ANNO LXIII - N. 3 LUGLIO - SETTEMBRE 2011 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE DI SERVIZIO COMITATO SCIENTIFICO: Presidente: Aldo Linguiti. Componenti: Franco Coppi - Giuseppe Guarino - Natalino Irti - Eugenio Picozza - Franco Getano Scoca. DIRETTORE RESPONSABILE: Giuseppe Fiengo - CONDIRETTORI: Giacomo Arena e Maurizio Borgo. COMITATO DI REDAZIONE: Lorenzo DAscia - Gianni De Bellis - Sergio Fiorentino - Paolo Gentili - Maria Vittoria Lumetti - Antonio Palatiello - Massimo Santoro - Carlo Sica - Stefano Varone. CORRISPONDENTI DELLE AVVOCATURE DISTRETTUALI: Andrea Michele Caridi - Stefano Maria Cerillo - Luigi Gabriele Correnti - Giuseppe Di Gesu - Paolo Grasso - Pierfrancesco La Spina - Maria Vittoria Lumetti - Marco Meloni - Maria Assunta Mercati - Alfonso Mezzotero - Riccardo Montagnoli - Domenico Mutino - Nicola Parri - Adele Quattrone - Pietro Vitullo. HANNO COLLABORATO INOLTRE AL PRESENTE FASCICOLO: Giuseppe Albenzio, Carlo Bellesini, Alessandra Bruni, Giancarlo Caselli, Gesualdo dElia, Ruggiero Dipace, Fabrizio Fedeli, Wally Ferrante, Maurizio Fiorilli, Franco Giampietro, Diego Giordano, Federico Maria Giuliani, Maurizio Greco, Antonio Grumetto, Niccol Guasconi, Alessandra Iorio, Damiano Marini, Francesco Meloncelli, Glauco Nori, Giampaolo Rossi, Rosa Rota, Francesco Spada, Barbara Tidore, Federica Varrone, Luca Ventrella, Francesco Vignoli, Paola Maria Zerman, Laura Zoppo. E-mail: giuseppe.fiengo@avvocaturastato.it - tel. 066829313 maurizio.borgo@avvocaturastato.it - tel. 066829597 ABBONAMENTO ANNUO .............................................................................. 40,00 UN NUMERO .............................................................................................. 12,00 Per abbonamenti ed acquisti inviare copia della quietanza di versamento di bonifico bancario o postale a favore della Tesoreria dello Stato specificando codice IBAN: IT 42Q 01000 03245 348 0 10 2368 05, causale di versamento, indirizzo ove effettuare la spedizione, codice fiscale del versante. I destinatari della rivista sono pregati di comunicare eventuali variazioni di indirizzo AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO RASSEGNA - Via dei Portoghesi, 12, 00186 Roma E-mail: rassegna@avvocaturastato.it - Sito www.avvocaturastato.it Stampato in Italia - Printed in Italy Autorizzazione Tribunale di Roma - Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 INDICE - SOMMARIO CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE Maurizio Fiorilli, Il caso Kadi. La legittimazione dei giudici comunitari a sindacare le risoluzioni del Consiglio di sicurezza . . . . . . . . . . . . . . . . Paola Maria Zerman, Europa: il sistema integrato di tutela dei diritti fondamentali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Giuseppe Albenzio, Caso Hirsi e altri contro Italia. Lintervento orale del Governo italiano. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.- Le decisioni della Corte di giustizia dellUnione europea Wally Ferrante, La Corte di giustizia salva le tariffe forensi massime (C. giustizia, Grande Sezione, sent. 29 marzo 2011, nella causa C- 565/08, Commissione c. Italia). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . Luca Ventrella, Laura Zoppo, La cancellazione delliscrizione allalbo degli avvocati in caso di esercizio concomitante della professione forense e di un impiego come dipendente pubblico a tempo parziale (C. giustizia, Sez. V, sent. 2 dicembre 2010, nella causa C-225/09, Jakubowska). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . CONTENZIOSO NAZIONALE Francesco Meloncelli, Conoscibilit e garanzia del contribuente (Cass. civ., Sez. V, sent. 16 marzo 2011 n. 6102; Cass. civ., Sez. V, sent. 16 marzo 2011 n. 6114) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Alessandra Bruni, Niccol Guasconi, Orientamenti giurisprudenziali in tema di efficacia delle sentenze ecclesiastiche: verso una maggior pervasivit del controllo operato dal giudice italiano (Cass. civ., Sez. I, sent. 20 gennaio 2011 n. 1343) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Federico Maria Giuliani, Elusione ed evasione, interposizione e simulazione, abuso del diritto tributario non armonizzato. Querelles antiche e nuove sulle orme di un reasoning del Supremo Collegio (Cass. civ., Sez. V, sent. 26 febbraio 2010 n. 4737) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Carlo Bellesini, La disciplina dellonere della prova nel codice del processo amministrativo (Cons. St., Sez. IV, sent. 16 maggio 2011 n. 2955) Carlo Sica, Impugnabilit dei provvedimenti adottati dal Commissario ad acta ed incidenza della normativa sopravvenuta sul giudicato (Cons. St., Sez. III, sent. 26 agosto 2011 n. 4816) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Damiano Marini, Legittimazione ed interesse di una P.A. alliniziativa giurisdizionale (Cons. St., Sez. VI, sent. 13 giugno 2011 n. 3567). . . . . pag. 1 44 58 64 75 91 115 127 139 149 152 I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO Diego Giordano, Rapporti tributari tra Stato e Regioni. Cessioni di beni da parte di un ente regione allappaltatore come parte del corrispettivo di pagamento: imponibilit della cessione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Barbara Tidore, Riduzione dellimporto - a seguito di pronuncia giurisdizionale - di sanzioni pecuniarie irrogate dallAutorit Garante della concorrenza e del mercato: modus procedendi nella restituzione . . . . . . . . . Giuseppe Albenzio, Prescrizione dellobbligazione doganale sorta in presenza di reato ai sensi dellart. 84 del T.U.L.D. e dellarticolo 221 del Reg. CEE n. 2913/1992 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Antonio Grumetto, Accordi di indennizzo stipulati ai sensi dellart. 4 del DL 351/01 a seguito del venir meno del conferimento di beni ai Fondi immobiliari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Federica Varrone, Rimborso spese legali richiesto da dipendente assolto in sede penale in pendenza di giudizio risarcitorio ai fini civili ad istanza della costituita parte civile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Fabrizio Fedeli, Contributi alle imprese editoriali: Art. 3, comma 3 lett. c) della L. 7 agosto 1990 n. 250 - Duplicit di testate che presentatno la medesima iscrizione nel registro della stampa Art. 3, comma 5, della L. 7 agosto 1990 n. 250 - Divieto di distribuzione degli utili e ristorni. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Maurizio Greco, Onere delle spese legali a carico dellAmministrazione nel caso di procedimento conclusosi con piena esclusione di responsabilit del dipendente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Giancarlo Caselli, Beni confiscati alla criminalit organizzata. Problematiche inerenti a societ e/o beni societari confiscati . . . . . . . . . . . . . . Gesualdo dElia, Disciplina delle spese processuali: rimborso spese generali previsto dallart. 14 del D.M. 8 aprile 2004 n. 127 . . . . . . . . . . . . LEGISLAZIONE ED ATTUALITA Francesco Spada, Riflessioni sul part-time nel settore pubblico a seguito delle disposizioni del c.d. Collegato lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Alessandra Iorio, Le infrastrutture di comunicazione a banda larga e la disciplina degli aiuti di Stato: gli equilibri delicati della crescita. . . . . . CONTRIBUTI DI DOTTRINA Glauco Nori, Dopo la sentenza sul legittimo impedimento: la ricerca di un punto di equilibrio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Francesco Vignoli, Le problematiche connesse ai rapporti tra la transazione fiscale, il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione . Rosa Rota, Profili di diritto comunitario dellambiente. . . . . . . . . . . . . . pag. 169 171 173 181 184 185 186 188 190 217 221 230 253 262 270 RECENSIONI Giampaolo Rossi, Potere amministrativo e interessi a soddisfazione necessaria. Crisi e nuove prospettive del diritto amministrativo, G. Giappichelli Editore - Torino, 2011. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . AAVV, La nuova disciplina dei rifiuti. Commento al D.LGS. 205/2010. Aggiornato al Testo Unico Sistri, a cura di F. Giampietro, IPSOA, 2011 Ruggiero Dipace, La disapplicazione nel processo amministrativo, G. Giappichelli Editore - Torino, 2011 (Collana di Studi Nuovi problemi di amministrazione pubblica diretti da Franco Gaetano Scoca). Recensione di Maurizio Borgo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 341 343 344 CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE Il caso Kadi La legittimazione dei giudici comunitari a sindacare le risoluzioni del Consiglio di sicurezza Maurizio Fiorilli* Il ricorso avverso la sentenza resa dal Tribunale di Primo Grado dellUnione Europea nella causa T-85/09 solleva numerosi punti di interesse (1). In primo luogo, la dottrina concorde nel riconoscere che il filone di contenzioso sviluppatosi nei casi Kadi I e Kadi II (che ha prodotto ad oggi due sentenze del Tribunale di Primo Grado e una sentenza della Corte di Giustizia), rappresenta uno spartiacque nel modo di intendere i rapporti reciproci fra ordinamento comunitario e ordinamento internazionale. La causa in esame verte infatti sulla sindacabilit, da parte di organi giurisdizionali comunitari, di regolamenti adottati dalla Comunit che costituiscono mera implementazione di Risoluzioni adottate dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite a norma del Capitolo VII della Carta ONU. Se dovesse prevalere, in ossequio allopinione del tribunale, la posizione della sindacabilit piena, anche nel merito, delle decisioni del Consiglio di Sicurezza, verrebbe a essere confermata e autorevolmente condivisa la nozione c.d. dualistica dei rapporti fra Comunit e ordinamento internazionale: la Comunit e lordinamento internazionale finirebbero con lessere considerati due ordinamenti separati e distinti, pressoch impermeabili nei rispettivi rapporti reciproci. Questa impostazione, fra laltro, confligge con il ruolo di attore internazionale virtuoso che lUnione ha sempre propagandato, e che trova oggi autorevole riscontro anche nel trattato di Lisbona e nelle negoziazioni che lhanno preceduto. (*) Vice Avvocato Generale dello Stato. (1) In allegato la memoria di intervento del Governo italiano. 2 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 Il ricorso tocca altri punti di particolare interesse giuridico: leventuale grado di sindacabilit delle misure comunitarie di mera implementazione di risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, lo standard of judicial review di volta in volta applicabile, la natura (amministrativa o penale) delle misure preventive di congelamento dei beni e, da ultimo il ruolo assunto, ai fini della tutela dei diritti del ricorrente, dellistituzione di una procedura di revisione a livello di Consiglio di Sicurezza, che, oltre a costituire un mezzo di tutela delle ragioni del ricorrente, si configura anche come strumento di autotutela amministrativa, per la migliore garanzia degli interessi generali che il Consiglio di Sicurezza chiamato a proteggere. ******** Ct. 18924/2009 Avv. Maurizio Fiorilli AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO CORTE DI GIUSTIZIA DELL UNIONE EUROPEA MEMORIA DINTERVENTO Del GOVERNO DELLA REPUBBLICA ITALIANA, in persona dellAgente designato per il presente giudizio, con domicilio eletto a Lussemburgo presso lAmbasciata dItalia, rappresentato e difeso dallAvvocatura Generale dello Stato, nelle cause riunite C-584/10 P, C-593/10 P e C-595/10 P Commissione dellUnione europea, Consiglio dellUnione europea, Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, a sostegno degli appelli da questi presentati a norma dellart. 56 dello Statuto della Corte di Giustizia dellUnione europea avverso la decisione del Tribunale dellUnione europea nella causa T-85/09 Yassin Abdullah Kadi contro Commissione dellUnione europea * * * * * * * * * * 1. Con ordinanza della Corte di Giustizia dellUnione europea in data 23 maggio 2011 (Reg. 874982) la Repubblica italiana stata autorizzata a intervenire nelle cause riunite in oggetto, a sostegno degli appelli presentati dalla Commissione dellUnione europea, del Consiglio dellUnione europea e del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord. La Repubblica italiana espone di seguito le ragioni del suo intervento e delle sue conclusioni a favore della legittimit del Regolamento della Commissione. A) Struttura del presente intervento 2. Il presente atto di intervento strutturato in quattro parti fondamentali. Dopo una prima introduzione generale sui fatti della causa e sulle misure adottate dalla Comunit internazionale per contrastare il fenomeno terroristico, saranno presi in esame tre motivi dappello, che sostengono ed espandono quelli presentati con i ricorsi della Commissione europea e del Consiglio europeo (dora innanzi, la Commissione e il Consiglio, rispettivamente). CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 3 3. La Repubblica italiana cercher in primordine di argomentare, secondo una posizione condivisa dal Consiglio, che la sentenza resa dalla Corte di Giustizia dellUnione Europea (dora innanzi la Corte) nella causa C-402/05 P, nella misura in cui questa non prevede la insindacabilit dei regolamenti comunitari di mera attuazione di Risoluzioni adottate dal Consiglio di Sicurezza a norma del Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite (dora innanzi, la Carta ONU), deve essere riconsiderata. La Repubblica italiana, allineandosi alla decisione del Tribunale di Primo Grado nella causa T-315/01, ritiene al contrario che tali regolamenti godano di unimmunit giurisdizionale quasi assoluta. 4. In via subordinata si sosterr, in linea con le posizioni del Consiglio e della Commissione, che quandanche la sentenza della Corte nella caus C-402/05 P sia corretta e non meriti di essere rimessa in discussione, essa sia stata comunque male interpretata e male applicata dal Tribunale di Primo Grado nella causa T-85/09. Difatti, un sindacato ispirato ai principi della completezza e del rigore, come richiesto dal Tribunale (1), determinerebbe la violazione da parte degli organi comunitari e, di riflesso, da parte degli Stati membri, degli obblighi su questi gravanti in base alle disposizioni internazionali di diritto pattizio e consuetudinario. Oltre che a essere inammissibile in punto di stretto diritto, tale rigoroso controllo risulterebbe inattuabile dal punto di vista pratico, in ragione della indisponibilit del materiale informativo e probatorio su cui esso dovrebbe basarsi. 5. Come ulteriore motivo dappello, condiviso da tutti gli appellanti la Repubblica italiana, condividendo le osservazioni della Commissione e del Consiglio, dimostrer come il Tribunale di Primo Grado non abbia tenuto debitamente conto delle garanzie procedimentali previste a favore del ricorrente in sede di Nazioni Unite, procedure queste che gli avrebbero consentito, qualora fossero state esperite, di ottenere una tutela quasi giurisdizionale delle sue posizioni. Alla luce della risoluzione 1904(2009), istitutiva di un Ombudsperson competente a conoscere delle doglianze dei sospetti terroristi interessati da misure di blacklisitng e costituente jus superveniens rispetto alla decisione della Corte nella sentenza C-402/05 P, anche tale pronunciamento meriterebbe di essere rivisto. B) Introduzione 6. La lotta al terrorismo internazionale impegna la comunit degli Stati ormai da decenni; il primo tentativo di combattere in maniera organica e condivisa il fenomeno terroristico risale a una data anche anteriore alla costituzione delle Nazioni Unite. Gi nel 1937, infatti, la Societ delle Nazioni licenziava il testo di una proposta di Convenzione per la prevenzione e la repressione del terrorismo, di fatto mai entrata in vigore per limpossibilit di superare alcuni punti di contrasto fra gli Stati membri. 7. Limpegno della Comunit internazionale nel contrastare il fenomeno terroristico non dunque nuovo; pi recente, e pi carico di complessit tecniche e politiche, invece il ruolo assunto dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite nello sviluppare le linee strategiche e operative per il suo contenimento ed eventualmente per la sua soppressione. 8. Il contenzioso in esame testimonianza di tali complessit e la sua importanza politica e giuridica si sviluppa su almeno tre piani: in primo luogo esso segna una tappa fondamentale nellanalisi della legittimit dellevoluzione dei poteri impiegati dal Consiglio (1) Si veda Yassin Abdullah Kadi, causa T-85/09, 30 settembre 2010, paragrafi 148-151. 4 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 di Sicurezza nel contrasto del terrorismo internazionale (2). Ladozione di risoluzioni in materia di antiterrorismo dal carattere quasi-legislativo, di portata e applicazione generali, solleva delicati problemi di compatibilit del ruolo di legislatore universale assunto talvolta dal Consiglio con le disposizioni della Carta delle Nazioni Unite che ne regolano il funzionamento, oltre a ravvivare laspirazione di numerosi Stati ad un processo di decision-making internazionale pi partecipato e democratico (3). 9. In secondo luogo, la causa in oggetto costituisce un punto fondamentale nellevoluzione dei rapporti e delle interazioni fra Organizzazioni internazionali a carattere universale e a carattere regionale, e, in modo pi specifico, fra lordinamento internazionale facente capo alla Nazioni Unite e lordinamento comunitario. Numerosi commentatori hanno a questo riguardo definito la sentenza resa nel caso Kadi come la pi importante presa di posizione della Corte di Giustizia dellUnione europea sui rapporti fra lordinamento internazionale e quello comunitario, sin dalla data della sua costituzione (4). 10. Da ultimo, il contenzioso in esame rappresenta uno snodo fondamentale nel processo di contemperamento di valori cui la Comunit internazionale attribuisce massimo rilievo, ma destinati a entrare in conflitto nellimplementazione di strategie di contrasto al terrorismo efficaci e mirate: da un lato il valore della sicurezza e della pace internazionali, unitamente allemergente diritto a vivere liberi dalla paura che il fenomeno terroristico per definizione determina; dallaltro la necessit di salvaguardare i diritti fondamentali della persona cos come riconosciuti dal diritto internazionale generale e pattizio, evitandone pregiudizi ingiustificati o sproporzionati rispetto agli obiettivi da raggiungere (5). (2) Si veda sul punto DE WET, The Security Council as a Law Maker: The Adoption of (Quasi)- Judicial Decisions, in WOLFRUM E RBEN, Developments of International Law in Treaty Making, Berlino, 2005, 237 ss. (3) Per un approfondimento in materia si veda CRYER, An Introduction to International Criminal Law and Procedure, Cambridge, 2010, 366 ss. La dottrina appare in particolar modo divisa sulla legittimit di interventi del Consiglio di Sicurezza aventi il carattere della generalit ed astrattezza, destinati a imporre obblighi a tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite e adottati senza la possibilit che i destinatari di tali obblighi prendano parte al processo decisionale centralizzato da cui essi derivano. Si vedano in modo particolare ARANGIO-RUIZ, On the Security Councils Law-Making, in Rivista di diritto internazionale, 2000, 609 ss. e ROSAND, The Security Council as a Global Legislator: Ultra Vires or Ultra Innovative, in Fordham International Law Journal, 2004, 542 ss. (4) Si veda TRIDIMAS,TAKIS E GUTIERREZ-FONS, EU Law, International Law and Economic Sanctions Against Terrorism: The Judiciary in Distress?, in Fordham International Law Journal, 2008, 2. (5) La dottrina sul punto copiosa. Si vedano, su tutti, BIANCHI, Assessing the Effectiveness of the UN Security Council's Anti-terrorism Measure: The Quest for Legitimacy and Cohesion, in European Journal of International Law, 2007, 881 ss. e CAMERON, UN Targeted Sanctions, Legal Safeguards and the European Convention on HumanRights, in Nordic Journal of International Law, 2003, 159. Il punto risulta chiaro anche dalla lettera briefing indirizzata al Consiglio di Sicurezza dal primo Chairman dell Antiterrorismo istituito dalla Risoluzione 1373(2001), secondo il quale The Counter-Terrorism Committee is mandated to monitor the implementation of resolution 1373 (2001). Monitoring performance against other international conventions, including human rights law, is outside the scope of the Counter- Terrorism Committees mandate. But we will remain aware of the interaction with human rights concerns, and we will keep ourselves briefed as appropriate. It is, of course, open to other organizations to study States reports and take up their content in other forums. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 5 11. Alla luce di tali osservazioni sembra opportuno dar conto del quadro giuridico e fattuale nel quale il contenzioso in esame si inserisce, iniziando con una breve disamina delle principali risoluzioni del Consiglio di Sicurezza in materia di antiterrorismo. B.1 La Risoluzione 1267 (1999) e successive determinazioni del Consiglio di Sicurezza in materia di antiterrorismo 12. Con la Risoluzione 1267 (1999) il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, deliberando allunanimit e in base al capitolo VII della Carta ONU, ha adottato una serie di misure non implicanti luso della forza atte a contrastare la minaccia alla pace e alla sicurezza internazionali posta dallassociazione terroristica Al Qaeda e dal regime dei Talebani (6). Cos facendo, il massimo organo politico delle Nazioni Unite ha dato lavvio a una nuova fase nelluso delle cos dette smart-sanctions: tradizionalmente impiegate per esercitare pressioni su entit statali (7), le misure non implicanti luso della forza, soprattutto quelle rilevanti dal punto di vista economico, hanno iniziato a gravare direttamente su individui e altri enti non statali (8). A questo riguardo, fra le disposizioni pi rilevanti della Risoluzione 1267 consta in particolar modo ricordare quelle che impongono a tutti gli Stati membri di congelare gli assets finanziari riconducibili alle attivit della succitata organizzazione terroristica, salvi i casi in cui il Consiglio di Sicurezza decida diversamente in ragione di considerazioni umanitarie (9) e altres quelle che prevedono la costituzione di un Comitato delle Sanzioni o Comitato 1267 (dora innanzi: Comitato 1267), da inserire nella struttura organizzativa del Consiglio stesso e deputato, fra laltro, alla individuazione dei beni di volta in volta assoggettabili alle misure di congelamento, al coordinamento fra gli (6) Tale possibilit riconosciuta al Consiglio di Sicurezza dal combinato disposto degli Artt. 39 e 41 della Carta delle Nazioni Unite, a norma dei quali, rispettivamente: Il Consiglio di Sicurezza accerta l'esistenza di una minaccia alla pace, di una violazione della pace, o di un atto di aggressione, e fa raccomandazione o decide quali misure debbano essere prese in conformit agli articoli 41 e 42 per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale e Il Consiglio di Sicurezza pu decidere quali misure, non implicanti l'impiego della forza armata, debbano essere adottate per dare effetto alle sue decisioni, e pu invitare i membri delle Nazioni Unite ad applicare tali misure. Queste possono comprendere un'interruzione totale o parziale delle relazioni economiche e delle comunicazioni ferroviarie, marittime, aeree, postali, telegrafiche, radio ed altre, e la rottura delle relazioni diplomatiche . (7) Si ricordino, per citare solo gli esempi pi classici, il caso delle sanzioni imposte dal Consiglio di Sicurezza contro la Rhodesia del Sud, il Sud Africa e pi di recente lIraq durante la prima guerra del Golfo. (8) Ci ha comportato, fra laltro, la necessit di individuare una nuova base legale per la trasposizione di tali sanzioni nellordinamento comunitario. Mentre tradizionalmente alle sanzioni contro Stati veniva data applicazione tramite gli Artt. 60 e 301 del Trattato istitutivo della Comunit europea, la previsione di sanzioni contro individui non necessariamente collegati ad uno Stato ha imposto il ricorso anche allart. 308 del Trattato medesimo. (9) Si veda il paragrafo 4(b) della Risoluzione 1267(1999): Freeze funds and other financial resources, including funds derived orgenerated from property owned or controlled directly or indirectly by the Taliban, or by any undertaking owned or controlled by the Taliban, as designated by the Committee established by paragraph 6 below, and ensure that neither they nor any other funds or financial resources so designated are made available, by their nationals or by any persons within their territory, to or for the benefit of the Taliban or any undertaking owned or controlled, directly or indirectly by the Taliban, except as may be authorized by the Committee on a case-by-case basis on the grounds of humanitarian need. 6 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 Stati membri per limplementazione delle misure di cui al paragrafo 4 della Risoluzione 1267(1999) (10) e alla concessione di eventuali eccezioni per ragioni umanitarie. 13. La Risoluzione 1267 (1999) recava altres in allegato una black-list di persone fisiche e giuridiche associate al regime dei Talebani in Afghanistan, per le quali si richiedeva limmediata adozione delle misure di cui al paragrafo 4 della risoluzione medesima. 14. Con la Risoluzione 1269 (1999) il Consiglio, prendendo atto della perdurante minaccia costituita da alcune reti terroristiche di matrice islamica, ha ulteriormente incitato gli Stati a intensificare il regime di collaborazione reciproco, soprattutto per ci che concerne lo scambio di informazioni rilevanti ai fini della prevenzione e repressione delle attivit criminose in esame. 15. La Risoluzione 1333 (2000), anchessa adottata a norma del Capitolo VII della Carta ONU, richiamando gli obblighi imposti dalle precedenti Risoluzioni 1267 (1999) e 1269 (1999), ha imposto al regime dei Talebani limmediata cessazione di tutte le attivit volte a consentire, tramite azioni od omissioni, limpiego del territorio afghano per la preparazione e laddestramento di terroristi e lorganizzazione o la pianificazione di attacchi terroristici. La risoluzione ha altres posto un chiaro divieto, gravante su tutti gli Stati, di fornire al regime dei Talebani, in qualsiasi modo, armi, veicoli da guerra e pezzi di ricambio per i medesimi, nonch assistenza tecnica o logistica per laddestramento di personale militare collegato al regime di Kabul. Da ultimo, e per ci che pi rileva ai fini del presente contenzioso, la Risoluzione ha imposto a tutti gli stati limmediato congelamento dei beni riconducibili alla persona di Osama bin Laden e suoi associati, siano essi o meno membri della rete terroristica Al Qaeda. 16. Con la stessa risoluzione il Consiglio ha chiesto al Comitato 1267 di mantenere una lista aggiornata di persone o enti direttamente o indirettamente collegati con la persona di Osama bin Laden (11). Alla luce delle direttive del Consiglio, il Comitato 1267 ha inserito il signor Kadi nella black-list de qua in data 17 Ottobre 2001. (10) Si veda paragrafo 4 Risoluzione 1267(1999): 4. Decides further that, in order to enforce paragraph 2 above, all States shall: (a) Deny permission for any aircraft to take off from or land in their territory if it is owned, leased or operated by or on behalf of the Taliban as designated by the Committee established by paragraph 6 below, unless the particular flight has been approved in advance by the Committee on the grounds of humanitarian need, including religious obligation such as the performance of the Hajj; (b) Freeze funds and other financial resources, including funds derived or generated from property owned or controlled directly or indirectly by the Taliban, or by any undertaking owned or controlled by the Taliban, as designated by the Committee established by paragraph 6 below, and ensure that neither they nor any other funds or financial resources so designated are made available, bytheir nationals or by any persons within their territory, to or for the benefit of the Taliban or any undertaking owned or controlled, directly or indirectly, by the Taliban, except as may be authorized by the Committee on a case-by-case basis on the grounds of humanitarian need; (11) Il paragrafo 8(c) della Risoluzione 1333 (2001) contiene lordine di [...] to freeze without delay funds and other financial assets of Usama bin Laden and individuals and entities associated with him as designated by the Committee, including those in the Al-Qaida organization, and including funds derived or generated from property owned or controlled directly or indirectly byUsama bin Laden and individuals and entities associated with him, and to ensurethat neither they nor any other funds or financial resources are made available, by their nationals or by any persons within their territory, directly or indirectly for the benefit of Usama bin Laden, his associates or any entities owned or controlled, directly or indirectly, by Usama bin Laden or individuals and entities associated with him including the CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 7 17. Il 28 Settembre 2001, sulla scia degli attentati terroristici che hanno sconvolto gli Stati Uniti, il Consiglio di Sicurezza ha riaffermato il suo constante impegno nella lotta al terrorismo con la Risoluzione 1373 (2001). Sebbene presenti un linguaggio apparentemente simile a quello impiegato in altre occasioni dal Consiglio, la portata giuridica e politica della Risoluzione 1373 (2001) molto maggiore rispetto a quella dei suoi antecedenti. Di fatti, se le Risoluzioni 1267 (1999) e 1333 (2000) erano volte a sanzionare specifiche manifestazioni del fenomeno terroristico (quello di matrice islamica) e le blacklist in esse contemplate erano limitate a gruppi relativamente ristretti di persone ed enti, la Risoluzione 1373 (2001) segna il passaggio a un approccio completamente diverso, e assai pi ampio. Il testo della Risoluzione si riferisce in termini generici al terrorismo e agli attacchi terroristici, senza specificarne ulteriormente la matrice (12). Anche le disposizioni che prevedono misure volte al congelamento di beni riconducibili a organizzazioni terroristiche sono formulate in maniera ampia, generica e omnicomprensiva, determinando conseguenze di non poco momento anche per quel che concerne la fase di implementazione a livello comunitario (13). 18. Come si indicher appresso, difatti, in questo caso sono le istituzioni comunitarie, di concerto con gli Stati membri, a indicare in concreto i nomi dei soggetti da inserire nelle blacklist, mentre le elencazioni previste dalla risoluzione 1267 (1999) sono predisposte gi a livello delle Nazioni Unite. Una significativa novit introdotta dalla Risoluzione 1373 (2001) inoltre costituita dal Comitato Antiterrorismo (dora innanzi CAT), composto dai medesimi membri del Consiglio di Sicurezza e deputato a supervisionare la corretta implementazione da parte degli Stati della Risoluzione 1373 (2001) (14). 19. Dopo la caduta del regime dei Talebani a seguito delle operazioni delle forze della Coalizione in Afghanistan, il Consiglio di Sicurezza tornato a deliberare in materia di misure di contrasto al terrorismo internazionale. La Risoluzione 1390 (2002), ha reiterato lobbligo di provvedere al congelamento dei beni di tutti gli individui, gruppi, imprese ed entit collegate alla persona di Osama bin Laden (15). Sebbene dunque la portata Al-Qaida organization and requests the Committee to maintain an updated list, based on information provided by States and regional organizations, of the individuals and entities designated as being associated with Usama bin Laden, including those in the Al-Qaida organization. (12) La Risoluzione si riferisce genericamente, al paragrafo 1, di a coloro che commit or attempt to commit terrorist acts or participate in or facilitate the commission of terrorist acts. (13) Si veda il paragrafo 1(c), che impone a tutti gli Stati di Freeze without delay funds and other financial assets or economic resources of persons who commit, or attempt to commit, terrorist acts or participate in or facilitate the commission of terrorist acts; of entities owned or controlled directly or indirectly by such persons; and of persons and entities acting on behalf of, or at the direction of such persons and entities, including funds derived or generated from property owned or controlled directly or indirectly by such persons and associated persons and entities. (14) Fra le altre disposizioni della Risoluzione vale la pena di ricordare quelle che impongono agli Stati di adottare una serie di misure nei loro ordinamenti interni per garantire che i terroristi siano consegnati alla giustizia, quelle che vietano la creazione di safe heavens per i terroristi e quelle volte ad incrementare la collaborazione fra gli Stati membri a tal fine. (15) Si veda il paragrafo 2(a) della Risoluzione 1390 (2002): [... ]all States shall take the following measures with respect to Usama bin Laden, members of the Al-Qaida organization and the Taliban and other individuals, groups, undertakings and entities associated with them, as referred to in the list created 8 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 applicativa della Risoluzione 1390 (2002) sia pi limitata rispetto agli ampi margini della Risoluzione 1373 (2001), cՏ comunque da registrare il venir meno di qualsiasi vincolo territoriale all esecuzione delle disposizioni ivi contenute: esse colpiscono non solo i beni siti nel territorio Afghano, ma anche quelli localizzati allestero. La pletora delle azioni del Consiglio di Sicurezza in materia di antiterrorismo arricchita ulteriormente dalle Risoluzioni 1455 (2003), 1526 (2004), 1617 (2005), 1730 (2006), 1735 (2006), 1822 (2008) e 1904 (2009), tutte volte a perfezionare il contenuto delle Risoluzioni 1267 (1999) e 1373 (2001), secondo modalit che si avr cura di indicare di volta in volta nel corso di queste pagine. 20. In conclusione, e dopo aver indicato la cornice operativa delle rilevanti risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, sembra opportuno provvedere a un loro raggruppamento in base a due diverse categorie: da un lato le risoluzioni che contemplano blacklist gi compilate a livello delle Nazioni Unite, e non lasciano dunque alcun tipo di discrezionalit agli Stati membri in ordine alla identificazione dei soggetti da includere nellelenco. Tale primo gruppo, nel quale figurano le Risoluzioni 1267 (1999), 1333 (2000) e 1390 (2002) si caratterizza per lessere costituito da decisioni vincolate che gli Stati membri devono limitarsi a recepire e implementare fedelmente, senza poter in alcun modo influire sul loro contenuto. Il secondo gruppo costituito dalle Risoluzioni che non riguardano il fenomeno terroristico nella sua dimensione pi ampia e generale, ma contemplano anche blacklist astratte, nel senso che lasciano ampia discrezionalit agli Stati membri di individuare, con una procedura decentralizzata, coloro che di volta in volta essi desiderano inserirvi. Ne consegue che gli individui che ritengano di essere stati ingiustamente inseriti in una delle liste di cui alla Risoluzione 1373 (2001) (secondo gruppo) hanno senzaltro diritto a ricorrere avverso la decisione di blacklisting a livello domestico, o, laddove la lista sia compilata dalle istituzioni comunitarie, davanti agli organi preposti alla tutela giurisdizionale previsti dai Trattati costitutivi dellUnione Europea. Di tutto ci si avr modo di dar conto nel corso di queste pagine. 21. Il giudizio in esame si colloca entro la cornice procedurale prevista dal primo gruppo di risoluzioni, segnatamente quello facente capo alla Risoluzione 1267 (1999). Il Sig. Kadi figura difatti nella blacklist prevista da tale decisione del Consiglio, in quanto persona legata alla rete terroristica Al - Qaeda e al decaduto regime dei Talebani. Nelle pagine che seguono si prender dunque in esame il gruppo di Risoluzioni riconducibili al modello della 1267 (1999), salvo richiamare le differenze con il secondo gruppo ove ci appaia opportuno al fine del migliore inquadramento di alcune questioni. B.2 Limplementazione comunitaria delle Risoluzioni 1267 (1999) e 1373 (2001) e successive modifiche 22. In ragione del diverso regime giuridico introdotto dalle Risoluzioni 1267 (1999) (primo pursuant to resolutions 1267 (1999) and 1333 (2000) to be updated regularly by the Committee established pursuant to resolution 1267 (1999) hereinafter referred to as the Committee; (a) Freeze without delay the funds and other financial assets or economic resources of these individuals, groups, undertakings and entities, including funds derived from property owned or controlled, directly or indirectly, by them or by persons acting on their behalf or at their direction, and ensure that neither these nor any other funds, financial assets or economic resources are made available, directlyor indirectly, for such persons benefit, by their nationals or by any persons within their territory. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 9 gruppo) e 1373 (2001) (secondo gruppo), anche la loro implementazione a livello comunitario avvenuta con atti distinti. In entrambi i casi, ad ogni modo, la trasposizione delle rilevanti disposizioni ha trovato la sua base giuridica nellArticolo 301 del Trattato che istituisce la Comunit Europea (dora innanzi, Trattato Comunitario), ora corrispondente allArticolo 215 del Trattato sul Funzionamento dellUnione Europea (dora innanzi, TFEU) (16). La procedura seguita prevedeva dunque che il Consiglio europeo decidesse sulladozione delle misure di congelamento dei beni in una posizione comune assunta nellambito di quello che prima del Trattato di Lisbona era definito il secondo pilastro dellUnione, relativo alla politica estera e di sicurezza comune. In base al combinato disposto delle disposizioni di cui agli Articoli 60, 301 e 308 (17), la Risoluzione stata implementata tramite un Regolamento comunitario e ha acquistato effetto negli ordinamenti degli Stati membri. 23. Ci premesso, la Risoluzione 1267 stata implementata tramite una posizione comune del Consiglio europeo concernente misure restrittive nei confronti di Osama bin Laden, dei membri dellOrganizzazione Al-Qaida e dei Talebani e di altri individui, gruppi, imprese ed entit ad essi associate (2002/402/PESC) in data 27 Maggio 2002. La posizione comune prevede, fra laltro, allarticolo 3, il congelamento dei capitali e delle altre risorse finanziarie o economiche degli individui, gruppi, imprese legati alla rete terroristica di Al Qaeda e assicura altres che capitali e risorse finanziarie o economiche non siano resi disponibili, direttamente o indirettamente ai medesimi soggetti, vale a dire a quelli indicati nella lista stilata dal Comitato 1267 24. La posizione comune stata resa esecutiva nellordinamento comunitario per mezzo del Regolamento del Consiglio 881/2002 (18), che ha imposto specifiche misure restrittive nei confronti di determinate persone e entit associate a Osama bin Laden, alla rete Al - Qaeda e ai Talebani. Il regolamento implementa fedelmente le disposizioni contenute nella Risoluzione 1267 (1999). In modo particolare, lArticolo 2, ai commi 1 e 2, (16) Secondo la disposizione dellArt. 301: Quando una posizione comune o un'azione comune adottata in virt delle disposizioni del trattato sull'Unione europea relative alla politica estera e di sicurezza comune prevedano unazione della Comunit per interrompere o ridurre parzialmente o totalmente le relazioni economiche con uno o pi paesi terzi, il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata su proposta della Commissione, prende le misure urgenti necessarie. (17) Gli articoli 60 e 308 del Trattato Comunitario prevedono rispettivamente che: Qualora, nei casi previsti all'articolo 301, sia ritenuta necessaria un'azione della Comunit, il Consiglio, in conformit della procedura di cui all'articolo 301, pu adottare nei confronti dei paesi terzi interessati, le misure urgenti necessarie in materia di movimenti di capitali e di pagamenti. 2. Fatto salvo l'articolo 297 e fintantoch il Consiglio non abbia adottato misure secondo quanto disposto dal paragrafo 1, uno Stato membro pu, per gravi ragioni politiche e per motivi di urgenza, adottare misure unilaterali nei confronti di un paese terzo per quanto concerne i movimenti di capitali ei pagamenti. La Commissione e gli altri Stati membri sono informati di dette misure al pi tardi alla data di entrata in vigore delle medesime. Il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata su proposta della Commissione, pu decidere che lo Stato membro interessato modifichi o revochi tali misure. Il presidente del Consiglio informa il Parlamento europeo in merito ad ogni decisione presa dal Consiglio e che: Quando un'azione della Comunit risulti necessaria per raggiungere, nel funzionamento del mercato comune, uno degli scopi della Comunit, senza che il presente trattato abbia previsto i poteri d'azione a tal uopo richiesti, il Consiglio, deliberando all'unanimit su proposta della Commissione e dopo aver consultato il Parlamento europeo, prende le disposizioni del caso . (18) Il regolamento stato adottato in base agli Artt. 60, 301 e 308 del Trattato Comunitario. 10 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 ripropone la misura di congelamento dei beni, negli stessi termini previsti dalla decisione del Consiglio di Sicurezza (19). Lelencazione allegata al Regolamento del Consiglio (Allegato I, persone fisiche) riproduce alla lettera la lista compilata dal Comitato 1267 e include la persona di Shaykh Yassin Abdullah Kadi, nato in Egitto, a Il Cairo, il 23/02/1955 e titolare di passaporto saudita. 25. Ai fini del presente contenzioso appare altres opportuno focalizzare lattenzione sulla disposizione di cui allArt. 7 bis del Regolamento (20), operante una sorta di rinvio non recettizio alla Risoluzione 1267 (1999) e alla lista ad essa allegata. Secondo la norma, difatti, qualora il Comitato 1267 o il Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite decidano di inserire per la prima volta nellelenco una persona fisica o giuridica, unentit, un organismo o un gruppo, non appena ricevuta la motivazione dal Comitato 1267, la Commissione adotta senza indugio una decisione per ladeguamento nei termini della lista allegata al regolamento comunitario. Parimenti, qualora le Nazioni Unite decidano di depennare dallelenco una persona, unentit, un organismo o un gruppo o di modificare i dati identificativi di una persona, di unentit di un organismo o di un gruppo che figura nellelenco, la Commissione deve provvedere a modificare opportunamente lallegato I (21). Risulta pertanto chiaro sin da questa breve analisi che la Commissione non dispone di alcun potere discrezionale nella gestione delle blacklist previste dalla Risoluzione 1267 (1999). Essa semplice instrumentum per dare esecuzione alle determinazioni del Consiglio di Sicurezza o del Comitato 1267. Parimenti, il Regola- (19) Larticolo 2 prevede in particolare che: 1 Tutti i fondi e le risorse economiche appartenenti a, o in possesso di, una persona fisica o giuridica, gruppo o entit designato dal comitato per le sanzioni ed elencato nell'allegato I sono congelati. 2. vietato mettere direttamente o indirettamente fondi a disposizione di una persona fisica o giuridica, di un gruppo o di un'entit designati dal comitato per le sanzioni ed elencati nell'allegato I, o stanziarli a loro vantaggio. 3. vietato mettere direttamente o indirettamente risorse economiche a disposizione di una persona fisica o giuridica, ad un gruppo o ad un'entit designati dal comitato per le sanzioni ed elencati nell'allegato I o destinarle a loro vantaggio, per impedire cos facendo che la persona, il gruppo o l'entit in questione possa ottenere fondi, beni o servizi. (20) Introdotto a seguito di modifica ad opera del Regolamento del Consiglio 1286/2009. (21) Larticolo 7 bis del Regolamento 881/2002, come modificato dal Regolamento del Consiglio 1286/2009 prevede in particolare che Qualora il comitato per le sanzioni o il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite decidano di inserire per la prima volta nellelenco una persona fisica o giuridica, unentit, un organismo o un gruppo, non appena ricevuta la motivazione dal comitato per le sanzioni la Commissione adotta senza indugio una decisione per tale inserimento nellallegato I. 2. Una volta adottata la decisione di cui al paragrafo 1, la Commissione trasmette senza indugio la motivazione fornita dal comitato per le sanzioni alla persona, allentit, allorganismo o al gruppo in questione, sia direttamente, se il suo indirizzo noto, sia a seguito della pubblicazione di un avviso, fornendo la possibilit di formulare osservazioni in merito. 