LUGLIO-AGOSTO 1978 ANNO XXX N. 4 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Pubblicazione bimestrale di servizio '! .. j ROMA ISTITUTO_ POLIGRAFICO E ZECCA-DEl:LO :ST,6.TO . : -~ 1978 ABBONAMENTI ANNO .. L. 15.500 UN NUMERO SEPARATO 2.700 Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: LIBRERIA DELLO STATO -PIAZZA G. VERDI, 10 -ROMA e/e postale 1/2640 Stampato in Italia Printed in ltal:y Autorizzazione Tribunale di Roma -Decreto n. 11089 del 13 lusllo 1966 (8219385) Roma, 1979 -Istituto Poligrafico. e Zecca dello Stato P.V. ' ' INDICE Parte prima: GIURtSPRUDENZA Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura del/'avv. Giseppe Angelini-Rota e del/'avv. Franco Favara) . pag. 40 I Sezione seconda: GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE (a curo del/'avv. Oscar Fiumara) . Sezione terza: GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE (o curo dell'avv. Carlo Carbone) . 409 Sezione quarta: GIURISPRUDENZA CIVILE (o curo de/l'avvocato Adriano Rossi) . 431 Sezione quinta: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (o curo del/'avv. Raffaele Tamiozzo) . 459 Sezione sesta: GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (o cura dell'avvocato Carlo Bof/e) 471 Sezione settima: GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI (o curo del/'avv. Paolo Vittoria) 505 Sezione ottava: GIURISPRUDENZA PENALE (o curo del/'avv. Paolo Di Tarsia Di Be/monte) 518 Parte seconda: QUESTIONI -LEGISLAZIONE -INDICE BIBLIOGRAFICO CONSULTAZIONI -NOTIZIARIO pag. 165 LEGISLAZIONE . CONSULTAZIONI 172 INDICE BIBLIOGRAFICO . 178 La pubblicazione diretta dall'avvocato: UGO GARGIULO CORRISPONDENTI DELLA RASSEGNA DELEGATI PRESSO LE SINGOLE AVVOCATURE Avvocati Glauco NORI, Ancona; Francesco Cocco, Bari; Michele DIPACE, Bologna; Giovanni CONTU, Cagliari; Americo RALLO, Caltanissetta; Raffaele TAMIOZZO, Firenze; Francesco GUICCIARDI, Genova; Carlo BAFILE, L'Aquila; Giuseppe Orazio Russo, Lecce; Aldo ALABISO, Napoli; Nicasio MANcuso, Palermo; 'Rocco BERARDI, Potenza; Umberto GIARDINI, Torino; Maurizio DE FRANCHIS, Trento; Paolo SCOTTI, Trieste; Giancarlo MAND, Venezia. ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI C. BAFILE, Ancora sulla responsabilit personale del liquidatore e dell'amministratore delle persone giuridiche I, 478 A. PAJNO, Provvedimenti di determinazione delle tariffe telefoniche e doppia tutela giurisdizionale I, 409 PARTE PRIMA INDICE ANALITICO -ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA APPALTO DI OPERE PUBBLICHE -Revisione dei prezzi -Situazione soggettiva dell'appaltatore -Interesse legittimo -ConfgurabHit di diritto soggettivo -Condizioni, SOS. -Reviisione dei prezzi -Situa:zlione soggettiva dell'appaltatore -L. 22 febbraio 1973 n. 37 -Possibilit di configuraz~ one come dkitto sogjgetti vo -Soppressione, SOS. -Revisione dei prezzi -Situazione soggettiva dell'appaltatore -L. 21 dicembre 1974 n. 700 -Trasformazione in diTitto soggettivo -Esclusione, SOS. -Rinnovazione delle operazioni di collaudo -Facolt del committente Appartenenza all'Amministrazione concedente -Ammissibilit -Condizioni, SlO. ATTO AMMINISTRATIVO -IHegittimit -Mancata impugnativa -Effetti -Idoneit ad incidere sud rapporti giuridici preesistenti Sussiste, 461. CIRCOLAZIONE STRADALE -Ordinanza ingiunzione prefettizia inf1igente sanzioni per violazione di norme di ciTcolazione -Applicabihlt a .funzionari consolari -Condizioni, 433. COMPETENZA E GIURISDIZIONE -Accertamento preventivo di danni derivanti da omesso intervento della poloizia -Improponibilit per difetto di giurisdizione, 441. -Appalto di opere pubbliche -Revisione dei prezzi -Determinazione del compenso revisionale -Incidenza di determinazioni attinenti allo svolgi Giurisdizione amministrativa -Sus siste, SOS. -Controversia relativa al diritto di riscatto di alloggi dell'ediili7Jia popolare ed economica -Giurisdizione dell'AiG.O. -Sussiste, 464. -Difetto assoluto di giurisdizione Interesse del cittadino alfa conservaziione de1le leggi in v~gore ed alla esclusione del loro assoggettamento a modifiche o abrogazioni -Tutela Insussistenza, 427. -Giudsdizione ordinaria ed amministrativa -Determinazione e criteri - Prospettazione dell'Jnteressato -Insufficienza, 426. -Giurisdizione ordinaria e amministrativa -Importazioni ed esportazioni di animali -ControUi della P.A. sanitaria statale -Funzione -Interesse generale -Posizione giuridica del priivato di interesse legittimo, 428. -Regolamento di giurisdizione -Giurisdizione ordinaria ed amministrativa -Doppia tutela -Ammissibilit Provvedimenti di determinazione delle tariffe telefoniche -Illegittimit Giurisdizione amministrativa, con nota di A. PAJNO, 409. COMUNE -Organi dell'Amministrazione -Sindaco che agisce come ufficiale di governo -Equiparabilit -Esclusione Effetti ai fini del patrocinio in giudizio, 46S. CONCESSIONI AMMINISTRATIVE -Concessioni di beni demaniali -Revoca -Congruit della motivazione -[: fil Fattispecie, 466. Il CONTRABBANDO -Importazione di sostanze stupefa mento del rapporto -Impugnativa -centi -Omessa contestazione del . I INDICE DELLA GIURISPRUDENZA vn reato di contrabbando -Costituzione di parte civile dell'Amministrazione Finanziaria dello Stato -Inammissibilit, 518. . CORTE COSTITUZIONALE -Conflitto di attribuzione -Termine per la proposizione del rkorso, 401. ELEZIONI -Eleggibilit a deputato ed a senatore -Ineleggibilit dei consiglieri regionali -Legittimit costituzionale, 402. ESECUZIONE FORZATA -Mancanza del titolo esecutivo -Improcedibilit -Rilevabi!lit d'ufficio con sentenza -Appellabilit, 431. BSPROPiRIAZIONE PER PUBBLICA UTILIT -Espropriazione parziale -Criterio di sllima differenziale -Presupposti di applicabilit, 444. -Indennit -Vincoli di inedificabilit previsti per legge -Non indennizzabilit, 444. -Proroga della occupazione di urgenza -Area destinata all'edilizia economica e popolare -Effetti dehla dichiarazione ex lege della indifferibilit e urgenza, 469. -PJ:oroga della occupazione di urgenza -Area destinata all'edilizia economica e popolare -Motivazione della proroga con riferimento ad esigenze di perfezionamento della pratica espropriativa -Sufficienza, 469. FALLIMENTO -Contributo J:egionale per pagamento degli interessi di un unitario contrntto del fahlito -Scioglimento del contratto per fallimento -Perdita del contrj,buto, 437. GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA -Decisione di primo .grndo -Compensazione delle spese in tutto o in parte -Discrezionalit -Estensione anche al caso di accolta infondatezza di una eccezione di controparte sulla giurisdizione -Sussiste, 469. -Giudizio di secondo grado -Eccezione di difetto di .giurisdizione Contrasto con la tesi' sostenuta in primo grado, Preclusione, 468. -Ricorso giurisdizionale -Appello P roposizione -Legittimazione autonoma spettante all'Avvocatura dello Stato -Sussiste -Effetti, 466. -Ricorso giurisdizionale -Giudizio di impugnazione -Appello avverso ordinanza pronunziata sull'istanza di sospensiva -Termine .di 60 1giorni Applicabilit, 459. -Ricorso .giurisdizionale -Giudizio di impugnazione -1Estensione dell'impugnabilit alle ordinanze di sospensione -Ammissibi!lit -Sussiste, 459. -Ricorso .gimiisdizionale -Giudizio di impugnazione -Ordinanze di sospensione -Procedura innanzi al Consiglio di Stato -Rito camerale -Necessit, 459. -Ricorso giurisdizionale -Legittimazione passiva -Cessione in propriet di alloggi dell'edildzia popolare ed economdca -Legittimazione passiva dell'I.A.CiP. -Sussiste, 464. -Ricorso giurisdizionale -Necessit della corrispondenza fra chiesto e pronunciato -Preclusione alla valutzione di fatti nuovi non dedotti in giudizio -Effetti, 466. -Ricorso giurisdiziona:le -Ordinanza di sospensione del provvedimento impugnato -ApplicabiUt dell'i>stituto della iI'evocazione -Sussiste, 459. -Ricorso giurisdizionale -Ordinanza di sospensione del provvedimento impugnato -Revoca per fotti sopravvenuti -Individuazione dell'organo giurisdizionale competente a pronunciare la revoca, 459. -R!icorso giurisdizionale -Ordinanza sulla sospensiva -Decisione del Consiglio di Stato in sede di appello Cessazione degli effetti, 459. -Ricorso giurisdizionale -Prnposizione -Legittimazione 11iservata a tutte le parti costituite nel giudizio di primo grado -Sussiste, 466. -Ricorso giurisdizionale Ricorso cumuLativo -Esclusione -Condizioni. 468. vm RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO -Ricorso giurisdiziona1e -Riicol'SO cumulativo -Soggetto destinatario di pi atti emanati contestualmente dallo stess<;> organo e aventi ad oggetto diverse deliberaziorui -Ammissibilit del ricorso cumulativo -Sussiste, 468. IMPIEGO PUBBLICO -Ricevitori del lotto -Applicabilit del t.u. sul pubblico impiego -Sanzioni Estensione -Limiti, 465. IMPOSTA DI RICCHEZZA MOBILE -Plusvruenza -Permuta -Riferimento al valore del bene permutato -Sussiste, 476. IMPOSTA SULLE SOCIETA -Esenzioni -Istituti di studio e di sperimentazione -Ente per la Celluiosa e la Carta -Non tale, 501. IMPOSTE E TASSE IN GENERE -Competenza e giurisdizione -Imposte dirette -Responsabile di imposta -Liquidatore di soggetti tassabil! i in base a bilancio -Azione di accertamento negativo -Giurisdizione del giudice ordinario, con nota di C. BAFILE, 479. -Imposte dirette -Responsabile di imposta -Liquidatore di soggetti tassabili in base a bilancio -Accertamento della iresponsabiUt -Onere della prov:a, con nota di C. BAFILE, 479. -Imposte dirette -Responsabile di imposta -Liquidatore di soggetti tassabili in base a bilancio -Liquidazione di fatto -Responsabilit deWamministratore -Sussiste, con nota di c. BAFILE, 479. -Imposte dirette -Responsabilit di imposta -Liquidatore di soggetti tassabili in base a bHancio -Contestazione dell'obbligazione tributaria -Difetto di le~ittimazione, con nota di c. BAFILE, 478. -Imposte dirette -Responsabilit di imposta -Liquidatore di soggetti tassabiii ;in base a bilancio -Liquidazione di fatto -Responsabilit degli amministratori -Sussiste, con nota di c. BAFILE, 478. -Imposte di11ette -Responsabilit di imposta -Liquidatore di sog;gettii tassabili in base a bilancio -Natura della :responsabilit, con nota di C. BAFILE, 478. -Imposte dirette -Responsabilit di imposta -Liquidatore di sog;gettii tassabili ii.n base a bi.tlancio -Prova P, resunzioni -Ammissibilit, con nota di C. BAFILE, 478. -Obbli:garione tributaria -Riserva di leg;ge -Fonti secondarie, 471. -Obbligazione tributar1a -Tributo istituito con decreto legge non convertito -Disciplina dei rapporti sorti -Successiva emanazione di norme regolamentari -Legittimit, 471. LAVORO -Lavoro autonomo -Attivit continuativa e coordinata -Crediti del lavoratore autonomo -Rivalutazione monetaria -Spetta, 407. OBBLIGAZIONI E CONTRATTI -Appalto -Accordi -Domanda di restituzione -Domanda di risoluzione implicita, 510. -Appalto -Difformit e v:izi dell'opera -Rii.conoscimento dell'appaltatore -Forma -Manifestazione tacita Sufficienza, 511. -Cfausola pena1e .prevista in capitolato generale -Potere di dduzione od equit dell'A.G.O. -Sussiste, con nota di A. ROSSI, 445. PENSIONI. -Dipendenti statali -Orfani maggiorenni inabili al lavoro -Razionalit delila normativa transitoria, 401. PREFETTO -Conferimento d'ufficio di esattoria comunale -!stanza di sospensione del provvedimento -Presupposti per l'accogl!imento -Individuazione, 459. PROCEDIMENTO CIVILE -Domanda -Qualificazione -Intervento adesiiv dipendente -Condizioni, 510. INDICE DELLA GIURISPRUDENZA -Intervento volontario -Adesivo.
  • secuzione di piani dri ricostruzione -Omissione della fase c!Ji determinazione delil'indennit provvisoria -Illegittimit, 174. -Legge sulla casa -Estensioni alle espropriazioni per opere stataii dei criteri di determinazione dell'indennit di esproprio fissati daHa c.d. legge sulla casa -Ambito del !rinvio, 174. -Legge su11a casa -Indennit aggiuntiva d'esproprio a favore del coltivatore del terreno -Prova della qualit soggettiva di coltivatore di retto -H1:tavolo -Mezzadro -Colono o compartecipante, 174. -Legge sulla casa -Norme sopravvenute nella maggiorazione di offerte in caso di cessione volontaria dell'immobile, 174. IMPIEGO PUBBLICO -Enti pubblici diversi -Dipendenti Invalidi per servizio -Beneliici combattentistici previsti dal regolamento -E>stensibilit -Limiti, 174. -Impiegato dello Stato -Trattamento economico -Indennit di buonuscita -Corresponsione ritardata INDICE DELLE CONSULTAZIONI Xlii Interessi moratori e rivalutazione Spettanza -Esclusione, 175. -Retribuzione -Indennit di rischio Presupposto, 175. -Vigili del fuoco -Disciplina -Regolamento -Espulsione da'1 corpo di pieno diritto -Sopravvivenza della relativa norma, 175. IMPOSTA DI BOLLO -Registri di contabHit degli aippalti di opere pubbliche -Regime di bollo, 175. - Registri di imprenditori. commerciali utilizzati in rapporti interprivati -Regime di bollo, 175. IMPOSTA GENERALE SULL'ENTRATA -l.G.E. -Entrate sottratte all'imposizione -Co:rrispettJivi per servizi internazionali -Presupposti deHa qualificazione, 176. -LG.E. -Entrate sottratte all'imposizione -Corrispettivi per ,servizi internazionali -Provvigioni ed ti.ntermediaxi di ditte estere -Prova del rapporto, 176. IMPOSTA VALORE AGGIUNTO -Rimborsi -Avviso di rettifica -Emergenza di fatti impeditivi non specifi camente previsti dalla legge -Ulteriori misure cautelari Ammissibilit, 176. -Rimbors,i -Garanzia fideiussoria Natura -Notifica avviso oltre annale -Sufficienza della garanzia, 176. ISTRUZIONE -Insegnanti -Attuazione dei provvedimenti comportanti spostamento di personale .gi in serviziio di insegnamento -Limiti temporali -Differimento -Esecuzione di provvedimenti del giudice ,amministrativo -Modalit, 176. OBBLIGAZIONI E CONTRATTI -Contratto di fo:rnitura -Aggiiudicazione -Sopraggiunte difficolt di approvigionamento -Modifica dei termini di pagamento e dei tempi e modi di consegna, 177. PREVIDENZA E ASSISTENZA. -Assistenza civile -Ciechi civili invalidi civili e sordomuti -Benefici economici -Revoca -Effetti -Irripetibilit de11e somme -Limiti, 177. - Mutilati e invalidi civiii -Pensione o assegno -Presupposti -Retribuzione superiore -Coniuge lavoratore all'estero -Cumulo, 177. XIV RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO LEGISLAZIONE QUESTIONI DI LEGITTIMIT COSTITUZIONALE Il. -Questioni dichiarate non fondate pag. 165 III. -Questioni proposte )) 165 INDICE BIBLIOGRAFICO 178 PARTE PRIMA I I ~ I I 11 I~: I ~: GIURISPRUDENZA SEZIONE PRIMA GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE CORTE COSTITUZIONALE, 16 gennaio 1978, n. 2 -Pres. Rossi -Rel. Rossano -Bellinazzo (avv. Zavattaro) e Presidente Consiglio dei Ministri (sost. avv. gen. Angelini-Rota). Pensioni Dipendenti statali Orfani maggiorenni inabili al lavoro -Razionalit della normativa transitoria. (Cast., art. 3, d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, artt. 86 e 272). Non contrastano con l'art. 3 Cast, gli artt. 86, comma primo, e 272 testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato, approvato con d.P.R 29 dicembre 1973, n. 1092,. dal momento che non irragionevole la disparit di trattamento tra gli orfani, che risultano inabili a proficuo lavoro alla data del 1 gennaio 1958, e gli orfani, che diventino inabili dopo tale data (1). (1) La sentenza pubblicata in Foro it., 1978, I, 281. L'impugnato art. 272 d.P.R. n. 1092 del 1973 riproduce il contenuto dell'art. 18 citata legge n. 46 del 1958, apportandovi le sole modifiche conseguenti alla sentenza n. 135 del 1971 della Corte costituzionale che aveva dichiarato l'illegittimit costituzionale dello stesso art. 18 nella parte in cui, nel concorso di tutte le altre condizioni, esclude dal diritto a. pensione i figli maschi celibi che alla data del 1 ,gennaio 1958 siano inabili al lavoro proficuo e siano nullatenenti. CORTE COSTITUZIONALE, 16 gennaio 1978, n. 3 -Pres, Rossi -.. Rel. Astuti -Regione Sicilia (avv. Aula) e Presidente Consiglio dei Ministri (sost. avv. gen. Az:;::ariti). Corte costituzionale Conflitto di attribuzione Termine per la proposizione del ricorso. Il. termine di 60 giorni per la proposizione del ricorso, stabilito dall'art. 39 della legge 11 marzo 1953, n. 87, decorre dalla notificazion.e o dall'avvenuta conoscenza dell'atto impugnato, e tale conoscenza pu 2 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 402 ritenersi verificata con la consegna di un telegramma ministeriale agli uffici di un assessore regionale; n pu ammettersi, d'altra parte, che la tardiva comunicazione fatta dall'assessore alla Presidenza della regione, con l'invito a ricorrere, possa costituire evento idoneo a spostare la decorrenza del relativo termine, giustificando la notificazione dell'atto dopo quasi tre mesi (1). (1) La sentenza pubblicata in Foro it., 1978, I, 1088; cfr. Corte Cost. 7 luglio 1976, n. 158, in questa Rassegna, 1976, 850 e 3 agosto 1976, n. 213, ivi, 1977, 1. CORTE COSTITUZIONALE, 16 gennaio 1978, n. 5 -Pres. Rossi Rel. Bucciarelli Ducci -Tarsia lncuna (n.p.), Tatarella (Avv. Giannini) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Chiarotti). Elezioni -Eleggibilit a deputato ed a senatore -Ineleggibilit dei consiglieri regionali -Legittimit costituzionale. (Cost., artt. 3 e 51; d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361, art. 7). L'art. 7, quarto comma, del d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361 e l'art. 2 della legge 27 febbraio 1958, n. 64, i quali dispongono la ineleggibilit dei consiglieri regionali, dei presidenti di giunte provinciali e dei sindaci di comuni con pi di 20.000 abitanti, rispettivamente a deputato ed a senatore, non contrastano con gli artt. 3 e 51 Cast. (1). (Omissis). -L'impugnato art. 7 del t.u. n. 361 del 1957 stabilisce chiaramente che i consiglieri regionali, i presidenti delle Giunte pro vinciali ed i sindaci dei Comuni con pi di 20.000 abitanti sono ineleg gibili a deputato. Gli interessati possono, tuttavia, sottrarsi a tali cause di ineleggibi lit cessando realmente dalle funzioni esercitate, previa presentazione delle dimissioni, almeno 180 giorni prima della data di scadenza del quinquennio di durata della Camera cui intendono candidarsi o sette giorni dopo il decreto di scioglimento in caso di elezioni anticipate. Per rafforzare tale ineleggibilit, ed evitare inconvenienti sorti nella pratica, il legislatore ha sancito, nel 1956, la decadenza dagli uffici men (1) La sentenza pubblicata integralmente in Foro it., 1978, I, 1079, con nota di MESSERINI, Consiglieri regionali e ineleggibilit parlamentare, ove tra l'altro si osserva che la prima volta che norme della legge elettorale politica vengono sottoposte al giudizio della Corte costituzionale: la competenza esclusiva delle Camere sulle controversie elettorali sancita dall'art. 66 Cost. e la diffidenza mostrata in pratica da questi 011gani ad un intervento nel procedimento di verifica delle elezioni di un organo estraneo al Parlamento, hanno costituito fino ad ora una insuperabile barriera rper il pssaggio di qualsiasi eccezione di costi tuzionalit sulle norme delle leggi elettorali politiche . PARIB I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE zionati come effetto automatico della accettazione della candidatura alle elezioni politiche. Dalla interpretazione letterale e sistematica della norma impugnata, che configura una causa specifica di ineleggibilit, emerge la relativa ratio, confermata anche dai lavori preparatori della legge elettorale del 1948, approvata dalla stessa assemblea costituente, e da quelli della novella del 1956. Si voluto cio impedire che i titolari di determinati importanti uffici potessero valersi dei poteri connessi alla loro carica per influire indebitamente sulla competizione elttorale, esercitando una captatio benevolentiae o un metus publicae potestatis nei confronti degli elettori. Ci dimostrato anche dalla prevista sanzione della decadenza che nella fattispecie avrebbe dovuto essere immediatamente dichiarata da parte dei competenti organi regionali. N pu ritenersi che il legislatore, al fine di tutelare l'anzidetto interesse pubblico sostanziale abbia adottato uno strumento eccessivo rispetto allo scopo perseguito. Non infatti fondatamente opinabile che sarebbe stata sufficiente la sussistenza di una mera incompatibilit tra le cariche di consigliere regionale e deputato al Parlamento, giacch l'inompatibilit assolve ad un suo proprio scopo -sostanzialmente quello di evitare la contemporanea titolarit di due uffici validamente conseguiti -mentre l'ineleggibilit che ha la funzione sopra menzionata deve operare fin dall'inizio della competizione elettorale. Quindi la previsione dell'art. 122 Cost. non vale ad escludere che la legge ordinaria consideri senz'altro i consiglieri regionali ineleggibili a parlamentari. -(Omissis). La prospettata violazione dell'art. 51 Cost. stata direttamente collegata all'orientamento di questa Corte secondo cui l'eleggibilit la norma l'ineleggibilit l'eccezione, e le cause di ineleggibilit ... devono comunque rigorosamente contenersi entro i limiti di quanto sia ragionevolmente indispensabile per garantire la soddisfazione deile esigenze di pubblico interesse cui sono preordinate (sentenza n. 46 del 1969). Tale affermazione deve per essere coordinata con l'altra, pm volte formulata, secondo cui il legislatore, nell'esercizio della sua discrezionalit politica pu stabilire, per categorie generali ed astratte, cause di ineleggibilit volte ad assicurare la libera e genuina espressione del voto popolare nonch la primaria esigenza della autenticit della competizione elettorale (sentenze nn. 38 del 1971 e 45 del 1977). Va pertanto riconosciuta, sulla scorta di tali criteri, la giustificazione della norma impugnata, in quanto sancisce l'ineleggibilit alla Camera e a Senato del consigliere regionale presentatosi candidato in circoscrizioni elettorali comprese nell'ambito territoriale della Regione, come avvenuto nel caso in esame. Detta ineleggibilit, potrebbe, semmai, non apparire altrettanto giustificata secondo gli orientamenti giu 404 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO risprudenziali di questa Corte laddove produca effetti per tutto il ter ritorio nazionale anzich nell'ambito della Regione nella quale il Con sigliere regionale eserciti il proprio mandato: ma siffatta questione non costituisce oggetto del giudizio sottoposto a questa Corte. Nemmeno sussiste la denunciata violazione dell'art. 3 Cast. perch le situazioni comparate dal giudice a quo sono tra loro eterogenee. Sotto un primo profilo pur vero che la qualit di deputato o se natore non impedisce la partecipazione di essi alla competizione eletto rale regionale, tuttavia non riscontrabile in dette qualit un collega mento tanto penetrante fra funzioni attribuite ad ambito territoriali ove si svolge la competizione elettorale; da giustificare, di per s solo, la configurazione di un'ulteriore causa di ineleggibilit. Sicch la mera incompatibilit prevista per tale ipotesi assolve correttamente al suo scopo di evitare il cumulo di cariche considerate fra loro incompatibili. Neppure pertinente la contrapposizione posta in evidenza dal giudice a quo, secondo cui il consigliere regionale che non riesce alle elezioni politiche perde ogni incarico, mentre il Presidente di Giunta provinciale o il Sindaco (dei Comuni con pi di ventimila abitanti), in caso di insuccesso, rimane consigliere provinciale o comunale, e potrebbe es~ ere rieletto all'ufficio prima ricoperto. -(Omissis). Rientra nella disrezionalit del legislatore una valutazione differenziata delle funzioni comparate, attesa la minore importanza delle ultime due, e quindi la diversa possibilit di un'indebita influenza sull'elettorato. CORTE COSTITUZIONALE, 12 aprile 1978, n. 26 -Pres. Rossi -Rel. Amadei Colombari ed altri (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (sost. avv. gen. Carafa). Sicurezza pubblica -Detenzione di armi -Omessa denuncia -Punibilit in pen,denza del termine di sanatoria. (Cost., art. 3; legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 36). Non contrasta con l'art. 3 Cast. l'art. 36 della legge 18 aprile 1975, n. 110 laddove sottopone a sanzione penale il detentore di arma trovato in possesso della stessa prima del decorso termine fissato per la denuncia (1). (Omissis). -La detenzione di armi , invero, un reato a carattere permanente la cui natura non viene modificata dalla esistenza di una (1) La sentenza pubblicata integralmente in Foro it., 1978, I, 1075, con nota di richiami. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 405 norma che conceda, a determinate condizioni, una sanatoria. Ed infatti si ha la non pnibilit solo se venga ottemperato all'obbligo della denuncia prima dell'accertamento del reato. In altri termini tale accertamento fa venir meno la sanatoria e ci perch scattano, in quel momento, le conseguenze collegate con la natura permanente del reato stesso. Il legislatore con la norma di cui all'art. 36, primo comma, legge 18 aprile 1975, n. 110 (vedi come identico precedente legislativo l'art. 8 della legge 2 ottobre 1967, n. 895) se ha inteso consentire ai detentori di armi di farne denuncia sia pure tardiva senza incorrere nelle sanzioni previste dalle disposizioni vigenti, ha pur voluto con ci addivenire ad un controllo pi esteso e app:i:ofondito possibile del fenomeno della quantit di armi illegittimamente detenute. La previsione, pertanto, della non punibilit del commesso reato, ove la denuncia abbia avuto luogo entro il termine fissato dall'art. 36, vuol premiare il ravvedimento attivo di chi siasi determinato alla denuncia delle armi possedute. Ma tutto questo non pu sancire la non punibilit di chi si sia trovato in possesso di armi non denunciate anche se il detentore avesse ancora, dinanzi a s, margine di tempo per la denunzia. -(Omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 20 aprile 1978, n. 45 -Pres. Ross! -Rel. Oggioni -Presidente Consiglio Ministri (sost. avv. gen. Azzariti) e Provincia Autonoma di Bolzano (avv. Coronas). Regione -Provincia a statuto speciale Dipendenti della provincia di Bol zano Indennit integrativa speciale Divieto di trattamento econo mico pi favorevole a quello dei dipendenti statali. (Cast., artt. 3, 36 e 117; delibera legislativa prov. 21 aprile 1976). Il principio posto dall'art. 2 del d.l. 1 febbraio 1977, n. 12, per cui il trattamento di contingenza deve essere, in linea li massima, comune per tutti i lavoratori e comunque contenuto entro limiti determinati, rientra tra le norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica . Pertanto, incostitu.zionale la delibera legislativp. regionale o provinciale che da tale principio si discosti (1). (1) L'importanza della sentenza evidente: la Corte costituzionale non soltanto ha elevato al rango di riforma economico-sociale della Repubblica la disciiplina unitaria delila contingenza, ma ha anche superato quel principio de1 trattamento pi favorevole aJ aavoraitore che -per i lavoratori diversi dai dipendenti stataili (questi ultimi sono da sempre retribuiti secomio disposizioni legislative cogenti) -ha costituito uno dei caridini del diritto del Iavoro. 406 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO (Omissis). -La questione sollevata dalla Presidenza del Consiglio dei ministri ha per oggetto la legge provinciale di Bolzano riapprovata il 21 aprile 1976, concernente modifiche alla disciplina dell'indennit integrativa speciale gi attribuita ai dipendenti statali ed estesa con legge provinciale 12 novembre 1964, n. 16 ai dipendenti della stessa provincia. Si assume che, essendosi vietato con l'art. 67 della legge statale 10 febbraio 1953, n. 62, di disporre a favore del personale di ruolo regionale un trattamento economico pi favorevole di quello dei dipendenti statali e non avendo la Provincia di Bolzano rispettato questo limite, che assumerebbe il valore di principio fondamentale dell'ordinamento dello Stato (art. 117 Cost.), e come tale, costituirebbe limite della potest legislativa regionale in materia, ne conseguirebbe la violazione del principio di eguaglianza (art. 3 Cost.), nonch la violazione del principio della proporzionalit delle retribuzioni (art. 36 Cost.). Deve anzitutto darsi atto dei risultati dell'indagine conoscitiva disposta dalla Corte con l'ordinanza n. 116 del 1977, al fine di acquisire dati concreti di paragone e di confronto riguardanti l'attuazione effettuata dallo Stato, dagli enti pubblici in genere e da quelli territoriali circa l'aggiornamento dell'indennit integrativa speciale e l'incidenza sul trattamento complessivo dei dipendenti. risultato in sintesi che per gli enti pubblici in genere l'indennit integrativa corrisposta in misura pari a quella prevista per i dipendenti statali e cos pure disposto per i dipendenti delle regioni a statuto ordinario: che altrettanto disposto per le regioni Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta, mentre per le regioni Sicilia e Sardegna previsto un diverso pi favorevole trattamento, come pure per la regione TrentinoAlto Adige e per la Provincia di Trento. In proposito pu rilevarsi che il risultato degli accertamenti com piuti consente di ritenere, per quanto riguarda le regioni a statuto speciale, che l'attuazione delle esigenze economiche di aggiornamento delle retribuzioni stata variamente interpretata e attuata, ma cm prevalente difformit dai criteri stabiliti per gli impiegati statali. (Omissis). La questione fondata. Come questa Corte ha gi rilevato nella sentenza n. 21 del 1978, le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nell'esercizio della loro potest legislativa primaria, possono attribuire ai loro dipendenti retribuzioni differenziate rispetto a quelle ~he spettino ai dipendenti statali. In questo campo, infatti, i legislatori locali non sono tenuti al rispetto dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato per ciascuna delle materie di competenza regionale o provinciale; e dunque non hanno l'obbligo di osservare il principio dettato dall'art. 67 della legge n. 62 del :~~ PARIB I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 1953; per cui le norme sul trattamento economico del personale di ruolo regionale non possono disporre un trattamento economico pf favorevole di quello attribuito al personale statale. Tuttavia, ci non comporta che la determinazione delle retribuzioni per i dipendenti delle Regioni o delle Provincie dotate di un'autonomia differenziata possa venire operata in modo arbitrario, senza tener conto del criterio ricavabile dal combinato disposto degli articoli 3 e 36 Cost., che fondamentalmente richiede la perequazione retributiva in corrispondenza alle varie specie di mansioni, sempre che dall'ordinamento risultino termini sicuri e comuni di raffronto fra situazioni omogenee. Pi spesifcamente, ci non comporta che urto strumento retributivo quale l'indennit integrativa speciale, destinato per definizione a fronteggiare il costo della vita in una maniera equivalente per tutti i lavoratori indipendentement dalla retribuzione da ciascuno percepita, possa essere legittimamente utilizzato per introdurre ulteriori disparit di trattamento economico. Dall'ordinamento generale dello Stato, e in particolare dal d.l. 1 febbraio 1977, n. 12 (convertito nella legge 31 marzo 1977, n. 91) (v. anche di questo testo l'art, 2 ultimo comma), si ricava al contrario il principio -che potrebbe venir classificato fra le norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica -per cui il trattamento di contingenza deve essere, in linea di massima, comune per tutti i lavoratori interessati e comunque contenuto entro certi limiti. Pertanto illegittima una legge provinciale che faccia leva sull'indennit integrativa speciale -sia pure agganciandosi ad una legge provinciale precedente, determinativa di una base di riferimento diversa e pi elevata di quella relativa ai dipendenti statali -per approfondire, anzich colmare, il divario retributivo gi esistente in tal senso fra il personale della Provincia di Bolzano e la generalit dei dipendenti pubblici. Attraverso la violazione del principio che attualmente informa il trattamento di contingenza, la legge impugnata ha infatti violato lo stesso criterio perequativo, ricavabile dagli artt. 3 e 36 della Costituzione. -(Omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 10 maggio 1978, n. 65 (ordinanza) -Pres. Rossi -Rel. Maccarone -Massacci (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (sost. avv. gen. Azzariti). Lavoro Lavoro autonomo Attivit continuativa e coordinata Crediti del lavoratore autonomo Rivalutazione monetaria Spetta. (Cost., artt. 3 e 35; cod. proc. civ., art. 429). L'art. 429 cod. proc. civ. (novellato) applicabile anche alle controversie relative a taluni rapporti di lavoro autonomo quando la pre RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO stazione di lavoro si sia concretata in una attivit continuativa e coordinata, prevalentemente personale (art. 409, n. 3 codice procedura civile). (Omissis). -Considerato che, diversamente da quanto ritenuto nell'ordinanza di rimessione, la disposizione impugnata applicabile anche alle controversie relative a taluni rapporti di lavoro autonomo quando la prestazione di lavoro si sfa concretata in una attivit continuativa e coordinata, prevalentemente personale)) (art. 409, n. 3 codice procedura civile); che, pertanto, la denunziata disparit di trattamento tra crediti di lavoro autonomo e crediti derivanti da rapporti di lavoro subordinato, nei termini generali in cui stata prospettata dal giudice a quo, non sussiste poich la legge ha voluto tutelare qualsiasi rapporto di lavoro, sia esso subordinato oppure autonomo, che abbia i -requisiti sopra indicati, al fine di riequilibrare la posizione di sfavore nella quale il lavoratore,-quale parte economicamente pi debole, viene in fatto a trovarsi nei confronti del proprio datore di lavoro; che la mancata applicazione dell'art. 409 codice procedura civile ai rapporti di lavoro autonomo che, come quello in esame, non si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata a carattere prevalentemente personale non priva di razfonale giustificazione poich in tal caso non ricorre quella posizione di debolezza del lavoratore rispetto al datore di lavoro nella quale si visto consistere la ratio del particolare strumento di tutela apprestato da detta disposizione. -(Omissis). ..