ANNO XXXIV N. 6 NOVEMBRE-DICEMBRE 1982 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Pubblicazione bimestrale di serv1z10 ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO ROMA 1982 ABBONAMENTI ANNO 1983 ANNO L. 29.000 UN NUMERO SEPARATO 5.300 Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO Direzione Commerciale -Piazza G. Verdi, 10 -00100 Roma e/e postale n. 387001 Stampato in Italia -Printed in Ital:1 Autorizzazione Tribunale di Roma -Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 (4219068) Roma, 1983 -Istituto Poligrafico e Zecca dell<;> Stato -P.V. INDICE Parte prima: GIURISPRUDENZA Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura del/'avv. Franco Favara) . . . . pag. 869 Sezione seconda: GIURISPRUDENZA ZIONALE (a cura COMUNITARIA E INTERNAde//' avv. Oscar Fiumara) . 907 Sezione terza: GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE (a cura degli avvocati Carlo Carbone, Carlo Sica e Antonio Cingolo) . . . . 917 Sezione quarta: GIURISPRUDENZA CIVILE (a cura degli avvocati Adriano Rossi e Antonio Catrical) . . 929 Sezione quinta: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA del/'avv. Raffaele Tamiozzo) . . . (a cura . Sezione sesta: GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (a cura dell'avvocato Carlo Bafle) . . . . . . . . . . 955 Sezione settima: GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI (a cura degli avvocati Sergio La Porta, Piergiorgio Ferri e Paolo Vittoria) 989 Sezione ottava: GIURISPRUDENZA PENALE (a cura degli avv.ti Paolo Di Tarsia Di Be/monte e Nicola Bruni) . . 997 Parte seconda: QUESTIONI -LEGISLAZIONE -INDICE BIBLIOGRAFICO CONSULTAZIONI -NOTIZl.A.RIO LEGISLAZIONE 20 I La pubblicazione diretta dall'avvocato: UGO GARGIULO CORRISPONDENTI DELLA RASSEGNA DELEGATI PRESSO LE SINGOLE AVVOCATURE Avvocati Glauco NORI, Ancona; Francesco Cocco, Bari; Giovanni CoNTu, Cagliari; Francesco GUICCIARDI, Genova; Marcello DELLA VALLE, Milaino; Carlo BAFILE, L'Aquila; Giuseppe Orazio Russo, Lecce; Raffaele CANANZI, Napoli; Nicasio MANcuso, Palermo; Rocco BERARDI, Potenza; Francesco ARGAN, Torino; Maurizio DE FRANCHIS, Trento; Paolo Scorn, Trieste; Giancarlo MAND, Venezia. ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI PALMIERI G., Brevi osservazioni in tema di successioni di leggi nel tempo e di efficacia delle pronunce di illegittimit costituzionale I, 933 PARTE PRIMA INDICE ANALITICO -ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA ACQUE -Acque sotterranee -Condizioni di pubblicit -Controversia relativa Competenza dei tribunali delle acque, 991. -Competenza e giurisdizione -Domanda di accertamento della demanialit proposta in via principale Competenza dei tribunali delle acque -Sussiste, 991. -Giudizio e procedimento -Impugnazioni -Regolamento necessario di competenza -Am.missdibiJit, 99,1. APPALTO -Appalto di opere pubbliche -Interessi sulle somme riconosciute dal giudice -Art. 36, quarto comma, d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063 -Applicabilit ad enti non statali Esclusione, 989. -Appalto di opere pubbliche -Variazioni -Diritto al pagamento del corrispettivo -CondIBioni, 989. COMUNIT EUROPEE -Libera circolazione delle merci Disposizioni fiscali interne discriminatorie -Regime fiscale degli alcoli: whisky e acquavite di vino Diritto erariale, sovrimposta di confine e imposta di fabbricazione, 913. - Unione doganale -Libera circolazione delle merci -Costituzione di una cauzione per il pagamento di merci importa1ie -Divieto, 907. CORTE COSTITUZIONALE -Giudizio incidentale di legittimit costituzionale -Esame delle questioni di fatto ad opera del giudice a quo -Deve precedere la rimessione degli atti alla Corte costituzionale, 892. -Giudizio incidentale di legittimit costituzionale -Ordinanza di rimessione -Insufficiente individuazione della normativa ordinaria sottopo sta a giudizio -Inammissibilit del la questione, 893. -Giudizio in via incidentale -Ordinanza di rimessione -Pi interpretazioni delle disposiizoni sottoposte a sindacato di costituzionalit Inammissibilit, 892. DEMANIO -Demanio artistico -Denuncia del va lore al momento dell'esportazione Vendita coatta -Effetti -Nuova normativa per l'esportazione verso i Paesi della C.E.E. -Applicabilit, 945. EDILIZIA ECONOMICA E POPOLARE -Cessione in propriet agli assegna tari -Alloggi costruiti per finalit diverse dall'edilizia popolare -Ap plicabi!]it, 950. -Cessione in propriet agli assegnatari -Stato di bisogno -Necessit, 950. ENTI PUBBLICI -Soppressione e messa in liquidazione -Procedimento per ottenere il soddisfacimento dei crediti nei con fronti di Enti Soppressi o messi in liquidazione -Domande gi proposte innanzi alla autorit giudiziariia, 951. ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILIT -Espropriazione per opere o interventi da parte dello Stato e degli altri enti pubblici -Procedimento secondo la disciplina della legge 25 giugno 1865 n. 2359 . Indennit . Espropriazione pronunciata dopo INDICE ANALITICO-ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA l'entrata in vigore della legge 27 giugno 1974 n. 247 Criteri indicati nel titolo II della legge 22 ottobre 1971 n. 865 Applicabilit anche nel giudizio di opposizione alla sti ma . Sopravvenienza della sentenza della Corte Costituzionale n. 5 del 1980 Pregresso procedimento amministrativo e giudizio di oppo sizione . Irrilevanza Criteri indi cati nel titolo II della legge n. 865 Applicabilit in via provvisoria sal vo ccmguagilJio, 952. -Retrocessione totale e parziale Presupposti, 954. -Rinunzia da parte dello Stato al diritto di propriet dei beni espropriati iStuazioni di diritto pubbli. co IrrinunciabH'it, 954. FAIMlGLLA -Obblighi alimentari Delibazione di sentenm .stiraniera Eccezione di presorizione Amlilliissibilit Sussiste, 951. FORZE ARMATE -Ufficiali Ufficiali in ausiliaria o del ruolo d'onore Non sono vincolati da rapporto d'impiego, 900. GIURISDIZIONE -Controversie inerenti alla misura della pensione ed al recupero di somme erroneamente pagate Giurisdi7Jione deLla Corte dei Conti, 9.18. -Corte dei conti Giurisdizione esclu siva in materia di pensioni Pro nuncia in via incidentale su atti relativi allo status dell'impiego Difetto di giurisdi2lione, 918. -Corte dei conti Legittimazione al Procuratore Generale a impugnare provvedimenti sulle pensioni dei dipendenti degli enti locali Questione estranea all'ambito della giurisdizione,. 91'8. -Giurisdizione ordinaria -Azione di nunciazione o richiesta di provve dimenti innominati -Proponibili t Umiti, 924. IMPIEGO PUBBLICO -Ex combattenti Divieto di assun zione in impiego di avere incarichi -Nozione, 944. -Personale delle Dogane -Fondo speciale Indennit di fiine rappor to Funzione -Anzianit convenzionale prevista per gli ex combat tenti -Applicabilit Esclusione, 943. -Personale delle Dogane Fondo speciale Indennit -Pagamento in ritardo Rivalutazione ed interessi di mora -Esclusione, 943. ISTRUZIONE E SCUOLE -Universit -Contrattisti Aggiunte di famiglia -Indennit integrativa speciale -Giurisdizione del TAR Istruzione e scuola -Universit assegnisti -Aggiunte di famiglia In dennit integrativa speciale -Difet to assoluto cli giurisdizionie, 9,17. LAVORO -Licenziamento disciplinare Art. 7 dello Statuto dei lavoratori AppMcabili: t, 904. -Rapporti di lavoro Trasferimento di azienda -Prosecuzione dei rapporti di lavoro -Esclusione -Fattispecie, 940. PENSIONI -Salariati dello Stato -Cumulo fra la pensione statale e quella previdenziale Divieto stabilito dal d.P.R. n. 1092 del 1973 -Applicabi lit ai rapporti pensionistici in corso Rapporti con gli effetti de rivanti dalla sentenza n. 117 del 1974 della Corte Costituzionale, con nota di G. PALMIERI, 932. PROCEDIMENTO CIVILE -Legittimazione passiva ad causam -Patrimoni riuniti ex economiali art. 18 L. 848/1929 -Sogget tivit giuridica autonoma -Non sus siste, 950. PUBBLICA AMMINISTRAZIONE -Responsabilit civile -Norme di prudenza da osservare per la tutela di diritti assoluti -Dovere di RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO VIII prevenire imprudenze altrui -In -Reato valutario previsto dall'art. 2. Ifil configurabilit, con nota di G. STIdella legge 30 aprile 1976, n. 159 e PO, 929. successive modifiche -Prova del danno subito dalle Amministrazio REATO -Reato valutario previsto dall'art. 2 della legge 30 aprile 1976, n. 159 e successive modifiche -Confisca prevista dall'art. l, ottavo comma, d.I. 4 marzo 1976, n. 31 -lnappli cabi:lit, con nota di N. BRUNI, 997. -Reato valutario previsto dall'art. 2 della legge 30 aprile 1976, n. 159 e successive modifiche -Confisca pre vista dall'art. 240 cod. pen. -Appli cabi1iot, con nota di N. BRUNI, 997. -Reato valutario previsto dall'art. 2 della legge 30 aprile 1976, n. 159 e successive modifiche -Giudizio di rettissimo -Applicabilit, con nota di N. BRUNI, 997. -Reato valutario previsto dall'art. 2 della legge 30 aprile 1976, n. 159 e successive modifiche -Propriet da parte di residente di azioni al portatore di societ estere e attraverso queste di azioni di societ italiane circolanti all'estero ed intestate alle societ estere Omessa dichiarazione all'U.l.C. entro il 3 dicembre 1976 -Determinazione del valore delle attivit non dichiarate, al fine della irrogazione della pena pecuniaria, sulla base del capitale sociale -Legittimit, con nota di N. BRUNI, 997. - Reato valutario previsto dall'art. 2 della legge 30 aprile 1976, n. 159 e successive modifiche -Propriet da parte di residente di azioni al portatore di societ estere e attraverso queste di azioni di societ italiane circolanti all'estero ed intestate alle societ estere -Omessa dichiara zione all'U.l.C. entro il 3 dicembre 1976 -Sussistenza, con nota di N. BRUNI, fiYn. -Reato valutario previsto dall'art. 2 della legge 30 aprile 1976, n. 159 e successive modifiche -Propriet da parte di residente di azioni al por tatore di societ estere e attraverso queste di azioni di societ itliane circolanti all'estero ed intestate alle societ estere -Pegno a favore di terzi gravante sulle azioni . Omessa dichiarazione all'U.l.C. entro il 13 dicembre 1976 -Sussisten za, con nota di N. 'BRUNI, 997. ni delle Finanze e del Tesoro -E' in re ipsa , con nota di N. BRUNI, 997. I -Reato valutario previsto dall'art. 2 della legge 30 aprile 1976, n. 159 e successive modifiche -Questione di legittimit costituzionale per contrasto con l'art. 10 della Costitu I zione e con il Trattato di Roma istitutivo della CEE -Manifesta in fondatezza, con nota di N. BRUNI, 997. SANIT -Servizio sanitario nazionale -Unit sanitarie locali -Ricorso dell'utente ai professionisti e presidi conven zionati -Autorizzazione -Posizione di interesse legittimo -Sezione Giurisdizione ammin~strativa, 953. SARDEGNA -Centro regionale antimalarico ed antinsetti -Personale giornaliero Assunzione Rapporto di impiego Natura privatistica, 939. STAMPA -Normativa sui reati commessi a mezzo stampa -Diffamazione -Raf fronto con la normativa sui reati compiuti a mezzo di trasmissione via etere -Disparit di trattamen to . Infondatezza, 887. TRIBUTI ERARIALI DIRETTI -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Plusvalenza -Societ -Ac certamento in concreto della qualit di imprentlitore - necessario, 955. -Imposta sulle societ -Partecipa zione di societ di capitali in societ di persone -Percezione di red dito - necessaria, 962. -IRPEF -Interessi passivi -Dovuti per mutui ipotecari -Limiti di de ducibilit -Legittimit costituzionale, 871. INDICE ANALITICO-ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA -IRPEF -Onere di documentazione degli oneri deducibili e dei carichi di famiglia -Mancata osservanza Inammissibilit di deduzioni e detrazioni Legittimit costituzionale, 869. -IRPEF -Spese sanitarie a favore di soggetto alimentando -Reddito posseduto da tale soggetto -Limite quantitativo -Legittimit costitu zionale, 872. -IRPEF -Spese sanitarie sostenute all'estero -Deducibilit, 870. -Reddito di lavoro subordinato -Detraibilit delle spese sanitarie -Limiti -Legittimit costituzionale, 870. -Reddito d'impresa -Costi ed oneri non imputati al conto profitti e perdite e/o non annotati nelle scrit ture -Indeducibilit -Legittimit costituzionale, 872. -Riscossione -Iscrizione a ruolo de finitiva -Imponibile riconosciuto nel ricorso alla commissione - vincolante -'Legittimit, 958. TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI -Imposta di registro -Accertamento di valore -Mancanza di una pretesa attuale d'imposta proporzionale -Legittimit, 966. -Imposta di registro -Accertamen to -Motivazione -Criteri -Stima diretta -Legittimit, 982. -Imposta di registro -Accessione Art. 938 cod. civ. -Attribuzione al costruttore delle propriet del fondo attiguo coperto con la costru; zione -Trasferimento del fabbricato -Esolusione, 976. -Imposta di registro -Agevolazione per le case di abitazione non di lusso -Appalto risoluto prima della costruzione dell'opera -Decadenza, 9.99. -Imposta di registro -Appalto di trasporti o trasporti singoli -Criteri di distinzion1e, 969. -Imposta sull'entrata Assegni I.C.C.R.I. -Natura -Compensi pagati dall'I.C.C.R.I. alle Casse di Risparmio -Interessi di puro impiego di capitale -Esclusione -Costituiscono entrata imponibilie, 983. -INVIM -Onere di documentazione delle spese incrementative -Mancata osservanza -Decadenza della detraibilit -Legittimit costituzionale, 869. TRIBUTI IN GENERE -Accertamento tributario -Motivazione -Metodo induttivo -Difetto di dichiarazione analitica -Legittimdt, 980. -Contenzioso tributario -Non rientra tra le materie di contabii!Jit ipUbbJJioa '" 901. -Principio della capacit contributiva -Leggi tributarie sopravvenute alla chiusura del periodo di imposta -Legittimit costituzionale, 871. TRIBUTI LOCALI -INVIM -Acquisto separato della nuda propriet e dell'usufrutto Valore iniziale -Va riferito al momento dell'acquisto della nuda propriet, 971. INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA CORTE COSTITUZIONALE 8 luglio 1982, n. 121 8 luglio 1982, n. 123 14 luglio 1982, n. 134 27 luglio 1982, n. 142 27 luglio 1982, n. 143 29 luglio 1982, n. 151 22 ottobre 1982, n. 168 26 ottobre 1982, n. 169 10 novembre 1982, n. 176 17 novembre 1982, n. 185 17 novembre 1982, n. 186 17 novembre 1982, n. 187 19 novembre 1982, n. 195 30 novembre 11982, n. 204 CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT EUROPEE 9 giugno 1982, ne~la oausa 95/81 ..... 3a sezionie, 15 luglio 1982, ne11a causa 216/81 . . . . . . . GIURISDIZIONI CIVILI CORTE DI CASSAZIONE Sez. III, 29 giugno 1981, n. 4216 Sez. I, 6 aipriffie 1982, n. 2104 . Sez. I, 29 aprile 1982, n. 2691 . Sez. I, 3 maggio 1982, n. 27'2". . Sez. I, 8 maggio 1982, n. 2866. Sez. I, 8 maggio 1982, n. 2867 . Sez. I, 11 maggio 1982, n. 2926 . Sez. I, H maggio 1982, n. 2927. Sez. Lav., 13 maggio 11982, n. 2988 Sez. I, 20 maggio 1982, n. 3112 Sez. I, 29 maggio 1982, n. 3321 Sez. I, 7 giugno 1982, n. 3436 . Sez. I, 22 igiugno 1982, n. 3898 Sez. Un., 5 l!uglio 1982, n. 4010 Sez. Lav., 6 l!ugLio 1982, n. 4017 Sez. Lav., 15 luglio 11982, n. 4140 Sez. Un., 19 h11glio 1982, n. 4201 pag. )) pag. pag. 869 869 870 870 871 872 887 892 900 901 872 892 893 904 907 913 929 955 958 959 962 966 969 9711 932 976 980 982 983 939 940 943 944 !@ iliI= 1~ f:'; I I i II I I I I INDICE CRONOLOGICO Sez. Un., 19 Jiug~io 1982, n. 4202 Sez. Un., .19 Wtiglio 119&2, n. 4221 Sez. I, 30 lugliio 1982, n: 43163 Sez. I, 4 ottobre 1982, n. 5014 . . Sez. I, 4 ottobne 1982, n. 5075 . . Sez. I civiJle, 21 ottobre .1982, n. 5486 Sez. I, 4 novembre 1982, n. 57192 . Sez. Un., 4 novembre 1982, n. 5806 Sez. Un., 15 novembre 1982, n. 6084 Sez. I, .15 novembre 1982, n. 6093 . Sez. Un., 16 novembre 1982, n. 6:115 Sez. I, 20 novembre 1982, n. 6257 . Sez. Un., 25 novembre 1982, n. 6363 . DELLA GIURISPRUDENZA Xl pag. 917 " 918 " 945 " 950 " 951 )) 951 " 989 " 952 " 918 " 991 " 953 " 954 " 924 GIURISDIZIONI PENALI CORTE DI CASSAZIONE Sez, III Penale, 27 settembre 1982, n. 1762 . . . . . . . . . . . . . . . pag. 9'17 PARTE SECONDA LEGISLAZIONE I. -Norme dichiarate incostituzionali pag. 201 II. -Questioni dichiarate non fondate 201 III. -Questioni proposte . . . . . . . . 204 I .' ' . . II ~== w ~ i::fil ~ ~ ii & ili ! ~ ~ ~~ -~ PARTE PRIMA SEZIONE PRIMA GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE I CORTE COSTITUZIONALE, 8 luglio 1982, n. 121 -Pres. Elia -Rel. Reale Barone (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Angelini Rota). Tributi erariali indiretti -INVIM -Onere di documentazione delle spese incrementative -Mancata osservanza -Decadenza dalla detraibilit Legittimit costituzionale. (Cost., artt. 3 e 53; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 18). Le disposizioni tributarie che sanzionano la mancata osservanza di oneri di documentazione di spese ed altre voci detraibili con la decadenza dalla loro detraibilit non contrastano con l'art. 53 Cost., riferendosi esse ai procedimenti per l'applicazione dei tributi e non ai presupposti sostan ziali di questi. II CORTE COSTITUZIONALE, 8 luglio 1982, n. 123 -Pres. Elia -Rel. Bucciarelli Ducci -Cabib (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Angelini Rota). Tributi erariali diretti -IRPEF Onere di documentazione degli oneri deducibili e dei carichi di famiglia -Mancata osservanza -Inammissi bilit di deduzioni e detrazioni -Legittimit costituzionale. (Cost., artt. 3 e 53; d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 3). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 870 Le disposizioni tributarie che sanzionano la mancata osservanza da parte di soggetti non imprenditori di oneri di documentazione di voci deducibili o detraibili con l'inammissibilit delle relative deduzioni o detrazioni non contrastano con gli artt. 3 e 53 Cost. (1). III CORTE COSTITUZIONALE, 14 luglio 1982, n. 134 -Pres. Elia -Rel. Reale Ortolati (n.p.). Tributi erariali diretti -Reddito di lavoro subordinato -Detraibilit delle spese sanitarie -Limiti Legitthnit costituzionale. (Cast., artt. 32 e 53; t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 136, come modificato da I. 4 dicem bre 1962, n. 1682, att. 5). La libera disponibilit di un reddito non requisito per la sua imponibilit; spetta al legislatore ordinario contemperare le esigenze finanziarie dello Stato con quelle pur incomprimibili del contribuente. IV CORTE COSTITUZIONALE, 27 luglio 1982, n. 142 -Pres. Elia -Rel. Reale Mannino ed altri (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Angelini Rota). Tributi erariali diretti -IRPEF Spese sanitarie sostenute all'estero -Dedu cibilit. (Cast., artt. 3 e 32; d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 10). La deducibilit delle spese sanitarie fondata sul riconoscimento delle esigenze di salvaguardia della salute e non persegue lo scopo di favorire (1) La sentenza, pur giusta nel dispositivo, sembra connotata da qualche imperfezione: anzitutto, non considera che alla tenuta di scritture contabili possono essere obbligati -come esattamente era stato prospettato dal giudice a quo -anche soggetti diversi da quelli sottoposti ad IRPEG; ed inoltre non considera che a carico dei soggetti IRPEG e dei soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili v' il diverso (e diversamente sanzionato) obbligo di allegare alla dichiarazione talune di tali scritture. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 871 l'accertamento dei redditi degli operatori sanitari; pertanto, l'art. 10 lett. f del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597 incostituzionale limitatamente alle parole nel territorio dello Stato (2). V CORTE COSTITUZIONALE, 27 luglio 1982, n. 143 -Pres. Elia, Rel. Saja - Parracino ed altri (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Angelini Rota). Tributi erariali diretti -IRPEF Interessi passivi Dovuti per mutui ipotecari . Limiti di. deducibilit Legittimit costituzionale. (Cost., artt. 3 e 53; d.P.R. 29 settembre 1973, n. '!$97, art. 10, come modificato da l. 13 aprile 1977, n. 114, art. 5). Tributi in genere Principio della capacit contributiva -Leggi tributarie sopravvenute alla chiusura del periodo di imposta Legittimit costi tuzionale. (Cost., art. 53; 1. 13 aprile 1977, n. 114, art. 23). Ancorch le spese e gli oneri strumentalmente collegati alla produzione del reddito possono essere considerati incidenti sulla capacit contributiva, ben pu il legislatore ordinario, secondo sue valutazioni discrezionali, circoscrivere le passivit deducibili avendo riguardo anche alle esigenze di gettito dei tributi e di cautela contro le evasioni di imposta; d'altro canto, la diversit di disciplina in tema di deducibilit degli interessi passivi tra imprenditori individuali o persone giuridiche ed altri contribuenti giustificata da una diversit di situazioni oggettive. Il principio della capacit contributiva ha carattere oggettivo perch si riferisce ad indici rivelatori di ricchezza e non gi a stati soggettivi del contribuente; non ha quindi rilevanza la prevedibilit o meno del carico tributario da parte di questi. (2) Com' noto, il tema della deducibilit degli oneri per spese mediche e di assistenza e degli oneri per spese chirurgiche, per prestazioni. specialistiche e per protesi ha ricevuto una nuova e diversa disciplina normativa con il d.l. 31 ottobre 1980, n. 693, conv. con modificazioni nella legge 22 dicembre '1980, n. 891, disciplina quest'ultima la quale persegue lo scopo di favorire l'accertamento dei redditi posseduti dagli operatori sanitari. Va aggiunto che la legislazione tiene conto della disponibilit o meno del reddito posseduto allorquando gradua la progressivit configurando la cosidetta curva delle aliquote IRPEF e prevedendo un abbattimento alla base, ed al~orquando ammette seppur modeste detrazioni soggettive per carichi di famiglia. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 872 VI CORTE COSTITUZIONALE, 29 luglio 1982, n. 151 -Pres. Elia -Rel. Malagugini -Zorzi (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Salimei). Tributi erariali diretti -IRPEF -Spese sanitarie a favore di soggetto alimentando Reddito posseduto da tale soggetto -Limite quantitativo Legittimit costituzionale. (Cost., artt. 3, 32, 38 e 53; d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 10 e 15, come modificati da I. 13 aprile 1977, n. 114, artt. 5 e 6). Rientra nella discrezionalit del legislatore ordinario condizionare la deducibilit di oneri sopportati dal contribuente a favore di altro sog getto a suo carico ma non superamento di un limite quantitativo del reddito da quest'ultimo soggetto posseduto. VII CORTE COSTITUZIONALE, 17 novembre 1982, n. 186 -Pres. Elia -Rei. Roehrssen -Maglificio La Trottola e altri (nip.) e Presidente Consiglio dei Minist11i (avv. Stato Angelini Rota). Tributi erariali diretti Reddito d'impresa Costi ed oneri non imputati al conto profitti e perdite e/o non annotati neU.e scritture lndeduci bilit Legittimit costituzionale. (Cost., artt. 3, 24 e 53; d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 74). Incombe sul contribuente l'onere di provare i costi e, in genere, le passivit da dedursi dai ricavi per la determinazione dei redditi imponibili; non contrasta con gli artt. 3, 24 e 53 Cost. l'art. 74 del d.P.R. n. 597 del 1973 che esclude la deducibilt dai redditi di impresa di costi e oneri non imputati al conto profitti e perdite e/o non annotati nelle scritture obbligatorie (3). (3) iLa sentenza conferma anzitutto che ruonere di fornire ilia prova dei costi e in genere delle componenti negative del reddito d'impresa incombe sul contribuente, ed inoltre che la deducibilit di tali componenti negative (e quindi la possibilit di fornirne prova) pregiudizialmente preclusa nel caso in cui esse non risultano imputate al conto profitti e perdite e/o non sono annotate nelle apposite scritture . In un sistema tributario caratterizzato dalla presenza dell'IVA e dei relativi obblighi strumentali, le statuizioni di cui all'art. 74, commi secondo e terzo, del d.P.R. n. 597 del 1973 rivelano una notevole potenzialit nei casi di omessa fatturazione (e conseguente occultamento dei ricavi) e di acquisti senza fattura (e conseguente occultamento dei costi): alla scoperta RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ispecie la determ1nazione del valore iniziale del bene, ai lini del calcolo dell'incremento di valore tassabile, nell'art. 11. Sono queste ultime norme, non l'art. 18, che determinano l'obbligo contributivo e Ja sua misura, i quali debbono essere e sono ~n armonia col principio .del concorso alle spese pubbliche in ragione della capacit contributiva proclamato dall'art. 53 della Costituzione. N si pu, per denunciare una pretesa violazione dell'art. 3 della Costituzione, porre a confronto le conseguenze, eventualmente pi gravi, che :la mancata tempestiva documentazione delle spese focrementative ,avrebbe 1-ispetto alla tardiva denunzia .del trasferimento accompagnata dalla documentazione. A parte che quest'ultima ipotesi non si realizzerebbe senza il mancato rispetto dei termini per Ja registra2liorte dell'atto da parte del notaio rogante, con Je conseguenti ulteriori S"anzioni, il diverso pregiudizio che in fatto potrebbe derivare al contribuente nelle due ipotizzabiilii situazioni non assumerebbe rilievo costituzionale. E ci anche a prescindere dalla considerazione che nel caso della mancata tempestiva dichiara21ione si tratterebbe di sanzioni conseguenti alla violazione di obblighi del contriibuente e del notaio, mentre nel caso di dichiarazione non accompagnata dalJa prescritta documentazione delle spese incrementative del valore iniziale del bene, si tratterebbe del mancato conseguirnnto di un utile derivante dall'adempimento di un onere che ne costituiva la condizione. II La questione che Ja Corte chiamata a decidere se contrnstJi o meno con gli a:rtt. 3 e 53 Cost., l'art. 3 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nella parte in cui impone alle persone fisiche, che non sono imprenditori, ai fini dell'ammissibilit delle deduzioni e detl'azioni fiscali, l'onere di produrre la relativa documentazione in allegato alla dichiarazione dei redditi. Si dubita, infatti, nell'ordinanza di rimessione che tale disposizione determini un':iirrazionale ed arbitraria disparit di trattamento nei confronti delle timprese non tenute a tale onere. La questione non fondata. Ne11'ordinanza di rimessione il principio della capacit contributiva viene strettamente collegato a quello della giustizia tributaria e quindi al principio di uguaglianza, che risulterebbe violato dalla previsione di un trattamento fiscale differenziato in situazioni obiettivamente identiche. Senonch proprio tale identit di situazioni che nella specie non sussiste. Tra le persone fisiche, soggette all'IRPEF e le imprese, soggette all'IRPEG, vi infatti una fondamentale differenza di situazioni, 1'ilevan'bi anche ai fini tributari. La gestione economica dell'attivit delle imprese trova la sua espressione nel bilancio e nel rendiconto annuale ed in ogni caso documen PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 873 I Il d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, :istitutivo dell'imposta comunale sull'mcremento del valore degli immobili (INVIM), aY'art. 11 stabilisce che ai fffii del calcolo dell'incremento :imponibile il valore iniziale del bene maggiorato daYe spese di ,acquisto, di costruzione e incrementative riferibili al periodo considerato per la determinazione dell'incremento stesso; e all'art. 18 (il cui testo, nella parte che interessa la questione sottoposta alla Corte, non stato modificato dal d.P.R. 23 dicembre 1974, n. 688) dispone che i cedenti di beni soggetti all'i:mposta debbono produrre fra l'altro una dichiarazione del valore iniziale del bene con l'indicazione delle spese !ncrementative di oui al citato art. 11. Tali spese, se non gi esposte nella dichiarazione, debbono, a pena di decadenza, essere denunciate all'Ufficio al momento della registrazione dell'atto, quando si tratta di beni ceduti per atto tra v~vi. Il comma quarto dehlo stesso art. 18 stabilisce che per ,le spese effettuate dopo l'entrata in vigore del presente decreto la dichiarazdone deve essere corredata dalla documentazione relativa . Interpretando questo onere di documentazione nel termine detto come prescritto a pena di decadenza (e ci in conformit all'avviso pi volte espresso in risoluzioni del Ministero delle Finanze e all'opinione, peraltro non univoca, della Commissione tributaria centrale), la Commissione -tributaria di primo grado di Torino denuncia la sospetta, incostituzionalit della norma (comma quarto dell'art. 18 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643), la quale si porrebbe in contrasto con l'art. 53 dela Costituzione m quanto prescinderebbe dal principio della capacit contributiva, e con l'art. 3 della Costituzione perch il mancato calcolo delle spese incrementative, conseguente alla mancata tempestiva documentazione di esse, potrebbe costituire una sanzione tributaria pi pesante di quella che conseguirebbe alla ritardata denuncia del trasferimento. La questione non fondata. Come osserva l'Avvocatura dello Stato, la denunciata norma dell'articolo 18 del d.P.R. n. 643 del 1972 si riferisce al procedimento per l'appl1icazione dell'imposta, non ai presupposti sostanziali di essa, che sono fissati nelle altre disposizioni del citato decreto e, per quanto riguarda in dei ricavi o costi cos occultati non pu seguire una rettifica in aumento delle (o anche delle) componenti negative risultanti dai documenti contabili. Unica eccezione ammessa dalla Corte costituzionale quella della assenza di qualsiasi dichiarazione del contribuente. Parrebbe quindi esclusa la possibilit di una ricostruzione globale della contabilit (nelle componenti sia positive che negatve) nei casi in cui le scritture siano inattendibili nel loro complesso (art. 39, secondo comma del d.P.R. n. 597 citato): peraltro, questa problematica, che meriterebbe una esplicita ed approfondita trattazione, non era rilevante ai fini dell'esame di legittimit costituzionale della dedotta questione. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE tata dalle scritture contabili disoiplinate dalla legge. Ed tale documenta: z;ione che deve essere allegata alla dichiarazione dei redditi (rt. 5, n. 2, d.P.R. n. 600/1973). Le persone fisiche, viceversa, non hanno alcun obbligo generale di rendicontazione e di documenta:llione, cosicch in sede fiscale soltanto la documentazione specifica allegata alla denuncia dei redditi pu dimostrare la fondatezza della richiesta di detrazione degli oneri deducibi1i. Del tutto razionale ,risulta, pertanto la diversit di conseguenze che il legislatore ha collegato all'omessa documentazione degli oneri da parte della persona fisica -che determina l'inammissibilit della relativa detrazione -rispetto all'omessa produzione del bilancio o alla mancata tenuta deJle scritture contabili da parte delle imprese -che determina invece l'accertamento sintetico del reddito (art. 39 d.P.R. citato). Non sussiste conseguentemente alcun contrasto tra fa norma impugnata ed i paramet11i costituzionali invocati nell'ordinanza di rimessione. III L'ordinap.za della Commissfone tributarci.a di primo grado di Bo~zano (emessa in controversia relativa a reddito imponibile soggetto a imposta complementare dichiarato nel 1972 per l'anno 1971, e quindi :regolato dalle norme del T.U. 29 gennaio 1958, n. 645) solleva la questione di legittimit costitu2Jionale della disposizione che consente la detra:z;ione dal reddito di lavoro subordinato di spese, passivit e perdite inerenti alla produzione del reddito stesso nella misura del venti per cento di esso con un massimo di lire 360.000. Tale disposizione appunto contenuta nell'art. 136, lettera d, del citato testo unico n. 645 del 1958 come modificato con l'art. 5 della legge n. 1682 deJ 1962 e fu sempre ritenuta applicabile alle spese per cure mediche e chirurgiche. Nella specie sottoposta alla Commissione tributaria di Bolzano il contribuente aveva denunziato spese per complessive Hre 2.239.830 soste nute da lui e dalla moglie per cure medico-chirurgiche chiedendo la detra zione di esse e di lire 360.000 e aveva cos motivato l'affermata detraibilit della spesa: <;Il sottoscritto ritiene detraibili le spese mediche, chirur giche, ospedaliere e medicine in forza dell'art. 53 della Costituzione norma precettiva, in quanto Je dette spese incidono direttamente suna capacit contributiva del cittadino che non gode di assistenm, come avviene per il sottoscritto . L'Ufficio delle imposte accertatore di Merano aveva limitato la de traibilit a lire 360.000. La norma sopraindicata che stabilisce questo limite di detraibilit sospettata di incostituzionalit dalla Commissione tributaria di Bolzano in relazione agli artt. 32 e 53 della Costituzione. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO La questione non fondata. li giudice a quo afferma che fart. 32 della Costituzione, tutelando la ,salute anche individuale, trova la sua pi ev.idente mainifestazione nella garanzia di cure gratuite ag1i indigenti; ma anche per i non indigenti la tutela della salute rva garantita attraverso l'opera degli enti assistenziali e nel caso si tratti di non assistiti, assicurando agli stessi J'uti1izzazione a propri.e spese della struttura sanita: riia : spese che dovrebbero -senza limite -essere detraibili dal reddito imponibile perch ,l'intento del legislatore costituzionale (nell'art. 53 Cost.) quello di far s che ogni cittadino diventi contribuente in relazione non al 11eddito e, quindi, alla ricchezza prodotta, ma a quella di cui abbia la libera disponibilit . La Corte non pu condividere questa interpretazione del precetto costituzionale che la Commissione tributaria ha mutuato dalla dichiarazione del contribuente sopra riportata. Restringere la tassabilit dei redditi secondo un indeterminato criterio di libera disponibilit di essi significherebbe imporre senza limiti la detraibilit dal reddito disponibile di ogni erogazione di esso, e senza limiti quantitativi, in necessit pri.marde dell'esistenza: non, dlUilque, soltanto le spese mediche, ma anche, e a maggior ragione, perch pi difficiJ.mente comprimibili, quelle per il sostentamento, per il tetto ecc. L'assurdit di una tale conclusione impone di rJ:portare il problema nei suoi veri termini, riconoscendo che la detraibilit non secondo Costituzione necessariamente generale ed illimitata, ma va concretata e commisumta dal legislatore ordinario secondo un criterio che concili le esigenze finanziarie dello Stato con quelle del cittadino chiamato a contribuire ai bisogni della vita collettiva, non meno pressanti di queHi della vita individuale. H punto di incontro e di contemperamento di tali esigenze varia a secondo dell'evoluzione economica, finanzia:riia e sociale del Paese e, come si detto, spetta al legislatore ordinanio di determinarlo, tenendo conto di tutti i dati del problema. Ci vale sia, in generale, per gli oneri deducibili e per le detrazioni soggettive di imposta (quota esente, carichi di famiglia) diversamente strutturati, .rispetto al T~U. del 1958, nel d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 e successivamente pi volte modificati, sia in particolare per quanto ,riguarda la detraibilit delle spese mediche, per le quali, confrontando la normativa del 1958 e del 1962 -di cui si tratta nella presente causa -con quella del 1973 e con quella del 1980, si vede di quanto s[ andato allargando l'ambito della detraibilit delle spese mediche dal reddito imponibile. (omissis) IV (omissis) Le controversie tributarie che hanno dato ongme alla questione di legittimit costituzionale in esame sono tutte relative a redditi IRPEF dell'anno 1975 dichiarati nel 1976, ad eccezione di quella della Com PARTII I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE m1.ss1.one tributaria di Reggio Calabria 'relativa (come si desume dal fascicolo di causa) a redditi IRPEF e ILOR dell'anno 1974 dichiarati nel 1975. Sono, quindi, regolate dalle disposizioni originarne del d.P.R. 29 set tembre 1973, n. 597, e infatti il dubbio di incostituzionalit stato solle vato da tutte le ordinanze sull'art. 10, lett. f, del detto decreto; e precisa mente da tutte le Commissioni in relazione agli artt. 3 e 32 Cost., da quelle di Bassano del Grappa e La Spezia anche in relazione all'art. 77 Cost. La norma citata dispone (anzi disponeva) la deducibilit dal reddito complessivo delle spese per cure mediche e chirurgiche e ,le spese neces sarie per l'assistenza specifica di persone colpite da grave e permanente invalidit o menomazione, compresi gli onorari o altri compensi per i quali sia ,indicato il domicilio o la residenza del peroipiente nel territorio dello Stato, per la parte del loro ammontare complessivo che ecceda il 10 o il 5 per cento del reddito complessivo dichiarato secondo che que sto sia o non sia superiore a quindici milioni di lire.... . Tutti i giudici a quibus, interpretando la norma come richiedente, per l'ammissione alla detrazione, per tutte le spese medico chiruri~iche compresi glii onorari, il domicilio o la residenza dei percipienti nel terri torio dello Stato e la loro indicazione da parte del contribuente, hanno dubitato della legittimit costituzionale di essa. La questione fondata. La 1legge tributaria allorch stabilisce, tanto nella disposizione cui si riferisce la questione che la Corte chiamata a decidere, quanto in disposizioni successive di ampiezza maggiore, la dedu cibilit delle spese medico chirurgiche dal reddito imponibile, lo fa certamente in considerazione dell'importanza primaria del bene della salute e dell'obbligo costituzionale della sua tutela (art. 32 Cost.). ben vero che la determinazione degli strumenti, dei tempi e dei modi di attuazione di questa tutela spettano al legislatore ordinario. E, infatti, sia per quanto ri!Uarda l'assistenza diretta, sia per quanto riguarda la deducibil:it delle spese di cura sostenute in proprio dal contribuente, la ,legislazione nazionale postcostituzionale offu-e il quadro di un'evoluzione nel senso della pi estesa tutela del bene de1la salute. Momento fondamentale di ,attuazione dell'intervento della collettivit ne1la tutela della salute dell'individuo l'emanazione della legge (n. 833 del 1978) che istituisce il Servizio sanitarfo nazionale, la cui finalit peculfare quella di assicurare direttamente a tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro capacit economica (che viene in gioco soltanto per la provviista dei mezzi necessari al funzionamento del servizio e, in via di eccezione, nella richiesta di limitati e graduati contributi da parte deglii utenti dei singoli servizi), la diagnosi e la cura degli eventi morbosi, quali che ne siano ile cause, la fenomenologia e la durata e la riabilitazione degli stati di invalidit terapeutica e psichica . Senonch, tanto dopo l'istituzione del Servizio sanitario nazionale, quanto prima, quando altre erano le strutture sanitarie alle quali era 878 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO affidata la tutela della salute di molte, ma non tutte, le categorie, non era e non interdetto ai cittadini di ricorrere agli interventi medici in case di cura o da parte di professionisti liberamente scelti o in ragione di una maggiore fiducia personale in essi o in ragione della necessit di terapie e di interventi non possibili alle strutture pubbliche. Ora, sia prima che dopo la riforma sanitaria del 1978, il legislatore tributar.io ha preso in considerazione le spese erogate dal contribuente per queste cure e, proprio in relazione al precetto dell'art. 32 Cost., le ha ritenute meritevoli di detrazione dal reddito imponibile delle persone fisiche, dapprima (testo unico n. 645 del 1968; d.P.R. n. 597 del 1973) solo in relazione all'entit del reddito imponibile, poi (art. 8 del d.t n. 693 del 1980 convertito .in legge 22 dicembre 1980, n. 891) accordando l'integrafo deducibilit, fra le dette spese, a quelle chirurgiche, per prestazioni specialistiche e per protesi dentarie e sanitarie in genere. (omissis). Alla stregua della legislazione vigente in esame, non , quindi, giustificabile, sul piano del principio di eguaglianza, la distinzione che la disposizione investita dal dubbio di costituzionalit opera ai fini della deducibilit dal reddito imponibile, per erogazioni delle quali il percipiente si trovi entro o fuori H territorio dello Stato. N qui si tratta -deve essere osservato -di evitare una evasione di imposta da parte del percipiente perch questo, in quanto residente all'estero, non debitore di imposta verso lo Stato italiano per un reddito non prodotto in Italia. Se lo scopo della norma fosse stato quello di consentire o favorire l'accertamento di reddito prodotto in Italia (nel qual caso Ia sua legittimit non sarebbe in discussione), essa av.rebbe dovuto prescrivere che l'indicazione necessaria solo quando il percipiente residente o domiciliato in Italia, secondo l'interpretazione di una Commissione tributaria, che risulta ti.solata ed contrnddetta da tutti i giudici a quibus. Ove poi si voglia sottolineare essere preferibi1e che la spesa sia sostenuta in Italia al fine di poterla tassare n capo ai percipienti, ci non pu costituire un motivo di tale rilievo da eliminare il fondamento della deducibilit che sta, ripetesi, nel riconoscimento accordato, in ossequio al precetto costituzionale, all'esigenza della salvaguardia della salute, e quindi alla libert di scelta, da parte dell'ammalato, di cure e tinterventi, a sue spese, al di fuori della struttura sanitaria alla quale potrebbe ricorrere in Italia. Del resto, basta ammettere, anche in via di ipotesi, suffragata dalla comune esperienza, che possano esserci delle cure e degli interventi per i quali sia necessario ricorrere all'estero, per riconoscere quale iniquit costituirebbe negare, in tali casi, la deducibilit delle spese al contribuente che ha dovuto sostenerle. Le consideraz.ioni fin qui svolte co?vincono la Corte che l'art. 10, lett. f, del d.P.R. n. 587 del 1973, faddove limita la deducibilit delle spese PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE e compensi di cui trattasi al caso che sia indicato il domicilio o la residenza del percipiente nel territorio dello Stato, confligga con gli artt. 3 e 32 della Costituzione perch in materia che si riferisce alla protezione della salute individuale discrimina irrazionalmente il trattamento fiscale delle spese sostenute nel territorio nazionale da quelle sostenute all'estero. Infatti, se le spese cui si riferisce la deducabilit sono riconosciute necessarie per la tutela della salute (e senza alcun rilievo dal fatto che esse avrebbero o no potuto essere evitate rivolgendosi alle strutture sanitarie nazionali), non appare ragionevole un trattamento diverso a seconda che il percipiente sia in Italia o all'estero. (omissis) V (omissis) Ci posto e passando all'esame del merito, osserva la Corte che l'altra ordinanza della Commissione tributaria di Lucera, n. 815/81, concerne un caso di mutuo garantito da ipoteca su immobili, con la sola pecuJ.iarit che tale negozio stato stipulato originariamente, come mutuatario, dall'imprenditore che aveva costruito l'intero edificio e che aveva poi trasferito un appartamento alla contribuente, la quale, oltre al pagamento del prezzo pattuito, si era accollata la parte di mutuo residuale. Ora, evidente come tale circostanza non escluda la deducibilit degli interessi, giacch (come, del resto, espressamente avvertito dal Ministro delle finanze con la risoluzione 10 luglio 1981, n. 8/1011 della Direzione generale delle imposte dirette) .la fattispecie normativa indicata daHa legge ricorre eguaJmente, tanto nel caso in cui il mutuo sia stato originariamente contratto dal contribuente, quanto in quello nel quale il contribuente debba rispondere per effetto dell'accollo posto in essere a seguito di accordo con l'originario mutuatario. (omissis) Rispetto a1la questione sollevata dalle altre tre ordinanze delJa stessa Comrnisione tributaria, occorre invece accertare se sia costituzionalmente corretta la disposizione dell'art. 5, che limita la deduzione agli interessi dipendenti unicamente da mutui garantiti da ipoteca con esclusione, perci, di ogni altra fattispecie negoziale. Il problema si presenta sotto due distinti aspetti, i quali trovano, entrambi, specifico riscontro nei vari casi concreti esaminati dal giudice a quo. Il primo aspetto concerne iil tipo di contratto indicato dal legislatore (e cio se sia legittima la previsione soltanto del mutuo e non anche di altri negozi che realizzano gli stessi effetti pratici propri del mutuo), mentre il secondo aspetto concerne l'esigenza della garanzia ipotecarfa richiesta dal citato art. 5. Va osservato che la ratio dell'innovazione risiede nell'intento di evitare, come stato chiarito espressamente e ripetutamente nei lavori preparatori, gli abusi che si erano verificati in precedenza. Il legislatore, appunto, 880 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ritenne che, con una normativa come que1la del 1973, la quale non poneva alcuna limitazione rispetto al tipo di negozio da cui conseguivano gli interessi n esigeva la sussistenza di una garanzia reale, l'Amministrazione finanziaria non fosse adeguatamente protetta contro le frodi fiscali di chi volesse fare apparire falsamente, per chiederne poi fa relativa deduzione, la corresponsione di interessi passivi. E per tale ragione stim opportuno condizionare la deducibilit a1la circostanza che gli interessi dipendessero da mutui garantiti da ipoteca su immobili, ritenendo cos di frapporre un serio ostacolo all'eventuale condotta fraudolenta del contribuente. Sotto il primo aspetto, il legislatore evidentemente opin che il carattere reale del mutuo meglio consentisse all'Amministrazione di controllare l'effettiv.it dell'intera operazione; e ci, in particolare, mediante richiesta di dimostrazione della preesistente disponibilit deHa somma da parte del mutuante, nonch della prova del concreto passaggio di propriet e del conseguente impiego di essa da parte del mutuatario. D'altro lato, la prescritta garanzia ipotecaria -per la sua pubblicit, per l'onere economico (imposta ipotecaria) connesso alla iscrizione e per i rilevanti effetti che derivano relativamente ai beni gravati -rappresenta anch'essa indubbiamente un elemento dimostrativo della effettivit del rapporto creditizio. Va da s come in subiecta materia spetti al legislatore, in relazione ai mezzi di cui dispone l'Amministrazione finanziaria, predisporre gli opportuni accorgimenti per impedire la consumazione di frodi fiscali. Il suo potere discrezionale, come intuitivo, pu essere censurato soltanto ove trasmodi nella arbitrariet o nella irrazionalit, il che, nella specie, va escluso, non potendosi ritenere arbitrario oppure irrazionale l'avere imposto, ai fini della deducibilit degli interessi passivi, due requisiti (che debbono congiuntamente concorrere) relativi all'effettivit ed alla seriet della operazione da cui gli interessi medesimi derivano, con la conseguente prevenzione di possibili frodi fiscali. Deve perci concludersi che l'esaminata questione non fondata, non risultando costituzionalmente censurabili le Hmitazioni anzidette. Altres infondata fa questione prospettata da1la Commissione tributaria di Roma, relativa al preteso contrasto tra l'art. 5 cit. e l'art. 53 Cost., in quanto la impossibilit di dedurre dal reddito la parte degli interessi che ecceda i tre milioni (portati a quattro a partire dal 1980 con la legge 24 aprile 1980, n. 146) determinerebbe l'assoggettamento a tributo di un reddito inesistente, e, di conseguenza, i.1 venir meno della corrispondenza tra imposizione e capacit contributiva. Al riguardo pu consentirsi, in linea di principio, nel considerare come incidenti sulla capacit contributiva le spese e gli oneri strumen talmente collegati alla produzione del reddito, i quali risultano cos suscettibili di essere portati in deduzione per ottenere fa base imponibile '.'.r.-.:.,..,-.,,-,.,-..-----r------- --,--- PARIB I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE del tributo; si tratta, invero, di elementi che incidono negativamente sul reddito, cio su quella ricchezza del contribuente dalla quale debbono trarsi i mezzi necessari per le spese pubbliche. Spetta per al legislatore, secondo .Je sue vaJ,utazioni discrezionali, di individuare gli oneri deducibili considerando iJ. necessario collegamento con fa produzione del reddito, il nesso di proporzionalit con il gettito generale dei tributi, nonch l'esigenza fondamentale di adottare le op portune cautele contro le evasioni di imposta. Alla luce di tali argomentazioni non pu affatto essere ritenuto arbitrario ovvero irrazionale il limite di tre milioni stabilito dal legislatore -come dato dedurre -sulla base dell'attuale condizione economica media della generalit dei contribuenti beneficiari di tale deduzione. Il che tanto pi da ritenere in quanto il legislatore appare 1 orientato nel senso che il Jimite stabilito non rimanga rigido ma venga opportunamente adattato all'oscillazione monetaria, sicch esso stato fissato nel 1977 nella misura anzidetta, ma stato nel 1980 portato con la citata legge n. 146 a quattro milioni. Deve essere ora esaminata l'altra questione, sollevata dalla Commissione tributaria di Roma, ila quaJe ha dedotto che il citato art. 5 contrasterebbe con l'art. 3 Cost., in quanto pone detta limitazione soltanto per i redditi delle persone fisiche; mentre, a suo dire, gli utili delle persone giuridiche e delle imprese sarebbero depurati da ogni passivit. Ma le norme indicate dal giudice a quo come tertium comparationis non consentono .il necessario raffronto perch gli interessi passivi per i redditi di impresa e per quelli delle persone giuridiche sono regolati da una disciplina ad essi del tutto peculiare, non riconducibile su un piano di eguaglianza con quella relativa ai redditi delle persone fisiche. Cos per i redditi di impresa, l'art. 58 d.P.R. n. 597 del 1973 dispone che gli interessi passivi sono deducibili per la parte corrispondente al rapporto tra l'ammontare dei ricavi e altri proventi che concorrono a formare il reddito di impresa, e l'ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi, compresi quelli esclusi o esentati dalla tassazione. Relativamente, poi, ai redditi delle persone giuridiche, gli interessi, a norma dell'art. 21 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 598, sono deducibili interamente solo se Je attivit, a cui ineriscono, sono state gestite distintamente e con contabilit separata: altrimenti la deduzione sar regofata dal cit. art. 58 irpef e perci sar consentita nei limiti del rapporto tra l'ammontare dei ricavi e proventi che concorrono per formare il reddito imponibile e l'ammontare globale di tutti i ricavi e proventi. In proposito, giova altres ricordare che sulla analoga normativa contenuta nell'art. 23, secondo comma, 'legge 5 gennaio 1956, n. 1 (trasfusa nell'art. 110 del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645 e ora nel cit. art. 58), questa Corte si gi pronunciata ritenendone la legittimit costituzionale 882 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO proprio in forza della diversit di situazioni sopra indicate tra le due categorie di contribuenti (sent. 26 maggio 1971, n. 107). Deve, perci, dirsi conclusivamente sul punto che la questione di cui trattasi non fondata. (omissis) Infine, le ordinanze delle Commissioni tributarie di Pisa e di Roma denunciano la illegittimit costituzionale dell'art. 23 legge 13 aprile 1977, n. 114, secondo cui le limitazioni introdotte dall'art. 5 (i giudici a quibus si riferiscono soltanto al Jh,nite di tre milioni, ma l'art. 23 comprende l'intera previsione dell'art. 5 e concerne quindi anche il tipo di contratto e la garanzia ipotecaria) si applicano anche ai redditi maturati nel 1976; ci, secondo i giudici a qu(bus, contrasterebbe con il principio della capacit contributiva, ,in quanto i contribuenti non potevano prevedere il maggior onere della imposta nel momento in cui il reddito maturato. La questione non fondata. Il principio sancito nel primo comma deU'art. 53 della Costituzione, in base al quale tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche !in ragione della propria capacit contributiva, ha carattere oggettivo perch si riferisce a indici concretamente rivelatori di ricchezza e non gi a stati soggettivi del contribuente. Pertanto non sembra conferente il richiamo, contenuto nelle ordinanze di rimessione, al convincimento dei contribuenti anzich alle loro effettive possibilit di sopportare il prelievo fiscale. Indubbiamente gioverebbe alla certezza del diritto ed alla reciproca chiarezza dei rapporti tra fisco e contribuente la esclusione del ricorso a leggi retroattive in materia tributaria. Tale criterio orientativo, al quale il legislatore dovrebbe costantemente ispirarsi, non trova tuttavia tutela a livello costituzionale perch la Costituzione pone il divieto di retroattivit soltanto per la materia penale (art. 25, secondo comma, Cost.). Peraltro, la Corte, pur escludendo costantemente nella materia tributaria la possibilit di considerare operante tale divieto, ha ritenuto che la legge pu s incidere sulla capacit contributiva esistente in un momento anteriore alla sua emanazione e rilevata da fatti passati, ma ha posto quale limite a tale possibilit la esigenza che la capacit stessa sia ancora sussistente, e quindi permanga, nel momento dell'imposizione (cfr. sent. 11 aprile 1969, n. 75 e 23 maggio 1966, n. 44). Tale orientamento non per intuitivamente riferibile alla specie, in cui non stato neppure genericamente dedotto un deterioramento della capacit contributiva dei soggetti interessati, intervenuto tra il momento della nascita del rapporto tributario e quello della successiva entrata in vigore della norma impugnata. E del resto, la brevit del termine trascorso, nella specie, tra i due momenti suddetti induce a escludere che un siffatto deterioramento si sia potuto verificare. Anche quest'ultima questione, dunque, va dichiarata non fondata. ....:....::...- PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE VI La Commissione tributaria di primo grado di Rovereto dubita della legittimit costituzionale del combinato disposto degli artt. 10, primo comma, .lettera d) ed, ultimo comma, e 15, terzo comma, n. 3, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, ritenendone il contrasto con gli artt. 3, 32, 38 e 53 Cost. La questione stata sollevata nel corso di un giudizio nel quale venivano in discussione fa dichiarazione dei redditi di una contribuente e la conseguente liquidazione dell'imposta IRPEF relative all'anno 1977. bene, perci, precisare che le disposizioni denunziate del d.P.R. n. 597 del 1973 vanno lette nel testo sostituito dagli artt. 5 e 6 della legge 13 aprile 1977, n. 114, cos che oggetto dell'impugnazione risulta il combinato di sposto degli artt. 10, primo comma, lettera d) e terzo (non ultimo) comma, 15, secondo (non terzo) comma, numero 3, del d.P.R. n. 597 del 1973, nel testo sostituito rispettivamente dagli artt. 5 e 6 della legge n. 114 del 1977. Il giudice a quo muove da una interpretazione dei sopra indicati disposti di fogge per cui sono ritenuti deducibili dal reddito comples sivo, nella misura .ivi stabilita, gli oneri, risutlanti da 1idonea documenta zione, per le spese mediche e chirurgiche , nonch per quelle di assistenza specifica necessaria nei casi di grave e permanente invalidit o menomazione, sostenuti dal contribuente (art. 10, primo comma let tera d), anche quando erogate in favore di una delle persone indicate nell'art. 433 del codice civile, diversa dai figli o affiliati, purch tale persona non possieda redditi propri superiori a lire novecentosessantamila e conviva con il contribuente o percepisca assegni alimentari non risultanti da provvedimenti dell'autorit giudiziaria (art. 15, secondo comma, numero 3, cui fa rinvio J'art. 10, terzo comma). Nella fattispecie dedotta, la parte privata pretendeva di dedurre dal reddito denunziato, nella misura legislativamente determinata, le spese erogate per l'assistenza specifica al padre, titolare di un reddito proprio di poco superiore aUe lire novecentosessantamila, e il giudice a quo ha dubitato della legittimit costituzionale delle precitate norme di legge, ostative, nella interpretazione da lui accolta, all'accoglimento del ricorso del contribuente. La questione non fondata. Ci che viene anzitutto in discussione la legittimit della determinazione ad opera del legislatore di un limite di reddito -nel caso specifico, della persona nei cui confronti il contribuente tenuto agli alimenti -per l'applicazione di una determinata normativa. Ora, evidente che la fissazione di un limite quantitativo, ai fini considerati, qualifica, di per s, in modo diverso la situazione di coloro i 884 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO cui redditi rientrano nel limite stesso, rispetto a quella di coloro i cui redditi, viceversa, quel limite superano, non rileva di quanto. Ne consegue che un problema di uguaglianza di trattamento tra fattispecie quali quelle considerate, nelle quali decisivo e scriminante il livello del reddito della persona che ha diritto alla prestazione degJi alimenti da parte del contribuente interessato, neppure pu prospettarsi, dal momento che ne manca l'indispensabile presupposto. Quanto alla legittimit della fissazione di una quantit minima di reddito che escluda la capacit contributiva del soggetto percettore (perch il reddito in quella misura, appare appena sufficiente a soddisfare i bisogni elementari della vita) ovvero, come nella fattispecie legale considerata, sia tale da far ritenere, sul piano fiscale, il soggetto medesimo vivente a carico di altro, obbligato nei suoi confronti, cos da consentire la detraibilit, in misura data, degli oneri sopportati dal secondo a beneficio del primo per scopi determinati; una tale determinazione rientra nella discrezionalit del legislatore ordinario, che solo pu provvedervi in riferimento a complesse situazioni economiche e sociali (cfr. sent. n. 97 del 1968), che sfuggono al sindacato di questa Corte, salvo il controllo di legittimit sotto il profilo dell'assoluta arbitrariet o irrazionalit della norma (ibidem). Tanto ritenuto, si deve osservare che la disposizione dell'art. 15, secondo comma, n. 3 del d.P.R. n. 597 del 1973, nel testo sostituito dall'art. 6 della legge n. 114 del 1977, stabilisce appunto i criteri, tra i quali il limite di reddito di lire novecentosessantamila, posti dal legislatore perch una delle persone indicate dall'art. 433 del codice civile, diversa dai figli o affiliati, possa considerarsi fiscalmente a carico del contribuente, obbligato agli alimenti nei suoi confronti; abilitando perci quest'ultimo ad una detrazione d'imposta per carico di famiglia e, coerentemente, anche alla deduzione di alcuni degli oneri, tra quelli dichiarati deducibili dal precedente art. 10, che il contribuente documenti di aver sopportato in favore del vivente a carico. Decisiva , dunque, la situazione di quest'ultimo, mentre quella dell'obbligato nei suoi confronti ex art. 433 del codice civile viene in considerazione unicamente se si verificano i presupposti di cui al precitato art. 15, secondo comma, n. 3 della normativa denunziata, nel senso che soltanto in questo caso i1 legislatore ritiene il primo fiscalmente a carico del secondo. Perci, gli scopi per i quali il contribuente documenti di aver sopportato determinate spese in favore dell'alimentando possono acquistare r.iJ.ievo soltanto se ricorrono i presupposti test ricordati; in difetto, i beni fa cui tutela viene invocata -in particolare quelli di cui agli artt. 32 e 38 Cost. -neppure entrano in gioco, dal momento che indifferente, dal punto di vista fiscale, lo scopo per il quale, sia pure ad opera di chi tenuto per legge alla prestazione degli alimenti, vengono erogate I I ....................-r.....r...r.......,-..r,-.,-,-.-.-,-.,-.-.-,.-,-. l PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 885 somme in favore di soggetto dotato di un reddito proprio che la legge giudica eccedente le necessit minime vitali. Quanto alla adombrata violazione dell'art. 53 Cost., con riguardo questa volta alla capacit contributiva del soggetto obbligato ex art. 433 e.e., essa non pu che essere valutata alla stregua dei medesimi criteri dettati per la generalit dei contribuenti. VII (omissis) La Corte chiamata a decidere se l'art. 74, commi secondo e terzo, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 (Istituzione e disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisiche), escludendo Ia detrazione dal reddito d'impresa delle poste passive non registrate nelle scritture conta~ bili prescritte ai fini fiscali e non imputate nel conto profitto e perdite, sia in contrasto con gli artt. 3, 24 e 53 della Costituzione, in quanto comporta una tassa:tione non proporzionata alla capacit contributiva, sottopone ad un trattamento deteriore chi abbia presentato una denuncia dei redditi infedele rispetto a chi l'abbia omessa del tutto e lede il diritto di difesa del contribuente, impedendogli di dimostrare il proprio reddito netto effettivo. La questione non fondata. L'art. 74, secondo e terzo comma, ha stabilito che nel determinare la base imponibile dell'IRPEF deve tenersi conto degli oneri e dei costi, ma ha anche precisato le condizioni in presenza delle quali tali oneri sono deducibili: essi, infatti, devono risultare registrati nelle scritture conta bili appositamente prescritte ai fini fiscali (terzo comma) ovvero impu tati al conto profitti e perdite (secondo comma). In tal modo l'art. 74, nel rendere concreto il precetto che gli oneri ed i costi, per essere deducibili, devono essere effett.ivi e reali, ha inteso tutelare adeguatamente l'interesse della finanza, la quale pu ammettere la deduzione solo quando gli oneri ed i costi siano provati: e tale prova, come emerge chiaramente dallo stesso art. 74, secondo e terzo comma, nonch dall'art. 3, secondo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 ( Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui red diti) deve essere fornita dallo stesso contribuente e deve consistere nel dimostrare che il contribuente medesimo ha osservato il comportamento impostogli dalla legge per la regolare tenuta delle sue scritture e per la regolare conduzione della gestione della sua impresa. D'altro canto la disposizione contenuta nei due citati commi del tutto coerente con un sistema impositivo fondato sulla dichiarazione del contribuente, chiamato a rendere noti tutti gli elementi (attivi e passivi) che concorrono a formare la base imponibile: , perci, il contribuente che deve fornire alla finanza gli elementi sostanziali che valgano a dimo 886 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO strare l'effettivo ammontare delle sue entrate e, quindi, anche dei fatti che incidono su tali entrate in senso negativo, salvo, ovviamente, il con-. trollo della finanza medesima. Soltanto in assenza di qualsiasi dichiarazione del contribuente, e cio in una situazione ben diversa da quella alla quale si rif l'art. 74, la finanza agisce ex officio e si richiama agli accertamenti eseguiti dalla polizia tributaria (art. 41 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600). Ci chiarito, ritiene la Corte che nessuna delle prospettate censure abbia consistenza: a) per quanto riguarda la pretesa violazione dell'art. 3 Cost., si osserva che 'l'art. 74, stabilendo .la cennata condizion per la detrazione dal reddito .di impresa degli oneri e dei costi (come stato riconosciuto m caso del tutto analogo con la sentenza n. 201 del 1970), ha posto tutti i soggetti tassabili in situazione identica dinanzi alla norma, essendo a tutti riconosciuto uguale diritto alla detraibilit. Ma, ci detto, non pu riconoscersi identit di situazione fra coloro i quali abbiano regolarmente osservato le cennate prscrizioni e coloro i quali, invece, a tali adempimenti si siano sottratti: anzi proprio in virt del principio di ugua~ianza i secondi non possono invocare tale trattamento (citata sentenza n. 201/1970). A maggior ragione non pu parlarsi di disparit di trattamento rispetto al caso limite della assoluta mancanza di dichiarazione (art. 41 d.P.R. n. 600 del 1973), nel quale la finanza costretta a procedere all'accertamento di ufficio di tutti gli elementi del caso con la possibilit di avvalersi di facolt che altrimenti non ha (come ad es. quella di utilizzare dati e notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza e di operare sulla base di presunzioni prive dei requisiti di cui all'art. 38 del medesimo d.P .R. n. 600). b) Quanto alla asserita violazione dell'art. 53, si rileva che la determinazione del quantum del tributo che il contribuente tenuto a corrispondere ben pu essere dalla legge subordinato alla osservanza di taluni obblighi, come appunto avviene nella fattispecie, sulla base di prescrizioni non defatiganti od eccessive ma che, come si detto corrispondono esattamente al comportamento che ogni titolare di impresa dovrebbe osservare. e) Quanto infine alla pretesa violazione dell'art. 24 Cost., la Corte non vede in qual modo possa ritenersi conculcato il diritto alla difesa nella sede giurisdizionale, nessuna limitazione in proposito essendo contenuta nelle norme denunciate: l'art. 74, invero, non attiene all'aspetto processuale ma norma di diritto sostanziale, la quale pone le condizioni necessarie per godere di un determinato diritto, cio del diritto alla detrazione di alcune somme. ! ~ I I I i I PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 887 CORTE COSTITUZIONALE, 22 ottobre 1982, n. 168 -Pres. Elia -Rel. Andrioli -Zanetti Livio e Fabiani Roberto (avv. Emeri e Gatti) c. Presidente del Consiglio dei Ministri (aw. Stato Oaramazza). Stampa -Normativa sui reati commessi a mezzo stampa -Diffamazione Raffronto con la normativa sui reati compiuti a mezzo di trasmissione via etere -Disparit di trattamento -Infondatezza. E infondata la questione di costituzionalit -per contrasto con l'art. 3 della Costituzione -degli artt. 1, 9, 12 e 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 (legge sulla stampa) che dettano una disciplina pi severa di quella prevista per la diffamazione compiuta a mezzo di trasmissioni via etere (1). (omissis) In tredici ordinanze il Tribunale di Roma ha denunciato, in riferimento all'art. 3 Cost., ~li artt. 1, 9 e 13 I. 8 febbraio 1948 n. 47 perch non si giustificherebbe la diversa disciplina prevista per i reati commessi a mezzo della stampa rispetto a quelli commessi con il mezzo della pubblicit costituita dalle trasmissioni radiotelevisive; diversit che si esprime nella minore asprezza delle pene comminate per gli imputati (1) Si riporta qui la memoria depositata dinanzi la Corte costituzionale: 1. -La norma denunciata prevede che, nel caso di diffamazione commessa col mezzo della stampa, la persona offesa possa chiedere, oltre al risarcimento dei danni, una somma a titolo di riparazione. Ha ritenuto la Corte di Appello di Roma che la inapplicabilit di tale norma ai reati di diffamazione commessi con altri mezzi di diffusione del pensiero, quali la radio e la televisione, comporti una ingiustificata disparit di trattamento fra soggetti penalmente responsabili di fatti aventi analoga efficacia lesiva. 2. -La questione si pone nel pi ampio quadro normativo della legge 8 febbraio 1948, n. 47 che, come noto, prevede una disciplina assai pi rigorosa (per la competenza, il rito, la sanzione, le pene accessorie, la determinazione dell'area del pregiudizio risarcibile, l'individuazione dei responsabili) per il reato di diffamazione a mezzo stampa rispetto a quello comune . Ad avviso del giudice a quo la diffamazione a mezzo radio o televisione avrebbe una potenzialit offensiva almeno pari rispetto a quella effettuata a mezzo stampa: ciononostante la sua punizione rimane regolata dal diritto comune. In tale situazione la pi grave normativa differenziale prevista dalla legge 47/48 sarebbe incostituzionale per violazione del principio di uguaglianza, contem plando una soltanto di due ipotesi di identica gravit e riprovevolezza. La questione cos posta appare, in limine, inammissibile per manifesta irri levanza e, nel merito, infondata. 3. -La prospettazione del giudice a quo sembra fondarsi su di una concezione meramente formalistica del principio di uguaglianza: la giurisprudenza di codesta Corte ha, per contro, da tempo elaborato una assai pi pregnante costru 3 888 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO di reati commessi per mezzo delle trasmissioni radiotelevisive via etere, la cui obiettivit per quella RAI TV per giunta soggetta a controllo del competente organo parlamentare di vigilanza. Giova premettere che nel quadro dell'art. 595 cod. pen. al primo comma, il quale incrimina chiunque, comunicando con pi persone, offende l'altrui reputazione punendolo con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino a diecimila lire, si contrappone il terzo comma, il quale, se l'offesa recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicit, ovvero in atto pubblico, punisce il reo con la reclusione da sei mesi a tre anni o con .la multa non inferiore a ventimila .lire. La legislazione successiva non ha inciso sulla concezione della maggiore pericolosit del mezzo della stampa e di qualsiasi mezzo di pubblicit rispetto allo schema generale della diffamazione delineato nel primo I comma dell'art. 595, ma ha operato nell'area del terzo comma dapprima con l'impugnato art. 13 ( nel caso di diffamazione commesa col mezzo I della stmpa, consistente nell'attribuzione di un fatto determinato, si i I applica la pena della reclusione da uno a sei anni e quella della multa ! ~ I1 zione di quel principio, funzionalizzandolo -come criterio di ragionevolezza ! ad un controllo di congruenza logica delle norme con le finalit corrispondenti I ad interessi tutelati dalla Costituzione. La denuncia della violazione del principio di uguaglianza per disparit di I trattamento di situazioni analoghe, in tanto, quindi, pu condurre alla caducazione della norma denunciata in quanto (e nella misura .in cui, se si perdona l'abusata espressione) essa norma sia affetta dal vizio di irragionevolezza, mentre, I invece, ove la irragionevolezza discenda non dal precetto ma dalla sua incompletezza non potr mai arrivarsi ad una sentenza caducatoria ma, a seconda I dei casi, manipolativa per addizione o sollecitatoria. Orbene, nella specie appare pacifico come la maggiore severit usata dal I legislatore nei confronti del reo di diffamazione a mezzo stampa rispetto al I reo di diffamazione a mezzo di radio-diffusione sia congruamente proporzionta I con la differenza di gravit dei due rispettivi reati in relazione alla diversa pro I I fondit della lesione inferta al bene protetto dalJLa. norma "Penale. La normativa differenziaLe appare, quindi, non solo legittima ailla luce dell'art. 3 delllia Costi I tuz.ione, ma addirittura doverosa per i1 Jegisliatore, alla stregua del:l'insegnannento I di codesta Corte (per tutte, Corte Cost. sent. n. 62 del 19 aprile 1962), iin quanto il riservare analogo trattamento ad ipotesi di gravit tanto diverse violerebbe I hl principio ai ragionevolezza. Se cos -e non pare lecito dubitarne -l'ipotizzata analogia di situazioni I fra diffamazione a mezzo stampa e diffamazione a mezzo radio-diffusione (ammesso e non concesso che tale analogia vi sia) condurrebbe ad una difformit dell'ordinamento dalla Costituzione non gi nella parte in cui la normativa pi rigorosa punisce i diffamatori a mezzo stampa, sibbene nella parte in cui la normativa piu rigorosa non estesa anche alla diffamazione via etere : ma evidente che, posta in tali termini, la questione di costituzionalit , da un lato, irrilevante per la decisione della causa a quo, dall'altro inammissibile, attesa la imoossibilit per codesta Corte, in subiecta materia, di emettere sen PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 889 non .inferiore a lire centomila), pol con .la 1. 