3. La Commissione riesamina la decisione di cui al paragrafo 1 alla luce di eventuali osservazioni avanzate e secondo la procedura di cui allarticolo 7 ter, paragrafo 2. Le osservazioni sono trasmesse al comitato per le sanzioni. La Commissione comunica lesito del proprio riesame alla persona, allentit, allorganismo o al gruppo in questione. Lesito del riesame trasmesso altres al comitato per le sanzioni. 4. Dietro ulteriore richiesta basata su nuove prove sostanziali di rimuovere una persona, unentit, un organismo o un gruppo dallelenco dellallegato I, la Commissione procede a un nuovo riesame conformemente al paragrafo 3 e secondo la procedura di cui allarticolo 7 ter, paragrafo 2. 5. Qualora le Nazioni Unite decidano di depennare dallelenco una persona, unentit, un organismo o un gruppo o di modificare i dati identificativi di una persona, di unentit, di un organismo o di un gruppo che figura nellelenco, la Commissione modifica opportunamente lallegato I. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 11 mento 881/2002 del Consiglio, lungi dallessere espressione di unattivit legislativa autonoma e indipendente del medesimo, si configura come semplice mezzo per la trasposizione nellordinamento comunitario di disposizioni adottate al di fuori di esso, segnatamente nellordinamento internazionale facente capo alle Nazioni Unite. 26. Ben diverso il regime che sovrintende allimplementazione della Risoluzione 1373 (2001) (Secondo gruppo). Tale regime definito in ambito comunitario autonomo, in ragione del fatto che esso non prevede la mera trasposizione di disposizioni assunte da organi esterni allUnione, ma richiede al contrario un significativo contributo di questi ultimi nella precisazione del loro contenuto normativo. Questa fondamentale differenza, la cui portata per il caso in esame si avr modo di analizzare in seguito, emerge chiaramente dal diverso tenore della posizione comune 2001/931/PESC e dal Regolamento del Consiglio che la rende esecutiva nel diritto comunitario, vale a dire il Regolamento 2580/2001. In particolar modo, la decisione di inserire un soggetto in blacklist e sottoporlo alle misure di congelamento dei beni che essa comporta assunta dalle competenti autorit degli Stati membri, e, a norma dellArticolo 7 del Regolamento La Commissione abilitata a modificare l'allegato in base alle informazioni fornite dagli Stati. La Risoluzione si limita pertanto a fissare criteri e misure generali, la cui specificazione avviene a livello comunitario e nazionale. Tutto ci risulta con estrema chiarezza dal pronunciamento del Tribunale di Primo grado nel caso OMPI. Secondo i giudici [...] nellambito della risoluzione 1373 (2001), spetta agli Stati membri dellOrganizzazione delle Nazioni Unite (ONU) e, nel caso di specie, alla Comunit, attraverso cui gli Stati membri hanno deciso di agire identificare concretamente quali siano le persone, i gruppi e le entit i cui fondi devono essere congelati in applicazione di tale risoluzione, conformandosi alle norme del loro ordinamento giuridico (22). B.3 Le sentenze Kadi I del Tribunale di Primo Grado (T-315/01) e della Corte di Giustizia (C-402/05 P) 27. Il 17 Ottobre 2001 il Comitato 1267, in applicazione del paragrafo 8 (c) della Risoluzione del Consiglio di Sicurezza 1333 (2000) (23) ha iscritto il sig. Kadi nella blacklist ivi contemplata, poich associato a Osama bin Laden, Al - Qaeda e/o al regime dei Talebabi per participating in the financing, planning, facilitating, preparing or perpetrating of acts or activities by, in conjunction with, under the name of, on behalf or in support of, supplying, selling, or transferring arms and related material to, recruiting for o otherwise supporting acts or activities of Usama bin Laden, Al-Qaida and the Taliban(24). 28. Con ricorso presentato davanti al Tribunale dellUnione europea in data 18/12/2001 e successive modifiche, il Sig. Kadi, ha chiesto lannullamento, nella parte in cui esso riguardava il ricorrente, del Regolamento del Consiglio 27 maggio 2002, n. 881/2002 , attuativo di specifiche misure restrittive nei confronti di persone ed enti a vario titolo (22) Si veda Organisation des Modjahedines du peuple d'Iran (OMPI), causa T-228/02, 12 dicembre 2006, paragrafo 102. (23) Si veda Risoluzione del Consiglio, paragrafo 8 (c), 1330 (2000). (24) Si veda il sito internet del Comitato 1267, alla pagina: http://www.un.org/sc/committees/ 1267/NSQI02201E.shtml 12 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 affiliati alla rete terroristica succitata. Il ricorrente lamentava la violazione, da parte di tale atto del Consiglio, del suo diritto al contraddittorio, del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva e del rispetto del principio di proporzionalit nella compressione del suo diritto di propriet. 29. Il Tribunale dellUnione europea ha respinto il ricorso del Kadi (cause T-315/01 T- 306/01), argomentando in base ai criteri generali di coordinamento fra lordinamento giuridico comunitario e quello internazionale, facente capo ai principi consacrati nella Carta delle Nazioni Unite (in special modo, Artt. 25 e 103). In base a siffatti criteri di coordinamento, il Tribunale ha riconosciuto che il Reg. (CE) n. 881/2002, in quanto meramente attuativo di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, adottata ai sensi del Capitolo VII della Carta ONU, non era suscettibile di sindacato di legittimit da parte del giudice comunitario, godendo anzi di una immunit giurisdizionale, salvo il caso dellaccertamento della violazione di norme dello jus cogens internazionale (25). 30. La Corte di Giustizia dellUnione europea, nelle cause riunite C-402/05 P e C-415/05 P, ha rigettato le linee argomentative prospettate dal Tribunale, riconoscendo la sindacabilit del Reg. (CE) n. 881/2002 e disponendone lannullamento nella misura in cui esso riguardava il ricorrente, accogliendo pertanto le censure da questi prospettate in ordine alla violazione del suo diritto alla difesa e a una tutela giurisdizionale effettiva. Largomentazione prospettata dalla Corte di Giustizia riconosce nell Unione europea una comunit di diritto, la cui legislazione, anche quella di mera implementazione di decisioni del Consiglio di Sicurezza, lungi dal godere di forme di immunit dalla giurisdizione di cognizione, non pu sottrarsi al controllo di compatibilit con i principi giuridici che tale Comunit informano. Secondo la Corte, infatti, non sarebbe possibile in alcun caso consentire di mettere in discussione i principi che fanno parte dei fondamenti stessi dellordinamento giuridico comunitario, tra i quali quello della tutela dei diritti fondamentali, che include il controllo, ad opera del giudice comunitario, della legittimit degli atti comunitari quanto alla loro conformit a tali diritti fondamentali(26). La Corte ha pertanto concluso, in contrasto con le precedenti determinazioni del Tribunale di Primo Grado, che i giudici comunitari devono, in conformit alle competenze di cui sono investiti in forza del Trattato CE, garantire un controllo, in linea di principio completo, della legittimit di tutti gli atti comunitari con riferimento ai diritti fondamentali che costituiscono parte integrante dei principi generali del diritto comunitario, ivi inclusi gli atti comunitari che, come il regolamento controverso, mirano ad attuare risoluzioni adottate dal Consiglio di sicurezza in base al capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite(27). 31. La Commissione, nel conformarsi alla sentenza resa dalla Corte di Giustizia nelle cause (25) Si veda Yassin Abdullah Kadi, causa T-315/01, 21 settembre 2005, paragrafo 225. Nelle parole dei giudici: Si deve dunque considerare che le controverse risoluzioni del Consiglio di Sicurezza si sottraggono in via di principio al sindacato giurisdizionale del Tribunale e che questultimo non ha il potere di rimettere in causa, seppur in via incidentale, la loro legittimit alla luce del diritto comunitario. Al contrario, il Tribunale tenuto, per quanto possibile, ad interpretare e applicare tale diritto in modo che sia compatibile con gli obblighi degli Stati membri derivanti dalla Carta delle Nazioni Unite. (26) Si veda Yassin Abdullah Kadi, causa C-402/05 P, 3 settembre 2008, paragrafo 306. (27) Si veda Yassin Abdullah Kadi, causa C-402/05 P, 3 settembre 2008, paragrafo 326. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 13 C-402/05 P e C-415/05 P, ha provveduto a dar conto al Sig. Kadi delle motivazioni per cui egli risultava iscritto nella lista di persone ed enti allegata al regolamento 881/2002 e, assunte le osservazioni del ricorrente in merito a tali motivazioni, ha proceduto comunque alladozione di un atto volto a ordinare la sua permanenza nellelencazione pocanzi riferita (Regolamento (CE) 28 novembre 2008, n. 1190/2008). A parere della Commissione, difatti, lesposizione delle motivazioni, unitamente al riconoscimento al ricorrente del diritto di replica alla comunicazione di tali informazioni, costitutiva procedura adeguata per conformarsi alla decisione della Corte resa nei casi C-402/05 P e C-415/05 P. Lulteriore richiesta del Sig. Kadi, di essere edotto delle prove specifiche e degli elementi probatori concreti in base alle quali la Commissione ha ordinato la permanenza del ricorrente nella blacklist, non ha trovato accoglimento. B.4 La sentenza Kadi II del Tribunale di Primo Grado (T-85/09) 32. Il contenzioso in esame trova inquadramento nella cornice fattuale e giuridica sopra delineata. Con ricorso presentato davanti al Tribunale dellUnione europea il 26/02/2009, il ricorrente ha chiesto lannullamento del Regolamento (CE) 28 novembre 2008, n. 1190/2008, adottato in adempimento della decisione C-415/05 P della Corte di Giustizia nel caso Kadi I e recante centunesima modifica del regolamento (CE) n. 881/2002 [...]. Il ricorrente ha presentato cinque distinti motivi a sostegno del suo ricorso (dei quali solamente due decisi dal Tribunale), preceduti da alcune considerazioni preliminari relative alla natura del controllo giurisdizionale da esercitare su atti dellUnione attuativi di Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza. 33. Quanto al primo punto, il Tribunale, accedendo alle argomentazioni del ricorrente e richiamando la sentenza Kadi I della Corte in pi passi, ha rilevato che, posta la legittimit del sindacato sugli atti dellUnione volti a trasporre nellordinamento comunitario il contenuto delle decisioni del Consiglio di Sicurezza, tale sindacato dovesse conformarsi ai criteri della full and rigorous review(28), vale a dire a un controllo non solo sulla correttezza formale della decisione, ma esteso alladeguatezza e sufficienza del materiale probatorio valutato dal Consiglio di Sicurezza al momento delliscrizione della persona sospetta nella lista di cui allallegato I del Reg. (CE) 881/2002. Secondo il Tribunale, in modo particolare, il controllo esercitato dal giudice comunitario sulle misure europee di congelamento di capitali pu qualificarsi come effettivo solo qualora abbia ad oggetto, indirettamente, le valutazioni di merito effettuate dallo stesso Comitato 1267, nonch gli elementi probatori a queste soggiacenti (29) . 34. Applicando il suddetto standard di controllo giurisdizionale, il Tribunale ha riconosciuto fondati i motivi di ricorso prospettati dal Kadi, cominciando a dare contenuto e applicazione a contro-limiti derivanti dal diritto comunitario. In primo luogo, il diritto di difesa del ricorrente sarebbe stato illegittimamente compresso nella misura in cui questi, pur edotto genericamente delle motivazioni poste alla base della decisione di congelare i suoi beni, non stato messo nelle condizioni di conoscere gli elementi di prova addotti a suo carico e, conseguentemente, di contestarne la valenza probatoria. A differenza di (28) Si veda Yassin Abdullah Kadi, causa T-85/09, 30 settembre 2010, paragrafi 148-151. (29) Si veda Yassin Abdullah Kadi, causa T-85/09 , 30 settembre 2010, paragrafo 129. 14 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 quanto deciso dalla Corte di Giustizia nel caso Kadi I (C-402/05), dunque, il Tribunale non ha censurato la totale inesistenza di qualsivoglia procedura di contraddittorio, ma solamente la sua insufficienza, poich i pochi elementi di informazione e le vaghe allegazioni contenute nella sintesi dei motivi appaiono manifestamente insufficienti a consentire al ricorrente di smentire efficacemente le accuse mossegli, in relazione alla sua presunta partecipazione ad attivit terroristiche (30). Dalla violazione al diritto di difesa del ricorrente il Tribunale ha dedotto altres la violazione del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva. 35. Da ultimo, il Tribunale ha riconosciuto fondato il motivo di ricorso concernente la violazione del principio di proporzionalit conseguente al congelamento dei beni del Kadi (31). Ci in ragione del fatto che misure di portata generale e destinate a determinare un pregiudizio persistente ai diritti del ricorrente (i beni erano congelati da oltre dieci anni) risultavano adottate in dispregio ai principi del due process, segnatamente al diritto a una difesa piena ed effettiva. Riconoscendo la fondatezza di due dei cinque motivi presentati dal ricorrente, il Tribunale ha annullato il Regolamento 1190/2008, nella misura in cui esso lo riguardava. C) Primo motivo dappello: insindacabilit dei regolamenti comunitari di mera implementazione di Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza C.1 La posizione del Tribunale e della Corte di Giustizia 36. Con sentenza resa in data 21 settembre 2005 nel caso Kadi I (T-315/01), il Tribunale di Primo Grado dell'Unione europea ha affermato fra laltro il principio secondo il quale le decisioni del Consiglio di Sicurezza,e , in particolar modo, le determinazioni assunte a norma del Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, godono di una pressoch assoluta immunit dalla giurisdizione di cognizione degli organi comunitari. La linea argomentativa del Tribunale ha preso le mosse dal combinato disposto degli Articoli 103 della Carta delle Nazioni Unite (32) e 27 della Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati (33). Tali norme, a opinione del Tribunale, impongono agli Stati membri dell'ONU la incondizionata implementazione delle Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, quale adempimento di un dovere positivo iscritto nel diritto internazionale conseguente alla loro prevalenza su qualsiasi altro atto normativo. Secondo il Tribunale, in particolare, per quanto riguarda, in primo luogo, i rapporti tra la Carta delle Nazioni Unite e il diritto interno degli Stati membri dellONU, la regola della prevalenza discende dai principi del diritto internazionale consuetudinario. Ai termini dellart. 27 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, adottata a Vienna il 23 maggio 1969, che codifica tali principi, una parte non pu invocare le disposizioni del suo diritto interno per giu- (30) Si veda Yassin Abdullah Kadi, causa T-85/09, 30 settembre 2010, paragrafo 174. (31) Si veda Yassin Abdullah Kadi, causa T-85/09, 30 settembre 2010, paragrafo 193. (32) Si veda articolo 103 Carta delle Nazioni Unite, secondo il quale: In caso di contrasto tra gli obblighi contratti dai Membri delle Nazioni Unite con il presente Statuto e gli obblighi da essi assunti in base a qualsiasi altro accordo internazionale, prevarranno gli obblighi derivanti dal presente Statuto. (33) Si veda articolo 27 della Convenzione di Vienna sul Diritto dei trattati, secondo il quale: Una parte non pu invocare le disposizioni del suo diritto interno per giustificare la mancata esecuzione di un trattato. Questa regola non pregiudica quanto disposto dall'art. 46 . CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 15 stificare la mancata esecuzione di un trattato. Per quanto riguarda, in secondo luogo, i rapporti tra la Carta delle Nazioni Unite e il diritto internazionale pattizio, tale regola di prevalenza espressamente sancita dallart. 103 della detta Carta, ai termini della quale, in caso di contrasto tra gli obblighi contratti dai Membri delle Nazioni Unite con la presente Carta e gli obblighi da essi assunti in base a qualsiasi altro accordo internazionale, prevarranno gli obblighi derivanti dalla presente Carta. 37. Conformemente allart. 30 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, e contrariamente alle regole normalmente applicabili in caso di trattati successivi, essa si applica sia ai trattati anteriori sia ai trattati posteriori alla Carta delle Nazioni Unite. Secondo la Corte internazionale di giustizia, tutti gli accordi regionali, bilaterali e anche multilaterali, che le parti possono aver concluso, sono sempre subordinati alle disposizioni dellart. 103 della Carta delle Nazioni Unite (34). 38. Il Tribunale ha ulteriormente richiamato le disposizioni di cui agli Articoli 297 (35) e 307 (36) del Trattato che istituisce la Comunit Europea per trarne la conclusione che le disposizioni del Trattato medesimo non incidono sugli obblighi internazionali che gli Stati membri avevano contratto prima di entrare a far parte della Comunit. Secondo il Tribunale, pertanto, poich lesercizio del sindacato giurisdizionale su un atto meramente implementativo di una decisione del Consiglio di Sicurezza equivarrebbe ad una judicial review sulla risoluzione medesima, ҏ escluso il suo potere di rimettere in causa, seppur in via incidentale, la legittimit (delle risoluzioni) alla luce del diritto comunitario (37). 39. Ci che non invece preclusa, ma al contrario auspicata, uninterpretazione delle Risoluzioni in maniera conforme ai principi del diritto comunitario, in modo particolare quelli relativi alla tutela dei diritti umani. Lunica eccezione rilevata dal Tribunale concerne lipotesi di violazione da parte del Consiglio di Sicurezza delle norme dello ius cogens internazionale (38). Questa impostazione daltra parte corrisponde a una posi- (34) Si veda Yassin Abdullah Kadi, causa T-315/01, 21 settembre 2005, paragrafi 182-183. (35) Si veda articolo 297 del Trattato che istituisce la Comunit Europea: Gli Stati membri si consultano al fine di prendere di comune accordo le disposizioni necessarie ad evitare che il funzionamento del mercato comune abbia a risentire delle misure che uno Stato membro pu essere indotto a prendere nell'eventualit di gravi agitazioni interne che turbino l'ordine pubblico, in caso di guerra o di grave tensione internazionale che costituisca una minaccia di guerra ovvero per far fronte agli impegni da esso assunti ai fini del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale . (36) Si veda articolo 307 del Trattato che istituisce la Comunit Europea: Le disposizioni del presente trattato non pregiudicano i diritti e gli obblighi derivanti da convenzioni concluse, anteriormente al 1o gennaio 1958 o, per gli Stati aderenti, anteriormente alla data della loro adesione, tra uno o pi Stati membri da una parte e uno o pi Stati terzi dall'altra. Nella misura in cui tali convenzioni sono incompatibili col presente trattato, lo Stato o gli Stati membri interessati ricorrono a tutti i mezzi atti ad eliminare le incompatibilit constatate. Ove occorra, gli Stati membri si forniranno reciproca assistenza per raggiungere tale scopo, assumendo eventualmente una comune linea di condotta. Nell'applicazione delle convenzioni di cui al primo comma, gli Stati membri tengono conto del fatto che i vantaggi consentiti nel presente trattato da ciascuno degli Stati membri costituiscono parte integrante dell'instaurazione della Comunit e sono, per ci stesso, indissolubilmente connessi alla creazione di istituzioni comuni, all'attribuzione di competenze a favore di queste ultime e alla concessione degli stessi vantaggi da parte di tutti gli altri Stati membri . (37) Si veda Yassin Abdullah Kadi, causa T-315/01, 21 settembre 2005, paragrafo 285. (38) Si veda Yassin Abdullah Kadi, causa T-315/01, 21 settembre 2005, paragrafo 231. 16 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 zione dottrinale ben nota, che considera addirittura nulla la Risoluzione del Consiglio di Sicurezza confliggente con le norme di jus cogens poste a garanzia delle disposizioni sui diritti umani (39). 40. La Corte di Giustizia dellUnione Europea ha adottato un approccio completamente diverso, traducendo in termini pratici una nozione dualistica dei rapporti fra lordinamento comunitario e quello internazionale. Lopinione sottesa a questa concezione che lordinamento internazionale e lordinamento comunitario sono nei loro rapporti reciproci autonomi, separati e distinti (40). In modo particolare, la Corte ha ritenuto di dover verificare se, come stabilito dal Tribunale, i principi che disciplinano il concatenarsi dei rapporti tra lordinamento giuridico internazionale creato dalle Nazioni Unite e lordinamento giuridico comunitario implichino che un controllo giurisdizionale della legittimit interna del regolamento controverso sotto il profilo dei diritti fondamentali sia in linea di principio escluso, nonostante il fatto che [] un tale controllo costituisca una garanzia costituzionale che fa parte dei fondamenti stessi della Comunit (41). 41. Nonostante la statuizione che le istituzioni comunitarie devono rispettare il diritto internazionale nellesercizio dei loro poteri (42), la Corte ha notato che una simile immunit giurisdizionale di un atto comunitario, quale il regolamento controverso, come corollario del principio di prevalenza sul piano del diritto internazionale degli obblighi derivanti dalla Carta delle Nazioni Unite, in particolare di quelli relativi allattuazione delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza adottate in base al capitolo VII di tale Carta, non trova alcun fondamento nellambito del Trattato CE (43). Pi in generale, dunque, la Corte pervenuta alla conclusione che le misure comunitarie di implementazione di Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza non sono sottratte al sindacato di legittimit degli organi giuridici comunitari, mentre sottratte a tale controllo sarebbero (solo e direttamente) le Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza. C.2 La posizione della Repubblica Italiana (sunto) 42. La Repubblica italiana si associa alle considerazioni del Consiglio europeo nel dissentire rispetto alla determinazione della Corte di Giustizia sulla possibilit di eseguire un sindacato di legittimit su atti comunitari di mera implementazione di decisioni del Consiglio di Sicurezza. Daltra parte, perplessit in ordine a tale conclusione sono state espresse dallo stesso Tribunale nella sentenza Kadi II (T-85/09). I giudici, nel richiamare le perplessit di parte della dottrina sulla statuizione della Corte di Giustizia, hanno affermato che tali critiche non sono del tutto prive di seriet. Tuttavia, quanto alla loro pertinenza, il Tribunale ritiene che, in circostanze quali quelle della fattispecie, aventi ad oggetto un atto adottato dalla Commissione in sostituzione di un atto anteriore, annullato dalla Corte nellambito di unimpugnazione proposta avverso una sentenza del Tribunale che ha respinto il ricorso dannullamento avverso latto medesimo, il principio (39) Si veda BIANCHI, Human Rights and the Magic of Jus Cogens, in European Journal of International Law, 2008, 501. (40) Si veda Yassin Abdullah Kadi, causa C-402/05 P, 3 settembre 2008, paragrafo 25. (41) Si veda Yassin Abdullah Kadi, causa C-402/05 P, 3 settembre 2008, paragrafo 290. (42) Si veda Yassin Abdullah Kadi, causa C-402/05 P, 3 settembre 2008, paragrafo 298. (43) Si veda Yassin Abdullah Kadi, causa C-402/05 P, 3 settembre 2008, paragrafo 298. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 17 stesso dellimpugnazione e la struttura giurisdizionale gerarchica che ne rappresenta il corollario gli suggeriscono, in linea di principio, di non mettere esso stesso in discussione i punti di diritto risolti dalla decisione della Corte. Ci vale a maggior ragione quando, come nella fattispecie, la Corte ha statuito in Grande Sezione ed ha manifestamente inteso pronunciare una sentenza di principio. Pertanto, se dovesse essere necessario fornire una risposta agli interrogativi sollevati dalle istituzioni, dagli Stati membri e dagli ambienti giuridici interessati, a seguito della sentenza Kadi della Corte, sarebbe opportuno che vi provvedesse la Corte stessa nellambito delle future cause di cui essa potrebbe essere investita (44). C.3 Lo status delle Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza nei confronti dei paesi membri. Limiti alla sindacabilit domestica delle misure di implementazione delle Risoluzioni del Consiglio che impongono sanzioni. 43. Come meglio si vedr in seguito, il Consiglio di Sicurezza lorgano delle Nazioni Unite al quale stato attribuito in via principale il compito di tutelare la pace e la sicurezza internazionali. Le Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza adottate a norma del Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite per far fronte a tali minacce sono vincolanti per gli Stati membri dellONU, che a norma dellarticolo 25 della Carta devono darvi esecuzione nei termini da essa previsti. A norma dellarticolo 48, peraltro, i Membri delle Nazioni Unite si associano per prestarsi mutua assistenza nelleseguire le misure deliberate dal Consiglio di Sicurezza. Lo Stato membro che si rifiuti, senza giustificato motivo, di dare seguito ad una Risoluzione del Consiglio compie pertanto un illecito implicante la responsabilit internazionale dello Stato per violazione dellart. 25. 44. Sempre secondo la Carta ONU, peraltro, non costituisce giusto motivo la circostanza che la Risoluzione del Consiglio risulti incompatibile con altri obblighi internazionali dello Stato. Ai sensi dellarticolo 103, difatti, in caso di contrasto tra gli obblighi contratti dai Membri delle Nazioni Unite con il presente Statuto e gli obblighi da essi assunti in base a qualsiasi altro accordo internazionale, prevarranno gli obblighi derivanti dal presente Statuto. 45. La violazione della norma richiamata risulta di tutta evidenza quando lo Stato membro sia chiamato a implementare una Risoluzione del Consiglio dal carattere vincolato, che non gli lascia margini di discrezionalit in ordine al quomodo dellimplementazione. Come si visto nelle pagine precedenti (paragrafo 20), rientrano in questa categoria le decisioni del Consiglio che identificano gi in sede di Nazioni Unite blacklist di terroristi che gli Stati devono limitarsi a riprodurre nei loro ordinamenti interni, non avendo queste ultime efficacia self-executing. La Risoluzione 1267 (1999) rientra in questa categoria, poich non lascia agli Stati margini di discrezionalit in ordine alla identificazione dei sospetti terroristi da inserire nella lista. Parimenti, rientrano nel novero delle Risoluzioni del Consiglio a contenuto vincolato quei provvedimenti con i quali lorgano politico delle Nazioni Unite ordina a un paese di trasferire una persona a un tribunale internazionale. Non figurano fra le Risoluzioni a contenuto vincolato, al contrario, quelle riconducibili alla categoria della Risoluzione 1373 (2001), poich lo Stato non si trova a (44) Si veda Yassin Abdullah Kadi, causa T-85/09, 30 settembre 2010, paragrafo 121. 18 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 fronteggiare unobbligazione formulata nei termini di un aut-aut, che esso pu decidere di adempiere o di non adempiere, ma al contrario dispone di pi ampi margini di discrezionalit. Nella fattispecie della Risoluzione 1373, in modo particolare, gli Stati membri dispongono di ampi margini di scelta nello stilare le liste di persone sospette richieste dal Consiglio. 46. Tradizionalmente, le corti dei paesi membri delle Nazioni Unite si sono astenute dallesercitare un controllo di legalit sugli atti di diritto interno con i quali veniva data esecuzione a Risoluzioni del Consiglio dal carattere vincolato (non cos, invece, nel caso di Risoluzioni non vincolate, perch le Corti possono comunque valutare lesercizio della discrezionalit da parte delle autorit nazionali nel dare seguito alla Risoluzione). Ci si spiega sia in ragione della consapevolezza che lesercizio di un sindacato di legittimit su un atto di mera implementazione di una decisione del Consiglio equivale allesercizio di una review sulla decisione del Consiglio medesimo, operazione la cui legittimit espressamente esclusa dalla Corte di giustizia dellUnione europea; sia in ragione del fatto che quandanche il controllo di legittimit sia eseguito e metta in evidenza lillegittimit della Risoluzione alla luce dei parametri di riferimento dello Stato del foro, la mancata esecuzione della decisione considerata illegittima determinerebbe comunque la responsabilit internazionale dello Stato per violazione degli articoli 25 e, se del caso, 103 della Carta ONU. Daltra parte, neppure la Corte Internazionale di Giustizia ritiene di poter esercitare un controllo sulle Risoluzioni del Consiglio (45) ed a maggior ragione poco plausibile che una corte nazionale possa ritenere di avere un tale potere (46). 47.A tuttoggi, tale approccio sembra essere il migliore. Nel caso Dubsky c. Irlanda la High Court si rifiutata di esercitare alcuna forma di controllo giurisdizionale sugli atti di implementazione della Risoluzione 1368 (2001), affermando che it is neither permissibile nor appropriate for this court to seek to even interpret a Security Council Resolution (47). Parimenti significativo il contenzioso sviluppatosi in Croazia a seguito delle numerose Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza che hanno imposto al paese di collaborare con il Tribunale penale internazionale per i crimini commessi nella Ex - Jugoslavia, soprattutto per quel che concerne il trasferimento di persone sospette alla corte. 48. Nel Bobetko Report la Corte Costituzionale croata si dichiarata priva di giurisdizione per quel che concerne la verifica della compatibilit di atti delle Nazioni Unite e dei suoi organi (e atti di loro mera implementazione) con le disposizioni della Costituzione Croata e le garanzie da essa previste sotto il profilo dei diritti umani (48). 49. Ancora, e con specifico riguardo alla risoluzione 1267, nel caso Al-Qadi, il Consiglio di Stato turco si dichiarato incompetente a pronunciarsi sulle legittimit degli atti in- (45) Si veda Legal Consequences for States of the Continued Presence of South Africa in Nanibia notwithstanding Security Council Resolution 276, Advisory Opinion, 1970, in ICJ Rep, 89. (46) Per le informazioni riportate in queste pagine si veda TZANAKOUPOLOS, Domestic Court Reactions to UN Security Council Sanction, disponibile al sito http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_ id=1480184 (47) Si veda Dubsky c. Irlanda, ILDC 45 485, 91. (48) Si veda ILDC 283, 3. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 19 terni di mera implementazione della Risoluzione, in ragione degli articoli 24(1) (49), 25 (50) e 48(2) della Carta delle Nazioni Unite (51). Da ultimo, nel caso Sayadi e Vinck la Corte di Primo Grado di Bruxelles ha dichiarato, seppur in via incidentale, di non avere giurisdizione per interferire con le Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza (52). Lessersi dichiarata poi competente a conoscere del caso, a dire della Corte, derivava dal fatto che il provvedimento richiesto dal ricorrente (una misura di de-listing che il Belgio avrebbe dovuto richiedere al Consiglio di Sicurezza), non comportava in ogni caso un sindacato sulla legittimit della Risoluzione medesima. 50. Nella pratica giurisprudenziale, lalternativa alla immunit giurisdizionale piena degli atti di implementazione delle Risoluzioni vincolate del Consiglio di Sicurezza quella di una review limitata al rispetto da parte del Consiglio delle disposizioni della Carta ONU e dello jus cogens internazionale. Questa posizione stata fatta propria dal Tribunale di Primo grado nella causa Kadi (53) e seguita anche dal Tribunale federale svizzero nel caso Nada (54). Ad avviso della Repubblica italiana, gli approcci individuati nei paragrafi precedenti sono gli unici che consentono agli Stati membri di rispettare gli obblighi internazionali su di essi gravanti a norma dellarticolo 25 della Carta delle Nazioni Unite. 51. Diverso invece il caso in cui la Risoluzione del Consiglio di Sicurezza non presenti un carattere vincolato, ma ponga semplicemente unobbligazione di Risultato in capo allo Stato membro. In questi casi il Consiglio delega in parte i suoi poteri di apprezzamento nel definire chi o che cosa possa costituire una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionali. I margini di discrezionalit impiegati dagli Stati membri nel dare attuazione alle Risoluzioni del Consiglio possono senzaltro essere oggetto di sindacato di legittimit da parte delle corti nazionali, che non possono declinare la propria competenza in ordine alla verifica del rispetto, da parte delle misure di implementazione nazionale, del diritto interno e di quello internazionale. A livello domestico tale posizione confermata dalla sentenza resa dalla Queens Bench Division della English High Court nel caso A, K, M ,Q, G. La Corte, nel riconoscere che the obligation to apply the Resolutions necessarily involves consideration of how that can be achieved, ha ritenuto che le modalit impiegate dal governo britannico non fossero conformi agli standard di tutela previsti dal diritto del Regno Unito (55). 52. In ambito comunitario tale posizione giustamente confermata dal Tribunale di Primo (49) Si vedano articoli 24(1), 25, 48(2) della Carta delle Nazioni Unite: 24(1) Al fine di assicurare unazione pronta ed efficace da parte delle Nazioni Unite, i Membri conferiscono al Consiglio di Sicurezza la responsabilit principale del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, e riconoscono che il Consiglio di Sicurezza, nelladempiere i suoi compiti inerenti a tale responsabilit, agisce in loro nome. (50) Art. 25 I Membri delle Nazioni Unite convengono di accettare e di eseguire le decisioni del Consiglio di Sicurezza in conformit alle disposizioni del presente Statuto. (51) Art. 48(2) Tali decisioni sono eseguite dai Membri delle Nazioni Unite direttamente o mediante la loro azione nelle organizzazioni internazionali competenti di cui siano Membri. (52) Si veda UN Doc S/2005/572, 48-49. (53) Si veda Yassin Abdullah Kadi, causa T-315/01, 21 settembre 2005, paragrafo 226. (54) Si veda Nada c. Seco, 2007 in ILDC 461. (55) Si veda A,K,M,Q,G, 2008, EWHC. 20 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 Grado nella causa OMPI. Secondo il Tribunale se, da un lato, la risoluzione 1373 (2001) del Consiglio di sicurezza dispone in particolare, al suo n. 1, lett. c), che tutti gli Stati congelino senza indugio i fondi e gli altri strumenti finanziari o risorse economiche delle persone che commettono o tentano di commettere atti di terrorismo, li agevolano o vi partecipano, delle entit riconducibili a tali persone, o da esse controllate, e delle persone ed entit che agiscono in nome o dietro istruzioni di tali persone ed entit, essa non determina individualmente quali persone, gruppi o entit debbano formare oggetto di tali misure. Il Consiglio di sicurezza non ha neanche emanato norme giuridiche precise riguardanti il procedimento di congelamento dei fondi, n le garanzie o i ricorsi giurisdizionali che assicurino alle persone ed alle entit interessate da un procedimento siffatto uneffettiva possibilit di contestare le misure adottate dagli Stati nei loro confronti. Pertanto, nellambito della risoluzione 1373 (2001), spetta agli Stati membri dellOrganizzazione delle Nazioni Unite (ONU) e, nel caso di specie, alla Comunit, attraverso cui gli Stati membri hanno deciso di agire identificare concretamente quali siano le persone, i gruppi e le entit i cui fondi devono essere congelati in applicazione di tale risoluzione, conformandosi alle norme del loro ordinamento giuridico (56). 53. Giustamente, dunque, il Tribunale si riserva di verificare che le misure adottate dagli organi comunitari, misure non gi vincolate di mera implementazione, ma autonome e discrezionali quanto al quomodo, siano conformi alle disposizioni del diritto UE. 54. Per le ragioni che appresso di indicheranno, la Repubblica italiana ritiene che anche la Corte di Giustizia dellUnione europea avrebbe dovuto mostrare nei confronti del Regolamento di implementazione della decisione del Consiglio di Sicurezza il medesimo grado di deferenza dimostrato dalle corti nazionali di cui si ora discusso. C.4 Lo Status delle Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza nellambito del diritto comunitario. Lattivit di mera implementazione da parte delle Istituzioni comunitarie 55. Chiarito lo status delle Risoluzioni vincolate del Consiglio nel diritto interno, bisogna passare a verificarne lo status e lobbligatoriet nel diritto comunitario. La Carta delle Nazioni Unite esclude che lUnione Europea, in quanto organizzazione internazionale, possa entrare a far parte delle Nazioni Unite. A norma degli articoli 3 e 4 del Trattato istitutivo, difatti, solo gli Stati possono esserne membri (57). Sarebbe tuttavia semplicistico ritenere che le Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, e il diritto internazionale in termini pi generali, non vincolino anche questultima, in virt di una interpretazione solo formalistica delle norme in esame. Tale posizione daltra parte oggi condivisa (56) Si veda Organisation des Modjahedines du peuple dIran, causa T-228/02, 12 dicembre 2006, paragrafo 101. (57) Si vedano articoli 3 e 4 della Carta ONU, a norma dei quali, rispettivamente, Articolo 3: Membri originari delle Nazioni Unite sono gli Stati che, avendo partecipato alla Conferenza delle Nazioni Unite per lOrganizzazione Internazionale a San Francisco, od avendo precedentemente firmato la Dichiarazione delle Nazioni Unite del 1 gennaio 1942, firmino il presente Statuto e lo ratifichino in conformit allarticolo 110. Articolo 4 1. Possono diventare Membri delle Nazioni Unite tutti gli altri Stati amanti della pace che accettino gli obblighi del presente Statuto e che, a giudizio dellOrganizzazione, siano capaci di adempiere tali obblighi e disposti a farlo. 2. Lammissione quale Membro delle Nazioni Unite di uno Stato che adempia a tali condizioni effettuata con decisione dellAssemblea Generale su proposta del Consiglio di Sicurezza. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 21 dalla Corte di Giustizia dellAja, secondo la quale international organisations are subjects of international law and as such are bound by any obligations incumbent upon them under general rules of international law, under their constitutions or under international agreements to which they are parties (58). La Repubblica Italiana concorda con questa ricostruzione e condivide la statuizione del Tribunale di Primo Grado nella causa Yusuf, secondo la quale la Comunit deve essere considerata vincolata agli obblighi derivanti dalla Carta delle Nazioni Unite, alla stessa stregua dei suoi Stati membri, in base allo stesso Trattato che la istituisce (59). 56. Similmente, nel caso International Fruit Company, il Tribunale ha affermato che gli Stati membri, nellattribuire determinate competenze alla Comunit, hanno manifestato la loro volont di assoggettarla agli obblighi derivanti dalla Carta delle Nazioni Unite (60). Pi in generale, in tutti i casi in cui, in forza del Trattato CE, la Comunit ha assunto competenze precedentemente esercitate dagli Stati membri nellambito di applicazione della Carta delle Nazioni Unite, le disposizioni di questa hanno avuto per effetto quello di vincolare la Comunit (Poulsen e Diva Navigation, Racke, Van Duyn e Burgoa) (61). Difatti, come si avr modo di precisare in seguito, la Comunit tenuta al rispetto delle disposizioni della Carta ONU al fine di impedire che i suoi Stati membri incorrano, o rischino di incorrere, nella commissione di un illecito internazionale. 57. In modo particolare, se vero che lUnione, anche a seguito del processo di espansione dei suoi poteri e alla aspirazione a divenire un attore internazionale credibile e rilevante, possiede ampi poteri discrezionali nella definizione del suo collocamento sul piano internazionale (si pensi al caso della Politica estera e di sicurezza comune), altres evidente che talvolta il suo operare si esplicita su un livello diverso, per cos dire vincolato. noto infatti che nellentrate a far parte del sistema comunitario, gli Stati membri hanno devoluto parte della loro sovranit, e con essa parte delle loro competenze, alla Comunit medesima. Allo stesso tempo per, la responsabilit per il mancato adempimento di atti che gli Stati membri erano tenuti a compiere in base al diritto internazionale, e che non sono pi in grado di compiere per aver trasferito la relativa competenza alla Comunit, non oggetto di devoluzione, ma continua ad essere posta in capo agli Stati membri (62). In questi casi di tutta evidenza che la Comunit sia tenuta ad agire, in modo tale da evitare che gli Stati membri possano incorrere nella commissione di un illecito internazionale derivante dal mancato adempimento di un obbligo internazionale su di essi gravante. Il che reso ancor pi evidente nella causa in esame laddove si consideri che il regolamento contestato stato adottato in sede di Consiglio europeo, in base a una norma di chiusura dellordinamento (Art. 301) che richiede peraltro un voto allunani- (58) Si veda Interpretation of the Agreement of March 25, 1951 between the WHO and Egypt, Advisory Opinion, in ICJ Rep, 1908, 89. (59) Si veda Yusuf, causa T-306/01, 21 settembre 2005, paragrafo 243. (60) Si veda International Fruit Company, cause riunite 21/72 e 24/72, 12 dicembre 1992, paragrafo 11. (61) Si veda Yassin Abdullah Kadi, causa T-315/01, 21 settembre 2005, paragrafo 11. (62) Si veda MARIANI, The Implementation of UN Security Council Resolutions Imposing Economic Sanctions in the EU/EC Legal System: Interpillar Issues and Judicial Review, disponibile online alla pagina internet: http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=1354568 22 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 mit di tutti gli Stati membri. Tale circostanza in qualche modo reitera e sottolinea la volont di tutti gli Stati di agire tramite la Comunit, fermo restando il loro impegno anche individuale in tal senso. 58. Qual , in ogni caso, il tipo di azione che la Comunit deve intraprendere al fine di adempiere in via sussidiaria agli obblighi internazionali degli Stati membri? In ossequio al principio per cui nemo plus iuris transferre potest quam ipse habet, il trasferimento alla Comunit delle competenze dei paesi membri in certe aree non pu aver attribuito alla Comunit poteri pi ampi di quanto gli Stati, nella loro dimensione individuale, ne avessero. Al contrario, la devoluzione della competenza avvenuta assieme alla devoluzione dei limiti a tale competenza. In altre parole, quando la competenza dello Stato membro in una certa area era una competenza vincolata, il suo trasferimento dagli Stati membri alla Comunit non ne ha determinato la mutazione in attivit discrezionale o financo eventuale, con la conseguenza che lobbligo di dare fedele esecuzione alle decisioni del Consiglio di Sicurezza si riverbera immutato sulla Comunit. 59. La causa in esame rientra nella casistica appena considerata: ladozione del Regolamento comunitario di implementazione di una Risoluzione del Consiglio di Sicurezza, sul cui contenuto le istituzioni comunitarie non hanno il potere di influire, si rende necessaria in ragione della devoluzione di determinati poteri dagli Stati membri alla Comunit, secondo un modello di sussidiariet inversa. Conviene affrontare il problema mettendo in evidenza prima la prospettiva del diritto dei singoli Stati e poi la prospettiva comunitaria. 