ANNO LXIII - N. 1 GENNAIO - MARZO 2011 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE DI SERVIZIO COMITATO SCIENTIFICO: Presidente: Aldo Linguiti. Componenti: Franco Coppi - Giuseppe Guarino - Natalino Irti - Eugenio Picozza - Franco Getano Scoca. DIRETTORE RESPONSABILE: Giuseppe Fiengo - CONDIRETTORI: Giacomo Arena e Maurizio Borgo. COMITATO DI REDAZIONE: Lorenzo DAscia - Gianni De Bellis - Sergio Fiorentino - Paolo Gentili - Maria Vittoria Lumetti - Antonio Palatiello - Massimo Santoro - Carlo Sica - Stefano Varone. CORRISPONDENTI DELLE AVVOCATURE DISTRETTUALI: Andrea Michele Caridi - Stefano Maria Cerillo - Luigi Gabriele Correnti - Giuseppe Di Gesu - Paolo Grasso - Pierfrancesco La Spina - Maria Vittoria Lumetti - Marco Meloni - Maria Assunta Mercati - Alfonso Mezzotero - Riccardo Montagnoli - Domenico Mutino - Nicola Parri - Adele Quattrone - Pietro Vitullo. HANNO COLLABORATO INOLTRE AL PRESENTE FASCICOLO: Giuseppe Albenzio, Antonella Anselmo, Roberto Antillo, Giuseppe Arpaia, Ignazio Francesco Caramazza, Gianni Cortigiani, Roberto de Felice, Michele Dipace, Fabrizio Fedeli, Ettore Figliolia, Michele Gerardo, Federico Maria Giuliani, Palmira Graziano, Guilherme Francisco Alfredo Cintra Guimares, Paolo Marchini, Lilia Marra, Marco Stigliano Messuti, Fabio Pammolli, Lucia Paura, Stefano Pizzorno, Carmela Pluchino, Marina Russo, Nicola C. Salerno, Francesco Spada, Paolo Superbi, Concetta Quartuccio, Vittorio Raeli. E-mail: giuseppe.fiengo@avvocaturastato.it - tel. 066829313 maurizio.borgo@avvocaturastato.it - tel. 066829597 ABBONAMENTO ANNUO .............................................................................. 40,00 UN NUMERO .............................................................................................. 12,00 Per abbonamenti ed acquisti inviare copia della quietanza di versamento di bonifico bancario o postale a favore della Tesoreria dello Stato specificando codice IBAN: IT 42Q 01000 03245 348 0 10 2368 05, causale di versamento, indirizzo ove effettuare la spedizione, codice fiscale del versante. I destinatari della rivista sono pregati di comunicare eventuali variazioni di indirizzo AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO RASSEGNA - Via dei Portoghesi, 12, 00186 Roma E-mail: rassegna@avvocaturastato.it - Sito www.avvocaturastato.it Stampato in Italia - Printed in Italy Autorizzazione Tribunale di Roma - Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 INDICE - SOMMARIO TEMI ISTITUZIONALI Intervento dellAvvocato Generale dello Stato Avv. Ignazio Francesco Caramazza in occasione della cerimonia di inaugurazione dellanno giudiziario 2011 - Assemblea Generale della Corte Suprema di Cassazione - Roma, 28 gennaio 2011 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Audizione dellAvvocato Generale davanti alla Commissione giustizia della Camera. Legge 117/88. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Appelli avverso sentenze in materia di opposizione ad ordinanza ingiunzione ex art. 23 L. 689 del 24 novembre 1981 - Circolare A.G.S. n. 66 del 7 dicembre 2010 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Indicazione e produzione degli atti processuali e dei documenti sui cui si fonda il ricorso per cassazione - artt. 360 n. 6 e 369 secondo comma n. 4 c.p.c. - Circolare A.G.S. n. 67 del 7 dicembre 2010. . . . . . . . . . . . . . . . . Art. 3, comma 2, del Codice del processo amministrativo: redazione degli atti in maniera chiara e sintetica - Circolare A.G.S. n. 1 del 3 gennaio 2011 Predisposizione dei ricorsi per Cassazione in materia tributaria - Circolare A.G.S. n. 12 del 2 marzo 2011. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Giuseppe Arpaia, Lart. 417 bis c.p.c.: la gestione del contenzioso lavoro da parte dei funzionari delle pubbliche amministrazioni. . . . . . . . . . . . . Maurizio Borgo, Riserva allAvvocatura dello Stato in materia di servizi legali ex R.D. 1611/1933 (Cons. St., Sez. VI, sent. 3 febbraio 2011 n. 780) Roberto de Felice, Gli atti amministrativi (e negoziali) elusivi del patrocinio obbligatorio dello Stato non possono suscitare nel privato alcun affidamento (Cons. St., Sez. VI, sent. 3 febbraio 2011 n. 780) . . . . . . . . . . CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE Giuseppe Fiengo, Pubblico servizio e concorrenza nella gestione delle farmacie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Antonella Anselmo, I servizi farmaceutici: sistemi comunitari di sanit solidale e modelli liberistici a confronto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Fabio Pammolli, Nicola C. Salerno, Le Farmacie e le Corti. Istruzioni per un uso non corporativo delle Sentenze. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Fabio Pammolli, Nicola C. Salerno, Sulla recente Ordinanza della Corte di Giustizia Europea in data 6 ottobre 2010, causa C-563/08. . . . . . . . . CONTENZIOSO NAZIONALE Michele Dipace, Brevi note. Gli atti defensionali dellAvvocatura e le sentenze della Consulta sul legittimo impedimento (C. cost. sent. 25 gennaio 2011 n. 23; C. cost., sent. 26 gennaio 2011 n. 29) . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 1 7 13 15 17 18 27 31 38 53 54 75 84 89 Alfonso Mezzotero, Incarichi dirigenziali a tempo determinato (C. cost., sent. 12 novembre 2010 n. 324) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Michele Gerardo, Il termine di comparizione e di costituzione nellopposizione a decreto ingiuntivo. Mutamento giurisprudenziale operato dalla Corte di Cassazione (Cass., Sez. Un., sent. 9 settembre 2010 n. 19246; Trib. Napoli, ord. 15 ottobre 2010 n. 42582/09 R.G.) . . . . . . . . . . . . . . . Maurizio Borgo, Comportamento antisindacale: cognizione del giudice ordinario (Cass., Sez. Un., ord. 24 settembre 2010 n. 20161) . . . . . . . . . Federico Maria Giuliani, Non deducibilit reddituale, per le societ di capitali, dei compensi pagati ai propri amministratori. Estensione del precedente oppure clamorosa svista? (Cass., Sez. Trib., ord. 13 agosto 2010 n. 18702) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Stefano Pizzorno, Patti di convivenza e riconoscimento giuridico dei medesimi nellordinamento italiano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Stefano Pizzorno, Stato di rifugiato e asilo politico. . . . . . . . . . . . . . . . . I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO Fabrizio Fedeli, Incarico di consulenza legale in via breve conferito ad avvocato dello Stato. Applicabilit art. 17, comma 30, D.L. 1 luglio 2009 n. 78, convertito in Legge 3 agosto 2009 n. 102 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Stefano Varone, Collocamento a riposo del personale dirigenziale. Parere in ordine allart. 72 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 come modificato dallart. 17 comma 35 novies della l. 102/2009 . . . . . . . . . . . . . Carmela Pluchino, Parere in merito alla possibilit: 1) per la societ consortile costituita ai sensi dellart. 96 del D.P.R. 554/1999 di sottoscrivere un contratto di subappalto; 2) per il Consorzio stabile capogruppo dellATI aggiudicataria di non partecipare alla societ consortile, costituita soltanto dalla mandante e da due consorziate designate in via esclusiva dal Consorzio medesimo per lesecuzione dei lavori . . . . . . . . . . . . . . . Marina Russo, Rivalutazione indennit integrativa speciale ex art. 2 comma 2 Legge 25 febbraio 1992 n. 210 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Giuseppe Albenzio, Controlli sulle restituzioni allesportazione dei prodotti agricoli. Art. 11 Reg. CE 485/2008 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Marco Stigliano Messuti, Sulle attribuzioni di titolarit delle procedure delle pratiche finalizzate all'acquisizione del certificato di prevenzione incendi (CPI) degli edifici scolastici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Ettore Figliolia, Disciplina in materia di rimborso spese legali ex d.l. n. 67/97, convertito in l. n. 135/97 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Paolo Marchini, Compensabilit tra crediti per indebiti aiuti di Stato per la ricapitalizzazione delle cooperative di pesca con debiti a titolo di premio per arresto temporaneo e definitivo natante . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 133 152 163 175 185 188 195 198 203 210 215 218 224 225 LEGISLAZIONE ED ATTUALITA Maurizio Borgo, Il contenzioso in materia di operazioni elettoriali nel nuovo codice del processo amministrativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Gianni Cortigiani, Alcune perplessit sul nuovo rito elettorale . . . . . . . Vittorio Raeli, Lambito di applicazione della mediazione civile e commerciale nel sistema del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28. In allegato Circolare AGS n. 21 del 24 marzo 2011 . . . . . . . . . . . . . . . . Francesco Spada, Limmediata applicabilit delle disposizioni della c.d. riforma Brunetta. Poteri della dirigenza pubblica in materia di organizzazione e gestione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . CONTRIBUTI DI DOTTRINA Guilherme Francisco Alfredo Cintra Guimares, Avvocatura dello Stato, amministrazione pubblica e democrazia: il ruolo della consulenza legale nella formulazione ed esecuzione delle politiche pubbliche . . . . . . . . . . Lilia Marra, Concetta Quartuccio, Roberto Antillo, In tema di pubblico impiego privatizzato. Il discrimine temporale ai fini del riparto di giurisdizione tra atti di gestione e dato storico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Lucia Paura, Privatizzazioni e affidamento in house. Il ruolo delle azioni collettive nella tutela dei beni comuni e sociali . . . . . . . . . . . . . . Paolo Superbi, La transazione fiscale e il concordato preventivo: riflessioni a margine di un caso concreto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . RECENSIONI Alessandra Bruni - Giovanni Palatiello, La difesa dello Stato nel processo, UTET Giuridica, 2011. Prefazione di Ignazio Francesco Caramazza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 239 256 259 276 283 312 326 353 371 T E M I I S T I T U Z I O N A L I Intervento dellAvvocato Generale dello Stato Avv. Ignazio Francesco Caramazza In occasione della cerimonia di inaugurazione dellanno giudiziario 2011 Assemblea Generale della Corte Suprema di Cassazione Roma, 28 gennaio 2011 Signor Presidente della Repubblica, Autorit, Signor Presidente della Corte di Cassazione, Signore e Signori Considero un vero privilegio poter prendere la parola in questa solenne Cerimonia di inaugurazione per dare conto, in estrema sintesi, delle attivit svolte nel 2010 dallIstituto che ho lonore di dirigere. La ristrettezza del tempo a disposizione mi impone di ricorrere allarido ma concreto linguaggio delle cifre e dei dati. I nuovi affari trattati nellanno dallAvvocatura dello Stato ammontano, complessivamente, a livello nazionale, ad oltre 185.000 (che si aggiungono a molte centinaia di migliaia di affari degli anni scorsi ancora pendenti). La diminuzione di circa il 10% rispetto al numero di affari dellanno precedente non dovuta ad un calo del contenzioso ma ad un pi rigoroso sistema di classificazione introdotto lo scorso anno. Si tratta di una mole di contenzioso imponente che grava su di un organico di sole 370 unit togate e che rappresenta quindi un aspetto della crisi della giustizia la cui causa principale, secondo le analisi pi recenti, sembra doversi ascrivere a quello scarso coefficiente di osservanza spontanea delle leggi che una poco invidiabile peculiarit italiana. Lo spettro delle materie trattate il pi variegato che si possa immaginare. LAvvocatura rappresenta e difende, infatti, lo Stato nelle sue principali articolazioni dinanzi a tutti gli organi giudiziari sopranazionali e nazionali. 2 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 Ricordo, a puro titolo esemplificativo, sul piano internazionale la causa intentata dalla Germania contro lItalia dinanzi alla Corte internazionale di giustizia dellAja per fare affermare lesenzione dello Stato tedesco dalla giurisdizione italiana anche per danni derivanti dai crimini di guerra nazisti. Sul piano sovranazionale ricordo, fra gli oltre trecento affari trattati dinanzi ai giudici comunitari quello, che ha avuto ampia eco di stampa, sulla illegittimit della etichettatura del cioccolato come cioccolato puro (C- 47/09), quello che ha condotto alla declaratoria di legittimit della normativa italiana che vieta il concomitante esercizio della professione forense e di un impiego pubblico (C-225/09) e quello che ha condotto alla precisazione del principio ne bis in idem alla stregua del diritto europeo in tema di cooperazione in materia penale e di mandato di arresto europeo (C-261/09). A livello nazionale degni di particolare menzione, fra gli oltre cinquecento giudizi trattati in Corte Costituzionale, sono quello che ha portato alla sentenza 138/2010, che ha dichiarato in parte inammissibili ed in parte infondate le questioni di legittimit relative alle norme che non consentono il matrimonio fra persone dello stesso sesso nonch quelli che hanno portato alle sentenze 278 e 331/2010 sul riparto delle competenze legislative fra Stato e Regioni in tema di produzione dellenergia nucleare e quello recentissimo sul legittimo impedimento. Dinanzi ai giudici ordinari va citato il vasto contenzioso, spesso con connotazioni seriali, relativo alla legge Pinto, alla responsabilit per danni alla salute conseguenti alluso di amianto, di uranio impoverito, di sangue infetto; le importanti iniziative assunte per ottenere la riparazione dei danni ambientali; i processi penali per le vicende del G8 di Genova, per la collisione fra la nave militare Sibilla e una barca albanese carica di clandestini, i danni da emissioni elettromagnetiche, i processi collegati al terremoto de lAquila ed alla strage di Piazza della Loggia a Brescia; le costituzioni di parte civile nei processi riguardanti la mafia ed il racket. Una caso particolare che si inserisce nel quadro del recupero di opere darte illecitamente esportate riguarda la confisca dellAtleta marciante di Lisippo, acquistato dal Paul Getty Museum e confiscato dal G.U.P. in funzione di giudice dellesecuzione del Tribunale di Pesaro, su incidente promosso dal Ministero dei beni culturali. Altrettanto corposo il contenzioso dinanzi ai giudici amministrativi, in tema di appalto di lavori pubblici e di pubbliche forniture, di utilizzo di energie alternative, di diniego di accesso alle facolt universitarie a numero chiuso. Molte sono anche le controversie relative allesame di idoneit alla professione di avvocato o ai concorsi per posti di notaio e uditore giudiziario. Delicate e numerosissime sono anche le vertenze riguardanti la magistratura ordinaria, per il conferimento di funzioni direttive e semidirettive nelle quali rappresentiamo il CSM; il diniego di contributi e finanziamenti comunitari, lo scioglimento dei Consigli Comunali per infiltrazioni mafiose, le attribuzioni TEMI ISTITUZIONALI 3 di frequenze televisive, i provvedimenti delle Autorit indipendenti. Da ultimo, e non per ultimo ma solo per evidenziarne la particolare importanza, il nostro impegno dinanzi alla Corte di cassazione, che oggi ci ospita e con la quale siamo onorati di poter lavorare in piena armonia. Dinanzi alla Corte Suprema il contenzioso particolarmente nutrito: nel 2010 sono stati impiantati dallAvvocatura Generale ben 11.406 affari, che rappresentano il 23% di tutti gli affari contenziosi e consultivi impiantati nellanno dallAvvocatura Generale. Limitando lesame agli affari contenziosi iniziati nellanno in Cassazione e trattati dallAvvocatura si constata che il contenzioso dello Stato rappresenta oltre un terzo di tutto quello allesame della Suprema Corte e che di questo terzo ben il 67,5% (7.696 affari) costituito dal contenzioso tributario. Dopo uneclisse durata quasi un trentennio e che aveva ridotto a poche centinaia lanno i contenziosi tributari trattati dalla Suprema Corte, lentrata a regime della riforma del contenzioso del 1992 (potenziata dalla legge 28.12.2001 n.448) ha portato fino a picchi di 10.000 affari annui, allinizio del presente millennio, quelli trattati dalla Cassazione. LAvvocatura dello Stato riacquista, dunque, una sua peculiare funzione, connaturata daltronde con le sue origini e le sue tradizioni. Non a caso essa fu originariamente denominata avvocatura erariale ed ebbe come sua principale funzione la difesa dello Stato nei giudizi tributari e non a caso lomologa istituzione austriaca - che affonda le sue radici nello stesso humus storico-culturale - era denominata, ed tuttora denominata Finanzprokuratur. Nello specifico settore tributario va ricordato che nel 2010 la Suprema Corte ha deciso con encomiabile celerit una serie di ricorsi dellAmministrazione finanziaria tesi a recuperare aiuti di Stato dichiarati illegittimi dalla Corte di Giustizia dellUnione Europea. Le ingiunzioni a tal fine emesse erano state contestate dalle societ contribuenti sotto diversi profili. La Suprema Corte, con otto sentenze (nn. 23414 - 23421 del 19.11.2010) ha deciso le diverse questioni in senso favorevole allAmministrazione. Tra le tante significative, mette conto ricordare laffermazione secondo la quale del tutto legittimamente lAmministrazione finanziaria aveva emesso le ingiunzioni limitandosi a verificare lavvenuto godimento dellesenzione, senza svolgere alcun altro tipo di verifica e senza essere tenuta a motivare ulteriormente, nonch lenunciazione dellimportante principio secondo cui il potere-dovere del giudice nazionale di conformarsi al diritto comunitario comporta la necessaria disapplicazione delle - eventualmente confliggenti - regole processuali di diritto interno. La Corte ha cos affermato che nel provvedere al recupero dellaiuto indebito, i beneficiari non possono eccepire n di essersi avvalsi del condono tombale, n la prescrizione, n la decadenza, in quanto le relative disposizioni nazionali invocate devono essere disapplicate per con- 4 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 trasto con la fonte di grado superiore. In senso conforme alla tesi dellAvvocatura stata risolta anche la questione della non equiparabilit delle Universit allo Stato ai fini del trattamento tributario (Cass. 21.4.10 n. 9496) e sempre in senso favorevole allErario la Suprema Corte ha deciso una serie di cause aventi ad oggetto leffettivit del domicilio fiscale allestero nei suoi riflessi tributari. Una preoccupazione che non posso tacere riguarda per alcune sentenze in tema di procedura dinanzi alla Corte. Mi riferisco alla interpretazione letterale della disposizione contenuta nellart. 369 c.p.c. che impone lobbligo di depositare in cassazione gli atti ed i documenti sui quali si fonda il ricorso. Ebbene tale disposizione stata interpretata nel senso che il ricorso improcedibile anche quando gli atti e i documenti siano gi presenti nel fascicolo dufficio. Viene quindi irrogata la massima sanzione (quella della improcedibilit) per non avere adempiuto un obbligo che non solo meramente formale, ma addirittura del tutto superfluo. Tale interpretazione stata ritenuta applicabile anche in caso di contenzioso tributario, nonostante il dettato dellart. 25 D.Lgs. 546/1992 il quale dispone che i fascicoli delle parti restano acquisiti al fascicolo dufficio e sono ad esse restituiti al termine del processo, con la conseguenza che tutte le produzioni documentali vanno a formare il fascicolo dufficio ed ivi restano fino al passaggio in giudicato della sentenza (Cass. V, 13.10.2010 n. 21121). LAvvocatura dello Stato deve preannunciare che chieder alla Suprema Corte un riesame della questione alla luce dei principi costituzionali e comunitari del diritto di difesa e di effettivit della tutela. In materia extratributaria mi limito a segnalare una questione particolarmente delicata attualmente allesame della Cassazione e relativa alla qualit ed entit economica delle conseguenze derivanti dalla dichiarazione di illegittimit costituzionale dello spoil system di cui alla legge 145/2002. Fattispecie in cui emerge il problema della qualificazione del comportamento della P.A. che ha dato esecuzione a norme di legge poi dichiarate incostituzionali. Allimpegno sul fronte del contenzioso si affianca quello consultivo, spesso di non lieve momento e di grande rilievo sotto il profilo economico, quale ad esempio laffiancamento delle Amministrazioni per fornire consulenza legale in transazioni di particolare rilievo, quale quella allesame del Ministero della Salute per il riconoscimento dei danni da emotrasfusioni o da risoluzione di contratti per acquisto di vaccini o quella allesame del Ministero dellAmbiente per un risarcimento multimilionario in materia di danni ambientali. Passando ai risultati del nostro lavoro fornisco alcuni dati statistici relativi alla sede romana. Tale limitazione dovuta ad una non ancora completata rilevazione statistica nelle sedi periferiche. Lesperienza degli anni TEMI ISTITUZIONALI 5 passati dimostra, peraltro, che i dati percentuali romani sono sostanzialmente analoghi a quelli relativi a tutto il territorio nazionale. Dinanzi al Tribunale civile le cause vinte sono il 65%, dinanzi al TAR il 70%, dinanzi al Consiglio di Stato il 66% e dinanzi alla Cassazione il 57%. Fa stecca nel coro la Corte dAppello, dinanzi alla quale le cause vinte sono appena il 33%. Ma di questa discrasia vi ragione ben precisa: il dato statistico alterato dal fatto che nel numero sono comprese le cause di legge Pinto, che rappresentano la maggioranza degli affari trattati in Corte dAppello (come unico grado di merito) e che sono nella stragrande maggioranza cause perse per lo Stato. Depurati i dati falsati dai fattori alteranti, pu concludersi su una percentuale media di vittoria nei 2/3 della cause. Il che porta a concludere per un buon rapporto costi-benefici dellattivit svolta dallAvvocatura ove si consideri che da un recente studio della Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione, al quale il Sole 24 ore ha dedicato un lungo articolo adesivo, risulta che ogni causa - quale che sia la sua durata ed il numero dei gradi di giudizio - costa allo Stato 785 euro, cio meno di un decimo di quello che sarebbe il costo di mercato. Questo a fronte di un contenzioso che ha riguardato, nel 2010, 134.000 nuovi affari per un ruolo organico non del tutto coperto e del tutto insufficiente di 370 avvocati e di 850 amministrativi. Mi rendo conto che nellattuale temperie caratterizzata da una drammatica crisi economica e finanziaria di dimensioni planetarie sarebbe inopportuna ogni richiesta di riforme comportanti spese o di maggiori stanziamenti. LIstituto si limitato a chiedere al Governo tre modesti interventi normativi a costo zero o a costi modestissimi relativi ad una modifica delle norme regolamentari che reggono il concorso di accesso in carriera per snellirne le procedure ed i tempi, alla introduzione di una norma che agevoli il passaggio in tempi ragionevoli dei procuratori dello Stato nel ruolo degli avvocati, in quanto allo stato tale passaggio stato reso assai pi lento del normale da due successive elevazioni dellet pensionabile ed una deroga al blocco delle assunzioni che consenta la copertura mediante concorso dei ruoli del personale togato. Aggiungo che lIstituto non potrebbe assolvere i suoi doveri ove limporto delle spese di funzionamento - che ammontano a circa 10 milioni annui - dovesse essere ridotto. Si tratta infatti di spese incomprimibili, indispensabili per garantire lassolvimento dei compiti istituzionali, quali ad esempio quelle per indennit di trasferimento, pagamenti di canoni, spese postali e telegrafiche, fitto di locali nonch quelle per lacquisto di carta da fotocopiatrici necessarie al deposito nel numero di copie prescritte degli atti difensionali fino a quando non sar a regime il processo telematico, per il quale pure lIstituto sta lavorando attraverso progetti pilota in sedi deputate per il civile ed un progetto ormai in fase conclusiva con il Consiglio di Stato per lamministrativo. 6 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 Lausilio dellinformatica gi determinante, attraverso listituzione dellindirizzario elettronico delle amministrazioni patrocinate, la protocollazione automatica, linformatizzazione degli scadenzieri, lo sviluppo del processo di colloquio diretto con lAgenzia delle entrate e la consultazione diretta della banca dati dellAvvocatura da parte delle Amministrazioni interessate. Senza detto ausilio il carico di lavoro sarebbe insostenibile ma molto resta ancora da fare e la meta di una completa informatizzazione ancora lontana. Mi avvedo che il tempo concessomi sta per scadere e concludo ricordando un monito del Presidente della Repubblica, che nel suo messaggio di fine danno agli italiani ha sottolineato come nella attuale difficile situazione il futuro da costruire richiede un impegno generalizzato. E un monito rivolto ad ogni individuo e ad ogni istituzione perch tutti adempiano compiutamente ai loro doveri. Credo di poter dare assicurazione che lAvvocatura dello Stato assolver alle sue funzioni con tutto limpegno richiesto. Grazie, signor Presidente della Repubblica, grazie a tutti per avermi ascoltato. TEMI ISTITUZIONALI 7 Audizione dellAvvocato Generale davanti alla Commissione giustizia della Camera Legge 117/88 La legge sulla responsabilit dei magistrati si inquadra fra quei particolari rimedi che lordinamento giuridico mette a disposizione del cittadino per i casi in cui i suoi diritti siano stati lesi dallattivit giudiziaria. Credo sia opportuno un breve cenno ad essi soprattutto a fini di una comparazione dei dati numerici. A) La riparazione dellerrore giudiziario. Listituto trova fondamento nellart. 24, comma 4, Cost. secondo cui: la legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari. La disciplina contenuta negli artt. 643 e ss. c.p.p. Le norme regolano il riflesso pi importante delle conseguenze dellerrore giudiziario, ossia lindennizzo pecuniario. Esso costituisce un rimedio di natura riparatoria, distinto perci dal rimedio risarcitorio ex art. 2 L. n. 117/1988. Legittimato ad agire il soggetto che sia stato prosciolto in sede di revisione (art. 643 c.p.p.) di una sentenza di condanna gi passata in giudicato. Consente di ottenere un risarcimento dei danni subiti (patrimoniali e non) senza limiti di valore, in funzione ovviamente delle conseguenze dellerrore. possibile ottenere anche, in alternativa al risarcimento, una rendita vitalizia (ovvero laccoglimento in un istituto a spese dello Stato). Listituto di limitata applicazione, essendo necessario il previo accoglimento di una istanza di revisione del processo (ipotesi questa molto rara). Risultano infatti proposte solo poche decine di cause a livello nazionale nellultimo decennio. B) La riparazione per ingiusta detenzione. un istituto che, a differenza del precedente, stato introdotto per la prima volta con il nuovo codice di procedura penale del 1988. Anchesso trova fondamento nellart. 24, comma 4, Cost. nonch nellart. 5, par. 5, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti delluomo e delle libert fondamentali. disciplinato dagli artt. 314 e 315 c.p.p. Le norme regolano la riparazione derivante da detenzione ingiusta, subita sia da imputati riconosciuti innocenti sia da imputati riconosciuti col- 8 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 pevoli con sentenza irrevocabile. In particolare la legittimazione spetta a chi stato prosciolto con formula piena in base a sentenza irrevocabile o archiviazione, dopo aver subito un periodo di custodia cautelare (o di arresti domiciliari o detenzione subita a causa di arresto in flagranza o di fermo di indiziato di delitto) e semprech non vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave. La legittimazione spetta anche a chi abbia comunque subito un periodo di custodia cautelare (o di arresti domiciliari o sia stato sottoposto ad arresto in flagranza o a fermo di indiziato di delitto) a seguito di un provvedimento emesso o mantenuto senza che esistessero gravi indizi di colpevolezza o unadeguata gravit di reato ovvero le condizioni per la convalida (accertati con decisione irrevocabile). La legittimazione spetta infine anche a chi abbia comunque subito una detenzione a causa di erroneo ordine di carcerazione emesso sul presupposto di una condanna definitiva non esistente o a pena detentiva da non espiare ed in altri casi minori. Lindennizzo spetta per: 1) custodia cautelare; 2) arresti domiciliari; 3) detenzione a seguito di arresto in flagranza e fermo; 4) applicazione provvisoria di misure di sicurezza; 5) detenzione per erroneo ordine di carcerazione. La riparazione avviene mediante lerogazione di una somma comunque non superiore a 516.456,90 (un miliardo delle vecchie lire). Listituto trova una diffusa applicazione (le cause proposte nellultimo decennio sono circa 7.000 e quelle proposte nel corso del 2010 a livello nazionale sono circa 2.600). C) Lequa riparazione per lirragionevole durata dei processi. Si tratta della procedura prevista dalla legge n. 89/2001 (c.d. Legge Pinto), attuativa dei principi contenuti nella Convenzione per la salvaguardia dei diritti delluomo e delle libert fondamentali ed applicati dalla Corte di Strasburgo. In sostanza la Corte Europea dei Diritti dellUomo ha individuato dei tempi ragionevoli entro i quali una controversia ordinaria deve concludersi: 3 anni per il primo grado, 2 per lappello e 1 per lulteriore terzo grado, prevedendo un indennizzo intorno ai 1000 per ciascun anno di ritardo (non imputabile alle parti). Il contenzioso molto vasto ed oneroso per lerario (si passati da 4 milioni di euro di condanne nel 2002 ad 81 milioni nel 2008). Il numero annuale delle controversie stato pari a 24.290 nel 2010 a livello nazionale, e di queste 7.030 riguardano la sede romana. TEMI ISTITUZIONALI 9 D) Lazione di responsabilit ex legge n. 117/1988. unazione concessa a chiunque si assuma danneggiato da un atto (o dallinerzia) di un magistrato nellesercizio dellattivit giurisdizionale. In particolare la legge (approvata, come noto, a seguito di un famoso referendum che abrog le norme che limitavano la responsabilit del magistrato ai casi di dolo, frode o concussione) prevede: a) un termine di decadenza biennale per lesercizio dellazione; b) la legittimazione passiva dello Stato, con possibilit di intervento in causa del magistrato a cui la citazione dovr essere comunicata; c) un filtro di ammissibilit dellazione, diretto alla verifica di determinati presupposti tra cui la non manifesta infondatezza della domanda; d) la trasmissione di copia degli atti ai titolari dell'azione disciplinare nei confronti del magistrato non appena lazione venga dichiarata ammissibile; e) la rivalsa dello Stato verso il magistrato in caso di condanna al risarcimento dei danni in favore del danneggiato, con un tetto massimo pari ad un terzo dello stipendio annuo salvo il caso di dolo; f) la possibilit di unazione diretta verso lo Stato ed il magistrato (senza filtro e senza limiti alla rivalsa), da parte di chi ha subito un danno in conseguenza di un fatto costituente reato, commesso dal magistrato nell'esercizio delle sue funzioni (art. 13 della legge). Questo tipo di azione presenta delle evidenze statistiche singolari. Gi in uno studio del 2004 (M. Lupo, La responsabilit civile del magistrato: primi bilanci sulla applicazione della L. 117/88, in Responsabilit civile e previdenza, 2004, 679) si legge: In sedici anni di applicazione, abbiamo potuto rinvenire, 6 casi in cui stata ammessa lazione contro lo Stato; di questi solo due sono giunti ad una sentenza di merito con relativa condanna a carico dello Stato. Dai dati dellAvvocatura dello Stato raccolti dalla prima applicazione della legge ad oggi risultano proposte poco pi di 400 cause. Di queste, 253 (pari al 62%) sono state dichiarate inammissibili con provvedimento definitivo; 49 (pari al 12%) sono in attesa di pronuncia sullammissibilit; 70 (pari al 17%) sono in fase di impugnazione di decisioni di inammissibilit e 34 (pari all8,37%) sono state dichiarate ammissibili. Di queste 34 a loro volta risultano ancora pendenti n. 16 cause. Delle 18 gi decise, 14 risultano respinte e solo in 4 casi (pari al 22%) vi stata condanna dello Stato. Da tali dati emerge una eccessiva operativit sia del filtro di ammissibilit, che dei criteri di valutazione del merito in quanto, in buona sostanza, stato dichiarato ammissibile solo il 10% delle domande e solo l1% di esse stato accolto. Tale difettoso funzionamento della legge ha innescato una tendenza sostanzialmente volta ad una abrogazione di parti qualificanti della legge in 10 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 esame ed in tal senso la maggior parte dei disegni di legge allesame della Commissione. Effetti di una eventuale abrogazione totale della legge n. 117/1988 (o di sue norme qualificanti). Le finalit della legge sono essenzialmente: a) garantire lindipendenza del magistrato nellesercizio dellattivit giurisdizionale, evitando che sia esposto a condizionamenti sotto forma di azioni risarcitorie; b) evitare il proliferare a cascata di processi derivanti da altre cause; c) responsabilizzare comunque il magistrato prevedendo la possibilit di una sua condanna risarcitoria (ancorch limitata in un importo massimo predeterminato), nonch di una sanzione disciplinare (possibile gi al solo superamento della fase filtro). Una eliminazione tout court della legge o di sue norme qualificanti farebbe per sorgere seri problemi di legittimit costituzionale. Pi volte, infatti, la Corte Costituzionale ha affermato che la peculiarit delle funzioni giudiziarie e la natura dei relativi provvedimenti suggeriscono condizioni e limiti alla responsabilit dei magistrati, specie in considerazione dei disposti costituzionali appositamente dettati per la Magistratura (artt. 101- 113 Cost.), a tutela della sua indipendenza e dell'autonomia delle sue funzioni (sentenza n. 26/1987, che richiama la precedente n. 2/1968). Ne deriva che una disciplina che prevedesse la pura e semplice equiparazione dei magistrati agli impiegati pubblici sotto il profilo della responsabilit civile ex art. 28 Cost., si esporrebbe al rischio di incostituzionalit. Proposte migliorative della legge n. 117/1988. Il maggior ostacolo ad un utilizzo fisiologico della legge, sta nellart. 2 comma 2 ed in particolare nella speciale causa di inammissibilit ivi contenuta, in forza della quale Nell'esercizio delle funzioni giudiziarie non pu dar luogo a responsabilit l'attivit di interpretazione di norme di diritto n quella di valutazione del fatto e delle prove. Tale principio gi stato derogato per i casi di violazione del diritto comunitario. Nella sentenza 13 giugno 2006 emessa nella causa C-173/03 Traghetti del Mediterraneo, relativa proprio alla legge n. 117/1988, la Corte di Giustizia dellUnione Europea ha affermato che: Il diritto comunitario osta ad una legislazione nazionale che escluda, in maniera generale, la responsabilit dello Stato membro per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto comunitario imputabile a un organo giurisdizionale di ultimo grado per il motivo che la violazione controversa risulta da uninterpretazione delle norme giuridiche o da una valutazione dei fatti e delle prove operate da tale organo giurisdizionale. TEMI ISTITUZIONALI 11 Il diritto comunitario osta altres ad una legislazione nazionale che limiti la sussistenza di tale responsabilit ai soli casi di dolo o colpa grave del giudice, ove una tale limitazione conducesse ad escludere la sussistenza della responsabilit dello Stato membro interessato in altri casi in cui sia stata commessa una violazione manifesta del diritto vigente, quale precisata ai punti 53-56 della sentenza 30 settembre 2003, causa C-224/01, Kbler. attualmente pendente davanti alla stessa Corte una procedura di infrazione (causa C-379/10) promossa dalla Commissione europea contro lItalia, proprio al fine di ottenere una modifica della norma nel senso indicato nella citata sentenza. La modifica della legge sul punto quindi gi necessaria (nella causa in Corte di Giustizia la difesa del Governo italiano fa leva sulla sola circostanza che la modifica della legge non sarebbe necessaria, in quanto la formulazione della norma gi consentirebbe una interpretazione comunitariamente orientata nel senso della sentenza Traghetti). La modifica dovrebbe per non essere limitata ai soli casi di violazione manifesta del diritto comunitario (cos la sentenza Traghetti), ma anche estesa alle analoghe violazioni del diritto interno. Diversamente ci si esporrebbe ad un problema di costituzionalit interna (per violazione dellart. 3 Cost.) per una non giustificata disparit di trattamento. Lampliamento della responsabilit nel senso sopra indicato avrebbe il vantaggio: a) di evitare la possibile proliferazione a cascata delle cause (che si verificherebbe qualora ogni violazione del diritto, anche non manifesta, diventasse fonte di responsabilit); b) di ancorare il concetto di violazione manifesta del diritto alla giurisprudenza in materia della Corte di Giustizia, caratterizzata da un elevato grado di stabilit (a differenza delle Corti nazionali) e di omogeneit a livello europeo (le sentenze della Corte di Giustizia, comՏ noto, sono fonte di diritto in tutti gli Stati membri); c) di non discriminare le violazioni del diritto nazionale rispetto a quelle del diritto comunitario. Il mantenimento, per il resto, del meccanismo della legge n. 117/1988, consentirebbe altres di lasciare in vigore la responsabilit diretta del magistrato e dello Stato nei casi di fatti-reato, prevista nellart. 13 della legge. In mancanza di tale disposizione infatti, troverebbero applicazione i principi generali in tema di responsabilit dei funzionari pubblici, in base ai quali il comportamento doloso costituente reato interrompe il nesso organico con lAmministrazione che pertanto non pi tenuta ad alcun risarcimento. Ci rischierebbe di pregiudicare il danneggiato, soprattutto nei casi di danni molto elevati, in cui la solvibilit del singolo magistrato non garanti- 12 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 rebbe la riparazione integrale del danno. Che non si tratti di unipotesi scolastica confermato dallattuale pendenza di ununica causa ex art. 13 davanti al Tribunale di Roma, dove una Banca (in relazione alla nota vicenda IMI SIR ) ha chiesto allo Stato italiano un risarcimento di un miliardo di euro, a seguito dellaccertata responsabilit penale di un magistrato nella emanazione di una sentenza. Roma, 10 febbraio 2011 LAVVOCATO GENERALE Ignazio F. Caramazza TEMI ISTITUZIONALI 13 Appelli avverso sentenze in materia di opposizione ad ordinanza ingiunzione ex art. 23 L. 689 del 24 novembre 1981* Con ordinanze nn. 23285/10 e 23286/10 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato il principio secondo il quale La regola del foro erariale non applicabile ai giudizi di appello in materia di sanzioni amministrative. Nelle stesse pronunzie, in via di obiter dictum, le Sezioni Unite assumono inoltre un orientamento che, se confermato, potrebbe comportare che lappello, debba essere proposto con atto di citazione: infatti, nella motivazione delle richiamate sentenze, le SS.UU. fanno riferimento alla mancanza di unespressa previsione legislativa di ultrattivit del rito, che estenda allappello lapplicabilit delle norme suddette, [quelle applicabili al primo grado, n.d.r.] mancanza del resto giustificata dal maggiore tecnicismo che caratterizza i procedimenti di impugnazione e che comporta la necessit di patrocinio professionale richiesto dallart. 82 c.p.c. . In considerazione delle pronunzie della Suprema Corte sopra richiamate, in attesa dellesame da parte del Governo della bozza di modifica delle disposizioni regolanti la materia che stata gi da tempo sottoposta al suo esame, si rende opportuno diramare le seguenti indicazioni. Innanzi tutto, posto che le Sezioni Unite non hanno affrontato ex professo la questione della forma dellappello, ma hanno solo incidentalmente sostenuto la non ultrattivit del rito speciale in sede di gravame, si invitano le SS.LL., nelle more di un auspicabile pronunciamento chiarificatore sul punto, a continuare ad attenersi a quanto indicato nella circolare n. 24/07, con la quale stato diffuso il parere approvato dal Comitato Consultivo nella seduta del 6 giugno 2007, ove si afferma in attesa di una pronuncia della Suprema Corte che dirima i non univoci orientamenti emersi in sede di merito appare opportuno, laddove la giurisprudenza locale ritenga necessaria per la proposizione del gravame la forma della citazione, provvedere cautelativamente, ove possibile, non solo alla notifica ma anche alliscrizione a ruolo entro il termine per impugnare, al fine di evitare comunque decadenze, consentendo leventuale conversione dellatto irritualmente proposto . La necessit di adeguare la condotta processuale dellAvvocatura al principio della non applicabilit del foro erariale agli appelli ex art. 23 l. 689/81, allorquando si renda necessario proporre appelli che, secondo il suddetto principio, vanno incardinati innanzi ad un Tribunale sito in luogo diverso da quello in cui ha sede lAvvocatura Distrettuale dello Stato nel cui Distretto fu resa la sentenza di primo grado, determina svariati problemi di ordine pratico ed organizzativo, sia ai fini dellespletamento degli adempimenti di cancelleria, sia ai fini della partecipazione alle udienze. Come noto, la problematica inerente la rappresentanza delle Amministrazioni in giudizi che si svolgono fuori dalla sede degli uffici dellAvvocatura dello Stato disciplinata dallart. 2 R.D. 1611/33, il quale al comma 1 prevede che lAvvocatura abbia facolt di delegare funzionari dellAmministrazione interessata, ed in casi eccezionali anche procuratori le- (*) Circolare n. 66 - 7 dicembre 2010 prot. 378775 - dellAvvocato Generale. 14 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 gali, esercenti nel circondario dove si svolge il giudizio. Deve preliminarmente considerarsi che il conferimento di delega ad avvocati del libero foro alla rappresentanza delle Amministrazioni in giudizi fuori sede consentita, a mente dellart. 2 R.D. 1611/333, solo in casi eccezionali. A ci si aggiunga la considerazione che, nella maggior parte dei casi, il valore economico della sanzione oggetto del contendere contenuto entro limiti piuttosto modesti, ci che in linea di massima sconsiglia per ovvie ragioni di economicit di ricorrere alla delega ad avvocati, onde evitare che lAmministrazione finisca con lessere gravata, a titolo di compenso spettante al delegato, di oneri maggiori rispetto allo stesso valore del giudizio. Tanto premesso, sembra, opportuno distinguere i casi in cui lAmministrazione ha veste processuale di appellante da quelli in cui , invece, appellata. Prendendo le mosse da tale ultima eventualit, si ritiene che le difese possano essere di norma svolte solo per iscritto (sulle modalit da seguire per il relativo deposito si dir infra), atteso che la presenza alle udienze pu ritenersi, generalmente, non strettamente indispensabile. Sono, ovviamente, fatti salvi casi eccezionali, giustificati anche alla luce del valore economico della sanzione in contestazione o della questione di principio dibattuta, in cui al contrario la presenza alludienza appaia inderogabile. In tal caso, ove lavvocato incaricato sia impossibilitato ad intervenire, dovr farsi ricorso alla delega ad avvocato ex art. 2 cit., e non alla delega a funzionari: tale ultima possibilit ragionevolmente da escludere non solo quando si tratti della comparizione innanzi alla Corte dAppello, ma anche quando si tratti di giudizi innanzi al Tribunale adito in funzione di giudice dappello. La Corte di Cassazione ha infatti recentemente affermato (ordinanza n. 14520 del 19 giugno 2009): In tema di opposizione a sanzione amministrativa disciplinata dalla legge 24 novembre 1981, n. 689, la difesa personale della parte consentita dallart. 23, quarto comma, della stessa legge prevista esclusivamente per il giudizio di primo grado, non trovando applicazione anche per il giudizio di appello, per il quale, in assenza di alcuna specifica previsione contraria, si applica la regola generale di cui al terzo comma dellart. 82 cod. proc. civ., secondo cui davanti al tribunale e alla corte di appello la parte deve stare in giudizio con il ministero di un procuratore legalmente esercente. Tale posizione stata recentemente ribadita dalle Sezioni Unite proprio nelle ordinanze 23285/10 e 23286/10. Quanto al deposito degli atti di cancelleria, non sembra esservi dubbio circa la possibilit di procedere allo stesso tanto attraverso funzionari, quanto attraverso linvio per posta. Ed invero, gli adempimenti di cancelleria costituiscono unattivit materiale priva di requisito volitivo autonomo e che non necessariamente deve esser compiuta dal difensore, potendo essere realizzata anche da un nuncius (Cass. SS.UU. 5160/09). Inoltre, nella medesima pronuncia le Sezioni Unite riconoscono che Linvio a mezzo posta dellatto processuale destinato alla cancelleria al di fuori delle ipotesi speciali realizza un deposito dellatto irrituale, in quanto non previsto dalla legge, ma che, riguardando unattivit materiale priva di requisito volitivo autonomo e che non necessariamente deve essere compiuta dal difensore, pu essere idoneo a raggiungere lo scopo, con conseguente sanatoria del vizio ex art. 156, terzo comma, cod. proc. civ.; in tal caso, la sanatoria si produce con decorrenza dalla data di ricezione dellatto da parte del cancelliere ai fini processuali, ed in nessun caso da quella di spedizione. Tale ultimo principio dovr essere tenuto nella dovuta consi- TEMI ISTITUZIONALI 15 derazione al fine di evitare di incorrere in esiti pregiudizievoli. Venendo al caso in cui lAmministrazione sia parte appellante, si osserva che la presenza in giudizio indubbiamente necessaria a dare impulso al processo, nonch ad evitare decadenze: la mancata comparizione determinerebbe infatti limprocedibilit del gravame ex art. 348 c.p.c. In tali ipotesi, sempre ove lavvocato incaricato dellaffare non possa intervenire, appare inevitabile il ricorso alla delega ex art. 2 R.D. 1611/33, da rilasciarsi ad avvocati del foro libero per le stesse ragioni di cui si detto sopra, ricorrendo indubbiamente quelleccezionalit del caso cui la norma subordina luso della delega a liberi professionisti. Quanto sopra implica che - nella valutazione circa lopportunit e la convenienza economica della proposizione dellappello - dovr tenersi necessariamente in considerazione lonere connesso al compenso del delegato. Sempre in attesa degli interventi normativi gi suggeriti e che non si mancher di sollecitare, ci si riserva, comunque, alla prima occasione utile, di riproporre al vaglio delle Sezioni Unite la questione dellapplicabilit del foro erariale agli appelli ex art. 23 L. n. 689/81, nellauspicio di una revisione del recente orientamento. LAVVOCATO GENERALE Avv. Ignazio Francesco Caramazza Indicazione e produzione degli atti processuali e dei documenti su cui si fonda il ricorso per cassazione artt. 360 n. 6 e 369 secondo comma n. 4 c.p.c.* Come in pi occasioni segnalato (tra laltro, con Circolare n. 17/06 e con Comunicazione di Servizio n. 47/06), le modifiche al codice di procedura civile introdotte con D.Lgs 2 febbraio 2006 n. 40, comportano il rispetto, a pena di inammissibilit, di numerosi adempimenti formali nella redazione dei ricorsi per cassazione. In considerazione di ci, si gi ripetutamente rappresentata la necessit che le Avvocature Distrettuali, nel trasmettere allAvvocatura Generale le sentenze sfavorevoli, esprimano il loro motivato parere sulleventuale impugnazione e, in caso di parere favorevole, indichino sia pure sinteticamente i singoli vizi ex art. 360 comma 1 nn. 1, 2, 3, e 4 ravvisabili nella sentenza. Lesigenza appare poi particolarmente pressante ove si ipotizzi il ricorrere del vizio di cui allart. 360, n. 5, c.p.c., che pi facilmente appare rilevabile a cura del difensore che ha trattato la causa nei giudizi di merito. Si inoltre richiamata lattenzione delle Avvocature Distrettuali sulla necessit di inviare, unitamente alle sentenze sfavorevoli ed al parere di cui sopra, anche copia della documentazione in particolare dei ricorsi e delle memorie relativa ai fatti contestati. Tanto premesso, nel richiamare e ribadire linvito ad attenersi scrupolosamente alle indicazioni di cui sopra, si evidenzia che nella giurisprudenza di legittimit si andato progressivamente consolidando un orientamento quanto mai rigoroso in materia di indicazione degli atti processuali e dei documenti su cui si fonda il ricorso (art. 366 n. 6 c.p.c.). (*) Circolare n. 67 - 7 dicembre 2010 prot. 378810 - dellAvvocato Generale. 16 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 Al riguardo, in particolare, rileva quanto affermato dalle Sezioni Unite con ordinanza n. 7161 del 25 marzo 2010: In tema di ricorso per cassazione, lart. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ., novellato dal d.lgs n. 40 del 2006, oltre a richiedere lindicazione degli atti, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento risulti prodotto; tale prescrizione va correlata allulteriore requisito di procedibilit di cui allart. 369, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ., per cui deve ritenersi, in particolare, soddisfatta: a) qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito dallo stesso ricorrente e si trovi nel fascicolo di esse, mediante la produzione del fascicolo, purch nel ricorso si specifichi che il fascicolo stato prodotto e la sede in cui il documento rinvenibile; b) qualora il documento sia stato prodotto, nelle fasi di merito, dalla controparte, mediante lindicazione che il documento prodotto nel fascicolo del giudizio di merito di controparte, pur se cautelativamente si rileva opportuna la produzione del documento, ai sensi dellart. 369, comma 2, n. 4, cod. proc. civ., per il caso in cui la controparte non si costituisca in sede di legittimit o si costituisca senza produrre il fascicolo o lo produca senza documento; c) qualora si tratti di documento non prodotto nelle fasi di merito, relativo alla nullit della sentenza od allammissibilit del ricorso (art. 372 c.p.c.) oppure di documento attinente alla fondatezza del ricorso e formato dopo la fase di merito e comunque dopo lesaurimento della possibilit di produrlo, mediante la produzione del documento, previa individuazione e indicazione della produzione stessa nellambito del ricorso. I principi affermati nella richiamata pronuncia rendono assolutamente necessario, fin dal momento della redazione del ricorso, disporre di tutta la documentazione rilevante, e individuarla con precisione. Per tale motivo, in attesa di unauspicabile revisione di tale rigoristico orientamento, per la quale si sono gi assunte iniziative in sede processuale, mentre si richiama lattenzione degli avvocati e procuratori dello Stato sulla necessit di attenersi rigorosamente, nella redazione dei ricorsi per cassazione, ai richiamati orientamenti della giurisprudenza di legittimit, si raccomoda altres agli avvocati e procuratori in servizio presso le sedi distrettuali di curare che linvio di tutti gli atti ed i documenti utili al ricorso avvenga unitamente alla trasmissione della sentenza sfavorevole ed al parere sulla relativa impugnazione. In particolare, dovranno essere trasmessi: - i fascicoli di parte dei precedenti gradi; - copia dei verbali di udienza e di ogni altro documento gi acquisito al giudizio di merito, sui quali debba fondarsi il ricorso; - in particolare, copia dei documenti della controparte, che si avr cura di acquisire prima che la stessa provveda al ritiro del proprio fascicolo; - eventuali documenti non prodotti nelle fasi di merito, relativi alla nullit della sentenza o allammissibilit del ricorso (art. 372 c.p.c.); - eventuali documenti attinenti alla fondatezza del ricorso formati dopo la fase di merito o dopo lesaurimento della possibilit di produrlo. Si confida nella puntuale osservanza di quanto disposto con la presente circolare al fine di evitare pregiudizi. LAVVOCATO GENERALE Avv. Ignazio Francesco Caramazza TEMI ISTITUZIONALI 17 Art. 3, comma 2, del Codice del processo amministrativo: redazione degli atti in maniera chiara e sintetica* Larticolo 3, comma 2, del Codice del processo amministrativo, approvato con d.lgs 2 luglio 2010 n. 104, dispone che: il giudice e le parti redigono gli atti in maniera chiara e sintetica. Si tratta di una disposizione di particolare importanza, che recepisce il principio di economia processuale sul quale da tempo insistono anche il legislatore ed il giudice comunitario, ma la cui completa attuazione postula la cooperazione di tutti gli operatori della giustizia: una sentenza adeguatamente motivava, ma chiara e sintetica, necessariamente presuppone che anche gli atti di parte presentino gli stessi caratteri. Per rispondere anche alle sollecitazione in tale senso provenienti dai vertici della giustizia amministrativa raccomando quindi alle SS.LL. di contenere, di norma, gli scritti difensivi nel limite delle 20-25 pagine, evitando ogni inutile ripetizione del contenuto di atti precedenti. Ove esigenze di completezza rendessero necessario il superamento di tale limite in casi particolarmente complessi, sar opportuno redigere, come incipit dellatto processuale, una sintesi dellatto stesso sotto forma di indice ragionato. Con loccasione segnalo la necessit di non indulgere mai alla deplorevole prassi, talvolta purtroppo seguita, di depositare, come unica attivit difensiva, il rapporto dellAmministrazione. Rapporto che soprattutto se completo e ben fatto potr spesso costituire utile base per una difesa, ma che andr, ove possibile fin dalla fase cautelare, e comunque in sede di merito, tradotto dal linguaggio burocratico a quello curiale e sfrondato di ogni (frequente) lungaggine e di passaggi inutili quando non dannosi alla difesa. LAVVOCATO GENERALE Avv. Ignazio Francesco Caramazza (*) Circolare n. 1 - 3 gennaio 2011 prot. 614 - dellAvvocato Generale. 18 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 Predisposizione di ricorsi per Cassazione in materia tributaria* In conseguenza di sostanziali modifiche normative e degli orientamenti giurisprudenziali restrittivi fatti propri in tempi recenti dalla Suprema Corte, la predisposizione dei ricorsi per cassazione costituisce oggi attivit di grande complessit e richiede da parte dellAvvocato dello Stato considerevole impegno professionale. Tali considerazioni valgono in particolar modo per i ricorsi in materia tributaria (costituenti la pi consistente parte del contenzioso che lAvvocatura porta allesame della Corte), poich in tale materia lattivit regolata anche dalle vigenti convenzioni con le Agenzie fiscali, che pongono una complessa e delicata serie di adempimenti a carico dellAvvocatura. Considerato che lassegnazione del contenzioso tributario si va estendendo ad Avvocati che in passato non hanno mai trattato la materia, ritengo utile sottoporre alle SSLL un sintetico Promemoria nel quale sono illustrate, accanto a talune disposizioni particolari regolanti i rapporti con le Agenzie e i principali orientamenti giurisprudenziali, le prassi che si sono consolidate nel tempo al fine di assicurare una migliore e pi celere difesa degli interessi erariali. Per coloro che fossero interessati alla consultazione, saranno resi successivamente disponibili con modalit da precisare gli schemi di atti e di lettere indicati in calce al promemoria. LAVVOCATO GENERALE Avv. Ignazio Francesco Caramazza *********** RICORSI IN CASSAZIONE TRIBUTARIA PROMEMORIA 1) RICHIESTE ISTRUTTORIE 2) PARERE DI NON IMPUGNAZIONE 3) RECAPITO DEI DESTINATARI DELLE NOTIFICHE 4) SENTENZE NOTIFICATE 5) NOTIFICA DEL RICORSO 6) ISTANZA EX ART. 369 C.P.C. 7) ISCRIZIONE A RUOLO 8) NOTIFICA NULLA 9) NOTIFICA INESISTENTE 10) NOTIFICA A PIU PARTI 11) LUDIENZA 12) LA SENTENZA 13) CONTRORICORSO E RICORSO INCIDENTALE 14) SCHEMI DI ATTI 15) SCHEMI DI LETTERE. 1) RICHIESTE ISTRUTTORIE Le proposte di ricorso per cassazione pervengono di norma dalle D.R. (Direzioni Regionali) e solo eccezionalmente dalle D.P. (Direzioni Provinciali). Per qualsiasi richiesta di chiarimenti o di documentazione integrativa, pu contattarsi per e-mail (o anche telefonicamente) il funzionario dellAgenzia (1) indicato come responsabile in calce alla relazione della D.R. Lelenco degli indirizzi dellAgenzia delle Entrare comunque reperibile sul relativo sito in http://www.agenziaentrate.gov.it/wps/portal/entrate/contatta. E opportuno che di ogni e-mail, se di rilievo, sia stampata copia da inserire nel fascicolo. Allo stesso modo le telefonate possono essere annotate sulla copertina interna del fascicolo specificando nome dellinterlocutore dellAgenzia, oggetto in sintesi e data. (*) Circolare n. 12 - 2 marzo 2011 prot. 74200 - dellAvvocato Generale. TEMI ISTITUZIONALI 19 2) PARERE DI NON IMPUGNAZIONE Circa i tempi e i modi di resa del parere di non impugnazione si richiama quanto previsto al punto 15 del protocollo dintesa tra lAvvocatura e Agenzia delle Entrate 13 maggio 2010 (allegato alla Circolare n. 46/2010): 2.4.3. LAvvocatura, nei casi in cui non condivida la richiesta di ricorso per cassazione, d tempestiva comunicazione del proprio motivato parere negativo alla competente Direzione regionale, tramite posta elettronica o fax e se del caso dandone anticipazione telefonica ai recapiti indicati nella richiesta di ricorso. In ogni caso, tale parere inviato alla Direzione regionale , salvo obiettive circostanze impedienti, almeno dodici giorni prima della scadenza del termine di impugnazione. 2.4.4. La Direzione regionale, qualora non condivida il parere negativo dellAvvocatura, formula alla stessa, entro due giorni utili dalla ricezione di detto parere, le proprie osservazioni e le invia, tramite posta elettronica o fax, unitamente alla completa documentazione relativa alla richiesta di ricorso, anche alla Direzione centrale affari legali e contenzioso. 2.4.5. Qualora lAvvocatura non condivida la reiterata richiesta di proposizione del ricorso di cui al punto precedente, comunica con la necessaria urgenza il proprio definivo parere direttamente alla Direzione centrale affari legali e contenzioso e alla Direzione regionale competente, mediante posta elettronica o fax. Nel caso in cui la Direzione centrale non condivida il parere dellAvvocatura, per la la risoluzione della divergenza si applica il secondo periodo del punto 2.1.3 (2). 2.4.6. In mancanza di formale e tempestiva conferma del parere negativo espresso dallAvvocatura, questultima provvede, in modo da evitare decadenze, alla proposizione del ricorso per cassazione, in attesa delleventuale soluzione della divergenza insorta. E pertanto opportuno che il parere sia reso via telefax alla D.R. conservando la documentazione che potrebbe essere necessaria per la proposizione del ricorso e che, di norma, non viene comunque restituita (salvo casi di particolare voluminosit della stessa). Come deliberato in sede di Comitato per il Coordinamento Tributario (3) nel caso di reiterazione di un parere di non impugnazione, il parere stesso dovr esser firmato dal Vice Avvocato Generale competente dopo aver sentito lAvvocato Generale Aggiunto. 3) RECAPITO DEI DESTINATARI DELLE NOTIFICHE Il domicilio delle parti a cui il ricorso va notificato viene in genere evidenziato dallufficio. E necessario per effettuare verifiche aggiornate per le societ collegandosi al sito https://telemaco.infocamere.it/ (user e password sono riportate nella home page delle banche dati sulla intranet) ed effettuare una visura ordinaria (lAvvocatura ha stipulato una convenzione che prevede un corrispettivo per ogni visura). In tal modo sar possibile accertare: a) la sede legale della societ; b) leventuale assoggettamento a procedure concorsuali; c) leventuale fusione o incorporazione in altra societ; (1) E opportuno inviare le-mail anche allindirizzo dellufficio, al fine di evitare il rischio che il messaggio non venga letto per lassenza del funzionario. (2) Il punto 2.1.3. prevede, per il caso di divergenza di opinioni, la determinazione del Direttoe dellAgenzia. (3) Il CO.CO.TRIB. stato istituito con la Circolare n. 62/2010. 20 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 d) il nome e recapito del legale rappresentante, e) i nomi dei soci; f) leventuale cancellazione della societ. E opportuno ricordare che la giurisprudenza attribuisce efficacia costitutiva alle cancellazioni, con la conseguenza che il ricorso va proposto (anche) nei confronti dei soci ex art. 2495 c.c. (Cass. SS.UU. 22 febbraio 2010 n. 4061) (4). Di grande utilit anche il sito www.paginebianche.it (in pratica lelenco telefonico on line, aggiornato pressoch in tempo reale). Per quel che riguarda il recapito di Avvocati si pu consultare per lordine di Roma il sito http://www.ordineavvocati.roma.it/. Per gli altri ordini sufficiente usare un qualsiasi motore di ricerca (Google, Virgilio, Yahoo, ecc.) per individuare il relativo sito, al cui interno si trova lalbo aggiornato. Se non si conosce il circondario dove lavvocato esercita, si pu fare la ricerca sul sito dl Consiglio Nazionale Forense (che per a volte pu essere incompleto), allindirizzo: http://www.consiglionazionaleforense.it/on-line/Home/AreaAvvocati/Ricercaavvocati.html. Analogo meccanismo si pu utilizzare per gli albi dei dottori commercialisti e/o ragioneri (che spesso sono i difensori nelle cause tributarie di merito) allindirizzo: http://www.cndc.it/CMS/home/ricercacommercialista/ricerecacommercialista.jsp. 4) SENTENZE NOTIFICATE Occorre tenere presente il fatto che in caso di avvenuta notifica della sentenza, il termine breve di 60 giorni decorre sempre, quale che sia lufficio dellAgenzia (locale, D.R. o centrale) a cui sia stata eseguita la notifica (Cass. SS.UU. n. 3116/2006). La notifica allAgenzia presso lAvvocatura invece da ritenersi nulla (Cass . SS.UU. 22642/2007). Si ricorda che il D.L. n. 40/2010 ha introdotto modifiche allart. 38 del D.L.gs n. 546/1992, consentendo anche la notifica mediatne consegana a mani allufficio (5). Tale forma di notificazione sempre pi frequente, per cui occorre prestare attenzione in quanto la prova della notifica data dalla semplice ricevuta allegata alla sentenza in cui lufficio attesta lavvenuta consegna a mani. 5) NOTIFICA DEL RICORSO Di norma il ricorso si notifica tramite lUNEP di Roma a mani per le notifiche in Roma (in tal caso il Servizio Esterno Notifiche deve ricevere latto al massimo entro le ore 8,15 del giorno di scadenza) oppure a mezzo posta (in tal caso entro le ore 9,30 al massimo) in quanto, comՏ noto, la tempestiva consegna dellatto allUNEP impedisce ogni decadenza. Con la Comunicazione di servizio n. 77/2009 (e successiva n. 13/2010) stato precisato (4) Dalla visura della societ pure possibile ottenere i bilanci in formato elettronico, nonch altri atti depositati. (5) Il comma 2 dellart. 38 ora prevede che Le parti hanno lonere di provvedere direttamente alla notificazione della sentenza alle altre parti a norma dellarticolo 16 depositando, nei successivi trenta giorni, loriginale o copia autentica delloriginale notificato, ovvero copia autentica dellal sentenza consegnata o spedita per posta, con fotocopia della ricevuta di deposito o della spedizione per raccomanata a mezzo del servizio postale unitamente allavvisio di ricevimento nella segreteria, che ne rilascia ricevuta e linserisce nel fascicolo dufficio. TEMI ISTITUZIONALI 21 che ora possibile effettuare la notifica a mezzo posta dallAvvocatura con il meccanismo previsto dallart. 55 delle legge n. 69/2009 (6). Questo tipo di notifiche possibile anche per le notifiche su Roma ma occorre utilizzarlo solo nei casi estremi (quando il termine scade in giornata), in quanto il costo molto maggiore della notifica a mani tramite UNEP. Anche nelle notifiche ex art. 55, il termine salvo con la spedizione del plico (Cass. 17748/09; Cons. St. 7349/2004). In genere, e comunque sempre nelle cause rilevanti, opportuna una doppia notifica sia al domiciliatario che presso la sede o residenza del contribuente. Qualora sussistano motivi particolari per eseguire la notifica a mani (ovviamente fuori Roma), non ci si avvarr delle Avvocature Distrettuali, bens delle singole D.R. (per le notifiche nei capoluoghi di Regione) ovvero dellufficio locale (D.P. o, in mancanza, uffici territoriali) dellAgenzia dove ha sede lUNEP che deve seguire la notifica. A tale fine, partendo dal Comune dove la notifica va fatta, possibile individuare: - il Tribunale (o la sezione staccata, che ha in genere anche lUNEP) competente allindirizzo http://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_4.wp - lUfficio dellAgenzia delle Entrate competente allindirizzo: http://www1.agenziaentrate. gov.it/strumenti/mappe/. Linvio allAgenzia per la notifica potr avvenire o per raccomandata (se cՏ un adeguato lasso di tempo, almeno un mese), ovvero per posta celere o ancora via telefax (7). In quest'ultimo caso latto va trasmesso (completo della formula della relata) in unica copia in calce alla quale va apposto (prima ovviamente della relata e subito dopo la firma dellavvocato) la seguente dicitura: Il suesteso atto, trasmesso a mezzo telefax dallAvvocatura Generale dello Stato, firmato nelle copie fotoriprodotte dal sottoscritto funzionario del ricevente ufficio ai sensi dellarticolo 10 della legge 18 ottobre 2001, n. 383. E opportuno indicare in oggetto nella nota fax di accompagno, il termine ultimo entro il quale la notifica va effettuata e specificare il numero delle copie da riprodurre e consegnare allUfficiale Giudiziario. In ogni caso latto da notificare deve pervenire allufficio dellAgenzia almeno 3 giorni lavorativi prima della scadenza del termine (8) (il sabato considerato festivo). 6) ISTANZA EX ART. 369 C.P.C. Alla competente D.R. va invece inviata listanza ex art. 369 c.p.c. via telefax con le modalit descritte per il ricorso (con richiesta di autenticarne tre copie e restituirne due vistate); (6) Con la comunicazione di serivizio n. 43/2010 sono stati precisati gli orari per la ccnsegna al S.E. degli atti da notificare: le ore 8,15 nei casi di notifica ultimo giorno a mani: le ore 17 (da luned al venerd) e le ore 12 del sabato per gli atti da notificare ex art. 55 legge 69/2009. In casi estemi, ad orario scaduto, si pu comunque eseguire la notifica a mezzo posta raccomandata su richiesta dellAvvocato (lufficio postale di Piazza San Silvestro chiude alle 19). In tali si si pu infatti sostenre che trattasi di notifica nulla (e come tale sanabile) e non inesitente (in tale senso cfr. Cass. SS.UU. 1242/2000; 15081/2004; v. per cass. Sez. trib. 19577/2006). (7) In generale la richiesta di ricorso della D.R. contiene in calce tutti i recapiti di fax da utilizzare. (8) Punto 2.1.7. del protocollo dintesa. 22 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 in tal modo lAgenzia verr a conoscenza sia dei riferimenti dellAvvocatura (numero di affare e avvocato incaricato), sia del fatto che il ricorso stato proposto. Peraltro quando trattasi di Sezione staccata di Commissione Tributaria Regionale (9) listanza ex art. 369 c.p.c. va inviata anzich alla D.R., allufficio (in genere una Direzione Provinciale ) dove ha sede la Sezione Staccata. In tal caso la nota di trasmissione dellistanza va trasmessa per conoscenza alla D.R. Per la Commissione Tributaria Regionale del Lazio (anche per la Sezione staccata di Latina) al deposito dellistanza ex art. 369 c.p.c. provvede il Servizio esterno, cui listanza dovr essere inviata (in tre copie) tempestivamente; dallavvenuta proposizione del ricorso dovr darsi comunicazione alla D.R. mediante posta elettronica (ad oggi tale adempimento viene effettuato in automatico dalle Segreterie una volta completato il deposito del ricorso in cassazione). 7) ISCRIZIONE A RUOLO Una volta tornato loriginale del ricorso notificato, va eseguita liscrizione a ruolo presso la Corte di Cassazione entro 20 giorni dallultima notifica (purch non superflua, altrimenti il termine decorre dallultima notifica indispensabile). A norma dellart. 134 disp. att. c.p.c. liscrizione a ruolo pu avvenire anche a mezzo posta raccomandata (lUfficio Postale di via della Scrofa 61/63 aperto fino alle 14; quello di Piazza San Silvestro fino alle 19). Il termine per il deposito decorre dal perfezionamento della notifica, e quindi: a) dalla consegna a mani al destinatario; b) dalla sottoscrizione dellavviso di ricevimento nelle notifiche a mezzo posta; c) dalla spedizione della racc. A/R nella notifica ex art. 140 c.p.c. (10). Si pu iscrivere a ruolo con riserva di deposito sia dellA/R che della istanza ex art. 369 c.p.c. E rischiosa invece la riserva per la copia autentica della sentenza (che la Cassazione vuole sia depositata nel termine di 20 giorni a pena di inammissibilit (sempre a pena di inammissibilit la copia autentica depositata deve essere quella eventualmente notificata ai fini del decorso del termine breve). 8) NOTIFICA NULLA Qualora vi siano dubbi sulla validit delle notifiche (e semprech non vi sia tempo utile per rinnovarle), preferibile iscrivere comunque a ruolo la causa ed attendere circa due mesi. Se nel termine di legge (40 giorni dalla notifica del ricorso) viene notificato il controricorso, ogni eventuale nullit sanata ex tunc (Cass. 1156/2008). Se controparte invece non si costituisce, opportuno rinnovare la notifica con un secondo originale del tutto identico al primo, anche per quanto concerne la data di redazione (salvo ovviamente la relata) da depositare poi nel fascicolo in Corte nei 20 giorni successivi alla notifica. In tal modo si anticipa (con effetto sanante ex tunc) lordine di rinnovazione della noti- (9) Sono sedi di Sezione staccata le citta: Caltanissetta, Catania, Brescia, Foggia, Latina, Lecce, Livorno, Messina, Parma, Pescara, Reggio Calabria, Rimini, Salerno, Sassari, Siracusa, Taranto, Verona. (10) Occorre per considerare che per effetto di Corte Costituzionale n. 3/2010 la notifica ex art. 140 c.p.c. si intende eseguita il decimo giorno dalla spedizione della raccomandata. TEMI ISTITUZIONALI 23 fica che la Suprema Corte darebbe ex art. 291 c.p.c., evitando in tal modo unudienza inutile (Cass. 4067/1997) (11). Nei casi di notifica a mezzo posta occorre sempre acquisire lavviso di ricevimento, che pu essere depositato anche oltre il termine per iscrivere a ruolo (12) e senza le formalit di cui allart. 372 c.p.c. (SS.UU. 23666/2009). Qualora dopo un tempo congruo (2 mesi dalla spedizione del plico) lavviso non sia pervenuto, e semprech la controparte non sia costituita con controricorso (nel qual caso lavviso di norma superfluo), si potr verificare la consegna dellatto sul sito delle poste http://www.poste.it/online/dovequando/controller?action=start&subaction=raccomandata e si potr chiedere un duplicato dellavviso di ricevimento alle poste (come da comunicazione di servizio n. 75/2010). Con la Comunicazione di Servizio 21/2010 stato precisato che per le notifiche mezzo posta eseguite da Roma possibile acquisire tramite internet lavviso di ricevimento scannerizzato (telefonare al 569 per lattivazione del servizio). E bene ricordare che la rimessione in termini in caso di mancata produzione dellavviso di ricevimento viene concessa dalla Corte, solo se linteressato dimostra di essersi attivato per ottenere un duplicato dellavviso (SS.UU. 23666/2009). E consigliabile pertanto controllare sempre che lavviso di ricevimento sia pervenuto (oppure che la controparte si sia costituita), prima di inserire il fascicolo al suo posto, in quanto tale verifica in occasione delludienza (che pu essere successiva di anni) potrebbe essere ormai inutile. 9) NOTIFICA INESISTENTE Nei casi in cui la notifica di una impugnazione non sia andata a buon fine senza colpa del notificante e il termine sia ormai scaduto, opportuno iscrivere comunque la causa a ruolo e nel frattempo rinnovare la notifica allindirizzo esatto (con un nuovo originale); ci in quanto la Corte di Cassazione (SS.UU. 17352/2009) ha precisato che: Nel caso in cui la notificazione di un atto processuale da compiere entro un termine perentorio non si concluda positivamente per circostanze non imputabili al richiedente, questultimo, ove se ne presenti la possibilit, ha la facolt e lonere di richiedere la ripresa del procedimento notificatorio. La conseguente notificazione, ai fini del rispetto del termine, avr effetto fin dalla data della iniziale attivazione del procedimento, semprech la ripresa del medesimo sia intervenuta entro un tempo ragionevolmente contenuto, tenuti anche presente i tempi necessari secondo la comune diligenza per venire a conoscenza dellesito negativo della notificazione e per assumere le informazioni ulteriori conseguentemente necessarie. Si tratta in realt di una applicazione del principio contenuto nel nuovo art. 153 comma 2 c.p.c. (13), anche se tale disposizione si applica alle sole cause iniziate in primo grado dal 4 luglio 2009. (11) Come noto la rinnovazione disposta nel caso di notifiche ritenute nulle ma non nel caso di notifiche ritenute inesistenti. (12) Lavviso pu essere depositato sino alludienza di discussione ma prima che inizi la relazione. (13) In forza del quale La parte che dimostra di essere incorsa in decadenza per causa ad essa non imputabile pu chiedere al giudice di essere rimessa in termini. Il giudice provvede a norma dellarticolo 294, secondo e terzo comma. 24 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 10) NOTIFICA A PIU PARTI Lart. 330 c.p.c., dopo le modifiche introdotte con la legge n. 69/2009 (anchesso applicabile alle sole cause iniziate in primo grado dal 4 luglio 2009), consente di notificare in unica copia una impugnazione a pi parti aventi lo stesso difensore. Ad identici risultati per era nel frattempo intervenuta la giurisprudenza, affermando che E valida, ai sensi dellart. 330 c.p.c., la notificazione dellatto di impugnazione eseguita mediante la consegna di ununica copia presso il procuratore costituito per pi parti (Cass. SS.UU. 15 dicembre 2008 n. 29290). Pertanto in tutte le cause possibile notificare il ricorso in ununica copia al comune difensore di pi parti. In tale ipotesi occorrer per predisporre la relazione di notifica nel senso che la stessa viene eseguita mediante consegna (o invio) dellatto al procuratore domiciliatario di tutte le parti (da indicare nominativamente) (14). 11) LUDIENZA Quando arriva lavviso dudienza (in genere con anticipo di 2 o tre mesi) verificare: a) se udienza in camera di consiglio, sono acquisite di norma le conclusioni del P.M. (per i ricorsi relativi a sentenze depositate fino al 4 luglio 2009) ovvero la relazione ex art. 380 bis predisposta dal relatore (per i ricorsi relativi a sentenze depositate dal 5 luglio 2009). Se le conclusioni proposte alla Corte sono sfavorevoli, occorre predisporre (se del caso) memoria da depositare fino a 5 giorni (15) prima delludienza ed eventualmente andare a discutere la causa. Le cause in camera di consiglio sono chiamate alle ore 10 in aula S (che sta per Struttura, dove si trattano solo cause in camera di consiglio), oppure vengono chiamate nellapposita aula, al termine delludienza pubblica (che inizia alle 10 e che dura in genere da 1 a 2 ore). Negli altri casi (di conclusioni del P.M. o relazione favorevole) non di norma necessario essere presenti in udienza. b) Se la causa chiamata in udienza pubblica, valutare se depositare memoria (in generale per replicare al controricorso di controparte e richiamare giurisprudenza aggiornata), ed inviare il fascicolo in anticipo al collega di turno per quelludienza (i turni sono diramati e inseriti su INTRANET) con le necessarie istruzioni. Se trattasi di causa complessa o di particolare rilievo occorre discuterla personalmente o parlarne direttamente con il collega che andr in udienza. In tali casi sar ancora possibile depositare brevi osservazioni scritte di replica al P.M. ai sensi dellart. 379 c.p.c. Se indetta una riunione per la verifica delle tematiche delludienza occorre portare il fascicolo alla riunione. 12) LA SENTENZA Quando arriva la sentenza, (in genere due o tre mesi dopo ludienza), occorre trasmetterla con urgenza, di norma solo alla competente D.R. (che provveder a inviarla allufficio incaricato) restituendo gli atti (16). (14) Diversamente, se nella realta indicato che latto viene notificato alle parti presso il domiciliatario, lUNEP non accetta di seguire la notifica con unica copia. (15) Il termine di 5 giorni non da considerare libero: Cass. 20464/2007. TEMI ISTITUZIONALI 25 Si segnala limportanza di tale adempimento in quanto in materia tributaria in caso di sentenza definitiva favorevole allerario, di norma decorre un termine relativamente breve di decadenza per la notifica della cartella esattoriale diretta alla riscossione del credito definitivo (art. 25 D.P.R. 602/1973). Si possono utilizzare gli allegati schemi di lettera per le diverse ipotesi. 13) CONTRORICORSO E RICORSO INCIDENTALE Occorre tenere presente il fatto che il termine di 40 giorni per il controricorso decorre dalla data in cui la notifica del ricorso stata eseguita presso qualsiasi ufficio dellAgenzia (locale, D.R. o centrale: Cass. SS.UU. 3116/2006), mentre il termine non decorre (per nullit della notifica) se eseguita presso lAvvocatura (Cass. SS.UU. n. 22641/2007) (17). Qualora per qualsiasi motivo (scadenza del termine; chiara fondatezza del ricorso avversario) il controricorso non sia stato notificato, necessario depositare comunque un atto di costituzione in giudizio (v. schema allegato), onde evitare di non avere pi alcuna notizia della causa (non possibile depositare alcun altro atto; neanche copia degli atti pregressi). Ci consentir: a) di acquisire il numero di ruolo generale che verr inserito dal Servizio Esterno nel NSI; b) di ricevere lo scadenziere e l'avviso di udienza per leventuale partecipazione alla discussione orale, consentita in cassazione anche in mancanza di costituzione in giudizio (art. 370 comma 1 c.p.c.); c) di ricever lavviso di deposito della sentenza e copia della stessa. Di norma non occorre dare notizia allAgenzia della mancata costituzione in giudizio. Qualora non si ritenga di proporre il ricorso incidentale richiesto dallAgenzia, il protocollo dintesa (punto 2.4.10 e s.) prevede che LAvvocatura, qualora ritenga che non sia opportuna la proposizione del ricorso incidentale, d tempestiva comunicazione del proprio motivato parere negativo alla competente Direzione regionale, almeno cinque giorni prima della scadenza del termine per la notifica del ricorso incidentale, tramite posta elettronica o fax e se del caso dandone anticipazione telefonica ai recapiti indicati nella richiesta. Nel caso di parere negativo dellAvvocaura si applicano, per la risoluzione della divergenza, i punti da 2.4.4. a 2.4.6. 14) SCHEMI DI ATTI 1. Ricorso in cassazione 2. Contoricorso in cassazione 3. Controricorso con ricorso incidentale 4. Ricorso per revocazione ex art. 391 bis c.p.c. 5. Controricorso a ricorso per revocazione (16) Linvio alla D.R. necessario anche quando la corrispondenza precedente solo con altri uffici dellAgenzia. La sentenza non va mai trasmessa allAgenzia Centrale. (17) A meno che, ovviamente nel ricorso non sia evocato il Ministero dellEconomia e delle Finanze. Tale chiamata in causa non pu ritenersi errata per le sole cause in cui lAgenzia non risulti costituita in giudizio dopo il 1 gennaio 2001 (cfr. Cass. Sez. Trib. n. 8507/2010). Nella pratica si tratta per lo pi delle sole cause decise dalla Commissione Tributaria Centrale. 26 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 6. Ricorso per correzione di errore materiale 7. Contoricorso a ricorso per correzione errore materiale 8. Atto di mera costituzione 9. Memoria difensiva 10. Ricorso per rinnovazione notifica ex art. 291 c.p.c. 11. Brevi osservazioni scritte alle conclusioni del P.M. ex art. 379 c.p.c. 12. Istanza trasmissione fascicolo ex art. 369 c.p.c. 13. Istanza di rinvio 14. Istanza di riunione cause 15. Istanza di sollecita fissazione udienza. 15) SCHEMI DI LETTERE 1. Parere di impugnazione 2. Reiterazione parere di non impugnazione 3. Invio a mezzo telefax atto da notificare tramite D.R. 4. Invio a mezzo telefax atto da notificare tramite ufficio con istanza 369 a D.R. 5. Invio a mezzo telefax istanza 369 a D.R. 6. Invio a mezzo telefax istanza 369 a D.R. + parere di non impugnazione parziale 7. Nota invio fascicolo in cassazione ax art. 134 disp. att. c.p.c. 8. Nota trasmissione sentenza 9. Nota trasmissione sentenza inammissibilit ex art. 366 bis c.p.c. 10. Nota trasmissione sentenza riassunzione attiva 11. Nota trasmissione sentenza riassunzione passiva 12. Relata di notifica ex art. 55 legge n. 69/2009 13. Lettera alle Poste per duplicato avviso di ricevimento. TEMI ISTITUZIONALI 27 Lart. 417 bis c.p.c.: la gestione del contenzioso lavoro da parte dei funzionari delle pubbliche amministrazioni a cura di Giuseppe Arpaia* LAvvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli ha ideato e sviluppato, nel quadro delineato dalla circolare n. 43/10 dellAvvocato Generale sul contenzioso del lavoro, un progetto di formazione dei dipendenti delle P.A. incaricati di svolgere lattivit di rappresentanza e difesa in giudizio delle stesse, quale prevista dalla norma di cui allart. 417 bis c.p.c.. La concreta realizzazione di tale progetto ha avuto inizio con il corso di formazione dei funzionari delle Agenzie fiscali (tenutosi il 21 dicembre 2010) ed proseguita con il secondo corso rivolto ai funzionari dellUfficio Scolastico Regionale per la Campania, dellUniversit degli Studi di Napoli Federico II e della Seconda Universit degli Studi di Napoli (Lart. 417 bis c.p.c.: la gestione del contenzioso lavoro da parte dei funzionari delle Pubbliche Amministrazioni), tenutosi il 4 febbraio 2011, presso la sede dellAvvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, dallAvv. dello Stato Giuseppe Arpaia. Il progetto stato concepito quale naturale esito della constatazione - ribadita dalla citata circolare n. 43/2010 del 29 luglio 2010 -, da un lato, del carattere eccezionale del patrocinio dellAvvocatura dello Stato nel primo grado delle controversie giudiziarie di lavoro, secondo quanto statuito dallart. 417 bis c.p.c., dallaltro, dellesigenza, fortemente avvertita dalle stesse Pubbliche Amministrazioni, che lAvvocatura dello Stato collabori attivamente nel fornire una precipua formazione, funzionale allattivit di rappresentanza e difesa, ai dipendenti delle stesse, e, in particolare, a quelli appartenenti ai relativi uffici del contenzioso del lavoro, previsti dallart. 12 del T.U. del pubblico impiego - d.lgs. n. 165/2001. Nel concepire il corso di formazione dei funzionari delle Amministrazioni pubbliche, si dovuto tener conto di una serie di fattori. In primis, scopo dellAvvocatura dello Stato quello di trasmettere in modo adeguato le principali cognizioni in materia di processo del lavoro: da ci sono derivati la corposit, oltre che leterogeneit, dei contenuti del corso, sia sotto il profilo teorico, che pratico. Difatti, volendo sintetizzare gli obiettivi del corso, mediante lo stesso (*) Avvocato dello Stato. Nota dellAutore: Un ringraziamento alla dott.ssa Palmira Graziano, praticante avvocato presso lAvvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli e docente a contratto per lanno accademico 2010/2011 presso la IV Cattedra di Diritto Civile della Facolt di Giurisprudenza dellUniversit degli Studi di Napoli Federico II, che ha, sotto la mia guida, elaborato le slide del corso. 28 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 lAvvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli ha inteso far acquisire ai relativi partecipanti conoscenze teorico-pratiche in ordine: 1) alla disciplina della giurisdizione sui rapporti di lavoro dipendente nel pubblico impiego, in particolare quanto alle norme del T.U. n. 165/2001 e succ. modifiche (Slide nn. 1-11); 2) alla disciplina inerente la gestione del contenzioso del pubblico impiego da parte delle stesse P.A. - T.U. n. 165/2001 ed art. 417 bis c.p.c. - (Sl. nn. 12-13); 3) alle procedure di conciliazione ed arbitrato introdotte dalla riforma di cui alla legge collegato lavoro, la l. n. 184 del 4 novembre 2010 (Sl. nn. 14-28); 4) allatto di ricorso (in particolare quanto ad elementi essenziali, alla patologia dellatto e della relativa notifica) (Sl. nn. 29-42); 5) alla memoria difensiva (in particolare quanto ad elementi essenziali, ed al preliminare conferimento dellincarico di difesa al funzionario ex art. 417 bis c.p.c.) (Sl. nn. 43-66); 6) ai poteri decisionali del giudice (Sl. nn. 67-75); 7) al ricorso in opposizione a decreto ingiuntivo ed alla procedura di redazione informatica della relativa nota di iscrizione a ruolo (Sl. nn. 76-94); 8) allatto di reclamo ed alla procedura di redazione informatica della relativa nota di iscrizione a ruolo (Sl. nn. 95-104). In secondo luogo, il corso ha inteso accogliere listanza, spesso manifestata dalle stesse Amministrazioni, di concentrare in una stessa giornata lattivit didattica: ci ha reso necessario, indicare, quale incipit del corso, i relativi obiettivi formativi, gi prima richiamati, indicando ciascuno di essi quale una delle varie tappe del percorso (allinterno di una slide c.d. indice). In tal modo si voluto consentire ai partecipanti di cogliere illico et immediate, la strumentalit di ogni singolo argomento via via affrontato rispetto al corrispondente obiettivo, oltre che i punti di connessione reciproca tra gli stessi. Ci ha fatto salva, nonostante lorario prolungato del corso, quella visione dinsieme dei molteplici temi esaminati, che indispensabile ad una loro pi pronta e completa comprensione da parte di chi ascolta. A tal fine, si reso indispensabile il ricorso allo strumento didattico delle slide, efficace nel fornire una migliore ed immediata visualizzazione dei precetti normativi, spesso di recente emanazione (come nel caso della disciplina delle procedure di conciliazione ed arbitrato - v. slide nn. 14-28), oltre che della reale conformazione e della struttura compositiva dei vari atti giudiziari analizzati. Ciascuna slide stata numerata, di modo che al termine del corso, stato possibile a chi vi abbia partecipato fruire delle slide come una sorta di manuale per la gestione del contenzioso del lavoro, slide che risultano ordinate per argomenti e raggruppate in relazione ai corrispondenti obiettivi. TEMI ISTITUZIONALI 29 Sempre nellottica dellefficace fruizione da parte dei partecipanti al corso delle relative slide, si optato per una impaginazione che costituisca di per se stessa una sorta di mappa orientativa degli specifici temi, eminentemente pratici, che in ciascuna slide vengono affrontati: pi precisamente, allinizio di ogni nuovo gruppo di slide (corrispondente ad un specifico obiettivo), stato indicato largomento oggetto dellintero gruppo con una formattazione similare a quella propria dei titoli dei capitoli di una monografia. Sempre al fine di una catalogazione ordinata dei vari temi affrontati, tale struttura formale del corso ha avuto una sua precisa corrispondenza in una struttura parimenti ordinata ed articolata dei relativi contenuti. Talora, si reso necessario perfino creare unindicizzazione allinterno delle slide relative al medesimo obiettivo, laddove largomento nelle stesse trattato, essendo particolarmente articolato, ha preteso una schematizzazione in passaggi successivi, che, poich numerosi, hanno, a loro volta, reso opportuno, al termine di ciascuno di essi, un breve riepilogo. Questo stato il caso delle slide nn. 14-28 correlate allobiettivo n. 3, riguardante le procedure di conciliazione ed arbitrato introdotte dalla riforma di cui alla legge collegato lavoro del 4 novembre 2010: nella slide n. 16 stato inserito un indice (relativo al solo obiettivo n. 3) nel quale sono esplicate tutte le varie alternative tra lazione giudiziale e le procedure conciliative ed arbitrali, che si offrono alla P.A. ed al lavoratore laddove sussista tra loro un contenzioso. Inoltre, durante il corso sono state sottoposte allattenzione dei funzionari tecniche redazionali dei principali atti giudiziari, che spetter loro redigere o controbattere, sia introduttivi del giudizio (latto di ricorso, nonch atti di opposizione a decreto ingiuntivo e di reclamo avverso provvedimento cautelare), che endo-processuali (si pensi, ad esempio, alla memoria difensiva - slide n. 51 ss. -, alla citazione testimoniale - slide n. 55 -, ed alla nota spese - slide 70-71). Rispetto a tali atti sono stati forniti ai partecipanti al corso dei modelli, frutto dellapplicazione di tecniche redazionali suggerite allo scopo di rendere pi ordinata e razionale lelaborazione del relativo contenuto. Nellottica di una risoluzione pratica dei problemi che si pongono alloperatore giuridico, con riferimento a ciascun atto processuale, dopo una slide riepilogativa delle principali norme disciplinanti gli elementi strutturali (ad esempio per la memoria difensiva v. slide n. 50), sono state proposti concreti modelli redazionali (ad esempio si vedano per la memoria difensiva le slide nn. 51 ss.), nonch protocolli comportamentali conseguenti alla mancanza di taluno di detti elementi o alla condotta di controparte (si vedano, ad esempio, sempre per la memoria difensiva, le slide nn. 56, 61-2). Va precisato che sono stati forniti ai funzionari che hanno preso parte al corso, cd-rom contenenti copia delle slide (in formato pdf), nonch degli atti giudiziari esaminati e della giurisprudenza richiamata durante la lezione (in 30 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 particolare di questultima stata offerta una rassegna nellultima slide - slide G). Per un pi approfondito esame delle slide del corso e dei relativi allegati, si rinvia ai relativi file disponibili sul sito web dellAvvocatura. Quanto alle slide, va precisato che la versione pdf (protetta) quella destinata ai partecipanti al corso, mentre la versione power point resa disponibile quale strumento di docenza utilizzabile in futuri analoghi corsi. TEMI ISTITUZIONALI 31 Riserva allAvvocatura dello Stato in materia di servizi legali ex R.D. 1611/1933 (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 3 febbraio 2011, n. 780) Le brevi note che seguono sono dedicate alla sentenza in oggetto che ha fatto definitiva giustizia di una pericolosa fuga in avanti, posta in essere da unamministrazione statale che aveva mostrato, per cos dire, insofferenza verso il patrocinio obbligatorio dellAvvocatura dello Stato, in favore di studi legali privati che avevano confidato nel tramonto, almeno parziale, del monopolio dellAvvocatura Erariale sulle cause dello Stato. Ma andiamo, con ordine. 1. I fatti da cui trae origine la causa Con bando, pubblicato sulla G.U.R.I. (Gazzetta ufficiale della Repubblica Italiana) del 2 marzo 2007, il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali aveva indetto una gara avente ad oggetto "la fornitura dei servizi legali comprensivi di quelli di assistenza nelle procedure contenziose, relativi alla protezione delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche in Italia, in Europa e nel mondo", rivolta agli studi legali associati con le caratteristiche indicate nellart. 5 del capitolato doneri (in particolare, erano ammessi a partecipare studi legali con un numero di associati, iscritti allalbo degli avvocati, non inferiore a venti alla data di pubblicazione del bando sulla G.U.C.E., ovvero il 17 febbraio 2007). In un primo momento, la gara era stata aggiudicata ad una ATI ma, in seguito alle verifiche sul possesso dei requisiti previsti dal citato art. 5 del capitolato doneri (ovvero il numero di associati, iscritti allalbo degli avvocati, non inferiore a venti alla data di pubblicazione del bando sulla GUCE), lamministrazione statale aveva revocato, con provvedimento n. 4439 del 4 agosto 2008, laffidamento in favore della prefata Associazione Temporanea ed aveva aggiudicato il servizio alla seconda classificata. Avverso tale atto, aveva proposto impugnativa l'ATI, originaria aggiudicataria del servizio, chiedendone l'annullamento ed, in via subordinata, la condanna del Ministero al risarcimento dei danni. Si costituivano in giudizio, il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali e lATI controinteressata. LAvvocatura dello Stato, in difesa del Ministero intimato, depositava agli atti del giudizio un proprio parere del 15 ottobre 2008 con cui, dopo aver chiarito che la decisione di affidare il servizio di che trattasi a studi legali non rispetta lart. 1 del R.D. n. 1611/1933 (in materia di patrocinio dellAvvocatura dello Stato per la difesa in giudizio delle amministrazioni statali), aveva pro- 32 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 posto allo stesso Dicastero di procedere alla revoca, in autotutela, del bando di gara. In aderenza al predetto parere, il Ministero, con decreto n. 9608 del 27 novembre 2008, aveva revocato il bando di gara in argomento. Con ricorso per motivi aggiunti, lATI ricorrente aveva impugnato il decreto di revoca del bando di gara unitamente a tutti gli atti connessi; impugnativa, questultima, che veniva proposta, con autonomo ricorso, anche dallATI controinteressata; entrambe le parti private formulavano domanda di risarcimento dei danni, sofferti a cagione dellintervenuta revoca della procedura di gara. 2. La decisione del T.A.R. del Lazio - Sezione seconda Ter, n. 6527 del 7 luglio 2009 (prima parte) La decisione del TAR del Lazio risultava pienamente condivisibile nella sua prima parte anzi avremmo potuto adottarla come manifesto della resistenza del patrocinio obbligatorio dellAvvocatura dello Stato nei confronti delle amministrazioni statali. Affermava, il T.A.R. capitolino, che la normativa contenuta nel R.D. n. 1611/1933 esclude la possibilit per le amministrazioni statali di affidare tale attivit agli avvocati del libero foro attraverso una gara ad evidenza pubblica posto peraltro che, nel caso di specie, non risultano esternati quei motivi eccezionali che consentono di avviare la procedura di autorizzazione per derogare alla norma che prevede il patrocinio obbligatorio dellAvvocatura dello Stato. Ed invero: - lart. 1 del R.D. n. 1611/1933 prevede, in sintesi, il patrocinio obbligatorio dellAvvocatura dello Stato in caso di rappresentanza, patrocinio ed assistenza in giudizio delle Amministrazioni dello Stato; - la possibilit di deroga al predetto obbligo previsto dal citato art. 1 fissato nel successivo art. 5 del RD n. 1611/1993 secondo cui "nessuna Amministrazione dello Stato pu richiedere la assistenza di avvocati del libero foro se non per ragioni assolutamente eccezionali, inteso il parere dell'Avvocato generale dello Stato e secondo norme che saranno stabilite dal Consiglio dei ministri. L'incarico nei singoli casi dovr essere conferito con decreto del Capo del Governo di concerto col Ministro dal quale dipende l'Amministrazione interessata e col Ministro delle finanze"; - non risulta, nel caso di specie, che il Ministero resistente abbia fatto valere "ragioni assolutamente eccezionali" n che abbia richiesto lattivazione della speciale procedura di cui al citato art. 5 del regio decreto; - a ci deve essere aggiunto che leventuale ammissibilit dellaffidamento del servizio di assistenza giudiziale ad avvocati del libero foro potrebbe TEMI ISTITUZIONALI 33 provocare disservizi anche di carattere organizzativo se si considera anche il tenore dellart. 11 del R.D. n. 1611/1933 secondo cui gli atti giudiziari devono essere notificati, a pena di nullit, presso lAvvocatura dello Stato, nel senso che gli organi di difesa erariale sono tenuti ad assumere la difesa in giudizio in favore delle amministrazioni statali. Ci che si vuole dire che, seppure nulla escluda che un soggetto giuridico possa essere difeso da pi patrocinatori, nel caso delle amministrazioni statali, in difetto dellautorizzazione rilasciata ai sensi del citato art. 5 del R.D. n. 1611/1933, la difesa erariale non pu abdicare alle proprie funzioni defensionali lasciando ad avvocati del libero foro la decisione sulle "strategie" da intraprendere durante le varie fasi del giudizio. Ora, il Collegio non vuole spingersi fino a delineare scenari ipotetici con riferimento ai rapporti tra difesa erariale, amministrazione statale e avvocati del libero foro ma verosimile supporre che, in assenza di rapporti chiari in ordine alla responsabilit da assumere in sede di giudizio (perch non attivata a priori la procedura di cui al citato art. 5 del RD n. 1611/1933 che consente alla difesa erariale di abdicare ai propri obblighi defensionali in favore delle amministrazioni statali) ed in mancanza di accordo sulle strategie da intraprendere, la linea da privilegiare debba essere quella proposta dallAvvocatura dello Stato (cfr art. 13 R.D. n. 1611/1933 nella parte in cui dispone che la stessa "provvede a consigliarle e dirigerle quando si tratti di promuovere, contestare o abbandonare giudizi"), rendendo quindi inutile (o inutilizzabile) lapporto da parte dello studio legale a cui stato affidato, con un appalto oneroso, il servizio di assistenza giudiziale. La sentenza passava, poi, alla difesa della funzione consultiva dellAvvocatura dello Stato, affermando che analoghe considerazioni valgono con riferimento allattivit di consulenza stragiudiziale, seppure non sia rinvenibile una norma espressa nel R.D. n. 1611/1933 che imponga il ricorso obbligatorio allAvvocatura dello Stato. Pur tuttavia, il Collegio dellavviso che, pur in assenza di una norma espressa in tal senso, sussistano comunque nellordinamento una serie di norme che consentono alle amministrazioni statali, prima di rivolgersi al "mercato" dei servizi legali, di avvalersi di organismi istituzionali che, anche per la loro autorevolezza, sono preposti - tra laltro - ad affiancarle nella soluzione di questioni controverse, attraverso la formulazione di appositi pareri. noto, infatti, che sia lAvvocatura dello Stato che il Consiglio di Stato, in sede consultiva, possono essere consultati dalle amministrazioni statali e ci previsto, nel primo caso, dal citato art. 13 del RD n. 1611/1933 (nella parte in cui dispone che lAvvocatura dello Stato "provvede alle consultazioni legali richieste dalle Amministrazioni") e, nel secondo, dallart. 14 del R.D. n. 1054/1924 secondo cui "il Consiglio di Stato d parere sugli affari di ogni natura, pei quali sia interrogato dai Ministri". 34 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 A ci si aggiunga che lart. 7, comma 6, del D.lgs n. 165/2001 prevede la possibilit per le amministrazioni pubbliche, "per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, (di) conferire incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria...", che peraltro devono essere affidati attraverso procedure comparative disciplinate secondo i rispettivi ordinamenti (cit. art. 7 comma 6 bis). In altre parole, ci che si vuole dire che, sebbene non sussista una previsione di rango legislativo che vieti laffidamento a studi legali dellattivit di consulenza stragiudiziale, lindizione di siffatta procedura selettiva rimane una ipotesi eccezionale rispetto a quelle ordinarie previste dalle norme citate in materia di attivit consultiva resa dallAvvocatura dello Stato e dal Consiglio di Stato ovvero di affidamento di incarichi di collaborazione a singoli professionisti (per specifiche questioni) secondo la procedura di cui allart. 7 del D.lgs n. 165/2001 (seppure anche questultima norma, avente carattere eccezionale). 2.1. La decisione del T.A.R. del Lazio (seconda parte) La seconda parte della decisione in commento non convinceva. Affermava, il T.A.R. del Lazio: Va, invece, verificato se, a fronte della legittimit del decreto di revoca del bando, sussistano i presupposti per riconoscere in capo al Ministero resistente ipotesi di responsabilit c.d. "da contratto" ovvero "precontrattuale" (comunque da risarcire nei limiti dellinteresse negativo) che, seppure non richiesta in maniera espressa, deve intendersi compresa nelle richieste risarcitorie delle ATI interessate. Come noto, la declinazione in ambito amministrativo dell'istituto della responsabilit precontrattuale (cui pacifica l'ascrizione all'ambito della giurisdizione risarcitoria dell'adito Giudice amministrativo - Cons. Stato, Ad. Plen. 5 settembre 2005, n. 6; ma anche Cass. Civ., SS.UU., 12 maggio 2008, n. 11656) ha avuto origine da ipotesi in cui l'esercizio del jus poenitendi daparte dell'Amministrazione fosse stato correttamente disposto, cos determinando una sorta di scissione fra la (legittima) determinazione di caducare l'aggiudicazione ed il complessivo tenore del comportamento tenuto dalla medesima Amministrazione nella sua veste di controparte negoziale, non informato alle generali regole di correttezza e buona fede che devono essere osservate dall'Amministrazione anche nella fase precontrattuale (in tal senso, Cons. Stato, Ad. Plen., 5 settembre 2005, n. 6; Sez. V, 30 novembre 2007, n. 6137; id., Sez. V, 14 marzo 2007, n. 1248). Ci posto, il Collegio ritiene che non emergano ragioni sistematiche per escludere la configurabilit di una responsabilit di carattere precontrattuale in capo all'Amministrazione in ipotesi (quale quella oggetto della presente TEMI ISTITUZIONALI 35 controversia) in cui il mancato rispetto dei generali canoni di buona fede e correttezza in contrahendo si sia risolto in un'attivit nel suo complesso illegittima (seppure rilevata in via di autotutela dalla stessa amministrazione), come la scelta di indire una gara per laffidamento di servizi legali in violazione del R.D. n. 1611/1933, con conseguente impossibilit del sorgere del vincolo contrattuale (cfr. Cass. Civ., Sez. I, 15 aprile 2008, n. 9906; id., Sez. I, 26 maggio 2006, n. 12629). Ed invero, non sussistono ragioni valide per escludere che in fattispecie quale quella in esame possa individuarsi un'ipotesi di responsabilit precontrattuale in capo all'Amministrazione atteso che, da un lato le trattative fra le parti sono state interrotte dallannullamento in autotutela dellintera procedura selettiva e, dallaltro, sono intercorsi 21 mesi dallindizione della gara alladozione del decreto che ha posto nel nulla lintera procedura selettiva. In altre parole, il Collegio ravvisa la condotta illecita del Ministero nellaver ingenerato in capo alle ATI interessate un affidamento nella conclusione positiva della procedura quando, invece, era chiaro che laggiudicazione tramite gara dei servizi legali (in particolare, quelli di assistenza giudiziale) era inibita da quanto previsto nel R.D. n. 1611/1933. Da ci deriva che, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, nel caso in cui la P.A. violi il dovere di lealt e correttezza, ponendo in essere comportamenti che non salvaguardano l'affidamento della controparte in modo da "sorprendere" la sua fiducia sulla conclusione del contratto, essa risponde per responsabilit precontrattuale ai sensi dell'art. 1337 cod. civ. ed il danno deve essere risarcito nei limiti dellinteresse negativo (ovvero le spese di partecipazione alla procedura e la perdita di ulteriori occasioni di stipulazione di altri contratti). ci che avvenuto nel caso di specie dove lamministrazione resistente, a fronte di una condotta illecita di natura colposa (non scusabile in ragione del chiaro dettato normativo), ha ingenerato un affidamento nella conclusione di una "trattativa" contrattuale la cui lesione (cristallizzata nel provvedimento di annullamento della gara) fonte di danno risarcibile nei limiti dellart. 1337 c.c., applicabile in via analogica nel presente giudizio. Si trattava di affermazioni che non potevano essere, in alcun modo, condivise. Come poteva affermarsi che degli studi legali associati che, secondo le previsioni degli atti di gara, dovevano essere composti da almeno venti associati iscritti allalbo degli avvocati, avessero incolpevolmente fatto affidamento sulla conclusione di un contratto che, per le ragioni ben esplicitate nella prima parte della sentenza, doveva qualificarsi nullo per contrariet a norme imperative? Come si poteva parlare, con riferimento allimpossibilit della conclusione del predetto contratto, di sorpresa da parte dei predetti studi legali? 36 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 E, al proposito, ben noto che le norme in materia di rappresentanza obbligatoria dellAvvocatura dello Stato afferiscono alla materia dellordine pubblico processuale e, venendo in rilievo una disposizione legale inderogabile, deve, pertanto, affermarsi la natura imperativa delladdentellato normativo ex R.D. n. 1611/1933 che statuisce il patrocinio erariale necessario (cfr., in tale senso, Tribunale di Catanzaro, sezione II civile, 1 febbraio 2008, n. 72). Ne consegue che difetta del necessario jus postulandi lavvocato del libero foro che rappresenti in giudizio unamministrazione statale, poich in contrasto con la c.d. esclusivit del patrocinio erariale (definito, in tal senso, dalla migliore dottrina come organico, obbligatorio ed esclusivo) (cfr., sentenza sopra citata). 3. La sentenza del Consiglio di Stato Il Giudice di Appello, dopo avere confermato la sentenza di primo grado con riferimento alla prima parte della stessa (del tutto ineccepibile, per come sopra evidenziato), perviene, invece, allintegrale riforma della statuizione del TAR capitolino nella parte in cui aveva riconosciuto agli studi legali, che avevano partecipato alla gara, il risarcimento del danno a titolo di responsabilit precontrattuale. Ecco, qui di seguito, le parole del Consiglio di Stato: per la pacifica giurisprudenza della Corte di Cassazione (consolidatasi per le controversie devolute ratione temporis al giudice civile): non si pu ritenere accoglibile una domanda volta al risarcimento del danno derivante da responsabilit precontrattuale, quando il contratto non sia stato stipulato, perch una delle parti anche in extremis rileva che la stipula comporterebbe la violazione di norme imperative (per tutte, Sez. Un., 11 febbraio 1982, n. 835; Sez. Un., 14 marzo 1985, n. 1987); - lAmministrazione pubblica, quando abbia posto in essere trattative per addivenire alla stipula di un contratto da concludere a seguito di un procedimento ad evidenza pubblica, pu senzaltro recedere dalle trattative senza incorrere in alcuna responsabilit (Sez. I, 29 luglio 1987, n. 6545), non potendosi anche in tal caso ravvisare un ragionevole affidamento, giuridicamente tutelato, alla relativa stipula. La Sezione rileva che tali orientamenti, a loro volta, sono espressione di un pi generale principio generale, per il quale lAmministrazione deve sempre evitare di concludere un contratto contrastante con norme imperative e cio: - deve interrompere la trattativa privata avviata quando sia prescritta la gara ad evidenza pubblica; - deve annullare gli atti della gara ad evidenza pubblica, se il previsto contratto di per s risulta in contrasto con una norma imperativa. TEMI ISTITUZIONALI 37 Infatti, lordinamento da un lato apprezza con favore il ritorno alla legalit, prevedendo i poteri di autotutela dellAmministrazione, dallaltro non prende in favorevole considerazione - sotto il profilo di possibili pretese risarcitorie - la posizione di coloro che, coinvolti nella trattativa privata o nella gara finalizzate alla stipula del contratto che si rilevi contra legem, abbiano consapevolmente o colposamente aderito alla iniziativa illegittima dellAmministrazione. 11.2. Nella specie, a seguito di una segnalazione gi proveniente dal Ministero e poi dellavviso sulla questione della Avvocatura Generale dello Stato, lAmministrazione ha legittimamente constatato che il bando di gara mirava ad incidere indebitamente sullo svolgimento della attivit istituzionale della medesima Avvocatura e allesborso di denaro, per ragioni palesemente inconsistenti. Il Ministero ha quindi constatato che la stipula del contratto avrebbe dato evidentemente luogo alla violazione delle norme imperative, desumibili dal testo unico n. 1611 del 1933 e dalle leggi di contabilit di Stato. Considerate le circostanze, ritiene la Sezione che nessun legittimo affidamento altrui si possa essere formato col bando o nel corso del procedimento seguito dallatto di aututela. Le ATI concorrenti non hanno utilizzato, invero, in sede di partecipazione alla gara, lordinaria diligenza, non potendo certamente sfuggire a professionisti del settore giustizia, e per di pi alle compagini professionali di indubitabile valore che hanno partecipato alla gara stessa, il fatto che questa era stata bandita in una situazione di manifesto contrasto con il medesimo testo unico. Oltre dunque alle considerazioni sopra riportate sulla rilevanza in s delle norme imperative (ci che gi rileverebbe per escludere un legittimo affidamento), nella specie proprio la qualit dei professionisti coinvolti avrebbe dovuto da subito far loro constatare la manifesta illegittimit della iniziale determinazione dellAmministrazione: ci evidenzia non solo la mancanza di un legittimo affidamento, ma anche la loro colpa professionale, dal momento che rientra - o deve rientrare - nel bagaglio di comune conoscenza degli avvocati la regola per cui le Amministrazioni statali si avvalgono e si devono avvalere del patrocinio della Avvocatura dello Stato. M.B. 38 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 Gli atti amministrativi (e negoziali) elusivi del patrocinio obbligatorio dello Stato non possono suscitare nel privato alcun affidamento (*) La complessa controversia su cui si espresso il Consiglio di Stato, con la sentenza in commento, muove dalla inopinata pubblicazione di un bando per la fornitura di servizi legali (di assistenza e consulenza) a una amministrazione dello Stato. Aggiudicata la gara, la Pa successivamente, verificata la mancanza dei requisiti, annullava laggiudicazione al primo Studio legale in graduatoria e aggiudicava la gara al secondo. Ci portava alla reazione giurisdizionale dellex aggiudicatario, e, come effetto riflesso, allinvito dellAvvocatura, cos venuta a conoscenza del bando, affinch la PA revocasse il bando: quod evenit, previo parere del generale Ufficio che sottolineava, oltre alla violazione della riserva della funzione di assistenza ex art. 1 Rd 1611/33, nonch della procedura derogatoria che deve svolgersi, caso per caso e non per una serie di casi indeterminata, ai sensi dellart. 5 del Rd 1611, anche lo spreco di denaro pubblico insito in tale violazione di legge. Reagivano cos, con autonomi ricorsi, i due Studi legali (primo e secondo aggiudicatario) ottenendo solo parziale soddisfazione con la sentenza del TAR Lazio sez. II Ter n. 6257/09, che liquidava loro 30.000 ciascuno a titolo di risarcimento del danno, avendo la PA, con il suo bando, suscitato il legittimo affidamento dei ricorrenti. Nel merito dellaffare, invece, la Sezione rilevava la violazione delle inderogabili norme di cui allart. 1 e 5 Rd 1611/33 quanto allassistenza in giudizio, e, quanto alla consulenza legale, lobbligo della PA di avvalersi dei propri organi consultivi (Avvocatura dello Stato e Consiglio di Stato), o di ricorrere, in caso di assoluta necessit, a una motivata determinazione sul perch la PA decida di non avvalersene. Il TAR sottolineava anche che laffidamento in via sistematica ad avvocati del libero foro della consulenza stragiudiziale come modalit di assistenza nellespletamento dei propri compiti deresponsabilizzasse i dirigenti, portandoli anzi a concordare ogni scelta con i legali di tali studi, con vulnus dellart 97 Cost. Il Generale Ufficio appellava, sostenendo che non potessero due studi legali, tenuti alla diligentia diligentissimi, ignorare linvalidit del bando, ergo, non potevano essere destinatari di alcun risarcimento, non versando in buonafede perch in colpa grave. Gli appellati reagivano a loro volta, non solo chiedendo un aumento del chiesto risarcimento, ma soprattutto chiedendo lannullamento della sentenza della parte in cui confermava lannullamento del bando. In primo luogo la sentenza afferma la natura inderogabile della riserva al (*) Nota a commento alla stessa sentenza in rassegna a cura dellavv. dello Stato che ha curato entrambi i gradi di giudizio della causa. TEMI ISTITUZIONALI 39 patrocinio dellAvvocatura delle Amministrazioni dello Stato. Questa norma, lart. 1 Rd 1611, non solo realizza un risparmio di spesa, ma soprattutto consente alla PA di essere stabilmente assistita da un corpo di Avvocati indipendenti (1), perch esclusivamente al suo servizio, e altres qualificati dal doppio concorso di accesso. Inoltre, sul fronte dei cittadini, garantisce la loro parit di trattamento, per il coordinamento della difesa sulle stesse questioni, che quindi non vengono abbandonate in una Regione e coltivate in unaltra. Si ricorda che lart. 1 del Codice etico dellAvvocatura generale impone agli Avvocati dello Stato di agire in piena indipendenza dalle Amministrazioni e secondo le proprie motivate convinzioni giuridiche ed etiche. Le eventuali deroghe al Patrocinio devono avvenire caso per caso, sentita lAvvocatura, il ministro delle finanze e con delibera del Consiglio dei ministri, ex art. 5 Rd 1611/33 nei casi previsti dal Governo (che in 80 anni nulla ha previsto). Le stesse conclusioni del TAR sullattivit di consulenza sono ribadite dal Supremo Consesso. A parte che nel caso di specie assistenza e consulenza erano inestricabili, tanto pi lo sono anche in astratto, sicch, essendo dotato lo Stato di numerosi organi consultivi (oltre lAvvocatura generale e il Consiglio di Stato, ricordati dal Collegio: si pensi al Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici) mancava una motivazione sulla necessit di ricorrere al mercato dei servizi (2). (1) Anzi sono equiparati ai Magistrati dellOrdine Giudiziario (art. 23 RD 1611 ) e non possono occupare altri impieghi (art. 24 Rd 1611). (2) Non sussistendo precedenti in termini, opportuno, sul punto, riportare parte della motivazione della sentenza Tar Lazio, sez. II, n. 6527/2009, parzialmente riformata dal Consiglio di Stato con la sentenza in esame. Al riguardo, il Tar Lazio disponeva che leventuale ammissibilit dellaffidamento del servizio di assistenza giudiziale ad avvocati del libero foro potrebbe provocare disservizi anche di carattere organizzativo se si considera anche il tenore dellart. 11 del RD n. 1611/1933 secondo cui gli atti giudiziari devono essere notificati, a pena di nullit, presso lAvvocatura dello Stato, nel senso che gli organi di difesa erariale sono tenuti ad assumere la difesa in giudizio in favore delle amministrazioni statali. Ci che si vuole dire che, seppure nulla escluda che un soggetto giuridico possa essere difeso da pi patrocinatori, nel caso delle amministrazioni statali, in difetto dellautorizzazione rilasciata ai sensi del citato art. 5 del R.D. n. 1611/1933, la difesa erariale non pu abdicare alle proprie funzioni defensionali lasciando ad avvocati del libero foro la decisione sulle strategie da intraprendere durante le varie fasi del giudizio verosimile supporre che, in assenza di rapporti chiari in ordine alla responsabilit da assumere in sede di giudizio (perch non attivata a priori la procedura di cui al citato art. 5 del RD n. 1611/1933 che consente alla difesa erariale di abdicare ai propri obblighi defensionali in favore delle amministrazioni statali) ed in mancanza di accordo sulle strategie da intraprendere, la linea da privilegiare debba essere quella proposta dallAvvocatura dello Stato (cfr. art. 13 RD n. 1611/1933 nella parte in cui dispone che la stessa provvede a consigliarle e dirigerle quando si tratti di promuovere, contestare o abbandonare giudizi ), rendendo quindi inutile (o inutilizzabile) lapporto da parte dello studio legale a cui stato affidato, con un appalto oneroso, il servizio di assistenza giudiziale. Analoghe considerazioni valgono con riferimento allattivit di consulenza stragiudiziale, seppure non sia rinvenibile una norma espressa nel RD n. 1611/1933 che imponga il ricorso obbligatorio allAvvocatura dello Stato. Pur tuttavia, il Collegio dellavviso che, pur in assenza di una norma espressa in tal senso, sussistano comunque nellordinamento una serie di norme che consentono alle amministrazioni statali, prima di rivolgersi al mercato dei servizi legali, di avvalersi di organismi istituzionali che, anche per la loro autorevolezza, sono preposti - tra laltro - ad affiancarle 40 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 Linderogabilit delle cennate disposizioni, sul piano procedimentale e della motivazione dellatto di secondo grado di annullamento di ufficio, che ex 21 nonies L. proc. amm., impone sussistano ragioni dinteresse pubblico e la valutazione degli interessi della PA e degli interessati, la sentenza, oltre a qualificare in re ipsa linteresse a impedire lo spreco di pubblico denaro (2.700.000 Euro in tre anni) puntualmente citato dal parere del generale Ufficio, richiamato in parte motiva dallatto impugnato, ritiene in re ipsa linteresse della PA alla doverosa osservanza di un obbligo inderogabile di legge prevalente su ogni altro e da non esplicitare in modo particolare in motivazione. Si deve quindi concludere che esistano almeno due livelli di offensivit per lordinamento delle norme violate da un provvedimento - che non sia nullo o inesistente, altrimenti non si parlerebbe di auto annullamento - : la violazione di legge (che non pu consistere nella mera irregolarit, ma deve coincidere con lentit del vizio per cui sia possibile richiedere al giudice lannullamento o la disapplicazione dellatto) e la doverosa osservanza di un obbligo inderogabile di legge che fa sempre presumere la sussistenza di un interesse in re ipsa allautoannullamento, e quindi consente una motivazione che prescinda dal bilanciamento con gli interessi dei privati da esso incisi. Sotto questo profilo, e alla luce dellart. 21 nonies, va precisato che la valutazione del preminente interesse pubblico in re ipsa, una formula tradizionale, che proprio per la sua caratteristica di diritto vivente, essendo ribadita da innumerevoli sentenze, merita una riflessione (3). nella soluzione di questioni controverse, attraverso la formulazione di appositi pareri. noto, infatti, che sia lAvvocatura dello Stato che il Consiglio di Stato, in sede consultiva, possono essere consultati dalle amministrazioni statali e ci previsto, nel primo caso, dal citato art. 13 del RD n. 1611/1933 (nella parte in cui dispone che lAvvocatura dello Stato provvede alle consultazioni legali richieste dalle Amministrazioni .) e, nel secondo, dallart. 14 del RD n. 1054/1924 secondo cui il Consiglio di Stato d parere sugli affari di ogni natura, pei quali sia interrogato dai Ministri . A ci si aggiunga che lart. 7, comma 6, del D.lgs n. 165/2001 prevede la possibilit per le amministrazioni pubbliche, per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, (di) conferire incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria , che peraltro devono essere affidati attraverso procedure comparative disciplinate secondo i rispettivi ordinamenti (cit. art. 7 comma 6 bis) Il Collegio, poi, non pu non evidenziare come affidare, in maniera sistematica (se non addirittura in via ordinaria), lattivit di consulenza stragiudiziale ad avvocati del libero foro come modalit di assistenza continua nellespletamento di compiti affidati allamministrazione statale porti con s il rischio di deresponsabilizzare la dirigenza e gli organi amministrativi preposti dalla legge al perseguimento degli obiettivi istituzionali. In altre parole, affiancare agli organi degli uffici ministeriali uno studio legale che li supporti costantemente nellespletamento delle funzioni ad essi affidate comporta che gli stessi possano essere indotti a non adottare scelte se prima non le abbiano confrontate (recte: concordate) con gli avvocati del libero foro nella loro veste di consulenti. Ci pu costituire fonte di deresponsabilizzazione degli organismi pubblici, in contrasto con il disegno delineato, in particolare, dal D.lgs n. 165/2001. (Tar Roma, Lazio, sez. II, 7 luglio 2009, n. 6527, in De Jure). (3) La giurisprudenza, infatti, ha costantemente ritenuto che vi siano determinate ipotesi in cui linteresse pubblico allannullamento sia in re ipsa e che, pertanto, non necessiti di risultare da una specifica motivazione: ҏ il caso in cui il provvedimento originario costituisca la risultante di unattivit TEMI ISTITUZIONALI 41 Certamente, per procedere allannullamento dufficio occorre che latto sia affetto da un vizio di legittimit, e quindi non da una mera irregolarit o da vizi che ne comportino la nullit. Tuttavia, riprendendo la tradizionale formula dellinteresse pubblico, la cui sussistenza richiesta ai fini di questa autotutela, che non deve essere solo quello di ripristinale la legalit, deve osservarsi che il vizio in questione deve non solo avere reso illegittimo latto, ma anche avere leso un altro valore superiore tutelato dallordinamento. Tradizionalmente, linteresse in re ipsa stato ravvisato (lo fa anche questa decisione) nella necessit di non recare un aggravio alle finanze pubbliche. Questo altro non che la esigenza di evitare e sanare un possibile danno erariale (4). Ma come levitamento del danno erariale, cos anche il danno in generale, recato a terzi, deve essere giudicato un valore tale da giustificare lautotutela, pi che in re ipsa, con una motivazione sintetica che tale valore richiami. Andellamministrazione vincolata, tanto nellan quanto nei modi di esercizio. In tali casi, infatti, lindividuazione dellinteresse pubblico ed il modo di soddisfarlo sono predeterminati dalla legge e il vizio del provvedimento si risolve nel dar vita ad effetti contrastanti con la disciplina giuridica dettata dalla norma. Le tradizionali ipotesi di annullamento doveroso sono quelle dellottemperanza ad una decisione del Giudice ordinario passata in giudicato in cui un atto amministrativo sia stato ritenuto illegittimo ; della decisione negativa di unautorit di controllo cui non competa direttamente il potere di annullamento; dellannullamento di un atto consequenziale come necessaria conseguenza dellannullamento (giurisdizionale o amministrativo) dellatto presupposto. Oltre alle ipotesi ora esposte, la giurisprudenza pi recente ha individuato ulteriori ipotesi di interesse pubblico in re ipsa. Ad esempio, si ritiene non necessaria la verifica dellesistenza di un interesse pubblico qualora non sia trascorso un apprezzabile lasso di tempo dallemanazione del provvedimento. (F. CARINGELLA, Manuale di diritto amministrativo, 2010, DIKE Giuridica Editrice, p. 1305). (4) E sufficiente al riguardo richiamare quella giurisprudenza che considera che linteresse pubblico allannullamento dufficio di un provvedimento illegittimo ҏ in re ipsa e non richiede specifica motivazione, in quanto latto oggetto di autotutela produce un danno per lamministrazione consistente nellesborso di denaro pubblico senza titolo N rileva il tempo trascorso dalla sua emanazione. (Consiglio di Stato, sez. V, 31 dicembre 2008, n. 6735, in De Jure). In altre parole, non necessaria una diffusa motivazione sulla sussistenza del c.d. interesse pubblico attuale a disporre lannullamento (in quanto esso sussiste in re ipsa), n rileva il tempo decorso dalla sua emanazione, quando latto illegittimo abbia conseguenze permanenti e perduranti e comporti lesborso di denaro pubblico senza titolo quando vi una situazione attualmente contra jus, pu essere senzaltro emanato il provvedimento che ripristina la legalit. (Consiglio di Stato, sez. V, 24 febbraio 1996, n. 232, in Consiglio di Stato, 1996, I, p. 245). Il buon andamento della pubblica amministrazione, secondo lorientamento, assolutamente univoco, della giurisprudenza amministrativa, infatti, viene considerato come principio di corretta amministrazione delle risorse finanziarie pubbliche; principio, che ai sensi dellart. 97 della Costituzione, devessere immanente alla gestione della funzione pubblica. Invero, da un lato, la citata norma costituzionale affida alla legge il compito di organizzare i pubblici uffici, in modo da assicurare il buon andamento e limparzialit dellamministrazione e, dallaltro, lart. 1 della L. 241/1990, stabilendo che lattivit amministrativa persegue i fini determinati dalla legge, rinviene nei criteri di economicit, efficacia e pubblicit, le basi su cui tale attivit deve reggersi. Dal testo delle richiamate norme dunque possibile affermare che, sul versante dellinteresse pubblico, il compito della legge sia quello di assicurare, nella disciplina dellattivit pubblica, che questa sia tempestiva, equilibrata nei costi e capace di raggiungere i fini cui tende. Essendo lattivit della P.A. volta alla concreta cura dellinteresse collettivo, infatti, diviene essenziale il rispetto delleconomicit della sua azione, al fine di conseguire un risultato positivo in termini di costi e benefici. (F. CARINGELLA, Manuale di diritto amministrativo, cit., pp. 1305 1306). 42 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 cora: tale stata giudicata lillegittimit, che, violando anche il diritto comunitario, esponga lo Stato a una responsabilit. Pi in generale, potrebbe includersi nellelenco ogni violazione del diritto internazionale (5). E, nel caso di specie, la motivazione aggiunge che linteresse pubblico derivava anche dal fatto che latto annullato aveva privato altra Amministrazione delle proprie attribuzioni, id est lAvvocatura dello Stato del patrocinio, altrimenti istituzionale e obbligatorio, dello Stato. Quindi anche lalterazione delle competenze di altra Amministrazione una gross violation che giustifica, con motivazione sommaria (in re ipsa) lautotutela. Il consiglio non affronta poi, lelemento dellinteresse dei soggetti coinvolti dal procedimento. Premesso che corretto omettere, in caso di gross violation, una comparazione dei due interessi, pubblico e privato, prevalendo il primo, lart. 21 nonies ha il torto di avere (apparentemente) eliminato dal quadro dei presupposti dellautotutela il legittimo affidamento, che non dato semplicemente dalla somma tra il tempo occorso e la sussistenza di un interesse, di una pretesa a un bene della vita (qui: un appalto da 2,7 milioni di euro), ma implica la buona fede, che, essendo esclusa dalla colpa grave, come (5) Circa la violazione del diritto comunitario, utile segnalare che un orientamento giurisprudenziale e dottrinario sostiene la doverosit per lAmministrazione dellintervento in autotutela laddove ci sia reso necessario dal contrasto con le norme comunitarie. Lacclarata supremazia del diritto comunitario, del resto, vincola direttamente non solo lo Stato che non abbia recepito e applicato la norma nellordinamento interno ma anche la pubblica amministrazione. Un diverso orientamento, invece, ritiene che lannullamento in autotutela debba essere sempre subordinato alla concreta verifica della sussistenza di un interesse pubblico. (F. CARINGELLA, Manuale di diritto amministrativo, cit., p. 1308). A sostegno di questultimo assunto stato puntualizzato che per quanto concerne l'annullamento d'ufficio, l'art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990 ha indicato quali presupposti per l'esercizio di tale potere, oltre all'accertamento dell'originaria illegittimit dell'atto, la sussistenza delle ragioni di interesse pubblico, il decorso di un termine ragionevole (e quindi non eccessivamente lungo) e la valutazione degli interessi dei destinatari e dei controinteressati. Tali principi non vengono derogati quando il vizio di illegittimit del provvedimento da rimuovere consiste nella violazione del diritto comunitario (cfr. C.d.S., sez. VI, 3 marzo 2006, n. 1023 e 4 A. 2008, n. 1414). Infatti, anche nell'ordinamento comunitario, la sola illegittimit dell'atto non elemento sufficiente per giustificare la sua rimozione in via amministrativa, in quanto necessaria una attenta ponderazione degli altri interessi coinvolti tra cui quello del destinatario che ha fatto affidamento sul provvedimento illegittimo. Secondo la Corte di Giustizia, la revoca di un atto illegittimo consentita entro un termine ragionevole e se la Commissione ha adeguatamente tenuto conto della misura in cui il privato ha p-tuto eventualmente fare affidamento sulla legittimit dell'atto (Corte Giust. CE 26 febbraio 1987 - C-15/85). Anche con la sentenza Knhe il giudice comunitario, pur affermando che il giudicato formatosi su una interpretazione ritenuta poi non conforme al diritto comunitario dalla stessa Corte di Giustizia non costituisce un limite all'esercizio dei poteri di autotutela, ha ribadito che il diritto comunitario non esige, in linea di principio, che un organo amministrativo sia obbligato a riesaminare una decisione amministrativa che ha acquistato carattere definitivo, in quanto la certezza del diritto inclusa tra i principi generali riconosciuti nel diritto comunitario e il carattere definitivo di una decisione amministrativa, acquisito alla scadenza dei termini ragionevoli di ricorso o in seguito all'esaurimento dei mezzi di tutela giurisdizionale, contribuisce a tale certezza (Corte di Giustizia, 13 gennaio 2004 - C-453/00). ( Cons. giust. amm. Sicilia sez. giurisd., 21 aprile 2010, n. 553, in De Jure; conforme Consiglio di Stato, 4 aprile 2008, n. 1414, in De Jure). TEMI ISTITUZIONALI 43 il Consiglio afferma di seguito sul capo del risarcimento danni, nel caso di specie non sussiste. Sotto il profilo civilistico, pienamente condiviso, con affermazione esplicita della colpa professionale dei concorrenti, largomento dellappello che in concreto i ricorrenti, dovendo conoscere lesistenza dellAvvocatura dello Stato, non potessero vantare alcun affidamento, ma anche, in astratto, che lignoranza delle norme imperative non pu essere opposta n invocata da alcuno; ergo, in caso di violazione di una norma imperativa, nessuno in buona fede, dovendola conoscere, e quindi non spetta il risarcimento ex 1337 c.c. (6). Del resto i contraenti, se concludessero il contratto, incorrerebbero in una nullit ex art. 1418 c.c., dunque i medesimi, quale che sia lo stato delle trattative, e pure in presenza di ipotetico preliminare, dovrebbero astenersi dal compiere atto inutile e contrario allordinamento; nelle gare pubbliche questo comporta lobbligo di annullare gli atti di gara. Lart. 1 Rd 1611/33 quindi una norma imperativa, che, se, violata, sul piano negoziale comporta la nullit (art. 1418 c.c.) del contratto che vi deroghi. Le norme imperative, come noto, non devono contenere una testuale san- (6) Al riguardo, il Consiglio di Stato si conformato allormai consolidato orientamento giurisprudenziale espresso dalle Sez. Un., 11 febbraio 1982, n. 835, alla stregua del quale non pu configurarsi responsabilit per colpa in contraendo, quando la causa di invalidit del negozio, ancorch nota a uno dei contraenti e da questi taciuta, derivi da una norma di legge che, per presunzione assoluta, deve essere nota alla genericit dei sottoposti allordinamento giuridico. (Sez. Un., 11 febbraio 1982, n. 835 in Rassegna dellAvvocatura dello Stato, 1982, I, p. 501; conforme Cass., Sez. I, 29 luglio 1987, n. 6545, in Rivista trimestrale degli appalti, I, p. 231). Pi di recente, e con maggior precisione, la Suprema Corte ha statuito che se la causa di invalidit del negozio deriva da una norma imperativa o proibitiva di legge, o da altre norme aventi efficacia di diritto obiettivo, tali cio da dover essere note per presunzione assoluta alla generalit dei cittadini e, comunque, tali che la loro ignoranza bene avrebbe potuto e dovuto essere superata attraverso un comportamento di normale diligenza, non si pu configurare colpa precontrattuale a carico dellaltro contraente, che abbia omesso di far rilevare alla controparte lesistenza delle norme stesse. (Corte di Cassazione, sez. III, 26 giugno 1998, n. 6337, in Giustizia civile, 1998, I, p. 2773). E bene rilevare, inoltre, che la pronuncia in esame supera le critiche mosse dalla dottrina secondo cui lautomatica qualificazione dellignorantia legis in termini di colpa, quale criterio generale ed assoluto sul quale fondare lassenza della responsabilit precontrattuale, escluderebbe la possibilit di dar spazio ad un giudizio concreto, cos ritenendo inammissibile distinguere di volta in volta fra norma e norma (al fine di valutarne in concreto il grado di conoscibilit), fra contraente e contraente (al fine di determinare caso per caso il grado di esperienza e, correlativamente, lintensit dellonere di diligenza a suo carico), fra situazione e situazione (onde poter tenere conto delle pi imprevedibili circostanze di fatto). (G. SAPIO, Ignorantia legis e responsabilit precontrattuale, in Giustizia civile, 1998, I, p. 2774; in conformit a tale orientamento, Trib. Pescara 4 marzo 1978, in Riv. dir. comm., 1982, II, p. 233 e Trib. Roma 14 maggio 1980, in Temi rom., 1980, p. 531). Il Consiglio di Stato, infatti, alle considerazioni sulla rilevanza in s delle norme imperative aggiunge, attraverso lanalisi del caso concreto, che nella specie proprio la qualit dei professionisti coinvolti avrebbe dovuto da subito far loro constatare la manifesta illegittimit della iniziale determinazione dellAmministrazione: ci evidenzia non solo la mancanza di un legittimo affidamento, ma anche la loro colpa professionale, dal momento che rientra o deve rientrare nel bagaglio di comune conoscenza degli avvocati la regola per cui le Amministrazioni statali si avvalgono e si devono avvalere del patrocinio della Avvocatura dello Stato. 44 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 zione di nullit (cfr Cass. 3272/01, inter plurimas); la nullit in questo caso definita virtuale, dipende dalla circostanza che la norma persegua un interesse pubblico che trascenda i contingenti interessi delle parti del contratto (7). Tale evidentemente, non pu non essere la norma in esame che categoricamente dispone che la rappresentanza , lassistenza e la difesa in giudizio delle Amministrazioni dello Stato spettano allAvvocatura dello Stato e che seguita dalla norma dellart. 5 che categoricamente dispone Nessuna Amministrazione dello Stato pu richiedere lassistenza di avvocati del libero foro. Ci, per le ragioni supra compendiate: risparmio di spesa, unitariet degli indirizzi di difesa, determinati dallAvvocato generale (art. 15 RD 1611/33). Tali interessi trascendono quelli delle singole Amministrazioni, che non possono rinunziare a questa unitaria funzione n privare delle sue competenze lAvvocatura, che, non a caso, essendo organo dello Stato e non delle singole Amministrazioni, dipende dalla presidenza del Consiglio (art. 17, RD 1611/33). Una sentenza, che oltre a difendere lunitariet della difesa dello Stato, esprime principi degni di approfondimento in diritto civile e amministrativo. Avv. Roberto de Felice* (7) In presenza di un contratto contrario a norme imperative, la mancanza di una espressa sanzione di nullit dellatto negoziale, in conflitto con il divieto, non rilevante ai fini della nullit, in quanto vi sopperisce il combinato disposto dai commi 1 e 3 dellart. 1418 c.c., che rappresenta un principio generale rivolto a prevedere e disciplinare proprio quei casi in cui alla violazione dei precetti imperativi assoluti non si accompagna una previsione di nullit. (Cass. n. 6691 del 1987; n. 6601 del 1982; n. 5311 del 1979; n. 1901 del 1977). (Cass., Sez. I, 7 marzo 2001, n. 3272, in Giustizia civile, 2001, I, p. 2111). (*) Avvocato dello Stato. TEMI ISTITUZIONALI 45 Consiglio di Stato, Sezione Sesta, sentenza 3 febbraio 2011 n. 780 - Pres. Maruotti, Rel. Buonvino - Ministero delle Politiche Agricole, Agrarie e Forestali (avv. Stato R. de Felice) c. Studio legale A (avv. prof. F. G. Scoca) e Studio Legale B (avv. M. Sanino) - Riforma parzialmente Tar Lazio Sez. II ter, 6527/09. Appalti pubblici - Appalti di servizi - Servizi legali - Consulenza - Possibile ricorso agli Organi Consultivi dellAmministrazione Appaltante e dello Stato - Deroga - Stringente motivazione - Necessit Lamministrazione dello Stato che pubblichi il bando di gara relativo allappalto di servizi legali di consulenza, per una serie indeterminata di casi, a privati, violando la competenza dellAvvocatura generale dello Stato e degli altri Organi consultivi dello Stato, deve puntualmente motivare sulle necessit di tale deroga, in difetto, deve annullare dufficio il bando e i successivi atti della procedura (L. 7 agosto 1990 n. 241 art. 3) Appalti pubblici - Appalti di servizi - Servizi legali - Riservati allAvvocatura generale dello Stato - Annullamento dufficio del bando - Doverosa osservanza di obbligo inderogabile di legge - Giustificazione di un interesse pubblico diverso dal ripristino della legalit - Immanenza Lamministrazione dello Stato che annulli dufficio il bando di gara relativo al non consentito - da norma imperativa - appalto di servizi legali comprensivi dellassistenza legale, per una serie indeterminata di casi, a privati, violando la competenza dellAvvocatura generale dello Stato - non tenuta a motivare sullinteresse pubblico, diverso da quello del mero ripristino della legalit, soddisfatto dallatto, trattandosi di doverosa osservanza di un obbligo inderogabile di legge (L. 7 agosto 1990 n. 241 art. 21 nonies; Rd 30 ottobre 1933 n. 1611 art. 1) Appalti pubblici - Appalti di servizi - Servizi legali - Riservati allAvvocatura generale dello Stato - Annullamento dufficio del bando - Responsabilit precontrattuale della PA - Non sussiste Lamministrazione dello Stato che annulli dufficio il bando di gara relativo al non consentito - da norma imperativa - appalto di servizi legali comprensivi dellassistenza legale, per una serie indeterminata di casi, a privati, violando la competenza dellAvvocatura generale dello Stato - non tenuta ad alcun risarcimento ai concorrenti aggiudicatari, poich questi non possono vantare alcun affidamento, dovendo essere loro nota tale norma imperativa sia come consociati sia nella loro qualit di studi legali associati (c.c., artt. 1337, 1338) (Omissis) FATTO e DIRITTO 1. Con la sentenza impugnata il TAR, previa riunione dei ricorsi nn. (...) e (...), ha dichiarato improcedibile il ricorso introduttivo n. (...), ha respinto i relativi motivi aggiunti unitamente al ricorso n. (...) ed ha accolto la domanda di risarcimento del danno formulata in primo grado, 46 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 con cui stata dedotta la sussistenza di una responsabilit precontrattuale del Ministero delle Politiche agricole, condannando lAmministrazione al pagamento di 30.000 euro, in favore di ciascuna associazione temporanea, ricorrente in primo grado. 2. Con il ricorso introduttivo n. (...), in particolare, proposto dallo studio legale (A), in proprio e nella qualit di mandataria dellATI con lo studio legale (A1), stato chiesto lannullamento) del provvedimento n. 004439 del 4 agosto 2008 con cui il Ministero intimato ha revocato laggiudicazione della gara per la fornitura di servizi legali relativi alla protezione delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche, con rifusione dei danni asseritamente patiti; con i relativi motivi aggiunti stato chiesto lannullamento del decreto n. 9698 del 27 novembre 2008 con cui il Capo del Dipartimento delle Politiche di sviluppo economico e rurale del Ministero intimato ha revocato, in via di autotutela, il bando di gara per la fornitura di servizi legali relativi alla protezione delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche pubblicato sulla GUCE in data 17 febbraio 2007 e sulla GURI (Gazzetta ufficiale della Repubblica Italiana) del 2 marzo 2007. Con il ricorso n. (...), lo studio legale (B), in proprio e nella qualit di mandataria dellATI con lo studio legale (B1) e lo studio legale (B2) (in seguito: (B)), ha chiesto lannullamento dellanzidetto decreto n. 9698 del 27 novembre 2008, di tutti gli atti connessi, presupposti e consequenziali ed, in particolare, del parere dellAvvocatura dello Stato n. 119799 del 15 ottobre 2008, oltre alla condanna del Ministero al risarcimento dei danni. Con bando pubblicato sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica Italiana del 2 marzo 2007, il Ministero resistente (Dipartimento delle Politiche di sviluppo economico e rurale) aveva indetto una gara avente ad oggetto la fornitura (per la durata di un triennio e per un importo a base dasta di euro 2.700.000,00) dei servizi legali comprensivi di quelli di assistenza nelle procedure contenziose, relativi alla protezione delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche in Italia, in Europa e nel mondo (art. 1 del capitolato doneri), rivolta agli studi legali associati con le caratteristiche indicate nellart. 