LUGLIO-AGOSTO 1951 RASSEGNA MENSILE DEJLL' AVVOCATURA DELLO STATO PUBBLI(JA.ZIONE DI SEBVIZIO IL RAPPORTO DI LAVORO CON ENTI PUBBLICI ECONOMICI E LA COSTITUZIONE . SOMMARIO. -1. Premessa -2. Rapporto economico (art. 39) o rapporto di pubblico impiego (art..97 e 98)? 3. L'art. 39 e l'appartenonza dell'ente economico alla categoria. -4. Limiti derivanti dalla Cost1tuzione per il legislatore. -5. II problema della competenza. 1. Il problema dei rapporti di lavoro col'l gli enti pubblici economici pu considerarsi sotto due angoli di visuale: o guardare quello che oggi nel diritto positivo, condividendo o meno l'attuale orientamento della Cassazione, ein questo caso ilCongresso verrebbe a restringersi all'esame di questioni, pur gr'1vi e delicate, ma ~ransitorie e contingenti, a carattere in sostanza esegetico di norme di legge. Oppure spingere lo sguardo a quella che dovr essere, nell'ordinamento futuro, la soluzione gi, a nostro avviso, tracciata chiaramente dalla Costituzione. E allora il Congresso, pur con limiti di diritto positivo eventualmente scaturenti dalle norme della Oostituzione, come vedremo, abhraccer il problema in tutta la sua estensione e rilievo e potr portare un suo concreto contributo ad una soluzione legislativa di esso. Questa comunicazione tende appunto a evadere dal dibattito di diritto transitorio che oggi tiene divise giurisprudenza e dottrina per studiare e porre in risalt.o quelle norme della Costituzione che possono influire, e a nostro parere tracciano precise direttive, sulla disciplina del rapporto di lavoro con enti pubLlici economici. 2. Pu avere importanza per penetrare ilpensiero della Costituzione tener presente quale era, ed , la sitnazione di fatto in cui prima della su emana~ zione si trovavano tali rapporti di lavoro. In linea di diritto sostanziale essi erano disciplinati dai contratti collettivi del ces10atoordinamento sindacale in forza quantomeno della disposizione transitoria deJl'art. 43 del decreto-legge 369 del 1944 e dell'art. 20<13 del codice civile. Si discuteva (come oggi si discute) sulla posizione proces.suale, e cio su quale dovesse ritenersi il giudice competente ad apJ>lirare la disciplina di cui sopra, e su questo erano (e sono) i dispareri, ma non poteva negarsi -e non si nega oggi -che il rapporto restasse disciplinato, in vh principale dai contratti collettivi integ-rti eventualmente da disposizioni regolamentari degli enti. Non vi erano divieti, e perci, col beneplacito dell'ente interessato, le clausole dei contratti collettivi di diritto iubblico potevano liberamente sostituir~i con altre, pi favorevoli ai lavoratori, risultanti dai nuovi patticollettivi di diritto comune, magari conclusi tra gli organi direttivi dell'Ente le Associazioni che ne inquadravano il personale, oppure estesi in via generale o specifica da categorie similari. Il personale di cui si tratta, in assenza di uh divieto cogente, poteva riunirsi in Associazioni sindacali e stipulare ~atti di lavoro e in taluni cfl,si (l'. ad es. le Aziende Municipalizzate) vi era la possibilit di inquadramento e associazione sindacali in Sindacati di datori di lavoro. In tale stato di cose veniva emanata la Costitu zione che all'art. 39 affrontava il problema generale del sindacato e della disciplina collettiva del lavoro ? agli articoli 97 e 98 poneva le basi per l'organizza zione della pubblica Amministrazione. Dopo questa premessa, poniamo subito i due gravi problemi iniziali per una retta interpretazionfl delle norme della Costituzione: l'art. 39 compatibil< con gli artt. 97 e 98~ Rientra il rapporto di lavoro con gli enti pubblici nella disciplina disposta dal l'articolo 39 o dagli articoli 97 e 98~ Non ci soffermeremo sul primo quesito, poch a noi basta risolvere il secondo per quanto attiene al tema che ci siamo proposti. Infatti ove si dimostri che gli articoli 97 e 98 non riguardano gli enti economici, il primo proble ma interpretativo resta, per noi, superato. Gli articoli 97 e 98 appartengono al titolo La pubblica Amministrazione n, l'art. 39 a quello invece <e proprio la ragion d'essere dell'art. 103, e discende da, quelle esigenze che l'articolo 97 ha enunciate, in sostanza la salvaguardia del cittadino, e anche dell'impiegato, di fronte ai poteri di supremazia dell'Amministrazione. 6. Non ripeteremo qui quello che stato scritto sul sistema contrattuale paritario del contratto collettivo che esclude la sussistenza di interessi legittimi e neppure porremo in luce la incongruenza pratica di una competenza di giurisdizioni diverse sullo stesso contratto collettivo, n la difficolt di armonizzare i principi che disciplinano la pubblica amministrazione con quelli che regolano il rapporto economico di lavoro. Bisponderemo semplicemente a una obbiezione di carattere pratico: si ripete, e anche da autorevoli studiosi, che la competenza esclusiva del giudice del lavoro verrebbe a sminuire la tutela del personale degli enti pubblici economici. Ora ci non ci sembra esatto: non bisogna, al riguardo dimenticare che la tutela ed il trattamento dei lavoratori sono costituiti da una molteplicit di elementi. Siamo tutti d'accordo che scegliendo fior da fiore viene a realizzarsi la tutela migliore di tutte: da unlato ogni beneficio del diritto privato, dall'altro ogni beneficio di quello pubblico. Ma una tale pretesa appare .ingiustificata e creerebbe una vera disparit sia rispetto agli appartenenti alla pubblica amministrazione che non possono godere dei benefici del diritto privato, sia rispetto ai lavoratori privati che non potrebbero godere di quelli del diritto pubblico. Si tratta quindi di scegliere ( e la scelta, come abbiamo veduto gi fatta) tra l'uno e l'altro sistema: o il trattamento e la garanzia del pubblico impiego dove alla inferiorit del trattamento economico e alla ampiezza dei poteri discrezionali dell'Ente fa riscontro in compensazione la rigorosa tuteJa di tutti gli interessi e l'esistenza di intense garanzie; oppure il trattamento economico pi elevato dei privati con le embrionali garanzie dello impiego privato, ma con diritti precisi e assicurati contro cui il datore di lavoro non ha alcun potere. .Anche, a prescindere per un momento dal trattamento economico su cui torneremo subito, non pu non rilevarsi che il sistema del contratto collettivo e del diritto soggettivo ha degli elementi di vantaggio sul sistema della tutela dell'interesse legittimo. Nel primo caso vi saranno molti atti del datore di lavoro sottratti ad ogni controllo, ma vi sono dei diritti stabiliti - contrattualmente che non possono essere lesi sotto nessun pretesto; nel secondo tutto sar soggetto al controllo della giustizia amministrativa, ma tutto dipender dal potere discrezionale dell'ente e l'in -132 teresse del servizio sar la bussola, talora incerta, da cui dipender il rapporto d1impiego in tutte le sue vicissitudini, senza ostacoli insormontabili che diano la sicurezza di determinati diritti. Alla mancanza di tutela degli interessi legittimi si unirebbe -si dice --anche la limitatezza dei poteri del giudice del lavoro il quale non potrebbe mai annullare l'atto dell'ente e ordinare ad esempio la riassunzione de\ lavoratore. r,e osservazioni che precedono sono gfa una prima risposta anche a tale rilievo, ma opportuno aggiungerne altre. Intanto non del tutto esatto che il giudice del lavoro non abbia alcun potere al riguardo: di fronte ad un licenziamento viziato da nullit assoluta perch contra legem il giudice del lavoro pu legittimamente dichiarare (vedi ad esempio le sentenze sul blocco dei licenziamenti) che questo stato inefficiente a-risolvere il rapporto che perdura con tutti i relativi obblighi contrattuali. Non esiste la riammissione in servizio manu militari, ma esistono delle fattispecie in eui il datore di lavoro vede vigere e persistere un rapporto con a suo carico la retribuzione, anche contro la sua volont (oltre i casi sopra citati v. per es. l'imponibile di mano d'opera). Inoltre tali poteri potranno accrescersi e precisarsi nel futuro dal momento che la tendenza del diritto del lavoro verso una maggiore sicurezza dell'impiego e una pi intensa tutela del lavoratore. Ma si tratter pur sempre di una tutela legata al diritto soggettivo (e cio dell'intensrficarsi ed estendersi dei diritti soggettivi) e eguale per tutti i lavoratori di una stessa categoria, facciano essi capo a datori di lavoro privati o enti pubblici economici: tale quindi da non alterare la natura del rapporto, n turbare la parit tra gli uni e gli altri. Oltrech nel sistema e nei rilievi delineati, l'ob biezione in esame ci sembra trovi la sua pi decisa condnna proprio nella necessit, di assicurare questa parit di condizioni non solo per evitare il crearsi di privilegi, quanto per l'interesse stesso delle imprese datrici di lavoro. Non vi dubbio che l'annullamento, speie se frequente, a tutela di un interesse legittimo P, attra verso la figura dell'eccesso di potere, rappresenta un costo non indiflerente e accresce il peso del costo del lavoro. Si tratta a volte, per la stessa giustificata. lentezza della giustizia amministrativa, di anni di assegni arretrati che l'ente costret.to a pagare senza essersi avvalso del lavoro del suo dipen dente. Tale costo incide sulla gestione economica e porta uno .squilibrio che gioca contro il suo rendimento, le impedisce una effettiva concorrenza coll'impresa privata, snatura e rende vuota di significato la pretesa. di una sua azione calm,ieratrice. Ecco allora che la gestione economica non in grado di a.ffrontare la libera concorrenza e si risolve in un passivo per le finanze statali (gioca anche contro di essa il frequente minore impegno del suo stesso personale che sa di avere maggiore tmnquil lit anche se non d tutto il suo rendimento). Si potr dire che ci dovuto a tante cause, e p ess0 re, ma cuto tra gli elementi del pai>sivo c' da porre il maggior costo che impedisce una gara vittoriosa sul mercato: quindi anche nell'interesse pubblico che ha dato vita all'ente che esso non sia posto in condizioni di inferiorit a tutto profitto del privato e a tutto danno per le finanze statali e per la generalit. Occorre quindi scegliere tra i due sistemi, ma abolire ogni ibridismo, e non creare condizioni di ingiustificato privilegio, come sarebbe se a un rapporto di impiego privato, si aggiungessero le pur contrastanti garanzie del pubblico impiego, e la. relativa gimtizia. VALENTE SIMI AVVOCATO DELLO STATO Pubblichiamo la comunicazione