( SEZIONE TERZA GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 4 agosto 1977, n. 3457 -Pres. Caporaso -Est. Pieri -P. M. Del Grosso (concl. conf.) -Miliucci ed altri (avv. S. Di Giovanni, Cannada Bartoli, Cervati) c. Soc. SIP (avv. Sorrentino, M.S. Giannini, Tosato, Chiomenti), C.I.P., Ministero delle Poste e Telecomunicazioni, Ministero dell'Industria, Presidente della Repubblica, C.I.P.E. (avv. Stato Azzariti). Competenza e giurisdizione -Regolamento .di giurisdizione -Giurisdizione ordinaria ed amministrativa -Doppia tutela -Ammissibilit -Provvedimento di determinazione delle tariffe telefoniche -IlleW.ttimit Giurisdizione amministrativa. ammissibile il regolamento di giurisdizione con cui il ricorrente, avendo impugnato dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale un provvedimento di determinazione delle tariffe telefoniche, chieda la fissazione degli ambiti dell'eventuale doppia tutela delle proprie posizioni soggettive, e cio la sussistenza, in relazione ad alcune. delle censure profilate con l'atto introduttivo, di una lesione di posizioni di diritto soggettivo (1). Appartiene alla giurisdizione del giudice amministrativo la cognizione del ricorso con cui l'utente del servizio telefonico chieda nei confronti della pubblica amministrazione l'annullamento del provvedimento modificativo delle tariffe, per avere la stessa male esercitato il suo potere. MOTIVI DELLA DEGISIONE (Omissis). -1) Nel ricorso per regolamento di giurisdizione, i difensori del Miliucci e dello Storri rilevano preliminarmente che i giudici ordinari, aditi in numerosi procedimenti relativi all'aumento delle tariffe telefoniche, non hanro mai negato la loro giurisdizione; e che anche questa (1) Provvedimenti di determinazione delle Tariffe telefoniche e doppia tutela giurisdizionale. I La decisione in rassegna presenta aspetti assai interessanti sia sotto H profilo pratico che da un punto di vista teorico. Essa, anzitutto se da una parte conferma il precedente indirizzo giurisprudenziale in base al quale la cognizione delle questioni relative all'impuignazione 410 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Corte Suprema, da tempo, ha riconosciuto la giurisdizione dell'A.G.O. nelle controversie tra utenti e S.I.P., anche laddove sia fatta questione della legittimit dell'aumento delle tariffe telefoniche, sempre che si discuta dell'esistenza e dei limiti del potere della P.A. di determinare le tariffe. Osservano ancora i ricorrenti che, secondo la Corte costituzionale (cfr. sentenza n. 72 del 1969) il prezzo del servizio telefonico ha natura di prestazione patrimoniale imposta, soggetta come tale alla garanzia della riserva di legge. L'art. 232 del vecchio codice postale stato riconosciuto costituzionalmente legittimo solo ed in quanto il potere del Governo di determinare le tariffe non discrezionale ed arbitrario, ma deve adeguarsi alle delibere del C.I.P.; ed in quanto, a sua volta, il C.I.P. non ha in materia un potere illimitato, ma collegato a presupposti di natura tecnica che ne circoscrivono l'ambito. Le tariffe telefoniche stabilite mediante d.P.R. -prosegl!ono i ricorrenti -si inseriscono automaticamente in un rapporto di natura privatistica (contratto di utenza), fonte di diritti soggettivi perfetti. Ma ci che importa rilevare che in ogni caso il sistema normativo in subiecta materia prevede un'attivit amministrativa vincolata sia sotto il profilo procedimentale che sotto quello sostanziale. Alla revisione tariffaria si giunge, infatti, attraverso un'istruttoria determinativa dei costi di esercizio, ed una decisione amministrativa destinata ad adeguare i ricavi ai costi accertati. In sostanza, il potere della P.A. ha come pre di provvedimenti tariffari spetta al giudice amministrativo, dall'altro contiene affermazioni di principio assai interessanti che in pratica comportano l'ampliamento della cognizione nella materia in questione, del giudice ordinario, in precedenza riservata alla sola controversia in cui si facesse questione, tra l'utente e la societ concessionaria, dell'applicazione delle tariffe. La sentenza delle Sezioni Unite presenta poi un notevole interesse teorico, per i riferimenti espliciti che essa contiene ad alcuni dei pi significativi criteri, elaborati in dottrina ed in rgiurisprudenza, ai fini della determinazione del riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo. Sotto questo profilo, anzi, essa, utilizzando e sviluppando ulteriormente il criterio fondato sulla distinzione tra carenza e cattivo uso del potere da parte dell'Amministrazione, perviene ad ammettere in linea ipotetica, pur negandolo in relazione alla fattispecie concreta, la possibilit dell'esistenza, per il cittadino, in relazione a provvedimenti di determinazione di tariffe, di situazioni sia di diritto soggettivo che di interesse legittimo; con ci postulando l'esistenza di una doppia tutela, e riportando di conseguenza all'attenzione la omonima teoria, che elaborata un tempo dalla dottrina nel tentativo di ritenere coesistenti e fungibili le due possibilit di tutela date dinanzi al provvedimento amministrativo, era stata successivamente abbandonata. II Nel caso di specie i ricorrenti, dopo avere adito il T.A.R. del Lazio deducendo l'illegittimit dei decreti ministeriali che fissavano il nuovo ammontare delle tariffe telefoniche, avevano successivamente proposto regolamento preven PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 411 supposto del suo esercizio l'accertamento del costo di gestione del servizio, e come limite l'adeguamento dei ricavi ai costi accertati. Orbene, ove si metta in rapporto questo principio con quello della riserva della legge per le prestazioni patrimoniali imposte, risulta chiaro che la P.A. non ha il potere di tener conto di costi inesistenti; e che, una volta determinati i costi del servizio (inclusivi di un'equa remunerazione del capitale sociale) la P.A. non ha il potere di aumentare le tariffe in modo da consentire al concessionario introiti superiori a tali costi. Diversamente ragionando -soggiungono ancora i ricorrenti -si accorderebbe alla P.A. un potere esercitabile arbitrariamente, del tutto incompatibile con il principio della riserva di legge. In altri termini, il fatto che il potere della P.A. di determinare le tariffe del servizio telefonico sia limitato, ed il fatto che tale potere presupponga un'attivit vincolata di accertamento, comportano il sorgere in capo agli utenti di una posizione di diritto soggettivo, e rion di interesse legittimo. Per altro verso -sempe secondo i ricorrenti -non pu negarsi l'esistenza di un limitato potere discrezionale della P.A. nell'acquisizione e nella valutazione degli elementi che concorrono a determinare il costo di esercizio. Cos, ad es., spetta alla P. A. determinare se, ed entro quali limiti, possano considerarsi elementi del costo del servizio le esigenze relative a nuovi investimenti nel settore, in relazione alla domanda degli utenti ed alle esigenze generali dell'economia del Paese; cos ancora spetta alla P.A. valutare i prevedibili effetti dell'inflazione sui mutui contratti della azienda concessionaria; determinare la distri tivo di giurisdizione, affermando che alcune delle censure gi prospettate dinanzi al giudice amministrativo integravano in realt la lesione di posizioni soggettive perfette, per le quali, ovviamente, doveva dichiararsi la .giurisdizione dell'A.G.O. Adombravano comunque l'esistenza di una dopipia tutela ,giurisdizionale: la presenza, infatti, di una riserva di le~ge'per la determinazione delle tariffe telefoniche -discendente dalla circostanza che a queste deve riconoscersi natura di prestazione patrimoniale imposta -, il carattere vincolato dall'attivit dell'Amministrazione nella materia in questione, ed infine la possibilit, qualora accertata, di imposizione di tariffe non previste dalla legge, involgevano, secondo i ricorrenti, questioni di diritto soggettivo. III Di fronte a ci la risposta della Cassazione stata di negare, nell'ipotesi concreta sottoposta al suo esame, l'esistenza di posizioni soggettive che radicassero la competenza del giudice ordinario, ammettendo per -e questo costituisce il significativo sviluppo giurisprudenziale nella materia in questione -in astratto la possibilit dell'esistenza, di fronte ai provvedimenti di determinazione di nuove tariffe telefoniche, adottati nella carenza dei presupposti del potere o al di fuori dei limiti di esso, di situazioni giuridiche di diritto soggettivo. Se si considera lo stato della giurisprudenza formatasi in relazione alle questioni afferenti ai provvedimenti di determinazione delle tariffe telefoniche, una RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO \ 412 buzione del costo globale del servizio sulle varie categorie di utenti, ecc. Da tutto ci emerge, secondo i ricorrenti, l'esigenza di una doppia tutela giurisdizionale, a seconda della natura delle specifiche questioni sollevate dagli interessati. Infatti, dall'esistenza della riserva di legge, dalla normativa che disciplina il funzionamento ed i poteri del C.I.P., ed in sostanza dal carattere vincolato del potere della P.A. in materia emerge la necessit che la determinazione delle nuove tariffe serva solo a riequilibrare la gestione economica aziendale; e ci comporta l'esistenza di un diritto soggettivo del cittadino a non pagare una prestazione patrimoniale che vada al di l dei limiti fissati dalla legge (e cio a non pagare aumenti di tariffe che non corrispondono ad aumenti reali dei costi del serviziq). In questo senso, comporterebbero questione di diritto soggettivo: a) le imposizioni tariffarie non previste dalla legge; b) il difetto . assoluto di istruttoria da parte del C.I.P. e della Commissione Centrale dei Prezzi; e) la determinazione del deficit di gestione della S.I.P. sulla base di costi inesistenti. Comporterebbero invece questioni di interesse legittimo i problemi in relazione ai quali pu riconoscersi alla P.A. una discrezionalit, sia pur limitata. E cos, ad es., l'omesso esame di elementi favorevoli agli utenti nella determinazione dei costi; la valutazione degli effetti qella stretta creditizia; la contradditoriet o manifesta ingiustizia della determinazione delle singole voci tariffarie. Questa risposta del genere costituisce una autentica novit. Sino ad ora, infatti, la giurisprudenza in materia si era sistemata su un versante, per dir cos, tradizionale, fondato soprattruitto (anche se implicitamente) suHa cons,iderazione del:l'esistenza -o meno -del rapporto dedotto in causa, e non sull'indagine attorno al potere esercitato dall'Amministrazione: pi precisamente, qualora si facesse questione (della legittimit) dell'atto di imposizione delle nuove tariffe, si era concordi nell'affermare la giurisdizione del giudice amministrativo, riservando pertanto la cognizione del giudice ordinario a quei casi in cui si facesse questione dei rapporti tra utente e Societ concessionaria, anche quando gli stessi coinvolgevano il sindacato incidentale del provvedimento tariffario che, ove ritenuto illegittimo, veniva, in relazione al caso concreto, disapplicato. Un tale riparto della giurisdizione risultava, implicitamente ma chiaramente, fondato sulla considerazione che di diritto soggettivo potesse parlarsi (nel senso che soltanto in tale ipotesi ne era riconosciuta l'esistenza) allorch fosse dedotto in causa il rapporto (contrattuale, e quindi di diritto privato) tra utente e societ concessionaria, mentre .quando veniva direttamente attaccato il provvedimento amministrativo, la posizione soggettiva che il ricorrente faceva valere, era sempre da qualificarsi come interesse legittimo, facendosi questione in tali ipotesi della legittimit dell'atto, e quindi, correlativamente, del corretto esercizio del relativo potere di fissazione delle tariffe. Appare chiaro che il presupposto di una tale partizione giurisdizionale risultava fondata, come si detto, piuttosto sulla considerazione dell'esistenza, o meno, di un rapporto di un diritto privato che sull'esame del potere (e delle sue concrete modalit di esercizio) esercitato nel fissare le nuove tariffe. Ed in effetti la Cassazione era stata sino ad ora investita della questione di giurisdizione -quanto ai provvedimenti di fissazione delle tariffe telefo PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 413 Corte dovrebbe quindi analizzare le varie censure formulate nel ricorso, e distingure, in relazione ad ognuna di esse, se si faccia questione di diritto soggettivo o di interesse legittimo; e determinare la giurisdizione in esito al risultato di tale esame. In ogni caso, ad avviso dei ricorrenti, non dovrebbe essere dubbia la giurisdizione della A.G.O. in relazione all'imposizione di tariffe non previste dalla, legge, e tali da consentire introiti superiori ai costi accertati. Il punto centrale della questione che il potere di aumentare le tariffe condizionato all'adeguamento di esse a costi accertati; condizione che rappresenta la giustificazione costituzionale dell'intera disciplina normativa della materia. Nel caso di specie, gli organi amministrativi avevano accertato la necessit di consentire aumenti di incasso del 30 % rispetto a quelli realizzati nel 1974, e concretamente dell'importo di circa Lire 300 miliardi; invece le tariffe, cos come articolate, hanno consentito maggiori introiti per oltre 400 miliardi. In questo caso -concludono i ricorrenti -non si pu parlare di cattivo esercizio di un potere esistente, ma di una vera e propria carenza di potere della P.A., cui corrisponde il diritto soggettivo degli utenti di non pagare prestazioni imposte oltre i limiti previsti dalla legge. 2) Prima di esaminare il ricorso nel merito, occorre prendere in considerazione un'eccezione di inammissibilit del ricorso stesso, sol nkhe -sempre in relazione a controversie che vedevano come parti l'utente del servizio telefonico e la societ monopolista dello stesso, e nelle quali si affermava la necessaria connessione tra (l'eventuale) il1egittimit del provvedimento ed il preteso inadempimento contrattuale. In tali ipotesi, infatti, la Cassazione aveva chiarito che il rapporto tra utente e societ concessionaria doveva qualificarsi, nonostante esso presentasse anomalie, soprattutto a causa della determinazione autoritativa delle tariffe mediant provvedimento . dell'Amministrazione, come un vero e proprio contratto di diritto privato (Cass., 28 ottobre 1965, n. 2281, in Foro lt., 1966, r, 1116; 15 ottobre 1975, n. 3330; id. 1975, I,: 2438); donde l'esistenza di posizioni di diritto so~ettivo, correlative all'affermazione del rapporto contrattuale, e la conseguenziale affermazione della giurisdizione dell'A.G.O. . Siffatto principio aveva poi, di recente, trovato concreta applicazione in alcune decisioni dei Pretori, i quali, richiesti della tutela cautelare per l'interruzione del servizio dovuta a morosit, avevano riaffermato la giurisdizione del1' A.G.O. in ogni questione collegabile al pagamento dell'utenza (e quindi anche in sede di provvedimenti ex art. 700 c,p.c.) (Pret. Roma, 30 novembre 1975; Pret. Brescia, 29 gennaio 1976). Con la sentenza in esame la Cassazione invece ha portato ancora pi avanti la sua indagine ed, investita' per la prima volta della questione di giurisdizione non in relazione ad una controversia contrattuale, come per il passato, ma con riferimento all'impugnazione in sede di legittimit del provvedimento tariffario, ha ammesso la possibilit di configurare, a fronte dei provvedimenti tariffari, anche posizioni di diritto soggettivo. A tale affermazione essa pervenuta portando direttamente l'indagine sul potere esercitato dalla P.A. in sede di imposizione autoritativa delle tariffe, ed RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 414 levata dall'Avvocatura dello Stato, la quale rileva che il ricorso non mira ad accertare a quale giudice spetti di conoscere di una determinata controversia. del tutto pacifico, infatti, il potere del T.A.R. e solo di esso -di giudicare sulla domanda di annullamento dell'atto amministrativo, che stata proposta dal Miliucci e dallo Storri, giacch in forza del disposto della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, arrt. 4 e 5, il giudice ordinario pu disapplicare nel caso concreto l'atto amministrativo illegittimo, ma non pu annullarlo. Il ricorso si risolve quindi nel quesito se alcuni dei motivi in forza dei quali l'annullamento dell'atto amministrativo stato richiesto al T.A.R. siano ammissibili o no, e siano cio valutabili o meno dal giudice adito. Sarebbe quindi carente la materia stessa del regolamento di giurisdizione. L'eccezione non fondata. Essa sembra richiamarsi all'antica teoria detta della prospettazione , che faceva dipendere a giurisdizione del giudice unicamente dal modo con cui le richieste dell'attore o ricorrente erano prospettate, e cio dava peso essenziale al petitum, trascurando la causa petendi. Superata tale antica teoria con quella pi moderna, e generalmente accettata, del petitum sostanziale (secondo cui la giurisdizione va determinata tenendo conto sia della domanda, sia della natura sostanziale della controversia, dovendosi i due criteri integrare utilizzando, ai fini del riparto giurisdizionale, il criterio, divenuto ormai tradizionale nella sua giurisprudenza, fondato sulla distinzione tra carenza e cattivo uso del potere esercitato. Le Sezioni Unite, infatti, hanno precisato che anche il ,potere di determinazione delle tariffe telefoniche condizionato, come .gli altri poteri della P .A., alla ricorrenza di determinati presupposti ed al rispetto di determinati limiti, che sono rispettivamente da identificarsi nell'accertamento preventivo dei costi del servizio, e nell'adeguamento delle tariffe agli stessi costi. Siffatti presupposti e limiti costituiscono pertanto quelli che la dottrina (NIGRO, Giustizia Amministrativa, 1976, pag. 163) di cui all'art. 111 della Costituzione. Se vero infatti, per fermo indirizzo di questa Corte Suprema, che impugnabile ai sensi della PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 433 citata norma della Costituzione qualsiasi provvedimento decisorio emanato da un organo giurisdizionale o speciale, e che, ancorch definito ordinanza o decreto, sia idoneo a produrre, con forza di giudicato, effetti di .diritto sostanziale o processuale sul piano contenzioso, tuttavia tale impugnazione pu farsi solo se contro il provvedimenfo non sia dato alcun altro rimedio. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 10 novembre 1977, n. 4834 -Pres. Maccarone -Est. Granata -P. M. Pedace (conf.) -Alberto Hesse (avv. Montesano) c. Prefetto Trieste (avv. Stato Zagari). Circolazione stradale -Ordinanza ingiunzione prefettizia infligente sanzioni per violazione di norme di circolazione -Applicabilit a funzio~ nari consolari -Condizioni. (Convenzione di Vienna 24 aprile 1963 resa esecutiva con legge 9 agosto 1967, n. 804, artt. 43 e 58). E !llegittima perch viola l'immunit consolare l'ordinanza-ingiunzione emessa dal prefetto irrogante una sanzione amministrativa per violazione di norme sulla circolazione stradale nei confronti di un console onorario che utilizzi l'autoveicolo (compresa la sosta) per finalit inerenti all'ufficio (nella specie stata esclusa l'illegittimit non essendo stato dimostrato l'uso dell'autoveicolo per servizio) (1). (Omissis). -1. -Le opposizioni dall'attuale ricorrente proposte contro i provvedimenti prefettizi irrogativi di sanzioni pecuniarie ai sensi dell'art. 9 legge 3 maggio 1967, n. 317 al fine di far valere l'immunit spettantegli, quale console onorario di uno Stato estero, ai sensi degli artt. 43 . e 58 della Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari del 24 aprile 1963 resa esecutiva in Italia con legge 8 agosto 1967, n. 804 sono state dal Pretore respinte, con la sentenza impugnata, sul duplice rilievo: a) che -in tesi -essendo le ingiunzioni prefetfrz:ie opposte provvedimenti amministrativi a carattere non giurisdizionale, non poteva giovare all'opponente l'invocata immunit giurisdizionale; b) che -in ipotesi -le infrazioni stradali contestate all'opponente, comunque, non rientravano fra gli atti coperti dall'immunit consolare. Avverso le due proposizioni suddette si appuntano le censure dall'Hesse svolte, rispettivam~nte, con il primo e con il secondo motiVo. Come subito si dir, fondato il primo e cos pure, parzialmente, il secondo. Ma, dovendosi per contro rigettare quest'ultimo sul punto (1) Questione di notevole tf.elicatezza quella risolta dal S.C. con la sentenz~ che si annota e, per quanto consta, nuova. Per qualche riferimento sui principi ispiratori della decisione v. Cass. 7 luglio 1977, n. 3007, in Giust. civ. 1977, I, 1914 con nota di G. d. F. 4 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO -decisivo agli effetti della statuizione finale -della non sussistenza nella specie degli estremi di fatto necessari per l'applicabilit della invocata immunit, l'impugnata decisione va mantenuta ferma, correg l gendosene la motivazione in diritto nei sensi appresso indicati. t 2. -Con il primo motivo il ricorrente denunzia, in relazione all'art. 360 nn. 3 e 4 c.p.c. violazione e falsa applicazione degli artt. 58 e 43 della convenzione di Vienna sulle relazioni consolari ed omessa o insufficiente I motivazione su un punto decisivo della controversia. E deduce che l'ummunit concessagli dall'art. 43 della Convenzione, riguardo alla giurisdizione tanto civile che penale, sia di cognizione che di esecuzione, I stata da lui invocata con riferimento non al provvedimento amministrativo, ma -appunto -al procedimento esecutivo, che in base al provvedimento stesso, avente valore di titolo esecutivo, poteva essere iniziato nei suoi confronti. I La censura -si gi detto - fondata. I La questione se, e sotto quale profilo, la materia delle sanzioni J amministrative, ed in particolare di quelle c.d. depenalizzate, irrogate Il dalle autorit amministrativa attraverso procedimenti e con atti soggeti tivamente ed oggettivamente amministrativi, sia riconducibile all'area " I !delle immunit consolari, pu porsi, a ben guardare, sotto molteplici aspetti. Invero, , sembrerebbe lecito chiedersi se la Convenzione -quando all'art. 43.1 statuisce che i funzionari e gli impiegati consolari, per gli atti compiuti nell'esercizio delle funzioni consolari, ne sont pas justiciables des autorits (non solo) judiciares (ma anche) administratives intenda riferirsi con la seconda locuzione (autorits administratives) ! al giudice amministrativo, ovvero agli organi amministrativi veri e prol pri, cio quelli di amministrazione attiva, cos concedendo l'immunit I I I non solo dalla potest giurisdizionale, ma e in via diretta -anche dalla potest amministrativa, almeno nei casi in cui questa si esplichi attra verso un procedimento paragiudiziale di accertamento della conformit I o meno di un comportamento alla norma, e si concluda con l'irrogazione di misure, che, per la loro funzione sanzionatoria e repressiva del l 1 comportamento tenuto dal soggetto investito dell'officium consolare, ' possono risolversi anche esse in sostanziali compromissionr della libert IIdi esercizio dell'ufficio stesso. E pur quando dell'immunit consolare si accetti la nozione limitata I alla sola giurisdizione, e non anche alla potest amministrativa a concluI sioni non molto difformi potrebbe pervenirsi in via indiretta, scrutinando ' ~ se essa -affinch possa realizzare a pieno le finalit cui ordinata non debba necessaram:ente essere intesa almeno in guisa da sottrarre il soggetto attributario alla possibilit non solo diretta, ma anche indi retta, di venire assoggettato alla giurisdizione, e se quindi l'immunit PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE stessa non debba essere riferita, nella J>rospettiva cos delineata, pure a quelle manifestazioni di potest, in s non giurisdizionali, ma produttive di effetti, lesivi e comunque limitativi della sfera giuridica del soggetto, regolati dall'ordinamento dello Stato di soggiorno in modo tale da poter essere rimossi soltanto con l'intervento dell'autorit giudiziaria, alla cui potest l'attributario dell'immunit viene cos costretto a sottoporsi di propria iniziativa. Pertinente -e di per s risolutivo -peraltro, si appalesa anche il profilo prospettato dal ricorrente, onde con riferimento ad esso, tralasciandone ogni altro, che la questione pu essere decisa. Il provvedimento, di cui all'art. 9 legge 3 maggio 1967, n. 317, costituisce ad un tempo titolo esecutivo e manifestazione della volont del suo autore di porre il titolo stesso in esecuzione, ove l'ingiunto non presti spontanea obbedienza. Pertanto -valga, oppure no, per esso la qualificazione normativa di atto iniziale del procedimento di coazione attribuita dal t.u. 14 aprile 1910 n. 639 (art. 1) all'ingiunzione fiscale, al cui procedimento di esecuzione forzata la legge 317 citata rinvia (art. 13}, e quindi valga, oppur no, anche per l'ordinanza in esame la deroga alla regola secondo cui l'esecuzione ha inizio con il procedimento -certo che, in conseguenza della sua notificazione al destinatario, questi diviene titolare dell'interesse attuale ad agire per sentire negare l'assoggettabilit del proprio patrimonio alla esecuzione, e quindi -nel caso a far valere l'immunit rispetto al minacciato processo esecutivo. E poich l'unico strumento. processuale, approntato dalla legge sulla depenalizzaizone per reagire (non solo contro l'accertamento delfinfrazione, ma anche) contro l'ordine di pagamento, impartito con il procedimento, l'opposizione prevista dallo stesso art. 9, legittimamente l'attuale ricorrente ha esperito tale rimedio, per fare dichiarare giudizialmente, in prevenzione, il proprio diritto all'immunit dalla giurisdizione di esecuzione. 3. -Non pu trovare, invece, accoglimento il secondo motivo. Con il quale -denunziandosi ancora violazione e falsa applicazione degli artt. 58 e 43 della Convenzione, nonch, omesso esame .di pilnto decisivo -si lamenta che il Pretore abbia negato, in principio, che il parcheggio dell'autovettura possa, pur quando connesso con un atto di ufficio, rientrare nell'ambito dell'immunit, e per l'effetto abbia, in concreto, omesso di esaminare il fatto decisivo, pure dedotto, se nella specie il parcheggio fosse, o non, connesso l'esercizio delle funzioni consolari del ricorrente. Fondata quanto alla enunciazione di tesi formulata nella prima parte, la censura invece da rigettare quanto alle implicazioni prospettate nella seconda. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 436 Come queste Sezioni Unite hanno di recente precisato (sentenza n. 3007 del 7 luglio 1977, Jorge Panoy Apostolo c. Rubin Marina) rientrano nell'ambito dell'immunit garantita dalla Convenzione di Vienna non soltanto gli atti ufficiali, compiuti dal console nell'esercizio delle funzioni proprio dell'ufficio ricoperto, ma anche tutti gli atti e le attivit che, pur non essendo di per s tali, tuttavia siano strumentalmente o eziologicamente connessi al compimento di atti ufficiali, e riferibili, per il tramite dell'autore, allo Stato estero sotto il profilo pubblicistico. Pertanto errato negre in linea di principio ch l'immunit consolare copra anche attivit materiali del console, quali la guida ed il parcheggio di un'autovettura, ben potendo queste presentarsi strumentalmente collegate, nel senso anzidetto, con la funzione. Per quanto in particolare riguarda la circolazione automobilistica e le sue vicende, anzi, una conferma della loro riconducibilit nell'area dell'immunit consolare desumibile, sul piano del diritto positivo, dalla stessa Convenzione, che, prevedendo espressamente la soggezione alla giurisdizione en cas d'actione civile ... intent par un ties pour un dommage rsultant d'un accident caus... par un vehicule... (art. 43,2-b) come deroga ( toutefois ) alla regola dell'immunit sancita in generale (art. 43.1 citato), lascia intendere come senza tale puntuale disposizione l'immunit varrebbe anche per la responsabilit civile connessa alla circolazione dei veicoli, e quindi .indica che -fuori della specifica disposizione derogatoria -la circolazione stessa e le sue vicende possono rientrare nel- l'area dell'immunit. Non vale, contr la tesi qui recepita, l'argomentazione dal Pretore tratta, sulla premessa che, per principio pacificamente riconosciuto, al console non pu mai competere, quanto ad immunit, uno status migliore dell'agente diplomatico dall'art. 93 del vigente codice della strada che detta speciali disposizioni per gli agenti diplomatici e le loro vetture. Quanto meno perch tale norma non ; essa, attributiva dell'immunit, ma la presuppone, e proprio come reazione sostitutiva dell'impossibile inflizione diretta di una qualche sanzione prevede la speciale segnalazione per via diplomatica, dell'infrazione commessa dall'agente diplomatico estero al capo della missione di appartenenza. N giova sottolineare le difficolt di ravvisare nelle singole situazioni concrete il collegamento con la funzione: il rilievo, certamente esatto, non smentisce il principio, ma segnala unicamente la delicatezza della indagine ordinata alla sua applicazione, ed avverte come questa debba essere svolta con attenzione e prudnza, tanto maggiori, quanto pi generica ed anodina sia l'attivit, di per s non fnzionale, del cui collegamento con atti ufficiali di volta in volta si discuta. Ed proprio sotto quest'ultimo profilo, concernente l'accertamento in concreto nel nesso strumentale fra i parcheggi in zona vietata della w ili ~ ili I I I ~== ~:= I'~ ti t ~~ ~ I~ I @ [ ~ f. c. ~ & ~ ~ i?? ~j~ ~:= :: 1: i !i,. ~ ~ f: ~ f: .-..-.'-z.rrr.-.-..-.-..-.-..;.-....r.-.r..rrr.r..-.r...r..-...ru..-..........:.....:....-.:.........1.................-...:..-...'::::::.-:'.:-:::::'.'.Z:-::'.Z-:::-:z-:-:z.-:-:z::.-:z-:z-:.-:-: ...z.....;..-:-zr...z.-::-:::<:::"''.'.:--..:-:-:-:--::'.'.'.'."'."'.'."'.-'.: PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILB autovettura conteslati all'ttuale ricorrente e l'esplicazione del suo officium consolare, che il ricorso, come si detto, non pu essere accolto. Non vero, infatti, diversamente da quanto nel motivo si assume, che la sentenza impugnata abbia omesso di esaminare tale punto decisivo. Pur se -nell'economia della tesi di diritto test criticata -superfluamente, il Pretore si dato carico, al contrario, della circostanza che l'opponente aveva chiesto di provare con testimoni che le infrazioni (erano state) compiute nell'esercizio di funzioni consolari; ma ha reputato -con apprezzamento di fatto incensurabile, e com4nque non censurato - un tale capitolo di prova... inammissibile, per la sua estrema genericit ed inconcludenza , 4. -In definitiva, il dispositivo della sentenza impugnata, essendo conforme a legge, va tenuto fermo, mentre ne va emendata la motivazione, nel duplice senso (a) che il console, cui l'ordinanza-ingiunzione prevista dall'art; 9 legge n. 317 del 1967 abbia inflitto una sanzione pecuniaria per violazione delle norme sulla circolazione stradale, legittimato a proporre opposizione avanti al Pretore al fine di far dichiarare la propria immunit ai sensi della convenzione di Vienna 24 aprile 1963, resa esecutiva in Italia con legge 9 agosto 1967, n. 804, dal procedimento di esecuzione forzata, altrimenti esperibile nei suoi confronti sulla base di quel titolo esecutivo, ai sensi degli artt. 9 e 13 della legge 317 citata; e (b) che l'immunit consolare riguarda anche le attivit -comprese quelle concernenti la guida e la sosta di autoveicoli -che, pur non direttamente esplicative delle funzioni proprie dell'ufficio, siano per strumentalmente ed eziologicamente connesse con atti ufficiali, e quindi anche esse riferibili allo Stato estero sotto il profilo pubblicistico. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 11 novembre 1977, n. 4870 l'res. Novelli -Est. Scanzano -P. M. Martini Ferraiuolo (diff.) -Fall.to Togniplast s.p.a. (avv. Ped) c. Regione Trentino Alto Adige (avv. Stato Cavalli) nonch contro I.M.I. (avv. GuazzugliMarini). Fallimento Contributo regionale per pagamento degli interessi di un mutuo contratto dal fallito . Scioglimento del contratto per fallimento Perdita del contributo. (I. reg.le Trentino Alto Adige 7 marzo 1963, n. 10, artt. 1 e 6). Il provvedimento regionale che eroga il contributo per il pagamento degli interessi a favore dell'istituto di credito che ha concesso un mutuo ad un'impresa perde ogni effetto a seguito della sentenza dichiarativa RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 438 del fallimento dell'impresa mutuataria, che scioglie il contratto mutuo e sospende l'obbligo della corresponsione degli interessi (1). (Omissis). -Egualmente connessi fra loro sono il terzo motivo del ricorso del curatore e il terzo motivo del ricorso I.M.I. entrambi essendo diretti a sostenere la spettanza del residuo contributo rispettivamente a ciascuno di essi ricorrenti. La curatela denunzia violazione e falsa applicazione della ripetuta legge regionale in relazione ai principi generali del diritto, e lamenta che la Corte di merito, dopo avere, nel decidere la questione di giurisdizione sollevata dalla Regione, riconosciuto che, riguardo al contributo de quo, l'impresa finanziata era titolare di un diritto soggettivo, abbia poi negato che, sopravvenuto il fallimento, lo stesso diritto spettasse alla curatela. Soggiunge che, una volta accertato, come era stato accertato, che era stato soddisfatto l'interesse pubblico in relazione al quale il contributo era stato accordato (ed infatti erano state eseguite le opere cui si riferiva il finanziamento) non v'era ragione perch dovesse venir meno il beneficio derivante dal concorso regionale, che aveva costituito motivo di affidamento per i creditori. Dal canto suo l'I.M.I., denunziando violazione dell'art. 6 della medesima legge, rammenta che, a tenore di esso, il contributo in parola bench accordato a favore dell'impresa, doveva essere corrisposto direttamente ad esso finanziatore. Soggiunge che il corrispondente diritto soggettivo, in tal modo perfezionatosi nei suoi confronti, non poteva essere negativamente influenzato dal successivo fallimento della detta impresa, tanto pi che nessuna ipotesi, legale o contrattuale, di decadenza o di revoca o di sospensione di quel diritto era ravvisabile nella specie: n poteva una di tali evenienze ricollegarsi alla risoluzione del contratto di mutuo (derivata dal fallimento) e dall'esaurimento della relativa situazione. (1) Con questa sentenza il S.C. ha risolto favorevolmente all'ente regionale la delicata questione attinente agli effetti della dichiarazione di fallimento sul provvedimento concessione di un contributo finalizzato, accogliendo la tesi sostenuta dall'Avvocatura circa la cessazione degli effetti del provvedimento concessorio. La strada percorsa per giungere a tale conclusione quella, gi accolta in precedenti decisioni {v. da ultimo sent. 23 agosto 1972, n, 2796, in Giust. civ. 1973, I, 84 e 1009 con nota di GHIRARDI, Interpretazione della realit del mutuo), secondo cui le finalit perseguite dall'ente regionale entrano a far parte dell'atto di concessione con rilevanza causale>>, sicch in caso di mancata realizzazione .di tale finalit il provvedimento perde ogni effetto. Anche se altre vie sembrano pi correttamente percorribili, per giungere ad identico risultato, non pu non sottolinearsi la importanza del principio affermato e la possibilit di sua pi ampia applicazione. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE A questa considerazione si riallaccia il primo motivo dello stesso ricorso, con cui l'I.M.I. denuncia violazione degli artt. 1453 c. civ. e 55 I. fall. per sostenere: a) che il fallimento del mutuatario non comporta la risoluzione del contratto di mutuo ma, pi esattamente, la decadenza dal beneficio del termine, ex. art. 1679 c. civ.; b) che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d'Appello, non esiste alcuna contraddizione tra il fatto che esso ricorrente, valendosi della disposizione ora citata, abbia chiesto ed ottenuto l'ammissione del suo residuo credito al passivo del fallimento, e la sua pretesa alla corresponsione di un residuo contributo legittimamente deliberato e mai revocato: pretesa -aggiunge -che rimane fondata ancorch con la cosidetta risoluzione del mutuo possa venire meno il diritto agli interessi. Nella memoria poi chiarisce che tale diritto, in quanto accessorio ad un credito privilegiato, opera anche dopo il fallimento del debitore (al cui passivo, appunto, con provvedimento ormai passato in giudicato, stato ammesso insieme col capitale), e che detta ammissione non incide sulla coobbligazione che al riguardo stata assunta dalla Regione. Le censure non hanno fondamento. Si evince dalla sentenza impugnata, ed in particolare dai riferimenti al decreto di concessione del contributo, alla legge da cui questo consentito, ed alla convenzione esecutiva prevista dalla stessa legge, che il contributo in parola viene concesso (ed stato nella specie concesso) all'imprenditore che .con la sua iniziativa va ad incrementare le attiVit industriali della Regione, e che il pagamento diretto all'istituto che ha erogato il finanziamento cui il contributo si riferisce una modalff esecutiva (dell'obbligo della Regione) che non modifica la titolarit del diritto al contributo stesso, r'na attribuisce al finanziatore solo il diritto alla riscossione del relativo importo (se, ed in quanto dovuto). Riconoscere nell'imprenditore il destinatario del beneficio e nell'l.M.I. il titolare del diritto alla riscossione non risolve per il problema n a favore del primo (e per esso alla curatela fallimentare) n a favore del secondo. Non lo risolve, in particolare, a favore della curatela, anche se la Corte di merito, nell'esaminare la questione di giurisdizione sol levata dalla Regione, abbia fatto riferimento ad un diritto soggettivo perfetto: noto, infatti, che il giudizio emesso al riguardo considera la posizione soggettiva dedotta e la valutazione che di essa fa l'ordina mento, ma prescinde dall'esistenza in concreto dei requisiti di fonda tezza della pretesa che ne oggetto. Va aggiunto che non giova ai ricorrenti il fatto che l'interesse pub blico cui si coordina il beneficio de quo sia stato gi valutato all'atto della sua concessione con la constatazione della avvenuta esecuzione delle opere finanziate, e che in materia la Regione non abbia adottato RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 440 alcun provvedimento di revoca o di decadenza. La soluzione adottata dalla Corte di merito si giustifica anzi proprio nel quadro di un'esatta visione di tale interesse, opportunamente coordinato con la ratio del beneficio e lo svolgimento del rapporto di finanziamento cui esso inerisce. anzitutto evidente che, allorquando la Regione, valutato l'interesse pubblico connesso all'iniziativa programmata dalla Togniplast, si determin ad accordare il noto contributo, non intese concedere un premio , cio fare un'astratta elargizione che fosse fine a se stessa e svincolata dalle vicende della impresa: al contrario, consentendo di concorrere al pagamento degli interessi del mutuo contratto per la realizzazione di u.na 'determinata iniziativa industriale, volle accordare una agevolazione che, sul piano della politica economica, era necessariamente finalizzata alla creazione e allo sviluppo di un'impresa vitale e funzionante, e sul . piano giuridico si caratterizzava in base ad una precisa causa: quella di alleviare l'onere dell'imprenditore relativo al costo del denaro che col .fim1.nziamento. gli era stato erogato, e del quale, col differimento dell'obbligazione di restituzione, veniva ad acquisire l'utilit. In tale situazione, avuto per fermo -giova ripet~re -che il contributo riguarda gli interessi, la finalit del concorso regionale cos concepito, entrava a far parte della struttura dell'atto di concessione con rilevanza causale, analogamente a quanto si verifica nei cosiddetti mutui di scopo>>, di cui si occupata questa corte con sentenza 8 agosto 1972, n. 2796. Ne deriva che, venuto meno, col fallimento del mutuatario, lo svolgimento fisiologico del contratto di mutuo (che col fallimento automaticamente scaduto, divenendo il relativo importo immediatamente esigibile: art. 55 I. fall.) e sospendendovi il corrispondente obbligo dello stesso mutuatario di pagare gli interessi al titolo ori~inariamente previsto (cio come corrispettivo del godimento del denaro), non v' dubbio che sia venuto a modificarsi radicalmente il meccanismo cui era coordinata la corresponsione delle rate di contributo, e che sia venuta meno la stessa causa di questo. Di tutto ci conferma il fatto che per effetto dell'immediata sca denza del mutuo (art. 55 I. fall. 2 comma)'. l'I.M.I. sia stato ammesso al passivo fallimentare per l'intero residuo del capitale mutuato. Che poi, con il capitale, siano stati ammessi al passivo anche i relativi inte ressi, circostanza che non comporta le conseguenze invocate dall'I.M.I. Altra, invero, la causa degli interessi pattuiti col contratto di mutuo e coordinati con lo svolgimento fisiologico, egualmente previsto, del rap porto di finanziamnto, ed altri sono la causa ed il titolo degli inte ressi che, agli effetti del concorso, continuano ad esser dovuti ex art. 55, 1 comma I. fall. -E per evidenziare la differenza sufficiente rilevare: PARTB I, SBZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 441 . a) che gli interessi di cui alla disposizione citata sono dovuti solo sui crediti privilegiati (e nella specie sono stati ammessi al passivo proprio e solo per la natura privilegiata del credito dell'I.M.I. laddove la finalit del concorso accordato dala Regione prescindeva dalla natura del credito di detto Istituto e si ricollegava all'interesse dell'incremento delle attivit economiche -regionali; b) che gli interessi dovuti ex art. 55 I. fall., siccome appunto previsti in relazione al procedimento esecutivo concorsua:le e ad un debito scaduto, sono dovuti fino alla data della vendlta dei beni oggetto di privilegio e ad un tasso opportunamente variato (v. artt. 2749, 2788, 2855, c. civ.), con evidente coordinamento con le finalit di detto procedimento e totale indipendenza dalle regole che presiedono al computo ed al corso degli interessi relativi al normale svolgimento del rapporto di mutuo, quale presupposto dal provvedimento regionale di concessione del contributo. Non. giova infine all'l.M.I. argomentare dal riferimento (in verit sovrabbondante), fatto dalla corte di merito all'accollo. evidente, infatti, che, se per ragioni attinenti alla causa del rapporto viene meno il debito d'interessi dell'obbligato principale come strutturato secondo il suo titolo originario, viene meno anche la relativa coobbligazione che si fosse assunta la Regione in via di accollo. Le considerazioni svolte determinano l'assorbimento del secondo mo tivo del ricorso della . curatela, diretto a censurare le ragioni in base alle quali la corte di merito ha escluso la possibilit di cedere o scon tare le rate di coptributo scadute dopo la dichiarazione di fallimento. chiaro, infatti, che venuto meno il diritto al contributo, perde rile vanza ogni questione che concerna il punto prospettato. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 18 novembre 1977, n. 5042 -Pres. Giannattasio -Est. Vela -P. M. Pedace (conf.). -Ministeri dell'Interno e di Grazia e Giustizia (avv. Stato Zagari) c. Soc.r.l. Immobiliare Valmaggia. Competenza e giuridiziosne Accertamento preventivo di danni derivanti da omesso intervento della polizia Improponibilit per difetto di giurisdizione. (cod. proc. civ., artt. 41, 692 e 693). improponibile per difetto di giurisdizione del giudice ordinario il ricorso per accertamento preventivo dei danni derivanti da omesso intervento della polizia a tutela della propriet privata (1). (1) La sentenza conforme all'orientamento consolidato del S.C. che esclu< le l'esistenza di un diritto soggettivo perfetto del cittadino all'intervento della Autorit pubblica per prevenire danni alla sua incolumit e ai suoi beni, pur 442 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (Omissis). -Le Amministrazioni ricorrenti chiedono che sia dichia rato il difetto assoluto di giurisdizione sotto un duplice profilo. Premesso che l'istanza di accertamento preventivo funzionalmen te e teleologicamente connessa con una pretesa di danni, che la societ Valmaggia intende far valere nei loro confronti per non avere esse im pedito l'abusiva occupazione dei suoi immobili, sostengono che: a) ri spetto ai poteri di polizia che ha lo Stato per prevenire gli illeciti ed i reati, nessuna posizione di diritto soggettivo accordata ai cittadini, essendo quella prevenzione condizionata dai mezzi finanziari e dagli organici del personale prestabiliti per legge, e dovendosi essa svolgere secondo scelte dipendenti da valutazioni assolutamente discrezionali; b) comunque, essendo stati denunciati fatti costituenti reati, la cogni zione piena dei danni che ne sarebbero derivati preclusa al giudice adito perch spetta alla giurisdizione penale. Il ricorso (ammissibile, in quanto i procedimenti di istruzione pre ventiva hanno natura soggettivamente ed oggettivamente giudisdizionale, sono disposti dal giudice ordinario, innanzi a lui si svolgono e concer nono il compimento di atti istruttori da far valere in futuro processo civile: SS.UU. 10 ottobre 1964, n. 2564; 26 gennaio 1968, n. 239; 8 giugno 1968, n. 1748; 10 giugno 1968, n. 1766; 21 agosto 1972, h. 2689) fonda~o solo in parte. Esattamente lo si impostato considerando quale sia la posizione sostanziale di cui la Valmaggia intende chiedere tutela nel giudizio di risarcimento di danni preannunciato nel ricorso al Presidente del Tri bunale. La legittimazione all'istanza deriva, infatti, non da un generale ed autonomo potere di acquisire anticipatamente una prova -se cos fosse, la questione di giurisdizione non sarebbe mai prospettabile ma dall'allegazione di un diritto soggettivo, a salvaguardia del quale ci si ripromette di agire, poi, innanzi al giudice ordinario. Ci risulta testualmente dall'art. 693, primo comma, cod. proc. civ. (che indica il destinatario dell'istanza nel giudice che sarebbe competente per la cau sa di merito) e si ricava dal carattere prodromico dell'istruzione pre ventiva, che non mai fine a se stessa, ma viene espletata in vista di un futuro processo ordinario (artt. 692, 696, 698, 699 cod. cit.). Ora, quella posizione soggettiva non , nella specie, configurabile come diritto e quindi non pu dar luogo ad un'azione in sede civile (art. 1 cod. proc. civ.). riconoscendo in materia un interesse legittimo al corretto uso da parte del l'Amm.ne dei poteri discrezionali conferitile (v. fra tante sent. 14 ottobre 1972, n. 3060, in questa Rassegna 1972, I, 1058 con nota di richiami). La giurisprudenza del S.C. altres ferma all'ammissibilit del regolamento di giurisdizione in relazione ai procedimenti di istruzione preventiva (v. da ultimo sent. 21 agosto 1972, n. 2689, in Giust. civ. 1972, I, 1687 ove richiami). PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 443 Questo non perch la cognizione della causa spetti al giudice penale. Il secondo motivo del ricorso, che adduce questa tesi, non solo solleva un problema di competenza anzich di giurisdizione ed quindi, prima che infondato, inammiss,ibile (SS.UU. 6 febbraio 1971, n. 316 e 6 luglio 1974, n. 1977), ma anche fuorviante, nel senso che sposta i termini caratterizzanti della questione, consistenti in ci, che la responsabilit dei due Ministeri convenuti, lungi dall'essere desunta da fatti penalmente rilevanti compiuti dai rispettivi funzionari e da questi estesa loro a norma dell'art. 28 Cost.,r invece collegata drettamente al dovere, che essi avrebbero, in quanto organizzazioni statali, di intervenire a tutela della propriet privata. . _ Vero , piuttosto, che tale dovere non esiste. Esso {dovrebbe essere l'~t!~.--~~--un_.~apportp ob1Jligatorio fra Stato e ~l1.!~()l~~;-di m_~Q eh"'._verso costui il primo fosse . tc;:11utQ.. ~Q gp,_ fi~!!rminat() com.portamento p-;~t~ttf;(); solo cos, i~fatti, potrebbe considerarsi lo Stato re~;~n-e;--fo'base al principio di causalit giuridica (art. 40, secondo comma, cod. pen. e S.U. 14 ottobre 1972, n. 3060) dei danni da altri provocati al cittadino stesso. Invece, tanto la prevenzione dei reati quanto la cura dell'incolumit personale o dei beni individuali, attengono allo svolgimento di funzioni pubbliche, perch lo Stato vi provvede con atti autoritativi ed in vista delle esigenze di conservazione dell'intera compagine sociale, dopo aver predisposto nella competente sede i mezzi che ritiene opportuni ed adeguati in un determinato contesto storico, secondo scelte che necessariamente dipendono da valutazioni discrezio nali di numerosi fattori. Con questo non si vuole concludere che il cittadino mai abbia possibilit di reagire sul piano giuridico di fronte alla carente o insufficiente esplicazione dell'azione amministrativa. Pu egli abbisognare particolarmente dell'intervento della forza pubblica, pel fatto di trovarsi esposto ad uno specifico pericolo o, addirittura, a danni alla sua persona o ai suoi beni. In tale situazione, il suo interesse, lungi dal confondersi con quello generale alla prevenzione ed alla repressione degli illeciti, assume una propria, peculiare individualit ed una propria urgenza. Esso non pi di mero fatto, ma giuridico e, come tale, tutelabile innanzi agfi organi di giustizia amministrativa. Contro siffatta conclusione, che corrisponde ad un orientamento gi seguito da questa Corte (SS.UU. 16 lugio 1955, n. 2285; 30 maggio 1966, n. 1417; 10 giugno 1968, n. 1769; 14 ottobre 1972, n. 3060) e che conduce, da un lato, a negare la giurisdizione del giudice ordinario, dall'altro a respingere la tesi estrema del difetto assoluto di giurisdizione, sostenuta nel ricorso, non potrebbe opporsi che la stessa giurisprudenza delle Sezioni Unite ha sempre ammessa l'azione risarcitoria contro lo Stato, quando sia stata rifiutata l'assistenza della forza pubblica all'ese RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 444 cuzione di provvedimenti giurisdizionali (per lo pi, convalide di sfratti: sentt. 22 febbraio 1926; 6 settembre 1952, nn. 2859-2861; 29 ottobre 1958, n. 3560; 1 agosto 1962, n. 2299). Le fattispecie sono diverse. Quella che ha formato oggetto delle pronuncie appena citate l'attivit materiale necessaria per consentire all'organo esecutivo della giurisdizione -l'ufficiale giudiziario -di attuare contro l'inadempiente la sanzione stabilita dalla legge ed applicata dal giudice a salvaguardia di un diritto soggettivo, eh~ l'ordinamento riconosce e garantisce in quanto tale (cos specialmente, le due sentenze del 1958 e del 1962). Nel caso ora ir esame, al contrario, l'ordine di sgombero degli immobili della Valmaggia, emesso dal Procuratore della Repubblica, non era preordinato tanto alla protezione della propriet privata, quanto ad impedire che producesse ulteriori conseguenze una situazione di illiceit penale, lesiva, quindi, di interessi generali; ed all'autorit di pubblica sicurezza era stata affidata una funzione di polizia giudiziaria (artt. 219, 220 e 232 cod. proc. pen.'l:.J Deve pertanto, essere dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinariz;-(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 29 novembre 1977, n. 5177 -Pres. Iannuzzi -Est. Mancuso -P. M. Raja (conf.) -A.N.A.S. (avv. Stato D'amato) c. Buonanno (avv. Chiacchio). Espropriazione per p.u. -Espropriazione parziale -Criterio di stima differenziale -Presupposti di applicabilit. (Cost., art. 42; I. 25 giugno 1865, n. 2359, artt. 39, 40, 41). Espropriazion~ per p.u. -Indennit -Vincoli di inedificabilit previsti per legge -Non indennizzabilit. (l. 25 giugno 1865, n. 2359, artt. 40 e 41). Affinch sia applicabile il criterio di stima differenziale previsto dagli artt. 40 e 41 L. n. 2359 del 1865 occorre che fra la parte espro priata e quella non espropriata sussista un vero e proprio vincolo ob biettivo, in modo che il distacco di una parte dell'immobile influisca sull'utilit della seconda (in senso positivo o negativo) (1). Non indennizzabile il pregiudizio derivante alla parte residua di un fondo espropriato se tale pregiudizio deriva come cpnseguenza ge nerale od ineluttabile della esecuzione dell'opera pubblica (2). (1-2) La sentenza in rassegna conferma :principi ormai fermi nella giurisprudenza del S.C. H senso conforme alila prima massima v. da ultimo sent. 29 novembre 1977, n. 5185, nonch 29 dicembre 1975, n. 4047. Nello stesso senso della seconda sent. 26 febbraio 1975, n. 765, Consiglio !i Stato 1975, Il, 689 ove richiami. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 445 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 5 dicembre 1977, n. 5261 -Pres. Danzi -Est. La Torre -P. M. Gambogi (conf.) -Ministero Difesa (avv. Stato Baccari) c. Credito Italiano (avv. Molle) e Siciliani De Cumis (avv. De Seta). Obbligazioni e contratti -Clausola penale prevista in capitolato generale Potere di riduzione ad equit dell' A.G.O. -Sussiste. (cod. civ., art. 1384). La disposizione dell'art. 1384 cod. civ., che prevede la riduzione della penale manifestamente eccessiva tenuto presente l'interesse economico del creditore all'adempimento, si applica anche quando detta penale sia stabilita a favore della P.A. in forza di causala del capitolato generale richiamato nel contratto (1). (Omissis). -4. -La Corte di Napoli, confermata sull'an debeatur la sentenza di primo grado, l'ha riformata in ordine al quantum, riducendo equamente -in accoglimento della subordinata istanza dell'appellante Siciliani -l'ammontare della penale convenuta per il caso di inadempimento (e liquidata dal tribunale): dall'importo di oltre venti milioni di lire, pari al 10 % del valore della merce non consegnata, alla minore somma di L. 10.231.880, pari al 5 % di tale valore. Ci ha. statuito, a norma dell'art. 1384 e.e., sul riflesso che la facilit con la quale l'amministrazione militare poteva rifornirsi della merce presso altri pastifici delle zone vicioniori, sia pure con una lieve maggiorazione del prezzo (,1) Con l'autorit delle Sezioni ~nite si conferma l'indirizzo contenuto nella sentenza de!Na 1 Sezione 22 novembre 1976, n. 4386 (in Foro it. 1977, I, 382) in ordine al riconoscimento all'A.G.O. del rpotere di riduzione della penale stabilita nei contratti a favore della P.A. Malgrado l'alto insegnamento devesi ribadire il sommesso, ma fermo dissenso sulla conclusione cos confermata (le precedenti decisioni del S.C. di diverso avviso n. 419 del 1974 e 2766 del 1969 sono pubblicate in questa Rassegna rispettivamente 1974, I, 489 e 1969, 762). Occorre dare pienamente atto a1 S.C. dell'ampiezza delila motivazione, ma il punto di maggiore dissenso sta nella premessa dell'argomentare, l dove si afferma che gli interessi della p.a., in quanto persegiliti attraverso un contratto di diritto privato e non in forza di un atto di autorit sono pubblici solo in senso mediato e indiretto , come se lo strumento utilizzato possa degradare la natura dell'interesse perseguito (v. in senso contrario la pacifica giurisprudenza della S.C. a proposito dei c.d. mutui finalizzati dove addirittura si afferma la inclusione nello schema privatistico del fine pubblico: cos da ultimo sent. 11 settembre 1977, n. 4870, in questa Rassegna 1978, I, 437). Tale affermazione prescinde, infatti, da una attenta considerazione, come la difesa dell'Amministrazione non aveva mancato di sottolineare, della particolare disciplina dettata a proposito d~li enti pubblici soggetti a quella che stata da autorevole dottrina denominata dell'evidenza pubblica. Secondo tale normativa l'attivit negoziale dell'ente pubblico , per cos dire, doppiata da una fase procedimentale di natura squisitamente pubblicistica che serve ad in RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO pattuito col Siciliani, e quindi il suo non rilevante interesse all'adempimento fanno apparire senza dubbio eccessiva la penale pattuita . questa la pronuncia che l'Amministrazione della difesa investe col secondo motivo del suo ricorso, censurandola per violazione degli artt. 4 e 5 legge 20 marzo 1865, n. 2248 ali. E, nonch dell'art. 1384 e.e. Tale norma -afferma il ricorrente -attribuisce al giudice il potere di ridurre la penale quando l'ammontare di essa appare manifestamente eccessivo, avuto riguardo all'interesse del creditore all'adempimento: ma una siffatta indagine, proprio per il riferimento a questo interesse, non ammissibile quando il contratto posto in essere dalla pubblica amministrazione per l'attuazione di fini pubblici. Cio infatti comporterebbe la possibilit, preclusa all'a.g.o. (ex artt. 4 e 5 legge cit.), di una diversa valutazione dell'interesse pubblico che l'autorit ha gi insindac~bilmente compiuto nel determinare l'ammontare' della penale: il che si risolverebbe inevitabilmente in una sostituzione non consentita della volont del giudice a quella della puoblica amministrazione nella sfera di attivit e di determinazioni discrezionali-ad essa riservate . Tanto pi quando -come nella specie -la penale sia prevista nelle condizioni generali 'da osservarsi per gli acquisti delle forze armate dello Stato, approvate con d.m. 20 giugno 1930, n. 35 e richiamate espressamente nell'art. 8 del contratto di cui si tratta. Prima di prendere in esame il su riassunto motivo di ricorso, oc corre avvertire che la questione di diritto con esso prospettata, e cio se la qualit di p.a. di uno dei contraenti sia o no di ostacolo all'ap plicabilit dell'art. 1384 e.e. (riduzione della penale ope iudicis), stata finora risolta in modo contrastante dalle Sezioni semplici di questa Su prema Corte. Per la soluzione affermativa, e. in base agli argomenti qui richiamati dalla difesa erariale, si pronunciata la Sezione I con le sentenze 23 luglio 1969, n. 2766 e 14 febbraio 1974, n. 419. Ma in dividuare l'assetto degli interessi che il contratto da stipulare deve presentare per essere conforme al pubblico intresse. Una volta che tale assetto di interessi viene delineato, questo viene tra dotto in negozio privato, che sog;getto a tutte le norme di diritto comune circa la sua validit od efficacia. Ma resta ben inteso che la regolamentazione contrattuale dipende, per quan to r1gua1da la sua applicabilit all'Amministrazione, anche dal corretto for marsi della fase pubblicistica antecedente ed eventualmente susseguente alla conclusione del contratto di diritto privato. Ci significa anche che ogni modifica dell'assetto di interessi cristallizzato nel contratto importa una modifica della fase procedimentale precedente, e per essere '\nincolante per l'ente pubblico deve essere da questo approvata secondo le forme procedimentali pubblicistiche. Ma se ci esatto, ne deriva che non pu ritenersi applicabile alla P .A,. l'art. 1384 cod. civ., che consente all'A.G.0. di modificare l'assetto contrattuale adeguandolo all'interesse economico del crecHtore interno al contratto, posto che PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 447 nessuna delle due sentenze (pressoch identiche nella motivazione, che sul punto piuttosto scarna) si fa cenno -sia pure per disattenderlo .....: al contrario precedente del 21 aprile 1965, n. 699, col quale l Sezione III -premesso che l'interesse del creditore all'adempmento della prestazione garantita dalla penale attiene soltanto ai fini patrimoniali cui si connetteva l'obbligazione rimasta inadempiuta e alla realizzabilit aliunde di tali fini, senza che possano venire in considerazione gli ulteriori scopi cui l'oggetto della prestazfone avrebbe dovuto essere destinato secondo l'intenzione del creditore -aveva optato per la soluzione negativa: non essere cio di ostacolo all'esercizio giudiziale del potere di riduzione della penale il fatto che questa sia prevista a favore di una p.a., a nulla rilevando che essa si avvalga del contratto come strumento mediato per il conseguimento delle sue fina lit istituzionali. E in quest'ultimo senso, riesaminata ex professo la questione (in una fattispecie in cui, come nella presente, si trattava d condizioni generali d'oneri per la fornitura all'amministrazione militare, approvate con d.m. 20 giugno 1930), tornata a pronunciarsi, con la sentenza 22 novembre 1976, n. 4386, la stessa Sezione I, che, dopo una meditata revisione dell'indirizzo giurisprudenziale seguito in precedenza (con le sentenze n. 2766 del 1969 e n. 419 del 1974) e aderendo all'opposto tale potere finisce per modificare anche e soprattutto l'assetto degli interessi determinati dalla P.A. nella fase procedimentale pubblicistica. Non si tratta, quindi, di affermare la prevalenza di una norma regolamentare (q1.11eMa del capitolato che fissa J'ammontare deHa pena) su di una fogge (art. 1384), ma di conciliare norme di pari grado tra loro incompatibili: l'art. 1384 cod. civ., dettato esclusivamente per i rapporti di diritto comune, e quelle contenute nella legge di contabilit generale che disciplinano il funzionamento della P.A. e che hanno, come ha riconosciuto con giurisprudenza costante lo stesso S.C., non solo forza vdncolante a!ll'interno, e anche nei confronti delll generalit. E non sembra dubbio che la norma speciale (quella appunto di contabilit), prevalga su quella generale come impone d'altronde l'art. 11 cod. civ., tenendo conto anche della diversa natura degli interessi perseguiti. N, infine, pu invocarsi il rpotere dell'A.G.0. di disapplicare l'atto amministrativo perch l'esercizio di tale potere .presuppone l'illegittimit dell'atto, ci che nella specie assolutamente da escludere, dovendosi negare il potere del, J.'A.G.O. di sindacare l'assetto degli interessi che fAmrninistrazione ritiene di dover dare, nelil'interesse pubblico, ad un rapporto anche privatistico. Quanto osservato non esclude, ovv+iamente, che '1'interesse del contraente privato aLIJa riduzione della penalle non possa trovare -in caso di manifesta eccessivit una sua tute1a. Ma tale tute1a va riservata al giudice degili interessi, venendo in considerazione e in conflitto con l'interesse delfa PA. al mantenimento del }'assetto degli interessi da essa predisposto (interesse di natura certamente 'pubblica). A. R. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 448 orientamento (gi tracciato con la sentenza della Sezione III n. 699 del 1965), ha enunciato il seguente principio di diritto: La norma dell'art. 1384 e.e., che prevede la riduzione della penale manifestamente eccessiva, avuto riguardo all'interesse (economico) che il creditore aveva all'adempimento, si applica anche nella ipotesi in cui la penale medesima stabilita a favore della p.a. in forza di clausola del capitolato generale allegato al contratto. Il suddetto art. 1384 e.e., che ha carattere di norma inderogabile, prevale, importandone la disapplicazione, sulla norma secondaria del capitolato, che impone la rigida applicazione della multa, la quale, per effetto della eterointegrazione del contratto, acquista per il soggetto cui viene imposta normat~vamente qualificazione (anche) negoziale, legittimando il giudice ad operare rispetto alla clausola stessa in tale sua configurazione negoziale (non venendo in considerazione per effetto della disapplicazione la norma regol~mentare di segno contrario) la valutazione dell'interesse stesso in termini esclusivamente patrimoniali; e senza quindi che rilevi in alcun modo l'interesse pubblico in cui si coordinano gli ulteriori scopi mediamente perseguiti attraverso il conseguimento della prestazione restando di conseguenza esclusa la violazione degli artt. 4 e 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248 all. E. Per le ragioni che qui di seguito verranno a esporsi, queste Sezioni Unite sono dell'avviso che la soluzione favorevole all'applicab11it dell'art. 1384 e.e. debba senz'altro prevalere sulla tesi contraria, che, a ben riflettere, priva di fondamento, 5. -Al ;fine di circoscrivere l'area del contrasto giurisprudenziale e di centrare cos l'indagine sul punto in cui le due tesi divergono, conviene subito richiamare l'attenzione su quei dati che, anche per l'indirizzo opposto a quello qui accolto, non sono di ostacolo all'applicabilit del- l'art. 1384 e.e. nei rapporti contrattuali con la p.a. Non osta anzitutto il fatto che tale n01:ma, compresa fra le disposizioni del titolo II (libro IV del cod. civ.), sia priva di specifici riferimenti a un determinato tipo di contratto (nella specie: somministrazione), poich tutti i contratti... sono sotoposti alle norme generali contenute in questo titolo (art. 1323 e.e.); n conta che i contraenti abbiano omesso di richiamarla, poich il contratto obbliga le parti non solo a quanto nel medesimo espresso, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge (art. 1374 e.e.). Neanche in s di ostacolo la personalit-giuridica pubblica di uno dei contraenti, poich la speciale normativa che regola taluni aspetti antecedenti e susseguenti .al sorgere del vinculum iuris (come l formazione della volont dell'ente pubblico, la scelta del privato contraente, la stipulazione e l'approvazione del contratto) non esclude che, a parte la deroga dello ius singulare e per quant'altro attiene alla vicenda contrattuale (esistenza, PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE validit, efficacia, interpretazione ed esecuzione del negozio), ogni questione ricada sotto il dominio del diritto comune. N una norma di legge, come l'art. 1384 e.e., pu essere validamente derogata da una norma regolamentare, atteso il ruolo subordinato che questa occupa rispetto a quella nella gerarchia delle fonti del diritto (art. 1 e 4 disp. prel. e.e.). Se poi si considera il carattere cogente dell'art. 1384 e.e. -quale norma dettatft a salvaguardia non solo dell'interesse particolare del debitore, ma anche e soprattutto dell'interesse generale, al cui servizio si pone il potere equitativo affidato al giudice per impedire sconfinamenti dell'autonomia contrattuale oltre certi limiti di equilibrio - chiaro che n ab externo, attraverso l'esercizio della potest regolamentare dell'amministrazione (art. 4 disp. prel. cit.), n ab interno, nello svolgimento .dell'autonomia contrattuale delle parti (art. 1322 e.e.), si pu giungere al risultato di rendere dispositiva una norma che imperativa. Onde le condizioni generali d'oneri non possono comportare decadenza dalla azione giudiziaria di reductio ad aequitatem delle penali manifestamente eccessive, giacch esse, come fonti normative non aventi forza di legge, dovrebbero essere disapplicate se la comminassero, introducendo una non consentita restrizione alla funzione equitativa affidata al giudice dall'art. 1384 . Cos testualmente la sentenza n. 2766 del 1969, seguita dalla n. 419 del 1974, che, ci malgrado, hanno escluso l'applicabilit delrart. 