14 aprHe 1975, n. 103 (nuove norme in materia di diffusione radiofonica e televisiva), la quale prevede s il diritto di rettifica, considerato anche dall'art. 8 della legge del '48, ma soggiunge che la rettifica non esclude le responsabilit penali e civili nelle quali si incorsi. Inoltre la legge medesima estende parte della normativa del '48~ ivi compreso l'art. 13. Tale essendo la posizione sistematica della normativa, di cui fan parte le disposizioni impugnate, ne discende che Je norme complementari, non innovando al sistema delineato nell'art. 595, hanno, nell'area coperta dal terzo comma, modificato -per quel che attiene alla misura della pena il regime della stampa, quale veicolo di diffamazione, e non anche il regime degli altri mezzi di pubblicit, ma la specialit impressa agli schemi delineati nel comma terzo dell'art. 595 non consente di ravvisare negli altri mezzi di pubblicit il genus rispetto al quale la disciplina della stampa si profili come (in maggior grado) speciale. Sul piano giuridico-formale gli ora esposti rilievi, che hanno trovato collocazione nella sent. 42/1977 di questa Corte, sarebbero sufficienti a giudicare infondata la proposta questione di costituzionalit degli artt. 1 tenze manipolatrici additive, sottraendo alcune fattispecie alla disciplina comune per ricondurla in una disciplina speciale che si ritiene pi congruamente tutelare gli interessi coinvolti (Corte Cost., 20 gennaio 1977, n. 42). 4. -Nel merito va, poi, osservato come non appaia esatta la equiparazione delle due fattispecie in raffronto, che si differenziano sotto molteplici aspetti: la legge sulla stampa 8 febbraio 1948, n. 47, venne approvata dalla stessa Assemblea Costituente in attuazione della disposizione XVII delle disposizioni transi torie e finali della Costituzione, per disciplinare il diritto della libert di stampa sancito dall'art. 21 della Costituzione che considera -e non a caso -la stampa come mezzo di manifestazione del pensiero meritevole di autonoma disciplina. La ragione non data soltanto dal fatto che, per tradizione storica, la libert politica si identificata quasi essenzialmente con la libert di stampa, ma soprattutto dal fatto che la stampa il mezzo di diffusione del pensiero che, meglio degli altri, riunisce in s due requisiti fondamentali: quello di essere a illimitata diffusibilit e quello di essere, almeno potenzialmente, nella disponibilit produttiva di ogni individuo. Gli altri mezzi di diffusione del pensiero non possiedono congiuntamente questi due requisiti: la parola, per esempio, certo nella disponibilit produttiva di ogni individuo, ma ha una limitata diffusibilit; la radio, la televisione, il cinema, tutti i cosiddetti mezzi di comunicazione di massa, insomma, hanno una ampia diffusibilit (non, per, illimitata) ma non sono assolutamente nella disponibilit produttiva di ogni individuo: tanto vero che, per ragioni economiche e per motivi politici, sono, in genere, monopolizzati dai centri di potere statuali e privati. (Nuvolone, Il Diritto penale della Stoampa, 1971, Padova, pag. 10). Gi tanto basterebbe, ma le differenze non si fermano qui: si pensi ancora al fatto che la stampa rimane conservata nel tempo (cfr. Nuvolone, op. cit., pag. 13; Carrara, Programma, P. Sp. vol. Ili, Lucca 1878, Il, par. 1721) a disposizione del pubblico (art. 10, 1. 2 febbraio 1939, n. 74) -e quindi, in un certo senso, consegnata alla storia -mentre la notizia trasmessa via etere si 890 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (definizione di stampa o stampato), 9 (pubblicazione obbligatoria di sentenza) e 13 (pena per la diffamazione) della legge del '48; sebbene in quell'incontro i giornalisti radiotelevisivi resistessero aH'applicazione in loro pregiudizio della legge 8 febbraio 1948 n. 47, eadem la ratio decidendi da cogliersi in ci che non pu estendersi una normativa speciale ad attivit diverse, e speciali -rispetto al modulo generale del primo comma -sono pur sempre le normative che disciplinano la diffamazione a mezzo stampa o per mezzo di altre forme di pubblicit. N va pretermesso che la stampa viene anche in dottrina riguardata come mezzo di diffamazione ben pi pericoloso di altri mezzi di pubblicit talch anche nei tempi presenti, in cui si registrano sempre pi cospicue masse di spettatori, la stampa non ha cessato di profilarsi quale pi pericoloso veicolo di diffamazione e, pertanto, non irrazionale la taxatio maggiore rispetto alla tecnica radiotelevisiva. Ci naturalmente non toglie che nell'area deHa l. 103/1975 possano cog1iersi discrasie e che il legislatore possa ridurre .U solco che separa la legge del '48 dalla pi recente legge del '75, ma qui si nega che tale compito, la cui attuazione implica indagini sociologiche e sociopolitiche, possa essere esplicato dalla Corte, esaurisce, come fonte autonoma di conoscenza, nel momento in cui viene fornita. Si pensi ancora al fatto che, quanto meno secondo un principio di regolarit statistica, nel reato a mezzo stampa -e non in quello via etere -pu presu mersi un dolo di proposito. Viene dunque meno quella identit di situazione nelle due fattispecie diversamente regolate che costituisce presupposto della denunciata illegittimit della disciplina differenziata. Ma vi di pi: nella sentenza 42/77, sopra citata, codesta Corte ha gi precisato -e proprio in relazione alla materia in esame -che la sottrazione di alcune fattispecie alla normativa generale per ricomprenderle in una speciale pi rigorosa costituisce oggetto di scelta eminentemente politica, e che una estensione del regime della stampa all'emittenza via etere ulteriore rispetto a quella gi operata con l'art. 7 della legge 14 aprile 1975, n. 103 costituirebbe oggetto di una valutazione discrezionale del legislatore. Il quale, d'altronde, proprio nella legge 103/75, sembra aver operato valutazioni e scelte, discriminando fra emittenza pubblica in regime di monopolio, cui ha esteso, con l'art. 7, la applicabilit della legge sulla stampa limitatamente agli artt. 5, 6, 8 e 21 (ora modificati -ma ad effetti non rilevanti ai fini del presente giudizio -dalla legge 5 agosto 1981, n. 416) ed emittenza privata via cavo, cui ha esteso, con l'art. 31, in misura molto maggiore (ma non totale! il rinvio fatto, invero, agli artt. 3, 5, 6, 9, 13, 14, 15 e 21) l'applicabilit della stessa legge. Nulla, naturalmente, ha previsto il legislatore del 1975 per l'emissione privata via etere, al tempo vietata anche su scala locale: sembrerebbe peraltro ragionevole l'estensione in parte qua della normativa dettata per l'emi>, ritenuta compatibile con il divieto di discriminazione fiscale posto dall'art. 21 dell'accordo dii libero scambio CEE/Portogallo del 22 luglio 1972. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA I! INTERNAZIONALE 915 non previsto sull'acquavite di vino nazionale, e la sovraimposta di confine con aliquota piena, mentre sull'acquavite di vino nazionale l'imposta di fabbricazione viene applicata con aliquota ridotta, ha violato o no l'art. 95 del Trattato . 4. -Il giudice nazionale chiede in sostanza alla Corte di precisare i criteri d'interpretazione dell'art. 95 con riguardo alla situazione controversa, al fine di consentirgli di applicare il diritto tributario italiano soltanto qualora non sia in contrasto col diritto comunitario vigente. 5. -In proposito si deve anzitutto ricordare che, con la sentenza 27 febbraio 1980, emessa nella causa 169/78, Commissione c. Italia, la Corte ha dichiarato che la Repubblica italiana, applicando, attraverso l'apposizione di contrassegni di Stato sui recipienti contenenti acquaviti destinate alla vendita al minuto, una imposta differenziata in materia di acquaviti, a norma della legislazione fiscale nazionale, quale risulta dall'art. 6 del decreto legge 26 ottobre 1970, n. 745, convertito nella legge 18 dicembre 1970, n. 1034, per quanto concerne, da una parte, le acquaviti ottenute dalla distillazione di cereali di canna da zucchero e, dall'altra, le acquaviti di vino e di vinacce, venuta meno, per quanto riguarda i prodotti importati dagli altri Stati membri, agli obblighi che le incombono in forza dell'art. 95 del Trattato CEE . 6. -Questa constatazione stata fatta in base ad un'interpretazione dell'art. 95 fondata sul sistema del Trattato CEE e secondo cui il primo e il secondo comma del suddetto articolo costituiscono un'integrazione delle disposizioni relative all'abolizione dei dazi doganali e delle tasse di effetto equivalente, poich sbno intesi a garantire la libera circolazione delle merci fra gli Stati membri in normali condizioni di concorrenza, mediante l'eliminazione di ogni forma di protezione che possa risultare dall'applicazione di tributi interni aventi carattere discriminatorio nei confronti di merci originarie di altri Stati membri. In tal senso, l'art. 95 garantisce l'assoluta neutralit dei tributi interni riguardo alla concorrenza fra merci nazionali e merci importate. 7. -La Corte ha precisato che l'art. 95, primo comma, va interpretato estensivamente, in modo da consentirne l'applicazione a tutti i regimi fiscali incompatibili con la parit di trattamento fra le merci di produzione nazionale e quelle importate; la nozione di prodotti similari va pertanto interpretata con sufficiente elasticit. Devono perci essere considerati similari i prodotti che abbiano, agli occhi del consumatore, propriet analoghe e rispondano alle medesime esigenze. La sfera di applicazione del primo comma dell'art. 95 va quindi deter minata in base non gi al criterio dell'assoluta identit dei prodotti, bens a quello dell'analogia o della comparabilit sotto il profilo dell'impiego. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 916 8. -Per i prodotti aJ.colici destinati all'alimentazione umana, d'uopo stabilire, alla stregua di criteri distintivi quali l'origine e il processo di fabbricazione delle bevande, il loro possibile uso e le abitudini di consumo rilevate nell'intero ambito della Comunit, se certi prodotti presentino un sufficiente grado di similarit. Questa determinazione va effettuata senza tener conto di eventuali differenziazioni fiscali di carattere puramente nazionale e a prescindere dalle classificazioni doganali. Se i prodotti vengono riconosciuti similari in base ai suddetti criteri, si applica l'art. 95, primo comma. 9. -Qualora la condizione della similarit, posta dall'art. 95, primo comma, non sia pienamente soddisfatta, pu trovare applicazione il secondo comma di detto articolo, che -come stato ritenuto nella sentenza 169/78 -ha lo scopo di impedire qualsiasi forma di protezionismo fiscale indiretto nel caso di prodotti che, senza essere similari ai sensi del primo comma, si trovino tuttavia in un rapporto di concorrenza, sia pure parziale, indiretta o potenziale. 10. -Per quanto riguarda le bevande alcoliche, nella stessa sentenza stato, gi precisato che le acquaviti di cereali e il rum, in quanto prodotti della distillazione, hanno, con le acquaviti di vino e di vinacce, propriet comuni sufficienti per costituire, almeno in talune circostanze, un'alternativa nella scelta del consumatore. Basta questa constatazione per ammettere che detti prodotti sono in concorrenza fra loro e che la loro rispettiva tassazione pu avere un effetto protezionistico a favore della produzione nazionale. Onde valutare quest'effetto, necessario, lasciando eventualmente da parte il raffronto delle cifre relative al con sumo e all'importazione, considerare quale sarebbe il mercato potenziale dei prodotti di cui trattasi in assenza di misure protezionistiche. 11. -Riguardo al carattere protezionistico del sistema fiscale di cui trattasi, nella sentenza 169/78 stato rilevato che nell'ambito di detto sistema i prodotti nazionali tipici, e cio le acquaviti di vino e di vinacce, sono compresi nella categoria fiscale pi favorita, mentre i due tipi di prodotti che vengono quasi sempre importati da altri Stati membri, e cio le acquaviti di cereali e il rum, .sono colpiti da una tassazione pi gravosa. Su tale valutazione non influisce la circostanza che esista anche una produzione nazionale di queste acquaviti, poich non contestato che si tratti di quantitativi minimi. Le suddette differenze di tassazione incidono sul mercato dei prodotti in questione diminuendo il consumo potenziale dei prodotti importati. 12. -La questione formulata dal giudice nazionale va quindi risolta nel senso che l'art. 95 del Trattato CEE osta ad un sistema di tassazione che colpisca in modo diverso il whisky e le altre acquaviti. (omissis) SEZIONE TERZA GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un. 19 luglio 1982, n. 4202 -Pres. Mirabelli - Rel. Cassata -P. M. Fabi (conf.). Universit degli Studi di Padova (Avv. dello Stato Carbone) c. Baccarani Claudio e altri. Istruzione e scuola -Universit -Contrattisti -Aggiunte di famiglia Indennit integrativa speciale Giurisdizione del TAR Istruzione e scuola Universit assegnisti Aggiunte di famiglia Indennit integrativa speciale Difetto assoluto di giurisdizione. Sono soggette alla giurisdizione del giudice amministrativo le domande dei contrattisti di Universit ( d.l. 1 ottobre 1973, n. 580 convertito con legge 30 novembre 1973, n. 766 artt. 5 e 6) volte ad ottenere le aggiunte di famiglia e l'indennit integrativa speciale (1). Qualora la tutela di una posizione soggettiva sia attribuita al giudice amministrativo, con esclusione del giudice ordinario, quest'ultimo non avr alcun potere di emettere provvedimenti cautelari di urgenza nelle relative controversie, indipendentemente dalla possibilit o meno che tali provvedimenti possano essere adottati dal giudice speciale (2). (1-3) Cfr. Cass., 16 marzo 1981, n. 1484: Universit degli Studi di Roma c. Caponigro in Foro it., I, 985, la quale ha altres affermato che rientra nena giurisdi2lione de1l'A.G.0. la cognizione di indebito arricchimento e del corre1ativo ricorso ex art. 700 c.p.c. proposto contro l'Universit da assegnisti borsisti o e~ercetatori , (2) Cfr. Sez. Un., 25 ottobre 1979, n. 5575 in questa Rassegna 1979, I, 671, con nota. Per quanto concerne l'attivit di insegnamento nell'ambito dell'Universit, svolta da professore universitar.io incaricato privo di un valido ed efficace atto di nomina, cfr. Cass. Sez. Un., 25 maggio 1981, n. 3409 in questa Rassegna 1982, 274, La quale ha ribadito in tale ipotesi l'esperibilit della sola azione residuale di ingiustificato arricchimento innanzi all'A.G.O. ANNA CENERINI RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 918 Sono improponibili, per difetto assoluto di giurisdizione, le domande, proposte prima della legge 19 febbraio 1979, n. 54, degli assegnisti (d.l. l ottobre 1973 n. 580 convertito con legge 30 novembre 1973, n. 766, artt. 5 e 6), volte ad ottenere le aggiunte di famiglia e l'indennit integrativa speciale (3). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 19 luglio 1982, n. 4221 -Pres. Berri - Rel. Menichino -P. M. Corasaniti -Ministero del Tesoro (avv. Stato Mataloni) c. Fattibene (avv. Lucisano). Giurisdizione -Controversie inerenti alla misura della pensione ed al recupero di somme erroneamente pagate Giurisdizione della Corte dei conti. Il trattamento di pensione, spettante all'impiegato dopo la cessazione del rapporto di impiego pubblico, non attiene allo status del dipendente pubblico -la cui disciplina rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo -, ma un diritto perfetto che inerisce alla fase successiva del rapporto di impiego senza comportare alcuna diretta applicazione del pregresso status , e le relative controversie rientrano pertanto nella giurisdizione esclusiva della Corte dei conti; vi rientrano, cio, non solo le controversie sulla liquidazione e la misura della pensione, ma anche le controversie sulla ripetibilit di somme (indennit e voci integrative) assunte erroneamente pagate al pensionato (1). (1) Sez. Un. 7 gennaio 1981, n. 77; 7 maggio 1981, n. 2950, retro, I, 497, con nota, e di recente Sez. Un. 24 novembre 1982, n. 6350 e n. 6351. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 15 novembre 1982, n. 6084 -Pres. Berri - Rel. Cantillo -P. M. Sgroi -Bearzatti (avv. Pacia) c. Procuratore Generale presso la Corte dei conti e Cassa di previdenza per le pensioni ai dipendenti degli enti locali (avv. Stato Mataloni). Giurisdizione civile Corte dei conti Legittimazione al Procuratore Generale a impugnare i provvedimenti sulle pensioni dei dipendenti degli enti locali Questione estranea all'ambito della giurisdizione. Giurisdizione civile Corte dei conti Giurisdizione esclusiva in materia di pensioni Pronuncia in via incidentale su atti relativi allo status dell'impiegato Difetto di giurisdizione. La individuazione dei soggetti legittimati ad agire innanzi ad un determinato organo giudiziale (nella specie la legittimazione del Procuratore Generale presso la Corte dei conti ad impugnare i provvedimenti PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 919 relativi alle pensioni dei dipendenti degli enti locali) non involge un problema attinente ai limiti esterni della giurisdizone -che l'unico vizio delle decisioni della Corte dei Conti deducibile dinanzi le Sezioni Unite della Cassazione -, in quanto non pone in discussione l'ambito della materia attribuita dall'ordinamento alla competenza giurisdizionale dell'organo, bens impone di stabilire se un determinato soggetto possa agire a tutela di interessi rientranti in quella materia al pari del problema circa l'appartenenza della posizione giuridica dedotta in giudizio e circa la sussistenza dell'interesse ad agire (1). La Corte dei Conti, nell'esercizio della giurisdizione esclusiva sui prov vedimenti di concessione, di rifiuto o di riduzione della pensione, ha il potere di giudicare su ogni questione che investa il diritto, la misura e la decorrenza della pensione stessa (e degli altri assegni che ne costituiscono parte integrante), ma non pu conoscere, neppure in via incidentale, degli atti amministrativi relativi al rapporto di impiego negli aspetti di attivit di servizio, inerenti allo status dell'impiegato, divenuti definitivi per man cata impugnativa davanti al giudice amministrativo proprio di tale rap porto (2). 1. -Nell'ordine logico-giuridico deve essere esaminato con precedenza il secondo motivo di ricorso, con il quale il Bearzotti -denunziando la violazione dell'art. 60 del r.d.l. 3 marzo 1938, n. 680 -critica la decisione della Corte dei conti per avere riconosciuto al Procuratore Generale presso la stessa Corte la legittimazione ad impugnare i provvedimenti relativi alle pensioni dei dipendenti degli enti locali. Sostiene che, in forza di detta norma, la Corte dei conti abbia potest giurisdizionale in materia solo in seguito a ricorso degli interessati e della Direzione generale degli istituti di previdenza, non gi ad iniziativa del Procuratore generale, il quale legittimato ad agire, invece, ex art. 76 del Regolamento di procedura r.d. n. 1038 del 1933, soltanto per le pensioni a totale carico dello Stato, quando sia leso l'interesse dell'Erario; nella specie, quindi, pronulziandosi in un giudizio promosso del Procuratore, la Corte dei conti avrebbe esorbitato dai limiti della sua giurisdizione, valutando interessi (non giuridici) estranei ad essa. La censura inammissibile. Posto che le decisioni della Corte dei conti sono impugnabili davanti a queste sezioni unite per i soli motivi inerenti alla giurisdizione, l'unico vizio utilmente deducibile (ai sensi dell'art. 360, n. l, cod. proc. civ.) il mancato rispetto, da parte di detto giudice, dei limiti esterni fissati alla competenza giurisdizionale, sicch le sue decisioni possono essere cassate (1-2) La prima massima applicazione di principi generali; sulla seconda cfr. Sez. Un. 17 febbraio 1972, n. 429 e 21 settembre 1970, n. 1651. 5 920 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO solo quando risulti che abbia esorbitato dalla propria potestas decidendi e abbia pronunziato in materie che sono demandate alla cognizione di un diverso apparato giurisdizionale o che sono sottratte alla cognizione di qualsiasi giudice. Ora, l'individuazione dei soggetti legittimati ad agire innanzi ad un determinato organo giudiziale non involge un problema attinente ai limiti esterni della giurisdizione, in quanto non pone in discussione l'ambito della materia attribuita dall'ordinamento alla competenza giurisdizionale dell'organo, bens impone di stabilire se un determinato soggetto possa agire a tutela di interessi rientranti in quella materia. Il problema, dunque, al pari di quelli circa l'appartenenza della posizione giuridica dedotta in giudizio e alla sussistenza dell'interesse ad agire, deve essere risolto dal giudice competente nella materia, in base alle norme vigenti al riguardo, e la sua soluzione pu condurre ad una pronunzia di inammissibilit o di rigetto, non certo di difetto di giurisdizione. Nella specie, nonostante il tentativo del ricorrente di spostare il problema sul piano degli interessi tutelabili, si tratta soltanto di stabilire i limiti del potere di azione spettante al Procuratore generale nella materia pensionistica, rimessa alla giurisdizione di detto organo, se, cio, sia autonomamente legittimato ad impugnare, innanzi alla stessa Corte, i provvedimenti di liquidazione di pensione adottati dalla Cassa per le pensioni ai dipendenti degli enti locali; e questo problema, come si detto, rientra nell'ambito della sua potestas decidendi, sicch nella statuizione sul punto non si configura eccesso dall'ambito della sua sfera giurisdi I zionale. ~ 2. -A meglio intendere l'oggetto della censura di cui al secondo I mezzo, opportuno sottolineare, in fatto, che divenne definitiva, perch non impugnata da alcuno, la deliberazione con la quale il Comune di I S. Martino del Tagliamento riconobbe ai propri dipendenti i miglioramenti economici e normativi, decorrenti dal 1 luglio 1973, previsti dall'accordo stipulato il 5 marzo 1974 tra gli organismi associativi degli enti locali e le organizzazioni sindacali di categoria; che del pari divenne inoppugnabile il provvedimento con il quale lo stesso Comune, in base alla deliberazione suddetta, attribu i miglioramenti all'attuale ricorrente, che, essendo cessato dal servizio il 5 marzo 1974, aveva diritto a percepirli per il periodo precedente; e che perci la pensione fu liquidata in base ai miglioramenti medesimi e il relativo decreto del Consiglio di amministrazione degli istituti di previdenza fu ammesso a registrazione dalla Sezione di controllo della Corte dei conti (la quale, con riferimento alla probabile illegittimit delle deliberazioni comunali, si limit a denunziare il caso al Governo, per l'eventuale esercizio del potere di annullamento ex art. 6 del t.u. della legge comunale e provinciale). PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE Come pure si detto nell'esporre la vicenda processuale, la decisione impugnata, invece, ha ritenuto illegittimi i miglioramenti, conseguenzialmente escludendo che siano computabili ai fini della pensione; e ha ritenuto irrilevante la definitivit dei provvedimenti dell'ente focale, essenzialmente sulla considerazione che la Corte dei conti, nell'esercizio della giurisdizione esclusiva in materia pensionistica, pu disapplicare gli atti amministrativi che ritenga illegittimi, a norma degli artt. 4 e ~ della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E. Ci si contesta con il motivo in esame, sostenendosi che la Corte, mentre abi.litata ad accertare se un determinato emolumento concesso in base al rapporto di attivit abbia, o meno, i requisiti della pensionabilit, non pu spingersi a sindacare la legittimit del provvedimento che lo ha istituito, quando questo sia diventato definitivo nell'ambito dell'ordinamento dell'ente cui apparteneva il pensionato (altrimenti verrebbe ad esercitare un potere di annullamento che non le compete, in quanto circoscritto aJll'atto Jiqu:idativo della pensione); nella specie, quindi, la Corte avrebbe invaso la sfera di giurisdizione riservata al giudice del rapporto di pubblico impiego. 3. -La censura fondata. Non ha consistenza, anzitutto, il dubbio circa la sua ammissibilit, prospettato dall'Amministrazione resistente sul rilievo che la legittimit~ degli atti amministrativi sopra indicati stata esaminata dalla Corte dei conti in via incidentale e perci anche questo motivo non attiene ai limiti esterni della giurisdizione. 1:!. certamente esatto che in relazione all'esercizio del potere di risolvere incidenter tantum le questioni pregiudiziali, spettante in via di principio ad ogni giudice, non si configurano problemi di competenza o di giurisdizione, proprio per il carattere incidentale della cognizione. Ma quando non si in presenza di una mera questione pregiudiziale, perch -in base alla disciplina della pregiudizialit nel processo della causa pregiudicata -la controversia sull'antecedente logico debba essere decisa principaliter da altro giudice, in un autonomo giudizio di cui costituisca l'oggetto conclusivo, non soccorre pi, manifestamente, la competenza incidentale e riprendono vigore, rispetto a tale causa pregiudiziale, le ordinarie regole sul riparto della competenza e della giurisdizione; e se il giudice adito, invece di sospendere il processo principale di sua competenza, statuisca sulla causa pregiudiziale appartenente ad un diverso apparato giurisdizionale, la sua pronunzia viziata per difetto di giurisdizione, risolvendosi in tale vizio l'errore sulla spettanza della competenza incidentale. Stabilire, dunque, se la controversia insorta intorno ad un punto pregiudiziale possa essere delibata incidenter tantum dallo stesso giudice della causa principale, costituendo una mera questione pregiudiziale, o I i 922 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO debba essere necessariamente decisa principaliter con apposito giudizio, costituendo, cio, una causa pregiudiziale, involge un problema attinente ai limiti della giurisdizione quando, avuto riguardo al suo oggetto, tale causa pregiudiziale appartenga ad una giurisdizione diversa da quella del giudice della causa pregiudicata. Appunto una siffatta questione suscita la censura in esame, in quanto occorre stabilire se la Corte dei conti, nell'esercizio della giurisdizione esclusiva in materia di pensioni, abbia o non abbia il potere di sindacare in via incidentale, per escluderne l'efficacia ai fini pensionistici, la legittimit di atti amministrativi che, sebbene rilevanti ai fini dell'an e del quantum della pensione (perch incidono sull'esistenza o sulla durata dell'impiego, sulla qualifica o sul trattamento economico conseguito, etc.), attengono direttamente al rapporto di attivit e perci le relative controversie sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo proprio di tale rapporto. 4. -Queste sezioni unite, in vicende analoghe a quella in esame, hanno gi dato risposta negativa al quesito (anche allora ritenuto, dunque, afferente alla giurisdizione), affermando che la Corte dei conti non pu esaminare in via incidentale la legittimit di provvedimenti amministrativi definitivi riguardanti lo status giuridico ed economico conseguito dall'impiegato nel rapporto di pubblico impiego, ancorch costituiscano il presupposto indispensabile per la liquidazione della pensione (sent. n. 429 del 1972; n. 1651 del 1970). Nella stessa linea di tendenza, volta a negare una competenza incidentale del giudice delle pensioni sulle questioni inerenti al rapporto di attivit, si collocano, poi, numerose pronunzie relative a controversie nelle quali gli interessati avevano impugnato il provvedimento di liquidazione della pensione per la mancata considerazione di determinate qualifiche o particolari benefici economici (essenzialmente alla stregua della legge sugli ex combattenti): si ugualmente osservato che tali istanze, sebbene rilevanti ai fini del trattamento pensionistico, incidono sullo status del dipendente e sono sempre devolute, quindi, alla cognizione del giudice proprio del rapporto di attivit, con la conseguenza che di esse la Corte dei conti non pu conoscere neppure incidenter tantum (v. sent. n. 3 del 1981; n. 5804 del 1980; n. 51, 182 e 3138 del 1979; n. 3543 del 1976). Gli atti inerenti al rapporto di impiego, cio, determinano la posizione giuridica dell'impiegato con riguardo ad una serie aperta di conseguenze ad essa correlate, consistenti in diritti, obblighi, prerogative, aspettative, etc. che concorrono a formare, appunto, lo status dell'impiegato medesimo; in particolare, anche solo l'attribuzione di un diverso trattamento economico fonte di molteplici diritti ed obblighi (alcuni dei quali esulano dal rapporto di impiego) ed destinato a ripercuotersi PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE quanto meno su due diritti conseguenziali alla cessazione del rapporto, vale a dire lSindennit di buonuscita e il trattamento pensionistico. Non ammissibile, perci, che detti provvedimenti vengano considerati legittimi nell'ambito del rapporto di pubblico impiego e illegittimi, invece, in altri rapporti che, quale quello di pensione, si costituiscono sulla base del primo e presuppongono la medesima posizione giuridica. E si comprende come le controversie al riguardo debbano essere decise con efficacia di giudicato dal competente giudice amministrativo, in sede di giurisdizione esclusiva; con la duplice conseguenza, in tema di pregiudizialit, che la contestazione sulla legittimit del provvedimento presupposto, ancora impugnabile davanti a quel giudice, d sempre luogo ad una causa pregiudiziale (con sospensione di quella principale) e che, per contro, ogni questione in proposito preclusa quando il provvedimento medesimo sia divenuto definitivo, per effetto di giudicato o per mancata impugnativa, in quanto la definitivit dell'atto opera in tutti i campi, compreso quello pensionistico. In tal modo escludendosi che la competenza incidentale della Corte dei conti consenta di sindacare la legittimit di atti inoppugnabili del rapporto di impiego, cade in radice la possibilit -sulla quale si basa la sentenza impugnata -di far ricorso all'istituto della disapplicazione (che implica appunto quel sindacato, tanto se lo si ritenga espressione della stessa competenza incidentale, quanto se lo si configuri come autonomo potere riconosciuto al giudice dei diritti); e deve essere ribadito il suddetto indirizzo, che corrisponde anche a fondamentali esigenze di certezza giuridica, non potendosi ammettere che, in sede di liquidazione della pensione, possano essere l'imessi tin discussione i provvedimenti concernenti lo stato giuridico ed il trattamento economico del dipendente pubblico (al limite, dalla data della sua ammissione in servizio) divenuti definitivi nell'ambito dell'ordinamento dell'ente datore di lavoro. N -contrariamente a quanto afferma la difesa dei resistenti tale limitazione della competenza incidentale della Corte dei conti (la quale competenza sussiste, ovviamente, per ogni altra questione relativa a diritti, sempre con esclusione di quelle di status e degli incidenti di falso, come testualmente stabiliscono, per questi ultimi, gli artt. 9 e 11 del reg. proc. legge 11 agosto 1933, n. 1038) interferisce con il potere-dovere del giudice delle pensioni d delibare gli atti suddetti sotto il profilo della loro rilevanza ed efficacia alla stregua della disciplina del rapporto di quiescenza, diversa da quella del rapporto di attivit (ben pu accadere, ad esempio, che determinati emolumenti, attribuiti al dipendente, non siano computabili in pensione perch sforniti dei caratteri richiesti dall'ordinamento pensionistico); questa indagine, infatti, rientra nella potest giurisdizionale propria della Corte e nulla ha da vedere con la cognizione incidentale. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 924 In definitiva, la Corte dei conti, nell'esercizio della giurisdizione esclusiva sui provvedimenti di concessione, di rifiuto o di riduzione della pensione (artt. 13 e 62 del r.d. 12 luglio 1934, n. 1214), ha il potere di giudicare di ogni questione che investa il diritto, la misura e la decorrenza della pensione stessa (e degli altri assegni che ne costituiscono parte integrante), ma non pu conoscere, neppure in via incidentale, degli atti amministrativi relativi al rapporto di impiego negli aspetti di attivit di servizio, inerenti allo status dell'impiegato, diventati definitivi per mancata impugnativa davanti al giudice amministrativo proprio di tale rapporto. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 25 novembre 1982, n. 6363 -Pres. Berri -Rel. Corda -P. M. Silocchi -ANAS (avv. Stato Corti) c. Acotral (avv. Mazzoni). Giurisdizione civile -Giurisdizione ordinaria -Azione di nunclazione o richiesta di provvedimenti innominati -Proponibilit -Limiti. Le azioni di nunciazione, o la richiesta di provvedimenti innominati sono proponibili qualora oggetto di denuncia una attivit di diritto comune (cio un comportamento), che non imposta, o comunque non resa legittima da un formale provvedimento amministrativo, anche se solo in modo indiretto e occasionale a questo ricollegabile, rispettandosi in ogni caso il divieto, per il giudice ordinario, di ordinare un facere riferito all'esercizio di potest pubbliche (1). In passato la giurisprudenza di questa Corte era categorica nel negare una qualunque esperibilit delle azioni di nunciazione o tendenti a ottenere uno dei c.d. provvedimenti innominati nei confronti della Pubblica Amministrazione, in base al rilievo che il provvedimento del giudice, se esaminato, avrebbe finito per tradursi, inevitabilmente, nella revoca, sia pure temporanea, di un atto amministrativo, ovvero nella imposizione di un facere o di un pati alla predetta Pubblica Amministrazione. E ci contro il divieto sancito dall'art. 4 della citata legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E. Tale drastica impostazione, per, non sempre ha incontrato i favori della dottrina, la quale ha osservato che il precetto costituzionale (art. 113, (1) Cfr. Sez. Un. 12 aprile 1980, n. 2322; 5 maggio 1980, n. 2921; 28 giugno 1964, n. 2125. PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE secondo comma, della Costituzione, in relazione all'art. 97) imporrebbe una rilettura dell'art. 4 della citata legge abolitiva del contenzioso amministrativo. Poich, infatti, la Costituzione (art. 113, secondo comma) esige che la tutela giurisdizionale contro gli atti della Pubblica Amministrazione non pu essere esclusa o limitata a particolari mezzi da impugnazione o per determinate categorie di atti e, altres (art. 97), che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialit dell'amministrazione , dovrebbe ritenersi che l'esercizio dei poteri dell'amministrazione predetta avvenga con certe formalit e attraverso l'emanazione formale di provvedimenti. L'esigenza di imparzialit, infatti, potrebbe essere garantita solo se i comportamenti della Pubblica Amministrazione traggono origine da formali provvedimenti amministrativi, il cui contenuto e la cui ratio possano formare oggetto di adeguato controllo da parte del privato colpito da tali provvedimenti (cosa che, invece, sarebbe ben difficilmente realizzabile se la condotta della Pubblica Amministrazione dovesse essere giudicata solo attraverso i risultati di una condotta di fatto). Il citato art. 4, perci, dovrebbe essere letto nel senso che il divieto di revoca, o modifica o sospensione dei provvedimenti amministrativi, imposto al giudice ordinario, ha riferimento solo alle ipotesi in cui vi sia un provvedimento amministrativo formalmente emesso. In difetto di tale provvedimento formale non si quindi, in presenza di un atto o provvedimento amministrativo. Da ci deriva che quando oggetto di denuncia (al giudice ordinario) un'attivit (pregiudizievole) che non imposta, o comunque non resa legittima da un formale provvedimento amministrativo, le azioni di nunciazione, o la richiesta di provvedimenti innominati, dovrebbero ritenersi proponibili. L'ordine del giudice, in questo caso, non attiene a un facere riferito all'esercizio delle potest pubbliche, ma, semplicemente, a un'attivit di diritto comune. E se, per ottemperarvi, la Pubblica Amministrazione costretta a porre in essere una qualche procedura amministrativa, il dovere dello svolgimento di quest'ultima non altera la realt delle cose: se non la svolge, infatti, non vi potr essere costretta dal giudice, ma sar semplicemente considerata inadempiente. In altri termini, il divieto dell'art. 4 citato di condannare la Pubblica Amministrl:J:zione a un facere (o a un pati) opera solo nell'ambito della sfera di diritto pubblico: ma ci rileva non gi ai fini della astratta ammissibilit delle azioni in questione, bens ai fini del limite interno della giurisdizione del giudice ordinario. Di modo che, una volta ritenuta l'ammissibilit di dette azioni, il giudice ordinario deve esaminare se veramente l'attivit materiale (quale si assume pregiudizievole) non sia esecutiva di un formale provvedimento amministrativo; e, nel caso che lo ritenga, ben pu condannare la Pubblica Amministrazione a un f acere purch, per, venga richiesto alla stessa Pubblica Amministrazione di compiere un'attivit nell'ambito del diritto comune, non gi un'attivit che rientra nella sfera del diritto pubblico. RASSEGNA DBLL'AWOCATURA DELLO STATO 926 Sulla spinta di tale impostazione dottrinale, un mutamento di indi rizzo giurisprudenziale si manifestato con le sentenze 12 aprile 1980, n. 2322 e 5 maggio 1980, n. 2921 (che, peraltro, sviluppano concetti gi larvatamente espressi con la sentenza 28 giugno 1964, n. 2125) le quali, pur dopo avere riconfermato, in linea di principio, l'enunciazione della regola generale sempre affermata, hanno tuttavia ammesso che le dette azioni sono proponibili allorch la denuncia investe non gi un atto o provvedimento amministrativo, bens una mera attivit materiale della Pubblica Amministrazione, cio un comportamento che, non potendo essere svolto in contrasto con i precetti posti dalla prudenza e dalla tecnica a salvaguardia dei diritti dei privati, non resta sottratto all'intervento inibitorio o correttivo del giudice ordinario. Non si omesso, per, di precisare che, anche in questo caso, sussiste pur sempre il limite interno del potere giurisdizionale del giudice ordinario, di modo che, anche di fronte alla proponibilit di quelle azioni, sussiste pur sempre il divieto di emanare provvedimenti che incidono in modo diretto sugli atti o provvedimenti amministrativi che, in qualsiasi modo, stanno alla base del comportamento denunciato. Tale essendo, quindi, lo stato della giurisprudenza, deve senz'altro concludersi, con riferimento al caso concreto, per l'ammissibilit della azione proposta dall'ACOTRAL davanti al Pretore di Palestrina. L'istante, infatti, aveva denunciato come lesivo un fatto meramente materiale dell'ANAS, consistente, in >, senza richiamare espressamente l'art. 17 dello stesso t.u., va osse11Vato che correttamente la decisione impugnata ha ritenuto compreso nella previsione normativa .in esame anche il caso di indicazione di un imponibile contenuta nel ricorso contro l'accertamento. L'art. 174, invero, va interpretato, nel suo complesso, nel senso che possono iscriversi a ruolo definitivo le imposte corrispondenti ad imponibili non suscettibili di contestazione, il che senza dubbio ricorre nell'ipotesi in oui il contribuente, nell'impugnare l'accertamento, indichi come effettivo un imponibile diverso da quello accertato, ma maggiore di quello indicato nella dichiarazione. In tale caso proprio pe~ l'applicabilit nel giudizio innanzi al:le Commissioni dell'art. 112 cod. proc. civ., invocato dalla ricorrente nel primo motivo di ricorso, le Commissioni di merito, come gi questa Corte ha deciso (ved. sentt. n. 2197/74, n. 2850/80 e n. 4879/81), non possono mai, anche se accolgono il ricorso, determinare un imponibile inferiore a quello indicato nel ricorso introduttivo del giudizio, costituendo tale ammontare il limite della domanda proposta e, conseguentemente, il limite del potere del giudice, s che ben pu l'Ufficio iscrivere definitivamente a ruolo l'imposta corrispondente ad un imponibile non pi contestabile, in quanto suscettibile solo di aumento, ma giammai di diminuzione; in tal caso, invero, non ipotizzabiJe un'eventuale futura restituzione parziale dell'imposta, il che appunto caratterizza l'iscrizione a ruolo a titolo definitivo e la differenza dall'iscrizione a titolo provvisorio. (omissis) v. C. BAFILE, Osservazioni sulla natura giuridica della dichiarazione tributaria, in questa Rassegna, 1980, I, 361, cui adde Cass. 24 gennaio 1980, n. 579, ivi, 815, 19 febbraio 1980, n. 1218, ivi, 823, 21 ottobre 1981, n. 5506 e 17 novembre 1981, n. 6095, ivi, 1982, I, 781. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 3 maggio 1982, n. 2727 -Pres. Miele Est. Corda -P.M. Dettori (conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato Dipace) c. Coop. Augustus (avv. Procaccini). Tibuti erariali indiretti -Imposta di registro -Agevolazione per le case di abitazione non di lusso -Appalto risoluto prima della costruzione dell'opera Decadenza. (I. 2 luglio 1949, n. 408, art. 14). Decade dall'agevolazione il contratto di appalto per la costruzione di case di abitazione non di lusso risoluto prima di dare esecuzione alle opere (1). (1) Principio esatto che pu considerarsi ormai consolidato (Cass. 18 giugno 1979, n. 3417, in questa Rassegna, 1980, I, 170). 960 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (omissis) Con l'unico motivo di censura (deducendo violazione e falsa applicazione degli articoli 13, 14 e 20 delila legge 2 luglio 1949, n. 408, in correlazione agli articoli 1 e 8 del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269 ), l'Amministrazione Finanziaria sostiene che la agevolazione tributaria di cui alla citata legge del 1949 non compete -secondo il pi recente indi rizzo giurispruden2liale -ai contratti di appalto (pur aventi ad oggetto la costruzione di case di abitazione non di lusso) se gli stessi vengono risolti, come nel caso concreto, prima dell'inizio della costruzione. Asserisce che dall.a sentenza si ricaverebbe che il contratto sarebbe stato risolto prima che fosse dato inizio alla costruzione. Replica il resistente che dalla sentenza. si ricaverebbe esattamente il contrario, e cio che il contratto in questione sarebbe stato risolto dopo che l'opera era stata gi iniziata; di modo che, anche aderendo all'impo I ~ stazione giurisprudenziale invocata dalla ricorrente, gi dovrebbe ritenersi sussistente il presupposto di fatto necessario per tenere fermo il beneficio provvisoriamente applicato. IJ ricorso fondato. Dopo alcune oscillazioni, la giurisprudenza di questa Corte sembra esse:vsi ormai definitivamente orientata a ritenere che un contratto di appalto, perch possa fruire dei benefici previsti dall'art. 14 della legge 2 luglio 1949, n. 408, deve non solo avere ad oggetto la costruzione rientrante nella previsione della legge, ma deve avere contribuito alla realizzazione della Costruzione predetta, nei modi e nei tempi prescritti. Di modo che, nel caso di risoluzione del contratto stesso, e di attuazione dell'opera nel termine di legge a mezzo di altri rapporti giuridici, gli indicati benefici sono applicabili esclusivamente nell'ipotesi in cui la risoluzione sia avvenuta dopo l'inizio della .costruzione, e non anche in epoca anteriore, atteso che, solo nel primo caso, il contratto pu ritenersi occorrente alla realizzazione dell'opera e, quindi, all'attuazione del fine giustificativo della norma agevolatrice. Questo principio stato da ultimo affermato con un gruppo di sentenze, tutte in data 6 novembre 1978 (nn. da 5024 a 5036). e ad esso intende conformaI1si il Collegio, nella precipua considerazione che la sentenza impugnata, informata al principio opposto, non ha svolto argomenti idonei a inficiarne la validit. Neppure la resistente, del resto, ha saputo contrastare la validit degli argomenti predetti, tanto che ha incentrato il proprio sforzo nel rilievo di una circostanza di fatto che renderebbe inutile la cassazione della sentenza impugnata. Ha, infatti, sostenuto che il giudice di appello aveva gi accertato come la risoluzione del contratto in parola sarebbe successiva all'inizio della costruzione (di modo che il contratto stesso frui- I rebbe legittimamente dei benefici tributari, per avere concorso alla rea ! lizzazione dell'opera). In contrario, per, fa notare la ricorrente che la sentenza avrebbe, invece, dato atto che il contratto era rimasto del l tutto ineseguito. I I I i f RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO c) nell'ipotesi, poi, in cui colui il quale ha costituito l'usufrutto venda successivamente ad un terzo la nuda propriet a colui in capo al quale si consolidi l'usufrutto e che rivenda l'intero immobile, qualora il momento iniziale si fissasse in quello della consolidazione, si verifi cherebbe la situazione sub a), mentre se tale momento fosse co11ocato in quello in cui il dante causa del venditore aveva la piena propriet, si violerebbe il principio secondo cui debitore dell'imposta il soggetto che dell'incremento ha beneficiato e si realizzerebbe una parziale duplicazione d'imposta (essendo stata la stessa gi pagata una prima volta in occasione del trasferimento della nuda propriet nella pendenza dell'usufrutto). Si deve, quindi, ritenere, sulla base della ratio della disciplina intrcr dotta con ili d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643 e in mancanza di particolari disposizioni ostative che, ai fini della determinazione del valore iniziale dell'immobile soggetto all'imposta comunale sull'incremento di valore degli immobili, da effettuarsi secondo i criteri di cui agli artt. 6 e 7 d.P.R. citato, occorre avere riguardo, qualora il venditore abbia inizialmente acquistato la sola nuda propriet e sia divenuto successivamente pieno proprietario, a seguito di consolidazione dell'usufrutto con la nuda propriet, al momento in cui il venditore stesso ha acquistato la nuda propriet e non anche a quello in cui si verificata la consolidazione dell'usufrutto; con l'ulteriore conseguenza che quando, come nella specie, si in presenza di un acquisto della nuda propriet avvenuta per successione apertasi nel 1913, occorre applicare il terzo comma dell'art. 6 d.P.R. citato per il quale per gli acquisti verificatisi oltre un decennio prima dell'entrata in vigore del presente decreto il valore iniziale quello venale che i beni avevano al decimo anno anteriore, ovvero, nel caso di beni per i quali erano applicabili le disposizioni della legge 5 marzo 1963 n. 246, quello che essi avevano alla diversa data stabilita con le deliberazioni previste negli artt. 5 e 25 della predetta legge . (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 20 maggio 1982, n. 3112 Pres. Miele Est. Virgilio P. M. Caristo (diff.). Foglio c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Salimei). Tributi erariali indiretti Imposta di registro Accessione Art. 938 cod. civ. Attribuzione al costruttore delle propdet del fondo attiguo coperto con la costruzione Trasferimento del fabbricato Esclusione. (r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 47; cod. civ. art. 938). Nell'ipotesi dell'acquisto della propriet del suolo attiguo occupato con la costruzione a norma dell'art. 938 cod. civ. (c.d. accessione invertita) PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 975 del valore finale della precedente tassazione INVIM a carico del soggetto che la nuda propriet ha trasferito. In senso contrario non vale allegare quanto sostenuto nella decisione impugnata e cio che il raffronto del valore di un bene immobile deve effettuarsi con r.iferimento ad entit giuridiche omogenee e quindi fra due situazioni di piena propriet, invocandosi la formula legislativa dell'art. 7, terzo comma, per la quale occorre considerare come valore iniziale quello della piena propriet all'atto dell'acquisto. Pur non contestandosi l'esigenza dell'omogeneit dei termini di raffronto, va in proposito osservato -concordandosi con quanto evidenziato dalla difesa erariale -che tale raffronto pu e deve essere effettuato anche fra entitJ astratte e non concrete, dal momento che l'effettivo incremento tassabile pu essere calcolato anche con la detrazione attraverso cui la tassazione viene adeguata alla realt delle singole fattispecie. Ove si tenga presente che,. ai sensi dell'art. 7, in caso di trasferimento della nuda propriet, il valore finale costituito da quello della piena propriet, corrispondente al diritto trasferito, determinato agli effetti dell'imposta di registro o di successione, appare evidente che il termine piena propriet va riferito al suo valore e non gi al suo acquisto, che pu anche avere riguardato, quale presupposto della tassazione INVIM, la sola nuda propriet. Sulla base, poi, di quanto in precedenza rilevato circa la necessit della continuit dei termini di riferimento non esiste alcun valido motivo per escludere che il valore finale, preso a base della precedente tassazione INVIM, in caso di trasferimento della sola nuda propriet, non debba costituire il valore iniziale della successiva tassazione INVIM, quando, verificatasi la consolidazione dell'usufrutto con la nuda propriet, il nuovo pieno proprietario abbia alienato l'immobile. N si pu passare sotto shlenzio che, ove si accedesse alla tesi qui contestata: a) verrebbe a crearsi una soluzione di continuit fra i vari termini di riferimento, in quanto resterebbe non soggetto a tassazione fincremento di valore realizzato dal nudo proprietario fra il momento deLl'acquisto della nuda propriet e quello della consolidazione dell'usufrutto; b) si realizzerebbe una disparit di trattamento -costituzional- mente r.ilevante -fra l'ipotesii in cui il proprietario ha costituito l'usufrutto, mantenendo la nuda propriet e quella in cui lo stesso ha contemporaneamente ceduto ad un terzo la nuda propriet e a favore di un altro l'usufrutto, in quanto, in relazione alla stessa situazione di nuda propriet, solo nel primo caso e non anche nel secondo si ._avrebbe tassazione per il periodo corrispondente a quello in cui il soggetto ha mantenuto la sola nuda propri.et; RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dere quella -ricorrente nella specie -in cui l'usufrutto e la nuda propriet sono state acquistate contemporaneamente da due soggetti diversi. Tale situazione potrebbe, astrattamente, essere risolta o aderendo alla soluzione adottata dalla Commissione Tributaria Centrale e difesa dal resistente e quindi ponendo come valore iniziale, ai fini dell'INVIM, quello accertabile al momento della consdlidazione deH'usufrutto con la nuda propriet o accettando la tesi dell'Amministrazione finanziaria per la quale occorre far capo -al fine di stabilire il valore inizfale -al momento in cui al venditore stata trasferita la nuda propriet. Questa seconda soluzione in realt l'unica possibile, in quanto la sola che permetta di realizzare que1ld che sono i princpi ispiratori de1la legge . istitutiva dell'INVIM, in precedenza esposti ed inoltre la sola ricavabile sulla base di una consentita interpretazione estensiva dell'art. 7 d.P.R. citato. Costituisce giurisprudenza costante di questa Corte, dalla quale non c' alcun motivo di discostarsi, che, in tema di leggi tributarie, sussiste la possibilit di ricorrere alla interpretazione estensiva quando si ravvisano nel caso non espressamente regolato dal legislatore, motivi e finalit propri dello spirito della legge che si vuole applicare per estensione (cfr. fra le tante decisioni: Cass. 12 febbraio 1973, n. 430; Cass. 7 dicembre 1972, n. 3538; Cass. 29 maggio 1971, n. 1614). In tal caso l'interprete deve limitarsi a risalire, mediante un processo di astrazione logica, dalle norme espresse e particolari della legge al principio che ne ha suggerito la statuizione, al fine di saggiare, in rapporto al caso non espressamente previsto, la possibilit di una identit di ratio e di riconoscere, in caso di accertamento positivo e quando non sussistano particolari disposizioni ostative, che il legislatore minus dixit quam voluit (Cass. 4 aprile 1962, n. 699). La situazione del pieno proprietario che avendo costituito l'usufrutto, divenuto nuovamente pieno proprietario per consolidazione, alieni l'immobile, non si differenzia da quella di colui che avendo acquistato la sola nuda propriet, sia divenuto pieno proprietario per consolidazione ed abbia successivamente alienato l'immobile. In entrambe le ipotesi indubbio che dell'incremento di valore del bene hanno beneficiato tanto il primo (dal momento dell'acquisto iniziale della piena propriet), quanto il secondo (dal momento dell'acquisto della nuda propriet). Risponde, pertanto, ad elementari princpi di giustizia che mentre per il primo il valore iniziale, ai fini INVIM, va determinato con riferimento al momento in cui tale propriet stata acquistata, per il secondo questo momento va fissato in quello in cui il soggetto diventato nudo proprietario e ci soprattutto ove si consideri che questo momento, sulla base di quanto in precedenza rilevato, ha costituito il termine di riferimento per la determinazione PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 973 Si tratta, cio, di stabilire se tale momento vada individuato in quello in cui si verificata la consolidazione o in quello in oui si verificato il trasferimento della nuda propriet. I Per la soluzione del problema necessario interpretare l'art. 7 d.P.R. n. 643 del 1972, come integrato dal d.P.R. n. 688 del 1974, che disciplina specificamente la fattispecie relativa alla costituzione e al trasferimento I del diritto di usufrutto e al trasferimento della nuda propriet, ai fini I ~ dell'INVIM, tenendo presente quanto in precedenza evidenziato circa la ncessit che non si vermchino soluzioni di continuit fra i vari momenti considerati ai fini dell'imposta e che l'imposta colpisca il soggetto che dell'incremento ha beneficiato. Dal richiamato art. 7 emerge che: a) nella costituzione e nel trasferimento del diritto di usufrutto e I nel trasferimento della nuda propriet l'incremento imponibile dato dalla differenza tra la quota del valore finale della piena propriet corrispondente al diritto costituito o trasferito, determinato agli effetti dell'imposta di registro o di successione, ed una eguale quota riferita al valore iniziale della piena propriet (primo comma); b) la consolidazione dell'usufrutto con la nuda propriet nella persona del nudo proprietario per decorso dei termini o per causa naturale non d luogo all'applicazione dell'imposta. Nei successivi trasferimenti del bene o costituzioni di diritti reali l'incremento imponibile si determina considerando quale valore iniziale quello della piena propriet all'atto dell'acquisto e dall'incremento cos determinato si detrae quello sottoposto a tassazione all'atto della costituzione dell'usufrutto (terzo comma). Sulla base della normativa vigente, quindi: a) Ja costituzione del solo usufrutto o il trasferimento della sola nuda propriet sono atti rilevanti ai fini INVIM; b) nelle predette ipotesi il valore finale costituito dalla quota della piena propriet corrispondente al diritto costituito o trasferito, determinato agli effetti dell'imposta di registro o di successione; e) la consolidazione dell'usufrutto con la nuda propriet non d luogo ad applicazione di imposta; d) il successivo trasferimento della piena propriet -dopo la consolidazione - rilevante ai fini INVIM e l'incremento hnponibile si determina considerando quale valore iniziale quello della piena propriet all'atto dell'acquisto, ma dall'incremento va sottratto quello sottoposto a tassazione all'atto della costituzione dell'usufrutto. La norma, quindi, mentre disciplina espressamente l'ipotesi in cui l'usufrutto sia stato costituito dal proprietario. pieno, non sembra preve RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (omissis) Con l'unico motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 6, terzo comma, e 7 (nel testo integrato del d.P.R. 23 dicembre 1974, n. 688) del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, nonch omessa e insufficiente motivazione ai sensi dell'art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ. e 111 Cost., per avere la Commissione Centrale, affermato che, per la determinazione del valore iniziale, ai fini dell'INVIM, in caso di alienazione di immobile, occorre fare riferimento, qualora l'alienante abbia acquistato la piena propriet a seguito di consolida2lione della nuda propriet, spettantegli per successione, con l'usufrutto spettante ad un terzo, al valore della piena propriet al momento della consolidazione e non anche al valore della stessa piena propriet al momento dell'apertura della successione. Il ricorso fondato e merita accoglimento. In base all"art. 1 idel d.P.R. 26 ottobre 1973, n. 643, l'incremento di valore degli immobili siti nel territorio dello Stato soggetto all'imposta prevista dallo stesso d.P.R. e ci per soddisfare l'esigenza -generalmente avvertita -di sottoporre a prelievo fiscale l'effettiva variazione di valore di mercato degli immobili ed, in ispecie, dei terreni fabbricabili, in quanto non ricollegabile ad iniziatve, attivit ed investimenti dei proprietari, ma derivanti dalla espansione degli agglomerati urbani e da nuovi insediamenti industriali o turistici, e dal complesso delle opere pubbliche connesse a tali sviluppi, nonch da contingenti e spesso imponenti fenomeni di speculazione immobiliare (cfr. Corte cost., 8 novembre 1979, n. 126). Tale incremento di valore costituito dalla differenza fra il valore dell'immobile alla data nella quale si verificano i presupposti di cui agli artt. 2 e 3 d.P.R. citato e il valore, aumentato delle spese indicate nel successivo art. 11, che l'immobile aveva alla data dell'acquisto o della precedente tassaiiione (art. 6, comma primo). Proprio perch l'INVIM non un'imposta sui trasferimenti, ma un'imposta .sugli incrementi di valore -considerato come fatto continuo delimitato da due termini di riferimento nel tempo - necessario, allo scopo di evitare che alcuni incrementi sfuggano ad imposta, che non vi siano solu2lioni di continuit fra i vari termini di riferimento, cio necessario che il momento temporale considerato come rilevante per la determinazione del valore finale dell'immobile al fine dell'applicazione dell'imposta in un determinato periodo diventi il termine di riferimento su cui calcolare il valore iniziale ai fini di una successiva tassazione (arg. ex art. 6, primo comma). , poi, parimenti necessario che destinatar. i dell'imposta siano i soggetti che dell'incremento abbiano beneficiato. Ci premesso, si osserva che il problema all'esame di questa Corte quello di stabilire quale sia il momento al quale fare riferimento per la determinazione del valore iniziale qualora il bene trasferito sia pervenuto al venditore in nuda propriet e solo successivamente sia avvenuta la consolidazione con l'usufrutto spettante ad un terzo. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 971 2. -Lo stesso art. 6 del d.P.R. n. 1924 del '37, nel prevedere la presunzione della conclusione di un contratto d'appalto basata sul comportamento esteriore dei pretesi contraenti (cio sul fatto che essi abbiano agito come se tra di loro vi fosse un contratto di appalto), ammette la prova contraria, esclusa la testimoniale . Ci significa che il contribuente ammesso a fornire tale prova contraria attraverso documenti, non esclusi ovviamente -perch altrimenti, data l'eccezionalit della disciplina, la legge avrebbe dovuto specificarlo -i contratti scritti e le fatture, cio le prove pi tipiche e comuni dei rapporti commerciali dei quali qui trattasi. Orbene, dall'esame di tali documenti la Commissione Centrale, confermando anche a tal proposito quanto ritenuto dai giudici precedenti, ha tratto il motivato convincimento che i contraenti ebbero particolare cura di disciplinare convenzionalmente i loro rapporti in modo da impedire a chiunque di r.itenere che la loro volont fosse in sostanza diretta a stipulare un contratto onnicomprensivo e unitario d'appalto anzich pi contratti consecutivi di semplice trasporto. Dai documenti da essi esibiti infatti emerge -come nell'impugnata sentenza stato chiaramente messo in luce -la mancanza di ogni impegno reciproco di continuit, di volume, di invariabilit di corrispettivo e, persino, di obbligarsi definitivamente a ogni singolo trasporto. In tale situazione, avvalorata dal fatto che per ogni autotrasporto stata emessa una distinta fattura, logkamente la Commissione Centrale ha riconosciuto essere stata data una valida prova contraria (in quanto documentale e non testimoniale) alla presunzione di un appalto: apprezzamento di fatto, anche questo, congruamente motivato e, come tle, insindacabile in questa sede di legittimit. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 11 maggio 1982, n. 2927 Pres. Brancaccio Est. Finocchiaro P. M. Sgroi (conf.). Mini.stero dehle Finanze (avv. Stato Angelini Rota) c. Favilii (avv. Colzi). Trbuti locali INVIM Acquisto separato della nuda propriet e dell'usufrutto Valore iniziale Va riferito al momento dell'acquisto della nuda propriet. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 7). Poich nel sistema impositivo dell'INVIM indispensabile che non vi siano soluzioni di continuit tra i vari termini di riferimento, quando il bene venduto sia entrato nella propriet del venditore con separati atti di acquisto della nuda propriet e dell'usufrutto, il momento al quale va riferito il valore iniziale quello dell'acquisto della nuda propriet (1). (1) Decisione evidentemente esatta, che costituisce il prdmo passo nella ricca casistica di situazioni connesse alla separazione dell'usufrutto dalla piena propriet. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 4) nell'omettere di valutare, nel contesto dell'intera vicenda, il fatto che dalle scritture risultasse che i trasportatori rimanevano liberi di accettare le richieste di trasporto senza affatto chiedersi se le prove addotte dal cont11ibuente non fossero artatamente predisposte al fine di simulare una realt negoziale non ricadente nell'ambito della fattispecie impositiva. Il ricorso infondato per due ragioni convergenti. 1. ben vero che, a norma dell'art. 6 del r.d.l. 15 novembre 1937, n. 1924, per presumere ai fini dell'imposta del registro l'esistenza di un contratto d'appalto non necessa11io che esso risulti da documenti o anche da semplici dichiarazioni verbalti delle parti, essendo sufficiente un comportamento di fatto dei contribuenti in cui possa ravvisarsene la esecuzione, ma anche vero che, al fine di poter indurre da una serie continuata di trasporti un contratto unitario di appalto del relativo servizio anzich una semplice molteplicit di singoli ed autonomi contratti di trasporto, indispensabile, qualora si prescinda dal contenuto dei contratti predisposti dalle parti per regolare i loro rpporti, che nella effettuazione dei trasporti emergano da un lato una disciplina unitaria, dall'altro lato impegno particolare, modalit diverse e servizi aggiuntivi che possano differenziare, anche dal punto di vista esteriore dell' esecuzione (-che quello poi da cui ci si deve porre fiscalmente ai sensi del citato art. 6 -), il contratto di appalto da quello di singolo trasporto per la indubbia ben maggiore complessit del primo rispetto al secondo (per gli elementi differenziatori tra i due contratti cfr. Cass. sent.ze nn. 2620 dell'81, 1902 dell'80, 186 del 62, 482 del 71). Orbene, tutte e tre le commissioni tributarie adite una dopo l'altra per l'accertamento di tali elementi di fatto differenziali, hanno concordemente negato che dalle modalit di prestazione del servizio effettuato dagli autotrasportatori in favore della Colgate-Palmolive fossero emerse modalit o prestazioni particolari diverse o maggiori da quelle comportate da un semplice contratto di trasporto. Nella motivazione della decisione impugnata, invero, la Commissione Centrale sottolinea che la Commissione di secondo grado ha constatato in proposito l'inesistenza di servizi extra al di l di quelli di trasporto e chiaramente lo conferma rilevando, per proprio conto, l'assenza di altri elementi (-oltre i documenti di cui si dir in seguito -) che comprovino l'esistenza di un contratto di appalto. Trattasi -come appena il caso di notare -di accertamenti di fatto, che non possono essere rimessi in discussione in questa sede sul semplice presupposto che essi non corrisponderebbero alla verit, perch in tal caso si cadrebbe nell'ipotesi di travisamento di fatto denunciabile non per cassazione, bens per revocazione (cfr. Cass., sentenze nn. 4301 dell'81; 2686 e 4916 dell'80). PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 969 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 11 maggio 1982, n. 2926 -Pres. Brancaccio -Est. Borruso -P. M. Sgroi (conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato Vittoria) c. Soc. Colgate Palmolive ~avv. Spolidoro e Spada). Tdbuti erariali indiretti Imposta di registro -Ap.palto di trasporti o tra sporti singoli -Criteri di distinzione. (r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, tariffa A, art. 52; d.l. 15 dicembre 1937, n. 1924, art. 6). Perch possa, in forza della presunzione dell'art. 6 del d.l. 15 novembre 1937, n. 1924, ritenersi sussistente un appalto di trasporto, anzich una semplice pluralit di singoli contratti di trasporto, necessario che emergano la disciplina unitaria delle attivit o modalit di prestazione diverse e maggiori di un semplice contratto di trasporto (1). (omissis) L'Amministrazione finanziaria, con un unico motivo denuncia la violazione degli articoli 1677, 1657, 1666, 1560, 1561, 1562, 1564, 1567, 1569, 1362 e seguenti cod. civ., dell'art. 6 alL B al r.d..J. 15 novembre 1937, n. 1924 e dell'art. 52 tariffa all. A al r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269 in relazione all'art. 111 Cost. e 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ., sostenendo che la Commissione Centrale avrebbe errato: 1) nell'escludere in base al solo contenuto delle lettere di offerta scambiate tra la Societ e i trasportatori per stabilire le condizioni che avrebbero regolato i trasporti nell'anno successivo, l'esistenza di un contratto di appalto di trasporti, in quanto detto contratto, a norma del citato art. 6 all. B al r.d;J. 15 novembre 1937, n. 1924, poteva essere a111che presunto indipendentemente dalla documentazione esibita; 2) nel ritenere incompatibile con la tesi del contratto di appalto la mancanza nella predetta documentazione di pattuizioni sull'entit numerica delle prestazioni da richiedersi (risultando questa determinata dal normale fabbisogno dell'avente diritto: art. 1560 cod. civ.), sul corrispettivo (potendo questo essere calcolato con riferimento alle tariffe esistenti o agli .si e, in mancanza dal giudice: articoli 1677 e 1657 cod. civ.), sulla riserva di zone di esclusiva in favore dell'appaltatore; 3) per converso nel trascurare di considerare fatti concludenti di decisiva importanza quali la continuit delle prestazioni, Ja distribuzione dei trasporti secondo zone d'esclusiva, la costituzione di depositi, l'impegno assunto dai trasportatori di pro\'vedere da se stessi o a mezzo d'altri trasportatori alla consegna della merce in deposito; (1) Conformi Cass. 25 febbraio 11971, n. 482, in questa Rassegna 1971, I, 624; 21 marzo 1980, n. 1902 in Riv. leg. fisc., 1980, 1927; 29 aprile 1981, n. 2620, ivi, 1981, 1899. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Ebbene, tale formulazione non giustifica il contenuto intrinseco del diniego di effetti all'atto di imposizione dell'ufficio n mostra di aver tenuto in considerazione l'interesse della P. A. a procedere ad un accertamento di valore ancor prima della richiesta del pagamento della tassa proporzionale. L'avviso di accertamento rivolto dall'ufficio ai contribuenti, avendo il valore di un atto di imposizione, indusse i destinatari a proporre ricorso alla commissione tributaria, alla quale venne demandata la valutazione dei beni, merc l'instaurazione di un giudizio tributario. Da ci si deduce che l'avviso di accertamento ebbe quale primo obiettivo quello di contestare ai contribuenti il valore dei beni da loro indicato nell'atto negoziale registrato, per, poi, imporre, secondo il .procedimento tributario il maggior valore con esso determinato. intuitivo come lo scopo dell'accertamento del maggior valore, consistente nella futura, eventuale applicazione della tassa suppletiva, costitu il motivo qualificante l'interesse dell'uffi.cio allo svolgimento del processo, oltre la ragione giuridica dell'emanazione dell'atto amministrativo. Da ci consegue che tale scopo fu rilevante anche se, avendo l'atto negoziale del contribuente scontato la tassa fissa per attribuita agevolazione fiscale, l'Ufficio, intuito l'errore circa la concessione del beneficio e nella previsione dell'applicazione dell'imposta ordinaria, dimostr di avere l'interesse immediato, preventivo e conservativo ad accertare il valore venale del bene (art. 100 cod. proc. civ.) Pertanto, il fatto che l'atto negoziale dei contribuenti non fosse stato ancora dichiarato decaduto dal beneficio fiscale e perci non ancora assoggettato all'imposta proporzionale non era ostativo al sorgere di quell'interesse nella P. A., perch l'applicazione dell'imposta proporzionale in quanto premessa per l'applicazione del supplemento d'imposta, non poteva non far parte della previsione dello scopo finale da raggiungere e perci non essere parte integrante dell'interesse dell'ufficio tributario ad ottenere una decisione sul valore del bene. Sicch a:Lla formulazione del concetto de11a sentenza impugnata va sostituita la seguente: l'avviso di accertamento di valore volto a conseguire la determinazione del valore del bene in contraddittorio con il contvibuente, merc l'instaurazione del processo tributario, valido e rilevante anche nell'ipotesi in cui il bene da valutare sia stato assoggettato al pagamento dell'imposta a tassa fissa per agevolazione fiscale, purch sussista un interesse attuale dell'ufficio, preventivo o conservativo, in previsione della dichiarazione di decadenza del contribuente dal beneficio, della conseguenziale applicazione dell'imposta ordinaria e quindi della applicazione del supplemento di imposta. (omissis) PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 967 (omissis) Con l'unico motivo di ricorso l'Amministrazione Finanziaria, denunciando la violazione dell'art. 21 r.d.l. 7 agosto 1936, n. 1639, nonch l'omessa ed insufficiente motivaziop.e in ordine ad un punto decisivo della controversia in relazione all'art. 360 n. 3 e 5 cod. proc. civ., censura la sentenza impugnata in quanto: a) non sarebbe stato considerato che, secondo l'interpretazione giurisprudenziale dell'art. 21 succitato, il termine di un anno per la notifica di avviso di accertamento di maggior valore -nell'ipotesi di pagamento di imposta erroneamente applicata e pagata a tassa fissa -veniva fatto decorrere dalla data di pagamento della tassa fissa e non da quello del supplemento d'imposta; non sarebbe stato vagliato il punto, relativo alla pronuncia di decadenza gi disposta dall'ufficio tributario e conseguente ad un errore originario, dell'ufficio stesso nell'applicazione dell'agevolazione; b) erronea sarebbe la decisione circa il denegato potere di accertamento del maggior valore sol perch anticipato rispetto al momento a decorrere dal quale l'ufficio aveva l'onere di esercitarlo: tanto pi che l'esercizio di esso trovava fondamento in un'azione di natura conservativa: woi per scongiurare il termine annuale di decadenza, vuoi per determinare il valore venale del bene, difficilmente da ricostruire in epoca successiva; d) non sarebbe stato considerato che, se anche fosse stato necessario far precedere l'avviso di accertamento del maggior valore dalla pretesa dell'ufficio di assoggettamento dell'atto alla tassazione ordinaria, tale pretesa -essendo stata formulata nelle more processuali -avrebbe dovuto essere considerata come fatto giuridico avente efficacia sanante della isupposta illegittimit di quell'avviso. Il ricorso fondato. Si premetta che il nucleo centrale della decisione impugnata si incentra nella formul~zione del seguente concetto: l'avviso di accertamento di valore in tanto pu essere considerato produttivo di effetti, in quanto il contribuente sia soggetto ad una imposta proporzionale, suscettibile di aumento in rapporto al maggior valore accertato del bene o dei beni cui tale aumento si commisura . dal valore gi determinato. Ed noto che nell'ipotesi di decadenza da agevolazioni, che possano avverarsi anche a lunga distanza, l'ufficio non pu procedere ad accertare il valore al momento in cui sorge l'interesse, perch l'accertamento va sempre eseguito nel termine di decadenza che decorre invariabilmente. Non quindi nemmeno necessario verif.icare l'esistenza di un interesse preventivo o conservativo; l'accertamento sempre possibile, se non doveroso per l'ufficio, anche se meramente eventuale. Ed evidente che l'impugnazione dell'accertamento pu avere per oggetto soltanto il valore venale e che la decisione su questa questione non pu essere influenzata da considerazione sul regime tributario dell'atto. 8 i i ............................ ...,..,..,........ ..J RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 966 senz'altro del socio anche senza Ja materiale percezione, vuol dire invece che il socio acquista un diritto di credito certo, liquido ed esigibile sulla indicata quota di utile. Tali concetti sembrano trovare adattamento anche in campo tributario. In materia di R.M. vigente il t.u. 645/58, laddove all'art. 58 si par.la di produzione di un reddito, va escluso dalla nozione di reddito prodotto il diritto di credito su un utile da percepire, tant' che a proposito della imposta complementare, l'art. 135 lett. c), prescindendo dalla produzione del reddito , assoggetta all'imposta il reddito derivante dalla partecipazione in societ di persone in misura pari alla quota per la quale il contribuente ha diritto di partecipare agli utili. La circonlocuzione delle espressioni usate dal ~egislatore corrobora la dimostrazione che egli ben conscio del significato attribuito al termine utile percepito ha inteso assoggettare in modo del tutto eccezionale a tale tipo di imposta l'utile anche non percepito cio non riscosso. L'ultimo argomento della ricorrente circa la supposta irrilevanza del fatto che Ja S.pA. Mobiliare Muralto non avesse iscritto nel proprio bilancio l'utile di L. 960.000, contrariamente all'assunto della ricorrente stessa, ha un preciso significato, nel senso che, conformemente a legge, quella societ non poteva iscrivere in bilancio un'entrata patrimoniale non riscossa e, perci, non tassabile. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 8 maggio 1982, n. 2867 -Pres. Mazzacane -Est. Pannella -P.M. Catelani (conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato Vittoria) c. Petroni. Tributi erariali indiretti -Imposta di registro -Accertamento di valore Mancanza di una pretesa attuale d'im;posta propol"Zlionale -Legittimit. Nelle imposte di registro l'accertamento del valore dei beni legittimo anche quando non sia vantata la pretesa ad una imposta proporzionale (essendo stato registrato l'atto con imposta fissa), purch sussista un interesse attuale, preventivo e conservativo, in previsione della applicazione dell'imposta ordinaria (1). (1) Decisione esattissima. Nelle imposte di registro e di successione, l'accertamento (come pure il concordato) riguarda esclusivamente la determinazione del valore; in altro momento, con diverso atto (separatamente impugnabile) ed entro diversi termini di decadenza, si stabilir quali effetti trdbutari discendono PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 965 Innanzitutto gli enunciati legislativi dell'art. 135 lett. e) e dell'art. 148 lett. d), osservati nella loro diversa formulazione, palesano il chiaro intento del legislatore di voler tassare in modo diverso i due tipi di reddito, riguardanti le persone fisiche e le persone giuridiche. E questo intento ispirato allo scopo di prevenire e di escludere possibili evasioni da parte delle persone fisiche, nella denuncia dei redditi complessivi, con riferimento al reddito derivante dalla partecipazione in societ di persone. Ed infatti non essendo tenute ad osservare le disposizioni sulla tenuta e sulle risultanze dei bilanci n le persone fisiche n le societ di persone, .pi facilmente sarebbe sfuggita al msco la mancata denuncia di un reddito percepito dalla persona fisica in quanto utile di partecipazione in una societ di persone. Ed ecco la necessit di considerare utile percepito dalla persona fisica quello spettante quale quota parte del reddito prodotto dalla societ alla chiusura dell'esercizio sociale. Ci non sarebbe potuto accadere se uno dei due soggetti fosse stata una persona giuridica, tenuta a presentare all'ufficio finanziario le risultanze del bilancio e il conto profitti e perdite o il rendiconto. L'esattezza di quanto sopra osservato si rinviene nel coordinamento esegetico degli artt. 135 lett. e) e d), 148 lett. d), 119 t.u. 645/58 informati ad una diversit di trattamento delle varie situazioni, in funzione della disparit delle condi2lioni oggettive. Quanto fin qui esposto sufficiente a chiarire anche l'inconsistenza dell'argomento circa il richiamo all'art. 2262 del cod. civ. Invero, a prescindere dalla considerazione che non sempre gli istituti di diritto civile nella loro ordinaria interpretazione ed applicazione trovano rispondenza perfett nel diritto, tributamo, informato ad esigenze di natura eminentemente pubblicistica, va chiarito che il preteso fenomeno per cui, approvato il rendiconto di una societ di persone, gli utili passano in propriet dei soci anche senza la materiale percezione, non risponde alla realt giuridica come discipldnata dalla legge civile. Il sistema della legge. sulle obbligazioni civili esclude che il creditore di una somma di danaro certa, liquida ed esigibile sia proprietario di essa finch non le sia stata materialmente consegnata dal debitore. Prima di tale dazione il creditore vanta solamente un diritto di credito: il che, in termini squisitamente economici, vuol significare aspettativa di una ricchezza, non ancora entrata nella materiale disponibilit dell'avente diritto. Da ci agevole dedurre come sia erroneo l'assunto della ricorrente Amministrazione, che confonde -in tema di obbligazioni -il diritto di propriet su una somma di danaro col diritto di credito su di essa. Il fenomeno giuridico previsto dall'art. 2262 cod. civ., secondo cui ciascun socio ha diritto di percepire la sua parte di utili dopo l'approvazione del rendiconto non vuol significare che la quota di utile diviene RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Ci premesso, si rivela conseguenziale la considerazione secondo cui sotto un profilo di interpretazione storica -l'espressione somme percepite adottata dal legislatore del 1958 con riferimento all'imposta sulle societ, si present come a chiarificazione e specificazione dell'altra utili derivanti, che era stata adottata dal legislatore del 1954 quando per la prima volta institu l'imposta sulle societ. Ebbene a prescindere dal fatto che non v' certezza che l'enunciato utili derivanti stesse a significare solamente utili non percepiti ma soltanto attribuiti, non v' motivo di ritenere che la chiara espressione del legislatore delegato del 1958 sia costituzionalmente illegittima, perch innovativa rispetto .a quella della legge precedente, per contrasto con l'art. 63 della legge delega 5 gennaio 1956, n. 1. Anche ammesso che fosse innovativa, non pu dirsi ispirata ad una finalit eccedente lo spirito ed i limiti della legge quadro. Con l'art. 63 espressamente si deleg il Governo, nell'emanare i testi unici concernenti le diverse imposte dirette, ad apportare le modifiche utili per un migliore coordinamento delle norme e quelle necessarie per l'attuazione dei criteri, tra i quali, quello del perfezionamento delle norme concernenti l'attivit dell'Amministrazione Finanziaria ai fini dell'accertamento dei redditi. Nell'intento di tale perfezionamento il legislatore non poteva non procedere a coordinare le disposizioni dell'imposta delle societ di capitali con quelle relative all'accertamento dei redditi delle societ tassate in base al bilancio, che sono, principalmente, le stesse societ di capitali. Se, per l'accertamento dei redditi dei soggetti tassabili in base a bilancio (art. 119 t.u. 645/58), i redditi medesimi dovevano essere determinati sulla base delle risultanze del biilancio, conseguenzialmente la tassabilit del reddito complessivo di tali soggetti, in virt della legge sull'imposta delle societ, complementare rispetto a quella sull'imposta di R.M., non poteva non riferirsi alle riisultanze. del bilancio, nel quale -per la determinazione dell'utile e perci del reddito tassabile bisognava tener conto delle somme percepite )) cio incassate e non pure di quelle da iscriversi nella voce dei crediti percipiendi. Tale intento legislativo fo perfettamente aderente al principio ispiratore dell'art. 53 della Carta Costituzionale, secondo cui ciascuno tenuto a concorrere alle spese pubbliche in ragiione della propria capacit contributiva, laddove per capacit contributiva si deve intendere quantit di ricchezza prodotta e percepita dal contribuente nell'anno cui il tributo si riferisce. Per quanto riguarda, poi, l'argomento del parallelismo tra l'imposta complementare de1le persone fisiche e l'imposta sulle societ al fine dell'adozione di stessi criteri, per l'accertamento del reddito complessivo, la tesi della ricorrente non .presenta fondamento n logico n giuridico. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 963 1956, n. 1 non avrebbe consentito innovare alla disciplina contenuta in Ieggi preesistenti tra cui la legge n. 603/54. Premesso ci e premesso ancora che con la imposta sulle societ il legislatore avrebbe avuto l'intento di istituire una imposizione per le societ di capitali, che fosse corrispondente a quella adottata con l'imposta complementare per le persone fisiche, non vi sarebbe dubbio circa l'applicazione degli stessi criteri sulla tassazione degli utili derivanti da societ personali riferibili ai due tipi di imposta (art. 135 lett. e e art. 148 lett. d). Sostiene, inoltre l'Amministrazione Finanziaria che anche l'interpretazione della disciplina del codice civile regolante le societ di persone, indurrebbe a tale conclusione. Secondo la disposizione dell'art. 2262 cod. civ.: salvo patto contrario ciascun socio ha diritto di percepire la sua parte di utile dopo l'approvazione del rendiconto l'utile realizzato dalla societ di persone diviene senz'altro del socio anche senza la materiale percezione. E per socio si deve intendere tanto una persona fisica quanto una persona giuridica. Per ultimo, la ricorrente sostiene che non avrebbe rilievo la circostanza che la persona giuridica, nella fattispecie la S.p.A. Mobiliare Muralto tassabile in base al bilancio, non avrebbe iscritto in esso un tale utile, essendo sufficiente la prova offerta dall'Ufficio tributario. La censura infondata. Questa Corte, gi con precedenti decisioni (sent. 3889/80 e sent. 5785/80) e con altre in corso di pubblicazione, ha avuto modo di esaminare le osservazioni innanzi esposte da1l'Amministrazione Finanziaria, secondo le quali sarebbe legittimo l'operato dell'ufficio tributairio nel tassare l'utile, cui una societ di capitali ha diritto in quanto partecipe di una societ di persone, anche se tale utile non fosse stato distribuito o ripar tito e perci non materialmente riscosso. Le suddette osservazioni risultano ampiamente confutate con argomenti, che qui si ribadiscono non sussistendo ragioni per discostarsene. opportuno, comunque, prospettare alcune precisazioni che valgono a rafforzare l'orientamento di questa Corte. Quanto all'argomento letterale, riguardante l'inciso di somme percepite usato dal legislatore nella lett. d) dell'art. 148 t.u. n. 645/58, non v' dubbio che esso voglia significare: somme di danaro effettivamente riscosse, dovendosi ritenere adottato dal legislatore medesimo, per distinguerlo dall'altra espressione, pi generica, reddito derivante , atto a significare tassabilit dell'utile anche non percepito. L'esempio evidente dato dal raffronto tra le parole usate nello stesso testo unico 645/58 nelle due consecutive disposizioni: lett. e) e lett. d) dell'art. 135, nonch dal rapporto tra le stesse enunciazioni insite nella lett. e) del medesimo articolo. ". RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 962 i contratti che si pongano in rapporto di occorrenza con la realizzazione della costruzione. Deve, pertanto, escludersi qualsiasi utilit strumentale per i contratti rimasti ineseguiti, non anche per i contratti che, risolti dopo avere avuto un inizio di esecuzione, abbiano favorito la costruzione di un fabbricato ed abbiano, perci, assunto, rispetto alla realizzazione del fine agevolato, quella efficacia causale che, invece, non hanno assunto i contratti di appalto rimasti totalmente ineseguiti. Dal che si desume che la denunciata disparit di trattamento priva di rilevanza costituzionale, in quanto relativa a posizioni legittimamente differenziate. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 8 maggio 1982, n. 2866 -Pres. Mazzacane -Est. Pannella -P.M. Catelani (conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato Palatiello) c. Soc. Muralto. Tributi erariali diretti -Imposta sulle societ -Partecipazione di societ di capitali in societ di persone Percezione di reddito -~ necessaria. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 135 e 148). I redditi prodotti dalle societ di persone, immediatamente imputabili per la quota ai soci persone fisiche ai fini della imposta complementare (art. 135 lett. c) del t.u. delle imposte dirette), sono imputabili ai soci persone giuridiche ai fini dell'imposta sulle societ soltanto al momento della effettiva percezione (art. 148 lett. d) (1). (omissis) Con l'unico motivo di ricorso l'Amministrazione Finanziaria, denunciando la violazione degli artt. 5 legge 6 agosto 1954, n. 603 e 130, 135, 165, 148 t.u. 29 gennaio 1958, n. 645 nonch 2261 e 2262 cod. civ. in 'relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., sostiene la erroneit della interpretazione data all'enunciato Jegislativo, di cui all'art. 148 lett. d) t.u. 28 gennaio 1958, n. 645: somme percepite a titolo di distribuzione o ripartizione degli utili di societ ed associazioni di ogni tipo. Secondo la ricorrente somme percepite non significherebbero somme riscosse , ma somme derivanti da partecipazione in societ, in coerenza con la espressione utili derivanti di cui all'art. 5 della legge 6 agosto 1954, n. 603 istitutiva delle imposte sulle societ. Aggiunge che se cos non fosse, l'art. 148 lett. d) sarebbe costituzionalmente illegittimo per eccesso di delega, dato che l'art. 63 della legge delega 5 gennaio (1) Viene riaffermato l'orientamento di Cass. 27 febbraio 1982, n. 1268 (in questa Rassegna, 1982, I, 808); va quindi a consolidarsi il principio che, nonostante le molte argomentazioni, non persuade. Il problema si pone comunque in termini nuovi con la normativa vigente. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 961 La verit , come pare incontestabile, che i giudici di appello non si sono affatto posti il problema del parziale concorso del contratto alla realizzazione dell'opera, di modo che non hanno, affatto, svolto alcuna indagine di merito al riguardo. Essi, invero, si sono solo preoccupati di accertare che il contratto era stato risolto prima dell'ultimazione del- l'opera e che quest'ultima era stata, tuttavia eseguita, anche se con il concorso. di un altro contratto di appalto, prima dello scadere dei termini di legge. Nella parte espositiva della sentenza pronunciata in grado di appello, infatti, si rinviene l'affermazione che il contratto era rimasto del tutto ineseguito; in quella motiva. invece, si rinviene l'affermazione che il contratto predetto non pu essere considerato ineseguito: e ci conferma -se ancora occorresse -che una precisa indagine di fatto non stata svolta, come invece sarebbe stato necessario. Cassandosi, quindi, l'impugnata sentenza, al giudice di rinvio (che si designa in un'altra Sezione della stessa Corte di appello di Napoli) in primo luogo affidato il compito di accertare in fatto, sulla base degli atti, se il contratto di appalto in questione sia stato risolto prima o dopo finizio della costruzione; all'esito di tale accertamento, poi, applicher il principio di diritto che stato pi sopra enunciato, il quale tiene conto del reale contributo che il contratto stesso possa avere dato alla realizzazione dell'opera agevolata. L'accoglimento del ricorso principale impone l'esame del ricorso incidentale condizionato proposto dalla resistente (ricorso che deve essere riunito al primo, sotto il suo numero di ruolo, ai sensi dell'art. 335 cod. proc. civ.). Con tale ricorso la resistente eccepisce la illegittimit costituzionale della legge n. 408 del 1959, nella parte in cui non consentirebbe di estendere l'agevolazione tributaria anche ai contratti risolti prima dell'inizio della costruzione agevolata. Tale eccezione , per, manifestamente infondata, posto che l'osservanza del principio di uguaglianza (che la ricorrente incidentale indica come violato) richiesta nei casi di situazioni pari, non invece quando si tratti di situazioni obiettivamente differenziate (Corte Cost. n. 91 del 1972); sicch legittimo un trattamento differenziato, quando la disparit trovi fondamento su presupposti logici obiettivi (Corte Cost. sent. n. 39 del 1972). Nel caso di specie, infatti, sussiste una evidente differenza, proprio rispetto ai fini di edilizia abitativa che il legislatore ha inteso agevolare con la norma dell'art. 14 della legge 2 luglio 1949, n. 408, nella situazione che viene a verificarsi tra un contratto di appalto che sia rimasto totalmente ineseguito e un contratto di appalto che, avendo trovato parziale esecuzione, ha contribuito alla realizzazione dell'opera agevolata. La norma di agevolazione, invero, diretta a facilitare la costruzione delle case di abitazione non di lusso, riducendo l'imposta di registro per I I I I I I ! ! ! PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 977 si trasferisce in favare del costruttore la propriet del suolo, ma non la propriet della costruzione, che non essendosi verificata l'accessione ordinaria, sempre rimasta del costruttore (1). (omissis) Con unico motivo i riicorrenti deducono che a causa degli effetti giuridici della cosiddetta accessione invertita prevista dall'art. 938 cod. civ. l'attribuzione al costruttore (mediante sentenza del giudice) della porzione del fondo attiguo comporta acquisizione diretta e automatica del suolo in favore della costruzione realizzata, attraverso un fenomeno opposto a quello derivante dall'accessione normale, e che nel fenomeno stesso non ravvisabile un trasferimento, assoggettabile all'imposta di registro, anche della parte di edificio insistente sul detto suolo (oltre al trasferimento di questo). La questione prospettata dai ricorrenti riguarda esclusivamente la legittimit della pretesa tributaria relativa alla parte dell'edificio sorta sul suolo occupato, mentre per il suolo stesso resta ferma, come ha precisato la Commissione tributaria centrale nella decisione impugnata, la registrazione a suo tempo avvenuta con i -benefici (successivamente non revocati daH'Amministrazione Finanziaria) di cui alla legge 2 1ug1io 1949, n. 408. La controversia quindi circoscritta alla pretesa fiscale riguardante la suddetta porzione di fabbricato. La decisione impugnata fondata sulla considerazione che la pronuncia del giudice prevista dall'art. 938 cod. civ. comprende l'attribuzione al costruttore, che abbia occupato una porzione del fondo attiguo, della propriet dell'edificio e del suolo occupato (come testualmente si esprime la norma), e ne trae la conseguenza che il trasferimento derivante dalla sentenza si riferisce a entrambe le unit immobiliari, che devono perci essere assoggettate alla imposta di registro. Questa argomentazione, fondata esclusivamente sul dato formale della disposizione, non pu essere condivisa. Per risolvere la delicata questione sono indispensabili alcune premesse d'ordine generale, nell'ambito delle quali vanno individuati la natura e gli effetti, anche ai fini t11ibutari che qui interessano, del fenomeno della cosiddetta accessione invertita. L'art. 938, che regola fistituto, co11ocato sotto il Titolo II (Della propl1iet), Capo III (Dei modi di acquisto della propriet), Sez. II (Dell'accensione, della specificazione, dell'unione e della commissione). (1) Questione nuova risolta con coerente motivazione che tuttavia lascia qualche perplessit. NelJ1a c.d. accessione invertita 11aicquiisto della propriet in favore del costruttore non , come nell'ordinaria, automatico ma l'effetto di una manifestazione di volont e di una sentenza costitutiva, che pu intervenire anche dopo un notevole intervallo di tempo; e la sentenza costitutiva non pu essere retroattiva. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DFJ.LO STATO La citata norma costituisce -nel sistema dei modi di acquisto della propriet contemplati nella sezione II -una variante al generale principio enWlciato dall'art. 934 (secondo il quale quod inaedificatur solo cedit). in quanto conferisce alla autorit giudiziaria il potere, nella ricorrenza di determJnati presupposti, di attribuire la propriet del suolo e dell'edificio al costruttore, il quale tenuto a pagare al proprietario del suolo il doppio del valore della superficie occupata, oltre il risarcimento dei danni. La fattispecie di cuii all'art. 938 si configura dunque come una precisa deroga agli effetti giuridici derivanti de iure dal fenomeno dell'accessione normale (significativamente l'art. 934, che disciplina l'istituto nella sua portata generale, contiene l'inciso salvo quanto disposto dagli articoli 935, 936, 937 e 938 ); non pu pertanto ritenersi che il concreto funzionamento della fattispecie derogatoria possa essere riguardato soltanto come un posterius rispetto ad una situazione giuridica anteriormente consolidatasi mediante l'acquisizione della costruzione da parte del proprietario del suolo, e non pu di conseguenza ritenersi che la operativit della deroga sia sostanzialmente rivoUa alla eliminazione della detta situazione, al fine di promuovere in sua vece la diversa regolamentazione del rapporto nel senso previsto dall'art. 938; In altri termini, la fattispecie dell'accessione invertita determina ex se, ossia autonomamente, il fenomeno giuridico indicato nella norma, anche se ne deriva un impedimento per il verificarsi dell'opposto fenomeno di cui all'art. 934. I due istituti (accessione normale e accessione cosiddetta invertita) non operano comulativamente, sia pure in via succedanea, ma hanno piena autonomia perch la realizzazione dei presupposti e delle condizion! alle quali subordinata la regolamentazione del rapporto secondo lo schema indicato nell'art. 938 esclude radicalmente che si possa verificare, o che in precedenza siasi potuta verificare, l'altra situaz!ione delineata nell'art. 934. Cos rettificata e impostata la linea interpretativa delle norme in esame, ne discendono, sul piano delle conseguenze giuridiche, alcune considerazioni di carattere risolutivo rispetto alla questione di cui qui si discute. La Commissione tributaria centrale ha ravvisato nella sentenza attributiva della propriet del suolo al costruttore un duplice trasferimento tassabile; quello appunto del suolo e, inoltre, il trasferimento dell'edificio che il propr.ietario del suolo aveva in precedenza acquistato de iure mediante il semplice evento dell'avvenuta costruzione. Questa proposizione presenta per un evidente hiatus nello sviluppo del ragionamento logico-giuridico che la dovrebbe sorreggere, in quanto presuppone che prima del realizzarsi della fattispecie dell'accessione invertita, cio prima della pronuncia del giudice nel senso indicato nell'art. 938, abbia regolarmente prodotto i suoi effetti l'altro fenomeno dell'accessione PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA normale (art. 934), le cui conseguenze sian state perci previamente rimosse dalla detta pronuncia. Dalle considerazioni innanzi svolte sulla portata delle norme che qui interessano emerge, invece, che la situazione giuridica prevista nell'art. 938 si costituisce in via primaria, ove ne sussistano tutti gli estremi, e non si sovrappone quindi temporalmente all'altra situazione di cui all'art. 934, e ne deriva -sempre in via primaria -la regolamentazione del rapporto in modo diverso, e quindi derogatorio, rispetto alla realizzazione di effetti previsti da altre norme. Se questi sono gli aspetti del rapporto che intercorre tra le diverse situazioni esaminate, non pu dubitarsi, nel caso di esercizio in senso positivo del potere conferito all'autorit giudiziaria dall'art. 938, che la sentenza assume carattere di pronuncia costitutiva, comportante il trasferimento della propriet del suolo a favore del costruttore (come gi stato ritenuto da questa Corte con sentenza 28 aprile 1976, n. 1616 e con sentenza 11 giugno 1971, n. 1780), mentre l'attribuzione al costruttore della propriet dell'edtficio, pure prevista dalla norma, pi propriamente assume natura di pronuncia dichiarativa-ricognitiva di un effetto automatico derivante dal meccanismo dell'accessione invertita. La concreta operativit di questa, facendo accedere il suolo al fabbricato, e non viceversa, produce la ulteriore conseguenza d~ far acquisire al costruttore, quale soggetto che ha eseguito la costruzione a sue spese, anche la titolarit dominicale sull'edificio, e sotto questo profilo la pronuncia del giudice non opera sostanzialmente alcun trasferimento, ma si limita a dare atto deglii effetti che ipso iure sono conseguiti dal funzionamento della fattispecie. La conferma di questa conclusione si trae proprio dall'ultima parte dello stesso art. 938, la quale testualmente dispone che il costruttore tenuto a pagare al proprietal'io del suolo il doppio del valore della superficie occupata, oltre al risarcimento dei danni. Questa disposizione finale assume un carattere illuminante rispetto alla portata di tutta la norma perch dimostra che il legislatore non ha annesso all'attribuzione dell'edificio al costruttore lo stesso significato che l'attribuzione stessa ha per il suolo. Per quest'ultimo, infatti, non soltanto ha qualificato proprietario il soggetto che in precede~a ne era titolare, dimostrando con ci che dopo il verificarsi dell'accessione invertita la titolarit del bene si intende trasferita al costruttore, ma ha fissato anche con precisione il corrispettivo spettante al proprietario del suolo a causa della perdita del bene. Per l'edificio, invece, non stata prevista alcuna responsabilit d'ordine patrimoniale nei confronti del proprietario del suolo, e ci chiaramente indicativo del fatto che per il detto edificio non si realizza alcun trasferimento a titolo oneroso, come presupposto di applicaoolit dell'im RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 980 posta di registro (presupposto ritenuto indispensabile anche nell'ipotesi prevista dall'art. 47 dell'abrogata legge di registro: v. Cass., 15 dicembre 1966, n. 2946). Va aggiunto, per completezza di argomentazione, che nell'ipotesi in cui il costruttore non ritenga di chiedere all'autorit giudiziaria i provvedimenti di cui all'art. 938, o se l'autorit stessa non accoglie l'istanza, si determinano le situazioni di fatto previste in altre norme (artt. 934 e seguenti), che qui non interessa esaminare. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 29 maggio 1982, n. 3321 -Pres. Brancaccio -Est. Battimelli P. M. Martinelli (conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato Salimei) c. Milandri. Tributi in genere -Accertamento tributarlo -Motivazione Metodo induttivo -Difetto di dichiarazione analitica -Legittimit. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645; artt. 37 e 117). In mancanza di una dichiarazione analitica addirittura impossibile eseguire un accertamento analitico ed pertanto legittimo l'accertamento sintetico (1). (omissis) Con il ricorso principale dell'Amministrazione si censurano, con i due motivi, la decisione impugnata in relazione all'unica questione dibattuta, quella cio della legittimit di un accertamento induttivo nel caso di specie, per cui i due motivi vanno esaminati congiuntamente e vanno riconosciuti, per quanto di ragione, fondati. invero esatto quanto dedotto dalla Amministrazione ricorrente circa la erronea interpretazione data, nella decisione impugnata, dell'art. 117 del t.u. n. 645 del 1958, in quanto la prima delle due norme non crea alcuna distinzione fra contribuenti non tassabili in base a bilancio, prescrivendo per tutti l'obbligo della dichiarazione con indicazione specifica degli elementi attivi e passivi (specificazione che, giusta quanto si evince dalla normativa dell'ultimo comma dell'art. 37, deve consistere nell'indicazione analitica di tali elementi) e limitandosi unicamente a richiedere, per la seconda categoria di contribuenti, l'indicazione degli estremi delle quietanze di pagamento delle tasse di concessione governativa rela (1) La massima conforme a numerosissime altre, ma va segnalata per la precisione con la quale enuncia la correlazione tra dichiarazione e accertamento ponendo l'onere di dichiarazione analitica come condizione per il diritto all'accertamento analitico, diversamente impossibile (Cass. 3 marzo 1980, n. 1403, in questa Rassegna, 1981, I, 123; 29 gennaio 1981, n. 687, ivi, 593. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA tive alla prima vidimazione dei libri contabili; ed in quanto specificamente l'art. 117, a proposito dell'accertamento dei redditi ai fini dell'imposta di R. M., detta delle norme generali, valevoli per ogni specie di contribuenti, e prescrive l'obbligo dell'accertamento mediante determinazione dei singoli elementi attivi e passivi che lo compongono solo se il contribuente (ottemperando non gi ad un obbligo che nessuna norma sancisce, ma sobbarcandosi ad un onere inteso a garantirgli un accertamento analitico) abbia fornito tutti i dati ed esibito tutti i libri, scritture e documenti necessari per il controllo della completezza e veridicit della dichiarazione (norma, questa, che rientra, con regolamentazione specifica in relazione ad una determinata imposta, nell'ambito del principio generale sancito dal ricordato 3 comma dell'art. 37). Il problema da risolvere, quindi, nella specie consisteva nell'accertare se fosse o meno necessario un accertamento analitico, quesito al quale non poteva non darsi che una risposta negativa; e ci non tanto perch non avendo il contribuente presentato alcuna documentazione, l'accertamento non doveva essere necessariamente analitico in base all'art. 117, quanto comunque perch 11icorreva l'ipotesi di cui alla generale normativa dell'art. 37, terzo comma, non essendo richiesta motivazione analitica dell'accertamento in rettifica di una dichiarazione non analitica: e tale era senza dubbio quella in questione, in quanto, seppure la Commissione Centrale non ha motivato in proposito, risulta dalle pacifiche e concordanti affermazioni, sul punto, di entrambe le parti, che la dichiarazione del Milandri consisteva nell'esposizione di due sole cifre, la prima relativa all'intero attivo lordo, non meglio specificato, e la seconda all'importo globale delle passivit e. spese, anche questo non meglio specificato. Una dichiarazione del genere non poteva dirsi rispondente al disposto del primo comma dell'art. 24 ed era tale da non consentire all'ufficio, in mancanza, altres, di qualsiasi elemento probatorio fornito dal contribuente, di procedere ad una specifica contestazione di entrambe le poste (attivo e passivo), per cui l'ufficio necessariamente doveva procedere ad un accertamento sintetico, da considerarsi pienamente legittimo, al contrario di quanto ha ritenuto la decisione impugnata, che ha definito erroneamente analitica la dichiarazione in questione, senza motivazione. Il ricorso principale va pertanto accolto, mentre non pu accogliersi il ricorso incidentale. A torto, invero, il Milandri ritiene che l'accertamento avrebbe dovuto riconoscersi illegittimo (indipendentemente dal modo come era stata effettuata la dichiarazione) in s e per s, in qua1I1to non motivato. L'accertamento, come risulta dall'esposizione che lo stesso ricorrente fa nel motivo di ricorso, era, in quanto accertamento induttivo, sufficientemente motivato, in modo tale che il contribuente bene avrebbe potuto difendersi nel merito innanzi alle commissioni tributarie, indicando l'ammontare dei vari compensi percepiti per le sue attivit professionali (cosa che non ha fatto, avendo preferito unicamente sollevare RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO questioni di legittimit dell'accertamento). In realt, l'accertamento non era analiticamente motivato, ma tale obbligo non gravava sull'ufficio, in difetto di una dichiarazione non analitica, in base al disposto del terzo comma -dell'art. 37 del t.u., per quanto in precedenza chiarito nell'esaminare il ricorso principale. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 7 giugno 1982, n. 3436 -Pres. Brancacaio Est. Ricciardelli -P. M. Dettori (conf.). Drago c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Angelini Rota). Tributi erariali indiretti -Imposta di registro -Accertamento -Motiva zione Criteri -Stima diretta Legittimit. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, artt. 48 e 49). Il controllo del valore dei beni non deve essere eseguito necessariamente utilizzando tutti gli elementi indicati nell'art. 48 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, ma pu seguire un criterio rientrante nel metodo valutativo di comparazione con altri immobili o nel metodo della redditivit; di conseguenza legittima la motivazione dell'accertamento contenente il riferimento alla stima dell'U.T.E. eseguita tenendo conto della consistenza, ubicazione e qualit dei beni, qualora gli elementi siano espressi in modo specifico (1). (omissis) Alla stessa conclusione deve poi pervenirsi anche per quanto riguarda gli altri due motivi, che, per la loro stretta connessione, vanno congiuntamente esaminati; lamentando il mancato accoglimento dell'eccezione di nullit dell'accertamento per vizio di motivazione, i ricorrenti pongono anche a questa Corte Suprema il quesito se il richiamo alle modalit stabilite per l'imposta di registro, per la notificazione dell'avviso di rettifica, contenuto nell'art. 20 del d.P.R. 643 del 1972, implichi il rinvio al secondo comma dell'art. 48 della legge del registro, il quale enuncia i criteri per il controllo dei valori venali dichiarati nell'atto sottoposto a (1) Decisione di molto interesse. Da una lettura formalistica dell'art. 48 della nuova legge di registro poteva sembrare che fosse rimasto escluso dai metodi di valutazione quello della stima diretta, che poi quello pi diffusamente praticato. Ci avrebbe potuto rendere assai problematica la motivazione dell'accertamento e perfino impossibile la valutazione quando non si rinvengano dati di comparazione specifici ed aggiornati e quando per la natura dei beni (a bassa produttivit ma di elevato valore di suscettibilit) non pu essere utilmente praticato il metodo della capitalizzazione del reddito. Ora si torna a riconsiderare che la stima diretta, che tenga conto di elementi specifici, pur sempre un'operazione che rientra nel principio della compara zione o, se del caso, della capitalizzazione e quindi in armonia con l'indirizzo della norma che, in definitiva, non si discosta dai criteri seguiti ante11iforma dall'art. 16 del d.l. 7 agosto 1936, n. 1639. i I I PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 983 registrazione; se conseguentemente, debba considerarsi legittimo il maggior valore determinato mediante l'applicazione di criteri diversi, nella stima eseguita dall'ufficio tecnico erariale. Le censure alla decisione impugnata, che ha disatteso la tesi dei contribuenti, non sono fondate. Invero, accertato che nella fattispecie l'avviso di rettifica stato notificato quando il testo del terzo comma dell'art. 20 (sostituito una prima volta daM'art. 1 del d.P.R. 23 gennaio 1974, n. 688 in vigore dal 29 dicembre 1974 e una seconda volta dall'art. 6 della legge 22 dicembre 1975, n. 694) stabliva solamente il termine annuale di decadenza per la notifica, questo rilievo offre la chiave di soluzione, poich in assenza di specifiche norme circa la scelta dei mezzi e dei metodi d'indagine, non dubbio che l'attiv.it di accertamento sia rimessa al criterio discrezionale dell'organo impositore, con l'unico limite che l'atto consenta al contribuente la possibilit di conoscere gli elementi dell'indagine ai fini della loro contestazione. Ma anche il testo legislativo vigente, terzo comma, art. 20 d.P.R. n. 643 del 1972 sostituito dalla legge n. 694 del 1975 non porterebbe ad un risultato diverso, poich il metodo di controllo del valore venale dichiarato ai fini della formazione della .base imponibile dell'imposta di registro, applicabile anche all'imposta comunale sull'incremento di valore degli immobili, non implica che la verifica sia eseguita, utilizzando tutti gli elementi indicati nella disposizione di legge. Viceversa sufficiente che i criteri applicati rientrino nel metodo valutativo di comparazione con altri immobili che si trovino in analoghe condizioni ovvero in quello della redditivit previsti dall'art. 48 del d.P.R. 634 del 1972, come modificato dal d.P.R. 914/77; pertanto il riferimento, nell'avviso di rettifica, alla stima dell'Ufficio tecnico erariale, eseguita tenendo conto della consistenza, dell'ubicazione e della qualit dei beni trasferiti, in rapporto al valore di mercato, corrente nella zona dove essi sono ubicati, sufficiente, qualora gli elementi siano espressi in modo specifico, ad integrare una valida motivazione della rettifica. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 22 giugno 1982, n. 3898 -Pres. Miele Est. Sgroi -P. M. Ferraiolo (conf.). Ministero. delJe Finanze (avv. Stato Angelini Rota) c. Cassa di Risparmio di Parma. rributi erariali indiretti -Imposta sull'entrata -Assegni I.C.C.R.I. Natura Compensi pagati dall'I.C.C.R.I. alle Casse di Risparmio Interessi di puro impiego di capitale -Esclusione -Costituiscono entrata e imponibile. (I. 19 giugno 1940, n. 762, art. 1, Jett. f), art. 3, Jett. e)). Gli interessi che le Casse di Risparmio ricevono dall'l.C.C.R.l. come corrispettivo per la disponibilit di somma di danaro nel tempo intercor 9 RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO 984 rente tra l'emissione e l'estinzione degli assegni, non hanno natura di puro impiego di capitale (inquadrabili nella Categoria A dell'imposta di ricchezza mobile) ma di interessi inerenti all'esercizio della impresa bancaria (inquadrabili nella Categoria B); di conseguenza detti interessi non sono esenti dall'I.G.E. a norma deoll'art. 1 lett. f) della legge 19 giugno 1940, n. 762, ma costituiscono entrata imponibile a norma dell'art. 3, lett. C (1). (omissis) Con l'unico motivo, l'Amministrazione Finanziaria deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 3 lett. c) della legge 19 giugno 1940, n. 762, in relazione agli artt. 1282 e 1703 cod. civ., nonch omessa ed erronea motivazione su punti decisivi della controversia, ai sensi dell'art. 360 n. 3 e 5 cod. proc. civ., osservando che erroneamente e con motivazione insufficiente ed incongrua la Commissione Centrale ha riconosciuto la natura di interessi, esenti da IGE, ai proventi in questione, Hquidati dall'ICCRI a favore de1la Cassa di Risparmio al di fuori del conto corrente generale intercorrente fra i due Istituti, nel quale i movimenti di capitale fra gli stessi trovano la loro pi completa espressione, senza considerare che -essendo appunto gli interessi contabilizzati gi nel suddetto conto generale -i proventi di cui trattasi non possono avere altra funzione che quella di remunerare un servizio prestato dalla Cassa a favore dell'ICCRI, in relazione alla disponibilit, da parte di quest'ultimo, delle somme corrispondenti agli assegni in circolazione, senza sopportare gli oneri dell'organizzazione del servizio degli assegni stessi. Il ricorso fondato. In primo luogo, la Commissione Centrale non ha compiuto, in fatto, un adeguato accertamento del raipporto che assai pi complesso di quanto risulta dalla sua scarna esposizione. Invero, la stessa Cassa di Risparmio controricorrente ammette che -accanto al c/c di corrispondenza generale, intrattenuto tra l'ICCRI e la Cassa di Risparmio -esiste un separato c/c assegni, intrattenuto allo scopo di rilevare e quantificare l'utilit del denaro (depositato dalla Cassa presso l'ICCRI a titolo di provvista degli assegni bancari tratti dalla Cassa) fra la data dell'emissione e quella del pagamento. L'assunto della controricorrente -condiviso dalla Commissione centrale - che in tale conto corrente assegni maturano interessi dovuti per il periodo di circolazione dell'assegno, a fronte della disponibilit, da parte dell'ICCRI, deHe somme relative. Tale assunto non per sufficiente ai fini della corretta soluzione del problema, che esclusivamente di carattere fiscale. 0) Conforrili sono le sentenze in pari data n. 3899, 3900 e 3901. Con pi lineare motivazione, la S.C. ritorna sulla posizione gi affermata con la sentenza 12 febbraio 1979, n. 933 (in questa Rassegna, 1979, I, 351) che aveva abbandonato con l'altra sentenza 17 giugno 1981, n. 3938 (in Riv. leg. fisc. 1982, 268). PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA '. vero, infatti, che il compenso per la disponibilit di somme si deve qualificare come interesse, ma anche vero che la disciplina tributaria degli interessi contenuta nel r.d.l. 9 gennaio 1940, n. 2, convertito in tlegge 19 giugno 1940, n. 762, poggia sulla distinzione degli stessi, in funzione della categoria nella quale erano classificabili agli effetti dell'abrogato tributo di ricchezza mobile. Erano esenti dall'I.G.E. quelli classificabili in cat. A, derivanti dal puro impiego di capitale (art. l, secondo comma, lett. f) e derivanti da depositi bancari da c/c. Erano, invece, soggetti ad imposta gli interessi classificabili in cat. B (art. 3 lett. e) secondo cui costituiscono entrata imponibile gli interessi attivi a qualunque titolo percetti da societ, da istituti ed aziende in dipendenza dell'esercizio del credito, non classificabili ai fini dell'imposta di ricchezza mobile in cat. A). '. da notare che la medesima disposizione considera entrate imponibili le provvigioni ed i corrispettivi percetti per operazione o servizi compiuti a favore di clienti . La dialettica delle tesi fra le parti si istituita confrontando quest'ultima parte dlla norma con quella dell'art. 1, secondo comma lett. f), quasi che l'alternativa fosse possibile soltanto fra corrispettivi di servizi da un lato ed interessi dall'altro. In realt, con riguardo al secondo termine, l'alternativa pi complessa, perch per essere esente da I.G.E. un'entrata classificabile come interesse deve altres derivare da puro impiego di capitale. Nella specie, potrebbero considerarsi interessi non soggetti all'I.G.E. quelli corrisposti dall'ICCRI alla Cassa di Risparmio sul conto particolare assegni, a patto di ritenere che costituiscano la pura e semplice remunerazione del capitale della Cassa depositato presso l'ICCRI a titolo di provvista degli assegni ICCRI tratti dalla Cassa. Tale assunto non pu essere condiviso, sol che si dimostri che si tratti di un'entrata derivante dall'esercizio del credito, come tale soggetta ad imposizione a norma dell'art. 3 della legge del 1940. Gli interessi percepiti da aziende ed istituti di credito, ad esclusione di quelli derivanti dai titoli posseduti, concorrono a formare il reddito imponibile di cat. B (art. 85, ultimo comma, del d.P.R. n. 645 del 1958) ed essi sono pertanto imponibili ai fini dell'I.G.E., perch il capitale che frutta detti interessi non affidato in gestione a terzi depositari (mentre il depositante si limita a riscuoterli, senza esercitare alcuna attivit), ma gestito dal titolare del capitale stesso, in quanto la sua messa a frutto inerente alia sua attivit professionale imprenditoriale normale. '. infatti evidente il riferimento dell'art. 3 lett. e) alle leggi bancarie del 1938, per cui in linea di principio una Cassa di Risparmio, che esercita la raccolta di risparmio fra il pubblico sotto ogni forma e l'esercizio del credito (art. 1 della legge 7 marzo 1938, n. 141, modificato dalla legge 986 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 7 aprile 1938, n. 636) rientra fra i soggetti che percepiscono interessi I imponibili. Invero, la formula dell'art. 3 lett. e) della legge dell'I.G.E. strutturata in modo che non solo gli interessi, ma altres i compensi ed i corrispettivi comunque denominati che le aziende di credito ritraggono dalla propria attivit, sono soggetti ad I.G.E., in quanto la norma usa l'espres I sione interessi, provvigioni ed infine quella amplissima corrispettivi . Se le banche rendono un servizio alla clientela, non possono sfuggire all'imposizione su qualsiasi specie di corrispettivo, per ogni e qualsiasi prestazione. Stante l'espressione dell'inciso non classificabili ai fini dell'imposta di ricchezza mobile in cat. A>>, sorge il problema di stabilire se anche le banche possono realizzare interessi non imponibili ai fini dell'I.G.E. La risposta positiva, per il testuale riferimento agli interessi derivanti dai titoli posseduti, contenuto nell'art. 85 del t.u. n. 645 del 1958; e altres si ritenuto che (come gli interessi sui depositi bancari, anche in c/c, a favore del depositante sono esenti da I.G.E., ai sensi dell'art. 1, lett. f) della legge del 1940), cos l'esenzione sussiste anche se il titolare del deposito bancario, anche in c/c, un'azienda di credito, ogni volta che essa abbia eccedenza di fondi sulle operazioni attive o di impiego che ~: I compie normalmente. Tale esenzione (che quella di cui si vuole avvalere la controricorrente) deve essere delimitata per agli interessi classificabili in cat. A, f: I cio a quelli dei capitali dati a mutuo o altrimenti impiegati (art. 86 !: t.u. imposte dirette), ma non pu comprendere gli interessi alla produzione I dei quali concorrono insieme il capitale ed il lavoro, come quelli derivanti dall'esercizio di imprese commerciali ai sensi dell'art. 2195 cod. civ. Come ammette la controricorrente (pag. 4 del controricorso) la circolazione ed il pagamento degli assegni giova alle singole Casse di Risparmio I le quali, non emettendo assegni circolari (si tratta di un periodo anteriore alla recente istituzione degli assegni circolari delle Casse di Risparmio) I sono in grado di offrire alla clientela un titolo di credito (assegno bancario ICCRI) di fatto equivalente all'assegno circolare. Che l'ICCRI renda un servizio tramite la gestione unificata dei rap I porti, a cui partecipano tutte le Casse, che rende possibile la circolazione dei titoli ed il loro pagamento presso qualsiasi Cassa, non muta la realt dell'espletamento di un servizio bancario da parte della Cassa di I Risparmio. ! infatti la clientela di quest'ultima che, al momento della richiesta dell'assegno bancario ICCRI, versa alla Cassa la provvista ed in tal modo ! la Cassa raccoglie capitali, esercitando una funzione tipicamente bancaria. evidente che l'interesse della Banca all'assunzione del servizio I deriva dal lucro della produzione di interessi sulla somma portata dal I ! I ( PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA titolo, fra il momento della sua emissione ed il momento della sua estinzione. Poich per detti capitali (acquisiti dalla Cassa di Risparmio presso la propria clientela) sono messi a disposizione dell'ICCRI (trattario), a favore del quale producono interessi, l'ICCRI riconosce un compenso che non pu essere qualificato come un puro e semplice interesse di cat. A, perch non deriva da un semplice impiego di capitale, in quanto la Cassa non lo riscuoterebbe se non avesse provveduto al servizio bancario di emissione ed estinzione degli assegni. Il conto circolazione assegni ha lo scopo di ripartire l'utile del capitale raccolto fra la clientela, in funzione del servizio prestato alla clientela stessa, fra i due soggetti che lo forniscono in concorso ,e cio fra l'ICCRI e la Cassa di Risparmio. Il meccanismo utilizzato per commisurare tale utile collegato al periodo di tempo intercorrente fra la data di emissione e quella di estinzione degli assegni, periodo in rapporto al quale maturano interessi che costituiscono la remunerazione non di un puro e semplice capitale, ma di un capitale impiegato in operazioni bancarie, e quindi sono soggetti ad I.G.E. Il conto particolare assegni stato istituito per evitare che la Cassa traente non abbia alcuna utilit dalla provvista ricevuta dal cliente ed accreditata immediatamente all'ICCRI (che -a sua volta -trae l'intera utilit delle somme accreditate per tutto il periodo corrente fra l'emissione dell'assegno e la sua estinzione), in quanto l'accredito nel conto generale comporta da parte dell'ICCRI l'acquisto della piena disponibilit della somma. Isolando dal conto generale le partite nascenti dalla circolazione degli assegni, le parti regolano la produzione e l'attribuzione fra di loro degli interessi sulle somme corrispondenti agli assegni emessi da ogni Cassa e gi accreditate nel conto generale a favore dell'ICCRI. Contestualmente a taile accredito, a sua volta l'ICCRI accredita fa Cassa dello stesso importo ed addebita la medesima somma al momento dell'estinzione dell'assegno. Sulla giacenza media del conto si calcolano gli interessi, che in tal modo remunerano un capitale messo a frutto dalla Cassa nella sua lattiv.it tipicamente bancaria (raccolta del risparmio e creazione di assegni bancari che hanno la medesima funzione di quelli circolari), tramite l'impiego presso l'ICCRI (allo stesso modo che altri capitali della Cassa possono essere impiegati accreditandoli a terzi imprenditori, che devono pagare interessi derivanti dall'esercizio del credito, soggetti ad IGE). Poich, insomma, l'utile a favore della Cassa inerente alla sua attivit di impresa bancaria, non pu qualificarsi interesse di puro impiego di capitale ai sensi dell'art. 1 lett. f) della legge n. 762 del 1940. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO La decisione impugnata va pertanto cassata e le parti vanno rimesse dinanzi alla Commissione tributaria centrale, per nuovo esame della controversia alla luce dei suddetti principi. La prospettiva adottata consente di superare le impostazioni date da questa Corte al problema, con soluzioni opposte, rispettivamente con le sentenze n. 933 del 1979 e n. 2404 del 1980, da un lato, e n. 3938 del 1981, dall'altro; e costituisce altres motivo per compensare le spese del giudizio di cassazione fra le parti. (omissis) I ! l J I I I I I SEZIONE SETTIMA . GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 4 novembre 1982, n. 5792 -Pres. Brancaccio -Est. Bologna -P. M. Grimaldi (parz. diff.). -Istituto Poligrafico e Zecca .dello Stato (avv. Stato Fiengo) c. Operamolla (avv. Lanzara). Appalto -Appalto di opere pubbliche -Variazioni -Diritto al pagamento del corrispettivo Condizioni. (1. 20 marzo 1865, n. 2248, ali. F, art. 342; r.d. 25 maggio 1895, n. 350, art. 13: d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 12). Appalto -Appalto di opere pubbliche -1lnteressi sulle somme riconosciute dal giudice Art. 36, quarto comma, d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063 Applicabilit ad enti non statali Esclusione. (d.m. 28 maggio 1895, art. 40; d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 36, quarto comma). In tema di appalto di opere pubbliche l'appaltatore pu pretendere un maggior compenso per le variazioni e le addizioni di lavori non previsti dal contratto quando il direttore abbia richiesto od autorizzato con ordine scritto le variazioni ed addizioni, ovvero, in difetto di ordine scritto, quandLJ sia stata fatta nel verbale di collaudo espressa menzione della loro esecuzione e necessit al fine della realizzazione dell'opera pubblica (1). La particolare decorrenza degli interessi a far data dal trentesimo giorno successivo alla registrazione da parte della Corte dei Conti del decreto che d esecuzione alla decisione della controversia - decorrenza preveduta dall'art. 36, comma quarto, del D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063 non pu valere nel caso di appalti convenuti da enti i cui atti non sono soggetti a registrazione, anche se il contratto si richiami al capitolato generale per la disciplina del rapporto (2). (1) Cass., 5 febbraio 1979, n. 745, in Giust. civ. Rep., 1979, opere pubbliche, 57, che ha esaminato un caso in cui le variazioni apportate al progetto dall'appaltatore erano state riconosciute nel verbale di collaudo come indispensabili alla realizzazione dell'opera e meritevoli di collaudazione, ha anche affermato che in questo caso il diritto al compenso nasce dalla approvazione del collaudo e da questo momento iniziano perci a decorrere gli interessi per il ritardo nel pagamento. Cass., 17 ottobre 1977, n. 4430, pubblicata in questa Rassegna, 1977, I, 907. (2) La decisione della Corte d'appello di Roma, confermata sul punto dalla Cassazione, conforme ad un indirizzo giurisprudenziale oramai costante, risa RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (omissis) Con il secondo motivo (violazione degli artt. 342, legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. F, 13 r.d. 25 maggio 1895, 12 d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione) il ricorrente deduce che erroneamente la Corte di appello avrebbe affermato il diritto dell'appaltatore al pagamento di lavori aggiuntivi, pur in mancanza di ordini scritti del direttore dei lavori, e pur non avendo, peraltro, nemmeno il direttore dei lavori il potere di disporre modifiche del pro getto e del contratto. ' La censura infondata e non merita accoglimento. In tema di appalto di opere pubbliche l'appaltatore pu pretendere una maggiore compenso per le variazioni e le addizioni di lavori non previsti dal contratto quando il direttore abbia richie.sto ed autorizzato con ordine scritto le variazioni ed addizioni, ovvero, in difetto di ordine scrtto, quando sa stata fatta nel verbale di collaudo espressa menzione della loro esecuzione e necessit al fine della realizzazione dell'opera pubblica (Cass., 1979, n. 745, 1977 n. 4430). Ispirandosi a detto principio, la sentenza impugnata ha fatto rilevare, a proposito dei piccoli lavori aggiuntivi eseguiti dall'impresa appaltatrice, che quest'ultima ha sempre eseguito le disposizioni della Direzione dei lavori; in particolare, ha richiamato l'atto idi collaudo dei lavori in generale nel quale si d atto che i lavori eseguiti corrispondono a quelli previsti dal progetto, salvo lievi modificazioni rientranti nei poteri discrezionali della Direzione dei Lavori (e che costituiscano i lavori aggiuntivi di cui trattasi) e che i :lavori eseguiti (quindi anche quelli aggiuntivi) rispondono alle varie disposizioni impartite dalla medesima Direzione. Con il terzo motivo (violazione degli artt. 36 e 40 d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063 e 1362 e segg. cod. civ., insufficiente e contraddittoria motivazione) il ricorrente deduce che erroneamente la Corte di merito ha attribuito all'impresa gli interessi con decor_renza dalla data della domanda di arbitrato, mentre, in forza dell'art. 36 del capitolato generale per le opere pubbliche approvato con d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, gli interessi, quanto meno, non erano dovuti per il periodo anteriore alla decisione, in quanto decorrenti soltanto dal trentesimo giorno successivo alla registrazione da parte della Corte dei Conti del decreto di esecuzione dell'atto risolutivo della controversia in sede contenziosa. La censura priva di fondamento. lente gi all'interpretazione dell'art. 40 del d.m. 28 maggio 1895: si confrontino al riguardo Cass., 23 novembre 1971, n. 3398, in Foro it., 1972, I, 2207; 25 mag gio 1973, n. 1527, in Giust. civ. Rep., 1973, opere pubbliche, 88; 27 novembre 1975, n. 3958, in Arch. giur. op. pubb., 1975, Il, 204; 18 novembre 1976, n. 4304, in Giust. civ. Rep., 1976, opere pubbliche, 7; 10 agosto 1977, n. 3679, ivi, 1977, ad vocem, 19; 13 dicembre 1977, n. 5413, in Arch. giur. op. pubb., 1978, Il, 67. PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI Esattamente al riguardo i giudici di appello hanno affermato che sulla somma dovuta complessivamente all'imprenditore decorrono gli interessi legali dal 4 gennaio 1969, data in cui l'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato era stato messo in mora con la domanda di arbitrato, e che l'art. 36 d.P.R. n. 1063 del 1962 (riguardante la diversa decorrenza degli interessi dalla data di registrazione da parte della Corte dei conti del decreto di esecuzione della decisione del.ila <:ontroversia) non applicabile alla fattispecie avente carattere negoziale e riguardante enti non statali. Siffatta decisione si ispira all'orientamento di questa Corte, secondo cui la particolare decorrenza degli interessi a far data dal trentesimo giorno successivo alla menzionata registrazione della Corte dei Conti (art. 36 citato) riguarda solo le somme dovute in dipendenza di controversie defini:te in via amministrativa ed arbitrale e sempre che l'atto risolutivo della controversia sia registrato alla Corte dei Conti, e non trova applicazione nei giudizi ordinari per i quali vale il principio di diritto comune secondo cui gli interessi legali decorrono dalla data della domanda giudiziale; invero quella particolare decorrenza stata predisposta in favore dell'Amministrazione dello Stato ed ha carattere eccezionale quindi non interpretabile estensivamente (Cass., 1977 n. 3679, 1977 n. 5413, 1976 n. 4304, 1975, n. 3958 e altre). (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 15 novembre 1982, n. 6093 -Pres. R. Sandulli -Est. Corda -P.M. Nicita (conf.) -Soc. S.I.P.A. (avv. Bindi, Romanelli e Coronas) c. Amministrazione dei lavori pubblici (Avv. Gen. Stato) e Consorzio per l'acqua potabile ai comuni della provincia di Milano (avv. Ferreri e Nespor). Acque -Giudizio e procedimento -Impugnazioni -Regolamento necessario di competenza -Ammissibilit. (r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 208; cod. proc. civ., art. 42 ss.). Acque -Comp,etenza e giurisdizione . Domanda di accertamento della demanialit proposta in via principale -Competenza dei tribunali delle acque Sussiste. (r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 140 lett. A). Acque Acque sotterranee Condizioni di pubblicit Controversia relativa Competenza dei tribunali delle acque. (r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775, artt. 1, 92 ss., 103, primo comma, 140, 143 e 144). Contro le sentenze pronunciate dai tribunali regionali delle acque pubbliche esperibile il regolamento di competenza, quale preveduto dagli iartt. 42 e ss. del vigente codice di procedura civile la cui applicabilit 992 RASSEGNA DLL'AVVOCATURA DELLO STATO si fonda sul richiamo al codice di rito contenuto nell'art. 208 del r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775, che costituisce non tanto un richiamo in senso tecnico quanto la enunciazione del comune principio dell'applicabiUt della legge generale dove quella speciale non disponga (1). V a decisa con efficacia di giudicato dal giudice specializzato ogni questione circa la demanialit delle acque che sorga tra privati in relazione all'oggetto della controversia, e ci sia che la questione sorga in via incidentale in un giudizio cui estranea la P.A., sia a maggior ragione ove costituisca oggetto di una domanda principale proposta anche in confronto della P. A. (2). La pubblicit delle acque sotterranee dipende, come in genere per le acque superficiarie, dalla loro attitudine a soddisfare interessi generali, mentre non rileva la presenza di una conforme preventiva classificazione la cui mancanza non pu perci precludere l'attribuzione della relativa controversia alla competenza dei tribunali regionali delle acque (3). (omissis) 1. -Col primo motivo, la ricorrente deduce che allorch viene instaurata una causa davanti al Tribunale regionale delle acque IIper ottep.ere una pronuncia sulla pubblicit delle acque, il detto giudice sempre competente (nella specie la domanda era stata proposta direttamente a1 detto giudice specializzato, in modo autonomo, sia pure con riferimento a una controversia in atto). Col secondo motivo si duole che il Tribunale predetto si sia dichiarato incompetente a decidere sulla i pubblicit delle acque del pozzo e sulle conseguenze che dalla pubblicit derivavano alla validit ed efficacia del contratto, indipendentemente da eventuali motivi di nullit per vizi del consenso. Assume che, nella spe I ' cie, era stato chiesto al Tribunale Regionale di affermare o escludere la pubblicit delle acque con riferimento all'epoca in cui fu stipulato il , . contratto col Consorzio e non con riferimento a un'epoca successiva: e, i i:' (1) Sulla disciplina del giudizio davanti ai tribunali delle acque, cfr. Cass., Sez. Un., 28 ottobre 1981, n. 5693 e 14 dicembre 1981, n. 6591, in questa Rassegna, 1981, I, 844 con richiamo di precedenti all'indirizzo riaffermato dall'attuale pronunzia. (2-3) Nel senso che le questioni relative alla demanialit delle acque che si presentino come impreteribile presupposto per decidere la questione principale in una controversia tra privati, non possano essere decise dall'organo giurisdizionale di diritto comune, ma vadano devolute al tribunale regionale delle acque, cfr., da ultimo Cass., 26 marzo 1981, n. 1759, in Foro it., 1981, I, 1577 e in Giust. civ., 19&1, I, 1253, resa in un caso in cui si controverteva fra privati sulla validit di un contratto di fornitura di acqua potabile. Nello stesso senso, con riguardo ad ipotesi di acque sotterranee e con identica soluzione del problema affrontato dalla terza massima, Cass., 10 gennaio 1980, n. 187, in Giust. civ., 1980, I, 563. In tema di pubblicit delle acque sotterranee cfr. altres, Trib. Sup. Acque, 5 dicembre 1981, n. 45, in questa Rassegna, 198.1, I, 867. PARTE I, SBZ. VII, GlURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI inoltre, di precisare quali diritti essa ricorrente possa vantare in conseguenza della dichiarata pubblicit dell'acqua: domanda, questa, che si inquadra perfettamente nella previsione dell'art. 140 lett. e), del t.u., in quanto si tratta di questione avente ad oggetto diritti relativi alla utiliz zazione delle acque pubbliche. Ha chiesto, perci, che sia dichiarata la competenza del Tribunale Regionale di Milano a decidere sulla pubblicit delle acque oggetto della causa e sulle conseguenze che dalla dichia razione di pubblicit derivano in relazione al contratto con il Consorzio nonch sui diritti delle parti in ordine all'uso delle acque predette. Il Consorzio replica con un'eccezione di inammissibilit dell'istanza di regolamento, nell'assunto che tale mezzo di impugnazione non sarebbe previsto n dagli articoli 147 e seguenti del t.u., n dal codice di procedura civile del 1865 (cui rart. 208 del t.u. rinvia per quanto non espressamente disciplinato): e, altres, nell'assunto che il ricorso non sarebbe stato notificato al Ministero dei Lavori Pubblici nel termine previsto dall'art. 47, secondo comma, cod. proc. civ. Nel merito, deduce: che la domanda di accertamento della pubblicit dell'acqua non avrebbe, nel caso concreto, alcun carattere di pregiudizialit rispetto alla domanda concernente la validit del contratto fra la ricorrente S.I.P.A. ed esso Consorzio ;che le dette domande sono fra loro scindibili; che sussiste, infine, il difetto di giurisdizione in ordine alla istanza di accertamento del diritto della ricorrente S.I.P.A. a ottenere la concessione, essendo attualmente ancora in corso il procedimento amministrativo volto a iscrivere l'acqua negli elenchi delle acque pubbliche. Ha chiesto, pertanto, che sia confermata la sentenza impugnata, salva la dichiarazione di difetto di giurisdizione del Tribunale Regionale in ordine alla domanda di accertamento del diritto alla concessione. Il Ministero dei Lavori Pubblici, a sua volta deduce: che non sussisterebbe, in concreto, la pregiudizialit della questione sulla pubblicit delle acque; che sussisterebbe il difetto di giurisdizione dell'A.G.O. in ordine alla domanda relativa al diritto della S.I.P .A. a ottenere la concessione, non essendo configurabile, in capo al privato, una posizione di diritto soggettivo. Ha chiesto, perci, la conferma della sentenza impugnata, magari rettificata nella motivazione. 2. -L'eccezione di inammissibilit dell'istanza di regolamento infondata. Il richiamo che l'art. 208 del t.u. fa al codice di procedura civile costituisce, pi che un richiamo in senso tecnico, l'enunciazione del comune principio dell'applicabilit della legge generale laddove quella speciale non dispone (S~z. Un. n. 5693/81). Esso, quindi, importa l'applicabilit del codice di procedura che vige nel momento in cui il processo si svolge; di modo che non pu dubitarsi che contro le sentenze pronunciate dai tribunali regionali delle acque pubbliche sia esperibile il mezzo di impu RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO gnazione previsto dagli articoli 42 e seguenti del vigente codice di pro cedura civile. L'istanza poi, risulta notificata anche all'Amministrazione dei lavori pubblici nel termine (perentorio) di trenta giorni dalla comunicazione della sentenza; infatti, il biglietto di cancelleria contenente il dispositivo della decisione qui impugnata stato notificato alla S.I.P.A. in data 6 ottobre 1981, e la notifica del ricorso al Ministero dei Lavori Pubblici avvenuta il successivo 6 novembre. 3. -Quanto al merito dell'istanza, da ricordare che la Societ istante ha proposto le seguenti domande: A) dichiarazione, affermativa o negativa, della natura pubblica dell'acqua del pozzo, con richiesta: a) nella prima ipotesi, di declaratoria di nullit del contratto, col riconoscimento del diritto di essa istante a ottenere la concessione dell'estrazione, ai sensi degli articoli 4 e 104 del t.u.; b) nella seconda ipotesi, annullamento del contratto, perch inficiato da errore ,e violenza, e privo di causa, o rescissione dello stesso perch stipulato in stato di necessit e pericolo; B) condanna, in ogni caso, del Consorzio al rimborso delle somme pagate in esecuzione dell'accordo ,con gli interessi e la rivalutazione monetaria. Ci premesso, da rilevare che, in ordine alla domanda sub A), la tesi prospettata in questa sede dalla ricorrente appare corretta, quando afferma che controversa fra Je parti la natura demaniale o privata delle acque estraibili dal pozzo; che la decisione di detta questione stata chiesta in via principale e autonoma e che la relativa statuizione pu essere data solo dal tribunale regionale delle acque pubbliche, ai sensi degli articoli 140 e seguenti del t.u., a prescindere dalla rilevanza che l'accertamento pu avere sulle domande di cui ai capi a) e b). Se, infatti, non si dubita (in conformit all'orientamento costante di questa Corte; v., fra 'le tante, Ie sentenze n. 187/80, 4975/78, 2619/79, 1184/78, 1277/77 e 2137/74) che in una controversia fra privati, allorch sorge questione, sia pure in via incidentale, circa la demanialit o meno delle acque che ne formano oggetto, la questione stessa deve essere necessariamente decisa con efficacia del giudicato dal giudice specializzato (e ci anche se la P.A. non partecipi al giudizio, o non sia stato emesso alcun provvedimento amministrativo riguardante la natura delle acque stesse), a maggior ragione deve essere affermata la competenza del tribunale regionale delle acque pubbliche in un caso _..;. come quello concreto -in cui l'accertamento della natura delle acque costituisce oggetto della domanda principale, proposta anche nei confronti della P.A. La circostanza che nella specie si discuta della natura di acque sotterranee non pu, d'altra parte, essere addotta per escludere la compe. PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI tenza del giudice specializzato. Secondo l'orientamento giurisprudenziale pi recente (v. le sentenze n. 187/80, 576/75 e 1766/73), infatti, in for:zJa del testo normativo contenuto nell'art. 1 del t.u. del 1933 (che riproduce l'art. 3, secondo comma, del r.d.l. 9 ottobre 1919, n. 161) le acque sotter11anee possono essere pubbliche come quelle superficiarie alla comune condizione della loro attitudine a soddisfare interessi generali, pur essendo o:vvio che tale attitudine per le acque sotterranee diviene attuale con la loro adduzione in superficie. Inoltre, nelle disposizioni speciali delle acque sotterranee (articoli 92 e seguenti del t.u.) non dato individuare alcuna norma che consenta di considerare private le acque sotterranee e di ritenerle, invece, pubbliche dopo la loro eduzione e iscrizione negli elenchi delle acque pubbliche. La formale classificazione come pubbliche delle acque sotterranee, che pu prescindere dall'esistenza di un comprensorio soggetto a tu:tela (art. 103, primo comma, del t.u.), presuppone pur sempre la sussistenza dei requisiti di cui all'art. 1 del t.u. e, precisamente, la generale condizione circa l'attribuzione attuale o potenziale delle acque a usi di pubblico generale interesse, secondo il principio comune applicabile alle acque superficiali e sotterranee. Tale uniformit di trattamento risulta anche dal successivo art. 144, secondo cui la competenza del Tribunale delle acque pubbliche (prevista dagli articoli 140 e 143) sussiste sia per le controversie relative alle acque pubbliche sotterranee, sia per quelle concernenti la ricerca, l'estrazione e l'utilizzazione delle acque sotterranee (non ancora dichiarate pubbliche) nei comprensori soggetti a tutela e in presenza di un interesse pubblico. Concludendo, quindi, su questo punto, va affermato che la competenza del tribunale regionale sussiste anche in tema di controversie relative alla pubblicit delle acque, indipendentemente dalla loro preventiva classificazione come acque pubbliche. In concreto, perci, va affermata la competenza del Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche di Milano in relazione alla domanda (sub A) avente ad oggetto la richiesta di pronuncia circa la pubblicit dell'acqua estraibile dal pozzo per cui causa. Delle due domande accessorie (sub a e sub b) alternativamente proposte, questa Corte non deve occuparsi, in questa sede di regolamento di competenza, per l'evidente ragione che in relazione ad esse non vi stata alcuna pronuncia, neppure implicita, sulla competenza . Il Tribunale Regionale di Milano, infatti, ha declinato la propria competenza in base al rilievo (erroneo) che l'accertamento della natura pubblica delle acque in questione non aveva in concreto rilevanza pregiudiziale, in quanto difettava la condizione della gi avvenuta iscrizione, delle acque predette, negli elenchi delle acque pubbliche. Una volta, quindi, rilevata l'erroneit di. tale impostazione e dichiarata, conseguentemente, la competenza del Tribunale predetto in ordine alla predetta domanda che principale, il RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO compito del giudice della competenza resta esaurito: spetter, quindi, al giudice designato pronunciare in merito alla controversia, ovviamente col rispetto dei limiti interni della propria giurisdizione e competenza. 