fatta dal collega avv. Sinii, a.l Convegno sul rapporto di impiego degli enti pubblici economici, organizzato dall' I stitnto di St11,di Amministrativi dell'Universit di Bologna, per iniziativa del prof. Lessona, e con l'appoggio della Rivista di diritto del lavoro e degli enti locali. Il Convegno si concluso con la votazione di due ordini del giorno contrapposti: il primo dei quali che sosteneva il carattere pubblico del rapporto d'impiego presso gli enti di cui sopra e la competenza degli organi della Giustizia Amministrativa ha ottenuto iina strettissirna maggioranza, di 16 voti contro l '5, con varle astensioni dal voto. Nel dibattito si sono pronunciati a favore del carattere pttbblico del rapporto e della competenza del Con.qiglio di Stato i due relatori cons. di Stato dott. Aldo Bozzi e prof. Rilvio Lessona, i Presidenti di Sezione del Consiglio di Stato Ppaldo e I.a Torre e il prof. Navarra dell' fhiiversit di Napoli. S,i sono, invece, espressi per il carattere privatistico del rap porto di impiego oltre all'avv. Simi, con la comii nicazione di cui sopra, il prof. Prosperetti della Universit di Perugia, il giudice Melfi del Tribu nale di Perugia., alcnni avvocati di enti pubblici economici e rappre.qentanti sindacali di categoria dei lavoratori. Ci sernbra, pertanto. chiaro che. pur essendo stato il Convegno utile per il dibattito che ha suscitato, non pu ritenersi che abbia portato ad alcuna precisa conclu sione anche semplicemente di valore indicativo. Se un valore indicativo 'l'Oles,qe trarsi esso non po trebbe des11,mersi dall'ordine del giorno approvato a strettis.Yima maggioranza dai presenti, ma dal l'atteggiamento delle varie rappresentanze e, cio, dalla 'l.!olont dei rappresentanti dei lavoratori e degli enti, di voler conservare l'appartenenza alle categorie, la contrattazione collettiva, la disciplina privatistica del rapporto di impiego, e dallo schiera rn.ento a favore di trt,le tesi della maqgioranza dei pro fessori di diritto del lavoro presenti, mentre a favore del carat~ere pubblicfatico si ,qono schierati i magi strati del Con,,qiqlio di Stato e la pi parte degli inse gnanti di diritto amministrativo. Talchfi, se n11,'indicazione deve trarsi dal voto, essa pare nel senso che coloro che sono soggetti alla disci plina normativa del rrr.vporto (dafori di la1,oro e lavoratori) sono concordi nel ritenere pi .soadisJa- cente la discivlina privatistica, mentre, per regioni teoriche, a no,qtro a11vi80 m.ianto meno discutibili, 1ma cerchia di studiosi del diritto amministrativo intenile patrocinare una dfrersa sol1izione. No TE DI DO,.fTRINA FERDINANDO Rocoo : La giust'zia amministrativa : reallzzazfoni ed aspettative. ( Rivista .Amministrativa , l!l51, 160). In questo brevissimo articolo, che , in sostanza, il riassunto del (motivo) e, pertanto, il giudicato amministrativo viene a formarsi in ordine ai motivi addotti dal ricorrente, che costituiscono altrettante causae petendi. questo punto l'. precisa, se ben intendiamo, . che per motivo deve intendersi quello in concreto e specificamente addotto dal riorrente e non l'intera categoria della fattispecie, cui appartiene quella dedotta. L'autorit del giudicato, pertanto, si estenderebbe al motivo dedotto, non all'intera categoria. Deve, infine, escludersi eh~ il giudicato si formi sulla legittimit dell'atto amministrativo, nella sua interezza, perch questo il petitum e i limiti obbiettivi del giudicato sono dati da questo in unione alla causa petendi. Tutto ci in applicazione del principio generale, espresso nell'art. 2909 e.e., ma valido per ogni giurisdizione. La Pubblica Amministrazione, parte del processo amministrativo, , pertanto, tenuta al rispetto del giudicato. Essa non potr, senza violare il giudicato, annullare l'atto amministrativo ricoc nosciuto legittimo, la cosa giudicata sostanziale consistendo nell'obbligatoriet dell' acoertamento contenuto nella decisione irrevooabile. L'atto ammini- strativo dichiarato legittimo non potr pi essere impugnato per i medesimi motivi respinti dal giudice, n dal privato ricorrente (posto che si verifichi a suo favore una ripertura dei termini d'impugnativa), n dalla Pubblica .Amministrazione. Nel divieto d'impugnativa resterebbe compreso il divieto d'esercizio dell'autotutela, che l'A. configura come giudizio sull'illegittimit dell'atto. La riprova di questo assunto sarebbe data, secondo l'A., dalla verit della reciproca, per cui l'.Amministrazione non potrebbe riprodurre, basandolo sugli stessi motivi, un atto amministrativo annullato dal giudice amministrativo. questo Punto l'A. accenna all'annoso problema della individuazione dell'oggetto dPl processo amministrativo e afferma che l'atto amministrativo non l'obietto del giudizio amministrativo (la res in iudicium deducta). L'impugnativa dell'atto amministrativo il presupposto per l'esercizio della giurisdizione ammi nistrativa, n par del tutto esatto affermare che, mentre la giurisdizione amministrativa ha per oggetto atti amministrativi, la decisione e il ricorso abbiano per oggetto la validit o l'invalidit del provvedimento impugnato. Critica, poi, l' A. l'opinione di coloro, i quali riten gono che l'oggetto del processo amministrativo sia un rapporto giuridico potestativo, avente per conte- nuto l'annullamento di un provvedimento ammini strativo invalido, e ammettono che la decisione di rigetto abbia ad oggetto l'inesistenza di tale rap porto, non la legittimit e la validit dell'atto impu gnato, oggetto soltanto di una questione pregiudi_ -136 zfale. Cos ragionando, i.rifatti, il giudicato si formerebbe sull'inesistenza del rapporto in capo al ricorrente e l'amministrazione sarebbe libera di annullare o revocare l'atto amministrativo. I principi esposti non trovano applicazione quando la decisione abbia dichiarato irricevibile o inammissibile il ricorso, senza esaminare il merito. In tale ipotesi la Pubblica .Amministrazione sar libera1 tanto nei confronti del ricorrente, che degli eventuali controinteressati, di annullare o revocare l'atto amministrativo, senz'alcun vincolo per i motivi gi dedotti, ma non esaminati. Critica poi l' A. la tesi sostenuta dal Lessona, ritenendo che l'Amministrazione non possa rinunciare a un diritto soggettivo pubblico, qual' quello, che le deriva dal giudicato. In linea generale l'A. ritiene che il giudicato sia irrinunziabile e che le parti non possano, rinunciando a far valere la relativa exceptio, pretendere un nuovo accertamento rispetto alla questione decisa con sentenza irrevocabile. Passa poi l' A. a precisare il concetto di cosa giudicata formale, espressione d'immutabilit della sentenza, e di cosa giudicata sostanziale, che. non n l'fficacia della sentenza n l'effetto della immutabilit della sentenza, bens una qualit attribuita dalla legge al contenuto della sentenza, che fa stato ad ogni effetto. . Il giudicato sostanziale consiste nel carattere imperativo e definitivamente obbligatorio dell'accertamento vontenuto nella sentenza. (art. 2909 e.e.). Esso ha effetti processuali, per.ch l'accertamento giurisdizionale della situazione, che si impone imperativamente alla parte. La cosa giUdicata si pone come fatto giuridico impeditivo di una decisione ulteriore da parte del giudice (art. 395, n. 5 c.p.c.). L'accertamento obbligatorio contenuto nella sentenza manifesta la sua obbligatoriet soltanto nel processo, onde le parti potranno modificare la situazione giuridica stabilita dall'accertamento, rinunziando agli effetti sostanziali del giudicato, al diritto, cio, di conseguire il bene attribuito dalla sentenza. La rinunzia agli effetti processuali del giudicato, consistenti nel vincolo per il secondo giudice di prendere a base il contenuto della prima sentenza, non ammissibile perch non pu concepirsi diritto, suscettibile di dismissione abdicativa, alla qualit dello accertamento. .Resta da esaminare se l'Amministrazione possa, come i privati, rinunziare agli effetti sostanziali del giudicato. Per effettuare tale rinunzia l' .Amministrazione dovrebbe, congruamente motivando, annullare l'atto impugnato, adducendone l'illegittimit Conseguentemente non sarebbe possibile rinunzia agli effetti sostanziali del giudicato quando non sussistesse una tale illegittimit. Poich la rinunzia negozio giuridico autonomo, l' Amministrazione non potrebbe pervenirvi mediante l'atto di annullamento. N la volont di rinunzia potrebbe costituire motivo remoto dell'atto di annullamento, che in tal modo sarebbe viziato nella causa, non potendosi l'abbandono abdicativ-0 di un diritto conseguirsi at.traverso l'esercizio della potest di autotutela. All'obbiezione, che potrebbe muoversi alla tesi suesposta, che la pubblica amministrazione, in sostanza, rinunzia alla immutabilit dell'atto amministrativo anche quando annulla ex officio un atto amministrativo non impugnato e rispetto al quale siano decorsi i termini per l'impu nativa, l'A. replica negando all'atto amministrativo l'applicabilit del concetto di cosa giudicata sostanziale. Anche a prescindere dal concetto di rinunzia, ritiene l'A. che debba negarsi alla Pubblica .Am ministrazione la potest di annullare un atto di chiarato legittimo. Questa potest si estrinseca in un accertamento, .che contrasterebbe con l'accertamento precedente (giurisdizionale) e verrebbe a violare anche gli effetti processuali del giudicato, la sua stessa essenza e il principio generale sancito nell'art. 2909 e.e. La riprova sarebbe data dalla impossibilit di ottenere un accertamento giurisdizionale sull'atto, che, annullando il prvvedimento di annullamento, farebbe rivivere l'atto annullato. Il giudizio rela tivo allo stesso si convertirebbe in nuovo giudizio di legittimit dell'atto annullato. La rinunzia agli effetti sostanziali del giudicato da parte . dell' .Amministrazione si risolverebbe non solo in rinunzia agli effetti processuali del giudicato, ma in violazione del giudicato. L'annullamento dell'atto per motivi diversi potr sempre esser posto in essere dall'amministrazione, perch rispetto ad essi non si formato il giu dicato. Ci vale anche quando nel precedente giudizio vi furono controinteressati. N vale obbiettare che in questo caso l'Amministrazione troverebbe un limite nella perentoriet del termine per ricorrere, in quanto al processo amministrativo non pu appli carsi il pr'incipio d,el tantuim indicatum quantum disputari debebat. La potest di autotutela non trova limiti nel decorso del termine per l'impugnativa dell'atto, n