5 del predetto capitolato (in particolare, erano ammessi a partecipare studi legali con un numero di associati, iscritti allalbo degli avvocati, non inferiore a venti alla data di pubblicazione del bando sulla GUCE, ovvero il 17 febbraio 2007). In un primo momento (30 maggio 2008), la gara era stata aggiudicata allATI ricorrente (ATI (A)), ma, in seguito alle verifiche sul possesso dei requisiti previsti dal art. 5 del capitolato doneri (ovvero il numero di associati, iscritti allalbo degli avvocati, non inferiore a venti alla data di pubblicazione del bando sulla GUCE), il Ministero aveva revocato, con provvedimento n. 4439 del 4 agosto 2008, laffidamento in favore dellATI (A) ed aggiudicato il servizio alla seconda classificata, lATI (B). In particolare, lamministrazione resistente aveva ritenuto che la documentazione presentata, in sede di verifica, dallATI (A) non fosse sufficiente a provare il possesso, alla data di pubblicazione del bando sulla GUCE (17 febbraio 2007), del requisito previsto dal citato art. 5 del capitolato doneri, relativo al numero minimo di associati (venti) iscritti allalbo degli avvocati. Di tale atto l'ATI (A) ha chiesto l'annullamento ed, in via subordinata, la condanna del Ministero al risarcimento dei danni. A seguito dellacquisizione, da parte del Ministero, del parere 15 ottobre 2008 dellAvvocatura Generale dello Stato (con cui, dopo aver chiarito che la decisione di affidare il servizio di che trattasi a studi legali non rispettava lart. 1 del R.D. n. 1611/1933, ha proposto allo stesso Dicastero di procedere alla revoca, in autotutela, del bando di gara), il Ministero stesso, con de- TEMI ISTITUZIONALI 47 creto n. 9608 del 27 novembre 2008, ha revocato il bando di gara in argomento; provvedimento, questo, impugnato dallATI studio legale (A) con motivi aggiunti depositati in giudizio il 20 febbraio 2009. Con il ricorso RG n. 1236/2009, lATI studio legale (B) ha chiesto, a sua volta, lannullamento del decreto n. 9698 del 27 novembre 2008 di revoca del bando di gara di che trattasi e, in via subordinata, ha chiesto la condanna del Ministero al risarcimento dei danni. 3. I primi giudici, riuniti i ricorsi per motivi di connessione, hanno ritenuto opportuno anticipare lesame dei motivi aggiunti al ricorso n. 9038/2008 e del ricorso n. 1236/2009, avendo il loro esito effetti sulla pronuncia da adottare con riferimento al ricorso introduttivo del giudizio RG n. 9038/2008. Al riguardo, il TAR ha ritenuto legittimo lannullamento operato dallAmministrazione in via di autotutela. Quanto alla pretese risarcitorie, il TAR: - ha respinto quelle avanzate dalle ATI interessate in ragione della mancata aggiudicazione della gara di che trattasi, ci in ragione del fatto che il provvedimento di revoca (recte: annullamento) del bando non era risultato inficiato dai vizi dedotti, con il conseguente automatico travolgimento degli atti di aggiudicazione in favore, prima, dellATI (A) e, poi, dellATI (B); - ha invece ritenuto sussistente la responsabilit precontrattuale dellamministrazione, atteso che, da un lato, le trattative fra le parti erano state interrotte dallannullamento in autotutela dellintera procedura selettiva e, dallaltro, erano intercorsi 21 mesi dallindizione della gara alladozione del decreto che ha posto nel nulla lintera procedura per ragioni idonee come, in precedenza, precisato alle quali, attesa la chiarezza preclusiva del dato normativo, non poteva neppure ostare il fatto che, in precedenza, lo stesso Dicastero aveva affidato, mediante gara, servizi similari; avendo, quindi, la P.A. posto in essere comportamenti che non salvaguardavano l'affidamento della controparte in modo da sorprendere la sua fiducia sulla conclusione del contratto, essa doveva risponderne per responsabilit precontrattuale ai sensi dell'art. 1337 cod. civ. ed il danno doveva essere risarcito nei limiti dellinteresse negativo (ovvero le spese di partecipazione alla procedura e la perdita di ulteriori occasioni di stipulazione di altri contratti). Ci posto, il primo giudice ha precisato che le ATI interessate nulla avevano provato con riferimento alla seconda voce di danno (ovvero la perdita di ulteriori occasioni di stipulazione di altri contratti) tanto che, in questa parte, la richiesta di risarcimento andava dichiarata inammissibile per mancanza di prova; quanto, invece, alle spese di partecipazione, il Tribunale ha ritenuto di dover ricorrere alla valutazione equitativa del danno ai sensi dellart. 1226 c.c. anche con riferimento alla richiesta dellATI (B) che (nel quantificare la propria richiesta per un importo di circa 127.000,00 euro) si era limitata a quantificare, in via generale, un numero di ore per ogni singolo avvocato coinvolto nella procedura selettiva senza, tuttavia, produrre alcuna documentazione giustificativa a corredo. In conclusione, il TAR ha stimato equo liquidare, in favore dellATI (A) e dellATI (B), la somma di euro 30.000,00 (per ciascuno dei raggruppamenti), con laggiunta degli interessi legali dalla data di pubblicazione della sentenza fino alleffettivo soddisfo. 4. Avverso la sentenza propone appello, con due distinti ricorsi (identici, peraltro, nel contenuto), il Ministero delle Politiche agricole; il primo di essi (n. 8535/2009), notificato il 9 ottobre 2009, stato depositato il successivo 27 ottobre; il secondo (n. 9283/2009) stato notificato il 9 novembre 2009 e depositato il successivo 19 novembre. Ad avviso della Amministrazione appellante, poich lATI Grieco non sarebbe risultata esi- 48 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 stente, non avrebbe potuto presentare offerte e non avrebbe potuto conseguire, quindi, alcun risarcimento; inoltre, poich sia lATI (A) che lATI (B) erano espressione di qualificati professionisti, non avrebbero potuto non rendersi conto della invalidit del bando, con la conseguente riforma della sentenza appellata nella parte in cui ha riconosciuto il diritto di entrambe le associazioni di professionisti al risarcimento del danno. 5. In entrambi gli appelli svolgono gravame incidentale lATI (A) da un lato e lATI (B) dallaltro. La prima con lappello incidentale svolto nel ricorso n. 8535/2009 - eccepisce, anzitutto, la tardivit del deposito del primo dei citati appelli; ad ogni buon conto, deduce, nel merito, lerroneit della sentenza appellata sia per ci che attiene ai profili di merito (laddove stato riconosciuto legittimo lannullamento della gara) che a quelli risarcitori ed insistendo, altres (una volta riconosciuta la piena validit dellindizione della gara), per laccoglimento delle censure, non esaminate dal TAR, con le quali era stata dedotta lillegittimit della revoca dellaggiudicazione definitiva disposta in suo favore, in quanto non sarebbero sussistiti i presupposti per procedere in tal senso. Censure di merito analoghe, con la riproposizione, anche in questo caso, dei motivi non esaminati dai primi giudici, vengono svolte in seno al gravame incidentale proposto dallATI (A) nellappello n. 9283/2009. LATI (B), a sua volta, con appello incidentale svolto nel ricorso n. 8535/2009, censura la sentenza impugnata, anzitutto, per vizio di ultrapetizione, poich essa avrebbe affrontato una tematica (quella dellaffidamento, agli avvocati del foro libero, anche dellattivit di consulenza stragiudiziale) del tutto assente, si assume, nellatto impugnato e nelle stesse difese in giudizio; donde lerroneit della sentenza laddove basata su considerazioni legate direttamente allattivit stragiudiziale, con la conseguenza che lannullamento legato ai soli aspetti inerenti allattivit giudiziale avrebbe consentito allAmministrazione di revocare la procedura limitatamente alla sola attivit giudiziale o, in ogni caso, di esperire una nuova procedura avente ad oggetto la sola attivit stragiudiziale. Sempre lATI (B) deduce, poi, lerroneit della sentenza laddove non ha ravvisato lillegittimit del provvedimento di annullamento della procedura in assenza di un concreto interesse pubblico in tal senso atto a giustificarne ladozione, in un momento in cui era gi da tempo seguita la definitiva aggiudicazione, non essendo sufficiente il richiamo al semplice scopo del ripristino della legalit, n gli aspetti legati allesborso di denaro pubblico, questo essendo dovuto, principalmente, al solo espletamento della preponderante attivit stragiudiziale di cui si assume la piena legittimit anche se affidata a studi legali privati. Anche con riguardo allattivit contenziosa, ad ogni buon conto, la sentenza sarebbe erronea e formalistica in quanto, dallesame del capitolato speciale e dellofferta concretamente formalizzata dalla deducente, sarebbero emerse chiaramente le ragioni particolari giustificative (anche ai sensi dellart. 5 del r.d. n. 1611/1933) delloperata deroga, anche perch, nellinsieme, lattivit di carattere contenzioso in parola sarebbe stata marginale, aleatoria e del tutto indeterminata; quanto, poi, allattivit stragiudiziale, contrariamente a quanto ritenuto dal TAR, non esisterebbe, nel nostro ordinamento, alcuna disciplina normativa in grado di escluderne laffidamento a qualificati professionisti, conferma piena in tal senso dovendo, del resto, rinvenirsi nellart. 7, comma 6, del d.lgs. n. 165/2001 e nellallegato IIB del d.lgs. n. 163/2006. Contrariamente, poi, a quanto ritenuto dai primi giudici, nella specie sarebbe stato, a tutto concedere, anche possibile operare, in via di subordine, lannullamento solo parziale della gara, distinguendo tra attivit stragiudiziale e giudiziale ed espungendo dallaffidamento in base a TEMI ISTITUZIONALI 49 gara solo questultima, non essendo neppure ipotizzabili impedimenti in tal senso, tanto pi, si assume, nella considerazione dellassoluta modestia dellattivit contenziosa stessa. Quanto, infine, al risarcimento del danno, lATI (B) insiste, tenuto conto della fondatezza dellappello incidentale, per il pieno accoglimento delle domande avanzate in primo grado, ovvero, nellipotesi di rigetto, per la condanna dellAmministrazione alle somme richieste in primo grado che si assumono pienamente documentate, salvo, alloccorrenza, lesperimento, se ritenuto necessario, di unapposita CTU. Censure analoghe svolge lATI (B) nel gravame incidentale dalla medesima proposto in seno allappello n. 9283/2009; con memoria unica ribadisce, poi, i propri assunti difensivi. 6. (...) Nel merito, risulta fondato lappello principale del Ministero, mentre gli appelli incidentali autonomi svolti, in seno ad entrambi gli appelli, dallATI (A) (in disparte quanto potrebbe osservarsi in merito alla loro tempestivit), unitamente a quelli svolti dallATI (B), sono infondati. 7. Rileva la Sezione che oggetto della gara era la fornitura dei servizi legali comprensivi di quelli di assistenza nelle procedure contenziose, relativi alla protezione delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche in Italia, in Europa e nel mondo (punto II.1.5 del bando di gara e art. 1 del capitolato doneri). Poich nessunaltra specificazione era contenuta nel bando con riferimento alloggetto, ne conseguiva che lappalto riguardava sia la consulenza stragiudiziale in materia di (omissis), che la correlata difesa in giudizio innanzi agli organi giurisdizionali. Non pu pertanto condividersi lassunto secondo cui lattivit contenziosa avrebbe assunto carattere meramente residuale rispetto alla prevalente attivit stragiudiziale, ci non emergendo affatto dalla lex specialis della gara che poneva le due forme di attivit legale sullo stesso piano, con la conseguente inconfigurabilit di un preventivo giudizio di prevalenza; del resto, lattivit di consulenza stragiudiziale sfocia spesso, secondo comuni canoni desperienza, nellavvio di attivit precontenziosa e contenziosa, costituendo, in effetti, di sovente due facce della stessa medaglia, luna essendo il pi delle volte intimamente legata allaltra. In punto di fatto, poi, negli stessi progetti offerta formulati dalle ATI appellanti incidentali figurano (in particolare, e tra gli altri, punti 2 e 5 dellofferta dellATI (A) e n. 3, lett. A, pagg. 15/17, dellofferta dellATI (B)) significative quanto centrali attivit contenziose, collocate sullo stesso piano di quelle di consulenza legale e in sinergia con queste, in un rapporto spesso indissolubile. Come hanno rilevato correttamente i primi giudici per tale profilo, del resto, neppure poteva assumere carattere dirimente il fatto che lattivit di assistenza giudiziale sarebbe stata svolta a sostegno dei consorzi di tutela, poich ci che rilevava era che il bando di gara non solo non escludeva che la difesa in giudizio sarebbe stata svolta anche in favore dello stesso Ministero resistente, ma era stato predisposto utilizzando risorse economiche del bilancio statale, assegnate alla medesima amministrazione. Ci premesso, non pu convenirsi, con le ATI appellanti, nel ritenere erronea la sentenza per ci che attiene, anzitutto, alla ritenuta insussistenza delle ragioni particolari che, ai sensi dellart. 5 del r.d. n. 1611/1933, potrebbero giustificare leccezionale deroga ivi prevista (peraltro limitata a casi delimitati e non di certo limitativi delle attivit istituzionalmente spettanti allAvvocatura dello Stato). La deroga, in ogni caso, avrebbe dovuto essere debitamente esternata e puntualmente motivata sulla accertata ed irrisolvibile impossibilit della Avvocatura dello Stato di svolgere tempestivamente i suoi compiti istituzionali, anche tenuto conto dei verosimili, correlati aggravi di bi- 50 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 lancio; n la deroga poteva certamente emergere dai semplici contenuti dellofferta, quella derogatoria costituendo necessariamente valutazione preventiva rispetto allindizione della gara che non pu certamente trovare implicita giustificazione nei contenuti delle offerte presentate dai concorrenti e, in particolare, nel semplicemente asserito carattere marginale che lassistenza contenziosa avrebbe, in ipotesi, assunto in seno alle offerte concretamente avanzate. 8. Quanto allattivit stragiudiziale, deduce lATI (B) che, contrariamente a quanto ritenuto dal TAR, non esisterebbe, nel nostro ordinamento, alcuna disciplina normativa in grado di escluderne laffidamento a qualificati professionisti, conferma piena in tal senso dovendo, invero, rinvenirsi nellart. 7, comma 6, del d.lgs. n. 165/2001 e nellallegato IIB del d.lgs. n. 163/2006; e che, sul punto, i primi giudici sarebbero andati persino ultra petita, essendo rimasta del tutto assente, si assume, nellatto impugnato e nelle difese del Ministero la tematica afferente allaffidamento, agli avvocati del foro libero, anche dellattivit di consulenza stragiudiziale; donde lerroneit della sentenza laddove basata su considerazioni legate direttamente allattivit stragiudiziale, con la conseguenza che lannullamento legato ai soli aspetti inerenti allattivit giudiziale avrebbe consentito allAmministrazione di revocare la procedura limitatamente alla sola attivit giudiziale o, in ogni caso, di esperire una nuova procedura avente ad oggetto la sola attivit stragiudiziale. Ritiene la Sezione che anche tali doglianze non appaiono condivisibili, dal momento che la sentenza impugnata va interpretata nel senso che lattivit stragiudiziale possa essere anche conferita a terzi mediante procedura concorsuale o para concorsuale, ma previa esternazione delle ragioni che inducono ad una scelta siffatta. In particolare, hanno rilevato, i primi giudici, che, pur non essendo rinvenibile una norma espressa nel r.d. n. 1611/1933 atta ad imporre il patrocinio obbligatorio allAvvocatura dello Stato, non di meno era dato ritenere la sussistenza, nellordinamento, di una serie di norme idonee a consentire alle amministrazioni statali, prima di rivolgersi al mercato dei servizi legali, di avvalersi di organismi istituzionali che, anche per la loro autorevolezza, sono preposti tra laltro - ad affiancarle nella soluzione di questioni controverse, attraverso la formulazione di appositi pareri e, in particolare, alla stessa Avvocatura dello Stato o al Consiglio di Stato in sede consultiva; con laggiunta che lart. 7, comma 6, del d.lgs n. 165/2001 prevede la possibilit per le amministrazioni pubbliche, per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, (di) conferire incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria, che peraltro devono essere affidati attraverso procedure comparative disciplinate secondo i rispettivi ordinamenti (cit. art. 7 comma 6 bis). Ebbene, appare evidente che il TAR si correttamente limitato a ribadire la sussistenza, nellordinamento, di un ordinario onere di puntuale motivazione in presenza di scelte, da parte dellAmministrazione, in grado di incidere potenzialmente sul bilancio pubblico, scegliendo la strada della collaborazione pur in presenza di appositi organi deputati, come in particolare, nel caso delle amministrazioni statali, a fornire tale supporto di consultazione degli apporti di liberi professionisti; ci, evidentemente, per escludere la possibilit stessa per cui, una volta scartata la possibilit di affidare, mediante concorso, incarichi di natura contenziosa, potesse, non di meno, direttamente ridursi lambito della gara alla sola attivit professionale stragiudiziale senza previa, motivata indizione di una nuova gara circoscritta alla sola attivit stragiudiziale ora detta. Quesultima possibilit era ed logicamente da escludersi anche in considerazione della necessaria concatenazione che, nellottica concorsuale in esame, i due tipi di attivit erano ine- TEMI ISTITUZIONALI 51 vitabilmente destinati ad assumere. N, del resto, la riduzione delloggetto concorsuale potrebbe essere rimessa al giudice amministrativo, competendo alla sola amministrazione ogni valutazione discrezionale al riguardo. Daltra parte, non vՏ alcun dubbio sulla manifesta illegittimit degli originari atti con cui lAmministrazione aveva attivato e fatto proseguire il procedimento, per la scelta di professionisti che avrebbero dovuto svolgere lattivit istituzionalmente svolta dalla Avvocatura dello Stato (sicch il decreto n. 9608 del 27 novembre 2008 con evidenza va qualificato come di annullamento dei precedenti atti, e non certo quale revoca). Il citato testo unico n. 1611 del 1933, infatti, consente alle Amministrazioni statali di designare un professionista del libero foro solo nei casi previsti dalla legge e preclude radicalmente che la medesima attivit in luogo dellAvvocatura dello Stato - sia svolta da liberi professionisti con oneri a carico dello Stato. 9. Neppure appare condivisibile, poi, la censura secondo cui la sentenza impugnata sarebbe erronea laddove non ha ravvisato lillegittimit del provvedimento di annullamento della procedura, perch sarebbe mancato un concreto interesse pubblico in tal senso atto a giustificarne ladozione, in un momento in cui era gi da tempo seguita la definitiva aggiudicazione (non essendo sufficiente il richiamo al semplice scopo del ripristino della legalit, n gli aspetti legati allesborso di denaro pubblico, questo essendo dovuto, principalmente, al solo espletamento della preponderante attivit stragiudiziale di cui si assume la piena legittimit anche se affidata a studi legali privati). Non si tratta, infatti, nella specie, di semplice ripristino della legalit con un atto meramente discrezionale, ma di doverosa osservanza di un obbligo inderogabile di legge, oltre che di rispetto delle funzioni legalmente svolte dalla Avvocatura dello Stato (che neppure potrebbe rinunziarvi), cui si ricollegano anche rilevanti problemi di spesa pubblica; con la conseguenza che deve ritenersi in re ipsa linteresse alla rimozione del provvedimento illegittimo di indizione della gara. Quanto al fatto che, secondo lassunto dellappellante incidentale, i profili di spesa sarebbero minimali in considerazione dellassolutamente preponderante attivit stragiudiziale, a parte la considerazione che la legge conferisce alla Avvocatura dello Stato anche ogni attivit di supporto ai Ministeri, gi sopra si rilevato che un apprezzamento al riguardo sarebbe potuto competere solo allAmministrazione. 10. In base alle deduzioni proposte dalle ATI appellanti incidentali in via subordinata, la sentenza sarebbe erronea, ad ogni buon conto, nella parte in cui limita a soli 30.000,00 lentit risarcitoria. Quanto a tali domande delle appellanti incidentali, volte a far quantificare il danno da responsabilit precontrattuale in misura superiore a quella liquidata dal TAR, osserva il Collegio che assume carattere preliminare lesame dellappello (n. 9283/2009) proposto dal Ministero delle politiche agricole circa lerroneit della sentenza nella parte in cui ha ritenuto fondate le pretese risarcitorie delle originarie ricorrenti, sia pure nel limite dellinteresse negativo. 11. Ritiene la Sezione che lappello principale del Ministero sia fondato e vada accolto. 11.1. Va premesso che, per la pacifica giurisprudenza della Corte di Cassazione (consolidatasi per le controversie devolute ratione temporis al giudice civile): non si pu ritenere accoglibile una domanda volta al risarcimento del danno derivante da responsabilit precontrattuale, quando il contratto non sia stato stipulato, perch una delle parti anche in extremis rileva che la stipula comporterebbe la violazione di norme imperative (per tutte, Sez. Un., 11 febbraio 1982, n. 835; Sez. Un., 14 marzo 1985, n. 1987); 52 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 - lAmministrazione pubblica, quando abbia posto in essere trattative per addivenire alla stipula di un contratto da concludere a seguito di un procedimento ad evidenza pubblica, pu senzaltro recedere dalle trattative senza incorrere in alcuna responsabilit (Sez. I, 29 luglio 1987, n. 6545), non potendosi anche in tal caso ravvisare un ragionevole affidamento, giuridicamente tutelato, alla relativa stipula. La Sezione rileva che tali orientamenti, a loro volta, sono espressione di un pi generale principio generale, per il quale lAmministrazione deve sempre evitare di concludere un contratto contrastante con norme imperative e cio: - deve interrompere la trattativa privata avviata quando sia prescritta la gara ad evidenza pubblica; - deve annullare gli atti della gara ad evidenza pubblica, se il previsto contratto di per s risulta in contrasto con una norma imperativa. Infatti, lordinamento da un lato apprezza con favore il ritorno alla legalit, prevedendo i poteri di autotutela dellAmministrazione, dallaltro non prende in favorevole considerazione sotto il profilo di possibili pretese risarcitorie - la posizione di coloro che, coinvolti nella trattativa privata o nella gara finalizzate alla stipula del contratto che si rilevi contra legem, abbiano consapevolmente o colposamente aderito alla iniziativa illegittima dellAmministrazione. 11.2. Nella specie, a seguito di una segnalazione gi proveniente dal Ministero e poi dellavviso sulla questione della Avvocatura Generale dello Stato, lAmministrazione ha legittimamente constatato che il bando di gara mirava ad incidere indebitamente sullo svolgimento della attivit istituzionale della medesima Avvocatura e allesborso di denaro, per ragioni palesemente inconsistenti. Il Ministero ha quindi constatato che la stipula del contratto avrebbe dato evidentemente luogo alla violazione delle norme imperative, desumibili dal testo unico n. 1611 del 1933 e dalle leggi di contabilit di Stato. Considerate le circostanze, ritiene la Sezione che nessun legittimo affidamento altrui si possa essere formato col bando o nel corso del procedimento seguito dallatto di aututela. Le ATI concorrenti non hanno utilizzato, invero, in sede di partecipazione alla gara, lordinaria diligenza, non potendo certamente sfuggire a professionisti del settore giustizia, e per di pi alle compagini professionali di indubitabile valore che hanno partecipato alla gara stessa, il fatto che questa era stata bandita in una situazione di manifesto contrasto con il medesimo testo unico. Oltre dunque alle considerazioni sopra riportate sulla rilevanza in s delle norme imperative (ci che gi rileverebbe per escludere un legittimo affidamento), nella specie proprio la qualit dei professionisti coinvolti avrebbe dovuto da subito far loro constatare la manifesta illegittimit della iniziale determinazione dellAmministrazione: ci evidenzia non solo la mancanza di un legittimo affidamento, ma anche la loro colpa professionale, dal momento che rientra o deve rientrare - nel bagaglio di comune conoscenza degli avvocati la regola per cui le Amministrazioni statali si avvalgono e si devono avvalere del patrocinio della Avvocatura dello Stato. Da ci consegue la fondatezza dellappello (n. 9283/2009) proposto dal Ministero delle politiche agricole e, per converso, linfondatezza di ogni pretesa risarcitoria da parte di entrambe la ATI partecipanti alla gara, con la conseguente reiezione, per tutti i restanti profili, degli appelli incidentali. ...omissis... C O N T E N Z I O S O C O M U N I TA R I O E D I N T E R N A Z I O N A L E Pubblico servizio e concorrenza nella gestione delle farmacie Le recenti decisioni della Corte di Giustizia dellU.E. in tema di gestione delle farmacie, di cui la Rassegna ha dato contezza nei precedenti numeri (1), sono oggi oggetto di un dibattito abbastanza vivace tra quanti si occupano del settore: hanno chiuso un problema o ne hanno aperto uno nuovo? Di qui lopportunit di presentare in Rassegna due saggi: da una parte larticolo dellavvocato Antonella Anselmo Lemme, che in Corte di Giustizia ha assistito la Federazione Nazionale degli Ordini dei Farmacisti, dallaltra la tesi di due illustri studiosi del CeRM che rimettono in discussione quello che i farmacisti ritengono oramai un dato acquisito: la legittimit della riserva di attivit di gestione delle farmacie a favore dei farmacisti e/o della mano pubblica (le farmacie comunali). La tesi dellAvvocatura Generale dello Stato, nelle cause comunitarie, stata quella di difendere (con successo) il diritto nazionale, comune daltronde a tutti gli altri Stati membri dellarea mediterranea, allAustria e alla Germania. Ed paradossale che i teorici della liberalizzazione ad ogni costo, che fino a ieri reclamavano lobbligo dellItalia di adeguarsi sic et simpliciter alle regole della concorrenza comunitaria, oggi, dopo le decisioni della Corte di Giustizia, rivendichino lautonomia del diritto nazionale. In realt la valenza delle decisioni del giudice comunitario, sembra pi ampia di quella di ritenere semplicemente giustificata, in un approccio logico di regola/eccezione, la scelta limitativa della concorrenza: lUnione Eu- (1) M. RUSSO Discrezionalit dello Stato e tutela della salute: la riserva della propriet ai farmacisti in Rass., 2009, II, 140; F. GIOVAGNOLI Titolarit e gestione delle farmacie nella normativa comunitaria ed italiana in Rass., 2009, III, 74; M. RUSSO Le recenti pronunce della Corte in tema di farmacie, in Rass., 2010, III, 46. 54 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 ropea non infatti pi soltanto una comunit di operatori economici, che reclamano giustamente la libert dei mercati e le regole di trasparenza negli affari; anche ed il voto diretto al Parlamento europeo lo dimostra ununione di cittadini, con i loro bisogni, le loro tradizioni, il loro modo di vivere. Il diritto della concorrenza si sposa e si correla con pari dignit ai bisogni essenziali dei cittadini europei e alla missione dei pubblici servizi. Il diritto alla salute materia sensibile, che pu trovare ostacoli anche in vecchie regole corporative e/o in situazioni di privilegio non pi giustificate, che compito del legislatore nazionale eliminare o ridurre; ma da questo a mettere in mano alle aziende produttrici tutta la distribuzione al dettaglio dei farmaci il passaggio merita accortezza. GF I servizi farmaceutici: sistemi comunitari di sanit solidale e modelli liberistici a confronto Antonella Anselmo* Veleni e medicine sono spesso fatti con le stesse sostanze, sono solo dati con intenti diversi Peter Mere Lathan SOMMARIO: 1. Premessa - 2. Il servizio farmaceutico nel sistema solidale nazionale - 3. Levoluzione del diritto comunitario: la tutela dei diritti fondamentali della persona e il modello sociale europeo - 3.1. I Trattatti - 3.2. Il diritto comunitario derivato - 3.3. Le decisioni della Corte di giustizia e il principio di precauzione - 3.4. La politica comunitaria sulla salute - 4. Verifica della posizione dellAutorit per la Concorrenza ed il Mercato. 1. Premessa Lorganizzazione del servizio farmaceutico in Italia sotto la costante pressione di tentata liberalizzazione (1). Al riguardo, lAutorit Garante della Concorrenza e del Mercato da anni si impegna nel sollecitare progetti di riforma che modifichino lattuale sistema (*) Avvocato in Roma. (1) In senso inconciliabile rispetto alla ragionevolezza delle presunte liberalizzazioni: L. IANNOTTA, Lassistenza farmaceutica come servizio pubblico, in Servizi pubblici e appalti, 2003, 49; F. MASTRAGOSTINO, La disciplina delle farmacie comunali tra normativa generale sui servizi pubblici e normativa di settore, in D. DE PRETIS (a cura di) La gestione delle farmacie comunali: modelli e problemi giuridici, Quaderni del Dipartimento di Scienze Giuridiche Universit degli Studi di Trento n. 53, 2006, 26. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 55 solidale di sanit pubblica, indicando un modello liberistico assoggettato alle logiche di mercato, qualificate in s quali pro-concorrenziali e migliorative della quantit dellofferta (2). Da ultimo si registrano le Osservazioni al Parlamento in data 1 settembre 2010 ex art. 22 L. 287/1990 (3) e la successiva Audizione al Senato Commissione XII, Igiene e Sanit in data 11 novembre 2010 (4). In linea generale LAutorit assimila del tutto la distribuzione dei farmaci agli altri tipi di distribuzione, di natura squisitamente commerciale (5). Ebbene, lequiordinazione e la compatibilit astratta rispetto al diritto comunitario di entrambe le formule organizzatorie dei servizi sanitari - rispettivamente quella di sistema, solidale e basata sulla pianificazione, e quella liberistica - sono state recentemente accertate dalla Corte di Giustizia, nelle note sentenze del 19 maggio 2009, Grande Sezione, Causa C-531/06, 1 giugno 2010, cause riunite C-570/07 e C-571/07; 1 luglio 2010 causa C-393/08. Tuttavia proprio la Grande Sezione della Corte ha accertato che il sistema sanitario solidale italiano, che in parte pone restrizioni non discriminatorie alle libert economiche, in applicazione del principio di precauzione, risulta in concreto proporzionato ed adeguato rispetto allobiettivo di interesse generale teso a garantire, attraverso un uso razionale e sicuro del farmaco, un elevato livello di salute pubblica. Ovviamente per il futuro fatta salva la responsabilit dei Parlamenti nazionali, a fronte di una contestuale evoluzione del diritto comunitario verso un modello sociale europeo pi maturo, volta a migliorare la regolazione in vista di un pi elevato livello di tutela del bene salute e di crescenti bisogni della collettivit. Ebbene, alla base di ogni eventuale riforma normativa di siffatta portata, (2) Tra le tante: Segnalazioni AS057 in data 19 ottobre 1995; AS131 in data 26 marzo 1998; AS144 in data 11 giugno 1998; AS163 in data 4 febbraio 1999; AS194 in data 17 febbraio 2000; AS300 in data 3 giugno 2005; AS306 in data 13 luglio 2005; gli studi di riferimento dellAGCM sono Institut for Advanced Studies (IHS) Vienna Limpatto economico della regolamentazione nel settore delle professioni liberali in diversi stati membri. La regolamentazione dei servizi professionali gennaio 2003 di IAIN PATERSON MARCEL FINK, ANTONY OGUS et al. nonch le numerose pubblicazioni CERM in argomento. (3) Aventi ad oggetto larticolo unico del DDL 2079 recante Norme in materia di apertura di nuove parafarmacie in discussione in seno alla XII Commissione permanente Senato che prevede una sospensione dellapertura di nuove parafarmacie in attesa del riordino del settore. In tale documento lAutorit ipotizza, in luogo della pianificazione mediante pianta organica delle farmacie, la previsione di un numero minimo di esercizi lasciando libero, secondo logiche di mercato, il numero massimo degli stessi. Sullinadeguatezza del criterio cd. de minimis vd. Corte di Giustizia, 1 giugno 2010, Cause C- 570/07 e 571/07. (4) Esame congiunto dei disegni di legge nn. 863, 1377, 1417, 1465, 1627, 1814, 2030, 2042, 2079, 2202 recanti normative in materia di medicinali a uso umano e riordino dellesercizio farmaceutico. (5) In tal senso AS659- Proposte di riforma concorrenziale ai fini della legge annuale per il mercato e la concorrenza, in data 9 febbraio 2010. 56 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 si pone un problema, non tanto ideologico, ma certamente di scelta politica. In altri termini occorre chiedersi se i pubblici poteri debbano o meno mantenere una riserva in tema di pianificazione dei servizi sanitari. In tale prospettiva risulta irrinunciabile garantire esaustive ricognizioni economico-giuridiche, di natura indipendente, circa lo stato di efficienza e soddisfazione del servizio da parte della collettivit e giustificare uneventuale riforma alla luce della decisione vincolante della Corte di Giustizia che ha avuto ad oggetto proprio il giudizio di compatibilit comunitaria della normativa italiana. Risulta altres imprescindibile una valutazione indipendente di impatto della presunta liberalizzazione sulla qualit (6) complessiva dei servizi in relazione ai bisogni della collettivit e ai livelli essenziali di assistenza sullintero territorio nazionale. Ai fini della verifica di compatibilit costituzionale deve poi risultare chiaro lobiettivo di interesse generale che si intende perseguire, se sociale o economico, nonch leventuale criterio di contemperamento del loro potenziale conflitto. Ogni riforma radicale ed organica del sistema socio-sanitario deve inserirsi in un processo decisionale che coinvolga non solo le categorie di settore (produttori, intermediari, distributori, farmacisti), ma soprattutto lintera societ civile attraverso adeguati strumenti di informazione, consultazione e partecipazione democratica. Limportanza strategica, nelle politiche europee, del futuro assetto dellorganizzazione dei servizi socio-sanitari infatti accentuata dalla grave crisi economica che colpisce i mercati, dal progressivo invecchiamento della popolazione, dalle possibilit di controllo e manipolazione delle informazioni scientifiche da parte dei poteri economici e, infine, da un uso distorto del principio di sussidiariet orizzontale. Una tutela sanitaria rafforzata per le fasce deboli della popolazione (tra le quale in preponderanza oltre ai malati, gli anziani, le donne nel periodo della gravidanza e della maternit, i bambini, i meno abbienti), costituisce anche una strategia essenziale di coesione economico-sociale e di perequazione. Con il presente scritto ci si propone pertanto di verificare se le linee guida di riforma costantemente indicate dallAutorit Garante della Concorrenza e del Mercato siano ancora attuali e giustificate in relazione ai principi fondamentali della Carta Costituzionale nonch in riferimento alla pi recente evoluzione del diritto comunitario (7). Ci si propone altres di verificare se le medesime linee guida risultino ap- (6) E non solo quantit. (7) Costituito questultimo dalle norme del Trattato sul Funzionamento dellUnione Europea, dalle direttive e dai precedenti della Corte di Giustizia in materia. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 57 propriate in relazione allobiettivo di ottimizzazione dellorganizzazione dei servizi-sanitari, in un sistema nazionale che assegna consapevolmente agli interessi economici una valenza marcatamente marginale, ovvero se le stesse salvaguardino gli interessi non gi della collettivit, unitariamente intesa, bens di una categoria ben individuata di operatori economici. E proprio lassetto oligopolistico dei mercati europei afferenti la produzione e distribuzione del farmaco, le prospettive concrete di crescita verso nuove fasce di mercato per scadenza dei brevetti di molti farmaci branded, gli interessi economici dei distributori allincremento dei profitti, costituiscono rischi di efficienza dei servizi e di compressione delluso razionale e sicuro dei farmaci, tali da essere valutati attentamente. 2. Il servizio farmaceutico nel sistema solidale nazionale Il servizio farmaceutico qualificato nellordinamento interno quale servizio pubblico preordinato alla tutela della salute e trova garanzia costituzionale protetta principalmente negli artt. 3 e 32 della Cost. (8). In particolare una delle prestazioni di cura e assistenza che lo Stato assicura ai propri cittadini in attuazione dei propri fini sociali. Lart. 1, co. 2 della L. 23 dicembre 1978 n. 833 e succ. mod. e int., istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale, S.S.N., qualifica il servizio sanitario quale complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi e delle attivit destinati alla promozione, al mantenimento e al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione, senza distinzione di condizioni individuali o sociali e secondo modalit che assicurino leguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio (9). Lart. 25, co. 1, L. cit. chiarisce che le prestazioni di cura comprendono lassistenza medico-generica, specialistica, infermieristica, ospedaliera e farmaceutica. Lart. 28, co. 1 e 2, L. cit. dispone altres che lunit sanitaria locale eroga las- (8) Sulla nozione di servizio pubblico vd. U. POTOTSCHING, I pubblici servizi, Cedam, Padova, 1964. LA. analizza le ipotesi in cui lordinamento giuridico sottrae al privato la disponibilit dei fini della propria attivit economica. Detti fini divengono sociali perch concernono ugualmente tutti i soggetti dellordinamento ... si pensi alla disciplina in vigore per lapertura e lesercizio delle farmacie: il richiamo posto dalle norme in materia alle esigenze (art. 104, t.u. 27 luglio 1934, n. 1265), ai bisogni (art. 116), alle necessit (art. 109) dellassistenza farmaceutica locale dice chiaramente come i fini che presiedono allattivit siano sottratti alla libera valutazione degli operatori privati che agiscono nel settore, p. 226. (9) Vd. BRUNO RICCARDO NICOLOSO: La farmacia come unicum di professione struttura e servizio a tutela di un diritto di libert e di un dovere di salute in in www.euro-pa.it, pag. 57 e ss., che richiama il contributo di Piero Calamandrei nella formulazione dellart. 32 Cost. quale parte integrante dello Stato sociale. A.M. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, Napoli 1984, 603 e 1082, definisce il servizio farmaceutico quale servizio privato sotto direzione pubblica svolto sulla base di una concessione costitutiva. G. ABBAMONTE, Iniziativa pubblica e privata nellesercizio dellattivit farmaceutica, Rass. Amm. San. 1962, 102; M.S. GIANNINI, Le farmacie, ibid. 1973, 171; G. LANDI, voce Farmacia, in Enc. Diritto, Vol. XVI 1967, 836; FERRARA, voce Farmacia in Enc. Giur. Vol. XIV, Roma, 1989. 58 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 sistenza farmaceutica attraverso le farmacie di cui sono titolari enti pubblici e le farmacie di cui sono titolari i privati, tutte convenzionate secondo i criteri e le modalit di cui agli articoli 43 e 48; che gli assistiti possono ottenere da entrambe le tipologie di farmacie, su presentazione di ricetta compilata dal medico curante, la fornitura di preparati galenici e di specialit medicinali compresi nel prontuario terapeutico del servizio sanitario nazionale. Listituzione del servizio sanitario nazionale eredita e mantiene la bipartizione della titolarit delle farmacie - comunale e privata - discendente dalla pregressa evoluzione normativa e dal processo storico di ampliamento dei compiti dello Stato sociale. Il sistema farmaceutico italiano che rimane essenzialmente unitario per finalit e disciplina dal punto di vista gestorio, pu definirsi dualistico. Ma si veda nel dettaglio. In origine, la deregolamentazione introdotta dalla L. 22 dicembre 1888 n. 5849, cd. L. Crispi era causa di grave squilibrio sul territorio nazionale dellofferta del servizio farmaceutico (10). Nel 1913, con la riforma Giolitti (11), lo Stato riconosce come proprio compito essenziale lassistenza farmaceutica, che viene regolamentata attraverso lesercizio delle farmacie, la cui titolarit ricondotta, rispettivamente, in capo ai Comuni (12) e ai privati. Questi ultimi, di cui si avvale lo Stato quale risorsa indiretta dellorganizzazione pubblica per il perseguimento di interessi collettivi, acquisiscono titolarit e diritto di esercizio in virt di atto concessorio, allesito di un concorso pubblico per esami(13). Il ricorso alla procedura concorsuale si impone quale effetto della necessaria pianificazione e razionale localizzazione delle sedi farmaceutiche sul territorio. Infatti la limitazione del numero di farmacie determina la necessit che le assegnazioni avvengano secondo procedure ad evidenza pubblica - i concorsi - atte a individuare i soggetti pi idonei al conseguimento dello scopo. A tal fine - garantire unequilibrata offerta del servizio anche in aree disagiate e scarsamente (10) In argomento vd. osservazioni dellAustria afferenti il procedimento di infrazione n. 2004/4468, e, in particolare, lallegato Conseguences of Crispi Act 1888: Community Pharmacis before and after deregulation. (11) L. 22 maggio 1913 n. 468. (12) Cd. farmacie municipalizzate, ex art. 12 e farmacie condotte ex art. 13 L. cit, secondo le modalit organizzative di cui alla L. 103/1913 sullassunzione diretta dei pubblici servizi, successivamente sostituita dalla L. 2578/1925. (13) In dottrina ZANOBINI, Corso di Diritto Amministrativo, 1949, Giuffr, p. 148: Lo Stato e gli Enti pubblici minori possono conseguire i propri fini oltre che direttamente, cio traverso lazione dei propri organi, anche indirettamente, valendosi dellopera di persone che, pur restando fuori della loro organizzazione, curano in vario modo la soddisfazione degli interessi pubblici. Tali persone conservano posizione di privati: la loro attivit non riferibile allente pubblico, ma attivit loro propria, da essi dispiegata in proprio nome e il pi delle volte anche nel proprio interesse. Essa pubblica solo per i suoi effetti: perch soddisfa a fini e interessi pubblici . La tesi era gi stata esposta dallA. in Lesercizio privato delle funzioni e dei servizi pubblici, Milano, 1920. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 59 popolate - viene istituita la pianta organica: lapertura delle nuove farmacie risulta pertanto condizionata al rispetto del criterio demografico. Detti principi risultano in parte mantenuti dai successivi interventi legislativi in materia. Loriginario assetto giolittiano infatti confermato dal Testo Unico delle Leggi sanitarie approvato con R.D. 27 luglio 1934 n. 1265 (14). Le successive leggi di riforma del settore, rispettivamente la L. 2 aprile 1968 n. 474, cd. Legge Mariotti, e la L. 8 novembre 1991 n. 362 e succ. mod. e int., in parte confermano, in parte modificano il sistema previgente (15). In particolare si delinea il servizio farmaceutico quale servizio pubblico in titolarit regionale, per effetto del trasferimento alle regioni dei rispettivi compiti, compiutosi in virt del DPR 14 gennaio 1972 n. 4. Conseguentemente, anche lapertura e lesercizio delle farmacie comunali sono soggetti allautorizzazione regionale (16). La giurisprudenza costituzionale ha avuto modo, negli anni, di accertare (14) Il quale dispone, tra laltro: lattribuzione del diritto di esercizio a chi abbia conseguito il titolo di abilitazione (art. 100); la previsione e disciplina del regime concessorio, ivi incluse le ipotesi di decadenza, avente ad oggetto la titolarit e lesercizio della farmacia (artt. 104, 108, 109, 110, 113); la vigilanza pubblicistica dellesercizio della farmacia (art. 99); la distinzione tra farmacie urbane e quelle rurali (art. 115, vd. ora L. 8 marzo 1968 n. 221); la previsione del criterio topografico in relazione a esigenze dellassistenza farmaceutica, quale criterio aggiuntivo di pianificazione (art. 104); il divieto di cumulo di autorizzazioni in una sola persona (art. 112); lincompatibilit con la professione medica e il divieto di convenzioni con i medici sulla partecipazione agli utili della farmacia (art. 102); la riserva di vendita di medicinali a dose o forma di medicamento ai soli farmacisti e da effettuarsi nella farmacia sotto la responsabilit del titolare della medesima (art. 122); la natura personale della concessione e il regime delle responsabilit del titolare-gestore, gli obblighi di prestazione del servizio atti a garantire regolarit e continuit (artt. 112, 119); gli obblighi del titolare e il conseguente regime sanzionatorio (art. 123). (15) Il regime concessorio e il necessario contingentamento nellapertura delle nuove farmacie per effetto della pianificazione data dal rapporto farmacie - popolazione (art. 1, co. 1, 2 e 3 L. 475/68 come mod. dall art. 1 L. 362/1991); le procedure concorsuali, non solo per esami ma anche per titoli, bandite dalle Regioni in ambito provinciale e riservate ai cittadini di uno Stato membro della Comunit Europea in possesso dei diritti civili e politici e iscritti allAlbo dei farmacisti (art. 4, co. 1 e 2, L. 362/91) la flessibilit della pianta organica in relazione alle esigenze della collettivit (artt. 2 e 5 L. 362/91); la titolarit e gestione della farmacia privata in capo ai farmacisti o a societ personali di farmacisti aventi ad oggetto esclusivo la gestione di una farmacia (art. 7 L. 362/91, succ. mod.); il regime delle incompatibilit con qualsiasi altra attivit esplicata nel settore della produzione, distribuzione, intermediazione e informazione scientifica del farmaco, come interpretato dalla sentenza additiva della Corte Costituzionale n. 275/2003 e successivamente modificato dallart. 5, co. 5, DL 223/2006 cd. decreto Bersani, che ha eliminato il termine distribuzione (art. 8 L. 362/91); il regime della responsabilit del regolare esercizio e della gestione in riferimento sia al titolare, soggetto, sia alla struttura, oggetto (art. 11 L. 475/1968, come mod. dallart. 11 L. 362/91); il riconoscimento di unindennit di residenza per compensare la carenza di autosufficienza economico-finanziaria alle farmacie rurali (L. 8 marzo 1968 n. 221); le condizioni per il trasferimento inter vivos delle farmacie private (art. 12 L. 475/1968 come mod. dallart. 6 L. 892/1984, 7 co. 8 e ss. e 13 L. 362/1991 e succ. mod. e int.). (16) Cfr. Cons. giust. Sic. 27 aprile 1978 n. 89, confermandosi lunicit della titolarit a titolo originario in capo alle regioni. Circa i modelli gestionali delle farmacie comunali (e di queste soltanto), lart. 9 L. 475/1968 stabiliva che le farmacie che si rendano vacanti e quelle di nuova istituzione a seguito della revisione della pianta organica possono, per la met, essere assunte in gestione dal comune secondo 60 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 la piena legittimit costituzionale della disciplina farmaceutica, in primis ex artt. 3 e 32 Cost., pronunciandosi sulle disposizioni fondamentali, caratterizzanti il sistema solidale nazionale: la pianta organica (17), i concorsi per assegnazioni di sedi farmaceutiche (18), la regolamentazione degli orari e turni del servizio (19), le modalit gestionali delle farmacie private e comunali (20). Successivamente nellambito degli interventi legislativi volti a promuovere la concorrenza, la competitivit e la liberalizzazione dei settori produttivi, viene espressamente innovata una parte del sistema della distribuzione dei farmaci. le norme stabilite dal r.d. 15 ottobre 1925 n. 2578. Successivamente allentrata in vigore della L. n. 142 del 1990 sugli Enti locali, la L. 362/1991, modificando il citato art. 9 L. 475/1968, richiamava - anche per le farmacie comunali - le nuove forme di gestione sui servizi pubblici locali di rilevanza economicoimprenditoriale: in economia, a mezzo di azienda speciale, di consorzi fra i comuni, ovvero a mezzo di societ di capitali costituite tra il comune e i farmacisti in servizio presso lesercizio di cui sia stata acquistata la titolarit. Lart. 12 L. 362/1991 cit. definiva il trasferimento della titolarit delle farmacie in gestione comunale. Successivamente lart. 12 della L. 23 dicembre 1992 n. 498 avviava un pi ampio processo di privatizzazione e, per leffetto, estendeva anche alle farmacie comunali il modello della societ a prevalente capitale privato. Allo stato attuale le citate modalit di gestione delle farmacie comunali trovano conferma nella disciplina generale descritta dallart. 113 D.Lvo 267/2000, T.U. sugli Enti locali, riguardante la Gestione delle reti ed erogazione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, disposizione che ha natura inderogabile e integrativa delle discipline di settore. Per effetto dellentrata in vigore della L. 448/01, che integra e modifica il citato art. 113, si impongono due principi generali: i) le societ di erogazione dei servizi pubblici a rilevanza economica non possono essere n divenire proprietarie di reti impianti e altre dotazioni patrimoniali (salve ipotesi derogatorie e tassative); ii) laffidamento del servizio al terzo gestore, ovvero la scelta del partner privato, deve avvenire nel rispetto delle procedure ad evidenza pubblica. Tali principi trovano conferma nella disciplina di settore che consente la scissione tra titolarit della farmacia comunale, che rimane in capo allente locale, e la gestione, affidata alla societ mista, ancorch con capitale maggioritario privato. Sulla scissione tra titolarit e gestione dimpresa GALGANO, Diritto civile e commerciale, III, t. I, 1990, 110 ss., spec. 116, 117; BERLE & MEANS, Societ per azioni e propriet privata, Torino, 1966; PUGLIATTI, Studi sulla rappresentanza, Milano, 1965. (17) Sent. 579/1987; 4/1996; 27/2003; 76/2008; 295/2009. (18) Sent. 352/1992 e 448/2006. In tale ultima si precisa : 3.3. La regola, oggi vigente, del concorso pubblico risponde allesigenza di garantire in modo stabile ed efficace il servizio farmaceutico (sentenza n. 352 del 1992) sullintero territorio nazionale (onde al suo rispetto sono tenute anche le province autonome). E proprio il concorso ad assicurare stando alla lettera dellart. 4 della legge n. 362 del 1991 la parit di trattamento tra i farmacisti ai fini del conferimento delle sedi vacanti o di nuova istituzione. Inoltre, se si considera che, sotto il profilo funzionale, i farmacisti sono concessionari di un pubblico servizio, la regola del concorso costituisce lo strumento pi idoneo ad assicurare che gli aspiranti vengano selezionati secondo criteri oggettivi di professionalit ed esperienza, a garanzia dellefficace ed efficiente erogazione del servizio. Ne discende la natura di principio fondamentale della regola del concorso, aperto alla partecipazione di tutti i soggetti iscritti allalbo dei farmacisti, per il conferimento delle sedi farmaceutiche vacanti o di nuova istituzione. Alla stregua di tale principio devessere valutata la legittimit della norma censurata, che pone sullo stesso piano i cittadini italiani e i cittadini degli altri Paesi comunitari, sia ai fini del conferimento delle sedi riservate, nel caso in cui fossero titolari di una delle farmacie rurali cui la legge si riferisce, sia, nel caso contrario, ai fini dellesclusione dalla possibilit di concorrere per il conferimento di quelle sedi. (19) Sentt. nn. 446/1988 e 27/2003. (20) Sent. 275/2003. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 61 Lart. 5 del Decreto Bersani 2006, d.l 4 luglio 2006 n. 233 conv. con mod. in L. agosto 2006 n. 248 (21), introduce la vendita dei farmaci senza obbligo di prescrizione medica e da automedicazione anche al di fuori delle farmacie, nei corner dei supermercati e negli esercizi commerciali di vicinato (definite nel linguaggio comune parafarmacie), su semplice comunicazione al Ministero della Salute e alla regione di competenza. Dunque, oltre ai farmacisti titolari di farmacie, anche gli esercizi commerciali (rectius, i titolari degli stessi) divengono soggetti abilitati a dispensare al pubblico talune tipologie di famaci, (21) Art. 5: Interventi urgenti nel campo della distribuzione di farmaci 1. Gli esercizi commerciali di cui all'articolo 4 comma 1 , lettere d) e) f) del decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 114 possono effettuare attivit di vendita al pubblico dei farmaci da banco o di automedicazione, di cui all'articolo 9 bis del decreto-legge 18 settembre 2001 n. 347, convertito, con modificazioni, dalla legge 16 novembre 2001 n. 405, e di tutti i farmaci o prodotti non soggetti a prescrizione medica, previa comunicazione al Ministero della salute e alla regione in cui ha sede l'esercizio e secondo le modalit previste dal presente articolo. abrogata ogni norma incompatibile. 2. La vendita di cui al comma 1 consentita durante l'orario di apertura dell'esercizio commerciale e deve essere effettuata nell'ambito di un apposito reparto, alla presenza e con l'assistenza personale e diretta al cliente di uno o pi farmacisti abilitati all'esercizio della professione ed iscritti al relativo ordine. Sono, comunque, vietati i concorsi, le operazioni a premio e le vendite sotto costo aventi ad oggetto farmaci. 3. Ciascun distributore al dettaglio pu determinare liberamente lo sconto sul prezzo indicato dal produttore o dal distributore sulla confezione del farmaco rientrante nelle categorie di cui al comma 1, purch lo sconto sia esposto in modo leggibile e chiaro al consumatore e sia praticato a tutti gli acquirenti. Ogni clausola contrattuale contraria nulla. Sono abrogati l'articolo 1, comma 4 del decreto-legge 27 maggio 2005 n. 87, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 luglio 2005 n.149, ed ogni altra norma incompatibile. 3-bis. Nella provincia di Bolzano fatta salva la vigente normativa in materia di bilinguismo e di uso della lingua italiana e tedesca per le etichette e gli stampati illustrativi delle specialit medicinali e dei preparati galenici come previsto dal decreto del Presidente della Repubblica 15 luglio 1988 n. 574. 4. Alla lettera b) del comma 1 dell'articolo 105 del decreto legislativo 24 aprile 2006 n. 219, aggiunto, infine, il seguente periodo: L'obbligo di chi commercia all'ingrosso farmaci di detenere almeno il 90 per cento delle specialit in commercio non si applica ai medicinali non ammessi a rimborso da parte del servizio sanitario nazionale, fatta salva la possibilit del rivenditore al dettaglio di rifornirsi presso altro grossista. 5. Al comma 1 dell'articolo 7 della legge 8 novembre 1991 n. 362, sono soppresse le seguenti parole: che gestiscano farmacie anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge; al comma 2 del medesimo articolo sono soppresse le seguenti parole: della provincia in cui ha sede la societ; al comma 1, lettera a), dell'articolo 8 della medesima legge soppressa la parola: distribuzione. 6. Sono abrogati i commi 5, 6 e 7 dell'articolo 7 della legge 8 novembre 1991 n. 362. 6-bis. I commi 9 e 10 dell' dell'articolo 7 della legge 8 novembre 1991 n. 362 sono sostituiti dai seguenti: 9. A seguito di acquisto a titolo di successione di una partecipazione in una societ di cui al comma 1, qualora vengano meno i requisiti di cui al secondo periodo del comma 2, l'avente causa cede la quota di partecipazione nel termine di due anni dall'acquisto medesimo. 10. Il termine di cui al comma 9 si applica anche alla vendita della farmacia privata da parte degli aventi causa ai sensi del dodicesimo comma dell'articolo 12 della legge 2 aprile 1968 n. 475. 6-ter. Dopo il comma 4 dell'articolo 7 della legge 8 novembre 1991 n. 362 inserito il seguente: "4-bis. Ciascuna delle societ di cui al comma 1 pu essere titolare dell'esercizio di non pi di quattro farmacie ubicate nella provincia dove ha sede legale. 7. Il comma 2 dell'articolo 100 del decreto legislativo 24 aprile 2006 n. 219 abrogato. 62 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 a determinate condizioni di vendita e vigilanza (titolarit dellattivit). La parziale deregolamentazione - attribuendo la titolarit di una parte del servizio farmaceutico anche in capo a soggetti non qualificati, perch privi del conferimento della relativa funzione propria del SSN come sopra descritta (procedure concorsuali e atti di pianificazione mediante inserimento nella pianta organica) - costituisce un pericoloso vulnus al sistema generale e unitario di organizzazione dei servizi sanitari, specie allesito dei precedenti della Corte di Giustizia. Vi infatti da chiedersi se oggi la dispensazione dei farmaci da banco o senza obbligo di prescrizione medica fuori dalla farmacia, sia sempre qualificabile servizio farmaceutico ovvero se la titolarit, originariamente pubblica (nella specie attribuita alle Regioni) non sia pi riservata ai farmacisti vincitori dei concorsi, ovvero, ai Comuni. Al riguardo bene ricordare che, anteriormente alle pronunce del giudice comunitario sulla riserva di titolarit in capo ai soli farmacisti (e ai Comuni), la Consulta stata investita della verifica di legittimit della citata disposizione del d.l. 4 luglio 2006 n. 233 conv. con mod. in L. 4 agosto 2006 n. 248. Ebbene, con decisione n. 430 del 14 dicembre 2007 la Corte Costituzionale nel fissare implicitamente i parametri di bilanciamento tra la tutela della concorrenza (e dunque la competitivit economica del Paese) e la tutela della salute, ha attribuito valore prevalente a questultima. La Corte, rigettando i ricorsi delle Regioni Veneto e Sicilia che censuravano la violazione delle prerogative legislative regionali in materia di commercio e professioni, ha confermato linquadramento del servizio farmaceutico quale parte integrante della pi vasta organizzazione pubblicistica predisposta a tutela della salute. Nellambito di detto servizio, infatti, il legislatore ha regolamentato in dettaglio la produzione e messa in commercio dei farmaci, anche di automedicazione, mantenendo la riserva di vendita in capo ai farmacisti (art. 122 del regio decreto 27 luglio 1934 n. 1265 e art. 9 bis del decreto legge 18 settembre 2001 n. 347 conv. in legge 16 novembre 2001 n. 405). La Consulta, rinviando a propri consolidati orientamenti, afferma che la materia dellorganizzazione del servizio farmaceutico va ricondotta al titolo di competenza concorrente della tutela della salute: la complessa regolamentazione pubblicistica dell'attivit economica di rivendita dei farmaci mira, infatti, ad assicurare e controllare l'accesso dei cittadini ai prodotti medicinali ed in tal senso a garantire la tutela del fondamentale diritto alla salute, restando solo marginale, sotto questo profilo, sia il carattere professionale, sia l'indubbia natura commerciale dell'attivit del farmacista (sentenze n. 448 del 2006 e n. 87 del 2006; nonch sentenze n. 275 e n. 27 del 2003), dei quali pure si occupa la norma. Analogamente il divieto di concorsi, delle operazioni a premio e delle vendite sotto costo aventi ad oggetto i farmaci, peraltro stabilito nel quadro di una legge diretta ad eliminare vincoli e CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 63 restrizioni nell'esercizio delle attivit di distribuzione commerciale, palesemente ispirato dall'intento di assicurare modalit della vendita coerenti con la funzione dei prodotti e con la tutela della salute, e cio di evitare che l'acquisto dei medicinali possa essere influenzato da ragioni diverse da quelle della loro indispensabilit ai fini terapeutici. L'interferenza va, quindi, composta facendo ricorso al criterio della prevalenza, applicabile appunto quando risulti evidente, come nella specie, l'appartenenza del nucleo essenziale della disciplina alla materia tutela della salute (sentenze n. 422 e n. 181 del 2006; n. 135 e n. 50 del 2005). La decisione, da un lato, accerta la legittimit costituzionale del Decreto Bersani nei limiti delle censure allepoca prospettate dalle regioni ricorrenti (22); dallaltro attribuisce prevalenza alla materia di salvaguardia del diritto alla salute, ponendo limiti insuperabili a qualsivoglia scelta legislativa di riforma del servizio farmaceutico elaborata in chiave prevalentemente economicistica. Ebbene, sul punto della riserva di titolarit (23) del servizio, la citata decisione della Consulta andrebbe rimeditata alla stregua della giurisprudenza della Corte di Giustizia. Ad ogni modo deve escludersi che il legislatore statale, nel riformare il servizio farmaceutico, possa operare unindebita attrazione, nellambito della competenza trasversale della tutela della concorrenza, della diversa materia di tutela della salute, in virt del richiamato criterio di prevalenza. Risultano pertanto costituzionalmente determinati e incomprimibili gli obiettivi di interesse generale riconducibili agli artt. 3 e 32 della Cost. e sottesi alla disciplina di organizzazione dei servizi sanitari, con conseguente rilevanza meramente marginale degli obiettivi sottesi alle libert economiche protette e garantite dallart. 41 Cost. (24). In tale ambito appare incontestabile che lart. 32 Cost. costituisca limite di utilit sociale alla libert di iniziativa economica e al contempo principio fondamentale a giustificazione della potest di pianificazione pubblica basata principalmente sui principi fondamentali di: i) istituzione e assegnazione delle sedi farmaceutiche per pubblico concorso; ii) contingentamento attuato mediante pianta organica; iii) convenzione con il servizio sanitario nazionale; iiii) riserva (di titolarit) di vendita dei medicinali in capo ai farmacisti. Il sopra descritto sistema nazionale garanzia di indirizzo e coordinamento delle attivit economiche a fini sociali. (22) E comunque non opera alcuna distinzione tra titolarit e gestione dellattivit di vendita. (23) Distinta dalla gestione. (24) L'iniziativa economica privata libera. Non pu svolgersi in contrasto con l'utilit sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libert, alla dignit umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perch l'attivit economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali. 64 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 In questa visione prospettica, le aperture al mercato introdotte dallart. 5, del d.l. 4 luglio 2006 n. 233 conv. con mod. in L. 4 agosto 2006 n. 248 - che oggi debbono necessariamente essere interpretate alla luce della successiva evoluzione del diritto comunitario, in primis allesito delle sentenze del 19 maggio 2009 Causa C-531/06; 1 giugno 2010 cause riunite C-570/07 e C- 571/07; 1 luglio 2010 causa C-393/08 della Corte di Giustizia - pongono seri problemi di ragionevolezza ed eguaglianza ex artt. 3, 32 e 41 Cost.. In altri termini, una pi accentuata liberalizzazione potrebbe risultare costituzionalmente irragionevole, ingiustificata, non proporzionata e comunque discriminatoria, anche alla luce del primato del diritto comunitario (25): disciplinare in modo differenziato una medesima attivit, qualificata dalla Consulta essenzialmente servizio farmaceutico, e non gi attivit commerciale, in ragione del luogo in cui viene esercitata, costituisce una deroga alla regolamentazione generale fondata sui principi fondamentali della pianificazione pubblica e del pubblico concorso, rilevanti ex artt. 3, 32 e 41, commi 2 e 3, Cost.. Appare allora ingiustificato che i limiti di utilit sociale discendenti dalla disciplina della pianificazione non operino nei confronti di strutture diverse dalla farmacia, la sola convenzionata con il servizio sanitario nazionale, istituita mediante concorso pubblico e inserita nella pianta organica. Ancor pi censurabile, dal punto di vista della compatibilit costituzionale e comunitaria, sarebbe poi una riforma che renda assoluto lesercizio delle libert economiche, eliminando del tutto le restrizioni di utilit sociale, le finalit e il coordinamento pubblico, fondati sulla primaria esigenza di tutela della salute pubblica e di erogazione di prestazioni assistenziali di natura anche non economica. 3. Levoluzione del diritto comunitario: la tutela dei diritti fondamentali della persona e il modello sociale europeo Lintervento in campo sanitario dellUnione Europea mediante lattivit di produzione normativa e cooperazione con gli Stati Membri in progressivo incremento. (25) Come si vedr oltre la Corte di Giustizia (sent. 19 maggio 2009 causa C-531/06) mentre ha accertato la ragionevolezza e proporzionalit dellintroduzione della deroga alla riserva della titolarit in capo ai farmacisti per le sole farmacie comunali, il cui esercizio gestionale tutelato da cogenti controlli pubblici, ha dichiarato compatibile con il diritto comunitario la restrizione della titolarit delle farmacie private in capo ai soli farmacisti, in quanto inserite nel sistema solidale della pianificazione pubblica. A questo punto, in relazione alla vendita di farmaci da automedicazione e senza obbligo di prescrizione medica, sorge un problema di disparit di trattamento della regolamentazione interna, rispettivamente tra farmacisti assegnatari di sedi farmaceutiche in esito a concorsi pubblici, la cui attivit gravata da obblighi assai onerosi di pubblico servizio e farmacisti titolari di esercizi di vicinato, non titolari di farmacie, non inseriti nella pianta organica e non gravati dagli obblighi di servizio pubblico propri delle farmacie. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 65 3.1. I Trattati A partire dal Trattato di Maastricht del 1992, che inserisce un titolo denominato sanit pubblica, andata crescendo lattenzione delle politiche comunitarie nei confronti della salute pubblica fino al salto di qualit dei Trattati di Amsterdam (1997) e Lisbona (2007) e della Carta di Nizza (2000) che riconoscono la centralit dei diritti della persona e rendono pienamente vincolante in ambito europeo la Convenzione per la Salvaguardia dei Diritti dellUomo (CEDU), tra i quali compreso il diritto alla salute (26). Il consolidamento dei Trattati (27) in riferimento alle materie della libera concorrenza e della salute pubblica, e alle reciproche interferenze, risulta sinteticamente articolato nel modo seguente: - in applicazione dei criteri di attribuzione, lart. 3, lett. b) ed e), TFUE assegna una competenza esclusiva allUE in materia di definizione delle regole di concorrenza necessarie al funzionamento del mercato interno e di politica commerciale comune (con la conseguenza che ex art. 2 TFUE solo l'Unione pu legiferare e adottare atti giuridicamente vincolanti, mentre gli Stati membri possono farlo autonomamente solo se autorizzati dall'Unione oppure per dare attuazione agli atti dell'Unione); - risultano viceversa applicabili in materia di tutela e miglioramento della salute umana, che assurge a diritto fondamentale del cittadino europeo i criteri di sussidiariet e proporzionalit sanciti dallart. 6 TFUE sicch l'Unione ha competenza per svolgere azioni intese a sostenere, coordinare o completare l'azione degli Stati membri. Inoltre Nella definizione e nell'attuazione delle sue politiche e azioni, l'Unione tiene conto delle esigenze connesse con la promozione di un elevato livello di occupazione, la garanzia di un'adeguata protezione sociale, la lotta contro l'esclusione sociale e un elevato livello di istruzione, formazione e tutela della salute umana (art. 9 TFUE). - A norma dellart. 168 TFUE (ex art. 152 TUE): 1. Nella definizione e nell'attuazione di tutte le politiche ed attivit dell'Unione garantito un livello elevato di protezione della salute umana. L'azione dell'Unione, che completa le politiche nazionali, si indirizza al miglioramento della sanit pubblica, alla prevenzione delle malattie e affezioni e all'eliminazione delle fonti di pericolo per la salute fisica e mentale. Tale azione comprende la lotta contro i grandi flagelli, favorendo la ricerca sulle loro cause, la loro propagazione e la loro prevenzione, nonch l'informazione (26) Secondo lelaborazione della Corte dei Diritti dellUomo la prima frase dellart. 2 CEDU obbliga gli Stati non solo ad astenersi dal dare la morte intenzionalmente ma anche ad adottare le misure necessarie alla protezione della vita delle persone sottoposte alla loro giurisdizione (L.C.B. c. Royaume- Uni arret du 9 juin 1998. Recai des arrets et decisions 1998-III p.1403 36; Powell c. Royaume-Uni (dec.) n. 45305/99, CEDH 2000-V; Calvelli et Ciglio 49). (27) Versioni consolidate pubblicate in GUUCE C 83 del 30 marzo 2010: i riferimenti riguardano gli articoli come rinumerati dopo il Trattato di Lisbona con decorrenza dal 1 dicembre 2009. 66 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 e l'educazione in materia sanitaria, nonch la sorveglianza, l'allarme e la lotta contro gravi minacce per la salute a carattere transfrontaliero. L'Unione completa l'azione degli Stati membri volta a ridurre gli effetti nocivi per la salute umana derivanti dall'uso di stupefacenti, comprese l'informazione e la prevenzione. 2. L'Unione incoraggia la cooperazione tra gli Stati membri nei settori di cui al presente articolo e, ove necessario, appoggia la loro azione. In particolare incoraggia la cooperazione tra gli Stati membri per migliorare la complementariet dei loro servizi sanitari nelle regioni di frontiera. Gli Stati membri coordinano tra loro, in collegamento con la Commissione, le rispettive politiche ed i rispettivi programmi nei settori di cui al paragrafo 1. La Commissione pu prendere, in stretto contatto con gli Stati membri, ogni iniziativa utile a promuovere detto coordinamento, in particolare iniziative finalizzate alla definizione di orientamenti e indicatori, all'organizzazione di scambi delle migliori pratiche e alla preparazione di elementi necessari per il controllo e la valutazione periodici. Il Parlamento europeo pienamente informato. 3. L'Unione e gli Stati membri favoriscono la cooperazione con i paesi terzi e con le organizzazioni internazionali competenti in materia di sanit pubblica. 4. In deroga all'articolo 2, paragrafo 5, e all'articolo 6, lettera a), e in conformit dell'articolo 4, paragrafo 2, lettera k), il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria e previa consultazione del Comitato economico e sociale e del Comitato delle regioni, contribuiscono alla realizzazione degli obiettivi previsti dal presente articolo, adottando, per affrontare i problemi comuni di sicurezza: a) misure che fissino parametri elevati di qualit e sicurezza degli organi e sostanze di origine umana, del sangue e degli emoderivati; tali misure non ostano a che gli Stati membri mantengano o introducano misure protettive pi rigorose; b) misure nei settori veterinario e fitosanitario il cui obiettivo primario sia la protezione della sanit pubblica; c) misure che fissino parametri elevati di qualit e sicurezza dei medicinali e dei dispositivi di impiego medico. 5. Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria e previa consultazione del Comitato economico e sociale e del Comitato delle regioni, possono anche adottare misure di incentivazione per proteggere e migliorare la salute umana, in particolare per lottare contro i grandi flagelli che si propagano oltre frontiera, misure concernenti la sorveglianza, l'allarme e la lotta contro gravi minacce per la salute a carattere transfrontaliero, e misure il cui obiettivo diretto sia la protezione della sanit pubblica in relazione al tabacco e all'abuso di alcol, ad esclusione di qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 67 6. Il Consiglio, su proposta della Commissione, pu altres adottare raccomandazioni per i fini stabiliti dal presente articolo. 7. L'azione dell'Unione rispetta le responsabilit degli Stati membri per la definizione della loro politica sanitaria e per l'organizzazione e la fornitura di servizi sanitari e di assistenza medica. Le responsabilit degli Stati membri includono la gestione dei servizi sanitari e dell'assistenza medica lassegnazione delle risorse loro destinate. Le misure di cui al paragrafo 4, lettera a) non pregiudicano le disposizioni nazionali sulla donazione e l'impiego medico di organi e sangue. - a norma dellart. 174 TFEU (ex articolo 158 del TCE) per promuovere uno sviluppo armonioso dell'insieme dell'Unione, questa sviluppa e prosegue la propria azione intesa a realizzare il rafforzamento della sua coesione economica, sociale e territoriale. - lart. 35 della Carta dei Diritti fondamentali dellUnione Europea stabilisce inoltre che ogni individuo ha il diritto di accedere alla prevenzione sanitaria e di ottenere cure mediche e che deve essere garantito un livello elevato di protezione della salute umana. Secondo lassetto attuale, dunque, il progresso economico dellUnione deve essere accompagnato dalla coesione sociale e territoriale e dalla tutela dei diritti fondamentali della persona. 3.2. Il diritto comunitario derivato Sul piano del diritto derivato afferente il servizio farmaceutico lUnione Europea ha disciplinato esclusivamente il riconoscimento delle qualifiche professionali (direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 7 settembre 2005, 2005/36/CE, GU L 255, pag. 22, avente ad oggetto anche i farmacisti) e la distribuzione e il commercio dei farmaci (Direttive 2001/83/CE, 2004/24/CE, 2004/27CE- Codice comunitario per i medicinali ad uso umano). Il ventiseiesimo considerando della Direttiva 2005/36/CE, enuncia quanto segue: La presente direttiva non coordina tutte le condizioni per accedere alle attivit nel campo della farmacia e allesercizio di tale attivit. In particolare, la ripartizione geografica delle farmacie e il monopolio della dispensa dei medicinali dovrebbe continuare ad essere di competenza degli Stati membri. La presente direttiva non modifica le norme legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri che vietano alle societ lesercizio di talune attivit di farmacista o sottopongono tale esercizio a talune condizioni. Tale considerando riprende, in sostanza, il secondo considerando della direttiva del Consiglio 16 settembre 1985, 85/432/CEE, concernente il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative riguardanti talune attivit nel settore farmaceutico (GU L 253, pag. 34), e il decimo considerando della direttiva del Consiglio 16 settembre 1985, 85/433/CEE, concernente il reciproco riconoscimento dei diplomi, certificati ed altri titoli 68 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 in farmacia e comportante misure destinate ad agevolare lesercizio effettivo del diritto di stabilimento per talune attivit nel settore farmaceutico (GU L 253, pag. 37), direttive che sono state abrogate con effetto a decorrere dal 20 ottobre 2007 e sostituite dalla direttiva 2005/36. Il recente D.Lvo 24 aprile 2006 n. 219 - Codice comunitario per i medicinali ad uso umano - in attuazione delle Direttive 2001/83/CE, 2004/24/CE, 2004/27CE, disciplina altres la distribuzione e il commercio dei medicinali. La distribuzione allingrosso subordinata al possesso di unautorizzazione regionale (art. 100, co.1). La citata autorizzazione non richiesta se linteressato in possesso dellautorizzazione alla produzione a condizione che la distribuzione allingrosso sia limitata ai medicinali oggetto di tale autorizzazione (art. 100, co. 3). Dunque il medesimo soggetto, gi autorizzato alla produzione, abilitato anche alla distribuzione allingrosso. Il testo normativo disciplina altres nel dettaglio, mediante rigorose procedure di autorizzazione e controllo, le attivit di informazione scientifica a medici e farmacisti (art. 119 e ss.), le pubblicit commerciali al pubblico (art. 118), le funzioni e i compiti di farmacovigilanza (28). Il 45 Considerando della Direttiva stabilisce che la pubblicit presso il pubblico di medicinali che possono essere venduti senza prescrizione medica potrebbe, se eccessiva e sconsiderata, incidere negativamente sulla salute pubblica; che inoltre (52 Considerando) necessario che le persone autorizzate a prescrivere o a fornire medicinali dispongano di fonti di informazioni imparziali e obiettive sui medicinali disponibili sul mercato. Lart. 5, comma 7 del D.L. 223/2006, decreto Bersani, ha abrogato lincompatibilit tra la distribuzione allingrosso e la vendita dei medicinali (29): la modifica, in combinato disposto con le altre disposizioni del Codice comunitario in esame, in un regime liberalizzato, potrebbe aggravare il rischio di concentrazioni nel mercato e di integrazioni verticali e comunque risulterebbe in contrasto con la sostanziale distinzione di attivit distribuzione allingrosso e dispensazione al pubblico da parte dei farmacisti sottesa dagli artt. 77 85 della medesima Direttiva 2001/83/CE (30). (28) Ai sensi dellart. 113, viene definita pubblicit dei medicinali qualsiasi azione di informazione di ricerca della clientela o di esortazione intesa a promuovere la prescrizione, la fornitura, la vendita o il consumo di medicinali. La pubblicit di un medicinale, assoggettata a limiti e autorizzazione ministeriale, deve comunque favorire luso razionale del medicinale, presentandolo in modo obiettivo e senza esagerarne le propriet, e non pu essere ingannevole. (29) Lart. 100/2 del D.Lvo 219/2006 recitava Le attivit di distribuzione allingrosso dei medicinali e quella di fornitura al pubblico di medicinali in farmacia sono fra loro incompatibili. (30) Lart. 77 Direttiva consente la distribuzione allingrosso da parte dei farmacisti ma non viceversa. Quando le persone autorizzate a fornire medicinali al pubblico possono esercitare, in forza della legislazione nazionale, anche un'attivit di grossista, esse sono soggette all'autorizzazione di cui al paragrafo 1 . CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 69 3.3. Le decisioni della Corte di giustizia e il principio di precauzione Su ricorso ex art. 226, primo comma, CE la Commissione avviava il procedimento per inadempimento dello Stato Italiano in riferimento ai presunti profili di incompatibilit della legislazione interna, per violazione degli artt. 43 CE (libert di stabilimento) e 56 CE (libert di circolazione dei capitali), nella misura in cui la stessa riserva la titolarit delle farmacie in capo ai soli farmacisti o societ di farmacisti e preclude alle imprese di distribuzione di prodotti farmaceutici di acquisire partecipazioni nella societ di gestione di farmacie comunali. Il procedimento - che trovava origine, significativamente, in un ricorso da parte di un importante gruppo europeo di distribuzione (e produzione) di farmaci generici - era accompagnato da altre iniziative della Commissione nei confronti di analoghe legislazioni nazionali (austriaca, spagnola) in ordine ai principi della pianificazione (pianta organica). Intervenivano nel procedimento innanzi alla Corte di Giustizia, a sostegno della posizione italiana in difesa del sistema nazionale di natura solidale fondato sulla pianificazione, ben cinque Stati membri: la Repubblica Ellenica, il Regno di Spagna, la Repubblica francese, la Repubblica di Lettonia e la Repubblica dAustria. In particolare la Lettonia, che aveva consentito la recente liberalizzazione dei servizi, segnalava nei propri scritti difensivi le gravi inefficienze e compressioni della qualit dei servizi farmaceutici in seguito alle citate riforme. LAustria provava significativamente i gravi rischi per la salute umana derivanti da un uso non corretto dei farmaci, anche da banco e da automedicazione; la Spagna censurava loperato della Commissione che tentava di introdurre un modello liberistico unico per lintera Europa in violazione del principio di sussidiariet e al di fuori dei meccanismi di partecipazione democratica propri dei parlamenti nazionali ed europeo. La questione, data limportanza, veniva devoluta alla Grande Sezione. Allesito della discussione la Corte rigettava il ricorso della Commissione riconoscendo la piena compatibilit del diritto italiano rispetto al diritto comunitario. Nel dettaglio accertava non provato da parte della Commissione che le restrizioni oggetto di censura non fossero proporzionate ed adeguate in relazione alla tutela della salute pubblica. Nelle proprie argomentazioni il giudice adito, avendo chiarito preliminarmente come la responsabilit degli Stati membri nellorganizzazione dei propri servizi sanitari non debba comprimere in modo ingiustificato e sproporzionato le libert economiche garantite dal Trattato (punti 35 e 36) riconosce che la salute e la vita delle persone occupano il primo posto tra i beni e gli interessi protetti dal Trattato (punto 36); che inoltre nessuna disposizione specifica comunitaria precisa lambito delle persone titolari del diritto di gestire una farmacia. Effettivamente, afferma la Corte, la normativa italiana comporta restrizioni, sia pur non discriminatorie, sia alla libert di stabilimento che alla libert di circolazione dei capitali e pertanto occorre verificare se le citate re- 70 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 strizioni siano giustificate allo scopo di garantire un rifornimento di medicinali alla popolazione sicuro e di qualit inteso quale motivo imperativo di interesse pubblico (punti 49-53). Ebbene conclude la Corte, si giustifica pienamente che qualora sussistano incertezze circa lesistenza o lentit dei rischi per la salute delle persone lo Stato membro possa adottare misure di tutela senza dover aspettare la concretezza di tali rischi sia pienamente dimostrata. Inoltre lo Stato membro pu adottare misure che riducano per quanto possibile il rischio per la sanit pubblica (v. in tal senso sentenza 5 giugno 2007 causa C- 170/04 Rosengren e a., Racc. pag. I-4071, punto 49) compreso, pi precisamente, il rischio per il rifornimento di medicinali alla popolazione sicuro e di qualit (punto 54). Data la nocivit di tutti i medicinali, i potenziali rischi per la salute pubblica e per lequilibrio finanziario dei sistemi di sicurezza sociale dei singoli Stati giustificano, in quanto proporzionata e adeguata allo scopo, una legislazione nazionale coerente e sistematica che riservi in capo ai soli farmacisti indipendenti, con esclusione degli altri operatori economici, la titolarit della gestione del servizio farmaceutico. In ultima analisi, osserva la Corte che uno Stato membro pu ritenere che costituisca un rischio per la sanit pubblica, la gestione di una farmacia da parte di un non farmacista: .valutare se un tale rischio esista con riferimento ai produttori e ai commercianti allingrosso di prodotti farmaceutici per il motivo che questi ultimi potrebbero pregiudicare lindipendenza dei farmacisti stipendiati incitandoli a promuovere i medicinali da essi stessi prodotti o commercializzati. Del pari uno Stato membro pu valutare il rischio che i gestori non farmacisti compromettano lindipendenza dei farmacisti stipendiati incitandoli a smerciare medicinali il cui stoccaggio non sia pi redditizio o procedano a riduzioni di spese di funzionamento che possano incidere sulle modalit di distribuzione al dettaglio dei medicinali. La citata sentenza chiarisce ed enfatizza quanto segue: - la salute e la vita delle persone sono bene primario e incomprimibile della persona, protetto dal Trattato (e non solo dagli Stati membri, pur competenti a determinarne il livello di garanzia e le modalit per raggiungerlo); - il principio di precauzione ben pu essere a fondamento di una legislazione interna che anticipi la soglia di tutela del bene salute a fronte di rischi anche solo potenziali e non accertati; - la salvaguardia dellindipendenza e formazione professionale del farmacista sono requisiti di garanzia per una dispensazione dei medicinali corretta e di qualit, e quale prevenzione dai rischi di un mercato imperfetto, caratterizzato da gravi asimmetrie informative e forti interessi economici. Successivamente la Corte di Giustizia torna a pronunciarsi in ordine alle farmacie. Loccasione la domanda di pronuncia pregiudiziale ex art. 234 CE del Tribunal Superior de Justicia de Asturias (cause C-570/07 e C-571/07) in virt CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 71 della quale si chiede di accertare se il diritto di stabilimento garantito dal Trattato osti alle disposizioni restrittive interne delle Asturie - del tutto simili alla normativa italiana - che disciplinano la pianta organica e il regime delle autorizzazioni allapertura delle farmacie. Anche in tale decisione la Corte ribadisce preliminarmente la responsabilit degli Stati membri nellimpostare i propri sistemi nazionali di assistenza sanitaria tenendo conto del fatto che la salute e la vita delle persone occupano una posizione preminente tra i beni e gli interessi protetti dal Trattato (punti 43 e 44); che il diritto comunitario derivato lascia impregiudicato sia il principio del concorso inteso come condizione di accesso alle attivit del settore farmaceutico sia i criteri di distribuzione territoriale del servizio. Verificato dunque che la normativa spagnola contiene disposizioni restrittive della libert di stabilimento (concorso e pianta organica), ancorch non discriminatorie, (punti 53-60), il giudice comunitario verifica se le stesse risultino giustificate dallobiettivo di garantire alla popolazione una fornitura di medicinali sicura e di qualit ai sensi degli artt. 168, n. 1 TFUE e 35 della Carta dei Diritti fondamentali dellUnione Europea. Ebbene in applicazione del principio di precauzione (31) - sostiene la Corte - lo Stato membro pu garantire unequilibrata distribuzione del servizio sullintero territorio nazionale mediante una pianificazione che tenga conto dei criteri, tra loro complementari, della popolazione e della distanza tra farmacie. Inoltre la Corte chiarisce espressamente le ragioni per le quali le argomentazioni a sostegno delle liberalizzazioni non siano condivisibili. In primo luogo la gravit degli obiettivi propri della tutela della salute pubblica pu giustificare restrizioni che abbiano conseguenze negative, anche gravi, per taluni operatori; secondariamente la normativa spagnola appare coerente e sistematica anche in ragione degli elementi di flessibilit correlati alle specifiche esigenze della collettivit (punti 97-103); in ultimo il cd. sistema de minimis non appare parimenti efficace rispetto allobiettivo di assicurare un approvvigionamento sicuro e di qualit nelle zone poco attraenti (punti 104 111). Successivamente la Corte di Giustizia con la sentenza 1 luglio 2010, causa C-393/08, avente valenza solo processuale in quanto dichiara irricevibile la domanda pregiudiziale del Tar Lazio in tema di orari e ferie delle farmacie, accerta tra laltro, che le disposizioni del diritto comunitario in materia di concorrenza (artt. 81 CE 86 CE) risultano manifestamente inapplicabili in un contesto quale quello del procedimento principale. (31) Qualora sussistano incertezze sullesistenza o sulla portata di rischi per la salute delle persone, lo Stato Membro pu adottare misure di protezione senza dover attendere che la realt di tali rischi sia pienamente dimostrata (punto 74) in relazione al rischio di inadeguato approvvigionamento di medicinali quanto a sicurezza e qualit (punto 75). 72 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 3.4. La politica comunitaria sulla salute La tendenza evolutiva della politica europea per la salute pubblica delineata altres dal Libro Bianco della Commissione Un impegno comune per la salute: approccio strategico dellUE per il periodo 2008 2013(32). La Relazione del Parlamento Europeo del 16 settembre 2008 sul citato documento evidenzia che i sistemi di sanit solidali sono un elemento essenziale del modello sociale europeo, che prioritario assicurare la sostenibilit dei citati sistemi ed eliminare le disparit a livello di assistenza sanitaria tra gli Stati e allinterno di ciascuno Stato, pur nel rispetto delle differenze dei sistemi gestionali e delle competenze dei singoli Stati. In tale prospettiva il Parlamento sollecita una politica europea pi appropriata e adeguata ad assicurare un elevato livello di tutela della salute pubblica, basata su corrette valutazioni di impatto sanitario, sulla definizione del ruolo e delle responsabilit dellindustria farmaceutica nellambito della sostenibilit dei sistemi sanitari, uninformazione affidabile, indipendente e comparabile, la capacit di elaborare linee guida per ridurre la prescrizione degli antibiotici nei casi di sola effettiva necessit, garantire la lotta alla contraffazione dei medicinali ed una maggiore integrazione tra le politiche dei singoli Stati. 4. Verifica della posizione dellAutorit per la Concorrenza ed il Mercato Considerato che il sistema sanitario italiano fondato sul modello solidale (e non gi liberistico) e che lo stesso, oltre ad essere pienamente compatibile con il diritto comunitario, anticipa le politiche europee in materia di salute pubblica, la posizione ufficialmente assunta dallAutorit Garante per la Concorrenza ed il Mercato nellambito della funzione consultiva di enforcement antitrust ex artt. 21 e 22 L. 287/1990 appare non pi attuale e soprattutto non condivisibile per difetto di competenza, approccio metodologico ed esito dei contenuti. In primo luogo, nella prospettiva pur non condivisibile dellAGCM, si pone un dubbio in ordine al riparto di competenze tra istituzioni nazionali e quelle comunitarie - in primis la Commissione - ai sensi degli artt. 1 L. 287/1990, 2 e 3 TFUE. I giudizi innanzi alla Corte di Giustizia hanno infatti evidenziato che il contesto di mercato afferente la produzione, importazione e distribuzione allingrosso dei medicinali, data lentit degli operatori economici, la fluidit tra ambiti nazionali e la vigenza del Codice Comunitario concernente i medicinali per uso umano, significativamente rilevante per il mercato unico, e dunque di competenza comunitaria. Il rigetto del ricorso della Commissione da parte della Corte di Giustizia vincola pertanto anche lAutorit indipendente nazionale, alla quale preclusa ogni ulteriore valutazione in (32) COM (2007)0630. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 73 contrasto con le decisioni del giudice comunitario che affermano il carattere marginale delle libert economiche in relazione al modello solidale esaminato. Resta quindi confermato che le eventuali restrizioni alla dispensazione dei farmaci al pubblico - attivit ontologicamente distinta se non contrapposta alla produzione/distribuzione allingrosso dei medicinali - sono pienamente giustificate, adeguate e proporzionate per il perseguimento di fini di interesse generale. Il che comporta il venir meno dei presupposti a fondamento di qualsivoglia intervento dellAntitrust ai sensi degli artt. 1, 21 e 22 L. 287/1990 nella misura in cui lo stesso vada a censurare i fondamenti dellorganizzazione del servizio farmaceutico gi vagliati favorevolmente dalla Corte di Giustizia. Il sistema sanitario solidale - fondato sulla pianificazione e sul principio del concorso pubblico - presuppone infatti che la dispensazione dei farmaci al pubblico riservata ai soli farmacisti titolari di farmacie, sia sottratta al mercato in quanto attivit assistenziale. Pertanto le modalit di dispensazione dei farmaci al pubblico, in quanto afferenti, in prevalenza, la tutela della salute pubblica (e non gi della concorrenza) esulano dallambito di applicabilit della L. 287/1990. Sotto il profilo metodologico si rileva che, ammesso e non concesso che lAutorit possa sindacare in s la coerenza ed efficacia dellorganizzazione del servizio farmaceutico, tale valutazione debba essere compiuta in relazione ai fini di interesse generale sottesi alla disciplina di cui trattasi: la tutela della salute pubblica. Diversamente argomentando si porrebbe in essere uninversione arbitraria tra fini e mezzi: la disciplina del servizio farmaceutico non preordinata a soddisfare interessi economici o a garantire la competitivit del Paese, bens ad assicurare un elevato livello della salute pubblica. N appaiono condivisibili le soluzioni che prospetta lAutorit. Per valutare il grado di efficienza e soddisfazione del servizio da parte della collettivit lAGCM dovrebbe allora fondare le proprie posizioni non gi su documenti forniti da soggetti portatori di interessi economici settoriali in specie Anifa Federchimica bens studi e rilevazioni di carattere indipendente o quanto meno istituzionale, aventi valenza non solo economica. Stupisce allora che lAutorit ignori del tutto i dati messi a disposizione periodicamente dal Censis ovvero dallOsservatorio Nazionale sullImpiego dei Medicinali (OsMed)(33). Il Censis, nellaudizione al Senato Commissione XII Igiene e Sanit del 22 settembre 2010 attesta un altro grado di gradimento da parte dei cittadini del sistema farmaceutico - quale parte integrante del SSN - mentre lOsMed, nel Rapporto nazionale gennaio-settembre 2010 evidenzia, a seguito del venir meno della copertura brevettuale di importanti molecole, laumento globale della spesa farmaceutica degli equivalenti (30%). In altri termini a fronte di una diminuzione dei costi si registra comunque un aumento del consumo pro- (33) LOsservatorio nazionale sullImpiego dei farmaci, istituito con L. 448/98 ha tra le sue finalit quella di descrivere i cambiamenti nelluso dei farmaci e correlare problemi di sanit. 74 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 capite dei farmaci generici, che rappresentano oggi una fetta crescente del mercato globale (34). Risultano altres disattesi i molteplici risultati della letteratura scientifica e delle Agenzie internazionali che si sono espresse circa i rischi di abuso dei farmaci o disinformazione degli assistiti. Considerato quindi che nel settore farmaceutico deve aversi riguardo alluso razionale e sicuro dei farmaci (quale parametro di qualit del servizio) i dati puramente quantitativi e parziali prodotti dallAutorit a sostegno della liberalizzazione (tesi ad una diversa distribuzione dei ricavi tra i protagonisti della filiera del farmaco) appaiono del tutto inconferenti in relazione ai fini di interesse generale di tutela della salute pubblica. Peraltro le esperienze delle liberalizzazioni poste in essere in altri Paesi europei - emerse nei giudizi innanzi alla Corte di Giustizia - hanno dimostrato che sottrarre la riserva in capo ai farmacisti della dispensazione dei farmaci costituisce un serio rischio di aumento ingiustificato dei consumi(35). Al riguardo la possibilit di pubblicizzare i farmaci da banco e senza obbligo di prescrizione medica aggrava notevolmente tale rischio. A ci si aggiunga che lacquisto dei canali di vendita da parte dei distributori - nei paesi in cui ci consentito - costituisce ragione di crescita dellEBITDA, correlato allaumento dei consumi . Unultima argomentazione, di carattere centrale ed assorbente. Sorprende non poco come difetti del tutto nelle segnalazioni dellAutorit uno studio di impatto della proposta liberalizzazione in relazione alla sostenibilit complessiva del sistema farmaceutico. Le farmacie, oltre alla vendita dei farmaci, erogano una serie di servizi alla persona, propri del SSN, senza alcun onere a carico delle finanze pubbliche: anticipazioni sugli acquisti dei farmaci rimborsabili, CUP, servizi domiciliari, farmacovigilanza ecc. Appare allora evidente che la liberalizzazione della vendita minerebbe gravemente la redditivit delle farmacie quale fondamento della sostenibilit delle sistema, pregiudicandone gravemente lefficienza quali presidi del servizio sanitario nazionale. Si auspica che lAutorit ponderi in maniera pi approfondita i principi fondamentali che caratterizzano lorganizzazione del servizio sanitario nazionale e concentri viceversa lesercizio delle proprie funzioni ex L. 287/90 sui rischi concreti di concentrazione e integrazione verticale che sussistono nei (34) Tavola 12 del Rapporto in www.governo.it/GovernoInforma/Dossier/farmaci_spesa/ (35) Margine Operativo Lordo, vd. dati Celesio (gruppo gi Gehe, controllata da Franz Haniel & Cie Gmbh quotata alla Borsa di Francoforte e collegata anche a Lloydpharmacy e Apoteke Doc Morris e alla Grande Distribuzione, METRO Group) Rassegna stampa Celesio 11 novembre 2010 che registra nel periodo gennaio-settembre 2010 un incremento dellEBITDA del 10.3 per cento fino a 17.35 miliardi di euro, principalmente riconducibili alle vendite allingrosso di prodotti farmaceutici. Tali dati sono da correlare alla politica del gruppo volta alle acquisizioni delle farmacie in molti paesi, tra i quali lItalia: Azienda farmacie milanesi spa (n. 84 farmacie comunali in Milano e n. 2 dispensari) e AFM spa (35 farmacie comunali in Emilia Romagna). In argomento AGCM, provv.ti 9563/2001 e 7234/1999, che tuttavia non rileva rischi di concentrazione. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 75 settori economici a valle dellassistenza sanitaria costituiti dalle attivit di produzione e distribuzione allingrosso dei farmaci, significativamente emersi nei giudizi innanzi alla Corte di Giustizia. Le Farmacie e le Corti Istruzioni per un uso non corporativo delle sentenze Fabio Pammolli* e Nicola C. Salerno** SOMMARIO: 1. Premessa. 2. Autorit Garante della Concorrenza e del Mercato e Corte Costituzionale. 3. Commissione Europea e Corte di Giustizia Europea. 4. Conclusioni. 1. Premessa Nel dibattito che accompagna i tentativi di riforma degli esercizi farmaceutici e della distribuzione del farmaco, si aggiunto, negli ultimi tempi, un argomento nuovo. Un presunto contrasto tra da un lato le indicazioni dellAutorit Garante della Concorrenza e del Mercato (in seguito Antitrust) e della Commissione Europea e, dallaltro, le sentenze della Corte Costituzionale e della Corte di Giustizia Europea. Antitrust e Commissione, nei rispettivi ruoli e con gli strumenti propri di ciascuno, chiedono il superamento degli aspetti anti-concorrenziali e di chiusura corporativistica che caratterizzano il settore. Dalle due Corti sono sopraggiunte sentenze che, a prima vista e soprattutto ad occhio inesperto, potrebbero sembrare sconfessare rispettivamente lAntitrust e la Commissione. Poich questo argomento ricorre sempre pi spesso e potrebbe confondere il confronto tra le parti e ostacolare la finalizzazione delle riforme, si riporta, di seguito, una lettura ragionata delle posizioni espresse dalle quattro Istituzioni, che tiene conto della loro sfera di competenze e delle loro attribuzioni. Il loro disallineamento solo apparente. 2. Autorit Garante della Concorrenza e del Mercato e Corte Costituzionale Nella sua ormai quasi ventennale attivit di analisi e segnalazione riguardo la distribuzione dei farmaci, lAntitrust ha ripetutamente sollecitato Parlamento e Governo ad affrontare i nodi strutturali di origine corporativistica (*) Presidente del CeRM - Competitivit, Regole, Mercati (www.cermlab.it), e direttore della scuola dottorale IMT - Alti Studi Lucca (www.imtlucca.it). (**) Dirigente di ricerca in CeRM. 76 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 e di ostacolo alla concorrenza. LAntitrust ha periodicamente chiesto: la rimozione della pianta organica con copertura delle zone che restano scoperte a cura del comune; il superamento della sovrapposizione propriet-gestione e del divieto che la propriet possa essere di societ di capitali; lintroduzione di un nuovo criterio di remunerazione per la distribuzione dei farmaci A (i rimborsati dal servizio sanitario nazionale), senza la proporzionalit al prezzo al consumo; la trasformazione di tutti gli obblighi in termini di ore, giorni, periodi di apertura da tetti massimi a standard minimi di servizio pubblico; leliminazione del vincolo di prezzo unico nazionale per i farmaci rimborsati; etc.. Alla base di queste richieste, alcune valutazioni di merito economico. I vincoli posti dal legislatore sono sovradimensionati rispetto allobiettivo di perseguire la salute pubblica. Un ampliamento dellofferta, con conseguente efficientamento della distribuzione e maggiore concorrenza a monte tra produttori, nellinteresse del servizio sanitario nazionale e dei cittadini. Il primo potrebbe, con le risorse a disposizione, pi concretamente perseguire, bilanciandoli, lobiettivo di tenere sotto controllo la spesa e quello di ammettere a rimborso i prodotti in-patent (coperti da brevetto) con prezzi allaltezza della loro innovativit e del sottostante impegno in ricerca e sperimentazione. I secondi avrebbero sempre a disposizione la pi ampia variet di farmaci, sia in fascia A (i mutuati) che in fascia C-Op (i non mutuati con obbligo di prescrizione), per ottimizzare il loro impiego a seconda delle esigenze terapeutiche. Se lAntitrust non ha mai nutrito dubbi sullagenda settoriale da indicare al Parlamento e al Governo, da qualche tempo a questa parte, ovvero da quando il dibattito di policy si intensificato, tra le varie tesi comparsa anche quella di un presunto contrasto tra gli intenti dellAntitrust e le sentenze della Corte Costituzionale. Invero, in pi occasioni la Corte si espressa su questioni inerenti la distribuzione al dettaglio dei farmaci, e dalla lettura delle motivazioni e del dispositivo delle sentenze si vorrebbero ricavare conferme della bont dellattuale struttura di settore. Su questo punto, e sui rapporti tra Antitrust e Corte Costituzionale, importante maturare un punto di vista approfondito, che tenga conto delle rispettive competenze e dei ruoli. Si rischia, altrimenti, di rimanere bloccati in una contrapposizione tra due alte istituzioni che avrebbe del paradossale, dal momento che lAntitrust nata per dare attuazione a principi economici affermati nella Costituzione (libert di intrapresa, diritto al lavoro, uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, etc.), e che la Corte Costituzionale un organo costituzionale di garanzia e, come tale, non pu esprimersi nel merito delle scelte di politica economica di Parlamento e Governo. Per la Corte il profilo rilevante quello della legittimit costituzionale. Il contrasto con lAntitrust solo apparente. La Corte adotta un punto di vista giuridico, per giunta non complessivo (visione settoriale e connessioni CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 77 intersettoriali), ma focalizzato sulla fattispecie su cui sollecitata; lAntitrust esprime un punto di vista economico e sistemico. Il primo verifica la coerenza interna della normativa e la sua rispondenza ai principi costituzionali; il secondo pone la normativa al vaglio dellanalisi economica, in una prospettiva di potenziale riscrittura e ristrutturazione. La Corte prende in esame, il corpus normativo esistente per giudicare su eventuali aporie e inconsistenze interne, che minino lunitariet con cui il complesso delle leggi deve tendere a realizzare i principi fondanti della Costituzione. LAntitrust si esprime sulla migliorabilit delle norme attraverso processi di riforma pro-concorrenziale per adeguarle ai tempi, alle nuove capacit organizzative e imprenditoriali, di nuovi strumenti di governance, etc.. Non deve sembrare una diminutio della Corte affermare che, per forza di cose, il suo giudizio si veste di una maggior prevalenza formale, mentre quello dell'Antitrust pu puntare direttamente ai fondamentali economici. Per avere delle esemplificazioni, si prendano la Sentenza n. 446 del 1988, la sentenza n. 27 del 2003, e la sentenza n. 275 del 2003, le tre maggiormente invocate nel confronto di politcy. Nella Sentenza n. 446 del 1988, la Corte Costituzionale si esprime sugli obblighi di chiusura estiva e infrasettimanale e sulla fissazione degli orari giornalieri, sui quali hanno competenza le regioni. Qui la stessa Corte, a latere, nel dispositivo che rigetta il ricorso contro gli obblighi di chiusura, inserisce una precisazione che fa assumere allo stesso dispositivo una luce completamente diversa: [Si rammenta] che il potere [di questa Corte] di giudicare in merito alla utilit sociale alla quale la Costituzione condiziona la possibilit di incidere sui diritti della iniziativa economica privata concerne solo la rilevabilit di un intento legislativo di perseguire quel fine e la generica idoneit di mezzi predisposti per raggiungerlo. In altri termini, la Corte sostiene che nel corpo normativo regionale si riscontra (nella formulazione degli articoli, nelle premesse, nei rimandi ai principi costituzionali, etc.) la volont di volgere quelle limitazioni delle libert di intrapresa verso finalit socialmente meritorie (organizzazione della rete di welfare locale, mantenimento delle qualit psicofisiche dei lavoratori, etc.). La stessa Corte ne prende atto, riconoscendo poterci essere un generico legame tra le limitazioni e le finalit sociali. Ma il punto su cui si dovrebbe approfondire proprio questo: non fermarsi alla dichiarazione formale delle finalit e, al contrario, entrare nel merito dei legami di azione-effetto che ci sono tra la misura di policy e lauspicata utilit sociale. Solo che questa funzione non la pu assolvere la Corte, che non pu impegnarsi nella valutazione di merito sulla proporzionalit tra lazione e leffetto, n, tantomeno, sullesistenza di altre eventuali misure in grado di perseguire le stesse finalit secondo modalit e con esiti migliori. 78 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 La Sentenza n. 27 del 2003 offre un esempio ancora pi chiaro. La Corte di nuovo chiamata ad esprimesi sui vincoli ai periodi di apertura degli esercizi (orari, ferie estive, giorni di lavoro nella settimana). Qui non si dubita che la scelta del Legislatore (nazionale e regionale) sia volta a perseguire la salute pubblica, e che i limiti alla concorrenza tra esercizi farmaceutici abbiano natura strumentale alla salute pubblica. La Corte giustifica i vincoli sui periodi di apertura rimandando alla stessa ratio alla base del contingentamento numerico delle farmacie (la pianta organica), aspetto non coinvolto (in questo specifico caso) dal ricorso alla stessa Corte. Assodato (nel ritenuto in fatto e nel considerato in diritto della sentenza) che il contingentamento numerico mira ad una migliore realizzazione del servizio pubblico, allora, conclude la Corte, i vincoli agli orari possono essere visti come un completamento dello stesso contingentamento, condividendone la finalit. Non un giudizio di adeguatezza e proporzionalit dello strumento, ma un giudizio di coerenza interna del corpo normativo in vigore. E evidente che, se la ratio viene costruita in questa maniera, i singoli aspetti del corpus normativo in vigore si sostengono a vicenda, senza passare per una analisi di congruit e di adeguatezza. Da questo punto di vista, di particolare interesse quanto la Corte afferma poco prima del dispositivo, quando riconosce che: [] Le mutate condizioni di fatto e di diritto consentirebbero un cambiamento dei convincimenti [circa i vincoli di apertura], [ sennonch] appare evidente che una simile operazione di rimodulazione del dettato legislativo fuoriesce dai compiti della Corte, la quale deve limitarsi ad uno scrutinio di legittimit costituzionale delle norme [] . Infine, con la Sentenza n. 275 del 2003 la Corte attivata in merito alla diversa applicazione dellincompatibilit tra attivit allingrosso e al dettaglio per le farmacie private (su cui illo tempore sussisteva) e pubbliche (per le quali illo tempore non era prevista). Larticolo 8, comma 1, lettera a), della Legge n. 362 del 1991 doveva prevedere, secondo la Corte, che la partecipazione a societ di gestione di farmacie comunali fosse incompatibile con qualsiasi altra attivit nel settore della produzione, distribuzione, intermediazione e informazione scientifica del farmaco. La incompatibilit erga omnes tra vendita allingrosso e vendita al dettaglio stata infatti subito dopo introdotta dal D.Lgs. n. 219 del 2006, poi a sua volta modificato dalla legge n. 248 del 2006 (cosiddetta riforma Bersani-1), che ha permesso al farmacista titolare di impegnarsi anche in attivit di distribuzione allingrosso dei farmaci. Con la sentenza n. 275 del 2003 la Corte non entra in nessun modo nel merito della ratio dellincompatibilit e della sua proporzionalit con gli scopi dichiarati dal Legislatore. Riconosciuto che lincompatibilit (era) attestata per le farmacie private, la Corte si limita a chiedere la rimozione della disparit di trattamento, con lestensione del vincolo anche alle farmacie comunali. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 79 Lazione della Corte tesa a rimuovere una disparit di trattamento tra cittadini e tra professionisti/lavoratori, con la richiesta che va nel verso che alla Corte appariva il pi rispettoso delle intenzioni del Legislatore: se quella incompatibilit (era) stata disposta in previsione di uno scopo meritorio, allora (era) corretto che riguardasse tutte le farmacie, private e pubbliche senza distinguo. Riassumendo, dalla sentenze della Corte costituzionale non possibile far discendere elementi con cui confutare le tesi sostenute dallAntitrust. Lapparente contrasto che emerso con riguardo al settore della distribuzione al dettaglio dei farmaci suggerisce, invece, la necessit di una maggior collaborazione istituzionale. Per il futuro, lauspicio quello di una convergenza e di un raccordo tra le due Istituzioni, prevedendo che lAntitrust possa sia attivare la Corte Costituzionale su tematiche inerenti la concorrenza e il mercato, sia comparire tra le parti tecniche audite dalla Corte su queste stesse tematiche. 3. Commissione Europea e Corte di Giustizia Europea Le considerazioni appena svolte sul rapporto tra Antitrust e Corte Costituzionale sono di aiuto per comprendere quello che sta accadendo a livello europeo, dove Commissione Europea e Corte di Giustizia Europea appaiono, a prima vista, anchesse disallineate nella valutazione sulla struttura e sulla regolazione del settore. Preliminarmente, occorre ribadire che struttura e regolazione del settore presentano tratti fondamentali simili in molti paesi europei, e soprattutto in quelli mediterranei e di diritto romano quali Francia, Italia, Portogallo, Spagna, ma non solo se si pensa ai casi del Belgio e della Germania. Questa condizione implica che dal confronto internazionale degli status quo raro che possano giungere indicazioni dirimenti per lagenda delle riforme, se non a patto di ampliare i casi Paese posti a confronto e di concentrarsi sugli aspetti migliori rinvenibili qui e l. Se si analizzano gli interventi della Commissione Europea nellarco degli ultimi cinque-sei anni, emerge una chiara condivisione di visione e di ragioni con lAntitrust italiano. I principi dellUnione Europea di libera circolazione di persone, professionisti e capitali, e di libert di insediamento delle attivit economiche e imprenditoriali (articoli 43-56 del trattato della comunit europee) spingono la Commissione a sollecitare i Partner a superare la pianta organica, la sovrapposizione propriet/gestione, il divieto che la propriet sia di societ di capitali, il divieto di formazione di catene, i vincoli di coordinamento dei periodi di apertura, etc.. Per portare alcuni esempi, con lIP/05/1665 (Infraction Procedure) del 21 Dicembre 2005, la Commissione ha ufficialmente chiesto allItalia di rimuovere i vincoli sulla propriet delle farmacie, che vanno al di l di quanto necessario per perseguire lobiettivo della salute pubblica. Si legge: 80 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 La Commissione crede che la restrizione vada al di l di quanto necessario per perseguire lobiettivo della salute pubblica. Il problema del conflitto di interessi pu, infatti, esser evitato con misure diverse dal divieto assoluto per le imprese impegnate nella distribuzione allingrosso di investire anche nella distribuzione al dettaglio. Come gi osservato a proposito del divieto di detenere la propriet di farmacie per soggetti non farmacisti abilitati e per persone giuridiche diverse da societ di persone composte da soli farmacisti abilitati, lobiettivo della salute pubblica rimarrebbe ugualmente garantito fissando il requisito che solo il farmacista abilitato pu dispensare il farmaco al paziente-cliente e deve esser necessariamente presente in farmacia [] . Con l/IP/06/858 del 28 Giugno 2006, la Commissione ha deciso di chiedere alla Spagna di addurre giustificazioni per la pianta organica e i vincoli di accesso alla propriet, aspetti simili a quelli italiani e valutati eccessivi e controproducenti. Si legge: La scelta di limitare il numero di farmcie appare sproporizionato e addirittura controproducente rispetto allobiettivo di assicurare un buon rifornimento di medicinali sul territorio [] . E ancora: [I vincoli di accesso alla propriet] sono restrizioni esagerate rispetto al requisito legittimo e necessario che i rapporti tra la farmacia e i pazienti-clienti si svolgano alla presentza e sotto la resposabilit di farmacisti abilitati. [Questi vincoli alla propriet] non sono in alcun modo necessari a perseguire lobiettivo della salute pubblica. Nello stesso documento, speculari richieste sono state rivolte allAustria. E sempre nello stesso documento stato inserito il deferimento dellItalia alla Corte di Giustizia Europea come proseguimento delliter avviato con lIP/05/1665 (citato poco sopra). Con lIP/08/1352 del 18 Settembre 2008, la Commissione ha formalmente richiesto alla Germania e al Portogallo di riformare la regolazione di settore. Per la prima, la richiesta ha riguardato leliminazione dei vincoli di accesso alla propriet e di creazione di catene ([anche queste limitazioni] non trovano giustificazione alcuna nellobiettivo di perseguire la protezione della salute ). Per il secondo, la richiesta ha riguardato il divieto per i grossisti di assumere la propriet di farmacie, oltre che i vincoli alla formazione di catene di esercizi ([] sono vincoli sproporzionati rispetto al fine di garantire la pubblica salute e, per questo motivo, non compatibili con il principio comunitario della libert di stabilimento di lavoratori, professionisti e attivit imprenditoriali). Infine, con lIP/08/1785 del 27 Novembre 2008, la Commissione si nuovamente rivolta allItalia, chiedendo di eliminare il vincolo per il farmacista di possedere pi di un esercizio, e quello per le societ di farmacisti di possedere pi di quattro esercizi, per giunta necessariamente ubicati allinterno della stessa provincia: [] I vincoli vanno al di l di quanto obiettivamente ne- CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 81 cessario per perseguire quellobiettivo di salute pubblica invocato dalle Autorit Italiane. Se le posizioni della Commissione sono chiare e inequivocabili, da quando alcuni dei procedimenti avviati dalla Commissione sono approdati al vaglio finale della Corte di Giustizia, sono emerse delle divergenze tra le valutazioni delle due istituzioni. Tuttavia, ad una lettura attenta delle sentenze della Corte, si comprende come si stia ripresentando a livello europeo quel diverso punto di vista rilevabile in Italia tra lAntitrust e la Corte Costituzionale. La Corte di Giustizia non pu sostituirsi ai policy maker nazionali; n riconsiderare il corpus normativo e regolamentare esistente in una prospettiva di riorganizzazione, ristrutturazione e ammodernamento. Compito della Corte accertare che non esistano punti di contrasto tra le legislazioni nazionali e il Trattato delle Comunit Europee. Nellassolverlo, la Corte non pu entrare nel merito specifico della scelta degli strumenti per perseguire le varie finalit a livello Paese. La salute pubblica e la libera intrapresa sono entrambi presenti nel Trattato delle Comunit Europee come lo sono nella Costituzione Italiana, e se un Legislatore nazionale afferma di aver posto dei vincoli alla concorrenza perch, nella sua valutazione, questi sono importanti per perseguire lobiettivo di salute pubblica, la Corte di Giustizia non pu sindacare sul quantum, ma si limita a riconoscere la coerenza interna del Legislatore nazionale, che ha agito senza ignorare le due finalit, e compiendo scelte precise sulla loro realizzazione coordinata. Alcuni esempi confermano questa lettura. Con la Sentenza della Grande Sezione del 1 giugno 2010 (procedimenti riuniti C-570/07 e C-571/07), la Corte, esprimendosi sulla pianta organica nella provincia spagnola delle Asturie, arriva s a valutarla non in contrasto con il Trattato delle Comunit Europee, ma sottolineando come questa stessa valutazione valga solo in linea di principio, nella misura in cui la pianta organica strumentale al perseguimento della salute pubblica. Si legge: Nel valutare il rispetto dellobbligo [di non introdurre ingiustificate restrizioni alla concorrenza e alla libert di intrapresa], necessario tenere conto del fatto che la salute e la vita delle persone occupano una posizione preminente tra i beni e gli interessi protetti dal Trattato, e che spetta agli Stati Membri stabilire il livello al quale intendono garantire la tutela della sanit pubblica e il modo in cui tale livello deve essere raggiunto. Poich detto livello pu variare da uno Stato allaltro. Si deve riconoscere agli Stati Membri un margine discrezionale. E significativo che lAvvocato Generale, nel presentare la causa alla Grande Sezione che doveva poi decidere, cos concludeva la sua audizione: [] Spetta al giudice nazionale determinare se la distanza specifica imposta [tra farmacie] sia giustificata, tendo conto del livello di interferenza 82 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 con il diritto di stabilimento, della natura dellinteresse pubblico, nonch del livello di copertura universale che potrebbe essere raggiunto con sistemi meno restrittivi. Resta, cos, elusa e ancora aperta la questione della proporzionalit e delladeguatezza della regolamentazione settoriale. Proprio le due qualit che la Commissione Europea vede alla base di ogni valido assetto regolatorio. Infatti, con il Report on competition in professional services (COM(2004)83final del 9 Febbraio 2004), la Commissione Europea ha invitato i Partner a sorvegliare sullapplicazione di due principi base della regolamentazione: (a) la proporzionalit tra gli interventi e i benefici, attuali e concreti, generabili nellintesse della collettivit; e (b) il collegamento logico e diretto tra le misure restrittive del libero mercato e gli effetti positivi sul perseguimento dellinteresse generale di cittadini. Un altro esempio dato dalla Sentenza della Grande Sezione dell1 Maggio 2009 (procedimento C-531/06), riguardante direttamente lItalia deferita dalla Commissione europea con la citata IP/06/858. Qui la Corte valuta non in contrasto con il Trattato delle Comunit Europee i vincoli di accesso alla propriet. Alla base del dispositivo vi sono le medesime considerazioni appena sintetizzate: che spetta agli Stati Membri decidere il livello al quale vogliono garantire la salute pubblica e il modo in cui questo livello deve essere raggiunto; che la diversit dei sistemi di protezione sociale richiede che ciascun Paese possa esercitare discrezionalit nella scelta degli strumenti con cui perseguire la pubblica utilit; che, nello specifico, spetta al singolo Paese esprimersi sui rapporti di produzione (professionali, di lavoro, di compravendita) pi idonei a perseguire lobiettivo della salute pubblica. Su questultimo punto, la Corte si avventura anche in alcune considerazioni opinabili e anche un po inopportune dato il livello istituzionale, circa la ricattabilit dei farmacisti stipendiati (alinea 64), o il rischio che la gestione dellesercizio venga affidata a soggetti non abilitati alla professione (alinea 63). Da un lato, emerge la tentazione di valutazioni di tipo etico, confermate anche dal fatto che, si sostiene (alinea 61), [... i farmacisti di professione gestiscono] la farmacia non in base ad un obiettivo meramente economico, ma altres in unottica professionale. [Linteresse del farmacista], connesso alla finalit di lucro, viene quindi temperato dalla sua formazione, dalla sua esperienza professionale, e della responsabilit ad esso incombente, considerato che uneventuale violazione delle disposizioni normative o deontologiche comprometterebbe non soltanto il valore del suo investimento, ma altres la propria vita professionale. Dallaltro lato, la Corte sembra cadere nellerrore di confondere propriet e gestione, questultima mai coinvolta, in Italia come negli altri Partner, in CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 83 discussioni che potessero non vederla appannaggio/responsabilit esclusiva di farmacisti abilitati. Per inciso, le argomentazioni qui utilizzate dalla Corte porterebbero ad una duplice conclusione. In primo luogo, se lecito che i Paesi Membri mantengano vincoli allaccesso alla propriet, non si intravedono ragioni per cui farmacisti abilitati (valutati in grado di esercitare la professione dai singoli ordinamenti nazionali) non possano liberamente avviare e gestire direttamente un loro esercizio (1). In secondo luogo, la confusione tra propriet e gestione lascia intravedere le difficolt che la Corte pu incontrare nel giudicare su tematiche tecniche, sulle quali prospettiva del diritto e prospettiva delleconomia dovrebbe supportarsi a vicenda. Quella stessa conclusione in precedenza proposta per le relazioni istituzionali che auspicabilmente dovrebbero strutturarsi tra la Corte Costituzionale e lAntitrust italiano. Considerazione di questo tenore possono esser ripetute anche per latri procedimenti in corso innanzi alla Corte di Giustizia. Le conclusioni dellAvvocato generale sula causa C-393/08, per portare altri esempi, suggeriscono alla Corte di rigettare un ricorso avverso la pianificazione dei periodi di apertura (tra laltro anche questo procedimento riguardante lItalia). Le argomentazioni addotte sono varie, ma su di tutte si impone quella che il coordinamento dei periodi un aspetto collaterale al contingentamento numerico, che a sua volta rientra un una pianificazione sistematica che, negli intenti del Legislatore, mira a garantire adeguatezza dellofferta in quantit e qualit. Si legge: [tanto pi che, in presenza di un esercizio chiuso], chiunque pu utilizzare le altre farmacie aperte o di guardia. Si d per assodato che le piante organica abbia virt positive superabili e non eguagliabili da nessun altro assetto, perch il Legislatore nazionale lha posta alla base dellorganizzazione di settore. Come conseguenza, gli altri aspetti regolatori, che mirano alla stesse finalit della pianta organica e possono essere visti come collaterali alla stessa, trovano tout court ratio e giustificazione. Anche qui, come prima a proposto della Corte Costituzionale, non un giudizio di adeguatezza e proporzionalita dello strumento, ma un giudizio di coerenza interna del corpo normativo in vigore. 4. Conclusioni Al pari di quanto concluso per la Corte Costituzionale, non possibile, dalle sentenze della Corte di Giustizia, far discendere elementi con cui confutare le argomentazioni e le richieste della Commissione Europea. Il contrasto solo apparente e, piuttosto che far concludere che lattuale assetto di settore non presenti problemi e non necessiti di interventi di riforma/rinnovamento, (1) In Italia, i farmacisti titolari sono circa 17mila (quanti gli esercizi farmaceutici, mentre gli iscritti complessivi agli Ordini Provinciali di tutto il Paese arrivano alle 55mila teste. 84 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 esso rimanda allesigenza di migliorare linterazione e il supporto reciproco tra Istituzioni nazionali e internazionali che, con competenze e ruoli diversi, partecipano a decidere dellevoluzione delle economie e della societ europea. E importane che il dibattito si approfondisca subito e liberi il campo da convincimenti infondati e pretestuosi sui rapporti tra lAntitrust, la Commissione Europea e le due Corti. Se questo punto di vista sbagliato viene propugnato e si concretizza sulla distribuzione del farmaco, concreto il rischio che esso venga esteso anche ad altri settori sovraregolati e presidiati da lobby. Non accettabile che equivoci istituzionali di questo tipo trasformino laffermazione della legalit in unazione di natura soltanto formale ed esteriore, non falsificabile, e strumentalizzabile per mantenere lo status-quo anche quando palesemente pervaso da storture corporativistiche. 17 febbraio 2011 Sulla recente ordinanza della Corte di Giustizia Europea in data 6 Ottobre 2010, causa C-563/08 Ancora una volta si tenta di utilizzare in maniera strumentale la Corte di Giustizia Europea per avvalorare lo status quo della distribuzione al dettaglio dei farmaci. Si vorrebbe far accettare la tesi secondo cui la Corte di Giustizia, con lOrdinanza del 6 Ottobre 2010, ha sancito la giustezza e la correttezza della pianta organica delle farmacie, alla luce della necessit di portarne il servizio in maniera omogenea sul territorio e di garantirne l'universalit. LOrdinanza della Corte del 6 Ottobre 2010, resa nota qualche settimana fa (1), si ricollega direttamente alla Sentenza del 1 Giugno del 2010, con la quale la stessa Corte si era pronunciata in merito alla pianta organica della Provincia Spagnola delle Asturie. Non si possono comprendere la ratio e lambito di applicazione di questa Sentenza, e di conseguenza dellOrdinanza, se non a partire dalle attribuzioni della Corte e dalle sue funzioni istituzionali. La Corte di Giustizia non pu sostituirsi ai policy maker nazionali; n riconsiderare il corpus normativo e regolamentare esistente in una prospettiva di riorganizzazione, ristrutturazione e ammodernamento. Compito della Corte accertare che non esistano punti di contrasto tra le legislazioni nazionali e il Trattato delle Comunit Europee. Nellassolvere questo compito, la Corte non pu entrare nel merito specifico della scelta degli strumenti per perseguire le varie finalit a livello Paese. (1) Cfr. Official Journal of the European Union del 29 Gennaio 2011 (http://eur-lex.europa.eu/LexUriServLexUriServ. do?uri=OI:C:2011:030:0010:0011:EN:PDF). CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 85 La salute pubblica e la libera intrapresa sono entrambi presenti nel Trattato delle Comunit Europee come lo sono nella Costituzione Italiana; e se un Legislatore nazionale afferma di aver posto dei vincoli alla concorrenza (la pianta organica) perch, nella sua sovrana valutazione, questi sono importanti per perseguire lobiettivo di salute pubblica, la Corte di Giustizia non pu sindacare sul quantum, ma si limita a riconoscere la coerenza interna del Legislatore nazionale, che ha agito senza ignorare le due finalit, e compiendo scelte precise sulla loro realizzazione coordinata. Il punto nevralgico proprio qui: si pu dare per assodato che quel che il Legislatore nazionale ha scelto illo tempore corrisponda nunc ed semper alla soluzione migliore? La sovranit del Legislatore non implica anche la sua insindacabilit, soprattutto nel tempo, di pari passo con il cambiare degli strumenti utilizzabili, delle soluzioni e dei vincoli. Cos non fosse, il corpus normativo sarebbe fossilizzato e incapace di evolversi. Che cosa affermava la Sentenza del 1 Giugno del 2010, di cui la recente Ordinanza una riattestazione? La sentenza (procedimenti riuniti C-570/07 e C-571/07) ha offerto un esempio specchiato dei caveat con cui va letta la giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea sullassetto della distribuzione al dettaglio del farmaco. Con quella sentenza, la Corte, s arrivata a valutare la pianta organica delle Asturie non in contrasto con il Trattato delle Comunit Europee, ma sottolineando come questa stessa valutazione valga solo in linea di principio, nella misura in cui la pianta organica strumentale al perseguimento della salute pubblica. Siamo davvero sicuri che sia lo strumento migliore per perseguire la salute pubblica? E questa la domanda a cui la Corte non pu rispondere, e a cui, invece, si deve dare risposta, senza presupporre che sia lo strumento migliore per il solo fatto che essa gi contemplata nellattuale corpus normativo. Si legge (verbatim) nella sentenza: Nel valutare il rispetto dellobbligo [di non introdurre ingiustificate restrizioni alla concorrenza e alla libert di intrapresa], necessario tenere conto del fatto che la salute e la vita delle persone occupano una posizione preminente tra i beni e gli interessi protetti dal Trattato, e che spetta agli Stati Membri stabilire il livello al quale intendono garantire la tutela della sanit pubblica e il modo in cui tale livello deve essere raggiunto. Poich detto livello pu variare da uno Stato allaltro, si deve riconoscere agli Stati Membri un margine discrezionale. Dove lesercizio della discrezionalit non necessariamente deve corrispondere al mantenimento della pianta organica. E significativo che lAvvocato Generale, nel presentare la causa alla Grande Sezione che doveva poi decidere, cos concludeva la sua audizione: [] Spetta al Giudice nazionale determinare se la distanza specifica imposta [tra le farmacie] sia giustificata, tenendo conto del livello di interferenza con 86 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 il diritto di stabilimento, della natura dellinteresse pubblico, nonch del livello di copertura universale che potrebbe essere raggiunto con sistemi meno restrittivi. LAvvocato Generale citava espressamente una valutazione di congruit tra strumento (pianta organica) e obiettivo finale (adeguatezza della copertura), alla luce della possibilit di applicare sistemi meno restrittivi. Una tale valutazione non pu giungere motu proprio dalla Corte di Giustizia, cos come non pu giungere, in ambito nazionale, dalla Corte Costituzionale. Le due Corti non sono competenti nel merito delle prescrizioni di politica economica, politica industriale, strutturazione del welfare system. Entrare nel merito di queste tematiche significherebbe dover esprimere delle preferenze e dei giudizi di valore, sovrapponendosi alla Politica e al Parlamento. Non sono le due Corti a poter valutare la robustezza della connessione causale che, nello specifico della realt del Paese e nelle intenzioni del suo Legislatore, dovrebbe collegare, da un lato, i vari assetti utilizzabili per portare i farmaci sul territorio e, dallaltro, lobiettivo finale di ottimizzare lassitenza farmaceutica per i cittadini. Non sono le due Corti a poter immaginare soluzioni organizzative alternative con cui comparare lo status quo. Per queste ragioni, non possiamo aspettarci che la riforma della distribuzione al dettaglio la facciano la Corte di Giustizia Europea o la Corte Costituzionale, di loro iniziativa, e soprattutto quando chiamate a giudicare sulla coerenza tra i principi generali del Trattato o della Costituzione e le altrettanto generali dichiarazioni di intento che il Legislatore, nella sua sovrana autonomia, pu porre a giustificazione del suo atto normativo. Nel momento in cui le due Corti rilevano, come nel caso in questione, una molteplicit di principi da rispettare e di finalit complesse da perseguire (concorrenza, libert di circolazione dei professionisti e di capitali, libert di intrapresa, omogeneit sul territorio del livello essenziale di assistenza farmaceutica, sicurezza della salute pubblica, etc.), Esse altro non possono fare che accettare la dichiarazione del Legislatore nazionale (implicita o esplicita che essa sia) di avere scelto la soluzione che, nella specifica realt Paese, riteneva pi opportuna. Il vero snodo questo: ripensare la normativa nazionale sulle farmacie, rimettendola tutta in discussione. In un assetto cos pervaso da aspetti anticoncorrenziali, facile che, esaminando uno per uno i singoli aspetti, ognuno possa apparire irrinunciabile, nel quadro dei vincoli corporativistici di cui tassello. Ma logica complessiva che va cambiata. Se si abbandona la pianta organica, si eliminano il divieto di incorporation e il bundling di propriet e gestione, e non si pongono limiti alla creazione di catene, le difficolt di copertura adeguata e omogenea del territorio si ridimensionano immediatamente, perch aumenta la capacit di offerta, sia nel capitale umano (i farmacisti abilitati tenuti fuori dalla titolarit), sia nel capitale fisico e finanziario CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 87 (le risorse apportabili da soci terzi anche non farmacisti, sotto il vincolo che solo il farmacista pu intermediare tra farmaco e paziente). Ed sempre questo approccio di insieme che permette di tenere conto anche degli effetti positivi che lapertura a concorrenza della distribuzione al dettaglio avrebbe sul funzionamento del reference pricing in fascia A e delle liste di trasparenza in fascia C; entrambi strumenti di regolazione che ottimizzerebbero la spesa pubblica e privata per farmaci, liberando risorse riversabili su obiettivi di salute e welfare. Oltretutto, nella prospettiva del multiservice che adesso si sta realizzando, le farmacie potranno diventare dei veri e propri presidi di salute sul territorio. Dalla loro pi ampia sfera di attivit potranno giungere sia occasioni di creare nuovo valore aggiunto e riceverne la giusta remunerazione, sia nuovi contributi alla copertura dei costi fissi di esercizio (negozio front-office, magazzino, retribuzioni degli assistenti, etc.). Si tratta di una sfida importante, che i professionisti dovrebbero accogliere con entusiasmo, per valorizzare appieno il loro capitale umano, soprattutto quello dei giovani, e rinnovare ruolo e figura del farmacista. Una sfida che porter successo nella msura in cui le migliori risorse umane e capitali potranno liberamente impegnarsi nel settore. N la Sentenza del 1 giugno del 2010 n lOrdinanza del 6 Ottobre 2010 possono, in alcun modo, costituire una valutazione di adeguatezza e ottimalit della pianta organica. Per coinvolgere, su basi meno formalistiche, la Corte di Giustizia e la Corte Costituzionale sul tema dellassetto della distribuzione al dettaglio dei farmaci, necessario adire le due Corti, non sul singolo aspetto di un sistema in cui le contraddizioni si puntellano a vicenda, ma sollevando congiuntamente eccezioni di illegittimit per lintero gruppo dei vincoli corporativistici: il groviglio di pianta organica, sovrapposizione di propriet e gestione, chiusura agli investimenti di terzi, limitazioni forti alla creazione di catene di esercizi. Il giudizio delle due Corti va inoltre supportato e assistito con un quadro completo dei termini del contendere. Emergerebbero s, allora, tutti i macroscopici contrasti con la nostra Costituzione e con il Trattato delle Comunit Europee. E il suggerimento che si indirizza al Tar Piemonte e al Consiglio di Stato, ad oggi impegnati in due rinvii pregiudiziali innanzi alla Corte di Giustizia in tema di pianta organica delle famacie (rispettivamente causa C-217/09 e causa C-315/08). E, pi in generale, la considerazione su cui si desidera richiamare lattenzione della societ civile, della Politica e del Legislatore. 17 Febbraio 2011 C O N T E N Z I O S O N A Z I O N A L E Sullistituto processuale del legittimo impedimento Brevi note a cura di Michele Dipace* La sentenza della Corte Costituzionale n. 23 del 13 gennaio 2011 sulla legittimit costituzionale della legge 51 del 7 aprile 2010 disposizioni in materia di impedimento a comparire in udienza, intervenuta dopo un considerevole dibattito dottrinale in materia che ha avuto una grande e ripetuta esposizione mediatica. Le disposizioni contenute nella L. 51/2011 integravano lart. 420 ter del c.p.p. individuando fattispecie di legittimo impedimento a comparire in udienza per le cariche governative (Presidente del Consiglio dei ministri e ministri), tenuto conto che, in precedenza, lapplicazione dellart. 420 ter c.p.p. nei confronti di tali soggetti aveva dato adito ad incertezze e a decisioni a volte contraddittorie, proprio per la mancanza di una specifica disciplina. Poich la legge 51 interveniva sullistituto processuale del legittimo impedimento, regolato da una legge ordinaria, sembrato legittimo che una disciplina integrativa fosse contenuta in una legge ordinaria. Le tre ordinanze del tribunale penale di Milano, con le quali sono state sollevate le questioni di legittimit costituzionale degli artt. 1 e 2 della legge 51, hanno affermato che le norme in questione, bench qualificate come legittimo impedimento, prevedevano una nuova prerogativa costituzionale, introdotta con legge ordinaria, connessa allesercizio delle cariche istituzionali, attraverso la previsione di una causa di sospensione del processo. Prova ne era il fatto che la legge in questione prevedeva una presunzione assoluta di legittimo impedimento derivante dalla titolarit della carica e un rinvio automatico del processo senza che il giudice avesse la possibilit di valutare la sussistenza dellimpedimento e lassolutezza dello stesso ai fini della indispo- (*) Vice Avvocato Generale dello Stato. 90 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 nibilit ad essere presente in udienza. Al riguardo si sosteneva che la legge 51 non fosse diversa nella sostanza dalle leggi 140/2003 (c.d. lodo Schifani) e 124/2008 (c.d. lodo Alfano) che furono dichiarate incostituzionali perch violative dellart. 3 e 138 della Cost. dalle sentenze rispettivamente n. 24/2004 e 262/2009 della Corte. Sia nellatto di intervento che nella memoria lAvvocatura dello Stato, costituita per il Presidente del Consiglio dei ministri, contestava lassunto delle ordinanze del Tribunale di Milano, sostenendo che la legge 51 attuava un intervento di natura processuale che non aveva la finalit di proteggere la funzione pubblica, quale prerogativa in s considerata, creando unimmunit, ma era volta a tutelare il diritto di difesa dellimputato individualmente considerato a partecipare al processo qualora non potesse essere presente per un proprio impegno istituzionale, non prorogabile (art. 24 c. 2 cost.), specificamente individuato in norme di carattere primario e regolamentari, senza che ci comportasse una presunzione assoluta di legittimo impedimento, n imponesse alcun automatismo poich prevedeva che il giudice potesse verificare se in concreto le attribuzioni governative indicate si svolgessero nello stesso giorno delludienza penale e che il fatto dedotto come impedimento rientrasse nelle ipotesi previste dalle norme richiamate nellart. 1 c. 1 della L. 51. La Corte Costituzionale, a prescindere dal rigetto delle eccezioni di inammissibilit formulate anche sotto il profilo della rilevanza, ha ritenuto che la disciplina legislativa oggetto di censura potr essere ritenuta illegittima, se, e nella misura in cui, alteri i tratti essenziali del regime processuale comune. In base ad esso limpedimento dellimputato non pu essere generico e il rinvio delludienza da parte del giudice non pu essere automatico. In base a tale principio, con decisione interpretativa di rigetto, ha ritenuto compatibile con i tratti essenziali del diritto processuale comune le disposizioni dellart. 1 c. 1 della L. 51/2011 in quanto dirette a specificare, quale fatto di impedimento, i puntuali impegni dei membri del governo che possono essere qualificati in termini di coessenzialit rispetto alle funzioni di governo, che il giudice non potr disconoscere, fermo restando il suo potere di valutare in concreto lo specifico impedimento addotto non solo con riguardo alla sussistenza in fatto dellimpedimento stesso, ma anche con riguardo al carattere assoluto e attuale dello stesso. In altri termini la Corte ammette quali concreti fatti di legittimo impedimento tutti quelli indicati nellart. 1 c. 1 della L. 51 ivi comprese le attivit preparatorie e consequenziali nonch ogni attivit comunque coessenziale alle funzioni di governo. E stato ritenuto altres inammissibile la questione di costituzionalit dellart. 2 della L. 51 che indica la finalit, che poi la ratio, dellart. 1 c. 1 diretta a consentire al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri il sereno svolgimento delle funzioni loro attribuite dalla Costituzione e dalla legge. CONTENZIOSO NAZIONALE 91 Ci comporta che tale finalit: sereno svolgimento delle funzioni di governo, pu giustificare una normativa specifica di tutela dei titolari di tali funzioni con riguardo allesercizio del diritto di difesa purch non preveda meccanismi di automatismo generalizzato (c. cost.. n. 24/2004). In altri termini la Corte ha ritenuto costituzionalmente legittimo limpianto generale della legge diretto ad individuare il legittimo impedimento nelle attribuzioni che possono essere qualificate in termini di coessenzialit rispetto alle funzioni di governo (criterio che ha un effetto di chiarificazione della portata dellart. 420 ter c.p.p.) e soprattutto ha ritenuto che tali funzioni (costituzionali) possono giustificare una deroga normativa con riguardo ad un interesse generale, quale quello del sereno svolgimento delle attivit governative. In coerenza con tali principi, lart. 1 c. 3 stato dichiarato legittimo a condizione che non sottragga al giudice i poteri di valutazione dellimpedimento addotto (sentenza additiva). Alla considerazione che, il giudice potrebbe incidere sul merito e sui tempi dellesercizio dellattivit di governo, incidendo sul principio costituzionale della separazione dei poteri, la Corte ha affermato che in tale ipotesi lesercizio della funzione giurisdizionale ha unincidenza indiretta sullattivit del titolare della carica governativa, incidenza che obbligo del giudice ridurre al minimo possibile, tenendo conto del dovere dellimputato di assolvere le funzioni pubbliche assegnatogli e che il principio della separazione dei poteri sarebbe violato, in tali casi, soltanto dal cattivo esercizio giurisdizionale da parte del giudice che deve rispondere al canone della leale collaborazione. Al riguardo la valutazione del delicato ed essenziale equilibrio tra i diversi poteri dello Stato, e cio quello giurisdizionale dellinteresse alla speditezza del processo e lassicurazione del sereno svolgimento delle funzioni governative che la corte ha ritenuto un interesse apprezzabile e che la 51/2011 ha inteso disciplinare con disposizioni di carattere processuale integrative dellart. 420 ter c.p.p., rimessa alla valutazione del giudice del processo e cio ad uno dei soggetti dei poteri costituzionali interessati. In merito a tale principio la Corte peraltro precisa che lesercizio del potere del giudice di valutare in concreto limpedimento deve rispondere al principio di leale collaborazione che ha carattere bidirezionale e deve esplicarsi mediante soluzioni procedimentali ispirate al coordinamento dei rispettivi calendari in modo che si tenga conto oltre che della speditezza del processo anche degli impegni del P.C.M. in modo che le udienze debbono essere fissate compatibilmente con lesercizio delle funzioni governative indicate dallinteressato. 