro di essi su richiesta dell'Amministrazione finanziaria e la loro opposizione agli atti dell'Esattore non proponibile senza il mancato pagamento dell'imposta, salvo il caso in cui prima facie, si ravvisi che non ricorm nessuna delle ipotesi medesime. Occorre anzitutto una breve precisazione del fatto. L'Esattore agiva contro Menghini Umberto e Costantini Oreste e Pietro per imposta profitti di guerra di una certa societ, della quale il primo era stato amministratore per tutto l'anno 1940 e gli altri due erano stati liquidatore dal 24 novembre 1943 al 22 agosto 1945, cio prima dell'entrata in vigore del R. D. 27 maggio 1946, n. 436: E a fondamento della loro responsabilit, su richiesta dell'Amministrazione finanziaria poi intervenuta nel giudizio di opposizione, l'Esattore deduceva il ricorso delle seguenti cc condizioni di cui rispettivamente alle lettere b e d dell'art. 16 del R. D. 27 maggio 1946, n. 436: notevole sproporzione fra il capitale sociale e il pro fitto accertato; sussistenza di elementi idonei a far ritenere che la gestione della societ fu, come si esprime l'art. 16, > l'art. 22 del T. U. 3 giugno 1943, n. 598, e che perci nell'articolo 16 medesimo le parole > all'art. 22 del T. U., n. 598 del 1943. Se il vecchio articolo sostituito, parrebbe che il nuovo non possa esser considerato che come parte del testo in cui si trovava il vecchio e non possa esser letto se non con riferimento a quel testo. Certo, tale criterio si risolve in una modifiCazione retroattiva della legge in peius: e questo spiega la resistenza che un'interpretazione letterale della norma ha trovato nel Supremo Collegio. Deve notarsi che in giurisprudenza si ammette anche dal punto di vista costituzionale che il principio, dell'irretroattivit della legge possa subire eccezione, e la stessa sentenza non trascura di riconoscerlo. Cos, per ripudiare l'interpretazione letterale, essa deva affermare che i, onde cc nel caso di incertezza deve adottarsi l'interpretazione piu favorevole al sog getto . Ora, che l'ordinamento giuridico possa presentare delle lacune, cosa che la dottrina ammette, ma sembra discutibile un canone interpretativo che si fondi sulla dichiarata insolubile incertezza della stessa norma da interpretare, mentre pare che la funzione dell'interprete sia proprio di risolvere quell'incertezza. Particolarmente notevole la seconda massima, a parte l'equivoco per cui la sentenza l'ha riferita al solo M enghini amministratore, avendo interpretato il primo motivo del ricorso come relativo al solo M enghini, mentre esso concerneva anche i due liquidatori, ai quali sarebbe stata applicabile la stessa rati decidendi se la sentenza non avesse omesso di esaminare la loro posizione sotto il profilo prospettato col primo motivo. 1 La seconda massimx, ripetiam?, notevole dati i dubbi che potevan? sorgere circa la possibilit di estendere all'art. 16 del decreto n. 436 del 1946 sui profitti di guerra gli stessi criteri cui s' ispirata la giurisprudenza formatasi sulla responsabilit dei liquidatori em art. 45 del decreto n. 1608 del 1931. Ivi infatti tale responsabilit. era legata ad una situazione di fatto che per sua natura poteva apparire piu facilmente suscettibile di un pronto accertamento e rispetto alla quale si offrivano meno difficolt all'ammettere che fosse suffcente l'atto unilaterale dell'Amministrazione a costituire il liquidatore in posizione di obbligato tributario. N ell' articolo 16, invece, fra le varie condizioni cui pu essere subordinata la responsabilit degli amministratori e liquidatori, ve ne sono come quelle che nella specie venivano appunto contestate ai tre intimati: cc che esista notevole sproporzione fra il capitale sociale e il movimento degli affari o tra il capitale sociale ed il profitto accertato ; che ricorrano elementi idonei a far ritenere che la: ostitu.tion.@. o. la gestione della societ fu preordinata, ecc. ecc. ~ E si pu spiegare che la natura alquanto opinabile di tali condizioni avesse indotto nella causa attuale il Tribunale e la Corte a ritenere la necessit di un separato accertamento davanti il Giudice ordinario. ~~Il==Il-=fill=m ..... ... fili.ffi=l!B~rtlfil.. ~@..,.[! fl.Bmffilfil.<-~4fa:4f~im ......=00=.!!.!Jii=fil ...[1.,.iJ.[!1. ....fil...mffi ...,!J.8.-fil0ffi -107 V a reso merito al Supremo Collegio di avere, guardando al fondo della questione, considerato che ricqrrevano anche qui gli estrerni per l'applicazione della giurisprudenza precedente, giacch il fondamento ex lege della responsabilit di cui si tratta fa venir meno la necessit di accertamento giudiziale, e l'opposizione dell'Amministratore dando vita a controversia d'imposta, si verifica, ove non sia pagato il tributo, la tmporanea mancanza di giurisdizione del giudice ordinario . G. CALENDA IMPOSTE E TASSE -Commissione centrale -Ricorso per cassaziomi (art. 111 della Costituzione) -Prec~usi. one del diritto di iniziare giudizio ordincrrio. (Corte d1 Cass., Sez. I, Sent. n. 10L3-52 -Pres. : Piacentini Est.: Di L~berti, P.M.: Pomodoro -Cast&gna contr~ Finanze). Contro la decisione della Commissione Centrale delle Imposte il contribuente pu propone -in base all'art. 111 della Costituzione -rieorso per cassazione per violazione di legge sostanziale oltre che processuale. L'avvalersi di tale mezzo preclude per la possibilit di istituire un nuovo giudizio nelle forme ordinarie dinanzi all'autorit giudiziaria ordinaria, per far riesaminare la questione di legittimit della imposizione tributaria, dopo che essa venga decisa dalla Corte di Cassazione. Riportiamo anzitutto il testo della motivazione di questa importantissima decisione della Corte Suprema. (( Si eccepisce preliminarmente dalla difesa della Amministrazione finanziaria la inammissibilit del ricorso. A sostegno di tale eccezione si fa osservare dalla Avvocatura dello Stato che il ricorso proposto dai Castagno diretto ad impugnare la decisione della Commissione Centrale delle Imposte per violazione di legge, in base all'art. 111 della Costituzione. Senonch, secondo l'Avvocatura, tale norma, avendo il fine di attuare in favare dei cittadini una garanzia di rett osservanza della legge da parte degli organi di giurisdizione speciale, almeno finch essi non siano soppressi o sottoposti a revisione come previsto nella Costituzione, presuppone che il giudice speciale abbia deciso di una controversia devoluta interamente e definitivamente al suo esame, mentre per la controversia tributaria di cui trattasi un simile presupposto non esisterebbe affatto: ci per9h, delle controversie concernenti l'avocazione dei profitti eccezionali di contingenza, quale appunto la controversia sorta tra i fratelli Castagno e la resistente Amministrazione, decidono, a norma di quanto ha disposto l'art. 15 del R. D. L. 10 agosto 1944, n. 199, in una prima fase le Commissioni tributarie designate dall'art. 22 del R. D. 7 agosto 1936, n. 1639 per la risoluzione delle controversie in materia di imposte dirette e sui trasferimenti di ricchezza e in una seconda fase, se le parti non accettano la decisione di queste Commissioni, la autorit giudiziaria ordinaria. Quindi, spettando al giudice ordinario di decidere in modo definitivo la controversia tributaria, la particolare tutela giurisdizionale prevista dall'art. 111 della Costituzione non avrebbe giustificazione per le decisioni pronunciate dalla Commissione Centrale delle Imposte, perch il contri&uente avr.ebbe modo di ottenerla ugualmente questa tutela con la possibilit che egli ha per legge di istituire, dopo quelle decisioni, un regolare giudizio avanti l'autorit giudiziaria e percorrerne tutti i gradi fino a quello di Cassazione ai fini di far giudicare della legittimit della imposizione tributaria. Si aggiunge, poi, che un ricorso per cassazione, a norma dell'art. 111 della Costituzione, non solo non avrebbe ragion d'essere nel caso in esame, ma esso, ove si ammettesse, condurrebbe ad una situazione anomala, non essendo possibile sapere, nel silenzio della legge, se la statuizione che verrebbe ad emettere il Supremo Collegio dovrebbe spiegare effetti preclusivi per un nuovo e ulteriore esame della lite tributaria avanti la stessa autorit giudiziaria, secondo il normale sistema della legge, ovvero sarebbe destinata a rimanere come non data per dar luogo a nuove e anche diverse pronunzie dei giudici di merito anche sulle questioni di diritto gi decise dal Supremo Collegio. . Infine si fa rilevare che, ove si volesse ritenere che un simile inconveniente potrebbe evitarsi limitando il ricorso alle sole violazioni di legge che potessero profilarsi come errores in procedendo si avrebbe, a parte l'arbitrariet di questa limitazione, un altro risultato non accettabile, perch non consono col sistema della legge, quello, cio, di rendere possibile, dopo l'annullamento della decisione della Commissione Centrale, un rinvio della causa avanti la medesima per una nuova decisione, mentre con la pronuncia emessa da quella Commissione si esaurisce la fase contenziosa avanti le Commissioni tributarie e spetta alla giurisdizione ordinaria nei suoi vari gradi di riprendere in esame e decidere, con esclusione della questione circa la estimazione del reddito, la controversia tributaria. Non sembra per al Supremo Collegio che questi argomenti con cui vuol sostenersi dall'Amministrazione resistent11 la inammissibilit del ricorso abbiano quel valore decisivo che ad essi si vuole attribuire. Il primo rilievo da farsi che, se si dovesse s~guire la tesi su cui si vuol far poggiare la dedotta inammissibilit del ricorso si verrebbe a rendere vana e inoperante, per una notevole categoria di controversie, una norma di legge fondamentale e solenne come quella contenuta nell'art. 111 dell;,<, Costituzione e diretta a garantire ai cittadini, mediante il ricorso per cassazione per violazione di legge, un giudizio di legittimit per tutte le pronuncie emanate da organi di giurisdizione speciale, fino a quando questi non siano soppressi. Ora ben vero .che si possono dare dei casi in cui una norma sia talmente contraddittoria e incompatibile con un'altra da costringere l'interprete a ne . garle applicazione, ma pur vero che queiia inter_: pretatio abrogans deve costituire un estremo rimedio cui si deve ricorrere soltanto quando, attraverso una rigorosa analisi, appaia evidente e ineliminabile l'antinomia tra le due norme. -108 Ebbene, non sar difficile dimostrare che nel caso presente questa antinomia tra l'art. 111 della Oostituzione -articolo che gi questa Oorte ha dichiarato di carattere precettivo e di immediata applicazione -e le norme che regolano il processo tributario e garantiscono per altre vie al contribuente la legittimit dei suoi risultati soltanto apparente e pu essere agevolmente eliminata assegnando alla norma della Oostituzione quella sfera di applicazione che possa darle una sua propria e razionale funzione non incompatibile col sistema delle altre difese giurisdizionali che la legge comune accorda al contribuente. A tale fine deve osservarsi che, in definitiva, quel che secondo l'assunto della difesa dell'Amministrazione dovrebbe rendere inapplicabile, per le controversie tributarie, l'art. 111 della Oostituzione : 1) l'eccesso di tutela giurisdizionale di legittimit che con tale norma verrebbe ad ottenere il contribuente, dato che questi avrebbe gi per legge la possibilit, se non ritiene giusta la decisione della controversia tributaria da parte della Oommissione O entrale, di proseguire la lite avanti l'autorit giudiziaria e di pervenire cos a suo tempo a quel gfodizio di legittimit in sede di Cassazione che la norma della Oostituzione garantisce al cittadino; 2) la situazione giuridica