1384 nei rapporti contrattuali con la pubblica amministrazione. E l'hanno esclusa sotto il riflesso che il giudice, dovendo esercitare il suo potere equitativo con riferimento all'interesse del creditore, non pu svolgere una siffatta indagine in seno a un contratto posto in essere dalla p.a. per l'attuazione dei suoi firii pubblici, .poich ci si risolverebbe in una valutazione dell'uso del potere discrezionale... ed in un sindacato di merito del capitolato generale che stabilisce le multe, cio in un sindacato di merito di un atto amministrativo, non consentito dall'art. 5 legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E (v. sentenza n. 2766 del 1969). Starebbe in ci, dunque, l'unico ostacolo -per cos dire formale e indiretto -che impedisce al giudice l'esercizio della sua funzione equitativa: egli infatti non potrebbe sovrapporre la sua volont a quella che la p.a. ha gi espresso quando ha affidato al contratto la tutela del proprio interesse (per l'attuazione dei suoi fini pubblic). Il che quanto dire -invertendo i termini del rapporto -che in presenza di un soggetto particolarmente qualificato per la superiorit degli scopi perseguiti, come l'ente pubblico, la valutazione unilaterale che questi abbia fatto del suo interesse contrattuale si sovrappone insindacabilmente alla diversa e pur imparziale valutazione che il giudice possa farne nell'esercizio del potere correttivo a lui conferito ,dalla legge (quale organo super partes e senza restrizioni a parte obiecti o a parte subiecti). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 450 Assunto, code,sto, che potrebbe essere condiviso solo a patto di .postulare: per un verso, la subordinazione di un contraente (soggetto privato) al potere poziore dell'altro (ente pubblico), con la conseguenza di una tutela contrattuale sbilanciata dalla parte di quest'ultimo anche nel settore di pertinenza del diritto comune; per altro verso la riserva al contraente favorito (p.a.) di una posizione di immunit rispetto ai poteri decisori del giudice, che sarebbe libero quindi di esercitarli a carico di una parte (privata) ma non dell'altra (pubblica). Il che -per quanto ora si dir -non sostenibile. 6. - noto cbe la pubblica amministrazione gode di poteri di supremazia nei confronti dei consociati e di una posizfone di (relativa) indipendenza dalla funzione giudiziaria (ex artt. 2, 4 e 5 legge n. 2248 del 1865, all. E) allorch agisce iure imperii, -cio nell'esercizio di quelle potest di diritto pubblico che, non sulla base dl consenso altrui, ma in forza dell'autorit propria, le permettono di raggiungere in modo diretto e immediato le sue finalit istituzionali. Ci non toglie che essa, al pari di ogni altro soggetto dell'ordinamento, possa entrare in rapporto con i terzi agendo iure privatorum, cio nell'esercizio della comune capacit di diritto privato di cui tipica espressione l'autonomia contrattuale (art. 1322 e.e.), che trova o rende uguali i soggetti che dell'accordo si avvalgono per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale (art. 1321 e.e.). Si capisce che anche in questo campo gli scopi della p.a., appunto perch suoi, non possono essere che pubblici; ma appunto perch perseguiti sulla base di un accordo e non in forza di un atto di autorit, sono pubblici solo in senso mediato e indiretto: ci perch, dovendosi realizzare per il tramite di . un contratto di diritto privato, che offre una tutela paritaria e non privilegiata rispetto all'altro contraente, quegli scopi non rilevano n sori.o protetti in quanto propri dall'ente pubblico, ma solo se e nella misura in cui lo consente il regolamento negoziale prescelto dalle parti per la composizione degli opposti interes~i. Questa fondamentale distinzione, fra amministrazione-autorit (che agisce iure imperii) e amministrazione-contraente (che agisce iure privatorum), indicativa del diverso statuto giuridico che fa capo all'una o alraltra delle due sfere di attivit: dominate, rispettivamente, dal regime pubblicistico dell'atto amministrativo (ex art. 4 e 5 legge del 1865, cit.) e dalla disciplina privatistica del contratto (ex art. 1321 e seg. e.e.). precisamente questo il dato da cui occorre procedere e sul quale occorre soffermarsi per inquadrare nei suoi giusti termini il problema che qui interessa. Quando la pubblica amministrazione, o perch non vuole o perch non pu avvalersi della potest di imperio per la realizzazione diretta e immediata delle sue finalit istituzionali, queste persegue, ma in PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE via indiretta e mediata, attraverso l'esercizio della sua capacit di diritto privato (per. es.: acquista un terreno invece di espropriarlo o di occuparlo; prende in locazione un immobile invece di requisirlo; commette in appalto un'opera invece di eseguirla in proprio, etc.), la scelta dello strumento contrattuale in luogo di quello autoritario la pone in una situazione giuridica del tutto diversa: sia di fronte ai privati, sia di fronte al giudice. Con tale scelta, infatti, la p.a. viene a collocarsi in una posizione di uguaglianza rispetto al soggetto col quale contratta, accettando per ci stesso di assoggettarsi alle regole di diritto comune, come a ogn'altra conseguenza -favorevole o svantaggiosa -che da queste regole e da quella posizione deriva nei suoi confronti. E ci senza che il giudice ordinario, chiamato a dirimere la controversia eventualmente insorta col privato contraente, incontri limiti alf'esercizio della sua potest giurisdizionale o debba subordinare la sua pronuncia a una tutela preferenziale dell'ente pubblico. Pertanto, una volta che l'interesse della p.a. stato affidato al contratto di diritto privato, che postula la cooperazione dell'altro contraente su un piano di parit formale, soltanto su questo piano e sul metro di questo contratto che quell'interesse pu e deve essere giudizialmente misurato: al fine appunto di stabilire, nel quadro dell'invocata tutela negoziale, se sia fondata o meno (nell'an e nel quantum) la pretesa che la creditrice amministrazione ricollega al fatt<;> che l'altra parte non ha eseguito la prestazione promessa o l'ha eseguita tardivamente Una siffatta pretesa potr avere per oggetto la risoluzione del contratto per inadempimento (art. 1453 e.e.) o la risoluzione di diritto per l'inutile scadenza del termine essenziale (art. 1457 e.e.) o il pagamento della penale pattuita per il caso di manato o ritardato adempimento (art. 1382 e.e.) e che pu essere equamente diminuita dal giudice (art. 1384 e.e.): certo che quest'ultimo, in tanto potr pronunciare sull'una o sull'altra delle su indicate istnze, in quanto non gli sia inibita proprio quell'indagine di fatto che la legge gli impone di svolgere in merito. Si tratta precisamente di accertare, e con riferimento a tutti e tre i casi ora ipotizzati, l'interesse che aveva il creditore all'esatto adempimento della prestazione mancata o ritardata. Infatti: nel primo caso il contratto non si pu risolvere se l'adempimento di una delle parti ha scarsa importanza, avuto riguardo all'interesse dell'altra (art. 1455 e.e.); nel secondo 'caso il contratto s'intende risoluto solo se,il termine fissato per la prestazione di una delle parti deve considerarsi essenziale nell'interesse dell'altra (art. 1457 e.e.); nel terzo caso -del quale qui specificamente si discute -la penale pu essere diminuita equamente dal giudice se il suo ammontare manifestamente eccessivo, avuto sempre riguardo all'interesse che il creditore aveva all'adempimento (art. 1384 e.e.). RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 452 Orbene, questo interesse -la cui valutazione rimessa al giudice ed indispensabile per risolvere la controversia -deve essere riguardato esclusivamente dal punto di vista contrattuale e oggetfivo. Contrattuale in quanto interno e non esterno al contratto, il quale non pu tutelare altri interessi fuor di quelli che ineriscono alla sua struttura e alla sua funzione, concretandone la causa (cfr. artt. 1321, 1325, 1372, e.e.): per cui se, con l'attesa prestazione, taluna delle parti -soggetto privato o ente pubblico -intendeva perseguire scopi estranei o ulteriori o indiretti rispetto al contenuto del negozio posto in essere, di codesti fini, che trascendono il mezzo tecnico prescelto, non si pu n si deve tener conto. L'interesse, oltre che contrattuale, deve essere poi oggettivo , nel senso che l'esistenza e l'importanza di esso si giudicano dalla intrinseca natura dell'affare o dall'indole stessa della prestazione o, comunque, dalla co~une volont delle parti quale risulta oggettivata nelle clausole contrattuali; non rileva quindi la mera considerazione soggettiva che, al di fuori di un diretto e controllabile aggancio alla realt negoziale, il singolo contraente -privato o p.a. -ritenga di poter fare del suo interesse. Il quale, in definitiva, atteso il carattere patrimoniale del contratto (art. 1321 e.e.) e della prestazione che ne forma oggetto (art. 1174 e.e.), va commisurato al valore economico dell'attesa prestazione e al disvalore che la sua mancanza produce nel patrimonio del deluso creditore. Onde, a seconda che costui possa o no procurarsi aliunde il bene. promesso, la lesione dell'id quod interest si concreter ~ispettivamente nel maggior costo della prestazione vicaria o nelle conseguenze economiche negative della prestazione mancata: senza per che, nell'un caso o nell'altro, il creditore possa vantare e il giudice debba accertare l'esistenza di scopi eccedenti o ulteriori rispetto a quelli riconducibili alla nozione di interesse nel senso contrattuale, oggettivo ed economico , come innanzi precisato. Se questo e non altro, dunque l'interesse che deve essere apprezzato dal giudice per stabilire se l'ammontare della penale manifestamente eccessivo (art. 1384 e.e.), non si vede come una tale indagine possa essere impedita dal fatto che il creditore sia un ente pubblico. Dire che la pronuncia del giudice verrebbe in tal caso a coinvolgere o pregiudicare le finalit pubblicistiche perseguite dall'ente, proposizione della cui inesattezza, dopo quanto si esposto, non pu dubitarsi: si gi visto, infatti, che l'uso dello strumento contrattuale rende mediate e indirette quelle finalit, mentre l'interesse pubblico che ad esse si riconnette del tutto diverso e non coincidente con l'interesse contrattuale nel senso sopra chiarito. Non senza soggiungere che, a voler differenziare e salvaguardare la posizione contrattuale della p.a. in grazia di quell'interesse pubblico che sempre essa ha di mira (pur se in via mediata e indiretta), mai allora sarebbe possibile configuare un'attivit PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE di diritto privato dll'ente pubblico, n mai vi sarebbe una uguale dignit degli interessi in conflitto davanti al giudice ordinario (cfr. sul punto, in motivazione, S.U. n. 1169 del 1973). Parimenti errata si rivela l'affermazione secondo cui il giudizio espresso dal magistrato, intorno all'ammontare (eccessivo o meno) della penale, verrebbe a invadere il campo della discrezionalit amministrativa. Se con ci si intende dire che il magistrato non pu ridurre la misura di una penale gi determinata dalla p.a. in una disposizione del capitolato generale, in quanto l'esercizio del potere giudiziale sarebbe: a) da un lato precluso dalla forza normativa di tale disposizione; b) dall'altro incompatibile 'con la scelta discrezionale da cui essa trae origine, agevole replicare che, in realt, non sussiste n l'uno n l'altro dei due prospettati ostacoli. Non il primo (sub a) perch il contrasto fra una norma di legge, per di pi inderogabile (come l'art. 1384 e.e.), e una norma regolamentare di segno contrario (come quella contenuta nel capitolato) si risolve con la prevalenza di quella su questa e non viceversa (artt. 1 e 4 disp. prel.); onde una disposizione eventualmente preclusiva del potere riduttivo concesso al giudice sarebbe senz'altro da disapplicare, in quanto non conforme alla legge (art. 5 legge n. 2248 del 1865, cit.). Rimosso il primo ostacolo, cade anche ilsecondo (sub b), poich la scelta discrezionale sulla cui base l'autorit ha fissato nel capitolato l'ammontare della penale, in via astratta e generale, non viene rimessa in discussione n tanto meno intaccata dalla pronuncia del giudice. Questo infatti -senza esercitare alcun sindacato di merito sulla disposizione regolamentare, che in quanto tale non forma oggetto di revoca o di modifica, ma di semplice disapplica" zione per la parte contrastante con l'art. 1384 e.e. -si limita a statuire se nel caso concreto, e solo nel caso concreto, l'ammontare della penale .prevista dalla clausola corrispondente alla norma del capitolato (recepita o richiamata nel negozio) sia o no manifestamente eccessivo, avuto sempre riguardo all'interesse che il creditore aveva all'adempimento (art. 1384): interesse che, ovviamente, non sempre il medesimo, prestandosi a una differente valutazione secondo le mutevoli circostanze del caso. Oggetto dell'indagine giudiziale, dunque, non la norma regolamentare in quanto tale ma in quanto inserita nel singolo rapporto per cui causa, ossia la clausola contrattuale corrispondente. E poich l'altro termine di confronto l'interesse df'.l creditore all'adempimento, che -giova ancora ribadirlo -va inteso in senso contrattuale, oggettivo, economico e non gi con riferimento all'interesse pubblico sotteso alla formazione del capitolato, o mediamente perseguito a mezzo del negozio, non v' nulla da cui possa dedursi che il giudice, nello svolgere l'indagine e nell'emettere la pronuncia di cui all'art. 1384 e.e., venga a invadere il campo riservato alla discrezionalit amministrativa. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Se poi si vuole sostenere che, cos operando, il magistrato finisce col sostituire la sua volont a quella che fu espressa dalla p.a. nello stipulare il contratto, la fragilit dell'assunto risulta ancora pi evidente. E sotto molteplici aspetti. Si deve in primo luogo osservare, tenendo presente la gi sottolineata distinzione fra amministrazione autorit (che agisce iure imperii) e amministrazione contraente (che agisce iure privatorum), che i limiti posti al giudice ordinario nei confronti di quella non valgono nei confronti di questa: per cui, se la volont espressa m un atto amministrativo non .pu essere modificata dall'a.g.o. (ex art. 4 legge n. 2248 del 1865, cit.), lo stesso divieto non si estende al contratto di diritto privato, che interamente regolato -salvo speciali deroghe -dalla legge comune. inoltre da osservare che, attesa la posizione di formale parit in cui si trovano i due contraenti {soggetto privato ed ente pubblico) e considerata la sintesi negoziale cui d luogo T'accordo delle parti (artt. 1321 e 1325, n. 1, e.e.), non vi una volont dell'un contraente che emerga o prevalga su quella dell'altra, . ma la comune intenzione di entrambi (arg. ex artt. 1321 e 1362 e.e.): il che significa che il giudice, quando riduce la penale convenuta nel contratto, non modifica la volont della (contraente) amministrazione pi di quanto non modifichi la concorde volont del contraente privato, l'una e l'altro essendo ormai fuse e indistinguibili nell'unit della clausola contrattuale. Ed appunto sul contenuto di questa clausola -espressione di' una volont comune, non della sola amministrazione -che si esercita il potere equitativo previsto con norma inderogabile dall'art. 1384 e.e.; il cui scopo -come si detto - di consentire al giudice, a tutela di un interesse generale e anche contro l'accordo delle parti, la possibilit di rivedere la misura della pattuita penale, rivalutarla nel contesto della singola vicenda contrattuale, confrntarla con l'interesse .leso e, se appare manifestamente ecessiva, ridurne l'ammontare per riportarla ad equit. Solo cos si pu mitigare l'asprezza di una pena privata che, se applicata nella sua totalit, condurrebbe a sconfinamenti dell'autonomia contrattuale oltre certi limiti di equilibrio: limiti che la coscienza sociale, di cui il giudice si fa interprete e tutore, richiede invece siano salvaguardati mediante l'uso di quello strumento correttivo all'uopo predisposto dalla legge (art. -1384 e.e.). Strumento senza dubbio eccezionale, dato che la regola la non modificabilit dei patti ope iudicis; ma nei pur rari casi in cui la legge lo prevede, conferendo al magistrato un potere d'intervento sostitutivo o modificativo della volont contrattuale (come nel caso appunto dell'art. 1384; cfr. anche l'art. 1526, comma 2, e.e.), l'esercizio di un tale potere non condizionato ratione subiecti, n incontra altre limitazioni fuor -di quelle stabilite dalla ni:>rma che lo legittima. E si visto che il principio di parit, su cui si fonda la disciplina giurisprivatistica del contratto, PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE non annette rilevanza alla qualit soggettiva (privata o pubblica) del contraente che invoca o subisce il rimedio; onde l'art. 1384 e.e., come applicabile nei confronti dell'uno (soggetto privato), cos lo nei confronti dell'altro (ente pubblico). 7. -Dopo quanto si esposto per dimostrare che nessuno ostacolo si oppone all'applicabilit dell'art. 1384 e.e. nei rapporti contrattuali con la p.a., occorre ora darsi carico nei contrari rilievi che sono stati avanzati dalla difesa erariale nella memoria illustrativa del ricorso. Ma si tratta di rilievi che, gi alla stregua delle considerazioni che precedono e con l'aggiunta di quelle che seguono, riesce agevole confutare, siccome infondati o inconferenti. A) Cos, anzitutto, a dirsi dell'obiezione secondo la quale la p.a. non pu, assumere impegni o concludere contratti se non nei modi e nelle forme stabilite dalla legge e dai regolamenti: ci infatti attiene ai presupposti di esistenza e validit del vinculum iuris che l'ente pubblico viene a stringere col privato contraente, ma la cosa non spiega alcuna influenza sul problema del -quale si discute. chiaro che se ricorre una causa 'di invalidit (sia essa prevista dal codice civile o dalle speciali norme che regolano la formazione e la dichiarazione della volont dell'ente pubblico), il problema non sorge neppure, poich il giudice, anche in una controversia fra due soggetti privati, in tanto pu esercitare il potere di riduzione della penale (ex art. 1384) in quanto il contratto che la contiene sia giuridicamente valido ed efficace, solo un tal negozio essendo suscettibile di quella riduzione equitativa ape iudicis che, altrimenti, non ha modo di esplicarsi nei confronti di un contratto (che deve essere dichiarato) nullo e, come tale, improduttivo di qualsiasi effetto. B) Cos pure a dirsi dell'obiezione secondo cui, dovendo la p.a. far presente a quali penali la controparte andra incontro in caso di mancato o tardivo adempimento, giusto e doveroso che. lo faccia in inodo predeterminato con caratteri di generalit e di uguaglianza... senza lasciare spazio a trattative specifiche su un punto cos delicato: affermazione senz'altro accettabile, ma del tutto irrilevante. Non s dubita invero del potere che spetta alla p.a. di predeterminare nei suoi capitolati le condizioni generali di contratto e di imporle a chi vi aderisce senza poterla discutere; n si dubita della validit di tali condizioni, compresa quella che prevede la misura della penale. Si appena ricordato, anzi, che la validit della relativa clausola -corrispondente alla no:rma del capitolato - proprio il presupposto in forza del quale si rende in pratica possibile la riduzione ape iudicis (ex art. 1384 e.e.). Ci per l'appunto postulando un negozio, in s valido e lecito, che la legge lascia al controllo e alla eventuale revisione equitativa del giudice. E si in precedenza chiarito che, quando il magistrato riduce RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 456 la penale, ci egli fa a seguito di una indagine che ha per oggetto diretto e immediato, da un lato, la clausola negoziale (non la corrispondente norma regolarmente), dall'altra le ripercussioni dell'inadempimento sull'interesse economico leso (non quindi su altri interessi); onde la sua pronuncia, legata a una puntuale valutazione delle circostanze che caratterizzano il caso preso in esame (e non tutti gli altri casi possibili), rimane circoscritta al singolo contratto, senza coinvolgere n sindacare la misura della penale quale risulta fissata nel capitolato generale e che sar suscettibile di integrale applicazione quante volte non si riveli manifestamente eccessiva avuto riguardo alle concrete e variabili circostanze del caso. C) Non giova obiettare che il contratto, una volta stipulato, deve essere approvato dall'organo competente perch vincoli la p.a. : infatti, posta la distinzione fra l'atto e l'oggetto del controllo, una cosa il provvedimento amministrativo cli approva, altra il contratto che viene approvato, solo su questo e non su quello incidendo la pronuncia equitativa del giudice. L'atto di approvazione, come non vale a sanare un contratto, se esso viziato, cos non vale a sottrarlo alla correzione ope iudicis quando questa -come nel caso appunto dell'art. 1384 e.e. - ammessa dalla legge. N fondato il rilievo secondo cui l'a,g.o. non potrebbe esercitare un tal potere senza influire sull'attivit tipicamente amministrativa che precede e segue la stipula del contratto stesso, in spregio ai divieti posti dalla legge sull'abolizione del contenzioso amministrativo . Si gi spiegato, invero, che questi divieti non valgono per le controversie sui contratti di diritto privato: riguardo ai quali l'attivit antecedente e susseguente che la p.a. svolge per valutarne da parte sua la regolarit e la convenienza non toglie che l'a.g.o., nell'esercizio della sua potest giurisdizionale e proprio al fine di dirimere la lite insorta fra i due contraenti (ente pubblico e soggetto privato), possa e debba pronunciarsi nelle forme repressive che sono tipiche di questa materia, come per es. annullando il contratto o dichiarandolo invalido o inefficace, qualora esso -malgrado il contrario avviso della p.a. -risulti privo di un elemento essenziale o viziato o contrario alla legge o esorbitante dai limiti posti all'autonomia contrattuale (cfr. nell'ordine gli artt. 1325, 1427 e seg., 1418, 1322 e.e.). E non si vede perch il noto divieto, che in tutti questi casi e in altri consimili -come ammette la stessa difesa erariale -non pu ratione materiae operare, dovrebbe essere di ostacolo, nella medesima materia, ad una pronuncia giudiziale del tipo previsto dall'art. 1384 e.e.: quando il magistrato, in forza di un potere di equit conferitogli espressamente (e sia pure eccezionalmente) dall'ordinamento, legittimato a un intervento sostitutivo o correttivo (anzich repressivo) della volont negoziale, per PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE togliere al contenuto di una clausola, in s valida, quell'eccesso che la rende iniqua. Ma iniqua - bene ribadirlo -in quanto viene giudicata t&le nella sua applicazione al caso concreto e avuto sempre riguardo all'i.nteresse che il creditore aveva all'adempimento del singolo contratto di cui si discute: non, quindi, in quanto venga criticata come condizione generale tipo o come norma regolamentare, dettata per una serie indefinita di contratti e suscettibile di utile applicazione in altre fattispecie. D) La difesa erariale si poi richiamata alla giurisprudenza che esclude l'applicabilit degli artt. 1341 e 1342 e.e. nei confronti dei contratti predisposti dalla p.a. -il cui operato si ispira a finalit di interesse generale -per dedurne che analoga opinione dovrebbe valere anche per l'art. 1384 e.e. attesa l'identit della ratio, consistente a suo avviso nel sottrarre il contraente debole alla sopraffazione del contraente forte, il quale pu profittare di tale sua qualit per imporre all'altro condizioni inique . Ma una analogia che non regge. Scopo degli art. 1341 e 1342 e.e. di attenuare la posizione di vantaggio economico in cui si trova la parte che predispone le condizioni generali di contratto, rispetto al contraente che ad esse aderisce senza discuterle e talora senza conoscerle: per questo il comma 2 dell'art. 1341 (richiamato dal comma 2 dell'art. successivo) stabilisce che in ogni caso non hanno effetto,, se non sono specificamente approvate per iscritto>>, talune condizioni che la legge considera vessatorie, o perch favoriscono la posizione del predisponente o perch aggravano quella dell'aderente. Ora, a parte il duplice rilievo che fra tali condizioni non compresa la clausola penale e che questa grava sul debitore della prestazione, il quale non sempre il contraente pi debole, sta di fatto che la funzione dell'art. 1341 si esaurisce nell'imporre l'onere della specifica approvaziqne scritta: soddisfatto quest'onere, null'altro occorre affinch le condizioni approvate, e fra esse anche il patto pi vessatorio, producano inter partes tutti i loro effetti (art. 1321, 1322, 1372 e.e.), senza che al giudice sia dato in alcun modo di impedirli o correggerli mediante una revisione equitativa del regolamento negoziale. Proprio questa, invece, la funzione che l'art. 1384 e.e. assegna al giudice quando gli conferisce il potere di ridurre la penale manifestamente eccessiva: a nulla rileva che essa sia stata o no predisposta dal contraente pi forte o che venga o no a gravare sul contraente pi debole, perch lo scopo della norma, a parte la tutela del singolo debitore, sta soprattutto nella salvaguardia di quell'interesse generale che, malgrado e contro l'accordo delle parti, esige -come si detto -che non si verifichi uno sconfinamento dell'autonomia contrattuale oltre certi limiti di equilibrio. Ebbene, lo stabilire nel caso concreto se, e di quanto, questa frontiera sia stata oltrepassata forma oggetto di una puntuale indagine di fatto, che rientra nel potere discrezionale del giudice di merito. La cui funzione equitativa, RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO appunto perch a lui affidata quale organo super partes, non pu di certo essere prec;:lusa o impedita dalla qualit soggettiva (pubblica o privata) dell'una o dell'altra delle due parti in causa. E) Dire che, nelle penali dei contratti stipulati dall'Amministrazione, il fine pubblico da questa perseguito fa s che l'elemento di coercizione all'adempimento quanto meno prevalente, se non esclusivo, in ragione di un interesse non meramente patrimoniale -come ancora afferma la ricorrente -non un valido argomento per negare al giudice quel potere di riduzione della penale che la legge gli concede. Non lo sotto il profilo della insindacabilit del fine pubblico, al quale mira (ma in via mediata e indiretta) l'amministrazione contraente, perch non di questo fine -estraneo in s alla causa del contratto -che deve occuparsi il magistrato, la cui i'ndagine verte esclusivamente sul rapporto fra l'ammontare della penale e l'interesse del creditore, inteso nel senso contrattuale oggettivo economico di cui sopra si ampiamente discorso. Non lo neppure sotto il profilo delle scelte discrezionali che l'amministrazione autorit ha adottato nel formulare il capitolato generale contenente la penale, perch questa, venendo in esame pel suo concreto inserimento nello specifico rapporto contrattuale, non perde il suo carattere di pena privata, che, come 'tale, soggetta al controllo equitativo ape iudicis. Non lo infine sotto il profilo della prevalenza che, per un tal genere di penali, dovrebbe riconoscersi alla funzione coercitiva o sanzionatoria rispetto a quella puramente risaritoria, perch ci non toglie che la misura della pena pecuniaria possa ugualmente impingere in quel manifesto eccesso ad evitare il quale sta appunto la norma inderogabile da cui trae fondamento il potere correttivo del giudice. Cad cos l'ultima obiezione che, con la memoria illustrativa del suo ricorso, la difesa dello Stato ha prospettato contro l'applicabilit dell'art. 1384 e.e. nei rapporti contrattuali con la pubblica amministrazione. -(Omissis). I !, 11 . . I SEZIONE QUINTA GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA CONSIGLIO DI STATO, Ad. PI., 20 gennaio 1978, n. 1 -Pres. Uccellatore, Est. Catallozzi -Banco di Roma (avv. Sandulli) c. Prefetto di Salerno (avv. Stato Imponente), Comune di Cuccaro Vetere e Consoli (n.c.) Appello 'avverso ordinanza T.A.R. Campania 20 aprile 1977, n. 1748. Giustizia amministrativa -Ricorso giurisdizionale Giudizio di impugnazione -Estensione dell'impugnabilit alle ordinanze di sospensione Ammissibilit -Sussiste. Giustizia amministrativa . Ricorso giurisdizionale Giudizio di impugnazione . Ordinanze di sospensione . Procedura innanzi al Consiglio di Stato -Rito camerale Necessit. Giustizia amministrativa -Ricorso giurisdizionale -Ordinanza sulla sospensiva -Decisione del Consiglio di Stato in sede di appello -Cessazione degli effetti. Giustizia amministrativa -Ricorso giurisdizionale -Giudizio di impugnazione . Appello avverso ordinanza pronunziata sull'istanza di sospensiva -Termine di 60 giorni -Applicabilit. Giustizia amministrativa Ricorso giurisdizionale Ordinanza di sospensione del provvedimento impugnato -Applicabilit dell'istituto della revocazione Sussiste. Giustizia amministrativa Ricorso giurisdizionale Ordinanza di sospensione del provvedimento impugnato Revoca per fatti sopravvenuti Individuazione dell'organo giurisdizionale competente a pronunciare la revoca. Prefetto -Conferimento d'ufficio di esattoria comunale -Istanza di sospensione del provvedimento -Presupposti per l'accoglimento -Individuazione. Poich l'ordinanza emessa dal Tribunale Amministrativo Regionale in camera di consiglio, che pronunci sull'istanza di sospensione della esecuzione del provvedimento impugnato, riveste natura decisoria in quanto volta a dirimere la lite cautelare con effetti analoghi a quelli della sentenza e con conseguente attribuzione, a favore di una delle parti, di posizioni di vantaggio tutelate dalla legge, non sussistono ragioni valide per escluderne l'appellabilit al Consiglio di Stato ex art. 28, 2 co. L. 6 dicembre 1971, n. 1034 da parte del soggetto soccombente (1). (1-7) Sulla appellabilit delle ordinanze di sospensione dei T.A.R. la Sez. IV con ordinanza 14 giugno 1977, n. 41 aveva ritenuto di dover deferire la relativa questione alla Adunanza Plenaria dopo essersi in precedenza espressa in senso RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 460 richiesta la forma della pronuncia in' camera di consiglio in ordine alle decisioni da parte del Consiglio di Stato sugli appelli avverso le ordinanze con cui il T.A.R. abbi pronunciato sulle istanze di sospensione proposte dai ricorrenti in primo grado (2). La decisione di sospensione del provvedimento impugnato, adottata dal Consiglio di Stato in sede di impugnazione avverso la pronuncia del T.A.R. sulla medesima istanza di sospensione cessa di produrre effetti non appena intervenga la pubblicazione della sentenza che decida il merito in 1 grado, pubblicazione comunque idonea, altres, a far dichiarare la carenza sopravvenuta di interesse del procedimento cautelare che non risulti nel frattempo definito (3). Per la proposizione dell'impugnativa avverso le ordinanze del T.A.R. che pronuncino sulle domande di sospensione del provvedimento impugnato trova applicaztone lo stesso termine di 60 giorni previsto per l'appello avverso le sentenze del T.A.R. (4). Poich l'ordinanza con cui il T.A.R. pronuncia sulla sospensione del provvedimento impugnato ha natura sostanziale di sentenza, nei confronti della stessa trova applicazione l'istituto della revocazione come disciplinato dagli a.rtt. 28, 1 co., L. 6 dicembre 1971, n. 1034 e 395-396 c.p.c. (5). Qualora il mutamento della situazione di fattq, che giustifichi la istanza di revoca del provvedimento adottato sulla domanda di sospensione dell'atto impugnato, sia intervenuto dopo l'inutile decorso del termine per appellare l'ordinanza del T.A.R. che .ha deciso sulla sospensiva, la domanda di revoca di quest'ultima dovr essere presentata al T.A.R., mentre essa andr presentata al Consiglio di Stato qualora il mutamento sia intervenuto dopo che detto organo, adito .in sede di impugnazione dell'ordinanza di sospensiva, si sia pronunciato in sede di appello sulla sospensione medesima (6). I presupposti per l'accoglimento della istanza di sospensiva di un decreto prefettizio di conferimento d'ufficio ad un istituto di credito dell'esattoria comunale in caso di vacanza esattoriale possono individuarsi affermativo con ordinanza 22 aprile 1977, n. 28 (in Il Consiglio di Stato 1977, I, 563), con la quale peraltro la Sezione si era posta in netto contrasto con il diverso orientamento delle Sezz. V e VI (delle quali ricordiamo le decisioni Sez. V, 12 luglio 1974, n. 386, in Il Consiglio di Stato 1974, I, 958; 29 ottobre 1976, n. 1323, ivi, 1976, I, 1060; Sez. VI 14 marzo 1975, n. 107, ivi, 1975, I, 347; 3 giugno 1975, n. 183, ivi, 1975, I, 920). Sull'a:r:gomento in dottrina cfr. JANNOTTA R., Sull'appellabilit del provvedimento del Tribunale Amministrativo Regionale in materia di sospensiva, in Riv. dir. proc. 1975, 160; SATTA F., Sospensione dJel provvedimento im'pugnato e doppio grado di ,giudizio, in Foro It. 1977, III, 233; GARGIULO, Sulla ammissibilit della domanda di sospensione delle decisioni giurisdizionali amministrative, in Foro lt. 1948, III, 183. L'Adunanza Plenaria ha ritenuto impugnabile il provvedimento che decide sulla sospensione per effetto della natura decisoria del medesimo, in rispetto PARIB I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 461 nelle seguenti circostanze: a) non manifesta infondatezza del ricorso; b) sussistenza di danno irreparabile a causa della non risarcibilit delle perdite subite per effetto dell'accoglimento del gravame proposto in prime cure; e) concreta possibilit che l'interesse pubblico alla regolare percezione delle entrate comunali venga idoneamente garantito attraverso la nomina di delegati governativi per l'affidamento consensuale del servizio di esattoria (7). della interpretazione logico-sistematica degM artt. 125, 2 comma, 3, 0 1 comma, 100, 1 comma e 103, 1 comma, della Costituzione e in conformit, altres, al consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui si era in passato ritenuto costantemente che fossero appellabili al Consiglio di Stato le pronunzie delle Giunte Provinciali Amministrative in sede giurisdizionale sulle domande di sospensione (che dovevano essere emanate con decreto motivato ai sensi degli artt. 8 I. 6837/1890; 8 t.u. 639/1907 e 11 t.u. 1058/1924) pur in assenza di una esplicita previsione normativa al riguardo (cfr. d es. Sez. V, 30 aprile 1965, n. 468, in Il Consiglio di Stato 1965, I, 736). CONSIGLIO DI STATO, Ad. Pl., 7 febbraio 1978, n, 4 -Pres. Uccellatore Est. Caianiello -Soc. Otanid (avv. Prosperetti) c. Giunta Regionale Toscana (avv. Stancanelli) e Comitato provinciale caccia di Grosseto (n.c.); Aliano (avv. Troccoli) c. Provveditore agli studi di Bari (avv. Tarin) e Fiore ed altro (n,c.); Ministero pubblica istruzione (avv. Stato Onufrio) c. Pannuti (avv. Bellini) e Baccellini (il.e.) -Appello T.A.R. Toscana 30 luglio 1974, n. 51 e T.A.R. Umbria 22 maggio 1976, n. 103. Ricorsi amministrativi Ricorso gerarchico . Facolt dell'Amministra zione Decisione tardiva Preclusione. Ricorsi amministrativi Ricorso gerarchico Facolt dell'Amministra zione Decisione tardiva Preclusione Relazione con l'art. 24 della Costituzione -Effetti. Atto amministrativo Illegittimit Mancata impugnativa Effetti Ido neit ad incidere sui rapporti giuridici preesistenti Sussiste. Ricorsi amministrativi Ricorso gerarchico Silenzio-rig~tto Provvedi mento emanato dopo la scadenza del termine di 90 giorni Natura Atto confermativo. Ricorsi amministrativi Ricorso gerarchico Silenzio-rigetto Decisione esplicita tardiva Rapporto con il giudizio instaurato avverso il silenzio- rigetto Effetti. Ricorsi amministrativi Ricorso gerarchico Silenzio-rigetto Tardiva decisione di accoglimento Effetti. 