60. Nella prospettiva dei singoli Stati membri, come gi indicato, larticolo 25 della Carta delle Nazioni Unite prevede difatti che i Membri delle Nazioni Unite convengono di accettare e di eseguire le decisioni del Consiglio di Sicurezza in conformit alle disposizioni del presente Statuto. Parimenti, a norma dellarticolo 48 Lazione necessaria per eseguire le decisioni del Consiglio di Sicurezza per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale intrapresa da tutti i Membri delle Nazioni Unite o da alcuni di essi secondo quanto stabilisca il Consiglio di Sicurezza. Come si avuto modo di indicare nel capitolo precedente, ci vale a maggior ragione per le Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza adottate a norma del Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, quale la Risoluzione 1267 (1999). In questi casi, come si visto, lattivit di implementazione doppiamente vincolata: sia nellan, poich gli Stati membri non potrebbero sottrarsi ai loro obblighi in base allarticolo 25 della Carta delle Nazioni Unite, sia nel quomodo, poich una judicial review delle Risoluzioni medesime, salvo limitatissimi casi, comunque esclusa nel caso in cui lo Stato voglia rispettare le proprie obbligazioni internazionali. 61. Daltra parte, a livello comunitario, in ragione della competenza esclusiva riconosciuta alla Comunit in determinati settori, competenza che gli Stati membri, originariamente titolari, hanno acconsentito a trasferire, limplementazione di alcune Risoluzioni del Consiglio da parte degli Stati membri non solo pu, ma deve avvenire tramite le procedure previste a livello comunitario. Ci vero in modo particolare nel caso di Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza che, avendo ad oggetto provvedimenti di natura economica e finanziaria quali congelamento di beni e assets, sono destinate invariabilmente a incidere sul funzionamento della Politica commerciale comune dellUnione e del mercato comune, con riferimento ai quali la Comunit detiene una competenza esclu- CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 23 siva (63). Se cos non fosse, se, vale a dire, limplementazione delle Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza fosse lasciata allautonomia dei singoli Stati membri, si correrebbe il rischio di sistematiche violazioni delle norme che sovrintendono al funzionamento del mercato comune nonch alla politica commerciale comune. In certi casi, vi sarebbe pertanto il rischio di incorrere nella violazione del primato del diritto comunitario su quello dei singoli stati membri. Come ha infatti ben indicato la Corte di Giustizia dellUnione Europea nel caso Simmenthal, esiste un chiaro divieto di riconoscere una qualsiasi efficacia giuridica ad atti legislativi nazionali che invadano la sfera nella quale si esplica il potere legislativo della comunit, o altrimenti incompatibili con il diritto comunitario (64). Questa circostanza rende necessario lintervento della Comunit, come sembra anche confermare larticolo 48 secondo comma della Carta delle Nazioni Unite, secondo il quale le decisioni del Consiglio di Sicurezza sono eseguite dai Membri delle Nazioni Unite direttamente o mediante la loro azione nelle organizzazioni internazionali competenti di cui siano Membri. 62. Ricapitolando, gli Stati membri sono vincolati al rispetto delle Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza a norma degli Articoli 25 e 103; la prassi degli Stati che vogliono tener fede alle loro obbligazioni internazionali esclude o limita fortemente la review di atti di mera implementazione di Risoluzioni vincolate del Consiglio; la Comunit vincolata ai medesimi obblighi internazionali gravanti originariamente sugli Stati membri; la Comunit non potrebbe agire in modo da determinare la responsabilit internazionale dei suoi membri. Da ci consegue che la Comunit tenuta alla fedele implementazione delle Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza a contenuto vincolato, come quella che contiene la blacklist applicata al Sig. Kadi. 63.A ritenere diversamente, si finirebbe tra laltro con il disconoscere la diversa rilevanza e il diverso regime giuridico cui sono riconducibili le disposizioni comunitarie che non implementano una decisione del Consiglio, ma che contribuiscono a darne contenuto, come il caso delle misure comunitarie di recepimento della Risoluzione 1373 (2001). In questo caso la Comunit, chiamata allesercizio di una discrezionalit politica nella adozione delle misure imposte dalla Risoluzione, non agisce quale mero agente degli Stati membri. Latto comunitario di implementazione, in altri termini, non mero veiculum di una determinazione gi assunta ad altro livello, ma atto comunitario autonomo, manifestazione di una volont dellUnione che gli organi giurisdizionali hanno a pieno titolo il diritto di sindacare, come ritenuto dal Tribunale di Primo Grado nel caso OMPI. dunque legittimo ritenere che la diversit fra i due regimi (vincolato e autonomo) si espliciti anche sotto il profilo del controllo giurisdizionale. Profilo che, a ben guardare, costituisce una delle diverse manifestazioni delle valutazioni compiute dal Consiglio di Sicurezza nellaffrontare una determinata minaccia. In altri termini, lecito ritenere che quando il Consiglio di Sicurezza decide di adottare una Risoluzione a carattere vincolato, lo faccia anche in ragione della particolare pericolosit della minaccia che vuole contrastare; negare la differenza fra i due regimi (autonomo e vincolato) sotto (63) La base legale per ladozione dei provvedimenti in esame, vale a dire il combinato disposto degli articoli 60, 301 e 308, gi stata confermata e ritenuta valida nel caso Yusuf. (64) Si veda Simmenthal, causa 106/77, 9 marzo 1978. 24 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 il profilo del controllo giurisdizionale significa in ultima analisi negare i margini di apprezzamento di cui il Consiglio di Sicurezza dispone nel suo agire a norma del Capitolo VII della Carta. C.5 Impossibilit di distinguere, ai fini del sindacato di legittimit, fra Risoluzione del Consiglio di Sicurezza e atto comunitario di mera implementazione. 64. La Repubblica italiana, nel ribadire la propria posizione in ordine alla immunit dalla giurisdizione degli atti di mera implementazione delle Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, desidera altres focalizzare lattenzione su un ulteriore punto, correttamente individuato dagli appellanti. La sentenza della Corte di Giustizia nel caso Kadi poggia sulla statuizione che le Risoluzioni adottate dal Consiglio di Sicurezza a norma del Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite non possono essere sottoposte a sindacato di legittimit, in quanto tale attivit costituirebbe unillecita intrusione in una materia, la tutela della pace e della sicurezza internazionali, che, come gi visto, rientra fra le competenze esclusive del Consiglio di Sicurezza. A parere della Corte, in modo particolare, la primazia della Risoluzione del Consiglio nellambito del diritto internazionale rimarrebbe inalterata. Al contrario, atti di implementazione di tali Risoluzioni sarebbero regolarmente sottoponibili a sindacato di legittimit. 65. Come pi volte ricordato, in ogni caso, gli Stati membri non dispongono di alcun potere discrezionale nella fase di implementazione, con la conseguenza che il Regolamento comunitario riproduce pedissequamente il contenuto della Risoluzione medesima. Per dirlo con le parole di un autorevole autore, il Regolamento comunitario di implementazione della Risoluzione del Consiglio had merely transposed the Security Council Resolutiotions into the Community legal order (65). In questi casi, any attempt to distinguish between the domestic implementing legislation and the UN Security Council Resolutions, and thus any attempt to claim that review of one is not necessarily also an inderect review of the other, is drawing an illusionary distinction (66). Ancora, secondo altra parte della dottrina: there is no doubt, indeed, that when a domestic court controls the legality of an act taken in implementation of a strict obligation imposed by the Security Council, it is infact also undertaking a review of the Council measure (67). 66. Risulta pertanto difficile conciliare questa considerazione di tipo sostanziale con la posizione formalistica assunta dalla Corte, secondo la quale il controllo di legittimit che deve essere garantito dal giudice comunitario deve avere ad oggetto latto comunitario volto ad attuare laccordo internazionale in questione, e non questultimo e, ancora, che per quanto riguarda, in particolare, un atto comunitario che, come il regolamento controverso, mira ad attuare una risoluzione del Consiglio di sicurezza adottata in base al capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, non spetta al giudice comunitario, nellambito della competenza esclusiva prevista dallart. 220 CE, controllare la legittimit di (65) Si veda: DEFEIS, Targeted Sanctions, Human Rights, and the Court of First Instance of the European Community, in Fordham Journal of International Law, 2007, 1457. (66) Si veda FINLAY, Between a Rock and a Hard Place: the Kadi Decision and Judicial Review of Security Council Resolutions, in Tulane Journal of International and Comparative Law, 2010, 478 ss. (67) Si veda TZANAKOUPOLOS, Domestic Court Reactions to UN Security Council Sanction, disponibile al sito http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=1480184 CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 25 una tale risoluzione adottata dal citato organo internazionale, quandanche tale controllo si limitasse allesame della compatibilit di tale risoluzione con lo ius cogens(68) . Adottando lapproccio sostanziale sopra delineato, e considerando che la Corte nega la sindacabilit di un atto internazionale in quanto tale, non si pu non riconoscere la illegittimit del sindacato su un atto di mera implementazione. D. Secondo motivo di appello: lerrore del Tribunale del richiedere uno standard di review full and rigorous 67. In subordine al punto ora indicato, la Repubblica italiana condivide e desidera associarsi alle considerazioni della Commissione europea in ordine all'errore incorso dal Tribunale di primo grado nel ritenere che la Corte di Giustizia avesse gi fissato nella causa Kadi I (C-402/05 P) lo standard di judicial review richiesto per i regolamenti comunitari e che tale standard debba essere improntato ai criteri di una review full and rigorous. In primo luogo, come si vedr, la Corte di Giustizia non ha fornito indicazioni in ordine a tale standard. In secondo luogo, qualora effettivamente, come la Corte ha indicato, i regolamenti comunitari di implementazione non godano di immunit dalla giurisdizione, lo standard del sindacato di giurisdizionalit non pu essere quello che il Tribunale di primo grado ritiene di aver individuato nelle statuizioni della Corte di Giustizia. Tale sentenza, qualora se ne condividano i postulati, deve essere infatti applicata in maniera tale da non determinare l'imposizione agli Stati membri di un comportamento che violi inevitabilmente il diritto internazionale. D.1 Il giudizio della Corte di Giustizia (C-402/05 P) in ordine alla portata e all'intensit del controllo giurisdizionale 68. Nella causa T-85/09, il Tribunale di Primo grado ha affermato che nello stabilire, a conclusione di un lungo ragionamento, che il controllo di legittimit doveva essere in linea di principio completo, ed esercitarsi in conformit alle competenze di cui i giudici comunitari sono investiti in forza del Trattato CE, e nel respingere esplicitamente, oltretutto, la tesi del Tribunale secondo cui latto in questione doveva beneficiare di unimmunit giurisdizionale in quanto si limitava a dare attuazione a risoluzioni adottate dal Consiglio di Sicurezza in base al capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, la Corte ha fornito unindicazione assolutamente chiara quanto alla portata e allintensit da attribuirsi normalmente a tale controllo. Nell'opinione del Tribunale, tali standard dovrebbero conformarsi alle regole di un controllo giurisdizionale completo e rigoroso (69). 69. Inoltre, il Tribunale di Primo Grado ha tratto delle conclusioni in ordine allampiezza di tale sindacato di legittimit, ritenendo che esso debba estendersi alla verifica della fondatezza dellatto impugnato nonch dei vizi di cui potrebbe risultare affetto. Il ragionamento del Tribunale di primo grado continua nel senso di estendere il controllo giurisdizionale del giudice comunitario non solo sulla fondatezza apparente dellatto impugnato, ma anche sugli elementi probatori e di informazione su cui si basano le valutazioni svolte nellatto stesso (70). (68) Si veda Yassin Abdullah Kadi, causa C-402/05 P, 3 settembre 2008, paragrafo 222. (69) Si veda Yassin Abdullah Kadi, causa T-85/09, 30 settembre 2010, paragrafo 177. (70) Si veda Yassin Abdullah Kadi, causa T-85/09, 30 settembre 2010, paragrafo 179. 26 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 D.2 Il mancato pronunciamento della Corte di Giustizia sullo standard del controllo giurisdizionale 70. La Repubblica Italiana si associa alle conclusioni della Commissione secondo le quali la Corte di Giustizia nel caso Kadi (C-402/05 P) non si pronunciata sullintensit del controllo cui latto comunitario di implementazione debba essere eventualmente sottoposto. Il linguaggio utilizzato dalla Corte infatti piuttosto sfumato e non consente di trarre le rigide conclusioni cui il Tribunale di Primo Grado invece pervenuto. Ci particolarmente evidente nella versione inglese della sentenza. Secondo la Corte, it is not a consequence of the principles governing the international legal order under the United Nations that any judicial review of the internal lawfulness of the contested regulation in the light of fundamental freedoms is excluded by virtue of the fact that that measure is intended to give effect to a resolution of the Security Council adopted under Chapter VII of the Charter of the United Nations (71). 71. Nel parlare di any judicial review la Corte dunque esclude che latto goda di unimmunit assoluta dal controllo giurisdizionale, fermo restando che sotto alcuni profili latto potrebbe comunque essere sottratto al controllo dei giudici. A ci si deve aggiungere che secondo la Corte di Giustizia, lesistenza nellambito di tale regime delle Nazioni Unite della procedura di riesame dinanzi al comitato per le sanzioni, anche tenendo conto delle recenti modifiche che vi sono state apportate, non pu comportare unimmunit giurisdizionale generalizzata nellambito dellordinamento giuridico interno della Comunit (72). Ancora una volta, l'impiego dellaggettivo generalizzata non conduce alla conclusione che il controllo di legittimit debba essere pieno e rigoroso, ma che possa, e debba, al contrario, tener conto della circostanza in cui tale controllo deve essere esercitato, fra cui anche il fatto che l'atto in questione volto a implementare una Risoluzione vincolante del Consiglio di Sicurezza adottata a norma del Capitolo VII della Carta ONU. Il che sembra essere ulteriormente confermato dalla considerazione che, secondo la Corte, la mancanza di immunit assoluta dalla giurisdizione dellatto di implementazione si traduce nella possibilit di effettuare un controllo non gi sempre e comunque completo, ma completo solamente in linea di principio (73). 72. Questo linguaggio sfumato richiede perlomeno uno studio approfondito delle circostanze fattuali nellambito delle quali il sindacato di legittimit deve esplicitarsi. Studio che la Corte di Giustizia nel caso Kadi I (C-402/05 P) non ha compiuto e che dunque il Tribunale di Primo Grado non pu aver fatto proprio. Come giustamente notato dalla Commissione nel suo atto d'appello, non avendo preso una posizione precisa sull'ampiezza e sulla portata del sindacato di legittimit, la Corte di Giustizia non ha neppure individuato the precise standards and procedural guarantees applicable to cases such as those of Mr Kadi (74). 73. In effetti, se deve trarsi qualche conclusione in merito allo standard del controllo giurisdizionale richiesto dalla Corte di Giustizia, risulta che questo non implica necessariamente la comunicazione delle evidenze fattuali in base alle quali una certa misura viene (71) Si veda Yassin Abdullah Kadi, causa C-402/05 P, 3 settembre 2008, paragrafo 5. (72) Si veda Yassin Abdullah Kadi, causa C-402/05 P, 3 settembre 2008, paragrafo 321. (73) Si veda Yassin Abdullah Kadi, causa C-402/05 P, 3 settembre 2008, paragrafo 326. (74) Si veda atto dappello della commissione. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 27 adottata nei confronti del ricorrente, ma solo le ragioni per cui tale misura stata adottata. Stando al pronunciamento della Corte, infatti, lautorit comunitaria in questione tenuta a comunicare detti motivi alla persona o entit interessata, per quanto possibile, al momento in cui tale inclusione stata decisa, o, quantomeno, il pi rapidamente possibile dopo tale decisione, in modo da consentire ai destinatari di esercitare, entro i termini, il loro diritto di ricorso (75). 74. Losservanza di tale obbligo di comunicare detti motivi infatti necessaria sia per consentire ai destinatari delle misure restrittive di difendere i loro diritti nelle migliori condizioni possibili e di decidere, con piena cognizione di causa, se sia utile per loro adire il giudice comunitario, sia per consentire pienamente a questultimo di esercitare il controllo della legittimit dellatto comunitario di cui trattasi, cui tenuto ai sensi del Trattato CE. La Corte di Giustizia ritiene dunque che la comunicazione dei motivi sia sufficiente per consentire pienamente al giudice comunitario di esercitare il controllo di legittimit (76). 75. Date le particolari circostanze dunque sembra che la Corte consideri soddisfacente ai fini della realizzazione di un controllo pieno anche solo la valutazione dei motivi, attestando lo standard della review a livelli diversi rispetto a quel rigore e quell'assolutezza cui il Tribunale di Primo Grado appare far riferimento. D.3 Conseguenze dellapplicazione dello standard di controllo giurisdizionale previsto dal Tribunale (T-85/09) 76. D'altra parte, l'applicazione dello standard di controllo giurisdizionale richiesto dal Tribunale di Primo Grado non sostenibile per vari ordini di ragioni. (a) Rischio di mancata distinzione rispetto al regime autonomo 77. In primo luogo, il grado di intensit del sindacato richiesto dal Tribunale nella causa (T- 85/09) quello tradizionalmente utilizzato dal Tribunale di Primo Grado per verificare la legittimit di misure di implementazione adottate nell'ambito del regime sanzionatorio autonomo, di cui si discusso in precedenza (paragrafo 20). Richiamando le considerazioni svolte in tale sede, sembra opportuno ricordare come laddove le misure adottate a norma del regime introdotto dalla Risoluzione 1267(1999) e 1370(2001) siano sottoposte al medesimo regime di controllo, si finirebbe per negare in modo indiretto la rilevanza della distinzione politica e giuridica fra le due categorie di sanzioni: l'una rimessa alle valutazioni esclusive del Consiglio di Sicurezza; l'altra integrabile da valutazioni politiche dei singoli Stati membri nell'ambito dell'Unione e dunque censurabili anche nel merito. (b) Il consiglio di Sicurezza verrebbe a essere esautorato del suo ruolo e l'Unione perderebbe la possibilit di agire quale attore internazionale virtuoso, cosa alla quale vincolata dai trattati 78. In secondo luogo, nel richiedere lo standard di controllo giurisdizionale pieno e completo, volto a verificare e, se del caso, contestare, la valenza probatoria del materiale su (75) Si veda Yassin Abdullah Kadi, causa C-402/05 P, 3 settembre 2008, paragrafo 326. (76) Si veda Yassin Abdullah Kadi, causa C-402/05 P, 3 settembre 2008, paragrafo 329. 28 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 cui il Consiglio di Sicurezza ha adottato la decisione di inserire una persona in una blacklist, le istituzioni comunitarie finiscono necessariamente per sostituire la loro valutazione a quella compiuta dal Consiglio di Sicurezza. Tale conclusione per insostenibile e confligge palesemente con la statuizione della Corte di Giustizia secondo la quale in ogni caso preclusa agli organi comunitari la possibilit di sostituire la propria valutazione a quella del Consiglio, che a norma dell'articolo 24 delle Nazioni Unite organo deputato in via principale alla tutela della pace e della sicurezza internazionali. 79. Come stato correttamente indicato dalla Corte di Giustizia nel caso Kadi I (C-402/05 P), infatti, la Comunit tenuta ad attribuire particolare importanza al fatto che, a norma dellart. 24 della Carta delle Nazioni Unite, ladozione da parte del Consiglio di Sicurezza di risoluzioni in base al capitolo VII di detta carta costituisce lesercizio della responsabilit principale di cui investito tale organo internazionale per mantenere, su scala mondiale, la pace e la sicurezza, responsabilit che, nellambito del citato capitolo VII, include il potere di determinare ci che costituisce una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionali, nonch di assumere le misure necessarie per il mantenimento o il ristabilimento di queste ultime. L'opinione della Corte tanto pi condivisibile laddove si consideri che le determinazioni del Consiglio di Sicurezza si basano su un complesso sistema di intelligence ed expertise, articolato su pi livelli, di cui nessun organo giurisdizionale comunitario potrebbe effettivamente disporre. 80. Qualora gli organi giudiziari comunitari o nazionali sostituissero la loro valutazione a quella del Consiglio di Sicurezza, l'intero sistema centralizzato di risposta alle crisi internazionali verrebbe a crollare sotto i colpi di interpretazioni necessariamente diverse e scoordinate di chi o che cosa possa costituire una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale. D.5 Conseguenze delleventuale annullamento del Regolamento 81. Il grado di controllo giurisdizionale che la Corte ha ritenuto opportuno nel caso Kadi risulta insostenibile anche per altre ragioni, in particolare modo per le conseguenze che esso determinerebbe in ordine al rispetto da parte degli Stati membri dei loro obblighi internazionali. In primo luogo, chiaro che laddove una corte annulli una misura che d attuazione a una risoluzione vincolante del Consiglio di Sicurezza, lo Stato che di fatto non provvede ad adeguarsi alla Risoluzione medesima viola i suoi obblighi a norma dell'articolo 25 della Carta delle Nazioni Unite. Ci vale non solo nella prospettiva del diritto nazionale, ma anche in quella del diritto comunitario, poich, come sottolineato nelle osservazioni precedenti, la Comunit ha assunto in alcune materie gli obblighi internazionali che in precedenza gravavano in capo agli Stati. 82. Che la decisione di una corte possa poi porre lo Stato (ovvero, la Comunit, e, di riflesso, gli Stati membri) in una condizione di violazione dei suoi obblighi internazionali confermato autorevolmente dall'articolo 4 del Commentario della International Law Commission sulla responsabilit degli Stati per il compimento di illeciti internazionali. Secondo il report della Commissione, infatti, the conduct of any State organ shall be considered an act of that State under international law, whether the organ exercises legislative, executive, judicial or any other functions, whatever position it holds in the organization of the State, and whatever its character as an organ of the central CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 29 Government or of a territorial unit of the State (77). 83. In modo particolare, l'adozione di uno standard di review full and rigorous, esteso anche al merito della misura, e il conseguente potenziale annullamento del regolamento, pone gli Stati membri dellUnione in una situazione che in termini economici si potrebbe definire di lose-lose, caratterizzata dal fatto che quale che sia la decisione in concreto assunta dallo Stato membro, esso si trover comunque ad agire illegalmente, o sotto il profilo del diritto internazionale o sotto il profilo del diritto comunitario. Chiaramente infatti lannullamento della misura di implementazione di una Risoluzione del Consiglio di Sicurezza pone obbligazioni contrastanti in capo agli Stati membri dellUnione, determinando un problema di doppia fedelt. Due scenari bene illustrano la situazione in esame. Si ipotizzi in primo luogo che gli organi giurisdizionali comunitari annullino il regolamento in esame. Per le ragioni esposte in precedenza questa circostanza determina la responsabilit internazionale degli Stati membri. Si ipotizzi invece, in secondo luogo, che gli Stati membri, non volendo andare incontro a responsabilit internazionale, provvedano autonomamente a dare attuazione alla misura di implementazione, facendo da soli ci che non hanno potuto fare a livello comunitario. In questo caso, gli Stati assumerebbero un comportamento illecito dal punto di vista del diritto comunitario, arrogandosi il diritto di legiferare in materie di competenza esclusiva dellUnione (come si detto in precedenza lattuazione di sanzioni individuali determina necessariamente un forte impatto sul funzionamento del mercato comune). 84. Al limite, per evitare di qualificare il comportamento come illecito alla luce del diritto comunitario, e considerarlo, per cos dire, scriminato, si potrebbe invocare la norma di cui allart. 103 della Carta ONU, che attribuisce agli obblighi derivanti dalla Carta prevalenza su qualsiasi altro obbligo internazionale. La norma, vale a dire, consentirebbe allo Stato di scegliere, nel caso di conflitto di obbligazioni, quale adempiere. Questa linea di argomentazione per troppo formalistica. La violazione del principio della prevalenza del diritto comunitario su quello degli Stati membri, che necessariamente conseguirebbe laddove gli Stati provvedessero in maniera autonoma a legiferare su materie di esclusiva competenza comunitaria, non pu essere messa alla stregua di qualsiasi altra violazione del diritto UE. Al contrario, la violazione del principio della prevalenza del diritto comunitario su quello nazionale, metterebbe in crisi gli stessi principi fondamentali sui quali lUnione europea si regge, ed equivarrebbe in ultima analisi allo smantellamento dei suoi presupposti ideologici e giuridici. 85. Dalle considerazioni sopra riportate risulta con chiarezza che ladozione dello standard di review che il Tribunale di Primo Grado ha ritenuto di dover applicare, e il conseguente annullamento del regolamento contestato, forzano gli Stati in una posizione di antigiuridicit inevitabile, quale che sia il comportamento che essi decidano di mettere in atto. Che in tale situazione contra ius i paesi membri siano poi stati forzati dalla sentenza di un Tribunale quanto mai paradossale. Per tale ragione necessario che la Corte di Giustizia provveda a sanare il vulnus alla legalit internazionale arrecato dalla sentenza del Tribunale nella causa T-85/09 e a trarre gli Stati membri dellUnione fuori dalla si- (77) Si veda UN Doc A/56/10 2001. 30 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 tuazione di responsabilit da illecito internazionale nella quale essi al momento versano. D.6 Ulteriori considerazioni sulla impraticabilit di uno standard di review full and rigorous 86. Oltre a quelle gi svolte, anche altre considerazioni militano nel senso della impraticabilit dello standard di sindacato di legittimit richiesto dal Tribunale nella sentenza Kadi II. Affinch le corti comunitarie possano effettuare un controllo completo quale quello postulato dal Tribunale, dovrebbero entrare in possesso di tutto il materiale probatorio e fattuale sulla base del quale il Consiglio di Sicurezza ha assunto le proprie determinazioni. Il materiale probatorio utilizzato in sede di Nazioni Unite, per, caratterizzato da profili di segretezza e delicatezza investigativa tali da sconsigliarne la divulgazione a organismi estranei a quelli deputati alla lotta al terrorismo internazionale. Questa senzaltro la determinazione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, organo politico nei confronti del quale un eventuale ordine di disclosure e di comunicazione delle informazioni per finalit giudiziarie sarebbe assolutamente impensabile, oltre che probabilmente non consentito in punto di stretto diritto per ragioni di immunit delle organizzazioni internazionali. Il controllo di legalit sarebbe dunque impedito gi in questa fase. 87. Daltra parte, le informazioni che non sono nella disponibilit degli organi giurisdizionali comunitari non sono neppure accessibili alle altre istituzioni. Pertanto, quandanche, come il Tribunale di Primo Grado ha richiesto, fosse necessario rendere edotto il destinatario di un provvedimento di congelamento dei beni delle prove, e non solo delle ragioni per cui detto provvedimento stato adottato, non sarebbe possibile adempiere tale obbligo in ragione della indisponibilit del materiale probatorio che solo il Consiglio di Sicurezza possiede e che solo in sede di Consiglio di Sicurezza, attraverso le procedure descritte pi avanti, sarebbe eventualmente possibile mettere in discussione. Tale circostanza determina uno stato di illegittimit internazionale sostanzialmente perenne: nel caso in esame, ad esempio, il Sig. Kadi continua ed essere iscritto nella lista consolidata prevista dalla Risoluzione 1267. Le autorit comunitarie, vistesi annullare il regolamento di implementazione per non aver fornito al ricorrente lindicazione degli elementi probatori a suo carico, non sarebbero comunque nelle condizioni, anche se lo volessero, di ri-adottare il regolamento sanando il vizio individuato dai giudici, proprio perch prive delle informazioni che dovrebbero fornire alla persona colpita dal provvedimento di balckisting. 88. Ci non significa ovviamente che le corti comunitarie debbano astenersi da qualsiasi tipo di controllo sugli atti di implementazione adottati in seno allUnione; tale controllo, ad ogni modo, dovrebbe limitari espressamente al momento formale dellimplementazione, concentrandosi su elementi quali la base giuridica delle misure di implementazione, eventuali errori nella trasposizione della Risoluzione del Consiglio di Sicurezza, ad esempio i casi di error in persona, nonch qualsiasi altra questione nella quale siano attribuiti alle autorit implementatrici dei margini discrezionali di apprezzamento delle determinazioni del Consiglio ONU. Laddove vizi di questo genere fossero riscontrati, contrariamente allipotesi valutata nel precedente paragrafo 87, essi potrebbero essere sanati dalle istituzioni comunitarie, poich esse, avendo la piena disponibilit e il pieno controllo delle procedure formali di implementazione, non avrebbero ostacoli a confor- CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 31 marsi alle determinazioni degli organi giurisdizionali, ad esempio ri-adottando in maniera corretta un regolamento annullato in ragione di un error in persona. D.7 La natura non penale e preventiva delle misure di asset freezing e limpatto sullo standard della judicial review 89. Anche la natura e la corretta qualificazione delle misure adottate a norma della Risoluzione 1267 influiscono in maniera non irrilevante sul grado di controllo giurisdizionale cui tali provvedimenti debbono essere sottoposti. Non par dubbio infatti che in unottica di bilanciamento e contemperamento fra valori contrapposti (nel caso di specie, il diritto alla propriet e quello alla sicurezza internazionale), la natura del bene giuridico protetto e del male giuridico minacciato siano determinanti fondamentali nella individuazione del punto di equlibrio. Il primo interrogativo da risolvere, pertanto, (interrogativo che anche il Tribunale di Primo Grado nella causa Kadi II si pone (78)), se le misure di congelamento dei beni siano da intendersi come misure a carattere penale sanzionatorio e punitivo o se, al contrario, esse siano adottate a conclusione di un procedimento amministrativo (sebbene di alta amministrazione), configurandosi dunque come misure non penali e dal carattere meramente preventivo. In questo caso, in ragione della minore gravit del male giuridico minacciato, anche le garanzie procedimentali potranno essere calibrate nel senso di una maggiore tutela del bene giuridico protetto, consentendo ad esempio delle compressioni del diritto al contradditorio non ammesse nel caso di procedimenti penali. 90. La Repubblica italiana, associandosi alla posizione del Consiglio, della Commissione e del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, ritiene che le misure in oggetto siano misure non penali a carattere preventivo e cautelare. Numerosi elementi depongono a favore di tale conclusione. 91. In primo luogo, la loro qualificazione in sede di Consiglio di Sicurezza chiara. Come indicato in numerose risoluzioni (79), esse sono volte a prevenire il compimento di atti terroristici e a impedire in generale la possibilit che lorganizzazione terroristica target possa realizzare gli obiettivi che si prefigge. Le rilevanti risoluzioni del Consiglio di Sicurezza non richiamano in alcun punto il carattere punitivo o sanzionatorio delle misure in esame, qualificandole piuttosto come provvedimenti di natura cautelare (80). Parimenti, il Comitato 1267 ha definito lasset freezing come una misura preventiva a carattere temporaneo (81). 92. Ancor pi che alla qualificazione che di un certo provvedimento viene data in sede di Nazioni Unite, ad ogni modo, il giudice comunitario dovrebbe guardare alla esatta caratterizzazione delle misure di asset freezing alla luce del diritto dell'Unione europea. Di fatti, dallinserimento della misura in un tipus piuttosto che in un altro, discendono conseguenze diverse sul grado di tutela giurisdizionale esperibile a livello comunitario (78) Si veda Yassin Abdullah Kadi, causa T-85/09, 30 settembre 2010, paragrafo 150. (79) Si veda in generale Risoluzione del Consiglio di Sicurezza 1822 (2008). (80) Si vedano in generale Risoluzione del Consiglio di Sicurezza 1822 (2008) e Risoluzione del Consiglio di Sicurezza 1267 (1999). (81) Si veda Comitato 1267 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, Assets freeze: explanation of term 2. 32 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 avverso il provvedimento contestato. Anche a livello di diritto dellUnione europea, pertanto, il primo interrogativo da risolvere se la misura in esame abbia o meno carattere penale. Questa distinzione stata per la prima volta esplicitata dal Tribunale di Primo Grado nel caso El Morabit (82). In questo caso, il ricorrente aveva invocato il principio della presunzione di innocenza per contestare il suo inserimento in una blacklist, in ragione del fatto che la sentenza richiamata dagli organi comunitari quale base fattuale per linserimento nellelencazione non era ancora definitiva. Il Tribunale, nel rigettare largomentazione del ricorrente, ha affermato che la presunzione di innocenza non impedisce ladozione di una misura precauzionale a carattere preventivo, quale ad esempio il congelamento di beni, poich queste non si configurano come sanzioni e pertanto non implicano una decisione sulla colpevolezza o non colpevolezza del soggetto affetto. Lapplicazione di una misura di tal genere, ha continuato il Tribunale, non consegue allaccertamento della commissione di un reato, ma si configura semplicemente come lesito di una procedura amministrativa la cui natura quella della mera prevenzione, e che consente al Consiglio di combattere in maniera efficace il fenomeno terroristico (83). 93. La Corte di Giustizia dellUnione europea nel caso Kadi I ha espressamente assunto la medesima posizione, qualificando le misure di congelamento dei beni alla stregua di misure precauzionali e temporanee. Il che ulteriormente confermato, sebbene in maniera implicita, nel corso del giudizio: nellescludere la necessit di sentire gli individui colpiti dal congelamento dei beni prima delladozione delle misure medesime, al fine di salvaguardarne il carattere della sorpresa, la Corte conferma la natura squisitamente preventiva degli atti in esame. 94. N, ad avviso della Repubblica italiana, pu addursi quale discrimine fra misure amministrative e misure penali la loro durata temporale, come pure lascia intendere parte della dottrina, con considerazioni fatte proprie anche dalla difesa del Sig. Kadi (84). Se vero che il fattore temporale incide senza dubbio sulla compressione dei diritti della persona colpita, non sembra comunque consentito elevare tale elemento a nozione caratterizzante di una misura penale dalle finalit punitive. Invero, ad argomentare diversamente, si ricadrebbe necessariamente nellarbitrio, in mancanza di punti di riferimento normativi certi: dopo quanto tempo una misura nata come preventiva si trasforma in punitiva? Qual il limite temporale oltre il quale si determina la mutazione? N vale a qualificare come punitiva, piuttosto che preventiva, una certa misura, lelemento materiale in cui la sanzione si concretizza, come ad esempio la privazione della disponibilit di beni del soggetto colpito. A ben guardare, negli ordinamenti interni degli Stati membri, cos come nel diritto dellUnione Europea, a una medesima fattispecie materiale potrebbero corrispondere provvedimenti diversi quanto alla finalit e alla natura. Si prenda, primo fra tutti, il provvedimento di privazione della libert di un individuo: ad esso po- (82) Si veda El Morabit, cause riunite T-37/07 e T-323/07, 2 settembre 2009, paragrafi 43-44. (83) Si veda El Morabit, cause riunite T-37/07 e T-323/07, 2 settembre 2009, paragrafi 43-44. Si veda anche VAN DE BROEK ET AL., Asset Freezing: Smart Sanction or Criminal Charge?, in Utrecht Journal of International and European Law, 2010, 18 ss. (84) Si veda, su tutti, BOTHE, Security Councils Targeted Sanctions Against Presumed Terrorists: The need to comply with human rights standards, in Journal of International Criminal Justice, 2008, 541 ss. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 33 trebbe essere sottesa tanto una finalit preventiva e cautelare, volta ad impedire la reiterazione del reato, quanto un proposito punitivo, una volta che il fatto illecito sia stato nel concreto accertato. 95. Alla luce di queste considerazioni, occorre trovare un altro criterio di distinzione, che pu facilmente individuarsi nella ratio della misura, a prescindere dalle modalit operative con le quali essa si concretizza, dal pregiudizio che essa arreca al diritto della persona colpita e dalla durata temporale di tale pregiudizio. Appare dunque chiaro che la misura di congelamento dei beni preventiva e amministrativa, in quanto prescinde da un accertamento in sede penale di un qualsiasi reato e perch perdura fintanto che perdura la minaccia che essa cerca di prevenire. Venuta meno luna, anche laltra perde efficacia e le procedure di revisione e delisting in seno al comitato 1267, indicate nelle pagine precedenti, dimostrano palesemente lesistenza di un tale nesso. 96. La natura amministrativa e non penale delle misure in esame circostanza carica di conseguenze (85), come si gi visto. A ulteriore riprova, basti considerare che in numerosi ambiti del diritto comunitario, dalla qualificazione di un provvedimento come amministrativo o penale discendono conseguenze diverse. Ad esempio, mentre misure di carattere penale ricadono senza dubbio nellambito di applicazione dellArt. 6(1) della Convenzione Europea sui Diritti dell'Uomo (86), norma interpretata in maniera estensiva dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo e che riconosce in modo ampio il diritto a un equo processo, lo stesso non pu dirsi per provvedimenti di carattere amministrativo. In questo caso la giurisprudenza sviluppata dalla Corte di Giustizia dellUnione Europea, soprattutto nel caso Bollor, si limita al riconoscimento del diritto a un fair hearing. Nel caso in cui ad essere adottate siano misure dal carattere amministrativo, quali indubbiamente sono le misure di congelamento dei beni di sospetti terroristi, tale diritto ad un fair hearingsi sostanzia semplicemente nel diritto a essere sentiti dalla autorit amministrativa che ha emanato latto (87). Al contrario, nel caso di misure penali, la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha indicato la necessit che la persona colpita sia sentita davanti a un organo giudiziario imparziale e indipendente, come puntualmente rilevato nel caso Hauschiltd (88). 97. Inoltre, il requisito di un public hearing, richiesto dalla giurisprudenza della Corte Europea (85) Si veda per questa elencazione VAN DE BROEK ET AL., Asset Freezing: Smart Sanction or Criminal Charge?, in Utrecht Journal of International and European Law, 2010, 18 ss. (86) Si veda articolo 6(1) della Convenzione europea dei diritti delluomo: Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale decider sia delle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile, sia della fondatezza di ogni accusa penale che le venga rivolta. La sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l'accesso alla sala d'udienza pu essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto o parte del processo nell'interesse della morale, dell'ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una societ democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la protezione della vita privata delle parti in causa, o nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicit pu pregiudicare gli interessi della giustizia. (87) Si veda Bollor, cause riunite 109/02 T, T 118/02, T 122/02, T 125/02, T 126/02, T 128/02, T 129/02, T 132/02, 26 aprile 2007, paragrafo 143. (88) Si veda Hauschiltd, App. 10486/83, 24 maggio 1989. Sul punto anche MAHONEY, The Right to a Fair Trial in Criminal Matters Under Art. 6 ECHR, in Judicial Studies Institute Journal, 2004, 107 ss. 34 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 dei Diritti dell'Uomo per quanto riguarda misure sanzionatorie dal carattere penale, non contemplato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dellUnione Europea (89). 98. Unaltra fondamentale differenza fra le misure di carattere amministrativo e misure di carattere penale costituita dalle implicazioni che esse determinano sul principio della presunzione di innocenza. Tale caposaldo del diritto processuale penale consacrato allarticolo 6(2) della Convenzione Europea dei Diritti dell Uomo (90) e da esso la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dellUomo ha tratto numerosi corollari, relativi ai procedimenti che si concludono con l'adozione di una misura punitiva a carattere penale, quali ad esempio il principio per cui nessuno pu essere costretto ad accusare se stesso e il diritto di rimanere in silenzio (91). La giurisprudenza comunitaria, al contrario, ha esplicitamente escluso che misure di carattere amministrativo possano avere un affetto avverso sul principio della presunzione di innocenza (92). 99. Ancora, secondo la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, il diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva contenuto allarticolo 6 della Convenzione implica il diritto a ottenere assistenza legale durante tutto il procedimento penale (93). Un pari diritto non invece rinvenibile con riguardo alla procedura di comminazione di misure amministrative. Vero che ora tale diritto menzionato in via implicita nella Carta delle Libert fondamentali dellUnione Europea (94); per ancora incerto, secondo la dottrina, se tale previsione normativa sia oppure no applicabile a procedure che si concludono con ladozione di provvedimenti amministrativi (95). 100. Da ultimo, una differenza fondamentale fra misure dal carattere amministrativo e misure dal carattere penale attiene allapplicazione del principio del ne bis in idem, come identificato dall'Art. 4 del Settimo Protocollo alla Convenzione europea dei Diritti dell Uomo (96). Se esso trova pacificamente applicazione nei procedimenti che si concludono con ladozione di misure penali a carattere punitivo, lo stesso non pu dirsi con (89) Si veda per questa elencazione VAN DE BROEK ET AL., Asset Freezing: Smart Sanction or Criminal Charge?, in Utrecht Journal of International and European Law, 2010, 18 ss. (90) Si veda articolo 6(2) della Convenzione Europea dei Diritti dellUomo: Ogni persona accusata di un reato presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata. (91) Si veda John Murray, App. 18731/91, 8 febbraio 1996. (92) Si veda VAN DE BROEK ET AL., Asset Freezing: Smart Sanction or Criminal Charge?, in Utrecht Journal of International and European Law, 2010, 18 ss. (93) Si veda Edwards, App. 13071/87, 16 dicembre 1999, paragrafi 33-34; Rowe and Davis, App. 28901/95, 16 febbraio 2000, paragrafo 59. (94) Si veda articolo 48(2) della Carta dei Diritti Fondamentali dellUE: Il rispetto dei diritti della difesa garantito ad ogni imputato. (95) Si veda VAN DE BROEK ET AL., Asset Freezing: Smart Sanction or Criminal Charge?, in Utrecht Journal of International and European Law, 2010, 18 ss. (96) Si veda articolo 4 del VII protocollo addizionale alla Convenzione Europea dei Diritti dellUomo: Nessuno pu essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale gi stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge ed alla procedura penale di tale Stato. 