incongrua e perturbatrice, che si verrebbe a verificare, qualora il contribuente, rimasto soccombente nel giudizio di cassa- zione, promosso in base all'art. 111 della Oostituzione, volesse avvalersi anche del diritto che egli ha di portare la lite tributaria, per le questioni di legittimit, avanti i giudici ordinari, che potrebbero giudicare su tali questioni in modo difforme dalla Oassazione. Senonch, quanto alla larnentata esuberanza di difesa giurisdizionale, va rilevato che un ricorso per Oassazione per violazione di legge che il contri buente ritenesse di suo interesse proporre immedia tamente contro le decisioni della Oommissione Oen trale non potrebbe essere considerato davvero un ri medio incongruo o superfluo. Anzitutto con tal ricorso -che come la Oorte di cassazione ha gi ritenuto, non subordinato all'osservanza del precetto del cc solve et repete il contribuente potrebbe denunciare non solo le vio lazioni della legge tributaria, ma anche quelle atti nenti al procedimento (cc errores in procedendo ) rag giungendo cos una tutela giurisdizionale piu larga di quella che otterrebbe, promuovendo il giudizio ordinario avanti il tribunale, perch, com' noto, stato sempre ritenuto, (1,nche per costante giurispru denza di questa Suprema .Oorte, che il riesame della lite tributaria che pu farsi dall'autorit giudiziaria ordinaria riguarda le questioni di legittimit sostan ziale relative alla imposizione tributaria, non quelle di legittimit formale del processo tributario che viene considerato, salvo casi estremi di nullit, un ciclo a s stante, le cui fasi, (1,nche se non svoltesi regolar mente, non possono acquistare rilevanza per l'esame di legittimit sostanziale della lite che dovr farsi nel successivo processo avanti i giudici ordinari. N vi sarebbe quella stranezza che vuol vedervi la difesa dell'Amministrazione nel fatto che questa ,Suprema Oorte potesse event'l,(,~lmt?ntt? adivenire, qualora accertasse l'esistenza del denunziato cc error in procedendo verificatosi nel giudizio transitorio, all'annullamento della decisione della Oommissione Oentrale e al rinvio della causa avanti la medesima per nuovo esame del punto in discussione. Ed invero anche le giurisdizioni speciali, come la giurisdizione ordinaria, si trovano in rapporto di subordinazione rispetto a questa Suprema Oorte che ha il potere di annullarne le decisioni se riscontra che con esse si siano violati i limiti della giurisdizione speciale; questo rapporto di subordinazione diviene piu intimo, se il sindacato della Oassazione si estende anche al giudizio di legittimit ed ben naturale allora che, se si annulla la decisione emessa dall'organo di giurisdizione speciale -e tale la Oommissione Oentrale delle Imposte -vi sia da parte di questa Suprema Oorte anche il potere di rinviare la causa a detto organo, per provocarne una nuova decisione conforme a quei determinati principi di diritto, che nella sentenza di rinvio siano stati indicati. Ma, oltre quello di poter denunciare le eventuali irregolarit formali del processo tributario, vi potrebbe essere l'interesse per il contribuente di ottenere un giudizio piu immediato e sollecito sulla legittimit della imposizione tributaria, instaurandolo senz'altro in sede di Oassazione, anzich seguire la via piu lunga dell'azione comune, che lo costringerebbe a percorrere i diversi gradi della giurisdizione ordinaria. infatti vivamente criticato l'attuale sistema attraverso il quale il legislatore, pur con il lodevole intento di procurare al contribuente una certa garanzia di giustizia nella imposizione tributaria di cui fatto oggetto, ha finito con l'estendere soverchi~mente i modi con cui fare attuare questa garanzia ed pur noto come sia comunemente auspicata per il nuovo sistema che, in aderenza allo spirito della Costituzione, dovr adottarsi per garantire il contribuente da eccessive e non legittime imposizioni tributarie una maggiore snellezza di procedimento ' . . per la risoluzione delle controversie che in proposito possono sorgere: quindi, se la disposizione contenuta_ nell'art. 111 della Oostituzione offre il mezzo di abbreviare fin d'ora, pur vigendo. il vecchio sistema, il corso della controversia tributaria, non si vede la ragione per cui dovrebbe ci impedirsi. Accertatosi, dunque, che la tutela giurisdizionale prevista in detto articolo potrebbe avere per le controversie tributarie una sua particolare funzione, in considerazione della quale essa potrebbe essere preferita dal contribuente alla tutela giurisdizionale comune che per tali controversie egli ha, dopo la fase contenziosa presso le Oommissioni tributarie, viene ad escludersi che vi sia antinomia o incompatibilit tra le due tutele. Piuttosto da vedere se dette due tutele possono cumularsi con un eserci.zio contemporaneo o successivo delle rispettive aoioni, perch questo l'unico e vero problemx che sorge dalla norma della Oostituzione e che potrebbe giustificare qualche perplessit sulla possibilit pratica della sua applicazione: ci naturalmente nella potiisi che il ricorso per Oassazione cJntemplato in detta n?rmx sia stato proposto non per le sole violazioni della legge processuale, ma anche per le violazioni di legge sostanziale circa l'esistenza dei pre -109 supposti che possono legittimare la imposizione tributaria. Ma anche un tal problema pu trovare la sua soluzione sol che si richiamino in proposito i principi comuni che regolano i rapporti fra le giurisdizioni. Ora in base a questi principi ovviamente da escludersi che con la giurisdizione esercitata da questa Suprema Corte con il giudizio di legittimit, provocato in base all'art. 111 della Costituzione, possa concorrere un altro esercizio di giurisdizione, anche se da parte della stessa autorit giudiziaria, per emettere un nuovo giudizio di legittimit sulla stessa questione tributaria: ci dovrebbe escludersi perch, data la posizione istituzionale della Corte di Cassazione, non concepibile che, dopo il suo giudizio di legittimit, questo possa essere rinnovato da parte dei giudici di merito, le cui pronuncie verrebbero a creare in sostanza tra la loro giurisdizione e quella della Suprema Corte un rapporto di subordinazione alla rovescia, il che per definizione non pu ammettersi. evidente allora che soltanto un rapporto di alter nazione pu regolare l'esercizio delle due tutele giu risdizionali in esame. Com' noto, vi ha rapporto di alternazione tra due tutele giurisdizionali quando, pur ammettendosi in astratto la possibilit teorica di un loro duplice esercizio, il fatto che in concreto la parte legittimata a invocarla dia la preferenza ad una di esse, con un congruo atto di volont, deter mina la cos detta concentrazione di competenza nella giurisdizione preventivamente scelta con preclusione assoluta, per il principio electa ma via non datur recursus ad alteram di potere sottoporre o contem poraneamente o successivamente ad altro giudice la stessa questione. Ci posto, chiaro che se il contribuente, com' avvenuto nella specie in esame, ritenga di suo inte resse proporre in base all'art. 111 della Costituzione il ricorso per cassazione per violazione di legge so stanziale, oltre che processuale contro la decisione della Commissione Centrale delle Imposte, egli eser cita un suo incontestabile diritto, ma si preclude con ci stesso la possibilit di istituire un nuovo giudizio nelle forme ordinarie per fare riesaminare la questione di legittimit sulla imposizione tribu taria dopo che essa venga decisa dalla Corte di Cas sazione . Questa sentenza rappresenta il logico sviluppo dell'orientamento giurisprudenziale piu volte ricon fermato dalla Suprema Corte in ordine al carattere di giurisdizioni speciali riconosciuto alle Commis sioni tributarie, e sopratutto rappresenta il corollario inevitabile della sentenza N. 2164/1950 pronun ziata dalle Sezioni Unite in causa Raccuglia contro Finanze (v. in Giur. Oompl. Oass. Civ. -1951 I, pag. 98 e seguenti). In questa vertenza, invero, la Corte Suprema fu espressamente investita della questione della compatibilit della natura giurisdi zionale delle Commissioni tributarie con l'art. 111 della Costituzione. Si sosteneva, infatti, dall'Avvo catura che, in presenza di un sistema processuale il quale prevedeva contro le decisioni delle Commis sioni tributarie l'esperibilit di un normale giudizio avanti il Tribunale ordinario, ed essendo questo giudizio evidentemente incompatibile con il ricorso in cassazione previsto dall'art. 111 della Costiiuzione, questo costituisse una riprova del carattere amministrativo delle Commissioni tributarie. In altri termini, si assumeva l'art. 111 della Costituzione come pietra di paragone per stabilire il carattere di giurisdizione speciale di crrgani la cui natura giuridica formava oggetto di contestazioni. La Corte Suprema, nemmeno di fronte a questa nuova impostazione della questione riteneva di dover modificare la sua costante giurisprudenza e riaff ermava la natura giurisdizionale delle Commissioni tributarie, ammettendo che a queste fosse inapplicabile l'art. 111 della Costituzione, ma ci per il fatto che cc il cittadino ha in questa materia (se. tributaria) una tutela giurisdizionale piu ampia di quella che gli concede la Costituzione. Evidentemente questa affermazione non poteva a lungo sostenersi non fasse altro perch urtava contro la lettera chiarissima dell'art. 111 della Costituzione ( sempre ammesso il ricorso); e si giunti cos a questa costruzione giuridica delineata dalla sentenza in rassegna, la quale, a quanto ci risulta, un unicum nel nostro ordinamento giuridico, nel quale non vi altro esempio di alternativit di azione giudiziaria avanti i Tribunali ordinari con il ricorso avnti la Corte di Cassazione per violazione di legge. Quali possano essere le conseguenze della presente sentenza, non ci dato ancora con esattezza preve dere; ma quello che certo che essa render oramai impossibile il mantenimento di quell'indirizzo giu risprudenziale affermato dalla stessa Corte Suprema in materia di imposte indirette. Com' noto, invero, dal combinato esame delle sentenze delle Sezioni Unite n. 123 del 1 febbraio 1947, e n. 1069 del 30 aprile 1949 sembra possa desumersi che la Corte Suprema ritiene ammissibile il concorso contem poraneo ed indipendente dell'azione giudiziaria e del ricorso tributario in materia di imposte indirette, ripudiando la tesi affermata nella citata sentenza n. 123, secondo la quale l'inizio dell'azione giudiziaria avrebbe dovuto significare preclusione del ricorso alle Commissioni e rinuncia a quello gi proposto. Ora, ammesso questo concorso contemporaneo di azioni ognuno pu rendersi conto delle conseguenze che ne possono derivare nel caso in cui, mentre la azione giudiziaria pende ancora nelle sedi di merito intervenga una decisione della Commissione centrale sfavorevole all' .Amministrazione. evidente, infatti, che, in base alla sentenza che si annota, non vi dovrebbe essere alcun impedimento per l'amministrazione a proporre contro la decisione della Commissione centrale il ricorso diretto alla Corte di Cassazione ex art. 111. Non ci sembra, invero, che si possa pensare che il solo fatto della pendenza della azione giudiziaria avanti il Tribunale, iniziata dal contribuente, precluda all'Amministrazione la facolt di ricorrere alla Corte Suprema. Una soluzione a questi gravi inconvenienti potr forse trovarsi solo nel ritorno al principio affermato dalla citata sentenza n. 123 del 194 7, quello cio che l'azione giudiziaria implichi rinuncia o preclusione del ricorso alle Commissioni. -110 RESPONSABILIT CIVILE ~ Impiegato infortunato Fatto illecito altrui -Corresponsione di stipendi nel periodo di