92 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 Gli atti defensionali dellAvvocatura CT. 18081/10 Avv. Dipace ECC.MA CORTE COSTITUZIONALE ATTO di INTERVENTO del Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dallAvvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, ex lege domiciliato nel giudizio relativo alla questione di legittimit costituzionale dell'art. 1, commi 1, 3 e 4 della legge 7 aprile 2010, n. 51 recante Disposizioni in materia di impedimento a comparire in udienza, per violazione dell'art. 138 della Costituzione, promosso dal Tribunale di Milano Sez. I Penale, con ordinanza, pronunciata in data 19 aprile 2010, con riferimento al procedimento penale n. 11776/06 ed altri R.G.T. nei confronti di Agrama Frank ed altri. FATTO e DIRITTO 1. Il Tribunale di Milano Sez. I Penale, con lordinanza indicata in epigrafe, ha sollevato questione di legittimit costituzionale della legge n. 51/10, limitatamente all'art, 1, commi 1, 3 e 4, evidenziando che una disciplina... che, come quella in esame, non si limita a differenziare la posizione processuale del componente di un organo costituzionale solo per lo stretto necessario, senza alcun meccanismo automatico o generale ma stabilisce a priori e in modo vincolante che la titolarit e l'esercizio di funzioni pubbliche costituiscono sempre legittimo impedimento per rilevanti periodi di tempo, prescindendo da qualsiasi valutazione del caso concreto, si traduce nella statuizione di una vera e propria prerogativa dei titolari delle cariche pubbliche diretta a tutelarne non gi il diritto di difesa nel processo bens lo status o la funzione. Da quanto sopra, il Tribunale fa discendere la conclusione che l'art. 1 della legge n. 51/10 realizza la medesima situazione gi analizzata dalla Corte Costituzionale nella recente sentenza n. 262/09 sul c.d. Lodo Alfano, esponendosi, pertanto, alla medesima censura, sotto il profilo della violazione della Carta costituzionale, ovvero quella di violare l'art. 138 Cost., per essere stata introdotta, la nuova ipotesi di prerogativa, con legge ordinaria anzich con procedimento costituzionale. 2. La questione di costituzionalit deve ritenersi inammissibile oltre che, in ogni caso, del tutto infondata. 3. Il Tribunale di Milano, sulla base di un frettoloso sillogismo, afferma che la legge n. 51/10 introduce, nel sistema, una prerogativa o immunit in favore del Presidente del Consiglio dei ministri e dei Ministri, che le prerogative o immunit, secondo la pacifica giurisprudenza di codesta Corte (cfr., da ultimo, la nota sentenza n. 262/09), debbono essere previste con legge costituzionale, e che, pertanto, poich ci non avvenuto nel caso di specie, essendo, la legge n. 51/10, una legge ordinaria, la stessa incostituzionale per violazione dell'art. 138 Cost.. Il predetto sillogismo frutto di un palese fraintendimento delle disposizioni, contenute nell'art. 1 della legge n. 51/10. La norma in argomento, al comma 1, dispone che Per il Presidente del Consiglio dei Ministri costituisce legittimo impedimento, ai sensi dell'art. 420 ter del codice di procedura penale, a comparire nelle udienze dei procedimenti penali, quale imputato, il concomitante esercizio di una o pi attribuzioni previste dalle leggi o dai regolamenti e in particolare dagli CONTENZIOSO NAZIONALE 93 articoli 5, 6 e 12 della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, dagli articoli 2, 3 e 4 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303 e successive modificazioni, e dal regolamento interno del Consiglio dei Ministri, di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 10 novembre 1993, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 268 del 15 novembre 1993, e successive modificazioni, delle relative attivit preparatorie e conseguenziali, nonch di ogni attivit comunque coessenziale alle funzioni di Governo; al comma terzo, la norma prevede che il giudice, su richiesta di parte, quando ricorrono le ipotesi di cui ai commi precedenti rinvia il processo ad altra udienza; il quarto comma, infine, precisa che Ove la Presidenza del Consiglio dei Ministri attesti che l'impedimento continuativo e correlato allo svolgimento delle funzioni di cui alla presente legge il giudice rinvia il processo a udienza successiva al periodo indicato, che non pu essere superiore a sei mesi. Si deve, innanzi tutto, evidenziare che la legge impugnata il risultato dellunificazione di sette proposte di legge, tutte di iniziativa parlamentare, di vari schieramenti politici, che avevano lintento di modificare lart. 420 ter del codice di procedura penale, con la finalit di identificare normativamente le attivit, esercitate da soggetti che rivestono cariche pubbliche di rilievo costituzionale, che costituiscono impedimento a comparire nelle udienze del procedimento penale nel quale risultano imputati. Leffetto di tutte le proposte di legge in materia era quello del rinvio delludienza penale per la durata dellimpedimento, con la fissazione di una nuova udienza. Tale finalit stata sempre presente nella discussione parlamentare tanto da indurre il relatore del testo unificato al Senato (sen. Costa) a precisare che la normativa in esame non introduce una forma di immunit ma specifica la portata dellistituto dellimpedimento a comparire gi previsto dal codice di procedura penale (art. 420 ter), salva sempre la sospensione della decorrenza della prescrizione. Il legittimo impedimento rappresenta un istituto processuale che pu essere disciplinato (integrato o modificato) nel senso che il legislatore ritiene opportuno con legge ordinaria nellesercizio di quella discrezionalit che indubbiamente gli va riconosciuta. Le disposizioni, sopra riprodotte, pertanto, se correttamente intese, non fanno altro che integrare la previsione di cui all'art. 420 ter del codice di rito, andando a tipizzare gli atti, o meglio le attivit di governo, che si traducono in altrettante fattispecie di legittimo impedimento, rispettivamente per il Presidente del Consiglio dei ministri e per i Ministri, a comparire in un processo penale, quali imputati. Invero, la finalit della legge appunto quella di identificare le fattispecie giuridiche di legittimo impedimento (per le cariche pubbliche ivi indicate) disciplinato dallart. 420 ter c.p.c. che la legge espressamente richiama in un contesto di leale collaborazione istituzionale tra autorit giudiziaria e autorit politica. Punto di riferimento stata la sentenza di codesta Corte n. 24 del 2004 che ha riconosciuto, come interesse apprezzabile, quello di assicurare un sereno svolgimento delle rilevanti funzioni delle alte cariche dello Stato, interesse di rango costituzionale che pu essere tutelato in armonia con i principi fondamentali dello Stato di diritto, come il regolare esercizio della giurisdizione, esigenza anchessa di rango costituzionale. L'intervento legislativo stato reso necessario dal fatto che, nell'assenza di precedenti specifici di codesta Corte in ordine al legittimo impedimento del Presidente del Consiglio dei ministri e dei Ministri, con riferimento alla loro presenza nel processo quale imputati, sono emerse, in concreto, difficolt nell'adattamento, in via interpretativa, alla predetta fattispecie delle soluzioni gi offerte da codesta Corte per gli esponenti del Parlamento. 94 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 A questo ultimo proposito, noto che, a partire dalla sentenza del 4 luglio 2001, n. 225, codesta Corte ha statuito che lautorit giudiziaria, come ogni altro potere, allorquando agisce nel campo suo proprio e nellesercizio delle sue competenze, deve tener conto non solo delle esigenze delle attivit di propria pertinenza, ma anche degli interessi, costituzionalmente tutelati, di altri poteri, che vengano in considerazione ai fini dellapplicazione delle regole comuni, e cos, ai fini dellapprezzamento degli impedimenti invocati per chiedere il rinvio delludienza. Pertanto il giudice non pu, al di fuori di un ragionevole bilanciamento fra le due esigenze, entrambe di valore costituzionale, della speditezza del processo e della integrit funzionale del Parlamento, far prevalere solo la prima, ignorando totalmente la seconda. Nella medesima sentenza, codesta Corte ha anche rilevato che ove limputato, come nel caso in esame, deduca di essere impedito ad intervenire alludienza dovendo esercitare il suo dirittodovere di partecipare ai lavori parlamentari fra lesigenza di speditezza dellattivit giurisdizionale e quella di tutela delle attribuzioni parlamentari, aventi entrambe fondamento costituzionale, si pu determinare uninterferenza suscettibile di incidere sulle attribuzioni costituzionali di un soggetto estraneo al processo penale e, in particolare, sullinteresse della Camera di appartenenza a che ciascuno dei suoi componenti sia libero di regolare la propria partecipazione ai lavori parlamentari nel modo ritenuto pi opportuno. Pertanto, il giudice non pu limitarsi ad applicare le regole generali del processo in tema di onere della prova del legittimo impedimento dellimputato, incongruamente coinvolgendo un soggetto costituzionale estraneo al processo stesso, ma ha lonere di programmare il calendario delle udienze in modo da evitare coincidenze con i giorni di riunione degli organi parlamentari. Orbene, non vi chi non veda come le peculiarit dellattivit governativa rispetto a quella parlamentare impongono un opportuno adattamento dei richiamati principi e soprattutto della soluzione operativa, consigliata da codesta Corte. Le attivit governative, infatti, si svolgono con modalit e cadenze temporali che, a differenza di quanto avviene per gli organi parlamentari, sono pi eterogenee e non facilmente preventivabili; ed invero, a differenza dei lavori del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati, le cui modalit di svolgimento ed il cui calendario sono, per cos dire, standardizzati e raramente subiscono modifiche, lattivit del Governo pi soggetta a variazioni atteso che la stessa deve tenere conto di svariate evenienze. Da quanto sopra discende, come sopra gi anticipato, la necessit, nellambito della soluzione operativa consigliata da codesta Corte, di rinvenire una diversa conciliazione fra lesigenza di speditezza dellattivit giurisdizionale e quella di tutela delle attribuzioni del Governo. Un compito, quest'ultimo, che non poteva, peraltro, essere lasciato alla mera attivit interpretativa del giudice penale; lo dimostra il fatto che proprio la Sezione I del Tribunale di Milano, con ordinanza, pronunciata in data 1 marzo 2010, aveva rigettato la richiesta di rinvio delludienza dibattimentale, prevista per la predetta data, come da calendario concordato tra tutti i soggetti processuali, formulata dalla difesa del Presidente del Consiglio dei Ministri, On. Silvio Berlusconi, per legittimo impedimento di questultimo in quanto impegnato, nella medesima data, nella presidenza della riunione del Consiglio dei Ministri, mentre la Sezione X dello stesso Tribunale accoglieva la domanda di rinvio delludienza per lo stesso motivo. E evidente che, nei casi in esame, le decisioni prese possono interferire con le modalit e la tempistica dello svolgimento dell'attivit governativa, attribuzioni, di rango costituzionale, esclusive del Presidente del Consiglio dei ministri e dei Ministri. CONTENZIOSO NAZIONALE 95 Da qui, la scelta obbligata di attribuire, anche ai fini della certezza del diritto, al legislatore il compito, appunto, di andare a tipizzare (art. 1, comma 1, della legge n. 51/10) le ipotesi in cui lo svolgimento dell'attivit governativa rende assolutamente impossibile, al Presidente del Consiglio dei ministri ed ai Ministri di comparire in un processo penale, in qualit di imputati. Ovviamente, il rinvio delludienza per legittimo impedimento non previsto in via automatica, come era stato disposto dalla L. n. 124 del 2008, ma consente allimputato Presidente del Consiglio o Ministro che intenda presenziare alludienza di ottenerne, volta per volta, il rinvio; ci, in quanto la celebrazione di questa, e quindi la presenza fisica dellimputato in aula, impedirebbe di certo lo svolgimento delle attivit istituzionali che a lui fanno capo e che non sono delegabili. A tal fine, si deve precisare che le richiamate funzioni di governo non possono essere arbitrariamente indicate dallinteressato in occasione della richiesta di rinvio, ma giusta art. 1, comma 1, legge n. 51/2010 debbono trovare il proprio principale ed esplicito fondamento normativo in fonti di rango primario o secondario, o a queste direttamente collegate (come per le attivit preparatorie, consequenziali o comunque coessenziali alle funzioni di governo). Il giudice penale potr esaminare, pertanto, la sussistenza, in concreto, della situazione di fatto (motivo del rinvio) addotto dalla parte come legittimo impedimento, cio se lattivit governativa, dedotta quale legittimo impedimento, rientri tra le ipotesi previste dalle disposizioni di cui alla legge n. 51/2010, ma, ovviamente, non potr sindacare se le attivit istituzionali, indicate nella legge n. 51/2010, siano, una volta provatane in fatto lesistenza, causa di legittimo impedimento. A dire il vero, tale sindacato non poteva essere ammesso neanche prima della legge 51/2010, a meno di voler attribuire al giudice penale un inammissibile potere di valutare le ragioni (politiche) sottese allesercizio, di volta in volta, delle attivit istituzionali da parte degli organi in questione, con la prospettiva di un inammissibile confronto dibattimentale sulle stesse. La tipizzazione delle cause di legittimo impedimento di cui alla legge n. 51/2010, contrariamente a quanto affermato dal Tribunale di Milano, non pu dirsi affetta da indeterminatezza e genericit, essendo state richiamate, nell'art. 1, comma 1, della legge cit., specifiche disposizioni della legge n. 400/88, del D.Lgs. n. 303/99 e del D.P.C.M. 10 novembre 1993; a ci si aggiunga che l'espressione di chiusura, contenuta nella predetta norma, attivit preparatorie e consequenziali, nonch di ogni attivit comunque coessenziale alle funzioni di Governo, non affatto ampia ed indeterminata, essendo, le predette attivit, adeguatamente determinate e agevolmente individuabili atteso il loro carattere strettamente strumentale rispetto a quelle specificamente indicate con il richiamo delle rispettive fonti normative. Alla luce di quanto sopra, si appalesa in tutta la sua erroneit, la conclusione, cui perviene il Tribunale di Milano nella propria ordinanza di rimessione, ovvero che sarebbe stata introdotta una presunzione assoluta di impedimento genericamente collegata allo svolgimento di funzioni governative da parte dei soggetti indicati. Trattasi di conclusione, quest'ultima, del tutto inesatta che porterebbe ad applicare meccanicamente, con riferimento alla legge che ci occupa, le medesime conclusioni cui codesta Corte pervenuta, nella nota sentenza n. 262/09, in relazione ad una legge, la n. 124/08, il cui contenuto era ben diverso rispetto a quello della legge n. 51/10. Nella predetta sentenza, codesta Corte ha, come noto, affermato che le prerogative costituzionali (o immunit in senso lato, come sono spesso denominate) si inquadrano nel genus 96 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 degli istituti diretti a tutelare lo svolgimento delle funzioni degli organi costituzionali attraverso la protezione dei titolari delle cariche ad essi connesse. Esse si sostanziano secondo una nozione su cui v' costante e generale consenso nella tradizione dottrinale costituzionalistica e giurisprudenziale in una specifica protezione delle persone munite di status costituzionali, tale da sottrarle all'applicazione delle regole ordinarie. Le indicate prerogative possono assumere, in concreto, varie forme e denominazioni (insindacabilit; scriminanti in genere o immunit sostanziali; inviolabilit; immunit meramente processuali, quali fori speciali, condizioni di procedibilit o altro meccanismo processuale di favore; deroghe alle formalit ordinarie) e possono riguardare sia gli atti propri della funzione (cosiddetti atti funzionali) sia gli atti ad essa estranei (cosiddetti atti extrafunzionali), ma in ogni caso presentano la duplice caratteristica di essere dirette a garantire l'esercizio della funzione di organi costituzionali e di derogare al regime giurisdizionale comune. Si tratta, dunque, di istituti che configurano particolari status protettivi dei componenti degli organi; istituti che sono, al tempo stesso, fisiologici al funzionamento dello Stato e derogatori rispetto al principio di uguaglianza tra cittadini. Il problema dell'individuazione dei limiti quantitativi e qualitativi delle prerogative assume una particolare importanza nello Stato di diritto, perch, da un lato, come gi rilevato da questa Corte, alle origini della formazione dello Stato di diritto sta il principio della parit di trattamento rispetto alla giurisdizione (sentenza n. 24 del 2004) e, dall'altro, gli indicati istituti di protezione non solo implicano necessariamente una deroga al suddetto principio, ma sono anche diretti a realizzare un delicato ed essenziale equilibrio tra i diversi poteri dello Stato, potendo incidere sulla funzione politica propria dei diversi organi. Nella medesima sentenza, codesta Corte ha, d'altro canto, recisamente escluso che l'istituto del legittimo impedimento possa qualificarsi alla stregua di una prerogativa, come tale necessitante di una copertura costituzionale, trattandosi di un istituto processuale, di portata generale; ammettendo, altres, che l'istituto del legittimo impedimento possa essere opportunamente modulato, da un punto di vista normativo, quando lo stesso riguardi soggetti che, come nel caso di specie, svolgono funzioni pubbliche di rilievo costituzionale. Nella predetta sentenza, si legge, infatti, che la deducibilit del legittimo impedimento a comparire nel processo penale, infatti, non costituisce prerogativa costituzionale, perch prescinde dalla natura dell'attivit che legittima l'impedimento, di generale applicazione e, perci, non deroga al principio di parit di trattamento davanti alla giurisdizione. Si tratta, dunque, di uno strumento processuale posto a tutela del diritto di difesa di qualsiasi imputato, come tale legittimamente previsto da una legge ordinaria come il codice di rito penale, anche se tale strumento, nella sua pratica applicazione, va modulato in considerazione dell'entit dell'impegno addotto dall'imputato. Una modulazione, quest'ultima, che stata dettata proprio con la legge n. 51/10. Ed invero, contrariamente a quanto si afferma nella ordinanza del Tribunale penale di Milano, la legge n. 51/2010 non disciplina n prevede casi di prerogative ministeriali per le quali sarebbe stata necessaria una legge costituzionale. Le prerogative a favore dei membri del Parlamento o di alte cariche dello Stato hanno leffetto di creare, per essi, o limmunit per certe attivit (art. 68 della Cost.; 90 e 96 Cost.) che comporta una esenzione temporanea della giurisdizione penale, oppure linviolabilit del soggetto stesso che non pu essere sottoposto ad atti del giudice penale senza preventiva autorizzazione. La legge 7 aprile 2010 n. 51, che prevede categorie di legittimo impedimento ex art. CONTENZIOSO NAZIONALE 97 420 ter c.p.c. per il Presidente del consiglio dei ministri e per i Ministri, non comporta esenzione dalla giurisdizione penale ma ha, quale unico effetto processuale, quello di un rinvio del processo ad altra udienza, su richiesta di parte. La necessit della richiesta della parte collegata certamente ad una valutazione concreta del contenuto della funzione istituzionale che, di volta in volta, gli organi citati debbono esercitare e che pu comportare anche la mancanza della richiesta di rinvio delludienza ove la presenza del soggetto non sia assolutamente necessaria allesercizio di tale attivit. E evidente che tale valutazione, come si detto, non pu essere rimessa al giudice trattandosi di sindacato di natura politica rientrante nella sfera delle attribuzioni del Presidente del consiglio e dei singoli Ministri (es. fissazione e direzione del Consiglio dei ministri da parte del Presidente del consiglio; partecipazione ai lavori parlamentari o a riunioni degli organismi internazionali ecc.), ma il giudice penale potr accertare se lipotesi prospettata come causa di legittimo impedimento rientri tra le fattispecie previste nellart. 1 della L. 51/2010, disponendo il rinvio delludienza dopo tale accertamento. In altri termini non esatto che il giudice sarebbe privato, dalla legge in esame, di qualsivoglia potere di sindacato sul punto; , invece, vero che deve rinviare il processo soltanto quando ricorrono le ipotesi di cui ai commi precedenti (art. I c. 3 L. n. 51/2010). E ovvio che in tali casi deve essere tenuto in debito conto il principio di leale collaborazione che deve, sempre, informare i rapporti tra le istituzioni, in una sintesi di reciproco rispetto del lavoro di ciascuno degli organi e poteri costituzionali in coerenza con i criteri dettati da codesta Corte in materia di legittimo impedimento secondo i quali non si deve tener presente soltanto lesigenza della speditezza del processo ma anche lesercizio delle funzioni costituzionali del Presidente del consiglio e dei Ministri e la concreta possibilit di coordinare il proprio diritto di difesa con lesercizio delle attivit istituzionali. La legge n. 51/2010 mira a tali finalit: non prevede una sospensione generale e automatica del procedimento penale, ma soltanto il rinvio delludienza su richiesta della parteimputata e per determinate e concrete attivit istituzionali; il rinvio del processo non ha una durata indeterminata, ma, ove limpedimento sia continuativo e correlato allo svolgimento delle funzioni indicate dalla stessa legge, il rinvio opportunamente andr fatto al periodo successivo a quello indicato, che non pu essere superiore a 6 mesi; non comporta una presunzione assoluta di legittimo impedimento, ma soltanto lindicazione di categorie di attivit istituzionali (situazioni di fatto) che possono comportare la richiesta del rinvio delludienza a tutela del diritto di difesa dellimputato in coerenza con lesercizio dei propri doveri costituzionali; contiene un ragionevole ed equo bilanciamento dei due valori costituzionali, quello dellesercizio della giurisdizionale e quello dellesercizio delle attivit politicoistituzionali dei membri del Governo senza far prevalere luno sullaltro e soprattutto senza sacrificarne nessuno (cfr. Corte Cost., sent. n. 225/2001). A ci si deve aggiungere che, contrariamente a quanto affermato dal Tribunale di Milano, proprio la disposizione dellart. 2 dalla legge n. 51/2010 esclude che lart. 1 preveda una prerogativa costituzionale del Premier e dei Ministri in quanto tale disposizione rimanda la disciplina organica delle prerogative del Presidente del consiglio dei ministri e dei ministri, nonch la disciplina attuativa della partecipazione degli stessi ai processi penali ad una emananda legge costituzionale, in adesione al principio affermato da codesta Corte nella sentenza n. 262/2009. Detto richiamo, infatti, vuol significare soltanto che - correttamente - sar una legge co- 98 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 stituzionale a disciplinare le vere prerogative dei membri del Governo, e che, fino ad allora, rimarranno in vigore specifiche previsioni di legge ordinaria (come quella in esame) inerenti a specifici aspetti della materia che al concetto di prerogativa non sono certo riconducibili. Invero, stato presentato il disegno di legge costituzionale (A.S. n. 2180) recante Disposizioni in materia di sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato che ha la finalit di prevedere immunit per i titolari di cariche politiche nellambito delle garanzie costituzionali per il sereno svolgimento delle rilevanti funzioni che ineriscono a quelle cariche. Il disegno di legge costituzionale in questione, recependo i rilievi di codesta Corte sulla legge n. 124/2008 (sentenza n. 262/2009), prevede la non sottoposizione a processo penale delle alte cariche dello Stato (Presidente della Repubblica, Presidente del consiglio e Ministri) durante lo svolgimento della carica o delle funzioni, qualora il Parlamento decida di disporre tale sospensione del processo; riguarda i reati extrafunzionali; la sospensione non automatica in quanto la decisione rimessa al Parlamento; infine, in caso di sospensione del processo, anche sospeso il corso della prescrizione dei reati. Come facile notare, trattasi di un intervento legislativo ben diverso, nel contenuto, da quello in esame, in cui si dispone la sospensione della giurisdizione nei confronti delle alte cariche dello Stato al fine di fornire una obiettiva protezione del regolare svolgimento delle attivit connesse alla carica stessa. La legge n. 51/2010, invece, come si detto, prevede norme in materia di impedimento a comparire in udienza per il Presidente del consiglio dei ministri e dei Ministri, nel procedimento penale quale imputati, in caso di concomitante esercizio di una o pi attribuzioni previste dalle leggi e dai regolamenti per tali cariche. Non sospende lesercizio della giurisdizione n crea un particolare status giuridico per tale carica ma ha, quale conseguenza processuale, quello di un rinvio delludienza con conseguente sospensione della prescrizione per lintera durata del rinvio. A quanto sopra, si aggiunga che non coglie, neppure, nel segno il rilievo, formulato dal Tribunale di Milano, ovvero che le norme, oggetto del presente giudizio di costituzionalit, stabilirebbero a priori e in modo vincolante che la titolarit e l'esercizio delle funzioni pubbliche costituiscono sempre legittimo impedimento per rilevanti periodi di tempo. Con tale affermazione, il giudice a quo, si sforza, del tutto vanamente, di dimostrare che il riferimento delle disposizioni di cui all'art. 1 della legge n. 51/10, che prevedono concrete e tipizzate ipotesi di legittimo impedimento, costituito dal soggetto, titolare della funzione governativa, in s e per s considerato (Presidente del Consiglio dei Ministri o Ministro); al contrario, le disposizioni in argomento si riferiscono non al soggetto bens all'attivit governativa, oggettivamente considerata e specificata con il richiamo puntuale alle fonti normative di riferimento; il che esclude, in radice, che possa parlarsi, in proposito, di prerogativa ovvero di immunit. Quanto, infine, alla circostanza, particolarmente stigmatizzata dal giudice a quo, ovvero che l'art. 1, comma 4, della legge n. 51/10 attribuisce alla Presidenza del Consiglio dei Ministri il compito di attestare la continuativit e la correlazione con lo svolgimento delle funzioni governative dell'impedimento del Presidente del Consiglio dei Ministri, si deve evidenziare come la predetta scelta normativa trovi la propria giustificazione nella necessit ed opportunit di attribuire tale delicato compito ad un soggetto, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, distinto rispetto al Presidente del Consiglio dei Ministri, coinvolto nel processo penale come imputato; sarebbe stata, infatti, irragionevole, una disposizione che avesse, invece, lasciato CONTENZIOSO NAZIONALE 99 allo stesso Presidente del Consiglio dei Ministri-imputato il compito di autocertificare che l'impedimento presenta carattere continuativo. Tanto premesso in fatto ed in diritto, si rimettono le seguenti CONCLUSIONI Voglia codesta Ecc.ma Corte Costituzionale, in accoglimento delle rappresentate deduzioni, ritenere e dichiarare la infondatezza della questione di legittimit costituzionale, sollevata con lordinanza, meglio indicata in epigrafe. Roma, 6 luglio 2010. Michele Dipace VICE AVVOCATO GENERALE DELLO STATO Maurizio Borgo AVVOCATO DELLO STATO CT 18081/10 Avv. Dipace Ecc.ma Corte Costituzionale R.O. n. 173/10 - Ud. 14.12.2010 Memoria illustrativa per il Presidente del Consiglio dei Ministri, organicamente patrocinato dallAvvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12 ex lege domiciliato PREMESSA E DIRITTO Con ordinanza (G.U. del 16 giugno 2010, n. 24), pronunciata in data 19 aprile 2010, con riferimento al procedimento penale n. 11776/06 ed altri R.G.T. nei confronti di Agrama Frank ed altri, il Tribunale di Milano Sez. I Penale ha sollevato questione di legittimit costituzionale della legge n. 51/10, limitatamente all'art. 1, commi 1, 3 e 4, evidenziando che la predetta disciplina realizza la medesima situazione gi analizzata dalla Corte Costituzionale nella recente sentenza n. 262/09 sul c.d. Lodo Alfano, esponendosi, pertanto, alla medesima censura, sotto il profilo del mancato rispetto della Carta costituzionale, ovvero quella di violare l'art. 138 Cost., per essere stata introdotta, la nuova ipotesi di prerogativa, con legge ordinaria anzich con procedimento costituzionale. Nel giudizio interveniva il Presidente del Consiglio dei Ministri, formulando le proprie deduzioni e chiedendo a codesta Ecc.ma Corte di voler dichiarare linammissibilit e/o linfondatezza della questione di legittimit costituzionale de qua. Con la presente memoria, ribadendo in toto le ragioni dedotte con latto di intervento a sostegno dellirrilevanza e/o dellinfondatezza dei dubbi di legittimit costituzionale dell'art. 1, commi 1, 3 e 4, della legge n. 51/10, sollevati dal Tribunale a quo, si rassegnano le seguenti ulteriori considerazioni. 1. Sullinammissibilit della questione di legittimit costituzionale. La questione di legittimit costituzionale della legge n. 51/10 si appalesa manifestamente inammissibile per carenza assoluta di motivazione in punto di rilevanza della questione medesima. Innanzi tutto, lordinanza del Tribunale di Milano non precisa i fatti del processo n in- 100 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 dica i reati per i quali il processo viene celebrato di modo che non consente unanalisi compiuta della rilevanza della questione di costituzionalit (v. c.c. 202/09); al proposito, principio pacifico che, sotto tale profilo, latto con il quale si solleva la questione di costituzionalit deve necessariamente avere una motivazione autosufficiente giacch il rimettente deve descrivere la fattispecie sottoposta al suo esame. Lorientamento della Corte pone laccento sullo stretto legame intercorrente tra la rilevanza e i presupposti dellazione in giudizio nel senso che i quesiti sulla incostituzionalit della norma evocata in giudizio debbano incidere sulla decisione che il remittente deve adottare. Il giudizio di rilevanza risulta, infatti, inscindibilmente connesso allincidentalit ed alla concretezza del giudizio, perch costituisce un vero e proprio filtro alle questioni di legittimit costituzionale davanti alla Corte. La nozione di rilevanza, ormai ritenuta prevalente nella giurisprudenza costituzionale, deve essere intesa come capacit della decisione del giudice delle leggi di incidere sul giudizio a quo, nel senso che il giudice rimettente pu sollevare una questione di costituzionalit solo qualora il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della pregiudiziale costituzionale (cfr., tra le altre, Corte Cost., ordinanza n. 220/10). Orbene, nel caso che ci occupa, il Tribunale di Milano non ha fornito unadeguata motivazione in ordine alla rilevanza della questione di legittimit costituzionale di cui giudizio, ovvero non ha spiegato perch non potesse decidere sulla richiesta di rinvio delludienza ., formulata dalla difesa dellimputato, Silvio Berlusconi, in quanto questultimo era assolutamente impossibilitato a presenziare alla medesima udienza per legittimo impedimento concretantesi in impegni istituzionali specificamente indicati dallattestazione del Segretario Generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri e facilmente accertabili da parte del Tribunale indipendentemente dalla risoluzione della pregiudiziale costituzionale avente ad oggetto l'art. 1, commi 1, 3 e 4, della legge n. 51/10; tanto pi che, nella predetta attestazione, era indicato che il Presidente del Consiglio poteva essere presente alle udienze a partire dalla seconda met di luglio. Pi in particolare, il Tribunale di Milano non ha fornito alcuna giustificazione in relazione al fatto che listanza difensiva, pi sopra menzionata, non potesse essere valutata e decisa alla stregua della disciplina di cui allart. 420 ter c.p.p.. Non si riesce, infatti, a comprendere per quale ragione il giudice a quo non potesse pronunciarsi, in senso positivo o negativo, come peraltro aveva gi fatto in altre udienze sulla medesima richiesta di rinvio, facendo applicazione della prefata disposizione del codice di rito che, come noto, prevede, quali cause che possono dare luogo ad assoluta impossibilit per limputato di comparire alludienza, oltre al caso fortuito ed alla forza maggiore, appunto il legittimo impedimento, che, ovviamente, pu anche sussistere per un determinato periodo di tempo, essendo correlato a situazioni di fatto che non devono essere necessariamente contingenti. Al proposito, non vi chi possa dubitare che impegni istituzionali, in qualit di Presidente del Consiglio dei Ministri, specificamente indicati dal Segretario Generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri (con allegato programma) potessero essere sussunti nellambito di applicazione della disposizione di cui allart. 420 ter c.p.p. previo eventuale accertamento del Tribunale stesso. Da quanto sopra, discende, allevidenza, che il Tribunale di Milano ha, del tutto inammissibilmente, proposto la questione di legittimit costituzionale della legge n. 51/10, per cos dire in via principale e non, come avrebbe invece dovuto, allesito della necessaria verifica CONTENZIOSO NAZIONALE 101 della rilevanza della medesima questione che, per come evidenziato da codesta Corte, risulta inscindibilmente connessa alla incidentalit propria del nostro modello di giustizia costituzionale. Invero, come risulta evidente dalla motivazione della questione di costituzionalit prospettata, il giudice rimettente riconduce la censura di illegittimit costituzionale alla norma in s dellart. 1, c. 1 , 3 e 4 della legge 51/10 citata e alla pretesa ratio sottesa alla medesima legge e non in quanto applicabile al caso concreto. In altri termini, viene sollevata la questione di costituzionalit per sindacare la legittimit costituzionale di una norma di legge senza fornire la prova della incidenza della stessa in concreto sul processo in corso (cfr. Corte Cost. n. 38/2009). Alla luce di quanto sopra, si confida in una pronuncia con la quale codesta Corte voglia dichiarare linammissibilit della prospettata questione di legittimit costituzionale. 2. Sulla infondatezza della questione di legittimit costituzionale. Passando al merito della questione di costituzionalit che ci occupa, nel ribadire quanto gi osservato nellatto di intervento, si reputano necessarie alcune osservazioni che rendono ancor pi evidente linfondatezza delle questioni proposte. Secondo lavviso del giudice rimettente, la disciplina, contenuta nellart. 1 della legge n. 51/10, non sarebbe altro che la riproposizione, del c.d. Lodo Alfano, con la scontata conseguenza che sarebbero predicabili nei confronti della legge n. 51/10 le medesime censure formulate da codesta Corte in relazione al predetto Lodo; secondo lassunto del Tribunale di Milano, la norma in questione realizza la stessa situazione gi analizzata da codesta Corte nella sentenza n. 262/2009, quasi che il legittimo impedimento, disciplinato dalla legge n. 51/2010, violi la sentenza citata. Al riguardo, cՏ la significativa risposta del Prof. Zanon: No, sono due cose completamente diverse. La violazione della sentenza sul lodo Alfano si avrebbe in caso di riproposizione della norma dichiarata incostituzionale nella sostanza. Ora non cՏ pi una sospensione ex lege sia pure temporanea del processo per la durata del mandato, ma un legittimo impedimento che viene certificato e allegato. La stessa Corte, se ne venisse investita, la dovrebbe considerare come una questione nuova. E di questione del tutto nuova rispetto a quella decisa con la pronuncia n. 262/09 di codesta Corte, in effetti, si tratta. La legge n. 51/10 non ha nulla a che vedere con la legge n. 124/08 (il c.d. Lodo Alfano, dichiarato incostituzionale con la sentenza n. 262/09 di codesta Corte) n tantomeno, come si ampiamente dedotto nellatto di intervento, con il disegno di legge costituzionale (A.S. n. 2180) recante Disposizioni in materia di sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato che ha la finalit di prevedere immunit per i titolari di cariche politiche nellambito delle garanzie costituzionali per il sereno svolgimento delle rilevanti funzioni che ineriscono a quelle cariche. La normativa di cui al presente giudizio non introduce, infatti, alcuna forma di immunit ovvero di prerogativa ma specifica tipizzandola (e, peraltro, riducendola significativamente) la portata dellistituto dellimpedimento a comparire, gi previsto dal codice di procedura penale allart. 420 ter, con riferimento alla posizione del Presidente del Consiglio dei Ministri e dei Ministri allorch gli stessi siano coinvolti, come imputati, in un processo penale extrafunzionale. In altri termini la legge fissa categorie precise di impedimento da sottoporre allaccertamento del giudice per il rinvio alludienza. Il legittimo impedimento, come gi evidenziato nellatto di intervento, rappresenta un 102 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 istituto processuale che pu essere disciplinato (integrato o modificato) nel senso che il legislatore ritiene opportuno con legge ordinaria nellesercizio di quella discrezionalit che indubbiamente gli va riconosciuta. Affermare il contrario significherebbe pervenire alla assurda conclusione che il legislatore, ove intenda integrare ovvero modificare la disciplina di un istituto giuridico, dettata da norme di rango ordinario, dovrebbe ricorrere, sempre e comunque, allo strumento della revisione costituzionale di cui allart. 138 Cost. soltanto perch la disciplina potrebbe essere applicata ad organi pubblici previsti nella Carta Costituzionale. Non vi chi non veda come la predetta conclusione si tradurrebbe nello stravolgimento del sistema di gerarchia delle fonti di produzione del diritto. La legge 51/2010 si attenuta, sia pure in via transitoria, alle indicazioni della Corte contenute nelle note sentenze n. 24/2004 (sul c.d. Lodo Schifani) e n. 262/2009 (sul c.d. Lodo Alfano) per evitare, anche sotto il profilo della forma legislativa, le censure di incostituzionalit accolte nelle due sentenze. La Corte ha deciso che la legge n. 140/2003 sulla sospensione dei processi penali in corso per le alte cariche dello Stato era illegittima a) perch prevedeva lautomatismo generalizzato della sospensione dei processi che andava ad incidere sul diritto di difesa dellimputato e della parte civile; b) perch prevedeva reiterate sospensioni dei processi per le cariche costituzionali ivi previste che comportava una durata indefinita e indeterminabile della sospensione; c) vi era una eterogeneit, sia per le funzioni svolte che per le fonti dinvestitura delle cariche, accomunate dalla disciplina della sospensione, che rendevano la disciplina non ragionevole. Al riguardo, la legge n. 51/2010 non ha previsto una sospensione dei processi, generale e automatica soltanto perch limputato investito di particolari funzioni, ma ha previsto esclusivamente il rinvio delludienza, previa attestazione dello svolgimento in contemporanea di una funzione prevista dalla legge, e, comunque, su richiesta dellimputato che pertanto pu anche non avvalersi di tale normativa. La legge di cui si discute ha previsto la possibilit che limpedimento possa avere una durata determinata (non pi di mesi sei) che del tutto ragionevole anche a tutela del diritto di difesa delle altri parti del processo, ivi compresa la parte civile, ed ha limitato la tipizzazione del legittimo impedimento ai componenti del Governo. In altri termini, le disposizioni della legge n. 51/2010 non si discostano dalla logica dellart. 420 ter c.p.p. di cui precisano soltanto alcune fattispecie di impedimento e pertanto non hanno la finalit di proteggere la funzione pubblica, in s e per s considerata, creando una prerogativa ovvero unimmunit per specifici imputati, ma sono volte a tutelare il diritto di difesa dellimputato che in un determinato periodo di tempo (es. giorno delludienza) impedito a partecipare al processo per un proprio impegno istituzionale non prorogabile. Come ha affermato codesta Corte nella sentenza 262/2009, pi volte menzionata, lo strumento processuale del legittimo impedimento, previsto legittimamente da una legge ordinaria, quale il codice di rito penale, nella sua pratica applicazione va modulato in considerazione dellentit dellimpegno dedotto. differenziando la posizione processuale del componente di un organo costituzionale solo per lo stretto necessario senza alcun meccanismo automatico e generale (cfr. anche Corte Cost. 451/2005 e 391/2004). La finalit richiamata soddisfatta non gi prevedendo lautomatica sospensione del processo per lintera durata della carica (come era stato disposto dalla legge 124/2008), ma CONTENZIOSO NAZIONALE 103 soltanto consentendo allimputato (Presidente del Consiglio o Ministro) che intenda presenziare alludienza di ottenere, volta per volta, il rinvio della stessa; ci in quanto lo svolgimento delludienza, quindi la presenza fisica dellimputato in aula, impedirebbe di certo lo svolgimento delle attivit istituzionali che a lui fanno capo e che non sono delegabili. A tal fine, peraltro, precisando che le attribuzioni che riempiono di contenuti le richiamate funzioni di governo non possono essere arbitrariamente indicate dallinteressato in occasione della richiesta di rinvio, ma giusta richiamato art. 1, comma 1, legge n. 51/2010 debbono trovare il proprio principale ed esplicito fondamento normativo in fonti di rango primario o secondario. Qualora, poi, risultino gi calendarizzati reiterati e continuativi impegni, comunque attinenti alle funzioni di Presidente del Consiglio, appare opportuna la previsione in forza della quale il giudice rinvia il processo a udienza successiva al periodo indicato, che non pu essere superiore a sei mesi (art. 1, comma 4, anchesso oggetto di censura); ed invero, sarebbe palesemente contrario ad ogni logica di economia processuale fissare una o pi date di udienze, gi sapendo che nelle stesse il Presidente del Consiglio non potr presentarsi, perch impegnato in attivit inerenti alle funzioni di governo. E evidente che non trattasi di una presunzione iuris e de iure secondo la quale la legge in esame avrebbe privato il giudice del potere di qualsiasi valutazione con riferimento al caso concreto. Al contrario, il giudice tenuto ad accertare e valutare quando ricorrono le ipotesi previste dallart. 1 c. 1 della legge e rinviare il processo solo accertati la sussistenza di tale casi. In conclusione, la legge n. 51/10 non pu, in alcun modo, essere qualificata alla stregua di una mera riedizione del lodo dichiarato incostituzionale da codesta Corte con la sentenza n. 262/09; la predetta legge, infatti, presenta i caratteri della temporaneit e dellefficacia limitata al tempo strettamente necessario allentrata in vigore di una legge costituzionale dallidentico contenuto e comunque non oltre una scadenza predeterminata. La natura di prerogativa del meccanismo oggetto della questione non sembra potersi trarre, infine, neppure dallart. 2 della medesima legge n. 51/2010, richiamato dal remittente sebbene non investito da dubbi di incostituzionalit. Ed invero, il riferimento ad una futura legge costituzionale, recante la disciplina organica delle prerogative del Presidente del Consiglio dei Ministri e dei Ministri, nonch della disciplina attuativa delle modalit di partecipazione degli stessi ai processi penali, non pare potersi leggere come ammissione della necessit di una norma costituzionale anche in ordine alla materia di cui alla stessa legge n. 51/2010; detto richiamo, infatti, vuol significare soltanto che correttamente sar una legge costituzionale a disciplinare le vere e proprie prerogative dei membri del governo, e che, fino ad allora, rimarranno in vigore specifiche previsioni di legge ordinaria (come quella in esame), inerenti a specifici aspetti della materia che al concetto di prerogativa non sono certo riconducibili. Peraltro, giova ricordare che codesta Corte, in taluni casi, ha giustificato norme transitorie ordinarie e in attesa di una riforma di rango costituzionale o legislativo ordinario (cfr. i casi decisi con le sentenze nn. 272/2005, 1114/1988, 176/1996). In tali casi, la Corte ha posto laccento sul fatto che lesigenza, posta a base della scelta del legislatore, quella di evitare che nel futuro sistema, risultante dalla riforma del settore, permangano irrazionali discrasie di disciplina o palesi iniquit. Alla luce delle superiori considerazioni, si chiede a codesta Corte di dichiarare infondata la questione di legittimit costituzionale, prospettata dal Tribunale di Milano, non potendosi, 104 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 in alcun modo, mutuare, con riferimento alla legge n. 51/10, le conclusioni cui codesta Consulta pervenuta nella sentenza n. 262/09. Tanto premesso in fatto ed in diritto, si rimettono le seguenti CONCLUSIONI Voglia codesta Ecc.ma Corte Costituzionale, in accoglimento delle deduzioni svolte nella presente memoria in uno a quelle contenute nellatto di intervento, da intendersi qui integralmente riprodotte, ritenere e dichiarare linammissibilit e/o linfondatezza della questione di illegittimit costituzionale sollevata con lordinanza meglio indicata in premessa. Roma, 10 novembre 2010 Michele Dipace VICE AVVOCATO GENERALE DELLO STATO Maurizio Borgo AVVOCATO DELLO STATO Le decisioni della Consulta sulla legittimit costituzionale e ... SENTENZA N. 23 ANNO 2011 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: - Ugo DE SIERVO Presidente - Paolo MADDALENA Giudice - Alfio FINOCCHIARO " - Alfonso QUARANTA " - Franco GALLO " - Luigi MAZZELLA " - Gaetano SILVESTRI " - Sabino CASSESE " - Maria Rita SAULLE " - Giuseppe TESAURO " - Paolo Maria NAPOLITANO " - Giuseppe FRIGO " - Alessandro CRISCUOLO " - Paolo GROSSI " - Giorgio LATTANZI " ha pronunciato la seguente SENTENZA nei giudizi di legittimit costituzionale degli artt. 1 e 2 della legge 7 aprile 2010, n. 51 (Disposizioni in materia di impedimento a comparire in udienza) promossi dal Tribunale di Mi- CONTENZIOSO NAZIONALE 105 lano, sezione I penale e sezione X penale, con ordinanze del 19 e del 16 aprile 2010 e dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Milano con ordinanza del 24 giugno 2010, rispettivamente iscritte ai nn. 173, 180 e 304 del registro ordinanze 2010 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 24 e 41, prima serie speciale, dellanno 2010. Visti gli atti di costituzione di S.B. nonch gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nelludienza pubblica dell11 gennaio 2011 il Giudice relatore Sabino Cassese; uditi gli avvocati Niccol Ghedini e Piero Longo per S.B. e gli avvocati dello Stato Michele Dipace e Maurizio Borgo per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Milano, sezione I penale, con ordinanza del 19 aprile 2010 (reg. ord. n. 173 del 2010), ha sollevato questione di legittimit costituzionale dellarticolo 1, commi 1, 3 e 4, della legge 7 aprile 2010, n. 51 (Disposizioni in materia di impedimento a comparire in udienza), per violazione dellart. 138 della Costituzione. 1.1. Il collegio rimettente riferisce che la difesa dellimputato nel giudizio principale ha dedotto e documentato, per ludienza del 12 aprile 2010, un legittimo impedimento a comparire, consistente nellimpegno dellimputato stesso a svolgere, nella sua qualit di Presidente del Consiglio dei ministri, un viaggio di Stato. Il Tribunale riporta inoltre che, a fronte della richiesta di ulteriori date utili per la prosecuzione del giudizio, la difesa dellimputato, ai sensi della disciplina censurata, ha formulato richiesta di rinvio al 21 luglio 2010, producendo attestazione del Segretario generale della Presidenza del Consiglio dei ministri di impedimento continuativo dellimputato motivato mediante riferimento esemplificativo a plurime attivit governative da svolgere nel periodo intercorrente fra il 9 aprile e il 21 luglio 2010. Il giudice a quo espone che il pubblico ministero si opposto alla richiesta di rinvio, sulla base di una interpretazione logica e sistematica della disciplina censurata, tale da consentire al giudice di valutare lassolutezza dellimpedimento a comparire dedotto dal Presidente del Consiglio dei ministri. In particolare, secondo linterpretazione proposta dal pubblico ministero, la mera attestazione di un impegno continuativo e correlato allesercizio delle funzioni indicate dalla disciplina censurata non precluderebbe al giudice laccertamento della sussistenza in concreto dellassoluto impedimento a comparire dellimputato per il periodo indicato nellattestazione stessa. In subordine, secondo quanto riferisce il Tribunale rimettente, il pubblico ministero ha dedotto lillegittimit costituzionale della norma censurata, nellipotesi in cui essa dovesse intendersi come preclusiva di un sindacato del giudice in ordine alla sussistenza in concreto del legittimo impedimento del Presidente del Consiglio dei ministri. Ad avviso del giudice a quo, linterpretazione del pubblico ministero non pu essere condivisa, in quanto la disciplina censurata qualifica come legittimo impedimento, ai sensi dellart. 420-ter del codice di procedura penale, non solo le varie attribuzioni previste dalle leggi o dai regolamenti con riguardo alla funzione ministeriale, ma anche le relative attivit preparatorie e consequenziali, nonch ogni attivit comunque coessenziale alle funzioni di governo, imponendo, inoltre, il rinvio del processo ove la Presidenza del Consiglio dei ministri attesti che limpedimento continuativo e correlato allo svolgimento delle suddette funzioni. Alla luce di tali circostanze, il Tribunale rimettente ritiene che la disciplina censurata non si limiti ad integrare la previsione di cui allart. 420-ter del c.p.p., introducendo casi 106 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 ulteriori di legittimo impedimento legati a situazioni specificamente individuate e tipizzando taluni atti o attivit di governo come integranti la fattispecie legale di impedimento, ma sostanzialmente identifichi lintera attivit di governo (peraltro mediante un meccanismo di autocertificazione) con lassoluta impossibilit a comparire. Ci si traduce, ad avviso del giudice a quo, nella privazione del potere-dovere del giudice di verificare la sussistenza dellimpedimento con riferimento ad uno specifico impegno correlato alla singola udienza. In altri termini osserva ancora il collegio rimettente la definizione di legittimo impedimento di cui alla disciplina censurata talmente ampia e generica da risolversi in una presunzione assoluta di impedimento, considerata quale situazione legata non gi ad un fatto contingente , ma ad uno status permanente, con conseguente venir meno della possibilit del giudice di accertare la sussistenza in concreto dellimpedimento stesso. Limpossibilit di seguire linterpretazione proposta dal pubblico ministero rende rilevante, ad avviso del Tribunale rimettente, la questione di legittimit costituzionale della disciplina censurata. Secondo il giudice a quo, tale questione sarebbe non manifestamente infondata, dal momento che le disposizioni in esame, introducendo una presunzione iuris et de iure di impedimento continuativo per un lungo periodo di tempo connessa alle funzioni di governo si sostanziano in una norma di status derogatoria dellordinaria giurisdizione e dunque in una prerogativa che richiede una copertura costituzionale. Ad avviso del Tribunale rimettente, infatti, la disciplina censurata, stabilendo a priori e in modo vincolante che la titolarit e lesercizio di funzioni pubbliche costituiscono sempre legittimo impedimento per rilevanti periodi di tempo, prescindendo da qualsiasi valutazione del caso concreto, si tradurrebbe nella statuizione di una vera e propria prerogativa dei titolari delle cariche pubbliche diretta a tutelarne non gi il diritto di difesa nel processo bens lo status o la funzione, realizzandosi, in tal modo, la medesima situazione gi analizzata dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 262 del 2009. Inoltre, secondo il giudice a quo, la circostanza che la stessa legge censurata indichi espressamente la propria funzione di legge ponte, in vista della successiva entrata in vigore di una organica disciplina costituzionale delle prerogative del Presidente del Consiglio dei ministri e dei ministri, ne renderebbe esplicita la ratio di anticipazione di una disciplina innovativa in una materia che deve essere necessariamente introdotta con procedimento costituzionale e confermerebbe, quindi, la violazione dellart. 138 Cost. 1.2. intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dallAvvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione di legittimit costituzionale sollevata sia dichiarata non fondata. 1.2.1. Secondo lAvvocatura generale dello Stato, il giudice a quo deduce lillegittimit costituzionale della disciplina censurata erroneamente presupponendo che essa introduca una prerogativa o immunit in favore del Presidente del Consiglio dei ministri e dei ministri, ci che, per pacifica giurisprudenza costituzionale, potrebbe avvenire solo mediante legge costituzionale. In realt, ad avviso della difesa dello Stato, la finalit delle disposizioni oggetto di censura, come emergerebbe anche dai lavori preparatori, sarebbe quella di identificare normativamente le attivit, esercitate da soggetti che rivestono cariche pubbliche di rilievo costituzionale, che costituiscono impedimento a comparire nelle udienze del procedimento penale nel quale risultano imputati. Tali disposizioni osserva lAvvocatura generale dello Stato sono quindi dirette ad integrare la disciplina generale contenuta nellart. 420-ter cod. proc. pen. e a tipizzare gli atti, o meglio le attivit di governo, che si traducono in altrettante fattispecie di legittimo impedimento. Simile tipizzazione legislativa si rivelerebbe necessaria, CONTENZIOSO NAZIONALE 107 secondo il punto di vista della difesa dello Stato, allo scopo di adattare le soluzioni indicate da questa Corte con riferimento allimpedimento a comparire dei membri del Parlamento (sentenza n. 225 del 2001, secondo cui in particolare il giudice ha lonere di programmare il calendario delle udienze in modo da evitare coincidenze con i giorni di riunione degli organi parlamentari) alla diversa fattispecie del legittimo impedimento del Presidente del Consiglio dei ministri e dei ministri, le cui attivit, rispetto a quelle dei parlamentari, si svolgono con modalit e cadenze temporali [] pi eterogenee e non facilmente preventivabili e sono pi soggett[e] a variazioni, atteso che l[e] stess[e] dev[ono] tenere conto di svariate evenienze . Lintervento legislativo della cui legittimit si dubita, secondo la difesa dello Stato, sarebbe dunque rivolto a tipizzare, anche a fini di certezza del diritto e allo scopo di evitare divergenti interpretazioni giurisprudenziali, le ipotesi in cui lo svolgimento dellattivit governativa rende assolutamente impossibile, al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri , la comparizione in giudizio, in quanto essa precluderebbe lo svolgimento di attivit istituzionali non delegabili. LAvvocatura generale dello Stato ritiene, inoltre, che la disciplina censurata, a differenza della legge 23 luglio 2008, n. 124 (Disposizioni in materia di sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato), non determini in via automatica la sospensione del processo. In primo luogo, essa si limiterebbe a consentire allimputato di ottenere, volta per volta, il rinvio delludienza. In secondo luogo, le funzioni di governo in grado di giustificare la richiesta di rinvio troverebbero un esplicito fondamento normativo in fonti di rango primario o secondario espressamente richiamate, o sarebbero comunque adeguatamente determinate e agevolmente individuabili atteso il loro carattere strettamente strumentale rispetto a quelle specificamente indicate con il richiamo delle rispettive fonti normative (attivit preparatorie, consequenziali o comunque coessenziali alle funzioni di governo). Infine, il giudice non sarebbe privato del potere di accertare la sussistenza in concreto del legittimo impedimento, perch egli potrebbe comunque valutare se lattivit governativa dedotta quale legittimo impedimento rientri fra le ipotesi previste dalle disposizioni censurate. Al giudice, pertanto, resterebbe solo precluso il potere di sindacare se le attivit istituzionali indicate da tali disposizioni siano, una volta provatane in fatto lesistenza, causa di legittimo impedimento : se cos non fosse, si avrebbe, ad avviso dellAvvocatura generale dello Stato, un inammissibile sindacato del giudice penale sulle ragioni politiche sottese allesercizio delle attivit istituzionali degli organi costituzionali. La difesa dello Stato esclude, quindi, che la disciplina censurata costituisca, come invece affermato dal giudice a quo, una prerogativa o immunit tale da richiedere copertura costituzionale. Si tratterebbe, invece, di un intervento legislativo di modulazione dellistituto generale del legittimo impedimento, che, in definitiva: non comporta esenzione dalla giurisdizione penale; non prevede una sospensione generale e automatica del procedimento penale; ha, quale unico effetto processuale, quello del rinvio del processo ad altra udienza su richiesta di parte; prevede un rinvio che non ha una durata indeterminata e, nellipotesi di impedimento continuativo, comunque non pu essere superiore a sei mesi; non comporta una presunzione assoluta di legittimo impedimento, ma soltanto lindicazione di categorie di attivit istituzionali che possono comportare la richiesta del rinvio delludienza a tutela del diritto di difesa dellimputato in coerenza con lesercizio dei propri doveri costituzionali ; contiene un ragionevole bilanciamento dei due valori costituzionali, quello dellesercizio della giurisdizione e quello dellesercizio delle attivit politico-istituzionali dei membri del Governo, senza far prevalere luno sullaltro e soprattutto senza sacrificarne nessuno. 108 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 N pu sostenersi, secondo la difesa dello Stato, che il rinvio effettuato dallart. 2 della legge n. 51 del 2010 ad una successiva organica disciplina costituzionale delle prerogative del Presidente del Consiglio dei ministri e dei ministri dimostri il carattere di prerogativa di quanto disposto dalla disciplina censurata. Tale richiamo, ad avviso dellAvvocatura generale dello Stato, vuol significare soltanto che correttamente sar una legge costituzionale a disciplinare le vere prerogative dei membri del Governo, mentre, fino a quel momento, rimarranno in vigore specifiche previsioni di legge ordinaria (come quella in esame) inerenti a specifici aspetti della materia che al concetto di prerogativa non sono certo riconducibili. Del resto, il disegno di legge costituzionale effettivamente presentato (A.S. n. 2180, recante Disposizioni in materia di sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato), costituisce, secondo lAvvocatura generale dello Stato, un intervento legislativo che ha un contenuto ben diverso rispetto a quello della disciplina censurata. Il disegno di legge, infatti, disporrebbe la sospensione della giurisdizione nei confronti delle alte cariche dello Stato al fine di fornire una obiettiva protezione del regolare svolgimento delle attivit connesse alla carica stessa. La legge n. 51 del 2010, invece, prevederebbe un impedimento a comparire in caso di concomitante esercizio di una o pi attribuzioni previste dalle leggi e dai regolamenti per le alte cariche, senza sospende[re] lesercizio della giurisdizione, n crea[re] un particolare status giuridico per tale carica, ma limitandosi a disporre un rinvio delludienza con conseguente sospensione della prescrizione per lintera durata del rinvio. Infine, secondo lAvvocatura generale dello Stato, la scelta normativa, particolarmente stigmatizzata dal giudice a quo, di attribuire alla Presidenza del Consiglio dei ministri il compito di attestare la continuativit e la correlazione con lo svolgimento delle funzioni governative dellimpedimento del Presidente del Consiglio dei ministri, troverebbe invece giustificazione nella necessit ed opportunit di attribuire tale delicato compito ad un soggetto [] distinto rispetto al Presidente del Consiglio dei Ministri coinvolto nel processo penale come imputato, mentre sarebbe stato irragionevole lasciare a questultimo il compito di autocertificare che limpedimento presenta carattere continuativo. 1.2.2. In data 23 novembre 2010, lAvvocatura generale dello Stato ha depositato, per il Presidente del Consiglio dei ministri, memoria illustrativa, ribadendo le ragioni dedotte con latto di intervento e insistendo per linammissibilit e linfondatezza della questione di legittimit costituzionale sollevata. La difesa dello Stato deduce linammissibilit della questione sostenendo, in primo luogo, che lordinanza di rimessione non preciserebbe i fatti del processo a quo, n indicherebbe i reati per i quali esso viene celebrato, in tal modo non permettendo a questa Corte di valutare la rilevanza della questione, se non violando il principio di autosufficienza dellatto di rimessione. Il giudice rimettente, in secondo luogo, ad avviso della difesa statale, non avrebbe spiegato perch non potesse decidere sulla richiesta di rinvio delludienza, formulata dalla difesa dellimputato [] in quanto questultimo era assolutamente impossibilitato a presenziare alla medesima udienza per legittimo impedimento concretatesi in impegni istituzionali specificamente indicati dallattestazione del Segretario generale della Presidenza del Consiglio dei ministri e facilmente accertabili da parte del Tribunale indipendentemente dalla risoluzione della pregiudiziale costituzionale avente ad oggetto lart. 1, commi 1, 3 e 4, della legge n. 51 del 2010. Secondo lAvvocatura generale dello Stato, quindi, il giudice a quo non avrebbe fornito alcuna giustificazione in relazione al fatto che listanza difensiva non potesse essere valutata e decisa alla stregua della disciplina di cui allart. 420-ter cod. proc. pen. La questione, pertanto, sarebbe stata proposta non allesito della necessaria verifica della sua CONTENZIOSO NAZIONALE 109 rilevanza, bens per sindacare la legittimit costituzionale di una norma di legge senza fornire la prova della incidenza della stessa in concreto sul processo in corso. Nel merito, la difesa dello Stato ribadisce quanto dedotto nellatto di intervento, rimarcando che le disposizioni della legge n. 51 del 2010 non si discosterebbero dalla logica dellart. 420-ter cod. proc. pen., di cui precisano soltanto alcune fattispecie di impedimento e pertanto non hanno la finalit di proteggere la funzione pubblica, in s e per s considerata, creando una prerogativa ovvero unimmunit per specifici imputati, ma sono volte a tutelare il diritto di difesa dellimputato che in un determinato periodo di tempo (es. giorno delludienza) impedito a partecipare al processo per un proprio impegno istituzionale non prorogabile. La normativa censurata, secondo lAvvocatura generale dello Stato, non introduce alcuna forma di immunit, ma specifica, tipizzandola (e, peraltro, riducendola significativamente) la portata dellistituto dellimpedimento a comparire gi previsto dallart. 420-ter cod. proc. pen. N potrebbe dirsi, sostiene la difesa dello Stato, che si sia dinanzi a una presunzione iuris et de iure, in base alla quale la legge n. 51 del 2010 avrebbe privato il giudice del potere di qualsiasi valutazione con riferimento al caso concreto, dal momento che il giudice tenuto ad accertare quando ricorrono le ipotesi previste dallart. 1, comma 1, della legge e rinviare il processo solo accertata la sussistenza di tali casi. 1.3. Si costituito in giudizio, con atto depositato in data 5 luglio 2010, limputato nel giudizio principale, chiedendo che la questione di legittimit costituzionale sollevata sia dichiarata inammissibile o, comunque, manifestamente infondata. 1.3.1. Limputato nel giudizio principale eccepisce, innanzitutto, linammissibilit della questione sollevata, in ragione della omessa descrizione della fattispecie oggetto del giudizio principale, tale da non permettere alla Corte di valutarne compiutamente la rilevanza. Egli nega che, in relazione alle norme processuali, risulti attenuato lobbligo del giudice a quo di descrivere puntualmente la fattispecie sottoposta al suo esame e comunque ritiene che, ove pure si volesse aderire a tale tesi, la mancata descrizione della fattispecie sarebbe, nel caso in esame, cos drastica da determinare comunque linammissibilit della questione. Sostiene la parte privata, infatti, che lordinanza di rimessione: non chiarisce a quali reati si riferisce limputazione, n dove e quando gli stessi sarebbero stati commessi, n se siano contestate ipotesi di concorso con altre persone; non fornisce una puntuale descrizione della condizione soggettiva che legittima lapplicazione della norma censurata; non indica lo stato in cui si trova il processo che si sta celebrando dinanzi al giudice a quo. Ad avviso dellimputato nel giudizio principale, in virt del principio di autosufficienza dellordinanza di rimessione, tali elementi, di cui la Corte deve avere necessariamente contezza [] per comprendere limpatto che lapplicazione della disciplina censurata potrebbe avere sul giudizio principale, neppure potrebbero essere ricavati ricorrendo alle deduzioni delle altre parti intervenute, o alla visione diretta del fascicolo, o, addirittura, a fatti ritenuti notori. Limputato nel giudizio principale, inoltre, deduce, quale ulteriore ragione di inammissibilit, il difetto della rilevanza in concreto della questione sollevata dal giudice rimettente, per aversi la quale sarebbe necessario che linterpretazione non costituzionale della legge, oltre ad essere lunica possibile, supporti ed orienti lapplicazione che nel medesimo contesto il giudice si accingerebbe a farne. Ci non accadrebbe nel caso in esame, nel quale la difesa dellimputato, alludienza del 12 aprile 2010, da un lato, ha prospettato un legittimo impedimento per il giorno stesso, rappresentato da un viaggio di Stato a Washington D.C., negli Stati Uniti dAmerica, e, dallaltro lato, ha prodotto attestazione del Segretario generale della Presidenza del Consiglio dei ministri di legittimo impedimento continuativo fino al successivo 21 luglio. 110 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 Alla luce di tali circostanze, secondo limputato nel giudizio principale, la rilevanza in concreto difetterebbe per due ragioni. In primo luogo, la questione sarebbe stata sollevata prematuramente rispetto alla necessit di dare effettiva applicazione alla disciplina censurata, in considerazione della sussistenza dellimpedimento puntuale, valevole hic et nunc per ludienza del 12 aprile 2010, dato dal viaggio di Stato a Washington. Limputato nel giudizio principale chiarisce che lattestazione della Presidenza del Consiglio dei ministri stata prodotta al solo fine di indicare, per la prosecuzione del giudizio, i giorni del 21 e del 28 luglio, date che per il Tribunale rimettente non avrebbe neppure preso in considerazione, sollevando invece direttamente e quindi prematuramente la questione di legittimit costituzionale della disciplina censurata. In secondo luogo, limputato nel giudizio principale rileva che, ove pure si ritenesse che la mera esibizione dellattestazione [] equivalga a una richiesta di applicazione della stessa, pur in presenza di un legittimo impedimento valido ed operante per il giorno delludienza in cui avviene detta esibizione, tale attestazione si limitata ad indicare un impedimento continuativo per un periodo di tempo di poco pi di tre mesi, inferiore quindi al periodo massimo di sei mesi previsto dalla disciplina censurata. Questultima avrebbe avuto quindi, nel giudizio a quo, una applicazione parziale e la questione di legittimit costituzionale avrebbe dovuto essere formulata in relazione alla disciplina che ha avuto concreta applicazione, cio di una disciplina che produce una sospensione del dibattimento per tre mesi, mentre il giudice a quo rileva la parte privata - discetta in astratto di rilevanti periodo di tempo in cui potrebbe essere fatto valere il legittimo impedimento. Nel merito, limputato nel giudizio principale ritiene che il Tribunale rimettente abbia sollevato la questione di legittimit costituzionale della disciplina censurata sulla base dellerroneo presupposto che essa abbia introdotto un meccanismo che, al di l dellevocazione del nomen di legittimo impedimento, costituirebbe in realt una prerogativa connessa alla carica costituzionale di Presidente del Consiglio dei ministri e richiederebbe pertanto una fonte di rango costituzionale. Innanzitutto, la circostanza su cui il Tribunale rimettente fonderebbe questo assunto, cio lasseritamente prevista sottrazione del potere-dovere del giudice di verificare la sussistenza dellimpedimento, negata dallimputato nel giudizio principale. Questi infatti osserva come nulla viet[i] al giudice, al quale venga esibita lattestazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri di cui alla disciplina censurata, sia di controllare lautenticit della stessa, sia di chiedere [] ulteriori precisazioni in merito allattivit di governo che deve essere compiuta , restandogli soltanto preclusa la possibilit di sindacare il merito dellattivit di governo, giudicandola pi o meno importante e necessaria, ci che peraltro contrasterebbe anche con il principio di separazione dei poteri. Inoltre, la facolt del giudice di entrare nel merito della fondatezza del legittimo impedimento , ad avviso dellimputato nel giudizio principale, non sarebbe cos coessenziale alla natura stessa dellistituto da far escludere che possa rientrare nella categoria del legittimo impedimento (e non in quella della prerogativa costituzionale) anche unipotesi di impedimento qualificato a monte come legittimo da una fonte di rango ordinario, rispetto al quale il giudice possa solo verificare se si versi o meno nei casi previsti dalla legge. Ragionando in via analogica, limputato nel giudizio principale ritiene che non potrebbe ritenersi preclusa al legislatore ordinario la compilazione di un elenco di patologie invalidanti in presenza delle quali il giudice fosse costretto a riconoscere il legittimo impedimento dellimputato che ne sia affetto, potendo disporre accertamenti sulla veridicit del certificato, ma senza sin- CONTENZIOSO NAZIONALE 111 dacare la ragionevolezza della scelta legislativa di inserire nellelenco una patologia piuttosto che unaltra. Una simile disciplina, infatti, non cancellerebbe la natura di legittimo impedimento dellimputato affetto da una delle patologie legislativamente previste, per trasformare questa evenienza in una prerogativa per quel tipo di malati. Ad avviso dellimputato nel giudizio principale, dunque, il Tribunale rimettente, nel negare che la disciplina censurata preveda una ipotesi di legittimo impedimento, muoverebbe da un presupposto giuridico errato e, di conseguenza, evocherebbe un parametro costituzionale (art. 138 Cost.) non pertinente, dal momento che nessuno pu seriamente dubitare che una tipizzazione da parte del legislatore di alcuni casi di legittimo impedimento debba e possa avvenire con legge ordinaria. Questultima osserva ancora limputato nel giudizio principale deve realizzare un ragionevole bilanciamento fra i valori costituzionali in gioco (diritto di difesa e obbligatoriet dellazione penale e ragionevole durata del processo), che oggetto di sindacato da parte della Corte costituzionale. Ma lordinanza di rimessione trascurerebbe completamente di considerare il profilo della ragionevolezza del concreto bilanciamento di interessi operato dalla disciplina censurata, rimanendo invece ancorata al pregiudizio della prerogativa dei titolari delle cariche pubbliche diretta a tutelare non gi il diritto di difesa del processo bens lo status e le funzioni. La tesi che la disciplina censurata introduca una prerogativa costituzionale sarebbe ulteriormente contraddetta, ad avviso della parte privata, dal suo carattere temporaneo: una normativa destinata a dispiegare i propri effetti nellordinamento al pi per i diciotto mesi successivi alla sua pubblicazione, infatti, non potrebbe integrare una prerogativa costituzionale, a meno di non voler pensare che le prerogative costituzionali possano avere una scadenza . N la tesi della prerogativa costituzionale potrebbe trarre conforto dalla circostanza che la disciplina censurata preannuncia una riforma costituzionale delle prerogative del Presidente del Consiglio dei ministri e dei ministri. Secondo limputato nel giudizio a quo, tale argomento, adoperato dal giudice rimettente, equipara in modo del tutto arbitrario il contenuto della normativa oggetto di censura con quello della futura disciplina costituzionale. Questultima, secondo limputato nel giudizio principale, nel dettare una disciplina costituzionale organica delle prerogative dei membri del Governo potr regolare anche [] linterazione fra le suddette prerogative e [] istituti previsti da leggi ordinarie [] quali il legittimo impedimento . Ma ci non significa che le disposizioni censurate intendano anticipare a livello di legge ordinaria gli effetti di una riforma costituzionale. Esse, invece, secondo la parte privata, risponderebbero allo scopo di regolare in modo estremamente equilibrato un lasso di tempo intermedio fra la mancanza assoluta di una disciplina che si occupi delle eventuali difficolt che il Presidente del Consiglio dei ministri e i Ministri possono trovare a difendersi efficacemente in un processo penale che li veda imputati e lapprovazione di una legge costituzionale che ridefinisca lo status di queste cariche. Il carattere equilibrato del contemperamento di interessi realizzato dalla disciplina transitoria censurata sarebbe inoltre dimostrato, ad avviso dellimputato nel giudizio a quo, dalle seguenti ulteriori circostanze. In primo luogo, la disciplina prevede la sospensione del decorso della prescrizione, con la conseguenza che per effetto del legittimo impedimento la situazione processuale viene semplicemente congelata senza alcun effetto pregiudizievole sul piano sostanziale . In secondo luogo, lapplicazione concreta di tale disciplina nel giudizio a quo permetterebbe presumibilmente di realizzare un equo bilanciamento degli interessi in gioco, atteso che limputato nel processo principale si raramente avvalso dellistituto del legittimo 112 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 impedimento, permettendo cos la celebrazione di ben 83 udienze. Infine, il periodo massimo di differimento del processo, consentito dalle disposizioni oggetto di censura, di appena sei mesi, che intervallo di tempo assai pi breve rispetto al periodo di sospensione che si determina per effetto della remissione alla Corte costituzionale della questione di legittimit sollevata dal giudice a quo. 1.3.2. In data 22 novembre 2010, limputato nel giudizio principale ha depositato memoria illustrativa, ribadendo linfondatezza della questione. Nella memoria, la parte privata illustra le vicende del processo a quo, in relazione alla celebrazione delle udienze e alle richieste di rinvio fino al giorno 19 aprile 2010, al dichiarato fine di consentire a questa Corte di valutare la ragionevolezza di quanto deciso dal Tribunale di Milano a fronte di una richiesta di rinvio corredata anche dallindicazione di possibili date per la celebrazione delle successive udienze. Dalle vicende del giudizio principale emergerebbe come la difesa abbia rigorosamente interpretato quei canoni ermeneutici offerti dalla Corte per individuare il concetto di leale collaborazione processuale, concordando le date, non frapponendo impedimenti pretestuosi, consentendo la celebrazione delle udienze anche quando limputato era impedito, se la sua partecipazione non era oggettivamente necessaria. Con osservazioni estese anche ai giudizi di cui al reg. ord. nn. 180 e 304 del 2010, inoltre, la parte privata sostiene che i rinvii richiesti per legittimo impedimento sarebbero stati sempre limitati e rispettosi dellattivit giudiziaria e che le attestazioni fornite sono state sempre assai inferiori al termine massimo dei sei mesi. Sarebbe quindi stato sufficiente, conclude la difesa dellimputato nel giudizio principale, applicare i canoni di cui allart. 420-ter cod. proc. pen. per poter continuare i processi. 2. Il Tribunale di Milano, sezione X penale, con ordinanza del 16 aprile 2010 (reg. ord. n. 180 del 2010), ha sollevato questione di legittimit costituzionale degli artt. 1 e 2 della legge n. 51 del 2010, per violazione degli artt. 3 e 138 Cost. 2.1. Il collegio rimettente riferisce che la difesa dellimputato nel giudizio principale, al quale contestato il reato di cui agli artt. 110, 319, 319-ter e 321 del codice penale, ha anticipato via fax, in data 14 aprile 2010, una richiesta di rinvio delludienza del 16 aprile (data che era stata indicata dal Tribunale, nel corso della precedente udienza del 27 febbraio 2010, insieme a quelle, successive, del 30 aprile, 7 maggio, 12 maggio e 29 maggio del 2010), deducendo legittimo impedimento consistente nellimpegno a presiedere il Consiglio dei ministri convocato per lo stesso giorno. Il Tribunale rimettente espone che, nel corso delludienza del 16 aprile, la difesa dellimputato nel giudizio principale ha prodotto copia dellordine del giorno del Consiglio dei ministri (datato 14 aprile 2010) e ha esibito loriginale, producendo copia, dellattestazione del Segretario Generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri relativa alla continuativit dellimpedimento correlato allo svolgimento delle funzioni di governo ai sensi della legge censurata. Il giudice a quo riferisce, inoltre, che il pubblico ministero ha domandato il rigetto della richiesta di rinvio, negando il carattere assoluto dellimpedimento alla luce dei punti posti allordine del giorno della seduta del Consiglio dei ministri del 14 aprile 2010 e della circostanza per cui limpedimento intervenuto successivamente alla fissazione concordata del calendario del processo, mentre la difesa dellimputato ha ribadito la rilevanza dei temi posti allordine del giorno del Consiglio dei ministri e, dunque, il carattere assoluto dellimpedimento. Ad avviso del Tribunale rimettente, ai fini della decisione sulla richiesta di rinvio e della prosecuzione del dibattimento, imprescindibile accertare preliminarmente se, in applicazione della disciplina legislativa censurata, il giudice mantenga, conformemente alla natura CONTENZIOSO NAZIONALE 113 stessa dellistituto generale del legittimo impedimento di cui allart. 420-ter cod. proc. pen., il potere-dovere di verificare leffettiva sussistenza dellimpedimento, mediante un accertamento di fatto da effettuarsi caso per caso e in concreto. La disciplina censurata, secondo il collegio rimettente, sottrae al giudice tale potere di valutazione. Essa, infatti, non contiene una disciplina[..] presuntiva[] dellistituto in relazione a specifiche situazioni di fatto e coerente[] con il sistema delineato dallart. 420-ter di applicazione generale. Lart. 1, comma 1, della legge n. 51 del 2010, ad avviso del giudice a quo, stila[] un elenco di impedimenti legittimi che include anche le attivit preparatorie e consequenziali, nonch [] ogni attivit comunque coessenziale alle funzioni di governo. La genericit di tale formulazione limiterebbe la possibilit del giudice di apprezzare leffettivit dellimpedimento rispetto alla singola udienza, ci che risulterebbe rafforzato dal dettato del comma 4 del medesimo art. 1, secondo cui il giudice rinvia il processo a seguito di certificazione che attesti che limpedimento continuativo e correlato allo svolgimento delle funzioni di governo. Da tutto ci il collegio rimettente conclude che, in base alla disciplina censurata, il rinvio imposto da ragioni genericamente indicate e insindacabili dalla autorit giudiziaria e si traduce in una causa automatica di rinvio del dibattimento sproporzionata rispetto alla tutela del diritto di difesa, per il quale listituto del legittimo impedimento a comparire previsto. N pu seguirsi, secondo il Tribunale rimettente, una diversa interpretazione della legge censurata, tale da salvaguarda[re] il sindacato del giudice in ordine alla natura dellimpedimento e alla sua continuativit: una simile interpretazione, infatti, si risolverebbe in una sostanziale disapplicazione della nuova legge e contrasterebbe con la volont del legislatore, quale espressamente palesata dallart. 2 della legge censurata, secondo il quale le nuove disposizioni si applicano al fine di consentire al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri il sereno svolgimento delle funzioni loro attribuite dalla Costituzione e dalla legge. Alla luce di tali circostanze, il Tribunale rimettente ritiene che il meccanismo processuale previsto dalla disciplina censurata, sebbene qualificato come legittimo impedimento, rappresenti in realt una nuova prerogativa, connessa allesercizio delle cariche costituzionali di Presidente del Consiglio dei Ministri e di Ministro, e consistente in una causa di sospensione del processo. Ma osserva il giudice a quo la previsione di una simile prerogativa, in quanto derogatoria al principio di eguale sottoposizione alla legge e alla giurisdizione di tutti i cittadini, non pu avvenire con legge ordinaria. Essa richiede necessariamente una fonte costituzionale, come affermato da questa Corte con la sentenza n. 262 del 2009 e come del resto riconosciuto dalla medesima disciplina censurata, che ha carattere temporaneo ed rivolta ad anticipare gli effetti di una legge costituzionale recante una disciplina organica delle prerogative del Presidente del Consiglio dei ministri e dei ministri. 2.2. intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dallAvvocatura generale dello Stato, chiedendo che la Corte dichiari la questione di legittimit costituzionale sollevata inammissibile, in relazione allart. 3 Cost., e comunque non fondata, in relazione al medesimo art. 3, nonch allart. 138 Cost. 2.2.1. Quanto allasserita lesione dellart. 3 Cost., lAvvocatura generale dello Stato eccepisce preliminarmente la manifesta inammissibilit della questione, per non avere il Tribunale rimettente esplicitato i motivi che fonderebbero la predetta violazione. Nel merito, la difesa dello Stato ritiene che le disposizioni censurate prevedano un trattamento differenziato per i titolari delle cariche ivi indicate del tutto conforme al richiesto requisito della ragionevolezza e proporzionalit, essendo tali disposizioni dirette a pervenire, con specifico riferimento alla fattispecie del legittimo impedimento del Presidente del Consiglio dei ministri 114 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 imputato ad un ragionevole bilanciamento fra le due esigenze, entrambe di valore costituzionale, della speditezza del processo e della integrit funzionale dellorgano costituzionale. N pu ritenersi, secondo lAvvocatura generale dello Stato, che la violazione dellart. 3 Cost. dipenda da una illegittima differenziazione della posizione del Presidente del Consiglio dei ministri rispetto a quella dei ministri, dal momento che la disciplina censurata si riferisce ad entrambe le cariche. Con riguardo, invece, alla lamentata violazione dellart. 138 Cost., lAvvocatura generale dello Stato deduce la non fondatezza della censura sulla base di argomenti testualmente identici a quelli svolti nellatto di intervento riferito allordinanza di rimessione di cui al reg. ord. n. 173 del 2010. 2.2.2. In data 23 novembre 2010, lAvvocatura generale dello Stato ha depositato, per il Presidente del Consiglio dei ministri, memoria illustrativa, ribadendo le ragioni dedotte con latto di intervento a sostegno dellinammissibilit e dellinfondatezza della questione di costituzionalit sollevata. La difesa dello Stato formula ulteriori osservazioni in ordine alla manifesta inammissibilit e alla infondatezza della questione, sulla base di argomenti testualmente identici a quelli dedotti nella memoria riferita allordinanza di rimessione di cui al reg. ord. n. 173 del 2010. 2.3. Si costituito in giudizio, con atto depositato in data 5 luglio 2010, limputato nel giudizio principale, chiedendo che la Corte dichiari inammissibile o, comunque, manifestamente infondata la questione di legittimit costituzionale sollevata. 2.3.1. Limputato nel giudizio principale eccepisce, innanzitutto, linammissibilit della questione sollevata, in ragione della omessa descrizione della fattispecie oggetto del giudizio principale, tale da non permettere alla Corte di valutarne compiutamente la rilevanza. In particolare, lordinanza di rimessione conterrebbe, ad avviso dellimputato nel giudizio principale, una laconica indicazione degli articoli del codice penale contestati allimputato e delle coordinate spazio-temporali del capo di imputazione e non fornirebbe una puntuale descrizione della condizione soggettiva che legittima lapplicazione della norma censurata, n dello stato in cui si trova il processo che si sta celebrando dinanzi al giudice a quo. Secondo limputato nel giudizio principale, in virt del principio di autosufficienza dellordinanza di rimessione, tali elementi, di cui la Corte deve avere necessariamente contezza per potersi pronunciare, non potrebbero essere ricavati ricorrendo alle deduzioni delle altre parti intervenute, o alla visione diretta del fascicolo del giudizio principale, o, addirittura, a fatti ritenuti notori. Limputato nel giudizio principale deduce poi, quale ulteriore ragione di inammissibilit, il difetto della rilevanza in concreto della questione sollevata dal giudice rimettente, per aversi la quale sarebbe necessario che linterpretazione non costituzionale della legge, oltre ad essere lunica possibile, supporti ed orienti lapplicazione che nel medesimo contesto il giudice si accingerebbe a farne. Ci non accadrebbe nel caso in esame, nel quale la difesa dellimputato, alludienza del 16 aprile 2010, da un lato, ha prospettato un legittimo impedimento per il giorno stesso, costituito dalla concomitante riunione del Consiglio dei ministri, e, dallaltro lato, ha prodotto attestazione del Segretario generale della Presidenza del Consiglio dei ministri di legittimo impedimento continuativo fino al 21 luglio 2010. Sulla base di tali circostanze, secondo limputato nel giudizio principale, la rilevanza in concreto difetterebbe per due ragioni. In primo luogo, la questione sarebbe stata sollevata prematuramente rispetto alla necessit di dare effettiva applicazione alla disciplina censurata, in considerazione della sus- CONTENZIOSO NAZIONALE 115 sistenza dellimpedimento puntuale, valevole hic et nunc per ludienza del 16 aprile 2010, dato dalla concomitante riunione del Consiglio dei Ministri. Limputato nel giudizio principale chiarisce che lattestazione della Presidenza del Consiglio dei ministri stata prodotta al solo fine di indicare, per la prosecuzione del giudizio, i giorni del 21 e del 28 luglio 2010, date che per il Tribunale rimettente non avrebbe neppure preso in considerazione, sollevando invece direttamente e quindi prematuramente la questione di legittimit costituzionale della disciplina censurata. In secondo luogo, limputato nel giudizio principale rileva che, ove pure si ritenesse che la mera esibizione dellattestazione [] equivalga a una richiesta di applicazione della stessa, pur in presenza di un legittimo impedimento valido ed operante per il giorno delludienza in cui avviene detta esibizione, tale attestazione si limitata ad indicare un impedimento continuativo per un periodo di tempo di poco pi di tre mesi, inferiore quindi al periodo massimo di sei mesi previsto dalla disciplina censurata. Questultima avrebbe quindi avuto, nel giudizio a quo, una applicazione parziale e la questione di legittimit costituzionale avrebbe dovuto essere formulata in relazione alla disciplina che ha avuto concreta applicazione, cio di una disciplina che produce una sospensione del dibattimento per tre mesi, mentre il giudice a quo discetta in astratto di rilevanti periodo di tempo in cui potrebbe essere fatto valere il legittimo impedimento. Nel merito, la parte privata sostiene che la questione di legittimit costituzionale, sollevata dal Tribunale rimettente in relazione allart. 138 Cost., sia manifestamente infondata, per le ragioni indicate, con argomenti testualmente identici, nellatto di costituzione relativo al giudizio di cui al reg. ord. n. 173 del 2010. Relativamente, invece, allasserita violazione dellart. 3 Cost., la parte privata osserva che manca nellordinanza di rimessione qualunque valutazione relativa al tertium comparationis [] nonch alla ragionevolezza del bilanciamento di interessi operato dalla disciplina censurata. Sotto il primo profilo, viene rilevato che lordinanza di rimessione non chiarisce quali siano i soggetti rispetto ai quali la disciplina censurata creerebbe sperequazioni: se rispetto al semplice cittadino, o ad altre cariche dello Stato, o a un Presidente del Consiglio dei Ministri e a dei Ministri tutelati da vere immunit costituzionali. Sotto il secondo profilo, si osserva come il giudice a quo si limiti ad affermare che il meccanismo processuale denunciato causa automatica di rinvio del dibattimento sproporzionata rispetto alla tutela del diritto di difesa, senza per impiegare alcuna altra argomentazione per dare sostanza e contenuto allasserita sproporzione e, soprattutto, senza considerare il carattere temporaneo e transitorio della disciplina denunciata, suscettibile di influenzare significativamente il giudizio sulla ragionevolezza del bilanciamento di interessi da essa operato. 2.3.2. In data 22 novembre 2010, limputato nel giudizio principale ha depositato memoria illustrativa, insistendo perch la questione di legittimit costituzionale sollevata sia dichiarata non fondata. La parte privata, in particolare, illustra le vicende del processo a quo, in relazione alla celebrazione delle udienze e alle richieste di rinvio, riproducendo le medesime argomentazioni svolte nella memoria riferita al giudizio di cui al reg. ord. n. 173 del 2010. 3. Il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Milano, con ordinanza del 24 giugno 2010 (reg. ord. n. 304 del 2010), ha sollevato questione di legittimit costituzionale dellart. 1 della legge n. 51 del 2010, per violazione dellart. 138 Cost. 3.1. Il giudice rimettente riferisce che la difesa dellimputato nel giudizio principale 116 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 ha avanzato, ai sensi della disciplina censurata, istanza di differimento delludienza preliminare alla data del 27 luglio 2010, producendo una attestazione della Segreteria della Presidenza del Consiglio dei ministri in cui viene dato atto di un impedimento continuativo, fino alla suddetta data, correlato alle funzioni di governo che limputato stesso chiamato a svolgere nella sua qualit di attuale Presidente del Consiglio dei ministri. Il giudice a quo espone, inoltre, che, a fronte di tale richiesta di differimento, il pubblico ministero ha chiesto la fissazione di un calendario di udienze per i successivi mesi di settembre e ottobre e la difesa dellimputato ha offerto la propria disponibilit, tuttavia precisando che uneventuale programmazione delle udienze dovr comunque essere modulata sulla base dei futuri impegni istituzionali del proprio assistito, allo stato non individuabili. Il giudice rimettente ritiene che, ai fini della decisione sullistanza di differimento delludienza preliminare, occorra preliminarmente stabilire se, alla luce della disposizione legislativa censurata, il giudice conservi il potere, stabilito dallart. 420-ter del codice di procedura penale, di sindacare caso per caso se limpedimento legittimo possa ritenersi assoluto per tutto il periodo in cui viene rappresentato e, come tale, legittimare la richiesta di rinvio delludienza. A tal fine, ad avviso del giudice a quo, la legge censurata deve essere interpretata tenendo conto della ratio dalla medesima indicata allart. 2, cio quella di regolare le prerogative del Presidente del Consiglio dei Ministri e degli stessi Ministri in vista del sereno svolgimento delle funzioni loro attribuite [] in attesa di una legge di rango costituzionale che valga ad attuarne unorganica e definitiva regolamentazione. Alla luce di tale circostanza, il giudice rimettente ritiene che, a fronte di una certificazione governativa in cui vengano indistintamente richiamati gli impegni istituzionali non rinviabili presenti nellagenda del Presidente del Consiglio dei ministri per un determinato arco temporale, senza alcun preciso riferimento in ordine alla relativa natura, frequenza e durata, al giudice sia precluso ogni sindacato in merito al carattere assoluto dellimpedimento cos rappresentato. Tuttavia, una simile qualificazione legislativa, vincolante per il giudice, di legittimo impedimento continuativo correlato alle funzioni governo, si tradurrebbe in pratica, ad avviso del giudice rimettente, in una sorta di temporanea esenzione dalla giurisdizione penale destinata a perdurare per tutto il tempo in cui lincarico governativo viene ad essere ricoperto. Tale deroga al comune regime giurisdizionale costituirebbe una prerogativa in favore dei componenti di un organo costituzionale che, secondo quanto affermato da questa Corte, pu essere introdotta solo con legge costituzionale. Del resto osserva ancora il giudice a quo lo stesso art. 2 della legge censurata, nel rappresentarne il carattere temporaneo, pare essere consapevole della necessit che lorganico assetto delle prerogative dei componenti del Consiglio dei ministri sia attuato attraverso il meccanismo previsto dallart. 138 Cost.. Lasserita violazione di questultima disposizione costituzionale induce pertanto il giudice rimettente a sollevare dufficio, ritenendola rilevante e non manifestamente infondata, la questione di legittimit costituzionale della disciplina censurata, la quale, in quanto legge ordinaria, non potrebbe, neppure per un periodo di tempo limitato, anticipare gli effetti di una legge di rango costituzionale. 3.2. intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dallAvvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione di legittimit costituzionale sollevata sia dichiarata inammissibile o, comunque, non fondata. La difesa dello Stato eccepisce innanzitutto linammissibilit per difetto di rilevanza in concreto della questione di costituzionalit dedotta. LAvvocatura generale dello Stato osserva, infatti, che, come emerge della stessa ordinanza di rimessione, alla richiesta di differi- CONTENZIOSO NAZIONALE 117 mento delludienza preliminare per lattestato impedimento dellimputato, nessuna delle parti si opposta, compreso il pubblico ministero, che ha chiesto la fissazione di un calendario di udienze per i successivi mesi di settembre e ottobre. In tale contesto, ad avviso della difesa dello Stato, il giudice rimettente avrebbe dovuto preliminarmente valutare la richiesta di rinvio ai sensi della norma generale di cui allart. 420-ter cod. proc. pen. e, solo in caso di ritenuta inapplicabilit di tale disposizione, verificare lapplicabilit della norma speciale censurata. Secondo lAvvocatura generale dello Stato, invece, il giudice rimettente avrebbe proceduto, in astratto e senza fornire alcuna indicazione in ordine alla rilevanza della stessa con riferimento al processo in questione, a sollevare la questione di legittimit costituzionale della norma censurata, che si rivelerebbe, pertanto, inammissibile. Nel merito, lAvvocatura generale dello Stato deduce la non fondatezza della questione sollevata sulla base di argomenti testualmente identici a quelli svolti nellatto di intervento riferito allordinanza di rimessione di cui al reg. ord. n. 173 del 2010. La difesa dello Stato esclude, in particolare, che la disciplina censurata possa costituire una prerogativa costituzionale. Essa infatti sarebbe rivolta ad integrare la disciplina dellistituto processuale generale del legittimo impedimento, il quale pu ben essere regolato con legge ordinaria in quanto prescinde dalla natura dellattivit che legittima limpedimento medesimo, [] di generale applicazione e pertanto non deroga al comune regime giurisdizionale. 3.3. Si costituito in giudizio, con atto depositato in data 26 ottobre 2010, limputato nel giudizio principale, chiedendo che la Corte dichiari inammissibile o, comunque, manifestamente infondata la questione di legittimit costituzionale sollevata. 3.3.1. Limputato nel giudizio principale eccepisce, innanzitutto, linammissibilit della questione sollevata, in ragione della omessa descrizione della fattispecie oggetto del giudizio principale, tale da non permettere alla Corte di valutarne compiutamente la rilevanza. In particolare, lordinanza di rimessione, ad avviso dellimputato nel giudizio principale, non indicherebbe i reati contestati e il luogo e tempo della loro commissione, n fornirebbe una puntuale descrizione della condizione soggettiva che legittima lapplicazione della norma censurata e dello stato in cui si trova il processo che si sta celebrando dinanzi al giudice a quo. Secondo limputato nel giudizio principale, in virt del principio di autosufficienza dellordinanza di rimessione, tali elementi, di cui la Corte deve avere necessariamente contezza per potersi pronunciare, non potrebbero essere ricavati ricorrendo alle deduzioni delle altre parti intervenute, o alla visione diretta del fascicolo del giudizio principale, o, addirittura, a fatti ritenuti notori. Limputato nel giudizio principale deduce poi, quale ulteriore ragione di inammissibilit, il difetto della rilevanza in concreto della questione sollevata dal giudice rimettente. Rileva al proposito la parte privata, integrando la descrizione asseritamente imprecisa contenuta nellordinanza di rimessione, che, nel caso in esame, la difesa dellimputato, alludienza del 24 giugno 2010, da un lato, ha prospettato un legittimo impedimento per il giorno stesso, costituito dalla concomitante riunione del Consiglio dei ministri e dalla successiva partenza per un vertice internazionale in Canada, e, dallaltro lato, ha prodotto attestazione del Segretario generale della Presidenza del Consiglio dei ministri di legittimo impedimento continuativo fino al 27 luglio 2010. Sulla base di tali circostanze, secondo limputato nel giudizio principale, la rilevanza in concreto difetterebbe per due ragioni. In primo luogo, la questione sarebbe stata sollevata prematuramente rispetto alla necessit di dare effettiva applicazione alla disciplina censurata, in considerazione della sus- 118 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 sistenza dellimpedimento puntuale, valevole hic et nunc per ludienza del 24 giugno 2010, dato dal Consiglio dei ministri e dal viaggio di Stato in Canada. Limputato nel giudizio principale chiarisce che lattestazione della Presidenza del Consiglio stata prodotta al solo fine di indicare, per la prosecuzione del giudizio, i giorni del 21 e del 28 luglio, date che per il Tribunale rimettente non avrebbe neppure preso in considerazione, sollevando invece direttamente e quindi prematuramente la questione di legittimit costituzionale della disciplina censurata. In secondo luogo, limputato nel giudizio principale rileva che, ove pure si ritenesse che la produzione dellattestazione [] equivalga a una richiesta di applicazione della stessa, pur in presenza di un legittimo impedimento valido ed operante per il giorno delludienza in cui avviene detta produzione, tale attestazione si limitata ad indicare un impedimento continuativo per un periodo di tempo di poco pi di un mese, ben inferiore quindi al periodo massimo di sei mesi previsto dalla disciplina censurata. Questultima avrebbe quindi avuto, nel giudizio a quo, una applicazione parziale e la questione di legittimit costituzionale avrebbe dovuto essere formulata in relazione alla disciplina che ha avuto concreta applicazione, cio ad una disciplina che produce una sospensione del dibattimento per poco pi di un mese, mentre il giudice a quo discetta in modo astratto ed impreciso di una sorta di temporanea esenzione dalla giurisdizione penale destinata a perdurare per tutto il tempo in cui lincarico governativo viene ad essere ricoperto. Nel merito, la parte privata sostiene che la questione di legittimit costituzionale sollevata dal Tribunale rimettente sia manifestamente infondata per le ragioni indicate, con argomenti testualmente identici, nellatto di costituzione relativo al giudizio di cui al reg. ord. n. 173 del 2010. 3.3.2. In data 22 novembre 2010, limputato nel giudizio principale ha depositato memoria illustrativa, insistendo perch la questione di legittimit costituzionale sia dichiarata non fondata. La parte privata illustra le vicende del processo a quo, in relazione alla celebrazione delle udienze e alle richieste di rinvio, riproducendo le medesime argomentazioni svolte nelle memorie riferite ai giudizi di cui al reg. ord. nn. 173 e 180 del 2010. Considerato in diritto 1. Il Tribunale di Milano, con tre distinte ordinanze della sezione I penale (reg. ord. n. 173 del 2010), della sezione X penale (reg. ord. n. 180 del 2010) e del Giudice per le indagini preliminari (reg. ord. n. 304 del 2010), solleva questione di legittimit costituzionale della legge 7 aprile 2010, n. 51 (Disposizioni in materia di impedimento a comparire in udienza). In particolare, la sezione X ha censurato lintero testo della legge n. 51 del 2010, mentre il Giudice per le indagini preliminari ha censurato il solo articolo 1 e la sezione I soltanto i commi 1, 3 e 4 di tale articolo. Tutte le ordinanze di rimessione sollevano questione di legittimit costituzionale della predetta disciplina in quanto essa introdurrebbe, con legge ordinaria, una prerogativa in favore dei titolari di cariche governative, in contrasto con il principio di eguaglianza di cui allart. 3 della Costituzione e con lart. 138 Cost. Tali disposizioni costituzionali sono entrambe esplicitamente indicate quali parametri violati nellordinanza di rimessione della sezione X e risultano implicitamente evocati, in congiunzione fra loro, anche nelle altre due ordinanze, bench queste ultime, testualmente, richiamino soltanto lart. 138 Cost. La sezione X, inoltre, censura la legge n. 51 del 2010 anche in relazione allart. 3 Cost., considerato autonomamente e sotto il profilo della ragionevolezza. CONTENZIOSO NAZIONALE 119 1.1. La legge n. 51 del 2010 disciplina il legittimo impedimento a comparire in udienza, ai sensi dellart. 420-ter del codice di procedura penale, del Presidente del Consiglio dei ministri (art. 1, comma 1) e dei ministri (art. 1, comma 2), in qualit di imputati. In particolare, in base allart. 1, comma 3, di tale legge, il giudice, su richiesta di parte, rinvia il processo ad altra udienza quando ricorrono le ipotesi di impedimento a comparire individuate dal comma 1 (per il Presidente del Consiglio) e dal comma 2 (per i ministri) della medesima legge. In base a tale disciplina, costituisce legittimo impedimento il concomitante esercizio di una o pi delle attribuzioni previste dalle leggi o dai regolamenti e in particolare dagli articoli 5, 6 e 12 della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, dagli articoli 2, 3 e 4 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303, e successive modificazioni, e dal regolamento interno del Consiglio dei ministri, di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 10 novembre 1993, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 268 del 15 novembre 1993, e successive modificazioni, delle relative attivit preparatorie e consequenziali, nonch di ogni attivit comunque coessenziale alle funzioni di Governo. Inoltre, lart. 1, comma 4, della medesima legge, dispone che ove la Presidenza del Consiglio dei Ministri attesti che limpedimento continuativo e correlato allo svolgimento delle funzioni di cui alla presente legge, il giudice rinvia il processo a udienza successiva al periodo indicato, che non pu essere superiore a sei mesi. Lart. 1, comma 5, della legge n. 51 del 2010 chiarisce che il corso della prescrizione rimane sospeso per lintera durata del rinvio. Tale disciplina si applica anche ai processi penali in corso, in ogni fase, stato o grado, alla data di entrata in vigore della medesima legge (art. 1, comma 6) e fino alla data di entrata in vigore della legge costituzionale recante la disciplina organica delle prerogative del Presidente del Consiglio dei Ministri e dei Ministri, nonch della disciplina attuativa delle modalit di partecipazione degli stessi ai processi penali e, comunque, non oltre diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, salvi i casi previsti dallarticolo 96 della Costituzione, al fine di consentire al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri il sereno svolgimento delle funzioni loro attribuite dalla Costituzione e dalla legge (art. 2). 1.2. I giudici a quibus ritengono, in particolare, che la disciplina censurata individui con formule generiche e indeterminate le attivit costituenti legittimo impedimento del titolare di una carica governativa e sottragga al giudice il potere di valutare in concreto limpossibilit a comparire connessa allo specifico impegno addotto, soprattutto nellipotesi di impedimento continuativo, nella quale limputato potrebbe ottenere il rinvio mediante un meccanismo di autocertificazione di legittimo impedimento. Ci costituirebbe, ad avviso dei rimettenti, una presunzione assoluta di impedimento, collegata allo status permanente della titolarit della carica, o comunque una prerogativa o immunit del titolare, la quale, come ha stabilito la Corte costituzionale con la sentenza n. 262 del 2009, non pu essere introdotta con legge ordinaria. LAvvocatura generale dello Stato e la difesa dellimputato nei giudizi principali escludono che la disciplina censurata sia costituzionalmente illegittima, osservando, in particolare, come essa sia diretta ad integrare la disciplina processuale comune, contenuta nellart. 420- ter cod. proc. pen., mediante una tipizzazione delle attivit di governo che costituiscono legittimo impedimento a comparire in udienza. 2. In ragione della loro connessione oggettiva, i giudizi devono essere riuniti, per essere congiuntamente trattati e decisi con ununica pronuncia. 3. Devono essere preliminarmente esaminati i profili che attengono allammissibilit delle questioni sollevate. 120 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 3.1. Vanno dichiarate inammissibili le censure prospettate dalla sezione X (reg. ord. n. 180 del 2010) e dal Giudice per le indagini preliminari (reg. ord. n. 304 del 2010) del Tribunale di Milano, nella parte in cui si riferiscono allart. 1, commi 2, 5 e 6, nonch allart. 2 della legge n. 51 del 2010. Le questioni di legittimit costituzionale dellart. 1, comma 2, della legge censurata non assumono rilevanza nei giudizi a quibus, nei quali tale disposizione non pu trovare applicazione, in quanto riferita esclusivamente ai ministri e non al Presidente del Consiglio dei ministri, cio alla carica di cui titolare limputato nei giudizi principali. Le questioni di legittimit costituzionale dellart. 1, commi 5 e 6, e dellart. 2 della legge n. 51 del 2010 sono inammissibili, atteso che tali norme non risultano in alcun modo investite dalle censure svolte nelle motivazioni delle ordinanze di rimessione. 3.2. Vanno disattese le eccezioni dellAvvocatura generale dello Stato e della difesa della parte privata, con le quali si deduce linammissibilit delle questioni di legittimit costituzionale riferite allart. 1, commi 1, 3 e 4, della legge n. 51 del 2010. 3.2.1. La difesa della parte privata e lAvvocatura generale dello Stato eccepiscono, innanzitutto, relativamente a tutti e tre i giudizi, la insufficiente e lacunosa descrizione, compiuta dai giudici a quibus, delle fattispecie sottoposte al loro esame. Le denunciate carenze atterrebbero, in particolare, alla mancata indicazione del tipo di reati cui si riferisce limputazione, del luogo e data di commissione degli stessi, delle eventuali ipotesi di concorso con altre persone, della condizione soggettiva che legittima lapplicazione della norma censurata e dello stato in cui si trova il processo che si sta celebrando dinanzi ai giudici a quibus. Leccezione non fondata. In primo luogo, va rilevato che lordinanza di rimessione della sezione X del Tribunale di Milano (reg. ord. n. 180 del 2010) contiene tutte le informazioni di cui si lamenta la mancanza. In secondo luogo, le altre due ordinanze di rimessione (reg. ord. n. 173 e n. 304 del 2010) indicano quale sia la condizione soggettiva che legittima lapplicazione della disciplina censurata (cio la carica di Presidente del Consiglio dei ministri rivestita dallimputato) e chiariscono che la richiesta di rinvio si riferisce ad una udienza disposta nel corso di un processo penale. Infine, lindicazione del tipo, luogo e data di commissione dei reati contestati non costituisce un elemento necessario per la valutazione della rilevanza della questione sollevata, atteso che la disciplina censurata dispone la propria applicabilit a tutti i processi penali, anche in corso, senza distinguere in base alle caratteristiche del reato commesso, salvo il caso, pacificamente escluso dai rimettenti e dalla stessa parte privata, di applicazione dellart. 96 Cost. 3.2.2. LAvvocatura generale dello Stato eccepisce, inoltre, che i giudici rimettenti avrebbero dovuto preliminarmente valutare la richiesta di rinvio delludienza ai sensi della norma generale di cui allart. 420-ter cod. proc. pen. e, solo in caso di ritenuta inapplicabilit di tale disposizione, essi avrebbero dovuto verificare lapplicabilit della norma speciale censurata. Ad avviso della difesa dello Stato, la questione sarebbe, pertanto, irrilevante, perch il giudice avrebbe potuto risolverla a prescindere dalla norma censurata. Leccezione non fondata. Il giudice non avrebbe potuto, applicando soltanto lart. 420-ter cod. proc. pen., ignorare la disciplina censurata, che regola la fattispecie sottoposta al suo esame. Alla luce del comune regime processuale, il giudice avrebbe potuto rinviare ludienza, riconoscendo lassoluta impossibilit a comparire dovuta allo specifico impegno istituzionale addotto, ma in tal caso il rinvio sarebbe stato comunque subordinato allesito di un accertamento giudiziale, che i rimettenti ritengono di non poter compiere a causa della intervenuta disciplina speciale, che CONTENZIOSO NAZIONALE 121 proprio per tale ragione essi hanno censurato. 3.2.3. La difesa della parte privata eccepisce, poi, linammissibilit per difetto di rilevanza in concreto della questione sollevata. Viene osservato, al riguardo, che nei giudizi a quibus il Presidente del Consiglio dei ministri ha addotto sia un impedimento puntuale per il giorno delludienza, sia un impedimento continuativo, attestato dalla Presidenza del Consiglio. Ad avviso della difesa dellimputato nei giudizi principali, limpedimento puntuale sarebbe stato prospettato per ottenere il rinvio delludienza specifica in relazione alla quale stato presentato, mentre lattestato di impedimento continuativo sarebbe stato prodotto solo ai fini della individuazione delle date utili per la prosecuzione del giudizio. Di conseguenza, ad avviso della parte privata, i giudici rimettenti avrebbero dovuto, prima, valutare limpedimento puntuale ai fini del rinvio delludienza e, solo successivamente, sindacare la fondatezza o meno della richiesta di rinvio per lulteriore periodo indicato con le modalit previste dalla legge in discussione. Al contrario, secondo la difesa dellimputato, i giudici a quibus avrebbero sollevato la questione di legittimit costituzionale della disciplina censurata immediatamente e, pertanto, prematuramente rispetto alla necessit di dare effettiva applicazione alla medesima. Leccezione non fondata. In primo luogo, va osservato che il giudice non chiamato ad applicare la disciplina censurata solo nel caso in cui venga addotto dallimputato un impedimento continuativo, mediante lattestato della Presidenza del Consiglio dei ministri, previsto dallart. 1, comma 4, della legge n. 51 del 2010, ma anche quando sia dedotto un impegno specifico e puntuale, che il giudice deve valutare sulla base dellart. 1, commi 1 e 3, della medesima legge. Queste ultime, quindi, sono disposizioni in relazione alle quali la questione di legittimit costituzionale sollevata deve ritenersi comunque rilevante. Inoltre, lattestato della Presidenza del Consiglio dei ministri, presentato nei giudizi a quibus, comprende in realt anche il giorno delludienza cui si riferisce la richiesta di rinvio. Esso, pertanto, non rileva nei giudizi principali solo ai fini della programmazione delle udienze future, ma anche ai fini del rinvio della specifica udienza nel corso della quale stato presentato. Ne deriva che, sotto il profilo considerato, rilevante la questione di legittimit costituzionale sia dei commi 1 e 3 dellart. 1 della legge n. 51 del 2010, sia del comma 4 del medesimo articolo. 3.2.4. La difesa della parte privata eccepisce, ancora, linammissibilit delle questioni sollevate per difetto di rilevanza, asserendo che, nei giudizi a quibus, lattestazione della Presidenza del Consiglio si limitata ad indicare un impedimento continuativo per un periodo di tempo inferiore al periodo massimo di sei mesi previsto dalla disciplina censurata. Alla luce di ci, secondo la difesa dellimputato, la disciplina censurata avrebbe ricevuto una applicazione parziale e la questione di legittimit costituzionale avrebbe dovuto essere conseguentemente formulata in relazione alla disciplina che ha avuto concreta applicazione, determinando la sospensione del dibattimento per il tempo indicato in concreto nellattestazione, e non per il tempo indicato in astratto dalla norma. Al contrario, la difesa dellimputato lamenta che i giudici a quibus avrebbero discett[ato] in astratto di rilevanti periodi di tempo in cui potrebbe essere fatto valere il legittimo impedimento. Leccezione non fondata. I giudici rimettenti dubitano della legittimit costituzionale della disciplina censurata in quanto consente allimputato di dedurre un impedimento continuativo per un rilevante periodo di tempo. Tale formula si adatta sia al tempo massimo di sei mesi previsto dalla norma in astratto, sia al tempo inferiore, ma comunque significativo, previsto dallattestato che in 122 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 concreto stato prodotto nei giudizi principali, in evidente applicazione, nel caso di specie, della norma censurata. 3.2.5. Sia lAvvocatura generale dello Stato, sia la difesa della parte privata, infine, eccepiscono linammissibilit della questione di legittimit costituzionale della disciplina censurata, sollevata dalla sezione X del Tribunale di Milano (reg. ord. n. 180 del 2010), in relazione allart. 3 Cost., sotto il profilo della ragionevolezza. Viene lamentato, in particolare, che il giudice a quo non avrebbe esplicitato i motivi che fonderebbero la predetta violazione e che mancherebbe nellordinanza di rimessione qualunque valutazione relativa al tertium comparationis [] nonch alla ragionevolezza del bilanciamento di interessi operato dalla disciplina censurata. Leccezione non fondata. In primo luogo, il giudice rimettente motiva la censura di irragionevolezza, osservando che il rinvio [delludienza] imposto da ragioni genericamente indicate e insindacabili dalla autorit giudiziaria e si traduce in una causa automatica di rinvio del dibattimento sproporzionata rispetto alla tutela del diritto di difesa, per il quale listituto del legittimo impedimento a comparire previsto. In secondo luogo, gli argomenti in base ai quali il rimettente afferma esservi lesione degli artt. 3 e 138 Cost., tra cui in particolare il carattere generale e automatico delle presunzioni di legittimo impedimento introdotte dalla disciplina censurata, sorreggono anche la prospettata irragionevolezza di questultima. N, in tale ultimo caso, si pone un problema di indicazione del tertium comparationis. 4. Al fine di decidere nel merito le questioni sollevate dai giudici a quibus, necessario, preliminarmente, inquadrare il problema generale del legittimo impedimento del titolare di un organo costituzionale, alla luce dei principi al riguardo affermati da questa Corte. 4.1. Sotto tale profilo assumono rilievo, innanzitutto, le pronunce con le quali stata valutata la legittimit costituzionale di norme sulla sospensione dei processi per le alte cariche dello Stato (sentenze n. 262 del 2009 e n. 24 del 2004). Questa Corte ha stabilito che una presunzione assoluta di legittimo impedimento del titolare di una carica governativa, quale meccanismo generale e automatico introdotto con legge ordinaria, costituzionalmente illegittima, in quanto rivolta a tutelare lo stesso mediante una deroga al regime processuale comune e, quindi, a creare una prerogativa, in violazione degli artt. 3 e 138 Cost. Una simile presunzione, secondo il ragionamento sviluppato nella sentenza n. 262 del 2009, costituisce deroga e non applicazione delle regole generali sul processo, le quali, in particolare, consentono di differenziare la posizione processuale del componente di un organo costituzionale solo per lo stretto necessario, senza alcun meccanismo automatico e generale. Devono poi essere considerate le pronunce sui conflitti di attribuzione proposti dalla Camera dei deputati nei confronti dellautorit giudiziaria e riguardanti il mancato riconoscimento, da parte di questultima, di legittimi impedimenti dellimputato consistenti nella partecipazione ai lavori parlamentari (sentenze n. 451 del 2005, n. 284 del 2004, n. 263 del 2003, n. 225 del 2001). Questa Corte ha chiarito che la posizione dellimputato parlamentare non assistita da speciali garanzie costituzionali e nei suoi confronti trovano piena applicazione le generali regole del processo (sentenza n. 225 del 2001). Essa ha tuttavia anche affermato che, nellapplicazione di tali comuni regole processuali, il giudice deve esercitare il suo potere di apprezzamento degli impedimenti invocati dallimputato parlamentare, tene[ndo] conto non solo delle esigenze delle attivit di propria pertinenza, ma anche degli interessi, costituzionalmente tutelati, di altri poteri (sentenza n. 225 del 2001), operando quindi un ragionevole bilanciamento fra le due esigenze [] della speditezza del processo e della integrit CONTENZIOSO NAZIONALE 123 funzionale del Parlamento (sentenza n. 263 del 2003), in particolare programmando il calendario delle udienze in modo da evitare coincidenze con i giorni di riunione degli organi parlamentari (sentenza n. 451 del 2005). Non vi pu essere, dunque, applicazione di regole derogatorie, ma il diritto comune deve applicarsi secondo il principio di leale collaborazione fra i poteri dello Stato. 4.2. Alla luce di tali principi, rilevante, ai fini della verifica della legittimit costituzionale della disciplina censurata, stabilire se questultima, a prescindere dal suo carattere temporaneo, rappresenti una deroga al regime processuale comune, che in particolare quello previsto dallart. 420-ter cod. proc. pen. Esso rappresenta il termine di riferimento per valutare se la normativa censurata, derogando alle ordinarie norme processuali, introduca, con legge ordinaria, una prerogativa la cui disciplina riservata alla Costituzione, violando il principio della eguale sottoposizione dei cittadini alla giurisdizione e ponendosi, quindi, in contrasto con gli artt. 3 e 138 Cost. La disciplina oggetto di censura sar dunque da ritenersi illegittima se, e nella misura in cui, alteri i tratti essenziali del regime processuale comune. In base ad esso, limpedimento dedotto dallimputato non pu essere generico e il rinvio delludienza da parte del giudice non pu essere automatico. Sotto il primo profilo, limputato ha lonere di specificare limpedimento, potendo egli addurre come tale un preciso e puntuale impegno e non gi una parte della propria attivit genericamente individuata o complessivamente considerata. Sotto il secondo profilo, il giudice deve valutare in concreto, ai fini del rinvio delludienza, lo specifico impedimento addotto. 5. Per quanto le censure dei giudici a quibus si riferiscano alle disposizioni della legge n. 51 del 2010 considerate nel loro insieme, e sebbene tali disposizioni rispondano ad un comune motivo ispiratore, tuttavia la disciplina censurata non si presenta come unitaria sotto il profilo strutturale. Essa, infatti, si articola in pi componenti, ciascuna delle quali suscettibile di ricevere una autonoma qualificazione dal punto di vista della coerenza con la disciplina processuale comune e, quindi, anche una diversa valutazione dal punto di vista della verifica di legittimit costituzionale. Questa deve essere condotta separatamente, in relazione alle disposizioni contenute nei tre distinti commi dellart. 1 della legge n. 51 del 2010, cui si riferiscono le censure dei giudici rimettenti: il comma 1, che indica le attribuzioni del Presidente del Consiglio dei ministri costituenti legittimo impedimento; il comma 3, che disciplina il rinvio delludienza, da parte del giudice, quando ricorrono le ipotesi previste dai precedenti commi; il comma 4, che regola lipotesi di impedimento continuativo e attestato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri. 5.1. Lart. 1, comma 1, della legge n. 51 del 2010 prevede quanto segue: Per il Presidente del Consiglio dei Ministri costituisce legittimo impedimento, ai sensi dellarticolo 420-ter del codice di procedura penale, a comparire nelle udienze dei procedimenti penali, quale imputato, il concomitante esercizio di una o pi delle attribuzioni previste dalle leggi o dai regolamenti e in particolare dagli articoli 5, 6 e 12 della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, dagli articoli 2, 3 e 4 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303, e successive modificazioni, e dal regolamento interno del Consiglio dei Ministri, di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 10 novembre 1993, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 268 del 15 novembre 1993, e successive modificazioni, delle relative attivit preparatorie e consequenziali, nonch di ogni attivit comunque coessenziale alle funzioni di Governo. Per la parte in cui si riferiscono a tale disposizione, le questioni sollevate dai giudici a 124 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 quibus non sono fondate, nei termini di seguito precisati. Ad avviso dei rimettenti, la disciplina censurata, anzich identificare alcune ipotesi rigorosamente e tassativamente circoscritte di impedimento del Presidente del Consiglio dei ministri, contemplerebbe una presunzione assoluta di legittimo impedimento riferita ad una serie ampia e indeterminata di funzioni, in definitiva coincidenti con lintera attivit del titolare della carica governativa. Non vi dubbio che, ove fosse in tal modo intesa, la disposizione in esame sarebbe illegittima, in quanto derogatoria rispetto al regime processuale comune e, quindi, in contrasto con gli artt. 3 e 138 Cost., per le ragioni indicate da questa Corte nella sentenza n. 262 del 2009. Tuttavia, una disposizione legislativa pu essere dichiarata illegittima solo quando non sia possibile attribuire ad essa un significato compatibile con la Costituzione, cio, nella fattispecie in esame, ove non sia possibile ricondurla nel solco della disciplina comune, interpretandola in conformit con listituto processuale generale di cui espressione lart. 420-ter cod. proc. pen. Ci possibile in considerazione del fatto che lart. 1, comma 1, della legge n. 51 del 2010 richiama espressamente lart. 420-ter cod. proc. pen., nonch del fatto che, con la disposizione censurata, il legislatore sembra aver voluto introdurre come risulta dai lavori preparatori una mera norma interpretativa dellambito di applicazione di un istituto processuale (relazione in aula, Camera dei deputati, Assemblea, seduta del 25 gennaio 2010, e Senato della Repubblica, Assemblea, 347a seduta pubblica antimeridiana, marted 9 marzo 2010). Come ha sostenuto la difesa dellimputato, sia negli atti scritti, sia nel corso delludienza pubblica, la disposizione censurata non comporta una presunzione assoluta di legittimo impedimento e non impone alcun automatismo. Essa introduce un criterio volto ad orientare il giudice nellapplicazione dellart. 420-ter cod. proc. pen., e segnatamente del comma 1 di tale disposizione, mediante lindividuazione, in astratto, delle categorie di attribuzioni governative a tal fine rilevanti. Il legislatore, peraltro, sembra aver recepito al riguardo, sviluppandolo, un orientamento della Corte di cassazione, secondo cui costituiscono legittimo impedimento, in base allart. 420-ter cod. proc. pen., le attivit del titolare di una carica governativa che siano coessenziali alla funzione tipica del Governo (sentenza della Corte di cassazione, sez. sesta penale, 9 febbraio 2004 9 marzo 2004, n. 10773). Questa espressione ripresa dallart. 1, comma 1, della legge n. 51 del 2010 e assurge ad elemento qualificativo di tutte le ipotesi di legittimo impedimento da tale disposizione previste, come dimostrato dalla circostanza che le attivit coessenziali alla funzione di governo sono poste a chiusura della formulazione normativa e che lavverbio comunque introduce un collegamento fra il requisito della coessenzialit e le attribuzioni governative previste da leggi e regolamenti (genericamente e specificamente indicate). Deve pertanto ritenersi che, in base a questo criterio posto dal legislatore, le categorie di attivit qualificate, in astratto, come legittimo impedimento del Presidente del Consiglio dei ministri sono solo quelle coessenziali alle funzioni di Governo, che siano previste da leggi o regolamenti (e in particolare dalle fonti normative espressamente citate nella disposizione censurata), nonch quelle rispetto ad esse preparatorie (cio specificamente preordinate) e consequenziali (cio immediatamente successive e strettamente conseguenti). Simile criterio legislativo compatibile con i tratti essenziali del regime processuale comune. La disposizione censurata non consente al Presidente del Consiglio dei ministri di addurre come impedimento il generico dovere di esercitare le attribuzioni da essa previste, CONTENZIOSO NAZIONALE 125 occorrendo sempre, secondo la logica dellart. 420-ter cod. proc. pen., che limputato specifichi la natura dellimpedimento, adducendo un preciso e puntuale impegno riconducibile alle ipotesi indicate. Ci naturalmente vale anche per le attivit preparatorie e consequenziali, a proposito delle quali deve ritenersi che lonere di specificazione, sempre gravante sullimputato, si riferisca sia allimpedimento principale (lesercizio di attribuzione coessenziale), sia a quello accessorio (lattivit preparatoria o consequenziale). In altri termini, il Presidente del Consiglio dei ministri dovr indicare un preciso e puntuale impegno, che abbia carattere preparatorio o consequenziale rispetto ad altro preciso e puntuale impegno, questultimo riconducibile ad una attribuzione coessenziale alla funzione di governo prevista dallordinamento. N pu ritenersi che il criterio posto dal legislatore sia irragionevole o sproporzionato, dal momento che esso ancorato alla elaborazione giurisprudenziale e non copre lintera attivit del titolare della carica, ma solo le attribuzioni che possano essere qualificate in termini di coessenzialit rispetto alle funzioni di governo. Tale criterio legislativo, infine, rispetto alla disciplina gi ricavabile dallart. 420-ter cod. proc. pen., ha un effetto di chiarificazione della portata dellistituto processuale comune, nelle ipotesi in cui esso debba trovare applicazione in riferimento ad impedimenti consistenti nellesercizio di funzioni di governo. In termini negativi, il giudice non riconoscer come impedimenti legittimi, in applicazione del criterio legislativo, impegni politici non qualificati, cio non riconducibili ad attribuzioni coessenziali alla funzione di governo, pur previste da leggi o regolamenti. In termini positivi, ove venga addotto un impedimento riconducibile a tale tipologia di attribuzioni, il giudice non potr disconoscerne il rilievo in astratto, fermo restando il suo potere, non sottrattogli dalla disposizione in esame, di valutare in concreto lo specifico impedimento addotto. Deve dunque concludersi che non sono fondate le questioni di legittimit costituzionale sollevate, per la parte in cui si riferiscono allart. 1, comma 1, della legge n. 51 del 2010, in quanto tale disposizione venga interpretata in conformit con lart. 420-ter, comma 1, cod. proc. pen. 5.2. Lart. 1, comma 3, della legge n. 51 del 2010 dispone: Il giudice, su richiesta di parte, quando ricorrono le ipotesi di cui ai commi precedenti rinvia il processo ad altra udienza. Per la parte in cui si riferiscono a tale disposizione, le questioni sollevate dai giudici a quibus sono fondate, nei termini di seguito precisati. Lart. 1, comma 3, della legge censurata regola i poteri del giudice in ordine allaccertamento del legittimo impedimento, ai fini del conseguente rinvio delludienza, in relazione alla quale tale impedimento dedotto. Occorre stabilire se la disciplina dettata da tale disposizione sia conforme alla corrispondente regolamentazione contenuta nellart. 420-ter, comma 1, cod. proc. pen., secondo la quale il giudice rinvia ludienza quando risulta che lassenza dovuta ad assoluta impossibilit di comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento. La norma censurata deve considerarsi legittima, in altri termini, a condizione che essa non sottragga al giudice, in relazione alle specifiche ipotesi di impedimento del titolare di funzioni di governo, i poteri di valutazione dellimpedimento addotto, che al giudice stesso sono riconosciuti in base al comune regime processuale. LAvvocatura generale dello Stato e la parte privata hanno sostenuto che la disciplina censurata non abbia privato il giudice del potere di valutazione dellimpedimento, previsto dallart. 420-ter, comma 1, cod. proc. pen. Il giudice conserverebbe sia il potere di valutare 126 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 la prova della sussistenza in fatto dellimpedimento, sia quello di accertare che tale impedimento rientri fra le ipotesi previste dalle disposizioni di cui ai commi 1 e 2 della legge censurata. Ulteriori poteri di controllo risulterebbero, invece, preclusi al giudice, indipendentemente dalla legge n. 51 del 2010. Sarebbe infatti il principio della separazione dei poteri ad impedire che il giudice possa sindacare il merito dellattivit di governo, valutando le ragioni politiche sottese allesercizio delle attivit del Presidente del Consiglio dei ministri, carica cui sarebbe oltretutto da riconoscere una nuova fisionomia in quanto ricoperta da persona che ha avuto direttamente la fiducia e linvestitura dal popolo. Tali affermazioni ricostruiscono correttamente gli effetti della disposizione di cui allart. 1, comma 3, della legge n. 51 del 2010, ma non altrettanto correttamente colgono il significato e la portata dellart. 420-ter, comma 1, cod. proc. pen., della posizione costituzionale del Presidente del Consiglio dei ministri e del principio della separazione dei poteri. Va osservato che lart. 1, comma 3, della legge n. 51 del 2010, subordina il rinvio delludienza, da parte del giudice, esclusivamente ad un duplice riscontro. Nel verificare che ricorr[ a]no le ipotesi di cui ai precedenti commi, il giudice dovrebbe infatti limitarsi ad accertare, da un lato, che limpegno dedotto dallimputato come impedimento sussista realmente in punto di fatto, e, dallaltro lato, che esso sia riconducibile ad attribuzioni coessenziali alle funzioni di governo previste da leggi o regolamenti (o abbia carattere preparatorio o consequenziale rispetto ad esse). Ma tali accertamenti non esauriscono lo spettro dei poteri di valutazione dellimpedimento, che sono esercitati dal giudice in base alla disciplina generale di cui allart. 420-ter, comma 1, cod. proc. pen. Secondo tale disciplina, infatti, spetta al giudice, ai fini del rinvio delludienza, valutare in concreto non solo la sussistenza in fatto dellimpedimento, ma anche il carattere assoluto e attuale dello stesso. Ci implica in particolare, con riferimento alle ipotesi in esame, il potere del giudice di valutare, caso per caso, se lo specifico impegno addotto dal Presidente del Consiglio dei ministri, pur quando riconducibile in astratto ad attribuzioni coessenziali alle funzioni di governo ai sensi della legge censurata, dia in concreto luogo ad impossibilit assoluta (anche alla luce del necessario bilanciamento con linteresse costituzionalmente rilevante a celebrare il processo) di comparire in giudizio, in quanto oggettivamente indifferibile e necessariamente concomitante con ludienza di cui chiesto il rinvio. Tale potere di apprezzamento in concreto dellimpedimento, che elemento essenziale della disciplina comune del legittimo impedimento, non per previsto dalla disposizione censurata, n esso ricavabile in via interpretativa, atteso che la norma in questione non richiama espressamente lart. 420-ter cod. proc. pen. e detta una disciplina che, sul punto, sostituisce e non integra quella contenuta nella predetta norma del codice di rito. La mancanza di tale elemento, pertanto, attribuisce allart. 1, comma 3, della legge n. 51 del 2010 un carattere derogatorio rispetto al diritto comune. Per i motivi gi chiariti, ci si traduce in un vizio di costituzionalit di tale disposizione, che deve essere pertanto dichiarata illegittima nella parte in cui non prevede siffatto potere di valutazione in concreto dellimpedimento. N pu ritenersi che lesercizio di un simile potere, nelle ipotesi in cui limpedimento consista nello svolgimento di funzioni di governo, sia di per s lesivo delle prerogative del Presidente del Consiglio dei ministri, o si ponga in contrasto con il principio della separazione dei poteri. Va detto, innanzitutto, che la disciplina elettorale, in base alla quale i cittadini indicano il capo della forza politica o il capo della coalizione, non modifica lattribuzione al Presidente della Repubblica del potere di nomina del Presidente del Consiglio dei ministri, operata dallart. 92, secondo comma, Cost., n la posizione costituzionale di questultimo. A prescindere da ci, quando il giudice valuta in concreto, in base alle ordinarie regole del pro- CONTENZIOSO NAZIONALE 127 cesso, limpedimento consistente nellesercizio di funzioni governative, si mantiene entro i confini della funzione giurisdizionale e non esercita un sindacato di merito sullattivit del potere esecutivo, n, pi in generale, invade la sfera di competenza di altro potere dello Stato. vero, peraltro, che in simili ipotesi lesercizio della funzione giurisdizionale ha una incidenza indiretta sullattivit del titolare della carica governativa, incidenza che obbligo del giudice ridurre al minimo possibile, tenendo conto del dovere dellimputato di assolvere le funzioni pubbliche assegnategli. Il principio della separazione dei poteri non , dunque, violato dalla previsione del potere del giudice di valutare in concreto limpedimento, ma, eventualmente, soltanto dal suo cattivo esercizio, che deve rispondere al canone della leale collaborazione. Questultimo principio ha carattere bidirezionale, nel senso che esso riguarda anche il Presidente del Consiglio dei ministri, la programmazione dei cui impegni, in quanto essi si traducano in altrettante cause di legittimo impedimento, suscettibile a sua volta di incidere sullo svolgimento della funzione giurisdizionale. Trova pertanto applicazione, anche nel caso del titolare di funzione governativa, quanto questa Corte ha affermato con riferimento al legittimo impedimento di membri del Parlamento, tanto pi che, a differenza di questi ultimi, il Presidente del Consiglio dei ministri ha il potere di programmare una quota significativa degli impegni che possono costituire legittimo impedimento (sentenze n. 451 del 2005, n. 284 del 2004, n. 263 del 2003, n. 225 del 2001). La leale collaborazione deve esplicarsi mediante soluzioni procedimentali, ispirate al coordinamento dei rispettivi calendari. Per un verso, il giudice deve definire il calendario delle udienze tenendo conto degli impegni del Presidente del Consiglio dei ministri riconducibili ad attribuzioni coessenziali alla funzione di governo e in concreto assolutamente indifferibili. Per altro verso, il Presidente del Consiglio dei ministri deve programmare i propri impegni, tenendo conto, nel rispetto della funzione giurisdizionale, dellinteresse alla speditezza del processo che lo riguarda e riservando a tale scopo spazio adeguato nella propria agenda. Deve, dunque, concludersi che le questioni di legittimit costituzionale sollevate dai giudici rimettenti, in quanto si riferiscono allart. 1, comma 3, della legge n. 51 del 2010, sono fondate, nella parte in cui tale disposizione non prevede il potere del giudice di valutare in concreto, a norma dellart. 420-ter, comma 1, cod. proc. pen., limpedimento addotto. 5.3. Lart. 1, comma 4, della legge n. 51 del 2010 dispone: Ove la Presidenza del Consiglio dei Ministri attesti che l'impedimento continuativo e correlato allo svolgimento delle funzioni di cui alla presente legge, il giudice rinvia il processo a udienza successiva al periodo indicato, che non pu essere superiore a sei mesi. Per la parte in cui si riferiscono a tale disposizione, le questioni sollevate dai giudici a quibus sono fondate. La norma in esame, a differenza di quelle di cui ai commi 1 e 2 del medesimo art. 1, non opera un diretto rinvio allart. 420-ter cod. proc. pen. e introduce nellordinamento una peculiare figura di legittimo impedimento consistente nellesercizio di funzioni di governo, connotata dalla continuativit dellimpedimento stesso e dalla attestazione di esso da parte della Presidenza del Consiglio dei ministri. Tali elementi rappresentano tuttavia una alterazione, e non gi una integrazione o applicazione, della disciplina dellistituto generale di cui allart. 420-ter cod. proc. pen. Si tratta, pertanto, di una disposizione derogatoria del regime processuale comune, che introduce una prerogativa in favore del titolare della carica, in contrasto con gli artt. 3 e 138 Cost. In primo luogo, lart. 1, comma 4, della legge n. 51 del 2010, diversamente da quanto disposto dallart. 420-ter, comma 1, cod. proc. pen., prevede che limputato possa dedurre, 128 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 anzich un impedimento puntuale e riferito ad una specifica udienza, un impedimento continuativo riferito a tutte le udienze eventualmente programmate o programmabili entro un determinato intervallo di tempo, che non pu essere superiore a sei mesi (ma la norma non vieta che alla scadenza possa essere rinnovato lattestato di impedimento continuativo). In tal modo, la disposizione in esame esclude, almeno parzialmente, lonere di specificazione dellimpedimento che, ai sensi dellart. 420-ter, comma 1, cod. proc. pen., grava sullimputato. Essa consente infatti a questultimo di dedurre come impedimento il generico dovere di svolgere funzioni di governo in un determinato periodo di tempo. Ci rende impossibile la verifica del giudice circa la sussistenza e consistenza di uno specifico e preciso impedimento. N pu ritenersi che lattestazione della Presidenza del Consiglio dei ministri debba specificare, giorno per giorno, tutti gli impegni che rendono assolutamente impossibile la presenza in udienza dellimputato nel corso del periodo di tempo considerato. Una simile interpretazione della disposizione renderebbe inutile la previsione di una apposita figura di impedimento continuativo e, del resto, non stata seguita, in sede applicativa, dalla Presidenza del Consiglio, le cui attestazioni, nelle fattispecie oggetto dei giudizi principali, hanno indicato succintamente e solo in via esemplificativa alcuni degli impegni del Presidente del Consiglio dei ministri compresi in un periodo di tempo considerato. In secondo luogo, va osservato che il tenore testuale della disposizione in esame ricollega leffetto del rinvio del processo, per la durata dellimpedimento continuativo, alla attestazione della Presidenza del Consiglio. previsto, infatti, che il giudice rinvia il processo non gi quando risulti, ma ove la Presidenza del Consiglio dei Ministri attesti che limpedimento continuativo e correlato allo svolgimento delle funzioni di governo. In tal modo, il rinvio costituisce un effetto automatico dellattestazione, venendo meno il filtro della valutazione del giudice e, pi in generale, di una valutazione indipendente e imparziale, dal momento che lattestazione risulta affidata ad una struttura organizzativa di cui si avvale, in ragione della propria carica, lo stesso soggetto che deduce limpedimento in questione. Per tutte queste ragioni, lart. 1, comma 4, della legge n. 51 del 2010 produce effetti equivalenti a quelli di una temporanea sospensione del processo ricollegata al fatto della titolarit della carica, cio di una prerogativa disposta in favore del titolare. Si tratta, pertanto, di una previsione normativa costituzionalmente illegittima. PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE riuniti i giudizi, dichiara lillegittimit costituzionale dellart. 