questo limite sorge quando l'atto sia stato impugnato per motivi diversi. Gli stessi principi valgono per la decisione, che abbia rspinto il ricorso pronunziando in merito. Anche questo accertamento ha la forza di cosa giudicata, non potendosi negare natura giurisdi zionale alla decisione di merito, sia che si limiti ad annullare l'atto impugnato, sia che lo riformi o lo sostituisca. In queste ultim ipotesi; per, il giudice ammini strativo determina quello, che deve essere l'atto amministrativo e l'Amministrazione, pertanto, non potr revocarlo, diversamente valutando il pubblico interesse. Al parametro della causa petendi si sosti tuisce la fattispecie, di cui il giudice ha tenuto conto nell'emanazione del provvedimento di riforma o di sostituzione. Il mutamento della fattispecie importer l'eliminazione del limite, derivante dal giudicato, ed il risorger del potere. di revoca. .. Per una esatta visione del problema ritengo appnr-_ tuno richiamare, sia pur brevemente, il pregevole studio del Lessona (in Foro It. 1949, IH, col. 172). La decisione, dal Lessona annotata, (Commissione per le controvrsie in materia di requisizione di al loggi di Firenze 15 ottobre 1948: Algieri-Bellaudi, -137 ~vi) merita di essere segnalata per il dispositivo e per l'assoluta mancanza di motivazione, ad essa non potendo equivalere la considerazione che: diversamente opinando la garanzia giurisdizionale si ridurrebbe ad un inutile dispendio di tempo e di denaro e l'Amministrazione vedrebbe riconoscersi la facolt di ribellarsi impunemente alle pronuncie degli organi di giurisdizione . L'addurre inconvenienti non vale motivare e il far ricorso al vieto luogo comune della ribellione del1' Amministrazione , oltre tutto, erroneo. La ribellione presuppone un soggetto od organo dipendente da quello, al quale si ribella, ed pacifioo che nessun rapporto di subordinazione sussista fra il giudice e l'amministrazione, entrambi rappresentando due poteri autonomi e indipendenti dello Stato. D'altronde, il concetto ai ribellione extra-giuridico. Dal giudi dicato, come dalla legge o dal contratto, sorge l'obbligo della Pubblica Amministrazione ad un certo comportamento verso l'altro soggetto, che fu parte nel giudizio, non vemo il giudice. Quello e non questo pu pretenderne l'osservanza. La violazione del giudicato, come la violazione della legge o del contratto, un fatto giuridico, che costituisce inadempimento. Da questo fatto il fl:iritto tra le sue conseguenze e sono appunto queste, che debbono accertarsi. Il negare alla Pubblica Amministrazione il potere di annullare l'atto amministrativo anche per un motivo diverso da quello, dedotto in sede d'impugnativa e respinto dal giudice amministrativo, non sembra poi conforme ai principi. Il Lessona, al principio del suo studio, riassume efficacemente le varie opinioni della dottrina sull'argomento, che ritengo opportuno riportare. Secondo lo Zanobini il rigetto del ricorso 'restituisce alla Pubblica Amministrazione piena libert, con l'itnico limite di non poter basare l'annullamento su uno dei motivi riconosciuti infondati nella decisione. Analoga opinione hanno espressa il Guicciardi e il Ranelletti, il quale precisa che tale potere sussiste anche quando vi siano stati altri interessati, cui il giudicato si estende. Il Cammeo della stessa opinione e fonda il suo convincimento sulla circostanza che il giudicato si forma sui motivi dedotti ed esaminati. Il Salemi, infine, estende il principio fino a ritenere ammissibile un nuovo ricorso per motivi diversi, se proposto nei termini (ipotesi in pratica di'ffcile a realizzarsi, ma non da escludersi). Premessa questa panoramica riproduzione delle varie opinioni, il Lessona distingue due ipotesi, secondo che si sia trattato di rapporto bilatero (ricorrente e amministrazione) o trilatero (ricorrente, amministrazione, controinteressato). Premette, per, che il giudicato si estende alla legittimit dell'atto, nel suo insieme considerato, in relazione, cio, ai motivi dedotti e deducibili. Ci in considerazione della perentoriet. dei termini. Il giudicato non vieta di rinunziare ai suoi effetti sostanziali, a valersi, cio, del bene attribuito dalla decisione. N sussiste alcun motivo perch possa vietarsi alla Amministrazione di rinunziare agli effetti sostanziali del giudicato. Tale rinunzia, per, ammissibile solo nell'ipotesi del rapporto bilatero. Nell'altra, la rinuncia dell'Amministrazione involge il diritto dei controinteressati e, pertanto, non ammissibile. Poich il giudicato si forma sulla legittimit dell'atto, in relazione ai motivi dedotti e deducibili, l'annullamento, che implichi rinunzia agli effetti del giudicato, non in tale seconda ipotesi ammissibile .neppure per motivi diversi da quelli dedtti. Il problema senza ditbbio del massimo interesse e credo che esso meriti un ulteri01e studio, non sembrandomi del tutto soddisfacenti le soluzioni datene dai citati autori. In questa breve recensione mi limiter a segnalare i punti, che, a mio avviso, meritano l'attenzione della dottrina. Il problema va inquadrato nel pi ampio concetto della cosa giudicata nel processo amministrativo, non potendo darsi soluzioni diverse alle ipotesi di rigetto e di accoglimento del ricorso. Presuppone, naturalmente, l'errore del giudice, essendo del tutto privo d'importanza pratica il problema, per quanto attiene all'annullamento per gli stessi motivi dedotti e respinti, se si ritiene esatta la decisione. In tale ipotesi l'atto di annullamento sarebbe di per s illegittimo per avere annullato un atto legittimo, erroneamente ritenuto viziato. N alla soluzione del problema pu pervenirsi, come fa il Casetta, trascurando del tutto l'efficacia soggettiva del giudicato, la cui importnza stata, invece, esattamente posta in rilievo dal Lessona con l menzionata bipartizione. Qualche riserva credo di dover esprimere sul concetto, esposto dal Casetta, della identit della cosa giudicata nel processo civile ed in quello amministrativo. Nonostante che la concezione soggettivistica del processo amministrativo sia da considerare nettamente prevalente in dottrina ed avvalorata da recenti espressioni legislatiVe (Cost. artt; 103 e 113), il processo amministrativo resta ancora molto diverso da quello civile ed anche dal processo penale, nel quale perfino pi facile identificare il tradizionale rapporto giuridico, costituito dalla pretesa punitiva e dall'obbligo di rispondere del fatto illecito penale. Nel processo amministrativo non credo . possa dirsi, con propriet di linguaggio, che oggetto sia un interesse legittimo o un rapporto giuridico, inteso nel senso tradizionale. L'interesse legittimo, in quanto leso dall'atto amministrativo, costituisce soltanto il presupposto per l'ammissibilit del ricorso e per la giurisdizione (vedasi e( Rass. Avv. Stato 1951, pag. 48 e segg.). Accertatane l'esistenza, il giudizio proseg'ue per l'accertamento della denunziata illegittimit e la decisione ha ad oggetto l'illegittimit dell'atto e non l'esistenza o la lesione dell'interesse legittimo( Rass. Avv. Stato, loc. cit.). Il rapporto processuale non ha per contenuto l'esistenza di un interesse legit timo del ricorrente al buon uso di un potere da parte della pubblica amministrazione, ma questo, obbiet tivamente considerato. I concetti civilistici, pertanto, possono estendersi al processo amministrativo solo relativament& ed in quanto non contraddicano ai principi generali propri di quest'ultimo. Premesso ci,_ ritengo di poter concordare col Ca setta sulla identit di concetto, nei due processi, della cosa giudicata formale e sul limite obbiettivo del giudicato sostanziale ai motivi dedotti ed ,esami ...:.. 138 nati, in ci confortato dall'autorevole opinione del Oammeo, a cui mi pare che in sostanza aderiscano lo Zanobini, il Ranelletti e il Guicciardi. Il ragionanamento del Lessona non mi sembra convincente e la perentoriet del termine d'impugnativa mi sembra abbia tutt'altro scopo. Il ricorrente, il quale non deduca tutti i motivi deducibili, decade dal diritto di dedurre motivi nuovi, ma ci non vuol dire che per tutti i motivi non dedotti l'atto acquisti l'autorit di cosa giudicata (formale). Ohe ci sia vero dimostrato da varie considerazioni: altri interessati, i quali abbiano successivamente conoscenza del provvedimento, possono dedurre motivi diversi da quelli dedotti dal primo ricorrente; i controinteressati, mediante ricorso incidentale, possono estendere l'oggetto del giudizio, deducendo motivi propri; lo stesso ricorrente pu dedurre nuovi motivi d'invalidit dell'atto amministrativo, quando ne sia venuto a conoscenza tardivamente; la Pubblica Amministrazione pu, in pendenza di giudizio, annullare l'atto per motivi diversi da quelli dedotti; il Consiglio di Stato pu riammettere in termini il ricorrente, ancorch questi siano decorsi; infine, quando l'atto abbia leso diritti soggettivi, la sua impugnativa, di competenza del giudice ordinario o del giudice amministrativo in sede esclusiva, non soggetta a termini, n l'impugnativa proposta impedisce la proposizione di motivi nuovi, e, conseguentemente, l'estensione dell'oggetto del giudizio (con riferimento a questa ipotesi, appunto, si definiva non da escludere quella fatta dal Salemi). Si pu anche aderire al concetto, gi esposto dubitativamente dal Lessona ed espressamente coniermato dal Oasetta, delle distinte causae petendi (motivi). Il ricorso, pur avendo ad oggettO l'unico provvedimento impugnato, pu scindersi idealmente in tanti ricorsi quanti sono i motivi, ciascuno dei quali ha vita autonoma e distinta sorte. Cos opinando, da dubitare che resti identico il petitum. vero che il ricorrente chiede l'annullamento dello atto impugnato, ma questa espressione potrebbe essere intesa in un senso pi particolare ed in relazione a ciascun vizio denunziato. L'annullamento l'ffetto ultimo, cui tende il ricorrente, ma immediatamente egli chiede che sia accertata la sussistenza del vizio d'incompetenza, d'eccesso di potere o di violazione di una norma di legge. Non pare, pertanto, possa dubitarsi che il giudicato si limiti ai motivi dedotti ed esaminati e che l'atto sia dichiarato affetto o esente dai vizi denunziati ed esaminati. Il giudicato, per, si estende, secondo il mio avviso e per lo meno per quanto riguarda i due vizi dell'incompetenza e dell'eccesso di potere, all'intera categoria, cui appartiene la fattispecie dedotta. Respinto il motivo d'incompetenza, l'atto dovr considerarsi come