inv;ilidit -Rivalsa del datore di lavoro contro il terzo -Inammissibilit. (Corte di Cassazione. Sez. III Civile, 8 maggio 1952, n. 1305 -Pres : Acam. pora, Est.: Marcone, P.M.: Pomodoro -Paura contro Ciancaleoni). L'ente pubblico o privato, che abbia corrisposto ad un suo impiegato, rimasto infortunato a se guito di fatto illecito altrui, gli stipendi durante il periodo di ,inabilit. temporanea assoluta ed in dipendenza delle clausole con.tenute nel proprio regolamento o nel proprio contratto di lavoro, non ha diritto di richiedere all'autore del fatto illecito il risarcimento dei danni commisurati agli stipendi pagati al proprio dipendente senza potersi giovare della sua capacit. lavorativa, n sotto il profilo di azione diretta n 'sotto quello di azione surrogatoria o di azione di indebito arricchimento. I. L'Ente pubblico o privato che abbia corrisposto ad un suo impiegato rimasto infortunato, a seguito di fatto illecito altrui, gli stipendi durante il periodo della inabilit temporanea assoluta ed in dipendenza delle clausole contenute nel proprio regolamento, ovvero nel proprio contratto di lavoro (o,. il che la stessa cosa, anticipato trattamento di quiescenza agli aventi diritto dell'impiegato deceduto) pu ripetere dall'autore del fatto illecito le somme relative agli stipendi pagati a vuoto al proprio dipendente per il periodo in cui non si potuto giovare della sua capacit lavorativa od a detto trattamento di quiescenza di cui gli aventi diritto hanno anticipatamente fruito? La Cassazione, gi nella sentenza 117 4-48, Comune Milano contro Moneta in questa Rassegna 1949, III, 89, ha risposto negativamente: e risposta ugualmente negativa aveva dato in altro caso analogo in cui erasi discusso, per la prima volta dinanzi alla Suprema Corte, se un Comune, che aveva dovuto corrispondere la pensione privilegiata ai congiunti di un suo dipendente morto per causa di servizio e per colpa di un terzo, avesse o meno diritto di rivalersene contro costui (Cons.: CASSAZIONE, Sez. III -Sent. n. 829-36. Comune di Milano contro Cantini e Messa -In Massimaro Foro It. , 1936, 168). Anche nella fattispecie di cui annotiamo la massima addivenuta alle stesse conclusioni, sempre fondate sulle stesse argomentazioni costantemente ripetute. fuori dubbio che chiunque legga anche solo le massime delle sentenze in esame r~porta immediatamente, ictu oculi, l'impressione di qualcosa che non va, che non corrisponde a giustizia. Se si interpella l'uomo di buon senso (la giustizia non deve e.ssere qualcosa di astratto, ma bens deve essere soprattutto umana e l'impressione dell'uomo di buon senso spesso la misura piu precisa dell'esattezza di una tesi giuridica), costui non pu non respingere la conclusione a cui arrivata la Suprema Corte nella maleria di cui trattasi. II. -La prima considerazione in base alla quale la giurisprudenza della Suprema Corte esclude il diritto dell'imprenditore nei confronti dell'autore del fatto illecito, si fonda sull'esclusione dell'azione diretta di risarcimento di danni, in quanto, i s precedentemente accennato, il danno risentito dall'imprenditore non conseguenza diretta ed immediata del fatto illecito medesimo. L'esame della fattispecie in que1.ti .sensi, del tutto ultroneo, perch condotto per una via errata, comporta la necessit della risoluzione di molte questioni, in particolare di quella relativa alla applicabilit della disposizione dell'art. 1223 c. c., secondo cui l'inadempiente tenuto al risarcimento dei soli danni diretti ed immediati, anche alle obbligazioni nascenti da delitto e dell'altra relativa al concetto del danno diretto ed immedir:ito, che discende da quella piu generale della cosidetta causalit giuridica in modo particolarmente notevole e proficuo studiata dalla dottrina penalistica e cui occorre far richiamo, essendo l'argomento, pur di rilievo nella teoria delle responsabilit per atti illeciti civili, di solito trascurato dagli studiosi di diritto privatistico. E la dottrina penalistica, dopo aver stabilito che l'ordinamento giuridico con la espressione causa intende riferirsi ad un concetto normativo diverso da quello scientifico, non di condizione semplice, ma bens di condizione qualificata, di condizione cio che presenti un determinato carattere derivante dalla relazione in cui si presenta rispetto all'evento, ha enunciato diverse teorie al riguardo: quella della causa determinante (Luchini), quella della causa efficiente (Stoppato, llfonzini), quella dell'ultima condizione (Ortmann), quella della piu forte, della piu efficace (Birkmeyer), quella della causa adeguata (Von Bar), quella della condizione qualificata dal pericolo (Grispigni), ecc. Sembra che il risolvere le cennate questioni, di cui la seconda indubbiamente complessa, sia inutile, perch la giurisprudenza, anche se si trovata di fronte ad una esplicit domanda in tali sensi di una delle parti, avrebbe potuto evitare di percorrere pm intiero una strada che legittimamente poteva rifiutarsi di adire; sarebbe bastato osservare come, nella specie, il danno conseguente al fatto illecito era uno solo, quello subto dal dipendente dell'imprenditore. Naturalmente qui si fa riferimento al danno relativo alfa forzata inattivit del lavoratore considerata come tale, ugualmente pagata dal datore di lavoro e non a quello relativo. al mancato sfruttamento da parte dell'imprenditore di un dipendente particolarmente abile che, oltre essere un quid pluris rispetto a quel danno, da luogo ad un problema completamente diverso, non confondibile con quello in esame (Cons.: MoNTEL -Ancora in. tema di legittimazione 1ittiva nell'azione di risarcimento per uccisione -Riv. dir. priv. , 1931, II, 271 e segg.). Il fatto che il risarcimento del danno, a causa del l'applicazione di alcune norme del contratto di lavoro, competa integralmente od in parte all'imprenditore, significa cosa ben diversa da quella contenuta nella nozione tecnica di danno conseguente ad un fatto illecito. A nessuno passa per la mente, infatti, di rite nere danneggiato in senso tecnico, sia pure nonin via diretta ed immediata, l'assicuratore che deve pa gare l'assicurazione contro i danni all'assicurato: per quanto la causa dell'obbligazione dell'assicura tore sia diversa da quella dell'obbligazione dell'im -111 prenditore, il rilievo fatto vale anche per questa ipotesi nella quale sostanzialmente, alla fin fine, l'imprenditore, per altro titolo, paga un debito a cui sarebbe tenuto l'autore del fatto illecito. Anche in questa ipotesi insomma il danno unico e corrisponde al valore delle conseguenze patite dal dipendente a causa del fatto illecito: che queste conseguenze in pratica incidano, per le interferenze di due obbligazioni, su persona diversa dall'autore del fatto illecito, non autorizza a risolvere la questione facendo ricorso al principio della causalit giuridica che nella specie non sussisterebbe fra il fatto illecito e il risarcimento dovuto all'imprenditore. Naturalmente non si intende con ci affermare che l'imprenditore non subisce una diminuzione patrimoniale da una situazione del genere di quella esposta nel testo: si intende solo far rilevare che questa non qualcosa di piu rispetto al danno patito dal dipendente in eventuale rapporto non diretto n immediato col fatto illecito, ma la integrale o parziale incidenza dell'obbligo di risarcimento sul patrimonio del datore di lavoro che di conseguenza si depaupera. Il risultato a cui si perviene identico a quello cui pervenuta la Suprema Corte: a noi sembra per che la strada qiti percorsa sia piu esatta, tendendo a far rilevare che le conseguenze patite dall'imprenditore non sono un qualcosa di piu del danno subito dal dipendente in collegamento non immediato n diretto col fatto illecito, ma si riferiscono alla incidenza dell'obbligo di risarcimento del danno subito da costui per l'applicabilit del contratto di lavoro. In pratica, nell'ipotesi di un danno patito da un lavoratore in servizio ad opera dell'autore di un fatto illecito estraneo all'imprenditore si verifica una situazione che materialmente (non giuridicamente) potrebbe paragonarsi a quella conseguente alla fideiussione per quanto riguarda i rapporti fra il creditore ed il fideiussore e quelli fra il debitore ed il fideiussore: pu ritenersi insomma che l'imprenditore e z'autore del fatto illecito siano tenuti in solido al pagamento di un debito e che l'imprenditore abbia regresso verso l'autore del fatto illecito. Il paragone ha significato orientativo e non ha valore giuridico per quei motivi che vietano di far ricorso all'istituto della surrogazione legale e che si esamineranno nel paragrafo seguente. III. -Nulla da eccepire invece per quanto riguarda l'esclusione della possibilit di far ricorso a questo istituto affermata dalla Suprema Corte. La considerazione secondo la quale, a norma del n. 3 dell'art. 1203 c. c., il diritto alla surrogazione 1 egale competa solo a chi paghi il debito altrui e non a chi paghi, come nella speme in esame per l'imprenditore, un debito proprio, indubbiamente esatta. vero che nel caso in esame il contenuto della obbligazione, cio la prestazione, uno solo e consiste nella esigenza che il rapporto obbligatorio tende a soddisfare. Esso pu essere di maggiore ampiezza per l'aut or e del fatto illecito, ma, in questo caso, sempre comprensivo di quello di minor ampiezza dell'imprenditore. Se, nel caso in cui sono di diversa ampiezza1 dovessero essere rappresentati graficamente, potrebbero essere confi9urati in due cerchi concentrici a diametro diterso di cui quello a dia metro maggiore riferentesi alla prestazione dell'uiore del fatto illecito (piu ampio in conseguenza ad esempio del risarcimento dei danni extrapatrimoniali che non riguardano l'imprenditore), comprenderebbe l'altro a diametro minore riferentesi alla minore prestazione dovuta dal datore di l(J!l)<>ro, Anche in questo caso la prestazione per sarebbe unica, assorbendo eventualmente la maggiore quella minore che sarebbe una parte di un tutto unico. Ma nella nozione di debito di cui alla norma in esame non entra solo il contenuto dell'obbligazione, bens anche la ragione di essere del dovere di adempimento (il cur debetur), che diversa per i due debitori, ciascuno dei quali paga un debito proprio,. nessuno dei quali paga un debito altrui. Il comprendere questo, ha rilevato la Cassazione in proposito, sembra del tutto agevole: se nn si dimentica ohe l'obbligo dell'imprenditore proviene da altra causa, autonoma rispetto a quella da cui proviene l'obbligo dell'autore del fatto illecito, si capisce facilmente che quello non pu far ricorso all'istituto della surrogazione per liberarsi dell'incidenza di un fatto di cui questo unico responsabile dal punto di vista morale. IV. -Ritenuta non percorribile la via della azione diretta di risarcimento del danno perch l'imprenditore non un danneggiato in senso tecnico, esclusa la possibilit di far ricorso all'istituto della. surrogazione legale di cui al n. 3 dell'art. 1203 .c. c. non ricorrendone le condizioni, non resta che fa1' richiamo all'istituto dell'arricchimento ingiusto al fine di far cade1'e sul solo responsabile le conseguenze del fatto dannoso. .interessante, a proposito della giu1'iSp1'udenza della Corte Suprema, rilevare come questa, abbia, meno recentemente, denegato l'ese1'cizio dell'azione di arricchimento indebito in quanto la situazione patrimoniale dell'imprenditore non avrebbe pregiu dizi in conseguenza del risarcimento del danno da altri inferto al dipendente, mentre successivamente abbia posto a ' fonda mento della tesi accolta il fatto che la prestazione esplicata dal datore di lavoro non sarebbe senza giusta causa. Cfrca la