2. Le disposizioni del paragrafo precedente non impediscono la riapertura del processo, conformemente alla legge ed alla procedura penale dello Stato interessato, se fatti sopravvenuti o nuove rivelazioni o un vizio fondamentale nella procedura antecedente sono in grado di inficiare la sentenza intervenuta. Non autorizzata alcuna deroga al presente articolo ai sensi dell'articolo 15 della Convenzione. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 35 riguardo a procedure amministrative. Anche in questo casi la Carta dei Diritti fondamentali contiene tale diritto e lo rende parte integrante del diritto comunitario (97); ma la prevalente dottrina ritiene che il campo di applicazione di tale disposizione sia limitato ai procedimenti penali (98). Quel che certo che ad oggi il principio non applicato alle sanzioni amministrative n esiste un corpus di giurisprudenza che possa dar conto di una inversione di tendenza. E non potrebbe essere altrimenti, in ragione dei numerosi problemi di coordinamento che la pi attenta dottrina non ha mancato di mettere in evidenza: come dovrebbe essere applicato il principio del ne bis in idem, nei rapporti fra ordinamento comunitario e ordinamenti nazionali degli stati membri? Se una persona colpita da una sentenza di condanna emessa dalla corte di un paese membro (il che, come si visto, condizione per l'applicazione del regime di sanzioni autonomo della UE) e di conseguenza subisce un provvedimento di congelamento dei beni a livello comunitario, pu dirsi che il principio del ne bis in idem sia stato violato? La risposta probabilmente negativa, in ragione del fatto che in altri settori del diritto comunitario, provvedimenti di natura amministrativa lesivi dei diritti della persona colpita, subiscono una qualche replicazione (99). Ci avviene ad esempio in materia di competition policy, laddove sanzioni possono essere comminate sia a livello comunitario sia a livello nazionale, senza che ci comporti la violazione del principio del ne bis in idem (100). 101. Le considerazioni sin qui svolte dimostrano che il livello di tutela giurisdizionale e di garanzie procedurali collegato alladozione di un determinato provvedimento lesivo dei diritti di un individuo varia in ragione della natura del provvedimento medesimo. Nella fattispecie, ad una tutela piena e assoluta, assistita da garanzie sostanziali e procedurali permeanti, applicata alle misure penali di carattere punitivo si contrappone una protezione meno estesa, che espressamente deroga ad alcuni principi fondamentali del processo penale, nel caso delle misure amministrative di carattere preventivo. La differenza dipende soprattutto dal carattere temporaneo della misura amministrativa, destinata ad essere sospesa o revocata ogniqualvolta vengano meno le ragioni della sua adozione. Non sembra dunque scorretto ritenere che, in ragione del diverso grado di tutela associato ai due provvedimenti, anche il diritto di difesa del ricorrente non debba avere la stessa ampiezza associata a misure punitive di carattere penale, ma possa legittimamente attestarsi a livelli minori. Nel caso di specie, la Repubblica italiana ritiene che lindicazione delle motivazioni al soggetto ricorrente sia misura sufficiente a garantirne il diritto alla difesa avverso misure preventive e amministrative e che tale comunicazione realizzi pienamente il diritto della persona colpita, data la peculiare natura del provvedimento assunto nei suoi confronti. E. Terzo motivo di appello: mancata considerazione dei miglioramenti nelle procedure di delisting (97) Si veda articolo 50 della Carta dei Diritti Fondamentali: Nessuno pu essere perseguito o condannato per un reato per il quale gi stato assolto o condannato nellUnione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge. (98) Si veda ESER, Human Rights Guarantees for Criminal Law and Procedure in the EU Charter of Fundamental Rights, in Ritsumeikan Law Review, 2009, 185 ss. (99) Si veda VAN DE BROEK ET AL., Asset Freezing: Smart Sanction or Criminal Charge?, in Utrecht Journal of International and European Law, 2010, 18 ss. (100) Si veda Kyowa Hakko Kogy, caso T-223/00, 9 luglio 2003. 36 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 E.1 La procedura di listing e delisting in origine prevista dalla Risoluzione 1267 (101) 102. Congiuntamente ai punti precedentemente considerati, la Repubblica italiana rileva come le procedure per liscrizione, la cancellazione o la modifica di nominativi di sospetti terroristi ai sensi della Risoluzione 1267 (1999) abbiano subito nel tempo un processo di revisione ispirato ai principi della garanzia dei diritti del ricorrente, soprattutto nella prospettiva del suo diritto a una difesa piena ed effettiva. Tali considerazioni, gi anticipate dalla Commissione europea nella sua memoria di difesa nella causa T-85/09, non sono state prese in considerazione dal Tribunale di Primo Grado. Anche alla luce delle ulteriori modifiche intervenute nel corso dellanno 2010, che hanno costituito ius superveniens per la decisione della Corte in Kadi I (C-402/05 P), la Repubblica Italiana desidera associarsi alle considerazioni della Commissione e di aderirvi come segue. 103. Conviene in primo luogo ricordare che destinatari delle misure di congelamento sono persone associate alla rete di Al-Qaeda e dei Talebani. Tale vincolo di associazione si sostanzia in diversi gradi di integrazione nellorganizzazione terroristica, segnatamente: (a) participating in the financing, planning, facilitating, preparing or perpetrating of acts or activities by, in conjunction with, under the name of, or in support of; (b) supplying, selling or transferring arms and related material to; (c) recruiting for; or (d) otherwise supporting acts or activities of Al-Qaida, Usama bin Laden or the Taliban, or any cell, affiliate, splinter group or derivative thereof (102). 104. Ogni Stato pu presentare il nome di una persona o di un gruppo ai fini del loro inserimento nella lista. Sino ad alcuni anni fa il Consiglio di Sicurezza si limitava a ratificare in via amministrativa la richiesta proveniente da altri Stati e ad attribuire alla relativa delibera valore universale con efficacia erga omnes. Alla persona inserita nella lista era preclusa la possibilit di venire a conoscenza del fatto stesso di essere stata inclusa nella elencazione; gli era preclusa la possibilit di essere messa a parte delle motivazioni del listing; n il sospetto terrorista poteva ricorrere a mezzi di tutela effettivi per ottenere la cancellazione del proprio nome dalla blacklist: lunica via percorribile consisteva nel convincere lo Stato che aveva proposto il nominativo della erroneit della inclusione nella lista, fermo restando che il Consiglio di Sicurezza avrebbe avuto il potere discrezionale di decidere se accedere alla richiesta di delisting eventualmente proposta dallo Stato ovvero non darvi seguito. 105. Rispetto a tale situazione, il quadro procedurale oggi mutato significativamente, anche a seguito dellappello dellAssemblea Generale delle Nazioni Unite a ensure that fair and clear procedures exist for placing individuals and entities on sanctions lists and removing them, as well as for granting humanitarian exceptions (103) 106. In primo luogo, prima del 2004, gli Stati membri delle Nazioni Unite potevano presentare richieste per liscrizione nella lista consolidata senza doversi attenere a linee guida (101) Per una dettagliata analisi delle procedure di listing e delisting e relative modifiche si veda il paper Blacklisted, prodotto dallo European Center for Constitutional and Human Rights. (102) Si veda Risoluzione del Consiglio di Sicurezza, paragrafo 2, 1617 (2005). (103) Si veda A/RES/60/1, 2005 World Summit Outcome Document [paragrafo 109]. Disponibile online, al sito internet: http://unpan1.un.org/intradoc/groups/public/documents/UN/ UNPAN021752.pdf CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 37 o parametri di riferimento. Di norma gli Stati procedevano a una richiesta di iscrizione sulla base di semplici indicazioni di intelligence. Lunico tentativo di individuare criteri quantomeno generali cui gli Stati avrebbero dovuto attenersi prima di presentare una richiesta di listing era quello sviluppato in sede di Unione Europea dalla posizione comune 2001/931/PESC, adottata per implementare la Risoluzione del Consiglio 1373 (2001). Secondo tale posizione, linserimento in una blacklist comunitaria poteva avvenire solamente sulla base di informazioni precise o di elementi del fascicolo da cui risulta che unautorit competente ha preso una decisione nei confronti delle persone, gruppi ed entit interessati, si tratti dellapertura di indagini o di azioni penali per un atto terroristico, il tentativo di commetterlo, la partecipazione a tale atto o la sua agevolazione, basate su prove o indizi seri e credibili, o si tratti di una condanna per tali fatti . Larticolo 4 della posizione comune prosegue affermando che ai fini dellapplicazione del presente paragrafo, per autorit competente sintende unautorit giudiziaria o, se le autorit giudiziarie non hanno competenza nel settore di cui al presente paragrafo, unequivalente autorit competente nel settore (104). 107. Sebbene il requisito previsto dallart. 4 della posizione comune , che sottrae la proposta di listing al mero arbitrio dello Stato interessato, non abbia un equivalente specifico a livello di Nazioni Unite, anche in questa sede sono stati fatti numerosi passi avanti per regolamentare il pi possibile le procedure di proposta di iscrizione in blacklist. In modo particolare, con la Risoluzione del Consiglio di Sicurezza 1617 (2005) gli Stati membri sono chiamati a fornire al Comitato 1267 una elencazione delle prove (statement of case) sulle quali essi basano lintroduzione di un certo nominativo nella elencazione di cui alla Risoluzione 1267 (105); La Risoluzione 1735 (2006) ha chiarito il contenuto di tale statement of case, che deve consistere di (a) specific information supporting a determination that the individual or entity meets the criteria above; (b) the nature ofthe information and (c) supporting information or documents that can be provided; States should include details of any connection between the proposed designee and any currently listed individual or entit (106). 108. CՏ anche da rilevare come le guidelines del 9 dicembre 2008 del Comitato 1267 consigliano agli Stati che propongono linserimento di un nominativo nella lista consolidata di entrare in contatto in maniera preventiva con lo Stato di nazionalit o di residenza della persona sospettata, al fine di acquisire ulteriori informazioni. 109. Il Consiglio di conseguenza non si limita a ratificare in via amministrativa una decisione gi assunta a livello statale, ma detiene il potere di valutare la sufficienza e la congruit delle informazioni fornite e, se del caso, rifiutare linserimento della persona sospetta, contrariamente a quanto richiesto dallo Stato proponente. Ci confermato dal linguaggio della Risoluzione che parla di proposta di inserimento, e dal fatto che tale inserimento deve avvenire per consensus. Gli stati che ritengano non opportune le prove fornite dal proponente o che nutrano dubbi circa la loro valenza probatoria, potrebbero in questa fase bloccare la procedura di listing. A ci si aggiunga che a partire dal 2008 (104) Si veda Posizione Comune 2001/931/PESC, Articolo 4. (105) Si veda Risoluzione del Consiglio di Sicurezza, paragrafo 4, 1617 (2005). (106) Si veda Risoluzione del Consiglio di Sicurezza, paragrafo 5, 1735 (2006). 38 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 il Comitato 1267 tenuto redigere un breve resoconto delle ragioni del listing (narrative summary), provvedendo, ove possibile, a renderlo parzialmente accessibile al pubblico tramite pubblicazione sulla pagina web del Comitato medesimo. Estratti del narrative summary relativo al sig. Kadi figura regolarmente sulla pagina online del Comitato 1267 (107). Inoltre, ancor prima di un effettivo provvedimento di listing, le Nazioni Unite dovrebbero rendere pubbliche alcune delle informazioni che costituiscono lo statement of case per liscrizione in una lista consolidata. 110. Altro miglioramento nella garanzie procedurali riconosciute a chi venga iscritto in una delle liste consolidate costituito dalla comunicazione del provvedimento di iscrizione alla persona interessata. In un primo momento il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si limitato, con la Risoluzione 1526(2004) a esortare con forza gli Stati a inform, to the extent possible, individuals and entities included in the Committees list of the measures imposed on them (108). Successivamente il Consiglio di Sicurezza ha formalmente richiesto al Segretariato di dar comunicazione agli Stati, con cadenza trimestrale, delle iscrizioni in blacklist. 111. Con la Risoluzione 1735 (2006) il Consiglio di Sicurezza ha altres introdotto una pi trasparente procedura di notifica delle iscrizioni in lista. Entro due settimane dallinserimento di un nuovo nominativo, il Comitato 1267 tenuto a darne comunicazione alla Missione permanente del paese di cui la persona iscritta cittadino o di cui possiede la residenza (109). A partire dal 2008 la finestra temporale per la notifica stata ridotta a una settimana (110). Una volta ricevuta la notifica, gli Stati destinatari delle informazioni devono darne comunicazione alle persone interessate in tempi brevi, secondo modalit previste dal diritto interno di ciascun ordinamento (111). Vero che alla persona inserita in blacklist viene negato il diritto essere sentita prima delladozione del provvedimento. 112. Tale costrizione procedurale tuttavia giustificata alla luce della necessit di impedire che il sospetto terrorista possa porre in essere operazioni atte a vanificare il congelamento dei suoi beni (ad esempio, trasferendone nominalmente la propriet a terzi). Anche la Corte di Giustizia dellUnione Europea ha ritenuto che il diritto a essere sentiti prima delladozione di una misure in qualche modo lesiva nei confronti dellinteressato non assoluto. Di fatti, al fine di raggiungere lobiettivo perseguito, misure siffatte devono, per loro stessa natura, poter beneficiare di un effetto sorpresa e, [], applicarsi con effetto immediato (112). 113. Le garanzie procedurali dei soggetti inseriti nelle liste hanno registrato un ulteriore miglioramento a seguito della previsione di meccanismi di revisione periodica delle liste medesime in seno al Consiglio di Sicurezza e al Comitato 1267, con la conseguenza che linserimento in blacklist non a tempo indeterminato, ma cessa ogniqualvolta, in occasione della revisione, venga accertato il venir meno dei motivi dellinserimento. Per (107) Il resoconto delle ragioni del listing (narrative summary) relativo al Sig. Kadi disponibile alla pagina web: http://www.un.org/sc/committees/1267/NSQI02201E.shtml (108) Si veda Risoluzione del Consiglio di Sicurezza 1526 (2004), paragrafo 18. (109) Si veda Risoluzione del Consiglio di Sicurezza 1735 (2006), paragrafo 10. (110) Si veda Risoluzione del Consiglio di Sicurezza 1822 (2008), paragrafo 15. (111) Si veda Risoluzione del Consiglio di Sicurezza 1822 (2008), paragrafo 17. (112) Si veda Yassin Abdullah Kadi, causa C-402/05 P, 3 settembre 2008, paragrafo 340. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 39 quel che concerne in particolar modo la lista prevista dalla Risoluzione 1267, la revisione prevista con cadenza annuale. La revisione condotta sulla base di uno scambio di informazioni fra il Comitato 1267, lo Stato che ha proposto linserimento della persona nella lista e gli Stati di cui la persona cittadino o nel quale ha la residenza. Inoltre, nel 2008, il Consiglio di Sicurezza ha chiesto formalmente al Comitato 1267 di procedere a una revisione generale della blacklist istituita con la Risoluzione 1267, da completare entro due anni. In adempimento di tale indicazione del Consiglio di Sicurezza, il Comitato 1267 ha anche deciso di far circolare con cadenza fra gli Stati che propongono nomi da inserire nella lista e fra quelli di nazionalit o residenza, un outline dei nomi di volta in volta figuranti nellelencazione, chiedendo a questi Stati di fornire, entro tre mesi, unindicazione aggiornata delle informazioni poste alla base della inclusione nella lista stessa. Anche le procedure di de-listing adottate dal Consiglio di Sicurezza garantiscono un maggior grado di protezione agli individui che rientrano in una delle liste. 114. Difatti, seguendo la posizione delle Nazioni Unite to ensuring that fair and clear procedures exist for placing individuals and entities on sanction lists and for removing them, as well as for granting humanitarian exceptions(113), il consiglio di Sicurezza ha adottato una procedura di delisting nell'allegato alla Risoluzione 1730(2006). A norma della Risoluzione, esistono sostanzialmente due canali per esperir euna procedura di delisitng: o attraverso lo Stato di cittadinanza o residenza dell'individuo colpito dalla Risoluzione, ovvero attraverso l'accesso diretto a un organismo delle Nazioni Unite, il cos detto Focal Point. Secondo la dottrina, l'istituzione di tale "focal point" costituisce un passo significativo nel miglioramento delle garanzie procedurali del sospettato. 115. L'accesso al focal point per chiedere una misura di de-listing consentito solo alle persone colpite da misure di congelamento dei beni che risultino iscritti in una delle blacklists delle Nazioni Unite. Coloro che cercano un provvedimento di delisting possono oggi inoltrare una richiesta direttamente davanti ai competenti organi delle Nazioni Unite, mentre in precedenza l'unica via era quella della protezione diplomatica che, in quanto diritto dello Stato, e non dell'individuo che ne chiedeva l'esercizio, era rimessa spesso a valutazioni discrezionali di carattere politico. In secondo luogo, la protezione diplomatica viene riservata ai cittadini di un determinato Stato. L'accesso diretto consente anche a coloro che risiedano, magari da anni, in uno Stato estero, usufruiscano della procedura di de-listing, senza dover convincere lo Stato di nazionalit, con il quale potrebbero non avere pi alcun legame, ad esperire tale procedura. 116. La richiesta di de-listing deve essere presentata in forma scritta e il relativo formulario reso disponibile sul sito web del comitato 1267. Nella petizione, che dunque consente alla persona colpita di portare le Nazioni Unite a conoscenza delle sue ragioni, devono essere indicate le ragioni per cui il soggetto ritiene di non rientrare pi fra i criteri delineati dalle Risoluzioni del Consiglio che lo iscrivevano in lista. Tale esposizione delle ragioni deve essere supportata dall'indicazione di documenti probatori a sostegno. 117. Una volta che il focal point riceve la richiesta di delisting, provvede a trasmetterla allo Stato che aveva chiesto l'iscrizione dell'individuo nella blacklist e allo Stato di naziona- (113) United Nations General Assembly Resolution 60/1, 2005 World Summit Outcome, paragrafo 109. 40 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 lit o residenza. Valutate le ragioni del ricorrente, tanto lo Stato che ha proposto il listing, quanto quello di residenza e quello di nazionalit. La proposta di de-listing deve essere successivamente inoltrata al Chairperson del Comitato 1267 e, a questo punto, la proposta di cancellazione dalla lista viene inserita nell'agenda dei lavori del Comitato. Se il focal point non riceve entro tre mesi proposte di de-listing da parte dello Stato che ha proposto l'iscrizione o da quello di nazionalit o residenza, provvede a darne comunicazione ai membri del Comitato 1267, i quali possono avanzare, sentiti gli Stati interessati, una proposta di de-listing. Laddove anche in questo caso non vengano presentate proposte di cancellazione dalla lista, la richiesta si considera respinta. 118. Nonostante i significativi miglioramenti introdotti da questa procedura, la Corte di Giustizia dell'Unione Europea ha statuito che il meccanismo non ancora tale da garantire una tutela giurisdizionale effettiva per quel che concerne la protezione dei diritti dei soggetti coinvolti (114). 119. In generale, la Corte ha ritenuto insufficiente il meccanismo in esame per la mancanza di imparzialit e indipendenza: sono gli Stati che decidono quali enti e individui iscrivere nella lista e sono i medesimi Stati a decidere se e con quale tempistica rimuovere tali soggetti dalla lista. Vero che la decisione non lasciata all'arbitrio dei membri del Comitato 1267, poich questi debbono in qualche modo motivare le posizioni assunte. Le perplessit in ordine a una procedura dal carattere parziale e privo di indipendenza possono per superarsi alla luce degli ulteriori sviluppi che hanno caratterizzato le procedure di revisione delle blacklist in sede di Consiglio di Sicurezza. La Risoluzione 1904(2009) ha introdotto la figura dell'Ombudsperson, un organo imparziale e indipendente che ha il compito di assistere il Comitato 1267 nella gestione delle richieste di de-listing. A norma della rilevante Risoluzione del Consiglio, la figura dell' Ombusdsperson costituita da un individuo di alta moralit, imparzialit, integrit, e di elevate competenze nel campo dei diritti umani, dell'antiterrorismo e dei vari regimi sanzionatori adottati dal Consiglio di Sicurezza. L'Ombudsperson chiamato a svolgere la sua funzione in maniera imparziale e indipendente. 120. Sebbene la decisione finale in ordine al de-listing continui a essere riservata al Comitato 1267, l'Ombudsperson svolge un ruolo fondamentale nella raccolta delle prove e nella fase istruttoria preparatoria alla decisione del Comitato, con il quale l'Ombudsperson ha l'obbligo di confrontarsi. La Risoluzione 1904(2009) ha inoltre influito in maniera rilevante sull'accountabilty del Comitato 1267 con riguardo alle modalit di gestione dei processi di de-listing. Viene infatti a essere formalizzata una tendenza che stava gi affermandosi in seno al comitato, segnatamente l'impegno da parte degli Stati membri a indicare le ragioni per cui una certa richiesta di de-listing viene rifiutata. E' importante rilevare come, sebbene il focal point fosse gi esistente al momento della pronuncia della sentenza del Tribunale di Primo Grado nel caso Kadi I, gli sviluppi procedurali costituiti dall'introduzione dell'Ombudsperson sono assolute novit che non sono ancora state prese in considerazione dagli organi giurisdizionali comunitari. 121. Nelle pagine che seguono la Repubblica italiana, aderendo ai motivi d'appello presentati (114) Si veda Yassin Abdullah Kadi, causa C-402/05 P, 3 settembre 2008, paragrafo 322. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 41 dalla Commissione e dal Consiglio, cercher di dimostrare come, alla luce della delicatezza della materia in esame, le procedure previste in sede di Nazioni Unite siano tali da consentire al ricorrente di difendere in maniera adeguata i suoi diritti. 122. Con la sentenza resa nel caso Kadi I (115), la Corte di Giustizia dell'Unione europea ha riconosciuto che il procedimento di review amministrativa delle blacklists in sede di Nazioni Unite non consentiva, data la sua parzialit e il suo carattere politico, una tutela effettiva dei diritti dei potenziali ricorrenti e che pertanto il diritto a un equo processo garantito dal diritto comunitario era loro negato. Le circostanze prese in esame dalla Corte erano ovviamente quelle vigenti al momento della pronuncia e non potevano tener conto dei miglioramenti procedurali determinati soprattutto a seguito della Risoluzione 1904(2009). L'istituzione della figura dell'Ombudsperson consente infatti al ricorrente di beneficiare di un vero e proprio sistema di administrative due process, improntato ai principi della trasparenza, dell'indipendenza e della imparzialit, riconducibile a una figura istituzionale che tenuta a non ricevere istruzioni da alcun governo. Il che evidentemente consente di superare molte delle critiche concernenti l'eccesiva politicizzazione del procedimento di review. 123. Vero che l'ufficio dell'Ombudsperson si configura come uno strumento di carattere amministrativo, non parificabile dal punto di vista strutturale e funzionale a un organo giudiziario vero e proprio. D'altra parte per la sentenza della Corte di Giustizia nel caso Kadi non ha richiesto l'istituzione di un vero e proprio tribunale internazionale nell'ambito del sistema delle Nazioni Unite. Al contrario, la decisione della Corte sembra porre una sorta di obbligazione di risultato, richiedendo semplicemente un procedimento che offra "the guarantees of judicial protection" (116), senza indicare l'effettivo organo istituzionale deputato a porre in essere tali garanzie. 124. Se con "guarantees of judicial protection" si intendono i requisiti classici caratteristici della funzione giudiziaria, segnatamente imparzialit e indipendenza, evidente che questi sono condivisi anche dall' Ufficio dell'Ombudsperson previsto dalla Risoluzione 1904. D'altra parte, anche i due rapporti commissionati dalle Nazioni Unite, rispettivamente al Prof. Bardo Fassbender e al Watson Institute for International Studies della Brown University, consigliano non necessariamente l'istituzione in sede di Nazioni Unite di un vero e proprio tribunale internazionale, ma al contrario l'implementazione di una procedura amministrativa che ne condivida in qualche modo i caratteri (117). 125. chiaro inoltre che un meccanismo di revisione simile a quello dell'Ombudsperson gi impiegato nell'ambito di altre organizzazioni internazionali, come nel caso nella Banca Mondiale con il World Bank Inspection Panel. Il panel consente agli individui interessati di contestare progetti che la banca intende intraprendere sulla base della loro contrarit alle policies della Banca e alle linee guida internazionali che essa tenuta a seguire. I membri del panel sono indipendenti rispetto alla banca e hanno il potere di esprimere un giudizio sulle decisioni contestate della Banca medesima e di produrre dei (115) Si veda Yassin Abdullah Kadi, causa C-315/01, 3 settembre 2008, paragrafi 321-326. (116) Si veda Yassin Abdullah Kadi, causa C-402/05 P, 3 settembre 2008, paragrafo 322. (117) Disponibili alle pagine web http://untreaty.un.org/ola/media/info_from_lc/Fassbender_study.pdf e http://www.watsoninstitute.org/pub/Strengthening_Targeted_Sanctions.pdf 42 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 reports in merito, anche se questi non hanno effetti vincolanti. 126. Di tale procedura stato detto che it provides some sort of hints as to [the] possibility of an independent [,] non-judicial review procedure. The essential point is that it constitutes a fruitful compromise. . . . It does not constitute an outside judicial review, it is administrative in nature. On the other hand, it provides a guarantee for an independent control of decisions and an effective remedy for those actors which are affected by the Bank's decisions. That independence and the ensuing impartiality provide a certain equivalence to a procedure of judicial review (118). 127. D'altra parte, non solo l'istituzione di un vero e proprio organo giudiziario competente a valutare le richieste di de-listing non richiesto dalla Corte di Giustizia; ma esso non neppure auspicabile in ragione del ruolo del Consiglio di Sicurezza nel combattere il terrorismo quale fenomeno pregiudizievole alla pace e alla sicurezza internazionale. Una procedura di tipo amministrativo come quella ora delineata consente al Consiglio di meglio calibrare le sue strategie di lotta al crimine internazionale e costituisce una sorta di autotutela amministrativa (sebbene caratterizzata da ben pi elevati standards di indipendenza e iniziata su istanza di parte) posta non solo a garanzia del ricorrente, ma del Consiglio di Sicurezza medesimo. In altre parole, la procedura amministrativa in esame, oltre a configurare uno snodo essenziale del diritto alla difesa di chi ritenga di essere stato illegittimamente inserito in una delle liste consolidate per il congelamento dei beni, costituisce anche un momento fondamentale per il perfezionamento e la definizione delle strategie che il consiglio di Sicurezza ritiene di dover adottare nell'adempimento che la Carta delle Nazioni Unite ad esso attribuisce. 128. Queste considerazioni conducono a ritenere che non solo la procedura amministrativa sia quella che meglio consente di conciliare l'interesse del ricorrente con quello della Comunit delle nazioni al mantenimento della pace e della sicurezza internazionali, ma anche che, laddove si continuasse a voler ammettere un controllo giurisdizionale da parte degli organi comunitari, tale procedura amministrativa sarebbe comunque pregiudiziale a tale controllo, con la conseguenza che lorgano indebitamente investito di una doglianza dovrebbe dichiarare il difetto della propria giurisdizione. 129. In primo luogo, dal punto di vista di una semplice logica implementativa, chiaro che la Comunit tenuta a adeguare il contenuto del diritto comunitario alle eventuali modifiche delle liste consolidate, con la conseguenza che una modifica per via amministrativa della blacklist si riverbererebbe necessariamente anche sul contenuto degli strumenti europei di implementazione, senza necessit di passare per una pronuncia di illegittimit dei medesimi. 130. Vero che la regola del previo esaurimento dei ricorsi interni, cui la proposta pregiudizialit della procedura amministrativa si ispira, non una regola generale del diritto internazionale e non potrebbe essere invocata in termini assoluti. Ma le specificit del caso in esame impongono considerazioni diverse, che derogano alle regole generali. Difatti, la procedura amministrativa in esame stata introdotta tramite una risoluzione del (118) Si veda BOTHE, Security Council's Targeted Sanctions Against Presumed Terrorists: The Need to Comply with Human Rights Standards, in Journal of International Criminal Justice, 2008, 541. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 43 Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite adottata a norma del Capitolo VII della Carta. Nel predisporla il Consiglio di Sicurezza ha adottato una misura che, seppur in maniera meno evidente rispetto all'iscrizione in una blacklist, condivide con essa la finalit di tutelare la pace e la sicurezza internazionali. 131. D'altra parte, che l'istituzione di un organo con funzioni giurisdizionali o quasi-giurisdizionali, come la figura dell'Ombudsperson possa costituire una misura non implicante l'uso della forza volta a contrastare una minaccia internazionale non sembra essere in discussione. Ci risulta con chiarezza dalla statuizione della Camera d'appello del Tribunale Penale per i crimini commessi nella Ex-Jugoslavia nel caso Tadic, secondo il quale "Once the Security Council determines that a particular situation poses a threat to the peace or that there exists a breach of the peace or an act of aggression, it enjoys a wide margin of discretion in choosing the course of action". Secondo il Tribunale penale internazionale, dunque "establishment of the International Tribunal falls squarely within the powers of the Security Council under Article 41" (119). 132. Poich l'istituzione di un Tribunale internazionale rientra dunque fra le misure che il Consiglio di Sicurezza pu adottare per la tutela della pace e della sicurezza internazionali, a maggior ragione dovrebbe rientrarvi una procedura amministrativa complementare a misure che pi tipicamente rientrano fra quelle riconducibili al novero dell'articolo 41, come le misure di congelamento dei beni. 133. Se questo lo status giuridico della procedura amministrativa in esame, e se il Consiglio di Sicurezza, agendo a norma del Capitolo VII, ha considerato tale misura necessaria, essa assume natura ed effetto vincolanti. Non pu pi essere aggirata o bypassata, ma si configura come fase necessaria e preliminare rispetto a qualsiasi altro strumento di redress che la persona sospetta desideri azionare per far valere le sue ragioni. Ragionare altrimenti, e consentire al ricorrente di adire direttamente gli organi giudiziari comunitari, significherebbe negare il carattere vincolante della Risoluzione del Consiglio e non tenere in considerazione il ruolo primario che esso ha nel definire le modalit con le quali affrontare una certa minaccia alla pace e alla sicurezza internazionali. F. Conclusioni 134. Alla luce delle considerazioni svolte nelle pagine precedenti, la Repubblica italiana chiede alla Corte di Giustizia di annullare, nella sua interezza, la sentenza del Tribunale resa nel caso Kadi II (T-805/09) e rigettare di conseguenza la domanda di annullamento del Regolamento 1190/2008, nella misura in cui questo lo concerne Avv. Gabriella Palmieri Avv. Maurizio Fiorilli Agente del Governo Italiano Vice Avvocato Generale dello Stato (119) Prosecutor v. Dusko Tadic, a/k/a Dule, Interlocutory Appeal, IT-94-1-AR72, 2-10-1995, 29. 44 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 Europa: il sistema integrato di tutela dei diritti fondamentali Paola Maria Zerman* SOMMARIO: 1. - La complessit del problema 2. - Il punto di partenza: il doppio binario individuato dallart. 6 del Trattato di Lisbona 3. - La strada pi percorsa. Il ricorso alla CEDU 3.1. - La CEDU nel sistema delle fonti dopo lentrata in vigore del Trattato di Lisbona 4. - La Carta dei diritti. a) Lambito di applicazione della Carta. b) Lattuazione dei principi contenuti nella carta. La riserva di legge nazionale. Il principio di sussidiariet. Quale sorte per le materie escluse? 5. - Il sistema integrato di tutela dei diritti fondamentali. 1. La complessit del problema Sebbene antichi come luomo, i diritti fondamentali della persona si delineano come la nuova frontiera con cui si confrontano giudici nazionali e comunitari in un contesto normativo particolarmente complesso. Lo sforzo ricostruttivo per delineare il sistema di protezione dei diritti fondamentali della persona si presenta allinterprete assai arduo per un duplice ordine di motivi. Il primo perch coinvolge una pluralit di fonti normative, a livello nazionale ed europeo, in cui i rapporti gerarchici hanno contorni non di rado incerti e mutevoli, anche in seguito allentrata in vigore del Trattato di Lisbona. Di questo disorientamento vi sono tracce nelle decisioni dei giudici nazionali, che procedono a tentoni nellapplicazione della CEDU e della Carta di Nizza e pi per intuizione che per chiara consapevolezza dei limiti e dellefficacia delle stesse (1). Il secondo motivo rappresentato dalla particolare delicatezza delle materie coinvolte, che, per la vicinanza a temi eticamente sensibili, non di rado sono soggetti ad operazione ermeneutiche orientate se non addirittura manipolatorie. Si ricordi la vasta eco mediatica che ha riguardato vicende come quella dellesposizione nelle aule scolastiche del crocifisso, recentemente risolta positivamente dalla Cedu (2), nonch lammissibilit nel nostro ordinamento del (*) Avvocato dello Stato. (1) Vedi su questo punto linteressante disamina di LINDA DANCONA in www.europeanrighst.eu 2010: Lefficacia della Carta di Nizza nella giurisprudenza nazionale dopo Lisbona, lautrice rileva che: E utile tenere presente che, almeno in apparenza, la Carta di Nizza sembra essere stata utilizzata dai Giudici italiani senza il bench minimo accenno ad una diversa efficacia o vigore, conseguito dalla Carta a seguito dellapprovazione del Trattato. Con estrema franchezza, sembra che i Giudici di primo grado non se ne siano accorti. (2) Decisione della Grande Chambre del 18 marzo 2011 nel caso Lautsi c/Italia (ricorso n. 30814/06). La Corte ha osservato tra laltro che: Le mot respecter, auquel renvoie l'article 2 du Protocole no 1, signifie plus que reconnatre ou prendre en considration; en sus d'un engagement plutt ngatif, ce verbe implique la charge de l'Etat une certaine obligation positive (arrt Campbell et Cosans prcit, 37). Cela tant, les exigences de la notion de respect, que l'on retrouve aussi dans l'article 8 de la Con- CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 45 matrimonio omosessuale, escluso dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 138 del 2010, e ancora al dibattito in corso sul divieto di fecondazione eterologa posto dalla legge 40 al prossimo esame della Corte Costituzionale (3). 2. Il punto di partenza: il doppio binario di tutela individuato dallart. 6 del Trattato di Lisbona Come a tutti noto, il 1 dicembre 2009 entrato in vigore il Trattato di Lisbona, che modifica il Trattato sull'Unione Europea e il Trattato che istituisce la Comunit europea. Basilare, per la ricostruzione sistematica della tutela dei diritti fondamentali, lart. 6 del Trattato. Si riporta per completezza lintero testo dellarticolo. 1. LUnione riconosce i diritti, le libert e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dellUnione europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati. Le disposizioni della Carta non estendono in alcun modo le competenze dellUnione definite nei trattati. I diritti, le libert e i principi della Carta sono interpretati in conformit delle disposizioni generali del titolo VII della Carta che disciplinano la sua interpretazione e applicazione e tenendo in debito conto le spiegazioni cui si fa riferimento nella Carta, che indicano le fonti di tali disposizioni. 2. LUnione aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti delluomo e delle libert fondamentali. Tale adesione non modifica le competenze dellUnione definite nei trattati . Inoltre, come ricordato dal terzo comma, i diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti delluomo e delle libert fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dellUnione in quanto principi generali. Dalla lettura del testo riportato emerge che il sistema dei diritti fondamentali basato su un duplice binario di tutela: a) il primo, rappresentato dalla Carta dei diritti fondamentali delvention varient beaucoup d'un cas l'autre, vu la diversit des pratiques suivies et des conditions existant dans les Etats contractants. Elle implique ainsi que lesdits Etats jouissent d'une large marge d'apprciation pour dterminer, en fonction des besoins et ressources de la communaut et des individus, les mesures prendre afin d'assurer l'observation de la Convention. Dans le contexte de l'article 2 du Protocole no 1, cette notion signifie en particulier que cette disposition ne saurait s'interprter comme permettant aux parents d'exiger de l'Etat qu'il organise un enseignement donn (voir Bulski c. Pologne (dc.), nos 46254/99 et 31888/02) e ancora rileva lautonomia degli Stati in relazione al valore da dare ai simboli religiosi Selon la Cour, la dcision de perptuer ou non une tradition relve en principe de la marge d'apprciation de l'Etat dfendeur. La Cour se doit d'ailleurs de prendre en compte le fait que l'Europe est caractrise par une grande diversit entre les Etats qui la composent, notamment sur le plan de l'volution culturelle et historique. Elle souligne toutefois que l'vocation d'une tradition ne saurait exonrer un Etat contractant de son obligation de respecter les droits et liberts consacrs par la Convention et ses Protocoles. (3) fissata ludienza alla Corte Costituzionale il 20 settembre 2011. 46 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 lUnione europea (c.d. Carta di Nizza). La novit, e limportanza, dellart. 6 costituita dal fatto che viene conferita alla Carta lo stesso valore giuridico dei trattati. b) Il secondo, costituito dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti delluomo e delle libert fondamentali (CEDU), a cui lUE aderisce. Occorre tenere presente che ladesione della UE non ancora avvenuta. La stessa regolata dal protocollo 8 della Trattato di Lisbona, e seguir la procedura descritta nell'art. 218 TFUE (4), che prevede, tra l'altro, la decisione all'unanimit del Consiglio, l'approvazione del Parlamento europeo e l'approvazione di tutti gli Stati membri, ciascuno secondo le proprie regole costituzionali (5). Il duplice richiamo alla Carta di Nizza e alla CEDU, pu determinare possibilit di sovrapposizione, come esplicitamente riconosciuto dallart. 52 comma 3 della Carta, in base alla quale se la stessa contiene diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla CEDU il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta convenzione. Anche se la presente disposizione non preclude che il diritto dellUnione conceda una protezione pi estesa la possibilit di sovrapposizione pu riguardare anche lattivit delle due Corti, quella di Giustizia e quella di Strasburgo (6), quali garanti dei diritti fondamentali, preoccupazioni che a suo tempo avevano interrotto le pro- (4) Secondo il comma 8 dellart. 218 TFUE: Il Consiglio delibera all'unanimit anche per l'accordo sull'adesione dell'Unione alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libert fondamentali; la decisione sulla conclusione di tale accordo entra in vigore previa approvazione degli Stati membri, conformemente alle rispettive norme costituzionali. (5) Art. 2 del Protocollo n. 8 del Trattato di Lisbona stabilisce che laccordo di adesione dellUnione alla CEDU: deve garantire che l'adesione non incida n sulle competenze dell'Unione n sulle attribuzioni delle sue istituzioni. Deve inoltre garantire che nessuna disposizione dello stesso incida sulla situazione particolare degli Stati membri nei confronti della convenzione europea e, in particolare, riguardo ai suoi protocolli, alle misure prese dagli Stati membri in deroga alla convenzione europea ai sensi del suo articolo 15 e a riserve formulate dagli Stati membri nei confronti della convenzione europea ai sensi del suo articolo 57 . (6) Preoccupazione effettivamente esistente visto la non chiara delimitazione delle competenze delle due Corti in ordine alla protezione dei diritti umani. La risoluzione del parlamento europeo del 19 maggio 2010 cerca di dissipare lintricata matassa con un estesa dissertazione sul ruolo delle due Corti rappresentando comunque che: 23. Ladesione dellUE alla CEDU fornir uno strumento aggiuntivo per applicare i diritti umani, in particolare la possibilit di presentare una denuncia dinanzi alla Corte europea dei diritti delluomo in relazione a unazione o mancata azione dellistituzione dellUE o di uno Stato membro nel quadro dellattuazione del diritto dellUnione, rientrante nellambito di competenze della CEDU. Al punto 1 sottolinea poi che la relazione tra le due Corti europee non gerarchica ma piuttosto di una relazione di specializzazione; la Corte di giustizia dellUnione europea avr cos uno status analogo a quello che hanno attualmente le corti supreme degli Stati membri rispetto alla Corte europea dei diritti delluomo.V. anche in tal senso la dichiarazione congiunta del Presidente della Corte europea dei diritti delluomo Jean Paul Costa e quello della Corte di Giustizia del 17 gennaio 2011, che focalizza lattenzione sui futuri rapporti tra le due corti in vista delladesione dellUnione europea alla Convenzione Joint communication from Presidents Costa and Skouris. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 47 cedure di adesione, anche nel timore delle incertezze derivanti dalla sovrabbondanza di fonti di riferimento per la tutela dei diritti. L'eccesso di documenti e carte in tema di diritti potrebbe anche trasformarsi in un fattore non secondario di indebolimento della posizione del cittadino europeo (7). Il richiamo sia alla Carta che alla CEDU da rinvenirsi nella diversit della fonte di provenienza. La prima emanazione dellUnione europea, la seconda del Consiglio dEuropa, cui aderiscono, come noto, molti paesi estranei allUnione (8), la quale ultima aderir a sua volta alla CEDU. Come autorevolmente rilevato (9), lattuale situazione in cui il sistema della Convenzione vincola tutti gli Stati ma non lUnione stessa, fonte di incertezze, difficolt e carenze nellapplicazione della Convenzione. Non possibile, quindi introdurre un ricorso alla Corte Cedu direttamente contro lUnione, dovendo lo stesso essere diretto contro uno o pi Stati membri dellUnione. La Corte CEDU ha sul punto ritenuto che ladesione ad una organizzazione sopranazionale con cessione alla stessa di parti della competenza propria statale, non elimina il vincolo degli Stati rispetto alla Convenzione (10). 