ritenuto emesso dall'organo competente e, pertanto, esente da questo vizio. Lo stesso dicasi quando la decisione abbia respinto la censura di eccesso di potere, comunque formulata, dichiarando l'atto esente da vizi della causa. Questa conseguenza mi sembra inevitabile quando voglia riconoscersi -come a mio avviso si deve -un contenuto positivo alla decisione di rigetto. Premessa la determinazione dei limiti obiettivi del giudicato amministrativo, occorre indagare le conseguenze rispetto al problema propostoci. Dice il Oasetta che la Pubblica Amministrazione{ parte nel processo amministrativo, tenuta a rispetto del giudicato e non potr, senza violarlo, annullare l'atto per il motivo ritenuto insussistente dal giudice. A questa assiomatica conseguenza non ritengo di poter aderire e credo indispensabile ulteriormente precisare l'e'f!Wacia sostanziale del giudicato (ar ticolo 2909 c. c.) in senso obbiettivo e subiettivo. L'effetto principale, se non esclusivo, della cosa giudicata sostanziale di natura processuale. Essa, come esattamente osserva il Oasetta, si pone come fatto impeditivo di una ulteriore pronunzia da parte del giudice, intesa, per, come fatto, dal quale sorge il diritto-dovere delle parti di opporsi alla ulteriore pronunzia. Dico diritto-dovere perch il rapporto reciproco e ciascuna parte ha verso l'altra sia il diritto di non essere tratta ulteriormente a giudizio per lo stesso oggetto, sia il dovere di non trarre a giudizio. Ciascuna parte, reciprocamente, ha verso l'altra il diritto di impedire un'ulteriore pronuncia del giudice relativamente all'oggetto del giudicato. Si cos precisato, perch non credo che il giudice abbia esaurito la sua giurisdizione e sia, in conse guenza, privato e contemporaneamente liberato dal potere-dovere di emettere la pronuncia, ulteriormente chiesta dalle parti. In: sostanza, a mio avviso, il giudice non pu rilevare d'ufficio l'eccezione del giudicato e le parti possono rinunziare a far valere gli effetti processuali del giudicato col limite, che vedremo. Sul . primo punto la giurisprudenza consolidata in questi sensi, con la sola eccezione del giudicato formatosi nello stesso processo; la dottrina prevalentemente in senso contrario (LIEBMAN: Sulla rilevabilit di ufficio dell' exceptio iudicati, in Riv. Trim. dir. e proc. civ. 1947, p. 359), ma le argo mentazioni addotte non convincono. Le legge in proposito tace, pur essendo ben nota al legislatore la categoria delle eccezioni rilevabili d'ufficio. L'art. ~95, n. 5, invocato dal Liebman, mi mi sembra controproducente. Se fosse vero che il giudice con la prima decisione esaur la giurisdi zione, contro la seconda dovrebbe essere dato il rimedio relativo al difetto di giurisdizione e non il ricorso per violazione di legge o la domanda in revocazione, secondo che l'eccezione sia stata sollevata o meno dalle parti. In secondo luogo, e questo mi sembra l'argo mento pi grave, il rimedio della revocazione con cesso soltanto quando la seconda decisione sia contraria alla prima, divenuta giudicato. Ci significa che la seconda pronunzia, se non-contraria (che meno di conforme) al giudicato, valida e inattaccabile. N si dica che il rimedio non concesso nel caso di sentenza non-contraria, per mancanza d'interesse, perch la parte potrebbe avere interesse ad ottenere un'ulteriore pronuncia, ancorch non-co~traria. Si pensi, ad es., alla prescrizione dell'actio indicati, derivante dalla prima decisione. Non medo che la prescriziOne dell'actio importi prescrizione anche dell'exeptio, ma se cos fosse ci sarebbe un ulteriore argomento a favore della relativit dell'eccezione: la prescrittibilit. Sulla rinunziabilit degli effetti processuali del giudicato, pur non nascondendomi la difficolt del tema e la necessit di ben pi approfondito studio, non ~139 ritengo. convincenti e risolutive le argomentazioni del Casetta. Le parti, in sostanza, t1-0n rinunziano ad una qualit. dell'accertamento, bens alla facolt di far valere il diritto, che per essi sorge dal giudicato. . Ma questo effptto del giudicato pu farsi valere soltanto nel processo e a questo non pn considerarsi equipollente l'esercizio del potere di auto-tutela della Pubblica Amministrazione. Non credo che il giudicato amministrativo quando la decisione sia, come normalmente , di natura dichiarativa, abbia effetti sostanziali. La legittimit ed esecutoriet dell'atto amministrativo sono attributi, che a questo conferisce la legge, non la decisione di rigetto del ricorso. La decisione non attribuisce alla pubblica amministrazione un bene e, tanto meno, le impone un obbligo, che sarebbe assai strano configurare a carico del vincitore. Dalla decisio'lpe, che resping la pretesa del ricorrente, dichiaran,go l'atto immune dai vizi denunziati, non sorge alcun diritto soggettivo sostanziale per la Pubblica Amministrazione, n per il ricorrente. Gli effetti sostanziali derivano dalla situazione accertata e preesistente, non dall'accertamento e, per tanto, mi sembra fuor di luogo parlare di rinunzia. Questa conseguenza innegabile nel caso di rapporto bilatero e ci per effetto dei limiti soggettivi del giudicato, che non si estende ai terzi, i quali non furono parti nel. processo amministrativo. Per essi il giudicato res inter alios e nei loro confronti non ha alcun effetto, n sostanziale n processuale. La Pubblica Amministrazione potr sempre annullare l'atto impugnato, senza che altri possa dolersene, perch il giudicato non crea, per la Pubblica Amministrazione, alcun obbligo sostanziale e perch, comunque gli effetti del giudicato non possono essere invocati da coloro, che non furono parti nel processo e ai quali il giudicato estraneo. Solo il ricorrente, qualora avesse foteresse, potrebbe ottenere l'annullamento dell'atto di autotutela, invo cando gli effetti processuali del giudicato. Ad analog~i risultati si perviene nell'ipotesi di processo trilatero o plurilatero, con la pratica diff erenza che in questi casi sussiste certamente l'interesse dei controinteressati all'annullamento dell'atto di autotutela. Questo non , neppure in questo caso, sostanzialmente illegittimo, ma annullabile, su ricorso dei controinteressati, in conseguenza degli effetti processuali del giudicato. Poich la legittimit dell'atto annullato fu accertata, nei loro confronti e con i limiti dianzi esposti, dalla precedente decisione, i controinteressati potranno farne valere gli effetti processuali nel nuovo giudizio, avente ad oggetto l'atto di annullamento. Questo risulter illegittimo per avere annullato un provvedimento, la cui legitti mit, per effetto del giudicato, rimasta accertata irrevocabilente fra le parti. La prima decisione, facendo stato fra le, stesse parti nel secondo processo, importer, come conseguenza indiretta, l'illegittimit dell'atto di annullamento . Per l'effetto processuale del giudicato, che pu, ove ci sia richiesto dalle parti, impedire l'ulteriore pronuncia sulla legittimit dell'atto annullato, i controinteressati otterranno l'annullamento dell'atto di autotutela; non perch questo sia viziato da eccesso di potere. Questo non sussiste mai in re ipsa, n l'eventuale rinunzia ai pretesi effetti sostanziali del giudicato potrebbe configurarsi diversamente dalla implicita rinunzia, insita in ogni atto di annullamento, all'ac quisita inattaccabilit dell'atto amministrativo per omessa impugnativa nei termini. A risultati diversi dovrebbe pervenirsi quando il giudice amministrativo, nell'esercizio della giurisdi zione di merito, avesse riformato l'atto impugnato, sostituendolo con la decisione, che in tal caso avrebbe natura costitutiva, e, perci, eff'etti sostanziali. Come l'autorit inferiore non pu revocare l'atto riformato dall'autorit superiore in seguito a ricorso gerarchico, cos la Pubblica Amministrazione non potre9be revo care l'atto riformato dalla decisione. Ci perch, nell'un caso e nell'altro, l'atto originario stato sosti tuito da altro provvedimento, sul quale l'autorit, che emise il primo, non pu esercitare il potere di auto tutela. Ci, per, ove si riconosca al giudice di merito il potere di sostituire, con la decisione, l'atto amministra tivo impugnato e riconosciuto inopportuno e sempre che, in concreto, un tale potere sia stato esercitato. Pur senza approfondire il problema, che porterebbe molto al di la dei limiti prefissi ritengo meritevole di profonda attenzione l'opinione espressa in propo. sito dal Casetta, secondo il quale l'espressione decide pronunziando anche in merito n, usata. ddlla legge, significhi la possibilit di accertare non solo la legitti mit, ma anche la opportunit dell'atto, limitandosi per sempre la pronunzia all'annullamento o alla revoca dello stesso, alla eliminazione, cio, del prov vedimento impugnato senza che sia emessa alcuna pronuncia di natura positiva. vero che la dottrina concorde nel senso contrario, ma altres incontestabile la costante e presso che uniforme limitazione dei giudici amministrativi alla pronuncia di annullamento o di revoca, il che potrebbe costituire, se non una consuetudine interpretativa, 1tn argomento a favore della tesi prospettata. A risultati conformi si perverrebbe considerando oggetto del processo un rapporto giuridico potestativo, avente per contenuto l'annullamento di un provvedimento invalido. G. GUGLIELMI RACCOLTA DI GIURISPRUDENZA AMMINISTRAZIONE PUB~LICA -Costituzione in mora -Omissione di stanziamento di bilancio. (Corte d: Cass., Sez. III, Sent. n. 1410-51 -Pres. : Aca.mpora, Est.: LombJ.rdo, P. M.: Criscuoli -.Pandarese contro Amministrttz~one Provinciale di Napoli). Anche nel caso di pagamento da effettuarsi dalla Pubblica .Amministrazione applicabile il primo comma dell'art. 1219 cod. civ. per cui il debitore costituito in mora mediante intimazione o richiesta fatta per iscritto. Una diversa pi rigorosa disciplina, agli effetti della costituzione in mora, non pu desumersi n dalle norme contenute nel Regolamento per la contabilit generale dello Stato (art. 312 o 313) n da quelle contenute nel Regolamento per, l'esecuzione della legge comunale e provinciale (art. 205) per le quali il pagamento da parte dello Stato, delle Provincie e dei Comuni deve avvenire a mezzo di mandato e tramite iltesoriere il quale provvede a dare avviso al creditore dell'emissione del mandato stesso. Dette norme riguardanti le modalit di pagamento non esonerano .il creditore dal costituire in mora l'amministrazione, ma portano invece ad escludere l'applicabilit del n. 3 del citato art. 1219 (per il quale la costituzione in mora non ammessa se, scaduto il termine, la prestazione deve essere eseguita al domicilio del creditore) dovendo in ogni caso il pagamento avvenire presso il tesoriere della 'debitrice amministrazione. f;a massima sopra riportata costituisce la parte sostanziale della motivazione della sentenza della Corte Suprema sul punto ,e8aminato. Ci sembra chiaro che l'insegnamento contenuto in questa sentenza debba es~ere integrato dal principio enunciato nella sentenza n. 1014 del 1951 su ricorso Ministero difesa-esercito contro Societ Acciaierie e Ferriere Pugliesi (in questa Rassegna, 1951, p. 121), nella quale si preisano le condizioni alle quali subordinata l'esistenza d'una posizione di mora dell'Amministrazione statale. In altri termini, l'intimazione o richiesta scritta necessaria per la costituzione in mora dell'Amministrazione, ma non sufficiente. ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA-Occu pazione temporanea -Stato di consistenza -Non ne cessit Monea naziona'e Indennit di espropria zione -De'>ito di valuta. (l'"ortA d' Cas<:., Sez. II, S"nt. n. 1432-'ll -Pr~s.: Brunelli, Est.: Nisii, P. M.: Macaluso -Bianchetti contro FF. SS). Nelle occuvazioni temvoranee di beni immobili, eseguite in conformit dell'art. 71 della legge d9l 1833 ~ull'e-,vropriazione, prescritta la previa compilazione dello stato di consistenza, mentre compilazione di analogo stato non occorre per la cessazione dell'occupazione stessa. Sono pertanto inapplicabili alla cessazione dell'occupazione temporanea sia l'art. 60 della legge di espropriazione, riguardante la necessit di una perizia (e non della compilazione di uno stato di consistenza) nel caso di retrocessione dell'immobile espropriato sia l'articolo 69 della norma annessa al Regio decreto 18 agosto 1940, n.1741, che prevede la compilazione di un verbale nel caso di cessazione della requisizione in uso di un immobile, caso diverso da quello dell'occupazione temporanea regolata dalla legge di espropriazione. Pertanto, per la cessazione di un'occupazione temporanea e dei relativi rapporti di diritto amministrativo tra Pubblica .Amministrazione e privato, sufficiente l'emanazione di decreto prefettizio che dichiara la cessazione, debitamente notificato al proprietario dell'immobile con l'avvertenza che le chiavi di esso sono a sua disposizione, senza alcuna necessit di compilazione di verbale di riconsegna n di stato di consistenza. La vera e propria indennit dovuta a seguito di espropriazione di beni per pubblica utilit e quella per occupazione temporanea vanno determinate la prima, in base al valore dei beni al momento dell'espropriazione, e la seconda in base alla utilit economica che i beni sono capaci di arrecare al proprietario nel tempo dell'occupazione. Trattasi di rapporti analoghi, rispettivamente a quelli di compravendita e di locazione, con la differenza, fra le altre che il prezzo della compravendita e il corrispettivo della locazione sono pattuiti dai contraenti, mentre l'indennit determinata s.econdo criteri stabiliti dalla legge, in mancanza di accordo fra gli interessati. Si hanno pertanto, fin dall'origine, obbligazioni pecuniarie vere e proprie, cui applicabile il principio nominalistico, secondo il quale sono dovute sempre le somme determinate e, se del caso, gli interessi legali. Le massime sopra riportate rappresentano la parte sostanziale della sentenza della Corte Suprema che, in accoglimento delle tesi dell'Avvocatura ha rigettato il ricorso avversario. Non sembra che possa dubitarsi della esattezza dei principi enunciati dalla Corte Suprema, sia per quanto riguarda la non necessit-della compilazione di verbali di consistenza per il caso di > tra gli atti esenti dalla registrazione in termine fisso, e da registrarsi solo in caso di uso mediante la semplice applicazione della tassa di bollo, intende1riforirsi ai soli libretti di deposito fiduciari di denaro in conto corrente, e non ad altri documenti (nella specie estratto di conto corrente, posto a base di decreto ingiuntivo) riferibili a qualsiasi operazione bancaria regolata in conto corrente, astmttamente considerata. IV. .A norma dell'art. 148 della legge di regi~ stro, ove non sia stata preventivamente proposta la domanda in via amministrativa, la Finanza non pu mai, in caso di soccombenza, essere. con7 dannata alle spese del giudizio, senza ch possa farsi luogo a distinzione tra i diversi gradi del giudizio stesso, e senza che all'applicabilit di detta norma per le spese di appello osti la circostanza dell'essere stato il gravame proposto dalla Finanza. Con questa perspicua sentenza la Corte Suprema, in completo accoglimento delle tesi dell'Avvocatura, ha cassato la contraria sentenza della Corte d'Appello di Ctta,nzaro. Le mssime ohe abbiamo sopra diffusamente riportato costituiscono la parte sostanziale della motivazione della sentenza della Cassazione. Sar opportuno solo preoi'!are qui la specie di fatto al fine di renderle perfettamente comprensibili. I. fatti sono i seguenti: Nel gennaio 1944 il Presidente del 1'ribunale di Reggio Calabria emi'!e decreti di ingiunzione a carico di tali Correale perch essi pagassero alla Bnca Nazionale del Lavoro ed al Banco di Napoli, determinate somme per saldi passivi di conti correnti. I decreti ingiuntivi furono sottoposti registrazione a tassa fissa, m9ntre n'.m si ri'!cosse l'imposta proporzionale prevista dall'art. 28 del R. D. 7 agosto 1936, n. 1531 e n. 72 della legge di registro. Contro l'ingiunzione notificata dalla Finanza per il pagamento di tale imposta suppletiva fu fatta opposizione dai Correale e sia il Tribunale che la Corte d'Appello accolsero tale opposizione, ritenendo che a favore degli opponenti militasse un doppio ordine di ragioni: il primo ordine di ragioni deriva-va dalla natnra del decreto in,giunti'Vo alla cui registrazione non potrebbe applhirsi l'art. 72 della legge di registro; il secondo ordine di ragioni atteneva alla natura, del credito per il quale il decreto ingiuntivo era stato emesso, credito che si fon-i.ava su un rapporto di conto corrente, per il quale, ' secondo i giudici di merito, prevista una tassazione particolare dall'art. 27 della tabella Alleg. D) della legge di registro. La Corte Suprema, dopo aver fatto giustizia della infondata tesi, secondo la quale l'art. 28 del D. L. 7 agosto 1936, n. 1531, sarebbe stato abrogato dal Codice di proc. civile vigente (in quanto non pu fondatamente contestarsi che l'art. 28 succitato sia a ritenersi tuttora in vigore ove si consideri che il legisla.tore del 1942, pur a-vendo rielaboro,to la materia, dando ad essa una pi completa ed organica disciplina, non ha provveduto ad emanare alcuna norma circa il trattamento fiscale cui assoggettare tali provvedimenti n), ha definito, con estrema precisione di concetti, la natura giuridica dei vari rapporti che vanno sotto il generico nome di conto corrente bancario, mettendo in luce l'errore nel quale la Corte di merito era caduta. Per quanto riguarda l'ultima massima, la orte _ 'ha cos motivato: ... l'interpretazione della Corte d'Appello non trova conforto nella lettera e nello spirito della nor'ma (se. art. 148 legge del regi8tro) dalla quale emerge che il termine di novanta giorni, computabile dalla presentazione della domanda in via ~ministrativa, va riferito non a singoli atti ~-"'"''"'"~ -142 o fasi giudiziarie, ma al promovimento dell'azione giudiziaria ... Potr discutersi se il momento iniziale dell'azione debba identificarsi con la notificazione dell'atto di chiamata in giudizio, ov1Jero con quello in. cui gli atti vengono a cognizione del giudice adito perh deliberi e decida, ma ogni iif erimento ai diversi gradi del giudizio appare qu(fnto mai arbitrario ed infondato. Dal che consegue che, OVQ non sia stata preventivamente proposta domanda in via amministrativa, 'la Finanza non potr essere cond(J/f/,nata alle spese, senza che possa farsi luogo a distinzioni fra i diversi gradi del giudizio e senza che all'applicabilit dell'art. 148 della predetta legge per le spese di appello .osti la circostanza dell' e.ssere stato il gravme proposto dalla Finanza, perch la lite unica, nonostante il doppio grado di giurisdizione)). IMPOSTE E TASSE -Solve et repete -Riferibilit allo Stato del fatto del sequestratario di societ estera che abbia omesso il tributo dov:iti> alla Societ de bitrice -. Irrilevanza. (Corte di Cass., Sez Unite, Sent. n. 1436-50 -Pres. : Pellegrini, Est. : Cataldi, P. M.: Dalld. Mura (conf.) -Soc. italiana "Job" contro Ministero Finanze). Il precetto del solve et repete nelle controversie tributarie non ha carattere di semplice presupposto processuale ma importa improponibilit dell'azione giudiziaria che non sia stata preceduta dal pagamllto del tributo, per difetto temporaneo di giurisdizione dell'autorit giudiziaria. La relativa eccezione pregiudiziale ad ogni altra e rilevabile in qualsiasi grado, anche di ufficio; pertanto, sulla necessit di osservare tale precetto nessuna influenza pu spiegare l'eccezione secondo la quale l'eventuale responsabilit della condotta di chi in tale inosservanza sia incorso, quale sequestratario dell societ estera debitrice dell'imposta ed assoggettata a sequestro in virt della speciale legislazione di guerra, possa risalire allo Stato, in virt dell'art. 1 del D. L. 26 marzo 1946, n. 140. La sentenza appare ineccepibile, in quanto essa, mentre in materia di sol ve et repete si attiene alla giurisprudenza ormai costante, della Oorte Suprema, applica i principi cos elaborati al particolarissimo caso in esame con esatta aderenza alle norme legislative che regolano la materia della responsabilit dello Stato italiano per cattiva amministrazione dei beni sequestrati ai cittadini delle Nazioni Unite. Invero, se il precetto del sol ve et repete funziona come condizione di proponibilit dell'azione giudiziaria, nessuna influenza pu avere su di esso il fatto che la sua osservanza fosse rimessa all'azione di un organo o di una persona deUa cui attivit lo Stato dovrebbe diretta'm~nte o indirettamente rispondere, in base a norme diverse da quelle finanziarie. Questa soluzione sarebbe incontestabile anche nel caso che il contribuente avesse un'azione diretta da far valere contro lo Stato per i danni derivanti dalla inosservanza del solve et repete da parte dei sequestratari. Tanto pi essa appare esatta quando una tale azione diretta non nemmeno ipotiZzabile secondo le norme in vigore. Oom' noto, infatti, in base all'art. 78 del Trat tato di Pace, del quale costituirono norme anticipo,te di esecuzione quelle contenute nel D. L. 26 marzo 1946, n.140 (vedi in questa Rassegna, 1949, pag.183) bens tem.