prima motivazione, se l'affermazione intende riferirsi al fatto che pe1' le imp1'ese di grande mole nella determinazione delle competenze ai dipendenti gi si tiene conto del peso conseguente all'obbligo di co1'rispondere tali competenze ai dipen~ denti anche nel caso in cui costoro siano info1'tunati in se1'vizio, peso calcolato con sufficiente approssimazione sulla base delle probabilit statisticamente accertate, e che di conseguenza non sussiste impoverimento patrimoniale pe1' le imprese medesime, facile rilevare non solo che questa considerazione non vale pe1' i piccoli imprenditori che avendo anche un solo dipendente non valutano il rischio relativo all'infortunio in servizio del dipendente medesimo, ma anche sopratutto che, nel caso suddetto, l'impoverimento non fa che trasferirsi dal patrimonio dell'imprenditore a quello del dipendente che sareblJe meglio pagato se il datore di lavoro sapesse che il risa1'ci-mento del danno causato dall'autore di fatto illecito non incide in definitiva sul suo patrimonio. In questo caso l'anomalia consisterebbe nel fatto che l' arricchimento avrebbe avuto luogo non a carico dl, chi -112 agisce con l'azione, ma a carico di un terzo (che peraltro potrebbe essere beneficato dal pagamento a suo favore e di tutti gli altri che si trovassero nelle stesse circostanze di questo l'imprenditore riuscisse a conseguire con l'esercizio dell'azione in esame): anomalie del genere non sono infrequenti, se si consideri che si verificano anche nei casi di arricchimento n,ella cambiale e nell'assegno bancario. Circa la seconda motivazione, pfu di recente adottata dalla Cassazione, da rilevare che non sembra esatta l'affermazione secondo la quale mancherebbe il requisito dell'assenza di una giusta causa. Afferma la Suprema Corte che l'imprenditore paga il dipendente infortunato in base all'applicazione di un contratto di lavoro e non si pu dire pertanto che ci S'ia arricchimento dell'autore del fatto illecito senza una giusta causa. La giusta causa sarebbe l'applicazione del contratto di lavoro. Sembra evidente al confusione che viene fatta con il ragionamento suddetto. Nel meccanismo della fattispecie in conseguenza del danno patito dal dipendente tre rapporti si instaurano: uno fra il dipendente e l'autore del fatto illecito, l'altro fra il dipendente e l'imprenditore, il terzo fra l'imprenditore e l'autore del 'fatto illecito. vero che l'intervento dell'imprenditore in sede di risarcimento del danno f andato su una giusta causa, ma questa riguarda unicamente i rapporti fra l'imprenditore. medesimo e il suo dipendente e non affatto i rapporti fra quello e l'autore del fatto illecito. Dell'arricchimento di questi, che indubbiamente s11'ssiste, a carico dell'imprenditore, non c' giusta causa, se si consideri il rapporto che lega l'autore del fatto illecito al datore di lavoro; la giusta causa c', ma si riferisce ad un altro rapporto, estraneo a quello di cui termini oggettivi sono l'arricchi. mento di un soggetto e l'impoverimento dell'altro, e non sussiste valida ragione -perch essa debba in.fiuire anche sul rapporto che intercorre fra l'imprenditore e l'autore del fatto illecito. N l'una n l'altra motivazione sembrano fondate: sembrerebbe pertanto che l'azione di arricchimento indebito possa essere intentata secondo la distinzione sopraesposta. V. -In relazione alle considerazioni che precedono, debbono trarsi le seguenti conclusioni: ti a) non potendo intentarsi azione diretta di risarcimento dei danni non sarebbe ammissibile una costituzione di parte civile nel procedimento penale a carico dell'autore del fatto illecito se questo configura una ipotesi di illecito penale; b) potrebbe invece intentarsi azione per indebito arricchimento contro l'autore del fatto illecito. A parte la difficolt di stabilire in pratica in molti casi l'entit del danno subito dal datore di lavoro, occorre tener presente per quale la situazione della giurisprudenza della Corte Suprema che ormai si limita a confermare apoditticamente gli argomenti con cui addivenuta alla conclusione di escludere anche la possibilit di esperire azione di arricchimento indebito con considerazioni che non sembrano fondate. (F. O.) ORIENTAMENTI. GIURISPRUDENZIALI DELLE CORTI DI MERITO COMPETENZA -Competenza per territorio -Foro dello Stato (art. 25 c. P. C.). (Corte di Appello di Roma, Sez. I P.1es.: Varallo, Est.: Valillo -28 febbraio 1952 -Ministero Difesa-Marina -Viani -OderoTerni- Orlando). L'art. 25 C. P. C., integrando l'art. 6 T. U. 30 ottobre 1933, n. 1611, sulla rappresentanza e difesa dllo Stato in giudizio, per le cause, nelle quali l'.Amministrazione dello Stato sia conven, ut, fissa la !lOmpetenza del luogo, nel quale ha sede l'Avvocatura dello Stato, nel cui distretto sorta o deve eseguirsi l'obbligazione o in cui si trova la cosa mobile o immobile oggetto della domanda. Tale competenza funzionale e inderogabile (art. 38 in relazione all'art. 28 C. P. C. e 6 T. U 30 ottobre 1933, n. 1611, e pu essere rilevata' anche d'ufficio, in ogni stato e grado del processo' COMPETENZA -Competenza per territorio -Respon sabilit da fatto illecito. (Tribunale di Roma, Sez. I - Pres.: Capitolo, Est.: Venditti -2 aprile 1952 -Bartolucci contro Ministero Difesa-Esercito). L'azione per risarcimento del danno, che si assume causato da fatto illecito, dev'essere proposta, quando convenuta sia un'amministrazione dello Stato, davanti il Tribunale del luogo, in cui ha sede l'Avvocatura dello Stato, nel cui distretto si verificato il fatto illecito. Oon queste due sentenze stato confermato l'inse gnamento, ormai costante, della Suprema Corte (Oass. 15 febbraio 1944 in Giur. Oompl. Oass. , 1944, 472; id. 15 aprile 1947 in Giur. It. , 1947, I, 1, 379; id. 4 ottobre 1948, n. 1670 in Mass. Gi1J,r. It. n, 1948, 402; id. 25 settembre 1947, n. 1573 in Giur. It. , 1949, I, 1, 91 con nota), secondo il quale l'obbligazione da delitto deve eseguirsi lad dove si verificato l'illecito. Per le azioni relative, pertanto, il luogo, in cui sor.ta e quello, in cui deve eseguirsi l'obbligazione, coincidono e s'identificano col luogo, in cui si verificato l'evento delittuoso. Quando convenuta sia un'amministratione dello Stato la competenza per territorio si determina, ai sensi dell'art. 25 O. P. O., con riferimento al luogo in cui si compiuto il fatto illecito, da cui sorge l'obbligazione, con esclusione del criterio comune della residenza o domicilio del debitore, che -come esattamente ha osservato la Corte -ove fosse ope rante, consentirebbe la proposizione di tutte le cause contro le Amministrazioni dello Stato davanti il Tribunale di Roma (negli stessi sensi cfr.: TRIBUNALE DI ROMA -I Sez. -4 maggio e 26 ottobre 1951, in causa; Difesa Aeronautica contro Berrugi e altri, che ha annullato, per incompetenza, un decreto ingiuntivo emesso dal Presidente del Tribunale di Roma, relativamente ad obbligazione sorta e da eseguirsi a Pisa). Degno di particolare menzione il principio, affermato dalla Corte ed al quale pienamente aderiamo, per cui tale competenza funzionale e, pertanto, inderogabile e rilevabile anche d'uffcio, in ogni stato e grado del processo. , Il principio la logica conseguenza dell'aver rettamente interpretato la norma dell'art. 25 cpv. O. P. O. come integrativa di quella contenuta nell'art. 6 del T. U. 30 ottobre 1933, n. 1611. l criteri di competenza ivi indicati in via alternativa, completano il concetto di foro dello Stato e sono, pertanto, inderogabili. SCAMBI E VALUTE -Versamento in clearing -Se~ questro delle somme versate -Opposizione -Interesse ad agire dell'Uflcio italiano Cambi -Difetto di giuri sdizione dell'autorit giudiziaria ordinaria. (Corte di Appello di Milano, Sez. V Penale, ordinanza 6 apri, le 1952 -Pres.: Bianco, Est.: Frisali -Ufficio italiano Cambi ed altri contro Gronda Franco cd altri). L'Ufficio Italiano Cambi legittimato attivamente a proporre opposizione avverso un. provvedimento di sequestro presso terzi che colpisca somme versa te in. clearing. L'autorit. giudiziaria ordinaria non. difetta di giurisdizione nel disporre il sequestro con.serva tivo di somme versate in clearing. La prima massima di ovvia esattezza. La Corte di Appello ha dovuto occuprsi espres samente dell'argomento essendo stata eccepita la mancanza dell'interesse ad agire nell' Uffcio Ita liano Gambi da una delle parti resistenti, la quale si era appoggiata, per sostenere la sua opinione, sulla tesi enunciata nelle requisitorie scritte che il Procuratore Generale della Corte Suprema di Cas sazione aveva presentato in una precorsa fase di questa lunga vertenza. Queste requisitorie sono riportate nella Rivista di Diritto Commerciale, 1951, II, 377. -114 Non siamo riusciti mai a renderci conto di come potesse sostenersi un simile punto di vista. Basta riflettere che nel paradigma del sequestro presso terzi, in sede civile, il terzo non solo ha interesse processuale ad agire, ma addirittura parte essenziale nel proce$So e deve essere citato. Nulla vi nel sequestro presso terzi, al quale si proceda in via conservativa in sede penale, che autorizzi a pensare ad una differenza tale nella posizione del ter.zo da renderlo del tutto estraneo al giudizio o parte puramente passiva di esso. Vero che, secondo quanto detto nelle requisitorie del procuratore generale della Corte Suprema il difetto di interesse che si vuol riscontrare nello Ufficio Gambi si identificherebbe nella circostanza che al predetto U'/fcio, che un semplice intermediario nei pagamenti internazionali, non dovrebbe interessare in alcun modo la sorte finale delle somme ad esso versate per l'espletamento delle sue funzioni. In altri termini, (si sostiene) che tali somme siano pagate a tizio piuttosto che a Gaio, ad un creditore italiano piuttosto che ad un creditore straniero, cosa che all'Ufficio Gambi non deve in alcun modo interessare. Basta enunciare queste proposizioni per rendersi conto come qui si confondano due concetti diversi e cio l'interesse concreto, economico, all'esitc; di una lite, e l'interesse diretto ed attuale all'applicazione esatta di una norma di legge ad un rapporto giuridico al quale, comunque, si partecipa. Com' noto, quest'ultimo l'interesse che previsto dallo art. 100 del O. P. O., come condizione essenziale per agire in giudizio. Ed questo interesse che gli articoli 628, 630, 631, 632 O. P. O. considerano come presupposto necessario e sufficiente per legittimare la proposizione di un incidente di esecuzione o di un'impugnazione contro le decisioni prese in questa materia (si veda ALorsr, Manuale di procedura penale n, l'V, n. 154). Ora, appare di tutta evidenza come un interesse del genere sopra precisato non possa non riscontrarsi nell'Ufficio Italiano Gambi almeno sotto il profilo di una pretesa ad impedire intralci allo svolgimento dei suoi compiti istituzionali, che consistono nell'adozione di provvedimenti amministrativi in ordine alle somme versate in clearing, in conformit dei singoli accordi internazionali, per il conseguimento di scopi strettamente pubblici. D'altronde, l'assoluta fondatezza della tesi svolta dalla Oorte di appello trova una .sua riprova nella circostanza che, nella fattispecie, la questione della titolarit del credito oggetto del sequestro stata devoluta al giudice civile, avanti al quale, dovendosi svolgere un comune processo civile di sequestro presso terzi, nessuno piu potr contestare la legitimatio ad causam dell'Ufficio Italiano Gambi. (Sulla questione e in senso conforme alla tesi sostenuta nella presente nota v. da ultimo Cassazione Civile, sent. n. 1201/1952). Per quanto riguarda la seconda massima, riteniamo anzitutto opportuno trascrivere testualmente