1, comma 4, della legge 7 aprile 2010, n. 51 (Disposizioni in materia di impedimento a comparire in udienza); dichiara lillegittimit costituzionale dellart. 1, comma 3, della legge n. 51 del 2010, nella parte in cui non prevede che il giudice valuti in concreto, a norma dellart. 420-ter, comma 1, cod. proc. pen., limpedimento addotto; dichiara inammissibili le questioni di legittimit costituzionale relative allart. 1, commi 2, 5 e 6, e allart. 2 della legge n. 51 del 2010, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 138 della Costituzione, dal Tribunale di Milano, sezione X penale, e dal Giudice per le indagini preliminari presso il medesimo Tribunale, con le ordinanze indicate in epigrafe; dichiara non fondate le questioni di legittimit costituzionale relative allart. 1, comma 1, della legge n. 51 del 2010, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 138 della Costituzione, CONTENZIOSO NAZIONALE 129 dal Tribunale di Milano, sezione I penale e sezione X penale, e dal Giudice per le indagini preliminari presso il medesimo Tribunale, con le ordinanze indicate in epigrafe, in quanto tale disposizione venga interpretata in conformit con lart. 420-ter, comma 1, cod. proc. pen. Cos deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 gennaio 2011. F.to: Ugo DE SIERVO, Presidente Sabino CASSESE, Redattore Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 25 gennaio 2011. ... sullammissibilit del referendum popolare SENTENZA N. 29 ANNO 2011 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: - Ugo DE SIERVO Presidente - Paolo MADDALENA Giudice - Alfio FINOCCHIARO " - Alfonso QUARANTA " - Franco GALLO " - Luigi MAZZELLA " - Gaetano SILVESTRI " - Sabino CASSESE " - Giuseppe TESAURO " - Paolo Maria NAPOLITANO " - Giuseppe FRIGO " - Alessandro CRISCUOLO " - Paolo GROSSI " - Giorgio LATTANZI " ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di ammissibilit, ai sensi dellarticolo 2, primo comma, della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, della richiesta di referendum popolare per labrogazione della legge 7 aprile 2010, n. 51, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 81 dell8 aprile 2010, recante Disposizioni in materia di impedimento a comparire in udienza, giudizio iscritto al n. 154 del registro referendum. Vista lordinanza del 7 dicembre 2010 con la quale lUfficio centrale per il referendum 130 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 presso la Corte di cassazione ha dichiarato conforme a legge la richiesta; udito nella camera di consiglio del 12 gennaio 2011 il Giudice relatore Sabino Cassese; uditi lavvocato Alessandro Pace per i presentatori Di Pietro Antonio, De Filio Gianluca, Maruccio Vincenzo e Parenti Benedetta e lavvocato dello Stato Maurizio Borgo per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza pronunciata il 6 dicembre 2010, lUfficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione, ai sensi dellart. 12 della legge 25 maggio 1970, n. 352 (Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo), e successive modificazioni, ha dichiarato conforme alle disposizioni di legge la richiesta di referendum popolare, promossa da diciotto cittadini italiani, sul seguente quesito (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 14 aprile 2010, serie generale, n. 86): Volete voi che sia abrogata la legge 7 aprile 2010, n. 51, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 81 dell8 aprile 2010, recante Disposizioni in materia di impedimento a comparire in udienza?. 2. LUfficio centrale ha attribuito al quesito il n. 6 e il seguente titolo: Abrogazione della legge 7 aprile 2010, n. 51 in materia di legittimo impedimento del Presidente del Consiglio dei Ministri e dei Ministri a comparire in udienza penale. 3. Il Presidente di questa Corte, ricevuta comunicazione dellordinanza, ha fissato, per la conseguente deliberazione, la camera di consiglio del 12 gennaio 2011, dandone regolare comunicazione ai sensi dellart. 33 della legge n. 352 del 1970. 4. In data 3 gennaio 2011, i presentatori della richiesta di referendum hanno depositato una memoria, chiedendo che la richiesta stessa venga dichiarata ammissibile. Ad avviso dei promotori, tale richiesta non urta contro alcuno dei divieti previsti dallart. 75 Cost., nonch di quelli enucleati sulla base di esso dalla giurisprudenza costituzionale. 5. In data 7 gennaio 2011, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dallAvvocatura generale dello Stato, ha depositato memoria, chiedendo che questa Corte dichiari inammissibile la richiesta referendaria. Ad avviso della difesa statale, la richiesta sarebbe inammissibile, in particolare, in quanto labrogazione della legge che ne forma oggetto farebbe venir meno quel livello minimo di disciplina che, secondo lautorevole avviso [della Corte Costituzionale] deve sempre essere assicurato allorch la materia, oggetto di formazione, coinvolga interessi costituzionalmente rilevanti. Inoltre, ad avviso dellAvvocatura generale dello Stato, inammissibile un quesito referendario avente ad oggetto labrogazione di una legge, la cui disciplina risulta, comunque, destinata a perdere efficacia quasi contemporaneamente alla conclusione del procedimento referendario. Considerato in diritto 1. Questa Corte chiamata a pronunciarsi sulla ammissibilit della richiesta di referendum abrogativo della legge 7 aprile 2010, n. 51, recante Disposizioni in materia di impedimento a comparire in udienza. La legge n. 51 del 2010 disciplina il legittimo impedimento a comparire in udienza, ai sensi dellart. 420-ter cod. proc. pen., del Presidente del Consiglio dei ministri (art. 1, comma 1) e dei ministri (art. 1, comma 2), in qualit di imputati. In particolare, in base allart. 1, comma 3, di tale legge, il giudice, su richiesta di parte, rinvia il processo ad altra udienza quando ricorrono le ipotesi di impedimento a comparire individuate dal comma 1 (per il CONTENZIOSO NAZIONALE 131 Presidente del Consiglio) e dal comma 2 (per i ministri) della medesima legge. In base a tali disposizioni, costituisce legittimo impedimento il concomitante esercizio di una o pi delle attribuzioni previste dalle leggi o dai regolamenti e in particolare dagli articoli 5, 6 e 12 della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, dagli articoli 2, 3 e 4 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303, e successive modificazioni, e dal regolamento interno del Consiglio dei ministri, di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 10 novembre 1993, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 268 del 15 novembre 1993, e successive modificazioni, delle relative attivit preparatorie e consequenziali, nonch di ogni attivit comunque coessenziale alle funzioni di Governo. Inoltre, lart. 1, comma 4, della medesima legge, dispone che ove la Presidenza del Consiglio dei ministri attesti che limpedimento continuativo e correlato allo svolgimento delle funzioni di cui alla presente legge, il giudice rinvia il processo a udienza successiva al periodo indicato, che non pu essere superiore a sei mesi. Lart. 1, comma 5, della legge n. 51 del 2010 chiarisce che il corso della prescrizione rimane sospeso per lintera durata del rinvio. Tale disciplina si applica anche ai processi penali in corso, in ogni fase, stato o grado, alla data di entrata in vigore della medesima legge (art. 1, comma 6), e fino alla data di entrata in vigore della legge costituzionale recante la disciplina organica delle prerogative del Presidente del Consiglio dei Ministri e dei Ministri, nonch della disciplina attuativa delle modalit di partecipazione degli stessi ai processi penali e, comunque, non oltre diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, salvi i casi previsti dallarticolo 96 della Costituzione, al fine di consentire al Presidente del Consiglio dei ministri e ai ministri il sereno svolgimento delle funzioni loro attribuite dalla Costituzione e dalla legge (art. 2). 2. La richiesta referendaria dichiarata conforme a legge dallUfficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di cassazione ammissibile. 2.1. Loggetto del quesito referendario rappresentato da disposizioni legislative che non rientrano nelle categorie per le quali lart. 75 Cost. preclude il ricorso al referendum (leggi in materia tributaria e di bilancio, di amnistia ed indulto, di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali), n possono considerarsi ad esse collegate. La legge n. 51 del 2010, inoltre, non una legge costituzionale o di revisione costituzionale, n una legge a contenuto costituzionalmente vincolato, n, infine, costituzionalmente necessaria. 2.2. La formulazione del quesito presenta i requisiti di omogeneit, chiarezza ed univocit individuati dalla giurisprudenza costituzionale in materia di ammissibilit del referendum. La domanda referendaria risponde ad una matrice razionalmente unitaria: lelettore posto dinanzi allalternativa di eliminare, ovvero di conservare, una disciplina differenziata del legittimo impedimento a comparire in udienza, applicabile ai soli titolari di cariche governative. Il quesito poi chiaro e univoco. Esso investe unintera legge, che si compone di due soli articoli, e rivela chiaramente lintento dei promotori di ripristinare lapplicabilit ai titolari di cariche governative della disciplina comune di cui allart. 420-ter del codice di procedura penale, senza le integrazioni e specificazioni introdotte dalla disciplina che forma oggetto della richiesta referendaria. PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara ammissibile la richiesta di referendum popolare per labrogazione della legge 7 aprile 2010, n. 51 (Disposizioni in materia di impedimento a comparire in udienza), dichia- 132 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 rata legittima dallUfficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di cassazione con ordinanza del 6 dicembre 2010. Cos deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 gennaio 2011. F.to: Ugo DE SIERVO, Presidente Sabino CASSESE, Redattore Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 26 gennaio 2011. CONTENZIOSO NAZIONALE 133 Incarichi dirigenziali a tempo determinato (* ) (Corte costituzionale, sentenza 12 novembre 2010, n. 324) Premessa Con la recentissima sentenza del 12 novembre 2010, n. 324, la Consulta ha dichiarato non fondate le questioni di legittimit costituzionale - sollevate in riferimento agli artt. 117, commi 2 e 3, e 119 della Costituzione - dellart. 40, comma 1, lett. f), d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, il quale prevede lapplicabilit della disciplina dettata dallart. 19, commi 6 e 6-bis, d.lgs. n. 165/2001(t.u.p.i.) in tema di incarichi dirigenziali conferiti a soggetti esterni allamministrazione nella parte in cui si applica anche alle amministrazioni di cui allart. 1, comma 2, d.lgs. n. 165 del 2001 e, dunque, anche alle regioni e agli enti locali. Al fine di comprendere la portata della sentenza della Corte costituzionale 12 novembre 2010, n. 324 e, in particolare, le sue possibili implicazioni sui provvedimenti di conferimento di funzioni dirigenziali a tempo determinato a soggetti esterni adottati nei limiti di cui allart. 10, l. reg. n. 31/2002, occorre procedere: 1.- preliminarmente, ad una ricognizione, sul piano metodologico, del riparto di potest legislativa tra Stato e regioni in materia di pubblico impiego regionale (con particolare riguardo agli incarichi dirigenziali c.d. fiduciari), prendendo le mosse dallinterpretazione del testo dellart. 117 Cost.; 2.- in seguito, ad analizzare i meccanismi di nomina dei dirigenti esterni alla luce della recente riforma del lavoro pubblico (d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150); 3.- infine, a vagliare la portata innovativa della pronuncia della Corte Costituzionale del 12 novembre 2010, n. 324 e le possibili conseguenze sulle fonti normative regionali in materia di incarichi dirigenziali a tempo determinato. Ci posto, si rassegna di seguito il parere in oggetto. 1.- Incarichi dirigenziali a tempo determinato. Riparto di potest legislativa tra Stato e Regioni. Analisi in chiave evolutiva della tematica Per comprendere la portata innovativa della recente pronuncia della Corte costituzionale n. 324/2010, utile, in limine, ripercorrere brevemente liter (*) Parere reso dal Comitato giuridico regionale alla Presidenza della Regione Calabria in ordine alla portata della sentenza in rassegna. Nello specifico sulle possibili implicazioni ai provvedimenti di conferimento di funzioni dirigenziali a tempo determinato a soggetti esterni adottati nei limiti di cui allart. 10, comma 4, l. reg. n. 31/2002. 134 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 evolutivo relativo al riparto di potest legislativa tra Stato e regioni in materia di pubblico impiego regionale. Lassetto delle competenze legislative in materia di impiego pubblico regionale ha subto significative modifiche a partire dalla entrata in vigore della l. cost. n. 3/2001, anche in seguito al noto processo legislativo di privatizzazione del pubblico impiego. Prima che lart. 117 Cost. venisse riformato, alle regioni a statuto ordinario era attribuita potest legislativa concorrente con lo Stato nella materia dellordinamento degli uffici e degli enti amministrativi dipendenti dalla regione, da sempre considerata comprensiva della materia dellordinamento del personale regionale, che includeva, a sua volta, la disciplina del rapporto dimpiego (1). Pertanto, in materia, allo Stato competeva la individuazione dei principi fondamentali e alla regione lemanazione delle norme di dettaglio, con lulteriore limite del rispetto dellinteresse nazionale, stante la connessione tra organizzazione pubblica e assetto del personale che ha caratterizzato limpiego pubblico fino alla sua privatizzazione. Limpiego pubblico regionale, in base allattuale formulazione dellart. 117 Cost., va ricondotto, sulla scorta dei criteri di riparto delineati dalla giurisprudenza costituzionale (2): - in parte, allordinamento civile e, quindi, alla potest legislativa esclusiva dello Stato (art. 117, comma 2, lett. l), Cost.) per i profili privatizzati del rapporto, in quanto appunto appartenenti al diritto civile, cos che la intervenuta privatizzazione e contrattualizzazione del rapporto di lavoro pubblico vincola anche le Regioni (3); - ed, in parte, per i rimanenti profili pubblicistico-organizzativi del rapporto - sottratti dal legislatore statale alla privatizzazione, e di conseguenza ancora rientranti nel diritto pubblico - allordinamento e organizzazione amministrativa regionale (che comprensiva dellincidenza della stessa sulla disciplina del relativo personale(4)) e, quindi, alla potest legislativa residuale della regione. Ci, in applicazione della clausola di residualit del comma 4 dellart. 117 Cost., non ritrovandosi tale ultima materia negli elenchi dei commi 2 e 3 dello stesso articolo ed, anzi, potendosi rinvenire, nella formulazione dellart. 117, lintenzione del legislatore costituzionale di escludere dalla competenza statale lordinamento e lorganizzazione amministrativa (1) v. Corte cost., 10 luglio 1968, n. 93; id. 3 marzo 1972, n. 40; id. 14 luglio 1972, n. 147; id. 30 gennaio 1980, n. 10; id. 29 settembre 1983, n. 277; id. 29 settembre 1983, n. 278; id. 8 giugno 1987, n. 217; id. 27 ottobre 1988, n. 1001; id. 30 luglio 1993, n. 359. (2) v. Corte cost., 13 gennaio 2004, n. 2, in Giurisprudenza Costituzionale, 2004, p. 9, con nota di F. GHERA, Il lavoro alle dipendenze delle Regioni alla luce del nuovo art. 117 Cost., pag. 44; Corte cost. 15 novembre 2004, n. 345; id. 14 dicembre 2004, n. 380; id. 16 giugno 2006, n. 233. (3) v. Corte cost. n. 3/2004 cit. (4) v. Corte cost. n. 233/2006 cit. CONTENZIOSO NAZIONALE 135 delle regioni, in quanto appunto nel comma 2 inserita la materia dellordinamento ed organizzazione amministrativa soltanto dello Stato e degli enti pubblici nazionali (lett. g). Il legislatore statale legittimato, quindi, dal nuovo art. 117 Cost., ad effettuare la ripartizione tra profili privatizzati e profili non privatizzati del rapporto di lavoro pubblico per tutte le pubbliche amministrazioni, e, dunque, anche per le regioni a statuto speciale (oltre che per quelle ordinarie), trattandosi pur sempre di esercizio della propria potest esclusiva in materia di ordinamento civile. Ci, in quanto le norme e i principi fissati dalla legge statale in materia, nellintero settore del pubblico impiego, costituiscono tipici limiti di diritto privato, fondati sullesigenza, connessa al precetto costituzionale di eguaglianza, di garantire luniformit nel territorio nazionale delle regole fondamentali di diritto che disciplinano i rapporti fra privati e, come tali, si impongono anche alle regioni a statuto speciale. Di conseguenza, la legge statale, in tutti i casi in cui interviene a ricondurre al diritto privato gli istituti del rapporto di impiego, costituisce un limite alla competenza regionale nella materia dellorganizzazione amministrativa delle regioni e degli enti pubblici regionali e dello stato giuridico ed economico del relativo personale, tanto delle regioni a statuto ordinario, quanto di quelle a statuto speciale. Pertanto, solo il legislatore statale sarebbe legittimato a ricondurre nuovamente, in tutto o in parte, il pubblico impiego nel diritto pubblico. Le regioni, dunque, non solo non possono disciplinare i profili privatizzati del rapporto, ma neppure mutarne il regime giuridico riportandoli nel diritto pubblico, n tantomeno cambiare, in senso pubblicistico, la natura degli atti di gestione del rapporto di lavoro relativi a tali profili, essendo appunto questa necessariamente privatistica come conseguenza della riconduzione del profilo allinterno della sfera del diritto privato. Prima di esaminare le innovazioni innervate dal d.lgs. n. 150/2009, in cui sinnesta la sentenza della Consulta n. 324/2010, occorre segnalare il precedente riparto di competenze delineato dal legislatore statale. Il legislatore statale ha ricondotto al diritto privato e alla competenza della contrattazione collettiva tutte le materie relative al rapporto di lavoro e alle relazioni sindacali (art. 2, comma 2 e 3, e art. 40, comma 1, d.lgs. n. 165/2001; v. anche art. 11, comma 4, lett. a), l. n. 59/1997); restano escluse le c.d. sette materie(5) elencate nellart. 2, comma 1, lett. c), della legge delega n. 421/1992, vale a dire: (5) Corte cost. 14 dicembre 2004, n. 380; id. 24 gennaio 2005, n. 26; id. 11 aprile 2008, n. 95; id. 12 aprile 2005, n. 147; id. 23 febbraio 2007, n. 50; id. 15 novembre 2004, n. 345, nelle quali i giudici delle leggi hanno ricondotto allordinamento e organizzazione amministrativa della pubblica amministrazione (soltanto) istituti del rapporto di lavoro pubblico ricompresi appunto nellelenco delle sette materie della l. n. 421/1992. 136 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 - le responsabilit giuridiche attinenti ai singoli operatori nellespletamento di procedure amministrative; - gli organi, gli uffici, i modi di conferimento della titolarit dei medesimi; - i principi fondamentali di organizzazione degli uffici; - i procedimenti di selezione per laccesso al lavoro e di avviamento al lavoro; - i ruoli e le dotazioni organiche nonch la loro consistenza complessiva; - la garanzia della libert dinsegnamento e lautonomia professionale nello svolgimento dellattivit didattica, scientifica e di ricerca; - la disciplina della responsabilit e delle incompatibilit tra limpiego pubblico ed altre attivit e i casi di divieto di cumulo di impieghi e incarichi pubblici. Ne discende che, in base a tale riparto costituzionale di competenze legislative, le regioni, sia quelle a statuto ordinario sia quelle a statuto speciale, possono esercitare la loro potest legislativa (residuale, in materia di ordinamento e organizzazione amministrativa) solo per i menzionati sette aspetti del rapporto di lavoro pubblico sottratti dal legislatore statale alla privatizzazione ed elencati dalla l. n. 421/1992. Sicch per le citate materie la disciplina di cui al d.lgs. n. 165/2001 (t.u.p.i.) deve ritenersi riferita esclusivamente allimpiego statale e, dunque, non vincola le regioni, neppure limitatamente ai principi fondamentali, in quanto su questi la potest legislativa regionale piena. Ovviamente, deve ritenersi applicabile anche al pubblico impiego regionale la disciplina degli altri profili del rapporto di lavoro pubblico, dettata in via generale dallo stesso d.lgs. n. 165/2001 per tutte le amministrazioni pubbliche, in quanto appunto oggetto di privatizzazione e dunque rientrante nellordinamento civile di competenza esclusiva statale. Per quanto riguarda la dirigenza regionale va evidenziato che, secondo la disciplina contenuta nel d.lgs. n. 165/2001, come modificato dalla l. n. 145/2002, pi esteso lambito di competenza legislativa residuale delle regioni, essendo maggiormente numerosi i profili del rapporto di lavoro dirigenziale riconducibili allordinamento e organizzazione amministrativa: si pensi, oltre al reclutamento e ai sistemi di accesso ai ruoli della dirigenza, alle dotazioni organiche e alle incompatibilit, anche alla disciplina del conferimento e della revoca degli incarichi dirigenziali, nonch quella della responsabilit dirigenziale e delle relative misure sanzionatorie. Dal che discende lapplicabilit alla dirigenza regionale della disciplina statale - contenuta, appunto, nel d.lgs. n. 165/2001 - solo in relazione a quei circoscritti aspetti privatizzati del rapporto, dovendosi ritenere, viceversa, per tutti i rimanenti profili (in quanto non privatizzati), inapplicabile alle regioni la regolamentazione del d.lgs. n. 165/2001, che vincola, dunque, esclusivamente la dirigenza dello Stato (6). CONTENZIOSO NAZIONALE 137 La Corte costituzionale (7) ha affermato, prima della recente pronuncia del 2010 qui in esame, che in materia di conferimento di incarichi dirigenziali, anche a carattere fiduciario (c.d. spoil system), le regioni non legiferano nella materia dellordinamento civile, poich subiecta materia rientra nellambito dellorganizzazione amministrativa regionale. In realt, sul punto - per come si vedr a breve - innovativa la recente sentenza n. 324/2010. 2.- Sui meccanismi di nomina dirigenziale c.d. fiduciaria da parte delle amministrazioni regionali. Limiti ed analisi delle innovazioni introdotte in materia dalla c.d. riforma Brunetta 2.1.- Come anticipato, la riforma del Titolo V della Costituzione con l. cost. n. 3/2001 ha consentito alle regioni, sulla base della nuova attribuzione della competenza legislativa residuale in materia di ordinamento e organizzazione amministrativa sub-statale, per come sancito dal combinato disposto dei commi 2, 3 e 4 dellart. 117 Cost., di disciplinare il settore della dirigenza pubblica regionale. Il legislatore regionale ha cos introdotto meccanismi di spoil system, facendo seguito, da un punto di vista strettamente temporale, alla legislazione statale e, pi specificamente, alla l. n. 145/2002 (la c.d. legge Frattini). Le regioni, attraverso la propria ordinaria attivit legislativa, iniziano a darsi unautonoma disciplina della propria dirigenza, intervenendo, in vario modo, sul conferimento, sulla revoca ed, indirettamente, sulla durata degli incarichi dirigenziali. In tale prospettiva si inserisce la positivizzazione, in varia forma, di meccanismi di spoil system regionale, ovvero la previsione di particolari meccanismi di nomina e revoca dei dirigenti che presuppongano un legame fiduciario tra questi ultimi e la Giunta e che, quindi, vincolano lesercizio e la durata dellincarico dirigenziale alla permanenza in carica e/o alla volont della Giunta stessa. Il rapporto tra dirigenti pubblici ed organi di decisione politica, cos come prefigurato dal sistema dello spoil system, sembra assumere una problematicit ancora pi articolata, oltre che una valenza del tutto speciale, se considerato anche alla luce del pi ampio processo di assimilazione dei modelli di organizzazione e di gestione delle attivit pubbliche al paradigma aziendalistico, facendo riferimento, in particolare, allaffermazione dei cinque fattori che hanno progressivamente trasformato la tradizionale figura del dirigente pubblico in una sorta di manager, con lobiettivo principale di rendere maggior- (6) v. Corte cost. n. 233/2006 cit. (7) Ibidem. 138 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 mente efficiente lattivit di direzione dellamministrazione, e cio: la privatizzazione del pubblico impiego; la possibilit di assumere dirigenti esterni allorganico della pubblica amministrazione; lintroduzione del principio di temporaneit degli incarichi; la previsione di margini sempre pi ampi di mobilit e flessibilit della dirigenza; la nomina dei dirigenti di livello apicale fondata, pi o meno prevalentemente, sullintuitu personae e sul conseguente rapporto diretto tra committente politico ed i dirigenti stessi. E noto, infatti, come la disciplina introdotta dallo spoil system costituisca, in generale, un ulteriore strumento volto a rendere maggiormente efficiente lesercizio delle attivit pubbliche sia rafforzando la contiguit o il vincolo fiduciario tra politici e tecnici analogamente a quanto avviene nelle aziende private relativamente al rapporto tra azionisti e managers, sia consentendo, nello stesso tempo, alla Giunta regionale di avvalersi di unadeguata rete di dirigenti, ben radicata nellapparato organizzativo del territorio (ovvero distribuita tra i vari enti pubblici, enti pubblici economici, aziende sanitarie ed ospedaliere, fondazioni, agenzie, consorzi, etc.) ed in grado di esercitare, in condizioni di relativa autonomia, tutte le normali funzioni di gestione, avendo riguardo (solo) per lindirizzo politico-amministrativo generale fatto proprio dalla Giunta. Tuttavia, parimenti noto come listituto dello spoil system, al di l delle sue possibili differenti declinazioni, sollevi molteplici problemi in ordine allassetto istituzionale ed ordinamentale ad esso sotteso, sia sotto il profilo dellorganizzazione e dello svolgimento delle attivit pubbliche, sia sotto quello del peso specifico assunto dalle autonomie territoriali nellambito dellordinamento repubblicano. La disciplina degli incarichi dirigenziali, infatti, tanto sotto laspetto delle modalit di conferimento e di revoca delle nomine, quanto sotto quello dellesercizio delle funzioni, deve misurarsi, nel suo complesso, non solo (ex post) con i principi (costituzionalmente vincolanti) di buon andamento e di imparzialit della pubblica amministrazione, ma, in qualche modo, anche (ex ante) con lobiettivo di assicurare una coerenza di fondo tra i progetti e le scelte generali di gestione e la volont politica della maggioranza, senza che ci alteri o infici la peculiare distinzione strutturale, sancita a monte, tra le funzioni degli organi di direzione tecnico-economica e quelle della Giunta regionale. Ed proprio alla luce di ci che appaiono del tutto evidenti i rischi di minare, attraverso la previsione di nomine fiduciarie o, anche solo, vincolate alle sorti dellesecutivo, tanto la continuit e lefficacia dellattivit tecnico-dirigenziale, con conseguente lesione del principio di buon andamento, quanto lautonomia di siffatta attivit rispetto ad altre finalit, diverse dagli obiettivi pi strettamente tecnico-operativi assegnati ai dirigenti (8). Per tale motivo, numerose sono state le pronunce di incostituzionalit di leggi regionali in materia (9). La positivizzazione a livello regionale della disciplina dirigenziale pub- CONTENZIOSO NAZIONALE 139 blica ha innescato diversi profili problematici, soprattutto in relazione alla garanzia costituzionale dei principi di imparzialit e buon andamento della p.a.. Si , infatti, sostenuto (10) che lattrazione di una parte pi o meno consistente della dirigenza pubblica nellambito di influenza diretta e determinante dellesecutivo regionale comporta una profonda alterazione del corretto funzionamento dellattivit della P.A., giacch sembrano essersi profilati, in tal modo, per un verso, un penetrante condizionamento politico dellattivit tecnico-dirigenziale, da cui discenderebbe, inevitabilmente, anche un indebolimento della funzione dei controlli sui risultati e, per laltro, una surrettizia trasformazione della responsabilit dei dirigenti stessi, in una sorta di ambigua responsabilit ibrida e diffusa, ovvero declinata in chiave n propriamente tecnica, n propriamente politica, genericamente condivisa tra la dirigenza stessa ed il governo regionale. Ed proprio alla luce di quanto appena osservato che la Corte Costituzionale (11) ha ritenuto che ogni regione dovesse adottare la propria normativa in materia di dirigenza, ispirandosi alla normativa statale. La Consulta, seguendo un iter logico-giuridico piuttosto articolato, fa notare che lart. 1, d.lgs. n. 165/2001 (t.u.p.i.) recante finalit e ambito di applicazione del testo unico prevede che le disposizioni in esso sancite disciplinano lorganizzazione degli uffici e i rapporti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche in tutti i livelli istituzionali, ivi comprese regioni e province. Peraltro, la direttiva n. 1/2007 emanata dallallora Ministro per le Riforme e le Innovazioni nella p.a., recante misure di trasparenza e legalit in materia di conferimento degli incarichi dirigenziali, di amministrazione e consulenza e in generale di gestione, contiene delle prescrizioni che confermano ed avvalorano la tesi sostenuta dai giudici delle leggi, secondo cui le regioni devono conformarsi, in materia dirigenziale, alla normativa statale. Del resto, lart. 27, d.lgs. n. 165/2001 stabilisce che: le regioni a statuto ordinario, nellesercizio della propria potest statutaria, legislativa e regolamentare, e le altre pubbliche amministrazioni, nellesercizio della propria potest statutaria e regolamentare, adeguano ai princpi dellarticolo 4 e del presente capo i propri ordinamenti, tenendo conto delle relative peculiarit. Ed proprio sulla scorta di uninterpretazione sistematica del cennato art. 27 e dellart. 19, comma 6, d.lgs 165/2001 che la Commissione (8) In dottrina, per queste osservazioni, si rinvia a F. MERLONI, Primi incerti tentativi di arginare lo spoils system nelle Regioni, in www.forumcostituzionale.it. (9) Cfr. M. LUCCA, Spoil system e compatibilit costituzionale, in www.lexitalia.it. (10) D. BOLOGNINO, Nuove ordinanze di rimessione alla Corte Costituzionale: alcune riflessioni sulle estensioni legislative dello spoil system e sulla valutazione del personale con incarico dirigenziale, in Il Lavoro nelle Pubbliche Amministrazioni, 2008, pag. 58 ss. (11) Corte cost., 23 marzo 2007, n. 104. 140 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 Speciale per il pubblico impiego del Consiglio di Stato (12) ha ritenuto che la normativa regionale in materia di conferimento di incarichi dirigenziali a soggetti esterni allente, dovesse adeguarsi ai limiti percentuali previsti dallart. 19, comma 6, d.lgs. n. 165/2001. Su questultimo aspetto si coglie loccasione per evidenziare che la Regione Calabria pare essersi conformata a quanto previsto dall art. 19, comma 6, d.lgs. n. 165/2001, con l. reg. 17 agosto 2005, n. 13, che ha modificato lart. 10, l. reg. 7 agosto 2002, n. 31, in particolare, riscrivendo il comma 4, nonch inserendo il comma 4-bis e 4-ter . La predetta disciplina regionale, pertanto, si pone(va) in linea con lart. 19, comma 6, d.lgs. n. 165/2001 che prevedeva, prima della novella del 2009, il conferimento di incarichi dirigenziali a tempo determinato a soggetti aventi i requisiti indicati nel comma medesimo entro il limite del 10 per cento della dotazione organica dei dirigenti appartenenti alla prima fascia dei ruoli di cui allart. 23 e dell8 per cento della dotazione organica di quelli appartenenti alla seconda fascia, a tempo determinato e che tali incarichi sono conferiti a persone di particolare e comprovata qualificazione professionale, che abbiano svolto attivit in organismi ed enti pubblici o privati ovvero aziende pubbliche o private con esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali, o che abbiano conseguito una particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica desumibile dalla formazione universitaria e post-universitaria, da pubblicazioni scientifiche o da concrete esperienze di lavoro, maturate, anche presso amministrazioni statali, in posizioni funzionali previste per laccesso alla dirigenza, o che provengano dai settori della ricerca, della docenza universitaria, delle magistrature e dei ruoli degli avvocati e procuratori dello Stato. Il trattamento economico pu essere integrato da una indennit commisurata alla specifica qualificazione professionale, tenendo conto della temporaneit del rapporto e delle condizioni di mercato relative alle specifiche competenze professionali. Per il periodo di durata dellincarico, i dipendenti delle pubbliche amministrazioni sono collocati in aspettativa senza assegni, con riconoscimento dellanzianit di servizio. 2.2.- Come accennato, lart. 40, d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150 (c.d. decreto Brunetta) ha modificato, in parte, il comma 6 dellart. 19 d.lgs. n. 165/2001 ed inserito, sempre allart. 19, i commi 6-bis e 6-ter. In particolare, ora previsto dal novellato comma 6 dellart. 19, d.lgs. n. 165/2001 che gli incarichi dirigenziali a tempo determinato sono conferiti, fornendone esplicita motivazione, a persone di particolare e comprovata qualificazione professionale, non rinvenibile nei ruoli dellAmministrazione e (12) Cons. St., Comm. Spec. p.i., parere n. 514/2003. CONTENZIOSO NAZIONALE 141 che abbiano conseguito una particolare specializzazione professionale rinvenibile anche da concrete esperienze di lavoro maturate per almeno un quinquennio. Il comma 6-bis prevede, invece, che il quoziente derivante dallapplicazione della percentuale prevista al comma 6 (10 per cento della dotazione organica dei dirigenti appartenenti alla prima fascia dei ruoli di cui allart. 23 e dell8 per cento della dotazione organica di quelli appartenenti alla seconda fascia), arrotondato allunit inferiore, se il primo decimale inferiore a cinque, o all'unit superiore, se esso uguale o superiore a cinque. Il comma 6-ter prevede, infine, che Il comma 6 ed il comma 6-bis si applicano alle amministrazioni di cui allarticolo 1, comma 2 e, quindi, alle regioni e agli enti locali. Sotto questultimo aspetto (applicazione dei limiti previsti dal comma 6 e 6-bis anche alle regioni ed enti locali) si collocano, appunto, le questioni di legittimit costituzionale avanzate, nei confronti dellart. 40, comma 1, lett. f), d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, dalle Regioni Piemonte, Toscana e Marche, oggetto della pronuncia della Corte Costituzionale del 12 novembre 2010, n. 324 qui in esame. 2.3.- Ancor prima di vagliare la portata innovativa della sentenza n. 324/2010 della Corte Costituzionale, giova analizzare le innovazioni apportate dal legislatore della riforma del 2009, soffermandosi in particolar modo sulla ridefinizione del rapporto di lavoro pubblico tra profili privatizzati e profili non privatizzati, aspetto che costituisce indubbiamente uno dei punti nodali della riforma, attese le ovvie implicazioni in tema di riparto di potest legislativa tra Stato e Regioni in ordine allimpiego regionale. Al riguardo, valore decisivo sembra assumere lart. 2, comma 4, della legge delega n. 15/2009, che conferisce ai decreti legislativi lindividuazione delle disposizioni rientranti nella competenza legislativa esclusiva dello Stato, ai sensi dellart. 117, co. 2, Cost., e quelle contenenti principi generali dellordinamento giuridico, ai quali devono adeguarsi le Regioni (e gli Enti locali) negli ambiti di rispettiva competenza. Tale delega stata realizzata nella parte finale del d.lgs. n. 150/2009, mediante lart. 74 che, nonostante sia lultimo articolo del decreto, assume una certa rilevanza al fine di sciogliere il nodo della distinzione tra profili privatizzati e profili non privatizzati del rapporto di lavoro pubblico regionale. In esso il legislatore ha elencato, da una parte, le disposizioni del decreto emanate nellesercizio della potest legislativa esclusiva statale in materia di ordinamento civile e di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni ai sensi dellart. 117, comma 2, lett. l) ed m), Cost.; e dallaltra, quelle recanti norme di diretta attuazione dellart. 97 Cost. e costituenti principi generali dellordinamento, col conseguente obbligo di adeguamento per le regioni (e per gli enti locali), negli ambiti di rispettiva competenza, che concernono, ovviamente, profili del rap- 142 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 porto non privatizzati, ovvero pubblicistico-organizzativi. Il fatto stesso che il legislatore abbia ritenuto necessario indicare, per questo secondo gruppo di istituti, lesistenza di principi generali dellordinamento e specificarne la vincolativit anche per le regioni, conferma implicitamente e a contrario che, per il resto, le regioni non sono obbligate ad osservarne la disciplina statale. In particolare, viene dal legislatore espressamente qualificata come privatizzata, in quanto ricondotta allordinamento civile, la disciplina dei seguenti aspetti: - le fonti di regolamentazione del rapporto legislazione sul lavoro subordinato nellimpresa, contratto collettivo e contratto individuale individuate dallart. 2, comma 2 e 3, d.lgs. n. 165/2001 (art. 33); - le determinazioni per lorganizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro, inclusi i poteri dirigenziali di gestione delle risorse umane (art. 34); - il documento di programmazione triennale del fabbisogno di personale (art. 35); - la partecipazione sindacale, rimessa ai contratti collettivi nazionali (art. 36); - soggetti, livelli, procedimenti, contenuti, limiti, ecc. della contrattazione collettiva nazionale e integrativa (artt. 54, 64, 65 e 66); - linterpretazione autentica dei contratti collettivi (art. 61); - il trattamento economico (art. 57); - linquadramento e il mutamento di mansioni (art. 62, comma 1); - le sanzioni disciplinari e la responsabilit dei dipendenti pubblici, compresi il procedimento disciplinare, i controlli sulle assenze per malattia, la risoluzione per permanente inidoneit psico-fisica al servizio e lidentificazione del personale a contatto con il pubblico (artt. 68, 69 e 73, comma 1 e 3); Altri aspetti privatizzati del rapporto di lavoro pubblico si ricavano dallart. 40, comma 1, d.lgs. n. 165/2001, come novellato dallart. 54, comma 1, d.lgs. n. 150/2009 (richiamato dallart. 74, comma 1, cit.), essendo questi riservati dalla norma alla competenza della contrattazione collettiva, ossia: - i diritti e gli obblighi direttamente pertinenti al rapporto di lavoro; - le materie relative alle relazioni sindacali; le sanzioni disciplinari; - la valutazione delle prestazioni, anche ai fini della corresponsione del trattamento accessorio; - la mobilit; - le progressioni economiche. Si aggiungono poi le norme recanti livelli essenziali delle prestazioni erogate dalle amministrazioni pubbliche ai sensi dellart. 117, co. 2, lett. m), Cost., e cio: - quelle che enunciano il principio della c.d. trasparenza della perfor- CONTENZIOSO NAZIONALE 143 mance, che deve essere garantita da ogni amministrazione in misura massima in ogni fase del ciclo di gestione della performance (art. 11, comma 1 e 3); - quelle in materia di qualit dei servizi pubblici e di tutela degli utenti (art. 28); - linderogabilit dalla contrattazione collettiva e lautomatico inserimento nei contratti collettivi delle disposizioni del Titolo III del decreto, in materia di merito e premi (art. 29); - infine, la disciplina transitoria relativa alla prima costituzione della Commissione nazionale per la valutazione, la trasparenza e lintegrit delle amministrazioni pubbliche, di cui allart. 13, e degli Organismi indipendenti di valutazione della performance, di cui allart. 14 (art. 30). Le suddette discipline si applicano, quindi, anche alle regioni, essendo appunto emanate nellesercizio della potest legislativa esclusiva dello Stato. I profili pubblicistico-organizzativi, per i quali il legislatore ha individuato i principi generali dellordinamento cui devono ispirarsi le regioni nellesercizio della propria potest legislativa in materia, riguardano invece: - la misurazione, valutazione e trasparenza della performance (artt. 3 e 4; art. 5, comma 2; artt. 7 e 9; art. 15, comma 1); - la valorizzazione del merito e lincentivazione delle performance mediante premi (art. 17, comma 2; art. 18); - le progressioni verticali di carriera (art. 24, commi 1 e 2; art. 62, commi 1-bis e 1-ter) (36); - le progressioni economiche orizzontali (art. 23, commi 1 e 2); - lassegnazione di incarichi e responsabilit ai dipendenti pubblici (art. 25); - laccesso a percorsi di alta formazione e di crescita professionale dei dipendenti (art. 26); - il premio di efficienza (art. 27, comma 1). Tuttavia, sono molti gli aspetti non espressamente ricompresi nellart. 74, per i quali persistono non pochi dubbi circa la loro natura, di talch la loro riconducibilit al diritto privato o al diritto pubblico tuttaltro che semplice ed univoca. , appunto, il caso dellart. 40, comma 1, lett. f), d.lgs. n. 150/2009 (che, come detto, ha modificato lart. 19, d.lgs. n. 165/2001 in materia di conferimento di incarichi dirigenziali a tempo determinato). Al riguardo si pone, infatti, la questione del titolo di competenza, ossia se il legislatore statale abbia dettato una disciplina (di principio) con valore vincolante anche per le regioni, o piuttosto abbia attribuito natura pubblicisticoorganizzativa alle norme in materia. Tale nodo interpretativo, relativamente allart. 40, comma 1, lett. f), d.lgs. n. 150/2009, stato definitivamente sciolto dalla Corte Costituzionale con la pronuncia n. 324/2010. 144 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 3.- Portata della sentenza della Corte cost. 12 novembre 2010, n. 324 ed implicazioni sulle fonti regionali 3.1.- La Consulta, con la pi volte citata sentenza 12 novembre 2010, n. 324, si pronuncia in merito alle questioni di legittimit costituzionale delle disposizioni del d.lgs. n. 150/2009, cd. riforma Brunetta (artt. 40, comma 1, lett. f), e 49, comma 1), che prevedono limiti agli incarichi dirigenziali a soggetti esterni allamministrazione, nonch lobbligo del previo esperimento della mobilit volontaria prima dellindizione di concorsi pubblici, nella parte in cui si applicano anche alle regioni ed agli enti locali territoriali. Con specifico riguardo al vaglio di costituzionalit dellart. 40, comma 1, lett. f), d.lgs. n. 150/2009 - in ordine ai limiti nel conferimento di incarichi dirigenziali a tempo determinato - la Corte costituzionale estremamente chiara: lart. 19, comma 6-ter, d.lgs. n. 165/2001 costituzionalmente legittimo ed estende la sua portata precettiva sia allordinamento delle regioni, sia a quello degli enti locali. Secondo linterpretazione fornita dai giudici delle leggi nella sentenza n. 324/2010, lespressa estensione agli ordinamenti locali e regionali della disciplina contenuta nellart. 19, comma 6 e 6-bis, d.lgs. n. 165/2001 non vola la Costituzione, perch il legislatore statale ha correttamente esercitato la propria potest legislativa, trattandosi di una normativa riconducibile alla materia dellordinamento civile (13). Infatti, spiega la Consulta, il conferimento di incarichi dirigenziali a soggetti esterni si determina attraverso la stipulazione di un contratto di lavoro di diritto privato. Conseguentemente, la disciplina della fase costitutiva di tale contratto, cos come quella del rapporto che sorge per effetto della conclusione di quel negozio giuridico, appartengono alla materia dellordinamento civile. La Consulta osserva, in proposito, che lart. 19, comma 6, d.lgs. 165/2001 non riguarda n procedure concorsuali pubblicistiche per laccesso al pubblico impiego, n la scelta delle modalit di costituzione di quel rapporto giuridico. Sicch, non cՏ violazione degli artt. 117, commi 3 e 4, e 119, Cost., proprio perch la norma impugnata dalle regioni non attiene a materie di competenza concorrente (coordinamento della finanza pubblica) o residuale regionale (organizzazione delle regioni e degli uffici regionali, organizzazione degli enti locali). I giudici delle leggi proseguono affermando che lart. 19, comma 6, non contiene alcuna specifica disposizione sullorganizzazione o sul reclutamento dei dirigenti a contratto, ma si limita alla regolamentazione del particolare contratto che lamministrazione stipula con il soggetto ad essa esterno cui (13) V. punto sub 1 sent. n. 324/2010. CONTENZIOSO NAZIONALE 145 conferisce lincarico dirigenziale. Per tale ragione, si tratta di una disposizione riconducibile allordinamento del diritto civile e non alla disciplina pubblicistica del rapporto di lavoro e, specificamente, alle procedure di reclutamento, da un lato, e allorganizzazione, dallaltro, sicch costituzionale anche lestensione a regioni ed enti locali della definizione della percentuale massima di incarichi conferibili a soggetti esterni. La sentenza della Consulta n. 324/2010 contiene, quindi, un vaglio espresso di costituzionalit dellart. 19, comma 6-ter, con chiaro riferimento oltre che alle regioni, anche agli enti locali, di talch tale norma non pu che sovrapporsi, con effetti disapplicativi, alle normative speciali in materia di conferimento di incarichi dirigenziali a tempo determinato. Ci in quanto tale disciplina, afferma la Corte, ha carattere generale ed di competenza esclusiva dello Stato, in quanto si verte nella materia dellordinamento civile. Non vi sono, pertanto, argomentazioni che in modo soddisfacente possano contrastare con linevitabile conclusione della disapplicazione delle normative speciali in subiecta materia (quale appunto lart. 10, l. reg. n. 31/2002), che devono intendersi (implicitamente) abrogate. Infatti, nel momento in cui il legislatore statale interviene in una materia rientrante nella sua competenza esclusiva, le norme regionali con esse confliggenti non possono che ritenersi illegittime in quanto eccedenti la potest legislativa regionale, sicch devono ritenersi disapplicate e, quindi, (tacitamente) abrogate. 3.2.- Resta, a questo punto, da esaminare la questione centrale posta nella richiesta di parere in oggetto, ovverosia se gli effetti dei provvedimenti di conferimento di incarichi dirigenziali a tempo determinato adottati prima della pronuncia della Corte Costituzionale e con le limitazioni previste dalle norme regionali, siano o meno da ritenersi salvi. Il punto, per la sua evidente delicatezza (anche sul piano extra-giuridico) merita un attento approfondimento, in quanto la materia del conferimento degli incarichi dirigenziali a tempo determinato ora, per espressa ed ineludibile affermazione della Corte Costituzionale, riconducibile alla competenza esclusiva dello Stato. A tal proposito, si osserva che lentrata in vigore della riforma del Titolo V della Costituzione e, pi in generale, il passaggio della disciplina di una materia dalla potest legislativa statale a quella regionale o viceversa, ha posto (e pone) delicati problemi di diritto transitorio, anche in ragione dellassenza di norme transitorie ad hoc (come nel caso che ci occupa). In via di sintesi, utile richiamare in proposito linsegnamento della giurisprudenza costituzionale (14), secondo cui a fronte di un rinnovato riparto (14) Corte cost., 7-18 ottobre 2002, n. 422. 146 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 di competenze legislative tra Stato e regioni deve prevalere il principio di continuit dellordinamento giuridico. I giudici delle leggi, pertanto, hanno voluto salvaguardare il diritto vigente contro pericolosi vuoti normativi e contro facili operazioni demolitorie che potrebbero pregiudicare ogni esigenza, pur minima, di certezza del diritto costituzionale e di funzionalit dell'istituto regionale (15). Inoltre, la Consulta gi in quella che considerata la prima sentenza (16) sul novellato Titolo V, nel rilevare la pi netta distinzione fra la competenza regionale e la competenza statale, non ritiene che i principi fondamentali delle materie concorrenti possano trarsi solo da leggi statali nuove, espressamente rivolte a tale scopo, bens che, specie nella fase della transizione, la legislazione regionale concorrente dovr svolgersi nel rispetto dei principi fondamentali comunque risultanti dalla legislazione statale gi in vigore. Pertanto, Stato e Regioni non devono far altro che legiferare nelle materie di loro spettanza; fino ad allora resta ferma la vecchia normativa anche se emanata da un soggetto che attualmente non ha pi titolo (17). Tra laltro, il principio della piena continuit dellordinamento, pur nella necessit di un suo sostanziale adeguamento, stato codificato dalla l. n. 131/2003 (c.d. legge La Loggia) di attuazione del Titolo V della Costituzione. Del resto, la presenza di una modificazione cos rilevante del quadro costituzionale in materia di conferimento di incarichi dirigenziali fiduciari sembra imporre il ricorso al principio della continuit normativa. La Corte costituzionale, peraltro, va oltre il principio di continuit normativa e giunge a far applicazione di un principio di continuit istituzionale o di continuit nelle funzioni amministrative (18). In particolare la Consulta afferma che il principio di continuit, nellavvicendamento delle competenze statali e regionali, deve essere ampliato per soddisfare lesigenza della continuit non pi normativa ma istituzionale, giacch soprattutto nello Stato costituzionale lordinamento vive non solo di norme, ma anche di apparati finalizzati alla garanzia dei diritti fondamentali. A tal proposito, poich indubbio il ruolo fondamentale svolto dalla dirigenza regionale, lapplicazione ragionevole (anche) del principio di continuit delle funzioni amministrative consentirebbe di escludere il venir meno degli effetti prodotti dai provvedimenti di conferimento di incarichi dirigen- (15) A. RUGGERI, La riforma costituzionale del Titolo V e i problemi della sua attuazione, con specifico riguardo alle dinamiche della normazione e al piano dei controlli, in www.associazionedeicostituzionalisti. it; G. VIRGA, La riforma del Titolo V della Costituzione e la legislazione preesistente, in www.giust.it (ora www.lexitalia.it). (16) Corte cost., 26 giugno 2002, n. 282. (17) B. CARAVITA, Coordinate e limiti della potest legislativa: costituzione, vicoli comunitari, obblighi internazionali. il controllo giurisdizionale, in www.csm.it. (18) Corte cost., 17 gennaio 2004, n. 13. CONTENZIOSO NAZIONALE 147 ziali a tempo determinato gi adottati in base alla normativa regionale (ora da intendere tacitamente abrogata per effetto della sent. n. 324/2010 della Corte costituzionale) e, quindi, prima che la competenza in materia fosse ricondotta dalla Consulta alla potest legislativa statale. Ad ogni buon fine, utile richiamare il principio del tempus regit actum secondo cui la legge applicabile quella del momento in cui sorge il diritto. Dunque, secondo il principio della irretroattivit, che costituisce regola generale dellordinamento giuridico ai sensi dellart. 11 disp. prel. c.c., ciascun atto o fatto deve essere assoggettato alla normativa vigente al momento in cui esso si verificato, semprech la legge non si qualifichi espressamente come retroattiva, il ch non pare riguardare il caso di specie. * * * * Orbene, alla stregua dei suesposti principi, nel fornire risposta al quesito in oggetto, consentito concludere nel senso che i provvedimenti di conferimento di funzioni dirigenziali a tempo determinato a soggetti esterni gi adottati dalla Giunta regionale nei limiti di cui allart. 10, l. reg. n. 31/2002 continuano ad essere efficaci (nei limiti temporali dagli stessi previsti, in conformit alle disposizioni di cui al combinato disposto dellart. 10, comma 2, lett. a) e comma 4, l. reg. n. 31/2002). Occorre, comunque, precisare che dal giorno di pubblicazione della sentenza della Corte cost. 12 novembre 2010, n. 324, le norme regionali che disciplinano la materia del conferimento di incarichi dirigenziali a tempo determinato dovranno ritenersi abrogate, sicch - fermi restando quelli gi adottati - ogni successivo provvedimento che venisse emanato attenendosi alle previsioni compendiate nellart. 10, l. reg. n. 31/2002 non potr che essere illegittimo e, dunque, incostituzionale. Va, infine, puntualizzato che nelle materie di legislazione statale esclusiva, oppure nel caso in cui legislatore statale inserisca nellordinamento una norma dal contenuto precettivo del tutto puntuale, le regioni non hanno alcuno spazio dintervento (in quella materia) (19). Diversamente - nel caso di potest legislativa concorrente - spetta al legislatore statale dettare una norma di principio alla quale le regioni devono conformarsi. Ci posto, nel caso di specie, la Corte Costituzionale, con la pronuncia qui in esame, affermando la competenza esclusiva del legislatore statale in materia di conferimento di incarichi dirigenziali a tempo determinato, ha di fatto inibito alle regioni (per quanto qui rileva) una normazione dai contenuti anche parzialmente differenti. Consegue, da quanto detto, che il legislatore regionale non tenuto ad apportare alcuna modifica alle fonti regionali nella materia de qua, in quanto, per visto sopra, lart. 10, l. reg. n. 31/2002 deve in- (19) Corte cost., 19-23 novembre 2007, n. 401. 148 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 tendersi tacitamente abrogato. Dunque, dal momento in cui la sentenza della Consulta n. 324/2010 spiegher i propri effetti, in conseguenza della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, le regioni, in materia di conferimento di incarichi dirigenziali a tempo determinato, non potranno che far riferimento allart. 19, comma 6 e 6-bis, d.lgs. n. 165/2001, cos come modificato dallart. 40, comma 1, lett. f), d.lgs. n. 150/2009, fonte normativa (esclusiva) ritenuta dalla Consulta applicabile alle regioni ed autonomie dalla Consulta, in luogo delle discipline regionali prima in vigore. Con il che si fornisce risposta alla seconda parte del quesito posto con la nota suindicata. In tal senso il parere di questo Comitato giuridico. Catanzaro, 6 dicembre 2010. Il componente relatore del Comitato giuridico regionale avvocato dello Stato Alfonso Mezzotero Corte costituzionale, sentenza 12 novembre 2010 n. 324 - Pres. Amirante, Red. Mazzella - Giudizi di legittimit costituzionale degli artt. 40, comma 1, lettera f), e 49, comma 1, del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 (Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttivit del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni), promossi dalle Regioni Piemonte, Toscana e Marche. Avv.ti Mario Eugenio Comba per la Regione Piemonte, Lucia Bora per la Regione Toscana, Stefano Grassi per la Regione Marche e lavv. Stato Massimo Salvatorelli per il Presidente del Consiglio dei ministri. (Omissis) Considerato in diritto 1. Le Regioni Piemonte, Toscana e Marche impugnano lart. 40, comma 1, lettera f), del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 (Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttivit del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni), nella parte in cui ha introdotto nellart. 19 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sullordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), il comma 6-ter, secondo il quale i precedenti commi 6 (disciplinante le condizioni per laffidamento di incarichi dirigenziali a soggetti esterni allamministrazione conferente) e 6-bis (in tema di calcolo delle percentuali di incarichi attribuibili agli esterni) del citato art. 19 si applicano anche alle amministrazioni di cui allart. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001 e, dunque, anche alle Regioni e agli enti locali, deducendo la violazione degli artt. 76, 117, terzo e quarto comma, e 119 della Costituzione. Le Regioni Toscana e Marche sostengono che la disposizione impugnata contrasterebbe anche con lart. 76 Cost., perch non stata oggetto di intesa o di parere in sede di Conferenza uni- CONTENZIOSO NAZIONALE 149 ficata, come richiesto dallart. 2, comma 2, della legge delega 4 marzo 2009, n. 15 (Delega al Governo finalizzata allottimizzazione della produttivit del lavoro pubblico e alla efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni nonch disposizioni integrative delle funzioni attribuite al Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro e alla Corte dei conti). La Regione Marche aggiunge che la disposizione censurata, recando una disciplina concernente i limiti e le modalit di accesso agli incarichi di dirigente pubblico a contratto, esorbiterebbe dallambito oggettivo della delega, circoscritto alla disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici. Ad avviso delle ricorrenti, la norma, poi, violerebbe lart. 117, quarto comma, Cost., poich attiene alla materia, di competenza residuale regionale, dellorganizzazione delle Regioni e degli enti pubblici regionali. La Regione Marche aggiunge che il predetto precetto costituzionale sarebbe leso anche perch la norma, nella parte in cui si riferisce agli enti locali, sarebbe riconducibile alla materia dellorganizzazione amministrativa e ordinamento del personale degli enti locali, anchessa di competenza residuale delle Regioni. In via subordinata, ritenendo la norma attinente alla materia del coordinamento della finanza pubblica, le Regioni Toscana e Marche deducono la lesione degli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost., poich essa pone un vincolo puntuale allautonomia finanziaria delle Regioni e non idonea a realizzare leffetto di contenimento della spesa pubblica. 1.1. La Regione Toscana impugna anche lart. 49, comma 1, del d.lgs. n. 150 del 2009, il quale sostituisce lart. 30, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001, che ora prevede che tutte le amministrazioni, e dunque anche le Regioni, prima di procedere allespletamento di procedure concorsuali necessarie per coprire posti vacanti, debbano rendere pubbliche le disponibilit dei posti in organico da ricoprire attraverso passaggio diretto di personale da altre amministrazioni, fissando preventivamente i criteri di scelta e che il trasferimento disposto previo parere favorevole dei dirigenti responsabili dei servizi e degli uffici cui il personale o sar assegnato. Ad avviso della ricorrente, il predetto art. 49 violerebbe lart. 97 Cost., perch limita il reclutamento del personale mediante il concorso pubblico, nonch lart. 117, quarto comma, Cost., poich incide sullautonomia organizzativa delle Regioni, introducendo un impegnativo onere per lamministrazione e limitando la sua possibilit di ricercare, scegliere ed assumere il personale pi preparato. 2. In ragione della parziale connessione oggettiva, i giudizi debbono essere riuniti per essere decisi con ununica pronuncia. 3. Le questioni di legittimit costituzionale dellart. 40, comma 1, lettera f), del decreto legislativo n. 150 del 2009, sollevate in riferimento agli artt. 117, terzo e quarto comma, e 119 Cost., non sono fondate. 3.1. La norma impugnata dispone lapplicabilit a tutte le amministrazioni pubbliche della disciplina dettata dallart. 19, commi 6 e 6-bis, del d.lgs. n. 165 del 2001 in tema di incarichi dirigenziali conferiti a soggetti esterni allamministrazione. Si tratta di una normativa riconducibile alla materia dellordinamento civile di cui allart. 117, secondo comma, lettera l), Cost., poich il conferimento di incarichi dirigenziali a soggetti esterni, disciplinato dalla normativa citata, si realizza mediante la stipulazione di un contratto di lavoro di diritto privato. Conseguentemente, la disciplina della fase costitutiva di tale contratto, cos come quella del rapporto che sorge per effetto della conclusione di quel negozio giuridico, appartengono alla materia dellordinamento civile. In particolare, lart. 19, comma 6, d.lgs. n. 165 del 2001 contiene una pluralit di precetti re- 150 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 lativi alla qualificazione professionale ed alle precedenti esperienze lavorative del soggetto esterno, alla durata massima dellincarico (e, dunque, anche del relativo contratto di lavoro), allindennit che a integrazione del trattamento economico pu essere attribuita al privato, alle conseguenze del conferimento dellincarico su un eventuale preesistente rapporto di impiego pubblico e, infine, alla percentuale massima di incarichi conferibili a soggetti esterni (il successivo comma 6-bis contiene semplicemente una prescrizione in tema di modalit di calcolo di quella percentuale). Tale disciplina non riguarda, pertanto, n procedure concorsuali pubblicistiche per laccesso al pubblico impiego, n la scelta delle modalit di costituzione di quel rapporto giuridico. Essa, valutata nel suo complesso, attiene ai requisiti soggettivi che debbono essere posseduti dal contraente privato, alla durata massima del rapporto, ad alcuni aspetti del regime economico e giuridico ed pertanto riconducibile alla regolamentazione del particolare contratto che lamministrazione stipula con il soggetto ad essa esterno cui conferisce lincarico dirigenziale. Non sussiste, dunque, violazione degli artt. 117, terzo e quarto comma, e 119 Cost., appunto perch la norma impugnata non attiene a materie di competenza concorrente (coordinamento della finanza pubblica) o residuale regionale (organizzazione delle Regioni e degli uffici regionali, organizzazione degli enti locali), bens alla materia dellordinamento civile di competenza esclusiva statale. 3.2. La stessa questione, sollevata in riferimento allart. 76 Cost., , invece, inammissibile. Dato che nella fattispecie, come si visto sub 3.1, non si verte in materia di organizzazione degli uffici regionali, bens in materia di disciplina di contratti di diritto privato, rispetto alla quale sussiste esclusivamente competenza dello Stato, la pretesa violazione del parametro costituzionale invocato non comporterebbe lesione di alcuna attribuzione regionale. Da qui linammissibilit della censura. 4. Passando alle questioni sollevate dalla Regione Toscana sullart. 49, comma 1, del d.lgs. n. 150 del 2009, quella promossa in riferimento allart. 97 Cost. inammissibile. La Regione deduce la violazione di un precetto costituzionale diverso da quelli attinenti al riparto di competenze tra Stato e Regioni e, nella fattispecie, il preteso contrasto con lart. 97 Cost. non ridonda nella compressione di sfere di attribuzione costituzionalmente garantite alle Regioni. 4.2. La questione sollevata in riferimento allart. 117, quarto comma, Cost., invece, non fondata. La norma impugnata non appartiene ad ambiti materiali di competenza regionale, bens alla materia dellordinamento civile. Listituto della mobilit volontaria altro non che una fattispecie di cessione del contratto; a sua volta, la cessione del contratto un negozio tipico disciplinato dal codice civile (artt. 1406-1410). Si , pertanto, in materia di rapporti di diritto privato e gli oneri imposti alla pubblica amministrazione dalle nuove disposizioni introdotte dallart. 49 del d.lgs. n. 150 del 2009 rispondono semplicemente alla necessit di rispettare lart. 97 Cost., e, precisamente, i principi di imparzialit e di buon andamento dellamministrazione. PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE riuniti i giudizi; dichiara inammissibili le questioni di legittimit costituzionale dellart. 40, comma 1, lettera CONTENZIOSO NAZIONALE 151 f), del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 (Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttivit del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni), promosse, in riferimento allart. 76 della Costituzione, dalle Regioni Toscana e Marche con i ricorsi indicati in epigrafe; dichiara non fondate le questioni di legittimit costituzionale dellart. 40, comma 1, lettera f), del d.lgs. n. 150 del 2009, promosse, in riferimento agli artt. 117, secondo e terzo comma, e 119 della Costituzione, dalle Regioni Piemonte, Toscana e Marche con i ricorsi indicati in epigrafe; dichiara inammissibile la questione di legittimit costituzionale dellart. 49, comma 1, del d.lgs. n. 150 del 2009 promossa, in riferimento allart. 97 della Costituzione, dalla Regione Toscana con il ricorso indicato in epigrafe; dichiara non fondata la questione di legittimit costituzionale dellart. 49, comma 1, del d.lgs. n. 150 del 2009 promossa, in riferimento allart. 117, quarto comma, della Costituzione, dalla Regione Toscana con il ricorso indicato in epigrafe. Cos deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 novembre 2010. 152 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 Il termine di comparizione e di costituzione nellopposizione a decreto ingiuntivo Mutamento giurisprudenziale operato dalla Corte di Cassazione (*) (Cassazione civile, Sez. Un., sentenza del 9 settembre 2010 n. 19246; Tribunale di Napoli, ordinanza del 15 ottobre 2010 n. 42582/09 R.G.) 1. Introduzione Con la sentenza in rassegna, le SS.UU. della Corte di Cassazione intervengono innovandolo radicalmente sul consolidato orientamento giurisprudenziale, peraltro non perfettamente coerente con il quadro normativo di riferimento, relativo ai termini di comparizione e costituzione nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo. 2. Normativa di riferimento Dalla piana lettura della normativa disciplinatrice della materia prescindendo dalla interpretazione giurisprudenziale dato evincere quanto segue. Lart. 645 comma 2 cpc nella versione attualmente vigente recita : in seguito allopposizione il giudizio si svolge secondo le norme del procedimento ordinario davanti al giudice adito; ma i termini di comparizione sono ridotti a met. In virt di tale precetto la disciplina ordinaria regolatrice del giudizio di opposizione a D.I. quella del giudizio a cognizione ordinaria (aa. 163 310 cpc) dinanzi al Tribunale, tranne che per quei punti disciplina speciale espressamente e puntualmente disciplinati negli aa. 645 2 comma, II periodo, 647, 648, 649, 650, 652, 653, 654, 655 e 656 cpc; ci per il principio secondo cui la norma speciale prevale su quella ordinaria. Orbene, per la fase introduttiva del giudizio di opposizione a D.I. vale la regola che i termini di comparizione sono ridotti alla met; ossia, lopponente deve concedere allopposto un termine dilatorio a comparire di almeno 45 gg. liberi. Nella disciplina speciale, contenuta nelle norme sopraindicate, non vi (*) Comunicazione e-mail ai Colleghi dellavv. A. Mezzotero: Con la recentissima ordinanza del 22 marzo 2011 n. 6514 la sez. III della Cassazione ha rimesso alle Sezioni Unite la questione concernente l'interpretazione dell'art. 645, comma 2, c.p.c. circa il dimezzamento di costituzione in giudizio dell'opponente a monitorio, escludendo espressamente l'applicabilit ai giudizi in corso del principio espresso da Cass. civ., sez. un., 9 settembre 2010, n. 19246 (pag. 7 dell'ordinanza). CONTENZIOSO NAZIONALE 153 anche la regolazione della costituzione in giudizio; sicch si applica la disciplina ordinaria in virt della quale lopponente deve costituirsi entro 10 gg. dalla notifica dellopposizione a D.I. (aa. 645 2 comma 1^ parte e 165 cpc); labbreviazione del termine di costituzione a 5 gg. operativa nel difetto di disciplina speciale solo ove siano stati abbreviati i termini a comparire su richiesta dellopponente (aa. 163 bis comma 2 e 165 1 comma cpc). Discorso analogo vale mutatis mutandis nel procedimento di opposizione dinanzi al Giudice di Pace (aa. 311 321 cpc). Quanto ricostruito il portato della normativa interpretata alla luce dellart. 12 delle preleggi, tenendo conto della lettera della legge e delle connessioni sistematiche. 3. Innovazione delle S.U. e, precedente, interpretazione consolidata Di recente si ritenuto che invariabilmente il termine di costituzione nel giudizio di opposizione a D.I. dinanzi al Tribunale di 5 gg.; ci stato sostenuto dalla Cassazione S.U. 9 settembre 2010 n. 19246 che precisa : ritengono le sezioni unite che esigenze di coerenza sistematica, oltre che pratiche, inducono ad affermare che non solo i termini di costituzione dellopponente e dellopposto sono automaticamente ridotti alla met in caso di effettiva assegnazione allopposto di un termine a comparire inferiore a quello legale, ma che tale effetto automatico conseguenza del solo fatto che lopposizione sia stata proposta, in quanto lart. 645 cpc prevede che in ogni caso di opposizione i termini a comparire siano ridotti a met. Nel caso, tuttavia, in cui lopponente assegni un termine di comparizione pari o superiore a quello legale, resta salva la facolt dellopposto, costituitosi nel termine dimidiato, di chiedere lanticipazione delludienza di comparizione ai sensi dellart. 163 bis 3 comma. Con tale interpretazione delle S.U. viene radicalmente innovato il quadro interpretativo sui termini a comparire e di costituzione nel caso di opposizione a D.I. Sinora lopinione dominante fino alle recenti S.U., era nel senso che: a) la riduzione dei termini a comparire prevista dallart. 645 cpc sarebbe puramente facoltativa, nel senso che lopponente sarebbe pienamente libero di valersi o no del termine abbreviato restando fermo, nellipotesi negativa, il termine ordinario; b) la riduzione alla met dei termini di costituzione si verifica solo quando lopponente si sia avvalso in concreto della facolt di abbreviare fino alla met il termine di comparizione. Lopinione or indicata descritta nei Motivi della decisione delle S.U. n. 19246/10, oltrecch: in E. GARBAGNATI, Il procedimento di ingiunzione, Giuffr ed., Milano 1991 pp. 151 e ss., e 169 e ss.; in C. MANDRIOLI, Diritto processuale civile, Giappichelli ed. XX Torino 2009, III, pp. 42 43; in F. CARPI, 154 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 M. TARUFFO, Commentario Breve al Codice di Procedura Civile, Cedam ed., Padova, V ed., 2006, pp. 1846 1847; in A. RONCO, Struttura e disciplina del rito monitorio, Giappichelli ed., Torino, 2000, pp. 388 e ss. e 403 e ss.; G. COLLA, Il decreto ingiuntivo (il procedimento di opposizione e il giudizio di opposizione), Cedam ed., Padova, 2003 pp. 367 e ss.; P. LEANZA , E. PARATORE, Il procedimento per decreto ingiuntivo, Utet ed., Torino, 2003 pp. 225 e ss.; A. TEBOLDI, C. MERLO in Il procedimento dingiunzione (opera diretta da B. Capponi), Zanichelli ed., Bologna, 2005, pp. 401 e ss.; G. FRANCO, Guida al procedimento di ingiunzione, Giuffr ed., Milano, 2001, III Ed., tomo I, pp. 413 e ss. Nelloperare il revinement la Cassazione, su ambedue le problematiche sopra evidenziate, segue - anche nello snodo argomentativo - lopinione del pi autorevole autore sulla materia (ossia E. Garbagnati nei luoghi sopracitati). 4. Osservazioni allinnovazione delle S.U. Orbene, sulla prima problematica, ossia la riduzione automatica dei termini di comparizione, la novit delle S.U. condivisibile perch conforme alla formula legislativa. Diversamente linterpretazione, la lettura delle S.U. non accoglibile sulla problematica della necessaria riduzione a 5 gg. del termine di costituzione. Ci per varie ragioni. Difatti: A) tale lettura si pone in palese contrasto con la normativa disciplinatrice della materia; una interpretazione abrogante della citata normativa. Le S.U. cos argomentano sul punto : Se, infatti, vero che nella formulazione originaria del codice del 42, lart. 645 2 comma prevedeva la riduzione a met dei termini di costituzione, mentre nellattuale formulazione della disposizione la riduzione a met si riferisce solo ai termini di comparizione, dai lavori preparatori non emerge tuttavia che la modifica testuale sia stata introdotta per ridimensionare la funzione acceleratoria della riduzione a met dei termini di costituzione prevista dalla disciplina previgente, ma solo che la norma era stata imposta come necessaria conseguenza dalla introduzione del sistema della citazione ad udienza fissa. Tale ragionamento non condivisibile. Nella formulazione originaria del codice del 42, come rileva la Corte, vi la puntuale previsione della riduzione a met dei termini di costituzione. Tale disciplina stata innovata: vi la necessit, quindi, di interpretare la norma risultante dalla novella del 50 alla luce di tale novit. Orbene, non si possono mantenere le conseguenze della disciplina previgente sul punto. Cos operando ci si sostituisce al legislatore. E noto - ad es. - che spesso i referendum abrogativi hanno ad oggetto parole nel corpo di un articolo con l obiettivo di pervenire ad una norma avente - evidentemente - un CONTENZIOSO NAZIONALE 155 significato diverso da quello originario. Sicch, ove si seguisse lorientamento delle S.U. sul punto - continuando nellesemplificazione del referendum - si renderebbero superflui gli esiti dei referendum, atteso che nonostante qualsivoglia manipolazione si manterrebbe il significato e la disciplina originaria. B) Tale lettura - il giudicante enuncia che dallart. 165 comma 1 c.p.c. enunciabile una regola che stabilisce un legame tra i termini di comparizione e i termini di costituzione - pone un collegamento (inesistente) tra termine di comparizione e termine di costituzione: come visto la normativa speciale di cui allart. 645 comma 2 parte 2^ regola solo i termini a comparire. Peraltro, diversa la disciplina dellabbreviazione dei termini a comparire ex art. 163 comma 2 cpc ad istanza di parte ed ex art. 645 comma 2 II^ parte cpc ope legis. Nellopposizione a D.I. il termine a comparire di 45 gg. liberi; nel giudizio ordinario dinanzi al Tribunale il termine a comparire riducibile fino alla met, ossia da 89 a 45 gg. liberi, il che - intuitivamente - diverso dal caso del monitorio. C) Estende la disciplina del dimezzamento dei termini di costituzione ex aa. 165 co. 1 e 163 bis co. 2 c.p.c. (norma speciale - rispetto al normale termine di costituzione di 10 gg. previsto nel procedimento ordinario ex aa. 163 e ss. cpc - inerente alla disciplina della parte che chiede la riduzione dei termini a comparire) ad un caso non previsto. Ma cos operando si incorre in un doppio errore: a) viene operata una interpretazione analogica in un caso in cui non ve ne era necessit, atteso che il termine di costituzione dellopponente disciplinato dal raccordo ex aa. 645 comma 2 1^ parte e 165 cpc; b) peraltro, anche ad ammettere cosa che non che vi sia una lacuna da colmare con linterpretazione analogica, stata operata nel caso di specie una applicazione comunque non consentita; difatti, per i principi in materia di interpretazione vietata lapplicazione analogica delle norme speciali (art. 14 preleggi). E la norma secondo cui il termine di costituzione dimezzato nel caso che venga chiesto dalla parte labbreviazione dei termini a comparire come detto una norma speciale. Tale norma, infatti, deroga alla norma generale secondo cui il termine di costituzione di 10 gg. In conclusione, quindi, linterpretazione delle S.U. non accoglibile. 5. Innovazione delle S.U. e giudizi pendenti Nel nostro ordinamento giuridico, ricordando nozioni note, non operativa la regola della forza vincolante del precedente, al cd. stare decisis, come nei sistemi di common law. Le statuizioni delle S.U. della Cassazione, ossia del massimo organo giurisdizionale dello Stato Italiano, sono osservate dai giudici 156 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 del merito sostanzialmente per due ragioni: a) intrinseca persuasivit degli argomenti, del ragionamento giuridico; b) influenza indiretta, atteso che la Cassazione il giudice eventualmente competente per il riesame del giudizio in sede di impugnazione (cos C. MANDRIOLI, op. cit,. vol. 1 pag. 108 nota 33). Si visto sopra che linnovazione delle S.U. non persuasiva; tuttavia, per le ragioni or descritte sub b), essa innovazione potrebbe essere seguita dai giudici di merito. In questa seconda evenienza, tuttavia, deve ritenersi che alcuna incidenza linnovazione delle S.U. debba avere nei giudizi pendenti. Ci perch il principio di affidamento verrebbe violato. Due sono le strade ermeneutiche per predicare lininfluenza della novella sui giudizi in corso. A) La novella interpretazione non applicabile ai giudizi in corso, in ossequio al principio di irretroattivit. Sul punto si gi pronunciato il Tribunale di Varese con la sentenza dell8 ottobre 2010 (in Il caso.It, documento 2388/2010 pubblicato il 9 ottobre 2010)) il quale ha enunciato: in caso di cd. overruling e cio allorch si assista ad un mutamento, ad opera della Corte di Cassazione a SS.UU., di uninterpretazione consolidata a proposito delle norme regolatrici del processo la parte che si conformata alla precedente giurisprudenza della Suprema Corte, successivamente travolta dalloverruling, ha tenuto un comportamento non imputabile a sua colpa e perci da escludere la rilevanza preclusiva dellerrore in cui essa incorsa. Ci vuol dire che, per non incorrere in violazione delle norme costituzionali, internazionali e comunitarie che garantiscono il diritto ad un Giusto Processo, il giudice di merito deve escludere la retroattivit del principio di nuovo conio (nel caso di specie viene esclusa la retroattivit del principio di diritto enunciato da Cass. Civ. SS.UU. 9 settembre 2010 n. 19246 in materia di costituzione dellopponente nel giudizio di opposizione a D.I.. B) Rimessione in termini (ex aa. 184 bis e/o 153 comma 2 cpc). Allevidenza la - eventuale (e contestata) improcedibilit - il frutto di un nuovo orientamento giurisprudenziale in consapevole contrasto con un diverso orientamento giurisprudenziale consolidato nel tempo secondo il quale - nella situazione data in cui lopponente non si avvalso della facolt di dimezzare i termini a comparire - il termine di costituzione di 10 gg. dalla notifica dellatto di opposizione. Va evidenziato che in giurisprudenza si sostenuto che lopponente pu essere rimesso in termini di costituzione ove provi di essere incorso nella decadenza per fatto non imputabile (Trib. Genova 4 gennaio 1996 in Giur. It. 1998, 2087, n. BALBI). Ci ammesso perch listituto della remissione in termini opera con riguardo a fatti e poteri processuali sottoposti a decadenza nel corso del giudizio CONTENZIOSO NAZIONALE 157 (sul punto F. CARPI, M. TARUFFO, op.cit., pp. 575 576; C. MANDRIOLI, op. cit., vol. I, p. 463 nota 59). Tale rimedio, nella materia de qua, stato utilizzato dal Tribunale di Torino con lordinanza dell11 ottobre 2010 che ha cos enunciato: Alla luce del principio costituzionale del giusto processo (art. 111 Cost.), l'errore della parte che abbia fatto affidamento su una consolidata (al tempo della proposizione della opposizione e della costituzione in giudizio) giurisprudenza di legittimit sulle norme regolatrici del processo, successivamente travolta da un mutamento di orientamento interpretativo, non pu avere rilevanza preclusiva, sussistendo i presupposti per la rimessione in termini (art. 153 c.p.c. nel testo in vigore dal 4 luglio 2009), alla cui applicazione non osta la mancanza dell'istanza di parte, essendo conosciuta, per le ragioni evidenziate, la causa non imputabile (cos, Cass., sez. II, ordinanze interlocutorie nn. 14627/2010, 15811/2010 depositate il 17 giugno 2010 ed il 2 luglio 2010). Pertanto, la tardiva costituzione dell'opponente e la decadenza che ne derivata sono riconducibili ad un causa non imputabile all'opponente stesso, con la conseguente sussistenza dei presupposti per rimettere in termini l'opponente, di guisa che la sua costituzione, effettuata oltre il suddetto termine dimidiato ma entro quello ordinario di dieci giorni, deve essere ritenuta tempestiva, e che quindi non occorre assegnare un ulteriore termine per provvedervi, trattandosi di attivit gi compiuta (nel caso di specie viene esclusa la retroattivit del principio di diritto enunciato da Cass. civ. SS.UU. 9 settembre 2010 n. 19246 in materia di costituzione dell'opponente nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, ricorrendo allo strumento della remissione in termini). Il rimedio della rimessione in termini stato utilizzato anche dal Tribunale di Napoli con il provvedimento del 15 ottobre 2010 in rassegna. Avv. Michele Gerardo* Cassazione civile, Sez. Un., sentenza 9 settembre 2010 n. 19246 - Pres. Carbone, Rel. Salm, P.M. Pivetti - C.G. (avv. Amorosi) c. Bancapulia S.p.A. (avv. Guglielmo). Sent. n. 377/03 C. app. Lecce. (Omissis) Svolgimento del processo Il Tribunale di Lecce, con sentenza del 15 giugno 2000, ha dichiarato improcedibile l'opposizione proposta da C.G. avverso un decreto ingiuntivo emesso in favore di Bancapulia s.p.a., in quanto l'opponente, pur avendo assegnato all'opposto un termine a comparire inferiore ai 60 giorni, si costituito oltre il termine di cinque giorni dalla notifica della citazione. (*) Avvocato dello Stato. 158 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 La Corte d'appello di Lecce, con sentenza del 1 luglio 2003, ha confermato la decisione di primo grado richiamando l'orientamento espresso da questa corte, tra l'altro, con sentenza n. 37521 del 2001, secondo il quale l'abbreviazione dei termini di costituzione per l'opponente consegue automaticamente al fatto obiettivo della concessione all'opposto di un termine di comparizione inferiore a sessanta giorni, risultando del tutto irrilevante che la concessione dello stesso sia dipesa da una scelta consapevole ovvero da errore di calcolo. Il C. ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di tre motivi, illustrati con memoria, al quale ha resistito, con controricorso, la Bancapulia s.p.a.. Con ordinanza del 12 novembre 2008, la prima sezione ritenendo che il consolidato orientamento della corte presenti aspetti problematici ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l'assegnazione a queste sezioni unite. La prima sezione ha invero ritenuto che non risponde alla sistematica del codice di rito che la disciplina dei termini di un procedimento possa discendere dalla scelta di una delle parti del giudizio, al di fuori di ogni controllo da parte del giudice. Irrilevante sarebbe il richiamo all'art. 645 c.p.c., comma 2, nel quale manca un'espressa prescrizione relativa al dimezzamento dei termini di costituzione che, infatti, viene fatto discendere dall'applicazione degli artt. 165 e 166 c.p.c., i quali tuttavia prevedono la riduzione dei termini di costituzione quale conseguenza della riduzione dei termini di comparizione operata dal giudice a richiesta dell'attore nella ricorrenza dei presupposti indicati nell'art. 163 bis c.p.c.. Peraltro, se fosse vero l'assunto della esistenza di un principio di adeguamento dei termini di costituzione a quelli di comparizione la riduzione dei termini di costituzione dovrebbe operare sempre e comunque nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, perch la formulazione del dell'art. 645 c.p.c., comma 2, non consentirebbe alcuna discrezionalit. In realt se la ratio della riduzione dei termini di comparizione quella di accelerare la definizione del giudizio di opposizione, la riduzione alla meta dei termini di costituzione non coerente con tale finalit, posto che il termine di costituzione del creditore opposto decorre non gi dalla costituzione dell'opponente, ma dalla data dell'udienza di comparizione, che, tra l'altro, per effetto della modifica dell'art. 163 bis c.p.c., introdotta dalla L. n. 263 del 2005, art. 2 ampliato da sessanta a novanta giorni per l'Italia e da centoventi a centocinquanta giorni se il luogo della notificazione si trova all'estero. Pertanto, senza un'apprezzabile utilit per la sollecita definizione del giudizio di opposizione, si finisce per introdurre un onere particolarmente gravoso a carico dell'opponente, che solo formalmente verrebbe bilanciato da analogo onere imposto al creditore opposto, il quale non pu in alcun modo essere equiparato al convenuto in un giudizio ordinario, avendo egli, anzi, la qualit di attore in senso sostanziale. In tale situazione, ove si ritenga operante la riduzione del termine di costituzione per effetto automatico dell'attribuzione al creditore opposto di un termine inferiore a quarantacinque giorni sarebbe evidente l'irragionevolezza giacch, a fronte di un termine di costituzione per l'opponente di soli cinque giorni, l'opposto dovrebbe costituirsi nel termine di dieci giorni prima dell'udienza di comparizione, venendo cos a godere di ben 35 giorni per provvedere alla propria difesa. La pressione che in tal modo grava sull'opponente, mentre non vale ad abbreviare i termini di durata del processo di opposizione risulterebbe ingiustificata tenendo conto che l'opponente attore solo in senso formale, ma sostanzialmente convenuto, e che la necessit di intraprendere la causa non frutto di una meditata scelta in un lasso di tempo discrezionale, ma necessitata dalla notifica dell'ingiunzione, laddove l'opposto dispone di tempi ben pi ampi per la costituzione, anche se, attore in senso sostanziale, ha fruito di ampia disponibilit temporale nella decisione di presentare ricorso per decreto ingiuntivo. CONTENZIOSO NAZIONALE 159 Motivi della decisione 1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce l'omessa e/o insufficiente motivazione circa punti decisivi, in riferimento agli art. 645 c.p.c., comma 2 e art. 647 c.p.c., sostenendo che la corte d'appello si sarebbe acriticamente adagiata sull'orientamento della giurisprudenza di legittimit, senza considerare il rilievo, formulato nell'atto di gravame, secondo cui perch possa operare l'abbreviazione dei termini di comparizione assegnati al creditore opposto necessaria una consapevole manifestazione di volont dell'opponente di avvalersi della facolt prevista dalla legge, formulata in modo esplicito o desunta da elementi concludenti. Nella specie non sarebbero state adeguatamente valutate le circostanze che il termine di comparizione assegnato era di soli sette giorni inferiore a quello minimo e che la costituzione era avvenuta il nono giorno, il che doveva far propendere per un mero errore materiale nel calcolo del termine di comparizione. A ritenere irrilevante l'errore si introdurrebbe una presunzione assoluta di esercizio della facolt di abbreviazione dei termini da parte dell'opponente non prevista dalla legge, trasformando la facolt in un obbligo. Inoltre, il ricorrente afferma che la previsione della rinnovazione della citazione (art. 164 c.p.c.) nel caso di assegnazione di un termine inferiore a quello di legge dovrebbe trovare applicazione anche nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, che costituisce un ordinario giudizio di cognizione, essendo insufficiente il riferimento alla specialit del rito per giustificare l'applicazione di una sanzione, quale quella della improcedibilit. Con il secondo motivo, deducendo la violazione o falsa applicazione dell'art. 645 c.p.c., comma 2, con riferimento all'art. 647 c.p.c., si sostiene che al giudizio di opposizione, come previsto dall'art. 645 c.p.c., deve applicarsi la disciplina del procedimento ordinario e pertanto in caso di costituzione in giudizio, non omessa, ma semplicemente ritardata, non sarebbe giustificata la sanzione processuale dell'improcedibilit, prevista soltanto per il giudizio di appello dall'art. 348 c.p.c., come modificato dalla L. n. 353 del 1990. Viene anche denunciata l'incoerenza consistente nel ritenere inapplicabile, per la specialit del rito, l'art. 164 c.p.c. facendo allo stesso tempo applicazione del disposto degli artt. 165 e 163 bis c.p.c.. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce errata o falsa applicazione dell'art. 645 c.p.c., comma 2, in quanto non sarebbe corretta l'estensione della riduzione del termine di costituzione previsto dall'art. 165, per il caso in cui il giudice abbia autorizzato la riduzione del termine minimo a comparire, all'ipotesi in cui la riduzione del termine di comparizione sia conseguenza di una mera scelta di parte. 2. Le ragioni addotte dal ricorrente, in parte recepite e sviluppate nell'ordinanza interlocutoria della prima sezione civile, non sono idonee a giustificare un mutamento del costante orientamento della corte, anche se, come sar in seguito precisato, opportuno procedere a una puntualizzazione. A parte un unico risalente precedente contrario, rimasto assolutamente isolato (Cass. 10 gennaio 1955 n. 8), la giurisprudenza della corte stata costante nell'affermare che quando l'opponente si sia avvalso della facolt di indicare un termine di comparizione inferiore a quello ordinario, il termine per la sua costituzione automaticamente ridotto a cinque giorni dalla notificazione dell'atto di citazione in opposizione, pari alla met del termine di costituzione ordinario (principio affermato, nei vigore dell'art. 645, come modificato con il D.P.R. n. 597 del 1950, art. 13 a cominciare da Cass. 12 ottobre 1955, n. 3053 e poi costantemente seguito; da ultimo, v. Cass. n. 3355/1987, 2460/1995, 3316 e 12044/1998, 18942/2006). Pi recentemente, nell'ambito di tale orientamento, si ulteriormente precisato che l'abbreviazione del termine di costituzione per l'opponente consegue automaticamente al fatto obiettivo della concessione all'opposto di un termine di comparizione inferiore a quello ordinario, 160 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 essendo irrilevante che la fissazione di tale termine sia dipesa da una scelta consapevole ovvero da errore di calcolo (Cass. n. 3752/2001, 14017/2002, 17915/2004, 11436/2009). Contrariamente a quanto ritenuto da una parte della dottrina l'orientamento ora richiamato non privo della necessaria base normativa. Se, infatti, vero che nella formulazione originaria del codice del '42, l'art. 645, comma 2 prevedeva la riduzione a met dei termini di "costituzione", mentre nell'attuale formulazione della disposizione la riduzione a met si riferisce solo ai termini di "comparizione", dai lavori preparatori non emerge tuttavia che la modifica testuale sia stata introdotta per ridimensionare la funzione acceleratoria della riduzione a met dei termini di costituzione prevista dalla disciplina previgente, ma solo che la norma era stata imposta come necessaria conseguenza dalla introduzione del sistema della citazione ad udienza fissa. Non esiste, peraltro, nessuna ragione oggettiva che giustifichi l'opposta opinione che reputa che il silenzio del legislatore in ordine alla disciplina dei termini di costituzione, a fronte della espressa previsione contenuta nella disciplina previgente, sia significativo della volont di cambiare la regola, espressamente affermata dall'art. 165 c.p.c., comma 1, che stabilisce un legame tra termini di comparizione e termini di costituzione, al fine di rendere coerente il sistema nei procedimenti che esigono pronta trattazione. Ne deriva che tale regola, non pu certo ritenersi di natura eccezionale o derogatoria, ma espressione di un principio generale di razionalit e coerenza con la conseguenza che l'espresso richiamo nell'art. 645 di tale principio sarebbe stata del tutto superflua. N appare decisivo il rilievo, indubbiamente corretto, della differenza esistente tra la fattispecie di cui all'art. 163 bis c.p.c., comma 2, nella quale l'abbreviazione dei termini conseguenza dell'accertamento da parte del giudice della sussistenza delle ragioni di pronta trattazione della causa prospettate dall'attore, e di quella di cui all'art. 645 c.p.c., nella quale tale apprezzamento compiuto (non dalla parte, come sostiene l'ordinanza di rimessione, ma direttamente) dal legislatore una volta per tutte, essendo in entrambe le fattispecie identica la funzione del dimezzamento dei termini di comparizione, consistente, da un lato, nel soddisfare le esigenze di accelerazione della trattazione e dall'altro, nell'opportunit di bilanciare la compressione dei termini a disposizione del convenuto con la riduzione dei termini di costituzione dell'attore. Essendo pacifica la sussistenza dell'esigenza di sollecita trattazione dell'opposizione, diretta a consentire la verifica della fondatezza del provvedimento sommario ottenuto dal creditore inaudita altera parte, deve osservarsi che sussiste anche l'esigenza di bilanciamento delle posizioni delle parti, pur tenendo conto della peculiarit del giudizio di opposizione che, come noto, ha natura di giudizio di cognizione piena che devolve al giudice della opposizione il completo esame de rapporto giuridico controverso, e non il semplice controllo della legittimit della pronuncia del decreto d'ingiunzione. E' anche pacifico che, a differenza dalle qualit formali, le posizioni dell'opponente e dell'opposto sono quelle, rispettivamente, di convenuto e di attore in senso sostanziale. Ora, se vero che l'opposto ha avuto tutto il tempo di impostare la propria posizione processuale prima di chiedere il decreto ingiuntivo, resta anche vero che, di fronte alle allegazioni e alle prove, prodotte o richieste, dall'opponente, l'opposto ha necessit di valutarle per apprestare le sue difese e a tal fine sussiste l'esigenza di avere a disposizione i documenti sui quali si fonda l'opposizione nel pi breve tempo possibile, per riequilibrare il sacrificio del termine a sua disposizione per valutare tali prove e articolare le difese prima della propria costituzione in giudizio. Ci che indubbio che certamente la necessit di sollecita trattazione dei procedimenti di opposizione meglio sarebbe stata soddisfatta se oltre alla riduzione a met dei termini di co- CONTENZIOSO NAZIONALE 161 stituzione dell'opponente il legislatore avesse anche ridotto in misura congrua i termini di costituzione dell'opposto, che invece restano abbastanza ampi (trentacinque giorni dalla notifica dell'opposizione e cio dieci giorni prima dell'udienza che deve essere fissata a non meno di quarantacinque giorni dalla notifica stessa, ai sensi dell'art. 166 c.p.c.), ma tale opportunit di assecondare "l'euritmia del sistema" (corte cost. n. 18/2008), non incide sulla fondatezza del rilievo che il dimezzamento dei termini di costituzione dell'opponente, comunque rappresenta una, sia pur parziale e, forse, insoddisfacente, misura di accelerazione del procedimento. 3. Una parte della dottrina, ripresa anche dall'ordinanza della prima sezione civile, ha osservato che la lettera dell'art. 645 c.p.c. induce a ritenere che il dimezzamento dei termini di comparizione sia un effetto legale della proposizione dell'opposizione e non dipenda invece dalla volont dell'opponente che intenda assegnare un termine inferiore a quello previsto dall'art. 163 bis c.p.c.. In effetti esigenze di certezza e quindi di garanzia delle parti, di fronte alla previsione di termini previsti a pena di procedibilit dell'opposizione, ha gi portato a introdurre nell'orientamento tradizionale, basato sulla facoltativit della concessione da parte dell'opponente di un termine a comparire inferiore a quello legale, il temperamento costituito dall'affermazione dell'irrilevanza della volont dell'opponente che potrebbe avere assegnato un termine inferiore anche solo per errore. Ritengono le sezioni unite che esigenze di coerenza sistematica, oltre che pratiche, inducono ad affermare che non solo i termini di costituzione dell'opponente e dell'opposto sono automaticamente ridotti alla met in caso di effettiva assegnazione all'opposto di un termine a comparire inferiore a quello legale, ma che tale effetto automatico conseguenza del solo fatto che l'opposizione sia sfata proposta, in quanto l'art. 645 c.p.c. prevede che in ogni caso di opposizione i termini a comparire siano ridotti a met. Nel caso, tuttavia, in cui l'opponente assegni un termine di comparizione pari o superiore a quello legale, resta salva la facolt dell'opposto, costituitosi nel termine dimidiato, di chiedere l'anticipazione dell'udienza di comparizione ai sensi dell'art. 163 bis, comma 3. D'altra parte, se effettivamente il dimezzamento dei termini di costituzione dipendesse dalla volont dell'opponente di assegnare un termine di comparizione inferiore a quello legale, non si capirebbe la ragione per la quale, secondo la giurisprudenza di questa Corte, sono cumulatali il dimezzamento che deriva dalla astratta previsione legale di cui all'art. 645 c.p.c. con quello che pu discendere da un apposito provvedimento di dimezzamento di tali termini richiesto ai sensi dell'art. 163 bis, comma 3. (Cass. n. 4719/1995, 18203/2008). N potrebbe indurre a diverse conclusioni l'osservazione che, se si ritiene irrilevante la volont dell'opponente di assegnare un termine di comparizione inferiore a quello legale, potrebbe sorgere il dubbio che il sacrificio del suo termine di costituzione possa essere ingiustificato, alla luce dell'art. 24 Cost., come potrebbe desumersi da corte cost. n. 38/2008. Infatti, l'effetto legale del dimezzamento dei termini di costituzione dell'opponente, dipendente sia solo fatto della proposizione dell'opposizione, pur sempre un effetto che discende dalla scelta del debitore che non pu non conoscere quali sono le conseguenze processuali che la legge ricollega alla sua iniziativa. Infine, la diversa ampiezza dei termini di costituzione dell'opponente rispetto a quelli dell'opposto non appare irragionevole posto che la costituzione del primo successiva alla elaborazione della linea difensiva che si gi tradotta nell'atto di opposizione rispetto al quale la costituzione in giudizio non richiede che il compimento di una semplice attivit materiale, mentre nel termine per la sua costituzione l'opposto non chiamato semplicemente a ribadire 162 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 le ragioni della sua domanda di condanna, oggetto di elaborazione nella fase anteriore alla proposizione del ricorso per decreto ingiuntivo, ma ha la necessit di valutare le allegazioni e le prove prodotte dall'opponente per formulare la propria risposta. 4. E' consolidato orientamento di questa Corte che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, la tardiva costituzione dell'opponente va equiparata alla sua mancata costituzione e comporta l'improcedibilit dell'opposizione (Cass. n. 9684/1992, 2707/1990, 1375/1980; 652/1978, 3286/1971, 3030/1969, 3231/1963, 3417/1962, 2636/1962, 761/1960, 2862/1958, 2488/1957, 3128/1956). E' innegabile infatti, da una parte, che la specialit della norma di cui all'art. 647 c.p.c. impedisce l'applicazione della ordinaria disciplina del processo di cognizione, e dall'altra, che la costituzione tardiva altro non che una mancata costituzione nel termine indicato dalla legge. Il ricorrente non ha prospettato ragioni decisive che possano indurre la Corte a discostarsi da tale orientamento. In conclusione il ricorso deve essere rigettato. Sussistono giusti motivi, in relazione al dibattito esistente sulle questioni oggetto del presente giudizio, per compensare le spese. P.Q.M. LA CORTE rigetta il ricorso e compensa le spese. Tribunale di Napoli, ordinanza allegata al verbale d'udienza del 15 ottobre 2010 N. 42582/09 del Ruolo gen. aff. cont. - Ministero della Giustizia c. Societ GETET. Il giudice ritenuto che in ossequio all'orientamento della Suprema Corte, secondo cui alla luce del principio costituzionale del giusto processo, la parte che abbia proposto ricorso per cassazione facendo affidamento su una consolidata giurisprudenza di legittimit in ordine alle norme regolatrici del processo, successivamente travolta da un mutamento di orientamento interpretativo, incorre in errore scusabile ed ha diritto ad essere rimessa in termini ai sensi dell'art. 184-bis cod. proc. civ., "ratione temporis" applicabile, se, esclusivamente a causa del predetto mutamento, si sia determinato un vizio d'inammissibilit od improcedibilit dell'impugnazione dovuta alla diversit delle forme e dei termini da osservare sulla base dell'orientamento sopravvenuto alla proposizione del ricorso (Cass. civ. Sez. II, 17 giugno 2010, n. 14627); ritenuto il principio applicabile anche nella specie, attesa l'evidente identit di ratio; ritenuto che non ricorrono le condizioni per la declaratoria di cui all'art. 648 c.p.c.; P.Q.M. Visto l'art. 184-bis c.p.c. rimette l'opponente nei termini allo stesso assegnati per provvedere ad iscrizione della causa a ruolo, ai sensi di quanto previsto dall'art. 645 c.p.c., stante il consolidato orientamento della Suprema Corte - antecedente all'intervento delle Sezioni Unite - secondo cui "nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, la riduzione alla met dei termini di comparizione, prevista dall'art. 645, comma secondo, cod. proc. civ., rimessa alla facolt dell'opponente e, nel (solo) caso in cui questi se ne sia effettivamente avvalso, risultano conseguentemente ridotti alla met anche i termini di costituzione ..." (Cass. civ., Sez. I, 1 settembre 2006, n. 18942). Rimette, pertanto, la decisione della questione pregiudiziale sollevata da parte opposta unitamente al merito. Lette le richieste formulate dai difensori delle parti e visto l'art. 183 sesto comma c.p.c. assegna i seguenti termini perentori: (.). CONTENZIOSO NAZIONALE 163 Comportamento antisindacale: cognizione del giudice ordinario (Cassazione, Sez. Un., ordinanza 24 settembre 2010 n. 20161) La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con lordinanza in esame ha posto fine al contrasto giurisprudenziale esistente in merito alla individuazione del giudice dotato di giurisdizione in ordine al ricorso ex art. 28 dello Statuto dei Lavoratori, proposto da una O.S. con riferimento ad un rapporto di lavoro non contrattualizzato e con il quale si chieda anche la rimozione del provvedimento lesivo della posizione individuale di un lavoratore. La Corte ha affermato il seguente principio: Ove la condotta antisindacale dellAmministrazione pubblica, patita dal sindacato, incida sulle prerogative dellassociazione sindacale e sulle situazioni individuali dei dipendenti pubblici il cui rapporto di impiego non sia stato contrattualizzato (quale quello intercorrente, nella specie, tra la Banca dItalia e i suoi dipendenti), non sussiste unesigenza costituzionale per derogare alla regola della giurisdizione del giudice ordinario. M.B. Corte di cassazione, Sez. Un., ordinanza del 24 settembre 2010 n. 20161 - Pres. Carbone, Rel. Amoroso, P.M. Sepe - Federazione italiana lavoratori bancari (FIBA CISL) - Sindacato territoriale di Roma (avv.ti Patrizi e Arrigo) c. Banca dItalia (avv.ti Perassi, Capolino, Vallebona) (Omissis)* 9. Nel merito del ricorso per regolamento preventivo, deve dichiararsi che sussiste la giurisdizione del giudice ordinario a conoscere della controversia pendente tra le parti. 10. La questione di diritto che pone il presente regolamento preventivo di giurisdizione se la giurisdizione del giudice ordinario - cui sono devolute sia tutte le controversie in materia di lavoro pubblico contrattualizzato (D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 63, comma 1), sia le controversie relative a comportamenti antisindacali delle pubbliche amministrazioni ai sensi dell'art. 28 Stat. lav. e le controversie relative alle procedure di contrattazione collettiva di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 40 (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 3, cit.) - sussista, o no, anche in riferimento ad una controversia promossa da un'associazione sindacale ed avente ad oggetto la repressione di un asserito comportamento antisindacale (ex art. 28 Stat. Lav.) di un ente pubblico non economico (la Banca d'Italia) in riferimento al rapporto di impiego dei suoi dipendenti che, in via di eccezione, si sottrae alla generale disciplina del lavoro pubblico "contrattualizzato" o "privatizzato" (ex art. 68, comma 4, in riferimento al D.Lgs. n. 29 del (*) La parte omessa della ordinanza tratta preliminarmente questioni procedurali. 164 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 1993, art. 2, comma 4, ora trasfusi rispettivamente nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 4, e art. 3, comma 1) ed rimasto regolato dalle normativa di settore come pubblico impiego (tali sono i dipendenti della Banca d'Italia perch questa svolge la sua attivit nelle materie concernenti la tutela del risparmio, l'esercizio della funzione creditizia e la valuta ex D.Lgs.C.P.S. 17 luglio 1947, n. 691, richiamato dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 3, comma 1, che individua il personale a regime pubblico: cfr. Cass., sez. un.. 24 ottobre 2005, n. 20475; id, 1 ottobre 2003, n. 14667). 11. La questione va collocata nel complessivo quadro normativo di riferimento evolutosi nel tempo, che ha visto un articolato sviluppo della giurisprudenza delle sezioni unite di questa corte, nonch plurime pronunce della Corte costituzionale. Giova partire dal testo originario la L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 28, che, per la repressione della condotta antisindacale, ha introdotto uno speciale procedimento bifasico, prima a cognizione sommaria quale procedura di tipo cautelare ed anticipatorio, poi a cognizione piena quale ordinario giudizio di primo grado, senza per contenere alcun riferimento n alcuna disposizione speciale per l'impiego statale ed in generale per il pubblico impiego. Operava quindi la norma di raccordo a carattere generale contenuta nel successivo art. 37 che prevedeva - e prevede tuttora - che le disposizioni della L. n. 300 del 1970, e quindi anche il suo cit. art. 28, si applicano altres ai rapporti d'impiego dei dipendenti degli "altri" enti pubblici (ossia diversi da quelli che svolgono esclusivamente o prevalentemente attivit economica), salvo che la materia sia diversamente regolata da norme speciali. La risalente giurisprudenza di questa corte (fin da Cass., sez. un., 6 maggio 1972, n. 1380; conf. Cass., sez. un., 27 novembre 1974, n. 3872; id., 27 marzo 1975, n. 1158; id., 8 aprile 1975, n. 1267; id., 18 dicembre 1975, n. 4163) ha per ritenuto che l'art. 37 non consentisse in radice l'applicazione dell'art. 28 Stat. lav. all'impiego statale; e neppure tale disposizione era applicabile al rapporto di impiego degli altri enti pubblici non economici laddove fosse rinvenibile una disciplina speciale di tutela del rapporto di pubblico impiego e delle prerogative sindacali (Cass., sez. un., 9 novembre 1974, n. 3477; conf. Cass., sez. un., 22 aprile 1975, n. 1558). 12. Le questioni di costituzionalit che all'epoca furono sollevate, anche ripetutamente da queste sezioni unite (per tutte v. Cass., sez. un., ord., 11 gennaio 1977, n. 6: id. 21 giugno 1979, n. 302; id., 11 settembre 1979, n. 412; id., 22 dicembre 1981, n. 638). non furono accolte dalla Corte costituzionale. Con sentenza n. 118 del 1976 la Corte costituzionale neg il lamentato contrasto dell'art. 37 Stat. lav. con gli artt. 3 e 24 Cost. e soprattutto con il principio di eguaglianza, essendo l'inapplicabilit all'impiego statale della normativa contenuta nella L. n. 300 del 1970 razionalmente giustificata in ragione della minuziosa e completa disciplina che regolava quest'ultimo e la sostanziale diversit di posizioni. Con la successiva sentenza n. 68 del 1980 la Corte costituzionale - dopo aver ribadito che l'esclusione dell'impiego statale dall'area in cui operava il congegno di raccordo normativo dell'art. 37 Stat. lav. si fondava su consistenti ragioni di ordine testuale, sistematico e sostanziale, ragioni che si prestavano ad essere ulteriormente specificate a proposito dell'art. 28 Stat. lav. ha negato che il principio di eguaglianza, sancito nell'art. 3 Cost., comma 1, esigesse l'estensione pura e semplice della disciplina dell'art. 28 Stat. lav. alle associazioni sindacali dei dipendenti dello Stato, affermando in particolare che tale libert sindacali sono tutelatali, nel settore del pubblico impiego, come avevano ritenuto le sezioni unite fin dal 1974, in qualit di situazioni di diritto soggettivo proprie ed esclusive del sindacato, attraverso i procedimenti CONTENZIOSO NAZIONALE 165 ordinari promossi innanzi al giudice civile; id est al di fuori del quadro dell'art. 28". Investita ancora da queste sezioni unite con plurime ordinanze di rimessione la Corte costituzionale, con sentenza n. 169 del 1982, ha dichiarato inammissibili le questioni sollevate, arrestandosi in sostanza di fronte all'impasse interpretativo, che quella Corte ha affermato ridondare nel ritenuto carattere ancipite delle questioni di costituzionalit sollevate da questa corte (e da ci la pronuncia di inammissibilit) ed in ragione del quale l'art. 28 Stat. lav. si esponeva alla duplice, ma alternativa, censura di violazione del principio di eguaglianza, se si riteneva la sua inapplicabilit ai sindacati dei dipendenti degli enti pubblici non economici, e di violazione del principio di ragionevolezza, se all'opposto si riteneva tale disposizione applicabile anche a tali sindacati, per il possibile contrasto di giudicati tra la pronuncia del giudice ordinario ex art. 28 Stat. lav. e quella del giudice amministrativo che all'epoca aveva giurisdizione esclusiva sul rapporto di pubblico impiego. 13. Intanto il legislatore era intervenuto, con normativa primaria (L. 20 marzo 1975, n. 70, art. 10) e subprimaria (D.P.R. 26 maggio 1976, n. 411, art. 54), per estendere l'applicabilit di alcune disposizioni dello Statuto dei lavoratori, tra cui il cit. art. 28, ai dipendenti del cd. parastato, con conseguente affermazione da parte di queste sezioni unite della giurisdizione del giudice ordinario a conoscere delle controversie proposte alle associazioni sindacali per la repressione delle condotte antisindacali di tali enti pubblici non economici (Cass., sez. un., 5 luglio 1979, n. 3820). Parimenti era stata ritenuta la giurisdizione del giudice ordinario per analoghe controversie ex art. 28 Stat. lav. promosse da associazioni sindacali nei confronti imprese di pubblico trasporto in regime di concessione (Cass., sez. un., 24 febbraio 1982, n. 1149). 14. Ma in generale la questione interpretativa tino ad allora dibattuta trovava una soluzione di carattere generale, di li a poco, in una serie di pronunce di queste sezioni unite (Cass., sez. un., 26 luglio 1984, nn. 4401, 4402, 4399, 4386, 4387, 4390, 4391 e 4395) le quali hanno affermato, come seguente principio di diritto, che a fronte di un comportamento antisindacale dell'amministrazione pubblica, datrice di lavoro, che impedisca o limiti l'esercizio della libert e dell'attivit delle organizzazioni sindacali, l'individuazione dei rimedi giurisdizionali di cui tali organizzazioni possono avvalersi, a tutela delle loro posizioni (aventi natura e consistenza di diritti soggettivi), va effettuata distinguendo il caso nel quale detto comportamento leda interessi propri ed esclusivi del sindacato (cd. diritti sindacali in senso stretto), dal caso nel quale presenti carattere plurioffensivo, in quanto, direttamente incidendo sulle posizioni del singolo dipendente, venga ad interferire anche nella sfera giuridica del sindacato, con lesione di suoi interessi strettamente collegati a quelli del dipendente (c.d. diritti sindacali connessi o correlati). Nella prima ipotesi, la tutela esperibile davanti all'autorit giudiziaria ordinaria, nella normale sede contenziosa, quando si tratti di dipendenti delle amministrazioni dello Stato, cui non si applica lo Statuto dei lavoratori, ovvero nella sede e nei modi previsti dall'art. 28 Stat. Lav., quando si tratti di dipendenti di enti pubblici non economici, cui tale disposizione si applica a norma del successivo art. 37 Stat. lav. ed in mancanza di apposita normativa speciale. Nella seconda ipotesi, sia che si tratti di dipendenti statali ovvero di dipendenti di altri enti pubblici non economici, tale tutela del sindacato spetta al giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva, in ragione del fatto che riguarda diritti che attengono oggettivamente al rapporto di pubblico impiego; tutela questa che deve ritenersi esperibile non in via eventuale ed indiretta, tramite intervento adesivo nel giudizio che promuova il dipendente, in quanto ci implicherebbe la possibilit 166 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 di carenza di difesa giurisdizionale per i diritti del sindacato, ma bens in via autonoma ed indipendente, mediante l'instaurazione di apposito giudizio innanzi al giudice amministrativo. E' il regime del doppio binario che vede la concorrenza della giurisdizione del giudice ordinario - per le controversie aventi ad oggetto le prerogative delle associazioni sindacali, fatte valere sia con giudizio ordinario di cognizione (quanto alle Amministrazioni statali) sia con la procedura di cui all'art. 28 Stat. lav. (per gli altri enti pubblici non economici in mancanza di una disciplina specifica: cfr. in particolare Cass.. sez. un., 26 luglio 1984, n. 4410, cit.) - e del giudice amministrativo, quanto alle controversie che, pur riguardando anche diritti del sindacato, tocchino per direttamente la posizione del dipendente pubblico, ci in ragione del c.d. comportamento plurioftensivo tenuto dall'ente pubblico non economico. Quindi - ha affermato Cass., sez. un.. 3 giugno 1985, n. 3288 - la giurisdizione del giudice ordinario sussiste nell'ipotesi nella quale venga denunciata una condotta che leda direttamente e soltanto diritti propri del sindacato. Invece - ha precisato Cass., scz. un., 4 luglio 1985, n. 4043 in caso di comportamenti antisindacali di un ente pubblico non economico, qualora si verifichi la lesione non di diritti sindacali in senso stretto, cio propri ed esclusivi delle associazioni sindacali, bens di diritti sindacali connessi o correlati, il cui pregiudizio sia configurabile soltanto in stretto collegamento con la lesione di diritti de dipendente, in quanto derivante da provvedimenti adottati a carico del dipendente stesso nell'ambito del rapporto di pubblico impiego, la tutela giurisdizionale delle predette associazioni sindacali esula delle attribuzioni del giudice ordinario, nella sede e nei modi previsti dall'art. 28 Stat. lav., e spetta al giudice amministrativo in via esclusiva, dato che investe posizioni oggettivamente attinenti al rapporto di pubblico impiego. 15. L'arresto giurisprudenziale del 1984 ha univocamente orientato la giurisprudenza degli anni successivi. Cfr., ex plurimis, Cass., sez. un., 16 luglio 1985, n. 4154, che ha ribadito che occorre distinguere a seconda che i comportamenti antisindacali ledano soltanto diritti sindacali in senso stretto, cio propri ed esclusivi di quelle organizzazioni, ovvero presentino un carattere plurioffensivo, in quanto, incidendo direttamente sulle posizioni soggettive del singolo dipendente, vengano anche a pregiudicare diritti sindacali connessi o correlati a tali posizioni individuali. Ci comportava un'asimmetria negli strumenti di tutela e nella conseguente regolamentazione della giurisdizione, affermandosi la giurisdizione ordinaria nel caso di associazioni sindacali che agivano per la tutela di prerogative sindacali proprie non incidenti sul rapporto di impiego dei dipendenti pubblici (nella normale sede contenziosa, in caso di amministrazioni dello Stato, stante l'inapplicabilit dello statuto dei lavoratori, oppure nella sede e nei modi previsti dall'art. 28 Stat. lav., ove si trattasse di enti pubblici non economici, ai quali lo statuto dei lavoratori era applicabile in mancanza di una disciplina specifica). Si riteneva invece la giurisdizione del giudice amministrativo nel caso in cui la condotta antisindacale dell'amministrazione pubblica investisse altres diritti oggettivamente attinenti al rapporto di pubblico impiego. In tale evenienza, come sussisteva la giurisdizione del giudice amministrativo sulle controversie di pubblico impiego, parimenti tale giurisdizione doveva essere affermata sulle controversie promosse dalle associazioni sindacali per la tutela di prerogative sindacali che incidevano anche sul rapporto di impiego, la cui violazione quindi non poteva che avere carattere plurioffensivo (cfr. altres Cass., sez., un., 28 novembre 1990, n. 11461). Insomma era l'eventuale carattere plurioffensivo della condotta antisindacale la chiave di volta del canone regolatore della giurisdizione. Era questo che - come ha pi volte ripetuto la giu- CONTENZIOSO NAZIONALE 167 risprudenza di questa corte negli anni successivi (Cass., sez. un., 25 marzo 1986, n. 2099: id., 9 aprile 1986, n. 2468; id., 9 aprile 1986, n. 2467; id., 21 maggio 1986, n. 3371; sez., 13 luglio 1987, n. 6092; id., 17 ottobre 1988, n. 5635; id., 17 marzo 1989. n. 1354; id, 20 luglio 1989, n. 3405; id, 12 dicembre 1989, n. 5524; 19 marzo 1990, n. 2292; id., 7 settembre 1990, n. 9236; 28 dicembre 1990, n. 12202; id, 5 febbraio 1991, n. 1084) - attraeva la controversia alla giurisdizione del giudice amministrativo, ossia allo stesso giudice che all'epoca aveva la giurisdizione esclusiva sul rapporto di pubblico impiego. Invece per posizioni di diritto soggettivo proprie ed esclusive del sindacato sussisteva la giurisdizione del giudice ordinario (Cass., sez. un., 21 maggio 1986, n. 3372; id, 7 settembre 1990, n. 9238; id, 15 novembre 1990, n. 11025; id, 11 dicembre 1990, n. 11778). 16. Su questo assetto giurisprudenziale, che scontava la difficolt di scriminare in termini netti e chiari la condotta antisindacale plurioffensiva da quella lesiva solo delle prerogative del sindacato, interviene una prima modifica normativa. La L. 12 giugno 1990, n. 146, art. 6, comma 1, (recante norme sull'esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali) innesta nell'art. 28 Stat. lav. due ulteriori commi: il sesto ("Se il comportamento di cui al comma 1 posto in essere da una amministrazione statale o da un altro ente pubblico non economico, l'azione quella ex art. 28 Stat. lav. proposta con ricorso davanti al pretore competente per territorio") ed il comma 7 ("Qualora il comportamento antisindacale sia lesivo anche di situazioni soggettive inerenti al rapporto di impiego, le organizzazioni sindacali di cui al comma 1, ove intendano ottenere anche la rimozione dei provvedimenti lesivi delle predette situazioni, propongono il ricorso davanti al tribunale amministrativo regionale competente per territorio, che provvede in via di urgenza con le modalit di cui al comma 1. Contro il decreto che decide sul ricorso ammessa, entro quindici giorni dalla comunicazione del decreto alle parti, opposizione davanti allo stesso tribunale, che decide con sentenza immediatamente esecutiva"). Viene quindi meno (con l'art. 28, nuovo comma 6) l'asimmetria tra lavoro pubblico e lavoro privato secondo una linea evolutiva della materia che gi era emersa nella disciplina di settore per i dipendenti del cd. parastato (cfr. la normativa sopra cit.) e che poi, nel corso dello stesso decennio, si svilupper ulteriormente con la cd. contrattualizzazione del lavoro pubblico sino al D.Lgs. n. 80 del 1998 (come ora si dir): il particolare procedimento di repressione della condotta antisindacale esteso a tutto campo perch pu avere ad oggetto il comportamento diretto ad impedire o limitare l'esercizio della libert e dell'attivit sindacale nonch del diritto di sciopero, posto in essere da una amministrazione statale o da un altro ente pubblico non economico. La giurisdizione quella del giudice ordinario; la competenza funzionale quella (all'epoca) del pretore quale giudice del lavoro. Ma nell'art. 28, nuovo comma 7 si riproduce in parte quella riserva alla giurisdizione del giudice amministrativo che era stata in precedenza ritenuta dalla sopra richiamata giurisprudenza di queste sezioni unite. Il concetto su cui ruota la disposizione ancora quel carattere di plurioffensivit della condotta antisindacale, che in precedenza valeva a scriminare tra giurisdizione del giudice ordinario e quella del giudice amministrativo e che ora opera per come condizione concorrente, non pi esclusiva. Infatti l'art. 28, nuovo comma 7 riserva alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie, promosse dalle associazioni sindacali legittimate ex art. 28, comma 1, che hanno ad oggetto un comportamento s antisindacale ossia diretto ad impedire o limitare l'esercizio della libert e dell'attivit sindacale nonch del diritto di sciopero, posto in essere da una amministrazione statale o da un altro ente pubblico non economico -ma che sia lesivo anche di situazioni soggettive inerenti al rapporto 168 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 di impiego (cd. plurioffensivit), sempre che l'associazione sindacale ricorrente intenda ottenere anche la rimozione dei provvedimenti lesivi delle predette situazioni. C' quindi nella nuova normativa, quanto al riparto di giurisdizione, un rapporto di regola ad eccezione. La regola la giurisdizione del giudice ordinano quale che sia l'amministrazione pubblica (anche statale) che abbia posto in essere il comportamento antisindacale; l'eccezione la giurisdizione del giudice amministrativo ove sussistano due condizioni: a) che la condotta antisindacale sia plurioffensiva nel senso che lesiva anche di situazioni soggettive inerenti al rapporto di impiego (per il quale all'epoca c'era ancora la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo); b) che, in tal caso, l'associazione sindacale ricorrente non chieda anche la rimozione dei provvedimenti lesivi delle predette situazioni. 17. Il quadro normativo, che emerge dalla novella del 1990, risulta cos pi chiaro e definito; ed anche la riserva alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ben circoscritta, come eccezione alla regola, ed pi agevolmente identificabile sulla base del petitum sostanziale: se, in presenza di una condotta antisindacale plurioffensiva, l'associazione sindacale ricorrente non chiedeva la rimozione del provvedimento lesivo non scattava, come eccezione alla regola, la giurisdizione del giudice amministrativo. Particolarmente significativa, in proposito, del carattere circoscritto e residuale della giurisdizione del giudice amministrativo in materia una pronuncia di questa corte (Cass., sez. un., 28 novembre 1997, n. 12042) che ha affermato che sussiste la giurisdizione del giudice ordinano anche nel caso in cui, pur essendo riscontrabile una condotta antisindacale plurioffensiva, il sindacato ricorrente, che inizialmente abbia chiesto anche la rimozione del provvedimento lesivo della posizione del pubblico dipendente, poi abbia abbandonato tale domanda insistendo solo in quella diretta alla cessazione del comportamento antisindacale. La giurisprudenza delle sezioni unite di questa corte si adeguata al nuovo corso normativo regolando la giurisdizione in materia sulla base del criterio introdotto dalla cit. L. n. 146 del 1990, art. 6, comma 1. In particolare Cass., sez. un., 17 febbraio 1992, n. 1911, ha enunciato un "nuovo" principio di diritto, regolatore della giurisdizione, affermando che la L. n. 146 del 1990, cit. art. 6, oltre ad estendere il procedimento previsto dall'art. 28 alla repressione della condotta antisindacale posta in essere da un'amministrazione statale in violazione di interessi propri ed esclusivi del sindacalo ed a prevedere anche davanti al giudice amministrativo, adito per la repressione della condotta antisindacale di carattere plurioffensivo (in quanto incidente anche sulla posizione del singolo dipendente pubblico), una fase sommaria ed urgente del procedimento, aveva modificato i precedenti criteri di riparto della giurisdizione fra giudice ordinario e giudice amministrativo, limitando quest'ultima ai soli casi in cui veniva richiesta dalle organizzazioni sindacali la rimozione dei provvedimenti lesivi di situazioni soggettive inerenti al rapporto d'impiego. Il corso successivo della giurisprudenza in linea con questo nuovo arresto (Cass., sez., un., 29 ottobre 1992, n. 11783; id., 5 febbraio 1993, n. 1449; id, 5 febbraio 1993, n. 1450; id., 12 marzo 1993, n. 3019; id, 17 luglio 1993, n. 7955; id, 13 dicembre 1993, n. 12261; id, 13 dicembre 1993, n. 12261; id, 17 marzo 1995, n. 3104; id., 22 marzo 1995, n. 3320; id., 10 maggio 1995, n. 5117; id., 20 gennaio 1996, n. 445; id., 6 febbraio 1997, n. 1136; id., 14 febbraio 1997, n. 1398; id, 28 novembre 1997, n. 12042, cit.; id, 22 luglio 1998, n. 7179; id, 27 luglio 1998, n. 7349; id, 7 agosto 1998, n. 7754: id., 24 agosto 1999, n. 592; id., 29 febbraio 2000, n. 49). In particolare Cass., sez. un., 5 febbraio 1993, n. 1450, cit., ha precisato che per effetto della L. 12 giugno 1990, n. 146, art. 6, ai fini della giurisdizione del giudice amministrativo in CONTENZIOSO NAZIONALE 169 ordine alla denuncia del comportamento antisindacale di un ente pubblico non economico, non sufficiente il carattere plurioffensivo (cio lesivo sia di situazioni soggettive proprie ed esclusive del sindacato sia di situazioni soggettive del lavoratore inerenti al rapporto di pubblico impiego) del comportamento denunciato, sussistendo detta giurisdizione solo nell'ipotesi in cui il sindacato non si limiti a chiedere la declaratoria d'illegittimit della condotta denunciata e la cessazione dei suoi effetti, ma richieda anche l'eliminazione del provvedimento lesivo delle suindicate situazioni soggettive dei pubblici dipendenti. E simmetricamente, ove invece manchi il carattere plurioffensivo della condotta sindacale, perch lesiva solo di prerogative del sindacato e non gi del pubblico dipendente, la domanda del sindacato ricorrente, diretta ad ottenere anche la rimozione del provvedimento lesivo, radica in ogni caso la giurisdizione del giudice ordinario. Cfr. Cass., sez. un., 22 luglio 1998, n. 7179, cit., che, nell'affermare la giurisdizione del giudice ordinario in una controversia ex art. 28 Stat. lav. promossa da un sindacato escluso dalle trattative svolte dall'ARAN ai fini di un rinnovo contrattuale, ha precisato che nel procedimento per la repressione della condotta antisindacale non vige il divieto per il giudice ordinario di annullamento di atti amministrativi. 18. Dopo la citata L. n. 146 del 1990 si inaugura la stagione della cd. privatizzazione (o meglio, contrattualizzazione) del lavoro pubblico: dal D.Lgs. n. 29 del 1993, al D.Lgs. n. 80 del 1990, fino al testo unico recato dal D.Lgs. n. 165 del 2001 (recentemente novellato in parte dal D.Lgs. n. 150 del 2009). Gi il D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 8 prevedeva il trasferimento alla giurisdizione ordinaria delle controversie riguardanti il rapporto di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche con esclusione di alcune materie. L'art. 68 veniva riformulato dal D.Lgs. n. 546 del 1993, art. 33 con l'espressa previsione della devoluzione al giudice ordinario delle controversie, attinenti al rapporto di lavoro in corso, in tema di diritti sindacali, comportamenti diretti ad impedire o limitare l'esercizio della libert e dell'attivit sindacale, nonch del diritto di sciopero e violazioni di clausole concernenti i diritti e l'attivit del sindacato contenute nei contratti collettivi. La disposizione viene riscritta ancora dal D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 29 nella formulazione che poi, salva un'ulteriore modifica apportata dal D.Lgs. n. 387 del 1998, art. 18 (non rilevante nella specie), sar trasfusa nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63; il successivo art. 69, comma 7, fissa poi lo spartiacque temporale (30 giugno 1998) del passaggio della giurisdizione dal giudice amministrativo al giudice ordinario. In particolare il D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 69, ripetutamente novellato, ed il D.Lgs. n. 165 del 2001, corrispondente art. 63 prevedono una duplice devoluzione di giurisdizione al giudice ordinario. Il comma 1 (di entrambe le disposizioni) devolve al giudice ordinario tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, ad eccezione di quelle relative ai rapporti di lavoro non "contrattualizzati". Il comma 3 devolve al giudice ordinario le controversie relative a comportamenti antisindacali delle pubbliche amministrazioni ai sensi dell'art. 28 Stat. lav. (ed altre controversie collettive). Il comma 4 poi pone l'eccezione alla regola del comma 1 - che infatti richiama sicch si stabilisce un aggancio testuale tra questi due commi - prevedendo due fattispecie che, residualmente, continuava a radicare la giurisdizione del giudice amministrativo: una relativa alle controversie in materia di procedure concorsuali per l'assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni (interpretata estensivamente dalla giurisprudenza delle sezioni unite di 170 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 questa corte fino a comprendere anche alcune ipotesi di concorsi interni); l'altra attinente alle controversie relative ai rapporti di lavoro sottratti alla privatizzazione (o contrattualizzazionc). Entrambe riguardano il rapporto di impiego - sicch consistono in controversie tra l'amministrazione pubblica datrice di lavoro ed il dipendente pubblico - e non gi il rapporto sindacale e quindi non riguardano le controversie tra il sindacato e l'amministrazione pubblica di cui all'art. 63 cit., comma 3. 19. Nella fattispecie ora in esame soprattutto la disposizione di questo art. 63 cit., comma 3 (e dell'art. 69 cit. che lo ha preceduto) che rileva al fine della decisione del presente ricorso per regolamento di giurisdizione. Ci che in particolare va osservato che la devoluzione al giudice ordinano delle controversie relative ai comportamenti antisindacali fatta testualmente - nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 3 - con riferimento ai comportamenti delle "pubbliche amministrazioni ai sensi della L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 28"; disposizione quest'ultima che, dopo essere stata novellata dalla L. n. 146 del 1990, art. 6, cit., riguardava toni court - nel suo comma 6 - i comportamenti di tutte le amministrazioni pubbliche, comprese quelle statali, e quindi a prescindere dal fatto che il rapporto di lavoro con i rispettivi dipendenti fosse, o meno, "contrattualizzato". Ossia manca nell'art. 63, comma 3 - n pu ricavarsi dal comma 4 che riguarda il rapporto di impiego e non gi il rapporto sindacale e che, anche testualmente, richiamalo solo dal comma 1 e non anche dal comma 3 - la clausola di esclusione che invece testualmente compare al comma 1 delle medesime disposizioni. E' solo quest'ultimo (il comma 1) che appunto, tra le controversie relative ai rapporti di lavoro, eccettua dalla devoluzione alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni di cui al comma 4 (ossia i rapporti di pubblico impiego non contrattualizzato, qual appunto quello alle dipendenze della Banca d'Italia). La mancata riproduzione, nell'art. 69 e art. 63 cit., comma 3, di tale clausola di esclusione non pu essere letta altrimenti che come espressiva della regola generale della devoluzione alla giurisdizione del giudice ordinario di tutte le controversie promosse dalle associazioni sindacali ex art. 28 Stat. lav. a prescindere dalla "contrattualizzazione", o meno, del rapporto di impiego. Ci peraltro era in sintonia con quanto gi la richiamata giurisprudenza di queste sezioni unite aveva affermato interpretando il comma 6 del novellato art. 28 Stat. lav. che - si ripete - gi aveva generalizzato - con l'eccezione di cui al successivo comma 7 (di cui si viene ora a dire) - l'accesso alla procedura di cui all'art. 28 Stat. Lav. alle associazioni sindacali in riferimento ai comportamenti antisindacali di tutte le amministrazioni pubbliche, a prescindere dalla contrattualizzazione, o meno, del rapporto di impiego con i dipendenti. In fondo il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 3 riproduttivo del canone gi posto dalla L. n. 146 del 1990, art. 1 nell'aggiungere il comma 6 all'art. 28 Stat. lav.. 20. Se per il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 3 (da ultimo, e prima ancora il D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 69, comma 3, come novellato nel 1998) non prevedeva - e non prevede tuttora - come eccezione alla regola generale della devoluzione al giudice ordinario delle controversie aventi ad oggetto i comportamenti antisindacali delle pubbliche amministrazioni con dipendenti in regime di lavoro non contrattualizzato, operava ancora, pur all'indomani della menzionata data del 30 giugno 1998 di trasferimento della giurisdizione al giudice ordinario, il comma 7 dell'art. 28 Stat. lav.; disposizione questa s che - in quanto non (ancora) abrogata (per un'applicazione di tale disposizione dopo il D.Lgs. n. 80 del 1998, che aveva formulato il nuovo D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 68, comma 3, v. Cass., sez. un., 29 febbraio 2000, n. 49) - continuava a prevedere un'eccezione alla giurisdizione del giudice ordinario, la quale per CONTENZIOSO NAZIONALE 171 doveva essere ricollocata nel nuovo contesto normativo. Se essa originariamente prevedeva, in via di eccezione, la giurisdizione del giudice amministrativo in caso di controversie ex art. 28 Stat. lav. in cui un'associazione sindacale, in possesso dei requisiti di legittimazione previsti da tale disposizione - chiedeva anche la rimozione del provvedimento amministrativo riguardante la posizione del singolo lavoratore, il cui rapporto radicava all'epoca la giurisdizione del giudice amministrativo, si aveva che, dopo il massiccio trasferimento di giurisdizione al giudice ordinario delle controversie di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, commi 1 e 3 (conseguente alla riformulazione del D.Lgs. n. 29 del 1993, cit. art. 69 ad opera del D.Lgs. n. 80 del 1998), occorreva ritagliare un ben pi limitato campo di operativit al comma 7 dell'art. 28 Stat. lav., circoscrivendolo appunto all'ipotesi in cui l'associazione sindacale ricorrente, lamentando una condotta antisindacale plurioffensiva, richiedesse la rimozione di un provvedimento lesivo della posizione di un singolo pubblico dipendente in regime di lavoro pubblico non contrattualizzato. Per la persistente operativit di tale eccezionale fattispecie residuale di giurisdizione del giudice amministrativo v. anche - ma in obiter dictum - Cass., sez. un., 21 novembre 2002, n. 16430, che peraltro ha ritenuto sussistere in quel caso di specie la giurisdizione del giudice ordinario, pur ipotizzando in vero, ma sempre solo in obiter dictum, non rilevante in causa, l'operativit dell'eccezione anche dopo l'abrogazione del sesto e comma 7 dell'art. 28. E' questa in sostanza la tesi della difesa della Banca resistente che per ritiene che questa situazione normativa si sia protratta fino ad oggi. 21. Ma cosi non . L'eccezione alla regola generale della giurisdizione del giudice ordinario sulle controversie promosse dalle associazioni sindacali per la repressione della condotta antisindacale delle pubbliche amministrazioni non poteva trovare fondamento nell'art. 63 cit., comma 3 che non ne contemplava alcuna n, a differenza del comma 1, richiamava l'eccezione del comma 4, ma aveva il suo riferimento normativo nell'ancora vigente comma 7 dell'art. 28 Stat. lav. limitatamente all'ipotesi in cui, in presenza di condotta antisindacale plurioffensiva, la richiesta del sindacato ricorrente di rimozione del provvedimento a contenuto antisindacale (o affetto da motivo antisindacale) riguardasse un rapporto di impiego non contrattualizzato, la cui gestione quindi era fatta dall'amministrazione pubblica con provvedimenti amministrativi e non gi "con la capacit e i poteri del privato datore di lavoro" secondo il D.Lgs. n. 165 del 2001, dettato art. 5, comma 2, come nel caso di lavoro pubblico contrattualizzato. Quindi all'indomani del generalizzato trasferimento della giurisdizione al giudice ordinario, di cui all'art. 63, commi 1 e 3, cit., residuava s questa eccezione in favore della giurisdizione del giudice amministrativo, ma si fondava sulla persistente vigenza del comma 7 dell'art. 28 Stat. lav.. 22. Questo quadro normativo muta ancora una volta con la L. 11 aprile 2000, n. 83, art. 4 (recante modifiche ed integrazioni della normativa in materia di esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali), che ha espressamente previsto che la L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 28, commi 6 e 7, introdotti dalla L. 12 giugno 1990, n. 146, art. 6, comma 1, sono abrogati. Con tale abrogazione espressa il legislatore ordinario ha "fatto pulizia", esprimendo la volont che la regola della giurisdizione in materia di controversie promosse da sindacati ed aventi ad oggetto condotte antisindacali di pubbliche amministrazioni sia solo quella - netta e chiara - del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 3, senza pi l'interferenza data dalla particolare ipotesi in cui l'associazione sindacale chieda la rimozione di un provvedimento che incida su 172 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 posizioni individuali di dipendenti pubblici regolate ancora con atti amministrativi e non gi con atti di gestione di diritto privato; ossia senza pi quell'eccezione (in favore della giurisdizione del giudice amministrativo) che residuava rispetto a quella che la giurisprudenza di queste sezioni unite degli anni novanta (sopra richiamata) aveva predicato in termini pi ampi e nel diverso contesto normativo sopra indicato. Se invece il legislatore avesse voluto far venir meno non gi proprio tutte le fattispecie previste dal comma 7 dell'art. 28 Stat. lav., ma "quasi" tutte, lasciandone alcune, avrebbe riformulato il comma 7, ridimensionandolo e prevedendo l'ipotesi in cui il sindacato ricorrente, in caso di condotta sindacale plurioffensiva, chieda la rimozione dei provvedimenti lesivi di situazioni soggettive inerenti a rapporti di impiego gestiti dall'amministrazione pubblica datrice di lavoro con provvedimenti amministrativi, per essere il rapporto di impiego "non contrattualizzato", e non gi "con la capacit e i poteri del privato datore di lavoro", tipica del rapporto di impiego "contrattualizzato". Il novum quindi nel criterio di regolamentazione della giurisdizione, per quanto rileva nel presente giudizio, - a ben vedere - riferibile essenzialmente alla L. 11 aprile 2000, n. 83, art. 4, che esprime una legittima, quanto ampia, discrezionalit del legislatore ordinario; laddove la determinazione del legislatore delegato espressa nel D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 69, comma 3, riformulato dal D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 29, proprio perch non si accompagnava all'abrogazione del sesto e del comma 7 dell'art. 28 Stat. lav., non innovava al di l di quanto non fosse coerente con la scelta del legislatore ordinario delegante di privatizzazione del pubblico impiego, sicch non possono sorgere in proposito dubbi di violazione della delega legislativa. 23. La giurisprudenza di queste sezioni unite del resto, quando, in epoca recente, e stata chiamata a decidere sulla giurisdizione in materia di controversie promosse dal sindacato per la repressione di condotta antisindacale di una pubblica amministrazione, tenendo ormai conto della sopravvenuta abrogazione dei commi 6 e 7 dell'art. 28 Stat. lav. ad opera della L. 11 aprile 2000, n. 83, art. 4, e pur pronunciandosi in controversie in cui venivano in rilievo fattispecie di lavoro pubblico contrattualizzato, ha affermato in termini assolutamente generali la giurisdizione del giudice ordinario, senza riserve o eccezioni di sorta. Cass., sez. un., 13 luglio 2001, n. 9541, ha richiamato la precedente giurisprudenza degli anni novanta (sulla rilevanza, in termini di giurisdizione, della condotta antisindacale plurioffensiva); ma ha aggiunto: "Questo quadro normativo stato tuttavia modificato con l'introduzione del nuovo sistema delineato dal D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, art. 68, nel testo sostituito dal D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, art. 29 e ulteriormente modificato dal D.Lgs. 29 ottobre 1998, n. 387, art. 18, che ha attribuito al giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro, una cognizione incondizionata in materia di condotta antisindacale delle pubbliche amministrazioni; la L. 11 aprile 2000, n. 83, art. 4 ha quindi provveduto alla abrogazione della L. n. 300 del 1970, art. 28, commi 6 e 7 aggiunti dal legislatore del 1990". Quindi, dopo il trasferimento della giurisdizione al giudice ordinario di cui al D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 69, comma 3, come novellato dal D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 29, e poi trasfuso nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 3, e dopo l'abrogazione dei commi 6 e 7, dell'art. 28 Stat. lav. ad opera della L. n. 83 del 2000, art. 4, la giurisdizione del giudice ordinario costituisce una "cognizione incondizionata", ossia senza che ci sia pi l'eccezione della giurisdizione del giudice amministrativo nelle ipotesi in cui, nel previgente quadro normativo, tale eccezione era predicabile e - pu aggiungersi - senza che residui neppure quell'eccezione che era predicabile nel periodo di tempo in cui stato ancora vigente il comma 7 dell'art. 28 Stat. CONTENZIOSO NAZIONALE 173 lav. nel contesto dell'intervenuto trasferimento alla giurisdizione del giudice ordinario delle controversie relative a comportamenti antisindacali delle pubbliche amministrazioni. Questo principio stato espressamente confermato da Cass., sez. un., 7 febbraio 2002, n. 1761; parimenti di "cognizione incondizionata" del giudice ordinario in questa materia parla anche Cass., sez. un., 24 gennaio 2003, n. 1127. Analogamente Cass., sez. un., 2 maggio 2005, n. 10064, ha affermato che "la L. n. 83 del 2000, gi citato art. 4 ha eliminato ogni dubbio sulla individuazione della giurisdizione, con il definitivo passaggio della giurisdizione per ogni forma di condotta antisindacale al giudice ordinario che diventa, pertanto, giudice esclusivo per materia". Quanto alla giurisprudenza amministrativa Cons. Stato, sez. 1^, parere, 12 giugno 2002, n. 1647/02, ha affermato che appartengono alla cognizione del giudice ordinario le controversie riguardanti il comportamento antisindacale del datore di lavoro pubblico, anche con riferimento alle categorie di pubblici dipendenti - quale, nella specie, le forze di polizia - escluse dalla privatizzazione, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 3. 