3. La strada pi percorsa. Il ricorso alla CEDU Unampia letteratura scientifica si formata sul ruolo e lincidenza della CEDU nel sistema della protezione dei diritti fondamentali, anche in seguito alla tendenza espansiva della Corte di Strasburgo, che non ha mancato di suscitare ampi dibattiti in relazione a note pronunce su temi eticamente sensibili. Tuttavia, a un anno e mezzo dallentrata in vigore del Trattato di Lisbona, sembra da condividere lo stupore di alcuni in ragione de il prevalente e quasi esclusivo soffermarsi della giurisprudenza (e della dottrina al seguito) spesso in modo contorto, forzato, cervellotico, sul tema della disapplicazione di norme interne per contrasto con la CEDU (11) dando poca attenzione alla immediata attribuzione del valore giuridico primario della Carta di Nizza. La CEDU rimane quindi il binario pi percorso dai giudici per la tutela dei diritti umani, anche perch, come si esaminer in seguito, la Carta di Nizza, se pure pi ampia sotto il profilo contenutistico, contiene limitazioni per quanto concerne lambito di applicazione soggettiva. Inoltre, le decisioni della Corte di Strasburgo, come da molti sottolineato, stanno assumendo un ruolo (7) Cos CARTABIA MARTA, in Il trattato di Lisbona Giornale Dir. Amm., 2010, 3, 221. (8) Il Consiglio dEuropa conta oggi 47 membri. Dagli anni 90 ha ricevuto ladesione di tutti gli stati europei tranne la Bielorussia che ancora non raggiunge le condizione minime di democrazia e rispetto dei diritti delluomo. (9) V. ZAGREBELSKI in www.europeanright.eu 2007. (10) Sentenze CEDU: Cantoni c. Francia del 15 novembre 1996 e Matthews c. Regno Unito del 18 febbraio 1999 citate in nota 2 di Zagrebelski cit. (11) Cos V. SCIARABBA: La tutela europea dei diritti fondamentali e il giudice italiano. Relazione al Il Workshop in Diritto internazionale dellUnione organizzato da Magistratura democratica e Medel, Venezia 8-9 aprile 2011. 48 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 sempre pi incisivo anche in relazione alla efficacia delle decisioni (12). 3.1. La CEDU nel sistema delle fonti dopo lentrata in vigore del Trattato di Lisbona Isolate sono rimaste le pronunce del Consiglio di Stato sez. IV n. 1220 del 2010 e Tar Lazio sez. II bis n. 11984 del 2010, che hanno ritenuto direttamente applicabile la stessa convenzione in seguito allentrata in vigore del trattato di Lisbona. In realt la dottrina si schierata unanime contro la comunitarizzazione della CEDU a seguito dellentrata in vigore del Trattato di Lisbona (13), ritenendo che, non essendo ancora intervenuta ladesione al Trattato, la CEDU ha valore come norma interposta che integra il parametro costituzionale di cui allart. 117 Cost. non essendo possibile la diretta applicazione ai sensi dellart. 11 della Costituzione come ritenuto dalle due pronunce della giurisprudenza amministrativa. Lanalisi della portata della CEDU, dopo lentrata in vigore del trattato di Lisbona, stata, infatti, oggetto di alcune pronunce della Corte Costituzionale, che ha delineato con fermezza i confini di applicazione della Convenzione, come anche da ultimo sottolineato da Corte cost., Sent., 7 aprile 2011, n. 113. A partire dalle sentenze n. 348 e n. 349 del 2007, la giurisprudenza di questa Corte costante nel ritenere che le norme della CEDU - nel significato loro attribuito dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, specificamente istituita per dare a esse interpretazione e (12) I limiti allefficacia delle sentenze della Corte di Strasburgo sono posti dagli art. 41 e 46 della CEDU; secondo questultima norma le Alte parti contraenti si impegnano a conformarsi alle sentenze definitive della Corte sulle controversie nelle quali sono parti e prevede ai commi successivi, una procedura rivolta allottemperanza da parte dello Stato condannato. Lart. 41 prevede che se vi stata violazione della CEDU e il diritto interno dellAlta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, unequa soddisfazione alla parte lesa. A. GIANSANTI in Riflessioni in ordine allefficacia delle sentenze della Corte Europea dei diritti umani e agli obblighi di riparazione a carico dello Stato soccombente con particolare riguardo al caso Sejdovic c. Italia evidenzia le attuali tendenze della Corte europea ad ampliare lambito della propria competenza in materia di riparazione, e ad imporre agli Stati membri ladozione di misure individuali e/o generali in luogo della prescritta equa soddisfazione. (13) A. CELOTTO: Il Trattato di Lisbona ha reso la CEDU direttamente applicabile nellordinamento italiano? in www.giustamm.it se vero che il Trattato consente ladesione della UE alla CEDU, non solo tale adesione deve ancora avvenire, secondo le procedure del protocollo n. 8 annesso al Trattato, ma soprattutto non comporter lequiparazione della CEDU al diritto comunitario, bens semplicemente, una loro utilizzabilit quali principi generali del diritto dellUnione al pari delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri. Ad avviso di chi scrive, quindi, il Trattato di Lisbona nulla ha modificato circa la (non) diretta applicabilit nellordinamento italiano della CEDU che resta, per lItalia solamente un obbligo internazionale, con tutte le conseguenze in termini di interpretazione conforme e di prevalenza mediante questione di legittimit costituzionale, secondo quanto gi riconosciuto dalla Corte Costituzionale. V. anche: L. DANGELO: Comunitarizzazione dei vincoli internazionali CEDU in virt del Trattato di Lisbona? No senza una expressio causae in www.personaedanno.it. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 49 applicazione (art. 32, paragrafo 1, della Convenzione) - integrino, quali norme interposte , il parametro costituzionale espresso dall'art. 117, primo comma, Cost., nella parte in cui impone la conformazione della legislazione interna ai vincoli derivanti dagli obblighi internazionali (sentenze n. 1 del 2011; n. 196, n. 187 e n. 138 del 2010; n. 317 e n. 311 del 2009, n. 39 del 2008; sulla perdurante validit di tale ricostruzione anche dopo l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007, sentenza n. 80 del 2011). La Corte indica quindi le tappe del percorso logico che il giudice nazionale deve percorrere in relazione alle modalit di applicazione della CEDU: a) se si profili un eventuale contrasto fra una norma interna e una norma della CEDU, il giudice comune deve verificare anzitutto la praticabilit di una interpretazione della prima in senso conforme alla Convenzione, avvalendosi di ogni strumento ermeneutico a sua disposizione; b) se tale verifica d esito negativo - non potendo a ci rimediare tramite la semplice non applicazione della norma interna contrastante - egli deve denunciare la rilevata incompatibilit, proponendo questione di legittimit costituzionale in riferimento al parametro di cui allart. 117 Cost.; c) a sua volta, la Corte costituzionale, investita dello scrutinio, pur non potendo sindacare l'interpretazione della CEDU data dalla Corte europea, resta legittimata a verificare se la norma della Convenzione - la quale si colloca pur sempre a un livello sub-costituzionale - si ponga eventualmente in conflitto con altre norme della Costituzione; d) in caso affermativo, dovr essere esclusa la idoneit della norma convenzionale a integrare il parametro considerato. 4. La Carta dei diritti In seguito allentrata in vigore del Trattato di Lisbona, la Carta di Nizza ha acquistato la stessa forza giuridica dei trattati. Il Giudice nazionale, quindi, sar tenuto a disapplicare le norme interne in contrasto con quanto stabilito dalla Carta. Tuttavia, loperazione ermeneutica non cos semplice come pu apparire da questa affermazione. La Carta, infatti, contiene precise indicazioni in ordine alla sua operativit soggettiva che comporta un serio sforzo ricostruttivo, alla luce sia dei diritti gi affermati dalla Convenzione che con i rapporti con la nostra Costituzione. Per quanto concerne il contenuto della Carta, la stessa risulta pi articolata e pi ampia rispetto alla CEDU (14). E strutturata in sette capi che riguardano (14) Per la verit la CEDU ha pi articoli (59 rispetto ai 46 della Carta di Nizza), ma di minor numero sono quelli dedicati ai diritti. Infatti la prima parte della CEDU (art. 1-18) riguarda i diritti. Il titolo II riguarda listituzione e il funzionamento della Corte Europea dei diritti delluomo: art. 19-51, mentre il titolo III dedicato a disposizioni varie relative allapplicazione della CEDU. 50 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 gli ambiti fondamentali di tutela della persona: il primo riguarda la dignit umana, dal diritto alla vita alla proibizione della schiavit e della tortura; il secondo la tutela della libert umana, sia per quanto concerne la vita privata e familiare che la libert di espressione, di impresa e propriet; il terzo pilastro riguarda la previsione del principio di uguaglianza, che si articola nel divieto di discriminazione, nella previsione dei diritti dei bambini, degli anziani e dei disabili; il capo quarto concerne la solidariet con quanto riguarda il diritto a condizioni di lavoro eque e giuste, alla protezione della famiglia sul piano giuridico, economico e sociale, alla sicurezza e assistenza sociale, alla protezione della salute e dellambiente. Il capo quinto, relativo alla cittadinanza, tutela il diritto ad una buona amministrazione, il diritto daccesso ai documenti amministrativi, il diritto di voto. Il capo sesto, relativo alla giustizia, contiene importanti riconoscimenti dal diritto ad un ricorso effettivo e a un giudice imparziale, alla presunzione di innocenza, al principio di legalit e proporzionalit nelle pene. Infine, lultimo capo, che contiene disposizioni generali, regola lambito di applicazione della Carta. Su questo capo necessario soffermarsi, per comprendere il meccanismo di operativit della Carta. a) Lambito di applicazione della Carta A mente dellart. 51, le disposizioni della Carta si applicano alle istituzioni e agli organi dellUnione nel rispetto del principio di sussidiariet come pure agli Stati membri esclusivamente nellattuazione del diritto dellUnione. Pertanto, i suddetti soggetti rispettano i diritti, osservano i principi e ne promuovono lapplicazione secondo le rispettive competenze. La presente Carta non introduce competenze nuove o compiti nuovi per la Comunit e per lUnione, n modifica le competenze e i compiti definiti dai trattati. La disposizione delimita con precisione i confini di applicazione della Carta: essi riguardano lUnione e gli Stati membri esclusivamente nellattuazione del diritto dellUnione e nel rispetto del principio di sussidiariet. La Carta non comporta lattribuzione di competenze nuove per lUnione, principio ribadito pi volte, anche dallart. 6 del Trattato di Lisbona, dal protocollo n. 8 relativo alladesione della UE alla Carta, dal preambolo della stessa e dalle spiegazioni alla Carta stilate sotto la responsabilit del Praesidium (sub art. 51). Circostanze che rendono difficoltoso allinterprete comprendere come riuscire in concreto a delimitare lapplicazione di un diritto entro determinate competenze; difficolt che ha portato parte della dottrina a ritenere sostanzialmente inoperanti le norme sopra riportate relative alla competenza (15), dottrina per contrastata da chi valorizza limportanza del dato positivo, pi volte CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 51 ribadito dalle norme in esame, nonch dalleffettiva ampiezza delle competenze attribuite allUnione dai trattati, s da coprire quasi per intero lambito della vita collettiva nazionale (16). Si ritiene preferibile un interpretazione che rispetti il dettato normativo, anche per evitare arbitrari sconfinamenti in ambiti non previsti dalla volont comunitaria (17). Al fine di una ricostruzione del sistema di funzionamento dei diritti previsti dalla Carta di Nizza, decisivo appare il comma 5 dello stesso articolo 51: Le disposizioni della presente Carta che contengono dei principi possono essere attuate da atti legislativi e esecutivi adottati da istituzioni, organi e organismi dell'Unione e da atti di Stati membri allorch essi danno attuazione al diritto dell'Unione, nell'esercizio delle loro rispettive competenze. Esse possono essere invocate dinanzi a un giudice solo ai fini dell'interpretazione e del controllo di legalit di detti atti . Dal combinato disposto delle due norme emerge che la Carta contiene due tipologie di norme: a) i principi, che per loro caratteristica, devono necessariamente essere attuati mediante linterpositio legislatoris; In questa categoria possono essere ricondotti una vasta gamma di diritti, quali quello di lavorare, o i diritti degli anziani di condurre una vita dignitosa e indipendente o ancora i diritti dei disabili e dei bambini. b) i diritti suscettibili di immediata applicazione, come ad es. il divieto di pratiche eugenetiche, della tortura, del lavoro forzato e della schiavit, la libert di religione, riunione e associazione, la libert di espressione, il divieto del lavoro minorile ecc. In tali casi il giudice nazionale, previo discernimento circa limmediata applicabilit del diritto, ed eventuale rinvio alla Corte di Giustizia circa la corretta interpretazione, potr procedere alla disapplicazione di norme nazionali in contrasto con gli stessi. (15) D atto di tali orientamenti GIOVANNA PISTORIO, nel commento allart. 51 in La Carta dei diritti dellUnione europea. Casi e materiali Ed. Chimienti 2009, lautrice conclude affermando che se si consolider la tendenza della giurisprudenza comunitaria ad estendere i confini del campo di applicazione dei diritti fondamentali comunitari, ampliando ulteriormente i limiti dellincorporation, sar davvero impossibile riconoscere che le disposizioni dellart. 51 della Carta abbiano ancora un valore. (16) G. GUARINO Ratificare Lisbona? Firenze 2008, pag. 21. (17) Evidenzia V. ZAGREBELSKI in op.cit. La Carta e la Convenzione dunque si incontrano sovrapponendosi in parte. La Carta riguarda le istituzioni e gli organi dellUnione, nonch gli Stati membri quando questi danno attuazione al diritto dellUnione (art. 51 1). Ci significa che quando danno attuazione al diritto comunitario gli Stati membri sono vincolati sia dalla Carta che dalla Convenzione, il che impone la ricerca della maggior possibile coerenza dei due ordini normativi (compreso il profilo riguardante i rispettivi sistemi di tutela giurisdizionale, al fine di evitare contraddizioni ed incoerenze che metterebbero in crisi, in una materia delicatissima, la certezza del diritto e la credibilit del sistema . 52 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 b) Lattuazione dei principi contenuti nella Carta Come sopra evidenziato, lattuazione dei principi previsti dalla Carta implica linterpositio legislatoris al fine della loro concreta attuazione. Assai delicata lindividuazione dei confini di operativit del legislatore nazionale e di quello comunitario, considerato che, come evidenziato pi volte, la Carta non sposta le competenze stabilite dai Trattati n attribuisce nuove competenze alla UE. La Carta stessa si preoccupa di fornire alcuni precisi parametri, che servono a delimitare lazione degli organi legislativi comunitari e nazionali, in ragione delle varie materie trattate. La riserva di legge nazionale Alcuni principi contenuti nella Carta rinviano in modo esplicito per la loro attuazione alla legislazione dei singoli Stati. La ragione di questo deve individuarsi nella peculiarit delle materie oggetto del rinvio e dalla consapevolezza della diversit delle culture che determinano lassetto di tutela di alcuni diritti. Come esplicitato nel preambolo della Carta, essa riafferma, nel rispetto delle competenze e dei compiti dell'Unione e del principio di sussidiariet, i diritti derivanti in particolare dalle tradizioni costituzionali. La Carta consapevole di non andare ad incidere su un territorio privo di cultura del rispetto dei diritti, ma al contrario di far propri e recepire quei diritti elaborati da una bi-millenaria cultura umanistica. In particolare, la tradizione costituzionale italiana particolarmente ricca in tema di riconoscimento dei diritti della persona, sia nella sua dimensione individuale, che familiare e sociale. In questo contesto, la Carta correttamente si preoccupa di rispettare la diversit delle culture e delle tradizioni dei popoli d'Europa, nonch dell'identit nazionale degli Stati membri(preambolo), motivo per il quale lattuazione di alcuni diritti, strettamente connessi a impostazioni di carattere etico, vengono lasciate allattuazione esclusiva dei singoli Stati membri. Questo il caso previsto dallart. 9 relativo al matrimonio Il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l'esercizio. E cos per quanto concerne la libert di creare istituti di insegnamento (art. 14) e il diritto allobiezione di coscienza (art. 10). La cogenza del principio di riserva di legge nazionale, stata recentemente ricordata dalla nota sentenza della Corte Costituzionale n. 138 del 2010 (ripresa recentemente dalla ord. Corte cost., Ord., 5 gennaio 2011, n. 4) che - ritenendo non ammissibile nellordinamento italiano il matrimonio tra persone dello stesso sesso - ha affermato: Non occorre, ai fini del presente giudizio, affrontare i problemi che l'entrata in vigore del Trattato pone nell'ambito dell'ordinamento dell'Unione e degli ordinamenti nazionali, CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 53 specialmente con riguardo all'art. 51 della Carta, che ne disciplina l'ambito di applicazione. Ai fini della presente pronuncia si deve rilevare che l'art. 9 della Carta (come, del resto, l'art. 12 della CEDU), nell'affermare il diritto di sposarsi rinvia alle leggi nazionali che ne disciplinano l'esercizio. Si deve aggiungere che le spiegazioni relative alla Carta dei diritti fondamentali, elaborate sotto l'autorit del praesidium della Convenzione che l'aveva redatta (e che, pur non avendo status di legge, rappresentano un indubbio strumento di interpretazione), con riferimento al detto art. 9 chiariscono (tra l'altro) che L'articolo non vieta n impone la concessione dello status matrimoniale a unioni tra persone dello stesso sesso. Pertanto, a parte il riferimento esplicito agli uomini ed alle donne, comunque decisivo il rilievo che anche la citata normativa non impone la piena equiparazione alle unioni omosessuali delle regole previste per le unioni matrimoniali tra uomo e donna. Ancora una volta, con il rinvio alle leggi nazionali, si ha la conferma che la materia affidata alla discrezionalit del Parlamento. Il principio di sussidiariet Stati membri e UE, a mente dellart. 51 primo comma, devono promuovere lapplicazione dei principi, nellambito delle rispettive competenze, secondo il principio di sussidiariet (18). Tale principio costituisce il criterio fondamentale di delimitazione dellagire della UE in relazione a quello degli Stati membri, secondo quanto stabilito dallart. 3 bis del Trattato di Lisbona (che sostituisce lart. 5 del TCE) quale principio che garantisce che le decisioni siano prese il pi possibile vicino ai cittadini dellUnione (premessa del protocollo): Articolo 3bis 1. La delimitazione delle competenze dell'Unione si fonda sul principio di attribuzione. L'esercizio delle competenze dell'Unione si fonda sui principi di sussidiariet e proporzionalit. 2. In virt del principio di attribuzione, l'Unione agisce esclusivamente nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri nei trattati per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti. Qualsiasi competenza non attribuita all'Unione nei trattati appartiene agli Stati membri. 3. In virt del principio di sussidiariet, nei settori che non sono di sua competenza esclu- (18) Come noto, il principio di sussidiariet stato recepito nellart. 118 della Costituzione italiana e diversificato nella c.d. sussidiariet verticale e in quella orizzontale (quarto comma), avendo riguardo, la prima, ai rapporti tra istituzioni e la seconda a quella Stato-cittadini. Il principio di sussidiariet verticale ispirato al criterio dellazione amministrativa pi vicina ai cittadini, cos che lart. 118 della Cost. proclama che le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni, salvo che, per assicurarne lesercizio unitario siano conferite a province, citt metropolitane, regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiariet, differenziazione ed adeguatezza. Il principio di sussidiariet opera quindi, nellordinamento italiano, nellambito amministrativo, mentre le competenze legislative sono specificamente individuate dallart. 117 della Costituzione con un criterio di rigida delimitazione delle materie attribuite a Regioni e Stato. P. M. ZERMAN Lo Stato sussidiario Rassegna avvocatura dello stato - 2006 / 3; V. anche: M. BARUCCO: Il ruolo del principio di sussidiariet nellordinamento europeo in www.jus.unitn.it. 54 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 siva l'Unione interviene soltanto se e in quanto gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri, n a livello centrale n a livello regionale e locale, ma possono, a motivo della portata o degli effetti dell'azione in questione, essere conseguiti meglio a livello di Unione. Le istituzioni dell'Unione applicano il principio di sussidiariet conformemente al protocollo sull'applicazione dei principi di sussidiariet e di proporzionalit. I parlamenti nazionali vigilano sul rispetto del principio di sussidiariet secondo la procedura prevista in detto protocollo. Il principio di sussidiariet pertanto trova applicazione allorch : a) sia attribuita la competenza alla UE; b) tale competenza sia concorrente con quella degli Stati membri; c) e pertanto, al di fuori dei casi di competenza esclusiva della UE o di quella dei singoli Stati. Come ben si pu leggere dal comma 3 dellart. 3 bis il criterio di valutazione dei presupposti per lazione sussidiaria della UE piuttosto elastico (se non addirittura vago), laddove fa riferimento a criteri, quali quello della sufficienza e del migliore conseguimento degli obbiettivi, che lascia ampi margini di valutazione discrezionale. In realt, come a tutti noto, lazione della UE sta diventando sempre pi espansiva (da alcuni si parla anche di aggressivit), sicch il principio di sussidiariet non di rado si tramuta in uno scrupolo facilmente superato con il richiamo ad una formula tralaticia nel preambolo dellatto comunitario adottato. Il controllo sul rispetto del principio di sussidiariet affidato, in base al protocollo sullapplicazione del principio, ai Parlamenti nazionali (art. 4) a cui vengono trasmessi gli atti legislativi, nonch, in base allart. 8, alla Corte di Giustizia, la quale ҏ competente a pronunciarsi sui ricorsi per violazione, mediante un atto legislativo, del principio di sussidiariet secondo le modalit previste dallart. 230 del TFUE promossi da uno Stato membro. Diversi sono i principi, nella Carta, dove si fa riferimento ad una competenza concorrente sia della UE che ai singoli Stati, quali ad es. la libert di impresa (art. 16) che riconosciuta conformemente al diritto comunitario e alle legislazioni e prassi nazionali; cos come il diritto dei lavoratori allinformazione (art. 27) e il diritto di negoziazione e di azioni collettive (art. 27) e la tutela in caso di licenziamento ingiustificato(art. 30). Quale sorte per le materie escluse? Al di l dei principi di attuazione dei singoli Stati o di competenza concorrente, si pongono quei principi che non sono riconducibili a materie attribuite alla UE n riservati dalla Carta alla esclusiva legislazione nazionale. Ampio e vivace il dibattito circa la sorte di tali principi (si pensi, tra gli altri, alla protezione della famiglia sul piano giuridico, economico e sociale (art. 33 comma 1); o ai diritti dei bambini alla protezione e alle cure neces- CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 55 sarie per il loro benessere). Se i destinatari della Carta sono innanzitutto le istituzioni e gli organi e organismi dellUnione e gli Stati membri esclusivamente nellattuazione del diritto dellUnione dovr la UE promuovere lattuazione di tali principi nellambito delle sue comunque ampie competenze, sia con provvidenze economiche che sostengano progetti di promozione di tali diritti, che in ambito politico mediante ladozione di atti di natura politica che diano, promuovano culturalmente la tutela di tali principi e lazione dei singoli Stati membri in tal senso. Questi ultimi, dal canto loro, dovranno promuovere lattuazione di tali principi con la duplice responsabilit derivante dai vincoli comunitari e da quelli delle singole Costituzioni, che, come detto, gi impegnano non poco il legislatore nazionale sulla via di tutela dei diritti della persona, spesso ancora in gran parte da percorrere (si pensi ad esempio quanto le norme di sostegno alla famiglia ai sensi degli art. 29 e seg. della Costituzione siano rimaste inattuate). 5. Il sistema integrato di tutela dei diritti fondamentali Da quanto sopra esposto, si rende palese la complessit del sistema di tutela dei diritti fondamentali derivante dalle fonti comunitarie e dal necessario coordinamento con quelle nazionali. Lo stato di oggettiva incertezza derivante dalla moltiplicazione delle fonti e degli organismi di garanzia (la Corte di Strasbugo, la Corte di Giustizia, la Corte Costituzionale), pone il giudice nazionale, chiamato a tutelare un diritto, di fronte alla faticosa individuazione della strada pi corretta, se quella della CEDU, con i vincoli posti dalla Corte Costituzionale in ordine alle modalit di risoluzione delle antinomie, o quello della diretta disapplicazione in applicazione della Carta di Nizza, con il conseguente sforzo ermeneutico circa la riconduzione del diritto contestato allambito di operativit della Carta. Stato di incertezza peraltro incrementato dal continuo evolversi della normazione europea s che gli interpreti si trovano ad operare in uno spazio liquido anche in ragione delle ricordate tendenze espansive delle Corti europee accompagnate dalla ricerca di una sempre maggiore efficacia generale delle pronunce. Questa situazione per non pu non far rilevare lindubbia spinta positiva impressa dallEuropa per il superamento di ingiustizie endemiche del nostro Paese, in primis leccessiva durata dei processi (19) e la scarsa effettivit della (19) Come noto per rispondere alle continue condanne di violazione dei diritti umani, lo Stato italiano con la legge 21 marzo 2001 n. 89 (legge Pinto), ha fornito un rimedio interno che prevede il rilascio di un indennizzo per leccessiva durata del processo. Esso ancorato all'accertamento della violazione dell'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libert fondamentali, cio di un evento "ex se" lesivo del diritto della persona alla definizione del suo 56 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 tutela giurisdizionale (20), o ancora nellambito della tutela del diritto di propriet, anche in relazione alla nota vicenda relativa alloccupazione acquisitiva da parte della p.a. (poi legittimata, dalla previsione dell occupazione sanante di cui all art. 43 D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327 e dichiarata illegittima da Corte Costituzionale sent. 293/2010 per eccesso di delega). In tale incerta situazione, ben vengano i paletti posti dalla Corte costituzionale, che rilevando la impossibilit del sindacato diffuso per contrasto alla CEDU, cos come la delimitazione della competenza della Carta di Nizza, sta limitando il rischio di espandersi di interpretazioni soggettive se non anche arbitrarie e contraddittorie del contenuto dei diritti umani a seconda della sensibilit del singolo giudice (21). Ecco che proprio su questo punto dovr invece svilupparsi quellauspicato dialogo tra Corti gi inaugurato dalla Corte Costituzionale con la nota ordinanza n. 103 del 15 aprile 2008 (22) con la quale rinviava alla Corte di Giuprocedimento in una durata ragionevole. Cass. sez. I 8712 del 2006. Ma la CEDU ritiene eccessiva anche la durata dei processi risarcitori ex lege Pinto Lo Stato deve garantire l effettiva soddisfazione delle pretese risarcitorie ex lege Pinto entro sei mesi dallesecutivit delle sentenze che riconoscono tali pretese sul piano interno. Lo Stato non pu richiedere ai propri cittadini di ricorrere avverso le inefficienze della L. Pinto attraverso la legge Pinto stessa. Si raccomanda allo Stato italiano di intervenire per arginare quanto prima tale situazione, emendando ove necessario la legge Pinto ed istituendo un fondo ad hoc per il risarcimento dei danni da eccessiva durate del processo (Sent. 21 dicembre 2010 ricorso n. 45867/07). (20) Lemanazione del codice del processo amministrativo del 2010, ... recepisce organicamente e consapevolmente il diritto processuale europeo (della Unione Europea e della C.E.D.U.), ossia la c.d. rete europea di garanzie, in linea generale, attraverso lesplicito richiamo contenuto nellart. 1 (rubricato: Effettivit) alla tutela piena ed effettiva secondo i principi del diritto europeo ed, in particolare, ribadendo e perfezionando (anche per gli appalti sotto soglia) lattuazione della Direttiva 2007/66/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio dell11 Dicembre 2007 ... Il Codice del processo amministrativo - la gestione del processo: nuovi termini e adempimenti, E. DARPE, 2010 in www.giustizia-amministrativa. it. (21) Come correttamente osservato da: ELISABETTA LAMARQUE in Corriere giur. 2010, 7, 955: Gli effetti delle sentenze della Corte di Strasburgo secondo la Corte Costituzionale italiana, i giudici nazionali hanno dato applicazione alla Carta senza troppo sottilizzare sul fatto che prima del 2009 la stessa non avesse ancora efficacia diretta, n che la stessa si applica agli Stati membri esclusivamente nellattuazione del diritto dellunione, e che quindi al di fuori da questo ambito non dotata di effetti diretti. (22) Si legge tra laltro nella motivazione dellordinanza: che, al riguardo, va premesso che, ratificando i Trattati comunitari, l'Italia entrata a far parte dell'ordinamento comunitario, e cio di un ordinamento giuridico autonomo, integrato e coordinato con quello interno, ed ha contestualmente trasferito, in base all'art. 11 Cost., l'esercizio di poteri anche normativi (statali, regionali o delle Province autonome) nei settori definiti dai Trattati medesimi; che le norme dell'ordinamento comunitario vincolano in vario modo il legislatore interno, con il solo limite dell'intangibilit dei princpi fondamentali dell'ordinamento costituzionale e dei diritti inviolabili dell'uomo garantiti dalla Costituzione (ex multis, sentenze nn. 349, 348 e 284 del 2007; n. 170 del 1984); che, nei giudizi davanti ai giudici itaani, tale vincolo opera con diverse modalit, a seconda che il giudizio penda davanti al giudice comune ovvero davanti alla Corte costituzionale a sguito di ricorso proposto in via principale; che, nel caso di giudizio pendente davanti al giudice comune, a quest'ultimo precluso di applicare le leggi nazionali (comprese le leggi regionali), ove le ritenga non compatibili con norme comunitarie CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 57 stizia per la corretta interpretazione della normativa comunitaria. Sicuramente un passo importante per districarsi nellampio panorama normativo, anche in vista della adesione della UE alla CEDU. aventi efficacia diretta; che detto giudice, al fine dell'interpretazione delle pertinenti norme comunitarie, necessaria per l'accertamento della conformit della norme interne con l'ordinamento comunitario, si avvale, all'occorrenza, del rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia CE di cui all'art. 234 del Trattato CE; che nel caso, come quello di specie, in cui il giudizio pende davanti alla Corte costituzionale a sguito di ricorso proposto in via principale dallo Stato e ha ad oggetto la legittimit costituzionale di una norma regionale per incompatibilit con le norme comunitarie, queste ultime fungono da norme interposte atte ad integrare il parametro per la valutazione di conformit della normativa regionale all'art. 117, primo comma, Cost. (sentenze n. 129 del 2006; n. 406 del 2005; n. 166 e n. 7 del 2004) o, pi precisamente, rendono concretamente operativo il parametro costituito dall'art. 117, primo comma, Cost. (come chiarito, in generale, dalla sentenza n. 348 del 2007), con conseguente declaratoria di illegittimit costituzionale della norma regionale giudicata incompatibile con tali norme comunitarie; che, in relazione alle leggi regionali, questi due diversi modi di operare delle norme comunitarie corrispondono alle diverse caratteristiche dei giudizi: davanti al giudice comune deve applicarsi la legge la cui conformit all'ordinamento comunitario deve essere da lui preliminarmente valutata; davanti alla Corte costituzionale adta in via principale, invece, la valutazione di detta conformit si risolve, per il tramite dell'art. 117, primo comma, Cost., in un giudizio di legittimit costituzionale, con la conseguenza che, in caso di riscontrata difformit, la Corte non procede alla disapplicazione della legge, ma ne dichiara l'illegittimit costituzionale con efficacia erga omnes; che, pertanto, l'assunzione della normativa comunitaria quale elemento integrante il parametro di costituzionalit costituisce la precondizione necessaria per instaurare, in via di azione, il giudizio di legittimit costituzionale della legge regionale che si assume essere in contrasto con l'ordinamento comunitario; che, dunque, la censura in esame ammissibile, perch le norme comunitarie sono state evocate nel presente giudizio di legittimit costituzionale quale elemento integrante il parametro di costituzionalit costituito dall'art. 117, primo comma, Cost.; che, quanto ai limiti entro cui il diritto comunitario pu essere preso in considerazione come elemento integrativo del parametro costituzionale evocato nel presente giudizio, va osservato che, in forza del combinato disposto degli artt. 23, 27 e 34 della legge 11 marzo 1953, n. 87 - secondo cui, nei giudizi in via principale, la Corte costituzionale dichiara quali sono le disposizioni legislative illegittime, nei limiti dei parametri costituzionali e dei motivi di censura indicati nel ricorso -, questa Corte pu esaminare esclusivamente le violazioni denunciate dal ricorrente, riguardanti gli artt. 49, 81, coordinato con gli art. 3, lett. g) e 10, e 87 del Trattato CE .... 58 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 Caso Hirsi ed altri contro Italia Lintervento orale del Governo italiano Cour Europenne des Droits de lHomme Grande Chambre Audience 22 juin 2011 Requte n. 27765/09 Hirsi et autres contre lItalie Plaidoirie du Gouvernement Italien 1. Dans les affaires dans lesquelles lItalie est implique, elle a agi dans le respect des principes guides dicts par lUnion europenne en matire dimmigration et dasile. Le Pacte europen sur limmigration et lasile, dans le texte n. 13440/08 du 24 septembre 2008, labor par le Conseil de lUnion europenne, prvoit entre autres: - Une limitation des flux migratoires car lUnion europenne na toutefois pas les moyens daccueillir dignement tous les migrants et do la ncessit dune rglementation; - La ncessit de lutter contre limmigration irrgulire, notamment en assurant le retour dans leur pays dorigine ou vers un pays de transit, des trangers en situation irrgulire ; - Le renforcement de lefficacit des contrles aux frontires ; - La cration d un partenariat global avec les pays dorigine et de transit . Plus particulirement, le Conseil de lUnion, afin de lutter efficacement contre limmigration clandestine, souligne limportance dun renforcement de la coopration des Etats membres et de la Commission avec les pays dorigine et de transit et dune politique de coopration policire et judiciaire , afin dassurer lՎloignement des trangers en situation irrgulire , et recommande aux Etats membres le contrle des frontires extrieures dans un esprit de co-responsabilit, pour le compte de lensemble des Etats membres . Pour atteindre ces buts, le Conseil a dcid dinviter les Etats membres et la Commission mobiliser tous les moyens disponibles pour assurer un contrle plus efficace des frontires extrieures terrestres, maritimes et ariennes et de donner lagence FRONTEX les moyens dexercer pleinement sa mission de coordination dans la matrise de la frontire extrieure de lUnion europenne . Le Conseil raffirme nouveau la ncessit d approfondir la coopration avec les pays dorigine et de transit pour le renforcement du contrle de la frontire extrieure et la lutte contre limmigration irrgulire en accroissant laide de lUnion europenne pour la formation et lՎquipement de leurs personnels chargs de la matrise des flux migratoires et de conclure au niveau communautaire ou titre bilatral des accords avec les pays dorigine et de transit en vue de dissuader ou combattre limmigration clandestine . Les mmes principes et les mmes objectifs ont t formuls par le Parlement de lUnion europenne dans sa Rsolution du 26 septembre 2007 n. 2006/2250 (cf. en particulier les paragraphes 12, 23 et 24) et dans les Lignes directrices Frontex davril 2010 (en particulier partie II, ligne directrice 2.1). Pour raliser ces lignes politiques bien nettes et dtermines, la Commission europenne a CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 59 ouvert des ngociations avec la Libye pour la stipulation dun accord de collaboration et lItalie a souscrit avec la Libye Bengasi le 30 aot 2008 le Trait damiti, partenariat et coopration, ratifi et entr en vigueur entre janvier et fvrier 2009. 2. Ce trait proclame expressment la ncessit pour chaque partie contractante de respecter les normes du droit international reconnues universellement (art. 1) et les principes de la Charte des Nations Unies et la Dclaration universelle des Droits de lHomme (art. 6). Lart. 19 du Trait soccupe de la Collaboration dans la lutte contre le terrorisme, la criminalit organise, le trafic des stupfiants, limmigration clandestine, en prvoyant, lalina 3, une troite collaboration entre les Etats signataires afin de dfinir des initiatives, aussi bien bilatrales que dans le cadre rgional, pour prvenir le phnomne de limmigration clandestine dans les Pays dorigine des flux migratoires . 3. LEtat italien a par consquent mis en oeuvre sa politique, pour combattre limmigration clandestine, en respectant le cadre et les obligations dfinis par lUnion europenne et le Trait bilatral avec la Libye. En particulier, lItalie a, dune part, ralis linvitation de lUnion stipuler des accords avec les pays frontaliers pour combattre limmigration clandestine (et la Libye est certainement un pays frontalier avec lItalie qui sՎtend dans la mer mditerrane comme frontire mridionale de lUnion et est sujette plus que nimporte quel autre pays aux flux migratoires via mer) et, dautre part, a conclu un accord de coopration bilatral avec la Libye, paralllement aux ngociations en cours entre la Libye et la Commission europenne, comme cela a dj t prcis. Dans le cadre du Trait bilatral, lEtat italien a rappel les principes gnraux du droit international et de sauvegarde des Droits de lHomme (articles 1 et 6 cits plus haut) tel que guide et engagement pour les signataires ; face ce rappel expresse et solennel, les ventuelles perplexits faisant suite la non souscription de la part de la Libye de la Convention de Genve sur les rfugis de 1951 ont disparu (perplexits, par ailleurs, non justifies face la souscription de lhomologue Convention de lUnion africaine OUA sur les rfugis en Afrique). Il faut encore souligner quՈ lՎpoque de la stipulation du Trait bilatral damiti, les bureaux du Haut Commissariat des Nations-Unies pour les rfugis et lOrganisation internationale pour les migrations taient actifs Tripoli. Les oprations, qui ont t effectues en haute mer dans les mois qui ont suivi immdiatement lentre en vigueur du Trait, doivent tre values dans le cadre, dcrit ci-dessus, des obligations internationales prises par lItalie tel quEtat membre de lUnion europenne et signataire du Trait bilatral avec la Libye. 4. Bien entendu, nous ne voulons pas invoquer lexonration de la responsabilit du seul fait davoir mis en oeuvre ces obligations internationales, mais nous voulons souligner, dune part, que les Organismes reprsentatifs de lUnion obligeait et oblige toujours daffronter le problme de la lutte contre limmigration clandestine par le biais daccords bilatraux avec les Pays frontaliers, dans lintrt de tous les Etats membres, et dautre part, que dans le Trait avec la Libye lItalie sՎtait proccupe dobliger ce pays au respect, entre autres, des principes de la Convention sur les Droits de lHomme. Ainsi, elle pouvait de faon lgitime compter 60 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 sur le respect de ces principes loccasion des oprations de lutte contre limmigration clandestine qui se faisaient en excution des obligations du Trait. Cet engagement solennel, conjointement aux autres circonstances importantes dcrites ci-dessus (prsence Tripoli des bureaux du Haut Commissariat des Nations Unies et de lOrganisation Internationale pour les migrations),justifiaient pleinement la conviction des Autorits italiennes sur la scurit que garantissait la Libye eu gard au respect des droits des migrants dbarqus sur son territoire et, par consquent justifiaient la restitution la Libye - comme lieu sr des personnes secourues en haute mer et ayant quitt ce pays, en application de lobjectif tabli dans lart.19 du Trait pour prvenir limmigration clandestine dans les pays dorigine des flux migratoires, avec laccord quՈ cet endroit ces personnes auraient t traites dans le respect de leurs droits et auraient pu demander la reconnaissance du statut de rfugi (comme cela sest en effet produit). En outre, dans le pays de dpart il aurait t plus facile dindividualiser et de capturer les affilis lassociation criminelle qui avait organis et men le voyage de ces dsesprs. Il ny avait aucune intention de priver les personnes secourues de leurs droits fondamentaux et de la possibilit de demander et dobtenir la protection internationale, mais seulement la mise en oeuvre de la politique europenne et italo-libyenne de promouvoir et valoriser la comptence du Pays dorigine ou de transit pour la mise en oeuvre des droits des migrants. Il ne sagit daucune expulsion collective de personnes mais, tout au plus, dun refus dentre sur le territoire national des personnes prives dautorisation mais ayant la possibilit de se munir dune lgitimation limmigration (grce, en particulier, la reconnaissance du statut de rfugi) dans le pays duquel ils taient partis, comme il tait possible lՎpoque et comme cela a t possible pour les requrants qui ont obtenu la reconnaissance du statut de rfugi par le bureau du Haut Commissariat des Nations Unies actif Tripoli. La situation difficile dans laquelle se trouve lItalie, en tant quEtat de frontire de lUnion europenne, et les obligations de protection des frontires et de lutte contre limmigration clandestine qui incombent ses Autorits, face aux importants flux migratoires, est prise en considration par lAssemble Parlementaire du Conseil de lEurope dans son rapport du 1er juin 2011 n. 12628 et est la base du projet de recommandation formul lՎgard de la position de lUnion. Nous pouvons lire au point 16 de la partie C du Rapport qu il est dans lintrt lgitime des Etats de garantir leur intgrit territoriale. Tout Etat a donc le droit souverain dexercer le contrle de ses frontires et de prendre les mesures juges ncessaires pour prvenir les entres illgales sur son territoire. 5. Aprs la premire priode de mise en oeuvre du Trait bilatral, les Autorits italiennes ont pris acte que lEtat libyen avait ordonn la fermeture du bureau du Haut Commissariat des Nations Unies Tripoli et de cette faon avait rendu difficile la protection des droits fondamentaux des migrants sur son territoire (voir ce propos le point 46 du rapport de lAssemble Parlementaire cit plus haut). Par consquent, les modalits de secours des migrants en haute mer ont t modifies et les personnes bord des embarcations provenant de la Libye ont t accompagnes sur le territoire italien dans le cas o elles ont t secourues ou ont t, de toute faon, autorises accoster sur les ctes de lՔle de Lampedusa. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 61 Tous les journaux rapportent presque quotidiennement des nouvelles concernant cette situation et nous pouvons dsormais considrer que lactivit des forces de lordre italien pour venir en aide aux migrants est reconnue. Aucune pratique administrative de repoussement en haute mer des migrants ne sest jamais avre, et de toute faon, actuellement et depuis longtemps aucun empchement de rejoindre le territoire italien nest oppos aux migrants provenant de la Libye et des autres Pays africains (en particulier, de la Tunisie, do est n le fameux flux migratoire). Pour ces raisons nous pouvons tranquillement affirmer que les personnes qui le statut de rfugi politique a t reconnu par le Haut Commissariat des Nations Unies (y compris les requrants) peuvent entrer sur le territoire italien et exeraient les droits qui leur sont reconnus par la Convention europenne sur les Droits de lHomme et par les lois nationales, y compris le droit daccs une autorit juridictionnelle. Giuseppe Albenzio Avocat de lEtat Udienza 22 giugno 2011 dinanzi alla Grande Chambre della Corte Europea dei Diritti dellUomo nellaffaire Hirsi e altri C. ITALIE Bozza di intervento orale 1. Nelle vicende di cui causa lItalia ha agito nel rispetto dei principi guida dettati dallUnione Europea in materia di immigrazione e asilo. Il Patto europeo sullimmigrazione e lasilo, nel testo n. 13440/08 del 24 settembre 2008, elaborato dal Consiglio dellUnione Europea, prevede, fra laltro: - una limitazione dei flussi migratori perch lUnione europea non dispone dei mezzi per accogliere degnamente tutti i migranti e la conseguente necessit di una loro regolamentazione; - la necessit di combattere limmigrazione clandestina, in particolare assicurando il ritorno nel loro paese di origine o in un paese di transito degli stranieri in posizione irregolare; - il rafforzamento dellefficacia dei controlli alle frontiere; - la creazione di un partenariato globale con i paesi di origine e di transito. In particolare, il Consiglio dellUnione, al fine di una efficace lotta allimmigrazione clandestina, sottolinea limportanza di una cooperazione degli Stati membri e della Commissione con i paesi di origine e di transito anche per lattivit di polizia e giudiziaria, al fine di assicurare lallontanamento degli stranieri in posizione irregolare, e raccomanda agli Stati membri il controllo delle frontiere esterne in uno spirito di corresponsabilit, per conto dellinsieme degli Stati membri. 62 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 Per assicurare il raggiungimento di questi scopi, il Consiglio conviene di invitare gli Stati membri e la Commissione a mobilitare tutti i mezzi disponibili per assicurare un controllo pi efficace alle frontiere esterne terrestri, marittime e aeree e di dotare lagenzia FRONTEX dei mezzi per esercitare pienamente la sua missione di coordinamento del controllo della frontiera esterna dellUnione europea. Ancora, il Consiglio ribadisce la necessit di approfondire la cooperazione con i paesi di origine e transito per rafforzare il controllo della frontiera esterna e combattere limmigrazione clandestina aumentando laiuto dellUnione europea per la formazione e lequipaggiamento del personale incaricato del controllo dei flussi migratori e stipulando a livello comunitario o bilaterale accordi con i paesi di origine e di transito per scoraggiare o combattere limmigrazione clandestina. Gli stessi principi e gli stessi obiettivi erano stati formulati dal Parlamento dellUnione europea nella Risoluzione 26 settembre 2007 n. 2006/2250 (si vedano, in particolare, i paragrafi 12, 23, 24) e nella Direttiva 2008/115/CE del 16 dicembre 2008 (art. 2, comma 2, lett. A). In attuazione di queste linee politiche ben nette e determinate, la Commissione europea ha aperto trattative con la Libia per la stipulazione di un accordo di collaborazione e lItalia ha sottoscritto con la Libia a Bengasi il 30 agosto 2008 il Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione, ratificato ed entrato in vigore fra gennaio e febbraio 2009. 2. Questo Trattato proclama espressamente la necessit per entrambe le parti contraenti di rispettare le norme del diritto internazionale universalmente riconosciute (art. 1) e i principi della Carta delle Nazioni Unite e della Dichiarazione universale dei diritti delluomo (art. 6). Lart. 19 del Trattato si occupa della Collaborazione nella lotta al terrorismo, alla criminalit organizzata, al traffico di stupefacenti, allimmigrazione clandestina, prevedendo, al comma 3, una stretta collaborazione fra gli Stati firmatari al fine di definire iniziative, sia bilaterali sia in ambito regionale, per prevenire il fenomeno dellimmigrazione clandestina nei Paesi di origine dei flussi migratori. 3. Lo Stato italiano ha, quindi, attuato la sua politica di contrasto alla immigrazione clandestina nellambito e secondo gli obblighi definiti dallUnione europea e dal Trattato bilaterale con la Libia. In particolare, da un lato, lItalia ha attuato linvito dellUnione a stipulare accordi con i paesi di frontiera per il contrasto dellimmigrazione clandestina (e la Libia certamente Stato di frontiera per un Paese, quale lItalia, proteso nel mare Mediterraneo come confine meridionale dellUnione e soggetto pi di ogni altro Stato membro ai flussi migratori via mare) e, dallaltro, ha raggiunto un accordo di cooperazione bilaterale con la Libia, contestualmente alle trattative aperte, come gi detto, anche dalla Commissione europea. Nellambito del Trattato bilaterale, lo Stato italiano si preoccupato di richiamare i principi generali del diritto internazionale e della salvaguardia dei diritti delluomo (articoli 1 e 6 sopra citati) quale guida ed impegno per entrambi i firmatari; a fronte di tale espresso e solenne richiamo vengono meno le eventuali perplessit conseguenti alla mancata sottoscrizione da parte della Libia della Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951 (peraltro non giustificate a fronte della sottoscrizione dellomologa Convenzione dellUnione africana - OUA - sui rifugiati in Africa). Occorre, ancora, sottolineare che allepoca della stipulazione del Trattato bilaterale di amicizia erano operanti in Tripoli uffici dellAlto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e dellOrganizzazione internazionale per le migrazioni. Le operazioni effettuate in alto mare nei mesi immediatamente successivi alla entrata in vigore del Trattato vanno inquadrate e valutate nel descritto quadro di impegni internazionali assunti dallItalia quale Stato membro dellUnione europea e firmatario del Trattato bilaterale con la Libia. 4. Non vogliamo, certo, invocare lesonero da responsabilit per il solo fatto di aver dato attuazione a quegli impegni internazionali ma vogliamo sottolineare che da un lato gli Organismi rappresentativi dellUnione imponevano e impongono di affrontare il problema della lotta allimmigrazione clandestina anche mediante accordi bilaterali con i Paesi frontalieri, nellinteresse di tutti gli Stati membri, e che dallaltro lato nel Trattato con la Libia lItalia si era preoccupata di vincolare quel Paese al rispetto, fra laltro, dei principi della Convenzione sui diritti delluomo, cos che poteva legittimamente fare affidamento sul rispetto di questi principi in occasione delle operazioni di lotta alla immigrazione clandestina che venivano poste in essere in esecuzione degli obblighi del Trattato. Questo solenne impegno, unitamente alle altre circostanze rilevanti sopra descritte (presenza in Tripoli di uffici dellAlto Commissariato delle Nazioni Unite e dellOrganizzazione per le Migrazioni), ben giustificavano la convinzione delle Autorit italiane sulla raggiunta sicurezza della Libia riguardo al ri- CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 63 spetto dei diritti dei migranti sbarcati sul suo territorio e, quindi, giustificavano la restituzione alla Libia quale luogo sicuro delle persone soccorse in alto mare e partite da quel Paese, in attuazione dellobiettivo sancito nellart. 19 del Trattato di prevenire limmigrazione clandestina nei Paesi di origine dei flussi migratori, con lintesa che l sarebbero state trattate nel rispetto dei loro diritti ed avrebbero potuto richiedere il riconoscimento dello status di rifugiato (come in effetti avvenuto). Oltretutto, nel Paese di partenza sarebbe stato pi agevole individuare e colpire gli affiliati allassociazione criminale che aveva organizzato e condotto il viaggio disperato. Nessun intento di privare le persone soccorse dei loro diritti fondamentali e della possibilit di richiedere e ottenere la protezione internazionale, solo lattuazione della politica europea e italo-libica di promuovere e valorizzare la competenza del Paese di origine o di transito per lattuazione dei diritti dei migranti. Nessuna espulsione collettiva di persone ma, tuttal pi, un rifiuto di ingresso nel territorio nazionale a persone prive di titolo autorizzatorio con la possibilit di munirsi di una legittimazione allimmigrazione (mediante, in particolare, il riconoscimento dello status di rifugiato) nel Paese dal quale erano partiti, come era possibile allepoca e come stato in effetti possibile per i ricorrenti che hanno ottenuto il riconoscimento dello status di rifugiato dallUfficio dellAlto Commissario delle Nazioni Unite operante in Tripoli. La difficile situazione nella quale si trova lItalia quale Stato di confine dellUnione europea e gli obblighi di tutela delle frontiere e di lotta alla immigrazione clandestina che sulle sue Autorit incombono a fronte di flussi migratori pesantissimi, presa in considerazione dallAssemblea parlamentare del Consiglio dEuropa nel suo Rapporto del 1 giugno 2011 n. 12628 e posta a base del progetto di raccomandazione formulato riguardo alla posizione dellUnione. Possiamo leggere al punto 16 parte C del Rapporto che ҏ nellinteresse legittimo degli Stati garantire la loro integrit territoriale. Tutti gli Stati hanno dunque il diritto sovrano di esercitare il controllo delle proprie frontiere e di prendere le misure giudicate necessarie per prevenire gli ingressi illegali sul proprio territorio. 5. Dopo il primo periodo di attuazione del Trattato bilaterale, le Autorit italiane hanno preso atto che lo Stato libico aveva disposto la chiusura dellufficio dellAlto Commissario delle Nazioni Unite in Tripoli e rendeva in tal modo difficile la tutela dei diritti fondamentali dei migranti sul suo territorio (si veda a questo proposito il punto 46 del Rapporto dellAssemblea Parlamentare citato sopra). Sono state, quindi, cambiate le modalit di soccorso dei migranti in mare e le persone a bordo delle imbarcazioni provenienti dalla Libia sono state accompagnate in territorio italiano qualora soccorse o, comunque, sono state fatte attraccare negli approdi dellisola di Lampedusa. Tutti i giornali riportano quasi quotidianamente notizie in tal senso e possiamo considerare ormai di comune conoscenza lattivit che le forze dellordine italiane pongono in atto per aiutare i migranti. Nessuna prassi amministrativa di respingimenti in mare dei migranti si , quindi, mai formata e, ad ogni modo, attualmente e da tempo nessun impedimento al raggiungimento del territorio italiano opposto ai migranti provenienti dalla Libia e dagli altri Paesi africani (in particolare, dalla Tunisia, da cui si sviluppato il notevole flusso migratorio a tutti noto). Per queste ragioni possiamo tranquillamente affermare che le persone cui stato riconosciuto lo status di rifugiato politico dallAlto Commissario delle Nazioni Unite (compresi gli odierni ricorrenti) ben possono entrare nel territorio dello Stato italiano e qui esercitare i diritti loro riconosciuti dalla Convenzione europea sui diritti delluomo e dalle leggi nazionali, ivi compreso il diritto ad unistanza giurisdizionale. Giuseppe Albenzio Avvocato dello Stato 64 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 LE DECISIONI DELLA CORTE DI GIUSTIZIA UE La Corte di giustizia salva le tariffe forensi massime (Nota a Corte di giustizia dellUnione europea, Grande Sezione, sentenza 29 marzo 2011, causa C-565/08, Commissione / Italia) Wally Ferrante* Con sentenza del 29 marzo 2011, causa C-565/08, Commissione / Italia, la Corte di Giustizia dellUnione europea Grande sezione ha respinto il ricorso della Commissione volto a dimostrare lincompatibilit della legislazione italiana che impone agli avvocati di rispettare tariffe massime con gli articoli 43 e 49 del Trattato CE. In detta decisione, la Corte, pur disattendendo la tesi del Governo italiano secondo la quale nessuna norma di legge prevederebbe linderogabilit delle tariffe forensi massime (a differenza di quanto gi previsto per le tariffe minime), ha ricordato che una normativa di uno Stato membro non costituisce una restrizione alla libert di stabilimento e alla libert di prestazione dei servizi per il solo fatto che altri Stati membri applichino regole meno severe o economicamente pi vantaggiose ai prestatori di servizi simili stabiliti sul loro territorio (punto 49). Ha inoltre precisato che lesistenza di una restrizione ai sensi del Trattato CE non pu essere desunta dalla mera circostanza che gli avvocati stabiliti in Stati membri diversi dalla Repubblica italiana devono, per il calcolo dei loro onorari per prestazioni fornite in Italia, abituarsi alle norme applicabili in tale Stato membro (punto 50), dovendosi ritenere che una tale restrizione esista solo se detti avvocati sono privati della possibilit di penetrare nel mercato dello Stato membro ospitante in condizioni di concorrenza normali ed efficaci (punto 51). Pertanto, pur affermando il carattere obbligatorio e vincolante delle tariffe massime, la Corte ha ritenuto che la Commissione non abbia dimostrato che la normativa italiana in questione sia tale da pregiudicare laccesso, in condizioni di concorrenza, al mercato italiano dei servizi legali, osservando come tale normativa sia caratterizzata da una certa flessibilit che sembra permettere un corretto compenso per qualsiasi tipo di prestazione fornita dagli avvocati (punto 53). La procedura di infrazione, instaurata inizialmente anche per contestare (*) Avvocato dello Stato. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 65 la compatibilit con gli articoli 43 e 49 del Trattato CE dei minimi tariffari, proseguita solo in relazione ai massimi a seguito della abrogazione dei minimi tariffari inderogabili con il c.d. decreto Bersani (art. 2 del decreto legge 4 luglio 2006 convertito nella legge 4 agosto 2006, n. 248). In relazione alle tariffe forense minime, va ricordato che la Corte di giustizia, con la sentenza del 5 dicembre 2006, cause riunite C-94/04 e C-202/04, Cipolla e Macrino, pur ritenendo che le stesse siano compatibili con le regole della concorrenza (articoli 10, 81 e 82 CE), ha affermato che una normativa che vieti in maniera assoluta di derogare convenzionalmente agli onorari minimi determinati da una tariffa forense, quale quella italiana, costituisce una restrizione della libera prestazione dei servizi ai sensi dellart. 49 CE, spettando comunque al giudice nazionale verificare se tale normativa, alla luce delle sue concrete modalit di applicazione, sia giustificata dagli obiettivi della tutela dei consumatori e della buona amministrazione della giustizia e se le restrizioni che essa impone non appaiano sproporzionate rispetto a tali obiettivi. Esistendo tale precedente, la difesa del Governo italiano si incentrata, in via principale, sulla contestazione dellinderogabilit delle tariffe forensi massime e, solo in subordine, si soffermata sulla giustificabilit della misura, ove considerata restrittiva ai sensi degli articoli 43 e 49 CE, sulla base di imperativi motivi di interesse pubblico, quali laccesso alla giustizia da parte di tutti i cittadini, la tutela dei destinatari dei servizi e la buona amministrazione della giustizia. Infatti, prima del decreto Bersani, linderogabilit delle tariffe a pena di nullit era prevista dallordinamento italiano esclusivamente per le tariffe minime ed in particolare dallart. 24 della legge n. 794 del 1942 e dal decreto ministeriale sulle tariffe forensi n. 127 del 2004, diviso in tre Capitoli, rispettivamente per le prestazioni civili, penali e stragiudiziali e precisamente dallart. 4, comma 1 del Capitolo I, dallart. 1, comma 5 del Capitolo II e dallart. 9 del Capitolo III. E invece sempre stato possibile superare le tariffe massime, sia per volont delle parti, che rimane il primo criterio di determinazione del compenso professionale ai sensi dellart. 2233 del codice civile, sia da parte del giudice. La tariffa professionale costituisce quindi un criterio sussidiario, utilizzabile solo in mancanza di pattuizione tra le parti e finalizzata comunque ad orientare il giudice nella liquidazione del compenso. Anche lart. 61, comma 2 del R.D. n. 1578 del 1933 prevede che lonorario dellavvocato, salvo patto speciale, determinato sulla base delle tariffe e pu essere anche maggiore di quello liquidato a carico della parte condannata alle spese in relazione alla specialit della controversia o al pregio o al risultato dellopera prestata, fermo restando il potere (preventivo o successivo) del Consiglio dellordine di verificare la congruit del compenso richiesto. 66 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 La liquidazione del giudice non quindi vincolante nei rapporti clienteavvocato, potendo le parti concordemente superare limporto liquidato sulla base delle tariffe forensi. Il decreto Bersani ha altres abrogato il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti ed quindi incontestabile, anche sotto tale profilo, la possibilit di superare i massimi tariffari con il c.d. patto di quota lite in cui il compenso, parametrato in percentuale sul risultato della lite, determinato sulla base di un metodo di calcolo forfetario che prescinde del tutto dalle diverse voci della tariffa. Peraltro, il superamento del tetto massimo della tariffa era comunque gi consentito in tutte le cause di particolare importanza, complessit o difficolt per le questioni giuridiche trattate, e quindi tuttaltro che in ipotesi limitate o eccezionali. Infatti, le parti possono stabilire, senza alcun necessario parere del Consiglio dellordine, laumento fino al doppio dei massimi di tariffa per la materia civile (art. 5, comma 2 del Capitolo I) e fino al quadruplo per la materia penale (art. 1, comma 2 del Capitolo II del D.M. 8 aprile 2004 n. 127). Il previo parere del Consiglio dellordine invece richiesto, in caso di straordinaria importanza della controversia per la materia civile (art. 5, comma 3 del Capitolo I) e stragiudiziale (art. 1, comma 3 del Capitolo III), per aumentare il compenso fino al quadruplo nonch, in caso di manifesta sproporzione tra la prestazione professionale e lonorario previsto dalla tariffa, per aumentare il compenso anche oltre tale limite (art. 4, comma 2 del Capitolo I, art. 1, comma 3 del Capitolo II e art. 9 del Capitolo III). Ricorrendo tali circostanze, dunque, il massimo tariffario pu essere superato senza alcun limite. Esaminate tali argomentazioni, la Corte di giustizia non ha nemmeno affrontato la questione della giustificabilit della misura, non ritenendone provata la natura restrittiva della libert di stabilimento e di libera prestazione dei servizi. Infatti, sebbene la Corte abbia affermato il carattere vincolante delle tariffe massime, ha ritenuto che la loro applicazione non comportasse comunque una preclusione per i legali di altri Stati membri di penetrare nel mercato italiano in condizioni normali di concorrenza. Alla luce di tali principi andr quindi valutata la compatibilit con le norme dellUnione dei minimi tariffari reintrodotti nel disegno di legge di riforma della professione forense gi approvato da un ramo del Parlamento. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 67 Corte di giustizia (Grande Sezione) sentenza 29 marzo 2011 nella causa C-565/08 - Pres. A. Tizzano, Rel. U. Lhmus, Avv. gen. J. Mazk - Commissione europea / Repubblica italiana. Inadempimento di uno Stato Artt. 43 CE e 49 CE Avvocati Obbligo di rispettare tariffe massime in materia di onorari Ostacolo allaccesso al mercato Insussistenza (Omissis) 1 Con il suo ricorso, la Commissione delle Comunit europee chiede alla Corte di constatare che, prevedendo disposizioni che impongono agli avvocati lobbligo di rispettare tariffe massime, la Repubblica italiana venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi degli artt. 43 CE e 49 CE. Contesto normativo nazionale 2 La professione di avvocato disciplinata in Italia dal regio decreto legge 27 novembre 1933, n. 1578, ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore legale (GURI n. 281, del 5 dicembre 1933, pag. 5521), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36 (GURI n. 24, del 30 gennaio 1934), come successivamente modificato (in prosieguo: il regio decreto legge). In base agli artt. 52.55 del regio decreto legge, il Consiglio nazionale forense (in prosieguo: il CNF) istituito presso il Ministero della Giustizia ed costituito da avvocati eletti dai loro colleghi, in numero di uno per ciascun distretto di Corte dappello. 3 Lart. 57 del regio decreto legge prevede che i criteri per la determinazione degli onorari e delle indennit dovuti agli avvocati ed ai procuratori in materia tanto civile, penale quanto stragiudiziale sono stabiliti ogni biennio con deliberazione del CNF. Tali criteri devono essere successivamente approvati dal Ministro della Giustizia, sentito il parere del Comitato interministeriale dei prezzi e previa consultazione del Consiglio di Stato. 4 Ai sensi dellart. 58 del regio decreto legge, i criteri di cui allart. 57 del medesimo decreto sono stabiliti con riferimento al valore delle controversie e al grado dellautorit giudiziaria adita, nonch, per i giudizi penali, alla durata degli stessi. Per ogni atto o serie di atti devono essere fissati un limite massimo ed un limite minimo dellimporto degli onorari. In materia stragiudiziale occorre tenere conto dellimportanza dellaffare. 5 Lart. 60 del regio decreto legge stabilisce che la liquidazione degli onorari fatta dallautorit giudiziaria sulla base dei citati criteri, tenendo conto della gravit e del numero delle questioni trattate. Tale liquidazione deve mantenersi entro i limiti massimi e minimi previamente fissati. Tuttavia, nei casi di straordinaria importanza, tenuto conto della specialit delle controversie e qualora il valore intrinseco della prestazione lo giustifichi, il giudice pu oltrepassare il limite massimo. Viceversa egli pu, quando la causa risulta di facile trattazione, fissare onorari in misura inferiore al limite minimo. In entrambi i casi la decisione del giudice devessere motivata. 6 Ai sensi dellart. 61, n. 1, del regio decreto legge, gli onorari praticati dagli avvocati nei confronti dei propri clienti, in materia sia giudiziale che stragiudiziale, sono determinati, salvo patto speciale, in base ai criteri di cui allart. 57, tenuto conto della gravit e del numero delle questioni trattate. Conformemente al n. 2 del medesimo articolo, tali onorari possono essere maggiori di quelli liquidati a carico della parte condannata alle spese se la specialit della controversia o il valore della prestazione lo giustificano. 68 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 7 Lart. 24 della legge 13 giugno 1942, n. 794, sugli onorari di avvocato per prestazioni giudiziali in materia civile (GURI n. 172, del 23 luglio 1942), prevede che sono inderogabili gli onorari minimi stabiliti per le prestazioni degli avvocati, a pena di nullit di qualsiasi accordo derogatorio. 8 Lart. 13 della legge 9 febbraio 1982, n. 31, sulla libera prestazione di servizi da parte degli avvocati cittadini di altri Stati membri della Comunit europea (GURI n. 42, del 12 febbraio 1982, pag. 1030), che recepisce la direttiva del Consiglio 22 marzo 1977, 77/249/CEE, intesa a facilitare lesercizio effettivo della libera prestazione di servizi da parte degli avvocati (GU L 78, pag. 17), estende lobbligo di rispettare le tariffe professionali in vigore agli avvocati di altri Stati membri che svolgono in Italia attivit giudiziali e stragiudiziali. 9 I diritti e gli onorari degli avvocati sono stati successivamente disciplinati da pi decreti ministeriali di cui gli ultimi tre sono il D.M. 24 novembre 1990, n. 392, il D.M. 5 ottobre 1994, n. 585, e il D.M. 8 aprile 2004, n. 127. 10 Conformemente alla deliberazione del CNF allegata al decreto ministeriale 8 aprile 2004, n. 127 (GURI n. 115, del 18 maggio 2004; in prosieguo: la deliberazione del CNF), le tariffe applicabili agli onorari degli avvocati si suddividono in tre capitoli, vale a dire il capitolo I, relativo alle prestazioni giudiziali in materia tanto civile, amministrativa quanto fiscale, il capitolo II, concernente le prestazioni giudiziali in materia penale, e il capitolo III, riguardante le prestazioni stragiudiziali. 11 Per il capitolo I, lart. 4, n. 1, della deliberazione del CNF vieta qualsiasi deroga agli onorari e diritti stabiliti per le prestazioni degli avvocati. 12 Per quanto riguarda il capitolo II, lart. 1, nn. 1 e 2 di suddetta deliberazione dispone che, per la determinazione dellonorario di cui alla tabella, deve tenersi conto della natura, complessit e gravit della causa, delle contestazioni e delle imputazioni, del numero e dellimportanza delle questioni trattate e della loro rilevanza patrimoniale, della durata del procedimento e del processo, del valore della prestazione effettuata, del numero di avvocati che hanno collaborato e condiviso la responsabilit della difesa, dellesito ottenuto, anche avuto riguardo alle conseguenze civili, nonch delle condizioni finanziarie del cliente. Per le cause che richiedono un particolare impegno, per la complessit dei fatti o per le questioni giuridiche trattate, gli onorari possono giungere fino al quadruplo dei massimi stabiliti. 13 Per quanto concerne il capitolo III, lart. 1, n. 3, della deliberazione del CNF sancisce che, nelle pratiche di particolare importanza, complessit e difficolt, il limite massimo degli onorari pu essere aumentato fino al doppio e quello degli onorari per le pratiche di straordinaria importanza fino al quadruplo, previo parere del consiglio dellordine degli avvocati competente. Lart. 9 di tale deliberazione precisa che, nellipotesi di manifesta sproporzione, per particolari circostanze del caso, tra la prestazione e gli onorari previsti dalla tabella, su parere del consiglio dellordine degli avvocati competente, i massimi possono essere maggiorati anche oltre quanto previsto dallart. l, n. 3, della deliberazione in parola e i minimi possono essere diminuiti. 14 Il decreto legge 4 luglio 2006, n. 223 (GURI n. 153, del 4 luglio 2006), convertito nella legge 4 agosto 2006, n. 248 (GURI n. 186, dell11 agosto 2006; in prosieguo: il decreto Bersani) intervenuto sulle disposizioni in materia di onorari davvocato. Lart. 2 del CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 69 predetto decreto, intitolato Disposizioni urgenti per la tutela della concorrenza nel settore dei servizi professionali, ai suoi nn. 1 e 2, dispone quanto segue: 1. In conformit al principio comunitario di libera concorrenza ed a quello di libert di circolazione delle persone e dei servizi, nonch al fine di assicurare agli utenti uneffettiva facolt di scelta nellesercizio dei propri diritti e di comparazione delle prestazioni offerte sul mercato, dalla data di entrata in vigore del presente decreto sono abrogate le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono con riferimento alle attivit libero professionali e intellettuali: a) lobbligatoriet di tariffe fisse o minime ovvero il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti; (...) 2. Sono fatte salve le disposizioni riguardanti (...) le eventuali tariffe massime prefissate in via generale a tutela degli utenti. Il giudice provvede alla liquidazione delle spese di giudizio e dei compensi professionali, in caso di liquidazione giudiziale e di gratuito patrocinio, sulla base della tariffa professionale (...). 15 A norma dellart. 2233 del codice civile italiano, in generale, il compenso per un contratto di prestazione di servizi, se non convenuto dalle parti e non pu essere determinato secondo le tariffe o gli usi in vigore, determinato dal giudice, sentito il parere dellassociazione professionale a cui il professionista appartiene. In ogni caso, la misura del compenso deve essere adeguata allimportanza dellopera e al decoro della professione. Ogni patto concluso dagli avvocati o i praticanti abilitati con i loro clienti che stabilisca i compensi professionali nullo se non redatto in forma scritta. La fase precontenziosa 16 Con lettera di diffida del 13 luglio 2005, la Commissione ha richiamato lattenzione delle autorit italiane su una possibile incompatibilit di talune disposizioni nazionali, relative alle attivit stragiudiziali degli avvocati, con lart. 49 CE. Le autorit italiane hanno risposto con lettera del 19 settembre 2005. 17 In seguito, la Commissione ha completato due volte lanalisi effettuata nella lettera di diffida. In una prima lettera di diffida supplementare, datata 23 dicembre 2005, la Commissione ha considerato incompatibili con gli artt. 43 CE e 49 CE le disposizioni italiane che stabiliscono lobbligo di rispettare tariffe imposte per le attivit giudiziali e stragiudiziali degli avvocati. 18 La Repubblica italiana ha risposto con lettere del 9 marzo, del 10 luglio nonch del 17 ottobre 2006, informando la Commissione della nuova normativa italiana applicabile in materia di onorari degli avvocati, ossia il decreto Bersani. 19 Con una seconda lettera di diffida supplementare, datata 23 marzo 2007, la Commissione, tenendo conto di questa nuova normativa, ha integrato ulteriormente la sua posizione. La Repubblica italiana ha risposto con lettera datata 21 maggio 2007. 20 Con lettera del 3 agosto 2007, la Commissione ha poi chiesto alle autorit italiane informazioni in merito alle modalit di rimborso delle spese sostenute dagli avvocati. La Repubblica italiana ha risposto con lettera del 28 settembre 2007. 21 Non essendo rimasta soddisfatta da tale risposta, il 4 aprile 2008 la Commissione ha trasmesso un parere motivato alla Repubblica italiana, adducendo che le disposizioni nazionali che impongono lobbligo per gli avvocati di rispettare tariffe massime sono 70 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 incompatibili con gli artt. 43 CE e 49 CE. Tale obbligo risulterebbe, in particolare, dalle disposizioni di cui agli artt. 57 e 58 del regio decreto legge, dallart. 24 della legge 13 giugno 1942, n. 794, dallart. 13 della legge 9 febbraio 1982, n. 31, dalle pertinenti disposizioni dei decreti ministeriali 24 novembre 1990, n. 392, 5 ottobre 1994, n. 585, e 8 aprile 2004, n. 127, nonch dalle disposizioni del decreto Bersani (in prosieguo, complessivamente: le disposizioni controverse). Essa ha invitato tale Stato membro ad adottare, entro un termine di due mesi dal ricevimento di tale parere, le misure necessarie per adeguarvisi. La Repubblica italiana ha risposto con lettera del 9 ottobre 2008. 22 Ritenendo che la Repubblica italiana non avesse rimediato allinfrazione addebitatale, la Commissione ha deciso di proporre il presente ricorso. Sul ricorso Argomenti delle parti 23 Con il suo ricorso la Commissione addebita alla Repubblica italiana di aver previsto, in violazione degli artt. 43 CE e 49 CE, disposizioni che impongono agli avvocati lobbligo di rispettare tariffe massime per la determinazione dei propri onorari. 24 Ad avviso della Commissione, detto obbligo deriva dal decreto Bersani che, pur abrogando le tariffe fisse o minime applicabili agli onorari degli avvocati, ha esplicitamente mantenuto lobbligo di rispettare tariffe massime in nome della protezione dei consumatori. Tale interpretazione sarebbe peraltro confermata dal CNF, dal consiglio dellordine degli avvocati di Torino nonch dallAutorit Garante della Concorrenza e del Mercato nei rispettivi documenti ufficiali. 25 Il fatto che questo stesso decreto abbia abolito il divieto di stabilire contrattualmente compensi dipendenti dal conseguimento degli obiettivi perseguiti, ossia il cosiddetto patto del quota lite, non pu inficiare la conclusione che il rispetto di tali tariffe massime ancora obbligatorio in tutti i casi in cui un siffatto patto non sia stato concluso. Daltronde, durante la fase precontenziosa, le autorit italiane non avrebbero mai negato lobbligatoriet delle tariffe massime di cui trattasi. 26 Del pari, la Commissione sottolinea che le eccezioni previste per le tariffe massime applicabili agli onorari degli avvocati non escludono, ma anzi confermano, che le tariffe massime degli onorari si applicano in via generale. 27 La Commissione sostiene che le disposizioni controverse producono leffetto di disincentivare gli avvocati stabiliti in altri Stati membri a stabilirsi in Italia o a prestarvi temporaneamente i propri servizi e, di conseguenza, configurano restrizioni alla libert di stabilimento ai sensi dellart. 43 CE nonch alla libera prestazione dei servizi ai sensi dellart. 49 CE. 28 Infatti, essa considera che un tariffario massimo obbligatorio, che si applichi indipendentemente dalla qualit della prestazione, dal lavoro necessario per effettuarla e dai costi sostenuti per attuarla, possa rendere il mercato italiano delle prestazioni legali non attraente per i professionisti stabiliti in altri Stati membri. 29 A giudizio della Commissione, tali restrizioni derivano, in primo luogo, dallobbligo imposto agli avvocati di calcolare i propri onorari in base ad un tariffario estremamente complesso che genera un costo aggiuntivo, in particolare per gli avvocati stabiliti fuori dellItalia. Nel caso in cui questi avvocati avessero utilizzato fino ad allora un diverso CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 71 sistema di calcolo dei loro onorari, essi sarebbero obbligati ad abbandonarlo per adeguarsi al sistema italiano. 30 In secondo luogo, lesistenza di tariffe massime applicabili agli onorari degli avvocati impedirebbe che i servizi degli avvocati stabiliti in Stati membri diversi dalla Repubblica italiana siano correttamente remunerati dissuadendo taluni avvocati, i quali chiedono onorari pi elevati di quelli stabiliti dalle disposizioni controverse, dal prestare temporaneamente i propri servizi in Italia, ovvero dallo stabilirsi in tale Stato membro. Infatti, secondo la Commissione, il margine di guadagno massimo fissato indipendentemente dalla qualit del servizio prestato, dallesperienza dellavvocato, dalla sua specializzazione, dal tempo da lui dedicato alla causa, dalla situazione economica del cliente, e, ancor pi, dalleventualit che lavvocato sia tenuto a spostarsi per lunghi tragitti. 31 La Commissione considera, in terzo luogo, che il sistema di tariffazione italiano pregiudichi la libert contrattuale dellavvocato impedendogli di fare offerte ad hoc in determinate situazioni e/o a clienti particolari. Le disposizioni controverse potrebbero dunque comportare una perdita di competitivit per gli avvocati stabiliti in altri Stati membri perch esse privano gli stessi di efficaci tecniche di penetrazione nel mercato legale italiano. Di conseguenza, la Commissione ritiene che le disposizioni controverse costituiscano un ostacolo allaccesso al mercato italiano dei servizi legali per gli avvocati stabiliti in altri Stati membri. 32 In via principale, la Repubblica italiana contesta non lesistenza, nellordinamento giuridico italiano, di dette tariffe massime, bens il carattere vincolante delle medesime, sostenendo che esistono numerose deroghe per superare tali limiti, o per volont degli avvocati e dei loro clienti, o tramite lintervento del giudice. 33 Secondo tale Stato membro, il criterio principale che consente di fissare gli onorari degli avvocati risiede, a norma dellart. 2233 del codice civile italiano, nel contratto concluso tra lavvocato e il suo cliente, mentre il ricorso alle tariffe applicabili agli onorari degli avvocati costituisce soltanto un criterio sussidiario, utilizzabile in mancanza di compenso liberamente fissato dalle parti contrattuali nellesercizio della loro autonomia contrattuale. 34 Inoltre, gli onorari calcolati su base oraria sarebbero espressamente previsti al punto 10 del capitolo III della deliberazione del CNF come metodo alternativo di calcolo degli onorari in materia stragiudiziale. 35 Del pari, in seguito alladozione del decreto Bersani, il divieto di concludere un accordo tra cliente ed avvocato, che preveda un compenso dipendente dallesito della controversia, sarebbe stato definitivamente abolito dallordinamento giuridico italiano. 36 Per quanto riguarda le deroghe alle tariffe massime applicabili agli onorari degli avvocati, la Repubblica italiana sottolinea che, in tutte le cause di particolare importanza, complessit o difficolt per le questioni giuridiche trattate, gli avvocati e i loro clienti possono convenire, senza che sia necessario alcun parere del consiglio dellordine degli avvocati competente, che gli onorari vengano aumentati fino al doppio dei massimi di tali tariffe o anche, in materia penale, fino al quadruplo di tali massimi. 37 Il previo parere del consiglio dellordine degli avvocati competente sarebbe invece richiesto, in materia sia civile che stragiudiziale, nei casi di straordinaria importanza delle controversie, per aumentare il compenso fino al quadruplo dei massimi previsti nonch, 72 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 in caso di manifesta sproporzione tra la prestazione professionale e lonorario previsto dalle tariffe applicabili a tali onorari, per aumentare del pari gli onorari di cui trattasi anche oltre tali massimi. 38 In subordine, la Repubblica italiana sostiene che le disposizioni controverse non contengono alcuna misura restrittiva della libert di stabilimento o della libera prestazione dei servizi e che gli addebiti della Commissione non sono fondati. 39 Infatti, per quanto riguarda i costi aggiuntivi, lesistenza di una duplice normativa, ossia quella dello Stato membro dorigine e quella dello Stato membro ospitante, non potrebbe, di per s, costituire un motivo che consenta di sostenere che le disposizioni controverse sono restrittive poich le norme professionali in vigore nello Stato membro ospitante sarebbero applicabili agli avvocati provenienti da altri Stati membri in forza delle direttive del Parlamento europeo e del Consiglio 16 febbraio 1998, 77/249 e 98/5/CE, volte a facilitare lesercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui stata acquistata la qualifica (GU L 77, pag. 36), indipendentemente dalle norme applicabili nello Stato membro dorigine. 40 Per quanto attiene allasserita riduzione dei margini di guadagno, le disposizioni controverse prevederebbero in modo dettagliato il rimborso integrale di tutte le spese di missione in base a documenti giustificativi e concederebbero inoltre unindennit di trasferta per le ore di lavoro perse durante questultima. Tali spese si aggiungerebbero ai diritti, agli onorari e alle spese generali degli avvocati e sarebbero rimborsate, in applicazione del principio di non discriminazione, tanto agli avvocati stabiliti in Italia, che devono spostarsi sul territorio nazionale, quanto agli avvocati stabiliti in altri Stati membri che devono spostarsi in Italia. Giudizio della Corte 41 In via preliminare, va constatato come dallinsieme delle disposizioni controverse emerga che le tariffe massime applicabili agli onorari degli avvocati costituiscono norme giuridicamente vincolanti in quanto sono previste da un testo di legge. 42 Pur supponendo che gli avvocati e i loro clienti siano, in concreto, liberi di pattuire contrattualmente il compenso degli avvocati su base oraria o a seconda dellesito della causa, come fatto valere dalla Repubblica italiana, resta nondimeno il fatto che le tariffe massime continuano ad essere obbligatorie nellipotesi in cui non esista un patto tra gli avvocati e i clienti. 43 Peraltro, la Commissione ha giustamente considerato che lesistenza di deroghe che consentano di superare, in presenza di determinate condizioni, i limiti massimi dellimporto degli onorari portandoli al doppio o al quadruplo o addirittura oltre, conferma che le tariffe massime degli onorari si applicano in via generale. 44 Di conseguenza, non pu essere accolto largomento della Repubblica italiana secondo cui, nel suo ordinamento giuridico, non esiste alcun obbligo per gli avvocati di osservare tariffe massime per la determinazione dei loro onorari. 45 Per quanto riguarda, poi, lesistenza di restrizioni alla libert di stabilimento nonch alla libera prestazione di servizi, di cui rispettivamente agli artt. 43 CE e 49 CE, da una giurisprudenza costante emerge che siffatte restrizioni sono costituite da misure che vietano, ostacolano o scoraggiano lesercizio di tali libert (v., in tal senso, sentenze 15 CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 73 gennaio 2002, causa C.439/99, Commissione/Italia, Racc. pag. I.305, punto 22; 5 ottobre 2004, causa C.442/02, CaixaBank France, Racc. pag. I.8961, punto 11; 30 marzo 2006, causa C.451/03, Servizi Ausiliari Dottori Commercialisti, Racc. pag. I.2941, punto 31, e 4 dicembre 2008, causa C.330/07, Jobra, Racc. pag. I.9099, punto 19). 46 In particolare, la nozione di restrizione comprende le misure adottate da uno Stato membro che, per quanto indistintamente applicabili, pregiudichino laccesso al mercato per gli operatori economici di altri Stati membri (v., in particolare, sentenze CaixaBank France, cit., punto 12, e 28 aprile 2009, causa C.518/06, Commissione/Italia, Racc. pag. I.3491, punto 64). 47 Nella specie, pacifico che le disposizioni controverse si applichino indistintamente a tutti gli avvocati che forniscono servizi sul territorio italiano. 48 La Commissione ritiene, tuttavia, che tali disposizioni costituiscano una restrizione ai sensi degli articoli summenzionati, in quanto possono infliggere agli avvocati, stabiliti in Stati membri diversi dalla Repubblica italiana e che forniscono servizi in questultimo Stato, costi aggiuntivi generati dallapplicazione del sistema italiano degli onorari nonch una riduzione dei margini di guadagno e dunque una perdita di competitivit. 49 A tal riguardo, giova ricordare anzitutto che una normativa di uno Stato membro non costituisce una restrizione ai sensi del Trattato CE per il solo fatto che altri Stati membri applichino regole meno severe o economicamente pi vantaggiose ai prestatori di servizi simili stabiliti sul loro territorio (v. sentenza 28 aprile 2009, Commissione/Italia, cit., punto 63 e giurisprudenza ivi citata). 50 Lesistenza di una restrizione ai sensi del Trattato non pu dunque essere desunta dalla mera circostanza che gli avvocati stabiliti in Stati membri diversi dalla Repubblica italiana devono, per il calcolo dei loro onorari per prestazioni fornite in Italia, abituarsi alle norme applicabili in tale Stato membro. 51 Per contro, una restrizione del genere esiste, segnatamente, se detti avvocati sono privati della possibilit di penetrare nel mercato dello Stato membro ospitante in condizioni di concorrenza normali ed efficaci (v., in tal senso, sentenza CaixaBank France, cit., punti 13 e 14; 5 dicembre 2006, cause riunite C.94/04 e C.202/04, Cipolla e a., Racc. pag. I.11421, punto 59, nonch 11 marzo 2010, causa C.384/08, Attanasio Group, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 45). 52 Orbene, giocoforza constatare che la Commissione non ha dimostrato che le disposizioni controverse abbiano un tale scopo o effetto. 53 Infatti, essa non riuscita a dimostrare che la normativa in discussione concepita in modo da pregiudicare laccesso, in condizioni di concorrenza normali ed efficaci, al mercato italiano dei servizi di cui trattasi. Va rilevato, al riguardo, che la normativa italiana sugli onorari caratterizzata da una flessibilit che sembra permettere un corretto compenso per qualsiasi tipo di prestazione fornita dagli avvocati. Cos, possibile aumentare gli onorari fino al doppio delle tariffe massime altrimenti applicabili, per cause di particolare importanza, complessit o difficolt, o fino al quadruplo di dette tariffe per quelle che rivestono una straordinaria importanza, o anche oltre in caso di sproporzione manifesta, alla luce delle circostanze nel caso di specie, tra le prestazioni dellavvocato e le tariffe massime previste. In diverse situazioni, inoltre, consentito agli avvocati concludere un accordo speciale con il loro cliente al fine di fissare limporto 74 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 degli onorari. 