la motivazione dell'ordinanza: ...che l'Ufficio Gambi svolga una sua specifica attivit in rapporto al servizio del clearing, ricevendo i singoli versamenti; verificandone la conformit agli accordi vigenti e con ci la loro legittimit, e ponendoli infine a disposizione dei titolari mediante accreditamento non pu revocarsi .in dubbio. Sicch di tutta evidenza che nelle cennate fasi di attivit, gli organi giudiziari non potrebbero legittimamente intervenire, ordinando la revoca la modifica o anche la sospensione di pr-0vvedimenti presi dall' U ffioio Gambi nell'ambito delle sue specifiohe attribuzioni, senza violare il oanone fonda mentale di cui allo art. 4 della legge 1865. Ma quando l'Ufficio amministrativo abbia esaurito il oiclo delle operazioni oontabili e stia per mettere la partita di clearing a disposizione di un soggetto che parrebbe esserne il titolare, mediante opportuno accreditamento, nulla vieta che in codesta fase, quando cio .l'istituto della compensazione internazionale dei pagamenti ha ormai adempiuto al suo compito, intervenga l'autorit giudiziaria ad impedire che il saldo della partita si effettui in javore della persona, ritenuta: prima facie titolare dell'accredito, ovvcJro -di quell'altra nel frattempo piu esattamente individuata. e< Invero, l'esigenza pubblicistica, in vista della quale l'Ufficio Gambi stato creato trova integrale soddisfacimento nell'atto stess.o in cui la partita (di debito o di credito) viene incanalata nel comune collettorre che avvince l'Ufficio ste$SO al parallelo organismo dell'altro Stato, essa non richiede invece che _si esegua anche il disposto accreditamento a favore di un terzo e tanto meno che l'accredito abbia luogo nei confronti di una persona piuttosto .che di un'altra. Abbiamo voluto riportare testualmente le parole della Corte di appello, perch ci lusinghiamo di poter dimostrare come oramai solo un sottilissimo diaframma si opponga al pieno accoglimento della nostra tesi che postula l'assoluto difetto di giurisdi zione dell'A.G.O. a disporre misure esecutive o cau telari sulle somme versate in clearing. E questo dia framma costituito da un equivoco, peraltro giusti ficabilissima, in cui la Carte caduta nel valutare la natura e la portata dell'attivit dell'Ufficio Gambi in relazione alle somme predette. La Corte, infatti, mastra di ritenere che spetti all'Ufficia Gambi Italiano effettuare l'apera.zione di accredita della somma versata in clearing al credi tore privato dell'altra Paese, parte nel rapporto di clearing. Al contrario, l'Ufficio Italiano Gambi ha rapporti di credito e debita (effettua quindi operazioni di accredito) solo nei confronti dell'Ufficio Gambi dell'altro Paese, cio, nella fattispecie, col Banco Centrale Argentina. In altri termini, il clearing un istituto giuridica che regola rapporti tra Stati, ai quali d origine un rapporta giuridico tra privat~ appartenenti a due Paesi diversi; ma questi rapporti tra privati non hanno alcuna incidenza sullo svolgimento del rapporto internazionale di clearing. Sull'argomento stata di recente scritto con molta acutezza dal Franceschelli (Rivista Italianl1 di Diritto Commerciale, 1950, I, 24 e sgg.) il quale, appunto, mette in luce, sia pure molto sinteti,_Ca'f!l-en~e la sostanziale autonomia ed indipendenza del rapporto di clearing dal rapporta nega<.iafo di diritta privato in relazione al quale venga eseguito un determin. ato pagamento col sistema del clen,ring. E ci" piace riportare qui testualmente le parale ell'A. utore -115 perch ci sembra che _esse costituiscano, sia pure sotto forma di spunto, una traccia precisa del carattere dell'istituto di clearing, specie se esaminato dal punto di vista degli organi statali cui attribuita la funzione di attuarlo. Premesso che cc tali trattati (se. di clearing) ... servono a far si che in ogni Stato gli esportatori siano pagati ~n moneta nazionale col denaro degli importatori ... e che cc l'importatore italiano paga il prezzo della merce comprata non gi direttamente all'estero al suo venditore e nella moneta di quest'ultimo, ma all'Ufficio Italiano dei Gambi e sotto forma di controvalore in lire della merce importata; e l'esportatore italiano d'altro lato, non riceve il pagamento della merce da lui esportata dal suo contraente straniero ... ma dal medesimo Ufficio Italiano Gambi e in lire italiane ... ; precisato poi che cc allo stesso modo e reciprocamente l'importatore estero pagher non al suo venditore italiano ma all'Ufficio Gambi del suo Paese; e l'esportatore estero sar pagato dall'Ufficio Gambi del proprio Paese nella sua mo neta nazionale , il Franceschelli conclude cosi: cc Sono previste e stabilite modalit varie di accreditamento tra i due Uffici Gambi delle rimesse dei rispettivi importatori onde l' U jfcio contrapposto sappia a favore di chi, tra i propri esportatori, effettuare i pagamenti per i quali abbia delle disponibilit. E sovente tra i due organismi amministrativi (se. tra i due uffici cambi) tutto si riduce alla erezione di un unico conto, tenuto presso uno di essi, in una data moneta, a credito o a debito del quale conto, eome in un qualunque conto corrente, vengono segnate le rimesse o gli addebiti corrispondenti ad operazioni concrete di importazione o di esportazione. Se ora si esamina la sopra riportata ordinanza della Gorte di appello, alla luce di quest precisazioni del Franceschelli, si t!edrt chiaramente come quando cc la partita (di debito o di credito) viene incanalata nel coniune collettore che avvince l' Uffcio Gambi al parallelo organismo dell'altro Stato (queste sono le parole della Gorte di appello), ci potr essere avvenuto solo in quanto si sia effettuata sul conto comune, quella operazione di accredito da parte dell'Uffcio Gambi Italiano a favore dell'Ufficio Gambi straniero che costituisce appunto l'operazione conclusiva del procedimento di attuazione dell'istituto della compensazione internazionale dei pagamenti. Ma sar proprio allora che la somma versata all'Ufficio Gambi Italiano uscir definitivamente dalla disponibilit di questo per passare nella disponibilit dell'Uffcio Gambi straniero, al quale,_ e al quale soltanto, spetter di accreditarla al creditore privato proprio connazionale, e pagargliela quando la disponibilit di cassa, in relazione al funzionamento del clearing, glielo con sentiranno. , pertanto, evidente che l'ordinanza della Gorte viziata da un'intima contraddizione laddove ammette che le operazioni che si eseguono da parte dell'Ufficio Italiano Gambi abbiano carattere amministrativo e quindi siano insuscettibili di essere sospese o modificate per ordine dell'Autorit giudiziaria fino al momento in cui la somma versata venga incanalata nel comune collettore e pretende poi che sia ammissibile un ordine di sequestro che debba valere dopo che questo incanalamento sia avvenuto, e cio proprio dopo che la somma da sequestrare uscita completamente dalla disponibilit dell' U ffcio Italiano Gambi. Dobbiamo riconoscere che il nostro modo di prospettare la questione, e cio di dimostrare la. inammissibilit di misure esecutive e cautelari su somme versate in clearing sull base del divieto per l'autorit giudiziaria di modificare o sospendere atti amministrativi si presenta alquanto ostico alla generalit di coloro che si occupano di questa materia degli scambi con l'estero, non fosse altro perch viene ad aggiungere una nuova diffcolt alle tante che gi la tormentano. D'altra parte, nella schiera degli scrittori che hanno trattato l'argomento, uno solo, e cio l' A lessi, un cultore di diritto pubblico, ma l'articolo da lui scritto (Foro Padano 1950, I, 915) non si pu dire veramente che sia un modello di indagine approfondita, sopratutto perch ha superato le pi gravi difficolt del problema mediante una modificazione radicale dei termini di fatto di esso. Tuttavia, ci sembra che proprio il nostro pnto di vista offra le possibilit di eliminare quegli ostacoli che si frappongono alla soluzione del problema fondamentale del clearing: quello, cio, che concerne l'infiuenza del rapporto di diritto privato (tra i contraenti dei due Paesi) sullo svolgimento delle operazioni di clearing o, in altri termini, il problema che concerne la sorte della somma versata iti cl"earing dal momento del versamento da parte del debitore al proprio uffcio cambi, al momento in cui l' U ffcio Gambi dell'altro paese paga l' equivalente della somma suddetta al proprio connazionale creditore. Per dimostrare l'esattezza di ci riportiamo brevemente, l'opinione di coloro che, sia pure da un punto di vista meramente privatistico, si sono occupati di questo problema. a) Si pensato da taluni (per es. il MAzzoNE: Gli accordi di compensazione, Macr Editore Bari) che il clearing debba schematizzarsi come una requisizione ex lege dei crediti verso l'estero da parte dello. stato nazionale del creditore. Per conto di questo il versamento degli importi relativi sarebbe ricevuto dalla Gassa statale. Il pagamento riscosso dai crditori sarebbe quindi quello della indennit di requisizione, equivalente all'importo del credito in valuta nazionale, secondo il cambio del giorno de~ pagamento o quello diverso stabilito nell'accordo d.i clearing. Questa concezione stata criticata da molti, e non sembra, infatti, che sia la piu adeguata, ove si rifietta che deve ritenersi escluso che lo Stato il quale abbia requisito i crediti dei propri connazionali verso l'ester,o, possa comunque agire verso ~ debitori stranieri, valendosi dei diritti dei pretesi soggetti passivi della requisizione. b) Altri sostengono che il clearing si risolva in una novazione soggettiva (FERRARA jr.: Lezioni di diritto commerciale, pag. 218 e segg.); mi sem: bra che nemmeno questa teoria sia fondata ove ~i ri'{letta che niente autorizza a ritenere che- l'obbligazione di pagare gravante sulla Gassa di statonei confronti del proprio connazionale creditore, liberi dalla sua obbligazione il debitore originario del creditore medesimo. Senza contare che la pi accreditata dottrina e giurisprudenza nel senso -116 che proprio al ebitore originario faccia carico il rischio del cambio, confermando cosi che l'assunzione del debito da patte della Gassa di stato, non determina alcuna liberazione di quello. c) Una teoria molto diffusa quella che vuole 't:edere nel clearin!J una variante dell'istit1tto del mandato, il cui paradigma sarebbe peraltro alterato dalla commistione di elementi jus pubblicistici. Il maggiore sostenitor di questa teoria il Bigiavi (I regolamenti internazionali mediante compensazione, Roma, 1942) il quale appunto insiste soprattutto nel mettere in rilievo le particolari caratteristiche jus-pubblicistiche del mandato, tentando di spiegare con queste caratteristiche il fatto che il creditore abbia la facolt di agire direttamente contro la Gassa mandataria per il mancato pagamento, anzi possa rivolgersi in sostanza soltanto contro questa, dovendosi ritenere soddisfatta l'obbligazione di pagare da parte del suo debitore Col fatto del vrsamento ad opera di cstui della somma stabilita presso "la propria Oass naziona~e. In ogni modo, qualunque voglia essere l'opinione che si pu avere intorno a questa teoria, certo che si tratta di un mandato ex lege, come tale privo di quella caratteristica essenziale dell'istituto del mandato che la fiducia del mandante nel mandatario. d) La teoria pi recente, sostenuta. dal Testa (I mezzi di pagamento nel commercio estero, Rivista Trimestrale di Diritto di Procedura civile, 1951, 695 e iiegg., soprattutto 726 e segg.) quella che vuol vedere nel clearing le caratteristiche dell'istituto giuridico di diritto privto della espromissione (art. 1272 c. c.). Secondo questo Autore, in