24. La generalizzazione della giurisdizione del giudice ordinario, conseguente alla devoluzione di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 3, senza l'eccezione predicata dalla difesa della Banca resistente, e all'abrogazione tout court dei commi 6 e 7, dell'art. 28 Stat. lav. ad opera della L. n. 83 del 2000, art. 4, che fondavano l'individuazione di eccezioni alla giurisdizione del giudice ordinario, conducono all'affermazione che sussiste la giurisdizione del giudice ordinario anche nell'ipotesi in cui il comportamento antisindacale dell'amministrazione pubblica incida non solo sulle prerogative dell'associazione sindacale ricorrente ex art. 28 Stat. lav., ma altres su situazioni individuali di dipendenti pubblici il cui rapporto di impiego non sia stato "contrattualizzato". E' vero - come stato notato in chiave problematica - che possibile che in questa fattispecie vi siano due controversie in qualche misura connesse: quella promossa, innanzi al giudice ordinario ex art. 28 Stat. lav., dal sindacato per la repressione del comportamento antisindacale dell'amministrazione pubblica, e quella promossa, innanzi al giudice amministrativo, dal dipendente non "privatizzato", perch ancora in regime di lavoro pubblico, per contestare la legittimit di un provvedimento, incidente sul suo rapporto di impiego, affetto, in ipotesi, da un motivo di discriminazione sindacale. Questa situazione stata allegata come indicativa della possibile violazione, sul piano costituzionale, del principio di ragionevolezza (oltre che dell'ari. 25 Cost.). Ma la Corte costituzionale (C. cost., ord., n. 143 del 2003) da una parte ha avallato come praticabile la soluzione interpretativa - qui accolta - secondo cui "l'abrogazione della L. n. 146 del 1990, citato art. 6, comma 1, comporterebbe in ogni caso la devoluzione al giudice ordinario dell'azione ex art. 28 Stat. lav. promossa dall'organizzazione sindacale, anche se tale azione incidesse, attraverso la richiesta di rimozione degli effetti del comportamento antisindacale, su rapporti di lavoro non "privatizzati", mentre il pubblico dipendente potrebbe far valere la sua situazione soggettiva individuale davanti al giudice amministrativo ex art. 63, comma 4, citato". D'altra parte ha aggiunto che tale soluzione interpretativa "implica o b1) una prevenzione del paventato conflitto di giudicati, attraverso il coordinamento, ex art. 295 c.p.c., dell'azione individuale con quella promossa dal sindacato, ovvero b2) la radicale negazione di ogni possibilit di conflitto pratico di giudicati, riconoscendo la totale autonomia delle due azioni in quanto volte a tutelare distinte situazioni sostanziali". E pertanto - ha concluso la Corte - "del tutto insussistente la violazione dell'art. 25 Cost., cos come insussistente la lamentata irragionevolezza della disciplina (ex art. 3 Cost.)". Non c' quindi sulla scorta di tale specifico precedente della Corte - un'esigenza costituzionale 174 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 per cui, ove la condotta antisindacale patita dal sindacato incida anche su un rapporto di impiego non "contrattualizzato", debba derogarsi alla regola, posta dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 3, della giurisdizione del giudice ordinario. 25. In conclusione sussiste - nella controversia pendente tra le parti, di opposizione a decreto emesso ex art. 28 Stat. lav. - la giurisdizione del giudice ordinario pur se la denunciata condotta antisindacale, oggetto di tale giudizio promosso dalle associazioni sindacali opponenti nei confronti della Banca resistente, afferisca ad un rapporto di pubblico impiego non contrattualizzato qual quello intercorrente tra la Banca ed i suoi dipendenti. 26. Alla soccombenza consegue la condanna della Banca d'Italia resistente al pagamento delle spese processuali di questo giudizio di cassazione nella misura liquidata in dispositivo con distrazione in favore dell'avv. Giovanni Patrizi dichiaratosi antistatario. P.Q.M. La Corte, a Sezioni Unite, pronunciandosi sul ricorso, dichiara la giurisdizione del giudice ordinario; condanna la resistente Banca d'Italia al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione liquidate in Euro 200,00 (duecento) oltre Euro 3.500,00 (tremilacinquecento) per onorario d'avvocato ed oltre IVA, CPA e spese generali, con distrazione in favore dell'avv. Giovanni Patrizi antistatario. CONTENZIOSO NAZIONALE 175 Non deducibilit reddituale, per le societ di capitali, dei compensi pagati ai propri amministratori Estensione del precedente oppure clamorosa svista? (Cassazione, Sez. V Civ., ordinanza 13 agosto 2010 n. 18702) SOMMARIO: 1. Il caso deciso. - 2. La questione. - 3. La risposta di Cass., sez. trib., ord. 13 agosto 2010, n. 18702. - 4. Nota esplicativa. - 5. Precedenti giurisprudenziali. - 6. Spunti bibliografici. 1. Il caso deciso Il sub judice pu essere sintetizzato come segue. Una societ a responsabilit limitata, relativamente a un periodo dimposta anteriore al 2004 - dunque nella vigenza del d.p.r. n. 917/1986 (T.U.I.R.) ante IRES -, riceveva in notifica dallAgenzia delle Entrate un avviso di accertamento, il quale disconosceva la operata deduzione, ai fini impositivo-reddituali, dei compensi corrisposti ai propri amministratori. La medesima societ contribuente si vedeva dipoi respingere il proprio ricorso dinnanzi al giudice tributario di prime cure, con un successivo ribaltamento del dispositivo, e sentenza in favore della societ stessa, da parte della Commissione Tributaria Regionale di Genova. A fronte di ci lAgenzia delle Entrate, con il patrocinio dellAvvocatura Generale dello Stato, ricorreva per la cassazione della pronuncia di seconde cure. La tesi della Commissione Tributaria Regionale era quella per cui, in una con quanto sosteneva (in conformit con il proprio operato) la societ ricorrente, i compensi erogati ai propri amministratori da una societ di capitali possono bens essere dedotti da questultima nella determinazione del proprio reddito imponibile, ma non gi nellesercizio individuato per cassa e invece soltanto nellesercizio allinterno del quale si colloca (anche successivamente a quello della erogazione di detti compensi) la delibera assembleare ex art. 2389 c.c. I Giudici della Sezione Tributaria di piazza Cavour, con lordinanza annotata ed emessa ex art. 375 n. 5 c.p.c., affermano anzitutto, sul piano del rito, che la non-deducibilit tout court dei compensi in parola era stata rilevata nellavviso di accertamento, sebbene non in atti processuali; il che basta, per la Corte stessa, ai fini del contraddittorio e delloggetto del processo. Tale assunto deriva dal fatto che come da ultimo chiarito da Cass. Sez. Un. n. 30055/2008 (citata dallordinanza in rassegna) se vero che il giudizio tributario vede per sua natura la P.A. attrice con il proprio atto impositivo poi impugnato dal contribuente, altres vero che il processo nascente dallimpu- 176 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 gnazione dellatto autoritativo dimposizione limitato da questultimo proprio nel senso che lentit della pretesa tributaria non pu, nel processo, avere una portata diversa da quella risultante dallatto medesimo: con il che, secondo il Supremo Collegio, nel caso di specie sempre di diniego della deduzione dei compensi agli amministratori si trattava, sia che tale tesi fosse supportata dal richiamo al criterio di cassa anzich di competenza, sia che alla base della tesi del diniego di deducibilit vi fosse invece una negazione aprioristica e valevole in ogni caso, stante il contenuto della deduzione medesima. La causa, quindi, decisa con ordinanza anzich con sentenza, e senza pubblica udienza, anche perch sussiste, ad avviso della Sezione Tributaria della Suprema Corte, una manifesta fondatezza basata su precedenti. La causa decisa, quanto al merito, nel senso che - come anticipato - i compensi corrisposti da una societ di capitali ai membri del proprio consiglio di amministrazione non sono deducibili, nella determinazione del reddito imponibile ad IRPEG della societ amministrata; e ci in base allart. 62 T.U.I.R., quale vigeva ante riforma introduttiva dellIRES (in vigore il 1 gennaio 2004). 2. La questione Concentrandoci, in questa sede, sulla questione di merito (e tralasciando - per economia della presente nota - quella strettamente processual-tributaria), il quesito di diritto, cui la pronuncia in rassegna risponde, il seguente: sono deducibili, nella determinazione del reddito imponibile di una societ di capitali, i compensi da questa erogati ai membri del proprio consiglio di amministrazione? 3. La risposta di Cass., sez. trib., ord. 13 agosto 2010, n. 18702 Il Supremo Collegio, basandosi sul precedente di Cass. n. 24188 del 2006, interpreta e applica lart. 62 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (tale qual era fino alla riforma del 2003, in vigore dallinizio del 2004), desumendone la non deducibilit, in quanto tali, dei compensi erogati da societ di capitali ai propri amministratori, membri dellorgano collegiale di gestione. Tale assunto di diritto si basa apertis verbis sul precedente della pronuncia del 2006 test richiamata, laddove era stato affermato che i compensi in parola vanno equiparati a quelli corrisposti allimprenditore [da s medesimo], visto che lamministratore, al pari dellimprenditore, svolge per lente amministrato unattivit priva dei requisiti propri della subordinazione. Ed il fatto che detto precedente si riferisse al caso particolare dellamministratore unico di societ di capitali, mentre il caso sub judice quello di un membro del consiglio di amministrazione, costituisce, secondo lordinanza di cui trattasi, un dato dif- CONTENZIOSO NAZIONALE 177 ferenziale irrilevante, stante lunivocit au fond di unasserita identit di ratio. 4. Nota esplicativa 4.1. In tema di reddito dimpresa, lart. 62, comma 1, T.U.I.R. - ante d.lgs. n. 344 del 2003 (in vigore dal 1 gennaio 2004) - dispone, in via generale, che le spese per prestazioni di lavoro dipendente deducibili nella determinazione del reddito comprendono anche quelle sostenute in denaro o in natura a titolo di liberalit a favore dei lavoratori, salvo il disposto del comma 1 dellart. 65. Il comma 2 dellarticolo medesimo, per parte sua, cos recita: Non sono ammesse deduzioni a titolo di compenso del lavoro prestato o dellopera svolta dallimprenditore, dal coniuge, dai figli affidati o affiliati minori di et o permanentemente inabili al lavoro e degli ascendenti, nonch dei familiari partecipanti allimpresa di cui al comma 4 dellart 5 . Aggiunge, da ultimo, il comma in parola quanto segue: I compensi non ammessi in deduzione non concorrono a formare il reddito complessivo dei percipienti. Il successivo comma 3 dellarticolo stesso stabilisce a sua volta che i compensi spettanti agli amministratori delle societ in nome collettivo e in accomandita semplice sono deducibili nellesercizio in cui sono corrisposti; quelli erogati sotto forma di partecipazione agli utili sono deducibili anche se non imputati al conto dei profitti e delle perdite. In ordine al primo comma, si osserva in dottrina che trattasi di disposizione pleonastica, poich la deducibilit delle spese per retribuire personale dipendente discende dal concetto stesso di reddito dimpresa, siccome derivante dalle risultanze del conto economico e pur fatte salve le variazioni in aumento o in diminuzione contemplate dalle norme tributarie. Da qui, non a caso, dipende il fatto che lart. 62 contempla, nel suo prosieguo, taluni casilimite, meritevoli di apposita disciplina ai fini della determinazione del reddito imponibile dellimpresa erogante. Laddove, al suo comma 2, la norma prevede infatti la non deducibilit dei compensi di lavoro per lopera svolta dallo imprenditore, essa , per i pi, da leggersi nel senso di riferirsi allattivit prestata dallimprenditore erogante medesimo. Nel caso, cio, della impresa individuale, a fini antievasivosimulatori la disciplina tributaria impedisce di portare in deduzione, nella determinazione del reddito imponibile, eventuali auto-compensi (c.d. salari figurativi), a se stesso corrisposti dallimprenditore per lattivit da s prestata nella sfera dellimpresa. Che questa sia la corretta lettura del comma 2 su citato, desumibile dal fatto che il prosieguo del comma medesimo in chiara omologia di ratio antievasivo-simulatoria stabilisce la indeducibilit di compensi erogati, sempre per attivit di lavoro prestate allimpresa, ai pi stretti congiunti dellimprenditore individuale beneficiario del lavoro stesso. Daltronde, il su riportato comma 3 dellart. 62 T.U.I.R., costituente la 178 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 norma specificamente dedicata alle spese sostenute dallimprenditore, non gi individuale bens collettivo, per compensare i suoi amministratori, stabilisce semplicemente una eccezione alla regola generale sul criterio di competenza nel reddito dimpresa, prevedendo la deduzione dei compensi agli amministratori secondo una regola (eccezionale appunto) di cassa. Ci ancora una volta con finalit di accertamento, e senza contemplare limiti alla deduzione in parola, nemmeno a proposito dei compensi agli amministratori-soci (a differenza di quanto accadeva, prima del T.U.I.R., nella vigenza del d.p.r. n. 597 del 1973 istitutivo dellIRPEF). Per evitare, poi, fenomeni di doppia imposizione, lultimo periodo del comma 2 dellart. 62 opportunamente precisa che quei compensi di lavoro, corrisposti dallimprenditore a s medesimo e/o ai suoi familiari pi stretti, senza possibilit di deduzione ai fini reddituali, non concorrono alla formazione del reddito imponibile in capo ai percettori. Ci detto, rimane da spiegare in rapida esegesi la ratio del riferimento, contenuto nel comma 3 dellart. 62 su riportato, agli amministratori delle sole societ di persone e non a quelli di societ di capitali. Tale ratio va semplicemente reperita nellassetto strutturale del T.U.I.R. ante IRES, nel senso che segue. Lart. 62 ivi si colloca nellambito delle disposizioni relative al reddito dimpresa nellimposta sul reddito delle persone fisiche (artt. 49-80), laddove sono contemplate, oltre allimprenditore individuale, le - redditualmente trasparenti - societ in nome collettivo e in accomandita semplice (e ci, per vero, nel preconcetto del divieto di partecipazione di societ di capitali in societ di persone, che in allora era gi criticato dalla dottrina ma coonestato dalla giurisprudenza di legittimit, non ancora superata dalla riforma societaria). Per quel che riguardava infatti le societ di capitali, bisogna(va) mettere mano ai successivi artt. 86 e seguenti dello stesso T.U.I.R., dedicati allimposta sul reddito delle persone giuridiche. Ed invero, per ci che riguarda le societ di capitali soggette allallora vigente IRPEG (imposta sul reddito delle persone giuridiche), in punto di esborsi a titolo di compensi per gli amministratori viene in considerazione il combinato disposto di cui agli artt. 89 e 95, T.U.I.R. (sempre versione ante 2004), ai sensi del quale la base imponibile si determina semplicemente secondo le disposizioni di cui agli artt. 52-87 T.U.I.R., dettati in tema di reddito dimpresa soggetto ad IRPEF. Talch, in mancanza di norma derogatoria sul punto, i compensi corrisposti da una societ di capitali ai propri amministratori dovevano reputarsi deducibili nella determinazione del reddito IRPEG della societ erogante, visto il rinvio di cui allart. 95 (tale da equiparare societ di persone e societ di capitali). Questo, dunque, il quadro delle norme rilevanti nella ordinanza in rassegna, in una con una sua linea significante. 4.2. Lordinanza in commento - come anticipato supra ai par. 1-3 -, oc- CONTENZIOSO NAZIONALE 179 cupandosi di un caso ante 2004 (al quale si applica il T.U.I.R. nella sua versione che precede lIRES), esclude, in capo a una societ di capitali - una s.r.l. in ispecie - l'ammissibilit di deduzioni a titolo di compenso per il lavoro prestato o l'opera svolta dall'imprenditore, limitando la deducibilit delle spese per prestazioni di lavoro a quelle sostenute per lavoro dipendente e per compensi spettanti agli amministratori di societ di persone. Per leffetto, reputando secondaria nella fattispecie la questione della deducibilit per cassa ovvero per competenza, il Collegio Supremo non consente di dedurre dall'imponibile il compenso all'amministratore di societ di capitali, argomentando nel senso che la posizione di quest'ultimo equiparabile, sotto il profilo giuridico, a quella dell'imprenditore, poich non individuabile, in relazione alla sua attivit gestoria, la formazione di una volont imprenditoriale distinta da quella della societ, e non ricorre quindi quell'assoggettamento all'altrui potere direttivo, di controllo e disciplinare, che costituisce il requisito tipico della subordinazione cos come statuito dal precedente, reputato dallAlta Corte decisivo, di cui a Cass., sent. n. 24188 del 2006. Sol che si scorra tale ultima pronuncia, ci si avvede del fatto che essa inerisce a un caso in cui al centro del dibattito stava la questione della compatibilit o meno, in prospettiva impositivo-reddituale, della simultanea qualit di amministratore unico di societ di capitali e di lavoratore subordinato. Ad avviso della ulteriormente pregressa giurisprudenza, per lo pi lavoristica, nel caso di soci amministratori si concretizza un rapporto di lavoro dipendente compatibile con la carica gestionale, quando lattivit espletata non rientra nel mandato ed in forma subordinata, ossia sotto la direzione del consiglio di amministrazione: s ch, per la configurabilit di un rapporto di lavoro subordinato fra un membro del consiglio di amministrazione di una societ di capitali e la societ stessa, necessario lassoggettamento al potere direttivo, di controllo e disciplinare dellorgano di amministrazione della societ nel suo complesso, nonostante la suddetta qualit di membro del consiglio di amministrazione (Cass., sent. n. 6819 del 2000). Le due qualifiche - si diceva, cio, in sede lavoristica gi prima del precedente tributario di Cass. n. 24188/2006 - non possono coesistere in quanto, se cos non fosse, lamministratore unico sarebbe subordinato a se stesso, il che costituisce una evidente contraddizione in termini. S che, in questa prospettiva didenticit tra impresa e amministratore unico in ottica sia laburistica sia tributaria, il compenso erogato a quegli diventa simile al c.d. salario figurativo (o auto-compenso), che limprenditore individuale eroga a se stesso senza possibilit di deduzione ai fini impositivoreddituali (v., supra, par. 4.1). Ed infatti, alla luce della equiparazione laburistica tra lattivit gestoria svolta dallamministratore unico di societ e quella svolta dallimprenditore, la Sezione Tributaria della Corte nel 2006 ha ritenuto che non ammessa in 180 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 deduzione la spesa sostenuta a titolo di compenso per il lavoro prestato e per lopera svolta dallamministratore unico di una societ di capitali, trovando ci conferma negli artt. 60 e 95 TUIR ante IRES, i quali escludono espressamente la deducibilit del compenso per lopera prestata o per il lavoro svolto dallimprenditore, e non essendo configurabile - si disse apertis verbis in quella sentenza quattro anni or sono - il salario cosiddetto figurativo (cio a dire un compenso di lavoro che limpresa collettiva finisce col pagare a se stessa). 4.3. Soltanto alla luce di un quadro quale quello fin qui tratteggiato - comprensivo per un verso di talune norme vigenti ante 2004 e per altro verso di un certo filone giurisprudenziale -, possibile comprendere il dictum della ordinanza sopra riportata. La Corte conclude ritenendo che la sentenza impugnata, nella parte in cui ha riconosciuto la deducibilit dei compensi agli amministratori membri di C.d.A., ispirata a un erroneo principio di diritto, non tanto perch i compensi degli amministratori di societ di capitali siano deducibili per cassa anzich per competenza, ma piuttosto, prioritariamente, perch essi non sono affatto deducibili siccome tali. Non sono deducibili poich dice la Corte il Supremo Collegio ha gi avuto modo di statuire che lamministratore di societ di capitali, per il ruolo e lattivit funzionale che svolge in seno ad essa, non pu essere considerato lavoratore dipendente, ma deve piuttosto essere assimilato allo imprenditore di cui allart. 62, comma 2 secondo periodo, T.U.I.R. Va ribadito che, cos argomentando, la S. C. va oltre il precedente che essa stessa asserisce essere dirimente nel caso di specie (cio a dire Cass., sez. trib., n. 24188 del 2006), ed estende lassunto ivi formulato id est non deducibilit dei compensi ad amministratori di societ di capitali per assimilazione ai compensi pagati a imprenditori anche ai casi degli amministratori (di societ di capitali) non unici: e ci in quanto che, secondo i Giudici della Sezione Tributaria di piazza Cavour, sussisterebbe (e lo si dice apertamente in ordinanza) una identit di ratio situazionale. 4.4. Arduo il revocare in dubbio che lart. 62, comma 3, del vecchio TUIR, seppure riferito alla deducibilit dei compensi spettanti agli amministratori della societ in nome collettivo e in accomandita semplice, debba essere riferito anche ai soggetti IRPEG - e ci in dipendenza del rinvio operato dallart. 95 dello stesso TUIR. Ed invece gli che, a leggere con attenzione la breve motivazione della ordinanza in rassegna - segnatamente laddove essa riprende la relazione scritta del Giudice Relatore -, ci si avvede del fatto che ivi si inteso negare - proprio sulla scorta dellart. 62, comma 2 - la deducibilit di qualsivoglia compenso CONTENZIOSO NAZIONALE 181 erogato da societ di capitali, anzich di persone, ai propri amministratori. Qui, in effetto, largomento dei Giudici di piazza Cavour lascia un poco perplessi. Tuttavia - lo si osserva a scanso di equivoci in termini di asserito errore o svista giudiziale -, pur adottando una lettura ermeneutica estensiva dellart. 287 c.p.c., capace di includere nello errore materiale anche la svista del Giudice - nel senso della erronea percezione del reale inclusivo dei codici -, nel caso di specie resta difficile il sussumere, nella sfera di applicazione di detta norma, lordinanza de qua, se vero come vero che il rinvio di cui allart. 95 T.U.I.R. non pu dirsi testualmente riferito al sintagma s.n.c. e s.a.s., contenuto nellart. 62 comma 3, nel senso di sostituire immediatamente - e non mediatamente - a esso il sintagma societ di capitali. S che lipotetico errore della ordinanza in commento - sul punto societ di persone/di capitali - si colloca nella sfera cognitiva, e non gi percettiva, del giudice: dunque al di fuori del correggibile ai sensi del codice di rito, ancorch si pensi alla rettificabilit degli errori e delle omissioni in una prospettiva che vada oltre il mero dato scritturale. Sotto questo aspetto, quei primi commentatori i quali divisano, nella ordinanza de qua, un increscioso incidente della Sezione Tributaria dellAlta Corte (individuandone la causa efficiente in uneccessivit della mole di contenzioso fiscale da sbrigare in sede nomofilattica), lasciano piuttosto indifferenti. Appare, cio, inane lo strapparsi le vesti (sebbene in senso figurato, ovviamente) come se si fosse al cospetto di uno scandalo, dacch lo scandaglio delle cose oltre la superficie mena allessenza della interpretazione giuridica in quanto tale: unessenza per cui il diritto fatto di norme, le quali a loro volta sono fatte di parole, soggette in quanto tali allermeneutica e al suo (gadameriano) circolo aperto. 4.5. E opportuno in conclusione ricordare che, con risoluzione (su interpello) n. 158 del 27 maggio 2002, lAgenzia delle Entrate aveva precisato che lart. 62, comma 2, vecchio T.U.I.R., laddove in termini dindeducibilit fa menzione dei compensi corrisposti allimprenditore, deve essere letto come facente riferimento allimprenditore individuale persona fisica, visto nel suo essere destinatario del compenso e nel contempo soggetto erogante. Trattasi del c.d. salario figurativo, od auto-compenso che dir si voglia, gi (supra) menzionato. La Pubblica Amministrazione, cio, aveva - in prassi del 2002 - letto quella norma nel senso pi acconcio, che ritroviamo nel precedente di Cassazione del 2006. La visuale quella di una ratio antievasiva dellart. 62, comma 3 - laddove allo imprenditore fa riferimento -, similmente a quanto ivi previsto per i compensi da lavoro erogati, dallo stesso imprenditore individuale, agli stretti congiunti. 182 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 Tutto ci evidenzia, ancora una volta, che il problema della ordinanza in rassegna non scaturisce dal nulla ex novo, bens risale addietro nel tempo lungo il filone dei dicta del Giudice di Legittimit, se vero come vero che gi nel 2006 (sulla scorta di quanto gi detto prima, se pure in altra Sezione) la Suprema Corte aveva ragionato in termini di amministratore unico di societ di capitali assimilabile allo imprenditore nellalveo dellart. 62, comma 3, vecchio T.U.I.R. La qual cosa, per essere messa in discussione, devesserlo storicamente ab imis, senza per ci la necessit di divisare adesso - sviste infortunistiche in capo allAlta Corte, bens concentrandosi sulla nuova estensione concettuale del pregresso assunto, fino a comprendervi gli amministratori (di societ di capitali) non unici ma consiliari. Una estensione concettuale - questultima - che pu essere in effetto stridente, laddove essa sposti anche lasse del discorso dallidea dellauto-compenso, o salario figurativo, a quella di compenso erogato a un terzo imprenditore. Anche qui, comunque, siamo nellambito della sfera cognitiva, e non gi meramente percettiva, del Giudice in ordinanza. 5. Precedenti giurisprudenziali Cass., Sez. trib., 12 novembre 2006, n. 24188; Cass., Sez. lavoro, 24 maggio 2000, n. 6819. 6. Spunti bibliografici F. M. GIULIANI, La simulazione dal diritto civile allimposizione sui redditi, Cedam, 2009; F. M. GIULIANI, Essenza dellinterpretazione, in Contratto e impresa, 2002, p. 1362 ss.; F. CARINGELLA, Manuale di diritto amministrativo, Dike, 2009; F. CARINGELLA, Compendio di diritto amministrativo, Dike, 2010; Ag. Entrate, ris. n. 158 /E del 27 maggio 2002, a http://www.finanzaefisco. it/agenziaentrate/cir_ris_2002/ris158-02.htm Avv. Federico Maria Giuliani, LL.M.* (*) Avvocato del libero foro di Milano, Master of Laws, gi Professore a contratto nella Universit degli Studi del Piemonte Orientale Amedeo Avogadro. CONTENZIOSO NAZIONALE 183 Corte di cassazione, Sez. Tributaria, ordinanza 13 agosto 2010 n. 18702 - Pres. Lupi, Rel. DAlessandro, P.M. Iannelli - Agenzia delle Entrate (avv. gen. Stato) c. Donato & C. s.r.l. (avv.ti Manzi e Glendi). Sent. Comm. Trib. Reg. Liguria, Sez. 4, n. 78/07. (Omissis) FATTO E DIRITTO Considerato che il Consigliere relatore, nominato ai sensi dell'art. 377 c.p.c., ha depositato la relazione scritta prevista dall'art. 380-ter, nei termini che di seguito si trascrivono: "L'Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Liguria che, in riforma della pronuncia di primo grado, ha accolto il ricorso della societ contribuente contro un avviso di accertamento per IRPEG, IVA E IRAP. La societ resiste con controricorso. Il ricorso contiene due motivi. Pu essere trattato in camera di consiglio (art. 375 c.p.c., n. 5) ed accolto, per manifesta fondatezza del primo motivo, assorbito il secondo, alla stregua delle considerazioni che seguono: Si controverte esclusivamente in ordine alla deducibilit del compensi agli amministratori di societ di capitali. Il giudice tributario - accogliendo la tesi della societ - ha affermato che detti compensi sono deducibili nell'anno, pur successivo a quello di erogazione, in cui sia intervenuta la delibera ex art. 2389 c.c. mentre l'Agenzia, in base al disposto del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 62, sostiene che essi non siano nella specie deducibili. Il mezzo manifestamente fondato, pur se per motivi non coincidenti con quelli sviluppati dalla ricorrente. Questa Corte ha infatti affermato che il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 62, il quale esclude l'ammissibilit di deduzioni a titolo di compenso per il lavoro prestato o l'opera svolta dall'imprenditore, limitando la deducibilit delle spese per prestazioni di lavoro a quelle sostenute per lavoro dipendente e per compensi spettanti agli amministratori di societ di persone, non consente di dedurre dall'imponibile il compenso per il lavoro prestato e l'opera svolta dall'amministratore di societ di capitali: la posizione di quest'ultimo infatti equiparabile, sotto il profilo giuridico, a quella dell'imprenditore, non essendo individuabile, in relazione alla sua attivit gestoria, la formazione di una volont imprenditoriale distinta da quella della societ, e non ricorrendo quindi l'assoggettamento all'altrui potere direttivo, di controllo e disciplinare, che costituisce il re quisito tipico della subordinazione (Cass. 24188/06). La sentenza impugnata, nella parte in cui ha riconosciuto la deducibilit del relativo costo, dunque ispirata ad un erroneo principio di diritto, non perch i compensi degli amministratori di societ di capitali siano deducibili nel solo anno in cui sono corrisposti, ma perch non sono affatto deducibili"; che la controricorrente ha depositato una memoria, contestando la possibilit di decidere la causa sulla base di una questione non dedotta e comunque censurando, nel merito, il contenuto della relazione; che il collegio condivide la proposta del relatore; che, quanto alla ritenuta novit dell'interpretazione, su cui la relazione si fonda, decisivo il rilievo che essa non si basa su una quaestio facti non esaminata nei gradi di merito, bens sull'interpretazione della norma della cui applicazione pacificamente si controverte m giudizio, cosicch deve escludersi che si tratti di questione rilevata d'ufficio; che, d'altro canto, la circostanza che tale interpretazione non sia stata mai dedotta dall'Ufficio, 184 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 segnatamente in sede di accertamento, non appare vincolante per questo Giudice, alla luce di quanto dedotto dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 30055/08, secondo cui "affermare, infatti, che nel giudizio tributario l'amministrazione finanziaria (e, adesso, l'Agenzia delle Entrate) attore e che la sua pretesa quella risultante dall'atto impugnato vuoi dire riconoscere che l'erario aziona una specifica pretesa impositiva - e cio accerta un determinato debito tributario in capo al contribuente e ne richiede il pagamento - e che il processo che nasce dall'impugnativa dell'atto autoritativo , si, delimitato nei suoi confini, quanto a petitum e causa petendi, dalla pretesa tributaria, ma solo nel senso che il fondamento e l'entit di questa non possono avere latitudine diversa da quanto dedotto nell'atto impositivo"; che, sotto tale profilo, la relazione appare coerente con l'atto impositivo, contenente la ripresa a tassazione dei costi dedotti per i compensi agli amministratori; che, nel mento, appare irrilevante la circostanza che, nella sentenza citata nella relazione, si trattasse del compenso all'amministratore unico e non (come nella specie) ai componenti del consiglio di amministrazione, identica essendo nei due casi la problematica di fondo; che pertanto, accolto il primo motivo e dichiarato assorbito il secondo, la sentenza impugnata deve essere cassata; che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa pu essere decisa nel merito, con il rigetto del ricorso introduttivo; che, attese le ragioni della decisione, appare equo disporre l'integrale compensazione delle spese del giudizio. P.Q.M. la Corte accoglie, nei sensi di cui in motivazione, il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo; compensa le spese dell'intero giudizio CONTENZIOSO NAZIONALE 185 Nota di presentazione I due contributi di seguito pubblicati sono stati proposti dallavvocato dello Stato Stefano Pizzorno della Distrettuale di Firenze ed erano stati realizzati in vista della ripresa della pubblicazione della Relazione quinquennale dellAvvocatura dello Stato. Il progetto di relazione stato per ora accontonato, ma i due contributi restano e testimoniano la capacit dellAvvocatura dello Stato di trattare in modo imparziale temi sui quali il dibattito nella societ civile particolarmente vivace. Patti di convivenza e riconoscimento giuridico dei medesimi nellordinameno italiano Un cittadino neozelandese e un cittadino italiano del medesimo sesso ottenevano in Nuova Zelanda il riconoscimento giuridico della propria situazione di partner di fatto secondo quanto consentito dalla legislazione di quel Paese. In seguito, dopo essersi stabiliti in Italia (il cittadino neozelandese in virt di un permesso di soggiorno della durata di un anno per motivi di studio) il cittadino neozelandese chiedeva il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi familiari sulla base dellart. 29 d.lgs 286/1998 che tra i soggetti aventi diritto elenca, oltre ai figli minori e, a determinate condizioni, i figli maggiorenni e i genitori, anche il coniuge. La Questura dichiarava irricevibile la richiesta e lo straniero ricorreva allora al Tribunale di Firenze. Il Tribunale accoglieva la domanda. Secondo il Giudice adito infatti alla legge neozelandese doveva attribuirsi riconoscimento anche nel nostro ordinamento in forza sia dellart. 65 l. 218/1995 in tema di riconoscimento di provvedimenti stranieri sia in forza dellart. 24 della medesima legge secondo cui i diritti che derivano da un rapporto di famiglia sono regolati dalla legge applicabile a tale rapporto. Daltro canto, secondo il giudice, lart. 30 lett. C del T.U. sullimmigrazione doveva essere interpretato, secondo una lettura costituzionalmente orientata, allorch fa riferimento al familiare, nel senso di ricomprendere anche il convivente, pena la violazione dellart. 2 della Costituzione che tutela i diritti delluomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ivi ricompreso il rapporto di coppia. Il Tribunale si basava sulla circostanza che nel nostro ordinamento la coppia di fatto, sia essa omo o etero sessuale, da un lato ha rilevanza sociale, dall'altro avrebbe ottenuto specifico riconoscimento giuridico nel nostro ordinamento. Inoltre essendo i rapporti di famiglia, in base all'art. 24 l. 218/1995, regolati dalla legge applicabile a quel rapporto e trattandosi di qualificazione di rapporto di convivenza riconosciuto dalla legge neozelandese, tale riconoscimento di convivenza doveva essere efficace in virt dell'art. 65 della legge sopracitata, secondo cui hanno effetto in Italia i provvedimenti stranieri relativi all'esistenza di rapporti di famiglia. D'altro canto non potevano 186 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 esserci dubbi, secondo il Tribunale, sulla circostanza che il convivente fosse un familiare, essendo propriamente un familiare di fatto (la ricomprensione del concetto di convivente nel concetto di familiare riassunto nella dizione famiglia di fatto, cos testualmente il Tribunale di Firenze). Ne conseguiva che l'art. 30 lett. C del d.lgs 286/1998 doveva essere inteso nel senso che il permesso di soggiorno doveva essere riconosciuto anche al convivente, familiare di fatto del cittadino italiano. Tale risultato era del resto imposto da una lettura costituzionalmente orientata dell'art. 2 della Costituzione che tutela i diritti dell'uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali, tra le quali rientrerebbe anche il rapporto di coppia. Infine, il Tribunale poneva a sostegno della propria decisione di accoglimento della domanda la direttiva CE 29 giugno 2004 n. 38. Secondo il Giudice fiorentino, tale direttiva, determinava il diritto di soggiorno nel territorio degli Stati membri al partner con cui il cittadino dell'Unione abbia una relazione stabile debitamente attestata (art. 3, comma 2 lett b) con conseguente diritto al rilascio della carta di soggiorno. E' vero che non era ancora scaduto il termine per il recepimento della direttiva; peraltro, secondo il Tribunale, contenendo la medesima disposizioni precise e determinate ed appartenendo quindi al tipo autoesecutivo, la mancata scadenza del termine non era ostativa all'immediata ricezione da parte del giudice nazionale. L'Avvocatura Distrettuale di Firenze, a cui veniva immediatamente notificata la decisione, nei termini brevi previsti per l'impugnazione in questo tipo di contenziosi (art. 739 c.p.c.) proponeva immediatamente reclamo, censurando punto per punto le motivazioni del Tribunale. In primo luogo denunciava il ricorso alla cosiddetta interpretazione costituzionalmente orientata (secondo cui nel dubbio, tra pi interpretazioni in astratto possibili, la norma deve essere interpretata nel senso conforme a Costituzione, secondo l'orientamento della Corte Costituzionale) della quale talvolta i tribunali abusano per far dire alle norme quello che in alcun modo potrebbero dire, in tal modo operando non una legittima interpretazione estensiva ma un vero e proprio stravolgimento del dettato normativo. L'Avvocatura sottolineava come attraverso tale prassi si invadesse il campo in realt spettante al Giudice delle leggi. In particolare osservava come pi correttamente altro giudice avesse sollevato questione di legittimit costituzionale nei confronti della norma che vieta le espulsioni del familiare convivente con cittadino italiano nella parte in cui il divieto non si estende anche all'espulsione del convivente familiare di fatto. Al riguardo l'Avvocato estensore del reclamo ricordava come in quel caso la Corte, nel dichiarare manifestamente infondata la questione sollevata, aveva ribadito che la convivenza era un rapporto di fatto, privo dei caratteri di stabilit e certezza nonch della reciprocit e corrispettivit dei diritti e doveri che nascono soltanto dal matrimonio e sono pro- CONTENZIOSO NAZIONALE 187 pri della famiglia legittima (ord. 11 luglio 2000 n. 313). L'interpretazione operata dal Tribunale di Firenze era da considerarsi pertanto in contrasto con la stessa giurisprudenza della Corte Costituzionale. Infine l'Avvocatura censurava la decisione del Tribunale anche nel punto in cui essa aveva fatto riferimento alla direttiva CE 38/2004. Si osservava che la direttiva in linea di principio avrebbe potuto trovare applicazione solo dopo la scadenza del termine previsto per la sua attuazione, non esistendo obbligo per l'autorit amministrativa, prima di tale termine, di eseguirne le disposizioni. Il principio per cui le norme direttamente applicabili trovano esecuzione, in caso di mancata attuazione della direttiva, vale infatti solo dopo la scadenza del termine non prima. Ma sopratutto l'Avvocatura osservava come il tribunale non avesse tenuto conto dei considerando che costituivano parte integrante della direttiva. In questi infatti si poteva leggere che, ai fini della direttiva, la definizione di familiare avrebbe dovuto certo includere altres il partner che aveva contratto un'unione registrata, ma solo qualora la legislazione dello Stato membro ospitante equipari l'unione registrata al matrimonio. Inoltre per preservare l'unit della famiglia, la situazione delle persone che non rientravano nella definizione di familiari ai sensi della direttiva e che pertanto non godevano di un diritto automatico di ingresso e di soggiorno nello Stato membro ospitante avrebbe dovuto essere esaminata sulla base della propria legislazione nazionale, al fine di decidere se l'ingresso e il soggiorno potevano essere loro concessi (considerando 5 e 6). Quindi il legislatore comunitario non aveva affatto imposto, come aveva inteso il tribunale, la parificazione del convivente al familiare ma aveva salvato la specificit dei vari diritti nazionali. Dopo la proposta impugnazione, il contenuto della decisione del tribunale si diffondeva sui media; per essere esatti, mentre in un primo momento il caso era rimasto all'interno del mondo giudiziario, dopo diverso tempo e quindi in deroga alle regole usuali del mondo giornalistico che impongono di dare risalto solo alla stretta attualit, la stampa ne dava notizia. Iniziava il Foglio, seguito immediatamente da Repubblica (21 novembre 2006), da Libero (23 novembre 2006) e dal Giornale (24 novembre 2006). Il Giornale della Toscana un anno dopo ricordava ancora la vicenda (23 dicembre 2007). Seguivano le dichiarazioni di vari esponenti del mondo politico che si schieravano a favore o contro secondo i propri principi ideologici e alcune interrogazioni parlamentari. La notizia si diffondeva ancora pi largamente in numerosi siti web. Inutile dire che la decisione veniva di volta in volta considerata come pericolosa e inconcepibile ovvero come manifestazione di grande apertura e civilt. Altrettanto inutile dire che attraverso l'impugnazione l' avvocato dello Stato non manifestava alcun giudizio sulla legittimit morale di tali unioni e neppure sull'opportunit che di esse si procedesse o meno a un riconoscimento giuridico da parte del legislatore; riteneva solo che la decisione del tribunale non fosse con- 188 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 forme alla legge e pertanto costituisse dovere del suo ufficio proporre gravame contro di essa. Nel frattempo giungeva la decisione della Corte d'Appello di Firenze che accoglieva completamente l'impostazione dell'Avvocatura, revocando il decreto del tribunale. La decisione della Corte veniva allora a sua volta impugnata con ricorso per Cassazione che infine poneva la parola fine sulla vicenda con sentenza 6441/09, depositata in data 17 marzo 2009, rigettando il ricorso e confermando quanto statuito dalla Corte d'Appello. Stato di rifugiato e asilo politico La presente relazione non ha ad oggetto un singolo caso ma, si pu dire, unintera materia in cui il contributo dellAvvocatura dello Stato stato decisivo. Si tratta del contenzioso relativo allo stato di rifugiato, previsto dalla Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, la quale stabilisce come requisito essenziale di accesso il fondato timore di essere perseguitato, occorrendo quindi una obiettiva persecuzione che deve essere personale e diretta nei confronti dellindividuo. Al riguardo occorre fare un passo indietro, a qualche anno fa, al momento in cui nel nostro Paese si registra un notevolissimo incremento del contenzioso in materia di rifugio politico. Tra le cause di tale aumento si possono annoverare varie cause: una stretta nel rilascio di provvedimenti di riconoscimento ad opera dellallora Commissione Nazionale per lo stato di rifugiato; laccesso al gratuito patrocinio per gli stranieri; infine, da non sottovalutare, il passaggio della giurisdizione amministrativa a quella del giudice ordinario che giudice di pi facile accesso. Come noto infatti, a seguito dellabrogazione dell art. 5 del d.l. 30 dicembre 1989 n. 416, convertito nella l. 39/90, ad opera dellart. 46 l. 40/98, la Cassazione (S.U. 17 dicembre 1999 n. 907) si era espressa nel senso che la materia ricadeva nellambito della giurisdizione del giudice ordinario dovendosi provvedere solo al riconoscimento di uno status in relazione al quale pertanto la Commissione emetteva provvedimenti a carattere non costitutivo ma dichiarativo. Il Consiglio di Stato aveva tentato di contrastare questa impostazione con numerose decisioni in cui si sosteneva che la posizione del richiedente era pur sempre di interesse legittimo godendo lAmministrazione comunque di un potere discrezionale nellapprezzamento dei fatti rilevanti al fine di procedere al riconoscimento dello status di rifugiato. Tale tesi era stata in qualche caso sporadico fatta propria anche dal giudice ordinario (ad esempio Corte dAppello di Firenze 7 marzo 2003) ma in linea di massima i giudici dei diritti avevano pacificamente riconosciuto la propria giurisdizione, confermata poi CONTENZIOSO NAZIONALE 189 dalla legge c.d. Bossi-Fini (189/2002) e dal successivo regolamento di attuazione (dpr 16 settembre 2004 n. 303). Attualmente la materia regolata dal d.lgs. 19 novembre 2007 n. 252 che ha attuato la direttiva 2004/83/CE e dal d.lgs. 28 gennaio 2008 n. 25 di attuazione della direttiva 2005/85/CE. Il passaggio dalla giurisdizione amministrativa a quella ordinaria comportava talune conseguenze, legate alla diversa natura dei poteri dei due giudici. La giurisdizione amministrativa in materia di stato di rifugiato era infatti sempre stata considerata giurisdizione generale di legittimit con la conseguenza che il giudice amministrativo, accertata la presenza di un vizio anche solo formale dellatto con cui si respingeva la domanda diretta ad ottenere lo stato di rifugio, lo annullava ma la palla ritornava nel campo dellAmministrazione che poteva ancora emettere un nuovo provvedimento negativo, emendato del vizio formale che aveva causato il precedente annullamento. Il giudice ordinario invece doveva entrare necessariamente nel merito del rapporto, concludendo il proprio esame con una decisione di riconoscimento dello stato di rifugiato o di rigetto della domanda. Ma ci comportava che i vizi formali compiuti, per esempio nellistruttoria o nella motivazione, diventavano irrilevanti. Cos se latto di diniego era in ipotesi gravemente viziato sotto il profilo della motivazione o per la circostanza che il richiedente non era stato convocato per laudizione, il giudice ordinario comunque non avrebbe potuto per ci solo dichiarare che linteressato era un rifugiato politico. Comunque si doveva (e deve) procedere al fine di accertare se effettivamente il soggetto era stato o meno perseguitato. Quindi la deduzione di vizi formali compiuti dallautorit diventava inutile. In linea di principio i giudici ordinari se la sono sempre cavata respingendo le deduzioni degli avvocati fondate su vizi formali dellatto; in molti casi emerge per in maniera esplicita la consapevolezza che il giudice ordinario giudice non dellatto ma del rapporto con le conseguenze che ne derivano. In secondo luogo mutava lapprezzamento del requisito della persecuzione personale e diretta previsto dalla Convenzione di Ginevra del 1951. Un conto infatti era limitarsi a sindacare, da parte del giudice amministrativo, il corretto esercizio del potere discrezionale dellAmministrazione nel valutare lesistenza della persecuzione, un altro invece accertare direttamente quella stessa persecuzione indipendentemente dalle valutazioni operate dalla Commissione. Il giudice ordinario si veniva quindi a trovare dinanzi al problema della prova della persecuzione e come risultato del diverso approccio emergeva in maniera netta un principio che in giurisprudenza veniva definito dellonere probatorio attenuato. Si diceva infatti che chi fugge da un Paese in circostanze drammatiche ben difficilmente pu essere in grado di fornire una piena prova delle persecuzioni subite; pertanto il rigoroso principio previsto dallart. 2697 c.p.c, secondo il quale chi deduce un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento, doveva necessariamente subire unatte- 190 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 nuazione. Il fondamento normativo di questo principio veniva ravvisato nellart. 1 comma 5 del dl. 416/89 convertito nella legge 39/90 che stabiliva che lo straniero che intendeva entrare nel territorio dello Stato per essere riconosciuto rifugiato doveva rivolgere istanza motivata e, in quanto possibile, documentata allufficio di polizia di frontiera. Da tale inciso in quanto possibile documentata, relativo alla domanda di rifugio, si deduceva che lonere della prova a carico del richiedente risultava, nella materia di cui si tratta, stemperato, cio meno rigoroso. Cos mentre la giurisprudenza amministrativa, salvo talune eccezioni, si esprimeva in generale nel senso dellonere per lo straniero di fornire tutte le prove necessarie a legittimare il riconoscimento dello status di rifugiato (Tar Lombardia Milano sez. I 17 luglio 2003 n. 3617) nella giurisprudenza ordinaria trovava ampio riconoscimento il diverso principio dellattenuazione dellonere probatorio. Sullesatta portata del principio, cio fino a che punto si poteva estendere l attenuazione, sorgevano per divergenze. Infatti parte della giurisprudenza giungeva allattribuzione dello stato di rifugiato, prendendo in considerazione da un lato le dichiarazioni del richiedente, dallaltro la generale situazione politica del Paese di provenienza basandosi su documenti di organizzazioni internazionali quali ad esempio Amnesty International. In particolare si sosteneva (in una pronuncia ripresa da gran parte della giurisprudenza) che se il racconto del richiedente appare credibile, anche in base alla notoriet di fatti ed avvenimenti non strettamente personali, a questi bisogner concedere il beneficio del dubbio a meno di valide ragioni in contrario (Corte dAppello di Catania decreto 1/22 marzo 2002). Tale impostazione veniva contestata dallAvvocatura dello Stato la quale in sede di impugnativa delle decisioni di primo grado dei tribunali poneva le basi per laffermazione di un orientamento diverso secondo il quale, pur confermandosi il principio dellattenuazione dellonere probatorio, si richiedeva quantomeno la presenza di indizi gravi, precisi e concordanti per ritenere sussistente la persecuzione. Secondo questa nuova impostazione per quanto sia vero che, in siffatte situazioni, lonere probatorio debba necessariamente atteggiarsi al ridotto grado di disponibilit obiettiva delle prove, rimane il fatto che un minimo di prova, che vada oltre il mero stato di verosimiglianza dellassunto, di per s richiesto dalla legge (Corte dAppello di Firenze 13 aprile 2004). Tale orientamento trovava lavvallo della Suprema Corte che, confermando la decisione della Corte dAppello che aveva negato rilevanza alle sole dichiarazioni del ricorrente in relazione alla situazione del Paese, osservava che in tal modo la Corte di merito non avrebbe imposto una diabolica prova rigorosa della persecuzione e che correttamente si era escluso il ricorso al fatto notorio in quanto lo status di rifugiato potrebbe spettare solo a colui che versi nel fondato timore di essere personalmente perseguitato (Cass. 2 febbraio 2005 n. 2091 confermativa di App. Firenze 12 giugno 2003). Allo stesso modo Cass. 2 dicembre 2005 CONTENZIOSO NAZIONALE 191 n. 26277 (confermativa di App. Firenze del 13 aprile 2004) affermava che, pur potendosi ammettere che lonere della prova dei requisiti dello stato di rifugiato fosse da valutarsi con rigore minore, non erano per sufficienti le dichiarazioni dellinteressato, le attestazioni provenienti da terzi estranei al giudizio, il riferimento a situazioni politico-economiche di dissesto del paese di origine o a persecuzioni nei confronti di non specificate etnie di appartenenza o il richiamo al fatto notorio, non accompagnato dallindicazione di specifiche circostanze riguardanti direttamente il richiedente. Di fronte alle difficolt di ordine probatorio, la giurisprudenza pi favorevole al riconoscimento dello stato di rifugiato cambiava strada, ricorrendo in modo massiccio alla figura dellasilo politico cd. costituzionale, previsto dallart. 10, 3 comma Cost. che stabilisce che lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese leffettivo esercizio delle libert democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto dasilo nel territorio della Repubblica. Questa giurisprudenza a partire da un certo momento cominciava a respingere la domanda di riconoscimento dello stato di rifugiato, fondata sugli stessi presupposti sui quali in precedenza si esprimeva in senso favorevole, accogliendo invece la domanda subordinata di concessione dellasilo politico ex art. 10 Cost.. Cos mentre Trib. Firenze 10 giugno 2003 n. 27 dichiarava lo stato di rifugiato di un eritreo, osservando che il richiedente risultava essere membro del Peoples Democratic Front for the Liberation of Eritrea e che dal rapporto 2002 di Amnesty International emergeva una situazione in Eritrea di non perfetto rispetto dei diritti umani, Trib. Firenze 17 dicembre 2003 n. 47 in un caso esattamente identico respingeva viceversa la domanda di riconoscimento dello stato di rifugiato per mancanza di idonei elementi di prova ma accoglieva la richiesta di asilo politico in quanto lEritrea non aveva ancora dato attuazione al principio del rispetto delle libert democratiche garantite dalla Costituzione italiana. Allo stesso modo veniva accolta la domanda di asilo politico di un cittadino moldavo sulla base che nella Repubblica di Moldova secondo il rapporto annuale di Amnesty International vengono sottolineate violazioni allesercizio del diritto di difesa, maltrattamenti da parte delle forze dellordine, trattamenti disumani nei confronti dei detenuti, utilizzo di mezzi illegali nella ricerca delle prove (Trib. Torino 15 ottobre 2003 n. 7070); veniva respinta la domanda di riconoscimento di stato di rifugiato da parte di un sudanese, venendogli per concesso lasilo politico in quanto dal rapporto di Amnesty International risultavano gravi violazioni dei diritti umani commesse dalle parti in conflitto nei confronti dei civili che vivono nelle zone petrolifere del Sudan (Trib. Milano 9 marzo 2004 n. 3252); lo stesso accadeva nei riguardi di un palestinese residente in Cisgiordania di cui, respinta la domanda di rifugio, veniva dichiarato il diritto allasilo politico sulla base del presupposto che loccupazione israeliana di quelle aree avrebbe comportato una limitazione allesercizio dei diritti fondamentali dei residenti palestinesi sotto molteplici 192 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 profili in cui tali libert si estrinsecano, quale ad esempio la libert di circolazione, talvolta inibita con la imposizione di coprifuoco ed il blocco di villaggi e citt (Trib. Firenze 16 novembre 2004 n. 36). Di fronte al nuovo indirizzo giurisprudenziale, in astratto applicabile a qualunque soggetto che vivesse in un ordinamento privo delle garanzie democratiche del nostro anche se egli in ipotesi non avesse nulla da temere dal Paese di provenienza, lAvvocatura reagiva, ottenendo una serie di decisioni della Corte di Appello di Firenze (che trovavano anche ampio spazio sulla stampa non specializzata come ad esempio il Sole 24 Ore del 28 maggio 2004), che si pronunciava nel senso della non precettivit dellart. 10 3 comma Cost., rispolverando un orientamento che ormai si riteneva decisamente superato. Infatti, dopo alcune decisioni degli anni 50 del Consiglio di Stato (v. 208/52), che negavano la precettivit della norma, a partire da una decisione della Corte dAppello di Milano (27 novembre 1964), si era affermata lopinione che la disposizione fosse immediatamente applicabile. Malgrado qualche decisione discordante (Trib. Roma 13 febbraio 1997) il problema sembrava definitivamente risolto da Cass. Sez. un. 4674/97 secondo cui la disposizione costituzionale affermava con sufficiente chiarezza e precisione la fattispecie del diritto dasilo indipendentemente da una normativa di attuazione. Si riteneva che con tale decisione la Suprema Corte si fosse pronunciata chiaramente e definitivamente nel senso della precettivit dellart. 10 3 comma Cost.; essa veniva citata in tutte le sentenze della giurisprudenza in tema di asilo politico al fine di sostenere che la Costituzione attribuiva un diritto perfetto allasilo allo straniero che si trovasse nelle condizioni previste dallart. 10, cio gli fosse impedito nel suo Paese leffettivo esercizio delle libert democratiche garantite dalla Costituzione italiana, per cui una legge ordinaria che stabilisse le condizioni per lesercizio di quel diritto non era condizione di esistenza dello stesso ma solo fonte di uneventuale disciplina di dettaglio. Anche la dottrina era del resto da tempo su questa posizione. Lorientamento della Corte dAppello fiorentina che si poneva nel senso di negare la natura precettiva dellart. 10 3 comma Cost. andava quindi contro giurisprudenza e dottrina pacifiche. Secondo la Corte non si vede come si possa seriamente fare prontezza di ospitare nel nostro striminzito e gi stipato territorio tutti i popoli della terra viventi sotto sistemi democraticamente pi restrittivi del nostro e che, ad occhio e croce, dovrebbero assommare a non meno di due o tre miliardi di potenziali ospiti (Corte Appello Firenze 16 agosto 2004). Per i giudici fiorentini del resto la Suprema Corte nella citata decisione 4674/97 non avrebbe affatto sostenuto integralmente il carattere precettivo della disposizione costituzionale; infatti avendo la Cassazione affermato che, in mancanza di una legge di attuazione del precetto di cui allart. 10 comma 3 Cost., allo straniero che chiedeva il diritto dasilo veniva garantito solo lingresso nello Stato, a differenza del rifugiato politico a cui spetterebbe, in base CONTENZIOSO NAZIONALE 193 alla Convenzione di Ginevra, uno status di particolare favore, la Corte fiorentina ne deduceva che la Suprema Corte avrebbe affermato il carattere precettivo della norma solo per quanto riguardava il diritto dello straniero ad entrare in Italia per chiarire le proprie ragioni mentre avrebbe escluso tale carattere in relazione al diritto di restare una volta chiarita la sua provenienza da un regime meno libertario del nostro. Ne derivava, secondo la Corte, che la figurazione di un diritto di asilo consistente nella facolt di entrare, ma non in quella di restare, sembra essere un giuoco di parole per far capire, senza dirlo, che in realt il diritto di asilo democratico, come lo pensava il costituente, in Italia non cՏ (App. Firenze 13 aprile 2004, App. Firenze 9 maggio 2005). Restava da vedere cosa avrebbe detto la Suprema Corte. Ebbene la Corte di Cassazione, pur discostandosi formalmente dallimpostazione dei giudici fiorentini, che si erano espressi nel senso di negare natura precettiva allart. 10 comma 3 Cost., arrivava sostanzialmente alle stesse conclusioni, giungendo a negare la possibilit di invocare lart. 10 Cost. come norma attributiva di un diritto a s stante diverso dal rifugio politico. Secondo la Suprema Corte infatti lart. 10 Cost. avrebbe trovato attuazione attraverso lemanazione di leggi i cui destinatari sono i richiedenti lasilo politico, che viene conferito con la formula del rifugio politico. Daltro canto dire che il diritto dasilo comporta solo il diritto al rilascio di un permesso di soggiorno per la durata della procedura volta al riconoscimento dello stato di rifugiato, significa negargli totalmente qualunque contenuto, visto che il rilascio di tale permesso gi previsto dalla normativa sullo stato di rifugio. In altre termini apparentemente la Suprema Corte richiamava se stessa e le decisioni sulla precettivit e immediata applicabililit dellart. 10, 3 comma Cost., per poi pervenire comunque alle medesime conclusioni della Corte di Firenze che aveva negato tali attributi alla norma costituzionale. A questo punto viene meno ogni distinzione tra stato di rifugio e asilo politico e quindi lunico presupposto valido per ottenere protezione dal nostro ordinamento esclusivamente la persecuzione personale e diretta del richiedente. Questa posizione veniva espressa da Cass. 25 novembre 2005 n. 25028 (resa su App. Firenze 17 febbraio 2004), da Cass. 23 agosto 2006 n. 18353 (su App. Firenze 16 agosto 2004), da Cass. 25 agosto 2006 n. 18549 (su App. Firenze 11 febbraio 2005). Dopo il 2006 non risultano altre pronunce, essendosi la giurisprudenza di merito adeguata alla Suprema Corte. Avv. Stefano Pizzorno* (*) Avvocato dello Stato. I P A R E R I D E L C O M I TAT O C O N S U LT I V O A.G.S. - Parere del 22 ottobre 2010 prot. 324202 - avv. Fabrizio Fedeli, AL 6158/10. Incarico di consulenza legale in via breve conferito ad avvocato dello Stato. Applicabilit art. 17, comma 30, D.L. 1 luglio 2009 n. 78, convertito in Legge 3 agosto 2009 n. 102 Codesta Avvocatura Distrettuale ha domandato lavviso della Scrivente in merito alla necessit che gli incarichi conferiti dalle Universit degli Studi agli avvocati dello Stato siano sottoposti al controllo preventivo di legittimit della Corte dei conti. I commi 30 e 30 bis dellart. 17 del D.L. n. 78 del 1 luglio 2009, convertito con modificazioni in legge n. 102/2009, hanno rispettivamente modificato il comma 1 dellart. 3 e introdotto il comma 1 bis dello stesso art. 3 della Legge 14 gennaio 1994, n. 20. La prima modifica ha inserito: - alla lett. f) bis del citato art. 3 comma 1 il controllo sugli atti e contratti riguardanti incarichi individuali di cui allart. 7 comma 6 del D.Lgs. n. 165/2001, conferiti mediante contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria; - alla lett. f) ter il controllo su incarichi di studio, consulenza e ricerca, conferiti a soggetti estranei alle pubbliche amministrazioni, di cui allart. 1 comma 9 della Legge 23 dicembre 2005, n. 266. La seconda modifica ha poi previsto, al citato art. 3 comma 1 bis della L. n. 20/1994, per le due ipotesi suddette, la competenza al controllo in ogni caso della Sezione centrale del controllo di legittimit. La deliberazione n. 20/2009 della Sezione centrale del controllo aveva escluso che il comma 30 dellart. 17 potesse riferirsi agli enti locali territoriali e alle loro varie articolazioni, nonostante la norma menzionasse genericamente 196 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 le pubbliche amministrazioni di cui allart. 1, 2 comma, del D.Lgs. n. 165/2001; con la successiva deliberazione n. 24/2009, la medesima Sezione ha ritenuto che il controllo preventivo di legittimit previsto dallart. 17, commi 30 e 30-bis, del D.L. n. 78/2009 debba invece essere esercitato nei confronti degli atti e contratti riguardanti le collaborazioni coordinate e continuative e gli incarichi di consulenza, studio e ricerca, delle Universit e degli altri enti di ricerca scientifica e tecnologica di cui alla Legge 9 maggio 1989, n. 168. La questione interpretativa sottoposta alla Scrivente consiste nello stabilire se il controllo preventivo di legittimit della Corte dei conti sugli incarichi di studio e consulenza conferiti a soggetti estranei alle pubbliche amministrazioni, di cui allart. 9 comma 1 della Legge 23 dicembre 2005, n. 266, sia obbligatorio solo qualora il soggetto incaricato non si trovi in rapporti di pubblico impiego con alcuna amministrazione pubblica, oppure sia richiesto nei casi in cui il destinatario dellincarico, pur essendo un pubblico dipendente, non sia legato da rapporto di impiego con lAmministrazione presso la quale stato conferito l'incarico. Ad avviso della Scrivente anche gli incarichi conferiti a dipendenti di Amministrazioni diverse da quella che li conferisce devono essere sottoposti a controllo preventivo di legittimit della Corte dei conti. In tal senso depone la circostanza che larticolo 1, comma 9, della Legge 23 dicembre 2005, n. 266, stato modificato prima dall'art. 27, D.L. 4 luglio 2006, n. 223 e poi dal comma 2 dell'art. 61, D.L. 25 giugno 2008, n. 112, come sostituito dalla relativa legge di conversione (L. 6 agosto 2008 n. 133) e con la decorrenza indicata nel comma 3 dello stesso articolo 61, Al fine di valorizzare le professionalit interne alle amministrazioni, riducendo ulteriormente la spesa per studi e consulenze cos da aggiungere nella parte finale della norma il seguente periodo: <>. A seguito dellaggiunta apportata allarticolo 1, comma 9, della Legge 23 dicembre 2005, n. 266 e della ratio dichiarata dal legislatore di valorizzare le professionalit interne alle amministrazioni, riducendo ulteriormente la spesa per studi e consulenze (art. 61 comma 2 D.L. 112/2008), non sembra potersi escludere che le consulenze che rientrano nella sfera di applicazione della norma e che debbano essere sottoposte al controllo preventivo di legittimit della Corte dei conti siano anche quelle conferite a pubblici dipendenti di amministrazioni diverse da quella che conferisce lincarico, ivi compresi, quindi, gli incarichi di consulenza conferiti agli avvocati dello Stato. Si segnala, per quanto occorrer possa, che la Corte costituzionale con la sentenza n. 172/2010, nell'affrontare la questione dell'ampliamento del sistema del controllo preventivo di legittimit della Corte dei conti agli atti e contratti I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 197 di cui all'art. 7, comma 6 del D.Lgs. 165/2001, nonch ad atti e contratti concernenti studi e consulenze di cui all'art. 1, comma 9 della Legge 266/2005, nella sua nuova formulazione introdotta dall'art. 17, commi 30 e 30-bis, del Decreto-Legge 1 luglio 2009, n. 78 convertito in Legge 3 agosto 2009, n. 102, ha affermato che l'ambito soggettivo delle disposizioni contenute nelle lettere f) bis e f) ter dell'art. 3, comma 1, della Legge n. 20 del 1994 vede come destinatari esclusivamente lo Stato o le Amministrazioni centrali, palesando un indirizzo interpretativo diverso da quello della Sezione del controllo della Corte dei conti che, con deliberazione n. 24/2009, ha invece ritenuto che il controllo preventivo di legittimit previsto dallart. 17, commi 30 e 30-bis del D.L. n. 78/2009 si eserciti nei confronti degli atti e contratti riguardanti le collaborazioni coordinate e continuative e gli incarichi di consulenza, studio e ricerca, delle Universit e degli altri enti di ricerca scientifica e tecnologica di cui alla legge 9 maggio 1989 n. 168. La Corte costituzionale stata chiamata a pronunziarsi in materia dalla Regione Veneto, che aveva proposto la questione di legittimit costituzionale dellart. 17, commi 30 e 30-bis in esame, con riferimento agli artt. 3, 97, 100, 114, 117, 118 e 119 della Costituzione, nellassunto che le nuove norme dovessero intendersi come direttamente applicabili anche alle Regioni. Orbene, il Giudice delle leggi ha dichiarato inammissibile la questione sollevata, escludendo che lassunto della Regione potesse essere condiviso. La Corte Costituzionale ha ritenuto, in particolare, che con linserimento nellart. 3 comma 1 della L. n. 20/1994 delle lettere f-bis) e f-ter) il Legislatore non avrebbe inteso modificare lambito soggettivo delle amministrazioni i cui atti sono da sottoporre a controllo considerato, tra laltro, che le due previsioni aggiuntive costituiscono unulteriore articolazione della lettera f), la quale si riferisce ad atti delle sole amministrazioni statali. Una diversa interpretazione, sempre secondo il Giudice delle leggi, risulterebbe contraddittoria con una lettura sistematica dellimpianto normativo in materia. Pertanto, nellinviare latto al controllo, lUniversit - ove lo ritenesse - potrebbe sollevare la questione pregiudiziale della competenza della Sezione richiamando il recente pronunciamento della Consulta. Sulla questione oggetto del presente parere stato sentito lavviso del Comitato Consultivo, che si espresso in conformit. 198 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 A.G.S. - Parere del 25 ottobre 2010 prot. 325776 - avv. Stefano Varone, AL 33977/10. Collocamento a riposo del personale dirigenziale. Parere in ordine allart. 72 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 come modificato dallart. 17 comma 35 novies della l. 102/2009 Si riscontra la nota in oggetto con la quale viene richiesto parere in merito ai provvedimenti giudiziali che hanno disposto la reintegra di personale dirigenziale collocato a riposo ai sensi dellart. 72 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (convertito in legge, con modificazioni, dallart. 1, comma 1, L. 6 agosto 2008, n. 133). In particolare codesta Amministrazione, premesso che alcune ordinanze, rese in sede cautelare, hanno disposto il reintegro in servizio di alcuni dirigenti, ha evidenziato: a) che gli stessi hanno comunque gi incassato la liquidazione e percepito la pensione; b) che leventuale reintegro comporterebbe una palese discriminazione con i lavoratori che si sono visti negare, in sede giudiziale, lo stesso diritto; c) che lesame del merito previsto per il prossimo mese di novembre; d) che allAmministrazione stato notificato un atto di diffida ad adempiere entro trenta giorni. Si chiede pertanto parere in merito alla linea di condotta che lAmministrazione deve seguire al fine di evitare una disparit di trattamento tra lavoratori nella medesima situazione e quali eventuali profili di responsabilit penale, amministrativa e contabile possano profilarsi qualora lAmministrazione dovesse attendere lesito del merito dei giudizi definiti in fase cautelare. Ritiene la scrivente che, per verificare i possibili comportamenti da adottare in seguito ai provvedimenti giudiziali, risulta opportuna una ricognizione della normativa regolante la fattispecie, anche al fine di valutare, in via prognostica, il possibile esito delle cause in sede di merito. Al riguardo il comma 11 dell articolo 72 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, successivamente modificato dallart. 17 comma 35 novies della l. 102/2009 prevede che Per gli anni 2009, 2010 e 2011, le pubbliche amministrazioni di cui all articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, possono, a decorrere dal compimento dellanzianit massima contributiva di quaranta anni del personale dipendente, nellesercizio dei poteri di cui all articolo 5 del citato decreto legislativo n. 165 del 2001, risolvere unilateralmente il rapporto di lavoro e il contratto individuale, anche del personale dirigenziale, con un preavviso di sei mesi, fermo restando quanto previsto dalla disciplina vigente in materia di decorrenza dei trattamenti pensionistici. Con appositi decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, pre- I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 199 via deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e linnovazione, di concerto con i Ministri delleconomia e delle finanze, dellinterno, della difesa e degli affari esteri, sono definiti gli specifici criteri e le modalit applicative dei princpi della disposizione di cui al presente comma relativamente al personale dei comparti sicurezza, difesa ed esteri, tenendo conto delle rispettive peculiarit ordinamentali. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche nei confronti dei soggetti che abbiano beneficiato dell articolo 3, comma 57, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, e successive modificazioni. Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano ai magistrati, ai professori universitari e ai dirigenti medici responsabili di struttura complessa. Premesso che non paiono residuare dubbi in ordine alla devoluzione al giudice del lavoro delle eventuali controversie correlate allapplicazione della norma in riferimento ai dipendenti pubblici in regime contrattuale, (trattandosi di questioni relative al rapporto di lavoro in relazione alle quali lamministrazione agisce con poteri di natura analoga a quelli riconosciuti ai datori di lavoro privati), occorre prendere atto della circostanza che finora la giurisprudenza (anche al di fuori del foro romano) ha fornito divergenti letture in ordine ai criteri applicativi della disposizione. Secondo alcune pronunce (fra le quali si pu citare Tribunale di Firenze, ord. 18 dicembre 2009) la facolt di risoluzione deve essere esercitata dalla pubblica amministrazione nei limiti generali della correttezza e buona fede che presidiano lesecuzione di qualsiasi contratto, nonch nellambito dei principi costituzionali di imparzialit e correttezza dellazione amministrativa imposti dallart. 97 cost. Ne conseguirebbe che nellatto di risoluzione del rapporto di lavoro di un dirigente con incarico in corso lamministrazione dovrebbe esporre le motivate ragioni organizzative e gestionali in relazione ai processi di riorganizzazione generale in atto, come previsto dalle circolari e dagli atti di indirizzo ministeriali, che costituiscono specificazione - cui la stessa amministrazione si autovincola - dei criteri generali che devono presiedere allesercizio di una facolt discrezionale (analogamente Trib. Reggio Emilia, ord. 12 gennaio 2009). Tale tesi potrebbe trovare conforto nellassimilazione della fattispecie allistituto al licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il che consentirebbe un controllo giudiziale, sia pure estrinseco, sulle ragioni dellinterruzione del rapporto. Altre pronunce hanno invece privilegiato una diversa e pi ampia lettura della disposizione. In tal senso si affermato che la facolt di collocamento a riposo non limitata dalle ragioni organizzative e gestionali necessarie per procedere alla revoca degli incarichi dirigenziali secondo la disciplina del contratto collettivo (Tribunale Potenza, 9 ottobre 2009; nello stesso senso Trib. Roma, ord. 14 settembre 2009), conferendo pertanto ampia libert alle amministrazioni. 200 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 Dato atto del contrasto giurisprudenziale, a parere della scrivente occorre considerare che la facolt risolutoria non va a concretizzare lesercizio di discrezionalit amministrativa, bens dei poteri del privato datore di lavoro. Se quindi da escludere la legittimit di un controllo diretto ed intrinseco del giudice sullesercizio delle scelte organizzatorie dellamministrazione esercitate a monte (in primis la determinazione degli organici), la circostanza che i poteri del datore di lavoro debbano essere esercitati nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede (ex plurimis Cass., sez. un., ord. 23 gennaio 2004 n. 1252), oltre che di imparzialit e buon andamento ex art. 97 Cost., legittima un controllo di coerenza fra le scelte di macro-organizzazione e ladozione dei provvedimenti attuativi, ivi compreso lesercizio della facolt risolutoria in questione. In tal senso si daltronde pronunciata anche la circolare del Dipartimento della Funzione Pubblica n. 10/208 la quale ha ritenuto auspicabile che ciascuna Amministrazione, prima di procedere allapplicazione della disciplina, adotti dei criteri generali, calibrati a seconda delle proprie esigenze, in modo da seguire una linea di condotta coerente e da evitare comportamenti che conducano a scelte contraddittorie. Analogamente a quanto detto a proposito dei trattenimenti in servizio, tali criteri si configurano quale atto di indirizzo generale e quindi dovrebbero essere contenuti nellatto di programmazione dei fabbisogni professionali o comunque adottati dallautorit politica. Le linee generali di condotta poste in essere da codesta Amministrazione sono state daltronde dettate con circolari 18 novembre 2008 e 14 settembre 2009, ove si espressamente fatto riferimento ad esigenze di riduzione degli organici nella misura indicata dalla normativa primaria. Per il futuro appare pertanto quantomeno auspicabile che gli atti organizzatori precedano cronologicamente gli atti di risoluzione dei rapporti lavorativi in quanto, se vero che nellambito degli artt. 72 e 74 del d.l. n. 112/2008 la scansione temporale fra ridefinizione delle piante organiche e provvedimenti di collocamento a riposo non espressamente contemplata, tuttavia la norma prevede espressamente che la stessa sia effettuata nellesercizio dei poteri di cui allarticolo 5 del decreto legislativo n. 165 del 2001; visto anche il rinvio ivi operato allart. 2 comma 1 del medesimo decreto legislativo, parrebbe pertanto avvalorata la tesi della previa necessaria adozione degli atti di rideterminazione degli organici. Va aggiunto che il collocamento a riposo, qualora non se ne dimostri loggettiva ed indiscriminata applicazione a tutti i dipendenti che si trovino nella medesima situazione, potrebbe essere ritenuta in contrasto con i principi di garanzia della posizione dirigenziale pi volte enfatizzati dalla Corte costituzionale, la quale ha sottolineato la diretta strumentalit allart. 97 Cost. della stabilit del rapporto di lavoro dei dirigenti pubblici (ex plurimis Corte cost. 23 marzo 2007, n. 103 e 24 ottobre 2008, n. 351). I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 201 Ci si traduce, per quanto attiene alla gestione del contenzioso in essere, in primo luogo nella necessit di comprovare, anche in sede di merito, quanto affermato a pag. 3 della richiesta di parere, ovverosia che tutto il personale dirigenziale in possesso dellanzianit contributiva prevista stato collocato a riposo, fornendo ampio supporto probatorio a tale dato. In secondo luogo risulter necessario fornire in giudizio, indipendentemente dallintervenuta adozione della previa motivazione dellatto di recesso, la prova della coerenza dellatto di risoluzione con le scelte organizzatorie in tema di riduzione degli organici, anche tramite la produzione di degli atti formali successivamente adottati in tema di piante organiche. Per quanto attiene ai provvedimenti cautelari sfavorevoli per lAmministrazione, in ordine ai quali sia esaurita la fase di reclamo (o la stessa non sia stata attivata nei termini), andr verificato, caso per caso, se ricorrano i presupposti per poter formulare una richiesta di revoca o modifica del provvedimento cautelare sulla base di nuove circostanze; queste ultime possono essere rappresentate dalladozione degli atti di rideterminazione della pianta organica, da produrre in ogni caso in giudizio al fine di dimostrare la coerenza fra le determinazioni assunte dallamministrazione allatto del collocamento a riposo e lattuazione dei piani di riduzione del personale. In tale sede potrebbero anche essere allegate, ad colorandum le circostanze sottolineate da codesta amministrazione in merito al fatto che la reintegra riguarderebbe comunque soggetti, che hanno comunque gi percepito il trattamento di fine servizio e iniziato a percepire il trattamento pensionistico. Si tratta infatti di profili che non potrebbero rilevare autonomamente quali requisiti ostativi allesecuzione dei provvedimenti giudiziali, anche in ragione del fatto che una differente regolamentazione di analoghe situazione a seguito di pronunce giurisprudenziali difformi un evento fisiologico del sistema, peraltro ben noto al legislatore che, non a caso, ha pi volte provveduto a vietare lestensione a soggetti non ricorrenti del giudicato su questioni favorevoli ai lavoratori. Tuttavia la deduzione degli stessi potrebbe indurre il giudicante, valutate le sopra delineate sopravvenienze, a pi favorevoli determinazioni. Sempre in merito allesecuzione dei provvedimenti cautelari, qualora lordine del giudice espressamente preveda la reintegra nel medesimo incarico, una possibile strada potrebbe essere quella di promuovere un incidente di esecuzione ex art. 669 duodecies cpc, nellambito del quale dedurre lincidenza del provvedimento sui poteri organizzatori dellamministrazione, sottolineando pertanto la necessit che lo stesso debba essere comunque eseguito non gi tramite assegnazione del soggetto alle precedenti mansioni, bens a mansioni equivalenti. Ci in considerazione del fatto che alcune disposizioni della contrattazione collettiva sembrano escludere un obbligo di conferimento del medesimo incarico. Si fa riferimento allart. 18 del CCNL della Presidenza, area dirigenziale, del 4 agosto 2010, il quale, nel quadro del capo dedicato alle 202 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 sanzioni disciplinari, prevede che La Presidenza, a domanda, reintegra in servizio il dirigente illegittimamente o ingiustificatamente licenziato dalla data della sentenza che ne ha dichiarato lillegittimit o la ingiustificatezza, anche in soprannumero nella medesima sede o in altra su sua richiesta, con il conferimento allo stesso di un incarico di valore equivalente a quello posseduto allatto del licenziamento. Al dirigente spetta, inoltre, il trattamento economico che sarebbe stato corrisposto nel periodo di licenziamento, anche con riferimento alla retribuzione di posizione in godimento allatto del licenziamento. Passando ad esaminare le possibili conseguenze in ordine alla mancata ottemperanza allordine giudiziale di reintegra, non si ritiene di poter addivenire a soluzioni univoche in merito ai possibili rilievi penali della vicenda. vero infatti che la Cassazione, con la sentenza 27 gennaio 2005, n. 2603, ha escluso il ricorrere della fattispecie di cui allart. 650 cp (Inosservanza dei provvedimenti dellautorit) nel comportamento del datore di lavoro, destinatario di un ordine di reintegrazione emesso dal giudice civile in base allart. 18 St. lav. ovvero ex art. 700 c.p.c., che ometta di reintegrare immediatamente il lavoratore nel posto di lavoro, richiamando altres lanalogo precedente di cui alla Cassazione, Sez. 3, 23 giugno 1975. Si tratta di precedenti che potrebbero essere valorizzati nellambito di ipotetici giudizi, ma, trattandosi di profili interpretativi non da escludere che la giurisprudenza possa addivenire a differenti e pi sfavorevoli letture delle norme di riferimento. Le medesime conclusioni possono valere in relazione al possibile inquadramento della fattispecie nellambito dellart. 388 c.p. (mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice) l dove, al secondo comma, individua la condotta penalmente rilevante nellelusione della esecuzione di un provvedimento del giudice civile, ovvero amministrativo o contabile, che prescriva misure cautelari a difesa della propriet, del possesso o del credito. Linottemperanza penalmente sanzionata, giusto il principio di tassativit, e il riferimento alle misure a difesa della propriet, del possesso o del credito, sembrerebbe escludere lapplicazione al caso di specie, cos come un comportamento meramente omissivo non dovrebbe essere sufficiente ad integrare la fattispecie, (in tal senso Cass. Sez. VI, sent. n. 879 del 6 giugno 1981: ai fini della configurabilit del reato di cui allart. 388 cod. pen., sempre necessario un comportamento attivo o commissivo diretto a frustrare o quanto meno a rendere difficile lesenzione del provvedimento giudiziale, non essendo sufficiente un comportamento meramente omissivo nella specie, stato ritenuto proprio che linottemperanza dellimprenditore alla sentenza di reintegra di un dipendente nel posto di lavoro non rientra nella previsione dellart. 388 cod. pen. Anche in tal caso tuttavia non possibile giungere a conclusioni univoche, trattandosi di profili interpretativi delle norme di riferimento, ed il ragionamento potrebbe essere esteso in relazione alla fattispecie del rifiuto od I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 203 omissione di atti d'ufficio di cui allart. 328 c.p. (in ordine al quale non sembrano sussistere precedenti giurisprudenziali riferibili a casi analoghi a quello ora in esame). Per quanto attiene al piano prettamente civilistico, occorre considerare che la mancata esecuzione del provvedimento pu legittimare linteressato a formulare istanze risarcitorie. Va tuttavia precisato che il riconoscimento del diritto sarebbe comunque subordinato allaccoglimento nel merito del ricorso e che andrebbe in ogni caso detratto laliunde perceptum (nel caso di specie rappresentato dal trattamento pensionistico). Sempre in caso di esito sfavorevole (per lamministrazione) non si pu tuttavia escludere a priori la richiesta di ulteriori poste risarcitorie, anche a titolo di danno non patrimoniale, la cui eventuale condanna a carico dellamministrazione potrebbe concretizzare un danno erariale. Il presente parere stato adottato su delibera del comitato consultivo nelladunanza del 15 ottobre 2010. A.G.S. - Parere del 10 novembre 2010 prot. 343835 - dott. Carmela Pluchino, AL 28881/10. Parere in merito alla possibilit: 1) per la societ consortile costituita ai sensi dellart. 96 del D.P.R. 554/1999 di sottoscrivere un contratto di subappalto; 2) per il Consorzio stabile capogruppo dellATI aggiudicataria di non partecipare alla societ consortile, costituita soltanto dalla mandante e da due consorziate designate in via esclusiva dal Consorzio medesimo per lesecuzione dei lavori Codesta Societ ha sottoposto alla Scrivente due quesiti, coinvolgenti diversi profili, dettati dalla necessit di assicurare una uniformit di condotta a livello nazionale e di evitare interpretazioni della normativa di riferimento che possano incidere in senso riduttivo sul regime della responsabilit e delle garanzie dellaggiudicataria nei confronti della Stazione appaltante. 1) Con il primo quesito si chiede se sia ammessa la possibilit per la societ consortile costituita per lesecuzione unitaria dei lavori dallATI aggiudicataria, ai sensi dellart. 96 del D.P.R. n. 554/99, di stipulare contratti di subappalto. In caso di risposta affermativa, con quali modalit debba essere richiesta lautorizzazione al subappalto alla Stazione appaltante e quali cautele debbano essere adottate con riferimento ai possibili inadempimenti della societ consortile. La Scrivente, per le considerazioni che di seguito si espongono, ritiene che: 204 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 a) la societ consortile costituita per lesecuzione unitaria dei lavori appaltati sia legittimata a stipulare contratti di subappalto; b) lautorizzazione al subappalto debba comunque essere richiesta dallATI aggiudicataria; c) la Stazione appaltante, autorizzando lATI aggiudicataria, continua ad essere garantita dalla stessa nel caso di eventuali inadempienze della societ consortile. Va preliminarmente affermato che non appare condivisibile la tesi secondo la quale, una volta costituita la societ consortile per lesecuzione totale (o anche solo parziale) del contratto (dei lavori), questa non possa a sua volta affidare a terzi subappaltatori detta esecuzione, opponendosi a tale possibilit il principio che vuole che nemo in alium transferre potest plus iuris quem ipse habet. Una volta infatti affidata alla societ consortile lesecuzione dei lavori, ancorch detta societ non divenga titolare del contratto dappalto, proprio la titolarit della situazione fattuale di obbligata alla esecuzione dei lavori che legittima ladozione di tutti gli strumenti idonei a realizzare il compito affidatele. 1.a) Giova innanzitutto distinguere, da un lato, il rapporto intercorrente tra la Stazione appaltante e lATI aggiudicataria e, dallaltro, il rapporto tra questultima e la societ consortile costituita per lesecuzione unitaria dei lavori. Le associazioni o raggruppamenti temporanei di imprese rappresentano uno strumento di collaborazione temporanea ed occasionale tra imprese per la partecipazione congiunta alle procedure riguardanti gli appalti pubblici, soprattutto laddove richiesto lapporto di capacit tecniche specialistiche, agevolando anche in tal modo laccesso ad imprese di minori dimensioni. Ciascuna impresa collabora allesecuzione dellappalto mantenendo la propria autonomia organizzativa nellesecuzione della quota assegnata e conservando la propria soggettivit giuridica, anche per ci che concerne gli adempimenti fiscali. Poich la caratteristica dellassociazione temporanea quella di non dar luogo ad un nuovo soggetto giuridico o nuovo centro di imputazione, normativamente richiesto il conferimento di apposito mandato collettivo speciale con rappresentanza irrevocabile allimpresa capogruppo, che esprime lofferta in nome e per conto proprio e dei mandanti ed assume la piena ed esclusiva rappresentanza (processuale e sostanziale) di tutte le imprese nei confronti della Stazione appaltante, per tutti gli atti concernenti lappalto fino allestinzione del rapporto, compresa la riscossione del corrispettivo dovuto. Mentre nei confronti della Committente lassociazione si pone come soggetto unitario, nei confronti dei terzi permane lindividualit della singola impresa e quindi pu ipotizzarsi una limitata soggettivit relativa del I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 205 raggruppamento (cfr. Corte di Cassazione, 22 ottobre 2003 n. 15807). Una volta costituito il rapporto dunque limpresa capogruppo, in virt del mandato suindicato, rimane il solo interlocutore dellAmministrazione appaltante ed titolare di tutti i crediti nascenti dallappalto, con obbligo di versamento alle imprese associate delle rispettive quote. Lart. 23 bis della legge 8 agosto 1977 n. 584, aggiunto con lart. 12 della Legge 8 ottobre 1984 n. 687, ha consentito alle imprese riunite di costituire tra loro una societ anche consortile, che subentra nellesecuzione unitaria, totale o parziale, dei lavori. Previsione dello stesso tenore contenuta nellattuale Regolamento in materia di lavori pubblici. Ed invero, ai sensi dellart. 96 del D.P.R. 21 dicembre 1999 n. 554 Le imprese riunite dopo laggiudicazione possono costituire tra loro una societ anche consortile, ai sensi del libro V del Titolo V, capi 3 e seguenti del codice civile, per lesecuzione unitaria, totale o parziale, dei lavori. La societ subentra, senza che ci costituisca ad alcun effetto subappalto o cessione di contratto e senza necessit di autorizzazione o di approvazione, nellesecuzione totale o parziale del contratto, ferme restando le responsabilit delle imprese riunite ai sensi della Legge. Il subentro ha effetto dalla data di notificazione dellatto costitutivo alla stazione appaltante, e subordinatamente alla iscrizione della societ nel registro delle imprese. Tutte le imprese riunite devono far parte della societ, la quale non pu conseguire la qualificazione. Nel caso di esecuzione parziale dei lavori, la societ pu essere costituita anche dalle sole imprese interessate allesecuzione parziale. Ai soli fini della qualificazione, i lavori eseguiti dalla societ sono riferiti alle singole imprese associate, secondo le rispettive quote di partecipazione alla societ stessa. Il subentro della societ consortile opera limitatamente allesecuzione dei lavori e non produce alcuna modificazione soggettiva del contratto, non assumendo la societ subentrante la veste di parte contrattuale n quella di appaltatore; ne conferma lobbligo di tutte le imprese associate di far parte della societ medesima, salva lipotesi di esecuzione parziale. Con riguardo alla responsabilit espressamente prevista la responsabilit solidale ed illimitata delle imprese riunite, che mira ad evitare lattenuazione di responsabilit, limitata al patrimonio, tipica delle societ di capitali. Si evidenzia che il rinvio del comma 2 dellart. 96 alla legge, ai fini della individuazione delle responsabilit delle imprese riunite, attualmente alla previsione contenuta nel comma 5 dellart. 37 del Codice dei contratti pubblici (in precedenza lart. 13, co. 2 dellabrogata L. n. 109/94 e s.m.i.) che dispone: Lofferta dei concorrenti associati o dei consorziati determina la 206 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 loro responsabilit solidale nei confronti della stazione appaltante, nonch nei confronti del subappaltatore e dei fornitori. Le peculiarit sopra individuate comportano che nella fattispecie in esame interlocutore unico, esclusivo e costante della Stazione appaltante rimane limpresa mandataria alla quale dovranno intestarsi, con effetto liberatorio, i pagamenti dovuti (cfr. Corte dei Conti, sez. contr. 30 maggio 1990, n. 32) ed alla quale spetta, tra laltro, lobbligo di dichiarare di aver preso visione dello stato dei luoghi. La giurisprudenza in materia ha chiarito che il passaggio dallATI alla societ consortile, ossia da una forma associativa ad una societ di capitali, comporta allinterno una scelta strutturale che si sovrappone alla forma associativa di cooperazione con mandato senza per successione nel rapporto dappalto dal momento che la societ consortile viene impiegata come strumento di attuazione di una volont diversa, specificatamente riconosciuta e regolamentata dalla legge (cfr. Corte di Cassazione, sentenza 4 gennaio 2001 n. 77). A tale riguardo nella pronuncia da ultimo indicata si legge che la societ consortile mira a consentire alle imprese riunite di realizzare le opere appaltate, nella forma pi semplificata, efficiente ed organica possibile, attraverso uno strumento operativo utile ad assicurare unitariet alla attivit delle consorziate rafforza ancor pi il rapporto associativo che il consorzio di per s comporta, in conformit allo schema degli artt. 2602 e ss. c.c., e la comunione di scopo corrispondente alla struttura organizzativa adottata assicura la stabilit necessaria a realizzare un autonomo centro di imputazione delle attivit svolte, che nellATI difetta totalmente e si propone nel consorzio con attivit esterna (Cass. 10956/1996; 441/1989) sia pure in forma semplificata e originale rispetto al fenomeno associativo in genere e a quello societario in particolare. La norma di cui allart. 96 succitato lascia infatti immutate le strutture dei due istituti (ATI e societ consortile) e separate le loro aree di operativit, conservando - lo si ribadisce - alla capogruppo dellATI il ruolo di mandataria nei rapporti con lAmministrazione appaltante ed attribuendo alla societ consortile quello di mera sostituzione nellattivit richiesta per lesecuzione dei lavori, con le conseguenti obbligazioni per le consorziate beneficiarie di essa, disciplinate dalle norme statutarie. Per le considerazioni sopra espresse e tenuto conto della configurazione giuridica degli istituti di cui si discute, la Scrivente ritiene che la societ consortile, in quanto deputata per espressa previsione normativa allesecuzione dei lavori e quindi alla cura di tutti i rapporti giuridici con i terzi che siano connessi allesecuzione stessa, sia legittimata a stipulare anche contratti di subappalto, rientrando gli stessi nei rapporti posti in essere dalla societ di gestione con i soggetti terzi. Quanto affermato trova conferma, oltre che nella prassi, nella giurispru- I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 207 denza in materia dal cui esame emergono frequenti casi di azioni monitorie ed esecutive esperite dai subappaltatori per conseguire il soddisfacimento dei propri crediti, nei confronti delle societ consortili, la cui legittimazione passiva non risulta essere posta in discussione. A ci aggiungasi che anche il quadro normativo di riferimento depone nel senso suindicato, se solo si considera il disposto dellart. 37, comma 5, del Codice dei contratti che prevede la responsabilit solidale dei concorrenti raggruppati o consorziati, oltre che nei confronti della stazione appaltante, anche nei confronti del subappaltatore e dei fornitori: una tale previsione si giustifica soltanto riconoscendo in capo alla societ consortile la titolarit a stipulare i contratti in questione; altrimenti non sarebbe stata necessaria la specificazione suddetta. 1.b) Daltra parte, pur riconoscendosi la legittimazione a sottoscrivere i contratti di subappalto, non pu non condividersi quanto ritenuto da codesta Amministrazione in ordine all autorizzazione alla relativa stipula. Ed infatti la richiesta di autorizzazione al subappalto rimane di esclusiva competenza dellATI aggiudicataria, unico interlocutore della Stazione appaltante, anche dopo la costituzione della societ consortile, costituente mero strumento operativo cui affidata lesecuzione unitaria dei lavori nellinteresse delle imprese riunite (cfr. Corte di Cassazione, 18 giugno 2008 n.16410). 1.c) Per ci che concerne la richiesta di indicazione delle cautele da adottare con riferimento ai possibili inadempimenti della societ consortile, per quanto sopra evidenziato la Stazione appaltante, autorizzando lATI aggiudicataria, continua ad essere garantita dalla stessa nel caso di eventuali inadempienze della societ consortile, che come ribadito quale mero strumento operativo non ha alcun rapporto diretto con la Committente. Ed invero la norma dellart. 96 suindicato espressamente come gi evidenziato fa salve le responsabilit delle imprese riunite ai sensi della legge. Pertanto, la configurazione giuridica sopra prospettata non pregiudica in alcun modo il regime della responsabilit diretta dellaggiudicataria per eventuali inadempimenti nei confronti della Stazione appaltante. 2) Il secondo quesito sottoposto alla Scrivente concerne la necessit o meno della partecipazione del Consorzio stabile, capogruppo dellATI aggiudicataria, alla societ consortile di cui al succitato art. 96, costituita nel caso di specie soltanto dalla mandante e da due consorziate designate in via esclusiva per lesecuzione dei lavori dal Consorzio stesso (che in sede di gara ha dichiarato di concorrere per quattro consorziate). Si richiede poi di rappresentare le eventuali implicazioni in punto di qualificazione delle imprese consorziate indicate per lesecuzione ove il consorzio concorrente non esegua poi concretamente, come nel caso di specie, i lavori. La Scrivente ritiene che: 208 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 a) nel caso di Consorzio stabile che concorre per una o pi imprese consorziate consentita la partecipazione alla societ consortile costituita dallATI aggiudicataria (di cui il Consorzio fa parte con qualifica di capogruppo) delle sole imprese consorziate individuate quali esecutrici in via esclusiva dei lavori; b) se si fa riferimento alla qualificazione ai fini della partecipazione alla gara, la stessa disciplinata dalle specifiche norme in materia. Se invece ci si riferisce allacquisizione della qualificazione per le imprese consorziate indicate in esclusiva come esecutrici dei lavori, a seguito dellespletamento dei lavori stessi, sembrerebbe logico ritenere che la relativa qualificazione sia limitata alle stesse. 2.a) Al fine di rispondere al primo punto del secondo quesito giova richiamare i referenti normativi in materia, ossia, per quanto concerne la disciplina dei Consorzi stabili, lart. 36 del Codice dei contratti e gli artt. 96 e 97 dellattuale Regolamento. A tale riguardo il comma 4 dellart. 96 del Regolamento attualmente in vigore prevede che Tutte le imprese riunite devono far parte della societ, la quale non pu conseguire la qualificazione. Nel caso di esecuzione parziale dei lavori, la societ pu essere costituita anche dalle sole imprese interessate allesecuzione parziale. Il dettato normativo non esclude per delle differenziazioni determinate dalle peculiarit della fattispecie in esame. Ed infatti per il Consorzio stabile che ha dichiarato di concorrere per quattro consorziate, delle quali due soltanto poi indicate come esecutrici in via esclusiva dei lavori appaltati, si ritiene legittima la partecipazione alla societ consortile (costituita dallATI aggiudicataria) delle sole consorziate esecutrici, per le ragioni che di seguito si espongono. Innanzitutto in linea generale si pu ritenere, per quanto riguarda la partecipazione dei Consorzi alle gare, che solo a quelli di cui alle lettere b) e c) dellart.10 della Legge quadro (ora art. 34 del Codice dei contratti), rispettivamente i Consorzi fra societ cooperative di produzione e lavoro e i Consorzi stabili, consentito indicare per quali consorziati concorrere; mentre per gli altri, caratterizzati da minore consistenza organizzativa, non ipotizzabile una partecipazione parziale che farebbe venir meno il vincolo della organizzazione comune e conseguentemente quello della responsabilit solidale. Ci anche in considerazione del fatto che il Consorzio stabile si caratterizza per la maggiore stabilit dellorganizzazione assunta statutariamente e per una struttura pi complessa e duratura che vede la partecipazione in molti casi di una pluralit di imprese consorziate, di cui alcune soltanto deputate alla fase esecutiva dei lavori. Diversamente, le associazioni o raggruppamenti temporanei di imprese rappresentano uno strumento di collaborazione temporanea ed occasionale tra I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 209 imprese per la partecipazione congiunta alle procedure degli appalti pubblici. Conseguentemente, tenuto conto che la societ consortile, per espressa previsione normativa, viene costituita esclusivamente per lesecuzione unitaria, totale o parziale dei lavori, (limitatamente allipotesi di partecipazione allATI di Consorzio stabile) da ritenersi legittimo che ne facciano parte soltanto le consorziate deputate in via esclusiva allesecuzione delle prestazioni contrattuali. Pi specificatamente, dal combinato disposto dellart. 97 del Regolamento e dellart. 36, co. 2 del Codice emerge che, nellipotesi in cui i lavori vengano eseguiti in proprio da parte del Consorzio stabile, questo sar direttamente responsabile, mentre nella diversa ipotesi dellesecuzione dei lavori per il tramite dei singoli consorziati, anche questi ultimi saranno responsabili in solido per mezzo del fondo consortile. Pertanto, nel caso in cui il Consorzio aggiudicatario esegua i lavori per il tramite di singole imprese consorziate, il regime delle responsabilit non viene pregiudicato, quanto addirittura rafforzato. Sotto altro profilo, con riferimento alle garanzie per i subappaltatori, le medesime non sono intaccate dalla mancata partecipazione alla societ consortile del Consorzio in quanto tale, poich detto Consorzio quale componente dellATI aggiudicataria, a norma dellart. 37 co. 5 del Codice dei contratti, solidalmente responsabile nei confronti della stazione appaltante, nonch nei confronti del subappaltatore e dei fornitori. Tanto premesso, con riferimento al caso di specie, si ritiene legittima la partecipazione alla societ consortile, oltre che della mandante, delle due sole consorziate indicate come esecutrici in via esclusiva dei lavori appaltati. 2.b) Infine codesta Amministrazione chiede alla Scrivente di rappresentare le eventuali implicazioni in punto di qualificazione delle imprese consorziate indicate per lesecuzione ove il consorzio concorrente non esegua poi concretamente, come nel caso di specie, i lavori. Il quesito come formulato non chiaro. Se si fa riferimento alla qualificazione ai fini della partecipazione alla gara, la stessa disciplinata dettagliatamente dalle norme di cui agli artt. 36 del Codice dei contratti e 97 dellattuale Regolamento. Se invece ci si riferisce allacquisizione della qualificazione per le imprese consorziate indicate in esclusiva come esecutrici dei lavori, a seguito dellespletamento dei lavori stessi, sembrerebbe logico ritenere che la relativa qualificazione sia limitata alle stesse. Riassumendo, si ritiene dunque, con riferimento al primo quesito, che: a) la societ consortile costituita ai sensi dellart. 96 del D.P.R. 554/99 per lesecuzione unitaria dei lavori appaltati sia legittimata a stipulare contratti di subappalto; b) lautorizzazione al subappalto debba comunque essere richiesta dal- 210 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 lATI aggiudicataria; c) la Stazione appaltante, autorizzando lATI aggiudicataria, continua ad essere garantita dalla stessa nel caso di eventuali inadempienze della societ consortile. Con riferimento al secondo quesito, che: a) nel caso di Consorzio stabile che concorre per una o pi imprese consorziate consentita la partecipazione alla societ consortile costituita dallATI aggiudicataria (di cui il Consorzio fa parte con qualifica di capogruppo) delle sole imprese consorziate individuate quali esecutrici in via esclusiva dei lavori; b) la qualificazione ai fini della partecipazione alla gara disciplinata dalle norme sopra richiamate. Lacquisizione della qualificazione per le imprese consorziate indicate in esclusiva come esecutrici dei lavori, a seguito dellespletamento dei lavori stessi, da ritenersi limitata alle stesse. Sulla questione stato sentito il Comitato Consultivo che si espresso in conformit. A.G.S. - Parere del 20 novembre 2010 prot. 358596/599/600 e Parere del 21 febbraio 2011 prot. 61323/40, avv. Marina Russo, AL 7530/06. Rivalutazione indennit integrativa speciale ex art. 2 comma 2 Legge 25 febbraio 1992 n. 210 LAmministrazione in indirizzo ha sottoposto alla Scrivente un quesito avente ad oggetto le modalit di esecuzione delle sentenze (si intende, ormai definitive, in quanto a suo tempo non impugnate per le note ragioni di economicit) che nel riconoscere il diritto alla corresponsione della rivalutazione della componente dellindennizzo in oggetto commisurata allIIS utilizzino formule tali da lasciare adito alla possibilit che il giudicato si estenda anche a periodi successivi alla data di deposito della sentenza. A tale riguardo, si espongono le seguenti considerazioni. Occorre prendere le mosse dalla norma di cui allart. 11, commi 13 e 14, del D.L. 78 del 31 maggio 2010 conv. in L. 30 luglio 2010 n. 122 con la quale il legislatore adeguandosi allinterpretazione resa dalla pi recente giurisprudenza di legittimit (sent. 22112/09) ha stabilito: 13. Il comma 2 dell'articolo 2 della legge 25 febbraio 1992, n. 210 e successive modificazioni si interpreta nel senso che la somma corrispondente all'importo dell'indennit integrativa speciale non rivalutata secondo il tasso d'inflazione. 14 Fermo restando gli effetti esplicati da sentenze passate in giudicato, per i periodi da esse definiti, a partire dalla data di entrata in vigore del presente decreto cessa l'efficacia di provvedimenti emanati al fine di rivalutare la somma di cui al I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 211 comma 13, in forza di un titolo esecutivo. Sono fatti salvi gli effetti prodottisi fino alla data di entrata in vigore del presente decreto. I provvedimenti cui la norma stessa fa riferimento sono - evidentemente - quelli, adottati dallAmministrazione in esecuzione della Direttiva Ministeriale dell8 aprile 2008, in base ai quali la stessa non solo ha disposto la rivalutazione dellIIS, ma ne ha anche esteso la corresponsione oltre i limiti temporali dei periodi coperti dalle sentenze a s sfavorevoli in materia, al solo fine di evitare la proliferazione di contenziosi ripetitivi dallesito certamente sfavorevole ed il conseguente aggravio di spese. Nel parere del 29 dicembre 2009 (*) - reso dalla Scrivente sulla scorta del rvirement giurisprudenziale di cui alla richiamata sentenza n. 22112/09 (quindi ancor prima dellentrata in vigore dellart. 11 cit.) - si invitava lAmministrazione in indirizzo a limitare sin da subito lesecuzione dei giudicati al solo periodo espressamente coperto dalla sentenza, raccomandandole di desistere dalla prassi applicativa consolidatasi sul fondamento della suddetta Direttiva. LAmministrazione comunque, dal canto suo, ha recentemente assicurato per le vie brevi di aver disposto, a partire dalla data di entrata in vigore del D.L. 78/10, anche la sospensione degli adeguamenti disposti in esecuzione di decisioni il cui tenore sia tale da renderle potenzialmente idonee a produrre effetti estesi al tempo successivo alla relativa pronuncia. Si tratta, ora, di individuare quale sia la condotta da tenere a fronte di pronunzie in cui vengano utilizzate espressioni quali quelle esemplificate nella nota in riferimento ( a far data dal ratei maturandi, ratei futuri, per i periodi a seguire, a vita), le quali suggeriscono unultrattivit del giudicato, estesa - cio - a periodi successivi alla data di proposizione della domanda giudiziale. Ci, al fine di valutare in quali situazioni debba ritenersi cessata lefficacia dei provvedimenti amministrativi che accordano ladeguamento dellIIS sulla base di un titolo esecutivo. Al riguardo, appare prima di tutto opportuno affrontare, nellambito della casistica segnalata, la fattispecie della condanna alla corresponsione delladeguamento sui ratei a far data dal... (o simili, ad esempio a decorrere dal ) nella quale cio sia stabilito solo il dies a quo del diritto, e non anche un dies ad quem, oltre il quale il giudicato non potrebbe, comunque, estendere i propri effetti. Per uneventualit del genere, in linea di massima sembra potersi ragionevolmente sostenere tanto in sede amministrativa quanto, se del caso, giurisdizionale (segnatamente, di opposizione allesecuzione) che il giudicato (*) V. Rass., 2010, I, 210-213. 212 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 sia da intendere nel senso che i suoi effetti, in difetto di esplicita statuizione di segno contrario, non possano estendersi al di l del periodo che, di norma, si presume sottoposto allattenzione del giudice. Tale periodo , di regola, quello anteriore alla presentazione della domanda, (La pronuncia giurisdizionale di condanna del convenuto a un fare o un dare, anche se riferibile a rapporti c.d. <>, produce, di norma, i suoi effetti per le prestazioni anteriori al periodo di presentazione della domanda e non per quelle relative al periodo successivo, pur non potendosi escludere che una pronuncia giurisdizionale, emanata in conformit della domanda proposta dalla parte quando ci sia ammesso dall'ordinamento, possa statuire in relazione allo svolgimento del rapporto fino alla data della pronuncia ovvero anche alla situazione ulteriore Sez. L, Sentenza n. 7487 del 5 giugno 2000). Se la regola che il giudice conosce del solo periodo antecedente la domanda, e solo in via eccezionale di quello successivo (cio fino al deposito della sentenza o addirittura oltre), allora se ne pu ragionevolmente desumere che in mancanza di diversa espressa statuizione la sentenza si debba interpretare in accordo con il suddetto principio: pertanto, se sia indicata solo la decorrenza (dies a quo) del diritto, ma non anche il dies ad quem, deve ritenersi che il giudice abbia inteso limitare la sua pronuncia solo al tempo anteriore alla proposizione della domanda. Ne discende che i provvedimenti amministrativi che, sulla base di sentenze del descritto tenore, abbiano disposto ladeguamento dellIIS sine die, potranno - in base allart. 11 comma 14 cit. - essere considerati inefficaci sin dalla data di entrata in vigore del D.L. 78/10. Nei casi in cui la sentenza si riferisca apparentemente, mediante formule del tipo ratei maturandi, ratei futuri, per i periodi a seguire, a vita anche ad un tempo successivo alla data della domanda giudiziale che, come detto, rappresenta di regola il confine temporale del periodo conosciuto dal giudice, si osserva quanto segue. Linterpretazione che ritenesse preclusa al Legislatore la possibilit di disporre del diritto in presenza di una condanna in futuro apparirebbe di dubbia costituzionalit, anche nellottica di un corretto riparto di competenze tra i poteri dello Stato. Inoltre, la giurisprudenza di legittimit, in tema di diritti nascenti da rapporti di durata, chiarisce che il giudicato ha come presupposto il principio rebus sic stantibus, (In ordine ai rapporti giuridici di durata e alle obbligazioni periodiche che eventualmente ne costituiscono il contenuto, sui quali il giudice pronuncia con accertamento su una fattispecie attuale ma con conseguenze destinate ad esplicarsi anche in futuro, lautorit del giudicato impedisce il riesame e la deduzione di questioni tendenti ad una nuova decisione di quelle gi risolte con provvedimento definitivo, il quale pertanto esplica la I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 213 propria efficacia anche nel tempo successivo alla sua emanazione, con lunico limite di una sopravvenienza, di fatto o di diritto, che muti il contenuto materiale del rapporto o ne modifichi il regolamento (ex multis, Cass. Lav. 15931/04); con specifico riferimento alle obbligazioni di durata aventi ad oggetto un dare o un fare periodico: La pronuncia giurisdizionale di condanna del convenuto a un fare o un dare, anche se riferibile a rapporti c.d. <>, produce, di norma, i suoi effetti per le prestazioni anteriori al periodo di presentazione della domanda e non per quelle relative al periodo successivo, pur non potendosi escludere che una pronuncia giurisdizionale, emanata in conformit della domanda proposta dalla parte quando ci sia ammesso dall'ordinamento, possa statuire in relazione allo svolgimento del rapporto fino alla data della pronuncia ovvero anche alla situazione ulteriore. Pertanto non configurabile un unico rapporto giuridico fondamentale che colleghi i debiti relativi dei diversi periodi, onde la diversit dei periodi, pur nella identit dei termini di riferimento e di connotazione del rapporto, basta a far configurare quali diversi i rapporti contributivi ad essi afferenti; sicch il giudice del primo giudizio non pu stabilire, con efficacia di giudicato, che le norme sottoposte al suo esame debbano essere interpretate nel senso che anche per il futuro l'obbligo contributivo si atteggia in un determinato modo, giacch per questa parte egli giudicherebbe di un rapporto del quale non si sono ancora realizzati tutti i presupposti, e pertanto in assenza di un interesse delle parti alla relativa pronunzia (Cass. lav. n. 7487/00). In considerazione di quanto sopra, si ritiene che le formule ratei maturandi, ratei futuri, per i periodi a seguire, a vita e simili devono essere univocamente interpretate, escludendo lultrattivit del giudicato rispetto allo ius superveniens. Si dovr quindi sostenere, fino alleventuale consolidarsi di un diverso orientamento giurisprudenziale, che in questi casi, a prescindere dalla formula adottata nel giudicato, a far data dallentrata in vigore del D.L. 78/10, conv. in l. 122/10, la rivalutazione della IIS sui ratei di pensione ex L. n.210/92 non pi dovuta. Sulla questione stato sentito il Comitato Consultivo, che si espresso in conformit. *********** Con nota in data 24 gennaio 2011 n. 2576, il Ministero della Salute ha richiesto il parere della Scrivente in merito ad una questione sorta a seguito dellentrata in vigore della norma di cui allart. 11, commi 13 e 14, del D.L. 78 del 31 maggio 2010 conv. in L. 30 luglio 2010 n. 122, con il quale il legislatore adeguandosi allinterpretazione resa dalla pi recente giurisprudenza di legittimit (sent. 22112/09) ha stabilito: 13. Il comma 2 dell'articolo 2 della legge 25 febbraio 1992, n. 210 e successive modificazioni si interpreta nel senso che la somma corrispondente all'importo dellindennit integrativa speciale non rivalutata secondo il tasso dinflazione. 14. Fermo restando 214 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 gli effetti esplicati da sentenze passate in giudicato, per i periodi da esse definiti, a partire dalla data di entrata in vigore del presente decreto cessa l'efficacia di provvedimenti emanati al fine di rivalutare la somma di cui al comma 13, in forza di un titolo esecutivo. Sono fatti salvi gli effetti prodottisi fino alla data di entrata in vigore del presente decreto. In particolare, secondo il Ministero dellEconomia e Finanze Dipartimento dellAmministrazione generale del personale e dei Servizi, ai soggetti che abbiano ottenuto sentenze favorevoli, recanti il riconoscimento del diritto alla rivalutazione dellIIS, dovrebbe continuare a corrispondersi lindennizzo comprensivo delladeguamento dellIIS maturato al 31 maggio 2010, senza tuttavia ulteriormente rivalutare dopo tale data la suddetta IIS: in definitiva, si escluderebbe la spettanza di adeguamenti in futuro, ma si darebbe per acquisito una volta per tutte il diritto alla rivalutazione maturata al 31 maggio 2010. Ad avviso del Ministero della Salute, invece, i ratei di indennizzo maturati dopo la data del 31 maggio 2010 devono essere corrisposti senza alcun adeguamento dellIIS, nel senso che essi devono essere ricondotti allimporto originario, analogo a quello corrisposto alla generalit dei titolari di indennizzo, che non abbiano mai ottenuto sentenze favorevoli. La Scrivente, richiamando il contenuto dei precedenti pareri nn. 358600 del 20 novembre 2010 e 391864 del 29 dicembre 2009 indirizzati a codesto Ministero dellEconomia e Finanze Dip.to Ragioneria Generale dello Stato ed allegati per comodit, ritiene che la soluzione corretta sia quella prospettata dal Ministero della Salute, per i motivi qui di seguito esposti. La norma di cui allart. 11 cit. ha natura interpretativa. Ci sta a significare che, mediante la stessa, il legislatore ha inteso esplicitare il significato fin dallinizio insito nella norma interpretata. Ne consegue che fatti salvi, per espressa previsione normativa (comma 14 dellart. 11 cit.), gli effetti esplicati da sentenze passate in giudicato, per i periodi da esse definiti (vale a dire gli adeguamenti corrisposti in passato, limitatamente ai periodi interessati da sentenza), per il futuro lindennizzo dovr essere quantificato avendo riguardo al significato della norma vigente, cos come esplicitato dalla legge di interpretazione, tornando quindi inevitabilmente allimporto originario, del quale non si dovranno pi effettuare adeguamenti. Diversamente, si finirebbe con lattribuire alle sentenze favorevoli ai percettori di indennizzo (peraltro rese sulla base di uninterpretazione normativa la cui esattezza stata smentita dal legislatore del D.L. 78/10) unultrattivit non contemplata dalla norma di cui allart. 11 comma 14 che, infatti, fa salvi unicamente gli effetti esplicati- evidentemente per il pregresso - da sentenze passate in giudicato per i periodi da esse definiti; si continuerebbe - insomma - a corrispondere un incremento che non ha pi titolo n nella sentenza (i cui effetti sono fatti salvi limitatamente ai periodi da essa definiti), n I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 215 nella legge interpretata autenticamente; si violerebbe altres la norma di cui allo stesso comma 14, che prevede la cessazione dell efficacia di provvedimenti emanati al fine di rivalutare la somma di cui al comma 13, in forza di un titolo esecutivo, estendendone gli effetti anche ad epoca successiva allentrata in vigore del D.L. 78/10; si introdurrebbe - infine - una disparit di trattamento, non voluta dal legislatore, fra quanti abbiano beneficiato in passato di sentenze favorevoli (i cui effetti peraltro non valgono a coprire anche il futuro, come illustrato nel precedente parere della Scrivente di cui alla nota prot. 358596, approvato dal Comitato Consultivo in data 20 novembre 2010), rispetto a quanti non abbiano ottenuto analoghe pronunce e percepiscano pertanto, oggi, lindennizzo senza adeguamento dellIIS. Deve pertanto cessare la corresponsione delladeguamento maturato al 31 maggio 2010. Quanto, poi, alle somme indebitamente erogate a far data dal 31 maggio 2010 allattualit, si ritiene che le stesse costituiscano indebito oggettivo, da ripetersi mediante ritenuta periodica. Peraltro, considerata lattuale pendenza di tre distinti giudizi di legittimit costituzionale (ct 49976/10, 4100/11 e 5098/11, avv. Marina Russo) aventi ad oggetto lart. 11 D.L. 78/10, si consiglia, per evidenti ragioni di opportunit, di soprassedere allo stato alla ripetizione dellindebito, fino allesito dei suddetti giudizi. I tempi di definizione di questi ultimi, peraltro, sono prevedibilmente contenuti, sicch nelle more non dovrebbero verosimilmente maturare i termini della prescrizione. Tuttavia, ad abundantiam, si raccomanda fin dora di curare linterruzione dei suddetti termini nella non creduta ipotesi in cui la questione - contrariamente a quanto oggi pare - dovesse protrarsi a lungo. Sulla questione stato sentito il Comitato Consultivo, che si espresso in conformit. A.G.S. - Parere dell11 dicembre 2010 prot. 382915/16 - avv. Giuseppe Albenzio, AL 33906/10. Controlli sulle restituzioni allesportazione dei prodotti agricoli. Art. 11 Reg. CE 485/2008 Codesta Agenzia delle Dogane chiede parere in merito alla ripartizione delle competenze con lAGEA, istituita come servizio specifico ai sensi dellart. 11 Reg. CE 4045/1989 (confermato dallart. 11 Reg. CE 485/2008), e in particolare sulla competenza di questultima ad effettuare valutazioni sulle 216 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 richieste di Mutua assistenza amministrativa rivolte dallAgenzia delle Dogane agli altri Stati membri, ai sensi dellart. 7, par. 4, Reg. 485/2008. Questa Avvocatura Generale, sentita lAgenzia delle Dogane e lAGEA, ritiene quanto segue. Il citato art. 11 Reg. CE dispone: 1. In ciascuno Stato membro, un servizio specifico incaricato di seguire lapplicazione del presente regolamento e a) lesecuzione dei controlli previsti da parte di agenti alle dirette dipendenze di tale servizio, o b) il coordinamento dei controlli effettuati da agenti che dipendono da altri servizi. Gli Stati membri possono altres prevedere che i controlli da effettuare in applicazione del presente regolamento siano ripartiti fra il servizio specifico e altri servizi nazionali, semprech il primo ne assicuri il coordinamento. 2. Il servizio o i servizi incaricati dellapplicazione del presente regolamento devono essere organizzati in modo da essere indipendenti dai servizi o da sezioni di essi incaricati dei pagamenti e dei controlli che li precedono. 3. Per garantire la corretta applicazione del presente regolamento, il servizio specifico di cui al paragrafo 1 prende tutte le iniziative e le disposizioni necessarie. 4. Il servizio specifico vigila inoltre: a) alla formazione degli agenti nazionali incaricati dei controlli di cui al presente regolamento, affinch acquisiscano le nozioni necessarie allespletamento dei loro compiti; b) alla gestione delle relazioni di controllo e di tutta la documentazione in rapporto con i controlli effettuati e previsti in applicazione del presente regolamento; c) alla redazione e alla comunicazione dei rapporti di cui allarticolo 9, paragrafo 1, come anche dei programmi di cui allarticolo 10 . In attuazione, sono stati adottati: - il d.m. 1 aprile 1996, il quale allart. 1, dispone che: 1. I controlli da effettuare a norma del regolamento CEE n. 4045/89 sono espletati dal: Ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali avvalendosi del personale della Direzione generale delle politiche comunitarie e internazionali e del Corpo forestale dello Stato, per quanto concerne gli interventi di mercato; Ministero delle finanze avvalendosi del personale del Dipartimento delle dogane e imposte indirette - Direzione centrale servizi doganali, e delle direzioni compartimentali delle dogane e imposte indirette, per quanto concerne le restituzioni all'esportazione allart. 2, comma 2, che: 1. Il Servizio specifico di cui all'art. 11 del regolamento CEE n. 4045/89 istituito presso il Ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali - Direzione generale delle politiche comunitarie e inter- I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 217 nazionali. 2. Nello svolgimento dei compiti previsti dall'art. 11 del regolamento 4045/89 il Servizio di cui al comma 1 agisce d'intesa con gli uffici del Ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali di cui all'art. 1, e con il Dipartimento delle dogane e imposte indirette - Direzione centrale dei servizi doganali. - il d.m. 23 marzo 2006, il quale allart. 1, comma 1, prevede che: 1. I controlli di competenza del Ministero delle politiche agricole e forestali, da effettuare ai sensi del regolamento CEE n. 4045/1989 - ferma restando la competenza in materia di restituzioni alle esportazioni dell'Agenzia delle dogane - sono espletati, per quanto concerne le operazioni finanziate dal Feoga sezione garanzia, dal Corpo forestale dello Stato e dall'Ispettorato centrale repressione frodi con le modalit indicate nel presente decreto. , poi, intervenuta la legge finanziaria 2007 che, allart. 1, comma 1048, ha previsto, per quel che riguarda la questione in esame, che: i compiti di cui allart. 11 del regolamento (Cee) n. 4045/89, a decorrere dal 1 luglio 2007 sono demandati allAgenzia per le erogazioni in agricoltura (Agea). Dal complesso normativo sopra riportato si pu dedurre che: a) i controlli previsti dal Reg. CE possono essere ripartiti dagli Stati membri fra il servizio specifico ex art. 11 e altri servizi nazionali; b) il servizio specifico esegue direttamente i controlli di competenza dei propri agenti e coordina i controlli effettuati da agenti dipendenti di altri servizi; c) il servizio specifico ha la competenza esclusiva del coordinamento fra i vari agenti incaricati del controllo e deve agire dintesa con gli uffici dei quali i Ministeri competenti sono autorizzati ad avvalersi (nella specie, lAgenzia delle Dogane, gi Dipartimento delle dogane e imposte indirette, per le restituzioni allesportazione); d) lAGEA subentrata nelle funzioni del servizio specifico istituito presso il Ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali - Direzione generale delle politiche comunitarie e internazionali. Il Legislatore nazionale, quindi, si avvalso sin dalla prima applicazione delle disposizioni dei Regg. CE 4045/1989 e 485/2008 della facolt di distribuire fra pi uffici i compiti di controllo connessi a quei regolamenti, distinguendo chiaramente le relative competenze fra il Ministero delle risorse agricole e quello delle Finanze, disponendo che questultimo si avvalga dellAgenzia delle Dogane (gi Dipartimento) per quanto concerne le restituzioni all'esportazione; gli interventi che si sono succeduti nel tempo non hanno mai modificato questa originaria ripartizione di competenze, limitandosi a disporre la successione nelle funzioni del servizio specifico dellAGEA (significativa in tal senso la salvaguardia posta dallart. 1, comma 1, d.m. 23 marzo 2006: - ferma restando la competenza in materia di restituzioni alle esportazioni del- 218 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 l'Agenzia delle dogane -). Sui controlli di competenza dellAgenzia delle Dogane, lAGEA esercita le sue funzioni di coordinamento gi attribuite, ex art. 11 Reg. CE, al Ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali - Direzione generale delle politiche comunitarie e internazionali e, nellesercizio di questa potest, agisce d'intesa con il Dipartimento delle dogane e imposte indirette - Direzione centrale dei servizi doganali (ora Agenzia delle Dogane). Cos esattamente ricostruito il quadro normativo nella materia (per quanto concerne le restituzioni allesportazione), appare chiaro che lAGEA non ha competenza ad effettuare valutazioni di merito sulle richieste di Mutua assistenza amministrativa rivolte dallAgenzia delle Dogane agli altri Stati membri ai sensi dellart. 7, par. 4, Reg. 485/2008, trattandosi di attivit di controllo demandata alla detta Agenzia delle Dogane dal Legislatore nazionale, sulla quale pu e deve essere effettuata solo attivit di coordinamento, dintesa con gli uffici della stessa Agenzia delle Dogane. La detta attivit di coordinamento comporta, fra laltro, che le richieste di Mutua assistenza debbano essere preventivamente comunicate allAGEA, a fini di coordinamento, ma possano essere inoltrate direttamente dallAgenzia delle Dogane (come confermato dalla Commissione Europea nella nota 20 agosto 2010 n. 563298 in risposta a specifica richiesta dellAGEA), salvo diverse intese fra le due Agenzie. Il presente parere stato sottoposto al Comitato Consultivo di questa Avvocatura che si espresso in conformit nella seduta dell1 dicembre 2010. A.G.S. - Parere del 13 dicembre 2010 prot. 383514/19 - avv. Marco Stigliani Messuti, AL 33778/10. Sulle attribuzioni di titolarit delle procedure delle pratiche finalizzate all'acquisizione del certificato di prevenzione incendi (CPI) degli edifici scolastici Con la nota che si riscontra codesta Avvocatura ha chiesto una pronunzia di questo GU sulla questione suindicata, ritenuta di massima ed avente ad oggetto il riparto di competenze tra Enti Locali e Dirigenti Scolastici con riferimento alla domanda di rilascio del certificato di prevenzione incendi (CPI), nonch in merito ai regimi di responsabilit connnessi all' omessa attivazione del procedimento. Nello specifico, l'Ufficio Scolastico Piemontese ha sottoposto n. 6 quesiti: 1) "Se in relazione all'omessa richiesta di rilascio del CPI e di tutte le azioni ad esso connesse, in attesa del nuovo DPR, da emanare a norma del- I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 219 l'art. 17, co. 1, l. 13 agosto 1988, n. 400, l'illecito penale si configura solo per le attivit elencate nel DPR n. 689/1959 e non per quelle elencate dal DM del 16 febbraio 1982 e quindi se al momento non esisa l'obbligo del CPI per le scuole. (Riferimenti normativi: sentenza n. 282 del 1990 della Corte Costituzionale che dichiara l'illegittimit costituzionale del combinato disposto degli articoli 1, co. 1, e 5, co. 1, l. 7 dicembre 1984, n. 818 - D.Lgs 8 marzo 2006, n. 139, con particolare riferimento all'art. 16, co. 1 - D.Lgs 81/2008, come modificato dal D.Lgs 106/2009)". Concordemente all'avviso espresso dall'Avvocatura di Torino, appare senza dubbio condivisibile ricondurre l'ambito di applicazione della sentenza della Corte Costituzionale 11 giugno 1990, n. 282, alla mera declaratoria di incostituzionalit dell'art. 1, L. 818/1994 per violazione dell' art. 25, co. 2, Cost. Ne deriva che l'illecito penale possa configurarsi solo per le attivit elencate nel DPR 689/1959 e non pure per quelle listate dal DM 16 febbraio 1982. Difatti, la cogenza del DM Istruzione 16 febbraio 1982 non stata in alcun modo messa in discussione dalla Consulta nella succitata sentenza; al contrario, stata censurata la legge n. 818/1994 esclusivamente in quanto rinviava, nella forma di una norma penale in bianco, ad un precedente regolamento - il DM 16 febbraio 1982 - per l'individuazione dei soggetti del reato, il tutto in violazione della riserva di legge codificata a livello costituzionale. Discende da ci: a) che esclusa qualsiasi forma di responsabilit penale per la mancata attivazione del procedimento finalizzato al rilascio del CPI (cfr. Cass. pen., sez. III, 27 aprile 1992); b) che, dichiarata illegittima la norma di rinvio (la L. 818/1994) e non il rinvio stesso (il DM 16 febbraio 1982), sussiste ancora l'obbligo del CPI per le scuole, cos come un regime di responsabilit, civile e amministrativo, per la violazione del medesimo. 2) "Se vi siano, nell'ambito dell'applicazione della normativa antincendio, strumenti giuridico/normativi per distinguere la titolarit dell'attivit scolastica, che attiene alla gestione delle condizioni di esercizio, dalla titolarit del procedimento per l'ottenimento del certificato di prevenzione incendi e quali siano le conseguenti attribuzioni di responsabilit". Preliminarmente, occorre distinguere l'ipotesi in cui gli immobili destinati ad uso scuola siano di propriet degli Enti territoriali (punto a) ovvero di soggetti privati che li abbiano locati alle Amministrazioni comunali o provinciali (punto b). a) Diversamente da quanto prospettato dall'Avvocatura di Torino e a parere di questo GU, il riparto di competenze tra Enti Locali (Provincia e Comune) e Dirigenti Scolastici non vede questi ultimi tenuti a chiedere il CPI ai Vigili del Fuoco per gli immobili di cui le amministrazioni territoriali abbiano 220 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 la propriet, il tutto ai sensi del D.Lgs 8 marzo 2006, n. 139, art. 16, co. 2, e del DPR 12 gennaio 1998, n. 37, art. 1. Secondo codesta Avvocatura, i Dirigenti Scolastici, individuati "titolari dell'attivit" e "datori di lavoro" ai sensi dell'art. 3 D.Lgs 81/2008, ottempererebbero ai requisiti di cui all' art. 16, co. 2, D.Lgs 139/06, laddove chi "responsabile dell'attivit" a dover ottenere il rilascio del certificato suddetto. Invero, nonostante possa essere l'effettivo "gestore" dell'attivit a dover richiedere il CPI, nondimeno, nel caso delle scuole, la specificit della situazione vuole che sussista un riparto di competenze operato a livello legislativo, il quale individua a monte le attribuzioni del Dirigente Scolastico, con riferimento al concreto esercizio dell'attivit scolastica, ovvero degli Enti Locali, gravati della manutenzione ordinaria, straordinaria e impiantistica degli edifici adibiti a scuola (art. 3, co. 1, l. 11 gennaio 1996, n. 23). Ne discende che la disciplina generale - la quale vede in chi esercita l'attivit il soggetto legittimato a chiedere il CPI - risulterebbe essere derogata dalla suddivisione normativa di competenze tra Amministrazioni territoriali e scuole, donde la necessit che le prime debbano provvedere al conseguimento del CPI. Infatti, sebbene la Corte di Cassazione abbia pi volte affermato che sono attribuite agli Enti Locali le "spese generali [] che occorrano per rendere effettiva la destinazione di determinati locali a sede di scuole, senza alcuna possibilit di comprendere oneri derivanti dal concreto espletamento dellattivit scolastica", quali ad esempio "quelli inerenti alla rimozione dei rifiuti" (Cass., sez. trib., 18 aprile 2000, n. 4944; cfr. anche Cass. 1 settembre 2004, n. 17617), non risulta che il CPI rappresenti una certificazione attinente al concreto esercizio dell'attivit scolastica. Piuttosto, esso pare strettamente connesso all'idoneit dell'immobile rispetto all'uso-scuola. Cos l'art. 16, co. 1, D.Lgs 139/06 asserisce che il "certificato di prevenzione incendi attesta il rispetto delle prescrizioni previste dalla normativa di prevenzione incendi e la sussistenza dei requisiti di sicurezza antincendio nei locali, attivit, impianti ed industrie pericolose". A ci si aggiunge che il DM 16 febbraio 1982, rinviato dall'art. 22 DPR 29 luglio 1982, n. 577, nel listare le attivit soggette a prevenzione incendi, configura queste ultime, non tanto come lo svolgimento concreto di un esercizio, bens come quei complessi organizzativo-strumentali, che possono anche essere siti all'aperto, ma dove i mezzi a servizio dei lavoratori devono essere idonei a garantire la sicurezza dal rischio incendi. Il CPI fa dunque fede delle qualit dell'immobile rispetto alla vigente normativa antincendio, dovendosi peraltro includere nella domanda per il rilascio del primo (cfr. All. al DM 22 febbraio 2006, att. art. 1, co. 5, DPR 12 gennaio 1998, n. 37) ogni informativa relativa agli impianti, alle strutture - la cui predisposizione spetta all'Ente Locale - ed ai piani di prevenzione antincendio di I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 221 cui al D.Lgs 9 aprile 2008, n. 81, e succ. modificazioni, i quali sono affidati in via del tutto eccezionale alle cure dei Dirigenti Scolastici ex articoli 17 e 18 D.Lgs 81/08 (cfr. anche Circolare Ministeriale 29 aprile 1999, n. 119). Ne deriva che, argomentando in base agli indirizzi sorti nella giurisprudenza di legittimit in tema di riparto di competenze tra Ente Locale e istituti scolastici, spetterebbe al primo, in via esclusiva, fare istanza di rilascio del CPI, mentre sui Dirigenti scolastici graverebbe il mero obbligo di predisporre e poi trasferire la documentazione ex D.Lgs 81/08. b) Quanto ai cespiti locati da privati ed adibiti a scuola, viceversa, la disciplina generale sulla titolarit dell'attivit derogata da quella, regionale e territoriale, sulla destinazione d'uso degli immobili. Secondo tale normativa, gli Enti Locali prendono in locazione solo gli edifici che risultano idonei rispetto all'uso cui sono destinati, nel caso di specie a scuola/ufficio. Vale a titolo di esempio il bando del 30 luglio 2010 (allegato), con cui il Ministero della Giustizia, ricercando un immobile da locare in Bergamo, ha imposto, tra le specifiche tecniche, che il predetto bene: a) fosse destinato "ad uso ufficio pubblico secondo standard di classe A"; b) fosse conforme "con la Regola Tecnica di Prevenzioni Incendi approvata con Decreto del Ministero dell'Interno del 22 febbraio 2006". Da qui l'obbligo, a carico del titolare, di adeguare l'immobile che intende locare rispetto alla recente normativa antincendio e dunque a munire il medesimo dell'idonea certificazione richiesta ex D.Lgs 139/06 e DPR 577/1982. 3) "Quali strumenti giuridici di tutela della propria posizione giuridica di responsabilit, il Dirigente Scolastico pu adottare in caso di inerzia dell'Ente Locale a fronte di messa a norma dell'edificio scolastico per l'ottenimento del CPI, tenendo presente che il Dirigente Scolastico deve garantire la continuit del servizio scolastico". Come ben sottolineato dall'Avvocatura di Torino e stante per la competenza degli Enti Locali quanto alla richiesta del CPI, appare condivisibile il riferimento allart. 5 DM 29 settembre 1998, n. 382, laddove il Dirigente Scolastico, riscontrata una deficienza nelle strutture adibite a scuola, ivi compresa la mancanza della certificazione antincendio, esonerato da qualsiasi forma di responsabilit a seguito della segnalazione all'Ente citato, salvo le precisazioni di cui infra. 4) "Se in assenza di un certificato di prevenzione incendi in corso di validit, i Vigili del Fuoco possano far ricadere l'esercizio dell'attivit nell'ambito della responsabilit esclusiva e diretta del Dirigente Scolastico, senza formalmente definire e distinguere gli obblighi di competenza di quest'ultimo, responsabile della gestione dell'attivit, dagli obblighi dei soggetti responsabili delle strutture e della documentazione tecnica degli edifici". Per quanto attiene alla responsabilit del Dirigente Scolastico, si ravvisa 222 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 anzitutto la perentoriet del CPI, come d'altronde rimarcato dal TAR Lazio, sez. III, 30 settembre 2003, n. 7861, secondo cui ҏ legittima la sanzione disciplinare irrogata al dirigente che ha chiesto ladozione di un ordine scritto al trasferimento di pellicole cinematografiche in struttura precaria e provvisoria, sprovvista di certificato di prevenzione incendi, considerata lobbligatoriet di detta certificazione ai sensi dellart. 13 e 15 d.p.r. 29 luglio 1982 n. 577, a nulla rilevando il carattere definitivo o temporaneo della struttura del caso. Tuttavia, se il CPI manca, i Dirigenti Scolastici non possono ritenersi responsabili, vuoi sotto il profilo penale, vuoi sotto quello amministrativo e civile. In primo luogo, infatti, non vi alcuna responsabilit penale per la mancanza della certificazione antincendio: ci a seguito della sentenza della C. Cost. 282/1990 (Cass. pen., sez. III, 27 aprile 1992). Per di pi, considerate l'esenzione di cui all'art 5 DM 29 settembre 1998, n. 382 (cfr. punto 4), nonch la disponibilit della chiusura degli edifici scolastici in capo al solo Sindaco (art. 54 D.Lgs 18 agosto 2000, n. 267), sembra svanire qualsivoglia ipotesi di responsabilit amministrativa ovvero civile dei Dirigenti Scolastici. 5) "Se nei casi in cui in un edificio vengano allocate diverse scuole con a capo differenti dirigenti e quindi nell'edificio si trovino pi gestori, ogni Dirigente Scolastico risulti responsabile della gestione dei soli locali e dell'area di pertinenza della sua scuola, mentre la responsabilit della rispondenza dell'intero edificio alla normativa vigente in materia di agibilit e sicurezza sia dell'Ente locale individuato dalla normativa Ente obbligato alla manutenzione e messa a norma dell'edificio". In relazione ai plessi scolastici con pi istituti all'interno, si ribadisce la competenza unica dell'Ente Locale o dei diversi Enti Locali competente/i a chiedere il CPI, a seconda che, ad es., l'edificio ospiti due scuole primarie, la cui manutenzione ordinaria e straordinaria spetta al Comune, oppure una scuola primaria ed una scuola secondaria superiore, la cui manutenzione spetta invece rispettivamente a Comune e Provincia. Viceversa, per quanto attiene agli immobili locati adibiti a scuola, nulla quaestio sorge: il titolare dell'immobile che, dovendo garantire la destinazione d'uso, provveder a fare istanza di rilascio del CPI. 6) "Se, in assenza di CPI valido, una dichiarazione congiunta, preso atto dei disposti di cui all'art. 5 del DPR 37/98, che distingua obblighi e responsabilit sottoscritta dall'Ente Locale e dal Dirigente Scolastico, possa essere sufficiente per garantire il regolare esercizio dell'attivit scolastica, esonerando il Dirigente Scolastico da ogni responsabilit diretta". Si conferma la portata non esimente di eventuali dichiarazioni congiunte tra Enti Locali e Istituti Scolastici, volte a definire gli ambiti di rispettiva at- I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 223 tribuzione in assenza di un CPI valido. La presenza di tale certificato in effetti "perentoria" e nessun accordo pu modificare le aree di rispettiva responsabilit individuate dalla legge tra Ente Locale e Scuola. *** Tanto premesso, occorre chiarire come, in concreto, il Dirigente Scolastico debba adoperarsi, laddove riscontri la mancanza del CPI con riferimento all'istituto scolastico cui preposto. Al riguardo - e fermo restando che i Dirigenti Scolastici non sono gravati da alcuna forma di responsabilit in merito alla richiesta o meno, del CPI nelle scuole, per le considerazioni suesposte, - si osserva quanto segue: a) L'art. 3, Decr. Min. Interno 29 dicembre 2005 (G.U. 1 febbraio 2006) ha fatto decadere "i nulla osta [provvisori] rilasciati dai Comandi Provinciali dei Vigili del Fuoco", ai sensi dell'art. 2 l. 7 dicembre 1984, n. 818 e dunque dell'art. 7 D.P.R. 37/1998: per cui "la prosecuzione dell'esercizio delle attivit, ai fini antincendio, consentita solo se gli interessati abbiano ottenuto [] il certificato di prevenzione incendi ovvero abbiano provveduto alla presentazione della dichiarazione di cui all'art. 3, co. 5, D.P.R 37/98 che costituisce, ai soli fini antincendio, autorizzazione provvisoria all'esercizio dell'attivit" (art. 3 Decr. Min. Interno 29 dicembre 2005). b) Dovendosi fare una distinzione tra immobili di nuova e vecchia costruzione, nel primo caso nulla quaestio sorge in ordine alla assenza o meno del CPI, nonch con riferimento al regime di responsabilit connesso alla mancata richiesta dello stesso. Infatti: (i) nell'ipotesi di nuovi edifici, di propriet degli Enti Locali ed adibiti a scuola, la consegna dell'immobile all'amministrazione scolastica impone la presenza di tutte le caratteristiche tecniche, ivi incluso il CPI, che possano rendere il manufatto idoneo all'esercizio dell'attivit scolara; (ii) nell'ipotesi, invece, di nuovi edifici, presi in locazione da privati ed adibiti a scuola, l'idoneit tecnica, anche con riferimento al CPI, dell'immobile all'uso scolastico imposta dalla normativa, regionale e locale, sulla destinazione d'uso degli immobili. c) Risulta senza dubbio opportuno che i Dirigenti Scolastici, laddove ravvisino la mancanza del CPI, chiedano e, se del caso, diffidino l'Ente Locale ad attivarsi per ottenere il rilascio del CPI da parte dei Vigili del Fuoco. Vieppi, si riscontra l'opportunit che i Vigili del Fuoco - ai sensi dell'art. 1 D.Lgs. 139/2006, istituiti per assicurare il "servizio di soccorso pubblico e di prevenzione ed estinzione degli incendi" - provvedano, su segnalazione dei Dirigenti Scolastici, a verificare l'esistenza di pericoli imminenti, ai fini antincendio con riferimento all'edificio adibito a scuola. d) Gli Enti Locali, quando i progetti antincendio da essi stessi presentati ai Vigili del Fuoco siano stati approvati ai sensi dell'art. 2 D.P.R. 37/1998, possono presentare una dichiarazione di idoneit delle strutture rispetto alla nor- 224 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 mativa antincendio (art. 3, co. 5, D.P.R. 37/98): ed in tal modo, nelle more che i Vigili del Fuoco procedano al sopralluogo di cui all'art. 3, co. 1, D.P.R 37/1998, l'attivit scolastica potr regolarmente svolgersi. Cos, anche TAR Campania 19 maggio 2010, n. 7140, ha ribadito che ammessa un'autorizzazione all' esercizio provvisorio nel solo caso in cui il progetto antincendio sia stato approvato dai Vigili del Fuoco e stia decorrendo il termine di novanta giorni per effettuare il sopralluogo di cui all'art. 3, co. 1, D.P.R. 37/98. e) In presenza di ritardi nel rilascio del CPI, opportuno che i Dirigenti Scolastici diffidino tutte le Amministrazioni coinvolte nella relativa procedura - dai Vigili del Fuoco all'Ente Locale competente - ed in particolare il Sindaco, il quale, come specificato in precedenza, l'unico soggetto legittimato a chiudere gli istituti scolastici (art. 54 D.Lgs 18 agosto 2000, n. 267). E' altres evidente che, in presenza di una situazione di pericolo, l'attivit scolastica non pu che essere sospesa anche a prescindere dal provvedimento del Sindaco riguardante la chisura o meno dell'immobile. Sul presente parere, il Comitato consultivo nella seduta dell'1 dicembre 2010, si espresso in conformit. A.G.S. - Parere del 29 gennaio 2011 prot. 324558 - avv. Ettore Figliolia, AL 45757/10. Disciplina in materia di rimborso spese legali ex d.l. n. 67/97, convertito in l. n. 135/97 Relativamente alla richiesta di parere di cui alla nota del 5 novembre u.s., alla stregua delle integrazioni documentali di cui alla successiva nota del 30 novembre u.s., si osserva quanto segue. Preliminarmente va rilevata la condivisibilit, in linea legale, della iniziativa di cui trattasi a parte di codesto Ateneo onde assicurare adeguata disciplina ad una materia, quale quella del rimborso delle spese legali affrontate dai dipendenti per fatti inerenti allesercizio delle funzioni istituzionali, rispetto a cui quantomeno dubbia lestensibilit agli Atenei della previsione normativa di cui allart. 