54 Pertanto, non avendo dimostrato che le disposizioni controverse ostacolano laccesso degli avvocati provenienti dagli altri Stati membri al mercato italiano di cui trattasi, largomentazione della Commissione, diretta alla constatazione dellesistenza di una restrizione ai sensi degli artt. 43 CE e 49 CE, non pu essere accolta. 55 Ne consegue che il ricorso devessere respinto. Sulle spese 56 A norma dellart. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente condannata alle spese se ne stata fatta domanda. Poich la Repubblica italiana non ha chiesto la condanna della Commissione alle spese, si deve decidere che ciascuna parte sopporti le proprie spese. Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara e statuisce: 1) Il ricorso respinto. 2) La Commissione europea e la Repubblica italiana sopportano le proprie spese. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 75 La cancellazione delliscrizione allalbo degli avvocati in caso di esercizio concomitante della professione forense e di un impiego come dipendente pubblico a tempo parziale (Nota a Corte di giustizia, Quinta Sezione, sentenza 2 dicembre 2010 nella causa C-225/09, Jakubowska) Luca Ventrella*, Laura Zoppo** La questione pregiudiziale su cui si pronunciata la Corte di giustizia nella sentenza in esame attiene allinterpretazione delle disposizioni del diritto dellUnione europea relative allesercizio della professione forense ed alla compatibilit con esse della normativa italiana in tema di cancellazione obbligatoria dallalbo degli avvocati dei dipendenti pubblici part-time. Il relativo rinvio stato disposto dal Giudice di pace di Cortona nellambito di una controversia instaurata per ottenere il risarcimento dei danni (quantificati in 200 ) derivanti dal danneggiamento di unautomobile. In tale giudizio lattrice era infatti rappresentata da due avvocati, entrambi dipendenti pubblici a tempo parziale, i quali, nelle more del procedimento, hanno subito la cancellazione dufficio dallalbo professionale in virt della legge 25 novembre 2003, n. 339. Prima dellentrata in vigore delle suddetta legge, lart. 1, commi 56 e 56 bis della legge 23 dicembre 1996, n. 662 consentiva ai pubblici dipendenti part-time di svolgere la professione forense. La nuova normativa ha invece sancito un divieto generale, equiparando i pubblici dipendenti a tempo parziale ai titolari di qualunque altro impiego o ufficio alle dipendenze di una Pubblica Amministrazione, per i quali era gi escluso il contestuale esercizio della professione di avvocato, ai sensi dellart. 3, comma 2, del regio decreto legge 27 novembre 1933, n. 1578. Essa ha inoltre fissato un termine a favore di coloro che avevano beneficiato del regime previgente e risultavano pertanto iscritti allalbo degli avvocati, onde poter scegliere se conservare il rapporto dimpiego o alternativamente mantenere liscrizione allalbo. Infine, in caso di mancata opzione, essa attribuiva ai consigli degli ordini professionali il potere di provvedere dufficio alla cancellazione degli avvocati part-time. Il Giudice a quo ha sottoposto alla Corte di giustizia una serie di quesiti concernenti, in particolare, la compatibilit di tale normativa con le regole dellUnione europea in materia di concorrenza (1), nonch con la disciplina dettata dalla direttiva n. 98/5, volta a facilitare lesercizio permanente della (*) Avvocato dello Stato. (**) Dottore di ricerca in Diritto internazionale e dellUnione europea, gi praticante presso lAvvocatura dello Stato. (1) E segnatamente con lart. 81 del Trattato CE, oggi trasfuso, in seguito allentrata in vigore del Trattato di Lisbona il 1 dicembre 2009, nellart. 101 del Trattato sul funzionamento dellUnione europea. 76 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui stata acquistata la qualifica. Sul primo punto la Corte, richiamando alcuni propri precedenti (2), ha affermato che sussiste la violazione della disciplina europea sulla libera concorrenza tutte le volte in cui uno Stato membro revochi alla propria normativa il suo carattere pubblico delegando ad operatori privati la responsabilit di adottare decisioni di intervento in materia economica. Poich per, nel caso di specie, i consigli dellordine non hanno alcuna influenza sulladozione dufficio dei provvedimenti di cancellazione, che prescritta per legge, non vi , secondo la Corte, alcuna delega a privati dellesercizio di poteri pubblici. Quanto al secondo aspetto, i Giudici di Lussemburgo hanno innanzitutto precisato che lobiettivo principale della direttiva n. 98/5 rappresentato dallarmonizzazione completa dei requisiti preliminari per liscrizione nello Stato ospitante. Per contro, le specifiche regole professionali e deontologiche in vigore nei diversi Stati membri non sono state oggetto di alcuna armonizzazione e possono quindi divergere in maniera considerevole le une dalle altre. In particolare, lart. 8 della citata direttiva riguarda una categoria specifica di tali regole professionali e deontologiche, vale a dire quelle che determinano in quale misura gli avvocati iscritti presso uno Stato membro possono esercitare la professione come lavoratori subordinati di altri avvocati, di associazioni o societ di avvocati oppure di imprese pubbliche o private. La norma conferisce quindi a ciascuno Stato il potere di disciplinare ed eventualmente limitare lesercizio di talune categorie di impieghi pubblici o privati da parte degli avvocati iscritti presso la competente autorit nazionale. Una siffatta autonomia si giustifica, nellopinione della Corte, con lesigenza di lasciare gli Stati liberi di far ricorso agli strumenti di volta in volta ritenuti pi idonei ad evitare conflitti dinteresse, a garanzia dellindipendenza e della libert di mandato dellavvocato nellesercizio della professione. In altri termini, lart. 8, secondo linterpretazione datane dalla Corte, autorizza lo Stato membro ospitante ad imporre agli avvocati ivi iscritti e che siano impiegati (vuoi a tempo pieno vuoi a tempo parziale) presso un altro avvocato, unassociazione o societ di avvocati oppure unimpresa pubblica o privata, restrizioni allesercizio concomitante della professione forense e di detto impiego, indipendentemente dal diverso regime eventualmente vigente nello Stato dorigine, allo scopo di garantire agli avvocati una posizione di piena indipendenza nei confronti dei pubblici poteri e di tutti gli altri operatori di cui non devono subire linfluenza. (2) V. Sentenza della Corte del 19 febbraio 2002 in causa C-35/99, Procedimento penale a carico di Manuele Arduino, con lintervento di: Diego Dessi, Giovanni Bertolotto e Compagnia Assicuratrice RAS SpA, in Raccolta 2002, pag. I-1529, punto 35; sentenza della Corte del 5 dicembre 2006 in cause riunite C-94/04 e C-202/04, Federico Cipolla c. Rosaria Portolese in Fazari (C-94/04) e Stefano Macrino e Claudia Capoparte c. Roberto Meloni (C-202/04), in Raccolta 2006, pag. I-11421, punto 47. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 77 Resta per salvo il limite della proporzionalit delle regole adottate rispetto allo specifico obiettivo della prevenzione dei conflitti dinteresse, nonch quello dellapplicazione generalizzata delle regole medesime a tutti gli avvocati iscritti nello Stato, a prescindere dalla circostanza che abbiano ottenuto il titolo professionale nello Stato stesso o in un altro Stato membro, onde evitare che si producano forme di discriminazione alla rovescia. La decisione giunge quindi a conclusioni tutto sommato scontate, come si evince anche dalla circostanza che le osservazioni presentate dalla Commissione e dagli Stati membri intervenuti nel procedimento sono state in larga parte conformi ai principi poi affermati dalla Corte. La sola eccezione rappresentata dal Governo portoghese, che ha utilizzato argomenti contrastanti, puntualmente smentiti nella motivazione della sentenza in commento. In particolare, esso muoveva dal presupposto che le norme nazionali sullincompatibilit tra esercizio della professione forense e titolarit di impieghi pubblici non riguardassero la disciplina della professione forense ma piuttosto quella dellimpiego pubblico, mirando a garantire la fedelt dei pubblici dipendenti alla loro missione pubblica. Conseguentemente, il Portogallo sosteneva che le esigenze sottostanti al divieto di esercizio della professione forense per i dipendenti pubblici part-time, essendo fondate esclusivamente sullinteresse dellItalia a tutelare la propria funzione pubblica, non potessero essere opposte ad un avvocato proveniente da altro Stato membro e dipendente pubblico del proprio Stato di origine che intendesse esercitare la professione in Italia in regime di stabilimento. Come si visto, per, la Corte ha negato qualunque fondamento a simili argomentazioni basando le proprie conclusioni sullesigenza di prevenire i conflitti dinteresse nellesercizio della professione forense e di evitare ogni forma di discriminazione allindietro. Pu osservarsi, in conclusione, come nel caso in esame una vicenda di modesta portata abbia offerto alla Corte di giustizia loccasione di affrontare una questione, se non particolarmente complessa dal punto di vista giuridico, comunque piuttosto delicata, come dimostrato anche dallordinanza interlocutoria n. 24689, depositata il 6 dicembre scorso, con la quale le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno sollevato questione di legittimit costituzionale degli artt. 1 e 2 della legge n. 339/2003 in riferimento agli artt. 3, 4, 35 e 41 della Costituzione (3). Orbene, se loggetto del procedimento svolto dinanzi alla Corte di giustizia dellUnione europea non era costituito tanto dalla valutazione della di- (3) La Corte ha ritenuto non manifestamente infondata la tesi dei ricorrenti secondo cui la nuova normativa dettata dalla legge del 2003 non avrebbe tenuto nel debito conto delle situazioni gi in atto venutesi a creare in applicazione della precedente normativa sconvolgendo in tal modo preesistenti e consolidati equilibri. Le Sezioni Unite hanno invece dichiarato la manifesta infondatezza delle questioni concernenti lasserita violazione del diritto dellUnione europea. 78 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 sciplina nazionale (comՏ noto, trattandosi di un rinvio pregiudiziale) quanto dallinterpretazione delle normativa comunitaria, uneventuale pronuncia della Corte costituzionale comporterebbe invece unapprofondita disamina della disciplina stessa e della sua conformit con i principi fondamentali dellordinamento (4). La sorte del divieto di contemporaneo esercizio della professione forense per i dipendenti pubblici con rapporto di lavoro a tempo parziale resta quindi ancora incerta, nonostante la declaratoria di non incompatibilit con il diritto dellUnione europea contenuta nella sentenza in commento. Corte di giustizia (Quinta Sezione) sentenza 2 dicembre 2010 nella causa C-225/09 - Pres. E. Levits, Rel. M. Ile.i., Avv. gen. N. Jskinen - Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Giudice di pace di Cortona (Italia) - Edyta Joanna Jakubowska / Alessandro Maneggia. Norme dellUnione relative allesercizio della professione di avvocato Direttiva 98/5/CE Art. 8 Prevenzione dei conflitti dinteressi Normativa nazionale che vieta lesercizio concomitante della professione forense e di un impiego come dipendente pubblico a tempo parziale Cancellazione delliscrizione allalbo degli Avvocati (Omissis) 1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sullinterpretazione degli artt. 3, n. 1, lett. g), CE, 4 CE, 10 CE, 81 CE e 98 CE, della direttiva del Consiglio 22 marzo 1977, 77/249/CEE, intesa a facilitare lesercizio effettivo della libera prestazione di servizi da parte degli avvocati (GU L 78, pag. 17), della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 16 febbraio 1998, 98/5/CE, volta a facilitare lesercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui stata acquistata la qualifica (GU L 77, pag. 36), nonch dei principi generali della tutela del legittimo affidamento e del rispetto dei diritti quesiti. 2 Detta domanda stata presentata nellambito di una controversia tra la sig.ra Jakubowska e il sig. Maneggia in merito ad una domanda di risarcimento dei danni, controversia sfociata in un procedimento attualmente pendente dinanzi al Giudice di pace di Cortona, nelle more del quale, a carico degli avvocati che rappresentavano la sig.ra Jakubowska, stata emessa una delibera di cancellazione dallalbo degli Avvocati di Perugia. (4) Peraltro gi effettuata in passato dal Giudice delle leggi, che, con sentenza n. 390 del 2006, ha dichiarato non fondata la questione di costituzionalit sollevata dal tribunale di Cuneo. Tuttavia, come sottolinea la Cassazione, tale pronuncia non ha affrontato n il problema della legittimit della legge n. 339/2003 nella parte in cui estende i suoi effetti anche a coloro che erano gi iscritti negli albi degli avvocati ed esercitavano la professione sulla base della disciplina preesistente al momento dellentrata in vigore della nuova legge, n il problema della legittimit del divieto, sopravvenuto a carico di costoro, di continuare lesercizio dellattivit professionale gi legittimamente intrapresa. V. anche lordinanza n. 91, depositata il 27 marzo 2009, con cui la Corte costituzionale ha dichiarato la manifesta inammissibilit della questione di legittimit costituzionale degli artt. 1 e 2 della legge 25 novembre 2003, n. 339, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 4, 35 e 41 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Napoli. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 79 Contesto normativo Il diritto dellUnione La direttiva 77/249 3 Lart. 1, n. 1, primo comma, della direttiva 77/249 cos recita: La presente direttiva si applica, nei limiti e alle condizioni da essa previst[i], allattivit di avvocato esercitata a titolo di prestazione di servizi. 4 Lart. 6 della medesima direttiva prevede quanto segue: Ogni Stato membro pu escludere gli avvocati dipendenti, legati da un contratto di lavoro ad un ente pubblico o privato, dallesercizio delle attivit di rappresentanza e di difesa in giudizio di questo ente nella misura in cui gli avvocati stabiliti in detto Stato non siano autorizzati ad esercitare tali attivit. 5 Considerate le differenti versioni linguistiche di tale art. 6, e al fine di garantire che tutte queste versioni abbiano la stessa portata, i termini ente pubblico o privato che compaiono nella versione italiana di tale articolo devono essere intesi come riferiti alla nozione di impresa pubblica o privata. La direttiva 98/5 6 Lart. 3 della direttiva 98/5 cos prevede: 1. Lavvocato che intende esercitare in uno Stato membro diverso da quello nel quale ha acquisito la sua qualifica professionale deve iscriversi presso lautorit competente di detto Stato membro. 2. Lautorit competente dello Stato membro ospitante procede alliscrizione dellavvocato su presentazione del documento attestante liscrizione di questi presso la corrispondente autorit competente dello Stato membro di origine. (...) (...). 7 Lart. 6, n. 1, della stessa direttiva cos dispone: Indipendentemente dalle regole professionali e deontologiche cui soggetto nel proprio Stato membro di origine, lavvocato che esercita con il proprio titolo professionale dorigine soggetto alle stesse regole professionali e deontologiche cui sono soggetti gli avvocati che esercitano col corrispondente titolo professionale dello Stato membro ospitante per tutte le attivit che esercita sul territorio di detto Stato. 8 Lart. 7, n. 1, di detta direttiva cos prevede: Se lavvocato che esercita con il proprio titolo professionale di origine non ottempera agli obblighi vigenti nello Stato membro ospitante si applicano le regole di procedura, le sanzioni e i mezzi di ricorso previsti nello Stato membro ospitante. 9 Lart. 8 della direttiva 98/5 cos recita: Lavvocato iscritto nello Stato membro ospitante con il titolo professionale di origine pu esercitare la professione come lavoratore subordinato di un altro avvocato, di unassociazione o societ di avvocati, di un ente pubblico o privato, qualora lo Stato membro ospitante lo consenta agli avvocati iscritti con il titolo professionale che esso rilascia. 10 Considerate le differenti versioni linguistiche di tale art. 8, e al fine di garantire che tutte queste versioni abbiano la stessa portata, i termini ente pubblico o privato che compaiono nella versione italiana di tale articolo devono essere intesi come riferiti alla nozione di impresa pubblica o privata. 80 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 La normativa nazionale 11 Lart. 3, secondo comma, del regio decreto legge 27 novembre 1933, n. 1578, sullordinamento delle professioni di avvocato e di procuratore legale (Gazzetta ufficiale del Regno dItalia n. 281 del 5 dicembre 1933), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36 (Gazzetta ufficiale del Regno dItalia n. 24 del 30 gennaio 1934), cos dispone: [Lesercizio, in particolare, della professione di avvocato ] incompatibile con qualunque impiego od ufficio retribuito con stipendio sul bilancio dello Stato, delle Province, dei Comuni (...) ed in generale di qualsiasi altra Amministrazione o istituzione pubblica soggetta a tutela o vigilanza dello Stato, delle Province e dei Comuni. 12 La legge 23 dicembre 1996, n. 662, recante misure di razionalizzazione della finanza pubblica (Supplemento ordinario alla GURI n. 303 del 28 dicembre 1996), come modificata dal decreto legge 28 marzo 1997, n. 79, recante misure urgenti per il riequilibrio della finanza pubblica, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 1997, n. 140 (GURI n. 123 del 29 maggio 1997, pag. 5; in prosieguo: la legge n. 662/96), prevede, al suo art. 1, commi 56 e 56 bis, quanto segue: 56. Le disposizioni (...) di legge e di regolamento che vietano liscrizione in albi professionali non si applicano ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni con rapporto di lavoro a tempo parziale, con prestazione lavorativa non superiore al 50 per cento di quella a tempo pieno. 56 bis. Sono abrogate le disposizioni che vietano liscrizione ad albi e lesercizio di attivit professionali per i soggetti di cui al comma 56. Restano ferme le altre disposizioni in materia di requisiti per liscrizione ad albi professionali e per lesercizio delle relative attivit. Ai dipendenti pubblici iscritti ad albi professionali e che esercitino attivit professionale non possono essere conferiti incarichi professionali dalle amministrazioni pubbliche; gli stessi dipendenti non possono assumere il patrocinio in controversie nelle quali sia parte una pubblica amministrazione. 13 La legge 25 novembre 2003, n. 339, recante norme in materia di incompatibilit dellesercizio della professione di avvocato (GURI n. 279 del 1 dicembre 2003, pag. 6; in prosieguo: la legge n. 339/2003), entrata in vigore il 2 dicembre 2003, al suo art. 1 cos dispone: Le disposizioni di cui allarticolo 1, commi 56, 56 bis e 57, della legge [n. 662/96] non si applicano alliscrizione agli albi degli avvocati, per i quali restano fermi i limiti e i divieti di cui al regio decreto legge 27 novembre 1933, n. 1578, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36, e successive modificazioni. 14 Lart. 2 della stessa legge ha il seguente tenore: 1. I pubblici dipendenti che hanno ottenuto liscrizione allalbo degli avvocati successivamente alla data di entrata in vigore della legge [n. 662/96] e risultano ancora iscritti, possono optare per il mantenimento del rapporto dimpiego, dandone comunicazione al consiglio dellordine presso il quale risultano iscritti, entro trentasei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge. In mancanza di comunicazione entro il termine previsto, i consigli degli ordini degli avvocati provvedono alla cancellazione di ufficio delliscritto al proprio albo. 2. Il pubblico dipendente, nellipotesi di cui al comma 1, ha diritto ad essere reintegrato nel rapporto di lavoro a tempo pieno. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 81 3. Entro lo stesso termine di trentasei mesi di cui al comma l, il pubblico dipendente pu optare per la cessazione del rapporto di impiego e conseguentemente mantenere liscrizione allalbo degli avvocati. 4. Il dipendente pubblico part-time che ha esercitato lopzione per la professione forense ai sensi della presente legge conserva per cinque anni il diritto alla riammissione in servizio a tempo pieno entro tre mesi dalla richiesta, purch non in soprannumero, nella qualifica ricoperta al momento dellopzione presso lAmministrazione di appartenenza. In tal caso lanzianit resta sospesa per tutto il periodo di cessazione dal servizio e ricomincia a decorrere dalla data di riammissione. Causa principale e questioni pregiudiziali 15 La sig.ra Jakubowska ha convenuto il sig. Maneggia dinanzi al Giudice di pace di Cortona per il pagamento di una somma di EUR 200 a titolo di risarcimento dei danni, in ragione del fatto che questultimo aveva accidentalmente danneggiato lautomobile di sua propriet. 16 Nellambito di tale controversia, la sig.ra Jakubowska si fatta rappresentare dagli avv.ti. Mazzolai e Nardelli, iscritti allalbo degli Avvocati di Perugia. Questi ultimi, in quanto dipendenti pubblici con impiego a tempo parziale, rientravano nellambito di applicazione dellart. 1, commi 56 e 56 bis, della legge n. 662/96. 17 Dopo lentrata in vigore della legge n. 339/2003 e la scadenza del termine prescritto dallart. 2, n. 1, della stessa, il consiglio dellOrdine degli Avvocati di Perugia, in pendenza del procedimento a quo dinanzi al giudice del rinvio, ha emesso due delibere che disponevano la cancellazione di detti avvocati da tale albo. 18 La sig.ra Jakubowska ha presentato una memoria nella quale chiedeva che i suoi avvocati fossero autorizzati a continuare a rappresentarla, adducendo che la legge n. 339/2003 contraria al Trattato CE nonch ai principi generali della tutela dellaffidamento legittimo e del rispetto dei diritti quesiti. 19 In tale contesto, il Giudice di pace di Cortona ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte le questioni seguenti: 1) Se gli artt. 3, lett. g), [CE], 4 [CE], 10 [CE], 81 [CE] e 98 [CE] debbano essere interpretati in modo da ritenere che ostino ad una disciplina nazionale, quale quella risultante dagli articoli 1 e 2 della legge [n. 339/2003], che reintroducono lincompatibilit allesercizio della professione forense da parte dei dipendenti pubblici part.time e negano agli stessi, pur in possesso di unabilitazione allesercizio della professione di avvocato, lesercizio della professione disponendone la cancellazione dallalbo degli avvocati con provvedimento del competente consiglio dellordine degli avvocati, salvo che il pubblico dipendente opti per la cessazione del rapporto di impiego. 2) Se gli artt. 3, lett. g), [CE], 4 [CE], 10 [CE] e 98 [CE] debbano essere interpretati in modo da ritenere che ostino ad una disciplina nazionale, quale quella risultante dagli articoli 1 e 2 della legge [n. 339/2003] (...). 3) Se lart. 6 della direttiva [77/294] (...) debba essere interpretato in modo da ritenere che esso osti ad una disciplina nazionale quale quella risultante dagli articoli 1 e 2 della legge [n. 339/2003] (...) laddove tale disciplina nazionale sia applicabile 82 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 anche agli avvocati dipendenti che esercitano lattivit forense in via di libera prestazione dei servizi. 4) Se lart. 8 della direttiva [98/5] (...) debba essere interpretato in modo da ritenere che esso non si applichi allavvocato dipendente pubblico part time. 5) Se i principi generali di diritto [dellUnione] della tutela del legittimo affidamento e dei diritti quesiti ostino ad una disciplina nazionale quale quella risultante dagli articoli 1 e 2 della legge [n. 339/2003], che introducono lincompatibilit allesercizio della professione forense da parte dei dipendenti pubblici part-time e si applicano anche agli avvocati gi iscritti negli albi degli avvocati alla data di entrata in vigore della medesima legge (...), prevedendo allart. 2 solo un breve periodo di moratoria per lopzione imposta fra impiego ed esercizio della professione forense. 20 In risposta ai quesiti scritti che sono stati posti dalla Corte ai rappresentanti ad litem della sig.ra Jakubowska, in applicazione dellart. 54 bis del regolamento di procedura della Corte, lavv. Nardelli ha prodotto, con lettera del 31 maggio 2010, unattestazione del consiglio dellOrdine degli Avvocati dalla quale risulta che egli resta formalmente iscritto allalbo di tale Ordine fino a che a questultimo sia comunicata la data di notifica della delibera del Consiglio nazionale forense recante rigetto del ricorso dellavv. Nardelli avverso la decisione di cancellazione che lo concerne. 21 Con la stessa lettera, il sig. Nardelli ha informato la Corte che lavv. Mazzolai aveva rinunciato alla procura conferitagli nella causa principale. Inoltre, ha fatto sapere che la sig.ra Jakubowska aveva conferito una procura ad litem allavv. Frigessi di Rattalma al fine di rappresentarla alludienza dinanzi alla Corte. Sulle questioni pregiudiziali Sulla ricevibilit delle questioni pregiudiziali 22 Preliminarmente, occorre rilevare che la circostanza che le questioni pregiudiziali non presentino alcun nesso con loggetto stesso dellazione introdotta dalla sig.ra Jakubowska contro il sig. Maneggia non le rende irricevibili. Infatti, dette questioni mirano a consentire al giudice del rinvio di valutare la legittimit di una normativa nazionale la cui applicazione ha suscitato un incidente processuale nella causa principale. Dato che detto incidente fa parte di tale causa, consentito al giudice interrogare la Corte in merito allinterpretazione delle norme del diritto dellUnione che, a suo avviso, sono pertinenti al riguardo. 23 Senza rimettere in discussione la possibilit di un siffatto rinvio pregiudiziale, taluni governi che hanno presentato osservazioni alla Corte, nonch la Commissione europea, hanno nondimeno sollevato eccezioni dirrecevibilit con riferimento alle questioni sottoposte dal Giudice di pace di Cortona. 24 I governi irlandese e austriaco sottolineano che tutti gli elementi della causa principale, relativi alla possibilit che i procuratori ad litem della sig.ra Jakubowska esercitino la professione forense, sono circoscritti allinterno di un solo Stato membro. I problemi di diritto dellUnione sollevati dal giudice del rinvio sarebbero, quindi, meramente ipotetici e la domanda di pronuncia pregiudiziale dovrebbe, per questo motivo, essere dichiarata irricevibile. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 83 25 Secondo il governo ungherese, la normativa italiana menzionata dal giudice del rinvio, comunque, esorbita dallambito di applicazione delle disposizioni del diritto dellUnione relative allesercizio della professione forense, dato che detta normativa nazionale riguarda i dipendenti pubblici, mentre le direttive 77/249 e 98/5 concernono lesercizio di tale professione da parte di avvocati indipendenti o che lavorano in qualit di lavoratori subordinati di un altro avvocato, di unassociazione o di unimpresa. 26 La Commissione, per parte sua, reputa che la terza questione debba essere considerata come ipotetica e quindi irricevibile, poich tale questione concerne lesercizio della professione forense a titolo di prestazione di servizi, mentre la normativa in questione nel procedimento principale riguarda lo stabilimento in qualit davvocato. 27 La Commissione esprime anche dubbi quanto alla ricevibilit della quinta questione, alla luce del fatto che la normativa italiana con riferimento alla quale si domanda linterpretazione di principi generali del diritto dellUnione non stata adottata al fine di dare esecuzione ad obblighi imposti alla Repubblica italiana da tale diritto. 28 Alla luce di queste varie eccezioni dirricevibilit, va rammentato che le questioni pregiudiziali riguardanti il diritto dellUnione beneficiano di una presunzione di pertinenza. Il rigetto di una domanda proposta da un giudice nazionale possibile soltanto qualora appaia in modo manifesto che linterpretazione del diritto dellUnione richiesta non ha alcun rapporto con leffettivit o loggetto della causa principale, qualora la questione sia di tipo ipotetico o, ancora, qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per rispondere in modo utile alle questioni che le sono sottoposte (v. in tal senso, in particolare, sentenze 5 dicembre 2006, cause riunite C.94/04 e C.202/04, Cipolla e a., Racc. pag. I.11421, punto 25, nonch 1 giugno 2010, cause riunite C.570/07 e C.571/07, Blanco Prez e Chao Gmez, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 36). 29 Orbene, quanto alla prima, alla seconda e alla quarta questione, non risulta in modo manifesto che linterpretazione richiesta non abbia alcun rapporto con leffettivit o loggetto dellincidente processuale intervenuto nellambito della causa principale o che la questione sollevata sia di tipo ipotetico. 30 Da una parte, occorre ricordare che una legge che si estende a tutto il territorio di uno Stato membro pu, eventualmente, pregiudicare il commercio tra Stati membri ai sensi dellart. 81 CE (v., in tal senso, sentenze 19 febbraio 2002, causa C.35/99, Arduino, Racc. pag. I.1529, punto 33, nonch Cipolla e a., cit., punto 45). Di conseguenza, la prima e la seconda questione, dirette a determinare se le norme del diritto dellUnione in materia di concorrenza ostino ad una normativa nazionale quale la legge n. 339/2003, non sono manifestamente prive di pertinenza. 31 Dallaltra parte, per quel che riguarda la quarta questione, occorre rilevare che, come stato sostenuto alludienza dal governo italiano e dalla Commissione, la norma sancita dallart. 8 della direttiva 98/5 non ha solo lo scopo di accordare agli avvocati iscritti in uno Stato membro ospitante con il loro titolo professionale ottenuto in un altro Stato membro gli stessi diritti di cui godono gli avvocati iscritti in detto Stato membro ospitante con il titolo professionale ottenuto nello stesso. Invero, tale norma garantisce anche che questi ultimi non subiscano una discriminazione alla rovescia, il che potrebbe accadere se le norme loro imposte non venissero applicate anche agli avvocati iscritti in detto 84 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 Stato membro ospitante con un titolo professionale ottenuto in un altro Stato membro. 32 Pertanto, il fatto che il procedimento di cancellazione dallalbo degli Avvocati di Perugia, che alla base delle questioni pregiudiziali, riguardi avvocati che esercitano la professione di cui trattasi in Italia con il titolo professionale ottenuto in tale Stato membro non comporta assolutamente che la quarta questione sollevata sia ipotetica. Al contrario, linterpretazione richiesta dellart. 8 della direttiva 98/5 aiuter il giudice del rinvio a determinare se la legge n. 339/2003 crei una discriminazione alla rovescia in contrasto con il diritto dellUnione. 33 La ricevibilit della quarta questione pregiudiziale non , del resto, inficiata dallargomento del governo ungherese secondo cui la legge n. 339/2003, riguardando i dipendenti pubblici, non disciplina nessuna delle situazioni di cui allart. 8 della direttiva 98/5, che concerne solo gli avvocati che lavorano in qualit di lavoratori subordinati di un altro avvocato, di unassociazione o societ di avvocati, di [unimpresa pubblica o privata]. 34 Al riguardo occorre ricordare che la deroga richiamata dal governo ungherese vale a dire linapplicabilit del diritto dellUnione ai dipendenti pubblici vale unicamente per gli impieghi che comportino una partecipazione allesercizio di pubblici poteri e che presuppongano, pertanto, lesistenza di un particolare rapporto con lo Stato. Per contro, le norme del diritto dellUnione in materia di libera circolazione restano applicabili ad impieghi che, pur dipendendo dallo Stato o da altri enti pubblici, non implicano tuttavia alcuna partecipazione a compiti spettanti alla pubblica amministrazione propriamente detta (v. in tal senso, in particolare, sentenze 30 settembre 2003, causa C.405/01, Colegio de Oficiales de la Marina Mercante Espaola, Racc. pag. I.10391, punti 39 e 40, nonch 10 dicembre 2009, causa C.345/08, Pe.la, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 31). 35 Quanto, pi precisamente, alla nozione di impresa pubblica che figura allart. 8 della direttiva 98/5, secondo giurisprudenza consolidata, allorch un ente integrato nellamministrazione pubblica esercita attivit che presentano un carattere economico e non rientrano nellesercizio di prerogative dei pubblici poteri, esso devessere considerato come una siffatta impresa (v., in tal senso, sentenze 27 ottobre 1993, causa C.69/91, Decoster, Racc. pag. I.5335, punto 15; 14 settembre 2000, causa C.343/98, Collino e Chiappero, Racc. pag. I.6659, punto 33, nonch 26 marzo 2009, causa C.113/07 P, SELEX Sistemi Integrati/Commissione, Racc. pag. I.2207, punto 82). 36 Da ci consegue che lambito di applicazione della legge n. 339/2003 la quale, letta in combinato disposto con il regio decreto legge 27 novembre 1933, n. 1578, cui fa rinvio, riguarda gli avvocati iscritti allalbo di uno degli ordini degli Avvocati della Repubblica italiana che hanno anche un rapporto dimpiego presso una pubblica amministrazione o unistituzione pubblica soggetta a tutela o a vigilanza della Repubblica italiana o di un suo ente territoriale coincide con quello dellart. 8 della direttiva 98/5 per quanto concerne gli avvocati impiegati da un ente che, bench soggetto a vigilanza dello Stato italiano o di uno dei suoi enti locali, costituisca un[impresa pubblica] . 37 Alla luce dellinsieme delle considerazioni che precedono, la domanda di pronuncia pregiudiziale devessere considerata ricevibile per quanto concerne la prima, la seconda e la quarta questione sollevate. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 85 38 Quanto, per contro, alla terza questione, relativa alla direttiva 77/249 e, quindi, allesercizio della professione di avvocato a titolo di libera prestazione di servizi, si deve necessariamente constatare che una risposta della Corte a tale questione non potrebbe essere utile al giudice del rinvio. Infatti, lincidente sollevato dinanzi a tale giudice riguarda la questione se la cancellazione di avvocati dallalbo in applicazione della legge n. 339/2003 sia compatibile con il diritto dellUnione. Come la Commissione ha giustamente fatto osservare, nel presente contesto viene in considerazione lo stabilimento in qualit davvocato e, quindi, la materia disciplinata dalla direttiva 98/5, e non lesercizio della professione forense a titolo di libera prestazione di servizi. 39 Pertanto, la domanda di pronuncia pregiudiziale devessere dichiarata irricevibile per quanto concerne la terza questione sollevata. 40 Con riguardo, infine, alla quinta questione, dalla decisione di rinvio risulta che, con tale questione, il Giudice di pace di Cortona invita la Corte ad esaminare, basandosi sulla sua giurisprudenza relativa ai principi della tutela del legittimo affidamento e della certezza del diritto, la modifica in senso sfavorevole risultante, per coloro che vogliono esercitare contemporaneamente la professione forense e un impiego a tempo parziale presso un ente pubblico, dalla legge n. 339/2003, la quale ha posto fine al regime a loro pi favorevole, introdotto dalla legge n. 662/96. 41 Orbene, senza che occorra statuire in merito allargomento dirricevibilit formulato dalla Commissione con riguardo a tale questione, basti constatare che, comunque, la Corte non pu utilmente rispondervi, in mancanza degli elementi necessari per farlo. 42 Quanto al principio della certezza del diritto, per giurisprudenza consolidata una normativa che comporta conseguenze svantaggiose per i singoli devessere chiara e precisa, e la sua applicazione devessere prevedibile per gli amministrati (sentenza 14 settembre 2010, causa C.550/07 P, Akzo Nobel Chemicals e Akcros Chemicals/Commissione, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 100 e giurisprudenza ivi citata). Ebbene, n la decisione di rinvio n le osservazioni presentate consentono alla Corte di stabilire sotto quale profilo o per quale ragione la chiarezza o la prevedibilit della legge n. 339/2003 sarebbero messe in discussione. 43 Tuttal pi, il giudice del rinvio ha chiarito la questione relativa a tale principio spiegando che la legge n. 339/2003 produce effetti retroattivi, effetti cui osterebbe il principio della certezza del diritto. La pretesa retroattivit della legge n. 339/2003 , tuttavia, manifestamente contraddetta dalla constatazione, anchessa contenuta nella decisione di rinvio, che lentrata in vigore di tale legge non pregiudica il diritto di esercizio concomitante conferito, fino a tale entrata in vigore, dalla legge n. 662/96, considerato peraltro che la legge n. 339/2003 instaura un periodo transitorio di tre anni al fine di evitare che il cambiamento da essa introdotto sia immediato. 44 Relativamente al principio della tutela del legittimo affidamento, per giurisprudenza costante gli amministrati non possono fare legittimamente affidamento sulla conservazione di una situazione esistente che pu essere modificata nellambito del potere discrezionale delle autorit nazionali (sentenza 10 settembre 2009, causa C.201/08, Plantanol, Racc. pag. I.8343, punto 53 e giurisprudenza ivi citata). Alla luce di questa giurisprudenza consolidata, una questione pregiudiziale quale la quinta questione sollevata nellambito del presente procedimento non pu essere utilmente esaminata dalla 86 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 Corte, in mancanza di una minima descrizione degli elementi dedotti nella causa principale per dimostrare che ladozione della normativa ivi discussa configura unipotesi diversa da quella in cui il legislatore semplicemente modifichi, per lavvenire, la normativa esistente. 45 Nel caso di specie, il giudice del rinvio si essenzialmente limitato a spiegare che la legge n. 339/2003 modifica in modo particolarmente sostanziale e, per taluni, sorprendente il regime precedentemente in vigore in forza della legge n. 662/96. Ebbene, si deve constatare che il solo fatto che il legislatore abbia adottato una nuova legge e che questultima sia considerevolmente diversa da quella anteriormente in vigore non offre alla Corte una base sufficiente per procedere ad un prudente apprezzamento della quinta questione. 46 Alla luce di quanto precede, la domanda di pronuncia pregiudiziale irricevibile anche per quanto concerne la quinta questione sollevata. Nel merito Sulla prima e sulla seconda questione 47 Con la sua prima e la sua seconda questione, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio domanda, in sostanza, se gli artt. 3, n. 1, lett. g), CE, 4 CE, 10 CE, 81 CE e 98 CE ostino ad una normativa nazionale, quale quella risultante dagli artt. 1 e 2 della legge n. 339/2003, che nega ai dipendenti pubblici impiegati in una relazione di lavoro a tempo parziale, pur in possesso di unabilitazione allesercizio della professione forense, lesercizio di tale professione, disponendone la cancellazione dallalbo degli Avvocati. 48 Se pur vero che, di per s, lart. 81 CE riguarda esclusivamente il comportamento delle imprese e non le disposizioni legislative o regolamentari emanate dagli Stati membri, nondimeno tale articolo, letto in combinato disposto con lart. 10 CE, fa obbligo agli Stati membri di non adottare o mantenere in vigore provvedimenti, anche di natura legislativa o regolamentare, che possano rendere praticamente inefficaci le regole di concorrenza applicabili alle imprese (citate sentenze Arduino, punto 34, nonch Cipolla e a., punto 46). 49 La Corte ha, in particolare, dichiarato che si in presenza di una violazione degli artt. 10 CE e 81 CE qualora uno Stato membro imponga o agevoli la conclusione di accordi in contrasto con lart. 81 CE, o rafforzi gli effetti di tali accordi, oppure revochi alla propria normativa il suo carattere pubblico delegando ad operatori privati la responsabilit di adottare decisioni di intervento in materia economica (citate sentenze Arduino, punto 35, nonch Cipolla e a., punto 47). 50 Orbene, il fatto che uno Stato membro prescriva agli organi di unassociazione professionale quali i consigli dellOrdine degli Avvocati dei differenti fori di procedere dufficio alla cancellazione delliscrizione allalbo degli Avvocati dei membri di tale professione che siano anche dipendenti pubblici a tempo parziale e che non abbiano optato, entro un termine fisso, vuoi per il mantenimento delliscrizione a detto albo, vuoi per il mantenimento della relazione di lavoro con lente pubblico presso il quale sono impiegati, non idoneo a dimostrare che tale Stato membro abbia revocato alla propria normativa il suo carattere pubblico. Infatti, i consigli dellOrdine non hanno alcuna in- CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 87 fluenza per quel che riguarda ladozione dufficio, prescritta per legge, delle decisioni di cancellazione. 51 Per motivi analoghi, non si pu ritenere che una normativa nazionale come quella in questione nella causa principale imponga o agevoli accordi in contrasto con lart. 81 CE. 52 Tali considerazioni non sono affatto inficiate n dallart. 3, n. 1, lett. g), CE, che prevede lazione dellUnione europea per quanto concerne un regime che assicuri che la concorrenza non sia falsata nel mercato interno, n dagli artt. 4 CE e 98 CE, che mirano allinstaurazione di una politica economica nel rispetto del principio di uneconomia di mercato aperta e in libera concorrenza. 53 Alla luce di quanto precede, occorre risolvere la prima e la seconda questione sollevate nel senso che gli artt. 3, n. 1, lett. g), CE, 4 CE, 10 CE, 81 CE e 98 CE non ostano ad una normativa nazionale che neghi ai dipendenti pubblici impiegati in una relazione di lavoro a tempo parziale lesercizio della professione di avvocato, anche qualora siano in possesso dellapposita abilitazione, disponendone la cancellazione dallalbo degli Avvocati. Sulla quarta questione 54 Come esposto nella decisione di rinvio, con la sua quarta questione, il Giudice di pace di Cortona domanda, in sostanza, se la possibilit lasciata dallart. 8 della direttiva 98/5 allo Stato membro ospitante di disciplinare e, quindi, se del caso, di limitare lesercizio di talune categorie di impieghi da parte degli avvocati iscritti in tale Stato valga anche nei confronti degli avvocati che desiderino esercitare uno di tali impieghi solo a tempo parziale. 55 Al fine di risolvere tale questione, giova rammentare anzitutto che, con ladozione della direttiva 98/5, il legislatore dellUnione ha inteso, in particolare, porre fine alle disparit tra le norme nazionali relative ai requisiti discrizione come avvocato (sentenza 19 settembre 2006, causa C.506/04, Wilson, Racc. pag. I.8613, punto 64). 56 La Corte ha gi precisato che, in considerazione di tale obiettivo della direttiva 98/5, occorre ritenere che essa proceda ad unarmonizzazione completa dei requisiti preliminari per liscrizione presso lautorit competente dello Stato membro ospitante, requisiti essenzialmente limitati alla presentazione a tale autorit di un documento attestante liscrizione presso lautorit competente dello Stato membro di origine (v., in tal senso, sentenza Wilson, cit., punti 65.67). 57 Tuttavia, come risulta inequivocabilmente dallart. 6 della direttiva 98/5, liscrizione in uno Stato membro ospitante di avvocati che esercitano con un titolo ottenuto in uno Stato membro diverso assoggetta tali avvocati allapplicazione delle regole professionali e deontologiche in vigore nello Stato membro ospitante. Ebbene, tali regole, contrariamente a quelle relative ai requisiti preliminari per liscrizione, non sono state oggetto di unarmonizzazione e possono quindi divergere considerevolmente da quelle in vigore nello Stato membro dorigine. Del resto, come conferma lart. 7, n. 1, della stessa direttiva, linosservanza di dette regole pu portare alla cancellazione delliscrizione nello Stato membro ospitante. 58 Occorre constatare che lart. 8 della direttiva 98/5 riguarda una categoria specifica delle 88 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 regole professionali e deontologiche richiamate dallart. 