forza della legge (e, cio dell'accordo di clearing reso esecutivo nei sin goli Paesi contraenti) le casse statali dei paesi stessi senza alcuna delegazione da parte dei debitor, assu merebbero presso il creditore proprio connazionale, il debito del debitore straniero: Solo mediante que sta costruzione potrebbe giustificarsi la facolt dei creditori di agire verso lq, Gassa dl proprio Stato per il pagamento del debito del loro debitore stra niero. Mentre il divieto legislativo di farsi pagar i debiti stranieri in modo diverso da quello previ sto. nell'accordo di clearing completerebbe la strut tra dell'istituto, riducendo l'obbligazione del dbi tore straniero di effettuare il pagamento all' obbli gazione meramente strumentale di versare la somma dvuta alla propria Gassa nazionale. Come si ve,Ze, gli scrittori si sono molto preoccu pati di costruire elaborate teorie giuridiche, di cui l'ultima pu dirsi veramente brillante, per ricon durre nell'ambito dll' ordinamento giuridico vigente questo istituto, per tanti riguardi qnomalo, il quale si inserisce, turbndolo, nel paradigma del rapporto giuridico di pagamento delle obbligazioni. Ma a questa serie di elaborate costruzioni giuridiche enun ciate per chiarire la portata dell'istituto per quanto attiene ai suoi effetti sul rapporto privatistico sot tostante, corrente tra creditore e debitore stranieri, non fa riscontro una altrettanto notevole elabora zione dottrinale dell'istituto del clearing per quanto riguarda il suo interno meccanismo, per quanto riguarda cio i rpporti tra Stati contraenti, indi pendentemente dai rifiessi che l'istituto ha sui rap~ porti di dare ed avere tra privati. Tutti gli scrittori sopra menzionati, si liniitaro0 infatti a dedicare solo pochi cenni a quello_ che ~ il vero e proprio procedimento di clearing e che e costituito da quella serie di operazion~ che comin ciano dal momento in cui la somma 1liene versata dal debitore alla prprfa Gassa nzionae e vanno fino a quello in cui la somma stessa viene posta a disposizione del creditore della propria Gassa nazionale. Questi cenni si riducono, invero, all'affermazione che la Gassa del debitore, una volta ricevuto il versamento, deve accreditarlo alla Cassa dello Stato del creditore, ove del vrsamento stesso sia riconosciuta la legittimit, in relazione agli accordi di clearing. Qualche scrittore porta una variante a questo schema sostenendo che la Gassa dello Staio del debitore non deve effettuare accrediti ma solo limitarsi a dare avviso alla Gassa dello Stato del creditore dell'avvenuto versamento. Questa variante troverebbe la sua giustificazione nella considera:zione che, tendendo sostanzialmente l'aecori1o d_i clearing ad evitare qualsiasi trasferimento di divise \ci ch si otterrebbe mediante l'assunzione da parte di ogni Stato contraente dell'obbligo di pagare _i propri connaziOnali creditori nei limiti delle disponibilit costituite dal versamento dei propri connazionali debitori), non vi sarebbe alcuna base per y,n accre-dito vero e proprio, in quanto tra i due Stati contraenti del .clearing non si costituisce affatto un rapporto di dare ed avere, nemmeno nei limiti del paradigma del conto corrente, e cio agli effetti del saldo finale. chiaro che, qualunque sia l'opinione esatta tra le du sopra riferite, esse atteng_ono esclusi~amente allo studio della funzione del rapporto giuridico di clearing, inteso come rapporto tra i due Stati, ma non riguardano affatto la struttura di questo rpporto. In altri termini, ci sembra che non sia stata sufficientemente studiata la rilevanza e le caratteristiche giuridiche di quella serie di at~i e fatti che vengono compiuti e si verificano tra il momento in ci la somma viene versata dal debitore al proprio ufficio nazfonale e il momento in cui il creditore viene pagato per un importo corrispondente alla smma suddetta dal suo ufficio na.zionale. Questi atti e fatti sono stati, invece, studiati dal punto di vista della tecnica bancaria, si che possiamo spere, con sufficie.nte esattezza, quale sia, dal punto di vista tecnico, la foro essenza e la loro natura. Essi consistono sostanzialmente nel ricevere i versameni da parte dei creditori direttamente o attraverso l banche intermediarie (Banca d'Ita lia), nell'esaminare se i versamenti siano accompagnati dai prescritti documenti che li giustificano (modello A, import, etc.), nell' eff ettare, infine, le scritturazioni necessarie su appositi registri e nel fare all'Ufficio Cambi dell'altro Paese contraente, le comunicazioni nelle forme stabilite dall'accordo e dalla prassi internazionale. Questo per quanto riguarda l'attivit dell'ufficio cambi del paese del debitore; l'attivit dell'Ufficio Cambi .. del Paese del creditore, dal canto suo, consiste nel ricevere le-.comu-. nicazioni relative al versamento della somma, fatte dall'Ufficio Cam6i del Paese del debitore, nell'effet~ tuare le necessarie scritturazioni contabili relative a questa somma, e nel metterla infine a disposizione del proprio connazionale creditore, procedendo .al -117 pagamento non appena la disponibilit di cassa lo consentano. oi sembra evidente che questa serie di atti costituisca un procedimento amministrativo, anzi due distinti procedimenti . amministrativi, uno che si svolge nell'ordinamento giuridico dello Stato del debitore, e uno che si svolge nel.l'ordinamento giuridico dello Stato del creditore. Errerebbe, infatti, chi volesse vedere un unico procedimento amministrativo costituito dalla successione di tutti gli atti che si svolgono presso i due Uffici Gambi degli Stati contraenti del clearing e che, iniziatisi col versamento della somma si concludono con il pagamento di questa. La verit che il versamento della somma da parte del debitore al proprio ufficio cambi d inizio ad un procedimento ammi.nistrativo che si conclude, nella sfera dell'ordinamento giuridico nazionale, con l'utilizzazione da parte dell'Ufficio Gambi incassante della somma versata, per il pagamento dei crediti degli esportatori connazionali. Pertanto, il pagamento da parte dell'Ufficio Gambi del paese del creditore a quest'ultimo della somma dovutagli dal debitore straniero, non pu essere con siderato come l'atto conclusivo di un unico proce dimento iniziatosi con il versamento da parte del debitore della somma dovuta presso il suo ufficio cambi, ma deve considerarsi come l'atto conclusivo del procedimento iniziatosi con il versamento di somme da parte di connazionali debitori verso cre ditori appartenenti al paese del debitore. La tesi secondo la quale l'attivit dell'ufficio cambi porrebbe in essere un procedimento amministrativo si fonda sulla innegabile funzione pubblicistica del detto ufficio la quale riconosciuta da tutta la dottrina (si veda in proposito il Bertelli in Banca, Borsa e Titoli di credito 1940, I, 107) ed stata recentemente riaffermata anche dalla Giurispru denza della S1tprema Corte (sent. n. 2084 'del 1950 nella causa Italcable contro U.I.O.). Ma se questo , se, cio, gli atti che costituiscono il procedimento sopra descritto sono atti ammini strativi, se l'attivit dell'Ufficio Gambi nella sog getta materia e attivit amministrativa, ne deriva che non consentito all'autorit giudiziaria emet tere provvedimenti i quali si risolvono in un ordine all'Ufficio Gambi di svolgere l'attivit suddetta in un certo modo, di compiere certi atti non previsti nella successione di quelli che costituiscono il pro cedimento normale di clearing o di ometterne altri. Non vi dubbio che l'interpretazione dell'art. 4 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, Alleg. E, im ponga proprio la soluzione sopra enunciata. Con tro questa tesi sono state formulate, sia pure senza eccessiva convinzione, due serie di obiezioni (va notato che ci si cominciati ad interessare di questa questione solo dopo la causa SILPA perch prima nessuno scrittore si era mai posto il problema): a) s' detto che il procedimento amministrativo relativo al clearing costituirebbe attivit di gestio ne>> della pubblica amministrazione (Testa: I mezzi di pagamento del commercio estero, Rivista Tri mestrale di Diritto e Procedura Civile, 1951, 743) riesumando cos figure da tmpo sepolte dalla cri tica giuridica; b) si detto da altri (Alessi, v. 1. cit.) che l'ordine dato dall'autorit giudiziaria all'Ufficio Gambi di pagare una determinata somma ad un creditore piuttosto che ad un altro, non incide affatto sull'attivit della P.A., in quanto non a questa che spetta di designare in via esclusiva, colui che ha il diritto di riscuotere la somma. Per quanto riguarda la prima serie di obiezioni da osservare che ormai riconosciuto dalla dottrina prevalente (v. Vitta, Diritto Amministrativo, II, pag. 445) e dalla giurisprudenza della Suprema Corte (Sez. Un. n. 2303 del 2 agosto 1950) che il divieto stabilito dall'art. 4 della legge abolitiva del contenzioso amministrativo si estende a tutti quei provvedimenti dell'autorit giudiziaria i quali comunque impongano all'Amministrazione di tenere un determinato comportamento (positivo o negativo che esso sia) indipendentemente dal fatto che questo comportamento versi in materia regolata dal diritto privato o dal diritto pubblico, e ci perch nessun rapporto giuridico in cui sia parte la Pubblica Amministrazione mai regolato interamente dal diritto privato. La seconda obiezione apparentemente piu seria, ma essa valida solo per quelle iptesi in cui esistano un credito e un creditore identificati dall' U.I.O. e si voglia agire da parte di un creditore del creditore sulle somme dall' U.I.O. stesso dovute. Ora, ci si verifica solo nell'ipotesi che chi agisca sia un creditore d'un esportatore italiano, cio d'un soggetto .che deve ricevere dall'U.I.O. un pagamento in clearing. Non pu invece verificarsi quando chi agisce sia creditore d'un soggetto appartenente all'altro stato parte nell'accordo di clearing, il quale deve ricevere il pagamento di quanto dovutogli allo estero e ad opera del suo ufficio cambi. Invero, oltre che per le ragioni che abbiamo esposto, ve n' una, che a, noi sembra veramente decisiva, e che si oppone inesorabilmente a che in Italia su somme versate all' U .I.O. da un debitore italiano adempimento di obbligazione verso un creditore straniero possa agire da parte del creditore italiano di questo creditoredebitore straniero: e la ragione che cos facendo si violerebbe la norma di ordine pubblico che vieta che si possano fare pagamenti all'estero e ricevere pagamenti dall'estero in modo diverso dal clearing. Per rendersi conto che questa sarebbe la conseguenza che si verificherebbe se si ammettesse la possibilit d'una azione esecutiva del genere sopra descritto, basta raffigurarsi schematicamente la situazione giuridica che si viene a determinare: A (italiano) debitore di B (argentino) O (italiano) creditore di B (argentino). L'adempimento delle obbligazioni derivanti da questi due rapporti richiede, evidentemente, una doppia operazione in clearing, e cio, A paga a B (~ramite clearing) e B paga a O (tramite clearing). E ben noto che non potrebbe B consentire a che O (suo creditore), si faccia pagare il credito da A (suo debitore), perch questo si risolverebbe nel permettere che rapporti di pagamento tra appartenenti a paesi legati da accordi di clearingsi eseguano senza passare attraverso il clearing, in pa-tente violazione di una norma di ordine pubblico inderogabile. Ora, come risaputo, il divieto legale di cessioni o alienazione volontaria di cose e crediti implica il divieto di alienazione o cessione forzose di esse -118 ,__ (sarebbe altrimenti troppo facile eludere il divieto, provocando e subendo senza resistere la esecuzione forzata). Pertanto, un'esecuzione