(,to lo Stato italiano a ristabilire tutti i legittilmi diritti ed interessi dei cittadini delle Nazioni Unite, rispondendo dei danni comunque loro arre cati dai sequestratari, ma in forza dell'art. 83 dello stesso Trattato di Pace la responsabilit predetta pu esser fatta valere solo nelle forme stabilite dal l'articolo stesso, ed solo concepita come una respon sabilit di Stato verso Sta,to. ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI DELLE CORTI DI AMMINISTRAZIONE PUBBLICA -Amministrazione dello Stato Evocazione in gLdizio in persona del Prefetto -Mancata designazione deli'Amministra zione convenuta. (Sentvnzci, 5 aprile 1951, Tribunale Civile di Bologna -Sez. I Prcs. : Gr.issi, Est. : M..i.rziano- Cantelli contro Amministrazione dbllo Stato italiano). Per la rituale evocazione in giudizio delle Amministrazioni Statali, basta individuare l'organo competente nella branca amministrativa cui ha riferimento l'azione istaurata, senza specificare l'Amministrazione interessata. Pertanto chiedendosi avanti l'A.G. ordinaria il risarcimento d.ei danni conseguenti all'annullamento di un decreto prefettizio di requisizione di alloggi, bene stato convenuto il Prefetto che ha emesso il decreto annullato ed superflua l'indicazione dell'Amministrazione dello Stato contro fa quale l'azione viene proposta. Per disattendere la prima eccezione sollevata dal- l'Avvocatura che stimava improponibile la azione attrice per essere stata convenuta in giudizio l'Amministrazione dello Htato Italiano in persona del Prefetto di Bologna, la sentenza in esame afferma che la personalit della Pubblica Amministrazione si esprime in un triplice ordine di figure giuridiche: 1 capacit giuridica ere attiene alla titolarit dei rapporti e delle situazioni giuridiche e, nel campo processuale, alla legittimazione attiva e passiva: essa, come attributo essenziale esclusivo ed indivi sibile del soggetto giuridico in quanto tale, non pu appartenere che allo Stato nella sua unit quale soggetto unitario ed inscindibile; 20 competenza, che afferisce alla ripartizione del- l' azione amministrativa in centri nei q1,f,ali in via esclusiva e definitiva vengono istituzionalmente rag gruppati i diversi interessi dello Stato stesso, per cui l'organo supremo e definitivo di ciascuno di detti rami si qualifica come portatore esclusi-vo degli in teressi dello Stato in ordine alla specifica funzione di che trattasi; 30 capacit di agire che attiene all'esercizio di tale specifica funzione e dei poteri inerenti e che, nel campo processuale, si configura come capacit di rappresentanza in giudizio. Data questa tripartizione il Collegio afferma che la figura intermedia della competenza non partecipa, nel campo processuale, della natura e degli effetti della capacit di agire, essendo soltanto una speci ficazione della generica capacit giuridica unitaria dell'Ente Stato, onde, come questa, attiene alla legittimazione attiva e passiva . Ci spiegherebbe, secondo la sentenza, l'inutilit -costantemente sentita -di indicare nella vocatio in jus -oltre al Ministero competente, anche l'Ente Htato dotato della generica capacit di agire. Alla stregua delle suesposte premesse la questione in esame si riduce, sempre secondo la motivazione del Tribunale, all'individuazione dell'organo competente nella branca amministrativa cui ha riferimento l'azione di che trattasi e cio passivamente legittimato rispetto all'azione .ytessa. E poich il provvedimento prefettizio di requisizione attribuito alla competenza propria, esclusiva e definitiva del Prefetto, con esclusione di ogni intervento gerarchico superiore , da ci la sentenza inferisce la piena legittimazione passiva del convenuto Prefetto pro-tempore, mentre la qualifica << in rappresentanza dello Htato Italiano >> non sarebbe che aggiunta superflua. Non ci sembra di poter condividere le ragioni addotte dal Tribunale, giacch, pur essendo fuori discussione l'unicit della personalit giuridica dello Stato, non pu e8sere negato c1'e ciascuna branca dell'Amministrazione Statale abbia, come del resto ammette la sentenza in esame, una sua specifica ed inderogabile competenza, data dai suoi poteri e dalle sue attribuzioni, alla quale --,... contrariamente a. quanto ha ritenuto il Collegio - d'uopo rico noscere necessariamente la correlativa capacit di agire e conseguente legittimazione processuale, in scindibilmente connessa alla competenza medesima dalla quale impreteribile manifestazione. Il che viene implicitamente ammesso dalla senten zti quando a corollario della tripartizione avanti se gnalata conclude che la competenza non che una specificazione della generica capacit giuridica uni taria dell'Ente Stat, un particolare e specifico modo di essere della stessa capacit giuridica, onde, come questa, attiene alla legittimazione attiva o passiva Ci spiega l'inutilit -costantemente sentita -di indicare nella vocatio in jus, oltre al Ministero competente, anche l'Ente Fftato dotato della generica capacit giuridica >>. . Ora sta bene che non sia necessario evocare in giu-i dizio lo Stato >> nella sua unicit ed unitariet, j ma quando il Tribunale avverte che nella vocatio in I jus d'uopo indicare il Ministero competente, .que. sto contraddice la sostanza delle sue affermazioni, giacch riconosce essere sempre necessario individuare \ quel ramo della Pubblica Amministrazione (Mini -1{4 stero competente) che deve essere evocato in giudizio. Nel caso in esame, invece, la citazione del Prefetto non sufficiente ad individuare quella determinata branca dell'ordinamento Statale che si vuol convenire in giudizio, giacch il Prefetto non rappresenta soltanto ed esclusivamente una amministrazione dello Stato talch la menzione fattane porti ineluttabilmente a designare, senza incertezze (art. 163, n. 2 in relazione al 164 c. p.c.) quale sia l'Amministrazione evocata in giudizio. Il Prefetto, infatti, nella molteplicit delle funzioni ad esso conferite dalla legge, a volte non rappresenta alcuna amministrazione mentre rappresen~a il potere esecutivo, il governo, (art. I reg. 12 febbraio 1911, n. 297; 1 Legge 3 aprile 1926, n. 660) che non sono amministrazioni statali in senso giuridico-processuale, e l'averlo indicato quale convenuto non sufficiente a quella individuazione che la sentenza medesima ritiene necessaria. D'altra parte il criterio adottato dal Collegio, che vuol procedere alla determinazione della capacit di agire nel processo attraverso la sola individuazione dell'organo supremo e definitivo che sia il portatore esclusivo degli interessi dello Stato in ordine alla specifica funzione di che si tratta , porterebbe a ritenere che il problema della rappresentanza in giudizio si debba risolvere attraverso i criteri della competenza gerarchica, cosicch abilitato ad agire in giudizio sarebbe l'organo investito di funzioni tali che gli attribuiscono potest di deliberare definitivamente sullr,, questione di citi causa. Mentre invece pacifico, ad esempio, che l'Intendente di Finanza oltre il Ministro, capo della gerarchia, sia titolare della legittimazione passiva nelle cause che afferiscono alla materia devoluta alla competenza delle Finanze dello Stato, cos come i Provveditori regionali alle 00. PP. rapp1esentano in giudizio l'Amministrazione dei LL. PP; nell'ambito della regione .alla quale presiedono, pur non potendosi negare che anche i Provveditori non sono al vertice della gerarchia dell' Amministrazione stessa. E se poniamo mente che le vigenti C. e T. delle I!'. S. per i trasporti di persone (R. D. L. 11 ottobre 1934, n. 1948) assegnano funzionalmente ai Capi compartimento o delegazione F. S. del luogo dell'infortunio il potere di rappresentare l'Amministrazione nelfo cause per danni alle persone, mentre soltanto per quelle avanti le Magistrature giudiziarie ed amministrati12e residenti in Roma la rappresentanza spetta al Ministro, troviamo nuova ragione per negare l'esattezza della tesi seguita dalla sentenza del Tribunale di Bologna, giacch anche i Capi compartimento o delega.zione sono subordinati gerarchicamente al Ministro. Cos se fosse esatto quanto ha ritenuto il Tribunale, non sarebbe giustificata l'attribuzione a determinati funzionari di grado inferiore del potere di rappresentare in giudizio le rispettive amministrazioni, poich nel pi dei casi trattasi di organi subordinati ad altri, ai quali.ultimi sono riservate, dall'ordinamento giuridico, le definitive statuizioni sulle insorte con- troversie: mentre non avrebbero ragione di essere le norme degli art. 144 c. p. c., 11 e 52 del '11 U. 30 ot tobre 1933, n. 1611 che menzionano l'Amministrazione destinaria della citazione e prevedono che la stessa sia intimata, anche quando eseguita presso l'Avvocatura, alla persona che se,eondo le norme organi che rappresenta l'Amministrazione stessa nel luogo ove risiede l'autorit giudiziaria che sarebbe competente secondo le norme del codice di rito. . Sembra, quindi, che la specialit del caso abbia indotto il Collegio ad affermazioni che non si possono condividere, giacch non inquadrano nella sua vera luce il problema della rituale evocazione in giudizio delle Amministrazioni Statali. COMPETENZA E GIURISDIZIONE -Negata iscri zione nelle matricole della gente di mare -Difetto di giurisdizione dell'A. G. O. (Tribunale di Bari, I Sezione civile, Mnt. 10 maggio 15 giugno 1951 -Presidmte: G,mtile, Est.: Bartoli-Zonno contro Amm.nistrazione mar~na mercantile). Il cittadino, pur essendo in possesso dei prescritti requisiti, ha soltanto la possibilit di essere iscritto nelle matricole della gente di mare, subordinatamente all'interesse pubblico, al quale deve ispirarsi la Pubblica Amministrazione proposta a tale iscrizione. Di conseguenza il provvedimento dell'Autorit, in constrasto con il predetto pubblico interesse, non pu che ledere soltanto indirettamente l'interesse del privato, il quale, a seguito dell'annullamento dell'atto amministrativo, da pronunziarsi dal giudice amministrativo, pu ottenere un provvedimento conforme alle disposizioni di legge, e dal quale possa avvantaggiarsi. La sentenza ha accolto in pieno la tesi sostenuta dall'Avvocatura. La fattispecie la seguente. Il Ministro per la marina mercantile, per la facolt riconosciutagli dall'art. 119, 40 comma