462 RASSEGNA DELL'AVVOCATU~ DELLO STATO Ricorsi amministrativi -Ricorso gerarchico -Silenzio-rigetto -Intervento d'ufficio di autorit gerarchicamente sopraordinata -Ammissibilit Sussiste. Ricorsi amministrativi -Ricorso gerarchico -Silenzio-rigetto Termine di 90 giorni ex art. 6 d.P.R. 1199/1971 -Sfera di applicazione -Estensione ai ricorsi in materia scolastica ex art. 11 I. 13 giugno 1969, n. 282' Sussiste -Effetti. In forza del principio generale del ne bis in idem, che esclude la possibilit per l'Amministrazione di tornare sopra una decisione gi emanata, principio applicabile anche ai comportamenti dell'Amministrazione qualificabili come decisioni vere e proprie, resta preclusa la possibilit di emanare decisioni su ricorsi gerarchici dopo la scadenza del termine di 90 giorni di cui all'art. 6 d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199, poich il silenzio mantenuto per detto termine concretizza un vero e proprio rigetto del ricorso, non gi un semplice rifiuto di decisione (1). La circostanza che la scadenza del termine di 90 giorni, previsto dall'art. 6 del d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199 precluda all'Autorit sopraordinata di pronunciare sul merito del ricorso non contrasta con l'art. 24, 1 co., della Costituzione, considerato che quest'ultimo idoneo ad assicurare al cittadino la sola tutela giurisdizionale di legittimit, non gi quella di merito attuabile -nel silenzio della Costituzione -solo nei limiti ritenuti dal legislatore ordinario (2). Fatta eccezione per l'ipotesi di atto emanato da un organo ammini strativo che risulti carente in radice del potere di sacrificare, incidere in un diritto soggettivo, nelle altre ipotesi, malgrado l'atto amministra tivo risulti affetto da uno dei tre vizi di incompetenza, violazione di legge ed eccesso di potere, se non stata proposta tempestiva, rituale impugna zione, esso, ancorch invalido, pur sempre efficace, imperativo e, conse guentemente, idoneo ad incidere sui rapporti giuridici preesistnti (3). Poich da attribuire natura di atto meramente confermativo del rigetto tacito alla decisione su ricorso gerarchico, emanata dalla compe tente autorit amministrativa successivamente alla scadenza del termine di 90 giorni previsto dall'art. 6 d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199, tale (1-8) Decisione esatta e pienamente da condividere, in quanto contribuisce, con ampia e chiara motivazione, ad eliminare -e forse definitivamente ~ molti dubbi sorti .in merito al coordinamento fra l'art. 6 del d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199 e l'art. 20 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034; Sul rapporto .fra ricorso .gerarchico e ricorso giurisdizionale cfr. da ultimo Ad. pl. 27 gennaio 1978, n. 2, in Il Consiglio di Stato 1978, I, 8; Ad. pl. 3, febbraio 1978, n. 3, ivi 1978, I, 141. In dottrina cfr. FAVARA F., Il ricorso ammini strativo dopo la istituzione dei Tribunali regionali amministrativi, in Riv. dir. proc. 1972, 619; MAFFEZZONI, Il ricorso gerarchico come presupposto di quello giurisdizionale e di quello straordinario al Capo dello Stato, in Foro amm.vo 1975, II, 493. PARm I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA sopravvenuta, tardiva pronuncia -in difetto di tempestiva impugnazione avverso il silenzio-rigetto -non consente la riapertura del termine per proporre ricorso giurisdizionale amministrativo, fatta eccezione per l'ipotesi in cui dal contesto della motivazione della decisione esplicita tardiva non risultino lesioni di altre situazioni soggettive, idonee a legittimare una diversa impugnativa a carattere autonomo (4). Ove l'Amministrazione adita con ricorso gerarchico emani una decisione esplicita di rigetto successivamente alla scadenza del termine di 90 giorni previsto dall'art. 6 del d.P.R. 24 novembre 1971, n: 1199, e nel frattempo il soggetto interessato abbia comunque provveduto a proporre ricorso giurisdizionale amministrativo avverso il silenzio-rigetto, non sussiste alcuna esigenza per il privato di proporre anche impugnazione in sede giurisdizionale avverso la pronuncia esplicita di rigetto che resta assorbita non solo dall'oggetto della precedente impugnazione in sede giurisdizionale (oggetto coslitifito pur sempre dall'atto originariamente impugnato con il ricorso gerarchico), ma altres dalla emananda sentenza dell'organo giurisdizionale adito, che si sovrappone al provvedimento tardivo di rigetto; n quest'ultimo idoneo a produrre la cessazione della materia del contendere, la quale, a norma dell'ultimo comma dell'art. 23 della legge n. 1034/1971, si verifica solo se risulti interamente soddisfatto l'interesse del ricorrente dedotto in giudizio (5). Ove l'Amministrazione, adita con ricorso gerarchico, emani una deci . , sione esplicita di accoglimento successivamente alla scadenza del termine di 90 giorni previsto dall'art. 6 del d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199 e nel frattempo il soggetto ricorrente abbia comunque provveduto a proporre ricorso giurisdizionale amministrativo avverso il silenzio-rigetto, la tardiva decisione di accoglimento si risolve in una revoca del silenzio-rigetto e pertanto -in difetto di controinteressati che possano far valere l'illegittimit della stessa decisione tardiva di accoglimento -ben pu essere pronunciata, ex art. 23, ultimo comma, L. 6 dicembre 1971, n. 1034, la cessazione della materia del contendere da parte dell'Organo adito .in sede giurisdizionale avverso il silenzio-rigetto; qualora, invece, vi siano controinteressati, ai medesimi ~ conferita la facolt di proporre, nell'ordinario termine di decadenza, impugnativa in sede giurisdizionale avverso la decisione tardiva di accoglimento, al fine di farne valere l'illegittimit in relazione alla emanazione avvenuta tardivamente e cio dopo la consumazione del potere di reiezione e la conseguente produzione degli effetti del silenzio-~igetto (6). L'autorit sovraordinata, che risulti anche titolare di poteri di intervento d'ufficio e che decida di esercitarli nei limiti e con le forme previste dall'ordinamento, ben pu esplicare tale potere di intervento anche oltre il decorso del termine di 90 giorni previsto dall'art. 6 del D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199, trattandosi di poteri che esulano da quelli attri 464 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO S1ATO buiti dalla disciplina sui ricorsi gerarchici e quindi non potendosi rite nere applicabile ai primi i principi posti per detta disciplina (7). Ai sensi dell'art. 1 del d.P.R. 1199/1971 la disciplina posta da detto testo normativo appare applicabile ad ogni tipo di ricorso amministrativo (gerarchico proprio, improprio o atipico), eccezion fatta -come previsto dal 2 comma di detto art. 1 -per gli atti dei Ministri, di Enti pubblici o di organi collegiali, e pertanto tale disciplina trova applicazione anche alla categoria dei ricorsi previsti dall'art. 11 della legge n. 282 del 1969, che riguardano l'impugnativa dinnanzi alla Commissione provinciale di atti non. definitivi di organ statali (capi di istituto, provveditori agli studi, etc.); ne consegue l'applicabilit a tale categoria di ricorsi anche dell'art. 17 d.P.R. 1199/1971, a norma del quale debbono ritenersi abrogate tutte le disposizioni contrarie al presente decreto e con esso incompatibili , con l'ulteriore effetto dell'abrogazione tacita per incompatibilit della disposizione contenuta nell'art. 11 della citata L. 282/1969 laddove viene previsto il pi breve termine di 30 giorni per la qualificazione del silenzio come rigetto; anche nei confronti della Commissione dei ricorsi presso i provveditorati agli studi dovr applicarsi il termine di 90 giorni, 'previsto dall'art. 6 d.P.R. 1199/1971, decorso il quale il ricorso si inten der respinto (8). CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 10 gennaio 1978, n. 6 -Pres. (ff) Pezzana, Est. Iannelli -Sciacca (avv. Conti) c. I.N.C.I.S. e I.A.C.P. di Roma (avv. Bertuccelli). Giustizia amministrativa Ricorso giurisdizionale Legittimazione passiva Cessione in propriet di alloggi dell'edilizia popolare ed economica Legittimazione passiva dell'I.A.C.P. -Sussiste. Competenza e giurisdizione Controversia relativa al diritto di riscatto di alloggi dell'edilizia popolare ed economica Giurisdizione del1' A.G.O. Sussiste. Sussiste la legittimazione passiva esclusiva dell'l.A.C.P. nei ricorsi re lativi alla materia della cessione in propriet di alloggi dell'edilizia popo lare ed economica costruiti dall'I.N.C.I.S., e ci in quanto l'I.A.C.P. stato costituito destinatario del patrimonio immobiliare ex I.N.C.I.S. (1). I giudizi nei quali si controverte sul diritto al riscatto di un alloggio dell'edilizia popolare ed economica spettano al Giudice Ordinario in quan to sono normativamente predeterminati sia i presupposfi, il prezza, l'oggetto e le modalit per aspirare aila cessione, sia la categoria dei soggetti destinatari della cessione (2). (1-2) Giurisprudenza costante per entrambe le massime. Cfr. ad es., sulla seconda massima, Sez. IV, 30 agosto 1977, n. 751, in Il Consiglio di Stato 1977, I, 1292. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 465 CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 24 gennaio 1978, n. 43 -Pres. (ff.) Pezzana, Est. Scarascia Mugnozza -Russo (avv. Borgiani) c. Ministero Finanze (avv. Stato Azzariti). Impiego pubblico ; Ricevitori del lotto -Applicabilit del t.u. sul pubblico impiego -Sanzioni. Estensione Limiti. Qualora venga irrogata una sanzione disciplinare a carico di un ricevitore del lotto a distanza di oltre quattro anni dalla contestazione dell'addebito, va pronunciata l'illegittimit per eccesso di potere del provvedimento stesso poich la particolare disciplina di cui al R.D. 25 luglio 1940 n. 1077 che regola tale categoria non esclude l'applicabilit alla medesima dei principi dettati dal T.U. 10 gennaio 1957, n. 3 per gli impiegati dello Stato (1). (1) Cfr. in termini, Sez. IV, 20 ottobre 1964, n. 1042, in Il Consiglio di Stato 1964, I, 1696. CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 7 febbraio 1978, n. 72 Pres. (ff.) Pezzana Est. Schinaia Sindaco di Genova (avv.ti Germani, Molle e Romanelli) c. Soc. Torrington (avv.ti Camilli e Minieri), Parodi ed altri (n.c.) Prefetto di Genova ed altri (n.c.). Appello T.A.R. Liguria 23 giugno 1976 n. 209. Comune Organi dell'Amministrazione Sindaco che agisce come ufficiale di governo Equiparabilit -Esclusione Effetti ai fini del patrocinio in giudizio. Requisizione Intervento del Sindaco nella qualit di Ufficiale di Governo Natura sussidiaria del relativo potere Limiti -Effetti. Qualora il Sindaco agisca nella qualit di Ufficiale di Governo, esso non va equiparato ad un organo dell'Amministrazione dello Stato, n ad un dipendente statale in senso tecnico e pertanto non trovano applicazione nei suoi confronti le norme sul patrocinio erariale dell'Avvocatura dello Stato previste dal R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611 (1). (1-2) Nel caso di specie il Sindaco aveva richiesto il patrocinio erariale, che non era stato peraltro accordato non ricorrendo le condizioni che abilitano l'Avvocatura dello Stato ad assumere, eccezionalmente, il ;patrocinio del Sindaco; cosicch il Sindaco di Genova aveva giustamente fatto ricorso al patrocinio di legali del foro libero. 6 466 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Qualora il Sindaco intervenga ex art. 7 L. 20 marzo 1865 n. 2248 all. E per la emanazione di provvedimenti di urgenza con i quali dispone della propriet privata mediante requisizione ad es. di uno stabilimento industriale, egli agisce come Ufficiale di Governo in veste sussidiaria rispetto ai poteri spettanti al Prefetto ex art. 71, 1 co. l. 25 giugno 1865 n. 2359, al quale pu legittimamente sostituirsi solo in presenza di ragioni di urgenza tali da precludere al Prefetto ogni effettiva possibilit di tempestivo intervento, ragioni che non ricorrono quando l'ordinanza di requisizione di uno stabilimento industriale intervenga dopo la messa in liquidazione dello stesso, disposta da lempo con successiva, notoria occupazione degli impianti da parte dei lavoratori minacciati di licenziamento (). Sulla esclusione della qualifica di dipendente in senso tecnico di una Amministrazione dello Stato in capo al Sindaco che eserciti funzioni statali sotto la dire.zione delle autorit superiori dello Stato, anche nella ipotesi in cui, mancando nel Comune un apposito Ufficio di P.S., il Sindaco assuma la qualifica di autorit locale di P.S., cfr. Sez. IV, 5 novembre 1969, n. 668, in Il Consiglio di Stato 1969, I, 2027. Sui limiti del potere di intervento sostitutorio del Sindaco in tema di requisizione cfr. Sez. IV, 25 febbraio 1975, n. 208, ivi, 1975, I, 110; Sez. IV, 19 aprile 1977, n . .405, in questa Rassegna 1977, I, 842. CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 7 marzo 1978, n. 178 -Pres. Aru, Est. Giovannini -Ministero finanze ed altro (avv. Stato Terranova) c. United Seamen's Service (avv. Procaccini) -Appello avverso T.A.R. Campania 30 giugno 1976 n. 523. Giustizia amministrativa -Ricorso giurisdizionale -Proposizione -Legittimazione riservata a tutte le parti costituite nel giudizio di primo grado -Sussiste. Giustizia amministrativa -Ricorso giurisdizionale -Appello -Proposizione Legittimazione autonoma spettante all'Avvocatura dello Stato -Sussiste -Effetti. Concessioni amministrative -Concessioni di beni demaniali -Revoca Congruit della motivazione -Fattispecie. Giustizia amministrativa -Ricorso giurisdizionale -Necessit della corrispondenza fra chiesto e pronunciato -Preclusione alla valutazione di fatti nuovi non dedotti in giudizio Effetti. Fermi i limiti relativi agli interventori ad adiuvandum, tutti gli altri soggetti evocati o intervenuti e comunque ritualmente costituiti sono ti i'fo i: -ISl/r~ PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 467 titolari del potere di adire il giudice di impugnazione avverso la decisione sfavorevole di 1 grado, ivi compresa l'Amministrazione, a nulla rilevando che la stessa sia titolare di posizioni soggettive aventi natura di pubbliche potest (1). L'Avvocatura dello Stato, pur non disponendo dell'interesse pubblico sostanziale dedotto in giudizio, peraltro titolare di una posizione di piena autonomia e indipendenza in ordine alle decisioni sulla condotta della causa e pertanto ben pu proporre appello avverso una decisione di primo grado degli organi della giurisdizione amministrativa, fatta salva la preclusione all'adozione di iniziative processuali destinate ad incidere su interessi politico-amministrativi di particolare momento, la cui valutazione resta di esclusiva spettanza del Presidente del Consiglio (2). Legittimamente pu essere revocata la concessione dell'uso di un immobile demaniale al fine di destinarlo a sede di un distaccamento di vigili del fuoco, qualora detta iniziativa di revoca risulti adottata dopo aver effettuato accertamenti in loco e ponderate valutazioni, che abbiano indotto a ritenere non contrastanti con il provvedimento concessorio il diverso uso del bene (3). Il Giudice, per effetto della regola della necessaria corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato, ben pu basare la propria decisione su un iter logico-giuridic9 diverso da quello prospettato dal ricorrente, pur se compreso -nei giudizi di legittimit -nell'ambito delle norme invocate da quest'ultimo, essendogli solo precluso di superare il limite in cui la difformit rispetto alla prospettazione del ricorrente si defJba necessariamente ricollegare a fatti nuovi che non risultino ritualmente dedntti (4). (1-4) Decisione esatta e pienamente da condividere; con essa la Sez. IV del Consiglio di Stato, con una motivazione limpida nei principi e dotta nei richiami giurisprudenziali, ribadisce, fra l'altro, l'autonomia e l'indipendenza di cmi. gode l'Avvocatura dello Stato nel decidere la condotta della causa, anche a :proposito della adizione del giudice di appello che costituisce per l'appunto tipico potere di natura difensivo-processuale e che andr pertanto necessariamente ricompreso nell'ambito della suddetta sfera di autonomia e indipendenza decisionale (cfr. Ad. gen. 23 novembre 1%7, n. 1237, in Il Consiglio dli Stato 1967, I, 2349; contra in tema di patrocinio facoltativo, Sez. VI, 15 marzo 1977, n. 243, in questa Rassegna 1977, I, 661, con nota di commento). Sulle limitazioni degli interventori ad adiuvandum cfr. Sez. V, 26 ottobre 1976, n. 1319, in Il Consiglio di Stato 1976, I, 1050; sulla prima massima, in g~ nere, cfr. Sez. V, 20 maggio 1977, n. 461, ivi, 1977, I, 822; Sez. V, 11 marzo 1977, n. 167, ivi, 1977, I, 307. Sugli effetti della applicazione della regola della necessaria corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato cfr. Sez. IV, 5 aprile 1977, n. 335, ivi, 1977, I, 490; Cass. 4 settembre 1974, n. 2412, in Giust. Civ. Mass. 1974, 1091; Cass. 1 febbraio 1974, n. 277, ivi, 1974, 131; Cass. 14 luglio 1971, n. 2300, ivi, 1971, 1253; Cass. 28 marzo 1972, n. 1001; ivi, 1972, 537. RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STAIO 468 CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 21 marzo 1978, n. 235 Pres. (ff.) Pezzana, Est. Caianiello -Comune di Campi Salentino (avv. Sandulli) c. Regione Puglia e altro (n.c.). Appello avverso T.A.R. Puglia, 28 settembre 1975, n. 144. Giustizia amministrativa Ricorso giurisdizionale Ricorso cumulativo Esclusione Condizioni. Giustizia amministrativa Ricorso giurisdizionale Ricorso cumulativo Soggetto destinatario di pi atti emanati contestualmente dallo stesso organo e aventi ad oggetto diverse deliberazioni Ammissibilit del ricorso cumulativo Sussiste. Non pu ritenersi ammissibile il ricorso cumulativo nei casi in cui risultino ricorrere, congiuntamente e contemporaneamente, [e seguenti circostanze; a) ricorrenti in numero maggiore di uno, i quali non risultino destinatari del medesimo atto; b) promanazione degli atti oggetto di impugnativa da Autorit diverse; e) provvedimenti riguardanti rapporti non connessi fra loro (1). Ben pu consentirsi il ricorso cumulativo tutte le volte in cui ci si trovi di fronte ad un soggetto che risulti destinatario di pi atti che siano stati emanati tutti nella stessa data dal medesimo organo e che abbiano per oggetto l'annullamento di deliberazioni diverse per un identicq motivo (2). (12) In tema di ricorso cumulativo cfr. Sez. V, 3 febbraio 1978, n. 176, in Il Consiglio di Stato 1978, I, 235; il T.A.R. del Lazio, II Sez., con la dee. 15 marzo 1978, n. 112, ha ritenuto ammissibile il ricorso cumulativo solo quando diretto contro atti tra loro obiettivamente connessi, laddove, qualora gli atti non risultino connessi, esso ammissibile limitatamente alla parte relativa all'atto contro cui l'impugnativa risulti principalmente ed essenzialmente rivolta (cfr. I Tribunali Amministrativi Regionali 1978, I, 1349): tale insegnamento trova conferma in una dee. della Sez. VI, 30 maggio 1972, n. 272 (dn Il Consiglio di Stato 1972, I, 1144) ed stato ribadito dal T.A.R. della Lombardia nella dee. 1 febbraio 1978, n. 112 (in I T.A.R. 1978, I, 1452). Va dichiarato inammissibile anche il ricorso unitario a mezzo del quale pi ricorrenti intendano far valere interessi autonomi contro una pluralit di atti distinti anche se contenuti in una unica ordinanza e anche se contrassegnati da una identica causa giuridica (cfr. in termini T.A.R. Lazio, II Sz., 25 gennaio 1978, n. 19, ivi, 1978, I, 456; T.AR. Lazio, II Sez., 22 marzo 1978, n. 136, ivi, 1978, I, 1354). CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 21 marzo 1978 n. 236 -Pres. Aru, Est. Lignani -Bernabei (avv.ti Simonetti e Saletti) c. Region Toscana (avv. Predieri) e Comune di Roccastrada (avv. Bernardi). Appello avverso T.A.R. Toscana 15 gennaio 1976 n. 35. Giustizia amministrativa Giudizio di secondo grado -Eccezione di difetto di giurisdizione -Contrasto con la tesi sostenuta in primo grado Preclusione. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 469 Giurisdizione amministrativa Decisione di primo grado Compensazione delle spese in tutto o in parte Discrezionalit Estensione anche al caso di accolta infondatezza di una eccezione di controparte sulla giurisdizione Sussiste. Espropriazione per pubblica utilit Proroga della occupazione di urgenza Area destinata all'edilizia economica e popolare Effetti della dichiarazione ex Iege della indifferibilit e urgenza. Espropriazione per pubblica utilit Proroga della occupazione di urgenza Area destinata all'edilizia economica e popolare Motivazione della proroga con riferimento ad esigenze di perfezionamento della pratica espropriativa Sufficienza. La parte che in primo grado abbia sostenuto la giurisdizione del Giudice adito non pu sollevare in appello ec~ezione di carenza di giurisdizione e pertanto tale eccezione, se proposta, andr dichiarata inammissibile per difetto di interesse (1). Non pu ravvisarsi un vizio della sentenza qualora l'implicito rigetto di una eccezione di difetto di giurisdizione non risulti adeguatamente valutato dal giudice in punto liquidazione delle spese, posto che -ferma l'ampia discrezionalit che caratterizza il potere di compensare in tutto o in parte le spese di causa -la integrale soccombet]za di una parte sussiste per effetto del totale rigetto del ricorso, indipendentemente dalla circostanza che alcune eccezioni avversarie si siano rivelate infondate (2). Il potere di disporre l'occupazione d'urgenza ai sensi dell'art. 71 . della legge 25 giugno 1865 n. 2359 condizionato alla necessit di eseguire opere indifferibili e urgenti (la dichiarazione di indifferibilit e urgenza consegue ope legis all'approvaizone del P.E.E.P.) ed limitato nel tempo (ai sensi della legge del 1865: 2 anni, ai sensi della legge del 1971: 5 anni); entro detto limite l'Autorit gode peraltro di ampia discrezionalit sia nel concedere all'occupante il termine massimo, sia nel fissare prima un termine inferiore salvo. poi raggiungere il termine pi ampio attraverso successive proroghe per le quali non necessaria apposita motivazione posto che le questioni relative alla durata dell'occupazione attengono, beninteso entro i predetti limiti temporali, al merito e non alla legittimit del provvedimento (3). E pienamente legittima la proroga dell'occupazione di urgenza di un'area per realizzare un piano per l'edilizia economica e popolare, che risulti motivata con riferimento alla necessit di perfezionare la pratica espropriativa, e ci indipendentemente dalla circostanza che l'opera risulti (1-4) Le prime due massime confermano anche per il ,giudizio di appello innanzi al Consiglio di Stato principi consol~dati per il giudizio civile (sul procedimento di appello in genere innanzi al Consiglio di Stato cfr. Se\Z. V, 22 aprile 1976, n. 669, in questa Rassegna, 1976, I, 779). 470 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO completamente realizzata, posto che il termine per l'occupazione e la eventuale proroga non vengono fissati solo con riguardo al compimento dell'opera, ma anche ad altri elementi; aggiungasi che la proroga dell'occupazione va conslerata illegittima solo quando, prima della sua emanazione, siano venuti meno i presupposti che avevano giustificato l'originario decreto di occupazione e, in particolare, sia venuto meno l'interesse all'esecuzione delle opere o le stesse non possano pi ritenersi indifferibili e urgenti (4). La Sez. IV con dee. 17 giugno 1975, n. 594 (in Il Consiglio di Stato 1975, I, 729) ebbe gi occasione di precisare che il decreto di proroga della occupazione di urgenza non abbisogna di apposita motivazione. ! .. . I SEZIONE SESTA GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 10 novembre 1976, n. 4125 -Pres. Novelli -Est. Mazzacane -P. M. Serio (conf.) -Soc. Autostrade (avv. Sorrentino) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Vitaliani). Imposte e tasse in genere Obbligazione tributaria -Riserva di legge Fonti secondarie. Imposte e tasse in genere Obbligazione tributaria -Tributo istituito con decreto legge non convertito Disciplina dei rapporti sorti -Successiva emanazione di norme regolamentari -Legittimit. (Cost., art. 77; d.l. 27 agosto 1970, n. 621, art. 29; I. 18 dicembre 1970, n. 1035, articolo unico). L'obbligazione tributaria sorge esclusivamente per effetto della legge quando un determinato soggetto venga a trovarsi con l'oggetto materiale dell'imposta nella relazione d fatto o giuridica prevista dalla legge come presupposto dell'imposizione, anche se per la sua concreta realizzazione siano necessari ulteriori atti (decreto ministeriale) attributi alla competenza della P.A. nella cornice della legge stessa (1). Nel caso che il tributo sia stato istituito con decreto legge non convertito e siano stati successivamente disciplinati ex art. 77 terzo comma della Costituzione i rapporti sorti in base ad esso confermandone la validit (ipotesi dell'art. 29 del d.l. 27 agosto 1970 n. 621 e della legge 18 dicembre 1970, n. 1035), i provvedimenti regolamentari previsti per la concreta realizzazione del tributo possono essere adottati anche dopo la caducazione del decreto legge (2). (Omissis). -La societ ricorrente, con unico motivo, denuncia la violazione dell'articolo unico della legge 18 dicembre 1970, n. 1035; anche in relazione all'art. 77, ultimo comma, della Costituzione. (1-2) Decisione di molto interesse che, sulla base di principi pacifici, apporta ulteriori contributi sul problema delle fonti dell'obbligazione tributaria. ormai pacifico che unica fonte dell'obbligazione tributaria la legge per effetto della quale l'obbligazione nasce al momento dell'avveramento del presupposto, quali che siano le successive vicende del procedimento di accertamento (Cass. 20 marzo 1976, n. 1804, in questa Rassegna, 1976, I, 803 e precedenti ivi richiamati); del pari pacifico che non contrasta con il principio della riserva di legge (relativa) dell'art. 23 Cost. l'attribuzione alla Amministrazione di un limitato potere discrezionale per l'emanazione di fonti secondarie per completare ed attuare il .precetto di legge (v. Relazione Avv. Stato, 1970-75, Il, 516). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 472 Sostiene: l'art. 29 del d.l. n. 621/70 (non convertito in legge) conteneva una previsione di obbligo inidonea di per s a costituire un'obbligazione triutaria perfetta, in quanto le stesse possibilit di adempimento e di sanzione -caratterizzanti l'obbligo giuridico -erano su bordinate al successivo provvedimento ministeriale. Questo, pertanto, non pu essere assimilato -come ha ritenuto la Corte di merito -ad un atto del procedimento di accertamento del tributo, in quanto elemento costitutivo della fattispecie, condizionante l'esistenza o, quanto meno, l'ef I ficacia dell'obbligazione. La normativa di cui alla legge n. 1035/70 non pu essere ritenuta quindi applicabile al caso in esame anche in consi I derazione del carattere eccezionale della disposizione e degli elementi ~ ermeneutici offerti dai lavori parlamentari riguardanti il progetto della legge di conversione (poi non emanati) i quali rendendo palese l'intenzione del legislatore (trasfusa nel successivo decreto convertito) di modificare la norma istitutiva del tributo, introducendo il diritto di rivalsa nei confronti degli utenti (sui quali doveva necessariamente gravare l'onere economico, per evitare che la tassazione si risolvesse in una partita di giro tra lo Stato e le societ concessionarie). L'illegittimit del decreto m_inisteriale -emesso molti mesi dopo la mancata conversione del d.l. n. 621/70 - resa evidente pertanto da pi elementi: caduta la norma istitutiva del tributo non residuavano validi rapporti tributari, onde doveva ritenersi inesistente qualsiasi potest del Ministro in materia; inoltre il potere normativo del Ministro -in quanto attinente ad elementi costitutivi dell'obbligo tributario -aveva fondamento nel d.l. n. 621/70 e pertanto era venuto meno ex tunc con la mancata con- L'interesse specifico della prpnunzia sta nella precisazione che il momento della nascita della obbligazione sempre quello dell'avveramento del presupposto anche quando l'obbligazione non concretamente realizzabile perch dovevano ancora intervenire i provvedimenti regolamentari di attuazione; dal che consegue che l'emanazione delle fonti secondarie, non dando luogo alla nascita dell'obbligazione, non sposta il momento dell'avveramento del presupposto e pu quindi intervenire anche dopo che la norma primaria caducata. Con ci la teoria c.d. costitutiva dell'attivit amministrativa tributaria definitivamente ripudiata, essendosi esclusa la rilevanza costitutiva non solo del procedimento di accertamento ma anche degli atti amministrativi regolamentari con carattere di genericit ed astrattezza. Sul punto specifico della disciplina dei rapporti sorti sulla base di decreto legge non convertito, la successiva sentenza 6 ottobre 1977, n. 4262 (in questa Rassegna, 1978, I, 355), con riferimento aNo stesso d.l. 27 agosto 1970, n. 621, ha precisato che il legislatore ordinario non incontra limiti nella sua valutazione politica e ben pu confermare pienamente Ia validit delle obbligazioni nascenti dalfa norma poi caducata senza con ci arttribuire ultra attivit a;l decreto legge non convertito, appunto perch i rapporti convalidati sono sorti (avveramento del :presupposto) nel tempo in cui la norma non aveva ancora perduto efficacia. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA versione in legge di esso; infine la legge n. 1035/70, salvaguardando gli atti e i provvedimenti adottati, esclude anche testualmente. la sopravvivenza di siffatto potere. La censura infondata. Il problema riproposto in questa sede quello della portata normativa dell'art. unico, primo comma, della legge 18 dicembre 1970, n. 1035 -emanata ai sensi dell'art. i7, ultimo comma, seconda parte, della Costituzione -per il quale sono validi gli atti ed i provvedimenti adottati ed hanno efficacia i rapporti giuridici, compresi quelli tributari, sorti sulla base del decreto legge 27 agosto 1970, n. 621, con esclusione della disposizione contemplata dal secondo comma dell'art. 18 . Esso, in particolare, si risolve nel quesito se il rapporto giuridico tributario concernente il diritto speciale istituito dall'art. 29 del d.l. n. 621/70 a favore dell'erario nella misura del dieci per cento dei pedaggi riscossi dai concessionari di autostrade fosse gi sorto in tutti i suoi lementi, e conservasse quindi efficacia, ai sensi della citata legge n. 1035/70, per il periodo .27 agosto-26 ottobre 1970, durante il quale rimase in vigore il d.l. n. 621/70 successivamente decaduto per mancata conversione in legge, o se, invece, il rapporto giuridico predetto fosse rimasto improduttivo di effetti in quanto l'obbligo tributario doveva ritenersi subordinato, nella previsione dell'art. 29 d.l. n. 621/70, alla emanazione di un apposito decreto ministeriale per stabilire i modi ed i termini per la presentazione della denunzia dell'ammontare lordo dei pedaggi e per il versamento del diritto speciale, ed in quanto tale provvedimento ministeriale non era tempestivamente intervenuto poich adottato il 25 marzo 1971, allorch il termine di vigenza del d.l. n. 621/70 era gi scaduto. Il quesito stato esattamente risolto, dalla Corte del merito, nel primo dei due sensi ora indicati. Il rapporto giuridico di imposta, quale correlazione di obblighi e di diritti fra pi soggetti, sorge quando un determinato soggetto venga a trovarsi con l'oggetto materiale (condizione di cose o avvenimenti oggettivamente considerati) dell'imposta nella relazione (di fatto o giuridica) prevista dalla legge come presupposto della imposizione. In coerenza con tali principi questa Corte ha avuto gi occasione di affermare che il rapporto giuridico tributario si forma nel momento in cui si determina la situazione di fatto che la legge considera genera trice del debito di imposta; in tale momento sorge l'obbligazione tributaria e, a tal fine, sufficiente che la norma istitutiva del tributo ne specifichi la misura, ne identifichi il soggetto passivo e ne stabilisca la data di applicazione (Cass. sent. n. 1315/66; n. 2181/66; n. 1786/65). Nel caso in esame l'art. 29, primo comma, del d.l. 27 agosto n. 621, stabilendo che i concessionari di autostrade sono tenuti a corri 474 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO spondere un diritto speciale pari al dieci per cento dell'ammontare lordo dei pedaggi riscossi aveva determinato compiutamente tutti gli elementi specifici del rapporto giuridico di imposta: la situazione di fatto generatrice del rapporto (riscossione del pedaggio) i soggetti (concessionari di autostrade ed erario), la misura del tributo (dieci per cento dell'ammontare lordo dei pedaggi riscossi); per di pi lo stesso art. 29 nei commi dal terzo al nono, aveva stabilito le sanzioni per le inadempienze, le disposizioni per procedere alla esazione coattiva, l'applicabilit degli interessi moratori. La societ ricorrente, per negare che il rapporto giuridico relativo al tributo de quo fosse sorto fin dal momento della entrata in vigore del d.I. n. 621/70, insiste, come si rileva dalla censura pi sopra riassunta nella tesi, disattesa dalla Corte del merito, secondo cui l'obbligo tributario della corresponsione del diritto speciale doveva ritenersi subordinata, per effetto del secondo comma del citato art. 29 (secondo cui con decreto del Ministrero per le Finanze saranno stabiliti i modi e i termini per la presentazione della denunzia dell'ammontare lordo dei pedaggi e per il versamento del diritto speciale), alla emanazione di un apposito provvedimento ministeriale (che non era tempestivamente intervenuto in quanto adottato solo il 26 marzo 1972). L'assunto infondato. L'obbligazione tributaria sorge validamente, se completa nei suoi elementi, anche quanto per la sua concreta realizzazione siano previsti successivi atti attribuiti alla competenza della P.A. (v. in motiv., Cass. sez. un. 22 giugno 1971, n. 1957): la legge cio pu stabilire che le modalit di attuazione delle disposizioni tributarie siano determinate dall'autorit amministrativa, alla quale pu anche lasciare un certo margine di potere discrezionale. Infatti la concessione di tali poteri alla pubblica amministrazione non conciliabile con il concetto della riserva di legge in materia tributaria (art. 23 Costit.) quando essi; lungi dal costituire possibilit di illimitato arbitrio (ipotesi qui del tutto esclusa per quanto si detto avanti) vengono attribuiti nella cornice della legge stessa e proprio per meglio attuarne la realizzazione e gli scopi. In tale prospettiva va considerato il decreto ministeriale previsto dal 2 comma del citato art. 29. Esso aveva la funzione di determinare le modalit di accertamento, di liquidazione e di esazione del tributo istituito dalla legge; a tale provvedimento era quindi subordinato l'adempimento di una obbligazione gi sorta (in quanto completa, come si detto, nei suoi elementi indispensabili) e non certo la nascita di essa. Le esposte argomentazioni portano a concludere che il rapporto giuridico relativo al tributo de quo, in quanto gi sorto dal momento di entrata in vigore del d.l. n. 621/70, stato esattamente ricondotto, dalla Corte del merito, nella disciplina della I. 28 dicembre 1970, n. I ' ~ ! I I I I i PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1035, per effetto della quale esso ha quindi conservato efficacia durante il periodo di vigenza del d.I. n. 621/70; donde la permanenza dell'obbligo per i concessionari di autostrade del pagamento del tributo con riferimento ai pedaggi riscossi in quel periodo. Per contrastare tali conclusioni la societ concessionaria oppone: a) il decreto ministeriale previsto dall'art. 29 del d.l. 621/70 non fu emanato durante il periodo di vigenza del d.I. predetto ma soltanto il 25 marzo 1971, dopo la caducazione di esso, di guisa che il Ministro aveva esercitato illegittimamente un-potere che pi non gli spettava; b) il d.I. n. 621/70 non prevedeva, per mera svista, come invece il successivo d.l. n. 745/70, il loro diritto di rivalsa a carico degli utenti, con la conseguenza che il diritto speciale, se preteso per il periodo in contestazione, altererebbe il particolare regime di concessione secondo il quale gli introiti sono destinati all'ammortamento dei costi di costruzione. Ci dimostra che la legge n. 1095/70 non ha inteso far riferimento al diritto speciale sui pedaggi autostradali, i quali quindi non debbono ritenersi compresi fra i rapporti giuridici di cui stata conservata l'efficacia. Le predette argomentazioni possono essere facilmente confutate. Sub-a) Il potere del Ministro delle Finanze di stabilire modi e termini per la presentazione della denuncia e per il versamento del diritto spciale, pur non avendo alcuna incidenza, come si detto, sul momento della nascita dal rapporto tributario, si inseriva in questo quale atto esecutivo della norma impositrice. Pertanto, una volta conservato in vita il rapporto tributario, per effetto della legge n. 1035/70, deve ritenersi conservato, quale parte integrante di esso, anche quel potere, per il cui esercizio non era previsto alcun termine preclusivo. Sub-b) esatto che l'esclusione del diritto di rivalsa nel d.I. n. 621/70 stata conseguenza di una mera dimenticanza alla quale si poi riparato con il successivo d.I. n. 745/70. Il rilievo, per, si concreta, e si esaurisce, in un esame critico dei provvedimenti legislativi succedutisi nel tempo. Esso non pu, invece, indurre ad interpretare la legge n. 1035/70 nel senso che, per riparare alla indicata omissione, non abbia inteso conservare efficacia al rapporto tributario concernente il diritto speciale sui pedaggi autostradali. Infatti la formulazione dell'art. unico della legge n. 1035/70 inequivocabile per la determinazione del suo ambito di applicazione. Deve aggiungersi che l'art. unico della legge n. 1035/70 ha espressamente escluso la conservazione dell'efficacia di determinati rapporti, come quello previsto nel secondo comma dell'art. 10 del d.l. n. 621/70 e ci conferma, come esattamente ha rilevato la Corte del merito, che devono considerarsi conservati tutti rapporti non espressamente esclusi. (Omissis). RASSEGNA Dm.L'AVVOCATURA Dfil.LO STATO 476 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 2 febbraio 1978, n. 462 -Pres. Scanzano -Est. Battimelli -P. M. Del Grosso (conf.). -Ministero delle Finanze (avv. Stato Cascino) c. Soc. Gallia. Imposta di ricchezza mobile -Plusvalenza -Permuta -Riferimento al valore del bene permutato Sussiste. (t.u. 29 dicembre 1958, n. 645, artt. 100 e 106; e.e., artt. 2424 e 2425). Si verifica plusvalenza tassabile quando un bene, iscritto in bilancio per il valore corrispondente al suo costo, viene permutato e l'entit della plusvalenza costituita dalla differenza tra il valore iscritto in bilancio (o al suo costo non ammortizzato o riconosciuto ai fini della determinazione del reddito) e il valore normale del bene permutato (1). (Omissis). -Il ricorso -che, sebbene notificato oltre il sessantesimo giorno dalla notificazione della decisione, deve ritenersi tempestivo, a sensi del decreto. ministeriale 24 marzo 1975 sulla proroga dei termini di decadenza in conseguenza del mancato funzionamento degli uffici giudiziari -va riconosciuto fondato. Contrariamente a quanto ritenuto nella decisione impugnata, infatti, si ha realizzo di plusvalenza non solo nel caso in cui un bene immobile sia trasformato in una certa somma di danaro (con esclusione, pertanto, delle ipotesi di permuta senza conguaglio di prezzo), bens in tutti i casi in cui una determinata potenzialit economica, fino a quel momento latente, venga evidenziata mediante una qualsiasi operazione economica dalla quale risulti in modo certo che il bene stesso ha un valore corrispondente al suo costo non ammortizzato o all'ultimo valore riconosciuto ai fini della determinazione del reddito agli effetti dell'imposta di R.M. (1) Decisione esattissima. Sul punto che la plusvalenza non presuppone la percezione di un prezzo, la giurisprudenza ormai pacifica (da ultimo Cass. 16 febbraio 1978, n. 725 in questa Rassegna, 1978, I, 384, e, precedenti ivi citati). Ma interessante la ulteriore considerazione che sul presupposto di eguaglianza dei valori dei beni oggetto della permuta, il valore in comune commercio (e che potr essere quello accertato ai fini dell'imposta di registro) del bene ricevuto in permuta rappresenta il plusvalore rispetto al valore inferiore iscritto in bilancio o riconosciuto ai fini dell'imposta del bene dato in permuta. La permuta cio produce l'effetto del realizzo della ricchezza latente e ne determina la misura. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA Per quanto attiene alle societ indicate nell'art. 2200 del codice civile, infatti, i beni immobili da inscriversi a bilancio ai sensi dell'art. 2424 e.e., sono valutati, per il disposto del successivo art. 2425, su un valore non superiore al loro prezzo di costo, e delle risultanze del bilancio (ivi comprese quelle relative ai beni immobili) si teneva conto (in forza della normativa, qui applicabile, del t.u. n. 645 del 1958) per la tassazione ai fini dell'imposta di R.M.; conseguentemente, l'eventuale maggior valore che i beni potevano acquistare non veniva considerato ai fini della loro tassabilit, costituente esso una forma di ricchezza latente. Detta ricchezza, peraltro, giusta la previsione dell'art. 100 del T.U., una volta concretizzatasi ed esteriorizzatasi, veniva considerata come una plusvalenza realizzata in un determinato momento (a sensi dell'art. 106) . e veniva tassata alla pari di qualsiasi altro reddito. Ci posto, non dubbio che un bene, fino ad un determinato momento valutato in bilancio in base all'originario prezzc;> di costo, se permutato con altro bene, alla pari, dimostra di possede un determinato valore di mercato, presuntivamente equivalente al valore di mercato del bene ricevuto in cambio, e che, di conseguenza, ove questo valore sia superire al prezzo di costo del bene originariamente posseduto, si abbia la manifestazione di una plusvalenza, ossia del realizzarsi, in . concreto, di una ricchezza fino a quel momento latente, con conseguente applicabilit dell'imposta secondo le previsioni del citato art. 100. N a dirsi che in tal caso si verifica una plusvalenza meramente fittizia, in quanto ci che conta, ai fini fiscali, che un determinato bene, fino ad un determinato momento valutato in bilancio per un determinato valore, dimostri in concreto, mediante la sua utilizzazione come mezzo di acquisto di altro bene, di possedere un valore maggiore, effettivamente realizzato. A ci non osta il fatto che nell'art. 100 del t.u. si faccia menzione del realizzo di un prezzo superiore al costo, in quanto la parola prezzo, come gi questa Corte ha avuto in precedenza occasione di chiarire (ved. sentenza n. 1687 del 7 giugno 1974) va illterpretata, in base ad una interpretazione logica di tutta la norma, come sinonimo di valore , per cui le plusvalenze .devono ritenersi tassabili anche nell'ipotesi in cui esse non siano rappresentate da un corrispettivo in danaro; e, d'altronde, una simile interpretazione confort~ta .dalla considerazione che sul punto il t.u. del 1958 non rappresenta altro, in base alla delega legislativa che ne all'origine, che il coordinamento e la ristrutturazione organica della preesistente legislazione in materia, di cui norma fondamentale era quella contenuta nell'art. 20 della legge 5 gennaio 1956, n. l, che prevedeva, come componente del reddito imponibile delle imprese, i maggiori valori dell'attivit delle imprese stesse. -(Omissis). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO I CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 14 marzo 1978, n. 1273 -Pres. Caporaso -Est. Lipari -P. M. Caristo (conf.). Cordeschi (avv. Malorni) c. Ministero delle Finanze (Avv. Stato Bafile). Imposte e tasse in genere -Imposte dirette -Responsabile di imposta Liquidatore di soggetti tassabili in base a bilancio -Natura della responsabilit. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 265). Imposte e tasse in genere -Imposte dirette -Responsabile di imposta . Liquidatore di soggetti tassabili in base a bilancio -Liquidazione di fatto Responsabilit degli amministratori -Sussiste. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 265). Imposte e tasse in genere -Imposte dirette -Responsabile di imposta Liquidatore di soggetti tassabili in base a bilancio -Prova -Presunzioni Ammissibilit. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 265). Imposte e tasse in genere -Imposte dirette -Responsabile di imposta Liquidatore di soggetti tassabili in base a bilancio -Contestazione dell'obbligazione tributaria -Difetto di legittimazione. (t.u. 29 gennaio 195&, n. 645, art. 265). La responsabilit del liquidatore dei soggetti tassabili in base al bilancio nasce ex lege quando si verificano i tre presupposti dell' esistenza di un debito per imposte dirette facente capo alla societ, della esistenza di attivit nel patrimonio sociale in liquidazione, della distrazione di tali attivit a fini diversi dal pagamento delle imposte. Tuttavia, il liquidatore non pu essere considerato un responsabile di imposta obbligato in via sussidiaria al pagamento dell'imposta (della quale risponde soltanto il contribuente) giacch egli risponde a titolo proprio non dell'imposta ma di una obbligazione civile di misura solo oggettivamente corrispondente all'imposta. La responsabilit dei liquidatore non presuppone alcuna colpa ed di carattere obiettivo non ammettendo prova dell'ignoranza del debito tributario (1). La speciale responsabilit ex art. 265 del t.u. delle imposte dirette riferibile oltre che al liquidatore e all'amministratore in carica al momento dello scioglimento della societ quando non si sia provveduto (1-7) Ancora sulla responsabilit personale del liquidatore e dell'amministratore delle persone giuridiche. 1) Dopo le recenti pronunzie 6 luglio 1977, n. 2972 e 2 agosto 1977, n. 3411 (in questa Rassegna 1977, I, 699 con nota cli C. BAFILE, Note sul.la responsabilit PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 479 alla nomina dei liquidatori, anche al liquidatore di fatto, cioe all'am ministratore che, anche in difetto di uno stato formale di liquidazione, abbia compiuto attivit sostanziale di liquidazione. Tale responsablit abbraccia tutti i debiti d imposta del periodo della liquidazione, anche se sono l'effetto di intrapresa di nuove iniziative (2). La prova. dell'esistenza di un attivo soiale pu fondarsi anche su presunzioni, specialmente quando il liquidatore sia stato messo nella condizione di discolparsi e non abbia fornito prove contrarie alle pre sunzioni (3). Il liquidatore che risponde dell'imposta accertata contro la societ che ne il soggetto passivo, non legittimato in proprio per contestare l'obbligazione tributaria, spettando solo alla societ (contribuente) esperire i rimedi ammessi nei modi e nei termini stabiliti per la controversia di imposta alla quale il liquidatore estraneo. Egli legittimato soltanto ad eccepire la carenza del titolo della sua responsabilit, dimostrando I'inesistenza di attivit sociali, ovvero di avere impiegato tutte le attivit per il pagamento delle imposte (4). II CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un. 10 giugno 1978, n. 2927 Pres. Trimarchi Est. Granata -P. M. Berri (conf.). Ministero delle Finanze (Avv. Stato Siconolfi) c. Giulivi (avv. Testa). Imposte e tasse in genere -Competenza e giurisdizione -Imposte dirette Responsabile di imposta -Liquidatore di soggetti tassabili in base a bilancio -Azione di accertamento negativo -Giurisdizione del giudice ordinario. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 201, 208, 210, 265). Imposte e tasse in genere -Imposte dirette -Responsabile di imposta Liquidatore di soggetti tassabili in base a bilancio Liquidazione di fatto -Responsabilit dell'amministratore -Sussiste. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 265). Imposte e tasse in genere -Imposte dirette -Responsabile di imposta . Liquidatore di soggetti tassabili in base a bilancio -Accertamento ro--~della responsabilit Onere della prova. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 265). Poich il li.quida.tore di soggetti tassabili in base a bilancio dichiarato responsabile in proprio non n coobbligato n responsabile dell'im personale del liquidatore e dell'amministratore delle persone giuridiche) la S.C. torna nuovamente sul problema apportandovi ulteriori interessanti chiarimenti. 480 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO posta, ma solo responsabile per fatto proprio del mancato pagamento, la domanda da esso proposta per dimostrare l'inesistenza della sua responsabiit (non l'inesistenza del debito tributario) non una controversia di imposta, soggetta alla disciplina processuale propria di questa, ma una controversia civile devoluta alla giurisdizione ordina ria (5). L'art. 265 del t.u. sulle imposte dirette fa riferimento alla liquidazione intesa in senso sostanziale di dispersione delle attivit sociali. La responsabilit personale colpisce quindi tutti i soggetti che hanno concorso a tale dispersione e cio oltre al liquidatore anche l'amministratore che, pur in difetto di uno stato ,formale di liquidazione, abbia di fatto compiuto attivit sostanziali di liquidazione (6). La responsabilit del' liquidatore, se pure non pu definirsi come sanzione amministrativa ha tuttavia natura sanzionatoria e per questo accertata con provvedimento autoritativo assistito dalla presunzione di legittimit contro la quale il responsabile ha l'onere di assumere l'iniziativa processuale; conseguentemente grava sul soggetto dichiarato responsabile l'onere di provare l'insussistenza dei presupposti di tale responsabilit (7). I (Omissis). -3. Il motivo non giuridicamente fondato. stata affermata nella sentenza che la responsabilit personale dell'amministratore in carica all'atto dello scioglimento, di societ tassabile in base a bilancio per le imposte erariali dovute per il periodo della liquidazione e per quello anteriore non pagate con le attivit della La pronunzia della Sezione semplice si snoda su un ventaglio di questioni, mentre quella delle Sezioni unite (che era stata preceduta da altra analoga decisione in data 3 giugno 1978, n. Z766 di oui si omette la pubblicazione) si incentra, oltre che sulla questione di giurisdizione, sul problema della liquidazione di fatto. Commentando le ,precedenti sentenze avevamo tentato di delineare i diversi aspetti della problematica della responsabilit personale anche in relazione alla normativa vigente, proponendo delle soluzioni che le successive pronunzie hanno in buona parte convalidato. La seconda massima oltre a riaffermare la responsabilit per la liquidazione di fatto, ha riconosciuto che nella speciale responsabilit stabilita dalla norma tributaria va ricompresa anche la responsabilit conseguente all'intrapresa di nuove operazioni; questa responsabilit non diversa da quella ordinaria (art. 2279 e 2449 e.e.), ma quanto ha per oggetto imposte sui redditi prodotti con le nuove operazioni intraprese viene accertata col procedimento amministrativo, oggi regolato dall'art. 36 del d.P.R. n ..602 del 1973. Di molta importanza la quarta massima che chiarisce senza possibilit di dubbio che il soggetto dichiarato responsabile in proprio non legittimato a PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 481 liquidazione, quale risulta disciplinata dall'art. 265 comma 2 del t.u. delle imposte dirette nel 1958 (d.P.R. 29 gennaio 1958 n. 645), ora sostituito dall'art. 36 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (contenente le disposizioni sulla riscossione dele imposte sul reddito). Tale responsabilit -che non ha natura fiscale, n aquiliana da illecito (Cass. 6 luglio 1972 n. 2972), ma nasce ex lege, nei confronti non solo del liquidatore, ma pure qell'amministratore per la condotta tenuta nel corso della fase successiva allo scioglimento, anche iri via di mero fatto, della societ, si correla all'obbligo di accantonare, avendone la disponibilit, le somme necessarie al pagamento delle imposte dovute dalla societ (ancorch siano in contestazione davanti alle commissioni tributarie). E per sottrarsi ad essa il liquidatore (o amministratore) non ha altra scelta, una volta constatato che le attivit sociali non consentono l'accantonamento delle somme necessarie al pagamento di debiti d'imposta ed al pagamento integrale dei creditori sociali, man mano che i rispettivi crediti giungono a scadenza, che la richiesta di fallimento della societ (Cass. 29 ottobre 1974 n. 3259). L'analisi della fattispecie dell'art. 265 porta ad evidenziare tre presupposti della responsabilit scaturente direttamente dalla legge: a) l'esistenza di un debito per imposte dirette, totalmente o parzialmente insoluto, facente capo alla societ (o soggetto tassato in base al bilancio); contestate l'obbligazione tributaria (della persona giuridica) potendo solo eccepire la carenza del titolo della sua responsabilit, ossia l'inesistenza dei presupposti sui quali essa si fonda. appena necessario sottolineare l'importanza della seconda e della sesta massima che riaffermano, in modo da ritenere ormai definitivo, la responsabilit personale dell'amministratore che abbia di fatto eseguito attivit di liquidazione. Non si pu ignorare che nelle singole situazioni non sar facile stabilire se un'attivit formalmente di normale amministrazione possa essere qualificata come di liquidazione {di fatto); ma sono ormai delineati i criteri in base ai quali si dovr procedere. Ci sembra che possa utilmente orientare l'interprt;!te il, criterio da noi proposto che equiparato al liquidatore colui che amministra la persona giuridica al momento in cui, nell'osservanza formale della lgge, si sarebbe dovuto deliberare lo scioglimento e nominare i liquidatori. Di rilievo anche l'affermazione contenuta nellla prima massima che il soggetto chiamato a rispondere personalmente non abilitato a provare l'ignoranza del debito tributario perch (se pure non si voglia giungere ad affermare, con la sentenza, che la responsabilit di tipo obiettivo) si deve presumere che ogni liquidatore sappia che esistono le imposte dirette che gravano annualmente sulla persona giuridica. 2) Fin qui le conforme e il completamento di statuizioni gi espresse o conte nute in embrione nelle precedenti pronuncie. Nuovo invece l'argomento della terza e della settima massima concernenti la prova, problema che assume particolare rilievo nel caso della liquidazione di fatto. 1 111111111r11111r1111:11rrllflfilmt11111;11&11111111111r~1111rriill,ft1111111111111 482 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO b) l'esistenza di attivit nel patrimonio sociale in liquidazione, ovvero, se non sono stati nominati i liquidatori, di attivit nel patrimonio della societ che si sciolta, ape legis od in via di fatto indipendentemente dall'apertura formale dello stato di liquidazione; e) la distrazione da parte del liquidatore (o dell'amministratore) di tali attivit a fini diversi dal pagamento delle imposte dovute. L'art. 265 sancisce la responsabilit dei liquidatori (o amministratori) al pagamento delle imposte dovute dalla societ a prescindere dalla colpa. Il problema, sul quale in precedenza questa Corte si era espressa in senso contrario (cfr. Cass. 952/64, 3021/71, 1484/72 ed anche 3411/77, ma quale obiter dictum) stato affrontato ex novo con recente sentenza (n. 2972 del 1977) pervenendosi alla conclusione che si tratti di responsabilit ex lege e non di responsabilit aquiliana. del tutto pacifico in giurisprudenza che la controversia tra liquidatori e finanza relativa alla sussistenza delll). responsabilit ex art. 265 non controversia di imposta (Cass. 1484/72), trattandosi di responsabilit per fatto proprio che il liquidatore incontra nei riguardi dell'amministrazione finanziaria; pertanto egli non ha veste per adire le commissioni tributarie (Cass. 3021/71), n applicabile in materia il procedimento diretto a determinare l'esistenza e la misura dei presupposti delle obbligazioni tributarie nei confronti del debitore di imposta (Cass. 2259/74). I I I I=~ Sono da condividere ambedue le massime: l'una che riconosce la validit delle presunzioni, l'altra che, sulla premessa dell'accertamento autoritativo della responsabilit con atto amministrativo assistito da presunzione di legittimit, pone l'onere della prova a carico del responsabile che agisce come attore per contestare l'accertamento. Sull'ammissibilit delle presunzioni in generale nel rapporto tributario non pu nascere dubbio (v; Relazione avv. Stato, 1970, 75, II, 546) specie quando il @ soggetto passivo non abbia adempiuto ai doveri formali del procedimento mettendo l'Amministrazione nell'impossibilit di avvalersi dei pi diretti mezzi d fil prova, come nelle ipotesi di dichiarazione o di bilancio incompleti, di irregolare tenuta di scritture contabili ecc. (art. 38-41 d.P.R. n. 600, 1973). Una analoga situazione si verifica quando sia mancato un regolare procedi mento di liqutdazione e si debba accertare se esistono attivit sociali non utilizzate per il pagamento dei tributi ( questo il solo elemento da dimostrare, giacch l'altro presupposto dell'esistenza di debito di imposte sempre dimo/ strabile) e pi ancora nell'espressa ipotesi del quarto comma dell'art. 36 del d.P.R. n. 602/1973 riferita all'occultamento di attivit sociali anche mediante omissione nelle scritture contabili. In queste situazioni il ricorso alle presunzioni incontestabile ed anzi si deve ritenere che nellle ipotesi pi gravi sia con*(:: 1: sentito, in applicazione delle norme sull'accertamento sopra citate, il ricorso presunzioni (utrasemplici) prive del requisito dell'art. 2729 e.e. l! i Riguardo all'onere della prova, senza nemmeno addentrarsi sulla qustione, che potrebbe destare perplessit, della natura sanzionatoria della responsabilit ! ~ ~ ~ 1~ tI f.'' ! PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 483 Unico soggetto passivo dell'imposizione tributaria rimane la societ cui sia l'accertamento, sia l'iscrizione a ruolo si riferiscono. L'obbligo dei liquidatori (o degli amministratori) per il pagamento delle imposte non crea solidariet (in senso opposto si rinvengono isolate e superate affermazioni giurisprudenziali; Cass. 16 luglio 1936 n. 2541; 26 aprile 1938 n. 1420; 12 giugno 1940 n. 1936). Ed infatti la responsabilit non sorge per il mero fatto del mancato pagamento, da parte della societ di debiti di imposta, ma solo se al mancato pagamento si accompagna la distrazione delle attivit della societ, in tutto o in parte dalla finalit di soddisfacimento del debito fiscale. Il liquidatore non pu essere equiparato, pertanto, ad un responsabile di imposta (cos come il cessionario d'azienda). Si deve postulare un rapporto di dipendenza fra l'obbligazione tributaria societaria e quella personale ed autonoma del liquidatore (o amministratore). Ma detta autonomia esclude la solidariet, nonch la sussidiariet. esatto, che dal lato obiettivo la prestazione cui pu essere tenuto il liquidatore (o amministratore) sostanzialmente si identifica con l'ob bligazione tributaria a carico della societ ma l'identificazione dell'oggetto (o, se si vuole, della misura della responsabilit) non si risolve nella identit della fonte e del contenuto. L'imposta si ricollega in capo alla societ come effetto della sussi stenza dei presupposti del tributo. L'avvenuto accertamento del tributo nell'ipotesi dell'art. 265 diventa fatto costitutivo di un diverso obbligo di pagare con l'attivit della liquidazione, salvo a rispondere per il com in discorso, sufficiente considerare che indubbiamente (ed oggi per l'espressa norma dell'atr. 36, 5 comma) un vero e proprio accertamento (in senso tecnico) l'atto con il quale l'Amministrazione dichiara la responsabilit, s che ad esso siouramente riferibiile da regola generate suN'onere della prova a carico dell'attore (o ricorrente) che contesta l'accertamento assistito da presunzione di legittimit, come giurisprudenza costante anche in materia diversa da quella sanzionatoria (v. Relazione avv. Stato, 1970, 75, II, 547). 