da parte di O, creditore di B, sulla somma dovuta da A a B appare inammissibile. E altrettanto inammissibile deve apparire un'azione cautelare tra le stesse parti, essendo evidente che, preordinata alla esecuzione, incontra gli stessi divieti di questa. Questa tesi da noi formulata e che ci sembra ineccepibile, stata nella fattispecie oscurata dal fatto che il soggetto A (debitore di B) che la Banca Commerciale non mai intervenuta nel giudizio e questo si svolto nei confronti dell' U.I.C. cui la Banca aveva versato la somma da essa dovuta, ma una volta ricostruito interamente il quadro e fatto assumere in ques.to alla banca versante il posto di A che le spetta,. la soluzione negativa del quesito appare insuperabile. Concludendo, da qualy,nque zq, lg si guardi, il pignoramento o sequestro di somme versate in clearing appare inammissibjle e le relative azioni giudiziarie assol11.tamente improponibili. Senza pretendere d'aver esaurito in questa breve nota la complessa materia, ci lusinghiamo di averne messo in luce degli aspetti sui quali speriamo di sentire, al piu presto, una prima autorevole parola della Corte Suprema. A. S. RASSEGNA DI 'LEGISLAZIONE I PROVVEDIMENTI SONO ELENOATI SEOONDO L'ORDINE DI PUBBLIOAZIONE SULLA GAZZETTA UFFIOIALE I. 1. Legge 8 maggio 1952, n. 427 (G. U. n. 109): Delega al Governo della emanazione dei testi unici in materia di organizzazione e di servizi dell'Amministrazione delle Poste e delle Telecomunicazioni e dell'Azienda di Stato per i Servizi Telefonici. -L'art. 2 della presente legge contiene una vera e propria qelega legislativa, la quale non sarebbe stata necessaria se si fosse trattato solo di autorizzare il Governo ad emanare testi unici, sembrando che una tale facolt rientri tra quelle costituzionalmente spettanti al potere esecutivo. Vero che vi sono stati finora molti esempi di delega legislativa per l'emanazione di testi unici, ma in tali deleghe stato sempre prevista la concessione al governo del potere di emanare norme modificative di leggi vigenti, e non solamente il potere di coordinare sistematicamente le disposizioni esistenti. 2. Legge 10 aprile 1952, n. 474 (G. U. n. 120): Norme per l'applicazione dell'art. 57 del Trattato di Pace nonch dell'art. 2 (B) del Protocollo delle Quattro Potenze. -Si segnala l'art. 2, che non ci sembra un modello di tecnica legislativa. Invero, basta leggere gli artt. 7, 10 e 17 del D. L. 21 giugno 1940, n. 856, nei quali si parla di " speciali organi giurisdizionali " (art. 7), di enti mobilitati" (art. 10), di "forze mobilitate " (art. 17), per rendersi conto come il loro SEm plice richiamo in vigore per i lavori,. forniture e pre stazioni indicate nell'art. 1 della presente legge non sia sufficiente a determinarne con assoluta certezza l'applicabilit. Per lo meno potranno sorgere in pro posito dei dubbi e degli inconvenienti, aggravati dal fatto che, per esempio, non richiamato in vigore l'art..11 del citato D. L. 856 che prevede l'estensione delle norme stabilite dall'art. 7 anche per le aggiunte e varianti da fare ai contratti originari. Sarebbe stato, evidentemente, molto pi opportuno dettare norme precise e complete, se pur analoghe a quelle richiamate in vigore, n si trova nella relazione al disegno di legge una qualsiasi ragione che giustifichi la formula abbreviata adottata nell'art. 2. 3. Legge 23 maggio 1952, n. 573 (G. U. n.. 134): Ratifica del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 11 settembre 1947, n. 891 e relative norme interpreta- tive. -Si veda il commento al disegno di legge in questa Rassegna 1950, pag. 162. 4. Legge 2 luglio 1952, n. 703 (G. U. n. 154 s. o.): Disposizioni in materia di finanza locale. -Si segnala particolarmente l'art. 5 il quale dispone il trasferimento a carico del bilancio dello Stato dell'onore riguardante l'accasermamento delle forze di polizia e l'assunzione diretta del servizio stesso da parte dello Stato. INDI CE SISTEMAT1co DELLE C O N S U L T A Z .I ON I LA FORMULAZIONE DEL QUESITO NON RIFLETTE IN ALCUN MODO LA SOLUZIONE OHE NE STATA DATA ACQUE PUBBLICHE. -I) Se le norme dei regoil suo patrimonio (n. 131). III) Se, essendo venuta meno lamenti 1 marzo 1896 e 2 marzo 1906, contenenti dispo1' 0. N. B., i diritti, i poteri e le facolt della medesima sizioni sui canali demaniali debbano ritenersi abrogate siano passati alla G. I. L. (n. 131). IV) Se il decreto di dal T. U. 11 dicembre 1933, n. 1775 (n. 21). II) Se la autorizzazione all'accettazione di un terreno, donato a indennit di esproprio di un terreno con pozzo sovrasuo tempo all'O. N. B., possa essere provocato, in sestante e relative opere di irrigazione, ove il corso d'acqua guito allo scioglimento dell'Opera medesima, dalla G. sotterraneo sia di natura privata in zona non assoggetI. L. oggi "Giovent Italiana (n. 131). V) Se la "actio tata a pubblica tutela agli effetti dell'art. 95 T. U. 11 ad exhibendum " possa esprimersi nei confronti della dicembre 1933, n. 177 5, debba essere liquidata in rapPubblica Amministrazione con la stessa ampiezza con porto al solo costo dell'opera o anche all'entit della la quale ammessa dal c.p.c. nei confronti del privato utilizzazione (n. 22). III) Se l'indennit di esproprio (articoli 211 e 212 c.p.c.), (n. 132). del detto terreno, ove il corso di acqua sia di natura pubblica e il diritto all'utilizzazione derivi da conces-ANTICHIT E BELLE ARTI. -I) Quale forma sione amministrativa debba commisurarsi al solo valore debbano avere i provvedimenti coi quali si procede economico complessivo dell'opera o anche a quello del alla imposizione dei vincoli, di cui alla legge 1 giugno l'utile ritraibile (n. 22). IV)" se fa detta ndennit, nel 1939, n. 1089, a carico della propriet dei privati, adiacaso di acqua sotterranea esistente in zona soggetta centi all'immobile di importanza artistica e storica a pubblica tutela, la cui derivazione non sia_ autoriz. - (n. 21). II) Quale forma debba essere adottata quando zata dalla competente autorit amministrativa, debba si tratti di imporre i suqcJ.etti vincoli o limitazioni a commisurarsi al solo costo dell'opera o anche all'entit beni appartenenti al patrimonio indisponibile dello dell'esercizio comunque riconosciuto al proprietario Stato, ovvero r,cl Fnti pubblici legalmente riconosciuti (ri. 22). V) Se, sussistendo la speciale autorizzazione (n. 21). dell'autorit amministrativa per la derivazione di acqua sotterranea, sita in una zona soggetta a pubblica tutela, APPALTO. -I) Se sia legittima l'inserzione' in un l'indennit di esproprio comprenda tutto quanto cor contratto di cottimo di una clausola per la quale " nella relativo o connesso alla derivazione stessa ed all'utilizzo determinazione dei prezzi e dei corrispettivi si tenuto dell'acqua (n. 22). conto del minore onere tributario >>, ove di ci non si sia parlato negli inviti diramati per la partecipazione ALBERGHI. -I) Se il vincolo alberghiero gravante alla gara (n. 155). II) Se, quando detto minore onere su di un immobile debba considerarsi estinto con il tributario risulti poi insussistente, possa farsi luogo perimento giuridico e di fatto del bene sul quale esso alla vari~zione dei prezzi, al solo fine di ristabilire la gravava (n. 8). II) Se il Commissariato per il Turismo situazione economica contrattuale (n. 155). possa obbligare l'Ente espropriante ad erigere uno stabile con destinazione alberghiera, che sostituisca altro ASSICURAZIONI. -Se l'Avvocatura dello Stato albergo, espropriato per pubblica utilit (n. 8). possa assumere la rappresentanza e la difesa in giudizio dell'I.N.A. in cause relative alle operazioni per l'assicurazione di crediti all'esportazione (n:. 36). AMMINISTRAZIONE PUBBLICA. -I) Se il Commissariato Regionale Combustibili solidi per il Piemonte possa essere considerato un vero e proprio Uffi. AUTOVEICOLI. -I) Se la condanna alla reclusione cio dell'Amministrazione dello Stato (n. 130). II) Se col beneficio della sospensione condizionale costituisca la Giovent Italiana del Littorio, creata con R. D. L. causa ostativa alla concessione della patente di guida 27 ottobre 1937, n. 1839, abbia assorbito l'O. N. B. e di terzo grado, giusta l'ultimo comma dell'art. 85 c.s. @ Z?f44WffIW 7F lliWKEfl!E&&UF:B -121 (n. 35). II) Se, in mancanza di iscrizione nel P.R.A. del privilegio di cui all'art. 2 del R. D. L., 15 marzo ~927, n. 436, a garanzia del prezzo dovuto dal compratore, sussista a favore del venditore, nei confronti del terzo subacquirente, il diritto di seguito da esercitarsi ai sensi degli articoli 7 e 8 del decreto stesso (n.36). III) Se. la mancanza di trascrizione nel P. R. A. di un trapasso di propriet renda inopponibile ai terzi il trapasso stesso (n. 36). AVVOCATI E PROCURATORI. -Se l'Avvocatura dello Stato possa assumere la rappresentanza e la difesa in giudizio dell'I.N.A. in cause relative alle operazioni per l'assicurazione. di crediti all'sportazione (n. 16). COMUNI E PROVINCIE. -I) Se l'art. 85 del T. U. della Finanza locale, che faculta alla dichiarazione di decadenza dell'Esattore di imposte di consumo in caso di irregolarit continuate, debba interprtarsi nel senso che, ai fini della detta dichiarazione, occorra una sola irregolarit continuata o ne occorrano varie e continuate (n. 35). II) Se il ricorso proposto alla Corte di Appello, ai sensi dell'art. 54 del D. L. L. 7 gennaio 1946, n. 1, contro le decisioni della Giunta Provinciale Amministrativa in materia di eleggibilit alle cariche di Amministratori degli Enti locali o di decadenza dalle medesime, abbia effetto sospensivo (n. 36). CONCESSIONI. -I) Se le Commissioni per la concessione delle terre incolte o insufficiEntEmente coltivate possano pronunziare sulle istanze di assegnazione, pendenti all'entrata in vigore della legge 18 aprile 1950, n. 199, oppure debbano rimettersi srnz'altro le ista.nze stesse ai Prefetti (n. 30). II) Quale natura abbia il farue delle dette Commissioni (n. 30). III) Se l'art. 5 del decreto legge 7 gennaio 1947, n. 24, che stabiliEce in un minimo di L. 200 annue -i canoni per le concessioni di beni di propriet del demanio, dovuti a titolo di ricognizione dei diritti del medesimo, sia di immediata applicazione o disponga soltanto per le concessioni da rinnovarsi in futuro (n. 31). IV) Se, le noime della legge 31 gennaio 1949, n. 8, che aumenta ad un minimo di lire mille detti canoni, abbiano Effetto immediato (n. 31). COSE RUBATE O SMARRITE. -Se, nell'ifotrni di ritrovamento, da parte di viaggiatori, di oggetti smarriti o dimenticati sui mezzi di tra&fOito o negli immobili di pertinenza di aziende concESsionarie di pubblici servizi di trasporto, trovi luogo la disciplina generale in materia di ritrovamento, di cui agli articoli 927 e segg. del codice civile (n. 7). CONTABILITA' GENERALE DELLO STATO. I) Se il tutore provvisorio, nominato all'interdicendo, possa cessare dall'ufficio, in base ad un'ordinanza del pretore emessa su semplice dichiarazione del tutore medesimo che l'interdicendo non pi ricoverato, aven do riacquistato l'uso delle facolt mentali (n. 88). II) Se, pertanto, possa disporsi il pagamento dei ratei di pensione a favore di detto interdicendo con quietanza del medesimo, senza l'intervento del tufore provvisorio (n. 88). III) Se il termine di decadenza per la denun eia dei debiti scaduti di cui al D. L. 8 maggio 1948, n. 428, stabilito col D. L. 7 maggio 1948, n. 656, e prorogato con legge 1dicembre1949, n. 617, sia il 31 dicembre 1949 (n. 89). IV) Se le Ditte appaltatrici abbiano facolt di sciogliersi dagli impegni assunti, trascorsi quattro mesi dalla data di stipulazione dei eentratti definitivi, senza che ne sia intervenuta l'approvazione (n. 90). V) Se in