28 del D.L. n. 67/1997, stante lespressa limitazione recata da tale disposizione ai dipendenti statali ed in relazione allautonomia agli Atenei stessi riconosciuta dal vigente ordinamento. Del tutto opportunamente poi, nel deliberato sottoposto alla consultazione di questo G.U., si richiama la pi parte dei molteplici principi statuiti dalla giurisprudenza nellambito della attivit interpretativa del citato art. 18, al fine evidentemente di garantire unomogeneit di disciplina a posizioni analoghe I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 225 di dipendenti pubblici con riferimento alla materia in trattazione, uniformando, per quanto possibile stanti le specificit universitarie, detta disciplina a quella dei dipendenti statali. Ci premesso, in particolare, per quanto attiene alla previsione dellart. 1 inerente al personale in servizio presso le Aziende ed altre strutture ivi menzionate, parrebbe opportuno specificare che lapplicazione del regolamento condizionata al presupposto che si tratti di servizio svolto nellinteresse dellAteneo, che ha appunto previamente autorizzato il servizio stesso, per il perseguimento delle specifiche finalit universitarie. Relativamente alla previsione dellart. 4 comma 1, si suggerisce di integrare la disposizione con la seguente proposizione e semprech sulla base della valutazione degli atti e degli elementi in possesso dellAmministrazione possa pronosticarsi un esito assolutorio del giudizio stesso. Con riferimento al contenuto dellart. 7 comma 4 potrebbe essere utile aggiungere dopo sotto il profilo della veridicit ed attendibilit la proposizione anche in termini di proporzionalit rispetto alla consistenza della imputazione. Per quanto concerne la norma transitoria di cui allart. 13 opportuno che codesto Ateneo approfondisca la possibilit di mantenere il precedente regime rispetto ai reati gi oggetto di contestazione, applicando, se del caso, la nuova disciplina di cui al presente regolamento ai procedimenti penali successivamente instaurati: ed infatti, non sembra potersi escludere che eventuali interessati gi sottoposti a procedimenti penali pendenti rispetto a cui non abbiano ancora attivato procedure di rimborso o di anticipazione, potrebbero aver assunto a suo tempo determinazioni sul patrocinio sul presupposto della disciplina vigente allepoca. Nei sensi suesposti la presente consultazione rimanendo a disposizione per quantaltro dovesse occorre. A.G.S. - Parere reso in via ordinaria del 2 febbraio 2011 prot. 36945 - avv. Paolo Marchini, AL 42110/10. Compensabilit tra crediti per indebiti aiuti di Stato per la ricapitalizzazione delle cooperative di pesca con debiti a titolo di premio per arresto temporaneo e definitivo natante In merito alla richiesta di parere in oggetto presentata dal Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali, questa Avvocatura osserva quanto segue. 1. La fattispecie concreta e la compensazione legale in genere La questione relativa a due vicende creditorie distinte: il credito vantato 226 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 dallAmministrazione nei confronti della Societ cooperativa (...) relativo alla restituzione di contributi erogati indebitamente in quanto dichiarati dalla Commissione Europea, con Decisione n. 7988 del 28 luglio 1999, incompatibili con il mercato comune; il debito dellamministrazione nei confronti della cooperativa (...) sia con riferimento allerogazione del premio per larresto definitivo del natante (...) che per quello relativo allarresto obbligatorio della pesca del tonno rosso. Il primo quesito interpretativo riguarda la legittimit dellazione amministrativa diretta a compensare il credito vantato dallAmministrazione nei confronti della Cooperativa (...) con i crediti vantati dalla suddetta cooperativa nei confronti dellAmministrazione. La compensazione lelisione, per la parte concorrente, dei crediti reciproci sussistenti tra due soggetti, dei quali luno sia creditore e debitore dellaltro nellambito di diversi rapporti contemporaneamente pendenti. Tanto osservato con riferimento ai principi generali che governano loperativit dellistituto, deve precisarsi che il requisito della reciprocit dei crediti non ex se sufficiente a determinare lestinzione per compensazione, occorrendo che detti crediti siano omogenei, liquidi ed esigibili. Lart. 1243 c.c., primo comma, dispone, infatti, che la compensazione si verifica solo tra due debiti che hanno per oggetto una somma di danaro o una quantit di cose fungibili dello stesso genere e che sono ugualmente liquidi ed esigibili. Dunque, ai fini delloperativit della compensazione come fattispecie dalla quale deriva leffetto estintivo dellobbligazione, ci che rileva lomogeneit delle obbligazioni, la liquidit ed esigibilit dei crediti e lesistenza per ciascun credito di un titolo diverso. In particolare, i crediti reciproci sono omogenei le volte che abbiano ad oggetto la consegna di cose fungibili dello stesso genere. I crediti sono liquidi quando siano determinati nel loro ammontare o la relativa quantificazione sia operabile mediante il ricorso a parametri predeterminati ed al compimento di mere operazioni di calcolo. La giurisprudenza prevalente si orienta nel senso di ritenere implicito nel requisito della liquidit quello della certezza dei crediti soggetti a compensazione, consistente nellinsuscettibilit di contestazione, cos si ritiene privo del requisito di certezza il credito che sia oggetto di sentenza di accertamento non passata in giudicato. Meno problematica la definizione del requisito dellesigibilit sussistente ogni qual volta il creditore sia legittimato a pretendere immediatamente ladempimento. Nel caso di specie il credito vantato dallamministrazione un credito liquido in quanto esattamente determinato nel suo ammontare; la relativa quantificazione, infatti, operabile mediante il ricorso a parametri determinati e al compimento di mere operazioni di calcolo. Il credito richiesto pari a 259.510,38 euro comprensivo degli interessi legali maturati nel corso del tempo. Il dubbio riguarda la certezza di detto credito dellamministrazione vista la pendenza innanzi al Tribunale di Salerno di un ricorso in opposizione I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 227 avverso la cartella esattoriale riferita a detto importo, con istanza di sospensiva e con richiesta in riconvenzionale di condanna dellamministrazione al pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno. Giova, a tal proposito, ripercorrere la vicenda relativa a detto credito. Lamministrazione aveva a suo tempo concesso, con decreto n. 11 del 10 ottobre 1997, il contributo finalizzato alla ricapitalizzazione delle cooperative di pesca ai sensi della L. 665/1994. La Commissione europea dichiarava, con decisione n. 7988 del 28 luglio del 1999, lillegittimit degli aiuti concessi alle cooperative e ai loro consorzi vista lincompatibilit con il mercato comune e, per leffetto, imponeva lobbligo di recuperare i contributi indebitamente erogati. Motivo per cui lamministrazione richiedente disponeva, con D.M. n. 231 del 30 luglio 2003, la revoca del contributo e lannullamento del decreto di concessione e impegno richiedendo la restituzione dellimporto erogato maggiorato degli interessi legali e di quelli maturati per effetto della rivalutazione monetaria. La societ (...) presentava ricorso al TAR Lazio chiedendo lannullamento, previa sospensione, del D.M. n. 231 citato o, in subordine, lannullamento del provvedimento limitatamente alla parte in cui veniva stabilito di maggiorare gli importi anche alla rivalutazione monetaria. Con sentenza n. 1646 del 3 marzo 2005 il TAR Lazio accoglieva il ricorso limitatamente alla parte in cui il D.M. impugnato disponeva la restituzione del contributo maggiorato degli importi maturati per effetto della rivalutazione monetaria. Decorso il termine per proporre appello, detto provvedimento ha acquistato efficacia di cosa giudicata. Pertanto, la (...) era tenuta a restituire il contributo ricevuto maggiorato degli interessi legali maturati fino a quella data. In mancanza di appello avverso la sentenza pronunciata dal TAR Lazio si era formata cosa giudicata sullimporto dovuto dalla cooperativa e certezza del credito vantato dallamministrazione. Contestualmente, in sede legislativa, si otteneva un provvedimento che autorizzava lAmministrazione a procedere al recupero degli aiuti indebitamente erogati per la ricapitalizzazione, in forma rateizzata, come disposto dallart. 46 quater del D.L. n. 159/2007, convertito in legge n. 222 del 29 novembre 2007. Successivamente la Cooperativa (...) presentava istanza di rateizzazione in 14 rate annuali delle somme percepite per la ricapitalizzazione e, con nota n. 10173 del 17 aprile 2008, le veniva comunicato il piano per la restituzione con le relative modalit attuative. A causa del mancato pagamento della prima rata prevista dal piano di restituzione, lamministrazione attivava il procedimento di riscossione coatta dellimporto maggiorato degli interessi, pari ad euro 259.510, 38. Era espressamente previsto nel decreto dirett. 1 febbraio 2008 che il mancato pagamento della prima rata avrebbe comportato la decadenza dal beneficio della rateizzazione. Visto il mancato pagamento lammi- 228 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 nistrazione provvedeva alla notificazione, in data 24 marzo 2010, tramite Equitalia della cartella esattoriale per il recupero coattivo dei crediti. La cooperativa presentava innanzi al Tar Salerno ricorso in opposizione a cartella esattoriale lamentando lillegittimit delliscrizione a ruolo per erronea applicazione del D.P.R. 600/1973. Si lamentava il ricorso, nel caso di specie, allipotesi di riscossione a mezzo di concessionario cosi come disciplinata dal D.P.R. 600/1973 e ss. Il contributo revocato non pu configurarsi n quale tributo n quale imposta ma come entrata patrimoniale dello Stato e, pertanto, il recupero coattivo avrebbe dovuto essere eventualmente azionato con ingiunzione di pagamento cos come previsto e disciplinato dal Regio decreto n. 639 del 14 aprile 1910. La societ, dunque, con lopposizione a cartella contestava lillegittima iscrizione a ruolo operata dal MPPAAF per il recupero coattivo di unentrata patrimoniale non soggetta alla disciplina della riscossione a mezzo ruoli, chiedendo la dichiarazione di nullit della cartella esattoriale impugnata. Veniva contestata, dunque, la regolarit del procedimento di recupero dei crediti vantati dallamministrazione e non la fondatezza del credito vantato dalla stessa. In data 11 ottobre 2010, la cooperativa (...) ha trasmesso, con nota n. 15491 del 19/07 (v. allegato 7), listanza di rateizzazione di tutte le somme iscritte a ruolo ivi compresa la cartella esattoriale relativa alla restituzione delle somme percepite per la ricapitalizzazione della scrivente societ. fuor di dubbio, dunque, la certezza del credito dellamministrazione nonostante sia pendente il ricorso avverso la cartella esattoriale che contesta solo formalmente le modalit della riscossione e non lesistenza del debito. La pretesa creditoria, infatti, stata riconosciuta dalla sentenza del Tar Lazio passata in res iudicata. Altrettanto indiscutibile lesigibilit dello stesso credito; lamministrazione legittimata a pretenderne immediatamente ladempimento, per essere la cooperativa decaduta dal beneficio di rateizzazione in conseguenza del mancato pagamento della prima rata prevista dal piano di restituzione. In merito al credito vantato dalla cooperativa, invece, si osserva quanto segue. La cooperativa ha presentato domanda per ottenere il contributo per larresto temporaneo obbligatorio della pesca del tonno rosso e per larresto definitivo del natante (...). Tuttavia, lAmministrazione, prima di concedere i suddetti contributi, si riservata di porre in essere tutti gli adempimenti di legge per la tutela delle ragioni erariali, ivi compreso listituto del fermo amministrativo, ex art. 69 del R.D. 2440/1923. Il fermo amministrativo un provvedimento di natura cautelare diretto alla tutela delle ragioni di credito delle Amministrazioni statali verso i terzi e ha carattere provvisorio. Ha lo scopo di legittimare la sospensione del pagamento di un debito da parte di unamministrazione dello Stato, a salvaguardia di uneventuale compensazione di esso, con un credito, anche I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 229 se non attualmente liquido ed esigibile, che la stessa o altra amministrazione pretenda di avere nei confronti del suo creditore (v. Cass. Sez. Unite del 21 maggio 2003, n. 7945). Lamministrazione ha legittimamente adottato questa misura cautelare vista la sussistenza dei requisiti previsti dalla circolare del Ministero del Tesoro n. 21 del 29 marzo 1999 (pubblicata nella G.U. n. 82 del 9 aprile 1999). Il credito vantato dallamministrazione verso i creditori deve avere una ragionevole apparenza di fondatezza tale cio da poterlo classificare fra i crediti certi, requisito senza il quale si avrebbe un comportamento senza potere eventualmente causativo di danno risarcibile. Inoltre, il credito colpito deve appartenere allamministrazione statale che dispone il fermo. Secondo quanto previsto dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, come noto, il fermo amministrativo uno strumento di natura eccezionale, funzionale alla peculiarit soggettiva del creditore Stato che, articolato, pur nellunicit della persona, in pi amministrazioni e quindi gestioni contabili e di cassa trova in esso un mezzo per agevolare la realizzazione della compensazione fra debiti e crediti (v. C. Stato, 20 gennaio 1997, n.1420). Nel caso di specie lamministrazione ha ragionevolmente posto in essere questo strumento cautelativo, visto che si riservata di effettuare ulteriori indagini affidate alla Prefettura di Salerno, in merito alla cooperativa (come risulta dallallegato 10 in atti). Nel caso in cui questi adempimenti abbiano esito positivo, dovr essere corrisposto allimpresa di pesca un aiuto pubblico pari ad euro 141.246,00, per larresto temporaneo obbligatorio della pesca del tonno e di euro 1.166.470,00, per larresto definitivo dellunit da pesca (...), determinati secondo le modalit indicate nel piano di adeguamento della flotta tonniera approvato con decreto direttoriale n. 28 del 27 aprile 2010. La cooperativa contesta la compensabilit dei crediti in esame evidenziando la presunta natura assistenziale ed alimentare del contributo per larresto temporaneo obbligatorio e definitivo, causa escludente lapplicabilit dellistituto della compensazione alla stregua di quanto disposto dallart. 1246 c.c. Secondo la disposizione di questarticolo tra le altre ipotesi in cui la compensazione non si verifica sono ricompresi i casi in cui i crediti siano impignorabili, ex art. 545 c.p.c. e i casi in cui vi sia un divieto stabilito dalla legge. Si rileva, che non possono considerarsi di natura assistenziale i contributi erogati in attuazione dellarresto temporaneo obbligatorio del tonno rosso e dellarresto definitivo dellunit di pesca. Il piano di adeguamento dello sforzo di pesca a circuizione autorizzata alla pesca del tonno rosso redatto allo scopo di ridurre la capacit di pesca impegnata nello sfruttamento dello stock di tonno rosso. La riduzione rapida, permanente e consistente dello sforzo di pesca a circuizione autorizzata alla pesca del tonno rosso nel 2010 rappresenta un impegno considerevole assunto dallAmministrazione italiana nel quadro della programmazione del Fondo Europeo della Pesca allo scopo di partecipare allazione di ricostituzione dello stock di tonno rosso e creare migliori condi- 230 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 zioni economiche per gli operatori del settore sostenibili nel tempo. Il Piano prevede ladozione di stringenti misure di controllo con lobiettivo di ridurre la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata. Ci anche in esecuzione delle previsioni introdotte con il Reg. (CE) 302/2009 e di quanto disposto con regolamento (CE) n. 1224/2009 del Consiglio del 20 novembre 2009 che istituisce un regime di controllo comunitario per garantire il rispetto delle norme della politica della pesca. Gli interventi del Fondo europeo per la pesca sono finalizzati a sostenere la politica comune della pesca per assicurare lo sfruttamento delle risorse acquatiche viventi ai fini della sostenibilit dal punto di vista economico, ambientale e sociale; a promuovere un equilibrio sostenibile tra le risorse e le capacit di pesca della flotta da pesca comunitaria, promuovere uno sviluppo sostenibile della pesca nelle acque interne e favorire lo sviluppo sostenibile e il miglioramento delle qualit della vita nelle zone in cui si svolgono attivit nel settore della pesca. I suddetti contributi per larresto della pesca del tonno rosso non possono considerarsi di natura assistenziale perch manca loro la funzione di solidariet sociale ex art. 2 e 38 della Costituzione. I contributi assistenziali, infatti, sono somme di denaro destinate a finanziare le prestazioni pensionistiche e tutte le altre prestazioni previdenziali ed assistenziali in caso di malattia, infortuni sul lavoro, maternit, disoccupazione, ecc. a cui tutti i lavoratori hanno diritto. Non possono nemmeno rientrare tra gli aiuti di carattere alimentare. L'aiuto alimentare e le azioni di sostegno alla sicurezza alimentare costituiscono un importante strumento della politica di assistenza allo sviluppo. Obiettivi principali di questa politica sono la lotta contro la povert ed uno stretto coordinamento tra Stati membri e Comunit, con altre organizzazioni internazionali (come l'Organizzazione Mondiale della Sanit-OMS) e con la societ civile (organizzazioni non governative-ONG). inoltre essenziale che gli aiuti alimentari consolidino il partenariato con il paese beneficiario, integrandosi nella politica del paese in via di sviluppo, rispettando le sue specificit e puntando a rafforzare la politica in atto. Quanto agli obiettivi pi specifici, le azioni devono puntare, tra l'altro, a promuovere la sicurezza alimentare, a innalzare il tenore nutrizionale delle popolazioni beneficiarie e a contribuire ad uno sviluppo economico e sociale equilibrato. .2. La natura giuridica dei contributi in dare-avere e la natura dei rapporti giuridici sottostanti Ci premesso mette conto chiarire la natura giuridica dei contributi F.E.P. in questione al fine di verificare se sia possibile operare una compensazione legale o atecnica. I suddetti contributi sono, per espressa previsione normativa, degli aiuti pubblici di natura comunitaria volti allo sviluppo sostenibile delle zone di pesca. La concessione di suddetti contributi viene finanziata dal Fondo euro- I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 231 peo Pesca al quale viene assegnata ogni anno una dotazione di danaro da suddividere tra gli Stati membri secondo limportanza del settore della pesca, il numero di addetti e gli adeguamenti ritenuti necessari per la pesca e per la continuit delle attivit. Il Fep deve finanziare azioni in materia di sviluppo sostenibile e miglioramento della qualit della vita nelle zone di pesca nel quadro di una strategia globale di sostegno allattuazione degli obiettivi della politica comune della pesca. Su iniziativa dello Stato membro il Fondo europeo pesca pu finanziare, nel quadro del programma operativo, le misure di aiuto allarresto temporaneo delle attivit di pesca a favore dei pescatori e dei proprietari dei pescherecci. Ciascuno Stato membro, previa opportuna consultazione con i partner istituzionali ed economico sociali, adotta un piano strategico nazionale per il settore della pesca e lo sottopone alla Commissione. Il piano strategico nazionale, oggetto di dialogo tra lo Stato membro e la Commissione, contiene, se lo Stato membro lo ritiene opportuno, una descrizione succinta degli aspetti della politica comune della pesca e fissa le priorit, gli obiettivi, le risorse finanziarie pubbliche ritenute necessarie in termini di attuazione. Ciascuno Stato membro elabora e presenta alla Commissione una proposta di programma operativo per lattuazione delle politiche e delle priorit da cofinanziare tramite il Fep. Il programma operativo coerente con il piano strategico nazionale, con gli obiettivi del Fep e con i principi orientativi stabiliti dal regolamento. La Commissione valuta il programma operativo e adotta una decisione di approvazione il pi rapidamente possibile. .3. Se sia possibile operare la compensazione legale Chiarita la natura comunitaria di questi contributi preliminare esaminare, al fine della loro compensabilit ex art. 1246 c.c., se essi possano essere pignorati. La materia dellimpignorabilit dei crediti costituisce uneccezione al principio della responsabilit patrimoniale sancito dall'art. 2740 del codice civile ai sensi del quale "il debitore risponde dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri". Questa materia, in particolare, trova specifica disciplina nell'art. 545 del codice di procedura civile che, dopo avere individuato nei primi tre commi i crediti impignorabili (crediti alimentari, crediti aventi per oggetto sussidi di grazia o di sostentamento, sussidi dovuti per maternit, malattie o funerali, somme dovute dai privati a titolo di stipendio, salario o altre indennit relative al rapporto di lavoro o di impiego), al comma 6 prevede espressamente: "restano in ogni caso ferme le altre limitazioni contenute in speciali disposizioni di legge". Posto che, come gi detto, non sussiste alcun elemento per assimilare il credito vantato dalla cooperativa (...) a quelli espressamente qualificati come impignorabili nei primi tre commi dell'art. 545 c.p.c., resta da verificare se il vincolo di indisponibilit esecutiva del predetto credito possa trovare fondamento nel riportato comma 6 del medesimo art. 545 c.p.c. 232 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 Mette conto, anzitutto, evidenziare che i finanziamenti in questione rientrano tra gli interventi del Fondo europeo per la pesca nellalveo dei fondi strutturali previsti dallUnione Europea disciplinati dal Regolamento (CE) del Consiglio n. 1260 del 21 giugno 1999 contenente disposizioni generali, per lappunto, sui Fondi strutturali. L'art. 32 del citato Reg. (CE) n. 1260/1999, nel disciplinare i pagamenti, al paragrafo 1, tra l'altro, cos dispone: l'autorit di pagamento provvede affinch i beneficiari finali ricevano quanto prima e integralmente gli importi corrispondenti alla partecipazione dei Fondi a cui hanno diritto. La riferita disposizione comunitaria mira a garantire, dunque, che i beneficiari finali degli interventi il cui finanziamento assicurato dai Fondi strutturali, ricevano integralmente gli importi per la realizzazione dei progetti presentati. In altri termini, l'esecuzione finanziaria degli interventi deve assicurare la conformit degli impegni e dei pagamenti alle prescrizioni comunitarie e, dunque, deve garantire il trasferimento rapido ed efficiente delle risorse ai beneficiari finali senza ritardi ingiustificati e senza decurtazioni che potrebbero ridurre l'importo dovuto. Pertanto, nella fattispecie, pare potersi affermare che, in forza della richiamata normativa comunitaria, la societ cooperativa beneficiaria dei contributi suddetti debba poter ricevere integralmente le somme concesse in relazione agli interventi finanziati. Ci indurrebbe a concludere nel senso della impignorabilit delle medesime somme, con la conseguente non applicabilit della autotutela in compensazione legale per limpedimento posta dallart. 1246 n. 3 cod.civ. Lindisponibilit dei suddetti contributi trova conferma anche alla luce di unaltra disposizione del richiamato Reg. (CE) n. 1260/1999, ed in particolare dellart. 38. L'art. 38 del citato Reg. n. 1260/1999 viene in rilievo laddove prevede per gli Stati membri la responsabilit primaria del controllo finanziario degli interventi e, a tal fine, li impegna, sia ad adottare "sistemi di gestione e controllo che consentano l'impiego efficace e corretto dei fondi comunitari", sia a tenere a disposizione della Commissione europea, "per un periodo di tre anni successivamente al pagamento da parte della Commissione medesima del saldo relativo ad un intervento, tutti i documenti giustificativi concernenti le spese e i controlli relativi all'intervento stesso. Il regolamento C.E. 1260/1999 stato sostituito dal regolamento C.E. n. 1083/2006. Quest'ultimo contiene norme analoghe al regolamento sostituito tra le quali spicca lart. 80, rubricato "Integrit dei pagamenti ai beneficiari che suona: Gli stati membri si accertano che gli organismi responsabili dei pagamenti assicurino che i beneficiari ricevano l'importo totale del contributo pubblico entro il pi breve termine e nella sua integrit. Non si applica nessuna detrazione o trattenuta n alcun onere specifico o di altro genere con effetto equivalente che porti alla riduzione di detti importi per i beneficiari. Infine, sempre con riferimento al Fondo europeo pesca, lart. 80 del regolamento CE n. 1198/2006 del Con- I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 233 siglio del 27 luglio 2006 rubricato Integralit dei pagamenti ai beneficiari ribadisce la stessa prescrizione: Gli Stati membri si assicurano che gli organismi responsabili dei pagamenti garantiscano che i beneficiari percepiscano lammontare complessivo del contributo pubblico entro il pi breve termine e nella sua integralit. Non si applica nessuna detrazione o trattenuta, n alcun altro onere specifico o di altro genere con effetto equivalente che conduca alla riduzione di questi importi per i beneficiari. Sembra, pertanto, doversi ribadire la tesi secondo la quale i contributi pesca siano impignorabili, alla stessa stregua dei contributi FEAGA in agricoltura, stante la medesima ratio secondo cui laiuto deve giungere integro al produttore e non patire nessuna detrazione o trattenuta. Il sintagma nessuna detrazione o trattenuta richiama effetti di strumenti di autotutela, le cui cause possono essere molteplici, tra le molte sono incluse le compensazioni finanziarie, quali ad esempio quelle dettate in regime FEAGA. Tuttavia, mentre per tale regime la normativa comunitaria regolamentare consente di trattenere dagli aiuti PAC gli aiuti indebitamente percepiti (cfr. art. t ter del Reg. CE n. 885/2006, ma gi in precedenza in ambito nazionale v. lart. 2 del D.P.R. n. 727 del 24 dicembre 1974 con riferimento ai contributi P.A.C. A.i.m.a. ed ora cfr. lart. 3, comma 5-duodecies del D.L. n. 182/2005, convertito in legge n. 231/2005, nonch lart. 8-ter commi 1, 5 e 7, del D.L. 10 febbraio 2009, n. 5 sulla compensazione automatica,), a prescindere dalla loro impignorabilit, non si rinviene alcuna norma del genere che consente di detrarre in compensazione dagli aiuti FEP gli aiuti di Stato indebitamente percepiti dalle cooperative di pesca. .4. La compensazione atecnica o impropria Chiarita limpignorabilit dei contributi FEP bene porsi il quesito se possa operare, nel caso di specie, compensazione atecnica: istituto per il quale non trovano applicazione le norme codicistiche in materia di compensazione legale. Come noto, requisito necessario perch possa aversi compensazione che vi sia lautonomia dei rapporti cui si riferiscono i contrapposti titoli creditori delle parti. La compensazione c.d. impropria, invece, un'ipotesi particolare di compensazione che ricorre, secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, allorquando i rispettivi crediti e debiti abbiano origine da un unico rapporto, sicch il giudice dovrebbe compiere un accertamento dufficio di dare ed avere, con elisione automatica dei rispettivi crediti fino alla reciproca concorrenza. L'aggettivazione impropria attribuita a tale compensazione si giustificherebbe sotto un duplice e connesso profilo. In primo luogo, l'istituto della compensazione di cui agli articoli 1241 ss. c.c. presuppone, come detto, l'autonomia dei rapporti da cui nascono i contrapposti crediti delle parti, con la conseguenza che la compensazione stessa deve escludersi allorch i rispettivi crediti e debiti risultino avere origine da un unico rapporto, divenendo cos 234 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 sufficiente procedere ad un semplice accertamento algebrico delle reciproche partite di dare e di avere; inoltre, in ipotesi del genere, non trovano applicazione le regole proprie della compensazione, sia di natura processuale (come quelle della non rilevabilit d'ufficio ex art. 1242, primo comma, c.c.) che sostanziale (quali l'arresto della compensazione ex art. 1242, secondo comma, c.c. e, ed ci che qui interessa, la non compensabilit del credito dichiarato impignorabile ex artt. 1246, primo comma, n. 3, c.c. e 545 c.p.c.). Si registra, tuttavia, negli ultimi pronunciamenti della giurisprudenza la tendenza a superare il precedente orientamento secondo cui la cosiddetta compensazione impropria trova applicazione tutte le volte che i rispettivi crediti e debiti abbiano origine da un unico rapporto, in favore della sufficienza della presenza del nesso di sinallagmaticit tra le obbligazioni (che implica, ad onor del vero, sempre una unicit di rapporto). Peraltro, la tesi secondo cui in caso di rapporto unico, anche se complesso, la valutazione delle rispettive pretese si ridurrebbe ad un accertamento contabile delle poste di dare e avere, condivisibile solo quando le obbligazioni derivanti da un unico negozio siano tra loro legate da un vincolo di corrispettivit che ne escluda l'autonomia, perch in tali ipotesi la non compensabilit deriva dal fatto che l'elisione delle reciproche obbligazioni verrebbe ad incidere sull'efficacia del negozio, ponendosi cos la compensazione in contrasto con la funzione del contratto. Quando, invece, le obbligazioni, ancorch nascenti dal medesimo negozio, non siano in rapporto di sinallagmaticit, avendo carattere autonomo, non v' ragione alcuna per escludere la fattispecie dall'area della compensazione in senso tecnico e dall'applicazione della relativa disciplina. Deve pertanto concludersi che, ai fini della configurabilit della compensazione in senso tecnico, non rileverebbe tanto la pluralit o unicit dei rapporti posti a base delle reciproche obbligazioni, quanto il fatto che le suddette obbligazioni, quale che sia il rapporto (o i rapporti) da cui esse prendono origine, siano autonome (nel senso, precisato, di non essere legate da nesso di sinallagmaticit). Le cd. compensazioni atecniche, pertanto, in mancanza di espressa previsione testuale, non possono essere estese oltre le ipotesi in cui una compensazione non sia logicamente configurabile (obbligazioni in sinallagma), dovendo, in ogni altro caso, ritenersi applicabile l'istituto della compensazione previsto dal codice, con i limiti e le garanzie della relativa disciplina (Cass. Civ., Sez. Lav., 9 maggio 2006, n. 10629). .5. Lautonomia dei rapporti nella fattispecie concreta necessario valutare, nel caso di specie, se quindi sussistano tra la cooperativa e lamministrazione rapporti giuridici autonomi o se vi sia un unico rapporto da cui derivano obbligazioni legate dal nesso di corrispettivit. I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 235 .5.1. I contributi per la ricapitalizzazione I contributi per la ricapitalizzazione delle cooperative rientrano nel complesso di azioni pubbliche in favore del settore ittico realizzate mediante un'efficace sinergia tra i diversi livelli dell'amministrazione pubblica e le associazioni nazionali delle cooperative della pesca che rappresentano le varie realt del settore. Si tratta di contributi rientranti nel Piano nazionale della pesca e dell'acquacoltura per l'anno 2004. In particolare, attraverso la cooperazione e l'associazionismo stata diffusa la cultura della responsabilizzazione e della compartecipazione degli operatori di settore alle politiche gestionali e di sviluppo di un'adeguata imprenditorialit. La gestione di tali contributi rispecchia il sistema gestionale multilivello che individua fonti di diritto diverse: la Comunit europea, lo Stato italiano, le regioni e le province autonome. All'erogazione dei contributi provvede lo Stato mediante utilizzo delle disponibilit del Fondo centrale per il credito peschereccio, mentre le regioni si impegnano ad erogare incentivi volti alla ristrutturazione aziendale e ricapitalizzazione delle cooperative. Al fine di consentire alle imprese ed alle cooperative operanti nel settore della pesca, dell'acquacoltura e delle attivit connesse, un pi agevole ricorso al credito, stato istituita operativit del Fondo centrale per il credito peschereccio, previsto dalla legge 17 febbraio 1982, n. 41. Detto fondo eroga, sulla base della dotazione stabilit a livello comunitario, finanziamenti a tassi agevolati. Infatti, secondo quanto previsto dallart. 2 del decreto 10 febbraio 1998, n. 113 Alle cooperative che intendono adottare un piano di ristrutturazione aziendale finalizzato al risanamento della gestione possono essere concessi sia un contributo a fondo perduto sia un mutuo a tasso agevolato. In particolare si tratta di un fondo di rotazione alimentato dagli stanziamenti statali dalle rate di ammortamento e dai rimborsi anticipati dei mutui erogati dal fondo stesso. La L. 41/82, che istituisce il menzionato fondo, prevede lelaborazione di un Piano nazionale di durata triennale la cui funzione quella di favorire la realizzazione di interventi diretti a promuovere lo sfruttamento razionale e la valorizzazione delle risorse biologiche del mare attraverso uno sviluppo equilibrato della pesca marittima. Tra gli obiettivi indicati dai piani vi quello volto alla ristrutturazione aziendale e al risanamento della gestione di cooperative e loro consorzi di particolare rilevanza, che operano nel settore della pesca, dellacquacoltura, della trasformazione e commercializzazione. Lart. 5 del Decreto Legislativo 26 maggio 2004, n. 154 Modernizzazione del settore pesca e dell'acquacoltura, a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge 7 marzo 2003, n. 38 stabilisce che il Ministero delle politiche agricole e forestali, sentito il Ministero dellambiente e della tutela del territorio, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, che propone al CIPE, per l'approvazione di cui al comma 3, il Programma nazionale triennale della pesca e l'acquacoltura, di seguito denominato 236 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 Programma nazionale, contenente gli interventi di competenza nazionale. Spetta, dunque, agli Stati membri erogare i finanziamenti e controllare che vengano adoperati per il raggiungimento degli obiettivi previsti dal Programma triennale. .5.2. I contributi per larresto natanti I contributi per larresto definivo dei natanti e per larresto obbligatorio della pesca di tonno rosso, sono contributi finanziati dal FEP sulla base del programma operativo presentato dai singoli stati membri e approvato dalla Commissione europea. Una volta adottata la decisione che approva un contributo del FEP a un programma operativo, la Commissione versa allorganismo designato dallo Stato membro un importo unico a titolo di prefinanziamento. I pagamenti da parte della Commissione avvengono sotto forma di un prefinanziamento, di pagamenti intermedi e di un pagamento del saldo. Spetta agli Stati membri garantire la gestione e il controllo dei programmi operativi e spetta agli stessi prendere provvedimenti quando venga accertata una modifica importante che incida sulla natura delle condizioni di attuazione o di controllo delle operazioni o del programma operativo. Gli aiuti di stato premi di capitalizzazione, dunque, costituiscono contributi diversi rispetto a quelli versati per il fermo natante e dellarresto definitivo della pesca del tonno rosso, atteso che sono differenti i rapporti giuridici che si vanno ad instaurare tra beneficiario e soggetto erogatore. Entrambi i contributi, dunque, pur essendo di natura comunitaria, derivano da rapporti giuridici relativi a titoli autonomi, che hanno ratio diverse e per i quali si potrebbe procedere a compensazione tecnica se non lo impedissero le norme sopra enunciate relative allimpossibilit di effettuare detrazioni e trattenute che conducano alla riduzione di questi importi per i beneficiari. .6. La compensazione comunitaria e la sua prevalenza sullart. 1246 n. 3 cod.civ. Merita, tuttavia, attenzione la sentenza della Corte di giustizia n. 132 del 19 maggio 1998 nella causa C-132/95 Bent Jensen che ha ammesso a certe condizioni la compensazione fra aiuti comunitari e imposte dello Stato membro, ossia tra titoli allevidenza del tutto autonomi. Come risulta dal testo della sentenza, il diritto comunitario non prevede, allo stato attuale, norme generali relative al potere delle autorit nazionali di procedere a compensazioni tra crediti esigibili di uno Stato membro ed importi versati in base al diritto comunitario. Il diritto comunitario non osta a che uno Stato membro operi una compensazione tra un importo dovuto al beneficiario di un aiuto in base al diritto comunitario e crediti esigibili del medesimo Stato membro. A una diversa soluzione dovrebbe giungersi solo se tale prassi ostacolasse il buon funzionamento del mercato comune. Al riguardo restano irri- I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 237 levanti il titolo in base al quale lo stato membro concede gli aiuti, la circostanza che la normativa del detto Stato membro in materia di compensazione esige, per procedere una reciprocit di crediti tra il debitore e il creditore, la prassi generalmente seguita dallo Stato membro in materia di compensazione, nonch la base giuridica del credito statale con il quale viene operata la compensazione. Vi per il limite che le autorit nazionali procedano in modo da evitare ogni pregiudizio allefficacia del diritto comunitario o al la parit di trattamento tra gli operatori economici. A conferma della massima della sentenza della Corte di Giustizia citata, che come noto costituisce diritto vincolante per lo Stato, vi il Regolamento della Commissione del 21 ottobre 2008, n. 1034 recante Modalit di applicazione del regolamento CE n. 1260/2005 del Consiglio per quanto riguarda il riconoscimento degli organismi pagatori e di altri organismi e la liquidazione del FEAGA e del FEASR. Lart 5 ter del regolamento rubricato modalit di recupero stabilisce che fatte salve eventuali misure di esecuzione previste dalla normativa nazionale, gli Stati membri deducono gli importi dei debiti in essere di un beneficiario, accertati in conformit della legislazione nazionale, dai futuri pagamenti a favore del medesimo beneficiario effettuati dallorganismo pagatore incaricato di recuperare il debito. Poich sia il FEAGA che il FEASR rientrano tra i fondi strutturali tra cui viene fatto rientrare anche il fondo europeo pesca opportuno che anche per il recupero dei contributi finanziati dal FEP valgano le medesime norme. .7. Conclusioni Alla luce di tale orientamento giurisprudenziale della Corte di Giustizia e della disciplina regolamentare comunitaria menzionata, si pu concludere che si pu addivenire a compensazione legale tra i premi a cui la cooperativa ha diritto e i crediti vantati dellamministrazione relativi ai contributi indebitamente erogati perch incompatibili con il mercato comune; ci, in quanto le norme del Trattato UE sul divieto degli aiuti di Stato, nonch il principio di diritto comunitario affermato dalla Corte di Giustizia esportabile in via analogica anche per i premi fermo pesca a tutela del tonno, prevalgono sulle norme interne che vietano la compensazione legale del credito impignorabile. L E G I S L A Z I O N E E D A T T U A L I TA Il contenzioso in materia di operazioni elettorali nel nuovo codice del processo amministrativo a cura di Maurizio Borgo* IL TITOLO VI DEL LIBRO IV (OTTEMPERANZA E RITI SPECIALI) DEL CODICE DEL PROCESSO AMMINISTRATIVO (DI SEGUITO, SEMPLICEMENTE CODICE) RECA, AGLI ARTICOLI DA 126 A 132, LA DISCIPLINA DEL CONTENZIOSO IN MATERIA DI OPERAZIONI ELETTORALI. Lomesso esercizio della delega nella parte relativa alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nelle controversie concernenti atti del procedimento elettorale preparatorio per le elezioni per il rinnovo della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica (art. 44, comma 2, lett. d), della legge-delega n. 69/09) Il testo definitivo del Codice presenta una rilevante modifica rispetto a quello elaborato dalla Commissione, alluopo istituita presso il Consiglio di Stato. La stessa costituita dallespunzione, con riferimento allambito della giurisdizione del giudice amministrativo in tema di contenzioso sulle operazioni elettorali (art. 126), della originaria previsione della cognizione del giudice amministrativo anche sugli atti del procedimento elettorale preparatorio per le elezioni per il rinnovo della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Al proposito, si evidenzia come l'art. 44, comma 2, lett. d), della legge 18 giugno 2009 n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplifica- (*) Avvocato dello Stato, Condirettore della Rivista. 240 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 zione, la competitivit nonch in materia di processo civile) avesse delegato il Governo ad introdurre la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nelle controversie concernenti atti del procedimento elettorale preparatorio per le elezioni per il rinnovo della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, mediante la previsione di un rito abbreviato in camera di consiglio che consenta la risoluzione del contenzioso in tempi compatibili con gli adempimenti organizzativi del procedimento elettorale e con la data di svolgimento delle elezioni. Con la prefata previsione, il legislatore perseguiva il meritorio obiettivo di ovviare ad una situazione di incertezza, venutasi a creare in ordine allindividuazione del giudice competente a conoscere dei ricorsi avverso gli atti degli uffici elettorali, adottati nellambito del procedimento elettorale preparatorio delle elezioni politiche, che si pu riassumere nei termini che seguono. Gli articoli 23 e 87 del d.P.R. n. 361 del 1957 configurano un sistema di tutela delle situazioni giuridiche dei candidati all'elezione della Camera dei deputati (ma uguale disciplina vale anche per lelezione del Senato della Repubblica) articolato in due momenti fondamentali: il primo, di natura amministrativa, consiste nel diritto del candidato di ricorrere, contro le decisioni dell'Ufficio centrale circoscrizionale, all'Ufficio centrale nazionale; il secondo, di natura giurisdizionale, nel quale spetta alla stessa Camera il giudizio definitivo sulle contestazioni, le proteste e, in generale, su tutti i reclami presentati agli Uffici delle singole sezioni elettorali o all'Ufficio centrale durante la loro attivit o posteriormente. La natura amministrativa dei controlli effettuati dall'Ufficio circoscrizionale e da quello centrale stata affermata dalla Corte Costituzionale con giurisprudenza univoca, sul rilievo che la collocazione di detti organi presso le Corti d'appello e la Corte di Cassazione non comporta che i collegi medesimi siano inseriti nell'apparato giudiziario, evidente risultando la carenza, sia sotto il profilo funzionale sia sotto quello strutturale, di un nesso organico di compenetrazione istituzionale che consenta di ritenere che essi costituiscano sezioni specializzate degli uffici giudiziari presso cui sono costituiti (cfr. sentenza n. 387 del 1996; conformi, ex plurimis, sentenze n. 29 del 2003, n. 104 del 2006, n. 164 del 2008). La natura giurisdizionale del controllo sui titoli di ammissione dei suoi componenti, attribuito in via esclusiva, con riferimento ai parlamentari, a ciascuna Camera ai sensi dell'art. 66 Cost., pacificamente riconosciuta dalla dottrina e dalla giurisprudenza, quale unica eccezione al sistema generale di tutela giurisdizionale in materia di elezioni (cfr. Corte Cost., sentenza n. 113 del 1993). Una giurisprudenza costante e uniforme della Corte di Cassazione ha escluso la giurisdizione del giudice ordinario, come di ogni altro giudice, anche sul procedimento elettorale preparatorio, ritenendo gli uffici elettorali di cui LEGISLAZIONE ED ATTUALITA 241 sopra organi straordinari, temporanei e decentrati, di quelle stesse Camere legislative alla cui formazione concorrono, svolgendo una funzione contingente e strumentale, destinata ad essere controllata o assorbita da quella delle stesse Camere, una volta queste costituite (cfr. Corte di Cassazione, sezioni unite civili, sentenza 31 luglio 1967, n. 2036; conformi, ex plurimis, sezioni unite civili, sentenze 9 giugno 1997, n. 5135; 22 marzo 1999, n. 172; 6 aprile 2006, n. 8118 e n. 8119; 8 aprile 2008, n. 9151, n. 9152 e n. 9153). A partire dalla XIII Legislatura, la Camera dei deputati ha, tuttavia, negato la propria competenza a conoscere i ricorsi riguardanti atti del procedimento elettorale preparatorio, dichiarando gli stessi inammissibili, sulla base della considerazione che la verifica dei titoli di ammissione degli eletti esclude per definizione che nella stessa possa ritenersi ricompreso anche il controllo sulle posizioni giuridiche soggettive di coloro i quali (singoli o intere liste) non hanno affatto partecipato alla competizione elettorale (cfr. Giunta delle elezioni della Camera dei deputati, seduta del 13 dicembre 2006). Dal quadro normativo e giurisprudenziale, sopra delineato, emerge chiaramente lesistenza di un contrasto che potrebbe essere foriero dellinsorgenza di conflitti di giurisdizione oppure, qualora ne ricorrano i presupposti soggettivi ed oggettivi, addirittura di conflitti di attribuzioni tra poteri dello Stato, con conseguente coinvolgimento della Corte Costituzionale. Questultima stata, peraltro, interessata della questione, seppure in via incidentale, ma ha, di recente, dichiarato la manifesta inammissibilit della stessa. Nella sentenza n. 259/09, la Consulta ha, infatti, affermato che dal quadro normativo e giurisprudenziale esposto non deriva la conclusione, cui giunto invece il rimettente, che vi sia nell'ordinamento un vuoto di tutela delle situazioni giuridiche soggettive nel procedimento elettorale preparatorio delle elezioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Il giudice competente in materia stato, infatti, individuato nello stesso organo parlamentare dal giudice supremo del riparto delle giurisdizioni, che, a norma della Costituzione (art. 111, ottavo comma) e delle leggi vigenti, la Corte di cassazione. Nella medesima sentenza, la Corte Costituzionale ha, peraltro, evidenziato che le questioni attinenti le candidature, che vengono ammesse o respinte dagli uffici competenti, nel procedimento elettorale preparatorio, riguardano un diritto soggettivo, tutelato per di pi da una norma costituzionale, come tale rientrante, in linea di principio, nella giurisdizione del giudice ordinario. Da qui lintroduzione della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sugli atti del procedimento elettorale preparatorio per le elezioni per il rinnovo della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica da parte della legge n. 69/09 (scelta, questultima, espressamente menzionata dalla 242 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 Corte Costituzionale nella parte conclusiva della sentenza n. 259/09). Alla luce di quanto sopra, desta, pertanto, perplessit la decisione del Governo di non esercitare la delega nella parte relativa alla introduzione di una tutela giurisdizionale specifica per la fase preparatoria delle elezioni politiche, accantonando il testo che era stato elaborato in tale senso dalla Commissione istituita presso il Consiglio di Stato. PER COMODIT DI LETTURA LA TRATTAZIONE SEGUE LA DISTINZIONE DEL CODICE IN CAPI. Capo I: disposizioni comuni al contenzioso elettoriale (artt. 126-128) Lart. 126 del Codice individua lambito della giurisdizione del giudice amministrativo in materia di operazioni elettorali, riferendola alle operazioni relative alle elezioni amministrative (rinnovo degli organi elettivi dei comuni, delle province e delle regioni) nonch allelezione dei membri del Parlamento europeo spettanti allItalia. Al proposito, occorre, in primo luogo, tenere presente che, secondo la pacifica giurisprudenza della Corte di legittimit, le controversie elettorali riservate alla giurisdizione amministrativa dall'art. 6 della legge 6 dicembre 1971 n. 1034 sono quelle attinenti alle operazioni elettorali - che non si esauriscono nelle attivit di votazione vere e proprie, ma si estendono al complesso procedimento elettorale, dalla indizione delle elezioni fino alla proclamazione degli eletti, sicch sono devolute al detto giudice anche le controversie che investono la presentazione e l'accettazione delle liste, compresi i provvedimenti delle Commissioni elettorali mandamentali, oltre che quelle relative alla detta proclamazione degli eletti - e si caratterizzano dalla loro pertinenza a situazioni giuridiche soggettive che hanno la consistenza del mero interesse legittimo, con la conseguenza che alla giurisdizione suddetta non pu riconoscersi carattere esclusivo, implicando essa, invece, senza contrasto con gli artt. 103 e 113 Cost., una applicazione dei criteri generali di riparto della giurisdizione fra giudice ordinario e giudice amministrativo (cfr. Corte Cass., SS.UU., sentenza 1 luglio 1992, n. 8084). Lart. 127, in continuit con la normativa previgente, prevede, per gli atti relativi al contenzioso elettorale, lesenzione degli stessi dal contributo unificato e da ogni altro onere fiscale. Lart. 128 dispone che in materia elettorale non ammesso il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica; la norma prende atto di un consolidato orientamento del Consiglio di Stato secondo il quale il ricorso in materia elettorale non pu essere svolto con le forme del ricorso straordinario al Capo dello Stato, essendo autonomamente regolato da un procedimento giurisdizionale speciale, caratterizzato da termini accelerati e da possibile decisione di LEGISLAZIONE ED ATTUALITA 243 merito, rimesso alla esclusiva giurisdizione del giudice amministrativo (cfr. Cons. Stato, 21 ottobre 2009, n. 3244). Tra le disposizioni comuni al contenzioso elettorale (sebbene non sia allocata nel Capo I del Titolo VI del Libro IV del Codice) va annoverata anche la previsione contenuta nellart. 23 la quale prevede che, in materia elettorale, le parti possono stare in giudizio personalmente senza lassistenza di un difensore. Trattasi di disposizione che, seppure sia conforme alla previgente disciplina (art. 7 della legge n. 1034/71), desta non poche perplessit atteso che il giudizio in materia di operazioni elettorali (in particolare, il rito disciplinato nellart. 129) risulta caratterizzato da numerosi incombenti processuali, da compiersi, a pena di decadenza, nel rispetto di ristrettissimi termini; una circostanza, questultima, che avrebbe dovuto imporre una maggiore riflessione in ordine alla opportunit di confermare, con riferimento al contenzioso in materia elettorale, la deroga al principio dellobbligatoriet della difesa tecnica. Da ultimo, deve precisarsi che la difesa personale non , comunque, ammessa nei giudizi di impugnazione; in tale senso dispone, infatti, lart. 95, comma 6, del Codice. Capo II: tutela anticipata avverso gli atti di esclusione dai procedimenti elettoriali preparatori per le elezioni comunali, provinciali e regionali (art. 129) Il Capo II del Titolo VI del Libro IV del Codice si compone di una sola disposizione, lart. 129. Lart. 129 del Codice, al primo comma, stabilisce che i provvedimenti relativi al procedimento preparatorio per le elezioni comunali, provinciali e regionali concernenti lesclusione di liste o candidati possono essere immediatamente impugnati, esclusivamente dai delegati delle liste e dai gruppi di candidati esclusi, innanzi al T.A.R. competente nel termine di tre giorni dalla pubblicazione del provvedimento di esclusione. Al di fuori di quanto previsto dal comma 1 prosegue la disposizione ogni provvedimento relativo al procedimento preparatorio per le elezioni impugnabile soltanto alla conclusione del procedimento elettorale, unitamente allatto di proclamazione degli eletti. La problematica ortodossia costituzionale dellart. 129 del Codice La disposizione di cui allart. 129 del Codice (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 7 luglio 2010) risulta coeva, per una sorta di scherzo del destino, alla pubblicazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 236/10 che ha dichiarato lincostituzionalit dellart. 83undecies del d.P.R. n. 570/60, nella 244 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 parte in cui escludeva la possibilit di unautonoma impugnativa degli atti del procedimento preparatorio alle elezioni comunali, provinciali e regionali, ancorch immediatamente lesivi, anteriormente alla proclamazione degli eletti. Il giudizio di legittimit costituzionale dellart. 83-undecies del T.U. del 1960 stato promosso dal T.A.R. Liguria. Il giudice rimettente ha contestato la legittimit della norma che esclude secondo una interpretazione giurisprudenziale consolidata la possibilit di una autonoma impugnativa degli atti endoprocedimentali del procedimento elettorale, ancorch immediatamente lesivi, anteriormente alla proclamazione degli eletti. Nel giudizio che ha occasionato la rimessione, i ricorrenti, in qualit di elettori, delegati alla presentazione di lista e candidati, avevano impugnato i provvedimenti di ricusazione di una lista alle elezioni provinciali alla quale erano interessati. Il T.A.R., accertata la rilevanza della questione, atteso che la inammissibilit del gravame sulla base della regola del diritto vivente avrebbe precluso ai ricorrenti la partecipazione alla competizione elettorale con conseguente compressione dei diritti elettorali costituzionalmente garantiti, ha, da un lato, concesso la tutela cautelare, e, dallaltro, rimesso gli atti alla Consulta per violazione degli artt. 3, 24, 48, 49, 51, 97 e 113 della Costituzione. La Corte Costituzionale ha affermato che la posticipazione dellimpugnabilit degli atti di esclusione di liste o candidati (con riferimento alla fattispecie in esame) ad un momento successivo allo svolgimento delle elezioni viola gli artt. 24 e 113 Cost.. Linteresse del candidato - si legge in motivazione - Ǐ quello di partecipare ad una determinata consultazione elettorale, in un definito contesto politico e ambientale. Ogni forma di tutela che intervenga ad elezioni concluse appare inidonea ad evitare che lesecuzione del provvedimento illegittimo di esclusione abbia, nel frattempo, prodotto un pregiudizio. La Corte ha, altres, evidenziato che lo stesso legislatore, del resto, con la disposizione dellart. 44 della L. 69 del 2009, ha delegato il Governo ad adottare norme che consentono lautonoma impugnabilit degli atti cosiddetti endoprocedimentali immediatamente lesivi di situazioni giuridiche soggettive. A completamento del quadro della normativa di riferimento, che richiede una tutela piena e tempestiva contro gli atti della pubblica amministrazione, la Corte ha, infine, richiamato gli artt. 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti delluomo e delle libert fondamentali che riconoscono, tra laltro, il diritto ad un ricorso effettivo. Lesclusione della impugnabilit immediata degli atti relativi al procedimento preparatorio alle elezioni, come lesclusione di liste o candidati, - ha concluso la Corte - vanificherebbe il diritto riconosciuto dalla Convenzione europea. Da qui la statuizione di illegittimit costituzionale dellart. 83-undicies del d.P.R. n. 570/60. LEGISLAZIONE ED ATTUALITA 245 La questione, sollevata dal T.A.R. Liguria, e definita dalla Corte Costituzionale, ha preso le mosse dalla decisione dellAdunanza Plenaria del Consiglio di Stato del 24 novembre 2005 n. 10, che risolse in termini negativi la dibattuta e controversa questione circa la possibilit, in materia di ricorso avverso le operazioni elettorali, di impugnare, prima della proclamazione degli eletti, gli atti endoprocedimentali riguardanti le operazioni preparatorie. E duopo ricordare che sulla questione si erano manifestati, prima della decisione dellAdunanza Plenaria, orientamenti giurisprudenziali molto diversificati, riconducibili a tre filoni: il primo, che riteneva il carattere immediatamente lesivo di tutti i provvedimenti rientranti nella fase preparatoria del procedimento elettorale, e, quindi, sia i provvedimenti di esclusione, sia quelli di ammissione di liste o candidature, con la possibilit, quindi, o addirittura la doverosit, della immediata impugnabilit a pena di decadenza; il secondo filone che operava una distinzione tra i provvedimenti di esclusione da quelli di ammissione di liste o candidati, prefigurando due momenti diversi di impugnazione, in relazione alla qualit dellinteresse e ritenendo i provvedimenti di esclusione immediatamente impugnabili e quelli di ammissione impugnabili, invece, in via differita, al momento della proclamazione degli eletti; il terzo filone era quello che propugnava lammissibilit solo di una impugnativa successiva alla proclamazione degli eletti. Rispetto a siffatti orientamenti, come gi detto, prevalse quello, da ultimo menzionato, con la decisione dellAdunanza Plenaria n. 10/2005, peraltro diffusamente criticata in dottrina, ma altres immediatamente disattesa dalla giurisprudenza dei TT.AA.RR. e dallo stesso Consiglio di Stato; gi nel 2006, la Sezione Quinta (ordinanza n. 2368 del 16 maggio 2006) dissentiva dalla decisione dellAdunanza Plenaria ed affermava lammissibilit di un ricorso in materia elettorale avverso gli atti di esclusione o di ammissione di una lista alla competizione elettorale in considerazione della necessit pi volte sottolineata dalla Corte Costituzionale di assicurare piena ed incondizionata tutela alla res integra, in relazione allart. 24 Cost.. In effetti, come viene ricordato nella motivazione della sentenza n. 236/10 della Corte Costituzionale, la questione della costituzionalit dellart. 83-undecies era stata gi rimessa dal T.A.R. Sicilia Sez. Catania al vaglio della Corte Costituzionale, che, con ordinanza n. 90 del 2009, la dichiar inammissibile; ci perch la stessa ordinanza di rimessione era stata formulata in modo perplesso e contraddittorio, ed altres perch la medesima ordinanza dava atto di come, anche dopo lintervento dellAdunanza Plenaria, la disposizione impugnata fosse stata oggetto di contrastanti interpretazioni giurisprudenziali, al punto che la norma stessa era stata censurata dal rimettente anche in relazione alla sua ambiguit. Ed invero, occorre sottolineare che, a pi riprese, i Giudici Amministrativi, soprattutto dei TT.AA.RR., hanno ritenuto superato lorientamento giu- 246 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 risprudenziale restrittivo sullimpugnabilit degli atti preparatori del procedimento elettorale immediatamente lesivi sia in sede cautelare che in sede di merito (T.A.R. Molise, Sez. I, 20 maggio 2009 n. 216; T.R.G.A. Trentino Trento 10 ottobre 2008 n. 254; T.A.R. Lombardia Milano 6 novembre 2007 n. 1135). Tra le decisioni pi recenti duopo segnalare la sentenza del T.A.R. Lecce n. 698 del 2010, confermata dalla Quinta Sezione del Consiglio di Stato con decisione n. 4323 del 6 luglio 2010, che ha dato per acquisita la piena ammissibilit di un ricorso avverso il provvedimento di non ammissione di una lista comunale per la elezione diretta del Sindaco e del Consiglio Comunale, decidendo la controversia dapprima in sede cautelare, e, quindi, con la citata sentenza di merito. E evidente, quindi, lo sforzo interpretativo compiuto dalla Corte Costituzionale, che, per potersi pronunciare sulla vexata quaestio dichiarando lillegittimit costituzionale dellart. 83-undecies del d.P.R. 570/60, ha dovuto affermare che, successivamente alla decisione n. 10/2005 dellAdunanza Plenaria del Consiglio di Stato, la regola scaturita da quella decisione si sarebbe consolidata come un vero e proprio diritto vivente. E per corroborare siffatta affermazione, non proprio in sintonia con i variegati orientamenti giurisprudenziali, la Corte Costituzionale ha opportunamente richiamato il testo della proposta del nuovo codice del processo amministrativo, allepoca trasmesso alla Camera dei Deputati, che ha previsto labrogazione della norma dichiarata incostituzionale, prevedendo - si legge nella motivazione della sentenza della Corte - la possibilit di impugnare immediatamente lammissione o la esclusione delle liste elettorali, senza attendere la proclamazione degli eletti (art. 129). E tutto ci in puntuale applicazione della delega contenuta nellart. 44 della L. 69/2009, con la quale il legislatore aveva investito il Governo del riassetto del contenzioso elettorale amministrativo. Rimane, tuttavia, aperta la questione se la nuova disciplina del Codice abbia compiutamente soddisfatto le molteplici istanze sulla necessit di una tutela immediata anche nella fase preparatoria del procedimento elettorale, e se soprattutto lart. 129 - coevo alla sentenza della Corte Costituzionale - ne rispetti le motivazioni ed il giudizio di conformit ai precetti costituzionali. In linea di principio, va evidenziato che le ammissioni o esclusioni delle liste e dei candidati, pi che atti infraprocedimentali, si atteggiano come vere e proprie fasi del procedimento; sicch dovrebbe valere il principio secondo cui gli atti che chiudono una fase, se immediatamente lesivi, ancorch prodromici a successivi sviluppi, sono suscettibili di autonoma impugnazione, fatto salvo lobbligo di impugnare latto conclusivo del procedimento (i casi pi ricorrenti sono latto di adozione dello strumento urbanistico generale, laggiudicazione provvisoria in materia di contratti pubblici, gli atti di esclusione nei procedimenti concorsuali). LEGISLAZIONE ED ATTUALITA 247 Daltro canto, i principi affermati dalla Corte Costituzionale nella citata sentenza sembrano avere una valenza riferibile a tutti gli atti preparatori del procedimento elettorale, suscettibili di incidere sullinteresse dei concorrenti alla competizione elettorale. Se vero, infatti, che in relazione alla fattispecie esaminata, il Giudice delle leggi ha fatto espresso riferimento agli atti di esclusione di liste o candidati, ribadendo che la posticipazione dellimpugnabilit di siffatti atti ad un momento successivo allo svolgimento delle elezioni preclude la possibilit di una tutela giudiziaria efficace e tempestiva, si pu legittimamente argomentare che le esigenze di tutela evidenziate dalla Corte possono valere anche nella diversa ipotesi di ammissione di liste o di candidati in aperta violazione di legge. Anche in questo caso, denegando la possibilit di una impugnativa tempestiva dellatto che chiude la fase di ammissione, si realizza la violazione degli artt. 24 e 113 Cost.; ci perch - seguendo il ragionamento della Corte - posto che linteresse del candidato quello di partecipare ad una determinata consultazione elettorale in un definito contesto politico e ambientale, ed altres - occorre aggiungere - temporale, ogni forma di tutela che intervenga ad elezioni concluse appare inidonea ad evitare che lesecuzione del provvedimento illegittimo abbia, nel frattempo, prodotto un pregiudizio. In nessun altro procedimento, come quello elettorale, gli effetti dannosi di atti preparatori illegittimi si riverberano in modo irreversibile sulla rinnovazione di quegli stessi atti a seguito di una pronunzia di annullamento ex post per la indiscutibile non omogeneit tra due procedimenti elettorali reiterati nel tempo. Siffatta argomentazione egualmente pertinente per lipotesi di illegittima esclusione di una lista, ma altres per lillegittima ammissione di una lista concorrente. A conferma del fatto che un pregiudizio pu derivare anche dallammissione illegittima di una singola candidatura o di una lista soccorre la natura del sistema elettorale ormai vigente nelle elezioni comunali, provinciali e regionali, ancorato fortemente al principio maggioritario; sicch la partecipazione alla competizione elettorale con candidature o liste formate e presentate in modo del tutto irregolare ha una influenza decisiva sul risultato elettorale, determinandolo nel suo esito finale. Da qui la lesione immediata dellinteresse di un candidato, che quello di partecipare ad una consultazione elettorale nella situazione politico-amministrativa esistente alla data prefissata, secondo le regole del gioco, nel mentre, una correzione o riedizione della competizione in un momento successivo, non sarebbe pienamente satisfattiva, perch influenzata dalle modificazioni, medio tempore verificatesi, del contesto politico-ambientale in diretta dipendenza di quegli atti di ammissione illegittimi, che hanno condizionato il risultato elettorale. 248 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 Gli esempi sono di estrema attualit: si pensi ai sindaci o presidenti di regione, proclamati eletti ed insediatisi in virt di elezioni annullate per vizi degli atti preparatori, concernenti lillegittima ammissione di liste o candidature presentate fuori termine o inficiate dallirregolare raccolta delle firme dei presentatori (si veda, da ultimo, il c.d. caso Piemonte, di recente definito dal Consiglio di Stato). Il diniego di una tempestiva tutela giurisdizionale fin dalla fase preparatoria destinato a ledere linteresse del candidato, anche perch la rinnovazione della consultazione elettorale potr essere direttamente influenzata dalla funzione pubblica, medio tempore esercitata da chi ha potuto giovarsi dellesecuzione di un provvedimento illegittimo di ammissione alla competizione stessa. Rimane, quindi, insuperata la contraddizione del ragionamento secondo cui, una volta riconosciuto il carattere immediatamente lesivo degli atti preparatori di ammissione od esclusione di liste o candidati, non pu essere posticipata nel tempo la tutela apprestata dallordinamento. Ed in questi termini che la Corte Costituzionale, nellaffermare lincostituzionalit dellart. 83-undecies, ha rilevato la violazione degli artt. 24 e 113 Cost. nel caso di una posticipazione della impugnabilit degli atti preparatori del procedimento elettorale, che, di fatto, preclude la possibilit di una tutela giurisdizionale efficace e tempestiva delle situazioni soggettive immediatamente lese dai predetti atti. A tal fine, la Corte ha fatto doveroso richiamo degli artt. 6 e 13 della Convenzione Europea, da ritenere di diretta applicazione nel nostro ordinamento, che riconoscono, tra laltro, il diritto ad un ricorso effettivo, che verrebbe vanificato con lesclusione dellimpugnabilit immediata degli atti relativi al procedimento preparatorio alle elezioni. Va detto che per superare tutto ci, e quindi per ritenere conforme ai principi costituzionali richiamati dalla sentenza n. 236/10 e dalle considerazioni fin qui svolte, la disciplina del Codice che limita la possibilit di una impugnativa immediata solo agli atti di esclusione delle liste, ma non anche a quelli di ammissione, occorrerebbe dimostrare che la fase di ammissione delle liste non sia tale da determinare una immediata lesione della situazione soggettiva del privato, e, che, quindi, sia consentita una posticipazione dellimpugnabilit di questa fase preparatoria, a differenza di quanto avviene per gli atti di esclusione. Di certo, si potr discutere anche sotto questo profilo, ed possibile anche individuare situazioni differenziate in relazione alla natura dei vizi ed alla rilevanza delle situazioni contrapposte, ma appare difficile affermare apoditticamente, ed in linea di principio, una volta riconosciuta lammissibilit dellimpugnativa immediata degli atti preparatori del procedimento elettorale, che la fase di ammissione delle liste in nessun caso possa ledere linteresse LEGISLAZIONE ED ATTUALITA 249 del candidato, e quindi la pretesa a conseguire una immediata e piena tutela giurisdizionale. In linea generale - come peraltro osservato dal T.A.R. Liguria nella ordinanza di rimessione che ha dato luogo alla sentenza della Corte Costituzionale - per i competitori politici, ottenere la ripetizione delle elezioni, in un tempo successivo della vicenda elettorale in caso di vizi della fase preparatoria, non realmente satisfattivo. E ci vale per qualsiasi vizio afferente lammissione o lesclusione di una lista. Il decorrere del tempo nella materia elettorale non un fattore neutrale; vi sono, peraltro, casi specifici in cui i vizi afferenti lammissione di una lista, non tempestivamente rilevati, hanno un effetto dirompente sulla stessa possibilit di una effettiva presenza di altre liste e di altri candidati. Si pensi, ad esempio, alla violazione della norma che limita il numero massimo delle sottoscrizioni per la presentazione di una lista, allo scopo di non condizionare le possibilit degli altri elettori e di non dar luogo ad una precostituita campagna elettorale. In una fattispecie di tal genere, evidente che lomessa rilevazione del vizio da parte di una commissione elettorale, ed il diniego della possibilit di una impugnativa immediata da parte di un cittadino elettore del provvedimento di ammissione della lista illegittimamente ammessa, comporterebbe una lesione immediata e difficilmente recuperabile attraverso la posticipazione dei ricorsi elettorali. Il nuovo rito superaccelerato Il giudizio, disciplinato nei commi 3 e seguenti dellart. 129 del Codice, stato, a giusta ragione, etichettato come rito superaccellerato. Deve, in primo luogo, osservarsi che limpugnazione immediata dei provvedimenti, relativi al procedimento preparatorio per le elezioni amministrative ed aventi ad oggetto lesclusione di liste o di candidati, costituisce una mera facolt (la norma utilizza, infatti, lespressione possono); il che significa che nulla vieta ai delegati delle liste escluse e ai gruppi di candidati esclusi di proporre impugnazione differita avverso i predetti atti di esclusione ovvero unitamente alla proclamazione degli eletti. Ma veniamo alla disamina del nuovo giudizio. Lart. 129 prevede, per la proposizione del ricorso, una scansione temporale quasi giugulatoria; il ricorso avverso i provvedimenti di cui al comma 1, da proporsi nel termine di tre giorni dalla pubblicazione, anche mediante affissione, ovvero dalla comunicazione, se prevista, degli stessi, deve essere, a pena di decadenza: a) notificato, esclusivamente mediante consegna diretta, posta elettronica 250 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 certificata o fax, allufficio che ha emanato latto di esclusione della lista o di uno o pi candidati, alla Prefettura e, ove possibile, agli eventuali controinteressati. La disposizione esclude il ricorso alla notifica a mezzo posta considerandola una modalit di notificazione distonica rispetto al carattere particolarmente accelerato del rito. La norma prevede che destinatari necessari della notifica siano lufficio elettorale che ha emanato il provvedimento di esclusione e la Prefettura, competente per territorio; entrambe le predette notifiche andranno effettuate, a pena di nullit, presso lufficio dellAvvocatura dello Stato, competente per territorio, atteso che, come noto, gli uffici elettorali costituiscono organi, seppure straordinari e temporanei, dellAmministrazione dellInterno cui attribuita, per legge, la cura del procedimento elettorale (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza del 23 luglio 2010, n. 4851). La notifica del ricorso effettuata, ove possibile, agli eventuali controinteressati (lespressione eventuali, utilizzata dalla norma, rende palese lincertezza nutrita dai redattori della disposizione in ordine alla effettiva sussistenza di veri e propri controinteressati nellambito del giudizio disciplinato dallart. 129 del Codice). La lettera a) del comma 3 si conclude con la previsione di un onere di pubblicazione del ricorso, posto a carico dellufficio elettorale che dovr procedere alla affissione di una copia integrale dello stesso in appositi spazi, alluopo destinati e sempre accessibili al pubblico (previsione, questultima, che sembra imporre laffissione di copia del ricorso in una bacheca posta allesterno del predetto ufficio, dovendosi assicurare la possibilit di visione della stessa sempre ovvero, almeno cos sembrerebbe doversi ritenere, anche nelle ore notturne). La pubblicazione, mediante affissione, ha valore di notificazione per pubblici proclami per tutti gli (eventuali) controinteressati; b) depositato presso la segreteria del T.A.R. adito che provvede, anche essa, ad affiggerlo in appositi spazi accessibili al pubblico (si osservi come in questo caso laccesso del pubblico non debba essere assicurato sempre; il che sembrerebbe fare propendere nel senso che il pubblico possa visionare la copia del ricorso solo durante gli orari di apertura della segreteria del T.A.R.). Il comma 4 impone alle parti di indicare nei propri atti (ricorso introduttivo e atti di costituzione) lindirizzo di posta elettronica certificata o il numero di fax, da valere per ogni eventuale comunicazione e notificazione. Il comma 5 disciplina ludienza prevedendo che la stessa sia celebrata nel termine di tre giorni dal deposito del ricorso, senza possibilit di rinvio anche nellipotesi di proposizione di ricorso incidentale e senza che della fissazione della stessa debba essere dato avviso a cura della segreteria del T.A.R.. Il comma 6 prevede che il giudizio sia deciso allesito delludienza con LEGISLAZIONE ED ATTUALITA 251 sentenza in forma semplificata, da pubblicarsi nello stesso giorno. La motivazione della decisione pu consistere anche in un mero richiamo delle argomentazioni contenute negli scritti delle parti che il giudice ha inteso accogliere e fare proprie. Una disposizione, questultima, che sembra codificare il fenomeno, gi diffusosi da alcuni anni in via di prassi, delle sentenze c.d. copia e incolla. Il comma 7 chiude la disciplina del primo grado del giudizio superaccelerato, prevedendo che la sentenza, ove non sia stata appellata, venga comunicata, senza indugio, dalla segreteria del T.A.R. allufficio elettorale che ha adottato il provvedimento di ricusazione; ci significa che lincombente scatta quando, decorsi tre giorni dalla pubblicazione della sentenza, non sia stata depositata, giusta previsione di cui alla lett. b) del comma 8, presso la segreteria del T.A.R., che ha pronunciato la sentenza, copia del ricorso di appello. Il comma 8 disciplina il grado di appello, prevedendo, innanzi tutto, che il termine per la proposizione del gravame sia pari a due giorni decorrenti dalla pubblicazione della sentenza. Nel predetto termine, il ricorso in appello deve essere notificato secondo le medesime modalit previste dalla lettera a) del comma 3 per il giudizio di primo grado ma con la ovvia precisazione che, per le parti costituite, la notificazione si effettua mediante trasmissione allindirizzo di posta elettronica certificata o al numero di fax indicato negli atti difensivi a norma del comma 4. Il ricorso in appello, nel medesimo e ristrettissimo termine di due giorni deve essere depositato sia presso la segreteria del T.A.R. che ha emesso la decisione gravata sia presso la segreteria del Consiglio di Stato; entrambe le segreterie dovranno provvedere alla pubblicazione, mediante affissione, del gravame con le medesime modalit di cui alla lettera b) del comma 3. Il comma 9 rinvia, ai fini della disciplina del giudizio di appello, alle forme gi previste dalla norma per il giudizio di primo grado. Lultimo comma dellart. 129 esclude lapplicazione, con riferimento al nuovo rito superveloce, delle disposizioni di cui agli articoli 52, comma 5, e 54, commi 1 e 2. La prima delle predette disposizioni non altro che la ricopiatura dellart. 155, comma 5, del c.p.c. che, come noto, ha assimilato, quanto al termine di scadenza per il compimento di un atto, il sabato alla domenica, con la conseguenza che la scadenza del compimento di un atto, da eseguirsi di sabato come ultimo giorno, posticipata al luned successivo. E evidente che la predetta disposizione, che si traduce nello spostamento della scadenza del termine, di ben due giorni, non stata ritenuta compatibile con il carattere superaccelerato del rito di cui allart. 129 del Codice. Lart. 54, comma 1, del Codice disciplina il fenomeno, in passato molto diffuso, della presentazione tardiva di memorie e documenti che, oggi, pu essere autorizzata, su richiesta di parte, in via del tutto eccezionale, quando la 252 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 produzione nel termine di legge sia estremamente difficile. La predetta disposizione risulta del tutto incompatibile con la disciplina del rito di cui allart. 129, la cui tempistica, come pi sopra evidenziato, risulta particolarmente accelerata. Da ultimo, si evidenzia come nel giudizio elettorale in argomento non trovi applicazione la c.d. sospensione feriale dei termini; trattasi di disposizione che ben si comprende atteso che lart. 129 disciplina un giudizio che ha ad oggetto la impugnazione immediata degli atti di esclusione; impugnazione che, come tale, mal si concilia con un differimento, per legge, di ben 45 giorni. Capo III: rito relativo alle operazioni elettoriali di comuni, province, regioni e Parlamento europeo (artt. 130-132) Il Capo III del Titolo VI del Libro IV del Codice disciplina il contenzioso, per cos dire ordinario, relativo alle operazioni concernenti le elezioni amministrative e del Parlamento europeo. La disposizione di cui al comma 1 (parzialmente riproduttiva del comma 2 dellart. 129) ribadisce la regola generale secondo la quale contro tutti gli atti del procedimento elettorale successivi allemanazione (rectius: convocazione, N.d.A.) dei comizi elettorali ammesso ricorso solamente dopo la chiusura del procedimento elettorale merc la proclamazione degli eletti; una regola, questultima, che soffre la sola eccezione rappresentata dallipotesi disciplinata dallart. 129, cui si riferisce la clausola di salvezza che compare in apertura dellart. 130 del Codice. Occorre evidenziare, da subito, che il giudizio, disciplinato dal predetto art. 130, interessa lAvvocatura dello Stato (ma sarebbe meglio dire lAvvocatura Generale dello Stato per le ragioni di cui appresso) solo con riferimento al giudizio avente ad oggetto il procedimento relativo alle elezioni dei membri del Parlamento europeo spettanti allItalia. Ed invero, il comma 3 dellart. 130, codificando il prevalente orientamento della giurisprudenza amministrativa (cfr., da ultimo, Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza del 23 luglio 2010, n. 4851), alla lettera a), prevede, infatti, che il ricorso avente ad oggetto le operazioni elettorali di comuni, province e regioni (le elezioni amministrative, per intenderci) debba essere notificato esclusivamente allente della cui elezione si tratta; in altre parole, la legittimazione passiva nel giudizio elettorale, limitatamente alle competizioni elettorali amministrative, spetta esclusivamente al comune o alla provincia o alla regione della cui elezione si tratta, con conseguente difetto di legittimazione passiva del Ministero dellInterno e degli uffici elettorali che, peraltro, sono organi del Ministero dellInterno, oltre che straordinari, temporanei e, come, tali, destinati a sciogliersi una volta intervenuto latto di chiusura del procedimento elettorale, ovvero la proclamazione degli eletti. LEGISLAZIONE ED ATTUALITA 253 Il giudizio di cui allart. 130 del Codice, e la relativa disciplina, interessa, invece, la sola Avvocatura Generale dello Stato in quanto, con riferimento al giudizio relativo alle operazioni elettorali per la elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia (con riferimento al quale la relativa legittimazione passiva compete, giusta previsione della lettera b) del comma 3 della norma in commento, allufficio elettorale centrale nazionale), la competenza funzionale risulta attribuita al T.A.R. del Lazio, sede di Roma (artt. 130, comma 1, lett. b) e 135, comma 1, lett. n)). Lart. 130, al comma 1, in continuit con la previgente disciplina contenuta nellart. 83-undecies del d.P.R. n. 570/60, prevede che il ricorso elettorale ordinario debba essere proposto mediante deposito dello stesso, rispettivamente presso la segreteria del T.A.R. nella cui circoscrizione ha sede lente locale della cui elezione si tratta, per le elezioni amministrative, e nella segreteria del T.A.R. del Lazio, sede di Roma, per le elezioni del Parlamento europeo; il termine per la proposizione di entrambi i ricorsi di trenta giorni, decorrente, per le elezioni amministrative, dalla proclamazione degli eletti, e, per le elezioni al Parlamento europeo, dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dellelenco dei candidati proclamati eletti. Il comma 1 introduce, invece, una rilevante novit con riferimento alla individuazione dei soggetti legittimati a proporre ricorso. Ed invero, con riferimento alle elezioni amministrative, la predetta legittimazione viene attribuita a qualsiasi cittadino elettore dellente della cui elezione si tratta; trattasi di previsione del tutto innovativa rispetto allart. 83-undecies del d.P.R. n. 570/60 che, accanto al cittadino elettore del Comune, attribuiva la legittimazione a ricorrere anche a chiunque altro vi abbia diretto interesse (previsione che aveva fatto meritare al relativo giudizio letichetta di azione popolare); a ci si aggiunga che la formulazione letterale della norma sembra escludere che possano proporre ricorso i candidati che non siano anche elettori (perch, ad esempio, residenti in diverso ente territoriale rispetto a quello della cui elezione si tratta). Il comma 2 prevede che il Presidente del T.A.R. adito, con proprio decreto, fissa ludienza di discussione del ricorso in via durgenza, designa il giudice relatore, ordina le notifiche, autorizzando, ove necessario, qualunque mezzo idoneo, ordina il deposito di documenti e lacquisizione, sempre in via istruttoria, di qualunque altra prova necessaria, ordina, infine, la comunicazione, a cura della segreteria, del decreto al ricorrente. Il comma 3 (la cui disciplina stata, pi sopra, in parte anticipata) prevede che, entro dieci giorni dalla comunicazione del decreto, il ricorrente debba notificare il ricorso, unitamente al decreto presidenziale, allente locale della cui elezione si tratta (elezioni amministrative) ovvero allufficio elettorale centrale nazionale (elezioni del Parlamento europeo) nonch alle altre parti che vi hanno interesse, e comunque ad almeno un controinteressato. 254 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 Il comma 4 prevede che, nel termine di dieci giorni dallultima notificazione, il ricorrente deposita nella segreteria del T.A.R. il ricorso con la prova dellavvenuta notificazione nonch gli atti e documenti del giudizio. Il comma 5 attribuisce allamministrazione resistente e ai controinteressati, per la costituzione in giudizio, il termine di quindici giorni, decorrenti dal giorno in cui la notificazione del ricorso, con pedissequo decreto presidenziale, si perfezionata nei loro confronti; la costituzione ha luogo mediante deposito nella segreteria del T.A.R. delle proprie controdeduzioni. Il comma 6 prevede che la sentenza sia pronunciata allesito delludienza nel corso della quale verranno sentite le parti ove presenti. Il comma 7 dispone che la sentenza venga pubblicata in forma integrale, ovvero munita della motivazione, entro il giorno successivo a quello della decisione; ove ci non sia possibile a cagione della complessit delle questioni, dovr essere pubblicato, nel termine di cui sopra, il solo dispositivo di sentenza mentre la decisione, corredata delle motivazioni, dovr essere depositata nei dieci giorni successivi. Il comma 8 contempla la trasmissione, a cura della segreteria del T.A.R., della sentenza al sindaco, alla giunta provinciale, alla giunta regionale, al presidente dellufficio elettorale centrale nazionale, a seconda dellente cui si riferisce lelezione. Ove la sentenza riguardi le elezioni amministrative, copia del dispositivo della stessa andr pubblicato allalbo pretorio dellente locale della cui elezione si tratta; solo con riferimento alle elezioni amministrative e regionali, la sentenza andr, altres, trasmessa al Prefetto. Una particolare segnalazione merita il comma 9 che prevede, con riferimento alle elezioni amministrative, che, laddove il T.A.R. accolga il ricorso, corregge il risultato delle elezioni e sostituisce ai candidati illegittimamente proclamati coloro che hanno diritto di esserlo. La norma non tiene conto del fatto che possono darsi ipotesi in cui laccoglimento del ricorso risulta idoneo ad inficiare, nella sua complessit, il risultato elettorale; la predetta lacuna pu essere, allo stato, colmata facendo rinvio alla previsione di cui allart. 85 del d.P.R. n. 570/60 che fa testuale riferimento allannullamento delle elezioni in sede giudiziaria (norma che non risulta essere stata abrogata dal Codice). Lart. 130 si chiude con la previsione del dimezzamento di tutti i termini, fatti salvi quelli indicati nello stesso articolo e nellarticolo 131. Il Capo III si chiude con due articoli (131 e 132) che disciplinano, rispettivamente, il giudizio di appello in relazione alle operazioni elettorali di comuni, province e regioni, e quello relativo alle operazioni elettorali del Parlamento europeo; vale segnalare, peraltro, come lart. 131 faccia erroneamente riferimento, in apertura, allappello avverso le sentenze di cui allart. 130 che, come sopra evidenziato, disciplina unitariamente il giudizio elettorale di primo grado tanto con riferimento alle elezioni amministrative che a LEGISLAZIONE ED ATTUALITA 255 quelle del Parlamento europeo. Il termine per la proposizione di appello di venti giorni, rispettivamente decorrenti dalla notifica della sentenza per coloro nei cui confronti la stessa obbligatoria, e dallultimo giorno di pubblicazione della decisione allalbo pretorio del comune, ovvero della provincia ovvero della regione (cos deve interpretarsi la norma di cui al comma 1 dellart. 131 che fa riferimento, del tutto inspiegabilmente, al solo comune). Al giudizio di appello si applicano le disposizioni che regolano il processo di appello davanti al Consiglio di Stato ma tutti i termini sono ridotti della met. Lart. 132 disciplina il rito di appello avverso le sentenze pronunciate nei giudizi relativi alle operazioni elettorali del Parlamento europeo. Lappello si propone mediante dichiarazione da presentare presso la segreteria del T.A.R. del Lazio (la norma usa la curiosa espressione tribunale amministrativo regionale che ha pronunciato la sentenza, come se a pronunciarsi potesse essere un T.A.R. diverso da quello capitolino cui attribuita, come pi sopra ricordato, la competenza funzionale a conoscere dei ricorsi relativi alle elezioni europee); il termine per la proposizione di appello di cinque giorni dalla pubblicazione della sentenza o, in mancanza, del dispositivo della stessa; in questultima ipotesi, il termine per il deposito dellappello, corredato dei motivi, di trenta giorni dalla ricezione dellavviso di pubblicazione della sentenza integrale. Unultima notazione, seppure in termini problematici, merita la tematica della natura dei termini previsti nel Capo III; in nessuno dei tre articoli che compongono il predetto Capo si fa riferimento alla natura perentoria dei termini dagli stessi previsti; dal che potrebbe desumersi che il mancato rispetto degli stessi non comporti alcuna decadenza dalla possibilit di compiere latto. Trattasi di uninterpretazione che, sebbene trovi un aggancio nella lettera delle disposizioni, sopra richiamate, lascia adito a notevoli perplessit atteso che, come noto, il giudizio elettorale , da sempre, cadenzato da termini di natura perentoria, la cui mancata osservanza sanzionata da decadenza; a ci si aggiunga che, per pacifica giurisprudenza, quando la legge non qualifica espressamente come perentorio un termine processuale, questultimo pu del pari essere considerato tale in ragione dello scopo che persegue e della funzione cui adempie; orbene, nel caso del giudizio elettorale, la natura perentoria dei termini processuali giustificata dallinteresse pubblico a che i risultati elettorali, decorso un determinato termine, non possano essere pi messi in discussione. ** *** ** 256 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 Alcune perplessit sul nuovo rito elettorale Gianni Cortigiani* Il d.lgs 104/10 ha riformulato ex novo anche il rito elettorale relativo alle elezioni amministrative (ed europee). Come noto, mentre lart. 130 disciplina il rito ordinario per i ricorsi avverso le operazioni elettorali, lart. 129, per la prima volta, prevede espressamente la impugnabilit immediata dei provvedimenti avverso gli atti di esclusione di candidati e liste. Si ricorder che tale impugnabilit, nella vigenza dellart. 83/11 L. 570/60, era stata inizialmente esclusa dalla elaborazione giurisprudenziale (Cons. St., 7 marzo 1986 n.156), successivamente (Cons. St., V, 3 aprile 1990 n. 322) era stata ammessa sul presupposto che lesclusione si pone come momento finale del sub procedimento di ammissione, venendo a creare una cesura che impedisce di riferire quei provvedimenti allatto di proclamazione degli eletti, infine Ad. Plen. 24 novembre 2005 n. 10 era tornata ad affermare la impugnabilit anche di tali provvedimenti esclusivamente con il gravame avverso la proclamazione degli eletti. Tale interpretazione, assunta come diritto vivente stata stigmatizzata dalla Corte Costituzionale nella decisione n. 236/2010, depositata per avventura lo stesso giorno di pubblicazione del d.lgs. 104/2010, che dichiara lincostituzionalit dellart. 83/11 nella parte in cui non consente una tutela immediata avverso gli atti di esclusione. Nella decisione, ricca di riferimenti sia alla legge-delega n. 69/2009 che al d.lgs. 104/2010 in corso, allepoca, di pubblicazione, la Corte opera una decisa distinzione fra procedimento elettorale comprendente le operazioni di voto e la proclamazione degli eletti e procedimento preparatorio nel quale rientra la presentazione e ammissione delle liste. La corrispondenza fra tale distinzione e il differenziato regime degli artt. 129 e 130 non , peraltro, perfetta. La tutela immediata dellart. 129 offerta infatti soltanto avverso i provvedimenti di esclusione, e non anche avverso quelli di ammissione, che potranno formare oggetto di contestazione solo nelle forme e nei tempi dellart. 130. Ancora, legittimati a richiedere la tutela immediata sono esclusivamente i delegati di lista, mentre leventuale elettore che volesse dolersi della esclusione di una lista a lui cara dovrebbe comunque attendere la proclamazione degli eletti: quindi anche atti del procedimento preparatorio possono essere soggetti ad impugnazione secondo il rito ordinario di cui allart. 130. (*) Avvocato dello Stato. LEGISLAZIONE ED ATTUALITA 257 Indipendentemente dalle possibili questioni sulla rispondenza del dato normativo alle indicazioni contenute nella decisione della Corte Costituzionale (potrebbe ad es. dare adito a dubbi il fatto che la tutela efficace e immediata sia riservata al delegato di lista e non al singolo candidato escluso), le maggiori perplessit sono date dalla differenza che i due articoli portano nella individuazione dei destinatari della notifica del ricorso. Lart. 130 indica come Amministrazione resistente e come destinataria della notifica esclusivamente lEnte nel cui interesse si tengono le elezioni: viene cos normativamente recepito lindirizzo giurisprudenziale che si era consolidato nel senso di negare legittimazione passiva al Ministero dellInterno (o alla Prefettura) in quanto chiamato soltanto ad offrire supporto logistico alle operazioni elettorali, ma anche allUfficio temporaneo competente alla proclamazione degli eletti, in quanto, per la posizione di neutralit che assume nella competizione elettorale, privo di interesse giuridicamente apprezzabile al mantenimento dei propri atti. Viceversa, lart. 129 impone la notifica sia alla Prefettura che allUfficio che ha emesso latto di esclusione impugnato (e non anche allEnte nel cui interesse si svolgono le elezioni). Ora, ben vero che la esclusione della lista importa quella cesura, sopra evidenziata; che impedisce il collegamento allatto di proclamazione degli eletti, ma resta comunque problematico giustificare la ragione per cui interesse e legittimazione mutino in dipendenza del momento in cui la impugnazione viene svolta e del soggetto impugnante. Il principio secondo il quale il Ministero o la Prefettura offrono un mero supporto logistico vale anche nella fase preliminare, e la posizione di terziet e neutralit dellUfficio che procede alla proclamazione degli eletti (da cui linesistenza di interesse al mantenimento dei propri atti) dovrebbe caratterizzare anche lattivit dellUfficio che provvede al controllo e ammissione di liste e candidati (in questo senso v. ad es. Tar Toscana 11 aprile 2008 n. 1023), n si comprende per quale motivo linteresse al mantenimento del proprio atto dovrebbe sussistere in caso di atto negativo mentre cos non in caso di atto positivo (si gi visto come lammissione di una lista possa formare oggetto di contestazione nelle forme e termini dellart. 130, che non prevede legittimati passivi ulteriori rispetto allEnte locale). La sensazione che il legislatore dellart. 129, prevedendo la notifica presso la Prefettura e lUfficio abbia inteso non tanto designare dei legittimati passivi, interessati a resistere al gravame, quanto risolvere in linea pratica problematiche relative alla conoscenza del ricorso da parte dei controinteressati e alla predisposizione del materiale per le operazioni di voto. Cos, lUfficio che ha emanato latto, espressamente onerato della affissione in appositi spazi accessibili, assolve a compiti di pubblicit, mentre la Prefettura, ricevuta la notifica, si asterr dal procedere alla stampa delle 258 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 schede fino alla decisione del T.A.R. Un argomento, se si vuole suggestivo, a sostegno della non riconoscibilit nella Prefettura e nellUfficio di parti sostanziali del giudizio dato dalla lettura del comma 8 relativo allappello: viene espressamente disciplinato il gravame proposto dal ricorrente prevedendone tempi, modi e luoghi di notifica, mentre niente si dice in ordine ad un eventuale gravame della Prefettura o dellUfficio, il che pu far dubitare della ammissibilit stessa di un tale gravame. In ogni caso, sembra che proprio in considerazione delle esigenze di pubblicit tenute in conto dal legislatore e della estrema ristrettezza del tempo concesso, la previsione sul luogo di notifica del ricorso immediato debba esser vista come deroga alla regola generale di cui allart. 11 RD 1611/1933: se il ricorso dovesse essere notificato presso lAvvocatura le suddette esigenze di immediata pubblicit verrebbero frustrate, e, sul piano testuale, il riferimento a mezzi di comunicazione quali il fax o la p.e.c. porta a pensare ad una notifica diretta presso il destinatario. Alla luce delle suesposte considerazioni, sembra di poter concludere che nel rito di cui allart. 129, non solo lAvvocatura non la destinataria della notifica, ma che nemmeno si impone una sua difesa tecnica dellatto impugnato. LEGISLAZIONE ED ATTUALITA 259 Lambito di applicazione della mediazione civile e commerciale nel sistema del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28 Vittorio Raeli* SOMMARIO: 1.- La mediazione volontaria 2.- La mediazione obbligata ratione materiae 3.- (segue) Le singole materie 4.- (segue) Casi di esclusione 5.- La mediazione delegata. 1. La mediazione volontaria Con lentrata in vigore del d.lgs 4 marzo 2010, n. 28 stato introdotto nel nostro ordinamento, in maniera cos ampia, il tentativo di conciliazione nelle controversie civili e commerciali (1). Lart. 2, comma 1, generalizza il tentativo (facoltativo) di conciliazione per le controversie (civili e commerciali) (2) su diritti disponibili. Alla distinzione oggettiva tra controversie civili e commerciali (riconducibile alla Direttiva 2008/52/CE ) - si osservato in dottrina (3) - non corrisponde alcuna contrapposizione di natura soggettiva, in quanto il decreto delegato non pone limiti soggettivi perch chiunque pu ricorrere alla mediazione/ conciliazione, anche se, indubbiamente, qualora il soggetto che intende avvalersi o obbligato (per legge o in via pattizia) ad esperire il tentativo di conciliazione sia un consumatore, troveranno applicazione, oltre allart. 141 del codice del consumo, pure le raccomandazioni della Commissione delle Comunit Europee, 4 aprile 2001, n. 2001/310/CE, sui principi applicabili agli organi extra giudiziali che partecipano alla risoluzione consensuale delle controversie in materia di consumo, e 30 marzo 1998, n. 98/257/CE, sui principi applicabili alla risoluzione extragiudiziale delle controversie in materia di consumo. (*) Consigliere della Corte dei Conti. (1) Il riferimento alla natura civile e commerciale delle controversie esclude che tra le materie soggette a mediazione (volontaria, delegata e obbligatoria) possano essere ricomprese quella penale, amministrativa e tributaria. (2) Nonostante la natura civile e commerciale sono escluse dalla mediazione ex d.lgs. 28/2010 le negoziazioni volontarie e paritetiche relative a tali controversie: cfr. art. 2, comma 2, d.lgs. n. 28/2010. La Relazione illustrativa precisa, sub art. 2, che la procedura di mediazione disciplinata dal decreto non esclude il ricorso a istituti gi ampiamente sperimentati nella pratica, che consentono di giungere alla composizione di controversie su base paritetica o attraverso procedure di reclamo disciplinate dalle carte di servizi, ma che si differenziano dalla mediazione per il mancato intervento di organismi terzi ed imparziali. (3) F. MURRINO, Prime considerazioni sulla mediazione nel sistema della tutela dei diritti, in Corr. Mer., n. 6/2010, 60. 260 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 Da un punto di vista soggettivo, dunque, si detto (4) che la mediazione ha il pi vasto raggio possibile, perch tutti, senza distinzione alcuna, possono avervi accesso. Da un punto di vista oggettivo, a delimitare il campo di applicazione del decreto, il riferimento ai diritti disponibili. Ovviamente quanto qui si dir riguarda soltanto la mediazione volontaria (e delegata ovvero sollecitata), il cui esperimento rimesso alla iniziativa delle parti, e non vale per la mediazione obbligatoria, concernente un numerus clausus di materie, per le quali, dunque, non si pone alcun problema in ordine alla natura dei diritti. Sul piano definitorio, per individuare la categoria dei diritti disponibili pu richiamarsi il pensiero di Salvatore Pugliati, il quale avvertiva che la facolt di disposizione sarebbe, nella sua espressione sintetica, il potere legittimo che ha il titolare di un diritto di trasferire ad un altro il diritto stesso (5), identificando, accanto allelemento soggettivo, appunto, un elemento obiettivo, dato dallattitudine dispositiva, e definendo in maniera speculare la categoria dei diritti soggettivi indisponibili come quella che ricomprende diritti intrasmissibili non perch rispetto ad essi la capacit di agire non possa produrre una concreta facolt di disposizione () ma perch essi mancano dellattitudine a subre atti dispositivi. In altri termini rispetto ad essi viene meno lelemento obiettivo della cosiddetta facolt di disposizione e lelemento subiettivo, cio la capacit di agire del soggetto, non pu da solo rendere possibile la trasmissione di diritti che, per mancanza di attitudine propria (sia perch sono strettamente inerenti alla persona del titolare, sia perch la legge li dichiara intrasmissibili) non possono formare obietto di trasferimento (6). Tanto premesso, in dottrina (7) si affermato che due sono i requisiti a cui guardare per definire la categoria dei diritti disponibili. Il primo, di segno positivo, il carattere patrimoniale del diritto medesimo; il secondo, di segno negativo, la assenza di un divieto di disposizione stabilito dalla legge (ad es., diritto agli alimenti, diritto di uso e abitazione) (8). Sotto questultimo pro- (4) A. CASTAGNOLA-F. DELFINI (a cura di), La mediazione nelle controversie civili e commerciali (Commentario al decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28), Padova, 2010, 21. (5) S. PUGLIATTI, Latto di disposizione e il trasferimento dei diritti, in Studi sulla rappresentanza, Milano, 1965, 5. (6) Ibidem, 31-32. (7) A. CASTAGNOLA F. DELFINI, op. cit., 26-27. (8) Svaluta il carattere inderogabile della disciplina quale criterio guida di individuazione della categoria dei diritti indisponibili G. MINELLI, Commento allart. 5, in La mediazione per la composizione delle controversie civili e commerciali (a cura di M. BOVE), Padova, 2011, 95, che, traendo spunto dalla conciliazione giudiziale e amministrata (di fronte alle Commissioni di conciliazione di cui agli artt. 410 e 411 c.p.c.) in materia laburistica afferma Tutto questo dimostra che lassoggettamento a norme inderogabili non pu comportare che il diritto sia indisponibile poich se cos fosse tutti gli accordi negoziali, indipendentemente dalla sede e dalla forma, sarebbero comunque invalidi. LEGISLAZIONE ED ATTUALITA 261 filo si detto (9) che diritto disponibile significa diritto rispetto al quale lordinamento riconosce effetti alla volont negoziale delle parti poich se le parti non possono, attraverso lesercizio del loro potere negoziale, darsi regole di condotta in generale, chiaro che esse non possono darsi regole di condotta neppure con lo specifico fine di risolvere una controversia (10). Sono senzaltro sottratte alla disponibilit delle parti, dunque, le questioni relative agli status personali (11) ed ai diritti della personalit, alla separazione personale e al divorzio dei coniugi (12), allobbligazione di prestazione degli alimenti, allobbligazione naturale (13). Malgrado ci, in giurisprudenza si ammette che le situazioni soggettive patrimoniali derivanti da alcuni status personali o da diritti della personalit possono costituire oggetto di rinunzia e transazione nei limiti in cui si contenda circa la consistenza di quei diritti patrimoniali. Si pensi alla obbligazione di prestare gli alimenti e alla riconosciuta possibilit di rinunzie e transazioni che vertono sulla misura e sulla modalit del credito alimentare (14). Altres, sono stati riconosciuti transigibili i diritti patrimoniali derivanti dal matrimonio (15). 2. La mediazione obbligata ratione materiae La scelta forse pi controversa della disciplina dettata dal legislatore delegato per la mediazione si identifica con la istituzione della obbligatoriet della mediazione (16), configurandosi lattivazione del procedimento secondo (9) F. P. LUISO, Il sistema dei mezzi negoziali per la risoluzione delle controversie civili, in www.judicium. it. (10) Laddove, dunque, la controversia abbia ad oggetto un diritto indisponibile, lunica strada possibile per risolvere il contrasto la giurisdizione: cos F. P. LUISO, ibidem. (11) Tizio e Caia non possono costituirsi rispettivamente padre e figlia con un proprio atto di volont; conseguentemente non possono, in via consensuale, risolvere una controversia relativa alla sussistenza del rapporto di filiazione: cos, F. P. LUISO, ibidem. (12) Per L. DITTRICH, Il procedimento di mediazione nel d.lgs. n. 28 del 4 marzo 2010, in www.judicium. it, in tal modo, vengono espunte dallarea della mediazione proprio le liti connesse alla separazione e al divorzio e allaffidamento dei figli, che pi di ogni altre potrebbero beneficiare purch vi sia un controllo sia pure successivo del giudice di una attivit conciliativa ad opera di un mediatore professionista, sul modello della conciliazione delegata. (13) Si segnala, peraltro, come negli ultimi tempi autorevole dottrina ha progressivamente riconsiderato la possibilit della conciliazione anche su diritti indisponibili vuoi sulla base di una pi meditata considerazione della finalit della conciliazione (ad una finalit di prevenire comportamenti illeciti o comunque inopportuni fa riferimento F. P. LUISO, La conciliazione nel quadro della tutela dei diritti, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2004, 1206) vuoi alla luce di una pi specifica considerazione del ruolo di garanzia svolto dal conciliatore (si rimanda a F. CUOMO ULLOA, La conciliazione. Modelli di composizione dei conflitti, Padova, 2008, 474-477 e, da ultimo, a BORGHESI, Conciliazione, norme inderogabili e diritti indisponibili, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2009, 121). (14) Cfr. Cass. civ. 18 ottobre 1955, n. 3255 e Id., 19 agosto 1969, n. 3006. (15) Cfr. Cass. civ., 12 maggio 1994, n. 4647. (16) Contro il carattere obbligatorio della mediazione si era espresso il Consiglio Superiore della Magistratura nel Parere allo schema di decreto legislativo. Attuazione dellart. 60 della l. 18 giugno 262 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 le regole del d.lgs. 4 marzo 2010 n. 28 o, alternativamente, del d.lgs. 8 ottobre 2007 n. 179, ovvero del d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385, limitatamente per le materie ivi regolate, quale condizione di procedibilit (17) della domanda giudiziale relativa alle materie indicate nellart. 5 (18). Si tratta delle azioni concernenti le seguenti materie (19): 1) condominio (20); 2) diritti reali (21); 3) divisione; 4) successioni ereditarie; 5) patti di famiglia (22); 6) locazione; 7) comodato; 8) affitto di azienda; 2009, n. 69 in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali, adottato con delibera del 4 febbraio 2010, rilevando che laver reso obbligatorio, per le materie elencate al primo comma dellart. 5, il ricorso alla mediazione non sembra la soluzione migliore per assicurare la diffusione della cultura per la risoluzione alternativa delle controversie. Come gi rilevato dal C.S.M. nel suo parere reso in data 11 marzo 2009, il tentativo di conciliazione pu avere successo solo se sostenuto da una reale volont conciliativa e non se si svolto per ottemperare ad un obbligo. (17) Come da altri stato gi detto a proposito del tentativo di conciliazione nelle controversie di lavoro, Lomissione del tentativo di conciliazione costituisce un ostacolo alla decisione di merito n pi n meno agli altri presupposti processuali (in termini, F. P. LUISO, Il tentativo di conciliazione nelle controversie di lavoro, 378 ss.). (18) Vi da dire, peraltro, che per quanto concerne le cause in materia di condominio e di risarcimento del danno derivante dalla circolazione di autoveicoli e natanti la legge 26 febbraio 2011, n. 10, ha differito di un anno lentrata in vigore della obbligatoriet della mediazione. (19) In dottrina si osservato come la dizione ampia della norma, che si riferisce genericamente a controversie in materia di , deve essere adeguatamente interpretata nelle singole fattispecie, al fine di evitare che la portata della mediazione obbligatoria sia estesa al punto da dubitare della ragionevolezza stessa del sistema (cos G. BATTAGLIA, Commento allart. 5, in A. CASTAGNOLA F. DELFINI, La mediazione nelle controversie civili e commerciali, cit., 71). (20) Secondo le rilevazioni statistiche del Censis sul contenzioso instaurato nel 2007, le cause riguardanti il condominio ammontavano a circa 185 mila, pari al 4,5% del totale delle cause civili introdotte quellanno. Loggetto di tali procedimenti ha riguardato principalmente: il recupero del credito derivante dalla morosit dei condomini; limpugnazione di delibere condominiali, ai sensi dellart. 1137 c.c.; provvedimenti durgenza ex art. 700 c.p.c.; procedimenti per accertamento tecnico preventivo ex art. 696 c.p.c.; azioni di responsabilit ai sensi dellart. 2051 c.c. (21) Il problema si pone, in particolare, con riferimento alle controversie in materia di diritti reali, poich, in astratto la materia dei diritti reali sarebbe idonea a coinvolgere innumerevoli liti (ibidem). (22) Si rinvia allistituto regolamentato dagli artt. da 768-bis a 768-septies c.c.. Nella Relazione illustrativa si specifica che linserimento dei patti di famiglia tra le materie per le quali prevista la condizione di procedibilit motivata dallesigenza di chiarire definitivamente lobbligatoriet del tentativo di mediazione gi previsto dallart. 768-octies c.c., che devolve(va) le controversie relative al patto di famiglia appunto a uno degli organismi di conciliazione previsti dallart. 38 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5. Ricorda, infatti. G. BATTAGLIA, op. cit., 76, (nota 11), che, in relazione a tale disposizione, si era posto linterrogativo se il rinvio fosse solo alla individuazione del soggetto competente ad erogare il servizio di conciliazione, oppure se il rinvio stesso comportasse lestensione al patto di famiglia della disciplina della conciliazione nelle controversie societarie. LEGISLAZIONE ED ATTUALITA 263 9) risarcimento del danno derivante dalla circolazione dei veicoli e dei natanti; 10) responsabilit medica; 11) diffamazione a mezzo stampa o altro mezzo di pubblicit; 12) contratti assicurativi; 13) contratti bancari; 14) contratti finanziari. Pur essendosi dubitato in dottrina della legittimit costituzionale della elencazione per la sua eterogeneit (23) e della coerenza tra i criteri guida e le materie individuate (24), opportuno illustrare i criteri-guida seguiti nella scelta delle materie, siccome chiariti dalla Relazione illustrativa al dereto-delegato. Si tratta dei seguenti criteri: 1) cause in cui il rapporto tra le parti destinato, per ragioni sociali od economiche, a prolungarsi nel tempo, anche oltre la definizione aggiudicativa della controversia, quali quelle inerenti al condominio (25), ai contratti di locazione, comodato ed affitto di azienda, ed ai rapporti in cui sono coinvolti soggetti appartenenti alla stessa famiglia, allo stesso gruppo sociale, alla stessa area territoriale (diritti reali, divisione, successioni ereditarie, nuovamente condominio e patti di famiglia); 2) cause riferite a rapporti che si contraddistinguono per lelevato livello di conflittualit, rispetto ai quali particolarmente fertile il terreno della composizione stragiudiziale (risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli o natanti, responsabilit medica e diffamazione a mezzo stampa o (23) Per L. DITTRICH, Il procedimento di mediazione nel d.lgs. n. 28 del 4 marzo 2010, op. cit., pi di un dubbio pu sollevarsi sulla ragionevolezza di tale scelta legislativa, in relazione allart. 3 cost. e al generale postulato di razionalit ed uguaglianza che esso presuppone. Nello stesso senso L. RISTORI, La mediazione delle controversie civili, in La mediazione civile e commerciale (a cura di C. BESSO), Torino, 2010, 175. Contra, PORRECA, Mediazione e processo nelle controversie civili e commerciali: risoluzione negoziale delle liti e tutela giudiziale dei diritti. La mediazione e il processo civile: complementariet e coordinamento, in Le societ, n. 5, 2010, 634 ss., il quale esclude che possa tradursi in irragionevolezza, se si pensa che, attualmente, diverse controversie, anchesse apparentemente non accomunabili, sono soggette al filtro del tentativo di conciliazione. (24) Si obiettato da parte di MINELLI, op. cit., 177: perch laffitto di azienda s e la cessione no; perch la responsabilit medica s, quella sanitaria no; perch alcune forme di responsabilit aquiliana s ed altre (insidia stradale, attivit pericolose) no? Per L. RISTORI, op. ult. cit., difficile comprendere i motivi in base ai quali stata esclusa la mediazione, come condizione di procedibilit, in relazione alle controversie societarie e a quelle in materia associativa, nonch in materia di donazioni e di diritto di famiglia, laddove si discuta di diritti disponibili (come, ad esempio, per gli accordi patrimoniali in vista di separazioni e divorzi), cos come non appare giustificabile lesclusione delle controversie contrattuali sui vizi dellatto ed il corretto adempimento delle obbligazioni. (25) Secondo L. SALCIARINI, La mediazione nel condominio, in La nuova mediazione e conciliazione (a cura di N. SOLDATI), Milano, 2010, 340, nel condominio riscontrabile un aspetto che rende quasi inevitabile la risoluzione bonaria della contrapposizione, in quanto ledificio oggetto di coabitazione da parte di un insieme di soggetti che si mantiene sostanzialmente stabile nel lungo periodo. 264 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 con altro mezzo di pubblicit); 3) cause riferite a talune tipologie contrattuali (contratti assicurativi, bancari e finanziari) che, oltre a sottendere rapporti di durata tra le parti, conoscono una diffusione di massa e sono alla base di una parte non irrilevante del contenzioso. Seguendo unaltra prospettiva (26), che guarda al tipo di conflitto (e alle tecniche di mediazione) pi che alla identificazione delle materie, le controversie soggette allobbligo della mediazione sono suddivisibili in tre gruppi diversi. Al primo gruppo appartengono le liti per le quali la modalit satisfattiva, imperniata cio sulla necessit di trovare una soluzione al problema, si presenta come la pi adeguata e in grado di raggiungere il progressivo dissolvimento del conflitto (27). Del secondo gruppo fanno parte, invece, le controversie per le quali il metodo trasformativo si presenta come il pi adatto, in quanto, nel ripercorrere la storia della disputa con il fine di cambiare la qualit della relazione, tenta di sciogliere i nodi psicologici che interferiscono nella comunicazione tra le parti (28). Il terzo gruppo di controversie, infine, comprende quelle per le quali la mediazione finisce per avere tutti i caratteri della negoziazione distributiva diretta ad accertare il valore della pretesa e decidere la distribuzione dei torti e delle ragioni, tanto che, in questo caso, la mediazione assumer, verosimilmente, i caratteri di una riproduzione in forma privata del processo (29). 3. (segue) Le singole materie Procediamo, quindi, ad analizzare le peculiarit e alcuni aspetti delle singole materie. Per quanto riguarda il condominio (30), un aspetto interessante riguarda (26) L. RISTORI, Commento allart. 5, in La nuova disciplina della mediazione delle controversie civili e commerciali. Commentario al d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, Milano, 2010, 97. Id., La Mediazione delle controversie civili, op. cit., 171-175, secondo cui il criterio per determinare quando opportuno che una controversia venga sottoposta a mediazione dovrebbe essere relativo, non tanto alla materia che forma oggetto della disputa, quanto, piuttosto, al tipo di controversia che oppone le parti. (27) Appartengono al primo gruppo le controversie condominiali, alcuni tipi di controversie sui diritti reali, le dispute in materia di successioni e divisioni e buona parte delle liti relative ai contratti di locazione e di comodato (ibidem). (28) Si ritrovano nel secondo gruppo la materia della responsabilit medica e quella della diffamazione a mezzo stampa, per lalto contenuto emotivo di sofferenza, fisica e/o psicologica, che pu essere alla base di questo tipo di conflitti (ibidem). (29) Appartengono allultimo gruppo le controversie relative al risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti (ibidem). (30) Si fanno rientrare nellambito della materia condominiale le cause riguardanti: a) le controversie in cui il condominio parte in causa, nella veste di attore o convenuto; b) le controversie che riguardano rapporti di vicinato collocati nellambito condominiale; c) le azioni di responsabilit nei confronti dellamministratore per fatti inerenti alla sua gestione. V., altres, nota 18. LEGISLAZIONE ED ATTUALITA 265 la legittimazione attiva e passiva nel procedimento di mediazione. Si distingue in dottrina (31) tra il caso in cui ci sia lamministratore e quello in cui tale figura manchi: nel primo, la legitimatio ad causam spetta allamministratore (32), quale rappresentante sostanziale e processuale del condominio ex art. 1131 c.c.; nel secondo, opera il litisconsorzio necessario tra tutti i singoli condomini. Per quanto riguarda i diritti reali, da preferire (33) la posizione di chi (34) delimita la materia alle controversie a quelle nelle quali il diritto reale costituisca loggetto di una domanda giudiziale di accertamento o costitutiva (35), e non, quindi, le controversie che, seppure riguardano beni, interessano i contratti traslativi di tali diritti, quali, per fare un solo esempio, il contratto di compravendita (36). Con riferimento alla divisione due sono gli aspetti che pi possono interessare. Il primo attiene al litisconsorzio necessario da lato passivo. Il secondo riguarda lipotesi, molto frequente nella pratica, in cui si deve affrontare una divisione nel processo di separazione personale oppure di divorzio dei coniugi, in quanto si detto (37) che, in mancanza di accordo, sarebbe irragionevole imporre alle parti un ulteriore tentativo obbligatorio di conciliazione specificamente per la mediazione, visto che la legge gi prevede un tentativo obbligatorio di mediazione giudiziale innanzi al Presidente del Tribunale alludienza di comparizione. Per quanto concerne la locazione si tratta, come si osservato (38), di un ritorno alla disciplina previgente, con portata per generale per tutta la materia relativa alla locazione (39). (31) G. MINELLI, op. cit., 177. (32) Secondo lautore non necessario che lamministratore si procuri lautorizzazione espressa da parte dellassemblea dei condomini per la mediazione, come invece richiesto per larbitrato, in quanto diversamente da questultimo non si tratta di un mezzo aggiudicativo, anche se - si aggiunge - consigliabile soprattutto ai fini della sottoscrizione dellaccordo di conciliazione, trattandosi di normativa di prima applicazione, non fosse altro per evitare di subre azioni di responsabilit (ibidem). (33) V. nota 19. (34) G. BATTAGLIA, Commento allart. 5, in La mediazione nelle controversie civili e commerciali. Commentario al decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, cit., 75; G. MINELLI, op. cit., 179. Contra, L. DITTRICH, op. cit., secondo cui per cause aventi a oggetto diritti reali possono intendersi anche tutte la cause aventi ad oggetto contratti traslativi di tali diritti, nonch aventi ad oggetto la loro nullit, annullamento o risoluzione e A. CAPOZZOLI (a cura di), Mediazione e conciliazione. Istruzioni per luso, Montecatini Terme, 2011, 50. (35) Ad es., le azioni petitorie: azione di rivendicazione, art.948 c.c.; azione negatoria,. art. 949 c.; azione di regolamento dei confini, art. 950, c.c.; azione di apposizione di termini, art. 951 c.c.. (36) Restano escluse, pertanto, dal campo di applicazione della mediazione obbligatoria le domande di rilascio o di restituzione, di adempimento, di risoluzione, di rescissione di nullit o annullamento, di simulazione e lazione ex art. 2932 c.c.. (37) G. MINELLI, op. cit., 178. (38) G. MINELLI, op. cit., 179. (39) Ai sensi degli artt. 44-46 della L. 27 luglio 1978, n. 392 (abrogati dallart. 89. L. 26 novem- 266 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 Merita qualche riflessione la materia del risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti (40). Poich il legislatore delegato non ha dettato alcuna disposizione al riguardo, si pone il problema del rapporto tra lattivit precontenziosa quale condizione di proponibilit della domanda giudiziaria, prevista dallart. 145 commi 1 e 2 d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209 (41) e la condizione di procedibilit dellart. 5 d.lgs. 28/2010. Si ritiene in dottrina (42) che entrambi i meccanismi debbano essere espletati, ma che i termini previsti dal Codice delle assicurazioni private e dal d.lgs. 28/2010 possono decorrere contestualmente e, quindi, vi sia la possibilit di assolvere contestualmente ad ambedue le condizioni precontenziose previste, proponendo anche con la stessa raccomandata allassicurazione sia la richiesta di risarcimento sia la domanda di mediazione, senza dovere attendere lesaurimento della fase precontenziosa prima di introdurre il procedimento di mediazione. Per quanto riguarda il risarcimento del danno derivante da responsabilit medica, si rileva come resti esclusa dalla obbligatoriet della mediazione la responsabilit sanitaria, che attiene al rapporto tra struttura sanitaria-paziente, la cui autonomia rispetto alla responsabilit medica, che attiene al rapporto medico-paziente, stata ripetutamente affermata dalla giurisprudenza (43). Per finire, sono incluse nellelenco le controversie relative ai contratti assicurativi, bancari e finanziari. Il riferimento al contratto, pi che alla materia, stato interpretato da parte della dottrina (44) nel senso che sono soggette a mediazione non tutte le controversie in materia assicurativa, bancaria e finanziaria, ma solamente quelle relative alla validit del contratto e alla fase precontrattuale (45). bre 1990, n. 335) si prevedeva che La domanda concernente controversie relative alla determinazione, allaggiornamento e alladeguamento del canone non pu essere proposta se non preceduta dalla domanda di conciliazione di cui allarticolo seguente. Limprocedibilit rilevabile, anche dufficio, in ogni stato e grado del procedimento. (40) V. nota 18. (41) Secondo cui lazione per il risarcimento dei danni causati dalla circolazione dei veicoli e dei natanti, per i quali vi obbligo di assicurazione, pu essere proposta solo dopo che siano decorsi sessanta giorni, ovvero novanta in caso di danno alla persona, decorrenti da quello in cui il danneggiato abbia chiesto allimpresa di assicurazione (oppure alla propria impresa di assicurazione, a seconda dei casi) il risarcimento del danno, a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento. (42) L. DITTRICH, op. cit,.; G. MINELLI, op. cit., 180. Nello stesso senso, AMENDOLAGINE, Prime osservazioni sul d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28 istitutivo del procedimento di mediazione e conciliazione delle controversie civili e commerciali, in Assicurazioni, 2010, 27 e LANDINI, La conciliazione nelle controversie in materia assicurativa, ivi, 33-42. (43) Cfr. Cass. civ., 11 maggio 2009, n. 10743. (44) G. MINELLI, op. cit., 182-183. (45) Contra L. DITTRICH, op. cit., secondo cui, la mediazione obbligatoria in tutte le ipotesi in cui sia azionabile una garanzia assicurativa. Dello stesso avviso PORRECA, op. cit., 633. LEGISLAZIONE ED ATTUALITA 267 4. (segue) Casi di esclusione Lobbligatoriet espressamente esclusa (46) in relazione alle due azioni inibitorie ed allazione di classe disciplinate (47) dal codice del consumo (48). Si tratta, innanzitutto, dellinibitoria promossa dalle associazioni di consumatori, di imprenditori o dalla Camera di commercio al fine di ottenere la verifica da parte del tribunale della vessatoriet di clausole contenute in condizioni generali di contratto, precludendone lulteriore utilizzo nel caso di riscontro positivo (49). Differente la seconda forma di inibitoria intrapresa dalle associazioni dei consumatori al fine di inibire gli atti e i comportamenti lesivi degli interessi dei consumatori e degli utenti (50). Alle azioni inibitorie in oggetto non si applica il comma 1 dellarticolo in commento giacch per le stesse prescritta unautonoma condizione di procedibilit, in quanto lazione pu essere proposta solo dopo che siano decorsi quindici giorni dalla data in cui le associazioni abbiano richiesto al soggetto da esse tenuto responsabile, a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento, la cessazione del comportamento lesivo degli interessi dei consumatori e degli utenti (51)(52). A fronte della elencazione tassativa contenuta al primo comma dellart. 5 d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28 delle materie in cui la mediazione si presenta come obbligatoria, il terzo e quarto comma dellart. 5 sottraggono alcuni procedimenti alla obbligatoriet della stessa, sebbene vi rientrerebbero ratione materiae. Si tratta dei seguenti procedimenti (53): (46) Art. 5, comma 1, u.p.. (47) Lesclusione della obbligatoriet della mediazione e del tentativo di conciliazione rispetto alla azione di classe per le materie indicate nel comma nasce, come riportato nella Relazione illustrativa al decreto delegato, dalla constatazione che non concepibile una mediazione nellazione di classe fino a quando questultima non ha assunto i connotati che permetterebbero una mediazione allargata al maggior numero di membri della collettivit danneggiata, fino dunque alla scadenza del termine per le adesioni. (48) D.lgs. 6 settembre 2005, n. 206. (49) Cfr. art. 37. (50) Cfr. art. 140. (51) Si osserva, peraltro, che le due diverse azioni inibitorie disciplinate dal codice del consumo possono comunque giovarsi del tentativo facoltativo di conciliazione: in questo senso, C. VACC, La mediazione: i tratti istituzionali, in C. VACC - M. MARTELLO, La mediazione delle controversie, Milanofiori Assago, 2010, 139. (52) Per quanto concerne lazione di classe di cui allart. 140-bis del codice del consumo il tentativo facoltativo di conciliazione solleva problemi delicati allorquando si configuri come successivo e non preventivo: ossia, quando interviene nel corso di una azione di classe. V. art. 15 del d.lgs. n. 28/2010. (53) La Relazione illustrativa al decreto in commento d conto del fatto che, rispetto alla disciplina dellart. 412-bis c.p.c. lelenco dei procedimenti esclusi pi nutrito, in quanto pi ampia la gamma degli affari investiti dalla mediazione rispetto ai rapporti di lavoro, e dunque pi varie le esigenze di tutela che possono presentarsi. 268 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 1) procedimenti urgenti e cautelari; 2) procedimenti per ingiunzione, inclusa lopposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione; 3) procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui allart. 667 c.p.c.; 4) procedimenti possessori, fino alla pronuncia dei provvedimenti di cui allart. 703, terzo comma, c.p.c.; 5) procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi allesecuzione forzata; 6) procedimenti in camera di consiglio; 7) azione civile esercitata nel processo penale. Il carattere che accomuna i procedimenti sopra indicati - si detto in dottrina (54) - dato dal fatto che essi sono posti a presidio di interessi per i quali un preventivo tentativo obbligatorio di mediazione appare inutile o controproducente, e ci in considerazione del fatto che la tutela giurisdizionale in grado, talvolta in forme sommarie e che non richiedono un preventivo contraddittorio, di assicurare una rapida soddisfazione degli interessi medesimi. Nellambito degli stessi occorre distinguere due diversi gruppi di materie in relazione allesenzione parziale o totale del procedimento di mediazione. Nel primo gruppo rientrano le ipotesi nelle quali il procedimento di mediazione non preclude la proposizione della domanda e lo svolgimento di una prima fase del processo, finalizzata allemissione di provvedimenti sommari, ma diviene nuovamente obbligatorio nella fase successiva, finalizzata alla pronuncia sul merito della causa (55). Appartengono a tale gruppo i procedimenti di cui ai nn. 1), 2), 3) e 4). In relazione ai procedimenti urgenti e cautelari, lesclusione motivata dal fatto che La mediazione non pu andare a discapito della parte che ha interesse a ottenere un provvedimento urgente o cautelare; imporre una sospensione in tali ipotesi significherebbe precludere laccesso alla giurisdizione rispetto a situazioni che richiedono una decisione in tempi molto ristretti e sulle quali il mediatore privo di qualsiasi potere dintervento (56). La Relazione illustrativa al D.lgs n. 28/2010 non chiarisce se il tentativo (54) N. SOLDATI, Commento allart. 5 commi 3,4 e 6 in La nuova disciplina della mediazione delle controversie civili e commerciali, cit., 124. (55) Vi da dire che gi il Consiglio Nazionale Forense, nel suo parere sullo schema di decreto legislativo, aveva suggerito di escludere totalmente lapplicazione dellart. 5, commi 1 e 2, ai procedimenti per ingiunzione, convalida di licenza o sfratto e possessori senza ripristinare lobbligatoriet del tentativo una volta che si prosegua nelle forme del rito ordinario. (56) Aggiunge la Relazione, cit., che la formula prescelta (provvedimenti urgenti e cautelari) molto ampia, onde potervi ricomprendere con sicurezza anche quei provvedimenti volti a fronteggiare stati di bisogno, la cui qualificazione incerta in giurisprudenza e dottrina facendo riferimento, ad esempio, allordinanza provvisionale di cui allart. 147 del codice delle assicurazioni private e allaccertamento tecnico preventivo, la cui natura cautelare stata affermata da Corte cost. 28 gennaio 2010, n. 26. LEGISLAZIONE ED ATTUALITA 269 di mediazione torni ad essere obbligatorio e debba essere proposto dopo la pronuncia della misura cautelare oppure se si possa dare inizio al giudizio di merito e, in tale ultima ipotesi, se debba essere rilevata limprocedibilit del giudizio di merito o se il tentativo di mediazione sia definitivamente precluso. In ossequio al principio del nesso di strumentalit necessaria fra cautela e merito, sembra che la soluzione preferibile sia quella di considerare applicabile il comma 4 dellart. 669-octies c.p.c. - sebbene dettato per le sole controversie di lavoro dei dipendenti pubblici - che non esonera la parte ricorrente dal tentativo di conciliazione (57), con la conseguenza che la misura cautelare diventer inefficace qualora la conciliazione non venga proposta, data lestinzione del giudizio di merito che deve essere dichiarata dufficio. Come giustamente evidenziato nella Relazione illustrativa, citata, lesclusione dei procedimenti di ingiunzione (58) (59) e di convalida di licenza o sfratto (60) si giustifica per il fatto che in essi ci troviamo di fronte a forme di accertamento sommario con prevalente funzione esecutiva. Il procedimento caratterizzato da un contraddittorio differito o rudimentale, e mira a consentire al creditore di conseguire rapidamente un titolo esecutivo. Appare pertanto illogico frustrare tale esigenza imponendo la mediazione o comunque il differimento del processo E stato previsto che la mediazione possa trovare nuovamente lo spazio allesito della fase sommaria, quando le esigenze di celerit sono cessate, la decisione sulla concessione dei provvedimenti esecutivi stata gi presa e la causa prosegue nelle forme ordinarie. Prosegue la Relazione Lesclusione dei procedimenti possessori fino alladozione dei provvedimenti interdittali si giustifica per motivi analoghi a quelli che riguardano i provvedimenti cautelari (massima urgenza nel provvedere). La collocazione nel comma 5 dovuta al fatto che il procedimento possessorio pu conoscere una fase di merito (articolo 703, quarto comma, codice di procedura civile), nella quale incongruo non consentire la mediazione. (57) Cfr. Corte cost. (ord.) 16 aprile 1999, n. 122, che ha esteso lapplicabilit dellart. 669-octies, comma 4, c.p.c. anche in materia di assicurazione obbligatoria della responsabilit civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti con riferimento alla attivit precontenziosa ex art. 22 della L. 24 dicembre 1969, n. 990. (58) Lesclusione del tentativo obbligatorio di mediazione rispetto al procedimento di ingiunzione ex art. 633 c.p.c. stata questione dibattuta in dottrina in tutti i casi in cui la domanda sottoposta a condizione di procedibilit, prevalendo in giurisprudenza la tesi favorevole alla esclusione in materia di lavoro (cfr. Corte cost. 6 febbraio 2001, n. 29), di subfornitura (cfr. Trib. Belluno 4 novembre 2009), di telecomunicazioni (cfr. Trib. Torino 2 dicembre 2005) ed agraria (cfr. Trib. Roma 13 aprile 1987). (59) La condizione di procedibilit torna ad operare dopo la pronuncia ex artt. 648 e 649 c.p.c. sulla richiesta di esecuzione provvisoria del decreto o sulla sospensione dellesecuzione provvisoria concessa ex art. 642 c.p.c.. Secondo G. MINELLI, op. cit., 191, lonere di sanare il vizio sar, ragionevolmente, in capo allopponente se venga concessa lesecuzione provvisoria del decreto ed in capo allopposto nel caso che sia stata disposta la sospensione della esecuzione provvisoria. (60) Solo dopo la decisione sulla concessione o meno dei provvedimenti esecutivi ed il mutamento del rito ex artt. 667 e 426 c.p.c. la condizione di procedibilit ritorna ad essere operante. 270 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 Per contro, rientrano nel secondo gruppo quei procedimenti che sono sempre esentati dal tentativo obbligatorio di mediazione, vale a dire i procedimenti di cui ai nn. 5), 6) e 7). Per quanto riguarda i procedimenti di opposizione (61) o incidentali di cognizione (62) relativi allesecuzione forzatasi, secondo la dottrina (63) si voluto evitare che lesperimento del tentativo di conciliazione differisca nel tempo la possibilit di soddisfazione sottesa allazione esecutiva. Rispetto ai procedimenti in camera di consiglio lesclusione del tentativo obbligatorio di mediazione giustificata dalla Relazione illustrativa con il richiamo alla flessibilit e rapidit con cui il giudice pu provvedere sul bene della vita richiesto (64). Infine, opportunamente esclusa lazione civile esercitata nel processo penale, onde evitare qualsivoglia interferenza tra il procedimento di mediazione ed il giudizio penale, in quanto la costituzione di parte civile nel processo penale comporta linevitabile sottoposizione dellazione civile ai tempi e alle condizioni del solo giudizio penale (65). Una ipotesi che non stata prevista, ma che ad avviso di taluno (66) avrebbe dovuto opportunamente essere inserita tra i casi di esclusione della obbligatoriet, il procedimento sommario di cognizione disciplinato dagli artt. 702-bis ss. c.p.c. (67). (61) Ex artt. 615, 617 e 619 c.p.c.. (62) Ex artt. 512 e 547-549 c.p.c.. (63) Cfr. M. M. ANDREONI, Commento allart. 5, in La mediazione nelle controversie civili e commerciali. Commentario al decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, cit., 107. Secondo N. SOLDATI, Commento allart. 5 commi 3, 4 e 6, cit., 126, consentire o, ancora peggio, imporre un rinvio derivante dallobbligo del tentativo di mediazione nella fase processuale in cui la soddisfazione del singolo diritto pi prossima, significherebbe consentire ai debitori esecutati di strumentalizzare la procedura di mediazione a fini dilatori . (64) In dottrina, peraltro, cՏ chi come M.M. ANDREONI, op. cit., ha avanzato qualche perplessit sulla base della affermazione giurisprudenziale secondo cui la giurisdizione camerale si caratterizzerebbe come un contenitore neutro ( in termini, Cass., sez. un., 19 giugno 1996, n. 5629). Secondo G. MINELLI, op. cit., 192, si tratta pi che altro di una scelta discrezionale del legislatore. (65) Nella Relazione illustrativa, cit., si afferma anche che condizionarne lesercizio alla previa mediazione equivarrebbe a impedire o a ostacolare fortemente la costituzione di parte civile, cos sacrificando una forma di esercizio dellazione civile di grande efficacia e forte valore simbolico. (66) C. AVESANI M. LUPANO, Il rapporto con il processo, in La mediazione civile e commerciale, cit., 334-337. Gli autori, dopo aver richiamato il carattere di celerit del nuovo rito sommario, affermano: Sarebbe quindi controproducente e in contrasto con lo scopo perseguito affermare lobbligatoriet del tentativo di mediazione per tutte le materie di cui al 1 comma dellart. 5 qualora lattore opti per il procedimento sommario di cognizione, perch ci significherebbe , di fatto, allungare i tempi del processo fino a un massimo di quattro mesi (art. 6 del decreto) sia pure giungendo alla conclusione che, in assenza di una previsione legislativa, non sembra possibile risolvere la questione se non nel senso che la disciplina del tentativo obbligatorio di mediazione [] si debba applicare anche al procedimento sommario di cognizione. (67) Sia il Consiglio Superiore della Magistratura, sia il Consiglio Nazionale Forense si erano espressi, nei rispettivi pareri sullo schema di decreto delegato, perch lelenco di cui allart. 5, comma 4, fosse integrato dallinserimento di questo rito. LEGISLAZIONE ED ATTUALITA 271 5. La mediazione delegata La direttiva europea 52/2008/CE individua nella mediazione suggerita o ordinata (68) dal giudice una delle tre possibili forme di mediazione, accanto quella liberamente scelta dalle parti e a quella prescritta dal legislatore. Il legislatore italiano ha previsto tale figura (69) nellart. 5, comma 2, del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, definendola come la mediazione a cui le parti addivengono su invito rivolto dal giudice (70), valutata la natura della causa, lo stato dellistruzione e il comportamento delle parti. La Relazione illustrativa al decreto in commento chiarisce che la mediazione delegata non , circa le materie per le quali la mediazione preventiva obbligatoria, impedita o vietata dal fatto che questa sia fallita. Si pu dire, quindi, che la mediazione delegata opera, in primo luogo, con riferimento alle materie per le quali prescritto come obbligatorio il tentativo di mediazione e, come questa, incontra le stesse limitazioni ed esclusioni (71). Poich, tuttavia, sar molto difficile che, una volta fallito il tentativo di mediazione in una delle controversie concernenti le materie di cui allart. 5, comma 1, le parti raccolgano linvito ad esse rivolto dal giudice di riprendere, per cos dire, il procedimento di mediazione che si concluso in un nulla di fatto, sembra che il terreno elettivo della mediazione delegata sia quello delle controversie concernenti i diritti disponibili tout court e che, quindi, il giudice non sia limitato dallelenco delle materie. Il successo di tale forma di mediazione, a prescindere dai termini in cui si delinei lambito di applicazione, dipender comunque dallatteggiamento della classe forense, in quanto ai fini dellaccettazione determinante il ruolo del difensore che dovr saper consigliare il proprio cliente sulla base di una previsione sullesito della lite. ************** Disposizioni in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali (*) Nella Gazzetta ufficiale del 5 marzo 2010 n. 53, stato pubblicato il decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, recante Attuazione dellart. 