del Codice della Navigazione, con vari provvedimenti aveva limitato le iscrizioni nelle matricole della gnte di mare, facendo, di volta in volta, eccezioni per determinate categorie di persone in possesso dei prescritti requisiti. La competente Capitaneria di Porto, pur ricono scendo che il richiedente l'iscrizione avesse i requisiti prescritti dal citato art. 119, e dal relativo Regola mento 20 novembre 1879 neg la iscrizione in ot temperanza alle disposizioni Ministeriali. La proposta azione si presentava improponibile per due motivi, il primo di ordine generale e si pu dire, ratione materiae, ed il secondo specificamente derivante dalla facolt discrezionale sopra accennata. In quest'ultimo caso per, riconoscendosi all'aspi rante un diritto a,lla iscrizione, l'Autorit giudiziaria sarebbe stata competente a giudicare se il richiedente rientrasse in quelle categorie per le quali il Ministro aveva consentito l'iscrizione, e quindi. se l'Autorit Amministrativa, negandola, avesse esorbitato dalla autolimitazione costituita dalle istruzioni ministe riali, poich queste non ordinavano la sospensione per tutti gli aspiranti. Il Tribunale correttamente ha ritenuto la impro ponibilit per il primo motivo. Invero non sembra potersi disconoscere, per il com plesso delle norme che regolano l'organizzazione e la disciplina del personale marittimo, per la grande rile- vanza che ha per lo Stato la navigazione, che risulta organizzata ed inquadrata in una specie di milizia civile (Ved. Relaz. del Guardasigilli al Codice della Navigazione, Tit. 4, Capo 10, n. 79) che il legislatore, anche in quelle particolari norme relative alla iscri j wAWamw~Jtft.r&mmtr~~-,BJJiJ -145 zione nelle matricole abbia avuto di mira prevalentemente la tutela dell'interesse pubblico, e l'interesse dei singoli non pu ricevere protezione che in maniera indiretta e riflessa, attraverso gli organi della giustizia amministrativa, ci che costit,uisce appunto l'interesse legittimo. Tale l'orientamento della dottrina. (< Per aversi diritto subbiettivo bisogna che il legislatore abbia 1Joluto direttamente proteggere l'interesse individuale, mentre ci non accade allorch ci imbattiamo nella figura, dell'interesse legittimo . (( Fra gli infiniti esempi valga quello delle norme le quali stabiliscono l'ammissibilit e la procedura dei concorsi ad impieghi pubblici; evidentemente codeste norme hanno per iscopo la garenzia dell'a. p. nella scelta dei pubblici impiegati, non la tutela di un individuo piuttosto che di un altro. (Vitt-a, dir. Amm. U.T.E.T. 1949, vol. 1, pag.117). 1/esempio del chiaro autore pu ben applicarsi alla fattispecie perch sebbene i componenti dell' equipaggio non siano, in___ senso stretto, dipendenti dello Stato, lo Stato che' m.ediante l'iscrizione nelle matricole, attribuisce loro la qualifica di marittimi, e li dichiara idonei e capaci a stipulare con l' arrnatore il contratto di arruolamento. Inoltre l'ampio erigoroso potere disciplinare e di vigilanza esercitato su di essi dallo Stato, all'interno ed all'estero (art. 1249_ cod. nav.) la facolt dell'autorit marittima e consolare di ordinare lo sbarco dell'arruolato vittima di abusi di potere da parte del Comandante della nave (articolo 346 cod. nav.), stanno a dimostrare l'enorme 'interesse che lo Stato ha per l'esercizio ~ella navigazione, onde si deve concludere che le norme relative alla iscrizione dei marittimi, sono dettate a t-utela di tale interesse, che, -in definitiva, interesse della collettivit. N difforme l'insegnamento del Zanobini (Got so di diritto Amministrntivo, ed. 1947, vol. I, pa.gi ne 146 ch_e definisce l'interesse legittimo un interesse individuale strettamente connesso con un interesse pubblico e protetto dall'ordinamento soltanto attra verso la tutela giuridica di quest'ultimo )), Per il concetto distintivo fra norme dirette alla tu tela dell'interesse pubblico e quelle che tutelano un interesse privato vedi Consiglio di Stato sez. 4a, decisione 5 luglio 1947, in Foro Ital. 1947, 111, 115. La sentenza va segnalata perch non consta che vi siano stati precedenti giurisprudenziali e perch sono in corso altre analoghe vertenze. (P. L. S.) IMPOSTA GENERALE SULL'ENTRATA -Determi nazione dell'ammontare dell'imposta pagabile in abbonamento -Decisioni della Commissione Provin ciale -Def1.nitivit -Inammissibilit del ricorso all'A11torit Giudiziaria. (Corte di Appello di Firenze, Soz. I, Sent. 30 marzo 1951 -Pres.: Galizia, Esteonsore: Bianchi d'Espinosa -Giovannozzi contro Ministero Finanze). Le decisioni delle commissioni provinciali in materia di determinazione dell'imposta sull'entrata in abbonamento sono definitive, a sensi dell'articol 16, Decreto legislativo 27 dicembre 1946, n. 469 e 21 Decreto legislativo 3 maggio 1948, n. -7l:i9, con esclusione in ogni caso del ricorso alla Commissione Centrale. Contro di esse parimenti escluso il ricorso all'autorit giudiziaria per grave errore di apprezzamento o difetto di calcolo, non ssendo esperibile contro tali decisioni l'eccezionale ricorso previsto dall'art. 29 decreto legge 7 agosto 1936, numero 1639, per le decisioni di valutazione, emesse in materia di imposte indirette sui trasferimenti della ricchezza. L'istituzione delle Commissioni per la risoluzione in via amministrativa delle controversie fra, Finanza e contribuenti, relative aWimposta sull'entrata corrisposta in abbonamento (decreto legislativo 27 dicembre 1946, n. 479 e decreto legge 3 maggio 1948, n. 799), ha fatto sorgere due questioni: 1 se contro la decisioni della Commissione provincia, le in materia di I.G.E. sia ammesso il ricorso alla Centrale per le questioni di diritto; 2 se, contro le stesse decisioni sia ammesso il ricorso all'autorit giudiziaria, in caso di grave ed evidente errore di apprezzamento (questioni di fatto). La Corte di Firenze, nella sentenza annotata, ha risolto in senso negativo l'una e l'altra questione: la prima incidenter tantum, la seconda, che formava oggetto specifico della causa, con ampia ed elabo rata motivazione. 1) Sulla prima questione non esistono, a quanto ci consta, altre pronunce della Autorit giudiziaria. Scarse sono pure le decisioni della Commissione centrale, sebbene assai elaborate. L'art. 16 del decreto n. 469 del 1946 e l'art. 21 del decreto n. 799 del 1948 dichiarano, come not, che (( la decisione della Commissione provinciale de finitiva )), Nulla aggiunge la legge: manca una disposizione analoga al secondo comma dell'art. 22 D.L. 7 ago sto 1936, n. 1630 per le imposte dirette. ((( Nei casi contemplati dalla legge contro le decisioni delle Com- missioni provinciali ammesso ricorso alla Com missione centrale delle imposte dirette )) ), e manca parimenti una disposizione simile all'ultimo comma dell'art. 29 dello stesso R.D., valevole per le imposte indirette (((Tutte le altre controversie relative all'ap plicazione della legge sono decise in primo grado dalle Commissioni provinciali e in secondo grado dalla Commissione centrale, sa,lvo il ricorso all' A .G. nei modi e nei termini stabiliti dalle vigent-i leggi). Si direbbe, sulla base della lettera della legge, _che _la previsione di un ricorso alla Centrale p_er questioni di diritto in materia di I.G.E. non fosse presente al pensiero del legislatore. Ipotesi del resto ben plau sibile, ove si consideri che le decisioni delle Commis sioni in materia di I.G.E. in abbonamento investono normalmente questioni di puro fatto, per le quali difficile configurare un riesame di diritto da parte della Centrale. E appunto basandosi su queste con siderazioni la Commissione centrale, con decisione 4 giugno 1948 (Foro it. 1949, III, 21 con nota di Cocivera e Giur. it. 1949 III, 26 con nota di Bei liri) dichiar inammissibile il ricorso alla 'iJeritrale _ avverso la determinazione della base imponibile per l' I.G.E., effettuata dalla sezione speciale della -com_ missione provinciale delle imposte. _ Senonch una successiva decisione della Commissione centrale a sezioni unite (6 luglio -1949, in Riv.Leg.Fisc., 1949, 663 e Giust.Trib. 1950, 68 con nota adesiva di Napolitano) ricalcando in gran parte gli argomenti gi addotti in una precedente decisione 18 dicembre 1940, pure a sezioni unite emessa in materia di imposte indirette (Riv. Leg. Fisc. 1941, 325), distinse anche in tema di imposta sull'entrata le questioni di diritto da quelle di fatto. Inoltre, osserv che l'art. 16 del D.L. n. 469 e l'articolo 21 del D.L. 3 maggio 1948, n. 799 richiamano per le controversie sull'entrata le altre norme vigenti per la costituzione ed il funzionamento delle commissioni amministrative per le imposte . Ora, secondo la Commissione centrale, esisterebbe per tutte le controversie di imposta il principio, di carattere unitario, che le questioni di diritto debbano trovare nella stessa Commissione centrale un giudice di terzo grado. E basandosi su questo principio orientativo, la Commissione centrale afferm la propria competenza funzionale a conoscere delle impugnazioni contro le decisioni delle commissioni provinciali in materia di entrata, viziate da errori di diritto. La sentenza annotata non aderisce a questa con- elusione. La Corte di Firenze osserva giustamente che cc costituzione e funzionamento fanno riferimento alla struttura ed al rito (in senso esteriore e formale) delle Commissioni, ma non investono n la. competenza n i mzzi di impugnazione. D'altra parte, assai diffeilmente si pu trovare un filo conduttore, che permetta di orientarsi in tema di competenza e di mezzi di impugnativa, sulla scorta di un semplice richiamo delle norme vigenti per le commissioni amministrative delle imposte. Se anche l'l.G.E. fosse inquadrabile fra le imposte indirette sui trasferimenti (il che, come vedremo, non ), si dovrebbe pur sempre tener presente che l'art. 31 del D.L. 7 agosto 1936, n. 1639 estende a sua i1olta alle controversie riguardanti tali imposte cc tutte le . altre norme relative al procedimento davanti alle commissioni amministrative delle imposte dirette. Che portata deve avere dunqe, il richiamo alle norme vigenti per le commissioni delle imposte? Devono tenersi presenti le norme stabilite per le controversie sulle imposte indirette. o -attraverso l'art. 31 quelle stabilite per le imposte dirette? L'interrogativo non certamente retorico. In realt, questa riduzione ad un comune denominatore pu avere significato e scopo rispetto al procedimento, ma non alla competenza ed ai mezzi di impugnativa: giacch questi differiscono