regime di gestione provvisoria di appalto, successiva a quella contrattuale, gi da tempo scaduta, possa farsi riferimento a presunti diritti scaturenti dal rapporto originario (Ii. 91). VI) Se l'inadempimento da parte di una ditta alle prescrizioni dell'Ente committente possa costituire causa legittima di sospensione del contratto (n. 91). VII) Se la sospensione del contratto sia giustificata, ove sorgano a carico di una ditta elementi di reato (n. 91). DEMANIO. -I) Quale forma debba essere adottata quando si tratti di imporre i suddetti vincoli o limitazioni per importanza artistica a beni appartenenti al patrimonio disponibile o indisponibile dello Stato, ovvero ad Enti pubblici o legalmente riconosciuti (n. 81). II) Se, al cessare della concessione su demanio marittimo, le opere "inamovibili, costruite nella zona demaniale, restino acquisite allo Stato, senza alcun compenso o rimborso, salva la facolt dell'Amministrazione concedente di ordinare la restituzione cc in pristinum" (n. 82). DONAZIONI. -Se il decreto di autorizzazione all'accettazione di un terreno, donato a suo tEmpo al- 1'0.N.B., possa essere provocato, in seguito allo scioglimento dell'Opera medesima, dalla Giovent Italiana dl Littorio, oggi cc Giovent Italiana" (n. 19). ESPROPRIAZIONE PER P. U. -Se, sussistendo la speciale autorizzazione dell'autorit amministrativa per la derivazione di acqua sotterranea, sita in una zona soggetta a pubblica tutela, l'indennit di esproprio comprenda tutto quanto correlativo o connesso alla derivazione stessa e all'utilizzo dell'acqua (n. 72). FALLIMENTO. -Se l'accoglimento della domanda di ammissione del credito ceduto al passivo del fallimento della Ditta cedente, avanzata dalla Ditta cessionaria, comporti, da parte della medesima, la rinunzia alla cessione stessa (n. 5). FERROVIE E TRANVIE. -I) Se il rapporto di impiego del personale delle Aziende Ferrotranviarie (nella specie, dell'Azienda per la Navigazione sul Lago di Garda) sia regolato dalle norme del e.e. e dalla legge sull'impiego privato (n. 149). Il) Se, a norma del Regolamento alleg. -A al R. D. 8 gennaio 1931, n. 148, la indennit di buonuscita da liquid~rsi ad un dipendente della detta Azienda esonerato dal servizio debba essere calcolata in base al splo stipendio o anche alle indennit accessorie (n. 149). GUERRA. -I) Se a norma della legge 3 agosto 1949, n. 489, gli eredi di cittadini italiani, che a suo tempo abbiano ceduto i propri beni immobili alla D. A.T. e che siano morti prima dell'emanazione della legge succitata, possano ottenere la retrocessione dei -122 medesimi (n. 115). II) Se la legge 5 gennaio 1950, n. 1, che ha prorogato i termini gi scaduti, per la corresponsione dell'indennit di primo stabilimento ai profughi usciti dai campi I.R.O., abbia effetto retroattivo (n.116). IMPIEGO PRIVATO. -I) Se, in materia di rapporti di lavoro la sostanza dell'attivit posta in essere dal dipendente prevalga sulle dichiarazioni contrattuali, ai fini della qualificazione gili.ridica dei rapporti medesimi (n. 24). II) Se il principio, per cui nella retribuzione dell'impiegato si intendono compensate tutte le attivit spese a beneficio dell'ente, sia applicabile quando nel contratto si stabilisca che le mansioni extracontrattuali, o esorbitanti, siano compensate a parte e si precisi quali mansioni o attivit si ritengano esorbitanti dall'attivit dedotta in contratto (n. 24). III) Se l'esistenza del rapporto impiegatizio possa ridurre il compenso per attivit extra contrattuale, esplicata da un professionista, a una semplice grtifica (n. 24). IV) Se il rapporto d'impiego del personale dell'Azienda Ferrotranviaria (nella specie, dell'Azienda per la Navigazione sul Lago di Garda) sia regolato dalle norme del e.e. e della legge sull'impiego privato (n. 25). V) Se, a norma del Regolamento All. A al R. D. 8 gennaio 1931, n. 148, l'indennit d buonuscita da liquidarsi a un dipendente della detta Azienda esonerato dal servizio debba essere calcolata in base al solo stipendio o anche alle indennit accessorie (n. 25). IMPIEGO PUBBLICO. -I) Se sia valida la rinuncia dell'impiegato statale avventizio al trattamento malattia per poter riscuotere l'indennit di licenziamento (n. 299). II) Se ad un ex maresciallo di Pubblica Sicurezza, proveniente dal disciolto Corpo dei Vigili Urbani di Roma, spetti, ai sensi dell'art. 6 del R.D.L. 18 ottobre 1925, n. 1846, l'indennit di buona uscita, prevista dall'art. 5 del decreto stesso (n. 300). III) Se, agli effetti della rinnovazione del contratto di impiego, sia richiesto un provvedimento formale dell'Amministrazione (n. 301). IV) Se un diurnista, gi licenziato dal servizio e riassunto in seguito all'annullamento del provvedimento in accoglimento di ricorso straordinario al Capo dello Stato, abbia diritto al pagamento degli assegni maturati nel periodo intermedio dopo la scadenza del contratto (n. 301). IMPOSTA SULL'ENTRATA. -I) Se possa ritenersi applicabile alle infedeli denunce del bestiame macellato la pena dell'ammenda prevista dall'art. 32 e) della legge organica sull'I.G.E., come modificato dall'art. 20 del R. D. L. 3 giugno 1943, n. 452 (n. 30). II) Se, risolto affermativamente il primo quesito, possa ritenersi invocabile dai contribuenti l'art. 37 della legge 11 gennaio 1951, n. 25, al fine di ottenere l'esonero dal pagamento dell'ammenda (n. 3Q). III) Se l'azione giudiziaria in materia di I.G.E. sia proponibile immediatamente senza previo esperimento dei ricorsi amministrativi solo quando sia diretta contro l'atto di accertamento tributario e non, invece, quando sia intentata in sede di sanzioni fiscali (n. 31). IMPOSTE E TASSE. -I) Se l'art. 85 del T. U. sulla Finanza locale, che faculta alla dichiarazione di decadenza dell'Esattore di imposte di consumo in caso di irregolarit continuate, debba interpretarsi nel senso che, ai fini della detta dichiarazione, occorra una sola irregolarit continuata o ne occorrano varie continuate (n. 173). II) Se l'Amministrazione, nel caso in cui il trasgressore, all'atto della notifica del verbale di accertamento, dichiari di voler conciliare amministrativamente la vertenza ma r~ppresenti una situazione di fatto diversa da quella assunta nel verbale possa notificare un secondo verbale di accertamento, basandolo sui veri presupposti di fatto, ed il trasgressore possa conciliare la vertenza in via amministrativa all'atto d!Jlla notifica di questo secondo verbale (n. 174). LOTTO E LOTTERIE. -I) Se abbia diritto al pagamento della somma vinta il giuocatore che abbia consegnato la bolletta al ricevitore del. lotto, ritirando la relativa ricevuta, ove poi la bolletta medesima non sia stata spedita all'ufficio competente n sia pi possibile acquisirla alla documentazione (n. 9). II) Se, agli effetti dell'integrit della bolletta l'art. 38 del R. D. 19 ottobre 1938, n. 1933, sia da interpretarsi nel senso che la bolletta non debba mancare dei suoi elementi costitutivi essenziali o nel senso che la bolletta debba essere, in ogni caso, intera, illesa, intatta (n. 10). OPERE PUBBLICHE. -I) Se sia legittima l'inserzione in un contratto di cottimo di una clausola per la quale cc nella determinazione dei prezzi e dei corrispettivi si tenuto conto del minore onere tributario >, ove di ci non si sia parlato negli inviti diramati per la partecipazione alla gara (n. 29). II) Se, quando detto minore onere tributario risulti poi insussistente, possa farsi luogo alla variazione dei prezzi, al solo fine di ristabilire la situazione economica contrattuale (n. 29). PENS!ONI. -I) Se il tutore provvisorio, nominato all'interdicendo, possa cessare dall'ufficio, in base ad un'ordinanza del pretore emessa su semplice dichiarazione del tutore medesimo che !'interdicendo non pi ricoverato, avendo riacquistato l'uso delle facolt mentali (n. 50). II) Se, pertanto, possa disporsi il pagamento dei ratei di pensione a favore di detto interdicendo con quietanza del medesimo, senza l'intervento del tutore provvisorio (n. 50). PROCEDIMENTO CIVILE. -Se l'cc actio ad exhibendum " possa esperirsi nei confronti della Pubblica Amministrazione con la stessa ampiezza con la quale ammessa dal c.p.c. nei confronti del privato (articoli 211 e 212 c.p.c.), (n. 17). RAPPRESENTANZA. ~ I) Se nella formazione di un contratto sia ammessa la contemporanea rappresentanza da parte di un unico procuratore di pi ditte, titolari di diritti o interessi reciprocamente lidentisi e, quindi, contrastanti (n. 1). II) Se l'esecuzione di un contratto possa essere affidata da pi ditte a una persona, quale mandatario comune (n. 1). REGIONI. -I) Se la legge regionale siciliana concernente cc Agevolazioni fiscali per }e societ sportive aventi lo scopo di incrementare le attivit e. le._mj'tnifestazioni sportive dell&.. Regione " possa dar adito. ad impugnativa per motivi di illegittimit costituzionale (n. 29). II) Se il disegno di legge regionale "Rivendica del diritto df propriet dell'elaiopolio di S. Agata Militello (Messina) da parte della Regione Siciliana" possa -123 dar adito ad impugnativa per motivi di illegittimit costituzionale (n. 30). III) Se il disegno di legge regionale concernente l' Istituzione di un centro regionale per la meccanicazione agricola in Sicilia , possa dar adito ad impugnativa per illegittimit costituzionale (n. 31). REQUISIZIONI. -I) Se il termine di decadenza per la denuncia dei debiti scaduti di cui al D. L. 8 maggio 1948, n. 428, stabilito col D. L. 7 maggio 1948, n.656 e prorogato con legge 1 dicembre 1949, n. 617, sia il 31 dicembre 1949 (n. 95). II) Se, a norma della legge 3 gennaio 1951, n. 10, solo il Ministero del Tesoro debba ritenersi passivamente legittimato nelle cause che sorgano in ordine agli indennizzi conseguenti a requisizioni alleate (n. 96). III) Se debba eccepirsi l'improponibilit temporanea dell'azione ove venga iniziata la procedura contenzfosa, relativa alla liquidazione degli indennizzi, senza il previo esperimento della fase am ministrativa, prescritta dalla legge n. 10 del 1951 (n. 96). RESPONSABILITA' CIVILE. -Se l'Amministrazione sia responsabile degli eventuali danni prodotti dalla circolazione di autoveicoli, da essa alienati, ma il cui trapasso di 13ropriet non sia stato ancora trascritto nel P. R. A. (n. 127). SINDACATI. -Se i ricostituiti Ordini forensi e Collegi notarili possano essere considerati, agli effetti della devoluzione dei beni della disciolta Confederazione fascista dei professionisti ed artisti, gli unici enti che abbiano la rappresentanza delle rispettive categorie e le attribuzioni gi spettanti alle Associazioni professionali (n. ~4). SUCCESSIONI. -Se il regime convenzionale di ripartizione degli aumenti, previsto nell'ultimo comma dell'art. 214 del Codice civile svizzero per l'epoca dello scioglimento dell'unione dei beni coniugali, si applichi a tutti gli acquisti avvenuti durante il matrimonio o ai soli acquisti intervenuti successivamente alla data delle convenzioni matrimoniali (n. 30). TRATTATO DI PACE. -Se l'Amministrazione del Tesoro, sequestrataria di beni tedeschi, siti in Italia, sia legittimata ad agire a nome della Ditta sequestrata, dopoch i beni delle ditte tedesche in Italia sono passati in propriet della Commissione Alleata di Controllo in Germana (n. 47). TURISMO. -I) Se il vincolo alberghiero gravante su di un immobile debba considerarsi estinto con il perimento giuridico e di fatto del bene sul quale esso gravava (n. 4). II) Se il Commissariato per il Turismo possa obbligare l'Ente espropriante ad erigere uno stabile con destinazione alberghiera, che sostituisca altro albergo, espropriato per pubblica utilit (n. 4). (9101243) Roma, 1952 Istituto Poligrafico dello Stato G. C.