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69 in (68) La previsione trae ispirazione dallesperienza della court annexed mediation che gi da diversi anni sperimentata davanti alle giurisdizioni statunitensi. (69) Che non rappresenta una novit assoluta nel nostro ordinamento, in quanto preceduta dalla novella della L. n. 54/2006 in tema di affidamento condiviso dei figli, che, allart. 155-sexies c.c., ha previsto la mediazione ad opera di esperti per facilitare laccordo tra i coniugi riguardo allaffidamento dei figli. (70) Si parla, pertanto, anche di mediazione sollecitata. (71) Infra par. 4. (*) Circolare dellAvvocatura dello Stato n. 21 del 24 marzo 2011 prot. 100888. 272 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali. Successivamente, con D.M. 18 ottobre 2010, n. 180 stato approvato il regolamento contenente la Determinazione dei criteri e delle modalit di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dellelenco dei formatori per la mediazione, nonch lapprovazione delle indennit spettanti agli organismi, ai sensi dellart. 16 del D.Lgs 4 marzo 2010 n. 18. Infine, con il D.L. n. 225 del 29 dicembre 2010 convertito nella L. n. 10 del 26 febbraio 2011 (art. 2 comma 16 decies), stato prorogato il termine per lentrata in vigore della mediazione obbligatoria per talune materie. Essendo state introdotte significative innovazioni influenti tanto sul processo civile quanto, indirettamente, sullattivit consultiva dellAvvocatura, riservate ad un successivo approfondimento le prime indicazioni operative, si riportano qui di seguito le principali disposizioni della normativa entrata in vigore il 21 marzo 2011. 1) La mediazione facoltativa: (art. 2) In linea con la legge delega (art. 60, comma 3, lettera a) della legge n. 69 del 2009) e con la normativa comunitaria (direttiva 2008/52/CE), lart. 2 prevede la mediazione come strumento facoltativo di risoluzione delle controversie, stabilendo che chiunque pu accedere alla mediazione per la conciliazione di una controversia civile e commerciale vertente su diritti disponibili. 2) La mediazione obbligatoria: (art. 5, comma 1) Lesperimento del procedimento di mediazione invece obbligatorio e costituisce condizione di procedibilit della domanda giudiziale nelle controversie in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilit medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicit, contratti assicurativi bancari e finanziari. Limitatamente alle controversie condominiali e a quelle vertenti sul risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti lart. 2 comma 16 decies del D.L. n. 225 del 29 dicembre 2010 ha prorogato il termine per lentrata in vigore della mediazione obbligatoria di ulteriori dodici mesi. In talune materie, in alternativa al procedimento di mediazione previsto dal decreto legislativo n. 28 del 2010 pu essere esperito il procedimento di conciliazione presso la Camera di conciliazione e arbitrato della Consob previsto dal decreto legislativo 8 ottobre 2007, n. 179 (per le controversie tra risparmiatori o investitori ed intermediari), nonch il procedimento istituto in attuazione dellarticolo 128 bis del Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (decreto legislativo n. 385 del 1993, n. 385) per le materie ivi regolate. Limprocedibilit derivante dal mancato esperimento del procedimento di mediazione deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata dufficio dal Giudice, non oltre la prima udienza del giudizio che fosse intrapreso sul medesimo oggetto. Il mancato esperimento o la mancata conclusione della mediazione rilevati dal Giudice non comporta, a differenza di quanto accade nel caso del mancato esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione del processo del lavoro, la sospensione del processo, ma solo un rinvio dello stesso. La mediazione non tuttavia obbligatoria (quale che sia la materia) per lazione inibitoria e lazione di classe previste dagli articoli 37, 140 e 140 bis del codice del consumo (Decreto Legislativo n. 206 del 2005). 3) La mediazione sollecitata dal Giudice: (art. 5, comma 2) Il Giudice, valutata la natura della causa, lo stato dellistruzione e il comportamento delle LEGISLAZIONE ED ATTUALITA 273 parti, pu invitare le parti stesse a procedere alla mediazione, anche in sede di giudizio di appello. E rimessa alle parti la possibilit di aderire o meno allinvito del Giudice. 4) Domande cautelari e trascrizione: (art. 5, comma 3) Lo svolgimento della mediazione non preclude in ogni caso la concessione dei provvedimenti urgenti e cautelari, n la trascrizione della domanda giudiziale. 5) Esclusione della condizione di procedibilit: (art. 5, comma 4) Anche nelle materie contemplate dallart. 5, comma 1 (v. n. 2) la mediazione non tuttavia obbligatoria - talvolta solo per la fase a cognizione sommaria -, per ragioni di rito (procedimento per ingiunzione; sfratto; possessorie; talune procedure esecutive; procedimento in camera di consiglio), e per la costituzione di parte civile nel processo penale. In questi casi non trova nemmeno applicazione la mediazione su invito del Giudice. 6) Clausola di mediazione: (art. 5, comma 5) La mediazione pu essere infine obbligatoria, al di fuori della previsione normativa, in quanto contemplata in un contratto, nello statuto o nellatto costitutivo dellente parte in causa. 7) Effetti della domanda di mediazione: (art. 5, comma 6) Dal momento della comunicazione alle altre parti (v. n. 11), la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale. Essa impedisce altres la decadenza per una sola volta, ma se il tentativo fallisce la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza, decorrente ex novo dal deposito del relativo verbale presso la segreteria dellorganismo di mediazione. 8) Durata: (art. 6) Il procedimento di mediazione ha una durata non superiore a quattro mesi, che decorre dalla data di deposito della domanda di mediazione ovvero dalla scadenza del termine fissato dal Giudice per il deposito della stessa,. Il termine di quattro mesi (sprovvisto peraltro di sanzione) non soggetto alla sospensione feriale. 9) Effetti sulla ragionevole durata del processo: (art. 7) Il periodo per lo svolgimento del procedimento di mediazione e il corrispondente periodo del rinvio disposto dal Giudice non si computano ai fini di cui allarticolo 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89. 10) Accesso alla mediazione: (art.4) La domanda di mediazione presentata mediante deposito di unistanza presso un organismo di mediazione. Non prevista alcuna norma per individuare lorganismo territorialmente competente. In caso di pi domande relative alla stessa controversia, la mediazione si svolge davanti allorganismo presso il quale stata presentata la prima domanda. Per determinare il tempo della domanda si ha riguardo alla data della ricezione della comunicazione. Listanza deve indicare lorganismo, le parti, loggetto e le ragioni della pretesa. Allatto del conferimento dellincarico, lavvocato tenuto a informare lassistito della possibilit di avvalersi del procedimento di mediazione, delle agevolazioni fiscali di cui agli articoli 17 (esenzioni) e 20 (credito dimposta), e delleventuale obbligatoriet della mediazione. In caso di violazione degli obblighi di informazione, il contratto tra lavvocato e lassistito annullabile. 11) Procedimento: (art. 8) Allatto della presentazione della domanda di mediazione dinanzi allorganismo (ente pubblico o privato dinanzi al quale si svolge il procedimento), disegnato un mediatore e viene fissato il primo incontro tra le parti. La domanda e la data del primo incontro sono comunicate allaltra parte con ogni mezzo idoneo ad assicurare la ricezione, anche a cura della parte istante. 274 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 Dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione il Giudice successivamente adito pu desumere argomenti di prova ai sensi dellarticolo 116, secondo comma c.p.c. 12) Dovere di riservatezza: (art. 9) Il mediatore tenuto allobbligo di riservatezza rispetto alle dichiarazioni rese e alle informazioni acquisite durante il procedimento, anche nel corso delle sessioni separate, laddove le parti siano ascoltate separatamente. 13) Inutilizzabilit delle dichiarazioni: (art. 10) Le dichiarazioni rese o le informazioni acquisite nel corso del procedimento di mediazione non possono essere utilizzate nel giudizio avente il medesimo oggetto, anche parziale, salvo consenso della parte dichiarante o dalla quale propendono le informazioni. Sul punto delle stesse dichiarazioni e informazioni non ammessa prova testimoniale e non pu essere deferito giuramento decisorio. Il mediatore non pu essere tenuto a deporre sul contenuto delle dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite nel procedimento di mediazione, n davanti allautorit giudiziaria n davanti ad altra autorit. 14) Conciliazione: (art. 11) Se raggiunto un accordo amichevole, il meditore forma processo verbale al quale allegato il testo dellaccordo medesimo. Quando laccordo non raggiunto, o se le parti ne fanno concorde richiesta, il mediatore pu formulare una proposta di conciliazione. La proposta comunicata alle parti per iscritto. Le stesse fanno pervenire al mediatore, per iscritto ed entro sette giorni, laccettazione o il rifiuto della proposta. In mancanza di risposta nel termine, la proposta si ha per rifiutata. Se la conciliazione non riesce, il mediatore forma processo verbale con lindicazione della proposta. 15) Efficacia esecutiva: (art. 12) Il verbale di accordo il cui contenuto non sia contrario allordine pubblico o a norme imperative omologato con decreto del Presidente del Tribunale nel cui circondario ha sede lorganismo di mediazione e costituisce titolo esecutivo. 16) Spese processuali: (art. 13) Nel solco di quanto gi previsto dallart. 91 c.p.c., come modificato dalla legge n. 69 del 2009, lart. 13 prevede una rilevante eccezione al principio della soccombenza, stabilendo che, quanto il provvedimento che definisce il giudizio corrisponde interamente al contenuto della proposta, il Giudice esclude la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice che ha rifiutato la proposta riferibili al periodo successivo alla formulazione della stessa, e la condanna al rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente relative allo stesso periodo, nonch, a titolo di sanzione pecuniaria processuale, al versamento allentrata del bilancio dello Stato (Fondo Unico Giustizia) di unulteriore somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto. Tali disposizioni si applicano altres alle spese per lindennit corrisposta al mediatore e per il compenso dovuto allesperto. Allo scopo di disincentivare luso strumentale della mediazione e il comportamento processuale scorretto o ostruzionistico, previsto inoltre che, anche quanto non via sia piena coincidenza tra il contenuto della proposta e il provvedimento che definisce il giudizio, il Giudice, se ricorrono gravi ed eccezionali ragioni, possa escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice per lindennit corrisposta al mediatore e per il compenso dovuto allesperto. LEGISLAZIONE ED ATTUALITA 275 17) Criteri di determinazione dellindennit: (art. 16 del D.M. n. 180/2010) Lindennit comprende le spese di avvio del procedimento e le spese di mediazione. Le stesse sono dovute in solido da entambe le parti (chi promuove la mediazione e chi vi aderisce). Le spese di mediazione sono partitamente indicate nella Tabella A) allegata al decreto, e sono determinate con riferimento al valore della lite. 18) Mediazione nellazione di classe: (art. 15) Lazione di classe non prelude la mediazione, peraltro sempre facoltativa (v. n. 2, ultima parte). Lart. 15 prevede quindi che, quando esercitata lazione di classe prevista dallarticolo 140 bis del codice del consumo, la conciliazione, intervenuta dopo la scandenza del termine per ladesione degli altri appartenenti alla classe ai sensi del predetto art. 140 bis, comma 9, ha effetto anche nei confronti degli aderenti che vi abbiano espressamente consentito. 19) Regime tributario: (art. 17) Tutti gli atti, documenti e provvedimenti relativi al procedimento di mediazione sono esenti dallimposta di bollo e da ogni spesa, tassa o diritto. Il verbale di accordo esente dallimposta di registro entro il limite di valore di 50.000 euro, altrimenti limposta dovuta per la parte eccedente. 20) Credito d imposta: (art. 20) Alle parti che corrispondono lindennit ai soggetti abilitati a svolgere il procedimento di mediazione presso gli organismi riconosciuto, in caso di successo della mediazione, un credito dimposta commisurato allindennit stessa, fino a concorrenza di euro cinquecento. In caso di insuccesso della medizione, il credito dimposta ridotto della met. 21) Abrogazioni: (art. 23) Sono abrogati gli articoli da 38 a 40 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, sulla conciliazione societaria, mentre restano ferme le disposizioni concernenti i procedimenti di conciliazione e mediazione, comunque denominati, nonch le disposizioni concernenti i procedimenti di conciliazioni relativi alle controversie di lavoro di cui allarticolo 409 c.p.c. 22) Entrata in vigore: (art. 24) Come gi detto le disposizioni di cui allarticolo 5, comma 1 sono entrate in vigore il 20 marzo 2011 (salvo quanto precisato al n. 2 per talune materie) e si applicano ai giudizi successivamente iniziati. Si fa riserva di inviare a breve indicazioni operative sulle prime questioni interpretative emerse, al fine di garantire uniformit di orientamento in tutte le Sedi. LAVVOCATO GENERALE Avv. Ignazio Francesco Caramazza 276 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 Limmediata applicabilit delle disposizioni della c.d. riforma Brunetta Poteri della dirigenza pubblica in materia di organizzazione e gestione Francesco Spada* Il decreto legislativo 27 ottobre 2009 n. 150 contiene, tra gli interventi pi incisivi, la modifica del sistema di disciplina delle relazioni sindacali nel settore del pubblico impiego (1), attuata essenzialmente attraverso una compressione del potere regolativo della contrattazione collettiva ed una corrispondente estensione dellarea di azione riservata alla legge. In particolare, il legislatore delegato ha disciplinato direttamente alcuni aspetti del rapporto di lavoro, sottraendoli alla regolamentazione contrattuale e ha riformulato, tra laltro, lart. 40 del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165, disposizione di apertura del titolo dedicato a Contrattazione collettiva e rappresentativit sindacale. La disposizione da ultimo citata, nella nuova formulazione, individua, da un lato, loggetto della contrattazione collettiva, limitandolo fortemente rispetto alla precedente formulazione (La contrattazione collettiva determina i diritti e gli obblighi direttamente pertinenti al rapporto di lavoro, nonch le materie relative alle relazioni sindacali) e, dallaltro, le materie espressamente escluse dallambito di applicazione della regolamentazione di fonte negoziale (le materie attinenti all'organizzazione degli uffici, quelle oggetto di partecipazione sindacale ai sensi dell'articolo 9, quelle afferenti alle prerogative dirigenziali ai sensi degli articoli 5, comma 2, 16 e 17, la materia del conferimento e della revoca degli incarichi dirigenziali, nonch quelle di cui all'articolo 2, comma 1, lettera c), della legge 23 ottobre 1992, n. 421). Essa prevede, inoltre, che nelle materie relative alle sanzioni disciplinari, alla valutazione delle prestazioni ai fini della corresponsione del trattamento accessorio, della mobilit e delle progressioni economiche, la contrattazione collettiva consentita negli esclusivi limiti previsti dalle norme di legge. (*) Dirigente di II fascia del Ministero dellEconomia e delle Finanze. Ha svolto la pratica forense presso lAvvocatura Generale dello Stato. Il presente contributo riflette le opinioni dellAutore e non impegna in alcun modo lAmministrazione di appartenenza. (1) Sul tema, ex multis, TALAMO V., La riforma del sistema di relazioni sindacali nel lavoro pubblico, in Giornale di diritto amministrativo, 2010, 1, 13 e ss.; SOLOPERTO R., La contrattazione collettiva nazionale e integrativa, in TIRABOSCHI M. e VERBARO F. (a cura di), La nuova riforma del lavoro pubblico, Giuffr, 2010, 365 e ss. LEGISLAZIONE ED ATTUALITA 277 Un ulteriore settore di intervento della riforma del lavoro pubblico recata dal d.lgs. n. 150 del 2009 rappresentato dalla dirigenza pubblica (2), alla quale si sono intese attribuire, da un lato, maggiore autonomia rispetto alle ingerenze della politica e delle organizzazioni sindacali e, dallaltro, pi intense prerogative manageriali. In particolare, al fine di porre un argine al processo di progressiva espansione della contrattazione verso aree non assoggettate a tale forma di relazione sindacale, il legislatore delegato ha preservato espressamente i poteri dirigenziali di organizzazione degli uffici e del lavoro dallingerenza sindacale, attraverso la riformulazione degli artt. 5, comma 2 e 9 del d.lgs. n. 165 del 2001. Ai sensi del citato art. 5, comma 2 le determinazioni per lorganizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro sono assunte in via esclusiva dagli organi preposti alla gestione con la capacit e i poteri del privato datore di lavoro, fatta salva la sola informazione ai sindacati, ove prevista nei contratti di cui allart. 9. Rientrano, in particolare, nellesercizio dei poteri dirigenziali le misure inerenti la gestione delle risorse umane nel rispetto del principio di pari opportunit, nonch la direzione, lorganizzazione del lavoro nellambito degli uffici; lart. 9 aggiunge che fermo restando quanto previsto dallart. 5, comma 2, i contratti collettivi nazionali disciplinano le modalit e gli istituti della partecipazione. E interessante, a questo punto, leggere il combinato disposto delle disposizioni di cui agli artt. 5, co. 2, 9 e 40 del d.lgs. n. 165 del 2001: i poteri dirigenziali di micro-organizzazione, ossia di organizzazione degli uffici e del lavoro, aventi natura privatistica, non sono negoziabili e lunica forma di relazione sindacale ammessa in materia quella dellinformazione, laddove prevista dai CCNL di riferimento. In questo modo, il legislatore delegato ha posto nel nulla i dubbi che le precedenti formulazioni delle esaminate disposizioni facevano sorgere, sgombrando il campo da ogni incertezza interpretativa e prevedendo, in aggiunta, un robusto apparato sanzionatorio, ossia quello della nullit e dellinserzione di clausole legali per lipotesi di violazione di norme imperative (praticamente tutte quelle contenute nel d.lgs. n. 165 del 2001, compreso lart. 5 co. 2) o di limiti fissati alla contrattazione collettiva da parte di disposizioni contrattuali individuali e collettive. Ci premesso, uno dei pi frequenti quesiti di carattere pratico posti allinterno delle amministrazioni allindomani dellentrata in vigore della c.d. riforma Brunetta ha riguardato il seguente tema: le disposizioni sui poteri (2) Sul tema, ex multis, BATTINI S., Lautonomia della dirigenza pubblica e la riforma Brunetta, in Giornale di diritto amministrativo, 2010, 1, 39 e ss.; FUSO P., Il rafforzamento dellindipendenza della dirigenza, in TIRABOSCHI M. e VERBARO F. (a cura di), La nuova riforma del lavoro pubblico, Giuffr, 2010, 589 e ss. 278 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 unilaterali della dirigenza in tema di organizzazione e gestione del rapporto di lavoro, di cui al novellato art. 5 co. 2, sono immediatamente applicabili? In particolare, successivamente allentrata in vigore del d.lgs. n. 150 del 2009, in numerosi casi le organizzazioni sindacali si sono rivolte ai Giudici del lavoro al fine di far dichiarare lantisindacalit della condotta delle amministrazioni pubbliche che, in applicazione della c.d. riforma Brunetta, hanno adottato unilateralmente determinazioni incidenti nellarea dei rapporti di lavoro su materie fino ad allora oggetto di concertazione o di contrattazione, secondo le previsioni dei CCNL di riferimento. I Giudici del lavoro hanno, cos, affrontato la questione dellimmediata applicabilit del novellato art. 5, co. 2 del d.lgs. n. 165 del 2001, pervenendo quasi sempre alla risposta negativa (3). Il percorso argomentativo adottato dai Giudici del lavoro riassumibile nei termini che seguono: limmediata applicabilit delle nuove disposizioni legislative recate dalla c.d. riforma Brunetta non travolge le difformi previsioni contrattuali vigenti al 16 novembre 2009, data di entrata in vigore della riforma; lart. 65 del d.lgs. n. 150 del 2009 prevede un regime transitorio, fissando il termine del 31 dicembre 2010 per ladeguamento dei contratti collettivi integrativi in essere alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 150 e disponendo la cessazione della loro efficacia a partire dal 1 gennaio 2011 in caso di mancato adeguamento; il citato art. 65, nei primi due commi, riguarda i soli contratti collettivi integrativi ed impone il loro adeguamento, entro il 31 dicembre 2010, alle norme che regolano la definizione degli ambiti riservati alla legge e alla contrattazione collettiva, oltre che alle disposizioni del titolo III del decreto; la disposizione del citato art. 65, comma 5 (Le disposizioni relative alla contrattazione collettiva nazionale di cui al presente decreto legislativo si applicano dalla tornata successiva a quella in corso) deve essere intesa in modo tale da armonizzarsi sistematicamente con le disposizioni dei commi precedenti, nel senso che le norme del decreto riguardanti la contrattazione collettiva nazionale trovano applicazione solo in riferimento ai contratti collettivi nazionali stipulati dopo lentrata in vigore della riforma e non a quelli stipulati anteriormente; sono conseguentemente fatti salvi gli effetti dei contratti collettivi nazionali gi stipulati, che saranno cadutati non gi per contrasto con le norme della riforma, bens per il sopravvenire della disciplina di fonte contrattuale successiva, realizzata nel contesto della nuova disciplina legislativa; (3) Tribunale Torino, decreto, 2 aprile 2010; Tribunale Pesaro, ordinanza, 19 luglio 2010; Tribunale Lamezia Terme, decreto, 7 settembre 2010; Tribunale Trieste, decreto, 5 ottobre 2010; Tribunale Siena, sentenza, 22 novembre 2010, n. 596; Tribunale Roma, sez. lavoro, sentenza, 7 gennaio 2011, n. 687. LEGISLAZIONE ED ATTUALITA 279 , di conseguenza, antisindacale la condotta dellamministrazione che, a seguito dellentrata in vigore della c.d. riforma Brunetta, adotta unilateralmente determinazioni ex art. 5 co. 2, senza attivare le procedure di concertazione e/o di contrattazione previste dalla contrattazione collettiva. Tali argomentazioni - soprattutto quelle indicate negli ultimi tre punti - appaiono frettolose conclusioni concepite con lintento di bloccare, almeno fino allapplicazione dei nuovi CCNL, la completa applicazione della riforma Brunetta e, in definitiva, poco condivisibili. A ben vedere, sulla corretta interpretazione dellart. 65 e, soprattutto, sul criterio della gerarchia delle fonti che ci si deve soffermare per superare le discutibili conclusioni cui pervenuta la giurisprudenza del lavoro nei primi mesi di applicazione della riforma. Dal citato art. 65 deriva soltanto che la contrattazione collettiva integrativa - attuativa di quella nazionale - del preesistente regime normativo mantiene la propria efficacia, salvo adeguamento (entro il 31 dicembre 2010, termine ultimo per disporne ladeguamento, dopo il quale si determina ex lege la cessazione dellefficacia) e che i contratti decentrati stipulati successivamente al 15 novembre 2009 devono completamente armonizzarsi con la riforma, senza che occorra la stipulazione di un nuovo contratto di primo livello a ci finalizzato. I commi da 1 a 4 dellart. 65 si riferiscono espressamente ai contratti collettivi integrativi, per cui le disposizioni relative al loro doveroso adeguamento non si applicano ai contratti collettivi nazionali: questi ultimi, quindi, non sono fatti salvi dallapplicazione immediata e totale della riforma. Ai primi quattro commi della disposizione, se ne aggiunge un ulteriore, che presenta un ambito di applicazione diverso. Il comma 5, infatti, richiama espressamente i contratti collettivi nazionali, prevedendo che Le disposizioni relative alla contrattazione collettiva nazionale di cui al presente decreto legislativo si applicano dalla tornata successiva a quella in corso: tale disposizione, tuttavia, in considerazione della sua collocazione a chiusura del Titolo IV del Capo IV, rubricato Contrattazione collettiva nazionale e integrativa, non pu che riferirsi esclusivamente alle disposizioni del decreto contenute, appunto, nel Capo IV. La previsione del comma 5, quindi, si riferisce esclusivamente alle norme procedimentali che regolano le modalit di formazione dei contratti collettivi e non alle norme incidenti sulla definizione delle materie di competenza dei contratti stessi, che sono, invece, immediatamente applicabili. Soprattutto si deve considerare, in disaccordo con quanto affermato dai Giudici del lavoro, che la gerarchia delle fonti impone la superiorit della legge sui contratti collettivi (4), con la conseguenza che, se questi ultimi contrastano (4) TOSCHEI S., La fonte legislativa prevale su quella contrattuale, in Guida al diritto Sole 24 ore, Pubblico Impiego, 2009, fasc. 47, 31 e ss. 280 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 con disposizioni legislative, sono nulli e le loro previsioni sono sostituite automaticamente con le previsioni di legge: tale meccanismo risulta espressamente richiamato dal novellato art. 2 del d.lgs. n. 165 del 2001 e impone limmediata disapplicazione delle clausole contrattuali nazionali contrastanti con la fonte primaria. In generale, inoltre, il decreto legislativo n. 150 del 2009 non subordina affatto lapplicazione delle disposizioni in esso contenute alla stipulazione di contratti collettivi nazionali, ma ne prevede limmediata applicazione, con la sola ovvia eccezione delle norme transitorie (5). Il nuovo sistema di relazioni sindacali, pertanto, trova applicazione, in virt del principio tempus regit actum, ai fatti accaduti successivamente allentrata in vigore del decreto, avvenuta il 16 novembre 2009, con conseguente immediata caducazione delle discipline contrattuali contrastanti con le disposizioni di legge. In particolare, il citato art. 5, co. 2 del d.lgs. n. 165 del 2001 interviene direttamente ed immediatamente sulla contrattazione collettiva nazionale, limitandone lambito di applicazione e prevedendo implicitamente la disapplicazione del sistema di relazioni sindacali gi disciplinato dai CCNL, nella parte in cui risulti incompatibile con la stessa disposizione. Da ci consegue che le previsioni contrattuali che prevedono forme di relazione sindacale pi incisive rispetto alla mera informazione devono intendersi sostituite di diritto con la previsione di cui al citato art. 5, che stabilisce, in ipotesi di tal fatta, unicamente la previa comunicazione alle organizzazione sindacali. Le previsioni contrattuali che prevedono forme di concertazione e/o di contrattazione sindacale sulle materie indicate dallart. 5 co. 2 sono, dunque, insanabilmente affette da nullit sopravvenuta per contrasto con norme imperative e la loro inosservanza da parte delle amministrazioni non pu costituire comportamento antisindacale, in considerazione del nuovo assetto dei poteri organizzativi e gestionali della dirigenza pubblica delineato dalla c.d. riforma Brunetta. Tali conclusioni appaiono avvalorate dalla circolare del Dipartimento della Funzione Pubblica n. 7 del 13 maggio 2010 (6), che inserisce il citato art. 5, co. 2 nel novero delle disposizioni che operano dal 15 novembre 2009, data di entrata in vigore del d.lgs. n. 150 del 2009, non essendo previsto un termine di adeguamento. (5) OLIVIERI L., Il tormentone della vigenza della riforma Brunetta nella giurisprudenza dei giudici del lavoro, in www.lexitalia.it. (6) RAPICAVOLI C., Applicazione del decreto Brunetta: norme di immediata applicazione e norme ad applicazione differita, Circolare del Dipartimento della Funzione Pubblica n. 7/2010, in www.ambientediritto. it. LEGISLAZIONE ED ATTUALITA 281 La circolare aggiunge che nei confronti dei contratti collettivi che dispongano in modo diverso, vengono applicati i meccanismi di eterointegrazione contrattuale previsti dagli articoli 1339 e 1414, co. 2 del codice civile e che in queste ipotesi le forme di partecipazione sindacale, se gi previste dai contratti nazionali, regrediscono allinformazione. Linterpretazione che qui si privilegia , da ultimo, stata fatta propria dal legislatore che, in sede di Consiglio dei Ministri 21 gennaio 2011, ha adottato uno schema di decreto legislativo di modifica del d.lgs. n. 150 del 2009. Tale provvedimento, tra laltro, inserisce nellart. 65 del d.lgs. n. 150 del 2009 un nuovo comma 4-bis, che sancisce espressamente limmediata applicabilit delle disposizioni modificative dellart. 5, co. 2 del d.lgs. n. 165 del 2001. Si tratta di una vera e propria disposizione di interpretazione autentica, che sancisce, una volta per tutte, limmediata attribuzione di poteri unilaterali ai dirigenti in tema di organizzazione e gestione del rapporto di lavoro, con conseguente modifica delle relazioni sindacali, degradate in materia a mera informazione. Lo schema di decreto legislativo interpreta, inoltre, autenticamente anche il comma 5 dellart. 65: le norme sui contratti collettivi nazionali demandate alla sottoscrizione della nuova tornata contrattuale sono soltanto quelle che disciplinano il procedimento di stipulazione e controllo, ma non quelle che incidono sulla definizione delle materie di competenza dei contratti stessi. Tale previsione, abbinata alla piena ed immediata applicabilit del novellato art. 40 del d.lgs. n. 165 del 2001, priva in via retroattiva i contratti collettivi nazionali della possibilit di disciplinare tutte le materie riguardanti lorganizzazione, gli incarichi dirigenziali, le progressioni verticali e le prerogative dei dirigenti quali datori di lavoro. C O N T R I B U T I D I D O T T R I N A Avvocatura dello Stato, amministrazione pubblica e democrazia Il ruolo della consulenza legale nella formulazione ed esecuzione delle politiche pubbliche Guilherme Francisco Alfredo Cintra Guimares* Larticolo avanza una tesi generale sulla funzione delle attivit di consulenza legale svolte dallAvvocatura dello Stato nellambito della pubblica amministrazione, con attenzione speciale ai contesti brasiliano e italiano. Con laiuto della teoria dei sistemi sociali sviluppata dal sociologo tedesco Niklas Luhmann, le attivit di consulenza legale sono descritte come una specie di traduzione fra i sistemi giuridico e politico. La funzione della consulenza legale sarebbe quindi quella di tradurre i programmi giuridici che condizionano lattivit politico-discrezionale della pubblica amministrazione, con lobiettivo principale di contribuire alla legittimit e alla efficienza delle politiche pubbliche necessarie alla promozione dei diritti fondamentali dei cittadini. SOMMARIO: Introduzione - 1. Gli ostacoli del positivismo giuridico ad una comprensione adeguata della consulenza legale: interpretazione giuridica e principio di legalit - 2. La consulenza legale come attivit di traduzione - 3. Sulla necessit di uno sguardo spregiudicato sulla politica - Conclusione - Bibliogra. (*) Avvocato dello Stato in Brasile. Questo articolo stato scritto nellambito di una ricerca sullAvvocatura dello Stato realizzata presso la Sezione di filosofia e sociologia del diritto del Dipartimento di cultura giuridica Giovanni Tarello DIGITA della Facolt di giurisprudenza dellUniversit degli Studi di Genova, sotto la guida del Professor Realino Marra (borsa di ricerca Alla scoperta dellItalia, 2009-2010). LA. ringrazia il Professor Realino Marra per i suoi importantissimi suggerimenti e critiche e per la revisione finale dellarticolo. 284 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 Introduzione Si pu dire che la figura dello specializzato in diritto, del tecnico o professionista legale sia sempre stata circondata da un qualche sentimento diffuso di diffidenza. Come fidarsi di uno che utilizza listituzione sacra della giustiza come fonte di guadagno quotidiano? Si tratta di una situazione che produce naturalmente diffidenza, una diffidenza che accompagna i giuristi dai primordi dellapparizione e differenziazione della loro professione come ruolo sociale autonomo e specializzato fino ai nostri giorni (1). Riguardo alla professione specifica dellavvocato, la diffidenza ancora pi grande. Se il giudice pu nascondersi sotto la figura del terzo neutro e imparziale responsabile per applicare la legge e realizzare la giustizia nel caso concreto, lavvocato ha sempre il compito professionale di essere parziale, di prendere posizione, di difendere una delle parti in conflitto. Un ruolo veramente paradossale, che impone allavvocato una sorta di imparziale parzialit: per un verso, egli deve essere imparziale nei suoi doveri con la giustizia, per un altro, deve essere parziale nella difesa degli interessi dei suoi clienti (2). Cosa dire allora sulla figura dellavvocato dello Stato, lavvocato i cui clienti sono, almeno in teoria, tutti i cittadini? Essendo sottomesso al controllo giudiziario, anche lo Stato ha bisogno degli avvocati. Come possono essi essere imparzialmente parziali nella difesa dellentit politica che rappresenta lunione di tutta la collettivit? La necessit di una avvocatura specifica per lo Stato pu essere descritta come un risultato della separazione dei poteri e dellassoggettamento dellesecutivo alla legge prodotte dalle rivoluzioni borghesi. La creazione di una istituzione speciale responsabile per tutte le attivit contenziose e consultive rappresenta per lopzione specifica di alcuni paesi (Italia, Spagna e Brasile, per esempio) di affidare la tutela giudiziale e la consulenza legale dello Stato ad un unico organo, per ragioni di efficienza ed uniformit (3). Le attivit di difesa e consulenza giuridica dello Stato sono essenziali in qualsiasi regime democratico. Al di l dellimportanza della separazione dei poteri e dellesistenza di una giurisdizione indipendente capace di giudicare con imparzialit i conflitti fra lo Stato e i cittadini, lassistenza giuridica interna (1) Cfr. LA TORRE 2002. (2) Daccordo con Massimo La Torre: La dialettica, e la tensione, tra la parzialit della difesa di una parte e limparzialit di una pretesa che si dice essere giustificata ed adottabile in via di principio dal giudice (2002: 56). Sulla storia, cambiamenti e problemi attuali dellavvocatura nel contesto italiano ed europeo, cfr. ALPA 2005. (3) In questo saggio, lattenzione sar rivolta piuttosto ai modelli brasiliano e italiano di Avvocatura dello Stato, anche se le riflessioni teoriche sul ruolo della consulenza legale nellamministrazione pubblica che saranno avanzate non riguardano necessariamente un qualche modello specifico. SullAvvocatura dello Stato italiana, cfr. CARAMAZZA 1998 e MANZARI 1987. SullAvvocatura dello Stato brasiliana, cfr. MACEDO 2008 e GUEDES & SOUZA 2009. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 285 allamministrazione pubblica anche indispensabile per assicurare che gli organi statali agiscano in conformit con le regole che caratterizzano lo Stato democratico di diritto. Attenta a questa importanza, la Costituzione brasiliana del 1988, simbolo della ridemocratizzazione del paese dopo pi di venti anni di dittatura militare (1964-1985), ha realizzato un grande cambiamento nel modello di assistenza giuridica allo Stato. La tutela giudiziale e stragiudiziale dellamministrazione federale, che prima costituiva una delle funzioni del Pubblico Ministero, e le attivit di consulenza legale, prima compiute dai diversi uffici giuridici degli organi ed enti statali, sono state riunite e assegnate ad una nuova istituzione: lAvvocatura Generale dello Stato (Advocacia-Geral da Unio - AGU). Lobiettivo, per un verso, era ritirare la funzione di rappresentazione giudiziale dellamministrazione del Pubblico Ministero, perch esso potesse concentrarsi soltanto sulle attivit di controllo dello Stato e difesa del regime democratico, e per un altro, riunire le funzioni di difesa e consulenza giuridica dellamministrazione pubblica in una sola istituzione, per ragioni di efficienza e uniformit (4). Dopo pi di quindici anni di esistenza (5), lAvvocatura dello Stato in Brasile ha progredito molto nella professionalizzazione dellassistenza giuridica allo Stato, con incremento di efficienza e aumento del risparmio di denaro pubblico. Tuttavia ci sono ancora alcuni problemi tipici di unistituzione relativamente giovane, come lassenza di unidentit istituzionale solida, il bisogno di una migliore integrazione fra i suoi diversi dipartimenti interni e i conflitti amministrativi che succedono spesso con altri organi ed enti statali sulle caratteristiche e sui limiti delle attivit consultive. Le attivit consultive sono proprio il tema centrale di questo saggio. Il ruolo generale e la funzione specifica della consulenza legale allinterno dellamministrazione pubblica sembrano essere molto pi problematici e circondati da malintesi e pregiudizi di quanto non siano il ruolo e la funzione del contenzioso. Nel contenzioso lobbligatoriet del contraddittorio e dellampia difesa aiuta a delimitare in modo pi chiaro cosa deve fare lavvocato dello Stato: difendere lo Stato in giudizio oppure rappresentarlo contro un qualche convenuto, cos come fanno tutti gli avvocati in generale. Nella consulenza invece la situazione un po pi complessa. Lavvocato partecipa (o almeno dovrebbe (4) Secondo alcuni autori, il modello italiano dellAvvocatura dello Stato ha esercitato uninfluenza rilevante in questo cambiamento. Lesistenza in Italia di unistituzione gi consolidata responsabile per tutte le attivit contenziose e consultive sarebbe stata una fonte di ispirazione per i giuristi e politici che hanno contribuito alla creazione dellAvvocatura Generale dello Stato brasiliana. Cfr. MACEDO 2008: 61-73. (5) Nonostante sia stata prevista nella Costituzione Federale del 1988, lAvvocatura dello Stato brasiliana stata istituita soltanto nel 1993 dalla Legge Federale Complementare n. 73 del 10 Febbraio 1993. 286 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 partecipare) a tutto il processo di formulazione ed esecuzione delle politiche pubbliche (6). Diritto e politica sono in contatto diretto nellambito della stessa organizzazione, criteri giuridici e criteri politici di decisione si sovvrapongono a vicenda. Se nei tribunali il linguaggio tecnico-giuridico familiare agli avvocati predomina, nella pubblica amministrazione essi devono anche fare i conti con un linguaggio politico-amministrativo a cui non sono di solito molto abituati. Ci fa diventare ancora pi complesso il loro obbligo paradossale di trattare con imparziale parzialit gli interessi dello Stato, gli interessi pubblici, interessi di tutta la collettivit dei cittadini (7). Nel contesto brasiliano, si sta affermando a poco a poco lidea secondo la quale la funzione di consulenza sarebbe quella di un controllo interno di legalit degli atti amministrativi (8). Come risultato di questa comprensione (secondo noi) un po storta, gli organi di consulenza tendono a concentrarsi piuttosto sul controllo previo di atti e procedimenti isolati, invece di contribuire in forma pi attiva e partecipativa alla formulazione ed esecuzione giuridica delle politiche pubbliche. Ci produce diffidenza dalla parte degli organi di gestione e conseguenti difficolt di dialogo. Partendo dal contesto brasiliano e dalla necessit di sviluppare criticamente un punto di vista alternativo, lobiettivo principale di questo saggio avanzare una tesi pi generale sul ruolo e sulla funzione della consulenza legale nellambito della pubblica amministrazione. Invece di controllo, parleremo di traduzione: traduzione delle norme e del linguaggio giuridico nel processo di formulazione ed esecuzione delle politiche pubbliche come funzione specifica della consulenza legale (9). Secondo questa tesi, riconoscendo il carattere strutturalmente indeterminato del diritto moderno, gli organi di consulenza legale dovrebbero concentrarsi piuttosto sullanalisi delle conseguenze e dei rischi giuridici di ogni decisione amministrativa particolare, invece di proporre interpretazioni unilaterali e definitive sui comportamenti giuridici da assumere. In luogo di presentare soltanto quelle che considerano le soluzioni pi corrette dal loro punto di vista, gli avvocati dovrebbero dimostrare quali sono le interpretazioni possibili per ogni caso e i loro rispettivi rischi (possibilit di domande giudiziali, conseguenze nellinterpretazione di casi similari, ecc.). Questo presupporrebbe (6) Il concetto di politica pubblica va compreso in questo saggio come lagire organizzato e procedimentale dello Stato che ha lo scopo di fornire o regolare il fornimento di beni e servizi ai cittadini, come forma di promozione di diritti fondamentali e legittimato dalla possibilit di partecipazione e controllo sociale. Sul rapporto fra diritto amministrativo e politiche pubbliche, cfr. BUCCI 2006. (7) Sul carattere mitologico della concezione tradizionale dellunit, neutralit e superiorit dellinteresse pubblico, cfr. CASSESE 2008: 58-59. (8) Cfr. MACEDO 2008: 110-157 e GUEDES & SOUZA 2009: 129-137 e 465-483. (9) Devo ringraziare lamico Renato Bigliazzi per avermi suggerito originalmente di guardare le attivit di consulenza legale come una specie di traduzione. Su questa idea originale e su tantissime altre svolte in questo saggio, posso dire con sincerit che il credito sia tutto suo. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 287 dunque una comprensione meno individualistica e pi istituzionale delle attivit di consulenza, dove limportante non sono tanto le opinioni specifiche di ogni avvocato in particolare, ma piuttosto la possibilit di conferire trasparenza e pubblicit ai diversi fondamenti e criteri giuridici che orientano le decisioni statali, tenendo sempre di vista lobiettivo principale di contribuire allefficienza e alla legittimit delle politiche pubbliche. Il saggio viene diviso in tre parti. Nella prima parte, sono identificati, analizzati e decostruiti due ostacoli del positivismo giuridico ad una comprensione adeguata delle attivit di consulenza legale: (i) limmagine ancora presente nella cultura giuridica dellinterpretazione come attivit meccanica di sussunzione dei casi concreti della vita reale a norme generali e astratte e (ii) la concezione tradizionale del principio di legalit secondo la quale alla pubblica amministrazione spetta appena lesecuzione passiva delle leggi approvate dal parlamento. Nella seconda parte, avanzata la tesi centrale del saggio, quella della consulenza legale come attivit di traduzione fra diritto e politica. Nella terza parte, si fa un breve commento sulla diagnosi di crisi della politica caratteristica dellepoca attuale, poich il pregiudizio generale riguardo lattivit politica rappresenterebbe allo stesso tempo una causa ed un effetto del modello della consulenza legale come attivit di controllo, modello che viene qui rifiutato. Alla fine, si fa un riassunto conclusivo delle idee sviluppate nel saggio e si presentano alcune proposte per il futuro dellAvvocatura dello Stato in Brasile. 1. Gli ostacoli del positivismo giuridico ad una comprensione adeguata della consulenza legale: interpretazione giuridica e principio di legalit Il positivismo giuridico ancora oggi un paradigma dominante nella teoria e nella pratica del diritto. I suoi principi, concetti e metodi continuano a influenzare linsegnamento giuridico nelle universit e il quotidiano delle attivit forensi in tutto il mondo occidentale, nonostante le diverse teorie critiche sviluppate principalmente a partire dalla seconda met del secolo scorso. In modo riassuntivo, si pu caratterizzarlo come lapproccio scientifico al diritto (a) impegnato nella costruzione e utilizzazione di un metodo specifico capace di fornire descrizioni neutrali del fenomeno giuridico e (b) che concepisce il diritto come un sistema di norme prodotte dagli organi ufficiali dello Stato (10). Dalla tradizione positivista derivano due ostacoli teorici che devono essere superati se si vuole descrivere in forma pi adeguata le attivit di consulenza legale svolte dallAvvocatura dello Stato: (i) lidea ormai ingenua secondo cui linterpretazione giuridica pu essere ridotta ad una attivit meccanica di sussunzione dei casi concreti della vita reale a norme generali e (10) Per unanalisi pi ricca e approfondita, cfr. il classico BOBBIO 1996. 288 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 astratte e (ii) la concezione classica del principio di legalit che assegna alla pubblica amministrazione la funzione passiva di semplice esecutrice delle leggi approvate dal parlamento. Entrambi i due ostacoli sono derivati da una descrizione gerarchica della separazione dei poteri caratteristica dellilluminismo rivoluzionario del secolo XVIII e poi ereditata dalle teorie giuridiche positiviste del secolo XIX. La sostituzione della sovranit di origine divina del monarca per la sovranit popolare di origine democratica come fonte di legittimazione del potere fu accompagnata dallidentificazione del parlamento come legislatore onnipotente e razionale, incaricato di tradurre la volont generale del popolo in leggi generali e astratte capaci di regolare direttamente tutti gli aspetti della vita sociale. Agli altri due poteri furono assegnate dunque delle funzioni subalterne di applicare le norme gi legittimamente prodotte dal legislatore: il giudiziario nella risoluzione dei conflitti e soltanto quando richiesto dagli interessati, e lesecutivo nellamministrazione quotidiana dei negozi dello Stato, ancora ridotti se si considera il contesto degli Stati liberali post-rivoluzionari (11). Caratteristica di questa descrizione gerarchica la centralit quasi assoluta della legge nel processo di produzione ed applicazione del diritto. Il diritto cos ridotto alla legge prodotta dallo Stato, che deve essere sufficientemente semplice e chiara da poter essere interpretata in maniera letterale e deduttiva dai giudici e dagli amministratori. Una specie di feticcio della legalit che accompagn tutto il positivismo giuridico ottocentesco e che ancora oggi si fa presente nella dogmatica giuridica tradizionale, seppure in forma velata. Riguardo il potere giudiziario, la distinzione gerarchica fra legislazione e giurisdizione produce lillusione che linterpretazione giuridica sia unattivit meccanica. Le leggi approvate dagli organi competenti devono determinare direttamente la decisione del giudice, descritto come un semplice agente incaricato di esprimere nelle situazioni concrete la volont previa del legislatore. Davvero la distinzione serve a nascondere il fatto che il diritto regola la sua propria produzione. In altre parole, la distinzione occulta il paradosso derivato dalla constatazione che il giudice, interpretando la legge prodotta dal legislatore, crea il diritto che egli stesso applica. Cos la produzione e lapplicazione del diritto possono essere descritte come attivit diverse. Da un lato, (11) Questa ovviamente una descrizione abbastanza semplice e riassuntiva. Le vicende storiche dei periodi rivoluzionario e post-rivoluzionario riguardo il tema della separazione dei poteri sono molto pi complesse di quanto non si potrebbe dire in un unico paragrafo. Il movimento di codificazione del diritto in Francia, per esempio, fu guidato non da un parlamento libero composto dai legittimi rappresentanti del popolo, ma da una comissione di giuristi sotto il controllo diretto dellimperatore. E in Germania i teorici dello Stato tedesco dovettero essere veramente creativi per conciliare lideale di un governo delle leggi con i poteri assoluti (o quasi assoluti) del monarca. Sulle diverse forme di tradurre la formula del rule of law nelle tradizioni anglo-americana, francese e tedesca, cfr. ROSENFELD 2001. Sul rapporto fra lilluminismo e i movimenti di codificazione, cfr. TARELLO 1976. Sulle origini teologiche del concetto moderno di sovranit, cfr. AGAMBEN 2007. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 289 cՏ la produzione delle leggi generali e astratte, le cui modifiche sono giustificate da motivi politici, e dallaltro, lapplicazione individualizzata di queste leggi alle situazioni particolari, in cui si deve tener conto delle specificit di ogni caso concreto. Allora si pu ammettere che i giudici, essendo vincolati alla legge prodotta dal parlamento, decidano in modo libero e indipendente, anche se questo stesso vincolo pu essere pure oggetto di interpretazione (12). Dal dogma dellonnipotenza e razionalit del legislatore derivano anche i dogmi dellassenza di lacune nella legge e della completezza dellordinamento giuridico, ossia la descrizione del diritto come un sistema chiuso, completo e coerente di norme previamente approvate dal legislatore (o almeno gi esplicitate nelle decisioni precedenti dei tribunali) che regola, anche se in forma implicita, tutte le situazioni concrete di applicazione, non lasciando alcuno spazio alla creativit e alliniziativa innovatrice dellinterprete. La situazione per si modifica durante il secolo XX. I cambiamenti continui e sempre pi veloci delle strutture sociali, specialmente la transizione dallo Stato liberale allo Stato sociale, portano nuovi problemi alla teoria del diritto. La percezione della crescente complessit dei fenomeni sociali, insieme alla moltiplicazione di norme diverse e in gran parte sconnesse, prodotte con lobiettivo di concretizzare i programmi di un Stato interventista, fanno crollare la concezione positivista dellinterpretazione giuridica come attivit meccanica di sussunzione. La complessit dei fatti e la patente imprecisione e incoerenza del materiale legislativo prodotto dal parlamento evidenziano il ruolo creativo e costruttivo del giudice e della pubblica amministrazione nellinterpretazione e applicazione del diritto. Linterpretazione diventa cos il problema centrale della teoria giuridica. Partendo dalle nuove tesi e idee avanzate dalla filosofia del linguaggio dei primi decenni del secolo, in particolare dalla svolta linguistica guidata dal filosofo austriaco Ludwig Wittgenstein, autori classici come Hans Kelsen e Herbert Hart, anche se ancora inseriti nella tradizione positivista, introducono il dibattito sullindeterminatezza strutturale o open texture del diritto, ossia limpossibilit di controllare previamente il significato delle norme giuridiche, sia attraverso la legislazione, sia attraverso i modelli dogmatici della scienza giuridica. Riconoscendo il carattere attivo e creativo dellinterpretazione giuridica, entrambi gli autori ammettono che i suoi risultati non possono essere totalmente determinati neppure previsti in anticipo, perch dipendono sempre dalle particolarit e caratteristiche di ogni situazione concreta di applicazione (13). La teoria del diritto inizia allora a descrivere linterpretazione non come (12) Su questa funzione paradossale della distinzione legislazione/giurisdizione, cfr. LUHMANN 2005: 367-372. (13) Cfr. KELSEN 2006: 387-397 e HART 2005: 137-149. 290 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 unattivit di scoperta del senso previo contenuto nella legge, ma piuttosto come una vera attivit di creazione e produzione di diritto, in cui le preferenze e le scelte specifiche dellinterprete giocano un ruolo fontamentale. I teorici cominciano a occuparsi dellanalisi delle diverse possibilit di lettura dei testi normativi e del ruolo dellargomentazione fondata in principi nella costruzione delle decisioni giuridiche (14). Partendo dalla figura dei principi, autori come Ronald Dworkin e Robert Alexy sviluppano una critica radicale del modello positivista tradizionale del diritto come sistema chiuso e completo di regole applicabili attraverso un semplice procedimento di sussunzione (15). Lattivit di interpretazione quindi elevata al rango di operazione centrale del sistema giuridico. Se interpretare vuol dire creare, costruire, fare scelte, lavorare con principi e argomenti complessi, e non semplicemente dedurre dalla legge la norma applicabile ai fatti, e poich le leggi vanno sempre interpretate prima di essere esecutate, come si pu descrivere lattivit dellamministrazione pubblica a partire dal tradizionale principio di legalit, secondo cui amministrare significa soltanto esecutare le leggi? Lattivit amministrativa senza ombra di dubbio la pi grande, onerosa, diversificata e onnipresente delle attivit statali. Come conseguenza, anche quella che rappresenta il maggior rischio alla libert dei cittadini. Ci spiega limportanza storica della formula classica del principio di legalit amministrativa: lamministrazione pu fare soltanto quello che stato previamente autorizzato dalla legge. Cio deve circoscriversi ai limiti teoricamente stabiliti dai propri cittadini rappresentati in parlamento (16). Si tratta di un principio (14) Sul tema dellargomentazione giuridica, cfr. il classico MACCORMICK 2006. Nel contesto italiano, le ricerche sul tema dellinterpretazione e del linguaggio del diritto in generale furono avanzate da autori importanti come Norberto Bobbio, Uberto Scarpelli e Giovanni Tarello. Questo ultimo ha sviluppato, insieme ad altri rappresentanti della scuola genovese come Riccardo Guastini e Paolo Comanducci, una teoria scettica dellinterpretazione che sottomette alla critica le principali premesse del modello dellinterpretazione giuridica come attivit meccanica di sussunzione. Cfr. GUASTINI 2008 e CHIASSONI 1999. (15) Cfr. DWORKIN 2003 e ALEXY 1988. (16) Secondo Sabino Cassese: Dalla necessaria superiorit dellinteresse pubblico e dalla forza vincolante della decisione amministrativa agevole il passagio alla nozione di supremazia della pubblica amministrazione. Contro questa posizione di forza del diritto amministrativo si svilupper il principio di legalit. [...] Divenuti rappresentativi i parlamenti, questi, infatti, utilizzarono la legge come strumento di tutela dei cittadini nei confronti delle pubbliche amministrazioni (2003: 152). Sulle origini autoritarie della moderna concezione di amministrazione pubblica in Francia e sullo sviluppo del diritto amministrativo nel contesto di una maggior democratizzazione dello Stato e della pubblica amministrazione, cfr. CASSESE 2000: 15-90. La semplice invenzione del principio di legalit non vuol dire per che lamministrazione sia stata allora automaticamente sottomessa ai limiti imposti dal parlamento. La storia giuridico-politica degli ultimi due secoli smentisce chiaramente questa idealizzazione ingenua, poich i governi autoritari sono riusciti abbastanza spesso a imporre delle eccezioni a questo principio di legalit caratteristo dello Stato di diritto, almeno nelle situazioni descritte come situazioni di emergenza. Cfr. AGANBEM 2003. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 291 veramente democratico, specialmente se accompagnato dalle possibilit di controllo giudiziale degli atti amministrativi e responsabilizzazione dello Stato per danni causati ai privati. Il contenuto democratico del principio di legalit non va tuttavia confuso con la concezione tradizionale della pubblica amministrazione come semplice esecutrice passiva delle leggi approvate dal parlamento. Amministrare non vuol dire soltanto applicare passivamente le leggi. Chiunque abbia un minimo contatto con il quotidiano di unorganizzazione amministrativa si accorge che questa immagine passiva e semplificatrice non corrisponde alla realt, principalmente nel contesto di uno Stato regolatore e interventista (17). Si tratta appena di un mito prodotto dal positivismo giuridico ottocentesco. Daccordo con Sabino Cassese: [...] probabile che il paradigma dellamministrazione come esecuzione di leggi non abbia mai trovato rispondenza nel diritto positivo. Se esso, oggi, smentito dal diritto positivo, lo era, a maggior ragione, nellOttocento, quando minore era il peso del Parlamento e meno estesa larea regolata da leggi. Come si spiega allora la fortuna della formula? probabile che la spiegazione vada cercata in un fatto ideologico, successivamente teorizzato. Si tratta dellinfluenza del liberalismo e del positivismo, i quali, per trovare uno schermo al cittadino e un fondamento sicuro di osservazione alla scienza, puntarono tutto sulla legge. Per essi, il diritto il prodotto di volont costituzionalmente abilitate (il Parlamento) e lamministrazione tende ad essere cancellata dietro alle leggi. Cos facendo, le scuole positivistiche si cacciarono in un labirinto inestricabile. Dovettero, infatti, spiegare perch, se lamministrazione era esecuzione di leggi, godesse di tanta libert di scelta. E ricorsero a due accorgimenti. Affermarono che solo in alcuni casi esiste tale libert di scelta, essendo lattivit amministrativa, di regola, vincolata (rovesciando, cos, i termini reali del problema). E sostennero che, per spiegare i casi in cui vi era tale libert di scelta, bisognava far ricorso alla discrezionalit, cosa diversa dallautonomia. [2000: 43-44] (18). La formula della discrezionalit una formula paradossale. Una formula (o forma) che contiene una distinzione, la distinzione fra vincolazione e discrezionalit. Entrambi i due lati della distinzione hanno senso soltanto se ri- (17) La tradizione statunitense delle independent agencies o autorit amministrative indipendenti poi diffusa in quasi tutto il mondo occidentale nel contesto delle riforme amministrative dellultimo quarto del secolo XX un esempio chiaro della complessit e molteplicit di compiti delle organizzazioni amministrative moderne, le cui attivit non possono essere descritte semplicemente come esecuzione di leggi. (18) Su altri miti del positivismo giuridico riguardo i concetti, i metodi e i principi fondamentali del diritto amministrativo, cfr. CASSESE 2008: 57-63. 292 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 feriti luno allaltro, cio allaltra met della distinzione, al loro rispettivo senso opposto (19). Si parla della discrezionalit dellamministrazione soltanto perch si concepisce lamministrazione come unattivit vincolata alla legge. per giustificare la sua solita libert di scelta che si dice che, anche se programmata dalla legge, lamministrazione ha dei poteri o delle competenze discrezionali, ossia non vincolati (o non totalmente vincolati) alla legge stessa. Nel diritto amministrativo, questa formula della discrezionalit della pubblica amministrazione riflette il fatto che le decisioni amministrative, nonostante siano condizionate giuridicamente, sono di solito decisioni politiche, e non giuridiche, poich lamministrazione unorganizzazione del sistema politico, e non del sistema giuridico (20). Ma quale sarebbe la differenza fra decisioni giuridiche e decisioni politiche? E cosa vuol dire essere unorganizzazione del sistema politico? In una democrazia, la separazione dei poteri pu essere descritta come un meccanismo di scaglionamento e filtro dellinfluenza politica sui diversi organi statali. Se il legislativo lo spazio legittimo di questa influenza e il giudiziario lo spazio dove essa di solito considerata illegittima, nellamministrazione pubblica si deve in parte accettare la sua legittimit e in parte rifiutarla in nome del diritto (21). Il diritto in generale e i diritti costituzionale e amministrativo in particolare compiono dunque una funzione di neutralizzazione parziale dellinfluenza politica sulle decisioni dellamministrazione pubblica. Davvero, essi delimitano lo spazio di quello che giuridico, e deve dunque essere trattato secondo criteri giuridici, e quello che politico, e deve dunque essere trattato secondo criteri politici. Questo proprio il senso specifico della distinzione vincolazione/ discrezionalit: indicare, per un verso, che ci sono limiti o vincoli imposti dal diritto alle attivit amministrative, e per un altro, che ci sono anche spazi dove lamministrazione libera per decidere daccordo con criteri (tecnici, politici, economici) che sfuggono a ogni tipo di controllo giuridico. Alla fine, si tratta sempre della definizione (o disputa) dei confini fra diritto e politica (22). Diritto e politica possono essere descritti come sistemi sociali autonomi che realizzano funzioni sociali diverse. Al diritto spetta la generalizzazione e (19) Su questa logica delle forme (law of forms) che lavora sempre con i concetti di distinzione e paradosso, introdotta nel dibattito scientifico dal matematico inglese George Spencer Brown, cfr. LUHMANN 1996b: 61-75. Sui paradossi del sistema giuridico, cfr. LUHMANN 1988 e MAGALHES 2002. (20) In questo saggio diritto e politica vanno compresi come sistemi sociali autonomi e funzionalmente differenziati nel senso della teoria dei sistemi sociali sviluppata dal sociologo tedesco Niklas Luhmann. Cfr. LUHMANN & DE GIORGI 1994. Sui principali concetti della teoria dei sistemi di Luhmann, cfr. BARALDI ed al. 1996. (21) Cfr. LUHMANN 1985: 45-46. (22) Sulla costituzione come meccanismo di accoppiamento strutturale fra i sistemi politico e giuridico, cfr. LUHMANN 1996a. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 293 stabilizzazione delle aspettative normative di condotta. La politica invece responsabile per la produzione delle decisioni che vincolano la collettivit. Mentre le decisioni giuridiche sono programmate in forma condizionale, secondo la formula se/allora, orientandosi alla correzione o riparazione di azioni compiute nel passato, le decisioni politiche sono guidate da programmi teleologici o finalistici, secondo la forma mezzo/fine, e si orientano verso la produzione di conseguenze specifiche nel futuro (23). Limportante che fra diritto e politica cՏ proprio una differenziazione di base nella comunicazione che si pu percepire nel momento in cui si deve analizzare le conseguenze giuridiche di una decisione politico-amministrativa, cio nelle attivit quotidiane compiute dagli organi di consulenza legale dello Stato. Mentre la politica si preoccupa di produrre decisioni che possano raggiungere i fini promessi o accordati nei processi di negoziazione e discussione fra le organizzazioni statali e i diversi gruppi politici e sociali, il diritto si preoccupa di assicurare che queste decisioni siano in accordo con le norme che regolano lattuazione e il funzionamento dello Stato. Lesistenza di questa differenza nella comunicazione costituisce spesso una fonte di problemi nel rapporto fra organi di consulenza legale e organi di gestione. Problemi che non si limitano a semplici difficolt di comprensione fra differenti organi statali, ma che hanno anche un impatto sulla qualit delle politiche pubbliche implementate dallo Stato. Questi problemi sembrano essere il risultato dellassenza di una comprensione adeguata del ruolo della consulenza legale, in gran parte a causa della persistenza del mito positivista dellamministrazione pubblica come semplice esecutrice passiva delle leggi. Questo il punto centrale: nel contesto di uno Stato regolatore e interventista, amministrare non soltanto esecutare le leggi, ma piuttosto fare politica, cio formulare ed esecutare politiche pubbliche a partire dagli indirizzi politici approvati dal parlamento, con lobiettivo di promuovere i diritti fondamentali dei cittadini. Quindi limmagine classica del positivismo ottocentesco anacronistica e non corrisponde alla realt dellamministrazione pubblica odierna, sovraccaricata di compiti regolatori, di prestazione di servizi, di prevenzioni dei nuovi rischi tecnologici e ambientali, ecc. Daccordo con Jrgen Habermas: [...] sovraccaricata dai compiti di regolazione, lamministrazione non pu pi limitarsi, nel quadro di univoche competenze normative, a dare esecuzione alle leggi in maniera specializzata e normativamente neutrale. Secondo il modello espertocratico lamministrazione avrebbe dovuto prendere solo decisioni pragmatiche: a questo ideale, natural- (23) Sulla differenziazione funzionale del sistema politico, cfr. LUHMANN 1994. Sulla differenziazione funzionale del sistema giuridico, cfr. LUHAMMN 2005a. 294 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 mente, essa non pot mai attenersi. Ma nella moderna amministrazione prestatrice di servizi si accumulano problemi che richiedono ora una ponderazione di beni collettivi, ora una scelta tra finalit concorrenti, ora un giudizio normativo su casi singoli. Questi problemi, per essere trattati razionalmente, hanno bisogno di discorsi di fondazione e di applicazione che fanno saltare i confini professionali dun adempimento normativamente neutrale di compiti. [1996: 521] La complessit e molteplicit delle attivit amministrative non si adatta dunque al modello teorico della semplice esecuzione delle leggi. Ci non vuol dire ovviamente che lamministrazione non sia vincolata alla legge. La legge il principale strumento di programmazione della amministrazione, per non in grado di determinare previamente tutte le sue decisioni, di dire sempre e in ogni caso quello che essa pu e non pu fare. Cos come non in grado di regolare previamente tutte le sue proprie situazioni di applicazione, poich le norme vanno sempre interpretate, e interpretare vuol dire anche creare, costruire, produrre qualcosa di nuovo. Perci si parla di discrezionalit amministrativa, anche se lamministrazione ha sempre il dovere di osservare la legge. Davvero, in una democrazia, questo dovere tutti ce lhanno. Se si parte dalla differenziazione funzionale fra diritto e politica, le organizzazioni della pubblica amministrazione vanno descritte come organizzazioni del sistema politico, cos come i tribunali sono organizzazioni del sistema giuridico (24). Implementare politiche pubbliche significa piuttosto contribuire alla formazione e allesecuzione delle decisioni politiche che vincolano la collettivit. Decisioni nella maggior parte discrezionali, rivolte alla produzione di conseguenze future e guidate dalla formula mezzo/fine, che implicano scelte fra alternative diverse e che impongono la valutazione di diversi criteri tecnici, politici ed economici, oltre allessenziale considerazione dei vincoli e limiti giuridici esistenti (25). (24) Il proprio sistema politico pu essere diviso in tre spazi distinti: lo spazio della politica in senso stretto, dove si svolgono i conflitti e le conciliazioni di interessi che portano alla produzione delle principali decisioni di governo (parlamento, organi di governo, partiti politici), lo spazio dellamministrazione, responsabile per lesecuzione concreta delle decisioni prodotte nello spazio della politica in senso stretto (organizzazioni burocratiche della pubblica amministrazione), e lo spazio del pubblico, che esercita pressione, partecipa della formulazione e realizza il controllo delle decisioni statali (associazioni di classe, movimenti sociali, societ civile organizzata). Cfr. LUHMANN 1994: 61-66. Sulla posizione dei tribunali nel sistema giuridico, cfr. LUHMANN 2005a: 359-399. (25) Per qualificare una decisione come politica o giuridica il pi importante non tanto lorgano a cui spetta prenderla (parlamento, amministrazione pubblica o giuridiziario), ma piuttosto i criteri utilizzati nella sua formulazione, poich sono questi criteri che orientano il tipo specifico di comunicazione prevalente. Le decisioni giuridiche sono caratterizzate da una programmazione di tipo condizionale: davanti a determinate circonstanze, si deve prendere una decisione che stabilisca chi ha diritto e chi non ha diritto. Le decisioni politiche invece sono guidate da programmi teleologici, che si orientano verso il futuro: limportante identificare i mezzi che portino allottenzione delle conseguenze descritte come desiderabili. Quindi quando le organizzazioni della pubblica amministrazione funzionano come una spe- CONTRIBUTI DI DOTTRINA 295 Dalla stessa forma di un tribunale, anche la pubblica amministrazione deve interpretare il diritto, interpretazione che non mai meccanica e che richiede sempre creativit e competenza nel trattamento di regole, principi e argomenti complessi (26). Gli obiettivi sono per diversi. I giudici interpretano il diritto per decidere in definitiva chi ha e chi non ha diritto in un caso concreto e sono perci costretti, poich, a causa del divieto di non liquet, la non decisione non permessa, a presentare e giustificare le loro decisioni come se fossero le uniche risposte corrette, anche se ovviamente ci sono sempre diverse forme di leggere un testo normativo (27). Lamministrazione invece interpreta il diritto non semplicemente per esecutare passivamente la legge, ma piuttosto per chiarire quali sono i vincoli giuridici che limitano la sua discrezionalit nellimplementazione delle politiche pubbliche. Perci ha bisogno di tradurre i confini prodotti dal diritto alla sua libert politica di scelta. Ha bisogno insomma di consulenza legale. 2. La consulenza legale come attivit di traduzione [...] ogni traduzione solo un modo pur sempre provvisorio di fare i conti con lestraneit delle lingue. Altra soluzione che temporale e provvisoria, una soluzione istantanea e definitiva di questa estraneit, rimane vietata agli uomini o non , comunque, direttamente perseguibile (Walter Benjamin, Il compito del tradutorre, 1995: 45) Tradurre un compito complesso. Complesso e paradossale. Le lingue non sono mai completamente traducibili fra di loro. E comunque occorre tradurle. Ogni parola o espressione ha una sua storia specifica che propria della lingua di origine. Storia non sempre compartita dalle altre lingue alle quali la stessa parola o espressione deve essere tradotta. Daccordo con Benjamin: cie di tribunale amministrativo, le loro rispettive decisioni, cos come le comunicazione svolte intorno alla loro formulazione ed esecuzione, possono essere, a dipendere dallipotesi e dai procedimenti utilizzati, di natura pi giuridica che politica. (26) Daccordo con Habermas: Accollandosi compiti del legislatore politico e dando esecuzione a programmi da essa stessa stabiliti, lamministrazione deve decidere in propria gestione molte questione di fondazione e di applicazione normativa. Si tratta di questioni che non sono decidibili in base a criteri di efficienza, ma che richiedono piuttosto un trattamento razionale di ragioni normative (1996: 517). (27) Sulla funzione del divieto di non liquet (nel senso di un doppia negazione: la non decisione non permessa) riguardo la chiusura operativa del diritto e la posizione dei tribunali nel sistema giuridico, cfr. LUHMANN 2005a: 359-399. Sulla tesi dellunica risposta corretta come artificio teorico rivolto a negare la discrezionalit dei giudici nellinterpretazione delle norme e prendere i diritti sul serio, cfr. DWORKIN 2002. 296 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 Che una traduzione, per quanto buona, non possa mai significare qualcosa per loriginale, fin troppo evidente. E tuttavia essa in intimo rapporto con loriginale in forza della sua traducibilit (1995: 41). Questa immagine della traduzione ci serve qui come una specie di metafora per spiegare il ruolo degli avvocati nella consulenza legale allo Stato. Essi devono tradurre il linguaggio tecnico-specializzato tipico del diritto moderno ai politici e amministratori responsabili per la presa delle decisioni nelle organizzazioni della pubblica amministrazione. Devono far capire loro le conseguenze e i rischi giuridici delle loro decisioni, cos come devono tradurre in termini giuridici queste stesse decisioni. Anche questo un compito complesso e paradossale. Abbiamo gi visto che diritto e politica sono sistemi sociali che utilizzano linguaggi diversi, cos come differenti criteri di decisione. Questi linguaggi e questi criteri devono essere tradotti allinterno dellamministrazione, poich la programmazione giuridica delle decisioni politico-amministrative deve essere compresa dagli amministratori perch sia veramente effettiva. Spetta allora agli avvocati dello Stato assolvere questa funzione. Il principale obiettivo di questa traduzione dare sostegno giuridico-costituzionale alle politiche pubbliche formulate ed esecutate dallo Stato, come modo di garantire la loro efficienza e legittimit. Legittimit nel senso di conferire trasparenza e pubblicit ai criteri giuridici che orientano le decisioni politico- amministrative, agevolando cos le attivit degli organi istituzionali di controllo e il proprio controllo sociale compiuto dalla societ civile organizzata. E efficienza nel senso di contribuire al raggiungimento degli scopi di queste politiche, cio la promozione dei diritti fondamentali dei cittadini, al prevenire per quanto possibile i rischi di conflitti con gli stessi organi di controllo e leventuale (e sempre pregiudiziale) annullamento delle decisioni statali (28). Lamministrazione pubblica composta di organizzazioni e le organizzazioni sono aggruppamenti o sistemi la cui funzione la presa di decisioni (29). Secondo una concezione pi tradizionale, le decisioni rappresentano una (28) Sulla funzione dellAvvocatura dello Stato brasiliana di conferire sostegno giuridico-costituzionale alla formulazione ed esecuzione delle politiche pubbliche, cfr. VIEIRA JUNIOR 2009. (29) Daccordo con il concetto classico formulato dal teorico dellamministrazione Herbert Simon: [...] il termine organizzazione si riferisce al complesso schema di comunicazioni e di altre relazioni che viene a stabilirsi in un gruppo di essere umani. Questo schema fornisce ad ogni appartenente al gruppo buona parte dellinformazione, delle premesse, degli obiettivi e degli atteggiamenti che influenzano le sue decisioni e, allo stesso tempo, crea in lui delle aspettative stabili e ragionevolmente sicure riguardo a ci che gli altri membri del gruppo stanno compiendo ed al modo in cui essi reagiranno a quanto egli dice o compie. Il sociologo chiama questo schema un sistema di ruoli, ma per la maggior parte di noi esso pi familiare sotto il nome di organizzazione (1967: 14). Sulle organizzazioni come sistemi autopoietici che producono e riproducono se stessi attraverso le proprie operazioni, cio attraverso la continua presa di decisioni, cfr. LUHMANN 2005b. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 297 scelta discrezionale fra alternative diverse, dove la conoscenza gioca un ruolo fondamentale nel permettere un soppesamento razionale delle conseguenze previdibili di ogni alternativa disponibile, nonostante tutti i limiti della razionalit e della capacit umana di previsione (30). Tuttavia le decisioni possono anche essere descritte in modo pi astratto come eventi complessi, contingenti e paradossali che producono differenze nella forma di connettere passato e futuro. Daccordo con Luhmann: Lenigma dellemergenza di decisioni da una specie di alchimia decisionale non viene dunque chiarito da concetti come scelta o soggetto; viene solo distribuito su tali due concetti. Bisogna chiedersi, allora, se si possa coniare un concetto di decisione che eviti questo vicolo cieco. Vogliamo provarci riferendo il problema della decisione alla dimensione temporale. Ogni decisione pressuppone il tempo del mondo, che differisce continuamente la distinzione tra passato e futuro in un altro, nuovo presente. Solo semplificando grossolanamente si pu concepire questo come movimento o come processo. In realt, si tratta del fatto che ogni presente sopporta il peso del problema di una nuova descrizione del suo passato e di quello di una nuova proiezione del suo futuro. Il tempo non lascia per molto tempo per questo. Riflessioni del genere possono dunque essere fatte solo in modo altamente selettivo e solo per motivi particolari. La decisione, per cos dire, riduplica il problema. Essa fornisce un passato rilevante per se stessa, quindi ha bisogno di una memoria che laiuti a cogliere problemi, alternative e risorse come aspetti del suo presente. Inoltre, si pu arrivare a decidere solo se si capisce che farlo crea una differenza. Il mondo, sulla base della decisione, apparir diverso da come apparirebbe nel caso in cui non si dovesse decidere. Elemento costitutivo e irrinunciabile della decisione allora una proiezione di differenze. Una decisione costruisce una conessione tra passato e futuro diversa rispetto a quella che si d comunque nel tempo del mondo. Ma questo accade nel mondo, cio nel tempo del mondo, per esempio in un certo momento databile. [2005b: 115-116] La dimensione temporale dunque ci che caratterizza la specificit di ogni decisione. Una decisione un evento che accade nel presente. La sua presa dipende per, da un lato, da una descrizione del suo passato che esponga questo stesso passato come una alternativa sulla quale si pu decidere nel presente, e dallaltro lato, da una proiezione delle differenze (o conseguenze) che saranno possibilmente (o probabilmente) prodotte nel futuro. Nel contesto della pubblica amministrazione, per esempio, la descrizione dei vincoli giuridici esistenti e la proiezione delle possibili conseguenze giuridiche future ri- (30) Cfr. SIMON 1967: 43-180. 298 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 guardo un qualche progetto di decisione delimita il campo delle alternative decisorie disponibili allamministrazione allo stesso tempo che le chiarisce gli eventuali rischi che dovranno essere assunti se si vuole decidere con responsabilit. Lobiettivo della consulenza legale dare consistenza giuridica alle decisioni politiche (nel senso di discrezionali) della pubblica amministrazione. La responsabilit per la decisione spetta per a colui che la deve prendere, al decisore, cio allamministratore. Agli organi di consulenza legale spetta appena consigliarlo, provando a tradurgli il diritto vigente, sulle alternative decisorie disponibili e sulle possibili conseguenze giuridiche delle sue decisioni. Questo sarebbe magari qualcosa relativamente semplice se non ci fosse un problema, forse il principale problema di tutta lattivit di consulenza: diritto e politica hanno tempi diversi, funzionano in modo operativamente chiuso luno rispetto allaltro, sono perci, in certa misura, intraducibili fra di loro (31). E nonostante tutto ci, per decidere bisogna tradurli. Le decisioni della pubblica amministrazione sono comunicazioni del sistema politico. Comunicazioni che si rivolgono per al sistema giuridico prima e dopo la presa della decisione. Prima perch lamministrazione ha bisogno di osservare il sistema giuridico per provare ad anticipare come esso reagir alle sue decisioni. E dopo perch, essendo le decisioni stesse formulate in termini giuridici, nella forma di atti amministrativi, contratti, regolamenti, ecc., i loro rispettivi effetti giuridici producono anche un impatto sulle decisioni future che ancora andranno prese. Tuttavia la risposta del sistema giuridico alla decisione amministrativa non pu ovviamente essere controllata dallamministrazione. Nonostante tutte le eventuali buone intenzioni dellamministratore, non si pu mai essere totalmente sicuri sulla forma in cui la decisione sar interpretata (o tradotta) dai tribunali. Da questo punto di vista il diritto rappresenta una specie di cassa nera per la politica. Le sue reazioni sono sempre e in certa misura imprevedibili. Perci si prova comunque a prevederle in anticipo, per ridurre o assorbire previamente lincertezza giuridica che circonda la decisione, immunizzando e tranquillizzando cos lamministrazione sulle eventuali sorprese che il diritto pu produrre nel futuro (azioni giudiziali, richieste di informazioni dagli organi di controllo, condanne allamministrazione, annullamento della decisione, ecc.). Traducendo allamministrazione i programmi giuridici che condizionano le sue decisioni e provando ad anticipare le conseguenze giuridiche di queste stesse decisioni, si pu dire che la consulenza legale apre la porta del sistema del diritto alla politica. La sua attivit di traduzione, nonostante sia rivolta alle (31) Su questa opacit reciproca fra diritto e politica come risultato della differenziazione funzionale e della chiusura operativa dei due sistemi, cfr. LUHMANN 2005a: 473-505. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 299 organizzazioni della pubblica amministrazione, unoperazione del sistema giuridico. Una prima traduzione, in termini giuridici, della decisione politicoamministrativa. Si potrebbe aggiungere: una traduzione che viene accompagnata da una sorta di scommessa sul fatto che il diritto capir ci che la politica ha voluto dire, ossia che il giudice interpreter la decisione e le norme che la condizionano nella stessa maniera dellamministrazione. Eppure che il futuro sia sconosciuto condizione irrinunciabile della possibilit di decidere (Luhmann 2005b: 126). Il futuro non comincia mai, cio rimane sempre indeterminato, sconosciuto, irraggiungibile (32). Giuridicamente ci vuol dire di nuovo che non si pu avere certezza sulla forma in cui il diritto risponder alla decisione politica: accettandola, rifiutandola oppure sollecitando eventuali modifiche. Il sistema una macchina storica in certa misura imprevedibile. Perci lideale tradizionale di certezza o sicurezza giuridica non altro che un mito. Lindeterminatezza strutturale o open texture del diritto moderno significa giustamente che lattivit di interpretazione contiene sempre un elemento creativo, un elemento di sorpresa e imprevidibilit che impedisce ogni previsione sicura sulla forma in cui le norme saranno interpretate dai tribunali, sul modo in cui il diritto sar costruito nei casi futuri. CՏ soltanto una certezza tautologica che nel futuro il diritto continuer a dire cosՏ e cosa non il diritto, ossia la certeza paradossale di un incerto trattamento nel futuro (33). La consulenza legale non pu quindi definire con sicurezza cosa sia e cosa non sia il diritto in una qualche situazione specifica, concreta oppure solo ipotetica, poich la risposta finale (possiamo dire, lunica risposta corretta) spetta sempre ai giudici, non agli avvocati. Essa pu soltanto assistere lamministrazione nel suo rapporto con il diritto. Un rapporto paradossale, collegato alla dimensione temporale della decisione politico-amministrativa. Essendo le decisioni eventi che accadono sempre e necessariamente nel presente, tenendo come orizzonte un futuro sconosciuto, la consulenza legale, provando a tradurre i vincoli giuridici che condizionano lamministrazione e ad anticipare le conseguenze della decisione riguardo il sistema del diritto, contribuisce allassorbimento della incertezza giuridica che circonda tutto il procedimento decisorio. Una funzione paradossale di anticipare quello che non pu essere anticipato, di assicurare quello che sempre incerto, di tradurre quello che non mai totalmente traducibile. La calcolabilit giuridica delle conseguenze sempre limitata. Gli avvocati dello Stato possono essere descritti come traduttori, ma sicuramente non come astrologi. Lincertezza pu (32) Cfr. LUHMANN 1982. (33) Questa incertezza giuridica pu anche essere descritta come un risultato della positivit del diritto moderno, cio il fatto che il diritto positivo della societ moderna un diritto contigente, artificiale, modificabile. Cfr. LUHMANN 1985. 300 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 essere, in certa misura, addomesticata, ma non completamente eliminata. Per assorbire o addomesticare questa incertezza, la consulenza legale deve rivolgersi al passato del sistema giuridico. Deve realizzare una sorta di ricerca storica nel sistema per scoprire (o selezionare) le possibilit decisorie nascoste nelle sue fonti. Cio deve cercare nelle leggi, nei precedenti giudiziari e nelle opinioni degli esperti (dottrina) una forma di tradurre il diritto che presenti allamministrazione diverse possibilit di decisioni e di valutazione delle sue rispettive conseguenze. Se una qualche regola in materia ambientale gi stata giudicata illegale dai tribunali, lavvocato pu suggerire, per esempio, che la stessa regola o una regola similare sia allora inserita in un disegno di legge, e non in un regolamento, con lobiettivo di evitare una nuova sentenza sfavorevole. Dunque, oltre ad assistere nellassorbimento della incertezza, la consulenza legale produce anche un arricchimento giuridico della memoria decisionale, offrendo pi possibilit di scelta allamministrazione e contribuendo cos ad una presa di decisione pi furba e responsabile (34). Si pu capire allora limportanza dei pareri giuridici e di tutto il procedimento di argomentazione in essi condensato. Riguardo lattivit decisoria, largomentazione giuridica pu essere descritta come unoperazione che si svolge a partire dalla distinzione fra ridondanza e variet (35). Da un lato, largomentazione diminuisce la sorpresa della decisione fornendole giustificazioni previe capace di connetterla ad altre decisioni gi prese nel passato, ad alternative gi provate precedentemente e che possono perci essere reiterate senza paura delle conseguenze. Da un altro lato, pu offrire anche i fondamenti alla presa di una decisione diversa ed innovatrice, le cui conseguenze non sono ancora totalmente chiare, seppure possano essere parzialmente anticipate in base ad un paragone con una qualche situazione similare. Fra ripetizione ed innovazione, ridondanza e variet, cՏ sempre un rischio, un rischio che causa paura e allo stesso tempo esige responsabilit. Essendo il futuro sconosciuto, la presa di una decisione innovatrice o inedita presenta ovviamente un livello di rischio pi elevato riguardo una decisione che non sfugge ai modelli e agli standard a cui ci si gi abituati. La creativit (34) Daccordo con Luhmann: [...] lessere sconosciuto del futuro non pu essere cambiato. In questo senso non fa differenza il modo in cui il sapere distribuito socialmente e se qualcuno dispone di un sapere migliore rispetto ad altri. Anche la ricerca di ulteriori informazioni concerne sempre solo il passato. In quanto a ci, la diffusa concezione per cui con pi informazione si pu cogliere meglio il futuro deve essere corretta. Lincertezza, che viene aumentata dalle informazioni, non incertezza del futuro, ma incertezza della scelta in un ambito selettivo. Certamente un decisore con una memoria arricchita pu vedere pi possibilit, utilizzare schemi pi differenziati e, per usare una formula un po fuori moda, decidere in modo pi furbo. In questo, e solo in questo, sta il vantaggio della conoscenza ambientale e della consulenza. Ma questo significa solo che il decisore dispone di strutture pi complesse che differenziano, ma non eliminano, la non conoscenza del futuro: egli dispone di schematismi, scripts, cognitive maps, implicit theories, tutti concetti che ricorrono alla memoria e non al futuro (2005b: 138). (35) Cfr. LUHMANN 1995 e 2005a: 401-471. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 301 ha anche un suo costo. Gli oneri argomentativi sono pi pesanti, le giustificazioni devono essere pi complesse e approfondite, gli effetti della decisione attuale nelle decisioni future vanno soppesate con pi prudenza e attenzione (36). Gli avvocati possono provare a fornire gli argomenti che giustifichino la decisione e indichino i rispettivi rischi, ma la disposizione a prendere il rischio ed assumere la relativa responsabilit spetta sempre al decisore, cio ai politici ed amministratori, mai agli avvocati stessi la decisione comunque sempre una decisione politica, e non giuridica (37). Gli argomenti favorevoli che giustificano la decisione e provano ad anticipare le sue possibili conseguenze sono per, come la decisione stessa, argomenti contingenti, prodotti prima della sua presa e che possono essere confutati e rifiutati nel futuro, quando la decisione non potr pi essere disfatta, ma soltanto cambiata attraverso unaltra decisione. Perci ce nՏ sempre, in quasi tutti i processi decisori, una sorta di paura di decidere, collegata allincertezza sulla forma in cui la decisione sar controllata nel futuro. Daccordo con Luhmann: [...] si osserva lalternativa che fissata per la decisione in modo diverso, a seconda che ci si fermi al tempo prima della decisione o al tempo dopo la decisione. [...] nellistante in cui viene presa la decisione cambia la forma della contingenza. Prima della decisione la contingenza aperta, possibile la scelta di ogni possibilit. Dopo la decisione, la contingenza chiusa, non pi possibile unaltra decisione, ma tuttal pi una correzione attraverso una nuova decisione. Ma lalternativit, e con essa la contingenza, continuano ad essere mantenute. Esse non vengono cancellate attraverso la decisione, cos come non vengono trasformate in unaltra modalit del necessario o dellimpossibile. Diversamente non sarebbe possibile criticare le decisioni o pentirsi per averle prese, n renderle oggetto di rimprovero, n tanto meno tema di responsabilit. [...] Solo cos si pu spiegare il fatto che si abbia paura delle decisioni, che si eviti il rischio, perch si deve tener conto di un successivo cambiamento della valutazione e persino di un cambiamento dei criteri di valutazione. [2005b: 140- 141] (36) Secondo Luhmann: [...] sono rilevanti le decisioni passate che siano state accettate senza reclami, cio quelle che possono supporre di essere accettate. Chi devia deve sopportare il rischio della novit, deve argomentare, ha lonere della prova. In modo corrispondente, il futuro viene tirato in causa dal punto di vista degli effetti che avranno i precedenti. Il decisore e colui che accetta la decisione devono anche pensare che in futuro casi simili saranno trattati secondo lo stesso modello, o, almeno, che con la decisione incombente si stabilizza unaspettativa in questo senso (2005b: 143). Sulla valutazione delle conseguenze giuridiche della decisione nella forma del precedente, cio riguardo limpatto della decisione attuale nelle decisioni future, e sulla argomentazione conseguenzialista in generale, cfr. MACCORMICK 1983 e 2006: 127-195 e LUHMANN 2005a: 441-448. (37) Cfr. LUHMANN 2005a: 498-499. 302 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 Il rischio rappresenta allora una forma di osservare la decisione riguardo il suo futuro incerto, una forma di razionalizzare la paura di decidere attraverso il tentativo di anticipare le sue eventuali conseguenze negative (38). Tutte le decisioni politiche devono confrontarsi con il problema dellincertezza giuridica futura. Perci i politici e gli amministratori hanno bisogno di consulenza legale, per costruire gli argomenti con cui possano sostenere giuridicamente la decisione e per anticiparsi ai suoi eventuali effetti negativi (azioni giudiziali, annullamento della decisione, formazione di precedenti decisori sconvenienti, ecc). Soltanto essendo consapevole dei rischi si possono assumere le conseguenze della decisione. Soltando osservando lincertezza del futuro nella forma del rischio si pu razionalizzare leventuale paura di decidere. Si pu insomma decidere con responsabilit (39). Perci i politici e gli amministratori danno tanta importanza ai pareri giuridici prodotti dagli organi di consulenza legale unimportanza forse sopravvalutata. I pareri compiono una funzione rassicuratoria e di tranquillizzazione dellattivit politica. Contribuiscono allassorbimento dellincertezza giuridica della decisione, immunizzandola, in certa misura, al fornirle argomenti e giustificazioni giuridici preliminari che poi possano essere riattivati nei tribunali nel caso sia necessario difendere la decisione in giudizio. Sono utilizzati dunque come una sorta di scudo dal decisore, come qualcosa che si suppone capace di proteggerlo dalla critica e dal controllo inerenti ad ogni assunzione politica di responsabilit nel contesto di un regime democratico. Tuttavia, esponendo gli eventuali rischi della decisione, i pareri funzionano (o almeno dovrebbero funzionare) anche come uno strumento per conferire pubblicit e trasparenza ai criteri giuridici che orientano le decisioni politico-amministrative, agevolando cos la salutare critica democratica alle decisioni statali e il necessario controllo istituzionale su di esse. Siccome era consapevole dei rischi e nonostante ci ha deciso di assumere lapposita responsabilit, il decisore deve fare i conti con lopinione pubblica e con gli organi di controllo. Quindi anche il compito del decisore un compito arduo. Ancora pi arduo se il suo supposto traduttore, invece di assisterlo e aiutarlo, ritiene (38) Daccordo con Luhmann: Anche nellosservazione e nella descrizione di decisioni non si pu raggiungere alcuna certezza. Proprio questo si intende con il concetto di rischio. I rischi non hanno un luogo ontologico nel mondo; a differenza del concetto di pericolo, il concetto di rischio indica una forma di osservazione di decisioni (2005b: 139-140). Sulla figura del rischio come forma di osservazione del futuro e di razionalizzazione della paura riguardo lincertezza sul futuro, cio una forma di costruire vincoli con il futuro, cfr. LUHMANN 2005c e DE GIORGI 1998. (39) Daccordo con Luhmann: Se tutto ci che accade deve assumere la forma della decisione e se le decisioni possono essere prese sempre solo nel momento attuale, sempre solo nel presente, per quanto concerne il tempo bisogna fare i conti con questa incertezza. Le decisioni sono possibili solo perch il futuro indeterminato, cio anche sconosciuto. In questo consiste, appunto, ci che normalmente si chiama responsabilit (2005b: 120). CONTRIBUTI DI DOTTRINA 303 che deve, anche lui, controllarlo. Gli avvocati sono piuttosto utili per difendere ed assistere, non controllare. Perci si chiamano avvocati, e non controllori. La diffidenza e il pregiudizio generalizzato contro lattivit politica del decisore per pu mescolare o confondere un po questi ruoli diversi. Bisogna allora guardare la politica senza pregiudizi. 3. Sulla necessit di uno sguardo spregiudicato sulla politica Dopo il crollo del muro di Berlino e lespansione globale dellegemonia del modello delleconomia di mercato, la politica moderna sembra aver perso un po la tramontana. Daccordo con Habermas: Davanti alle sfide radicali duna limitazione ecologica della crescita economica e dun crescente divario nei rapporti nord/sud; davanti allimpresa, storicamente eccezionale, di riconvertire ai meccanismi dun sistema economico differenziato i paesi ex-socialisti; sotto la pressione di flussi migratori provenienti dai paesi impoveriti del sud e ora anche dellest; di fronte ai rischi di nuove guerre etniche, nazionali e religiose, di ricatti atomici e di lotte internazionali per la distribuzione delle risorse: di fronte a questo sfondo terrificante, la politica delle societ occidentali costituitesi come Stati democratici di diritto sembra aver perso orientamento e consapevolezza. Dietro la retorica domina la rinuncia. [1996: 7] (40) La globalizzazione dei mercati, laccelerazione dei flussi migratori, i nuovi rischi tecnologici e ambientali, lemersione o rinascita dei conflitti etnici e religiosi rappresentano quindi sfide alla politica contemporanea, sfide che non possono essere affrontate unicamente al livello dei tradizionali Stati-nazione, ma richiedono anche unarticolazione politica dei problemi a livello globale (41). Questa diagnosi di crisi della politica o depoliticizzazione della societ moderna segnala un fenomeno che pu rafforzare, in certa misura, una tendenza usuale di diffidenza nei confronti dei politici e dellattivit politica in generale, coltivata di solito dai rappresentanti della burocrazia statale. Largomento tipicamente tecnocratico della parzialit dellattivit politica tradizionale e della sua assenza di compromesso nella valutazione neutrale degli interessi pubblici sembra essere rafforzato nel contesto contemporaneo del- (40) Secondo la prospettiva apocalittica o messianica riguardo le moderne societ occidentali svolta da Giorgio Agamben: La politica contemporanea questo esperimento devastante, che disarticola e svuota su tutto il pianeta istituzioni e credenze, ideologie e religioni, identit e comunit, per tornare poi a riproporne la forma definitivamente nullificata (1996: 88). (41) Sulla necessita di ripensare la politica e il diritto moderni nel contesto della globalizzazione, cfr. MARRAMAO 2009. 304 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 lincapacit degli Stati-nazione di gestire da soli i nuovi e inediti problemi di una societ globalizzata. Nel contesto brasiliano, sembra che la diffidenza e il pregiudizio generalizzato contro la politica rappresentino allo stesso tempo una causa ed un effetto del modello della consulenza legale come attivit di controllo. Una specie di circolo vizioso. Per un verso, i pregiudizi contro la politica, cio la riduzione dellattivit politica a una disputa meschina su potere e influenza fra partiti e fazioni, fa apparire come naturale la necessit di controllare eccessivamente i politici ed amministratori da tutte le parti, poich sono essi i responsabili per la presa delle decisioni politiche nella pubblica amministrazione. E per un altro verso, tale supposta necessit di un controllo burocratico eccessivo sulla politica d origine a diffidenze e gerarchie fra presunti controllori e controllati, diffidenze e gerarchie che soltanto rafforzano gli stereotipi dei burocrati o tecnocrati neutri e imparziali e dei politici e decisori in generali parziali e senza compromesso solido e stabile con gli interessi pubblici. Eppure gli organi di consulenza legale e gli organi di gestione, responsabili per la presa delle decisioni politico-amministrative, fanno entrambi parte della pubblica amministrazione. Ci significa che dovrebbero lavorare insieme, in regime di mutua collaborazione, e non in modo contrastante, come se luno dovesse controllare le attivit dellaltro in una posizione di superiorit o supremazia (42). LAvvocatura dello Stato di solito descritta come un organo tecnico (o tecnico-giuridico), di carattere non politico. Questo carattere non politico considerato essenziale per assicurarle la necessaria autonomia nella tutela dellinteresse pubblico (43). Lautonomia tecnica e la relativa indipendenza politica sono per caratteristiche di tutti gli organi burocratici della pubblica amministrazione, e non solo dei suoi organi di assistenza giuridica. Tutti gli organi, siano amministrativi o giuridici, devono cercare sempre di realizzare con imparzialit gli interessi pubblici. Perci la funzione dellAvvocatura dello Stato non deve essere identificata con una attivit di fiscalizzazione della legalit degli atti amministrativi, come se si trattasse di un organo superiore di (42) Sui conflitti che succedono spesso fra gli uffici di una stessa organizzazione a causa dellidentificazione dei loro membri con lufficio a cui appartengono piuttosto che con lorganizzazione in generale, cfr. SIMON 1967: 58-60. (43) Secondo lex Avvocato Generale dello Stato italiano Oscar Fiumara: LAvvocatura un organo essenzialmente tecnico, assolutamente non politico, di rappresentanza e difesa dello Stato in giudizio, cio del Governo, quindi esamina qualsiasi vertenza, qualsiasi problema da un punto di vista esclusivamente tecnico-giuridico. Proprio in virt di tale metodo lAvvocatura dello Stato, pur essendo incardinata nella Presidenza del Consiglio dei ministri, opera in piena autonomia al fine di apprestare la migliore tutela dellinteresse pubblico e collabora con tutti i poteri (2009: 1). Nel contesto brasiliano, si parla spesso dellindipendenza o autonomia funzionale dellAvvocatura dello Stato riguardo il potere esecutivo per difendere la stessa idea di autonomia nella tutela dellinteresse pubblico. Cfr. GUEDES & SOUZA 2009: 87-127. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 305 controllo interno dellamministrazione. Unaltra volta ci si deve soffermare su questo punto: consulenza legale non controllo, gli avvocati dello Stato non sono controllori. Come abbiamo gi visto, essi possono essere descritti meglio come traduttori, come coloro che devono tradurre ai politici e amministratori i vincoli giuridici che condizionano la loro discrezionalit. Se magari cՏ qualcosa che riguarda il controllo nella loro attivit, ci sarebbe unicamente la possibilit che gli avvocati presentano di assistere giuridicamente nel processo di autocontrollo della pubblica amministrazione. Un controllo per svolto dalla propria amministrazione, con lobiettivo di correggere e fiscalizzare le sue proprie attivit, situazione in cui lausilio giuridico degli avvocati sempre indispensabile (44). Anche se il rischio di corruzione e di inadempimento cosciente delle norme purtroppo sempre presente in tutti gli organi statali (possiamo dire pure: in tutta la societ) i politici e decisori in generale non possono essere guardati a priori con pregiudizio e diffidenza. La corruzione funziona (o almeno dovrebbe funzionare) ovviamente come un limite: davanti ad un fondato sospetto di corruzione, gli avvocati hanno il dovere di azionare i competenti organi di controllo affinch siano prese le apposite misure rivolte a evitare oppure riparare eventuali danni al patrimonio pubblico. Si tratta per di un dovere che spetta non solo agli avvocati, ma a tutti i funzionari pubblici. Davvero, a tutti i cittadini (45). Ma nuovamente ci non vuol dire che la consulenza legale si assomigli a unattivit di controllo. Fatto salvo il dovere irrinunciabile di prevenire e combattere la corruzione, la funzione della consulenza quella di fornire argomenti e giustificazioni che diano sostegno giuridico alle decisioni politico-ammini- (44) Nel contesto italiano, per esempio, non si parla mai dellAvvocatura dello Stato come un organo di controllo della pubblica amministrazione. La sua funzione piuttosto descritta come una funzione giustiziale: Nellesercizio del suo potere di persuasione lAvvocatura esercita una funzione che non n amministrativa n di giustizia, ma giustiziale, quasi di raccordo tra le due, dovendo da un lato, in sede di consulenza, indirizzare lazione pubblica istituzionale verso losservanza della legalit, e dallaltro lato, in sede giudiziaria sostenere le ragioni di legalit delloperato amministrativo a tutela degli interessi pubblici generali coinvolti nel giudizio (MANZARI 1987: 113). I pareri prodotti dallAvvocatura dello Stato italiana per non vincolano necessariamente lattivit della pubblica amministrazione: fatta salva la possibilit per lamministrazione consultante di disattendere il parere reso dallAvvocatura dello Stato, sia esso facoltativo od obbligatorio, fermo restando che per pacifico riconoscimento anche giurisprudenziale lorientamento contrario a quello espresso dallorgano legale consultivo impegna in modo particolare lente sul piano motivazionale, richiedendosi adeguata giustificazione del dissenso nellatto amministrativo conclusivo del procedimento ausiliato (sito internet: http://www.avvocaturastato.it/?q=node/86, ultimo acesso: 30.11.2010). Sul supposto carattere vincolante di alcuni dei pareri prodotti dallAvvocatura dello Stato brasiliana, piuttosto in materia di contratti di appalto, e sulla responsabilit degli avvocati riguardo le conseguenze delle decisioni guidate da questi pareri, cfr. GUEDES & SOUZA 2009: 139-164. (45) Sullattuazione dellAvvocatura dello Stato brasiliana nella difesa del patrimonio pubblico in giudizio attraverso il recupero di attivi pubblici e la punizione di funzionari corrotti, cfr. GUEDES E SOUZA 2009: 485-499. 306 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 strative e che permettano una valutazione previa dei loro rispettivi rischi e conseguenze giuridiche. Argomenti e giustificazioni che devono essere resi pubblici e trasparenti e che poi possano essere utilizzati anche per difendere le decisioni stesse davanti agli organi di controllo (tribunali, commissioni parlamentari, corti dei conti, ecc). Il dibattito istituzionale su tesi giuridiche diverse fra le organizzazioni della pubblica amministrazione e gli organi di controllo, purch realizzato con pubblicit, trasparenza e responsabilit, qualcosa di salutare alla democrazia, e non qualcosa della quale si dovrebbe aver timore o paura. Perci importante guardare la politica senza pregiudizi, assistere i politici e gli amministratori senza diffidenza, tradurre loro il diritto vigente senza qualsiasi tipo di sentimento corporativista di superiorit. Limportanza dellattivit tipicamente politica e la complementarit fra politica e amministrazione burocratica, fra politici di professione e funzionari amministrativi, veniva gi teorizzata dalla sociologia politica weberiana. I politici sono legittimati ad esercitare la guida politica dello Stato e ad assumere la responsabilit per la presa delle principali decisioni statali. I funzionari amministrativi invece hanno la preparazione e la specializzazione tecnica e professionale necessaria allimplementazione impersonale delle decisioni statali e allausilio tecnico-burocratico essenziale alla loro formulazione. Si tratta per di due ruoli diversi e complementari che non vanno confusi o mescolati (46). LAvvocatura dello Stato deve quindi svolgere la sua funzione di consulenza legale allamministrazione consapevole dellimportanza e dellimpatto di questa attivit nella qualit delle politiche pubbliche formulate ed escutate dallo Stato. Ossia deve capire il senso specificamente politico del suo agire, un senso positivo, non necessariamente collegato alle usuali dispute su potere e influenza che caratterizzano tutti i regimi politici, ma di collaborazione e coinvolgimento nellimplementazione delle politiche pubbliche e nel raggiungimento dei loro obiettivi. Deve dunque guardare lattivit politico-amministrativa nella quale necessariamente coinvolta senza pregiudizi. (46) Cfr. WEBER 2004: 72-74. Daccordo con Weber: [...] la burocrazia ha fallito completamente dove stata investita di questione politiche. [...] Infatti nelle condizioni moderne listruzione specializzata costituisce il presupposto indispensabile per la conoscenza dei mezzi tecnici necessari per il raggiungimento di fini politici. Ma stabilire fini politici non un compito tecnico, e il funzionario specializzato non deve, semplicimente in quanto tale, determinare la politica (1999: 533-535). CONTRIBUTI DI DOTTRINA 307 Conclusione Scusa, allenatore, ma su tutta questa roba, ti sei gi messo daccordo con i russi? (Garrincha) Prima dellultima partita del girone del mondiale di calcio del 1958, contro lex-Unione Sovietica, lallenatore brasiliano stava spiegando ai suoi calciatori come dovevano comportarsi durante la partita, con quale schema tattico dovevano giocare, cosa dovevano fare in campo. Perci aveva tantissimi disegni che riassumevano le diverse posizioni che i calciatori della squadra brasiliana avrebbero dovuto tenere rispetto a quelle che avrebbero ricoperto i calciatori della squadra sovietica. Un vero esercizio di previsione su cosa avrebbero fatto i sovietici e di anticipazione delle contromisure che avrebbero dovuto essere prese dai brasiliani. Alla fine, Garrincha, calciatore specialmente conosciuto per le sue incredibili abilit di dribbling e per il suo grande umorismo, alz la mano e chiese allallenatore: Scusa, allenatore, ma su tutta questa roba, ti sei gi messo daccordo con i russi?. Il Brasile vinse la partita per due a zero e poi fu campione del mondiale per la prima volta nella sua storia. Garrincha e Pel, che allepoca aveva appena diciassette anni, furono considerati i migliori calciatori del mondiale. In questa partita specifica contro lex Unione Sovietica, limmagine dei sovietici che quasi cadevano a terra a causa delle finte di Garrincha entr definitivamente nella storia del calcio mondiale (47). Dopo aver letto attentamente un parere reso da un organo di consulenza legale su una questione di grande rilievo, il politico o lamministratore potrebbe forse domandare allavvocato che lha scritto: Ma guarda, su tutti questi argomenti, ti sei gi messo daccordo con i giudici, con gli organi di controllo, con le comissioni parlamentari che poi sicuramente mi chiederanno informazioni e giustificazioni?. La risposta ovviamente no. Su queste cose non ci si accorda. Perci tutta lattivit di consulenza legale , in certa misura, un po schizofrenica. Nonostante tutti gli argomenti, giustificazioni e tentativi di anticipazione delle possibili conseguenze, la realt futura del sistema giuridico non mai raggiungibile. Abbiamo visto come le concezioni classiche sullinterpretazione giuridica e sul principio di legalit prodotte dal positivismo giuridico ottocentesco, e che ancora oggi si fanno presenti nella pratica forense e amministrativa e nella dogmatica giuridica tradizionale, rappresentano un ostacolo ad una comprensione adeguata delle attivit di consulenza legale. Linterpretazione loperazione centrale del sistema giuridico, unoperazione complessa e creativa, mai (47) Ringrazio nuovamente lamico Renato Bigliazzi per avermi suggerito questo esempio calcistico. 308 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 meccanica. Operazione quotidianamente svolta dalla pubblica amministrazione nelladempimento della sua funzione di implementare le politiche pubbliche necessarie alla promozione dei diritti fondamentali dei cittadini. Una funzione che soltanto attraverso una riduzione grossolana e anacronistica pu ancora essere descritta come semplice esecuzione di leggi. Nella formulazione ed esecuzione delle politiche pubbliche, le attivit di consulenza legale giocano un ruolo fondamentale nel chiarimento dei vincoli giuridici che limitano la discrezionalit dei politici e amministratori, offrendo loro lopportunit di analizzare in anticipo le diverse possibilit di scelta disponibili ed i possibili rischi e conseguenze giuridiche delle loro decisioni. Perci la consulenza legale pu essere descritta come unattivit di traduzione fra diritto e politica, unattivit essenziale alla democratizzazione delle decisioni politico-amministrative. Traducendo il diritto vigente e contribuendo alla pubblicit e trasparenza dei criteri giuridici che orientano le decisioni statali, essa agevola il loro controllo istituzionale e sociale allo stesso tempo che rende possibile una presa di decisione pi furba e responsabile. Questa metafora della traduzione utile anche per confutare il modello della consulenza legale come attivit di controllo, modello che purtroppo si sta affermando a poco a poco nel contesto dellAvvocatura dello Stato brasiliana. Si tratta ovviamente di un modello storto che, oltre a mischiare e confondere i ruoli diversi degli avvocati e degli organi di controllo, viene di solito accompagnato da uno sguardo diffidente e pieno di pregiudizi sullattivit politica. Bisogna allora che gli avvocati capiscano limportanza politica della propria consulenza, vale a dire il suo impatto sulla qualit delle politiche pubbliche implemantate dallo Stato, e si coinvolgano veramente nellottenzione degli obiettivi di esse. Bisogna insomma che guardino la politica senza pregiudizi. In Brasile gli organi di controllo (tribunali, pubblico ministero, corte dei conti) hanno gi creato una loro identit propria. Le loro attivit sono senza ombra di dubbio essenziali alla democratizzazione dello Stato, anche se ogni tanto ci si lamenta di un supposto controllo eccessivo che soffocherebbe, in certa misura, la pubblica amministrazione, creando presunti ostacoli alla sua capacit di azione ed innovazione. Questi sono conflitti usuali in ogni regime democratico, nel senso che fanno parte della propria democrazia, fatta piuttosto di dissensi e dispute che non di consensi e armonie artificialmente (o autoritariamente) prodotti. Il ruolo dellAvvocatura dello Stato come organo di consulenza legale dellamministrazione funziona (o almeno dovrebbe funzionare) dunque come contromisura o contrappeso, nel senso di rendere possibile il dialogo (ogni tanto conflittuale) fra lamministrazione e gli organi di controllo (possiamo forse dire: fra politica e diritto). Se tutti hanno il diritto a essere difesi da un avvocato, perch non lavrebbe anche lo Stato, che rappresenta lunione politica di tutti i cittadini? CONTRIBUTI DI DOTTRINA 309 LAvvocatura dello Stato brasiliana unistituzione relativamente giovane. Se ci si allontana un po dal profilo degli organi di controllo (del Pubblico Ministero, piuttosto), ci si pu vedere che cՏ ancora molto spazio da essere riempito. Gli avvocati dovrebbero allora profittarne meglio. Bibliografia AGAMBEN, GIORGIO, 1996. Mezzi senza fine: note sulla politica. Torino: Bollati Boringhieri. AGAMBEN, GIORGIO, 2003. Stato di eccezione. Homo sacer, II, 1. Torino: Bollati Boringhieri. AGAMBEN, GIORGIO, 2007. Il Regno e la Gloria: per una genealogia teologica delleconomia e del governo. Homo sacer, II, 2. Vicenza: Neri Posa. ALEXY, ROBERT, 1998. Sistema jurdico, principios jurdicos y razn prctica. Revista Doxa, 5: 139 ss. ALPA, GUIDO, 2005. Lavvocato: i nuovi volti della professione forense nellet della globalizzazione. Bologna: il Mulino. BARALDI, CLUDIO, GIANCARLO CORSI & ELENA ESPOSITO, 1996. 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Torino: Einaudi. 312 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 In tema di pubblico impiego privatizzato Il discrimine temporale ai fini del riparto di giurisdizione tra atti di gestione e dato storico Lilia Marra e Concetta Quartuccio* Roberto Antillo** SOMMARIO: 1) Breve premessa sul processo di privatizzazione del rapporto di pubblico impiego: le c.d. categorie escluse e le categorie ripubblicizzate. 2) Cenni sulla problematica afferente lindividuazione della giurisdizione in materia concorsuale. 3) Il discrimine temporale ai fini del riparto di giurisdizione in materia di pubblico impiego privatizzato tra atti di gestione e dato storico. 4) Repertorio di casi nei quali si affrontato il profilo della giurisdizione: a) Controversia in tema di differenze retributive e regolarizzazione della posizione pensionistica definita con sentenza n.1164 del 23 ottobre 2009 della Corte di Appello di Reggio Calabria, Sezione Lavoro, resa in conformit a Corte di Cassazione, S.U., sentenza 7943 del 27 marzo 2008; b) Controversia in tema di azione di condanna dellamministrazione per le spettanze retributive da incarico di reggenza definita con sentenza n. 605/05 R.S. del 18 novembre 2005 della Corte dAppello di Reggio Calabria, Sezione Lavoro, e Cassazione S.U. 23 aprile 2008 n. 10450 con riferimento ad una controversia in tema di azione di condanna dellamministrazione per le spettanze retributive da incarico di reggenza; c) Controversia in tema di computo dellindennit di buonuscita definita con sentenza n. 764 del 2006 della CdA di Reggio Calabria e Cassazione, S.U., sentenza n. 2054 del 31 gennaio 2006. 5) Le categorie escluse dalla privatizzazione ed il criterio di riparto di giurisdizione in tema di azione risarcitoria: controversia avente ad oggetto il risarcimento del danno per la lesione alla integrit psicofisica (diritto primario), in relazione al provvedimento di sospensione cautelare dal servizio di un sovraintendente della Polizia di Stato: sentenza della Corte dappello di Reggio Calabria, Sezione Lavoro, n. 186/2010 R.S. del 13 maggio 2010, resa in conformit a Cassazione, S.U., sentenza n. 5785 del 4 marzo 2008. 1. Breve premessa sul processo di privatizzazione del rapporto di pubblico impiego: le c.d. categorie escluse e le categorie ripubblicizzate A quasi due decenni dallentrata in vigore della Legge del 3 febbraio 1993 n. 29, che ha avviato il processo di privatizzazione del pubblico impiego, le problematiche relative alla giurisdizione afferente le controversie di lavoro, almeno con riferimento al discrimine temporale, del 30 giugno 1998, valido ai fini del riparto, possono (forse) dirsi definitivamente assopite, al punto di tentare di ripercorrerne le tappe, attraverso la rassegna di alcune controversie svoltesi dinanzi agli Uffici giudiziari del distretto della Corte dappello di Reg- (*) Dottori in Giurisprudenza ammessi alla pratica forense presso lAvvocatura dello Stato. (**) Avvocato dello Stato. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 313 gio Calabria e definite alla stregua delle pronunce delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione. Pu essere opportuno rammentare, brevemente, che, prima dellavvio della avviata riforma, il rapporto di pubblico impiego aveva natura pubblicistica, in un contesto in cui le difficolt avvertite nel tracciare una netta linea di confine tra le situazioni giuridiche di interesse legittimo e diritto soggettivo, concernenti il rapporto di lavoro, avevano indotto il legislatore del 1923 (1) a devolvere alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo la totalit delle controversie di lavoro dei dipendenti delle Pubbliche Amministrazioni, con la conseguenza che tanto gli atti di costituzione, di gestione e di estinzione del rapporto di lavoro, espressione di un potere autoritativo, quanto quelli di natura paritetica di contenuto retributivo-economico, venivano assoggettati ad ununica giurisdizione (quella amministrativa). A seguito del processo di privatizzazione del pubblico impiego, invece, si proceduto ad unimmediata assimilazione dei pubblici dipendenti ai lavoratori privati, con la conseguente devoluzione della tutela giudiziale alla giurisdizione ordinaria. Il regime di giurisdizione che ne derivato disciplinato dallart. 63 del D.Lgs. n. 165/2001 (ex art. 68, comma 1, del D.Lgs. n. 29/1993 nella stesura di cui all'art. 18, D.Lgs. 29 ottobre 1998, n. 387), il quale prevede che al giudice ordinario vengano devolute tutte le controversie inerenti ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, ad eccezione di quelle relative ai rapporti di lavoro di cui al comma 4, incluse le controversie concernenti lassunzione al lavoro, il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali e la responsabilit dirigenziale, nonch quelle concernenti le indennit di fine rapporto, comunque denominate e corrisposte, ancorch vengano in questione atti amministrativi presupposti. In merito alle categorie eccettuate, il legislatore allart. 2, comma 4, del D.Lgs. n. 29/1993, ora art. 3 del D.Lgs. n. 165/2001, ha ritenuto opportuno mantenere la giurisdizione del giudice amministrativo per le controversie relative alle categorie di lavoratori che rimangono escluse dal processo di privatizzazione, le c.d. categorie non contrattualizzate, quali i magistrati ordinari, amministrativi e contabili, gli avvocati ed i procuratori dello Stato, il personale militare e delle Forze di polizia di Stato, il personale della carriera diplomatica, il personale della carriera prefettizia a partire dalla qualifica di vice consigliere di prefettura, i professori ed i ricercatori universitari, i dipendenti degli enti che svolgono la loro attivit nelle materie contemplate dallart. 1 D.Lgs. C.p.S. 17 luglio 1947 n. 691 e dalle leggi 4 giugno 1985, n. 281 e 10 ottobre 1990, n. 287, vale a dire, rispettivamente, il personale della Banca dItalia, della CONSOB e dellAutorit garante della concorrenza e del mercato. (1) Decreto Legislativo 2480/1923 recepito nel T.U. C.d.S. del 1924. 314 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 In ultimo, il legislatore ha provveduto a ripubblicizzare categorie di dipendenti che erano state originariamente ricomprese nel processo di privatizzazione. Si vedano, in proposito, i commi 1-bis ed 1-ter dellart. 3 (introdotti, rispettivamente, dalle leggi 30 settembre 2004, n. 252 e 27 luglio 2005, n. 154) i quali prevedono che il rapporto di impiego degli appartenenti al Corpo dei vigili del fuoco e del personale della carriera dirigenziale penitenziaria, in deroga allart. 2, commi 2 e 3, del D. Lgs. n. 165 del 2001, sia disciplinato in regime di diritto pubblico secondo il rispettivo ordinamento. Lesclusione dal processo di privatizzazione si giustifica in ragione della peculiare connotazione pubblicistica delle funzioni demandate, che, sul piano tecnico-giuridico, si risolve nel c.d. principio di specialit, pi volte riaffermato anche dalla Corte costituzionale (2) per legittimare le deroghe soggettive a forme di privatizzazione. Anche la dottrina (3) ha evidenziato che lo "speciale" regime riservato alle categorie non contrattualizzate potesse trovare ragionevole giustificazione in relazione ai fini assunti in via diretta dallo Stato che sono, per natura o per valutazione insindacabile del legislatore, tra quelli basilari per l'esistenza stessa e per il mantenimento delle condizioni indispensabili alla vita della Comunit. 2. Cenni sulla problematica afferente lindividuazione della giurisdizione in materia concorsuale Al di l delle predette categorie di pubblico impiego, ai sensi dellart. 63, comma 4, del d.lsg.vo n.165/2001, resta, altres, ferma, la giurisdizione amministrativa sulle procedure concorsuali di ammissione al rapporto di lavoro, trattandosi di atti che evidentemente conservano natura pubblicistica in quanto antecedenti alla costituzione del rapporto e che non sono, quindi, influenzati dalla sua privatizzazione. La scelta appare in linea con il criterio di riparto fondato sulla causa petendi in quanto la procedura concorsuale, indicata dalla Costituzione come indefettibile ai fini dellaccesso al pubblico impiego (art. 97), una procedura ad evidenza pubblica i cui atti hanno natura amministrativa e pertanto, i partecipanti ad essa sono titolari di meri interessi legittimi alla corretta esplicazione della selezione. Mentre, ai sensi del comma 1 dellart. 63 del citato decreto legislativo spettano al giudice ordinario le controversie concernenti lassunzione al lavoro. Nonostante lapparente chiarezza dispositiva delle predette norme, nella realt pratica il discrimine tra le due giurisdizioni stato spesso controverso. (2) Corte cost., 21 luglio 1988, n. 860; Corte cost., 25 novembre 2005, n. 430. (3) ARMANDO POZZI, Il contenzioso lavoristico delle carriere non privatizzate innanzi al giudice mministrativo: principio di specialit, discrezionalit tecnica, risarcimento del danno, pregiudizialit amministrativa, colpa dell'amministrazione, in Lav. nelle p.a. 2007, 06, 1031. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 315 E cos per esempio una problematica particolarmente dibattuta ha riguardato, come noto, lindividuazione della giurisdizione con riferimento ai concorsi interni per progressione verticale riservati ai dipendenti gi in servizio. Aspetto questultimo che sembrerebbe definitivamente assestato secondo giurisprudenza con laffermazione della giurisdizione del G.A. per i concorsi esterni, per quelli misti e per i concorsi interni per la progressione verticale di carriera e, viceversa, con il riconoscimento della giurisdizione del G.O. in caso di concorsi interni per la progressione orizzontale da una qualifica ad un'altra nell'ambito della stessa area funzionale (Corte Cass. Sez. Un. del 15 ottobre 2003 n. 15403; Cfr. Cass. civ. Sez. Unite, 20 aprile 2006, n. 9168). Ancora pi recentemente, Cass. civ. Sez. Unite, 7 febbraio 2007, n. 2969 secondo cui: In materia di riparto di giurisdizione nelle controversie relative a procedure concorsuali per l'assunzione di pubblici dipendenti, la giurisdizione deve essere attribuita al giudice ordinario o a quello amministrativo sulla base dei seguenti criteri: a) giurisdizione del giudice amministrativo nelle controversie relative a concorsi per soli candidati esterni; b) identica giurisdizione nelle controversie relative a concorsi misti, restando irrilevante che il posto da coprire sia compreso o meno nell'ambito della medesima area funzionale alla quale sia riconducibile la posizione di lavoro di interni ammessi alla procedura selettiva, poich, in tal caso, la circostanza che non si tratti di passaggio ad area diversa viene vanificata dalla presenza di possibili vincitori esterni; c) ancora giurisdizione amministrativa quando si tratti di concorsi per soli interni che comportino passaggio da un'area funzionale ad un'altra, spettando, poi, al giudice del merito la verifica di legittimit delle disposizioni che escludono l'apertura del concorso all'esterno; d) residuale giurisdizione del giudice ordinario nelle controversie attinenti a concorsi per soli interni, che comportino passaggio da una qualifica ad un'altra, ma nell'ambito della medesima area funzionale o della medesima categoria. 3. Il discrimine temporale ai fini del riparto di giurisdizione in materia di pubblico impiego privatizzato tra atti di gestione e dato storico Gli effetti transitori del passaggio della tutela giudiziale dal giudice amministrativo a quello ordinario, sono regolati dalla sola breve previsione contenuta nellart. 69, comma, 7 del D.lgs.vo su citato, il quale testualmente recita Sono attribuite al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, le controversie di cui all'articolo 63 del presente decreto, relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro successivo al 30 giugno 1998. Le controversie relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore a tale data restano attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo solo qualora siano state proposte, a pena di decadenza, entro il 15 settembre 2000. 316 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 Anche in questo caso, al pari di quanto occorso in materia di procedure concorsuali, la normativa test riportata ha dato luogo a diversi dubbi interpretativi che, come su anticipato, sono stati affrontati, almeno per taluni profili, in controversie pendenti presso le locali sedi giudiziarie che si portano in rassegna come segue. 4. Casistica di ricorsi nei quali si affrontato il profilo della giurisdizione: 4.1. Controversia in tema di differenze retributive e regolarizzazione della posizione pensionistica definita con sentenza n. 1164 del 23 ottobre 2009 della Corte di Appello di Reggio Calabria, Sezione Lavoro, resa in conformit a Corte di Cassazione, S.U., sentenza 7943 del 27 marzo 2008 Con ricorso depositato in data 28 aprile 2004 innanzi al Tribunale di Reggio Calabria, la Sig.ra S. R., dipendente dellUniversit degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria, conveniva in giudizio la suddetta Amministrazione, al fine di ottenere il riconoscimento, sotto il profilo giuridico ed economico, dellanzianit di servizio maturata dal 1 gennaio 1991 (data di assunzione dei vincitori del concorso pubblico bandito nellaprile dellanno 1990, al quale concorso la stessa era stata in un primo momento esclusa) al 1 aprile 1992 e, conseguentemente, la condanna alla corresponsione degli emolumenti stipendiali non percepiti in tale periodo. La ricorrente chiedeva, altres, la corresponsione delle differenze retributive relative al periodo intercorrente tra il 1 apirle 1992 ed il 1 novembre 2002 (alla luce del passaggio dalla qualifica ricoperta alle dipendenze del Ministero del Lavoro a quella ricoperta alle dipendenze dellUniversit), nonch la regolarizzazione della posizione pensionistica. Listante chiedeva, infine, il risarcimento di tutti i danni morali e materiali, consistenti, tra laltro, nella perdita di chance. Si costituiva in giudizio nellUniversit degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria, la lAvvocatura Distrettuale dello Stato di Reggio Calabria, la quale, sostenendo che si trattasse di questione anteriore al 1998, deduceva, preliminarmente, il difetto di giurisdizione del giudice adito e, nel merito, linfondatezza e la genericit della pretesa. Con sentenza n. 1715/04, emessa in data 7 ottobre 2004, il giudice di prime cure accoglieva leccezione sollevata dalla difesa erariale, dichiarando il difetto di giurisdizione. A sostegno di tale decisione, il Tribunale di Reggio Calabria richiamava lorientamento della giurisprudenza di legittimit che stabiliva che per i ricorsi proposti dopo il 15 settembre 2000 riconosceva il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore di quello amministrativo, allorquando si trattasse di questioni i cui fatti materiali e giuridicamente rilevanti CONTRIBUTI DI DOTTRINA 317 ricadevano alla data del 30 giugno 1998. In particolare, il predetto Giudicante, nel riferirsi alla pronuncia della Cassazione, Sezioni Unite, 639/2002 secondo cui, ai fini del riparto della giurisdizione, rileva il dato storico, costituito dallavverarsi dei fatti materiali e delle circostanze, come poste a base della pretesa avanzata, in relazione alla cui giuridica rilevanza sia insorta controversia riteneva che, ove la lesione del diritto del lavoratore fosse stata prodotta da un atto provvedimentale o negoziale anteriore alla data del 30 giugno 1998, si sarebbe dovuto fare riferimento all'epoca della sua emanazione, ragion per cui non sarebbero state frazionabili in due periodi distinti le pretese derivanti da un unico rapporto, dovendosi attribuire la competenza a fronte di un'unica questione alla giurisdizione amministrativa. Proposto gravame avverso la decisione, la Corte di Appello di Reggio Calabria, con sentenza n. 1164 del 23 ottobre 2009, perveniva, in accoglimento dellavverso appello, ad una parziale revisione della pronuncia, richiamando i principi enucleati dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con pronuncia n. 7943 del 27 marzo 2008, di cui si riporta parte della motivazione come di seguito, mostrando di superare liniziale orientamento dottrinale e giurisprudenziale che agganciava il discrimine temporale al momento storico dell'avverarsi dei fatti materiali e delle circostanze, quale dato unico a cui riferirsi al fine della individuazione della giurisdizione. Con il ricorso, articolato in numerose censure, la L. sostiene che la Corte territoriale ha violato il disposto del D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 45, comma 17, perch il petitum sostanziale di cui alla controversia in esame comportava l'attribuzione della controversia stessa al giudice ordinario con riferimento al risarcimento dei danni conseguenti alla ritardata costituzione del rapporto di impiego con il Ministero della Giustizia - ed al mancato percepimento degli stipendi ed alla violazione degli altri diritti connessi al rapporto di pubblico impiego - anche per il periodo sino al 30 giugno 1998, per essere in questo senso rivolte le conclusioni e la sostanza delle domande proposte davanti ai giudici di merito. Aggiunge che altra soluzione poteva essere rappresentata da una rimeditazione della decadenza di cui al D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, art. 45, comma 17, quale trasfuso nel D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 69, comma 7, nel senso di ritenere, con una interpretazione costituzionalmente orientata, che tale norma integri una decadenza di natura processuale per avere il legislatore inteso stabilire un termine entro il quale i diritti nati in vigenza del precedente ordinamento possono essere azionati davanti al giudice che si spogliato per il futuro della giurisdizione esclusiva del rapporto stesso. Denunzia, infine, che nel merito la Corte territoriale ha errato nel rigettare la domanda del risarcimento dei danni per perdita di chance per mancanza di supporto probatorio, dimenticando il tal modo il criterio della vicinanza della 318 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 prova secondo il quale non pu addossarsi il relativo onere a chi non pu detta prova fornire perch la documentazione relativa ai concorsi espletati e di cui si era constata la irregolarit erano in possesso del datore di lavoro e della pubblica amministrazione, cui le norme di rito consentivano di imporne l'esibizione. Tutte le esposte censure, da esaminarsi congiuntamente per comportare l'esame di questioni tra loro strettamente connesse, vanno rigettate perch prive di fondamento e con esse va rigettato il ricorso, che dette censure contiene. Queste Sezioni Unite hanno statuito che nell'ipotesi di inquadramento in ruolo nel pubblico impiego in seguito a ricorso in giudizio dinanzi al giudice amministrativo - con retrodatazione della nomina a fini giuridici, ma non a quelli economici - la controversia instaurata nei confronti della P.A., avente ad oggetto le differenze retributive, appartiene alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi del D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 45, comma 17, (ora D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, comma 7), essendo il rapporto di lavoro costituito fin dalla data stabilita giudizialmente (cfr. in tali sensi tra le altre: Cass., Sez. Un., 16 novembre 2007 n. 23738; Cass., Sez. Un., 20 aprile 2006 n. 9153, Cass., Sez. Un., 11 gennaio 2005 n. 317). L'indicato criterio di riparto della giurisdizione (D.Lgs. n. 80 del 1998 cit., ex art. 45, comma 17) vale, quindi, anche per l'individuazione del giudice cui va devoluta la giurisdizione per quanto attiene alla domanda di risarcimento per perdita di chance. Consegue da tutto ci che nessun addebito pu muoversi alla decisione della Corte d'appello di Torino che - per quanto riguarda la domanda del risarcimento danni per il mancato pagamento delle retribuzioni e degli scatti di anzianit maturati successivamente al 1 luglio 1998 - ha riconosciuto la giurisdizione del giudice ordinario ed ha rimandato le parti, ai sensi del disposto dell'art. 353 c.p.c., comma 1, davanti al primo giudice, mentre ha poi dichiarato il proprio difetto di giurisdizione sulla domanda di risarcimento del danno per la perdita di chance sino al 30 giugno 1998, respingendo invece la stessa domanda per il periodo successivo. Pertanto, alla stregua della predetta giurisprudenza di legittimit, la locale Corte frazionava cronologicamente le pretese e, conseguentemente riconosceva in favore della dipendente le richieste retributive ed economiche relative al periodo successivo alla data del 30 giugno 1998. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 319 4.2. Controversia in tema di azione di condanna dellAmministrazione per le spettanze retributive da incarico di reggenza definita con Sentenza n. 605/05 R.S del 18 novembre 2005 della Corte dAppello di Reggio Calabria, Sezione Lavoro, e Cassazione S.U. 23 aprile 2008 n. 10450 relativamente ad una controversia in tema di azione di condanna dellAmministrazione per le spettanze retributive da incarico di reggenza Con ricorso depositato in cancelleria in data 19 marzo 2001, il signor P. B. adiva il Giudice del Lavoro di Reggio Calabria, chiedendo la condanna del Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali agli emolumenti retributivi, ai ratei di indennit ed agli oneri previdenziali, oltre accessori di legge, relativamente allincarico svolto quale direttore reggente presso lAgenzia Regionale per lImpiego della Regione Calabria dal 17 novembre 1995 sino al 25 novembre 1999, giusto atto di conferimento dellincarico del 12 gennaio 1996. Rappresentava al riguardo che il protrarsi dellincarico per oltre quattro anni aveva fatto venir meno il requisito principale dellistituto della reggenza, che costituito dalla limitatezza temporale, con la conseguenza che tale attivit non poteva essere ricompresa nei doveri nascenti dal rapporto di impiego aggiuntivo, e che, pertanto, detta attivit andava retribuita con il corrispondente trattamento economico. Chiedeva, quindi, che il Ministero del Lavoro fosse condannato a corrispondergli a titolo di compenso e nella forma di trattamento accessorio la somma di 92.225.000 per lattivit di reggenza svolta dal 1 luglio 1998 al 25 novembre 1999. In via subordinata, chiedeva la corresponsione della medesima somma a titolo di indennizzo per indebito arricchimento, avvalendosi di quel rimedio che, per, lordinamento concede esclusivamente in via residuale; nel caso de quo la legittimit di una simile domanda appariva alquanto dubbia, a fronte dellesistenza di unapposita azione di natura contrattuale. Costituitasi in giudizio lamministrazione resistente, ed in accoglimento della sollevata eccezione di difetto di giurisdizione della difesa erariale, il Tribunale dichiarava, con sentenza n. 495/02 R.S. dell8 novembre 2002, il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, posto che il fatto costituitivo su cui si basava il diritto azionato, era dato dallincarico di reggenza conferito in data 12 gennaio 1996. La predetta decisione, tuttavia, veniva appellata con ricorso del 5 febbraio 2003, con il quale controparte chiedeva la riforma sul punto, evidenziando che il fatto materiale in ordine alla cui rilevanza giuridica sia insorta la controversia va identificato nel rifiuto opposto dallamministrazione, in data 23 novembre 2000, in sede conciliativa di procedere alla remunerazione del lavoro aggiuntivo effettivamente svolto. La Corte dAppello con sentenza n. 605/05 R.S. accoglieva il proposto 320 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 gravame, aderendo allorientamento giurisprudenziale di legittimit secondo il quale in tema di impiego pubblico privatizzato, il discrimine temporale fra giurisdizione ordinaria e amministrativa va individuato, alla luce dellart. 69, comma 7, del d. lgs. 30 marzo 2001 n. 165, con riferimento non ad un atto giuridico o al momento di instaurazione della controversia, bens al dato storico costituito dallavverarsi dei fatti materiali e delle circostanze poste alla base della pretesa avanzata, sicch, quando essa abbia ad oggetto spettanze retributive, rileva il periodo di maturazione delle stesse, non le date di compimento degli atti di gestione del rapporto, ancorch abbiano determinato linsorgere della questione litigiosa: il perfezionamento della fattispecie attributiva del diritto di credito, anche sotto il profilo della sua esigibilit, consente infatti di accedere alla tutela giurisdizionale indipendentemente dallemanazione, da parte dellamministrazione datrice di lavoro, di atti di gestione del rapporto obbligatorio (Cass. S.U. n. 601 del 14 gennaio 2005). Proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza del Giudice di secondo grado, con sentenza n. 10450 del 23 aprile 2008 la S.C. ha confermato la decisione della Corte dAppello di Reggio Calabria, con il conseguente definitivo rigetto dellopposta tesi secondo cui il fatto materiale dovesse individuarsi nellatto di conferimento dell'incarico e che, per leffetto, le pretese retributive relative all'epoca successiva alla data del suddetto conferimento costituissero meri effetti consequenziali del provvedimento attributivo dell'incarico. Le Sezioni Unite, nelloccasione, hanno ribadito che quando la domanda del dipendente abbia ad oggetto spettanze retributive, rileva il periodo di maturazione delle stesse, non l'epoca di compimento degli atti di gestione del rapporto, ancorch abbiano determinato l'insorgere della questione litigiosa; sicch quando il lavoratore, sul presupposto dell'avverarsi di determinati fatti, riferisca le proprie pretese relative a differenze retributive ad un periodo in parte anteriore e in parte successivo alla data su indicata, la competenza giurisdizionale non pu che essere distribuita tra Giudice amministrativo in sede esclusiva e Giudice ordinario, in relazione a due periodi. 4.3. Controversia in tema di computo dellindennit di buonuscita definita con sentenza n. 764 del 2006 della CdA di Reggio Calabria e Cassazione, S.U., sentenza n. 2054 del 31 gennaio 2006 Con ricorso depositato in data 29 luglio 2005 la signora M. F., quale docente di un istituto superiore secondario, nel premettere che aveva fatto richiesta di conseguire il riscatto degli anni pre-ruolo anteriore alla nomina e che il conteggio del relativo servizio non includeva gli anni universitari, chiedeva, in sede giudiziale, stante lesito negativo delle istanze rivolte in via amministrativa, che le venisse riconosciuto nei confronti dellINPDAP e del Ministero CONTRIBUTI DI DOTTRINA 321 dellIstruzione, della Ricerca e dellUniversit, il diritto di riscattare gli anni di laurea ai fini della liquidazione dellindennit di buona uscita. Instauratosi il contraddittorio, il Tribunale con sentenza n. 764/06 dichiarava il proprio di difetto di giurisdizione, in considerazione del fatto che il dato storico costituito dallavverarsi dei fatti materiali e delle circostanze, poste a base della pretesa, doveva essere collocato in data antecedente al 30 giugno 1998, ovvero al momento della presentazione della domanda di riscatto avvenuto nel 1966. Con ricorso in appello del 29 giugno 2006, la signora M. F. proponeva impugnazione avverso la suddetta decisione e la competente Corte dAppello, in accoglimento del gravame, ha dichiarato la sussistenza della giurisdizione del giudice di primo grado. Al tal fine, il giudice di secondo grado si limitato a richiamare il precedente giurisprudenziale costituito dalla sentenza della Corte di Cassazione, sezione Unite, n. 2054 del 31 gennaio 2006, secondo cui le spettanze di fine rapporto attengono a pretese che, per la dottrina e per la giurisprudenza, si perfezionano al momento della cessazione del rapporto - che come si evince dagli atti non risulta essersi verificata per essere i ricorrenti ancora in servizio - anche se riconosciuta prospettabile la domanda dei lavoratori volta ad ottenere un accertamento nei confronti del datore di lavoro diretto ad individuare la base di computo del loro trattamento di fine rapporto. La cognizione spetta dunque al Giudice ordinario in quanto il diritto fatto valere va riferito a un periodo in ogni caso successivo al 30 giugno 1998, data indicata dal D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, art. 45, comma 17 (e riprodotta dal D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 69, comma 7) come discrimine per il passaggio dal Giudice amministrativo al Giudice ordinario delle controversie sui rapporti di pubblico impiego privatizzati, non potendosi in contrario addurre la previsione della L. 20 marzo 1980, n. 75, art. 6, che assegna alla giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo le controversie in materia di indennit di buonuscita e di indennit di cessazione del rapporto di impiego, per riguardare detta disposizione solo il personale di Stato e delle Aziende autonome e non gli enti diversi (cfr. da ultimo: Cass., Sez. Un., 18 aprile 2003 n. 6343; Cass., Sez. Un., 9 agosto 2001 n. 10978). Diversa invece la soluzione prospettata dalla Suprema Corte in ordine alle spettanze economiche: La domanda relativa alle spettanze economiche (per compenso per lavoro straordinario) decorrenti a partire dal 1 gennaio 1993 induce - diversamente da quanto si deciso in relazione al trattamento di fine rapporto - a distinguere tra pretese retributive, per essere le stesse riferibili a fasi del rapporto lavorativo in parte anteriori ed in parte successive alla suddetta data del 30 giugno 1998, posto che il fatto costitutivo del diritto al compenso periodico va correlato allo svolgimento della prestazione lavorativa assunta a base della periodicit, ed in ragione cio del periodico ma- 322 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 turarsi dei diritti azionati (cfr. in tali sensi ancora Cass., Sez. Un., 18 aprile 2003 n. 6343 cit., cui add Cass. 5 giugno 2002 n. 8159). 