3) Qualche ulteriore considerazione meritano la prima e la quinta massima. Quest'ultima certamente condizionata dalla questione di giurisdizione, gi pi volte decisa e sulla quale non era ragionevole tornare dopo che il problema stato risolto dal legislatore. Per vero il difetto di giurisdizione dell'A.G.O. riaf fiora sempre ed proprio la sentenza delle Sezioni unite che nell'ultima parte (liettima massima) nel configurare la responsabilit come sanzione accertata dal l'Amministrazione finanziaria con atto autoritativo, riporta la contestazione di questa responsabilit nella controversia d'imposta. Ma della giurisdizione non vogliamo pi discutere; ci interessa invece sot tolineare che l'intenzione di affermare che il liquidatore non un responsabile di imposta strumentale rispetto alla questione di :giurisdizione; e tale preoc cupazione ha influenzato anche la decisione della Sezione semplice, bench abbia affrontato il problema ai fini sostanziali. Oggi, dopo che l'espressa norma del l'art. 36 del d.P.R. n. 602/1973 ha proclamato che la responsabilit dichiarata dall'ufficio con un vero e proprio atto di accertamento contro il quale con RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO portamento omissivo tenuto, nella misura precostituita rappresentata, appunto, dall'ammontare del debito tributario. Quando nel sistema tributario vigente la legge ha voluto porre a carico dei liquidatori, o dei rappresentanti legali della societ, una responsabilit sociale tributaria, li ha dichiarati obbligati per la medesima obbligazione di imposta sulla base del solo presupposto dell'avere rivestito la rappresentanza organica dell'ente. Un argomento testuale a comprova della non ammissibilit del liquidatore, che distrae attivit sociali dal pagamento dei tributi, al coobbligato, si ritrae dall'art. 208 del medesimo t.u. delle imposte dirette il quale, nell'elencare i legittimati ad insorgere contro gli atti dell'esattore, menziona distintamente i coobbligati ed i liquidatori, il che vale a contrapporre appunto agli obbligati solidali coloro che non possono rientrare nella categoria. Nemmeno si potrebbe ritenere giuridicamente corretta la tesi dell'obbligazione solidale sub condicione (di cui alla circolare 3 settembre 1935 n. 4100 del Ministero delle finanze) secondo la quale si ipotizzano due debitori per le imposte dovute dalla societ in liquidazione: l'ente sociale (debitore principale) e il liquidatore, o amministratore, debitore sub condicione. Non si tratta di responsabilit solidale pura e semplice perch non pagando la societ non sorge automaticamente la responsabilit del liquidatore: tale responsabilit, tuttavia, trova nel liquidator~ sentito soltanto il ricorso alla Commissione, il problema pu essere approfondito con maggiore libert. Nell'affermare che il liquidatore (o l'ammintstratore) non un condebitore obbligato in solido (sul che si consente), n un sostituto di imposta (e ci evidente), n un responsabile di imposta obbli:gato in via suss~diaria (su di che nascono perplessit), d'un canto si rileva che presupposto della responsabilit la distrazione delle attivit sociali dalla finalit del soddisfacimento del debito di imposta, dall'altro che non opera a vantaggio del responsabile il beneficium escussionis. Su ambedue questi punti non si pu pienamente consentire. La distrazione non l'elemento pi importante che caratterizza la responsabilit e non nemmeno un elemento necessario (cosicch i presupposti della responsabilit si riducono da tre a due). Nella definizione legislativa la responsabilit presuppone soltanto la esistenza di attivit sociali e l'inadempimento dell'obbligazione tributaria; non si .parla affatto di distrazione (se mai la distrazione premessa necessaria solo per la responsabilit del socio oggi introdotta dall'art. 36). chiaro che se esistono attivit sociali e l'inadempimento permane dopo la liquidazione della societ, ne risulta che queste hanno avuto una qualche destinazione; ma la distrazione una conseguenza di mero fatto non il titolo giuridico della responsabilit. Non occorre infatti verificare se e quale ;destinazione le attivit hanno avuto n l'accertamento dell'ufficio deve motivare sul punto; sufficiente accertare l'esistenza di attivit, quando l'obbligazione tributaria sia rimasta inadempiuta. )jl beneficio di esoossione non espressamente previ:sto n nell'art. 265 n ne11'art. 36, ma oltrech implicito nel si:stema, !imposto dailfa norma relativa PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 485 il suo necessario punto di riferimento e s tratta solo di accertare se si sia verificata la condizione cui l'obbligazione subordinata (e cio la distrazione di attivit esistenti). La tesi viziata in radice giacch postula la capacit del presupposto di imposta di erigersi a fronte di due distinte obbligazioni tributarie a carico dell'ente e del liquidatore; ma un duplice fondamento siffatto mal si concilia sia con la responsabilit posta a carico del liquidatore per le imposte anteriori all'apertura della liquidazione, sia con la stessa dizione dell'art. 265 che avendo riferimento al mancato adempimento dell'obbligo di pagare ricollega chiaramente a tale comportmento omissivo la fonte della personale responsabilit del liquidatore la cui misura dalla legge determinata nel riferimento all'ammontare dei tributi. Il liquidatore risponde dunque a titolo proprio, e la prestazione corrisponde oggettivamente a quella cui sarebbe stata tenuta la societ; ma ci non significa che egli risponde di quello stesso debito di imposta (a titolo proprio di una obbligazione altrui), venendo a verificarsi una situazione di sussidiariet (anche se diversa da quella pi tipica, e non automatica). Non si pu condividere invero il punto di partenza, l'identificazione ontologica fra il debito d imposta ed il titolo della responsabilit ex alla riscossione (art. 201 del t.u. del 1958; art. 46 d.P.R. n. 602/1973) che prevede la notifica dell'avviso di mora al coobbligato, ove per coobbligato si intende non il condebitore (contribuente, che sempre stato parte del procedimento di accertamento ed ha gi ricevuto la notifica della cartella di pagamento) ma colui che, senza essere contribuente, risponde dell'obbligazione di imposta. N vale osservare che l'esecuzione infruttuosa sta solo a dimostrare che mancano beni sociali su cui soddisfare il credito, ma che la relativa prova pu essere raggiunta per altra via; la preventiva notifica della cartella dei paigamenti al contribuente prima di notificare l'avviso di mora al coobbligato una necessit non eludibile e non surrogabile con altra prova dell'insolvibilit dell'obbligato prindpale. Ma si deve aggiungere che la responsabilit personale del liquidatore o dell'amministratore non nemmeno pensabile finch ancora possibile l'adempimento da parte della persona giuridica, diversamente sarebbe incrinato il principio deHa responsabi1it delle societ di capita[f e delle persone giuridiche in genere (al quale le norme in esame apportano una eccezione, ma entro precisi limiti) e particolarmente si presenterebbe in termini ben rpi difficili la responsabilit degli amministratori per la liquidazione di fatto ove essa non avesse come presupposto l'oggettiva impossibilit di adempiere dell'ente amministrato. Del resto tutto il costrutto, sul quale la stessa sentenza si basa (verifica dell'esistenza di crediti di imposta da adempiere, difetto di legittimazione del liquidatore per l'impugnazione del ruolo che spetta invece alla societ, determinazione della misura della responsabilit in relazione all'ammontare delle imposte insolute) presuppone l'iscrizione a ruolo a carico della societ e la relativa escussione. Parallelamente la responsabilit non sembra possa sorgere, per il sol fatto della distrazione, anche se in ipotesi siano reperibili nel prosieguo della liquidazione altre attivit . Al liquidatore non imposto di pagare i debiti tributari 486 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO art. 265 che scaturisce da un comportamento del responsabile sanzionato in una data misura pecuniaria coincidente con l'ammontare del debito di imposta. L'obbligazione sussidiaria si correla al beneficio di scussione e scatta _per il solo fatto dell'esito negativo dell'azione esecutiva diretta nei confronti dall'obbligato principale. Ma la fattispecie dell'art. 265 si ricollega solo alla circostanza che le imposte dovute non siano state pagate, e non subordina il potere dell'amministrazione al previo infrut tuoso esperimento dell'azione esecutiva fiscale, ma alla circostanza della esistenza di attivit non impiegate nella liquidazione. In altre parole il previo esperimento da parte dell'esattre dei necessari atti di esecuzione forzata nei confronti della societ non costituisce un elemento essen ziale della fattispecie dell'art. 265 t.u. ii.dd. L'esecuzione infruttuosa sta a dimostrare incontroveFtibilmente che mancano beni sociali su cui il . fisco possa soddisfare i propri crediti; ma la relativa prova pu essere raggiunta per altra via. Fondamentale la distrazione dei beni (di parte dei beni) ricavati dalla liquidazione; e per ci solo scatta la sanzione dell'art. 265 anche se in ipotesi siano reperibili nel prosieguo della liqui dazione, altre attivit. con assoluta priorit; il. suo dovere di adempiere va verificato al risultato finale, essendo ben consentito (ed in ci il liquidatore ha indubbiamente dei poteri incensurabili) condurre le operazioni secondo il criterio pi opportuno per una pi efficace tutela dell'interesse dei creditori e dei soci. Non pu cio l'Amministrazione dichiarare la responsabilit (magari all'inizio della liquidazione) sol perch accerta che sono stati pagati alcuni crediti diversi da quelli tributari (eventualmente al momento non esigibili), mentre esistono ancora congrue attivit sociali; la responsabilit nasce quando sono state liquidate ,senza soddisfare i debiti tributari non alcune soltanto, ma tutte le attivit sociali e non pi oggettivamente possibile (il che si accerta con il bilancio finale di liquidazione o con la totale liquidazione di fatto) che l'obbligazione tributaria sia adempiuta dal suo debitore. Sarebbe eccessivo chiamare alla responsabilit pernonale il liquidatore o l'amministratore quando non stato ancora constatato l'inadempimento dell'obbHgato prindpale. 4) Dopo queste precisazioni va riconsiderato il problema della sussidiariet. Si afferma nelle sentenze in rassegna che il liquidatore non risponde del l'imposta ma del mancato pagamento di essa e che oggetto della _sua responsa bilit una obbligazione (civile) personale ed autonoma che solo quanto alla misura oggettivamente corrispondente all'obbligazione tributaria della persona giuridica. Nella precedente nota (n. 3) abbiamo tentato di chiarire che il liquidatore ri'IJonde in proprio di un'obbligazione di altro, come risulta per quest'ultimo accertata, s che il credito di imposta conserva anche verso il liquidatore i suoi caratteri tributari, mentre esiste una stretta dipendenza tra obbligazione (prin cipale) della persona giurtdica e obbligazione (sussidiaria) del responsabile. Non sembra che le sentenze ora intervenute abbiano addotto sufficienti ragioni per avvalorare l'opposta conclusione. Qggetto della responsabilit del liquidatore l'imposta, ma non un'imposta propria bens l'imposta della persona giuridica; per questo il liquidatore risponde in ragione del debito come risulta PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 487 La responsabilit legale sancita dall'art. 265 si ricollega alla circostanza che le imposte dovute non siano state pagate nonostante la presenza di attivit distratte ad altri fiBi (ad esempio per essere ripartite fra i soci) e il potere della finanza non resta subordinato al previo infruttuoso esperimento dell'azione esecutiva."" Ove poi la sussidiariet si voglia far dipendere dall'inquadramento del liquidatore (o amministratore) fra i responsabili di imposta la tesi trova la sua confutazione nella negazione di tale qualifica. Pu soggiungersi che il responsabile tenuto, in forza di disposizione di legge, al pagamento dell'imposta insieme con altri per fatti e situazioni esclusivamente riferibili a costoro, avendo diritto ad una rivalsa. Ma nella fattispecie dell'art. 265 la rivalsa non nemmeno ipotizzabile; l'obbligazione a carico del liquidatore non si presenta quale conseguenza ineluttabile del mancato pagamento da parte della societ (obbligata principale) come accade sempre in ogni ipotesi di responsabilit di imposta in senso proprio, e l'interessato pu evitare di incorrervi sul che si uniformi al comportamento che il legislatore gli impone, astenendosi dal distrarre le attivit speciali e preoccupandosi eventualmente di presentare istanza di fallimento. accertato verso il contribuente ed in relazione alle vicende di esso (le variazioni del debito di imposta che pu ridursi o estinguersi ovvero accrescersi si ripercuotono sulla responsabilit del liquidatore). Esiste quindi un rapporto di accessoriet che esclude l'autonomia. Se cos non fosse sarebbe arduo giustificare come (quarta massima) al liquidatore sia precluso ogni potere di contestare il debito e come .per esso faccia stato il definitivo accertamento costituito verso il contribuente. esatto che la fonte della responsabilit del liquidatore diversa da quella dell'obbligazione del contribuente (perch il responsabile non con~ tribuente), ma ci non esclude che oggetto della responsabilit sia l'obbligazione (di altri) per l'imposta, come accade in tutti i casi di responsabilit dell'imposta basata su una fonte (ad esempio cessione di azienda, partecipazione a societ di persona) diversa da quella dell'obbligazione tributaria di cui si responsabili senza essere contribuenti. La S.C. adotta una nozione della sussidiariet che appare eccessivamente limitata. vero che in alcune ipotesi l'obbligazione sussidiaria .scatta per il solo fatto dell'esito negativo dell'escussione del debitore principale, il che non avviene per il liquidatore la cui responsabilit presuppone anche (non la distrazione, come si visto al n. 3) l'esistenza di attivit sociali. Ma si pu ben avere una responsabilit di tipo sussidiario anche se ad integrarla concorre un presup.posto ulteriore; una volta che questo sussista la posizione del liquidatore viene ad essere uguale a quehla degli altri responsabili. Se, come si afferma nella sentenza, il liquidatore non risponde n in solido n in via sussidiaria, si deve concludere che egli risponde in via autonoma ed individualmente, senza cio alcun collegamento con l'obbligazione del contri buente e quindi anche indipendentemente dall'e~cussione; ma non si pu negare la stretta relazione tra l'obbligazione principale tributaria e la responsabilit del liquidatore che oltre a nascere in conseguenza dell'inadempimento della prima, segue le sorti di essa e con essa si identifica nell'oggetto. La responsa :.,~' :.,~' 488 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 4. I liquidatori (o gli amministratori) rispondono a titolo proprio e diretto e non si tratta di ricondurre ~ale responsabilit allo schema dell'art. 2456 cod. civ. riguardante genericamente la tutela di tutti i creditori sociali (e fra essi del fisco) dato che altrimenti la specifica disposizione dell'art. 265 del t.u. costituirebbe un inutile doppione, mentre essa si giustifica proprio perch detta, esclusivamente nei confronti del fisco, una disciplina pi favorevole in cui la nozione generica di colpa si scolora, prendendo rilievo un comportamento specifico, nella sua consistenza obiettiva, e cio l'omissione del liquidatore (o amministratore) che non provvede a destinare al pagamento dei debiti fiscali l'attivo e per ci solo, indipendentemente dalle motivazioni psicologiche del suo agire, incorre nella responsabilit. L'applicabilit dell'art. 2456 cod. civ., si verificher, anche a favore del fisco, tutte le volte in cui, esulandosi dalla specifica fattispecie dell'art. 265 (distrazione delle attivit sociali ai fini diversi del pagamento dei crediti tributari per imposte erariali dirette) il liquidatore non abbia provveduto alla totale realizzazione dell'attivo da destinare alla soddisfazione dei crediti sociali. La responsabilit personale dei liquidatori non discende da una negligenza nell'individuazione oggettiva del debito e nella ricerca dei ere bilit del liquidatore, se autonoma, dovrebbe sopravvivere al caducamento dell'obbligazione enza una congrua disponibilit finanziaria. N era necessario determinare l'esatto ammontare delle attivit disponibili, non sussistendo nessun rapporto fra l'entit del ricavato dalla liquidazione e la misura della responsabilit dell'amministratore-liquidatore, che investe l'intero ammontare dei tributi purch vi sia stata distrazione di una qualche attivit sociale. Solo nella prospettiva aquiliana si potrebbe infatti ipotizzare un rapporto fra fatto dannoso e misura della responsabilit da circoscrivere nell'entit colposamente o dolosame~te sottratte. Del resto a tale prospettiva si riconduce pure l'accentuazione del pro filo dell'onere probatorio dell'illecito facente carico all'amministratore (o liquidatore). Una volta sganciata la responsabilit degli schemi dell'illecito, per ricondurla alla legge, appare giustificata la prassi adottata dall'amministrazione di invitare l'interessato a presentare prove, a discarico della responsabilit, che pu essere ritenuta sussistente anche in via di presunzioni afferenti al presupposto dell'esistenza di attivit distratte. Altrimenti si verrebbe a premiare l'amministratore che prescinda dalla documentazione dell'attivit liquidativa, sia pure ridotta al suo minimo di ripartizione degli utili ricavati. Le presunzioni del resto, hanno cittadinanza nel nostro ordinamento (Corte cost. 99/68, 129/69) in materie di accertamento ffscale, ben possono operare perci anche quando esulandosi dalla materia fiscale si tratti di r ~: affermare una responsabilit ex lege. ~ !: i: !: f: l r: ! PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA Si aggiunge che l'accertamento (sia pure meramente presuntivo) di redditi riferiti al periodo della liquidazione fa stato circa il conseguimento di elementi attivi da parte della societ. In conclusione sul punto l'accertamento dell'attivit stato ritenuto dalla Corte d'appello con motivazione che si sarebbe potuta articolare pi diffusamente, ma che viene corroborata da elementi di fatto inequivocabilmente evidenziati. E la distinzione dei suddetti elementi attivi risulta in re ipsa dalla persistenza di debiti tributari che per tutta la durata della liquidazione (di fatto) restarono insoluti. La censura va quindi respinta sul duplice rilievo dell'ammissibilit in punto di diritto delle prove presuntive circa la sussistenza di attivit; e della globale idoneit degli elementi presuntivi emergenti dall'impu gnata sentenza, non richiedendosi al riguardo alcun accertamento ad hoc -(Omissis). 10. Con il quarto mezzo, den~ciando la violazione o falsa applicazione degli artt. 123, 124 e 17Cl del t.u. 29 gennaio 1958 n. 645, nonch la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza si sostiene che, comunque il Cordeschi non avrebbe dovuto rispondere del mancato pagamento delle imposte di R.M. e sulle societ (e relative sopratasse) riguardanti gli anni 1960, 1961, in. quanto iscritte al ruolo nei confronti della, societ medesima senza previo accertamento e, comunque tardivamente oltre i termini di cui all'art. 180. La Finanza eccepisce il difetto di legittimazione dell'amministratore (liquidatore), responsabile in proprio, trattandosi di questioni che riguar dano la societ e formano oggetto di una tipica controversia di imposta che non potrebbe essere sollevata nemmeno dalla legittimata societ direttamente davanti all'autorit giudiziaria (ai sensi dell'art. 22 del r:d. 7 agosto 1936 n. 1639) e che comunque non sarebbe proponibile dopo l'inizio della esecuzione esattoriale contro la societ (ex art. 208 t.u.ii.dd.) donde la decadenza della societ stessa dalla possibilit di far valere i propri diritti per non avere tempestivamente proposto ricorso contro il ruolo. L'eccezione fondata. La responsabilit del liquidatore od amministratore prevista dall'arti. colo 255, pur non essendo una responsabilit da illecito, ma una responsabilit ex lege si ricollega ad un suo personale comportamento, consistente nell'omesso pagamento delle imposte accertate nei confronti della societ. Egli pertanto, non legittimato a dolersi in proprio delle vicende dell'accertamento, direttamente davanti all'autorit giudiziaria. L'accertamento nella specie ormai divenuto definitivo per mancanza di opposizione al ruolo ex art. 188 t.u.ii.dd. che avrebbe dovuto essere proposta dalla societ (tramite l'amministratore) e non pu il punto essere rimesso in discussione nemmeno in via incidentale nel giudizio RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 494 riguardante la legittimit dell'applicazione dell'art. 265 dall'amministratore in proprio, che risponde per l'esistenza di imposte ormai accertate definitivamente (od ancora in contestazione davanti alla Commissione) nei confronti della societ. Unico soggetto passivo dell'imposizione rimane la societ, cui sia l'accertamento che l'iscrizione a ruolo si riferiscono; il provvedimento intendentizio emesso nei confronti del responsabile non d luogo ad una controversia di imposta devoluta alla cognizione delle commissioni tributarie (Cass. 3021/71, 1484/72, 3253). Del resto la mancata proposizione dell'opposizione contro il ruolo si riflette preclusivamente non solo dal punto di vista soggettivo sulla legittimazione dell'amministratore in proprio, che non avrebbe potuto farvi ricorso, ma in senso oggettivo sull'improponibilit dell'azione davanti all'A.G.O., anche da parte del legittimato, senza la previa cognizione delle Commissioni medesime ex art. 22 r.d. 7 agosto 1936 n. 1639 (cfr. Cass. 21 ottobre 1974 n. 2974). Ed d'altra parte pacifico che nessuna azione proponibile dopo l'inizio dell'esecuzione esattoriale. L'amministratore-liquidatore sol perch l'imposta costituisce un pre supposto della responsabilit personale ex lege, di cui all'art. 265, non pu essere ammesso a contestarne in via incidentale 1a sussistenza senza incontrare quegli stessi ostacoli che gli sarebbero frapposti ove avesse agito quale organo della societ. Ma pi radicalmente nella fattispecie legale dell'art. 265 le obbligazioni tributarie insolute (definitivamente accertate o in corso di contestazione) non vanno rimesse in discussione nella loro consistenza, ed all'amministratore consentito sotto questo aspetto puramente e semplicemente di eccepire la carenza del titolo della responsabilit dimostrando di avere gi pagato o negando il presupposto della effettiva esistenza di imposte erariali dirette (gi accertate) a carico della societ insolute, ma non pu investire l'oggetto della sua responsabilit, il tributo sociale contestando I'an o il quantum dell'accertamento. Se ci esatto nella ottica della sussidiariet della obbligazione dell'amministrazione, in cui si muove l'amministrazione finanziaria, di venta incontrovertibile a fortiori ove si spezzi il collegamento della sussidiariet e si valuti la responsabilit personale dell'amministratore con esclusivo riguardo al comportamento omissivo rispetto a obbliga zioni tributarie che questi avrebbe potuto contestare a suo tempo nello esercizio delle sue funzioni di amministratore ma non pu in un secondo momento, contestare in proprio, essendo sotto questo profilo, estraneo alla obbligazione tributaria che non viene in considerazione come tale, ma quale misura della responsabilit derivante dal suo comportamento omissivo, per aver distratto attivit sociali della finalit primaria del pagamento dei debiti sociali. -(Omissis). i I ,,.,.,,.,.,.,.,.,. .... ,-.--..-.-.- .-.rr .--.-c.--.-crc.r.,-.-.-.r.-r.r rrr...,.-.r,.-..r,-..-.-r} PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA II (Omissis). -Con i pnm1 due motivi di ricorso, l'Amministrazione finanziaria insiste sulla tesi della improponibilit della domanda, e del conseguente difetto di giurisdizione del giudice ordinario, essendo pendente l'esecuzione esattoriale e non avendo il Giulivi adito, prima del tribunale, le Commissioni tributarie: In particolare, con il primo motivo -denunziando, in relazione all'art. 360 nn. 1 e 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 201, 208, 209 t.u. 29 gennaio 1958 n. 645; artt. 2 e 4 legge 20 marzo 1865 n. 2248, all. E -afferma che il liquidatore e l'amministratore obbligati ex art. 265 citato sono veri e propri responsabili di imposta e quindi coobbligati , anche se non condebitori solidali, ex art. 201 dello stesso t.u. del 1958 n . .645 e nega, criticando la contraria giurisprudenza di queste sezioni unite, che l'azione di acertamento negativo ad istanza di un responsabile di imposta si sottragga, anche quando proposta soltanto contro , l'Amministrazione finanziaria, alla preclusione di cui agli artt. 208, e 209 del t.u. citato. Con il secondo motivo, poi, sotto il profilo della violazione e falsa applicazione dell'art. 265 t.u. 29 gennaio 1958 n. 645, dell'art. 22 r.d. 7 agosto 1936 n. 1639 e del difetto di giurisdizione, in relazione allo art. 360 nn. 1 e 3 c.p.c., critica la sentenza impugnata per avere escluso, sulla scia di precedenti pronunzie di queste Sezioni unite, che la controversia introdotta dal liquidatore o amministratore per negare la propria responsabilit ex art. 265 citato abbia natura tributaria: a giudizio della ricorrente, infatti, tale responsabilit si concreterebbe in un vero e proprio debito di imposta, come dimostrerebbe il fatto che non si renderebbe necessaria la costituzione di un titolo diverso dal ruolo, donde la improponibilit della domanda davanti al giudice ordinario senza il previo esperimento del ricorso alle Commissioni tributarie. Entrambe le censure sono infondate, perch basate sulla premessa, affatto erronea, della natura 'tributaria dell'obbligazione posta a carico, nella ricorrenza dei presupposti di legge, del liquidatore o dell'amministratore dei soggetti tassabili in base al bilancio dall'art. 265 pi volte richiamato. Invero -come queste Sezioni hanno da tempo (Cass. 27 ottobre 1971 n. 3021; Cass. 16 maggio 1972 n. 1484) ed ancora recentissimamente (Cass. 3 giugno 1978 n. 2766) affermato -deve escludersi che il liquidatore o l'amministratore siano coobbligati o comunque responsabili di imposta, tali figure intendendosi nel significato tecnico loro proprio. In realt, alla stregua della stessa formulazione dell'art. 265 citato, e prima ancora dell'art. 45 t.u. 17 settembre 1931 n. 1608 -in cui il previgente art. 14 r.d. 28 gennaio 1~29 n. 360 era stato trasfuso, peraltro chiarendosi, ,con opportune modifiche, che la responsabilit del liquida RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 496 tore sussisteva soltanto nei limiti in cui le attivit ricavate dalla liquidazione avrebbero consentito di pagare le imposte se destinate, come la legge gliene faceva obbligo, a tal fine -i menzionati soggetti non sono debitori del tributo, ma responsabili del mancato pagamento di esso: sono cio responsabili per il fatto proprio, nel caso di esistenza di attivit sociali (non impiegate nel pagamento dei debiti tributari della societ) e nei limiti di tale attivit. Sicch, per un verso, la natura non fiscale dell'obbligazione rende estranea alla esecuzione esattoriale, e quindi all'area delle preclusioni a questa correlate, l'azione di accertamento proposta dal liquidatore o dall'amministratore per dimostrare l'inesistenza non del debito tributario, m degli altri presupposti, da questo diversi, della responsabilit che l'Amministrazione vorrebbe loro attribuire. E, per altro verso, proprio perch questo ultimo, e non l'altro, l'oggetto della controversia introdotta dal liquidatore o dall'amministratore, e non v' materia da portare davanti alle Commissioni tributarie, che tali soggetti non sono legittimati ad agire neppure per contestare la pretesa tributaria, perch debitore delfimposta soltanto la societ mentre la loro responsabilit presuppone che il debito di questa sia di venuto definitivo. Gli altri due motivi di ricorso investono il tema di merito della causa. La Corte di appello ha giudicato non configurabile a carico di Giulivi la responsabilit ex art. 265 t.u. del 1958 n. 645 sotto un duplice profilo: in fatto, negando che l'Amministrazione avesse fornito la prova del compimento, da parte di quello, delle operazioni di sostanziale liquidazione addebitategli; in diritto, escludendo die nella previsione di tale norma rientri anche il liquidatore di fatto. Contro quest'ultima proposizione motiva si rivolge il terzo mezzo di ricorso, con il quale l'Amministrazione -denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 265 t.u. 1958 n. 645, in relazione alYart. 360 n. 3 c.p.c. -deduce che la citata disposizione applicabile, invece, a tutti coloro che, pur se formalmente non nominati liquidatori, in effetti compiano le singole operazioni di liberazione del patrimonio dalla soggezione al vincolo sociale, con conseguente pagamento dei abiti ed assegnazione del residuo ai soci. La censura fondata. E sul punto le Sezioni unite possono limitarsi a richiamare le argomentazioni svolte, . a suffragio dell'accoglimento della tesi oggi riproposta dall'amministrazione, in un recentissimo loro arresto (Cass. 3 giugno 1978 n. 2766), nel quale, facendo proprio il conforme indirizzo gi adottato a Sezione semplice (Cass. 2 agosto 1977 n. 3411; Cass. 14 marzo 1978 n. 1273), hanno considerato che la responsabilit di cui alla norma citata costituisce una sanzione, comminata per la violazione dell'obbligo di non distribuire ai soci (o comunque di non destinre diversamente) le attivit della liquidazione fino a quando non PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUi>ENZA TRmUTARIA siano stati soddisfatti i debiti fiscali della societ. Ora, il soggetto che pu venire meno a tale obbligo normalmente il liquidatore, e l'art. 265, nel primo comma, prevede tale ipotesi tipica; ma l'articolo non ha vo luto limitarsi a tale ipotesi e nel secondo comma ha previsto i~ caso che I liquidatore non vi sia, e che la liquidazione venga fatta dall'ammini stratore: come, per,-nella prima ipotesi compresa quella di pii liquidatori, tutti responsabili, succedutisi nel corso della liquidazione, cos tra la prima e la seconda ipotesi compresa quella in cui l'attivit di liquidazione venga iniziata dall'amministratore e conclusa dal liquidatore nominato ad operazioni gi iniziate, o anche l'ipotesi in cui la liquidazione venga iniziata a patrimonio gi liquidato, sicch abbia solo un contenuto formale e tenda, attraverso un liquidatore di comodo, soltanto a trarre in inganno il Fisco. Del resto, proprio il carattere sanzionatorio della norma impone che la sanzione giunga a colpire quanti abbiano nella realt disperso, o concorso a disperdere, le attivit sooiaH1 Deve pertanto ritenersi che l'art. 265 parli di liquidatori in senso atecni co, con riguardo all'attivit di liquidazione in senso sostanziale e non meramente formale, ed da rifiutare l'interpretazione che, facendo esclusivamente perno sul significato tecnico del termine attraverso un esasperato collegamento con l'istituto della liqu.idazione come regolato dal diritto civile, priverebbe la norma fiscale di qualsiasi concreta effettivit, rendendone estremamente agevole la pratica elusione. Alla stregua di tale lettura della disposizione cennata rimane superato, come queste Sezioni unite hanno gi sottolineato, il problema circa il carattere innovativo o interpretativo dell'art. 36 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602. Ed n verit tale disposizione, sul punto specifico della responsabilit (anche) degli amministratori che hanno compiuto... operazioni di liquidazione , ha soltanto reso esplicito il contenuto precettivo dell'art. 265 t.u. del 1958, come sopra interpretat, solo limitandone nel tempo (ultimi due periodi di imposta precedenti alla messa in liquidazione) l'ambito di applicazione. Errata -come le considerazioni test svolte dimostrano -sul punto della individuazione del principio di diritto regolante la fattispecie sostanziale, la sentenza impugnata neppure regge alle critiche mosse, con il quarto ed ultimo motivo di ricorso, avverso la concorrente argomentazione con cui i giudici di merito hanno negato la responsabilit del Giulivi sotto il riflesso della mancata acquisizione al processo, per iniziativa dell'Amministrazione che avrebbe avuto l'onere di fornirla, della prova concernente l'effettivo compimento, da parte del Giulivi stesso, delle attivit di liquidazione attribuitegli. Appunto con il menzionato motivo, l'Amministrazione -denunziando violazione e ,falsa applicazione dell'art. 2697 e.e., in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. -rimprovera alla Corte di merito di avere, cos ragionando, invertito l'onere della RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO prova: a suo avviso, infatti, dal sistema positivo si ricaverebbe che l'acclaramento e l'accertamento della insussistenza in concreto del presupposto in cui all'art. 265 sono curati dagli organi della Finanza, onde competerebbe al privato, che insorga contro le risultanze di tale operato, assistite dalla presunzione di legittimit, l'onere di dimostrare che non sussistono i fatti costitutivi della sua responsabilit. Anche tale censura , nella sostanza, fondata. La responsabilit del liquidatore (o amministratore) ex art. 265 citato ha -nel disegno legislativo -natura sanzionatoria, come queste Sezioni unite hanno gi sottolineato, sulla scorta di una diffusa opinione dottrinale, nella recente sentenza pi sopra ricordata (sent. n. 2766 del 1978), e come inequivocabilmente traspare dalla collocazione della norma, inclusa, sotto il titolo XI dedicato alle sanzioni-, nel capo II intitolato alle sanzioni in sede di riscossione, e dalla espressa definizione in tal senso data -ad essa ed a tutte le altre misure contemplate nel titolo -dallo stesso legislatore in molte delle disposizioni comuni dettate nel capo II dello stesso titolo (cfr. art. 267, 270 c. 1 e 270 c. 2). In dottrina stata avanzata, tra le altre, la tesi che tale responsabilit, o meglio la sanzione che in essa si concretizza, avrebbe natura amministrativa e pi propriamente fiscale. Se cos fosse, la tesi della Amministrazione ricorrente gi troverebbe sufficiente giustificazione in siffatta qualificazione, costituendo il proprium della sanzione amministrativa a definizione ed irrogazione di essa attraverso un procedimento autoritativo, che si conclude con un provvedimento idoneo ad apprestare unilateralmente la disciplina potenzialmente definitiva del conseguente rapporto, restando riservato all'iniziativa del soggetto colpito dalla sanzione l'onere di chiederne il controllo giurisdizionale, attravrso l'assunzione della veste formale e sostanziale di attore, con tutte le implicazioni, anche probatorie, conseguenti (sul punto specifico e pi in generale sulla tematica delle sanzioni amministrative ed in particolare fiscali, cfr. le recentissime sentenze di queste Sezioni unite nn. 926, 928, 929, 930 in data 24 febbraio 1978). La tesi, peraltro, suscita non poche perplessit, perch la sanzione cos qualificata si presenterebbe anomala rispetto alle tipiche sanzioni amministrative fiscali di contenuto pecu niario (legge 7 gennaio 1929, n. 4, artt. 3, 4, 5 e 61); in quanto non potrebbe essere considerata pena pecuniaria essendo dalla legge determinata in misura fissa e non in misura variabile tra un minimo ed un massimo, ma neppure concreterebbe una sopratassa, essendo