4. -Un discorso analogo a quello da ultimo svolto deve essere fatto per ci che attiene alla domanda sub b) (condanna del Consorzio al rimborso delle somme pagate in esecuzione dell'accordo, con gli interessi e la rivalutazione monetaria). Si tratta, anche in questo caso, di una domanda accessoria in relazione alla quale non vi stata pronuncia, neppure implicita, sulla competenza . Se poi si volesse, in via di ipotesi, configurare la detta domanda come principale , l'istanza di regolamento sarebbe ancor meno proponibile, poich finirebbe per assumere, contra legem, il carattere di istanza di regolamento preventivo sulla competenza. (omissis) SEZIONE OTTAVA GIURISPRUDENZA PENALE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. III Penale, 27 settembre 1982, n. 1762 - Pres. De Martino -Rel. Lavosi -Rie. Pongiglione Alberto ed altri Parte civile Ministero del Tesoro (avv. dello Stato Bruni). Reato -Reato valutario previsto dall'art. 2 della legge 30 aprile 1976, n. 159 e successive modifiche -Giudizio direttissimo -Applicabilit. Reato -Reato valutario previsto dall'art. 2 della legge 30 aprile 1976, n. 159 e successive modifiche -Questione di legittimit costituzionale per contrasto con l'art. 10 della Costituzione e con il Trattato di Roma istitutivo della CEE -Manifesta infondatezza. Reato -Reato valutario previsto dall'art. 2 della legge 30 aprile 1976, n. 159 e successive modifiche -Propriet da parte di residente di azioni al portatore di societ estere e attraverso queste di azioni di societ italiane circolanti all'estero ed intestate alle societ estere -Omessa dichiarazione all'U.I.C. entro il 3 dicembre 1976 -Sussistenza. Reato -Reato valutario previsto dall'art. 2 della legge 30 aprile 1976, n. 159 e successive modifiche -Propriet da parte di residente di azioni 8I portatore . di societ estere e attraverso queste di azioni di societ italiane circolanti all'estero ed intestate alle societ estere -Pegno a favore di terzi gravante sulle azioni -Omessa dichiarazione all'U.I.C. entro il 3 dicembre 1976 -Sussistenza. Reato -Reato valutario previsto dall'art. 2 della legge 30 aprile 1976, n. 159 e successive modifiche -Propriet da parte di residente di azioni al portatore di societ estere e attraverso queste di azioni di societ italiane circolanti all'estero ed intestate alle societ estere -Omessa dichiarazione all'U.I.C. entro il 3 dicembre 1976 -Determinazione del valore delle attivit non dichiarate, al fine della irrogazione della pena pecuniaria, sulla base del capitale sociale -Legittimit. Reato -Reato valutario previsto dall'art. 2 della legge 30 aprile 1976, n. 159 e successive modifiche -Prova del danno subito dalle Amministrazioni delle Finanze e del Tesoro -ti: in re ipsa . Reato Reato valutario previsto dall'art. 2 della legge 30 aprile 1976, n. 159 e successive modifiche -Confisca prevista dall'art. 1, ottavo comma, d.l. 4 marzo 1976, n. 31 -Inapplicabilit. Reato -Reato valutario previsto dall'art. 2 della legge 30 aprile 1976, n. 159 e successive modifiche -Confisca prevista dall'art. 240 cod. pen. Applicabilit. Il giudizio direttissimo deve ritenersi obbligatoriamente prescritto non solo per i reati originariamente previsti dal d.l. 4 marzo 1976, n. 31, ma anche per quelli che ad essi furono aggiunti dalle leggi successive, ed , ... 998 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO in particolare dall'art. 2 della legge n. 159 del 1976, cos come modificato dall'art. 3, della legge n. 689 del 1976 (1). Poich l'art. 10 della Costituzione dispone che l'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute, e il Trattato di Roma, che regola i rapporti tra alcuni Stati europei, non pu qualificarsi come portatore di norme di diritto internazionale universalmente riconosciute, la questione di legittimit costituzionale di norme penali valutarie per contrasto con tart. 10 della Costituzione ed il Trattato di Roma manifestamente infondata (2). Sussiste il reato previsto dall'art. 2, legge 30 aprile 1976, n. 159 e successive modifiche, nell'ipotesi di propriet da parte di residente di azioni al portatore di societ estere e attraverso queste di azioni d,i societ italiane circolanti all'estero ed intestate alle societ estere, non dichiarate all'Ufficio Italiano Cambi entro il 3 dicembre 1976 (3). Nell'ipotesi di propriet da parte di residente di azioni al portatore di societ estere e attraverso queste di azioni di societ italiane circolanti all'estero ed intestate alle societ estere, l'obbligo della dichiarazione all'ufficio Italiano Cambi entro il 3 dicembre 1976, previsto dall'art. 2 della legge 30 aprile 1976, n. 159 e successive modifiche, sussiste anche se le azioni siano gravate di pegno a favore di terzi (4). La determinazione del valore delle attivit possedute all'estero, e non dichiarate entro il 3 dicembre 1976, nella ipotesi di azioni al portatore di societ estere e attraverso queste di azioni di societ italiane circolanti all'estero ed intestate alle societ estere, va effettuata, al fine della quantificazione della pena pecuniaria da irrogare, in base al capitale sociale (5). Nell'ipotesi di condanna per il reato previsto dall'art. 2 legge 30 aprile 1976, n. 159 e successive modifiche, non applicabile la confisca prevista dall'art. 1, ottavo comma, del d.l. 4 marza 1976, n. 31 (6). Nell'ipotesi d condanna per il reato previsto dall'art. 2, legge 30 aprile 1976 n. 159 e successive modifiche, applicabile la confisca prevista dall'art. 240 p.p. cod. pen. (7). (omissis) Questa Corte ha ripetutamente affermato che la volont del . legislatore risulta finalizzata ad assicurare che la repressione di tutti gli illeciti valutari avvenga con sollecitudine e, perci, il giudizio direttissimo deve ritenersi obbligatoriamente prescritto non solo per i reati originariamente previsti dal d.l. 4 marzo 1976, n. 31, ma anche per quelli che (1-7) La sentenza della Corte di appello di Genova cassata per alcune parti daHa SuprtiII1a Corte con questa decisione, stata pubblicata ed annotata nel numero marzo-aprile 1982 di questa Rassegna, pag. 407-424. La pronunzia del Supremo Collegio appare di rilievo soprattutto per questi punti: conferma, quanto all'applicabilit del giudizio direttissimo anche per i reati previsti dall'art. 2 della legge n. 159 del 1976 e successive modifiche, aella PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 999 ad essi furono aggiunti dalle leggi successive, ed in particolare dall'art. 2 della legge n. 159 del 1976, cos come modificato dall'art. 3 della legge n. 689 del 1976. Questione di legittimit costituzio"'nale. Circa la legittimti costituzionale delle norme penali valutarie si osserva che l'art. 10 della Costituzione dispone che l'ordinamento giuridico italiano si conforma alla norme di diritto internazionale generalmente ricunosciute e poich il Trattato di Roma, che regola i ,rapporti tra alcuni Stati europei, non pu qualificarsi come portatore di norme di diritto internazionale universalmente riconosciute, la proposta questione di legttimit costituzionale manifestamente infondata. Responsabilit penale dei tre imputati ricorrenti. Per quanto concerne la responsabilit dei tre imputati ricorrenti, derivante sia dal possesso delle azioni delle societ di Vaduz e sia dalla costituzione in pegno di dette azioni, si osserva che i relativi motivi dedotti costituiscono sostanzialmente censura della valutazione delle prove che devoluta ai giudici di merito e che non pu essere sindacata da questa Corte se sorretta, come nella specie, da una motivazione corretta e coerente. La Corte di merito pervenuta all'affermazione di responsabilit dei tre imputati ricorrenti in base sia alla pi volte citata scrittura 2 febbraio 1976, sia al rimborso di lire settecento milioni alla Societ Finac da parte del Pongiglione Alberto, tramite la Banca Nazionale del Lavoro, per le somme che la Finac aveva anticipato per la costituzione delle societ con sede in Vaduz; sia alla offerta alle banche italiane, in deposito a garanzia, delle azioni delle predette societ e sia alla risultanza acquisita presso gli istituti di credito italiani che la titolarit dei pacchetti azionari delle societ si apparteneva in ragione del 45 per cento al Pongiglione Alberto, del 45 per cento alla Salvi Bianca e del 10 per cento al Pongi teoria dell'accorpamento di cui alla pronunzia 13 dicembre il.978 della I Sezione, est. Bertoni, imp. Biso (in Il Foro it., 1980, Il, 46); sussistenza del reato previsto dall'art. 2 legge 30 aprile 1976, n. 159 e successive modifiche anche nel caso in cui le azioni esterovestite siano gravate di pegno a favore di terzi (sul punto non risultavano precedenti); la prova del danno subito dalle Amministrazioni delle Finanze e del Tesoro, nell'ipotesi di reato prevista dall'art. 2 legge 30 aprile 1976, n. 159 e successive modifiche, in re ipsa; applicabilit, nell'ipotesi di condanna per il reato previsto dall'art. 2 legge 30 aprile 1976, n. 159 e successive modifiche, della confisca prevista dall'art. 240 p.p. cod. pen. (anche su tale punto non risultavano precedenti specifici). 10 RASSEGNA 'DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 1000 glione Vincenzo, e che i predetti avevano prestato fidejussione in proprio impegnando beni personali a favore delle varie societ immobiliari. Da tali risultanze documentali ed obiettive stato possibile accertare che, in un primo momento, ila societ Finac di Berna aveva, in via fiduciaria, costituito '1e societ con sede a Vaduz per conto e nelli'nteresse del Pongiglione Alberto, il quale, subito dopo, aveva rimborsato ailfa societ Finac le somme erogate per la costituzione di tali societ divenendo cos proprietario; .unitamente alla moglie ed al fratello Vincenzo, di dette azioni. E che tali azioni fossero di esclusiva propriet dei Pongiglione provato ancora sia dal fatto che il Pongiglione Alberto promise al Credito di Risparmio di depositarle a garanzia e sia dalla risultanza che poi lo stesso Pongiglione costitu in pegno tali azioni a favore della societ Finac a garanzia della restituzione delle somme erogate per gli aumenti di capitale delle societ immobiliari italiane. Quindi assolutamente infondato anche il motivo di ricorso secondo cui il vincolo che gravava sulle azioni debba intendersi, anzich come pegno, come fiducia cum creditore. Infatti provato che le azioni erano di esclusiva propriet dei Pongiglione che avevano corrisposto alla Finac le somme erogate per la costituzione delle societ in Vaduz, ponendo cos fine al rapporto fiduciario in base al quale la Finac aveva costituito le dette societ e che, in seguito, a garanzia del pagamento delle somme erogate dalla Finac per l'aumento dei capitali delle societ immobiliari italiane, le azioni delle societ di Vaduz furono costituite in pegno, come -in modo univoco -risulta dalla nota scrittura 2 febbraio 1976. N vi contraddizione tra il contenuto di tale scrittura circa l'appar tenenza delle azioni al solo Pongiglione Alberto e la documentazione repe rita presso le banche, da cui risulterebbe che la propriet delle azioni era frazionata in ragione del 45 per cento, per .ciascuno, a Pongiglione Alberto ed a Salvi Bianca ed in ragione del 10 per cento al Pongiglione Vincenzo. Infatti nella scrittura del 2 febbraio 1976, essendo priva di rilievo la reale distribuzione della .titolarit delle azioni nell'ambito della famiglia, il Pongiglione Alberto -che era colui che solitamente agiva per conto dei familiari -non ritenne opportuno specificare tale circostanza perch si trattava di azioni al portatore, mentre nei rapporti con gli istituti di credito i tre imputati ricorrenti, dovendo prestare fidejussione in proprio impe gnando beni personali, dovettero precisare la reale distribuzione della pro priet delle azioni. N pu dubitarsi di tale circostanza, perch ogniqual volta i tre ricorrenti, nei rapporti con le banche, hanno dovuto pronun ciarsi sull'argomento hanno sempre dichiarato che la propriet delle azioni era suddivisa nelle proporzioni suindicate. N pu dubitarsi che i tre imputati ricorrenti, quali proprietari delle azioni date in pegno alla Societ Finac, avessero l'obbligo di dichiarare -ai sensi dell'art. 2 della legge n. 159 del 1976 -il possesso delle predette PARTE I, SEZ. Vili, GIURISPRUDENZA PENALE 1001 azioni giacch essi -quali debitori costituenti il pegno -conservavano integri i poteri dominicali sulle azioni date in pegno, di cui potevano liberamente disporre nei limiti in cui ci era consentito dal diritto del creditore pignoratizio. E poich l'art. 2 della legge 30 aprile 1976, n. 159, come modificato dall'art. 3 della legge 8 ottobre 1976, n. 689, prevede l'obbligo della denuncia per chi possiede all'estero -direttamente o indirettamente -disponibilit valutarie, chiaro che nella previsione del possesso indiretto suindicato rientra anche il caso del titolare delle azioni costituite in pegno. fa1fat1:i costui, non solo possiede attraverso il creditore pignorntizio, ma -come gi precisato -pu liberamente disporre della cosa data in pegno nei limiti consentiti dal diritto del creditore ed il possesso, in senso civilistico, attribuito al creditore pignoratizio, non solo temporaneo (sino all'estinzione del credito), ma non gli ttribuisce alcun potere di disposizione e di godimento della cosa pignorata. Pertanto il debitore proprietario delle disponibilit valutarie date in pegno ha l'obbligo di denunciare, ai sensi del citato art. 2, le dette disponibilit possedute all'estero e date in pegno. Giudizio. di comparazione delle circostanze attenuanti generiche. Le circostanze attenuanti generiche non si sottraggono, cos come le circostanze attenuanti comuni, al giudizio di comparazione con le circostanze aggravanti. Esse, infatti, sono delle circostanze che renderebbero l'imputato meritevole di una diminuzione della pena cos come le circostanze previste dall'art. 62 cod. pen., e differiscono da queste ultime soltanto per la loro indeterminatezza, ed il giudice le potr prendere in considerazione qualora le ritenga tali da giustificare -cos come per quelle previste daH'art. 62 cod. pen. -una diminuzione della pena. Naturalmente, qualora, come nel caso in esame, circostanze aggravanti vengano ritenute prevalenti sulle circostanze attenuanti generiche, queste ultime avranno la loro influenza sulla misura della pena da irrogare in concreto perch il riconoscimento della loro sussistenza non potr non influire sulla misura della pena. Tale riflesso spiega che non del tutto inutile concedere delle attenuanti generiche sulle quali poi venga dichiarata la prevalenza delle circostanze aggravanti. Attenuanti della minima partecipazione. Per quanto concerne la concessione dell'attenuante di cui all'art. 114 cod. pen., avanzata da Salvi Bianca e Pongiglione Vincenzo, si osserva che l'attenuante della partecipazione di minima importanza presuppone un apporto differenziato nella preparazione o nell'esecuzione materiale del reato e, pertanto, tale attenuante non applicabile nei reati omissivi nei 1002 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DBLLO STATO quali, come nella fattispecie, nessuna attivit preparatoria risulta svolta e nessuna attivit materiale stata compiuta dagli imputati e, quindi, l'omissione stata totale e di uguale misura da parte di tutti gli imputati ricorrenti, ciascuno dei quali -tra l'altro -avrebbe dovuto presentare la denuncia per proprio conto in relazione alla quota delle azioni estere da ciascuno possedute, a nulla rilevando che fosse il Pongiglione Alberto a svolgere tutte le attivit imprenditoriali giacch egli, in mancanza di specifiche procure, non doveva provvedere a denunciare le disponibilit valutarie possedute all'estero dalla moglie e dal fratello. Misura della pena in relazione al valore delle disponibilit valutarie. Per determinare il valore delle disponibilit valutarie non dichiarate La Corte di merito si discostata dal criterio seguito dai primi giudici, i quali stabilirono il valore del capitale delle societ depurando l'attivo dal passivo e basandosi su alcune perizie extragiudiziali effettuate ad I iniziativa delle banche finanziatrici, ed ha fatto riferimento al capitale sociale delle societ immobiliari, ritenendolo elemento sicuro di valutazione perch riflettente il valore minimo da attribuirsi con sicurezza alle I societ. f; La Corte di merito, inoltre, anzich accedere alla richiesta di rinnovaf: zione del dibattimento per procedere ad accertamenti peritali al fine di giungere alla supposta esatta valutazione delle societ immobiliari; ha preferito seguire il criterio, del riferimento al capitale sociale sia perch I pi favorevole agli imputati, tanto che le pene pecuniarie -che sono pro I t. porzionali a detti valori -sono state ridotte in misura considerevole rispetto a quelle inflitte dai primi giudici, e sia perch gli accertamenti demandati ai periti risentirebbero in ogni caso di elementi di carattere soggettivo. f E' priva di rilievo la censura mossa al riguaTdo dai ricorrenti osserI vando che il capitale sociale potrebbe essere mutato in aumento o in di~ minuzione giacch in caso di aumento del capitale sociale i ricorrenti I non avrebbero subito alcun pregiudizio e in caso di diminuzione essi avrebbero potuto dimostrarlo documentalmente e, pertanto, chiaro che in concreto una diminuzione del capitale sociale non si verificata. Danno subto dall'Amministrazione Finanziaria dello Stato. La prova del danno sublto dalle Amministrazioni delle Finanze e del Tesoro in re ipsa giacch, trattandosi di reato contro l'economia nazionale, indubbio il danno arrecato ai Ministeri predetti per l'aggravamento della bilancia dei pagamenti e per il mancato versamento -ai sensi I l , . . I - PARTB I, SBZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE dell'art. 2 ter della legge n. 689 del 1976 -dell'imprto pari al 15 per cento delle disponibilit valutarie possedute all'estero e per il mancato paga mento delle imposte sul reddito relativo alle disponibilit valutarie. Confisca. Il ricorso del P. M. presentato il 5 marzo 1981 sebbene proposto avverso il capo della sentenza concernente la revoca della confisca, ammissibile perch la stessa sentenza stata impugnata sia dallo stesso P.M. e sia dagli imputati in ordine agli altri capi. Infatti il ricorso proponibile ex, art. 640 cod. proc. pen. si converte nel gravame ordinario nel caso di altre impugnazioni concorrenti relative alla statuizione penale della sentenza (art. 212 cod. proc. pen.). Passando all'esame del merito del ricorso predetto, si osserva che la confisca prevista nell'art. 1 d.l. n. 31 del 1976 si applica esclusivamente ai reati di esportazione di valuta, di titoli di credito e di costituzione all'estero di disponibilit valutarie o di attivit di qualsiasi genere senza la prescritta autorizzazione, reati tutti previsti dall'art. 1 succitato. L'art. 2 della legge 30 aprile 1976, n. 159, nel convertire in legge il decreto n. 31 del 1976, ha introdotto l'obbligo di dichiarare fo disponibilit valutarie o attivit di qualunque genere costituite all'estero, e per l'inosservanza ha fatto riferimento alle pene stabilite nell'art. 1 del decreto n. 31 del 1976, senza fare alcuna menzione della confisca espressamente prevista nel citato art. 1. N pu farsi riferimento cos come sostenuto dal P.M. ricorrente alla teoria dell'accorpamento giacch la pena cosa ben distinta dalla misura di sicurezza e per entrambe necessaria la espressa previsione di legge, giacch l'art. 2 succitato quando ha voluto ha fatto riferimento alle disposizioni contenute nel decreto n. 31 del 1976, cos come ha fatto per la norma concernente l'obbligatoriet del rito direttissimo per i reati valutari. Inoltre la legge 8 ottobre 1976, n. 689, ha .-sostituito, all'art. 3, l'art. 2 della legge n. 159 succitata ed ha fissato le pene in maniera del tutto autonoma senza fare pi riferimento all'art. 1 del decreto n. 31. La confisca invece possibile ai sensi dell'art. 240 p.p. cod. pen. Infatti le disponibilit valutarie possedute all'estero, che -anteriormente alla legge n. 159 del 1976 -costituivano un illecito amministrativo, a seguito dell'entrata in vigore di tale legge e scaduto il termine per la presentazione della dichiarazione prevista dal citato art. 2 della legge n. 159 del 1976, diventano compendio del reato di omessa dichiarazione di cui all'art. 2 pi volte citato. Invero, da tale momento (scadenza del termine per la presentazione della predetta dichiarazione), il possesso all'estero di disponibilit valutarie costituisce il reato di cui al citato art. 2, il quale trasforma il possesso all'estero di disponibilit valutaria da illecito amministrativo in illecito RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 1004 penale e l'oggetto di tale illecito possesso, penalmente sanzionato, compendio di reato. L'opportunit, inoltre, che ai sensi dell'art. 240 cod. pen., ....,.... venga disposta la confisca delle disponibilit valutarie possedute all'estero e dei beni immobili esterovestiti suggerita dalla considerazione che, qualora tale confisca non venisse disposta, si otterrebbe come conseguenza immediata il perpetuarsi della predetta situazione antigiuridica giacch i responsabili continuerebbero a possedere all'estero disponibilit valutarie e gli immobili esistenti in Italia continuerebbero ad essere di propriet di societ estere, con la conseguenza che i responsabili sarebbero facultati a continuare a sottrarre detti beni all'economia nazionale. In tal senso va accolto il ricorso del Procuratore Generale presentato il 5 marzo 1981, e di conseguenza, la sentenza impugnata va annullata, per violazione di legge, nella parte concernente la revoca della confisca, con rinvio ad altra Sezione della stessa Corte di appello di Genova perch valuti l'opportunit di sottoporre a confisca i beni suindicati ai sensi dell'art. 240 cod. pen. Inoltre il ,ricorso presentato dallo stesso Procuratore Generale in data 7 marzo 1981 va dichiarato inammissibile per omessa presentazione dei motivi; la proposta questione di legittimit costituzionale va dichiarata manifestamente infondata; la sentenza impugnata va annullata senza rinvio nei confronti di Pongiglione Alberto -deceduto il 20 marzo 1982 perch il reato a lui ascritto estinto per morte del reo. I ricorsi di Salvi Bianca e di Pongiglione Vincenzo, invece, vanno rigettati con la loro condanna, in solido, alle spese processuali e, ciascuno al pagamento di L. 200.000 alla Cassa delle Ammende e, ancora in solido, alla rifusione delle spese ed onorari a favore della pairte civile: Min?- steri del Tesoro e delle Finanze, che si Hquidano in complessive L. 600.000. (omissis) PARTE SECONDA LEGISLAZIONE I -NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI Legge 20 maggio 1970, n. 300, art. 7, primo, secondo e terzo comma, interpretati nel senso che siano inapplicabili ai licenziamenti disciplinari, per i quali detti commi non siano espressamente richiamati dalla normativa legislativa, collettiva o validamente posta dal datore di lavoro. Sentenza 30 novembre 1982, n. 204, G. U. 9 dicembre 1982, n. 338. II -QUESTIONI DICHIARATE NON FONDATE Codice civile, art. 2596 (artt. 41 e 43 della Costituzione). Sentenza 16 dicembre 1982, n. 223, G . .U. 22 dicembre 1982, n. 351. codice penale, art. 57 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 24 novembre 1982, n. 198, G. U. 1 dicembre 1982, n. 331. - codice penale, art. 124 (artt. 3 e 24 della Cosituzione). Sentenza 16 dicembre 1982, n. 221, G. U. 22 dicembre 11982, n. 351. codice penale, art. 376 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 22 dicembre 1982, n. 228, G. U. 29 dicembre 1982, n. 357. codice penale, art. 376, primo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). Sentenza 9 dicembre 1982, n. 206, G. U. 15 dicembre 1982, n. 344. codice penale, art. 666 (artt. 3, primo e secondo comma, 4, primo e secondo comma, 35 prima parte e 41, prima parte, della Costituzione). Sentenza 22 dicembre 1982, n. 229, G. U. 29 dicembre 1982, n. 357. codice di procedura penale, art. 102 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Sentenza 26 ottobre 1982, n. 171, G. U. 3 novembre 1982, n. 303. codice di procedura penale, art. 304 (artt. 3 e 24 della Costituzione}. Sentenza 16 dicembre 1982, n. 221, G. U. 22 dicembre 1982, n. 351. r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 93, n. 1 (art. 53 della Costituzione). Sentenza 10 novembre 1982, n. 178, G. U. 17 novembre 1982, n. 317. 202 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO r.d. 18 giugno 1931, n. 773, artt. 68 e 86 (art. 3, primo e secondo comma, 4, primo e secondo comma, 35, prima parte e 41, prima parte, della Costituzione). Sentenza 22 dicembre 1982, n. 229, G. U. 29 dicembre 1982, n. 357. legge 8 febbraio 1948,. n. 47, art. 3 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 24 novembre 1982, n. 198, G. U. 1 dicembre 1982, n. 331. d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361, art. 8, secondo comma (artt. 3, 51, primo e terzo comma, e 107, primo comma, della Costituzione). Sentenza 26 ottobre 1982, n. 172, G. U. 3 novembre 1982, n. 303. legge 20 febbraio 1958, n. 75, art. 4, n. 2 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 9 dicembre 1982, n. 205, G. U. 15 dicembre 1982, n. 344. legge 20 febbraio 1958, n, 75, art. 4, n. 2 (artt. 3 e 25 della Costituzione). Sentenza 9 dicembre 1982, n. 205, G. U. 15 dicembre 1982, n. 344. legge 15 settembre 1964, n. 756, art. 9 (artt. 3 e 42 della Costituzione). Sentenza 16 dicembre 1982, n. 220, G. U. 22 dicembre 1982, n. 351. I r: d.P.R. 12 febbraio 1965, n. 162, art. 76 (art. 3, 76 e 77 della Costituzione). ili . Sentenza 17 novembre .1982, n. 188, G. U. 24 novembre 1982, n. 324. . . I . . d.P.R. 12 febbraio 1965, n. 162, art. 76 (art. 3, 76 e 77 della Costituzione). I Sentenza 17 novembre 1982, n. 188, G. U. 24 novembre 1982, n. 324. 1% d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 28, ultimo comma (art. 3 della Costituzione). ~ Sentenza 16 dicembre 1982, n. 222, G. U. 22 dicembre 1982, n. 351. I I ~ legge 12 febbraio 1968, n. 132, art. 43, lett. d) (art. 32 della Costituzione). Sentenza 10 novembre 1982, n. 175, G. U. 17 novembre 1982, n. 317. ~ legge 1 marzo 1968, n. 188 (artt. 3 e 42 della Costituzione). Sentenza 16 dicembre 1982, n. 220, G. U. 22. dicembre 1982, n. 351. d.P.R. 27 marzo 1969, n. 130, art. 133 (art. 32 della Costituzione). Sentenza 10 novembre 1982, n. 175, G. U. 17 novembre 1982, n. 317. legge 20 maggio 1970, n. 300, art. 7, quinto comma (artt. 2, 3 e 24 della Costituzione). , Sentenza 30 novembre 1982, n. 204, G. U. 9 dicembre 1982, n. 338. PARTE II, LEGISLAZIONE legge 20 maggio 1970, n. 300, art. 7, settimo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). Sentenza 30 novembre 1982, n. 204, G. U. 9 dicembre 1982, n. 338. legge 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, prlmo comma (art. 3 della Costituzione). Sentenza 30 novembre 1982, n. 204, G. U. 9 dicembre 1982, n. 338. legge 9 ottobre 1971, n. 824, art. S, primo comma (art. 3 della Costituzione). Sentenza 10 novembre 1982, n. 176, G. U. '17 novembre 1982, n. 317. legge 9 ottobre 1971, n. 825, art. 10, n. 14 (artt. 103, secondo comma, 97, primo e secondo comma, e VI disposizione transitoria della Costituzione). Sentenza 17 novembre 1982, n. 185, G. U. 24 novembre 1982, n. 324. d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748, art. 67, ultimo comma (artt. 3, 9 e 33 della Costituzione). Sentenza 16 dicembre 1982, n. 218, G. U. 22 dicembre 1982, n. 351. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 (art. 103, secondo comma, 97, primo e secondo comma, e VI disposizione transitoria della Costituzione). Sentenza '17 novembre 1982, n. 185, G. U. 24 novembre 1982, n. 324. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, artt. 2 e 3 (art. 108, secondo comma, della Costituzione). Sentenza 24 novembre 1982, n. 196, G. U. 1 dicembre 1982, n. 331. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 35 (artt. 3, primo comma e 24, secondo comma, della Costituzione). Sentenza 24 novembre 1982, n. 196, G. U. 1 dicembre 1982, n. 331. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 39 (artt. 3, 24 e 116 della Costituzione). Sentenza 24 novembre 1982, n. 196, G. U. 1 dicembre 1982, n. 331. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 74; secondo e terzo comma (artt. 3, 24 e 53 della Costituzione). Sentenza 17 novembre 1982, n. 186, G. U. 24 novembre 1982, n. 324. legge 15 novembre 1973, n. 734, art. 1, terzo comma (artt. 3, 36 e 97 della Costituzione). Sentenza 22 dicembre 1982, n. 227, G. U. 29 dicembre 1982, n. 357. d.l. 8 luglio 1974, n. 261, art. 6 [convertito in legge 14 agosto 1974, n. 355] (art. 3 della Costituzione). Sentenza 16 dicembre 1982, n. 219, G. U. 22 dicembre 1982, n. 351. 204 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 14 ottobre 1974, n. 497, artt. 10 e 14 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 9 dicembre 1982, n. 2Cf7, G. U. 15 dicembre 1982, n. 344. legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 10, sesto, ottavo e decimo comma (art. 3 della Costituzione). Sentenza 24 novembre 1982, n. 199, G. U. 1 dicembre 1982, n. 331. legge 18 aprile 1975, n. HO, art. 10, ottavo e decimo comma (artt. 3 e 97 della Costituzione). Sentenza 24 novembre 1982, n. 199, G. U. 1 dicembre 1982, n. 331. legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 10, sesto, ottavo, nono e decimo comma (art. 3 della Costituzione). Sentenza 24 novembre 1982, n. 199, G. U. 1 dicembre 1982, n. 331. . legge 3 giugno 1975, n. 160, art. 24 (art. 38, secondo comma, della Costituzione). Sentenza 10 novembre 1982, n. 180, G. U. 17 novembre 1982, n. 317. legge 22 dicembre 1975, n. 685, art. 71, quarto comma (artt. 3 e 25, secondo comma, della Costituzione). Sentenza 26 ottobre 1982, n. 170, G. U. 3 novembre 1982, n. 303. legge 22 dicembre 1975, n. 685, artt. 71, 72 e 83 (artt. 3 e 25, secondo comma, della Costituzione). Sentenza 26 ottobre 1982, n. 170, G. U. 3 novembre 1982, n. 303. III -QUESTIONI PROPOSTE codice civile, art. 2947, terzo comma (art. 24 della Costituzione). Tribunale di Genova, ordinanza 9 novembre 1981, n. 461/82, G. U. 9 dicembre 1982, n. 338. codice di procedura civile, art. 152 disposizioni di attuazione (art. 3 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 2 gennaio 1982, n. 363, G. U. 24 novembre 1982, n. 324. codice di procedura civile, artt. 181 e 309 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Giudice istruttore presso il tribunale di Firenze, ordinanza 9 febbraio 1982, n. 444, G. U. 1 dicembre 1982, n. 331. PARTE II, LEGISLAZIONE 20f codice di procedura civile, art. 444, secondo comma (artt. 3 e 24 della Costi tuzione). ' Tribunale di Genova, ordinanza 28 aprile 1982, n. 502, G. U. 24 novembre 1982, n. 324. codice di procedura civile, artt. 796, 797 e 801 (artt. 2, 3 e 30 della Costituzione). Corte d'appello di Torino, ordinanza 20 aprile 1982, n. 374, G. U. 10 novembre 1982, n. 310. codice penale, art. 5 (artt. 2, 3, 25 e 27 della Costituzione). Pretore di Padova, ordinanza 14 maggio 1982, n. 472, G. U. 22 dicembre 1982, n. 351. codice penale, art. 57 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 3 aprile 1982, n. 354, G. U. 3 novembre 11982, n. 303. Tribunale di Roma, ordinanza 27 febbraio 1982, n. 449, G. U. 10 novembre 1982, n. 310. Tribunale di Roma, ordinanza 27 febbraio 1982, n. 450, G. U. 10 novembre 1982, n. 310. Tribunale di Roma, ordinnaza 27 febbraio 1982, n. 451, G. U. 10 novembre 1982, aDQ .~ Tribunale di Roma, ordinanza 27 febbraio 1982, n. 452, G. U. 10 novembre 1982, n. 310. Tribunale di Roma, ordinanza 27 febbraio 1982, n. 453, G. U. 10 novembre 1982, n. 310. Tribunale di Roma, ordinanza 13 febbraio 1982, n. 454, G. U. 10 novembre 1982, n. 310. Tribunale di Roma, ordinanza 13 febbraio ;1982, n. 455, G. U. 10 novembre 1982, n. 310. Tribunale di Roma, ordinanza 20 febbraio 1982, n. 456, G. U. 10 novembre 1982, n. 310. Tribunale di Roma, ordinanza 4 marzo 1982, n. 457, G. U. 10 novembre 1982, n. 310. Tribunale di Monza, ordinanza 18 febbraio 1982, n. 666, G. U. 9 dicembre 1982, n. 338. codice penale, art. 57 (artt. 3 e 21 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 21 aprile .1982, n. 422, G. U. 17 novembre 1982, n. 317. Tribunale di Roma, ordinanza 23 marzo 1982, n. 423, G. U. 17 novembre 1982, n. 317. Tribunale di Roma, ordinanza 20 aprile 1982, n. 431, G. U. 17 novembre 1982, n. 317. Tribunale di Roma, ordinanza 24 aprile 1982, n. 432, G. U. 17 novembre 1982, n. 317. 206 RASSEGNA DEI.L'AVVOCATURA DELLO STATO codice penale, art. 57 e 595 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Forl, ordinanza 28 maggio 1982, n. 530, G. U. 15 dicembre 1982, n. 344. codice penale, art. 176, terzo comma (art. 3 della Costituzione). Sezione di sorveglianza di Bologna, ordinanza 17 giugno 1982, n. 690, G. U. 24 novembre 1982, n. 324. codice penale, art. 688 (artt. 3 e 32 della Costituzione). Pretore di Lecce, ordinanza 18 febbraio 1982, n. 571, G. U. 9 dicembre 1982, n. 338. r.d. 17 novembre 1924, n. 2367, art. 130 (artt. 3 e 98 della Costituzione). Consiglio nazionale dei geometri, ordinanza 18 novembre 1981, n. 466/82, G. U. 3 novembre 1982, n. 303. r.d. 7 febbraio 1926, n. 426, art. 10, secondo comma, ultimo periodo (artt. 3, 24 e 133 della Costituzione). I Corte d'appello di Roma, ordinanza 25 febbraio 1982, n. 770, G. U. 24 novem bre 1982, n. 324. I r.d. 8 gennaio 1931, n. 148, art. 10, terzo comma [come modificato dalla legge I ~ 24 luglio 1957, n. 633] (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 25 marzo 1982, n. 485, G. U. 15 dicembre 1982, n. 344. I r.d. 18 giugno 1931, n. 773, art. 38 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Macerata, ordinanza 16 luglio 1982, n. 628, G. U. 9 dicembre I 1982, n. 338. Corte d'appello di Caltanissetta, ordinanza 8 luglio 1982, n. 645, G. U. 9 dicem I bre 1982, n. 338. I t.u. 14 settembre 1931, n. 1175, art. 285, terzo comma (artt. 3, 24, secondo comma, e 113 della Costituzione). Corte d'appello di Roma, ordinanza 25 marzo 1982, n. 600, G. U. 29 dicembre 1982, n. 357. r.d. 19 luglio 1941, n. 1198, art. 89 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 2 giugno 1981, n. 655/82, G. U. 10 novembre 1982, n. 310. r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 43 (artt. 13 e 24 della Costituzione). Tribunale di Rimini, ordinanza 17 febbraio 1982, n. 515, G. U. 29 dicembre 1982, n. 357. r.d. 16 marzo 1942, n. 267, ar. 201 (art. 24 della Costituzione). Pretore di Bologna, ordinanza 14 luglio 1982, n. 620, G. U. 15 dicembre 1982, n. 344. PARTE II, LEGISLAZIONE 207 . legge 17 agosto 1942, n. 1150, art. 28, primo comma (artt. 24, 25 e 112 della Costituzione). Pretore di Riesi, ordinanza 19 settembre 1981, n. 605/82, G. U. 29 dicembre 1982, n. 357. legge 8 febbraio 1948, n. 47, artt. 1, 9 e 13 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 3 aprile 1982, n. 354, G. U. 3 novembre 11982, n. 303. Tribunale di Milano, ordinanza 18 maggio 1982, n. 660, G U. 9 dicembre 1982, n. 338. Tribunale di Monza, ordinanza 18 febbraio 1982, n. 666, G. U. 9 dicembre 1982, n. 338. Tribunale di Viterbo, ordinanza 25 maggio 1982, n. 549, G. U. 15 dicembre 1982, n. 344. legge 8 febbraio 1948, n. 47, artt. 1, 9 e 13 (artt. 3 e 21 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 21 aprile 1982, n. 422, G. U. 17 novembre 1982, n. 317. Tribunale di Roma, ordinanza 23 marzo 1982, n. 423, G.U. 17 novembre 1982, n. 317. Tribunale di Roma, ordinanza 20 aprile 1982, n. 431, G.U. 17 novembre 1982, n. 317. Tribunale di Roma, ordinanza 24 aprile 1982, n. 432, G. U. 17 novembre 1982, n. 317. legge 8 febbraio 1948, n. 47, artt. 1, 9, 12 e 13 (artt. 3 e 21 della Cosituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 6 marzo 1982, n. 410, G. U. 17 novembre 1982, n. 317. Tribunale di Roma, ordinanza 16 marzo 1982, n. 411, G. U. 17 novembre 1982, n. 317. Tribunale di Roma, ordinanza 16 marzo 1982, n. 412, G. U. 17 novembre 1982, n. 317. Tribunale di Roma, ordinanza 16 marzo 1982, n. 413, G. U. 17 novembre 1982, n. 317. Tribunale di Roma, ordinanza lO marzo 1982, n. 414, G. U. 17 novembre 1982, n. 317. Tribunale di Roma, ordinanza 10 marzo 1982, n. 415, G. U. 17 novembre 1982, n. 317. Tribunale di Roma, ordinanza 10 marzo 1982, n. 416, G. U. 17 novembre 1982, n. 317. Tribunale di Roma, ordinanza 23 marzo 1982, n. 676, G. U. 15 dicembre 1982, n. 344. legge 8 febbraio 1948, n. 47, artt. 9, 12, 13 e 21 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 27 febbraio 1982, n. 449, G. U. 10 novembre 1982, n. 310. 