5. Le categorie escluse dalla privatizzazione ed il criterio di riparto di giurisdizione in tema di azione risarcitoria. Controversia avente ad oggetto il risarcimento del danno per la lesione alla integrit psicofisica (diritto primario), in relazione al provvedimento di sospensione cautelare dal servizio di un sovraintendente della Polizia di Stato: sentenza della Corte dappello di Reggio Calabria, Sezione Civile, n. 186/2010 R.S. del 13 maggio 2010, resa in conformit a Cassazione, S.U., sentenza n. 5785 del 4 marzo 2008 Con atto di citazione notificato il 23 marzo 2000 innanzi al Tribunale di Reggio Calabria, il Sig. S.I., in servizio nella Polizia di Stato con la qualifica di sovrintendente presso il compartimento della Polizia Stradale di Catanzaro Sezione di Reggio Calabria, conveniva in giudizio il Ministero dellInterno, affermando di essere stato, in data 17 giugno 1992, sospeso cautelarmene dal servizio con decreto ministeriale n. 333-D22799, ai sensi dellart. 9 comma II DPR 737/81. Spiegava, inoltre, che la sospensione era stata disposta a causa della pendenza a carico del predetto attore di due procedimenti penali per tentata truffa aggravata e furto aggravato e che il relativo provvedimento era stato revocato in data 8 aprile1995, dopo la definitiva assoluzione. Il Sig. S.I. contestava la legittimit del provvedimento, essendo stato, allepoca delladozione dello stesso, semplicemente rinviato a giudizio e, pertanto, chiedeva, la condanna dellAmministrazione al risarcimento di tutti i danni subiti, quantificati in 77.468,53. Costituitosi in giudizio, il Ministero dellInterno, con comparsa depositata in cancelleria il 21 giugno 2000, eccepiva, in via preliminare, il difetto di giurisdizione del giudice adito in quanto la controversia riguardava uno dei rapporti eccettuati, individuati dallart. 2 comma 2 della l. 29/93 e dagli artt. 33 e 34 del D.lgs. 80/98; in via subordinata, eccepiva la prescrizione del diritto fatto valere dallistante e linfondatezza, nel merito, della domanda. Il giudice di prime cure, con la pronuncia n. 781/2002 del 24 giugno 2002, disattendeva leccezione formulata dal Ministero resistente in adesione ad un orientamento formatosi gi prima dellentrata in vigore del D.lgs. 80/98, secondo il quale assumerebbe valore determinante, ai fini del riparto di giurisdizione, laccertamento della natura giuridica della responsabilit in concreto azionata. In altre parole, ad avviso del giudicante, occorreva verificare la fonte contrattuale ovvero extracontrattuale della eventuale responsabilit, sussistendo, nel primo caso, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e, nel secondo caso, la giurisdizione del giudice ordinario (cfr. per tale principio Cass. S.U., 11 luglio 2001 n. 9385; Id., 14 dicembre 1999 n.900). In particolare, scrive il primo Giudicante, sulla scorta del criterio di- CONTRIBUTI DI DOTTRINA 323 stintivo appena menzionato, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di pubblico impiego (che concerne ormai, come premesso, solo i rapporti di impiego non affidati, per la loro natura, alla giurisdizione ordinaria), non trova applicazione in quei casi in cui la pretesa fatta valere in giudizio si fondi in via esclusiva sulla violazione del principio del neminem laedere che preesiste agli obblighi della Pubblica Amministrazione inerenti al rapporto di pubblico impiego, ne prescinde ed ha una tutela autonoma, sicch il rapporto di impiego si configura solo il presupposto estrinseco ed occasionale del fatto dedotto in giudizio (non trovando questo fatto il suo titolo nello stesso rapporto: cfr. Cass., S.U., 28 luglio 1998 n. 7394; Id., 4 novembre 1996, n. 9522; 19 giugno 1996 n. 5626; 2 agosto 1995 n. 8459; 18 novembre 1994 n. 9755; 16 gennaio 1987, n. 304; 22 luglio 1966 n. 1988; 3 maggio 1966 n. 1111; 17 febbraio 1964 n. 349), Ci posto, da ritenere che i nuovi dati normativi, dianzi citati, non siano tali da ricondurre alla giurisdizione del giudice amministrativo anche le controversie di danno aquiliano, posto che il riferimento alla giurisdizione esclusiva contenuto ora nellart. 68 comma IV parte II del D.Lgs. n. 165/2001 va letto non in contrapposizione con la previsione immediatamente precedente, ma come affermazione che per le categorie non privatizzate nulla cambiato, se non ed questa lutilit della norma per lattribuzione dei diritti patrimoniali consequenziali (diritti patrimoniali connessi). Ne deriva pertanto che conserva validit ai fini della soluzione della questione sul riparto della giurisdizione rispetto ad una domanda di risarcimento danni proposta da un pubblico dipendente nei confronti della P.A. linsegnamento giurisprudenziale che assegna rilievo determinante allacclaramento della natura giuridica dellazione di responsabilit in concreto proposta. Ed allora, atteso che nella specie si versa in ipotesi di dedotta lesione di diritti primari per fatto illecito dellAmministrazione e quindi di asserita responsabilit extracontrattuale della medesima non inerente al rapporto di pubblico impiego, da reputare che resti ferma la giurisdizione del giudice ordinario. Il Tribunale di Reggio Calabria, dunque, sgomberato il campo dalla sollevata eccezione preliminare, respingeva la domanda risarcitoria, non ravvisando alcun illecito nella condotta dellAmministrazione la quale appariva pienamente conforme allart. 9 comma 2 del D.P.R. n. 737/1981. Appellata la sentenza a cura di controparte, la Corte di Appello di Reggio Calabria con sentenza n. 186/2010 del 13 maggio 2010, in accoglimento dellappello incidentale esperito nellinterresse dellAmministrazione, ribaltava le conclusioni cui era pervenuto il giudice di primo grado e riconosceva il difetto di giurisdizione del giudice ordinario. Evidenziava, in merito, come il ragionamento del Tribunale, secondo cui la dedotta lesione di diritti primari per fatto illecito dellAmministrazione fosse pur sempre riconducibile ad una ipotesi di responsabilit extracontrattuale, 324 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 scaturisse da una risalente interpretazione giurisprudenziale, superata nella stessa giurisprudenza di legittimit, che qualificava come azione di natura sempre extracontrattuale, perch proposta ai sensi dellart. 2043 c.c. e quindi appartenente alla giurisdizione del giudice ordinario, la domanda del dipendente di condanna dellamministrazione al risarcimento del danno morale e del danno biologico (Cass. SS.UU. 22 maggio 2002 n. 7470). Spiega la Corte dappello che, ҏ invece necessario, per risolvere la questione del riparto, verificare se il fatto illecito violi il generale divieto di neminem laedere e segnatamente il divieto di non ledere il bene della salute psicofisica dellindividuo, ovvero violi le regole del rapporto di impiego senza che rilevi la qualificazione formale data dal danneggiato in termini di responsabilit contrattuale o extracontrattuale, ovvero mediante il richiamo di norme di legge (ad es. art. 2043 c.c. e ss, o art. 2087 c.c.), indizi di per s non decisivi, essendo necessario considerare i tratti propri dellelemento materiale dellillecito posto a base della pretesa risarcitoria, onde stabilire se sia stata denunciata stabilire se sia stata denunciata una condotta dellamministrazione la cui idoneit lesiva possa esplicarsi indifferentemente, nei confronti della generalit dei cittadini e nei confronti dei propri dipendenti, costituendo, in tal caso, il rapporto di lavoro mera occasione dellevento dannoso; oppure se la condotta lesiva dellamministrazione presenti caratteri tali da escludersi qualsiasi incidenza nella sfera giuridica di soggetti ad essa non collegati da rapporto di impiego, sicch debba escludersi la stessa possibilit di configurare detta condotta lesiva al di fuori dellambito del rapporto, nel qual caso la responsabilit ha natura contrattuale, conseguendo lingiustizia del danno alle violazioni di talune delle situazioni giuridiche in cui il rapporto di impiego si articola e sostanziandosi la condotta lesiva nelle specifiche modalit di gestione di tale rapporto. Soltanto nel caso in cui, allesito dellindagine condotta secondo gli indicati criteri, non possa pervenirsi allidentificazione dellazione proposta dal danneggiato, si deve qualificare lazione come di responsabilit extracontrattuale (v. tra tante Corte di Cassazione, SS. UU., 4 marzo 2008 n. 5785). Il principio si applica a qualsiasi voce di danno preteso dal dipendente, ivi compreso quello alla integrit psicofisica, dovendosi ulteriormente precisare che nelle controversie concernenti il personale rimasto in regime di diritto pubblico, ai sensi dellart. 3, comma 1, del citato d.l.vo n. 165/2001, la giurisdizione spetta al giudice amministrativo, in sede di giurisdizione esclusiva, la quale appunto comprende anche le controversie attinenti ai diritti patrimoniali connessi, con ci includendo tutte le controversie inerenti al rapporto, ivi comprese quelle risarcitorie (cos Cass. S.U. 31 luglio 2008 n. 20751) Secondo, dunque, la Corte di merito il criterio discretivo andava e va individuato nei tratti propri dellelemento materiale posto a base della pretesa risarcitoria, escludendo, contrariamente a quanto asserito nel percorso moti- CONTRIBUTI DI DOTTRINA 325 vazione del giudice di prime cure, che, nella fattispecie, il provvedimento di sospensione cautelare del servizio, fondante lavversa pretesa risarcitoria, potesse essere estrapolato dal rapporto di pubblico impiego assurgendo ex se a fatto illecito di natura extracontrattuale. Questultimo approdo ha, ovviamente, come effetto quello di limitare, a parere di chi scrive, del tutto legittimamente, la cognizione del giudice ordinario nei rapporti di pubblico impiego non privatizzati alle fattispecie in cui il fatto lesivo abbia solo occasionalmente investito un pubblico dipendente, essendo - il fatto lesivo di cui si discute - potenzialmente idoneo ad incidere nella sfera giuridica della generalit dei consociati. 326 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 Privatizzazioni e affidamento in house Il ruolo delle azioni collettive nella tutela dei beni comuni e sociali Lucia Paura* SOMMARIO: Introduzione 1. I lavori della Commissione Rodot ed i rapporti economici costituzionali 2. La formazione sociale (art. 2 Cost.) e leffettivit nella tutela degli interessi; differenza tra beni sociali e beni comuni 3. Lart. 41 Cost. ed i beni sociali quale funzione integrativa del consenso. I rapporti economico-sociali ed etico-sociali 4. Gli artt. 41 e 43 Cost.: dai beni sociali ai beni comuni 5. Lart. 43 Cost., la sussidiariet verticale e i beni riservati o comuni 6. Lart. 41 Cost. e i beni sociali. La perequazione obiettivo del riequilibrio 7. La class action e la tutela dei beni sociali e comuni 8. La rivincita dei servizi pubblici: i nuovi orientamenti della giurisprudenza comunitaria ed il ruolo dellAvvocatura dello Stato. La class action quale tutela dei beni pubblici avverso la privatizzazione: il momento dellesercizio 9. I dubbi profili costituzionali e comunitari del recente decreto sulle privatizzazioni 10. Il legislatore e le sliding doors. Profili processuali e amministrativi dellazione collettiva nel settore pubblico 11. Considerazioni conclusive. Introduzione Recenti farraginosi provvedimenti legislativi tendono ad alterare il ruolo dello Stato nel delicato equilibrio che la Costituzione ha voluto segnare tra il regime della propriet pubblica ed i servizi pubblici essenziali, scardinando la tutela dei diritti fondamentali connessi ai fondamenti di democrazia sociale. Eppure lart. 43 Cost. stato disegnato non solo per costituire un argine temporale al diritto dei privati, ma per conciliare quel delicato equilibrio tra pubblico e privato, contrassegnato dai principi fondamentali dellart. 2 Cost. sulla solidariet, cui fa da integrazione la sussidiariet, quale dovere dello Stato di rimuovere gli ostacoli che si frappongono alla formazione della personalit (art. 3 Cost.). Per tale obiettivo diventa determinante una duplice funzione della sussidiariet che lordinamento ha voluto tracciare nella disciplina dei rapporti economici costituzionali, quali proiezione dei principi fondamentali: la prima, di riservarsi la gestione dei beni ritenuti essenziali ai fini del consenso sociale e per evitare conflitti tra formazioni non omogenee (sussidiariet verticale art. 43 Cost.); laltra, di perseguire un riequilibrio perequativo attraverso il controllo e la promozione, in tal caso non esclusivamente pubblica, di beni sociali, ossia prevalentemente di servizi (art. 41 Cost.). Scardinare questa delicata funzione integrativa del consenso rappresentata (*) Dottore di ricerca in diritto privato, assegnista di ricerca presso lUniversit degli Studi di Napoli Federico II, avvocato civilista. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 327 dalla solidariet significa rimettere in gioco tutta larticolata strategia costituzionale, creando una tragica spirale conflittuale tra le classi deboli non pi tutelate e la preponderanza degli interessi gestititi direttamente dai privati. Eppure proprio questo aveva voluto scongiurare il costituente ponendo in via prioritaria la tutela sia del soggetto, la cui fisicit la sua unica arma (tutela del lavoro ex art. 1 Cost.), sia della formazione sociale, che superava le categorie corporative e la ferrea distinzione degli ordini sociali, creando un sistema articolato ma dinamico di protezione dove il pubblico potesse fungere in ogni caso, soprattutto sui temi pi delicati della convivenza, quale argine esclusivo od integrativo di controllo delle dinamiche socio-economiche. In questa chiave emergono dubbi sempre pi fondati sulle nebbie che avvolgono la recente legislazione sulle privatizzazioni e sui possibili profili di incostituzionalit cui non possono fare che da equivoco schermo le direttive comunitarie. Il nostro lavoro intende porre in luce la contraddizione che la strategia di privatizzazioni pone rispetto anche alla recente configurazione di azioni seriali (la c.d. class action) in cui la tutela dei beni comuni e sociali diventa uno strumento - forse il primo - attuativo della garanzia delle formazioni sociali. E a questo non contraddicono i limiti allesercizio della class action anche nellesperimento dellazione a tutela dei beni pubblici in cui lelemento del danno non assume un riscontro patrimoniale; il che giustificato dallesigenza prioritaria del mantenimento qualificato dellesercizio (ripetiamo prioritario anche rispetto ad una pretesa soggettiva che assurge a maggior forza nella serialit dellazione). Profili processuali e amministrativi dellazione collettiva nel settore pubblico chiuderanno il nostro escorso. Su questultimo aspetto il nostro contributo si posto come possibile chiave di lettura del principio di effettivit parametrato alle norme processuali amministrative vigenti, con finalit che mirino a garantire dinanzi ad un legislatore ambiguo la compatibilit giuridica dello strumento dellazione collettiva tra leconomicit e la sostenibilit economica. A tal fine ci sembrato che la Commissione Rodot (su cui infra) nella inversione concettuale rispetto alle tradizioni giuridiche, proponesse chiaramente classi di beni in cui lelemento della tutela fosse prevalentemente costituito dalla destinazione-utilit e dalleffettivit che esso fosse in grado di esprimere. nelleffettivit che la nostra ricerca pur accogliendone il principio ne supera le conclusioni. 1. I lavori della Commissione Rodot ed i rapporti economici costituzionali Le recenti modifiche contenute nel decreto sulle privatizzazioni convertito in legge 6 agosto 2008, n. 133 ( Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante disposizioni urgenti per lo svi- 328 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 luppo economico, la semplificazione, la competitivit, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), con le ulteriori novit apportate dal decreto legge 135/2009 (art. 15 a modifica dellart. 23 bis l. 133/2008) ci portano a ribadire il ruolo dello Stato nelleconomia tra il regime della propriet pubblica e dei servizi pubblici essenziali (segnato dalla incombente progressiva dismissione e gestione privatistica) e la tutela dei diritti fondamentali strettamente connessi che esprimono i principi costituzionali di democrazia sociale. Sebbene dal punto di vista dei fondamenti la nostra indagine (1) prendeva spunto dalla riforma Rodot (2) che si proponeva di operare uninversione concettuale rispetto alle tradizioni giuridiche del passato, proponendo classi di beni legate non alla soggettiva appartenenza degli stessi, bens alla destinazione/ utilit che sono in grado di esprimere, tuttavia riteniamo che il bene giuridicamente inteso, sia esso pubblico, comune, sociale o individuale, trovi costantemente la sua ragion dessere nelleffettivit, nella sua potenzialit a produrre fasci di utilit meritevoli di tutela. Quale lanterna magica il bene proietta le sue immagini su una superficie opaca che rappresenta lo scenario, colorandosi delle utilit che la collettivit, la comunit o il privato trarranno dal bene. Nella metafora, un caleidoscopio di situazioni di effettivit, variabili soggettivamente in relazione allutilizzo, oggettivamente relative in relazione alle potenzialit. Leffettivit quale criterio di valutazione dei beni rende opinabile la possibilit di poterne operare una classificazione in categorie rigide precostituite o museificate; siano essi beni pubblici (o comuni), beni sociali o beni privati, saranno le utilit a qualificarne rispettivamente la fruizione generale alla collettivit (art. 43 Cost.), il beneficio per formazioni sociali (art. 41 Cost), ovvero linteresse del singolo. Il che ne determina anche una permeabilit tra le classificazioni, sia in forma ascendente che dismissiva. Riferendoci nello specifico ai beni riservati, riteniamo opportuno segnalare specie alla luce dei lavori dellAssemblea costituente lutilizzo nellart. 43 Cost., in modo distinto, di due allocuzioni estremamente significative nella diversa portata: luna iniziale, a carattere preclusivo, che prelude alla riserva originaria ed lutilit generale; laltra invece, linteresse generale, conclusiva della disposizione, di carattere effettuale e teleologico, che ne prevede lestensione a categorie di imprese che si riferiscano a servizi pubblici essenziali (di per s, prevalentemente beni sociali), quando assu- (1) Cfr. F. LUCARELLI - L. PAURA, Diritto privato e diritto pubblico tra solidariet e sussidiariet. Il vento non sa leggere, Napoli 2008, passim. (2) Commissione Rodot per lelaborazione dei Principi e criteri direttivi di uno schema di disegno di legge delega al Governo per la novellazione del Capo II Del Titolo I Del Libro III del Codice civile nonch di altre parti dello stesso libro ad esso collegate per le quali si presentino simili necessit di recupero della funzione ordinante del diritto della propriet e dei beni . CONTRIBUTI DI DOTTRINA 329 mono caratteri di interesse generale. Non pu essere priva di significato la distinzione tra utilit ed interesse: luna elemento fondante, laltra circostanza sopravveniente, requisito di specificit. Al contrario, depotenziati i fini di utilit generale, non ricorrendo i caratteri di interesse generale, il bene da riservato potr divenire oggetto di programmi, controlli, indirizzi, coordinamento (divenendo bene sociale), ovvero ritornare al mercato. Tuttavia finch i caratteri permangono o sopravvengono sono costituzionalmente illegittime privatizzazioni o dismissioni, anche al fine della sola gestione del bene. Aver individuato lelemento caratterizzante del bene nella effettivit di generare utilit ed interessi pu indurci ad ulteriori riflessioni che, pur non ponendo in discussione il carattere del bene, incidano sulla tipologia delle azioni processuali a difesa per quanto riguarda lesperibilit e lidentificazione del convenuto. Pi precisamente, il bene pubblico o comune, promossa la destinazione di fruizione generale alla collettivit pu anche influenzare in modo diretto e immediato esigenze di esercizio processuale da parte di una specifica formazione sociale o di una comunit; ovvero essere giuridicamente incompatibile, limitatamente allo specifico esercizio, con gestione o acquisizione privata. Si aprono, quindi, su tali vicende ventagli di esercizio di azioni processuali, amministrative ed ordinarie, che senza porre in causa la natura del bene, ne identifichino in concreto leffettivit e compatibilit, ovvero ne difendano loggetto e la permanenza. In questa prospettiva verificheremo lesercizio della class action, azione seriale, contro la P.A, sempre nella prospettiva dellart. 97 Cost. 2. La formazione sociale (art. 2 Cost.) e leffettivit nella tutela degli interessi; differenza tra beni sociali e beni comuni La nostra analisi, dunque, prescinde da una aprioristica classificazione e ricorre sempre al criterio guida della effettivit in relazione agli interessi concretamente perseguiti, resi oggettivi dal riferimento alle formazioni sociali i cui contenuti impongono sempre una relativit e variabilit nel raggiungimento degli obiettivi prefissati, (formazioni sociali che tanto pi nella definizione dei beni possono rivelare un coagulo di interessi, quali ad es. tutela dellambiente). Obiettivi del tutto occasionali in relazione ad una problematica specifica che venga a costituirsi e alla sua ricaduta su formazioni non pi rappresentabili o configurabili in categorie sociali; il che rende inadeguata una classificazione tassativa che non consenta permeabilit tra le diverse funzioni. Sotto questo profilo lattenzione si concentra sullontologia dei beni c.d. comuni, fondanti il ruolo dello Stato nella tutela della personalit, distinguendoli 330 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 dai beni sociali, intesi quali istituti o servizi con funzioni integrative; questi ultimi a carattere non assoluto, volti a sanare situazioni di fatto impedienti la piena realizzazione della personalit nelle formazioni sociali, garantendo fasci di utilit, di carattere economico e di natura etico-sociale. La diversa configurazione delle utilit consente di delimitarne la riferibilit oggettiva, alternativa o simultanea, in maniera speculare ai rapporti costituzionali economico-sociali, ovvero etico-sociali. 3. Lart. 41 Cost. ed i beni sociali quale funzione integrativa del consenso. I rapporti economico-sociali ed etico-sociali Con riguardo allart. 41 Cost. ed ai beni sociali - utilit sociale, sicurezza, libert e dignit umana; programmi e controlli opportuni perch lattivit economica pubblica e privata possa essere indirizzata a fini sociali - questi si concretizzano in istituti e servizi, tesi a garantire luguaglianza sostanziale (art. 3 Cost., comma 2). I beni sociali, infatti, consentono di acquisire quote di cittadinanza a chi ne carente, dai settori della sanit, alla formazione, allistruzione, alla giustizia, ecc. Si tratta del pi vasto e pervasivo modello di Welfare (solidariet orizzontale) che il Costituente ha voluto tracciare nellobiettivo perequativo di bilanciare liniziativa economica con il benessere ed il consenso sociale. Viene cos lanciato, nel contempo, un ponte di collegamento tra i rapporti economico- sociali e quelli etico-sociali, completandosi la strategia dei beni comuni e della sussidiariet verticale e orizzontale della P.A.: dalle misure economiche, provvidenze ed istituti sussidiari alla famiglia (art. 31 Cost.); alla tutela della salute ed alle cure gratuite per gli indigenti (art. 32 Cost.); alle provvidenze economiche per rendere effettivo il diritto allo studio dei capaci e meritevoli (art. 34 Cost.). Lavoro, abitazione, sanit, formazione, (cultura e beni culturali) sono categorie di beni sociali, in quanto attraverso di essi la Costituzione intende garantire il consenso attraverso specifici servizi ed istituti che ne attuino in concreto laccesso. A livello comunitario (Carta di Nizza) vi si aggregano i nuovi diritti sociali, diritto dei lavoratori allinformazione e alla consultazione nellambito dellimpresa (art. 27), sicurezza nel lavoro e assistenza sociale (art. 34), accesso ai servizi di interesse economico generale (art. 36), tutela dellambiente (art. 37), protezione del consumatore (art. 38). Con particolare efficacia il Trattato Costituzionale (Carta Europea dei Diritti fondamentali e Diritti sociali), nonch il successivo Trattato di Lisbona accomunano tutti i beni sociali tra gli obiettivi della coesione socio-culturale: lUnione si adopera per un Europa dallo sviluppo sostenibile basata sulla crescita economica equilibrata, una economia sociale e di mercato che mira alla piena occupazione e al progresso sociale e ad un elevato livello della qualit CONTRIBUTI DI DOTTRINA 331 dellambiente. Essa combatte lesclusione sociale e promuove la giustizia e la protezione sociale, nonch la coesione economica, sociale e territoriale. La strategia si completa con limpegno dellUnione europea a contribuire alla eliminazione della povert. La tutela dei beni sociali nella funzione di sussidiariet orizzontale, opera in un sistema di valori caratterizzato da servizi ed istituti che fungono da ammortizzatori sociali delineando il Welfare State moderno. La loro tutela si presenta indispensabile di fronte alla crisi economica che dai soggetti pi deboli si estende alla middle class, il cui diminuito potere di acquisto la sospinge alle soglie della povert nella quasi assoluta impermeabilit agli strati sociali superiori. 4. Gli artt. 41 e 43 Cost.: dai beni sociali ai beni comuni Nelle disposizioni costituzionali in tema di rapporti economici (artt. 35 ss.) si attua un costante bilanciamento perequativo tra diritto dei privati (3) (ci sembra pi corretto utilizzare tale espressione che pu essere omnicomprensiva di diritto soggettivo, interesse legittimo, interessi diffusi) ed intervento pubblico, solidariet e sussidiariet; questultima ad azione orizzontale e verticale. In progress, se riflettiamo sulla tutela dei beni, utilizzando le categorie della Commissione Rodot, ne rinveniamo tre species, privati, comuni e pubblici (cui ineriscono i beni riservati e sociali), mentre, per quanto riguarda il contenuto economico, tre sono ancora le proiezioni satisfattive di interessi, retribuzione, profitto e rendita, regolate rispettivamente dagli artt. 36, 41, 42, (44, 47) Cost. Nel concreto soddisfacimento degli interessi privati, agisce quale contrappeso sociale un costante pendolo solidale dello Stato, che garantisce rispettivamente i livelli di vita liberi e dignitosi (art. 36 Cost.), la libert e dignit umana (utilit e fini sociali, art. 41, 2 e 3 comma), la funzione sociale (ed equi rapporti sociali) e laccessibilit a tutti (artt. 42- 44 Cost.), laccesso alle propriet (art. 47 Cost.). Trasponendo il discorso dalla titolarit, rispettivamente dei diritti e delle garanzie sociali alla tipologia dei beni, come detto, ne rinveniamo tre specificazioni, beni privati, beni comuni, beni sociali. Se la prima e la seconda categoria (questultima concernente i beni riservati allo Stato ex art. 43 Cost.) sarebbe potuta apparire di immediata identificazione, pi complessa pu apparire lindividuazione dei beni sociali, che, pi che caratterizzarsi nellattribuzione diretta a soggetti, riflettono lincrociarsi di interessi individuali con (3) Abbiamo ritenuto opportuno qualificare un nuovo genus di interessi meritevoli di tutela, nel superamento del dualismo diritto soggettivo interesse legittimo, gli interessi a legittimazione sociale su cui si veda infra. 332 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 funzioni e fini sociali che daranno luogo agli interessi a legittimazione sociale (infra). Muovono dallideale di Welfare State, di una fruizione socialmente differenziata di istituti e servizi integrativi (perci orizzontalmente sussidiari) alla formazione della personalit individuale ed alla captazione del consenso sociale. 5. Lart. 43 Cost., la sussidiariet verticale e i beni riservati o comuni Nellarticolato costituzionale, dunque, concernente i rapporti economici (artt. 41-42-44-45-47 Cost.), lordinamento disciplina la copresenza privato e pubblico: iniziativa economica pubblica e privata, propriet pubblica e privata, nonch un programma di controlli, limiti, obiettivi, incentivi, tutti intesi a bilanciare il diritto del privato con regole perequative di solidariet (utilit sociale, libert, dignit umana, funzione sociale, equi rapporti sociali, accessibilit alle propriet, espropriazione per interesse generale) e sussidiariet orizzontale (propriet ed iniziativa pubblica, programmi e controlli, partecipazioni statali, incentivi; accesso alle propriet: abitazione, piccola e media propriet contadina, azionariato popolare). Lart. 43 Cost. riveste, invece, un ruolo del tutto autonomo e d imprimatur impositivo a tutte le imprese e categorie di imprese che si riferiscono a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio. In questo contesto emerge il carattere socioeconomico del sistema democratico inteso a riservare allo Stato ci che ritiene possa assumere carattere di preminente interesse generale. Si disegna, cos, il ruolo della sussidiariet verticale, nellemersione prioritaria dei beni comuni di cui lo Stato ne assume propriet, gestione e controllo, con la riserva di propriet o prevedendone trasferimento successivo a suo favore, una volta determinatone il carattere di preminente interesse generale. Dunque, si tratta di una strategia espansiva, intesa non a racchiudersi in un modello precostituito, ma a garantire anche potenzialmente lacquisizione di altri beni comuni che non siano inizialmente categorizzati. La differenza fondamentale della sussidiariet verticale rispetto a quella orizzontale va letta proprio nel dovere dello Stato non solo di riservare a s, ad Enti pubblici o comunit di lavoratori o utenti, imprese o categorie, ma anche di provvederne al trasferimento mediante esproprio dei beni comuni non riservati ma di cui emerga il preminente interesse sociale. soprattutto la differente disciplina dellesproprio ad offrirci limprimatur dei beni comuni oggetto di ablazione. Mentre lart. 42, co. 3, Cost. disciplina lesproprio della propriet privata assoggettandolo a previsione della legge e motivi di interesse generale, lart. 43 Cost. riferisce esplicitamente al carattere di preminente interesse generale lespropriazione di imprese o categorie di imprese che si riferiscono a servizi pubblici essenziali, per cui ai motivi si sostituisce il carattere e allinteresse generale il preminente CONTRIBUTI DI DOTTRINA 333 interesse generale. Ne deriva lincedibilit e lintrasferibilit dei beni comuni ex art. 43 Cost., in quanto il modello delineato di riserva ha funzione espansiva, dalla riserva iniziale al trasferimento acquisitivo. La cessione di tali beni violerebbe quindi il carattere insito nei beni stessi nella loro funzione preminente di interesse generale: dove carattere sta per requisito fondante e preminente per assolutezza. Con ci non si intende cristallizzare del tutto le categorie, in coerenza con linversione metodologica operata dalla riforma Rodot: dovrebbe trattarsi soltanto di beni soggetti nel tempo ad obsolescenza dovuta allevoluzione tecnica e industriale che ne faccia venir meno lutilit o ne commuti linteresse preminente in un servizio diverso rispetto a quello iniziale (questo s da essere oggetto di riserva attraverso esproprio). La dimensione sostanziale ascrivibile al predicato di preminenza dellinteresse generale connotante la categoria dei beni comuni produce conseguenze processuali in termini di tutela degli stessi laddove si ipotizzi lesercizio di unazione collettiva risarcitoria nel settore pubblico (su cui infra). In questi casi, infatti, la differenziazione della categoria dei beni comuni da quella dei beni sociali si rivela illuminante nella misura in cui lassiologia generale dellinteresse sottesa ai beni comuni postula la sua riferibilit soggettiva esclusivamente allo Stato (diversa la soluzione prospettata per i beni sociali su cui infra) a cui la formazione sociale si rivolge per ottenere tutela nella difesa della riserva di legge. 6. Lart. 41 Cost. e i beni sociali. La perequazione obiettivo del riequilibrio Le categorie dei beni sociali rientrano, a noi sembra, a pieno titolo nella disciplina dellart. 41 Cost., commi 2 e 3, enfatizzato a tutela delliniziativa privata, ma estremamente strategico nel disegnare lintervento dello Stato nelleconomia, individuandosi il ruolo della sussidiariet orizzontale nelliniziativa pubblica, che compare quale colpo di teatro nel comma 3 di un articolato che sembrava destinato ad esaurirsi nella disciplina delliniziativa privata. Sussidiariet soprattutto pervasiva nei programmi e nei controlli, da determinarsi per legge sulliniziativa privata. Per i beni sociali, quindi lintegrazione (sussidiariet orizzontale) attraverso iniziative pubbliche o private, intende rimuovere situazioni di fatto che impediscano il pieno sviluppo della personalit umana (art. 3 Cost., 2 comma); il che ne rende soggettivamente relativo e variabile lesercizio, secondo linteresse sotteso ovvero la graduazione sociale ed il risultato perseguito. Ed proprio la virtualit e loccasionalit dellesercizio a sussidio a segnare lobiettivo perequativo che differenzia i beni sociali dai beni comuni (o riservati), in quanto per questi ultimi gioca lassolutezza della riserva tesa 334 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 a garantirne prioritariamente la fruizione generale alla collettivit e, quindi, la necessaria titolarit pubblica della destinazione e dellesercizio. Per i beni sociali, invece predomina la variabile perequativa della finalit sociale e, dunque, il risultato da perseguire, indipendentemente dallesercizio pubblico o privato delliniziativa economica. Lelemento condizionante la fase empirica di utilizzo degli stessi necessariamente legato alla teleologia della piena realizzazione dei diritti sociali garantiti a tutti dalla Carta fondamentale, quale proiezione del Welfare State, espressione di una sussidiariet orizzontale (integrativa). Circoscrivendo lattenzione ai beni sociali dunque si tratta di istituti e servizi sociali, connotati prevalentemente di forte specificit (edilizia residenziale pubblica, edifici pubblici adibiti a ospedali, istituti di istruzione e asili; reti locali di pubblico servizio, etc.), prescindenti dal legame di inscindibilit con la tutela della persona (elemento connotante i beni comuni), rispetto a cui la titolarit della gestione, privata o pubblica (art. 41 Cost.), diviene indifferente rispetto alla destinazione sociale della fruibilit. Ci che rileva il necessario perseguimento della utilit sociale (comma 2 art. 41), unitamente alla necessit che lattivit economica venga indirizzata e coordinata a fini sociali (comma 3 art. 41 Cost.). Lambito di operativit della categoria riguarda settori che lo Stato non si riserva (come avviene nellart. 43 Cost), in cui la notevole elasticit della garanzia si traduce nella risposta ad esigenze sociali differenziate anche nel tempo. I servizi ed istituti soddisfacendo esigenze sociali (sanit, istruzione, formazione, gratuito patrocinio, ) liberano anche frazioni di utilit di salario, favorendo un miglior tenore di vita del lavoratore e garantendogli livelli di vita liberi e dignitosi (art. 36 Cost.), minimo comune denominatore di perequazione. Quanto ai casi empirici di applicazione lesemplificazione proposta dalla Commissione Rodot per i beni sociali, pu essere arricchita da tutte quelle controversie di natura seriale che sempre pi caratterizzano il settore pubblico. Si pensi ai danni da emotrasfusioni, (in cui configurabile un concorso causale efficiente di responsabilit e per la struttura operativa fornitrice del servizio e per linosservanza di un obbligo di vigilanza e garanzia dello Stato in ordine alla prestazione sanitaria, specificantesi in un dovere di indirizzo e coordinamento gravante sul Ministero della Salute (cfr. art. 41, 2 e 3 comma), che sarebbe cos un ulteriore legittimato passivo ad causam), ed anche danni ambientali, danni alla salute conseguenti alluso di amianto, uranio impoverito, emissioni elettromagnetiche, danni per mancata erogazione di reddito da cittadinanza, per il non corretto funzionamento del servizio mensa nelle strutture scolastiche ed universitarie, per il non rispetto o non corretta applicazione delle graduatorie di accesso alledilizia economica e popolare, per violazioni del diritto allo studio (borse di studio presalario, ecc.), danni derivanti da omissione CONTRIBUTI DI DOTTRINA 335 nella manutenzione di strutture ed infrastrutture pubbliche, ecc. 7. La class action e la tutela dei beni sociali e comuni Riprendendo la classificazione della propriet pubblica (art. 41-43 Cost. e funzione della P.A. art. 97 Cost.), la socialit della destinazione dei beni postula il riconoscimento di forme di tutela processualmente compatibili con la capillarit della fruizione dei beni de quo. Lintroduzione dellazione collettiva risarcitoria a partire dalla legge Finanziaria 2008, nonch attraverso successivi emendamenti approvati dalla Commissione Industria con riguardo anche allestensione nel settore pubblico, sembra offrire risposte positive, nella misura in cui si riconosce che proprio lambito oggettivo di applicazione in settori sociali (come quello di cui si discorre) appare maggiormente coinvolto nella tutela processuale di categorie protette pi deboli di quelle riconducibili allo status di consumatore. Secondo limpostazione costituzionale da noi offerta (4) lazione collettiva risarcitoria (c.d. class action) esercitata da una formazione sociale temporanea e occasionale di soggetti, indipendente dalle categorie sociali che la caratterizzano, coesa solidalmente alla realizzazione di un obiettivo seriale, economicamente differenziato e distinto, esercitabile anche individualmente (nel caso di azioni collettive a carattere patrimoniale). Definita la fenomenologia, occorre valutare loriginalit della tutela di interessi seriali nel quadro dei rapporti privato-pubblico e nelle connessioni con la solidariet e sussidiariet costituzionale attraverso lincidenza sia sui principi generali (artt. 2, 3, 4 Cost.), che sui rapporti economici costituzionali (artt. 36 e ss.). La filiera della solidariet, cio la ripetitivit delloggetto perseguito dai destinatari del servizio, esprime la categoria seriale di soggetti che si coagulano nella difesa di propri interessi, socialmente rilevanti, coinvolgenti i pi svariati settori, da quello delliniziativa economica, alla sanit, allambiente, ai servizi essenziali (artt. 22, 32, 41, 43 Cost.). Invero, quale protagonista dellazione collettiva risarcitoria viene al momento indicato il consumatore, oggetto dellazione collettiva il mercato, quindi beni e servizi, ma lindividuazione soggettiva generica, tenuto conto dei caratteri specifici della formazione sociale (art. 2 Cost.) cui fa riferimento la Costituzione che ne ha voluto connotare laggregazione anche dal punto di vista variabile e occasionale. Conseguentemente lazione in base alloggetto pu divaricarsi e riguardare un conflitto di natura prettamente privatistica tra pluralit di soggetti ed impresa; ma potr anche assumere natura socio-economica (4) Cfr. F. LUCARELLI L. PAURA, Diritto privato e diritto pubblico, cit., pp. 183 e ss. 336 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 e risvolti costituzionali nel caso in cui lazione sia diretta a garantire lazione sussidiaria dello Stato in materia di prestazioni sociali, servizi essenziali e riserva di legge (art. 43 Cost.). Potr infine coinvolgere il potere pubblico per la tutela diretta o sussidiaria di diritti primari, salute, ambiente, paesaggio, cultura, servizi e istituti (artt. 41-44-47 Cost). La semplice tutela del consumatore non avrebbe effettivit in questi settori dove la difesa del singolo sarebbe ancora pi debole rispetto allinterlocutore Stato, che si trova a svolgere la funzione di proprietario ovvero di programmatore e controllore di attivit economiche pubbliche e private (art. 41 Cost.). La mancata tutela nei confronti della burocrazia statale si tradurrebbe in forme di deriva liberistica, ancora pi accentuata dalla libera connotazione pubblica/privata. Per i beni sociali, dove non configurabile la pretesa diretta, sul momento del corretto funzionamento (art. 97 Cost.) che potrebbe incidere lazione processuale ovvero nella fase di dismissione dellistituto o del servizio, laddove invece per i beni riservati lazione mira alla assoluta conservazione della titolarit. Nei beni sociali, quindi, prevale la garanzia del risultato che va difesa da eventuali inefficienze della gestione, nonch da scelte che privilegino leconomicit della gestione rispetto alle finalit sociali. 8. La rivincita dei servizi pubblici: i nuovi orientamenti della giurisprudenza comunitaria ed il ruolo dellAvvocatura dello Stato. La class action quale tutela dei beni pubblici avverso la privatizzazione: il momento dellesercizio Preme precisare la sempre maggiore rilevanza che nei momenti di crisi socio-economica assumono i servizi pubblici di interesse economico-generale garantiti dallart. 43 Cost. e ripresi dal Trattato di Lisbona. Per essi si impone una riflessione sulla solitudine del soggetto ad avvalersene nei confronti delle Amministrazioni pubbliche, soprattutto nel momento della loro costituzione in s.p.a. e successiva trasformazione in imprese. Difatti ribadiamo (5) che la dismissione attraverso trasferimento azionario della presenza della mano pubblica nelle societ destinate a funzioni di interesse generale, nella fase di una loro eventuale privatizzazione pone il problema, stabilito il principio generale dellesperibilit dellazione (ovvero dellan), del momento in limine che ne rende necessario lesercizio (il quando): il che si concretizza, a nostro avviso, nella fase di contestazione della privatizzazione. Infatti, ripetiamo che una volta avvenuta la privatizzazione il conflitto (5) Cfr. F. LUCARELLI L. PAURA, Diritto privato e diritto pubblico, cit., pp. 200 e ss. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 337 potrebbe avere ad oggetto solo leconomicit della gestione, essendosi oramai affievolita la tutela dellinteresse generale. La socialit in queste ipotesi cederebbe il passo alleconomicit, se questultima prevale sullutilit sociale cui i beni sono destinati; da qui la necessit di esercizio dellazione collettiva contestando proprio il procedimento di privatizzazione. Abbiamo gi accennato che molto spesso il ruolo della Comunit europea sulla concorrenza viene supinamente recepito se non addirittura accolto in maniera distorta. A partire dal Trattato di Amsterdam del 1997, lUnione europea si aperta progressivamente ad una rivalutazione del ruolo dello Stato in campo economico-sociale e occupazionale. Anche la giurisprudenza comunitaria sembra sempre pi orientata ad evitare fenomeni di frettolose dismissioni di capitale pubblico in favore di privati, attraverso un attivit di recupero non solo ex post, ma preventiva, specie a livello ermeneutico di legislazione, del ruolo dellintervento pubblico nei settori economici in crisi. Alluopo si rivela interessante evidenziare la particolare sensibilit al tema dei rapporti tra aiuti di Stato, specie in relazione alle imprese che gestiscono servizi pubblici locali, ed in house providing con specifico riguardo al partenariato pubblico/privato, manifestata dallAvvocatura dello Stato, con particolare attenzione al distonico scenario delle ricadute giurisprudenziali comunitarie sulle linee evolutive di legislazione nazionale proiettate a direzioni opposte (si cfr. il decreto sulle privatizzazioni su cui infra). In particolare voci verticistiche (6) della difesa erariale, cui vanno ascritte soluzioni innovative sposate dai recenti revirements della Corte di Giustizia (7), hanno segnato un progressivo superamento della residualit del ruolo degli appalti in house e delle societ miste, aprendo a notevoli spazi di intervento pubblico nei settori in crisi. Il quadro che ne risulta stato definito (8) una rivincita dei servizi pubblici nel nuovo contesto europeo adombrata, come vedremo a breve, dalle recenti modifiche alla legislazione nazionale sulle privatizzazioni. Pi nello specifico la problematica affrontata dalla Corte di Giustizia, nella decisione del 10 settembre ultimo scorso, riguardava una questione pregiudiziale proposta dal Tar della Lombardia su un affidamento senza gara del servizio di raccolta, trasporto e smaltimento di rifiuti solidi urbani in comuni in certa misura consorziati (9). Il problema ermeneutico vedeva coinvolta la compatibilit del suddetto affidamento ad una societ per azioni a capitale interamente pubblico (art. 113 decreto legislativo 267/2000) con limpianto (6) Per un approfondimento sul punto si cfr. G. FIENGO, Un utile riassunto sul tema degli appalti in house, in Rassegna Avvocatura dello Stato LXI N. 3, luglio-settembre 2009, pp. 151 ss. (7) Si cfr. Corte di Giustizia delle Comunit europee, Terza Sezione, sentenza 10 settembre 2009, causa C-573/07. (8) Cfr. G. FIENGO, cit. (9) Cfr. G. FIENGO, cit. 338 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 sistemico comunitario dei principi di libert di stabilimento ovvero di prestazione di servizi, del divieto di discriminazione e dellobbligo di parit di trattamento, di trasparenza e di libera concorrenza di cui agli artt. 12 CE, 43 CE, 45 CE, 46 CE, 49 CE E 86 CE. Come anticipato, la novit della decisione consiste nellaver aderito allinversione di rotta nellattribuzione allintervento pubblico di una dignit non residuale, ampliando gli spazi operativi degli appalti in house e delle societ miste nel settore dei pubblici servizi. Alluopo si rivelano illuminanti alcuni passaggi interpretativi della decisione suddetta: Infatti, secondo la giurisprudenza della Corte, una gara non obbligatoria in caso di contratto a titolo oneroso concluso con un ente giuridicamente distinto dallautorit locale che costituisce lamministrazione aggiudicatrice, qualora tale autorit eserciti su detto ente un controllo, analogo a quello che essa esercita sui propri servizi e, nel contempo, tale ente realizzi la parte pi importante della propria attivit con lente o con gli enti locali che lo controllano (v., in tal senso, sentenza 18 novembre 1999, causa C-107/98, Teckal, Racc. pag. I-8121, punto 50) (10). Orbene, detta giurisprudenza rileva sia per linterpretazione della direttiva 2004/18 sia per quella degli artt. 12 CE, 43 CE e 49 CE nonch dei principi generali di cui essi costituiscono la specifica espressione (v., in tal senso, sentenze 11 gennaio 2005, causa C-26/03, Stadt Halle e RPL Lochau, Racc. pag. I-1, punto 49, nonch 13 ottobre 2005, causa C-458/03, Parking Brixen, Racc. pag. I-8585, punto 62) (11). La Corte delimita lambito di operativit dei principi comunitari, con lesclusione delle ipotesi integranti i requisiti specificati nella nota sentenza Teckal (su cui ampiamente infra) sullaffidamento diretto: Per quanto concerne laggiudicazione di appalti pubblici di servizi, le amministrazioni aggiudicatrici devono rispettare, in particolare, gli artt. 43 CE e 49 CE nonch i principi di parit di trattamento e di non discriminazione in base alla cittadinanza cos come lobbligo di trasparenza che ne discende (v., in tal senso, sentenze Parking Brixen, cit., punti 47-49, e 6 aprile 2006, causa C-410/04, ANAV, Racc. pag. I-3303, punti 19-21). Lapplicazione delle regole enunciate agli artt. 12 CE, 43 CE e 49 CE, nonch dei principi generali di cui esse costituiscono la specifica espressione, tuttavia esclusa qualora, al contempo, lente locale che costituisce lamministrazione aggiudicatrice eserciti sullente aggiudicatario un controllo analogo a quello che esso esercita sui propri servizi e detto ente realizzi la parte pi importante della sua attivit con lautorit o le autorit che lo controllano (v., in tal senso, sentenze Teckal, cit., punto 50; Parking Brixen, cit., punto 62, nonch 9 giugno 2009, causa (10) Punto 36, Corte di Giustizia delle Comunit europee, Terza Sezione, sentenza 10 settembre 2009, causa C-573/07. (11) Punto 37, Corte di Giustizia, cit. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 339 C-480/06, Commissione/Germania, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 34) (12). Nella fissazione dei suddetti principi, nonch nella delimitazione dellambito di operativit delleccezione ribadita lindifferenza alla tipologia sociale assunta dallente aggiudicatario, quantunque societ di capitali: La circostanza che lente aggiudicatario si costituisca sotto forma di societ di capitali non esclude in alcun modo lapplicazione delleccezione ammessa dalla giurisprudenza richiamata al punto precedente. Nella citata sentenza ANAV, la Corte ha riconosciuto lapplicabilit di tale giurisprudenza nel caso di una societ per azioni (13). Fondamentale risulta il passaggio argomentativo in ordine alla configurabilit di un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi da parte di unamministrazione aggiudicatrice su una societ di cui azionista, con la quale intende concludere un contratto, nel caso in cui esista la possibilit, sebbene non concretizzata, che investitori privati entrino nel capitale della societ di cui trattasi: Per risolvere tale questione va ricordato che la circostanza che lamministrazione aggiudicatrice detenga, da sola o insieme ad altri enti pubblici, lintero capitale di una societ concessionaria potrebbe indicare, pur non essendo decisiva, che tale amministrazione aggiudicatrice esercita su detta societ un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi (v., in tal senso, sentenze 11 maggio 2006, causa C-340/04, Carbotermo e Consorzio Alisei, Racc. pag. I-4137, punto 37, nonch 13 novembre 2008, causa C-324/07, Coditel Brabant, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 31). Per contro, la partecipazione, anche minoritaria, di unimpresa privata al capitale di una societ alla quale partecipi anche lamministrazione aggiudicatrice in questione esclude in ogni caso che tale amministrazione possa esercitare su detta societ un controllo analogo a quello che essa esercita sui propri servizi (v., in tal senso, citate sentenze Stadt Halle e RPL Lochau, punto 49, nonch Coditel Brabant, punto 30). Di regola, lesistenza effettiva di una partecipazione privata al capitale della societ aggiudicataria deve essere verificata nel momento dellaffidamento dellappalto pubblico di cui trattasi (v., in tal senso, sentenza Stadt Halle e RPL Lochau, cit., punti 15 e 52). Pu anche assumere rilevanza tenere conto della circostanza che, nel momento in cui unamministrazione aggiudicatrice affida un appalto ad una societ di cui detiene lintero capitale, la legislazione nazionale applicabile prevede lapertura obbligatoria della societ, a breve termine, ad altri capitali (v., in tal senso, citata sentenza Parking Brixen, punti 67 e 72). (12) Cfr. punti 39 e 40, Corte di Giustizia cit. (13) Punto 41, Corte di Giustizia cit. 340 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 In via eccezionale, circostanze particolari possono richiedere che siano presi in considerazione avvenimenti intervenuti successivamente alla data di aggiudicazione dellappalto in esame. quanto avviene, in particolare, nel caso in cui le quote della societ aggiudicataria, precedentemente detenute interamente dallamministrazione aggiudicatrice, vengano cedute ad unimpresa privata appena dopo laggiudicazione a tale societ dellappalto di cui trattasi nellambito di una costruzione artificiale diretta ad eludere le norme comunitarie in materia (v., in tal senso, sentenza 10 novembre 2005, causa C-29/04, Commissione/Austria, Racc. pag. I-9705, punti 38-41). Certamente, non pu escludersi che le quote di una societ vengano vendute a terzi in qualunque momento. Tuttavia, il fatto di ammettere che questa mera possibilit possa sospendere indefinitamente la valutazione sul carattere pubblico o meno del capitale di una societ aggiudicataria di un appalto pubblico non sarebbe conforme al principio di certezza del diritto. Se il capitale di una societ interamente detenuto dallamministrazione aggiudicatrice, da sola o con altre autorit pubbliche, al momento in cui lappalto in oggetto assegnato a tale societ, lapertura del capitale di questultima ad investitori privati pu essere presa in considerazione solo se in quel momento esiste una prospettiva concreta e a breve termine di una siffatta apertura (14). La Corte opta per una verifica empirico-contingente, case by case, a nulla rilevando un giudizio prognostico a carattere probabilistico ed aprioristico sullapertura al capitale privato. Lassenza di alcun indizio concreto e la presenza di una mera astratta possibilit non risultano sufficienti ad integrare il requisito del mancato controllo. Sempre ai fini della determinazione del controllo si rivela altres preziosa la delimitazione dellesercizio congiunto dello stesso nelle ipotesi in cui varie autorit pubbliche scelgono di svolgere alcune delle loro missioni di servizio pubblico facendo ricorso ad una societ che esse detengono in comune: Richiedere che il controllo esercitato da unautorit pubblica in un caso del genere sia individuale avrebbe la conseguenza dimporre una gara di appalto nella maggior parte dei casi in cui unautorit siffatta intendesse associarsi ad una societ detenuta da altre autorit pubbliche al fine di attribuirle la gestione di un servizio pubblico (v., in tal senso, citata sentenza Coditel Brabant, punto 47). Un risultato simile non sarebbe conforme al sistema delle norme comunitarie in materia di appalti pubblici e di concessioni. Si riconosce, infatti, che unautorit pubblica ha la possibilit di adempiere ai compiti di interesse pubblico ad essa incombenti mediante propri strumenti, amministrativi, tecnici e di altro tipo, senza essere obbligata a far ricorso ad entit esterne non appartenenti ai propri servizi (citate sentenze Stadt Halle e RPL Lochau, punto 48; Coditel Brabant, punto 48, e Commissione/Germania, punto 45) (15). (14) Punti 45-50, Corte di Giustizia cit. (15) Punti 56 e 57, Corte di Giustizia cit. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 341 Inoltre ai fini della determinazione dellesercizio effettivo del controllo analogo vengono indicati i parametri normativi e le circostanze pertinenti: il controllo cio dovr superare un test di decisivit circa linfluenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni importanti della societ. Laccesso ai privati nellambito di attivit qualificabili accessorie non dequota lobiettivo principale della gestione del servizio pubblico; nel caso di specie si menziona a titolo esemplificativo la raccolta differenziata dei rifiuti, la quale potrebbe rendere necessaria la rivendita ad enti specializzati di talune categorie di materiale recuperato a scopo di riciclaggio; lesistenza di un potere siffatto non sufficiente per ritenere che detta societ abbia una vocazione commerciale che rende precario il controllo di enti che la detengono (16). Alla luce di suddette considerazioni, le conclusioni giurisprudenziali sono cos sintetizzate: Gli artt. 43 CE e 49 CE, i principi di parit di trattamento e di non discriminazione in base alla cittadinanza cos come lobbligo di trasparenza che ne discende non ostano allaffidamento diretto di un appalto pubblico di servizi ad una societ per azioni a capitale interamente pubblico qualora lente pubblico che costituisce lamministrazione aggiudicatrice eserciti su tale societ un controllo analogo a quello che esercita sui propri servizi e tale societ realizzi la parte pi importante della propria attivit con lente o con gli enti locali che la controllano. Fatta salva la verifica da parte del giudice del rinvio delloperativit delle disposizioni statutarie di cui trattasi, il controllo esercitato dagli enti azionisti sulla detta societ pu essere considerato analogo a quello esercitato sui propri servizi in circostanze come quelle di cui alla causa principale, in cui: lattivit di tale societ limitata al territorio di detti enti ed esercitata fondamentalmente a beneficio di questi ultimi, e tramite organi statutari composti da rappresentanti di detti enti, questi ultimi esercitano uninfluenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti di detta societ. Come anticipato, lAvvocatura di Stato (17) ha manifestato aperte perplessit in ordine al distonico scenario legislativo nazionale rispetto ai suddetti orientamenti comunitari; perplessit condivisibili non solo sul piano della verifica di compatibilit al diritto comunitario, ma anche in relazione alla coerenza sistemica del diritto interno, principalmente nei rapporti con la fonte costituzionale. (16) Punto 79, ult. cit. (17) Sul punto si cfr. G. FIENGO, op. cit. 342 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 9. I dubbi profili costituzionali e comunitari del recente decreto sulle privatizzazioni Il recente decreto legge sulladeguamento della nostra legislazione agli obblighi e direttive comunitarie approvato dal Consiglio dei ministri in data 9 settembre 2009 (d.l. 135/2009), soprattutto la lettura dellart. 15 (Adeguamento alla disciplina comunitaria in materia di servizi pubblici di rilevanza economica) accentua le nostre preoccupazioni sulle estese manipolazioni dei principi comunitari in materia di concorrenza. Soprattutto quando entrano in gioco la coesione economico territoriale (art. 3 Trattato costituzionale) ed i principi fondanti della comunit e della nostra Costituzione. In questo caso, in specie, la solidariet politica, economica e sociale (art. 2 Cost.) ed il riequilibrio perequativo tra sussidiariet orizzontale e verticale (art. 3 Cost., comma 2: uguaglianza sostanziale). Applicata aprioristicamente la libert di mercato ed il divieto di concorrenza pubblica ne conseguono nel decreto diffuse violazioni costituzionali in materia di rapporti economici che incidono sul livello di occupazione (art. 36 Cost.); depotenziano, se non annullano del tutto, la tutela dei beni e servizi sociali (art. 41 Cost.) e la funzione dei beni riservati (art. 43 Cost.); alterano lequilibrio tra iniziativa privata e pubblica (art. 41 Cost., comma 2 Cost.) e impresa (propriet) pubblica e impresa (propriet) privata nella gestione dei servizi sociali e di quelli essenziali; fino ad incidere sul ruolo proprietario degli azionisti delle s.p.a. pubbliche (art. 42 Cost.). Anche il tema del riparto delle competenze Stato-Regione (art. 117, comma 2) ne esce stravolto, mentre appare violato (potremmo dire espropriato) il principio autonomistico di autodeterminazione dei Comuni di cui gli artt. 5 e 118 Cost. Infine nella cancellazione (salvo casi eccezionali) degli affidamenti in house il legislatore si sottrae, oblitera del tutto, la valutazione della buona gestione o meno dellEnte, violando lart. 97 Cost. Ma procediamo analiticamente. La ricostruzione della propriet pubblica, attraverso la distinzione tra beni comuni e beni sociali sulla base del principio di effettivit, va trasposta sul piano operativo-funzionale della gestione dei servizi pubblici, alla luce delle recenti riforme del decreto 112 sulle privatizzazioni convertito nella legge 113/08, modificato dal d.l. 135/2009 (art. 15). La tendenza dellattuale Governo alla liberalizzazione riprende il cammino attraverso il rilancio delle privatizzazioni e il ridimensionamento del fenomeno dilagante delle gestioni pubbliche in house, limitandolo a casi eccezionali. Il decreto recentemente approvato prevede due vie ordinarie per la gestione dei servizi pubblici locali, ovvero una gara obbligatoria per la concessione a imprese private del servizio locale di acqua, gas, energia, rifiuti, CONTRIBUTI DI DOTTRINA 343 trasporto e una societ per azioni mista con un socio privato scelto con gara, che abbia almeno il 40% del capitale e lattribuzione dei compiti operativi connessi alla gestione del servizio (un socio quindi industriale e operativo). Lelemento rilevante il chiarimento sulle gestioni in house: quelle attuali decadranno automaticamente entro il 31 dicembre 2011 e per il futuro saranno limitate a situazioni eccezionali che dovranno essere autorizzate con parere preventivo Antitrust. Il parere dovr essere emanato entro 60 giorni, varr il silenzio-assenso e spetter alla stessa Autorit per la concorrenza di definire la soglia sopra la quale si ritiene rilevante il parere. A questo punto ci sembrano opportune delle considerazioni. Con laffidamento in house il committente pubblico, derogando al principio di carattere generale dellevidenza pubblica, in luogo di procedere allaffidamento allesterno di determinate prestazioni, provvede in proprio (allinterno), allesecuzione delle stesse, mediante il sistema dellaffidamento diretto (c.d. in house providing), ossia senza gara. Sebbene tale figura non trovi una definizione ed una disciplina puntuale nelle normative sia comunitarie che interne, la giurisprudenza e la dottrina ne hanno delimitato i confini attraverso linterpretazione in negativo dei due istituti dellappalto di pubblici servizi e della concessione di pubblici servizi. Lelemento profondamente distintivo consiste nellassenza di alterit tra ente pubblico ed organo in house, ovvero nella mancanza di una relazione intersoggettiva, di un rapporto contrattuale o concessorio in senso stretto. Negli affidamenti in house manca quindi, il coinvolgimento degli operatori economici nellesercizio dellattivit della Pubblica Amministrazione, per cui le regole sulla concorrenza, applicabili agli appalti pubblici e agli affidamenti dei pubblici servizi a terzi, non vengono in rilievo. Si tratta di un modello organizzativo in cui la p.a. provvede da s al perseguimento degli scopi pubblici quale manifestazione del potere di auto-organizzazione e del pi generale principio comunitario di autonomia istituzionale e buona amministrazione. La scelta tra il sistema dellaffidamento della prestazione mediante gara pubblica e lopposto modello dellaffidamento in house preceduto dalla comparazione degli obiettivi pubblici che si intendono perseguire e delle modalit realizzative avuto riguardo ai tempi necessari, alle risorse umane e finanziarie da impiegare ed al livello qualitativo delle prestazioni in base ai principi di economicit e massimizzazione dellutilit per lAmministrazione (seguendo il sistema anglosassone del c.d. Best Value). Tuttavia librida connotazione organizzativa ha spinto la Corte di Giustizia (con la nota sent. Teckal 18 nov. 1999, causa C-107/98) a definire i confini entro cui laffidamento in house pu considerarsi legittimo: Le condizioni necessarie affinch si possa derogare alla gara pubblica, secondo il tradizionale insegnamento della Sentenza Teckal sono: 1) lesercizio da parte dellente committente, sul soggetto affidatario, di 344 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 un controllo analogo a quello che esercita sui propri servizi (qui a nostro avviso il referente costituzionale lart. 41 Cost.); 2) la necessit che il soggetto affidatario realizzi la parte pi importante della propria attivit con lente committente (o gli enti se sono pi di uno) che la controlla (qui riteniamo giochino un ruolo determinante gli artt. 5 e 118 Cost.). Questultimo requisito concorre alla distinzione tra organo in house e organismo di diritto pubblico tout court. Laddove ricorrano gli elementi dellorgano in house, lente assimilato allamministrazione pubblica e come tale soggetto alla medesima normativa, ivi compresa quella in materia di appalti pubblici. Gli enti in house in quanto organi della P.A. sono soggetti ai medesimi obblighi di questultima e la scelta di un modulo organizzativo di tal tipo rende a nostro avviso fisiologico lassolvimento dei criteri e principi di efficienza amministrativa di cui allart. 97 Cost. Chiariti siffatti profili, occorre prospettare possibili forme e strumenti di tutela rispetto alla eventuale antieconomicit della gestione privata nel conseguimento delle finalit di garanzia ed efficienza dei servizi pubblici di cui allart. 97 cost. Ebbene riprendendo le riflessioni in tema di esercizio di azioni collettive sulla opportunit di una loro funzione ostativa alla privatizzazione, riteniamo che la fase di accertamento dellinefficienza o palese mancanza di garanzia di realizzazione degli interessi pubblici costituisca il quando della esperibilit della tutela, al fine di evitarne la limitazione delloggetto alla sola economicit e non alla effettivit del risultato gestorio, anche a fronte di un eventuale esercizio antieconomico (indispensabile alla effettivit del risultato), che richieda la sussidiariet dellEnte pubblico (anche qui gioca lart. 41 Cost.). Larea probandi cio andrebbe circoscritta alla essenzialit della gestione privata per livelli di efficienza pi vantaggiosi, giustificativi delloperativit delle regole sulla concorrenza. Il venir meno di siffatta dimostrazione infatti implicherebbe la necessit della gestione in house che garantisca il corretto equilibrio tra sostenibilit economica e compatibilit giuridica e ci non solo per i profili di cui all art. 97 Cost. gi citati ma anche rispetto alle prescrizioni di cui allart. 42 Cost. a tutela del diritto di propriet funzionalizzato agli obiettivi sociali di uno Stato democratico-sociale. In riferimento alla l. 133/2008 cos come modificata dal d.l. 135/2009 (art.15), dunque, riteniamo possano profilarsi due motivi di incostituzionalit. Leliminazione dellaffidamento in house, salvo leccezionalit, si pone in aperto contrasto con lart. 97 Cost., in quanto la sottrazione di poteri gestori potrebbe ipotizzarsi solo a fronte di carenze economiche e finanziarie (che anzi preluderebbero ad una cessazione della concessione o a fortori ad un commissariamento). Inoltre affidare la gestione operativa a un Ente privato esterno richiede CONTRIBUTI DI DOTTRINA 345 unaccurata analisi delle potenzialit economiche, logistiche, operative dellesercizio di tale gestione con le qualit dellEnte committente, che dovrebbero rivelare una effettivit maggiore rispetto alla sottratta gestione in house (artt. 5 e 118 Cost.). Resta poi sul tappeto il problema della tutela degli azionisti nella mutazione della organizzazione in house nel nuovo modello societario. Ebbene qui a noi sembra profilarsi la violazione dellart. 42 Cost., in quanto lacquisto di azioni prevedeva la partecipazione quotistica ad una propriet pubblica: verrebbe in tal caso, in maniera autoritaria, modificato il titolo di propriet di riferimento, mentre sul piano degli interessi (sempre ex art. 42 Cost.) verrebbe meno la funzione sociale. In questo quadro si inserisce il discorso sulla esperibilit di azioni collettive, di cui ampiamente sopra. In ogni caso seguendo gli ultimi aggiornamenti sul punto, per la Feder Utility il Parlamento dovrebbe aumentare i tempi di dismissione per gli Enti locali. Difatti la scadenza prevista dal decreto di ridurre entro il 31 dicembre 2012 la partecipazione di una quota non inferiore al 30%, determinerebbe una pioggia di azioni sul mercato (valutate in 2,2 mld) che rischierebbe di trasformarsi in un bagno di sangue per le aziende pubbliche e ovviamente per i Comuni. Tra i primi casi dubbi di privatizzazione, si appreso del caso Grandi navi veloci Spa (Gnv) per lacquisto di Tirrenia Spa, con lacquisizione di tutte le navi che operano su rotte nazionali: chiaro lintento di procedere alla privatizzazione di un servizio pubblico essenziale, che seppur non esente da valutazioni disfunzionali quanto a modalit di gestione, risulta in ogni caso ontologicamente connesso al perseguimento di interessi generali fondamentali. Nellattuale fase di privatizzazione si profilano gli elementi di problematicit costituzionale e di gestione, cui facevamo cenno. molto strano che tutti gli operatori che gestiscono la quasi totalit dei trasporti nel Golfo di Napoli e per le altre isole minori, non abbiano partecipato alla gara, sottolineando linsostenibilit economica della gestione dei servizi per i lunghi periodi autunnali e invernali. Ed erano proprio tali operatori, con la loro esperienza sul posto, che avrebbero potuto garantire una migliore gestione dei servizi. Stesso discorso per la svendita della Caremar, con la convenzione (primo gennaio 2010) con la Regione Campania attraverso laccordo di programma per il trasferimento della societ di navigazione del gruppo Tirrenia dallo Stato alla Regione, alla presenza del ministro dei Trasporti Altiero Mattioli, del ministro delle finanze Giulio Tremonti e dellassessore regionale ai trasporti Ennio Cascetta. Se da una parte laccordo di programma sembrava offrire un segnale po- 346 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 sitivo, in quanto il passaggio dallo Stato alla Regione della Caremar implicava, comunque, il riconoscimento della presenza pubblica nei servizi essenziali, avendo la Regione maggiore competenza della situazione territoriale, tuttavia i tempi brevi (due mesi), fissati per il bando a cura della Regione, aventi quale obiettivo il trasferimento alla gestione privata, nonch la gestione (solo il 30% al pubblico) nelle mani del privato, reso ancor pi avido dal contributo garantito per dieci anni dallo Stato, riteniamo abbiano rappresentato la continuazione del gioco perverso di privatizzazione dei profitti e di pubblicizzazione degli oneri, senza alcuna reale garanzia di fondo sulla essenzialit pubblica del servizio. 10. Il legislatore e le sliding doors. Profili processuali e amministrativi dellazione collettiva nel settore pubblico Un primo spiraglio allesercizio della class action anche nei confronti della P.A., da noi auspicato, sembrava si fosse aperto nellarticolo 3 del ddl Brunetta (votato alla Camera in prima lettura l11 febbraio 2010) che prevedeva lesercizio dellazione collettiva nei confronti dei concessionari di servizi pubblici locali. Ma come sovente sta accadendo, il legislatore ha operato come se si trattasse di una sliding door, (una porta scorrevole che si apre e si richiude automaticamente al passaggio) per cui attuato un principio se ne svuota il suo contenuto. Gi in questa prima fase lazione non prevedeva il risarcimento del danno, diventando una class action light, dove non si prevedeva il ristoro neanche delle spese processuali, ma solo il ripristino del servizio e dei suoi standard. Inoltre, si disponeva che lazione nei confronti dei concessionari dei servizi pubblici non potesse essere proposta o proseguita, nel caso in cui unautorit indipendente (o comunque un organismo con funzioni di vigilanza e controllo nel relativo settore) avesse avviato sul medesimo oggetto il procedimento di loro competenza. Non venivano neanche affrontate le problematiche del risarcimento del danno nelle more del ripristino e dellindividuazione degli standard. A nostro avviso sarebbe rimasta in ogni caso impregiudicata lipotesi da noi formulata di class action che miri allinterruzione del processo di privatizzazione; azione preventiva che pu anche essere esercitata in litisconsorzio necessario con lautorit di vigilanza. Questo il panorama fino alle recentissime novit che ne hanno modificato, seppure in maniera non significativa, lo scenario di operativit. La legge delega sulla riforma della pubblica amministrazione, infatti, (e il conseguente decreto legislativo ormai in fase avanzata di redazione) prevede lipotesi di esperibilit dellazione collettiva anche nei servizi pubblici, con profili differenti dal settore privato in termini di ontologia sostanziale dello strumento e in termini strettamente processuali. Tuttavia lobiettivo, a noi sem- CONTRIBUTI DI DOTTRINA 347 bra, conferire forme di monitoraggio dellattivit amministrativa agli utenti di servizi e istituti (ferrovie, poste, ospedali) per ricondurre entro i confini dei c.d. standard di efficienza soddisfacenti la cura e gestione degli interessi pubblici (art. 97 Cost.). Difatti, non si tratta di unazione a carattere risarcitorio, quanto piuttosto di uno strumento che intende contribuire al controllo degli standard dei parametri di funzionalit dei servizi pubblici, sia pure in vista dellattuazione del federalismo fiscale, dove il riferimento agli standard non pu essere puramente formale, ma andr valutato sulla base della effettivit. Lazione potr essere proposta da ogni interessato nei confronti sia delle amministrazioni sia dei concessionari dei servizi pubblici, per contestare inefficienze della pubblica amministrazione (che vengono sintetizzate nella violazione di standard qualitativi, di obblighi contenuti nelle carte dei servizi, nellomesso esercizio di poteri sanzionatori e di vigilanza, nella violazione di termini o inerzia quanto ad atti dovuti) da cui sia derivato un danno per una pluralit di utenti o consumatori. La possibilit per il singolo di proporre lazione affiancata dalla chance di intervento anche da parte di associazioni o comitati a tutela dei diritti dei propri associati. Per il rapporto del singolo con lassociazione si parla di una vera e propria affiliazione non di affidamento di un semplice mandato come nel caso della class action privata, richiedendosi una graduazione di maggiore affinit tra gli interessi coinvolti nella vicenda processuale, postulante un rapporto ancor pi effettivo di immedesimazione organica. Oltre che a ragioni sostanziali di interesse pubblico fisiologicamente ascrivibili a forme di titolarit sociale, seppure differenziata, laffiliazione trova indubbiamente giustificazione in ragioni di ordine processuale, che rendono indispensabile lintensificazione di filtri scongiuranti azioni pretestuose, ben pi deboli nel processo amministrativo rispetto a quello ordinario. La proposizione dellazione da parte del singolo in grado di aggregare intorno al suo intervento gli interessi seriali o dellassociazione, non compromette lintervento preventivo e prioritario da parte dellAuthority competente per materia. Anzi, a cercare di attenuare almeno in parte limpatto dellazione collettiva nei confronti dei concessionari di pubblici servizi (forte infatti la preoccupazione di questi ultimi per il proliferare di azioni anche strumentali), si sottolinea che il decreto delegato si dovr preoccupare di individuare le soluzioni idonee a bloccare lazione (anche quando gi proposta) quando unautorit indipendente o comunque un organismo con funzioni di vigilanza e controllo abbia avviato un procedimento sui medesimi fatti. Azione bloccata quindi sino almeno allestinzione del procedimento presso lAutorit. La competenza poi affidata al giudice amministrativo, il che valorizza le considerazioni da noi precedentemente svolte nella fase prodromica alla 348 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 previsione di tutela collettiva nel settore pubblico. Di particolare considerazione la fase preventiva allinstaurazione del giudizio che prevede, quale condizione di ammissibilit, che il ricorso vada preceduto da una diffida allamministrazione o al concessionario perch adotti entro un termine rigido, che dovr essere fissato nel decreto delegato, tutte le iniziative utili per la soddisfazione degli interessati. Lutilizzo di un linguaggio giuridico creativo (si parla di termine rigido, laddove si renderebbe necessaria una precisa scelta legislativa temporale in ordine alle conseguenze potenzialmente scaturenti dallo spirare dello stesso, quale potrebbe essere un termine essenziale) accentua problematiche ascrivibili alla incompletezza dellarchitettura processuale prevista. In questa fase infatti la legge delega impone un meccanismo indirizzato a responsabilizzare il dirigente competente e, in rapporto alla tipologia dellente, i vari organi interni dellamministrazione (di indirizzo, di vertice o esecutivo), ma non si d contezza dei poteri che fattivamente vengono azionati dal privato con lavanzamento del petitum. Ci chiediamo cio se la diffida si possa considerare unattivazione dellautotutela amministrativa (in tal caso la condizione di ammissibilit sembra riecheggiare la tradizionale pregiudiziale amministrativa, con tutte le riflessioni di congestionamento processuale, che per anni ne hanno accompagnato il dibattito) ovvero possa assimilarsi al tentativo obbligatorio di conciliazione (come tipico del settore privato) che in tal caso andrebbe a connotare in via speciale un procedimento amministrativo ma postulerebbe anche una bilateralit nella determinazione del petitum, che lunilateralit della pregiudiziale esclude. Problematiche queste sicuramente discendenti dalla evanescenza terminologica delloggetto dellazione (c.d. standard di efficienza soddisfacenti) che a nostro avviso andrebbero specificati da una precisa scelta legislativa, avendo tra laltro un referente costituzionale fondamentale in tema di attivit amministrativa (art. 97 Cost.) che impone chiarificazioni sostanziali in tema di identificazione dei parametri funzionali di efficienza nella cura degli interessi pubblici. Oltre a questioni di qualificazione giuridica della fase preventiva della condizione di ammissibilit dellazione, si pongono interrogativi in ordine alla configurazione delleventuale silenzio dellamministrazione, che a nostro avviso, coerentemente al sistema amministrativo in generale, andrebbe distinto oltre che dallinadempimento tout court, anche dallinerzia qualificata, indubbiamente riferibile in maniera alquanto proporzionale ai livelli standard di funzionalit. La previsione legislativa riguarda il caso di condanna della pubblica amministrazione, per cui previsto una sorta di rafforzamento della pronuncia in caso di inerzia nel ripristino delle condizioni di efficienza. Nel caso infatti di inadempimento protratto nel tempo scatter il commissariamento (anche se non specificato per quanto e con quali obiettivi), ma la CONTRIBUTI DI DOTTRINA 349 legge delega si occupa di precisare che, anche in questo caso, deve essere escluso il risarcimento del danno. La stessa sentenza definitiva di condanna, della quale dovr anche essere assicurata idonea pubblicit, avr poi come effetto lattivazione di procedure di accertamento di responsabilit interna disciplinari o a livelli dirigenziali. Anche qui problemi interpretativi, soprattutto per la fase del commissariamento rispetto alla quale ci sembrerebbe opportuno differenziare i casi in cui necessario passare per il filtro del giudizio di ottemperanza (dunque con le conseguenze in ordine ai poteri del Commissario ad acta). In particolare riteniamo che a monte vada individuata la natura dellazione e della sentenza che ne consegue che, a nostro avviso, andrebbe assimilata alla azione di mero accertamento (non potendo parlarsi di condanna tout court vista lassenza del carattere risarcitorio). In questo caso dunque specifichiamo che lazione di mero accertamento (o dichiarativa), del tutto analoga a quella ammessa nel processo civile, avente ad oggetto sia un diritto patrimoniale che non patrimoniale viene tradizionalmente riferita dalla giurisprudenza alle vertenze per diritti soggettivi nelle materie di giurisdizione esclusiva e pi discussa invece per la tutela di interessi legittimi, in cui sia possibile limpugnazione di un provvedimento. Auspicando soluzioni legislative pi chiare in termini di qualificazione della natura giuridica del decisum individuativo degli standard di funzionalit dellattivit amministrativa, si rende fin da ora opportuno riflettere sul dovere di conformazione al giudicato incombente in ogni caso sullAmministrazione alla luce del principio di cui allart. 4 della legge n. 2248 del 1865 (allegato E). Lamministrazione infatti deve porre in essere lattivit necessaria per adeguare la situazione di fatto (il disservizio) a quella di diritto affermata nella sentenza (individuativa degli standard di efficienza del servizio), e ci indipendentemente dalla presenza di una specifica pronuncia di condanna del giudice. Il dovere di conformarsi al giudicato configurabile infatti anche in presenza di una sentenza di annullamento o di mero accertamento, sostenendo in queste ipotesi la dottrina che, in conseguenza dellart. 4 cit., la sentenza rileverebbe come fatto. Nel caso di inosservanza del dovere dellAmministrazione di conformarsi al giudicato, dunque esperibile il giudizio di ottemperanza, che assicura lesecuzione della sentenza e di tutti gli obblighi che ne derivano. In tal modo anche la sentenza di mero accertamento nei confronti della P.A. pu essere idonea ad innescare una tutela esecutiva, non esaurendosi la sua utilit nel superamento di una incertezza obiettiva nella situazione di diritto ma rivelandosi, anzi, rimedio a una lesione concreta di diritti sociali provocata dallAmministrazione. Lottemperanza, a nostro avviso, costituisce un filtro necessario deterrente al commissariamento, visto loggetto del petitum (ripristino degli standard), nonch della ratio dello strumento processuale (riconduzione dellazione amministrativa a parametri di funzionalit). In altri termini riteniamo 350 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 che prima di pervenire alla patologia, debba essere offerta allAmministrazione lopportunit di attivarsi per la corretta cura e gestione dellinteresse pubblico (art. 97 Cost.) adeguandosi alle disposizioni del giudice: solo il pervicace inadempimento al dovere di conformit al giudicato che giustificherebbe il commissariamento. Inoltre non si pu ignorare che la sostituzione del giudice allAmministrazione, seppure inadempiente, anche ai fini di valutazioni tipicamente discrezionali, crea molte incertezze: come noto la discrezionalit amministrativa prevede diverse articolazioni (si pensi alla distinzione tra discrezionalit tecnica e discrezionalit tout court), che postulano differenti gradi decisionali sul piano ideologico-politico, non necessariamente assorbiti dalla sentenza da eseguire. La nomina del Commissario ad acta, scelto tra i funzionari di altra Amministrazione, non si esaurisce dunque nella funzione meramente esecutiva del giudicato, ma spesso impone unattivit con caratteri di novit rispetto allo stesso. Di qui gli annosi problemi sul difficile equilibrio, nel giudizio di ottemperanza, del rapporto istituzionale fra Amministrazione e potere giurisdizionale, nonch della natura giuridica del Commissario ad acta ibridamente oscillante tra quella di organo straordinario dellAmministrazione (con la conseguente possibilit di impugnazione dei suoi atti davanti al giudice amministrativo) e quella di ausiliario del giudice (comunque non dotato di poteri giurisdizionali, ma autore in ogni caso di atti inquadrabili nel giudizio di esecuzione e come tali tutelabili sotto lindirizzo del giudice dellottemperanza). Ma su questo il decreto glissa ed oltre alla vacuit delle disposizioni procedurali, non sembra essere esaustivo circa le ipotesi configurabili. Riteniamo necessario distinguere i casi di disservizio da quelli in cui lintervento del Commissario ad acta si innesti sul silenzio-rifiuto dellAmministrazione ex art. 21-bis legge Tar, introdotto dallart. 2 della legge 205/2000. In questo caso la legge non richiama le disposizioni sul giudizio di ottemperanza; lintervento del Commissario si svolge non tanto ai fini della esecuzione di una sentenza (la sentenza nel caso di silenzio, si limita ad ordinare all Amministrazione di provvedere), ma comporta la sostituzione di unAmministrazione rimasta inerte. La peculiarit dellintervento del Commissario nel caso del silenzio trova conferma nella specialit della procedura: non si applicano le norme sullo svolgimento del giudizio di ottemperanza e la giurisprudenza sottolinea che la nomina del Commissario non interviene in un giudizio di esecuzione, ma nella seconda fase di un giudizio unitario sul silenzio. La peculiarit trova inoltre conferma nel fatto che la nomina del Commissario non in alternativa ad un intervento diretto del giudice (nel caso del silenzio il giudice non pu sostituirsi allAmministrazione, ma deve sempre procedere alla nomina del Commissario) e che il ruolo del giudice si esaurisce in siffatta nomina, senza che sia prevista la permanenza di poteri di vigilanza e di intervento CONTRIBUTI DI DOTTRINA 351 rispetto al suo operato. La figura del Commissario, nel caso di silenzio, sembra pertanto corrispondere a quella di un organo straordinario dellAmministrazione. Ritenendo opportuno approfondire aspetti tecnici processuali, segnaliamo che la giurisprudenza amministrativa, confrontandosi con le specificit del giudizio de quo, si espressa nei termini di un giudizio unitario, avente un duplice oggetto, misto di accertamento e di condanna, in cui al giudice consentito non solo di pronunciare sullinadempimento dellamministrazione, ma anche di ordinarle di provvedere sullistanza e di nominare un Commissario ad acta (18). Il rito speciale relativo allobbligo di provvedere cumula tre tipi di procedimenti: la fase cautelare o accelerata, senza escludere in assoluto la tutela cautelare urgente; la fase della condanna ad adempiere allobbligo di provvedere in seguito al silenzio dellamministrazione; la fase dellottemperanza, come si desume dalla possibilit di nominare un commissario che provveda in luogo della amministrazione pervicacemente inadempiente, pur a seguito della condanna a provvedere. Chiariti i profili processuali, sar il decreto delegato a definire la procedura di adesione allazione collettiva, ma prevedibile che sar analoga a quanto gi definito nel settore privato. Con un meccanismo cio di opt in (al contrario di quanto avviene negli Stati Uniti), per il quale cio serve unesplicita manifestazione di volont per lingresso nella classe dopo che sono state poste in essere adeguate forme di pubblicit dellavvio dellazione. La previsione delle spese a carico del proponente/proponenti nulla dispone in ordine alleventuale regime di solidariet nella individuazione della relativa responsabilit. Questo aspetto si riversa sulla pubblicit (intesa qui nel senso dellontologica afferenza ad interessi pubblici) della sentenza, anche nei casi in cui non vi sia condanna dellAmministrazione, non potendosi configurare lonerosit delle spese a carico dei proponenti, data la connotazione fisiologicamente pubblicistica del decisum de quo. La differenza tra le due tipologie di azioni, nel caso di privatizzazione di servizi essenziali, pone problemi allattore della class action sulla determinazione del convenuto (Pubblica Amministrazione o societ privata). Su questo va riaffermato che la riserva ex art. 43 Cost. ha in s una connaturale essenza dei diritti sociali volta alla soddisfazione di prestazioni essenziali alla convivenza civile; per cui la riserva non si esaurisce o non si dismette con la privatizzazione ma conserva in s un potere assoluto da non confondersi con la culpa in vigilando. Il disservizio compiuto da una societ (18) Cons. Stato, 17 gennaio 2001, 2001, p. 647. 352 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 epilogo di un processo di privatizzazione, vedr convenuta non solo la societ erogatrice del servizio ma come anche e necessariamente lEnte che abbia dismesso. In ogni caso rimane impregiudicato il risarcimento. Non a caso le lobbies si sono mosse immediatamente avvertendo il pericolo di azioni collettive esercitate nei confronti degli enti ex-municipalizzati, ovvero societ di servizi a capitale misto pubblico-privato. 11. Considerazioni conclusive Avviandoci alle conclusioni coerenti alle premesse che hanno ispirato lindagine, sempre pi nelle situazioni reali cui il diritto deve sempre confrontarsi per acquistare effettivit, si rivela lesigenza del mantenimento della riserva pubblica soprattutto, ma non unicamente in tutti quei servizi la cui essenzialit non si confronta unicamente con lesigenza sociale della parte debole, ma addirittura con la tutela della persona universalmente riconosciuta ( il caso dei servizi essenziali di collegamento del territorio con le isole quali il caso della Tirrenia che impone che alla sostenibilit economica debba anteporsi una effettivit che la rende giuridicamente compatibile allobiettivo perseguito). In questa linea di empirismo risolutivo con riguardo alla tutela processuale della propriet e dei servizi pubblici il nostro sforzo stato indirizzato alla costruzione di un possibile percorso procedimentale alla luce di una attivit ermeneutica compatibile coi principi amminstrativi vigenti, tenendo conto della specifica funzione di monitoraggio dellattivit della P.A. (art. 97 Cost.) che lo strumento collettivo di azione ambisce ad assolvere. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 353 La transazione fiscale e il concordato preventivo Riflessioni a margine di un caso concreto Paolo Superbi* SOMMARIO: 1) Introduzione 2) Il carattere endoconcorsuale dellistituto 3) Il consolidamento del debito tributario 4) La cessazione della materia del contendere 5) QualՏ la sorte del credito iva? 6) Conclusioni. 1. Introduzione Con il d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, emanato in attuazione del d.l. 14 maggio 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla l. 14 maggio 2005, n. 80, il legislatore ha riformato organicamente la disciplina delle procedure concorsuali apportando al R.D. 16 marzo 1942, n. 267 importanti innovazioni di carattere sostanziale. Nel tentativo di abbandonare loriginaria impostazione sanzionatoria della crisi dellimpresa, la nuova legge fallimentare si caratterizza per la sensibilit che il legislatore ha dimostrato in ordine alla tutela sia dei livelli occupazionali, sia dei beni produttivi, esigenze, queste, che rendevano limpianto normativo originario non pi adeguato al mutamento della realt socio-economica. Nel delineare la nuova disciplina, il legislatore non si pertanto limitato ad incidere sullo schema base di cui al R.D. n. 267/1942 modificando il contenuto di talune disposizioni, ma ha introdotto ex novo alcuni innovativi istituti, fra i quali quello previsto dallart. 182-ter della l.f., ossia la transazione fiscale. Successivamente, sulla scia dei numerosi interrogativi ermeneutici posti dalle prime applicazioni della normativa de qua, il legislatore stato costretto ad intervenire dapprima con il d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169, con cui stata estesa lapplicabilit della transazione fiscale (in un primo tempo prevista per il solo concordato preventivo) anche agli accordi di ristrutturazione del debito di cui allart. 182-bis della l.f., nonch, in seguito, con il d.l. 2 novembre 2008, n. 185, convertito con modificazioni, dalla l. 28 gennaio 2009, n. 2. Lantecedente storico della transazione fiscale unanimemente individuato nella c.d. transazione sui ruoli dimposta di cui allormai abrogato art. 3 del d.l. n. 178/2002, con cui si consentiva allAgenzia delle Entrate, successivamente allinizio dellesecuzione coattiva, di procedere alla transazione dei tributi iscritti a ruolo, il cui gettito fosse di esclusiva spettanza dello Stato, in (*) Dottore in Giurisprudenza, ammesso alla pratica forense presso lAvvocatura distrettuale dello Stato di Bologna. 354 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 caso di maggiore economicit e proficuit rispetto alla riscossione coattiva, quando nel corso della procedura esecutiva emergeva linsolvenza del debitore o questi era assoggettato a procedure concorsuali. La peculiarit dellistituto era da individuare nel fatto che l'accordo transattivo, essendo di natura stragiudiziale e non essendo inserito in una procedura concorsuale, era da ritenere, secondo un parere del Consiglio di Stato recepito dall'Agenzia delle Entrate (1), atto dispositivo soggetto alle regole generali dettate in tema di revocatoria nell'ipotesi di successivo fallimento del contribuente, pur riguardando il pagamento di imposte scadute. Con ci si voleva dire che, in caso di successivo fallimento del debitore, l'Amministrazione finanziaria si sarebbe trovata esposta all'azione revocatoria fallimentare, non essendo possibile invocare la norma di cui allart. 89 del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 602, che sottrae appunto il pagamento di imposte scadute a questo tipo di azione (2). Ci spiega l'orientamento assunto dall'Agenzia delle Entrate nella citata circolare, secondo il quale era da escludere la possibilit di concludere accordi transattivi con debitori che rivestivano la qualifica di imprenditore commerciale e rientranti fra i soggetti assoggettabili a fallimento, secondo i criteri previsti nell'art. 1 della l.f., "se non a condizione che l'accordo proposto all'Agenzia si inserisca in un piano di riassetto dell'impresa di pi ampia portata e di ristrutturazione del debito che preveda il coinvolgimento di tutti i creditori ...". Con tale orientamento si limitava notevolmente lo spettro di operativit della norma, che poteva essere invocata solo da soggetti non fallibili, cio previsti fra le categorie di "piccoli" imprenditori esclusi dal fallimento ai sensi di quanto disposto al comma 2 del citato art. 1 della l.f., o da imprenditori commerciali per i quali era gi stata avviata una procedura concorsuale. In questo quadro, ben si possono comprendere le ragioni che spinsero il legislatore, con lart. 1, co. 5 della l. 14 maggio 2005, n. 80 a prevedere, quale principio direttivo della riforma delle procedure concorsuali, la riconduzione della transazione in sede fiscale alla disciplina del concordato preventivo. La transazione fiscale, a prescindere dai molteplici dubbi ermeneutici che ha sollevato, costituisce un punto di osservazione privilegiato del mutevole rapporto tra moduli autoritativi e moduli consensuali nellattuazione del tributo. Ci premesso, con il presente lavoro si intende focalizzare lattenzione su alcuni dei principali risvolti interpretativi sollevati dallistituto de quo prendendo spunto da un caso concreto, deciso dal decreto della Corte dAppello di Bologna 22 febbraio 2010, con cui lorgano giudicante ha respinto il re- (1) Circ. 4 marzo 2005, n. 8/E, www.agenziaentrate.it. (2) GOLINO, La transazione fiscale e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, Il fisco, n. 46, 17 dicembre 2007, p. 6701. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 355 clamo proposto dallAgenzia delle Entrate e dallAgente della riscossione avverso il decreto del Tribunale fallimentare con cui il giudice di prime cure ha omologato il concordato preventivo. Con la pronuncia in commento la Corte dappello di Bologna affronta due questioni di estremo interesse. Con la prima, di natura procedurale, ci si chiede se limprenditore che intenda proporre il pagamento dilazionato o falcidiato dei crediti tributari in sede di concordato preventivo debba in ogni caso seguire le modalit procedurali di cui allart. 182-ter della l.f., o se, invece, la transazione fiscale rappresenti una mera facolt a disposizione dellimprenditore da esercitare nellottica del conseguimento di determinati effetti. Con la seconda, di carattere sostanziale, ci si chiede quale sia la sorte del credito IVA, se non altro per ci che attiene, come nel caso di specie, alle proposte di concordato presentate prima dellentrata in vigore del sopra richiamato d.l. 2 novembre 2008, n. 185 che, intervenendo sul punto, ne ha espressamente escluso la falcidiabilit, ammettendone, per converso, la mera dilazionabilit. Vale la pena premettere sin dora come listituto de quo sia astrattamente idoneo a realizzare un triplice ordine di effetti: - la dilazione/falcidia dei crediti tributari; - il consolidamento del debito tributario; - la cessazione della materia del contendere nelle liti tributarie relative ai tributi oggetto della transazione. La breve disamina dei passaggi pi significativi del decreto in commento consentir di mettere in evidenza la diversit delle prerogative di cui titolare il Fisco nellambito della procedura concordataria e, conseguentemente, le diverse condizioni cui subordinata la realizzazione degli obiettivi che il legislatore ha inteso perseguire disciplinando la transazione fiscale. 2. Il carattere endoconcorsuale dellistituto Con riguardo alla prima delle due questioni esaminate dai giudici felsinei, la Corte dappello, in adesione alla tesi fatta propria dal tribunale sostiene che la presentazione della proposta di transazione fiscale, pur in presenza di crediti erariali, non necessaria per ottenerne la falcidia, ma costituisce una mera facolt attribuita al debitore che intenda ottenere gli effetti tipici dell'art. 182 ter l.f., e cio il consolidamento del debito tributario e la cessazione della materia del contendere nelle liti aventi ad oggetto i tributi compresi nella proposta di transazione. Gli argomenti a favore di questa tesi sono desunti in primo luogo dal dato letterale della disposizione in base alla quale il debitore pu proporre il pagamento parziale o dilazionato () e non deve proporre ci che starebbe 356 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 a significare lassoluta facoltativit della transazione fiscale (3). Soccorrerebbero inoltre ulteriori esigenze di carattere sistematico: poich lart. 2778 c.c. colloca il credito IVA al 19 grado e poich lart. 160, c. 2 della l.f. prevede il divieto di alterare lordine dei privilegi, ritenere necessario il ricorso alla transazione fiscale in presenza di un credito IVA implicherebbe prevedere il soddisfacimento integrale di tutti i crediti privilegiati di rango superiore, il che equivarrebbe a rendere di fatto non praticabile il ricorso al concordato preventivo (4). Ma lulteriore argomento utilizzato dallorgano giudicante su quale si intende concentrare lattenzione quello per cui in esito alla transazione, l'Amministrazione Finanziaria ed il concessionario del servizio di riscossione sono chiamati ad esprimere il proprio voto come ogni altro creditore, sicch la proposta di concordato approvata, in caso di raggiungimento della maggioranza prescritta, anche nell'ipotesi di voto contrario della amministrazione fiscale. Ed allora, come condivisibilmente osservato dalla giurisprudenza sopra richiamata (5), se l'eventuale dissenso dell'Amministrazione Finanziaria non impedisce l'omologabilit del concordato ove si raggiungano le maggioranze prescritte dall'art. 177 l.f., non si comprende per quale ragione la transazione fiscale dovrebbe essere considerata una strada proceduralmente obbligata, cos da imporre all'imprenditore che proponga il concordato di tentare comunque il raggiungimento dell'accordo con le agenzie fiscali fin dal momento del deposito della domanda presso il Tribunale, con l'attivazione della procedura descritta nei commi 2 e 3 dall'art. 182 ter. In altre parole, e con questo riassumendo il pensiero dellorgano giudicante, poich la funzione della transazione fiscale quella di consentire il consolidamento del debito tributario e la cessazione della materia del contendere nelle liti tributarie gi insorte e poich in ogni caso il voto dissenziente dellamministrazione finanziaria ininfluente ai fini dellomologabilit del concordato, qualora sullo stesso si formino le maggioranze previste dalla legge, allora ne discende che la strada della transazione fiscale si pone come obbligata nel solo caso in cui il contribuente voglia mettersi al riparo dalle future azioni accertatrici. Ora, indubbio che la lettera dellart. 182-ter l.f. non esprima un conte- (3) In realt, lutilizzo della forma verbale pu ben pu essere riferita al fatto che il legislatore considera valutazione rimessa alla discrezionalit del debitore quella inerente la scelta di proporre o meno il pagamento dilazionato o falcidiato del credito tributario e che, una volta risolto in senso positivo il quesito, tale opzione non possa che essere concretizzata attraverso la procedura di cui allart. 182-ter. (4) Tale argomento risulta tuttavia privo di pregio in quanto la non falcidiabilit del credito IVA era stata dallErario argomentata sulla base di presupposti diversi, ossia sulla sua riconduzione al novero dei tributi costituenti risorse proprie dellUnione Europea per i quali, gi dalla prima formulazione della norma, ne era esclusa la transigibilit. (5) Trib. La Spezia, decreto 1 luglio 2009, in www.ilcaso.it. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 357 nuto normativo di chiara e agevole interpretazione (6) e che, al contrario, le lacune e le contraddizioni della disposizione offrono allinterprete spunti per sostenere ipotesi esegetiche totalmente divergenti. Mentre nel primo capoverso del comma primo viene disposto che il debitore pu proporre il pagamento anche parziale dei tributi limitatamente alla quota di debito avente natura chirografaria, nel terzo capoverso la norma aggiunge che se il credito tributario assistito da privilegio la percentuale e i tempi di pagamento e le eventuali garanzie non possono essere inferiori a quelli offerti ai creditori che hanno un grado di privilegio inferiore. Nei primi commenti alla normativa, era emerso il dubbio se il debitore concordatario potesse estendere la sua richiesta di transazione fiscale anche ai crediti privilegiati o se, invece, si dovesse attribuire rilevanza decisiva allinciso contenuto nel primo capoverso e quindi sostenere lutilizzabilit di tale strumento limitatamente alla quota di debito avente natura chirografaria. Inoltre, poich nel testo anteriore alle modifiche apportate dal d.lgs. n. 169/2007 vigeva nel concordato preventivo la regola per cui i creditori aventi diritto di prelazione dovessero essere soddisfatti integralmente e poich tale prescrizione mal si conciliava con la previsione della falcidiabilit del credito tributario privilegiato, si era in un primo tempo sviluppato un orientamento giurisprudenziale tale per cui il rapporto tra concordato preventivo e transazione fiscale era ricostruito in termini di assoluta autonomia (7). Tuttavia, in seguito alle modifiche, ad opera del d.lgs. n. 169/2007, dellart. 160 l.f. e linserimento al comma II della possibilit, anche nellambito del concordato preventivo, di soddisfare anche in misura parziale i crediti privilegiati, nella giurisprudenza successiva si consolidata unopinione di segno contrario tale per cui la transazione fiscale si configura quale istituto endoconcorsuale alla cui definizione si pu addivenire nel caso di procedure che coinvolgono il creditore-Fisco unitamente agli altri creditori (8). In altre parole, la transazione fiscale costituirebbe parte integrante del concordato preventivo e ne condividerebbe gli effetti, con la conseguenza che i crediti tributari privilegiati restano soggetti allesito della votazione del concordato e del giudizio di omologazione (9). (6) La disposizione in commento stata definita tormentata e ambigua da LA ROSA, Accordi e transazioni nella fase della riscossione dei tributi, Riv. Dir. Trib., 2008, I, 230. (7) RANDAZZO, Il consolidamento del debito tributario nella transazione fiscale, Riv. Dir. Trib., 2008, 10, p. 825, il quale richiama due decisioni giurisprudenziali che avevano accolto tale impostazione, ossia Trib. Bologna, decreto 26 ottobre 2006, e Trib. Messina, decreto 29 dicembre 2006. LA. sottolinea come lAgenzia delle Entrate, con la circolare n. 40/E del 18 aprile 2008 sia rimasta ancorata a questa impostazione nonostante la sopra richiamata modifica normativa. (8) MOSCATELLI, Crisi dellimpresa e debito tributario: riflessioni sulla transazione fiscale, Rass. Trib., n. 5, 2008, p. 1317. (9) Cfr., ex multis, Trib. Mantova, decreto 26 febbraio 2009, Trib. Roma, decreto 27 gennaio 2009, secondo cui va sostenuta la non autonomia dellistituto della transazione fiscale rispetto al concordato 358 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 Da ci si ricava lulteriore corollario che lAmministrazione finanziaria non titolare di un potere di veto tale da consentirle, esprimendo in sede di adunanza dei creditori il proprio dissenso alla proposta, di pregiudicare lomologabilit del concordato qualora sullo stesso si formino le maggioranze previste dalla legge. Insomma, allinterno della procedura di concordato preventivo la posizione del Fisco risulta parificata a quella degli altri creditori. Tutto ci premesso, ora possibile affrontare il quesito di partenza: corretto ricavare da questa impostazione il carattere meramente facoltativo della transazione fiscale, considerando lo stesso come unopportunit a disposizione del contribuente che intenda ottenere gli effetti di consolidamento del debito tributario e di cessazione della materia del contendere? Come osservato in dottrina (10), il difficile equilibrio tra procedure concorsuali e fiscalit sempre stato condizionato, per un verso, dalle rigidit delle pretese del Fisco, caratterizzate dall'indisponibilit dell'obbligazione tributaria e dal regime pubblicistico del rapporto tra ente impositore e contribuente, e per altro verso dalla c.d. specialit del diritto tributario che per tale sua natura stato spesso ritenuto prevalente sulle regole della concorsualit. Ora, nellattuale formulazione, il legislatore persegue senzombra di dubbio una progressiva assimilazione delle ragioni creditorie del Fisco rispetto a quelle degli altri creditori, escludendo che la soddisfazione del primo sia garantita in via preferenziale o in virt di procedure differenziate rispetto a quelle che coinvolgono gli altri creditori, disciplinando invece la possibilit di un accordo con lAmministrazione Finanziaria necessariamente nel contesto concorsuale della procedura di concordato preventivo (nonch degli accordi ex art. 182-bis). Da un punto di vista pi pragmatico, l'istituto della transazione fiscale ha sullo sfondo la presa d'atto dell'inutilit dell'ostinazione sul pagamento integrale del tributo nei casi in cui l'incapienza del patrimonio del debitore renderebbe inefficace o solo potenzialmente efficace la riscossione, rappresentando una forma di bilanciamento tra il principio di indisponibilit dell'obbligazione tributaria (su cui vedi infra) e il regime della par condicio creditorum (11). In altri termini, se ai fini dell'omologabilit del concordato preventivo preventivo, invero tale istituto non costituisce un vero e proprio negozio a contenuto transattivo, poich non prevista la stipula di un accordo contenete reciproche concessioni, Trib. Piacenza, decreto 3 luglio 2008, Trib. Pavia, decreto 8 ottobre 2008, in base al quale la transazione fiscale costituisce una fase del concordato preventivo e laccordo si identifica col concordato stesso; ne consegue che lAgenzia delle Entrate ed il concessionario resteranno soggetti allesito della votazione concordataria, consultabili su www.ilcaso.it. (10) DEL FEDERICO, La nuova transazione fiscale secondo il Tribunale di Milano: dal particolarismo tributario alla collocazione endoconcorsuale, Fall., n. 3/2008, p. 92. Cfr. LO CASCIO. (11) ATTARDI, Inammissibilit del concordato preventivo in assenza di transazione fiscale, Il Fisco, n. 39, 26/102009, p. 1-6435. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 359 pare corretto ritenere che, in sede di adunanza dei creditori la posizione del Fisco sia parificata rispetto a quella degli altri creditori, occorre per evitare il rischio, in cui incorre la Corte d'Appello bolognese, di ricavare da questa affermazione conseguenze applicative avulse dalle ben pi complesse esigenze che la transazione fiscale chiamata a contemperare. In questo senso, si in dottrina sottolineato come la transazione fiscale integri prima di tutto un subprocedimento amministrativo la cui funzione innanzitutto quella di quantificare con certezza e stabilit il credito tributario nell'ottica di una consapevole votazione del Fisco rispetto ai termini della proposta concordataria (12). Inoltre tale esigenza pu risultare a sua volta strumentale rispetto alla limitazione del fenomeno delle rinvenienze dei crediti tributari nel corso della procedura o addirittura dopo l'esecuzione del concordato (quantomeno per i tributi cui applicabile la transazione fiscale). In altre parole, tra gli scopi dell'istituto vi sarebbe quello, ulteriore, di assicurare un assetto certo e trasparente degli effetti della procedura (13). 3. Il consolidamento del debito tributario Con le considerazioni sopra svolte si tentato di dimostrare limprescindibilit della transazione fiscale quale istituto finalizzato alla procedimentalizzazione della volont amministrativa. Scopo del presente paragrafo pertanto quello di indagare un ulteriore profilo problematico, determinante ai fini di una migliore comprensione dellistituto. Posto che la procedura di concordato preventivo impermeabile rispetto al voto concretamente espresso dagli Uffici in sede di adunanza dei creditori, ci si chiede se il voto favorevole dellAmministrazione Finanziaria possa essere ritenuto indispensabile se non altro ai fini della produzione degli ulteriori effetti scaturenti dalla transazione fiscale, ossia, da un lato, il consolidamento del debito tributario e, dallaltro lato, la cessazione della materia del contendere nelle liti tributarie insorte. Sotto il primo profilo, la dottrina ha sottolineato come la locuzione consolidamento del debito tributario, vera e propria novit nel panorama legislativo, svolga la funzione di condensare il risultato di una serie di attivit che, entro un breve termine, sia lAgente della riscossione, sia lAgenzia delle En- (12) ATTARDI, op. cit., DEL FEDERICO, La nuova transazione fiscale nel sistema delle procedure concorsuali. Tale posizione ha trovato riscontro anche in Trib. Roma, decr. 27 gennaio 2009 che l'art. 182-ter prevede esclusivamente una disciplina procedurale tale da consentire agli uffici fiscali di esprimere il proprio voto, al pari degli altri creditori (...). (13) DEL FEDERICO, ult. op. cit.. 360 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 trate sono chiamati ad espletare (14). Tali attivit consistono in primo luogo nella liquidazione dei tributi risultanti dalle dichiarazioni e nella notifica dei relativi avvisi di irregolarit, nonch, in secondo luogo, nella certificazione attestante lentit del debito derivante da atti di accertamento ancorch non definitivi, per la parte non iscritta a ruolo, nonch dai ruoli vistati ma non ancora consegnati allAgente della riscossione. Quanto alla tipologia di controlli concretamente esperibili dagli Uffici non si registra uniformit di vedute. Secondo una prima impostazione, leffetto del consolidamento si concentrerebbe esclusivamente sul profilo liquidatorio dei tributi, e non di accertamento: la brevit del termine entro il quale espletare i controlli, se da un lato rende possibile lattuazione della liquidazione dei tributi, dallaltro lato impedisce di fatto lesercizio dellattivit accertatrice (15). Ne consegue che resterebbe impregiudicata la possibilit di svolgere controlli sostanziali nonch di emettere i relativi atti di accertamento negli ordinari termini di legge (16). A favore di questa soluzione viene altres fatto notare che gli avvisi di liquidazione, a prescindere dalla loro variegata natura giuridica, per un verso, sono caratterizzati da controlli formali agevoli e celeri e, per altro verso, si pongono su un gradino di attendibilit ben superiore allatto di accertamento in senso stretto (17). Manca inoltre nella norma qualsiasi riferimento a tale preclusione rispetto allesercizio del potere impositivo, preclusione che non pu essere ricavata dalla regola sulla cessazione della materia del contendere (su cui vedi infra), istituto, questo, avente carattere meramente processuale e pertanto destinato ad operare esclusivamente nella fase contenziosa e non anche in quella amministrativa (18). Su questa linea di pensiero si assestata la prassi amministrativa: lAgenzia delle Entrate ha stabilito che anche leventuale accettazione degli Uffici (14) RANDAZZO, op. cit. (15) Secondo RANDAZZO, op. cit., la norma in esame fa riferimento al controllo formale che normalmente viene effettuato mediante le procedure automatizzate (art. 36-bis, d.p.r. n. 600/1973, art. 54- bis, d.p.r. n. 633/1972), controllo in ordine al quale pare ragionevole assegnare eccezionalmente il breve lasso temporale di 30 gg. dalla comunicazione del proponente. (16) ATTARDI, op. cit., secondo cui i controlli sono riconducibili alla liquidazione dei tributi relativi alle dichiarazioni gi presentate senza che lAmministrazione Finanziaria possa ritenersi obbligata ad effettuare controlli sostanziali a carico del contribuente preclusivi di successive attivit accertatrici. Aderisce a questa impostazione anche LA ROSA, op. cit., secondo il quale occorrerebbe escludere che ladesione dellAmministrazione Finanziaria alla proposta di concordato formulata dallimprenditore osterebbe al successivo esercizio dei normali poteri di accertamento e rettifica delle dichiarazioni dal medesimo presentate. (17) DEL FEDERICO, La nuova transazione fiscale op. cit.. (18) Lo rileva ATTARDI, op. cit. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 361 alla proposta di transazione non preclude lespletamento di ulteriori attivit di accertamento (19). Tale posizione stata criticata da chi, in dottrina, ha fatto notare che, se lintenzione del legislatore fosse stata quella di attribuire alla dichiarazione di voto degli Uffici ex art. 182-ter i medesimi effetti giuridici del voto espresso dagli altri creditori ai sensi dellart. 178 l.f., non vi sarebbe stato alcun bisogno di disciplinare in termini cos minuziosi lattivit di ricognizione della complessiva posizione debitoria dellimprenditore concordatario perch un simile risultato si sarebbe per esempio potuto ottenere integrando il precetto di cui allart. 90 del d.p.r. n. 602/1973, ovvero in via amministrativa mediante il ricorso ad una fonte di normazione secondaria o di una circolare. In questottica, non resta che attribuire alla locuzione transazione fiscale il significato che le proprio di definitiva chiusura delle partite debitorie nei confronti del Fisco, onde consentire allimpresa di uscire dalla crisi e ritornare in bonis (20). Su queste basi, si pertanto sviluppato un secondo orientamento che ritiene altres indispensabile lespletamento, da parte degli Uffici, delle attivit che si concretizzano nei controlli c.d. sostanziali a carico del contribuente, come tali preclusivi di ulteriori attivit accertative. Si sottolinea inoltre, in questo senso, che se gli Uffici potessero rivedere i risultati transati ai sensi dellart. 182-ter listituto perderebbe efficacia e diverrebbe ben poco appetibile (21). Seguendo questo secondo filone interpretativo, che si ritiene maggiormente aderente alla ratio dellistituto (ossia conservare i complessi aziendali come fonte produttiva di ricchezza e di nuova capacit contributiva), si sostenuto che, proprio perch il voto da parte degli Uffici alla proposta concordataria potenzialmente idoneo a produrre gli ulteriori effetti di definitiva quantificazione della complessiva situazione debitoria dellimpresa concordataria e di impedimento al successivo esercizio dei poteri accertativi sui rapporti tributari oggetto di transazione, risulterebbe scarsamente coerente disconoscere allaccordo cos concluso una autonoma individualit giuridica (22). E tale autonoma individualit giuridica non pu che esprimersi nella necessit, ai fini degli affetti di consolidamento del debito tributario, delladesione (rectius accettazione) alla proposta da parte del Fisco (23). (19) Circ. 18 aprile 2008, n. 40/E, www.agenziaentrate.it. (20) STASI, op. cit. (21) TOSI, Il delicato rapporto tra autorit e consenso in ambito tributario: il caso della transazione fiscale, Giust. Trib., n. 1/2008, p. 31 che stigmatizza la brevit del termine a disposizione degli Uffici. (22) STASI, op. cit. (23) Dello stesso parere FICARI, op. cit., che sottolinea il ruolo necessario della Direzione Regionale delle Entrate tale per cui il suo assenso costituisce condizione della perfezione ed efficacia dellaccordo. 362 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 In altri termini, il consolidamento del debito tributario prescinde totalmente dalla ricostruzione in chiave endoconcorsuale della transazione fiscale, manifestando al contrario quegli immanenti profili privatistici dellistituto, tali da portare il legislatore a definire la transazione fiscale come proposta di accordo (art. 182-ter, II co., l.f.). 4. La cessazione della materia del contendere Il penultimo comma dellart. 182-ter l.f. dispone che con lomologazione del concordato preventivo si determina la cessazione della materia del contendere nelle liti aventi per oggetto i tributi di cui al comma 1. In via preliminare va osservato che lambito di applicazione della disposizione potrebbe coincidere con quella transazione speciale idonea ad estinguere per novazione il rapporto preesistente che la conciliazione giudiziale (24). Per altri, la norma sarebbe semplicemente pleonastica, posto che la legge processuale tributaria allart. 46 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 prevede gi che il giudizio si estingue in tutto o in parte nei casi di definizione delle pendenze tributarie previsti dalla legge e in ogni caso, di cessazione della materia del contendere (25). In linea generale, nel concordato preventivo non previsto n un procedimento di ammissione del credito n una procedura di verifica dei crediti. Il commissario giudiziale procede al controllo dellelenco dei creditori ed apporta le necessarie rettifiche; ciascun creditore pu sollevare contestazioni sui crediti concorrenti, alle quali il debitore ha diritto di replicare fornendo al giudice i necessari chiarimenti. Il giudice pu ammettere provvisoriamente in tutto o in parte i crediti contestati, ma ci ai soli fini del calcolo delle maggioranze. Pertanto, tutte le questioni relative allesistenza del credito, al suo ammontare e al grado di privilegio spettante trovano spazio nellordinario giudizio di cognizione o, per ci che attiene agli atti impositivi, nel giudizio avanti il giudice tributario. In altre parole il divieto posto dal legislatore, per i creditori per titolo o causa anteriore al decreto di ammissione al concordato preventivo, di agire esecutivamente sul patrimonio del debitore, non elude la possibilit di agire giudizialmente per laccertamento dei crediti al fine di procurarsi titoli idonei per la successiva esecuzione. La conseguenza che se ne trae che, per regola generale, la sentenza di omologazione del concordato preventivo, pur determinando un vincolo defi- (24) Losservazione di MANDRIOLI, Transazione fiscale e concordato preventivo tra lacune normative e principi del concorso, Giur. Comm., 2008, n. 2, p. 296. (25) ATTARDI, op. cit.. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 363 nitivo sulla riduzione quantitativa dei crediti, non comporta la formazione di un giudicato n sullan, n sul quantum, n sul rango dei medesimi. Da ci se ne dedotto che, tramite il V comma dellart. 182-ter l.f., il legislatore abbia voluto derogare alla predetta regola generale (26). Si tratta di stabilire se tale effetto rimanga attratto dal carattere endoconcorsuale dellistituto (vedi supra), o se, invece, costituisca il punto di emersione delle immanenti connotazioni consensuali-privatistiche che la transazione fiscale reca con s. In altri termini, occorre verificare se ladesione dellAmministrazione Finanziaria alla proposta di concordato possa ritenersi indispensabile rispetto alla definizione degli effetti processuali di definizione delle liti pendenti. A questo proposito, la lettera del V comma dellart. 182-ter l.f. sembra subordinare la definizione delle controversie al passaggio in giudicato del certo di omologazione di cui allart. 181 l.f. e non anche, quale effetto dellaccordo, alladesione da parte dellAgenzia delle Entrate alla proposta transattiva. Ci significherebbe che lart. 182-ter l.f. dispone la definitiva cessazione della materia del contendere in ordine alle liti tributarie per il solo fatto che il concordato venga omologato e, pertanto anche nelle ipotesi di mancata adesione da parte dellAmministrazione finanziaria espressa mediante voto contrario alla proposta contenuta nella domanda di concordato preventivo, alla quale non rimarr che la possibilit di fare opposizione al giudizio di omologazione ex art. 180 l.f. (27). Secondo parte della dottrina, tuttavia, si tratta di un profilo di riemersione della connotazioni transattive dellistituto che rappresenta la conseguenza dellaccordo perfezionatosi nellambito del concordato: in mancanza delladesione da parte dellAmministrazione Finanziaria, leffetto della cessazione della materia del contendere sarebbe precluso (28). In questo senso, secondo una pi corretta lettura della norma, la chiusura della procedura di concordato ai sensi dellart. 181 l.f. indicherebbe solamente il momento cronologico in cui ci avviene, purch, come si detto, sul presupposto della previa adesione del Fisco alla proposta. 5. QualՏ la sorte del credito iva? La disposizione in commento esordisce statuendo che con il piano di cui allart. 160, il debitore pu proporre il pagamento parziale o anche dilazionato dei tributi amministrati dalle agenzie fiscali e dei relativi accessori () ad eccezione dei tributi costituenti risorse proprie dellUnione Europea dopo la (26) ATTARDI, op. cit. (27) Losservazione di MANDRIOLI, op. cit. (28) DEL FEDERICO, La transazione..., op. cit. 364 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 modifica apportata dal d.l. 2 novembre 2008, n. 185, convertito con modificazioni, dalla l. 28 gennaio 2009, n. 2, con riguardo allimposta sul valore aggiunto, la proposta pu prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento. In primo luogo si pone il problema della individuazione dei tributi amministrati dalle agenzie fiscali, in quanto soltanto ad essi torna applicabile la transazione fiscale. Come noto, la legislazione non offre alcuna definizione di tributo, per cui il relativo concetto di elaborazione dogmatico-giurisprudenziale, donde ovvie difficolt interpretative ed applicative. La dottrina prevalente concepisce il tributo come prestazione patrimoniale imposta, caratterizzata dall'attitudine a determinare il concorso alle pubbliche spese; su posizioni analoghe si posta anche la Corte costituzionale, affermando che la nozione di tributo Ǐ caratterizzata dalla ricorrenza di due elementi essenziali; da un lato, l'imposizione di un sacrificio economico individuale realizzata attraverso un atto autoritativo di carattere ablatorio; dall'altro, la destinazione del gettito scaturente da tale ablazione al fine integrare la finanza pubblica, e cio allo scopo di apprestare i mezzi per il fabbisogno finanziario necessario a coprire le spese pubbliche. In virt di tale concezione unitaria dottrina e giurisprudenza prevalenti riconducono alla categoria del tributo le imposte, le tasse ed i contributi. Per quanto qui rileva l'art. 182-ter, nel fare riferimento ai tributi amministrati dalle sole agenzie fiscali, risolve alla radice la maggior parte delle problematiche qualificatorie. Quanto allindividuazione della nozione per amministrazione del tributo, occorre fare riferimento a quel fascio di poteri funzionali al controllo, allaccertamento e alla riscossione (29). Per le entrate pubbliche amministrate da soggetti diversi dalle agenzie fiscali l'art. 182-ter non potr trovare applicazione, a prescindere dalla qualificazione tributaria, previdenziale, patrimoniale, ecc. (si pensi al caso dei tributi regionali e locali). Da ci si ricava che i tributi che possono astrattamente costituire oggetto della transazione fiscale sono lIrpef, lIrap (30), lIres, con le relative addizionali e imposte sostitutive, imposta di registro, imposta ipotecaria e catastale, imposte di bollo, imposte sulle successioni e donazioni, imposta sugli intrat- (29) MAGNANI, op. cit. (30) DEL FEDERICO, Commento sub art. 182-ter, Il nuovo diritto fallimentare, coordinato da Jorio, diretto da Fabiani, precisa che con riguardo allimposta sulle attivit produttive, un primo orientamento valorizza, convincentemente, il criterio della competenza amministrativa a gestire il tributo e quindi giunge a ricomprendere tale imposta entro lambito di applicazione dellart. 182-ter; viceversa un secondo e pi restrittivo orientamento valorizza la titolarit del tributo, sotto il profilo della spettanza del gettito, ovvero sotto il profilo della potest legislativa. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 365 tenimenti, tasse automobilistiche, tasse sui contratti di borsa, canone di abbonamento della televisione, imposta demaniali, dazi di importazioni e esportazione, imposte di fabbricazione e di consumo (31). Ci premesso, nel caso di specie era stata posta allattenzione dellorgano giudicante la questione della transigibilit dellIVA. In altre parole, poich la proposta di concordato era stata avanzata prima dellentrata in vigore del predetto d.l., era necessario stabilire se la soluzione ivi accolta avesse natura meramente interpretativa oppure innovativa della precedente formulazione della norma, con la conseguenza che solo nel primo caso della stessa si poteva fornire unapplicazione retroattiva (e quindi estesa anche al caso di specie). Si rendeva, in altre parole, necessario stabilire se lIVA potesse essere o meno considerata tributo che costituisce risorsa propria dellU.E.. La Corte dappello, aderendo allimpostazione del Tribunale fallimentare, opta per la seconda soluzione osservando che la nuova norma () ha carattere non gi interpretativo ma innovativo della precedente formulazione in quanto detta una specifica disciplina per lIVA distinguendo il trattamento di tale tributo, nellambito della transazione fiscale, sia da quello dei tributi che possono essere oggetto di falcidia sia da quello relativo ai tributi costituenti risorse proprie dellU.E.. Prima di capire se la soluzione proposta possa ritenersi corretta pare opportuno effettuare brevi cenni sul sistema di finanziamento dellU.E. al fine di meglio precisare il ruolo svolto dallIVA in questo contesto. Il finanziamento del bilancio comunitario tramite risorse proprie pur previsto nei trattati fu attuato con la Decisione 70/234/Cee-Euratom del 21 aprile 1970 con la quale, accanto alle risorse proprie tradizionali costituite dai prelievi agricoli e dai dazi doganali, fu introdotta una risorsa proveniente dallimposta sul valore aggiunto ottenuta applicando una percentuale non superiore all1% ad una base imponibile determinata in modo uniforme in base a regole comunitarie (32). Successivamente, per fare fronte alle difficolt del bilancio comunitario ed equilibrare la contribuzione tra gli stati fu introdotta unaltra risorsa propria basata sul Prodotto Nazionale Lordo degli Stati membri prevedendo dei correttivi per quei paesi che avevano denunciato una penalizzazione derivante dalle modalit di calcolo delle risorse proprie, in particolare attuando man mano una diminuzione dellimportanza dellIVA per il finanziamento comunitario culminata nel regolamento n. 1550/2000/Ce-Euratom del 22 maggio 2000. (31) STASI, La transazione fiscale, Fall., 2008, f. 7, p. 733. (32) Con lintroduzione della sesta direttiva 77/388/Cee del 17 maggio 1977 stata stabilita la determinazione in modo uniforme della base imponibile IVA, concedendo agli stati membri la possibilit di derogare alle disposizioni introdotte. 366 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 Lattuale disciplina delle risorse proprie scaturenti dallIVA (33) risulta basata sul calcolo delle entrate nette riscosse da ciascun Paese membro nel corso di un anno, divise per laliquota media ponderata, che rappresenta, per ciascuno Stato membro, la media ponderata delle diverse aliquote applicabili alle operazioni gravate da IVA non detraibile. evidente che lonere gravante su ciascuno Stato, per ci che riguarda il finanziamento comunitario, direttamente collegato, da un lato, alla reale consistenza della base imponibile (dipendente dal valore dei consumi complessivi delle famiglie), ma anche, dallaltro lato, allefficienza della singole amministrazioni nel reprimere le frodi ed evitare levasione dellimposta (34). A ci a vanno aggiunte ulteriori correzioni al fine di tenere eventualmente conto delle imposte non riscosse per effetto delle riduzioni accordate dagli Stati membri alle piccole imprese ai sensi dellart. 24, par. 2, della Sesta Direttiva. Pur essendo chiaro il meccanismo di calcolo della risorsa proveniente dallIVA, a partire dallentrata in vigore dalla riforma della legge fallimentare si era andato sviluppando un dibattito, sia in dottrina, sia in giurisprudenza sulla riconducibilit dellIVA al novero dei tributi costituenti risorse proprie dellUnione Europea. Secondo un primo orientamento, in ragione del legame di fondo sussistente tra la base imponibile comune e le entrate nette IVA percepite dagli Stati membri, ai fini della determinazione del gettito spettante allU.E. risulta fondamentale la capacit dello Stato di riscuotere il tributo in riferimento a tutte le operazioni tassabili, capacit che risulterebbe compromessa ove fossero rese possibili modalit transattive di riscossione dellIVA (35), con la conseguenza che, tale tributo, proprio perch costituente risorsa propria dellU.E. sarebbe estraneo allambito di applicazione dellistituto in commento. Diversamente argomentando, le tesi contrarie o considerano la quota IVA come mero trasferimento finanziario (36), oppure ritengono la base imponibile IVA mero parametro cui applicare laliquota uniforme che prescinde dalla riscossione dellimposta dovuta dal singolo contribuente italiano, in maniera tale per cui, in realt, la transazione fiscale non provocherebbe alcun effetto sullimponibile nazionale in base al quale calcolare la risorsa IVA comunitaria (37). (33) Contenuta nella Decisione n. 2000/597/Cee-Euratom del 29 settembre 2000 e nei gi menzionati regolamneti (34) ZATTI, Il finanziamento dellUnione Europea e il sistema delle risorse proprie, Cedam, Padova, 2002, p. 10. (35) MAURO, La problematica appartenenza dellIVA allambito di applicazione della transazione fiscale nelle procedure concorsuali, Riv. Dir. Trib., 2008, 10, p. 847. (36) DEL FEDERICO, La nuova transazione fiscale nel sistema delle procedure concorsuali, Riv. Dir. Trib., 2008, I, p. 215, TOSI, La transazione fiscale, op. cit., FICARI, Riflessioni su transazione fiscale e ristrutturazione dei debiti tributari, Rass. Trib., n. 1/2009, p. 68. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 367 N mancato chi ha sostenuto una tesi intermedia, adombrando la soluzione secondo cui, ferma restando la necessit di corrispondere allUnione Europea limposta derivante dallapplicazione delle modalit di determinazione del gettito comunitario, consentito transigere lIVA nazionale a seguito dellesercizio, da parte dellItalia, delle facolt di deroga alla disciplina comunitaria sulla riscossione del tributo che la Direttiva 2006/112/Ce concede ai singoli Stati membri. In ogni caso a dirimere il contrasto interpretativo insorto sul punto intervenuto lo stesso legislatore che, facendo propria una posizione mediana, tramite lart. 32 del d.l. 2 novembre 2008, n. 185, convertito in l. 28 gennaio 2009, n. 2, ha ricondotto il credito IVA entro lambito di applicazione della transazione fiscale ma consentendone solamente la dilazione e non anche la falcidia. La norma non stabilisce un limite temporale alla possibile rateazione del pagamento ed stato ipotizzato che il margine di dilazione ritenuto accettabile dagli Uffici possa essere piuttosto ampio (38). Nonostante il recente intervento normativo, tuttavia, largomento della transigibilit del credito IVA non pu dirsi certo esaurito. In primo luogo, lAgenzia delle Entrate (39) ha precisato che il divieto di falcidia attiene solo alla sorte del debito dimposta originario e non riguarda gli accessori e gli interessi che ne sono esclusi possono pertanto essere pagati in percentuale. La sorte del diverso trattamento tra sorte e accessori risiede nel fatto che solo il credito IVA vero e proprio partecipa alla determinazione del contributo italiano allU.E. (vedi supra), sicch sarebbe incongruo rispetto allo scopo estendere il divieto a interessi e sanzioni, cos inutilmente appesantendo le prospettive del proponente e frustrando le stesse aspettative di maggior recupero da parte dellErario, nellambito del concordato, rispetto al fallimento. Un altro tema non del tutto definito riguarda il criterio del conteggio della falcidia massima consentita dalla legge. Essa determinata dallart. 160, terzo comma e dall'art. 182-ter, primo comma, l.f., con riferimento alla percentuale di abbattimento dei crediti privilegiati di grado inferiore o aventi interessi economici omogenei e, per i crediti chirografari, con riguardo al trattamento degli (37) Si tratta della posizione maggioritaria in giurisprudenza, cfr. Trib. Milano, decr. 13 dicembre 2007, nonch Trib. Pavia, decr. 8 ottobre 2008 secondo cui la cosiddetta IVA comunitaria non calcolata sul riscosso IVA nazionale cos che la rinuncia alla riscossione di parte dellimposta sul valore aggiunto rinuncia propria dello Stato Italiano senza nessuna incidenza diretta o indiretta sul sistema di finanziamento comunitario. Per lorientamento contrario, cfr. Trib. Piacenza, decr. 1 luglio 2008. tutte le richiamate pronunce sono citate da PANNELLA, Lincognita transazione fiscale, Fall., n. 6/2009, p. 644. (38) LAMALFA, LAgenzia delle Entrate illustra lestensione della transazione fiscale allIVA, Corr. Trib., n. 24/2009, p. 1946. (39) Circ. 10 aprile 2009, n. 14/E, www.agenziaentrate.it. 368 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 altri creditori chirografari ovvero, nel caso di suddivisione in classi, dei creditori rispetto ai quali previsto il trattamento pi favorevole, secondo la previsione dei primo comma dell'art. 182-ter, cos come modificata dal d.l. n. 185/2008. Ci che non chiaro infatti se tale conteggio vada eseguito prendendo a parametro solo le voci escluse dal divieto - e cio gli interessi e le sanzioni come tali - ovvero se possa essere rapportato all'intero credito originario unitariamente considerato, composto da sorte, interessi e rivalutazione. Se il credito IVA, pur se composto da pi voci (sorte, interessi e sanzioni), viene in rilievo unitariamente ai fini dell'applicazione di questa norma (come in genere vengono in rilievo tutti i crediti nell'ambito delle procedure concordatarie), a prescindere dalla composizione interna delle singole imposte, potrebbe anche accogliersi la tesi pi elastica, che comporterebbe in concreto un margine di abbattimento maggiore. Se invece la distinzione tra una parte falcidiabile ed una parte non falcidiabile viene riconnessa a differenze di tipo ontologico tra la sorte e gli accessori, allora sarebbe necessario calcolare la percentuale di falcidia di interessi e sanzioni solo sulle voci oggetto della falcidia stessa e non sullintero credito (40). 6. Conclusioni Alla luce della sommaria esposizione di alcune delle questioni interpretative cui ha dato luogo lutilizzo della transazione fiscale nel concordato preventivo, si pu tentare, in conclusione, di riassumere brevemente le considerazioni sopra svolte. Come detto, infatti, lutilizzazione di questo istituto strumentale rispetto alla realizzazione di tre ordini di effetti (vedi supra): falcidia/dilazione dei crediti tributari, consolidamento del debito tributario, cessazione della materia del contendere nelle liti tributarie insorte. Daltro canto, sui rapporti tra transazione fiscale e concordato preventivo si sono sviluppate tue tesi estreme. La prima, dominante in giurisprudenza, attrae tutti i suddetti effetti entro la logica concordataria, ritenendo totalmente irrilevante la posizione che il Fisco assume in ordine alla proposta del debitore, potendo il Tribunale, nellesercizio del c.d. cram down power, giungere allomologazione del concordato anche in presenza di un voto contrario espresso dallAgenzia delle Entrate e/o dallAgente della riscossione e, per tale via, ottenere tanto il consolidamento del debito tributario quanto la cessazione della materia del contendere. La seconda, di segno opposto, fatta propria dallAgenzia delle Entrate, (40) LAMALFA, ult. op. cit. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 369 oltre che da parte della dottrina, richiede il voto favorevole degli Uffici anche per ci che attiene agli effetti di falcidia del credito erariale, cos svalutando lindefettibile connotazione endoconcorsuale che la - nuova - transazione fiscale reca con s. A ben vedere, tuttavia, nessuna delle predette interpretazioni riesce a cogliere il dato fondamentale, ossia quello costituito dalla persistente ambiguit dellistituto sotto il profilo dellindividuazione della sua natura giuridica. Tale ambiguit non altro che il sintomo della polifunzionalit della transazione fiscale, a sua volta espressione di quellesigenza avvertita dal legislatore di contemperare, nellambito delle vicende della crisi dimpresa, le ragioni erariali da un lato e le peculiarit della procedura concorsuale di concordato preventivo dallaltro lato. In altri termini, la transazione fiscale assume connotati ora proceduraliconcorsuali, ora privatistico-consensuali a seconda del tipo di effetto che si intende realizzare. In questo senso, con riguardo alla falcidia dei crediti tributari assumono indubbia preminenza i caratteri endoconcorsuali dellistituto, con tutte le implicazioni sopra esposte. Diversamente, con riguardo sia alleffetto di consolidamento, sia alla cessazione della materia del contendere, ove rimangono estranee esigenze di tutela della par condicio creditorum, riemergono quelle sfumature contrattuali che rendono in questottica indispensabile il voto favorevole del Fisco alla proposta concordataria. Il carattere polifunzionale dellistituto rappresenta altres largomento che consente di affermare la necessariet della transazione fiscale tutte le volte in cui limprenditore in stato di crisi intenda accedere alla procedura di concordato preventivo, risultando altrimenti vanificata la consapevole espressione del voto da parte degli uffici in sede di adunanza dei creditori. Quanto al credito IVA, che normalmente costituisce una delle poste debitorie pi considerevoli e ricorrenti nelle imprese in stato di crisi, stato sottolineato come lesclusione di tale tributo dalla falcidia concordataria non faccia altro che vanificare lattrattiva della transazione fiscale (41), in un quadro complessivo che, complici le molteplici carenze dellimpianto normativo, evidenzia linsuccesso dellart. 182-ter (42). (41) ZENATI, La transazione fiscale nella legge fallimentare, Corr. Trib., n. 23/2008, p. 1896. (42) MINNITI, La transazione fiscale: ultime novit e proposte per un rilancio, Riv. Dott. Comm., n. 1/2009, p. 127. R E C E N S I O N I ALESSANDRA BRUNI - GIOVANNI PALATIELLO (*), La difesa dello Stato nel processo (Modelli e tecniche dei processi civili, Collana diretta da G. ARIETA e F. DE SANTIS, UTET GIURIDICA, 2011, pp. III-XXIV-344) Prefazione di Ignazio Francesco Caramazza (**) Lopera costituisce una monografia interamente dedicata al tema della difesa dello Stato nel processo, con particolare attenzione al processo civile ma con sostanziose trattazioni anche di quello penale, amministrativo e costituzionale. Il volume, dopo aver dato conto delle origini storiche e del processo evolutivo in Italia della difesa dello Stato in giudizio, si sofferma sulla nuova realt dellAmministrazione statale, che potrebbe dirsi policentrica, in quanto legata non pi (o non solo) alla organizzazione per Ministeri, ma che abbraccia nuovi soggetti (quali, a titolo di mero esempio, le Agenzie e le cosiddette societ pubbliche) formalmente distinti dallo Stato in senso stretto, e tuttavia preposti alla cura di interessi pubblici riferibili allo Stato medesimo. In tale ottica, particolare attenzione viene riservata al cosiddetto patrocinio autorizzato ex art. 43, r.d. n. 1611/19333, istituto particolarmente flessibile, che ben si adatta alla nuova fisionomia dellAmministrazione statale e della Pubblica Amministrazione in generale. Il volume di Alessandra Bruni e di Giovanni Palatiello si segnala per lincisivit delle argomentazioni, per la chiarezza dellesposizione e lequilibrio delle soluzioni proposte ai numerosi problemi interpretativi posti dalla disciplina della difesa dello Stato in giudizio, con particolare attenzione dedicata alle pi recenti modifiche normative che hanno profondamente innovato sia il processo civile, sia quello amministrativo. Si tratta di una delle rare opere che non si limitano ad una trattazione settoriale delle questioni legate al patrocinio dello Stato, proponendone, invece, una ricostruzione criticosistematica di ampio respiro, che offre a tutti gli operatori del diritto non solo una compiuta informazione ma anche una ricca messe di spunti di riflessione. (*) Avvocati dello Stato. (**) Avvocato Generale dello Sato. Finito di stampare nel mese di aprile 2011 Servizi Tipografici Carlo Colombo s.r.l. Via Roberto Malatesta n. 296 - Roma