il suo im porto quantificabile in ragione diretta dell'imposta, che si sarebbe potuto pagare con le attivit della liquidazione, se utilizzate a tal fine. Inoltre, ove la sanzione considerata avesse la natura ipotizzata, si dovrebbe negare l'incidenza del suo pagamento sulla estinzione fino alla concorrenza del credito di imposta, con il quale, quindi, il credito i . I PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 499' relativo alla sanzione si cumulerebbe, in contrasto -almeno all'apparenza -con quanto la legge, chiamando il liquidatore (o l'amministratore) a rispondere in proprio del pagamento delle imposte , sembra chiaramente voler significare. Tuttavia, del tutto superflua si appalesa la verifica sul punto. Quand'anche, infatti, alla sanzione in discorso si riconoscesse, invece, natura civile e pi propriamente risarcitoria (sicch, tra l'altro, la prestazione di essa condurrebbe alla estinzione, per equivalente, dell'obbligazione primaria, quella tributaria, rimasta inevasa), come in dottrina si anche opinato e come sembrerebbe indicare pure il diverso criterio sistematico adottato dal legislatore del 1973, che ha estrapolato la responsabilit del liquidatore e dell'amministratore (art. 36 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, collocato sotto il titolo I riscossione delle imposte ) dal complesso delle norme dedicate alle sanzioni vere e proprie (artt. da 92 a 98 d.P.R. citato, collocati sotto il titolo III), egualmente ferme dovrebbero restare le conclusioni attinte in ordine all'accertamento amministrativo della violazione dell'obbligo imposto dall'articolo 265 (di destinare le attivit della liquidazione primeriamente al pagamento delle imposte) ed alla precostituzione, in via autoritativa, del provvedimento idoneo a legittimare la pretesa esecutiva concernente la riscossione della somma oggetto della sanzione dalla legge comminata per quella violazione. Ci perch la disciplina positiva che cos inequivocabilmente statuisce. Sul piano dell'interpretazione storica, va rilevato infatti che, nella vigenza della legislazione precedente al 1929, la stessa Amministrazione finanziaria (cfr. circolare ministeriale n. 77 del 1925) non dubitava della necessit di promuovere la dChiarazione giudiziale della responsabilit e dell'obbligo di pagamento per poter agire esecutivamente contro gli amministratori e liquidatori per le imposte non pagate, e va insieme sottolineato che la disciplina speciale successivamente dettata con l'articolo 14 r.d. 28 gennaio 1929, n. 360 e poi con l'art. 45 r.d. 17 settembre 1931, n. 1608, mir appunto, tra l'altro, ad affrancare la Finanza da tale onere. Ne fa fede, almeno quanto all'intento del legislatore, la relazione ministeriale al citato t.u. del 1931, in cui, nel dare atto del mancato accoglimento della proposta della Commissione parlamentare, intesa a sottoporre alla procedura comune, la pretesa della Finanza di risarcimento dei danni nei confronti dei liquidatori, testualmente si motiva nel senso che non vi era ragione per sottrarre alla Finanza la possibilit -gi spettantele, si dice, in forza di una disposizione in vigore (che non poteva essere altro che l'art. 14 citato) -di esaIninare se la liquidazione sia stata o meno ben coi;idotta , costringendola invece a promuovere in merito un giudizio civile . E non 500 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO priva di significato la circostanza che sulla medesima linea si posto, in termini questa volta espliciti, anche il legislatore successivo al t.u. del 1958, il quale, nel d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, pur stralciando, come gi si rilevato, la responsabilit dei liquidatori ed amministratori dal complesso delle sanzioni (oltre che penali) fiscali vere e proprie (pena pec;uniaria e sopratassa), espressamente attribuisce alla P.A. (articolo 36, penultimo comma) il potere di accertare tale responsabilit attraverso un proprio atto autoritativo, per il cui controllo giurisdizionale rinvia poi, altrettanto esplicitamente, ai normali schemi del contenzioso tributario, secondo i quali, come pacifico, il privato assume la posizione formale e sostanziale di attore, con tutte le implicazioni conseguenti, anche sul piano probatorio. Sotto il profilo letterale e sistematico, poi, la proposta interpretazione dell'art. 265 t.u. del 1958 n. 645 trova pieno conforto nel disposto dei susseguenti articoli 267 e 270, certamente riferentisi anche al predetto art. 265, che chiude il capo II del titolo XI, perch inclusi nel sue- cessivo capo III, intitolato appunto disposizioni comuni . Invero, l'affermazione di principio, secondo cui l'applicazione delle sanzioni -compresa, per quanto test osservato, quella relativa alla responsabilit dei liquidatori ed amministratori -Ǐ regolata dalla legge 7 gennaio 1929, n. 4 (art. 267), implica non solo il rinvio alla disciplina autoritativa e pubblicistica del procedimento ivi previsto per l'accertamento delle infrazioni e per l'irrogazione delle sanzioni, ma anche l'assoggettamento del controllo giurisdizionale al regime processuale correlato a quel tipo di provvedimento, appunto incentrato, tra l'altro, sulla regola che addossa al privato l'onere della iniziativa giudiziale e quello della prova (citate decisioni nn. 926, 928, 929 e 930 del 1978). E, d'altro canto, l'indicazione neTia persona dell'Intendente di Finanza (arg. ex art. 270, 1 e 2 comma) dell'organo cui spetta, in via normale, il relativo potere di accertamento e di irrogazione perfettamente si armonizza con il sistema normativo dell'epoca (citata legge n. 4 del 1929), che appunto all'Intendente di Finanza attribuiva il potere di porre in essere il titolo della sanzione, previo accertamento dei presupposti per la irrogazione di essa, e ancora conferma, quindi, l'assoggettamento al medesimo regime -amministrativo nella prima fase e giurisdizionale nella seconda, eventuale -anche di quella particolare sanzione costituita dalla misura in discorso. N potrebbe ragionevolmente adombrarsi la tesi che tuttavia lo stesso art. 270 comma 2 prevede per talune sanzioni -tra cui potrebbe rientrare, in tesi, quella qui in discorso - la incompetenza dell'Intendente di Finanza e la conseguente necessit per questo di rivolgersi al giudice, giacch, come all'evidenza dimostra la formula normativa denuncia il fatto all'autorit giudiziaria" l'ipotesi ivi prevista solo quella di sanzioni penali non rientranti nell'aro~ I=[ I~ E ~ I 1 ;".""':;.-....'.......'.'..'........................................'......;V'C';--..,.z .:zc:::z:z:::cc:::::::ZZ:::z:: .::::::.''.::ZCC>, in fine, la Corte di appello ha fatto ricorso ancora per convalidare il giudizio affermativo sulla esistenza, appunto, del riconoscimento dei vizi onde inammissibile, perch privo di ogni per- I ! I i II I PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 517 tinenza alle ragioni della decisione impegnata.' si appalesa, a parte ogni rilievo critico sulla sua fondatezza, la residua doglianza circa la pretesa utilizzazione delle presunzioni con riferimento alla sussistenza ciei vizi. Con il quarto ed ultimo motivo, la societ ricorrente -denunziando, in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5 c.p.c., violazione e falsa applicazione dei principi generali sulle prove, nonch degli artt. 61 e 62, 113 c.p.c. -rimprovera alla Corte di appello di avere accettato, con la sentenza definitiva, le conclusioni del consulente tecnico di ufficio sebbene raggiunte in difformit delle prescrizioni impartite con l'ordinanza collegiale, che aveva demandato al consulente medesimo, oltre all'esame degli atti contabili, anche l'effettuazione di sopralluoghi e saggi, invece omessi, nonch viziate da intima contraddittoriet, nella stessa relazione peritale essendosi dato atto avere la Ferrobeton eseguito l'opera secondo le prescrizioni del contratto. Nessuno dei due errori cos denunziati, peraltro, sussiste nella realt. Non il primo, perch la sentenza definitiva motiva puntualmente e sufficientemente circa il convincimento maturato dal giudice di appello in ordine alla superfluit dei sopralluoghi e dei saggi, che pure erano stati in precedenza commessi al consulente, cos, per un verso, pervenendo alla revoca, in parte qua, del precedente provvedimento istrut~ orio, per s del tutto legittima, e, per altro, verso, esprimendo un ragionato giudizio sulla situazione probatoria della causa, non sindacabile in questa sede. N sussiste il vizio di contraddittoriet, denunziato per secondo, avendo i giudici di appello diffusamente motivato, ancora nella sentenza definitiva, circa la radicale inidoneit defl'opera realizzata dall'impresa sulla base di un progetto esecutivo redatto, per contratto, a proprio rischio; radicale inidoneit gi desumibile, secondo il giudizio del CTU fatto proprio dalla sentenza, dai rilievi critici espressi dal primo collaudatore ing. Ferretti circa la imperfetta realizzazione del rivestimento a gunite, e comunque confermata dai risultati delle indagini compiute presso il Centro di controllo di Napoli, congruamente com mentati ed apprezzati dalla sentenza stessa. Il ricorso della societ Ferrobeton va dunque rigettato, con la condanna della stessa ricorrente alle spese, liquidate come il dispositivo. Il deposito va ~estituito, perch non pi dovuto (legge 18 ottobre 1977, n. 793). -(Omissis). SEZIONE OTTAVA GIURISPRUDENZA PENALE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 10 marzo 1978 n. 534 -Pres. Vigorita - Rel. Berlieri -P. M. Paolucci (conf.) -Rie. Amm. Firenze, P. M. e Cazandemore Dur Ren. Procedimento penale -Parte civile -Omessa citazione -Nullit Impugna zione della parte offesa t: preliminare l'esame sulla legittimazione. (cod. proc. civ., artt. 278 cpv. e 287 cpv.). Contrabbando . Importazione di sostanze stupefacenti Omessa contestazione del reato di contrabbando Costituzione di parte civile dell' Amministrazioqe Finanziaria dello Stato Inammissibilit. (cod. pen., art. 185, cod. proc. pen., art. 22; I. 20 ottobre 1954, n. 1041, art. 6). Preliminare all'esame dell'impugnazione proposta dalla parte offesa non costituitasi parte civile nel giudizio di merito per omessa citazione l'esame sulla legittimazione all'impugnazione (1). L'Amministrazione delle Finanze dello Stato non legittimata a costituirsi parte civile contro imputati del reato di importazione di sostanze stupefacenti, quando non sia stato contestato altres il reato di contrabbando (2). Omissis. -A seguito di rapporto di denunzia del Comando del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Milano in data 16 e 17 luglio 1972 (integrati successivamente di una serie di rapporti suppletivi) ed in esito alla formale istruzione, conclusasi con sentenza -ordinanza del giudice istruttore presso il Tribunale di Milano in data 12 luglio 1973, i nominati Cazandebore Dur Ren, cittadino cileno; Saracibar Aricata Jos Luis, cittadino spagnolo; Measse Rogelio Adolfo (alias Raul Duval Lo (1-2) Dalla lettura della motivazione della sentenza della Suprema Corte che si annota sembra di potersi trarre l'impressione di un fin de non recevoir . Il problema che era stato iporta'to all'attenzione della Cassazione, concerneva le conseguenze e la natura della nullit derivante dalla omessa citazione della parte offesa dal reato, problema nel quale la dottrina ha offerto spunti che meriterebbero di essere esaminati in sede giurisprudenziale, specie dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 132 del 1968 che ha travolto l'ostacolo temporale frapposto dall'art. 422 c.p.p. alla rilevabilit della nullit (v. in questa Rassegna, 1976, I, p. 163, DI TARSIA, La costituzione di parte civile in grado d'appello). La Corte di Cassazione non ha esaminato il problema, sostenendo che pre1liminare all'esame smla fondatezza dell'impugnazione quello sulla legittimazione all'impugnazione (il che esatto) ed escludendo nel caso di specie (il che non sembra altrettanto esatto) che l'Amministrazione delle Finanze dello Stato I I I f: ~ PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 519 pez ) cittadino argentino; nonch il sedicente Catalan Gonzales Pedro German (alias Jorge Guillermo Salazar Pintos), di non sicura cittadinanza cilena vennero tratti a giudizio davanti al Tribunale anzidetto per rispondere -il Measse in stato di latitanza e gli altri tre Tn stato id detenzione preventiva -dei seguenti reati accertati in Milano tra il 14 e il 18 luglio 1972: A) tutti, di concorso nel delitto di importazione e detenzione a scopo di commercio di sostanze stupefacenti (kg. 4,600 di cloridrato di cocaina) previsto e punito dagli artt. 110 c.p. e 6 della legge 22 ottobre 1954 n. 1041; B) il Cazandehore, inoltre, del delitto di falsit materiale commessa dal privato in certificati ammii;iistrativi (carta d'identit italiana con fotografia intestata a Bellecchio Mario) previsto e punito dagli articoli 477 e 482 c.p.; C) il Saracibar, inoltre, di analogo delitto di falsit materiale in carta d'identit (con fotografia intestata a Escoieao Giorgio), nonch della contravvenzione di detenzione abusiva di una pistola cal. 7,65 completa di caricatore con n. 7 cartuccie (art. 697 c.p.); D) il Measse, inoltre, di analogo delitto di falsit materiale in carta d'identit (con fotografia intestata a Raul Duval Lopez); del delitto di .false dichiarazioni a magistrato sulla propria identit (art. 495, comma terzo, n. 2, c.p.); del delitto di resistenza ai militari della Guardia di Finanza (art. 337 c.p.); nonch della contravvenzione di porto abusivo di un coltello di genere proibito (artt. 17 e 42 del Testo Unico leggi di P.S. 18 giugno 1931 n. 773). Con sentenza del 20 novembre 1973, il Tribunale. di Milano dichiarava il Cazandehore colpevole di entrambi i reati ascrittigli e lo condann alla pena complessiva di anni 3 e mesi 4 di reclusione e L. 400.000 di multa; dichiar il Saracibar ed il Measse colpevoli dei reati rispettivamente addebitati (ad eccezione del cncorso nel delitto di importazione fosse legittimata a costituirsi parte civile nel processo in cui si contestava il solo reato di importazione e detenzione per il commercio di sostanze stupefacenti, perch da queste non avrebbe subto alcun danno. La motivazione della sentenza peraltro appare ispirata a criteri troppo formalistici, basata com' sostanzialmente .soltanto sulla distinzione fra il reato contestato e il reato di contrabbando, non contestato: in fatti, se insegnamento costante della Suprema Corte, conforme a principi dottrinari di gran lunga prevalenti, che la lesione del bene protetto che costituisce l'essenza del reato ( c.d. danno criminale) pu non coincidere con ii danno risarcibile, che parte offesa e parte lesa possono essere figure distinte e che non per questo il danno derivante dal reato (art. 185 c.p.) non consistente nella lesione dell'interesse protetto dalla norma incriminatrice mediato e indiretto (per stabilire il rapporto di mediatezza occorre far ricorso invero al criterio della causalit), non si comprende perch l'importazione di stupefacenti senza autorizzazione sanitaria e perci certamente senza pagamento dei diritti di confine, non possa aver provocato anche il danno -diverso dalla lesione che la norma dell'art. 6 L. n. 1041 del 1954 vuole evitare, ma pur sempre conseguenza diretta di quel reato -dell'evasione tributaria. 520 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO e detenzione di stupefacenti) e li condann, rispettivamente, alle pene complessive di mesi 4 di reclusione e mesi 2 di arresto e di anni 1 e mesi 10 di reclusione e L. 50.000 di ammenda; assolse il Saracibar, il Measse ed il Catalan dall'imputazione relativa agli stupefacenti per insufficienza di prove. Emise le statuizioni conseguenziali ed ordin la scarcerazione del Saracibar e del Catalan se non detenuti per altra causa. Avverso tale sentenza proposero appello tutti gli imputati, nonch il Pubblico Ministero (limitatamente ll'assoluzione del Saracibar, del Measse e del Catalan dalla pi grave imputazione ad essi contestata). All'udienza del 28 febbraio 1977, svoltasi davanti alla Corte di Appello di Milano in contumacia di tutti gli imputati, compariva l'avvocato dello Stato Domenico Salvemini, il quale dichiar di rinnovare la costituzione di parte civile (gi effettuata nelle more del giudizio di appello presso la cancelleria) e, per quanto occorresse, di costituirsi in sede dibattimentale parte civile per l'Amministrazione delle Finanze, in persona del Ministro pro-tempore, al fine di conseguire dagli imputati l'integrale risarcimento dei danni subiti da detta Amministrazione a seguito dei reati commessi dai medesimi. Nella discussione seguitane, stante l'opposizione del difensore di fiducia del Cazandemore, il succitato Avvocato dello Stato, riportandosi ad una memoria precedentemente depositata, sostenne la tesi dell'ammissibilit della costituzione di parte civile, per la prima volta, nel giudizio di secondo grado, in base al rilievo che l'Amministrazione Finanziaria -parte offesa rispetto al pi grave reato ascritto ai prevenuti non solo non aveva ricevuto la comunicazione giudiziaria prevista dall'art. 304 c.p.p., ma non era stata neppure citata per il giudizio di primo grado, come prescritto dall'ultima parte dell'art. 408 del citato codice di rito. Detta tesi, per, non fu accolta dalla Corte Milanese che con ordinanza dibattimentale resa in pari data dichar inammissibile~ la costituzione di parte civile (ordinando procedersi oltre nel dibattimento), sul rilievo che la nullit derivante dalia mancata citazione in primo grado dell'offeso del reato, essendosi verificata negli atti preliminari al dibattimento di primo grado, avrebbe dovuto essere dedotta dal P.M. immediatamente dopo il compimento delle formalit di apertura del relativo dibattimento, ragione per cui, essendo mancata tale deduzione, la nullit stessa doveva ritenersi sanata ai sensi dell'art. 422 c.p.p. N era ammissibile la costitu~ione di parte civile in grado di appello, per l'espresso divieto di cui all'art. 93 stesso codice. Con sentenza pronunciata (all'esito del dibattimento) nello stesso giorno 28 febbraio 1977, la Corte di appello di Milano emise le seguenti statuizioni: a) dichiar inammissibili i gravami del P.M. e dell'imputato Measse, rispettivamente, per rinunzia e per mancata presentazione dei motivi; b) in parziale riforma della decisione di primo grado, dichiar - PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE non doversi procedere a carico de Saracebar in ordine alla contravvenzione ascrittagli perch estinta per prescrizione; e) conferm, nel resto, la sentenza impugnata e condann il Cazandehore ed il Measse, in solido, al pagamento delle maggiori spese processuali. Contro detta pronuncia hanno proposto ricorso per Cassazione il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Milano e il difensore dell'imputato Cazandehore. Contro la sentenza stessa, nonch contro l'ordinanza dibattimentale innanzi menzionata, si gravata Cli ricorso anche l'Amministrazione delle Finanze, rappresentata e difesa dall'Avvocatura dello Stato di Milano e dall'Avvocatura Generale dello Stato in Roma. MOTIVI DELLA DECISIONE I ricorsi del P.M. e dell'imputato Cazandehore devono essere dichiarati inammissibili ai sensi degli artt. 208 e 209 c.p.v., avendo il primo rinunciato espressamente all'impugnazione (fol. 99) e non avendo il secondo presentato i motivi a sostegno del gravame, come da attestazione della Cancelleria del giudice a quo (fol. 100). Non resta, quindi, che esaminare il ricorso dell'Amministrazione delle Finanze, la quale, a mezzo dell'Avvocatura dello Stato, con unico assunto di censura, denunzia il vizio di inosservanza di norme del codice di rito penale stabilite a pena di nullit (artt. 524 n. 3 c.p.p. in relazione agli artt. 304. 408 e 412 stesso codice), lamentando cfie erroneamente la Corte di Appello avrebbe dichiarato inammissibile, nella specie, a costituzione di parte civile effettuata per la prima volta nel procedimento di secondo grado. Al riguardo, giova preliminarmente rilevare eh~ la sentenza impu gnata, sviluppando i concetti sinteticamente espressi nella innanzi cen nata ordillanza dibattimentale, ha ritenuto che la domanda risarcitoria de qua fosse improponibile, nel giudizio di appello, per due ragioni: 1) per quanto riguardava l'asserita violazione dell'art. 304 c.p.p. perch considerare equivalente, a tal fine, la conoscenza in re del procedi mento all'Amministrazione Finanziaria, quale, parte offesa, dovendosi considerare equivalente, a tal fine, la conoscenza in re del procedi mento in corso, rispetto a quella legale e formale (Cass. Sezione 26 aprile 1974, in Giust. pen. 1975, III, 173), e non potendosi revocare in dubbio che detta Amministrazione (e, per essa, il Comando Generale della Poli zia Tributaria e, di riflesso, gli uffici cenfrali e locali dell'Avvocatura dello Stato) fossero certamente venute a conoscenza, anche per la diffu sione datane dalla stampa, della complessa operazione di polizia che, nel luglio del 1972, aveva consentito di sequestrare, in Milano, oltre quattro chili e mezzo di cloridrato di cocaina e di trarre in arresto gli RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO spacciatori, nonch delle lunghe vicende dell'istruttoria giudiziale, che aveva rafforzato, con dati di alto livello sintomatico, la notoriet della impresa criminosa, circostanze tutte, codeste, che avrebbero ben permesso all'Amministrazione dello Stato la formulazione tempestiva di quelle istanze che venivano ora avanzate solo nel giudizio di secondo grado contro i prevenuti; 2) per ci che concerneva la nullit Clel decreto di citazione per il giudizio di primo grado, nullit scturente dalfa omessa partecipazione del decreto vocativo alla parte offesa del reato ai sensi dell'art. 408 e 412 c.p.p., perch, trattandosi di una nullit relativa e non assoluta (per sua intrinseca struttura), sarebbe stato obbligo del Pubblico Ministero, espressamente a ci demandato dall'ordinamento, di rilevarla ed eccepirla immediatamente dopo compiute le formalit di apertura del dibattimento (Cass. Sez. I, 26 marzo 1973 in Giust. Pen. 1975, III 222-227, e 30 gennaio 1974, ivi, III, 480A81), laddove nella specie, il promotore dell'accusa si era sottratto a codesto specifico dovere, ed anzi, inoltrata impugnativa contro tutti gli imputati, vi aveva successivamente rinunziato, con tale inerzia precludendo all'Amministrazione, per effetto della sanatoria V(frifcatasi ai sensi dell'art. 422 c.p.p., l'esercizio de:l diritto previsto dall'art. 93 stesso codice. Insorgendo contro le suesposte argomentazioni, la ricorrente Avvocatura dello Stato -nell'ampia ed elaborata trattazione delle censure formulate a sostegno del gravame -sottolinea, anzitutto, l'arbitrariet dell'affermazione secondo ci il Ministero delle Finanze, e cio lo specifico organo al quale si sarebbe dovuto comunicare l'avviso ex art. 304 c.p.p. (a nulla rilevando l'eventuale conoscenza di fatto del procedimento da parte del Comando della Polizia tributaria o della stessa Avvocatura dello Stato) sarebbe stato non avrebbe potuto non essere consapevole dell'esistenza di un processo a carico delle persone seguitamente indicate davanti l'Autorit Giudiziaria di Milano. Ma ancora pi decisamente, criticando l'interpretazione data dalla Corte di Appello ai precedenti giurisprudenziali sopra citati e richiaman. dosi all'opinione espressa da parte autorevole della dottrina sull'annoso problema del carattere assoluto o relativo dalla nullit di cui all'art. 412 in relazione all'art. 408 (problema rimasto insoluto ed. oggetto di disputa anche dopo la nota sentenza della Corte Costituzionale 20 dkembre 1968 n. 132, che ha dichiarato l'llegittimit costituzionale dell'art. 422 stesso codice, nella parte in cui prevede la sanatoria della nullit in questione, con riferimento al precedente art. 408, anche nei confronti della parte civile, dall'offeso del reato e del querelante), la ricorrente Avvocatura dello Stato si duole del mancato accoglimento della tesi seconao cui la nullit stessa sarebbe assoluta e non relativa, con la conseguenza che la deduzione di essa non incontrerebbe lo sbarramento dettato dall'ar;. ticolo 422 c.p.p., e con l'ulteriore conseguenza che l'offeso dal reato, non f: ~ I >f i ! ! i PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE citato per il dibattimento di primo grado, quale che sia l'atteggiamento del P.M. nel relativo dibattimento, potrebbe intervenire in qualsiasi fase del procedimento e, quindi, anche direttamente nel giudizio di secondo grado. Fissati, cos, i termini della delicata e complessa questione riproposta in questa sede dalla ricorrente Avvocatura deITo Stato, necessario resistere ai suggestivi richiami esercitati dall'interessante tema portato all'esame di questo Supremo Collegio, al fine di dare risposta ad un preminente interrogativo, che sorge spontaneo al cospetto di ogni ricorso per Cassazione: se, cio, il ricorrente sia o meno legittimato all'impugnazione. La risposta, nel caso di specie, non pu essere che negativa. fuori dubbio che l'art. 195 c.p.p. (impugnazioni della parte civile), dichiarato costituizionalmente illegittimo nella parte in cui pone limiti a che la parte civile possa proporre ricorso per Cassazione contro le disposizioni che concernono i suoi interessi civili (Corte Costit. 15-22 gennaio 1970 n. 1), conferisce il potere di ricorrere per Cassazione anche alla persona offesa dal reato non ammessa, nelle varie fasi del giudizio di merito, a costituirsi parte civile (Cass. Sez. VI 30 gennaio 1973, Locuratolo). Ma pure vero che, per l'espresso disposto del quarto comma dell'art. 190 c.p.p. (regole generali relative alle impugnazioni), per proporre un qualsiasi mezzo di impugnazione in ogni caso necessario avervi interesse; ed evidente che l'interesse ad impugnare manca del tutto allorquando dall'accoglimento dell'impugnazione non possa derivare alcun giovamento alla parte che l'abbia proposta. Ci posto, occorre domandarsi se, nella specie, l'accoglimento del ricorso possa condurre al riconoscimento del diritto dell'Amministrazione delle Finanze a costituirsi parte civile nel procedimento penale a carico del Cazandehore e dei di lui coimputati gacch solo in tal caso l'accoglimento del ricorso potrebbe giovare all'Amministrazione stessa, ai fini del riconoscimento dei danni prodotti dai reati ascritti ai medesimi e da taluno di essi. All'uopo, necessario rifarsi agli artt. 185 c.p. e 22 c.p.p., che rispet tivamente dispongono -fra l'altro -che ogni reato, il quale abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarci mento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono, rispondere per il fatto di lui; e che l'azione civile per il risarcimento del danno pu essere esercitata dalla persona alla quae il reato ha recato danno, ovvero di chi la rappresenta e dal suo erede. Trattasi, del danno pu essere esercitata dalla persona alla quale il reato ha figura di danneggiata dai reati contestati ai prevenuti o da taluno di detti reati. La Ilicorrente Avvocatura dello Stato, rendendosi conto dell'impor tanza del deliberato problema, non ha mancato di occuparsene nella RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 524 parte introduttiva dei motivi di ricorso (pag. 2), ma lo ha fatto in maniera alquanto imprecisa e piuttosto superficiale, osservando che il capo a) d'imputazione ascriveva ai prevenuti il fatto di avere importato in Italia e detenuto a scopo di commercio, in concorso tra loro, kg. 4,600 di cloridrato di cocaina (sostanza stupefacente) e che, essendo l'importazione degli stupefacenti preclusa in via assoluta ai privati, era chiaro come tale imptazione riguardasse anche il contrabbando di stupefa centi, in quanto l'importazione di stupefacenti non pu non essere, al tempo stesso, contrabbando di stupefacenti . Ci premesso, la ricorrente ha concluso che l'Amministrazione delle Fnanze doveva senza alcun dubbio considerarsi parte offesa (rectius: parte lesa o danneggiata) in relazione al reato di contrabbando di stupefacenti con relative evasioni fisca,li . Ma non chi non veda l'errore che si annida nelle proposizioni innanzi riportate. Altro , infatti, il delitto di importazione e detenzione per il commercio di sostanze stupefacenti (art. 6, comma quarto, Legge 20 ottobre 1954 n. 1041), contestato ai giudicabili, altro il reato di contrabbando per introduzione di merci estere attraverso il confine o per detenzione delle stesse nel territorio dello stato (art. 282, lettere a ed f), D.P.R. 23 dicembre 1973 n. 43), reato che non stato mai contestato agli imputati. Diverso il bene giuridico offeso; diversi gli estremi delle due fattispecie delittuose; diversa l'obiettivit giuridica delle medesime. Ne consegue che, nel procedimento in questione, l'Amministrazione delle Finanze non era attivamente legittimata all'esercizio dell'azione civile per il risarcimento del danno coritro gli imputati; donae l'inammissibilit, per mancanza di interesse, del ricorso proposto dall'Avvocatura dello Stato. Le considerazioni innanzi svolte precludono l'esame del motivo di gravame proposto dalla ricorrente e conducono alla condanna dell'Amministrazione finanziaria -in solido con l'imputato ricorrente -alle spese processuali, nonch alla sanzione pecuniaria prevista dall'art. 549 c.p.p., che stimasi fissare in L. 50.000 per ciascuno di essi. PARTE SECONDA I I I l I LEGISLAZIONE QUESTIONI DI LEGITTIMITA COSTITUZIONALE II -QUESTIONI DICHIARATE NON FONDATE r.d. 12 ottobre 1936, n. 1364, art. 29 (an-tt. 3, 24, comma prllTio, ~01, comma secondo, 107, comma terzo, e 108, comma secondo, della Costituzione). Sentenza 20 liugliio 1978, n. 74, G. V. 26 liugllio 1978, n. 208. legge 13 ottobre 1969, n. 691, art. 4 (.artt. 3, 24, oomm.a primo, 101, comma secondo, 107, comma terzo, e 108, comma secondo, drehla Costituzione). Sentenza 20 lug1io 1978, n. 74, G. V. 26 luglio 1978, n. 208). III -QUESTIONI PROPOSTE Codice civile, art. 1224, secondo comma (artt. 1, 3, 4 e 35 delJia Costituzicme). n. 243. PI'etore di MiLano, 011dinanza 25 g.ennaio 1978, n. 282, G. V. 30 agosto 1978, n. 243. codice civile, art. 2948, n. 4 (nel testo modificato dalla decisione n. 63 del 1 giugno 1966 della C. C.> (.artt. 3 e 24 deHia Oostituzione). Pretore di Roma, ordinanza 5 novembre 1977, n. 246/1978, G. V. 19 liuglio 1978, n. 201. codice di procedura civile, art. 152 disp. att., sost, legge 11 agosto 1973, n. 533, art. 9 (artt. 3 e 24 de~lia Costi!tuzicme). Pretore di Palermo, ordinanza 23 gennaio 1978, n. 258, G. V. 2 agosto 1978, n. 215. codice dI procedura civile, artt. 409 e 429 (an-tt. 1, 3, 4 e 35 defila Costituzione). Pretore di Mi.!Jano, ordina~a 25 gennaio 197, n. 282, G. U. 30 agosto 1978, n. 243. codice di procedura civile, art. 413, secondo comma (art. 3 delJia Costituzione). Pretore di Oagliiari, ordinanza 17 gennaio 1978, n. 220, G. U. 5 liug1io 1978, n. 186. codice penale, art. 102 (art. 25 deHa Costituzione). Magistmto di sO/I"veglfa~a del Tr1buna1Je di Bo!Jogna, ordinanza 26 gien.naio 1978, n. 214, G. V. 5 lugldo 1978, n. 186. 166 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO codke penale, art. 342 (artt. 1, 3, 21, 101 delfa Costituzione). Pretore di Sassari, ordinanza 10 novembre 1977, n. 257, G. U. 2 agosto 1978, n. 215. codice penale, art. 376 (art. 3 de11Ja Costitlizione). TdbunaLe di Reggio Oalabria, ondinanza 1 !Jugldo 1977, n. 221, G. U. 19 !Ju~lfo 1978, n. 201. codice penale, artt. 545 e 551 (artt. 2, 29, 31 e 32 della Costituzione). Tribuna:Le di CaLta:nissetta, ordinanza 22 febbra1o 1978, n. 248, G. U. 26 luglio 1978, n. 208. codice di pro,cedura ,penale, art. 177-bis {artt. 3, comma primo, e 24, comma secondo, delilia Costituzione). Preto11e di MiLaDJO, ordinamza 17 fobbraio 1978, n. 252, G. U. 26 !Jug1io 1978, n. 208. codice dI procedura penale, art. 202, secondo comma ('art. 3 deHa Costituzione). Tribunale di Rov1go, ordinoom 2 marzo 1978, n. 219, G. U. 5 !Jugl!iro 1978, n. 186. cod1ice di pt"ocedura penale, artt. 554, n. 3, 576 e 57.8 (art. 3, oomma primo, deLla Costituzione). Pretorn di M~bano, ordinanza 27 liebbraio 1978, 111. 271, G. U. 16 agosto 1978, n. 228. codice penale militare di pace, art. 180 (artt. 2, 3, 21, primo comma, 52, terzo comma e 97, primo 1oomma, deJJIJa Costituzione). GiJUdi:ce 1struttore del 1lrJbunale miLitare 00!1ritor1aJie di Padova, ordmanza 4 gennaio 1978, n. 272, G. U. 23 agosto 1978, n. 235. r.d. 20 luglio 1934, n. 1404, art. 24, secondo e quarto comma (modif. r.d. 15 novembre 1938, n. 1802, art. 4) (art. 3 deLla Costituzione). TribUIJiaLe per i minorooni di Perug]a, ordmanza 1 febbraio 1978, n. 250, G. U. 2 1agosto 1978, n. 215. r.d.I. 3 marzo 1938, n. 680, art. 69, primo comma (,art. 3 delilia Costituzione). Corte dei Conti, terza sezione girurisdizionare, due ordilnianre 17 novembre 1976, nn. 231 e 232/1978, G. U. 16 agosto 1978, n. 228. r.d.I. 14 aprile 1939, n. 636, art. 9, c. In legge 6 luglio 1939, n. 1272 (modif. dalla legge 4 aprile 1952, n. 218, art. 21 (artt. 3, comma. ;primo e secondo, 4, oomma primo e secondo, 37, comma primo, e 38, comma sec0111do, della Costituzione). P!1etore di Mi!iaDJO, ordinanza 6 febbraio 1978, n. 253, G. U. 2 agosto 1978, n. 215. .........,....,,....,.. PARTE II, LEGISLAZIONE r.d. 5 giugno 1939, n. 1016, art. 32, c:omma quinto e sesto