208 RASSBGNA DEI.L'AVVOCATURA DELLO STATO ,;: Tribunale di Roma, ordinanza 27 febbraio 1982, n. 450, G. U. 10 novembre ..: 1982, n. 310. Tribunale di Roma, ordinanza 27 febbraio 1982, n. 451, G. U. 10 novembre 1982, n. 310. I Tribunale di Roma, ordinanza 27 febbraio 1982, n. 452, G. U. 10 novembre 1982, n. 310. I Tribunale di Roma, ordinanza 27 febbraio 1982, n. 453, G. U. 10 novembre 1982, n. 310. i Tribunale di Roma, ordinanza 13 febbraio .1982, n. 454, G. U. 10 novembre 1982, n. 310. Tribunale di Roma, ordinanza 13 febbraio 1982, n. 455, G.U. 10 novembre 1982, n. 310. Tribunale di Roma, ordinanza 20 febbraio 1982, n. 456, G. U. 10 novembre 1982, n. 310. Tribunale di Roma, ordinanza 4 marzo 1982, n. 457, G. U. 10 novembre 1982, n. 310. legge 8 febbraio 1948, n. 47, artt. 9 e 13 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Forl, ordinanza 28 maggio 1982, n. 530, G. U. 15 dicembre 1982, n. 344. legge 8 febbraio 1948, n. 47, art. 13 (art. 3 della Costituzione). I " Tribunale dell'Aquila, ordinanza 30 marzo 1982, n. 493, G. U. 10 novembre 1982, n. 310. Tribunale di Napoli, ordinanza 17 maggio 1982, n. 494, G. U. 10 novembre 1982, n. 310. Tribunale di Perugia, ordinanza 5_ maggio 1982, n. 636, G.U. 9 dicembre 1982, n. 338. i Tribunale di Perugia, ordinanza .10 maggio 1982, n. 637, G. U. 9 dicembre 1982, n. 338. Tribunale di Perugia, ordinanza 19 maggio 1982, n. 639, G. U. 9 dicembre I 1982, n. 338. Tribunale di Perugia, ordinanza 24 maggio 1982, n. 640, G. U. 9 dicembre 1982, n. 338. I ~ Tribunale di Perugia, ordinnaza 5 maggio 1982, n. 641, G. U. 9 dicembre 1982, n. 338. Tribunale di Napoli, ordinanza 20 maggio 1982, n. 626, G. U. 15 dicembre 1982, n. 344. legge 4 marzo 1952, n. 137, artt. 1 e 2 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Tivoli, ordinanza 29 aprile 1982, n. 446, G. U. 10 novembre 1982, n. 310. d.P.R. 25 luglio 1952, 'n. 1713 (artt. 76 e 77 della Costituzione). Tribunale di Bari, ordinanza 16 marzo 1982, n. 344, G. U. 3 novembre 1987, n. 303. ,,,,,,,,,,,,,,,._l,,,,,.""'~illfllllllllllllll/illlfliltlf. PARTE II, LEGISLAZIONE legge 20 dicembre 1954, n. 1181, art. 7 (artt. 3 e 98 della Costituzione). Consiglio nazionale dei geometri, ordinanza 18 novembre 1981, n. 466/82, G. U. 3 novembre 1982, n. 303. d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361, art. 119 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Pretore di Torino, ordinanza 6 gennaio 1982, n. 468, G. U. 1 dicembre 1982, n. 331. d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 80, tredicesimo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Caltagirone, ordinanza 8 giugno 1982, n. 702, G. U. 15 dicembre 1982, n. 344. legge 30 aprile 1962, n. 283, art. 1 (artt. 3, 101. 109 e 112 della Costituzione). Pretore di Asti, ordinanza 30 marzo 1982, n. 362, G. U. l7 novembre 1982, n. 317. legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Napoli, ordinanza 23 febbraio 1982, n. 428, G. U. 24 novembre 1982, n. 324. legge 9 gennaio 1963, n. 7, art. 1, terzo e quinto comma (artt. 3, 24 e 41 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 16 aprile 1982, n. 489, G. U. 22 dicembre 1982, n. 351. d.P.R. 7 ottobre 1963, n. 1525, articolo unico, n. 51 [attuativo della legge 18 aprile 1962, n. 230, art. 1, ultimo comma] (art. 3 della Costituzione). Pretore di Avellino, ordinanza 16 aprile 1982, n. 371, G. U. 10 novembre 1982, n. 310. legge 10 maggio 1964, n. 336, art. 6, primo comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, ordinanza 18 febbraio 1982, n. 704, G. U. 15 dicembre '1982, n. 344. d.P.R. 12 febbraio 1965, n. 162, art. 76 (art. 3 della Costituzione). Corte d'appello di Lecce, ordinanza 23 aprile 1982, n. 389, G. U. 10 novembre 1982, n. 310. Tribunale di Lecce, ordinanza 19 maggio 1982, n. 495, G. U. 1 dicembre 1982, n. 331. Corte d'appello di Torino, ordinanza 5 maggio 1982, n. 553, G. U. 9 dicembre 1982, n. 338. Tribunale di Trento, ordinanza 29 giugno 1982, n. 633, G. U. 9 dicembre 11982, n. 338. Corte d'appello di Torino, ordinanza 24 giugno 1982, n. 638, G. U. 9 dicembre 1982, n. 338. Il ..x fdt...x fdt. -: -: ~-I!-~< .itk% : -t.11'ii''...... ~-=-=-=--=>=--=---~=~=*; ~~ ~--.x?z-. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 210 d.P.R. 12 febbraio 1965, n. 162, art. 76 (artt. 3, 11 e 41 della Costituzione). Corte d'appello di Bologna, ordinanza 24 maggio 1982, n. 542, G. U. 9 dicembre 1982, n. 338. Tribunale di Ravenna, ordinanza 17 maggio 1982, n. 597, G. U. 9 dicembre 1982, n. 338. d.P.R. 12 febbraio 1965, n. 162, art. 76 (artt. 3, 76 e 77 della Costituzione). Corte d'appello di Torino, ordinanza 13 aprile 1982, n. 552, G. U. 9 dicembre 1982, n. 338. legge 22 luglio 1966, n. 613, art. 19 (artt. 3 e 38 della Costituzione). Tribunale di Bolzano, ordinanza 16 aprile 1982, n. 386, G. U. ,10 novembre 1982, n. 310. legge 22 luglio 1966, n. 614, art. 8 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Treviso, ordinanza 28 ottobre 1981, n. 445/82, G. U. 10 novembre 1982, n. 310. legge 2 ottobre 1967, n. 895, artt. 2 e 7 [sostit. dagli artt. 10 e 14 legge 14 ottobre 1974, n. 497] (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Macerata, ordinanza 16 luglio 1982, n. 628, G. U. 9 dicembre 1982, n. 338. Corte d'appello di Caltanissetta, ordinanza 8 luglio 1982, n. 645, G. U. 9 dicembre 1982, n. 338. legge reg. Sicilia 3 febbraio 1968, n. 1, art. 4, secondo comma (artt. 5 e 128 della Costituzione). Consiglio di giustizia amministrativa per la regione Sicilia, ordinanza 9 aprile 1980, n. 346/82, G. U. 3 novembre 1982, n. 303. legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 2 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di L'Aquila, ordinanza 26 maggio 1982, n. 499, G. U. 22 dicembre 1982, n. 351. legge 2 aprile 1968, n. 482, art. 1 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Tivoli, ordinanza 29 aprile 1982, n. 446, G. U. 10 novembre 1982, n. 310. legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 23 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Napoli, ordinanza 23 febbraio 1982, n. 428, G. U. 24 novembre 1982, n. 324. legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 25 (artt. 3, 35 e 38 della Costituzione). Pretore di Camerino, ordinanza 23 aprile 1982, n. 385, G. U. J.O novembre 1982, n. 310. I I I I I ! I PARTE II, LEGISLAZIONE legge 22 dicembre 1969, n. 967, art. 2 (artt. 3 e 36 della Costituzione). Consiglio di Stato, sezione quinta, ordinanza 20 novembre 1981, n. 436/82, G. U. 24 novembre 1982, n. 324. legge 22 dicembre 1969, n. 967, art. 2 (artt. 3, 36 e 97 della Costituzione). Consiglio di Stato, sezione quinta giurisdizionale, ordinanza 5 novembre 1981, n. 343/82, G. U. 3 novembre 1982, n. 303. d.l. 28 agosto 1970, n. 622, art. 4, secondo comma [convertito in legge 19 ottobre 1970, n. 744] (art. 3 della Costituzione). ' Pretore di Tivoli, ordinanza 29 aprile 1982, n. 446, G. U. 10 novembre 1982, n. 310. legge 9 ottobre 1971, n. 825, art. 10 (artt. 76 e 77 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Napoli, ordinanza 112 gennaio 1981, n. 471/82, G. U. 10 novembre 1982, n. 310. legge 9 ottobre 1971, n. 825, artt. 10 e 15 (art. 76 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Sanremo, ordinanza 19 marzo 1979, n. 584/82, G. U. 3 novembre 1982, n. 303. Commissione tributaria di primo grado di Sanremo, ordinanza 19 marzo 1979, n. 585/82, G. U. 3 novembre 1982, n. 303. legge 22 ottobre 1971, n. 865, art. 17, secondo, terzo e quarto comma (art. 3 della Costituzione). Corte d'appello di Brescia, ordinanza 21 aprile 1982, n. 613, G. U. 29 dicembre 1982, n. 357. legge 12 novembre 1971, n. 952, art. 2 (artt. 3, 119 e 130 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, ordinanza 27 aprile 1982, n. 643, G. U. 29 dicembre 1982, n. 357. legge 6 dicembre 1971, n. 1034, artt. 2 e 7 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Brescia, ordinanza 30 aprile 1982, n. 480, G. U. 15 dicembre 1982, n. 344. legge 6 dicembre 1971, n. 1074, art. 6 [come sostituito dalla legge 14 agosto 1974, n. 358, art. 7] (artt. 3 e 36 della Costituzione). Consiglio di Stato, sezione sesta, ordinanza 24 aprile 1981, n. 463/82, G. U. 1 dicembre 1982, n. 331. legge provinciale di Bolzano 20 agosto 1972, n. 15, art. 12 (artt. 3 e 42 della Costituzione). Corte d'appello di Trento, ordinanza 27 aprile 1982, n. 474, G. U. 15 dicembre 1982, n. 344. 212 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Corte d'appello di Trento, ordinanza 25 maggio 1982, n. 503, G. U. 15 dicembre 1982, n. 344. legge prov. di Bolzano 20 agosto 1972, n. 15, art. 12, primo, secondo e terzo comma (art. 42 della Costituzione). Corte d'appello i Trento, ordinanza 15 giugno 1982, n. 624, G. U. 29 dicembre 1982, n. 357. legge prov. di Bolzano 20 agosto 1972, n. 15, art. 12, primo e terzo comma (artt. 3 e 42 della Costituzione). Corte d'appello di Trento, ordinanza 20 aprile 1982, n. 375, G. U. 10 novemb11e 1982, n. 310. legge prov. di Bolzano 20 agosto 1972, n. 15, art. 12 primo comma, primo periodo, e terzo comma (artt. 3 e 42 della Costituzione). Corte d'appello di Trento, ordinanza 29 giugno 1982, n. 735, G. U. 29 dicembre 1982, n. 357. legge prov. di Bolzano 20 agosto 1972, n. 15, artt. 12, primo comma, primo periodo, e terzo comma, e 24, primo comma, primo e secondo periodo (artt. 3 e 42 della Costituzione). Corte d'appello di Trento, ordinanza 25 maggio 1982, n. 622, G. U. 29 dicembre 1982, n. 357. Corte d'appello di Trento, ordinanza 16 giugno 1982, n. 623, G. U. 29 dicembre 1982, n. 357. Corte d'appello di Trento, ordinanza 1 giugno ,1982, n. 625, G. U. 29 dicembre 1982, n. 357. legge prov. di Bolzano 20 agosto 1972, n. 15, art. 12, primo e terzo comma, e art. 13, primo comma, secondo periodo [modif. da legge 22 maggio 1978, n. 23, art. 7] (artt. 3 e 42 della Costituzione). Corte d'appello di Trento, ordinanza 15 giugno 1982, n. 730, G. U. 29 dicembre 1982, n. 357. Corte d'appello di Trento, ordinanza 15 giugno 1982, n. 736, G. U. 29 dicembre 1982, n. 357. legge reg. Emilia-Romagna 11 ottobre 1972, n. 9, art. 4, secondo comma (artt. 117, 118, 121 e 123 della Costituzione e 25 e 27 dello statuto regionale). Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, ordinanza 17 dicembre 1981, n. 547/82, G. U. 3 novembre 1982, n. 303. d.P.R.' 26 ottobre 1972, n. 636, art. 17, secondo comma (artt. 24, 53 e 97 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Pistoia, ordinanza 10 febbraio 1982, n. 611, G. U. 9 dicembre 1982, n. 338. PARTE II, LEGISLAZIONE d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 39, primo comma (artt. 3, 24, 53, 77 e 113 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Piacenza, ordinanza 3 marzo 1982, n. 399, G. U. 17 novembre 1982, n. 317. dP.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 44 (artt. 3, 24 e 76 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Napoli, ordinanza 12 gennaio 1981, n. 471/82, G. U. 10 novembre 1982, n. 310. Commissione tributaria di secondo grado di Cremona, ordinanza 29 aprile 1982, n. 711, G. U. 24 novembre 1982, n. 324. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art 44 (art. 76 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Sanremo, ordinanza 19 marzo 1979, n. 584/82, G. U. 3 novembre 1982, n. 303. Commissione tributaria di primo grado di Sanremo, ordinanza 19 marzo 1979, n. 585/82, G. U. 3 novembre 1982, n. 303. d.P.R. 26 otobre 1972, n. 643, art. 3 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Firenze, ordinanza 21 giugno :1982, n. 659, G. U. 15 dicembre 1982, n. 344. d;P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, artt. 3, 6, 14 e 15 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Mondov, ordinanza 13 novembre 1981, n. 447/82, G. U. 10 novembre 1982, n. 310. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 6 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Sanremo, ordinanza 21 aprile 1977, n. 586/82, G. U. 15 dicembre 1982, n. 344. legge prov. di Trento 30 dicembre 1972, n. 31, art. 28 [modif. dalla legge prov.le 23 ottobre 1974, n. 33)] (artt. 3, 24 e 42 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 7 aprile 1982, n. 617, G. U. 3 novembre 1982, n. 303. legge prov. di Trento 30 dicembre 1972, n. 31, art. 28, primo e quinto comma (artt. 3 e 42 della Costituzione). Corte d'appello di Trento, ordinanza 11 maggio 1982, n. 473, G. U. 10 novembre 1982, n. 310. legge prov. di Trento 30 dicembre 1972, n. 31, art. 28, primo e quinto comma, [come modif. dalla legge prov.le 9 ottobre 1978, n. 41] (artt. 3 e 42 della Costituzione). Corte d'appello di Trento, ordinanza 16 marzo 1982, n. 369, G. U. 3 novembre 1982, n. 303. Corte d'appello di Trento, ordinanza 16 marzo 1982, n. 370, G. U. 3 novembre 1982, n. 303. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge provJe di Trento 30 dicembre 1972, n. 31, art. 28, primo, quinto e ottavo comma (artt. 3 e 43 della Costituzione). Corte d'appello di Trento, ordinanza 15 giugno 1982, n. 621, G. U. 3 novembre 1982, n. 303. d.P.R. 23 gennaic 1973, n. 43, art. 334 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Bergamo, ordinanza 26 aprile 1982, n. 516, G. U. 22 dicembre 1982, n. 351. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183, 195 e 334, primo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Verona, ordinanza 31 marzo 1982, n. 460, G. U. 15 dicembre 1982, n. 344.. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 12, lett. e), 46, secondo comma e 83 (artt. 3, 53 e 76 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Treviso, ordinanza 25 maggio 1981, n. 4iJ8/82, G. U. 10 novembre 1982, n. 310. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 15, primo comma, e 39 (artt. 3, 24, 53, 77 e 113 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Piacenza, ordinanza 3 marzo 1982, n. 399, G. U. 17 novembre 1982, n. 317. legge reg. Lombardia 25 novembre 1973, n. 48, art. s5, primo comma (artt. 3 e 117 della Costituzione). Consiglio di Stato, sezione sesta, ordinanza 15 novembre 1.981, n. 462/82, G. U. 24 novembre 1982, n. 324. legge 12 dicembre 1973, n. 922, art. 1 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Tivoli, ordinanza 29 aprile 1982, n. 446, G. U. 10 novembre 1982, n. 310. d.P.R. 31 maggio 1974, n. 417, artt. 92, settimo comma (artt. 3 e 98 della Costituzione). Consiglio nazionale dei geometri, ordinanza 18 novembre 1981, n. 466/82, G. U. 3 novembre 1982, n. 303. legge 14 aprile 1975, n. 103, artt. 40 e 44 (artt. 3, 21 e 41 della Costituzione). Giudice conciliatore di Lodi, ordinanza 7 maggio 1982, n. 490, G. U. 9 dicembre 1982, n. 338. Giudice conciliatore di Milano, ordinanza 26 maggio 1982, n. 491, G. U. 22 dicembre 1982, n. 351. . ~ PARTE II, LEGISLAZIONE 21f legge reg. Veneto 17 aprile 1975, n. 36, artt. 1, 5, ultimo comma, 12 e 16 (artt. 42 e 117 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, ordinanza 6 febbraio 1980, n. 705/82, G. U. 15 dicembre 1982, n. 344. legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 2, secondo capoverso (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Agrigento, ordinanza 4 dicembre 1981, n. 566/82, G. U. 9 dicembre 1982, n. 338. Tribunale di Agrigento, ordinanza 27 gennaio 1982, n. 565, G. U. 9 dicembre 1982, n. 338. Tribunale di Agrigento, ordinanza 19 ottobre 1981, n. 599/82, G. U. 9 dicembre 1982, n. 338. Tribunale di Agrigento, ordinanza 1 luglio 1981, n. 697/82, G. U. 15 dicembre 1982, n. 344. Tribunale di Agrigento, ordinanza 8 gennaio 1982, n. 698, G. U. 15 dicembre 1982, n. 344. Tribunale di Agrigento, ordinanza 3 marzo 1982, n. 699, G. U. 15 dicembre 1982, n. 344. Tribunale di Agrigento, ordinanza 19 aprile ,1982, n. 700, G. U. 15 dicembre 1982, n. 344. Tribunale di Agrigento, ordinanza 14 maggio 1982, n. 701, G. U. 15 dicembre 1982, n. 344. legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 2, secondo capoverso (art. 25 della Costituzione). Tribunale di Agrigento, ordinanza 27 gennaio 1982, n. 565, G. U. 9 dicembre 1982, n. 338. Tribunale di Agrigento, ordinanza 4 dicembre 1981, n. 566/82, G. U. 9 dicembre 1982, n. 338. Tribunale di Agrigento, ordinanza 19 ottobre 1981, n. 599/82, G. U. 9 dicembre 1982, n. 338. Tribunale di Agrigento, ordinanza 1 luglio 1981, n. 697/82, G. U. 15 dicembre 1982, n. 344. Tribunale di Agrigento, ordinanza 8 gennaio 1982, n. 698, G. U. 15 dicembre 1982, n. 344. Tribunale di Agrigento, ordinanza 3 marzo 1982, n. 699, G.U. 15 dicembre 1982, n. 344. Tribunale di Agrigento, ordinanza 19 aprile 1982, n. 700, G.U. 115 dicembre 1982, n. 344. Tribunale di Agrigento, ordinanza 14 maggio 1982, n. 701, G. U. 15 dicembre 1982, n. 344. legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 2, terzo comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Sciacca, ordinanza 6 maggio 1982, n. 532, G. U. 1 dicembre 1982, n. 331. 216 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 2, terzo comma (art. 25 della Costituzione). Tribunale di Monza, ordinanza 5 maggio 1982, n. 504, G. V. ,1 dicembre 1982, n. 331. Tribunale di Agrigento, ordinanza 20 novembre 1981, n. 564/82, G. V. 9 dicembre 1982, n. 338. Tribunale di Agrigento, ordinanza 4 novembre 1981, n. 695/82, G. V. 15 dicembre 1982, n. 344. Tribunale di Agrigento, ordinanza 1 giugno 1981, n. 696/82, G. V. 15 dicembre 1982, n. 344. legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 2, terzo comma (artt. 25, 70 e 101 della Costituzione). Corte d'appello di Venezia, ordinanza 5 giugno 1982, n. 654, G. V. 9 dicembre 1982, n. 338. legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 2, terzo comma (artt. 25 e 101 della Costituzione). Tribunale di Caltagirone, ordinanza 18 maggio 1982, n. 692, G. V. 15 dicembre ,1982, n. 344. Tribunale di Caltagirone, ordinanza 18 maggio 1982, Il. 693, G. V. 15 dicembre 1982, n. 344. legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 5, quarto comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Desio, ordinanza 10 maggio 1982, n. 487, G. V. 22 dicembre 1982, n. 351. legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 23, terzo comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Vicenza, ordinanza 26 gennaio 1982, n. 512, G. V. 29 dicembre 1982, n. 357. legge 3 giugno 1975, n. 160, artt. 9 e 10 (artt. 3, 36 e 38 della Costituzione). Tribunale di Torino, ordinanza 18 marzo 1982, n. 395, G. V. 17 novem bre 1982, n. 317. legge 3 giugno 1975, n. 160, art. 10 (artt. 3, 36, 38, 42 e 47 della Costituzione). Pretore di Milano, ordinanza 22 giugno 1981, n. 517/82, G. V. 1 dicembre 1982, n. 331. legge 18 luglio 1975, n. 356, art. 1 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Tivoli, ordinanza 29 aprile 1982, n. 446, G. V. 10 novembre 1982, n. 310. legge 22 luglio 1975, n. 319, art. 4 (artt. 3 e 38 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 5 maggio 1982, n. 464, G. V. 15 dicembre 1982, Il. 344. PARTE II, LEGISLAZIONE legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 54 (art. 3 della Costituzione). Sezione di sorveglianza di Bologna, ordinanza 17 giugno 1982, n. 690, G. U. 24 novembre 1982, n. 324. legge prov. Lazio 2 dicembre 1975, n. 79, art. 1, prima parte (artt. 3, 39 e 117 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 7 aprile 1982, n. 519, G. U. 3 novembre 1982, n. 303. legge 22 dicembre 1975, n. 685, artt. 26, 27 e 28 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Trieste, ordinanza 17 maggio 1982, n. 570, G. U. 9 dicembre 1982, n. 338. legge reg. Emilia-Romagna 26 gennaio 1976, n. 8, art. 4 (art. 117 della Costituzione). Pretore di Bologna, ordinanza 24 marzo 1982, n. 365, G. U. 3 novembre J.982, n. 303. legge 26 aprile 1976, n. 189, art. 1 (artt. 3, 119 e 130 della Cosituzione). Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, ordinanza 27 aprile 1982, n. 643, G. U. 29 dicembre 1982, n. 357. legge 10 maggio 1976, n. 319 e successive modificazioni (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Chieri, ordinanza 24 aprile 1982, n. 478, G. U. 9 dicembre 1982, n. 338. legge 19 maggio 1976, n. 326, art. 1 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Tivoli, ordinanza 29 aprile 1982, n. 446, G. U. 10 novembre 1982, n. 310. legge 8 ottobre 1976, n. 689, art. 2, ultimo comma (artt. 3 e 35 della Costi tuzione). Tribunale di Como, ordinanza 18 dicembre 1981, n. 394/82, G. U. 3 novem bre 1982, n. 303. legge 8 ottobre 1976, n. 689, art. 3 (art. 24 della Costituzione). Tribunale di Napoli, ordinanza 2 aprile 1982, n. 506, G. U. 15 dicembre 1982, n. 344. Tribunale di Napoli, ordinanza 1 aprile 1982, n. 507, G. U. 15 dicembre 1982, n. 344. Tribunale di Napoli, ordinanza 12 marzo 1982, n. 508, G. U. 15 dicembre 1982, n. 344. Tribunale di Salerno, ordinanza 30 marzo 1982, n. 603, G. U. 29 dicembre 1982, n. 357. 218 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 8 ottobre 1976, n. 690, art. 1-quater (artt. 3 e 9 della Costituzione). Pretore di Pontedecimo, ordinanza 2 aprile 1982, n. 418, G. U. 24 novembre .1982, n. 324. d.l. 10 dicembre 1976, n. 798, art. 1, terzo comma [come modif. dalla legge 8 febbraio 1977, n. 16] (art. 3 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Piacenza, ordinanza 4 marzo 1982, n. 441, G. U. 24 novembre 1982, n. 324. Commissione tributaria di secondo grado di Piacenza, ordinanza 4 marzo 1982, n. 440, G. U. 9 dicembre 1982, n. 338. Commissione tributaria di secondo grado di Piacenza, ordinanza 4 marzo 1982, n. 442, G. U. 9 dicembre 1982, n. 338. legge 23 dicembre 1976, n. 863, art. 2, ultimo comma (artt. 3 e 35 della Costituzione). Tribunale di Como, ordinanza 18 dicembre 1981, n. 394/82, G. U. 3 novembre 1982, n. 303. legge reg. Emilia-Romagna 26 gennaio 1977, n. 4, art. 2 (art. 117 della Costi tuzione).~ Pretore di Bologna, ordinanza 24 marzo 1982, n. 365, G. U. 3 novembre 1982, n. 303. d.l. 1 febbraio 1977, n. 12, artt. 2, primo comma, e 4 [convertito in legge 31 marzo 1977, n. 91] (art. 39 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 21 aprile 1982, n. 486, G. U. 22 dicembre 1982, n. 351. d.m. 20 ottobre 1977, art. 2 (artt. 3, 36, 38, 42 e 47 della Costtiuzione). Pretore di Milano, ordinanza 22 giugno 1981, n. 517/82, G. U. J. dicembre 1982, n. 331. d.l. 23 dicembre 1977, n. 942, art. 1 [conv. in legge 27 febbraio 1978, n~ 41] (artt. 3, 36, 38, 42 e 47 della Costituzione). Pretore di Milano, ordinanza 22 giugno 1981, n. 517/82, G. U. 1 dicembre 1982, Il. 331. legge 27 febbraio 1978, n. 41 (artt. 3, 36 e 38 della Costituzione). Tribunale di Torino, ordinanza 18 marzo 1982, n. 395, G. U. 17 novembre 1982, Il. 317. legge prov. di Trento 13 marzo 1978, n. 13 (artt. 8 e 9 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige). Pretore di Trento, ordinanza 13 maggio 1982, n. 469, G. U. 22 dicembre 1982, Il. 351. f PARTE II, LEGISLAZIONE legge reg. Emilia-Romagna 2 maggio 1978, n. 13, artt. 3, 4, 5 (art. 117 della Costituzione). Pretore di Bologna, ordinanza 24 marzo 1982, n. 365, G. U. 3 novembre 1982, n. 303. legge reg. Emilia-Romagna 2 maggio 1978, n. 13, art. 21 (art: 23 della Costi tuzione). Pretore di Bologna, ordinanza 24 marzo 1982, n. 365, G. U. 3 novembre 1982, n. 303. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 3 (artt. 3, 41 e 42 della Costituzione). Pretore di Ciri, ordinanza 6 marzo 1982, n. 402, G. U. 17 novembre 1982, n. 317. Pretore di Ciri, ordinanza 9 aprile 1982, n. 403, G. U. 17 novembre 1982, n. 317. Pretore di Ciri, ordinanza 9 aprile 1982, n. 405, G. U. 24 novembre 1982, n. 324. Pretore di Ciri, ordinanza 9 aprile 1982, n. 406, G. U. 24 novembre 1982, n. 324. Pretore di Ciri, ordinanza 9 aprile 1982, n. 407, G. U. 24 novembre 1982, n. 324. Pretore di Ciri, ordinanza 30 aprile 1982, n. 561, G. U. 22 dicembre 1982, n. 351. Pretore di Ciri, ordinanza 26 giugno 1982, n. 663, G. U. 29 dicembre 1982, n. 357. Pretore di Ciri, ordinanza 26 giugno 1982, n. 664, G. U. 29 dicembre 1982, n. 357. Pretore di Udine, ordinanza 3 settembre 1982, n. 776, G. U. 29 dicembre J.982, n. 357. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 3 e 58 (artt. 3, 41 e 42 della Costituzione). Pretore di Carrara, ordinanza 24 agosto 1982, n. 719, G. U. 29 dicembre 1982, n. 357. Pretore di Carrara, ordinanza 27 luglio 1982, n. 739, G. U. 29 dicembre 1982, n. 357. Pretore di Carrara, ordinanza 27 luglio 1982, n. 740, G. U. 29 dicembre 1982, n. 357. Pretore di Carrara, ordinanza 27 luglio 1982, n. 741, G. U. 29 dicembre 1982, n. 357. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 3, 58 e 65 (artt. 3, 31 e 42 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 15 aprile 1982, n. 424, G. U. 24 novembre 1982, n. 324. Pretore di Roma, ordinanza 15 aprile 1982, n. 425, G. U. 24 novembre 1982, n. 324. Pretore di Roma, erdinanza 6 maggio 1982, n. 426, G. U. 24 novembre 1982, n. 324. 220 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Pretore di Roma, ordinanza 24 maggio 1982, n. 501, G. U. dicembre 1982, n. 331. Pretore di Roma, ordinanza 1 giugno 1982, n. 528, G. U. 1 dicembre 1982, n. 331. Pretore di Roma, ordinanza 17 giugno 1982, n. 559, G. U. 22 dicembre 1982, n. 351. Pretore di Roma, ordinanza 8 giugno 1982, n. 689, G. U. 29 dicembre 1982, n. 357. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 16 (artt. 3 e 24/1 della Costituzione). Pretore di Cremona, ordinanza 7 maggio 1982, n. 534, G. U. 22 dicembre 1982, n. 351. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 16 (artt. 3, 24 e 113 della Costituzione). Pretore di Milano, ordinanza 10 dicembre 1981, n. 609/82, G. U. 29 dicembre 1982, n. 357. I legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 16 (artt. 3 e 113 della Costituzione). Pretore di Bolzano, ordinanza 1 aprile 1982, n. 372, G. U. 17 novembre 1982, I n. 317. Pretore di Viareggio, ordinanza 10 maggio 1982, n. 492, G. U. 1 dicembre 1982, fil n. 331. ~ @ legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 34 (artt. 3 e 24 della Costituzione). @ Giudice conciliatore di Casavatore, ordinanza 2 maggio 1982, n. 526, G. U. 22 dicembre 1982, n. 351. ~ !:: [:: r~ legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 38, 39, 40 e 41, secondo comma (art. 3 della Costituzione). . Corte Costituzionale, ordinanza 7 luglio 1982, n. 536, G. U. 24 novembre 1982, . n. 324. . Il legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 57 (artt. 3, 4, 23, 24, 35, 57 e 70 della Costituzione). Giudice conciliatore di Molfetta, ordinanza 17 febbraio 1979, n. 417/82, G. U. I 24 novembre 1982, n. 324. Il ~ legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 58 e 65, primo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Napoli, ordinanza 26 maggio 1982, n. 500, G. U. 1 dicembre 1982, . . Il. 331. . Pretore di Napoli, ordinanza 7 maggio 1982, n. 477, G. U. 9 dicembre 1982, n. 338. I:~ legge 27 luglio 1978, n. 392, combinato disposto artt. 58, 59 n. 2, e 65 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Milano, ordinanza 16 febbraio 1982, n. 377, G. U. 17 novembre 1982, n. 317. ~..,..J PARTE II, LEGISLAZIONE legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 69 e 73 (artt. 3, 41, 42 e 47 della Costi tuzione). Pretore di Napoli, ordinanza 26 maggio 1982, n. 511, G.U. 3 novembre 1982, n. 303. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 71, terzo comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Napoli, ordinanza 16 aprile 1982, n. 482, G.U. 1 dicembre 1982, n. 331. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 73 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Salerno, ordinanza 18 marzo 1982, n. 400, G. U. 24 novembre 1982, n. 324. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 73 [modificato dalla legge 31 marzo 1979, n. 93, art. 1-bis] (artt. 3, 41 e 42 della Costituzione). Pretore di Milano, ordinanza 26 febbraio 1982, n. 673, G.U. '10 novembre 1982, n. 310. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 73 (art. 70, 71 e 87 della Costituzione). Pretore di Montefiascone, ordinanza 27 aprile 1982, n. 420, G. U. 24 novembre 1982, n. 324. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 73 [modificato dal d.-1. 30 gennaio 1979, n. 21, art. lbis] (artt. 3 e 24 della Costituzione). Giudice conciliatore di Bologna, ordinanza 3 maggio 1982, n. 397, G.U. 17 novembre 1982, n. 317. legge 3 agosto 1978, n. 405, artt. 4, lett. b) e 6 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 19 marzo 1982, n. 356, G. U. 3 novembre 1982, n. 303. d.P.R. 4 agosto 1978, n. 413, artt. 4, lett. b) e 6 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 19 marzo 1982, n. 356, G.U. 3 novembre 1982, n. 303. legge reg. Sicilia 10 agosto 1978, n. 35, art. 2, primo comma (artt. 42 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, ordinanza 24 marzo 1981, n. 398/82, G.U. 17 novembre 1982, n. 317. Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, ordinanza 17 novembre 1981, n. 401/82, G.U. 17 novembre 1982, n. 317. legge 21 dicembre 1978, n. 843, art. 16 (artt. 3, 36 e 38 della Cosituzione). Tribunale di Torino, ordinanza 18 marzo 1982, n. 395, G.U. 17 novembre 1982, n. 317. 222 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 21 dicembre 1978, n. 843, art. 16 (artt. 3, 36, 38, 42 e 47 della Costituzione). Pretore di Milano, ordinanza 22 giugno 1981, n. 517/82, G.U. 1 dicembre 1982, n. 331. d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915, artt. 99, secondo comma, 116, primo comma [nel testo sostit. dall'art. 25 d.P.R, 30 dicembre 1981, n. 834) e 117, secondo comma [nel testo sostit. dall'art. 26 dello stesso d.P.R. n. 834/81] (art. 3 della Costituzione). Corte dei Conti, ordinanza 23 marzo 1982, n. 475, G.U. 1 dicembre 1982, n. 331. legge 3 aprile 1979, n. 101, art: 41 (artt. 3, 36 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 13 maggio 1981, n. 476/82, G.U. 9 dicembre 1982, n. 338. d.-1. 30 dicembre 1979, n. 663, art. 14 (artt. 3, 36, 38, 42 e 47 della Costituzione). Pretore di Milano, ordinanza 22 giugno 1981, n. 517/82, G.U. 1 dicembre 1982, n. 331. d.m. 5 gennaio 1980 (artt. 3, 36, 38, 42 e 47 della Cosituzione). Pretore di Milano, ordinanza 22 giugno 1981, n. 517/82, G.U. 1 dicembre 1982, n. 331. legge 20 febbraio 1980, n. 33, art. 1 (artt. 3, 36, 38, 42 e 47 della Costituzione). Pretore di Milano, ordinanza 22 giugno 1981, n. 517/82, G.U. 1 dicembre 1982, n. 331. legge reg. Lombardia 10 marzo 1980, n. 25, art. 1 e tariffa ali., titolo II, n. 16 (artt. 117 e 119 della Costituzione). Tribunale di Milano, ordinanza 8 ottobre 1981, n. 378/82, G.U. 10 novembre 1982, n. 310. legge 27 marzo 1980, n. 112 (art. 104 della Costituzione). Giudice istruttore presso il Tribunale di Roma, ordinanza 19 maggio 1982, n. 465, G.U. 10 novembre 1982, n. 310. legge 29 luglio 1980, n. 385, art. 1 (artt. 24 e 42 della Costituzione). Corte d'appello di Napoli, ordinanza 7 maggio 1982, n. 683, G.U. 29 dicembre 1982, n. 357. Corte di cassazione, ordinanza 30 marzo 1982, n. 686, G.U. 29 dicembre 1982, 357. legge 29 luglio 1980, n. 385, art. 1 (artt. 24, 42 e 136 della Costituzione). Tribunale regionale delle acque pubbliche presso la Corte d'appello di Milano, ordinanza 17 marzo 1982, n. 657, G.U. 29 dicembre 1982, n. 357. PARTE II, LEGISLAZIONE 22!1 legge 29 luglio 1980, n. 385, artt. 1 e 2 (art. 42 della Costituzione). Corte d'appello di Potenza, ordinanza 9 giugno 1982, n. 601, G.U. 29 dicembre 1982, .n. 3.57. Corte d'appello di Potenza, ordinanza 9 giugno 1982, n. 602, G.U. 29 dicembre 1982, n. 357. legge 29 luglio 1980, n. 385, artt. 1, 2 e 3 (artt. 3 e 42 della Cosituzione). Corte d'appello di Campobasso, ordinanza 12 maggio 1982, n. 483, G.U. 15 dicembre 1982, n. 344. Corte d'appello di Campobasso, ordinanza 29 aprile 1982, n. 484, G.U. 15 dicembre 1982, n. 344. legge 20 settembre 1980, n. 576, art. 22 (artt. 3, 38 e 53 della Costituzione). Pretore di Napoli, ordinanza 26 gennaio 1982, n. 367, G.U. 3 novembre 1982, n. 303. Pretore di Napoli, ordinanza 26 gennaio 1982, n. 368, G.U. 17 novembre 1982, n. 317. legge 1 aprile 1981, n. 121, art. 104 (artt. 3, 25 e 103 della Costituzione). Giudice istruttore del Tribunale di Roma, ordinanza 19 febbraio 1982, n. 332, G.U. 3 novembre 1982, n. 303. legge 23 aprile 1981, n. 154, art. 8, n. 2 (artt. 3, 51 e 97 della Costituzione). Tribunale di Avellino, ordinanza 1 giugno 1982, n. 518, G.U. 1 dicembre 1982, n. 331. legge 30 aprile 1981, n. 178, art. 2 (artt. 3, 51 e 53 della Costituzione). Pretore di Torino, ordinanza 28 aprile 1982, n. 627, G. U. 29 dicembre 1982, n. 357. legge 25 settembre 1981, n. 535 (artt. 24, 42 e 136 della Costituzione). Tribunale regionale delle acque pubbliche presso la Corte d'appello di Milano, ordinanza 17 marzo 1982, n. 657, G.U. 29 dicembre 1982, n. 357. legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Cuneo, ordinanza 26 marzo 1982, n. 481, G.U. 1 dicembre 1982, n. 331. legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Desio, ordinanza 22 aprile 1982, n. 488, G.U. 22 dicembre 1982, n. 351. legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77 (artt. 3 e 27 della Costituzione). Pretore di Pontassieve, ordinanza 11 marzo 1982, n. 382, G.U. 17 novembre 1982, n. 317. d.-1. 26 novembre 1981, n. 678, art. 5 [convertito in legge 26 gennaio 1982, n. 12] (art. 24 della Costituzione). Tribunale di Firenze, ordinanza 9 marzo 1982, n. 443, G.U. 24 novembre 1982, n. 324. 224 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO d.-1. 9 dicembre 1981, n. 721, art. 4, quarto comma [convertito in legge 5 febbraio 1982, n. 25] (artt. 3 e 24 della Costituzione). Tribunale di Massa, ordinanza 6 aprile 1982, n. 360, G.U. 3 novembre 1982, Il. 303. d.l. 27 febbraio 1982, n. 57, art. 4 [nel testo modificato dall'art. 1 legge 29 aprile 1982, n. 187] (artt. 3, 24, 42 e 112 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per la Campania, ordinanza 1 giugno 1982, n. 632, G.U. 29 dicembre 1982, n. 357. legge 25 marzo 1982, n. 94, art. 15-bis (art. 3 della Costituzione). Pretore di Parma, ordinanza 5 maggio 1982, n. 479, G.U. 9 dicembre 1982, n. 338, d.P.R. 23 agosto 1982, n. 691, artt. 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9 e 10 secondo comma (artt. 117, 118, 119 e 76 della Costituzione). Regione Lombardia, ricorso 9 novembre 1982, n. 46, G.U. 1 dicembre 1982, n. 331. d.P.R. 23 agosto 1982 n. 791, art. 1, secondo comma, n. 6), 9) e 10) (articoli 117, 125, 127 e 130 della Costituzione). Regione Liguria, ricorso 7 dicembre 1982, n. 49, G.U. 22 dicembre 1982, n. 351. provvedimento legislativo approvato dal consiglio provinciale di Bolzano il 2 settembre 1982, artt. 1, quarto comma, e 8, secondo comma (artt. 5 e 9 dello statuto speciale Trentino-Alto Adige). Presidente Consiglio dei Ministri, ricorso 23 ottobre 1982, n. 45, G.U. 3 novembre 1982, n. 303. legge riapprovata dal consiglio regionale della Puglia il 23 settembre 1982, artt. 3, lett. a), e 4, secondo comma (artt. 117 e 3 della Cosituzione). Presidente Consiglio dei Ministri, ricorso 23 ottobre 1982, n. 44, G.U. 3 novembre 1982, n. 303. legge approvata dal consiglio regionale dell'Umbria il 28 settembre 1982 e riapprovata il 15 novembre 1982, artt. 7 e 8 (art. 117, primo comma, della Costituzione). Presidente Consiglio dei Ministri, ricorso 9 dicembre 1982, n. 50, G.U. 22 dicembre 1982, n. 351. legge 6 ottobre 1982, n. 752, artt. 3, quinto, sesto, settimo e ottavo comma; 4, terzo comma; 5, 6, 7, 9, quarto, quinto e sesto comma; 12, sesto comma; 14, primo e quinto comma; 15, primo e secondo comma, e 20 (artt. 8 n. 5, n. 6, n. 14, n. 17 e n. 19; 9, nn. 3 e 8, 16 e 78 dello statuto speciale TrentinoAlto Adige). Presidente prov. aut. di Bolzano, ricorso 25 novembre 1982, n. 47, G:U. 15 dicembre ,1982, n. 344. Presidente prov. aut. di Trento, ricorso 25 novembre 1982, n. 48, G.U. 15 dicembre 1982, n. 344.