profondamente per le imposte dirette e per quelle indirette. Basti ricordare che mentre per le controversie di diritto relative alle imposte dirette stabilito un triplice grado di giurisdizione (Commissione distrettuale, provinciale e centrale), invece per le stesse controversie, nel campo delle imposte indirette, il grado soltanto duplice (Commissione provinciale e centrale), e, per di pi, sfasato, giacc'/i il giudice di secondo e terzo grado delle prime diviene, per le seconde, giudice di primo e rispettivamente di secondo grado. Sembra piuttosto arduo, in queste difformi attribuzioni di competenza, ravvisare quel carattere unitario intravvisto dalla Commissione centrale. Per cont>ro, tale carattere pu effettivamente ri8contrarsi nella costituzione e nel funzionamento, che per tutte le commissioni presentano elementi comuni. Ma se il riphiamo dell'art. 21 D.L. 3 maggio 1948, n. 799 va contenuto in questi limiti, non par dubbio che esso non valga a legittimare l'estensione delle norme sulla competenza della Commissione centrale, come giudice di terzo grado per le questioni di diritto in materia di imposta sull'entrata. ~) Di maggiore interesse la seconda questione, sulla proponibilit del ricorso in via giudiziaria. Tale questione era gi stata altre volte affrontata dal Tribunale di Firenze, ma con diverse soluzioni. Mentre nella causa Giovannozzi, riesaminata in appello dalla sentenza annotata, il Tribunale avei1a correttamente dichiarato l'improponibilit del ricorso in .sede giudiziaria (sent. 25 luglio 1949, Giur. it. 1950, I, 2, 486 e Mon. Trib. 1949, 346), in due sentenze successive (sent. 21 febbraio 1950 in causa Bastogi, Foro it. 1951, 1, 823 e sent. 12 luglio 1950 in causa Azienda Farmaeeutica Internazionale, Rassegna 1950, 180) lo stesso Tribunale.ne aveva invece affermato la proponibilit. La Corte di Firenze, con l'attuale sentenza, ha provveduto a dirimere il contrasto sorto fra i vari giudicaJi dello stesso Tribunale, confermando l'esattezza della prima sentenza, che aveva dichiarato l'inammissibilit del ricorso. E in senso perfettamente conforme si pronunciarono il Tribunale e la Corte di Appello di Napoli in causa Galleria Navarra contro Finanze, con le rispettive sentenze in data 6 luglio 1949 e 29 aprile 1950, entrambe inedite. Per una esatta impostazione della questione va preliminarmente osservato che non vale, rispetto al ricorso giudiziario, quel richiamo alle norme vigenti per il procedimento davanti alle Commissioni per le imposte dirette, che parve ad alcuni sufficiente a legittimare l'impugnazione davanti alla Commissione centrale in via amministrativa per le questioni di diritto. Anzi, il richiamo appare piuttosto controproducente: giacch, se vi un principio pacifico per tutte le imposte dirette, precisamente l'inammissibilit di un sindacato dell'Autorit giudiziaria sulle questioni di semplice valutazione. Siffatto principio consacrato da disposizioni esplicite (art. 22, 3 comma, D.L. 7 agosto 1936, n. 1639), e si ricollega alla norma fondamentale dell'art. 6 legge sul contenzioso amministrativo Alleg. E alla L. 20 marzo 1865, n. 2230. Altre norme, specifiche per talune imposte dirette, ribadiscono questo basilare principio (Imposta Fondiaria: art. 23 ultimo comma L. 8 marzo 1943, n. 153; Ricchezza mobile, art. 53 T. U. 24 agosto 1877, n. 4021; Tribttti locali, art. 285 T. U. 14 settembre 1931, n. 1175). Se, perci, si volesse invocare l'art. 31 del D.L. n. 1639 del 1936 per un'analogia di regolamento con le controversie in materia di imposte dirette, ne deriverebbe automaticamente, anche per l'I.G.E. l'insindacabilit in sede giudiziaria della determinaziqne dell'amm.ontare dell'imposta. Ma a non diversa conclusione si dovrebbe pervenire, se si volesse limitare il riferimento alle norme sulle imposte indirette. Per vero, anhe per queste vale, almeno come criterio generale, il principio erta definitivit delle decisioni sulle questioni di fatto: .e analoga definitiiiit va riconosciuta alle decisioni delle Commi.i;sioni concernenti l'imposta sull'entrata. La dottrina al riguardo concorde: cc Una limita-I zione che perde le caratteristiche di vera e propria I -147 eccezione, per assumere la veste di una vera e propria regola generale applicabile in ogni caso e per ogni controversia tribtaria, salvo espressa disposizione in contrario (in corsivo nel testo) quella che sottrae alla competenza dell' A .G. la questione di semplice estimazione. Essa valevole per le imposte indirette e tributi locali, tranne espressa disposizione in contrario, come ad esempio per il giudizio di merito delle Commissioni provinciali per le imposte indirette di cui al III comma dell'art. 29 della citata legge 7 agosto 1936, avverso il quale ammissibile il ricorso all'A.G. per grave ed evidente errore di apprezzamento ovvero per mancanza o insuffecienza di calcolo nella determinazione del valore. Anche nell'imposta generale sull'entrata questa regola domina incontrastata, sicch restano incluse nella competenza dell'A. G. tutte le questioni di fatto e di dir'itto, che investano la tutela di diritti soggettivi, eccezion fatta per le quistioni di semplice estimazione, senza alcun' altra limitazione)). (Cocivera, L'imposta generale sull'entrata, vol. I, n. 60, p. 205). In senso conforme il N apolitano: << Dispongono gli articoli 16 del D.L. :37 dicembre 1946, n. 469 e 21 del D.L. 3 maggio 1948, n. 799 che la decisione della Commissione provinciale definitiva. Non vi dubbio che, per quanto si riferisce alla semplice valutazione dell'entrata imponibile, questa rimane definitivamente fissata con la decisione della Commiss. ione provinciale, senza possibilit di ulteriore gravame... Non possono essere portate dinanzi all'A. G. questioni attinenti alla semplice determinazione dell'entrata imponibile, dato che tali questioni rientrano nella competenza esclusiva delle Commissioni amministrative appositamente istituite (Napolitano, L'Imposta generale sull'entrata ed. 1949, vol. I, pag. 128 e 138, struzione di un'opera pubblica al fine di godere della esenzione dall'imposta di consumo di materiali spetti all'appaltatore o all'Amministrazione (n. 162). INFORTUNI SUL LAVORO. -Se debbano assoggettarsi a contributo camerale le addizionali stabile sui premi per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, ai fini del funzionamento della sezione assistenza ai grandi invalidi del lavoro (n. 25). r r LOCAZIONI. -1) Se in relazione agli immob:li gi appartenenti al cessato P.N.F. possano aversi rapporti normali di loazioni tra lo Stato proprietario e altri soggetti (n. 56). -II) Se il comma 4 art. 3 del D.L.C.P.S. 23 d'.cembre 1947, n. 1461 possa applicarsi anche quando si paghi erroneamente un canone aumentato per una locazione non prorogata (n. 57). NAVI. -I) Se il divieto di costituire ipoteche su navi destinate a servizio pubblico della navigazione interna riguardi solo le concessioni definitive (n. 46). -II) Quale sia l'influenza de. D.P. 26 giugno 1950 che ha istituito_ gli ispettorati di porto sull'obbligo della tenuta dei registri di iscrizione delle navi e dei galleggianti (n. 46). NOBILT, ORDINI CAVALLERESCHI E ONORIFICENZE. -Se sia accoglibile la domanda di un insignito di decorazione al valore il qual chieda il ripristino a suo favore del soprassoldo di madaglia gi da lui ceduto all'ex opera naz. balilla (n. 7). OPERE PUBBLICHE. -1) Se l'atto con il quale si procede alla dichiarazione di zona depressa ai sensi della legge 10 agosto 1950, n. 647 debba essere un atto formale (n. 16). -II) Se tale dichiarazione costituisca condizione preliminare inderogabile per l'intervento dello Stato per l'esecuzione di opere pubbliche neIla zcra (n. 16) -III) Se in applicazione della legge n. 647 del 1950 possano eseguirsi opere anche al di fuori dei limiti della zona depressa (n. 16). -IV) Se la inclusione di opere pubbliche nel programma di lavori predisposto ai sensi dell'art. 2_ della legge n. 647 del 1950 porti all'estensione automatica degli art. 13 e 20 della legge n. 589 del 3 agosto 1949 (n. 16). PENSIONI. -A chi debba essere pagata l'indennit di licenziamento di un operaio temporaneo deceduto dopo la cessazione dal servizio (n. 47}. POSTE E TELEGRAFI. -Se sia possibile e con quali modalit imporre servit di passaggio di linee telefoniche e telegrafiche tali che il proprietario del fondo servente non possa valersi della facolt concei:ii:iagli dall'art. 183 del Codice postale delle telecomunicazioni (n. 25). PREZZI. -Se il pg.rere della Commissione per la rev:sione dei prezzi negli appalti di opere pubbliche sia vincolante per il Ministro e se questo possa sentire altri organi consultivi prima della decisione (n. 10). PROPRIET INTELLETTUALE. -Se concesso dall'Amministrazione un compenso ad un impiegato dipsndente per una invenzione non ut;lizzata dall'Amministrazione stessa abbia l'impiegato diritto alla rivalutazione del compenso in caso di ritardo nel pagamento (n. 10). REGIONI. -Se si costituzionale una legge della Regiol'l.e siciliana la quale attribuisca all'arnEEsore dei Lg.vori Pubblici la progettazione, direzione, ecc. del Parto di R"posto di II categoria, specie in relazione al D. L. 30 luglio 1950, n. 878 (n. 19). REQUISIZIONI. -Se ad un notaio per la reqms1zione dei locali costituenti il suo studio spetti anche l'indennit una tantum di cui all'art. 60 del T. U. 18 agosto 1940, n. 1741 (n. 91). SCAMBI E VALUTE. --Se il debitore italiano che non ha versato allo speciale conto Ist-Cambi il suo debito verso l'Inghilterra sia tenuto ora a sopportare la differenza di cambio (n. 7). SINDACATI. -Quale sia il trattamento da farsi ai fini del'imposta di registro ai contratti stipulati dagli Uffi.Ji Stralcio delle discolte confederazioni sindacali fasciste (n. 9). TURISMO. -I) Se sia rimesso alla fa'colt discrezionale del Commissariato per il Turismo stabilire quali siano gli enti che possano essere autorizzati in via generale ad effettuare viaggi turistici nell'ambito regionale (n. 1). -II) Se sia possibile concedere ad aziende autonome di cura la licenza di P. S. per gestire agenzie di viaggi e turismo (n. 2). TRATTATO DI PACE. -Se il Governo italiano sia tenuto a pagare sul conto speciale in sterline costituito in base agli accordi post-bellici con l'Inghilterra anche i debiti di cittadini italiani che non hanno versato a suo tempo al conto speciale Ist-ambi le somme dovute ai creditori britannici (n. 35). (7102653) Roma, 1951 -Istituto Poligrafico Stato -G. C.