6 della stessa direttiva, vale a dire quelle che determinano in quale misura gli avvocati iscritti possono esercitare la professione come lavoratore subordinato di un altro avvocato, di unassociazione o societ di avvocati, di [unimpresa pubblica o privata]. 59 In considerazione degli ampi termini scelti dal legislatore dellUnione, si deve ritenere che detto art. 8 ricomprenda tutte le regole che lo Stato membro ospitante ha introdotto al fine di prevenire i conflitti dinteresse che potrebbero, secondo le sue valutazioni, risultare da una situazione nella quale un avvocato sia, da una parte, iscritto allalbo degli Avvocati e, dallaltra, impiegato presso un altro avvocato, unassociazione o societ di avvocati, unimpresa pubblica o privata. 60 Il divieto imposto dalla legge n. 339/2003 agli avvocati iscritti in Italia di essere impiegati, anche solo a tempo parziale, di un ente pubblico rientra nelle regole di cui allart. 8 della direttiva 98/5, almeno nei limiti in cui detto divieto concerne lesercizio concomitante della professione forense e di un impiego presso unimpresa pubblica. 61 Del resto, il fatto che la normativa cos introdotta dalla Repubblica italiana possa essere considerata restrittiva non di per s censurabile. La mancanza di conflitto dinteressi , infatti, indispensabile allesercizio della professione forense ed implica, in particolare, che gli avvocati si trovino in una situazione di indipendenza nei confronti dei pubblici poteri e degli altri operatori di cui non devono subire linfluenza (v., in tal senso, sentenza 19 febbraio 2002, causa C.309/99, Wouters e a., Racc. pag. I.1577, punti 100.102). Occorre, certo, che le regole stabilite al riguardo non vadano al di l di quello che necessario per conseguire lobiettivo di prevenzione dei conflitti di interesse. La proporzionalit di un divieto come quello imposto dalla legge n. 339/2003 non deve, tuttavia, essere esaminata nellambito della presente questione, che non riguarda tale aspetto. 62 Infine, come gi constatato nellambito dellesame della ricevibilit di tale questione, occorre sottolineare che lart. 8 della direttiva 98/5 implica che le norme dello Stato membro ospitante si applichino a tutti gli avvocati iscritti in tale Stato membro, a prescindere dal fatto che essi esercitino con il titolo professionale ottenuto nello stesso Stato o con quello ottenuto in un altro Stato membro. 63 Con riserva di verifica da effettuare al riguardo da parte dei giudici italiani, non risulta che la legge n. 339/2003 si applichi esclusivamente agli avvocati di origine italiana e produca in tal modo una discriminazione alla rovescia. Certamente, gli avvocati presi in considerazione da detta legge sono quelli interessati ad esercitare un impiego presso enti soggetti a tutela o a vigilanza della Repubblica italiana o dei suoi enti locali. Tuttavia, almeno nei limiti in cui si tratta di impieghi presso imprese pubbliche, gli avvocati iscritti allalbo di uno degli ordini degli Avvocati della Repubblica italiana e sui quali incide quindi il divieto di esercizio concomitante di un tale impiego possono essere non solo cittadini italiani, bens anche cittadini di altri Stati membri. 64 Alla luce dellinsieme delle considerazioni che precedono, occorre risolvere la quarta questione sollevata dichiarando che lart. 8 della direttiva 98/5 devessere interpretato nel senso che lo Stato membro ospitante pu imporre agli avvocati ivi iscritti e che siano impiegati vuoi a tempo pieno vuoi a tempo parziale presso un altro avvocato, unassociazione o societ di avvocati oppure unimpresa pubblica o privata, restrizioni al- CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 89 lesercizio concomitante della professione forense e di detto impiego, semprech tali restrizioni non eccedano quanto necessario per conseguire lobiettivo di prevenzione dei conflitti di interesse e si applichino a tutti gli avvocati iscritti in detto Stato membro. Sulle spese 65 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. Per questi motivi, la Corte (Quinta Sezione) dichiara: 1) Gli artt. 3, n. 1, lett. g), CE, 4 CE, 10 CE, 81 CE e 98 CE non ostano ad una normativa nazionale che neghi ai dipendenti pubblici impiegati in una relazione di lavoro a tempo parziale lesercizio della professione di avvocato, anche qualora siano in possesso dellapposita abilitazione, disponendo la loro cancellazione dallalbo degli Avvocati. 2) Lart. 8 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 16 febbraio 1998, 98/5/CE, volta a facilitare lesercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui stata acquistata la qualifica, devessere interpretato nel senso che lo Stato membro ospitante pu imporre agli avvocati ivi iscritti che siano impiegati vuoi a tempo pieno vuoi a tempo parziale presso un altro avvocato, unassociazione o societ di avvocati oppure unimpresa pubblica o privata, restrizioni allesercizio concomitante della professione forense e di detto impiego, semprech tali restrizioni non eccedano quanto necessario per conseguire lobiettivo di prevenzione dei conflitti di interesse e si applichino a tutti gli avvocati iscritti in detto Stato membro. C O N T E N Z I O S O N A Z I O N A L E Conoscibilit e garanzia del contribuente (Nota a Cass. civ., Sez. V, sentenze nn. 6102 e 6114 del 16 marzo 2011) Francesco Meloncelli* SOMMARIO: 1. Due sentenze della Corte di cassazione per due diversi orientamenti culturali o in contrasto tra loro? - 2. Il regime della conoscenza in sede di notificazione - 3. La conoscenza secondo la natura delluomo - 3.1. Premessa - 3.2. La conoscenza in s - 3.3. La conoscenza secondo natura - 4. La conoscenza giuridica - 5. La valutazione delle tesi principali della Corte di cassazione in tema di conoscenza effettiva e di conoscibilit - 5.1. Leffetto della notificazione degli atti amministrativi dimposizione tributaria: la conoscibilit e non la conoscenza effettiva - 5.2. La graduazione della conoscibilit - 6. La questione del procedimento di notificazione al contribuente non temporaneamente irreperibile. I. Cassazione civ., Sez. V, sentenza 16 marzo 2011, n. 6102. Contribuente irreperibile - notificazione dellavviso di accertamento con procedimento ex art. 60.1.e) DPR 29 settembre 1973, n. 600 - riduzione in deroga al procedimento ex art. 140 cpc - ritualit. La notificazione dell'avviso di accertamento al contribuente ex art. 60.1.e) DPR 29 settembre 1973, n. 600, ritualmente effettuata, se nel comune nel quale deve eseguirsi non v' abitazione, ufficio o azienda del contribuente, mediante l'affissione dell'avviso del deposito prescritto dallart. 140 cpc nell'albo comunale, senza necessit di spedizione mediante raccomandata, e la notificazione stessa si ha per eseguita nell'ottavo giorno successivo a quello di affissione. II. Cassazione civ., Sez. V, sentenza 16 marzo 2011, n. 6114. Contribuente con domicilio eletto nel comune di domicilio fiscale - notificazione degli atti amministrativi dimposizione tributaria nel domicilio eletto - obbligo per lufficio tributario. Contribuente con domicilio eletto nel comune di domicilio fiscale - notificazione degli atti amministrativi dimposizione tributaria nel domicilio fiscale - invalidit. In caso di elezione di domicilio dal parte del contribuente, nel comune di domicilio fi- (*) Avvocato dello Stato. 92 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 scale, ai fini della notificazione degli atti e degli avvisi che lo riguardano, ai sensi dellart. 60.1.d) DPR 29 settembre 1973, n. 600, la notificazione al domicilio eletto , per l'amministrazione fiscale, obbligatoria, mentre invalida la notificazione dell'atto impositivo eseguita in luogo diverso dal domicilio eletto ai sensi dellart. 140 cpc. 1. Due sentenze della Corte di cassazione per due diversi orientamenti culturali o in contrasto tra loro? Le sentenze della Corte di cassazione 16 marzo 2011, n. 6102 e 6114, sono accomunate dal fatto che, pur affrontando questioni diverse, decidono entrambe sulla conoscenza posseduta dal contribuente. Lette una di seguito allaltra, come mi capitato di fare per la contemporaneit della loro pubblicazione, mi sono di primo acchitto apparse fondate su visioni culturali contrapposte, perch, mentre la prima si limita a ribadire un consolidato orientamento giurisprudenziale, tendenzialmente restrittivo, in tema di notificazione degli atti amministrativi dimposizione tributaria al contribuente irreperibile, la seconda intraprende, a proposito della rilevanza dellelezione di domicilio, e della sua prevalenza sul domicilio fiscale, un filone interpretativo, per la notificazione dei medesimi atti, favorevole al contribuente. A prima vista sembra che manchi il presupposto perch le due sentenze si pongano in contrasto tra di loro, dal momento che le questioni affrontate sono diverse, ma netta limpressione che sotto la superficie della copiosa produzione giurisprudenziale di legittimit in materia tributaria sia avvenuto un movimento significativo, che potrebbe manifestarsi, in futuro, in forti evoluzioni. Se, poi, esse realizzino anche un contrasto, potr emergere solo dallapprofondimento delle varie questioni che si effettui in occasione del loro esame congiunto. La prima pronuncia affronta la questione della perfezione della notificazione di atti impositivi e la risolve ricorrendo al principio di diritto, consolidato nella giurisprudenza di legittimit, secondo cui << la notificazione dell'avviso di accertamento al contribuente DPR 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 60, comma 1, lett. e), il quale deroga, in materia, allart. 140 c.p.c., ritualmente effettuata quando nel comune nel quale deve eseguirsi non v' abitazione, ufficio o azienda del contribuente, mediante l'affissione dell'avviso del deposito prescritto dal citato art. 140 nell'albo comunale, senza necessit di spedizione mediante raccomandata, e la notificazione stessa si ha per eseguita nell'ottavo giorno successivo a quello di affissione, senza, peraltro, che ci dia adito a dubbi di legittimit costituzionale>>. La seconda sentenza affronta, invece, una questione nuova, consistente nel chiedere se esista alternativit tra il domicilio fiscale del contribuente e il domicilio da lui eletto nello stesso Comune al fine della notificazione di un atto dimposizione tributaria o se lufficio tributario sia vincolato a tener conto solo del secondo e ad indirizzare la sua notificazione al domicilio elettivo, ricorrendo, poi, in caso di irreperibilit, alla notificazione ex art. 140 cpc. Tale CONTENZIOSO NAZIONALE 93 questione viene risolta nel senso che si deve escludere lalternativit e, quindi, a contrario, si deve affermare lobbligo, per lamministrazione tributaria, di notificare latto dimposizione presso il domicilio eletto, con conseguente invalidit della notificazione eseguita presso il domicilio fiscale o, comunque, in un luogo diverso dal domicilio eletto. Testualmente la Corte si esprime cos: <>. Le soluzioni adottate dalle due sentenze, pur relative a questioni diverse, sembrano ispirate allindividuazione, da parte della Corte, di un fondamento normativo, in materia di notificazione degli atti amministrativi dimposizione tributaria, che, nel primo caso, privilegia linteresse dellamministrazione tributaria e, nel secondo caso, privilegia linteresse del contribuente. Infatti, la sentenza n. 6102 ritiene che, in deroga alla normativa generale, la notificazione degli atti impositivi si perfezioni con la realizzazione di unoperazione procedimentale in meno rispetto al procedimento ordinario di notificazione agli irreperibili e, quindi, facilita il compito dellamministrazione; la sentenza n. 6114, invece, ancora una volta in deroga alla normativa generale, ma in applicazione analogica della normativa speciale sullelezione di domicilio effettuata in un contratto, esclude qualsiasi alternativit tra domicilio eletto e domicilio fiscale e privilegia cos linteresse del contribuente. Le due soluzioni sembrano evidenziare una divaricazione di fondo tra orientamenti normativi, che sispirano a visioni divergenti dei rapporti tra contribuente e amministrazione tributaria. Lo scopo di questo commento, per, quello di sostenere che, in realt, le norme desunte dalla giurisprudenza di legittimit - tradizionalmente o no - dalle lettere c), d) ed e) dellart. 60 del DPR 29 settembre 1973, n. 600, sono ispirate tutte allo stesso fondamento normativo di particolare tutela del contribuente, pur sempre nellambito di un equilibrato bilanciamento collinteresse erariale. 2. Il regime della conoscenza in sede di notificazione Se tanto pu bastare, per il momento, per segnalare la funzione disvelatrice dei fondamenti normativi che svolta dalla giurisprudenza, unaltra serie di considerazioni sollecitata dalla seconda delle pronunce segnalate (la n. 6114), il cui esame potrebbe indurre a rivedere anche la posizione assunta dalla Corte nella prima sentenza (la n. 6102). Si tratta del bagaglio concettuale in tema di conoscenza utilizzato nel 4 della sentenza n. 6114. In essa si afferma che <>. Stabilito, poi, che si vincolati a fornire, delle norme, uninterpretazione adeguatrice alla L. 27 luglio 2000, n. 212, (Statuto del contribuente), si afferma, con specifico riguardo al suo art. 6, primo comma, primo periodo, per il quale << L'amministrazione finanziaria deve assicurare l'effettiva conoscenza da parte del contribuente degli atti a lui destinati>>, che << vero che, con la locuzione "effettiva conoscenza", il legislatore non ha inteso garantire al contribuente l'assoluta certezza della conoscenza, avendo la disciplina della notificazione da sempre legato a essa la conoscibilit legale, cos come palesato, nello specifico, dalla previsione di chiusura del citato art. 6, comma 1, secondo cui "restano ferme le disposizioni in materia di notifica degli atti tributari". E tuttavia resta inteso che ... la corretta esegesi dell'art. 6, comma 1 resta nel senso che esso intende assicurare l'effettiva conoscenza di tutti gli atti destinati al contribuente, ancorch restino ferme le disposizioni in materia di notifica. / Tale voluta solennit equivale a dire che lo statuto ha inteso affermare che a tutti gli atti dell'amministrazione destinati al contribuente (finanche, quindi, a quelli notificati) deve essere garantito un grado di conoscibilit il pi elevato possibile. / Ampia traccia di simile lettura si rinviene, d'altronde, nella sentenza con cui la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60, u.c., nella parte in cui prevedeva che le variazioni e le modificazioni dell'indirizzo del contribuente, non risultanti dalla dichiarazione annuale, avessero effetto, ai fini delle notificazioni, dal sessantesimo giorno successivo a quello della avvenuta variazione anagrafica, il cui essenziale periodo motivante nel riconoscimento che "un limite inderogabile alla discrezionalit del legislatore nella disciplina delle notificazioni rappresentato dall'esigenza di garantire al notificatario l'effettiva possibilit di una tempestiva conoscenza dell'atto notificato e, quindi, l'esercizio del suo diritto di difesa (cos C. cost. 2003/360) >>. La Corte fa, poi, riferimento ad un possibile parallelismo con lart. 141 cpc, affermando che, <<[e]ssendo alla notifica dei mentovati atti o avvisi correlato l'avvio della fase dinamica, preordinata all'attuazione del rapporto obbligatorio d'imposta, in questo senso agevole cogliere la similitudine con la ratio che sottende l'obbligatoriet della notifica ex art. 141 c.p.c, comma 2, di garantire la conoscenza effettiva del contraente con riguardo alle pretese inerenti alle obbligazioni nascenti dal contratto>>. Il ragionamento seguito dalla Corte e la conclusione cui essa giunta meritano pieno consenso. Tuttavia, nella sentenza n. 6114 si rinvengono numerose CONTENZIOSO NAZIONALE 95 espressioni che sollevano pi dun problema e meritano una qualche considerazione. Da parte del legislatore, anzitutto, si parla di assicurazione delleffettiva conoscenza degli atti amministrativi d'imposizione tributaria (art. 6.1.1 L. 27 luglio 2000, n. 212); il giudice di legittimit, poi, pur dopo aver preso le distanze dal significato letterale della disposizione legislativa, parla, probabilmente per un mero lapsus, di garanzia della conoscenza effettiva del contraente come ratio sottesa allobbligatoriet della notifica ex art. 141.2 cpc; e ancora, non senza qualche dose di equivocit, di amplificazione della maggiore garanzia di conoscenza effettiva della funzione propria della notificazione; simpiegano, quindi, le espressioni di conoscibilit legale, di conoscibilit effettiva e di grado della conoscibilit, per attribuire, infine, allespressione legislativa conoscenza effettiva il significato di grado di conoscibilit il pi elevato possibile. In sostanza, se, da un lato, la Corte argomenta bene e conclude altrettanto bene sulla specifica questione sottoposta al suo esame, dallaltro, la scelta delle parole per confezionare la motivazione della sentenza pu lasciare qualche dubbio intorno agli istituti giuridici della conoscenza. In particolare, lesigenza di chiarire le ragioni per le quali la conoscenza effettiva devessere tenuta ben distinta dalla conoscibilit e la necessit di approfondire la gradualit della conoscibilit inducono ad una preliminare rivisitazione teorica degli istituti di conoscenza variamente richiamati dalla Corte. 3. La conoscenza secondo la natura delluomo 3.1. Premessa E necessario, a tal fine, aver chiaro che cosa sintenda, in natura, per conoscenza, quali specie se ne possano dare e quali ne siano le caratteristiche. Il quadro che si tenter di delineare, peraltro, non prescinde affatto dallesperienza giuridica e, in particolare, dallesperienza normativa, cos da descrivere la conoscenza pregiuridica, non come quel fenomeno delicatissimo e complesso che studiosi di altre scienze (filosofia, epistemologia, biologia, neurologia, psicologia, pedagogia ed altre ancora) rendono oggetto delle loro autonome indagini, ma per quei soli aspetti che le norme giuridiche ritengono rilevanti per la regolazione dei rapporti sociali. In questa sede non possiamo che dare per noti i profili della conoscenza naturale che, diffusamente richiamati dalle pi diverse norme giuridiche, sono assunti come giuridicamente rilevanti dallordinamento giuridico italiano (1), (1) Perci, mi sia consentito il rinvio, senza pretesa di esaustivit, a quegli studi che, nella dottrina giuridica italiana, hanno fornito un contributo durevole in tema di conoscenza: CARNELUTTI, Francesco Teoria giuridica della circolazione [1933].[Napoli], Edizioni scientifiche italiane, 1981, passim; CARNELUTTI, Francesco La prova civile. Roma, Ateneo, 1947, 2. ed., 63-65; PUGLIATTI, Salvatore, La trascrizione. Vol. I - Tomo I. La pubblicita' in generale. Milano, Giuffr, 1957, passim; FALZEA, Angelo, Accertamento: I. Accertamento: a) Teoria generale, in Enciclopedia del diritto I, 1958, 205 ss.; PU- 96 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 ma non possiamo esimerci dallosservare preliminarmente che, in genere, i produttori di norme, cos come del resto ha fatto il giudice di legittimit nella sentenza n. 6114, dispongono in tema di conoscenza, senza definire e senza spiegare, ma dando per presupposto che siano sufficienti le parole impiegate perch la loro volont sia sufficientemente chiara ai destinatari, che debbono conseguentemente darvi attuazione. Tutto ci premesso, cerchiamo di evidenziare, avendo riguardo ai temi affrontati nella sentenza, quel che il legislatore presuppone, fornendo un quadro dei fenomeni naturali ai quali egli si riferisce quando si occupa di conoscenza. 3.2. La conoscenza in s Anzitutto, si desume dallosservazione della realt che la conoscenza un fenomeno mentale consistente nella rappresentazione, nell'intelletto di un soggetto, di un oggetto, di un qualsiasi oggetto: la conoscenza la relazione mentale che collega un soggetto con un oggetto. La seconda constatazione pacifica che la relazione mentale soggettooggetto il risultato eventuale di unattivit infungibile del soggetto volta ad acquisire la conoscenza delloggetto: la conoscenza come rappresentazione mentale il risultato positivo, ma eventuale, di unattivit cognitiva del soggetto, la quale infungibile, perch essa pu esser svolta solo dal soggetto conoscente. La conoscenza come attivit evidenzia, poi, che il soggetto si attiva e impegna delle energie per passare, attraverso un procedimento che possiamo chiamare cognitivo, da uno stato iniziale di mancanza di conoscenza, o di ignoranza (stato di conoscenza negativa), o di una data specie di conoscenza di un dato oggetto (conoscenza positiva di tipo A), alla condizione finale di conoscenza delloggetto positiva o di conoscenza diversa (conoscenza di tipo B) rispetto a quella iniziale. Ancora: a fronte dellignoranza di un oggetto, che sempre la mancanza totale di conoscenza, non si pone un solo stato di conoscenza, che, per esser contrapposto allignoranza, altrettanto totale (conoscenza piena e vera), ma si pongono tanti possibili stati cognitivi di livello intermedio e variamente graduati (per quantit e per qualit). Quanto allattivit cognitiva, losservazione della realt ci segnala che GLIATTI, Salvatore Conoscenza, in Enciclopedia del diritto IX, 1961, 45 ss.; FALZEA, Angelo Fatto di conoscenza [1978], in Angelo FALZEA Voci di teoria generale del diritto, Milano, Giuffr, 1978, 531 ss.; MELONCELLI, Achille, Pubblicit: e) Diritto pubblico, in Enciclopedia del diritto XXXVII, 1988, 1027. Inoltre, soltanto al fine di fornire una bibliografia recondita sullintimo collegamento tra gli studi giuridici sulla conoscenza e le indagini al riguardo svolte dalle scienze naturali, sociali e umanistiche, mi sia permesso di rimandare anche al mio volume: MELONCELLI, Francesco, La conoscenza dello stato d'insolvenza nella revocatoria fallimentare. Milano, Giuffr, 2002, passim. CONTENZIOSO NAZIONALE 97 alla conoscenza di alcunch un soggetto perviene percorrendo due strade: o per via autonoma, cio da solo, con le sue sole forze, o indirettamente, attraverso lacquisizione della conoscenza da un altro soggetto. La conoscenza autonoma di due specie, a seconda dello strumento acquisitivo impiegato: se il soggetto si avvale solo della sua mente, la sua conoscenza noetica, o per idee, mentre la sua conoscenza empirica, se egli si serve della sua percezione sensoriale e della conseguente elaborazione intellettiva. La conoscenza derivata , invece, quella che il soggetto acquisisce per la trasmissione che gliene faccia un altro soggetto che la possedeva prima di lui: colui che trasmette ad altri la propria conoscenza non se ne priva, ma associa i destinatari della trasmissione nella sua precedente conoscenza, cosicch, dopo la trasmissione, la conoscenza diventa comune al trasmittente e ai destinatari. Una volta che la conoscenza sia stata acquisita, direttamente (autonomamente) o indirettamente (derivativamente), essa risiede nella mente del soggetto e costituisce un suo patrimonio esclusivo, ignoto agli altri, fino a quando egli non la manifesti e non la renda disponibile anche a qualcun altro soggetto specificamente determinato o, indeterminatamente, agli altri membri della societ. La messa a disposizione di altri della conoscenza di un soggetto viene attuata o attraverso un suo comportamento indirizzato ad altri, cio con la trasmissione ad altri della sua conoscenza, o con un suo comportamento attivo ridotto, che consiste nella mera realizzazione di una situazione di accessibilit di altri alla sua conoscenza, che devono, perci, attivarsi per realizzare laccesso alla fonte della conoscenza. Per la trasmissione della conoscenza o per la sua accessibilit, necessario che la rappresentazione intellettiva, interna alla mente del soggetto conoscente, sia ulteriormente rappresentata a fini comunicativi, ossia che essa venga convertita in una una forma idonea alla comunicazione con altri. Se loggetto della conoscenza uno stato materiale, ossia una cosa o uno stato di determinate cose o un comportamento materiale umano (operazione), naturalisticamente parlando potrebbe bastare qualunque comportamento idoneo a sollecitare istantaneamente, anche senza possibilit di ripetizione, gli organi di senso altrui, come, per esempio, la produzione di un suono musicale. Senzaltro, tuttavia, la forma di maggior rilievo per il diritto che idonea e sufficiente alla comunicazione di quei fenomeni materiali la documentazione, cio la loro rappresentazione in un documento, che la cosa materialmente idonea a rappresentare durevolmente una situazione. Se, invece, loggetto della conoscenza uno stato immateriale (idea, pensiero, sentimento), esso si presta ad essere rappresentato quasi esclusivamente attraverso una formulazione semantica del soggetto conoscente, cio attraverso una dichiarazione; in questo caso la conoscenza devessere dapprima codificata e la sua formulazione devessere, poi, trasmessa o in forma instabile (comunicazione orale) o in forma stabile, tramite la sua documentazione, ossia la sua rappresentazione in un do- 98 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 cumento (naturale - marmo, per esempio -, o artificiale, come frutto di una tecnologia (carta, fotografia, documento informatico o altro)). Per instaurare un parallelismo con lesemplificazione gi accennata, si pensi ancora una volta al fenomeno musicale, la cui conoscibilit, anzich essere fornita mediante la produzione del suono da parte del soggetto che vuole associarne altri nella conoscenza, sia da lui perseguita mediante la notazione redatta su uno spartito. Si evidenzia cos agevolmente come, a seconda della rappresentazione delloggetto da conoscersi, possano ottenersi conoscenze diverse, qualitativamente e quantitativamente. Infine, affinch la conoscenza del soggetto conoscente sia intellettivamente rappresentata anche nella mente di un altro soggetto, non sufficiente che il primo la renda disponibile per il secondo mediante la trasmissione o laccesso, ma sempre necessario che laltro simpegni nelladozione di un comportamento, a volte anche faticoso, di acquisizione della conoscenza altrui. Al termine di tale processo cognitivo la conoscenza diverr, come ad altro fine sՏ appena detto, comune ad entrambi i soggetti, perch la conoscenza acquisita indirettamente da un soggetto circola, non attraverso lo scambio con altri, come se fosse un prodotto ad uso individuale alternativo, ma attraverso lassociazione di altri nella conoscenza del soggetto originario: la derivazione della conoscenza da un soggetto non estingue la conoscenza originaria dellaltro soggetto, ma allarga il numero dei soggetti conoscenti. 3.3. La conoscenza secondo natura Se, ora, per approfondire quellosservazione della realt, pocanzi effettuata, relativa allattivit di conoscenza e al suo risultato, si utilizza il criterio di distinzione statica/dinamica, si pu cogliere lulteriore intrinseca complessit dialettica del fenomeno cognitivo. Infatti, in ogni fenomeno di conoscenza si rilevano due fasi statiche ed una fase dinamica, perch sempre il soggetto conoscente muove da una condizione iniziale statica di (relativa) ignoranza, per giungere, attraverso unattivit di conoscenza (fase dinamica) ad unaltra condizione statica, questa volta finale, di conoscenza (tendenzialmente) diversa da quella iniziale. Linsieme delle due fasi statiche, iniziale e finale, e della fase dinamica centrale, pu esser chiamato ciclo di conoscenza. Le due fasi statiche si distinguono, non solo per la loro diversa posizione, ma anche in base al criterio di contrapposizione tra potenzialit ed effettivit: la fase iniziale del ciclo cognitivo quella della (relativa) ignoranza e delleventuale conoscibilit (conoscenza potenziale), nel senso che, quale che sia lo stato in cui versa la mente del soggetto conoscente in un dato momento, egli pu trovarsi, oppure no, anche in una condizione a partire dalla quale pu iniziare una fase dinamica di un ciclo cognitivo; la fase finale, altrettanto statica, del ciclo cognitivo quella del conosciuto, cio del risultato della fase dinamica, e consiste nella conoscenza effettiva prodotta da quel ciclo cogni- CONTENZIOSO NAZIONALE 99 tivo, la quale pu sia coincidere ancora con quella iniziale sia essere diversa e costituire una nuova situazione statica iniziale per uneventuale ulteriore fase dinamica di un nuovo ciclo cognitivo. Quanto alla conoscibilit quale elemento della situazione statica iniziale, valgono le seguenti considerazioni. In natura si d una sorta di conoscibilit oggettiva, che tuttavia priva di rilevanza giuridica. Se si fa credito alluomo di una capacit cognitiva ad incremento potenzialmente illimitato, qualsiasi oggetto potrebbe essere da lui conosciuto e la sfera della conoscibilit coinciderebbe con tutto ci che gli attualmente ignoto, cio con linfinito, a meno di quellepsilon, tendente a zero, che gli , o che gli fosse, riuscito finora di conoscere. Non questa la conoscibilit rilevante per il diritto, per il quale, invece, conta solo ci che un singolo soggetto dellordinamento, vincolato a conoscere effettivamente, in condizione di conoscere. Trascurando qui il profilo del vincolo, un soggetto pu, in natura, conoscere un oggetto quando si realizzano le seguenti condizioni: che loggetto esista, che il soggetto sia dotato di unidonea capacit di conoscerlo, che si dia al soggetto la possibilit di accedere alloggetto, cosicch egli possa rappresentarselo intellettivamente. La conoscibilit , dunque, una condizione statica del soggetto: una condizione soggettiva, perch indica la posizione del soggetto rispetto alloggetto; essa anche, per, una condizione oggettiva, nel senso che qualsiasi soggetto che versasse in essa potrebbe conoscere loggetto accessibile. In sostanza, la conoscibilit una condizione statica oggettiva relativamente soggettiva. Quella parte della fase statica iniziale che la conoscibilit ha, dunque, una struttura interna articolata in tre elementi. Tra di essi una peculiare attenzione merita la capacit cognitiva, la quale un dato e, in quanto dato, un elemento naturale. Si consideri, peraltro, che la capacit cognitiva un elemento variabile in natura, non solo nel senso che non tutti i soggetti ne sono parimenti dotati, ma soprattutto nel senso che, volendo, ogni soggetto pu affinare e potenziare la propria. Ora, se, come si verifica, le norme giuridiche sottopongono alcuni soggetti al vincolo di potenziare e di affinare la loro capacit cognitiva, allora, in natura, allinterno di quellelemento della fase statica della conoscenza che la capacit cognitiva, possibile che si avvii un processo dinamico attraverso il quale il soggetto vincolato si attiva per incrementare e migliorare la sua capacit cognitiva. In questo senso, nella conoscibilit pu rinvenirsi anche un profilo dinamico. Resta, per, fermo, che rispetto ad un dato oggetto, specificamente individuato, la conoscibilit, che complessivamente una componente della situazione statica, non basta per modificare lo stato cognitivo del soggetto, pur essendo necessaria per linizio fruttuoso della fase dinamica della conoscenza. La fase centrale del ciclo, cio la fase dinamica dellattivit di conoscenza posta tra le due fasi statiche iniziale e finale, ha, a sua volta, una struttura interna, la quale costituita da due specie di fenomeni: la percezione, che 100 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 lesplicazione e lattuazione della percepibilit insita nella conoscibilit, e il comportamento cognitivo, cio lesercizio della capacit cognitiva, altrettanto presente nello stato di conoscibilit. Il primo elemento quello del contatto tra conoscente ed oggetto da conoscere: a seconda della specie di conoscenza realizzabile, conoscenza noetica o conoscenza empirica, il contatto si stabilisce o con le idee del soggetto conoscente cui egli stesso pone mente o con loggetto di un rapporto di percepibilit fisica relativo al soggetto di riferimento, anche creato da parte di altri. Il soggetto che aspiri alla conoscenza deve, poi, erogare delle energie per attivare la sua capacit naturale di conoscere e sforzarsi di adottare tutti i comportamenti necessari per ottenere una rappresentazione intellettiva delloggetto. Infine, quanto alla situazione statica finale del ciclo, lesplicazione della capacit di conoscere e lo svolgimento dellattivit cognitiva conduce ad uno stato di conoscenza effettiva, quale che essa sia. Infatti, siccome ogni processo cognitivo conduce dallo stato iniziale di una conoscenza data ad una situazione statica finale di conoscenza diversa, si possono ottenere gradi diversi di conoscenza delloggetto, che potr, in natura, considerarsi piena e vera (quantit e qualit della conoscenza) dopo la realizzazione anche di un solo percorso procedimentale, ma che potrebbe richiedere la reiterazione di pi processi cognitivi, secondo una rappresentazione a spirale del processo cognitivo, in base alla quale il risultato ottenuto di volta in volta costituisce il punto di partenza per un ulteriore e pi proficuo percorso intellettivo. Quando la conoscenza finale si possa considerare piena e vera problema da risolvere secondo un criterio di relativit, la cui soluzione dipende dalloggetto della conoscenza e dallo scopo che si propone il soggetto conoscente. 4. La conoscenza giuridica La descrizione dei fenomeni naturali di conoscenza che si tentato di effettuare , qui ed ora, sufficiente per passare allanalisi della conoscenza giuridica. Lattribuzione di rilevanza giuridica alla conoscenza naturale si verifica solo quando la conoscenza considerata dalla normazione idonea a soddisfare un bisogno di qualche soggetto. A tal fine la conoscenza, o qualcuno dei profili naturali della conoscenza che si sono descritti, devessere assunta dalla norma giuridica come elemento della propria struttura per modellare, in relazione ad esso, un rapporto tra due soggetti, utilizzando la tecnica delle situazioni giuridiche soggettive, attive e passive: dalla regolamentazione normativa dei rapporti giuridici si desume quali siano i soggetti che possono vantare una pretesa e i soggetti che sono sottoposti ad un vincolo di conoscere, o di far conoscere, alcunch nei confronti di altri. I dati strutturali del rapporto giuridico di conoscenza emergono cos chiaramente: loggetto della conoscenza, in ordine al quale si danno soggetti che vantano la pretesa o sono vincolati ad un compor- CONTENZIOSO NAZIONALE 101 tamento cognitivo. Se la pretesa di conoscere si pu presentare sotto le due specie del diritto soggettivo e dellinteresse legittimo, che non danno luogo, almeno ai fini delloggetto di questa nota, a particolari questioni, il vincolo di conoscere presenta maggiori tratti problematici. Il vincolo di conoscere , anzitutto, una specie di vincolo che si presta ad essere ulteriormente specificato solo in tre delle quattro possibili specie del generale vincolo giuridico: nel dovere, nellobbligo, nellonere, ma non nella soggezione. Infatti, per sua natura, lacquisizione della conoscenza consiste in unattivit, in un comportamento dinamico volto a rappresentare, nella (memoria documentale della) mente di un soggetto, un oggetto che era ignoto prima della sua azione cognitiva. Il comportamento cognitivo , dunque, incompatibile con linerzia tipica della soggezione. Lesclusione della soggezione dalle specie di situazione giuridica passiva proprie del vincolo giuridico una conseguenza dellineliminabile, per la natura delle cose, infungibilit del comportamento cognitivo e del carattere associativo della circolazione della conoscenza. Il soggetto vincolato a conoscere un dato oggetto, dunque, in quanto sia collocato da una norma giuridica in una delle altre tre specie di vincolo: il dovere di conoscere o lobbligo di conoscere o lonere di conoscere. Quel che interessa la nostra tematica rilevare che, indipendentemente dalla natura del vincolo giuridico, il regime giuridico del comportamento del soggetto vincolato a conoscere si compone dei seguenti elementi: 1) anzitutto, deve figurare nellordinamento giuridico una norma giuridica che strutturi, secondo generalit ed astrattezza, un rapporto giuridico in modo tale che un soggetto sia sottoposto, nei confronti di un altro soggetto, al vincolo di conoscere alcunch; 2) in secondo luogo, deve esistere nella realt di specie ultima loggetto della conoscenza astrattamente prefigurato dalla norma; in mancanza delloggetto il soggetto titolare della pretesa corrispondente al vincolo non pu ritenere che il soggetto vincolato debba attivarsi; 3) in terzo luogo, il soggetto deve esser dotato, o deve fornirsi, di capacit cognitiva adeguata al rapporto giuridico del quale parte; 4) in quarto luogo, il soggetto deve trovarsi, o deve esser collocato, o deve porsi, nella situazione di poter percepire (condizione di percepibilit fisica); 5) inoltre, il soggetto conoscente deve adottare un comportamento cognitivo idoneo ad acquisire la conoscenza oggetto del vincolo; 6) infine, il soggetto conoscente deve adottare un comportamento conforme alla legge in coerenza con la conoscenza vincolativamente acquisita. Come si vede, la normazione aggiunge molto di suo ai dati naturali della conoscenza. In particolare, per, interessa qui mettere in risalto che lo snodo 102 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 principale del passaggio dalla realt extragiuridica alla realt giuridica costituito dalla conoscibilit, che, composta comՏ dalloggetto, dalla capacit cognitiva e dalla percepibilit, occupa ben tre delle sei posizioni nellelenco degli elementi del regime del comportamento cognitivo. Perch sia adempiuto il vincolo , dunque, molto rilevante, fino ad essere determinante, che il soggetto vincolato possa conoscere. Non sempre basta, ma in molti casi sufficiente. In generale, poi, al fine della prova liberatoria da responsabilit per inosservanza del vincolo di conoscere, necessario che i soggetti del rapporto cognitivo, provino, secondo le regole che disciplinano la distribuzione dellonere della prova per lo specifico rapporto di cui i soggetti del vincolo e della pretesa di conoscere sono parti, lesistenza o linesistenza di ciascuno degli elementi in cui si articola la struttura del vincolo. Questo il quadro teorico generale del regime della conoscenza, che necessario, ma anche sufficiente, per valutare la fondatezza delle due principali tesi della sentenza n. 6114: la prima quella secondo la quale la notificazione degli atti amministrativi dimposizione tributaria non svolge, tra le altre funzioni, quella di garantire che il notificatario acquisisca leffettiva conoscenza, ma quella di garantire il grado pi elevato possibile di conoscibilit; la seconda quella secondo la quale la conoscibilit graduabile. 5. La valutazione delle tesi principali della Corte di cassazione in tema di conoscenza effettiva e di conoscibilit 5.1. Leffetto della notificazione degli atti amministrativi dimposizione tributaria: la conoscibilit e non la conoscenza effettiva La Corte, dando esattamente per scontato che sia impossibile assicurare la conoscenza effettiva di chicchessia, interpreta la formulazione letterale dellart. 6, comma 1, primo periodo, della L. 27 luglio 2000, n. 212, nel senso di attribuirgli, sulla base del vincolo, per il giudice, dinterpretazione adeguatrice alla normativa di principio contenuta nello Statuto del contribuente, il significato massimo possibile consentito dalla natura delle cose e dalla natura dellistituto giuridico della notificazione, cio quello di scegliere tra le varie forme possibili di notificazione, estraibili dalla normativa in tema di notificazione degli atti amministrativi dimposizione tributaria, quella che pone il contribuente nella condizione di massima conoscibilit possibile. Quel che la Corte non ha detto, dandolo per implicitamente noto, comՏ normale che avvenga in una pronuncia giurisprudenziale, attiene a due ordini di ragioni. La prima risiede nella natura delle cose ed generale. La descrizione che sՏ operata nel 3 dei fenomeni naturali della conoscenza e larticolazione del ciclo cognitivo in due fasi statiche, iniziale e finale, e in una fase dinamica intermedia, mostra la netta distanza che separa la conoscibilit dalla cono- CONTENZIOSO NAZIONALE 103 scenza effettiva e la loro diversit strutturale, anche sotto il profilo del contenuto: mentre la conoscibilit rientra nella fase statica iniziale ed strutturata nei tre elementi delloggetto, della capacit cognitiva e dellaccessibilit del soggetto alloggetto (percepibilit), la conoscenza effettiva la rappresentazione delloggetto nella mente del soggetto, che abbia tratto origine, infungibilmente, dalla fase dinamica del ciclo cognitivo e dalle sue due sottofasi della percezione e del comportamento cognitivo. La Corte, definendo solenne lenunciazione contenuta nellart. 6, comma 1, primo periodo, dello Statuto del contribuente, secondo cui lufficio tributario deve assicurare leffettiva conoscenza dellatto amministrativo dimposizione tributaria, mette in luce come, in realt, se si stesse alla lettera della disposizione, si richiederebbe allamministrazione finanziaria una missione impossibile, perch lacquisizione della conoscenza di alcunch non pu mai avvenire se il soggetto conoscente, pur partendo da una situazione di conoscibilit, non completasse personalmente il ciclo cognitivo, in quanto nessuno pu sostituirsi a lui nella percezione e nel comportamento cognitivo. Ne deriva che non esiste una sola tecnica giuridica di trasmissione della conoscenza - la comunicazione, la notificazione, la pubblicazione (orale, a stampa, per deposito, informatica), la pubblicit per registri, la presenza allo svolgimento di una data attivit, laccesso (a documenti o a luoghi) - che riesca ad assicurare, di per s, al trasmittente e al destinatario della trasmissione che questultimo raggiunga uno stato pi significativo della mera possibilit di conoscere loggetto trasmesso. La seconda ragione per la quale la notificazione degli atti amministrativi dimposizione tributaria non assicura la loro effettiva conoscenza da parte del contribuente consegue, pi specificamente, dalla natura giuridica della notificazione, che idonea a fornire la certezza legale della sola conoscibilit. Secondo la definizione comunemente accolta, infatti, la notificazione una complessa operazione di conoscenza, attraverso la quale un soggetto (il notificante) - per il tramite di un terzo (notificatore: ufficiale giudiziario, anche in eventuale combinazione collufficiale postale, messo dellufficio, avvocato) o, sia pure eccezionalmente, in via diretta - trasferisce nella sfera di disponibilit materiale e, quindi, della percepibilit, di un altro soggetto (notificatario) un documento rappresentativo di una situazione, semantica e/o no, creandosi a favore del notificatario, con la forza della certezza legale, una situazione giuridica oggettiva di conoscibilit e confezionandosi a favore del notificante la prova del trasferimento, comprese le sue modalit soggettive (consegnatario) e oggettive (di luogo e di tempo), del documento al notificatario. Non basta, quindi, un comportamento trasmissivo di conoscenza piuttosto complicato, qual la notificazione, ad assicurare la conoscenza effettiva del destinatario della trasmissione: la notificazione, ponendo in essere una parte della prima fase del ciclo cognitivo, riesce soltanto a porre il notificatario nella situazione di conoscibilit, cio lo stato a partire dal quale solo il notificatario 104 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 pu, se lo vuole, completare il ciclo cognitivo e passare dal suo stato iniziale di ignoranza delloggetto notificato alla sua conoscenza positiva. Le caratteristiche specifiche della notificazione non riguardano, perci, leffetto cognitivo, che uguale a quello di tutti gli altri istituti di pubblicit ed costituito dalla creazione della conoscibilit, ma consistono nellattribuzione della forza di certezza legale alla realizzazione di tale situazione e nella confezione della prova della conoscibilit realizzata. 5.2. La graduazione della conoscibilit Resta da esaminare la seconda tesi della Corte di cassazione, secondo la quale la conoscibilit potrebbe essere graduata, in modo tale che, quando la legge vincoli lufficio tributario ad assicurare la conoscenza effettiva, da parte del contribuente, dell'atto amministrativo di imposizione tributaria, il destinatario del vincolo deve adottare loperazione di conoscenza (la notificazione, nel caso in esame) del livello massimo di conoscibilit: secondo le disposizioni normative di specie (art. 60 DPR 29 settembre 1973, n. 600) ci si realizza con il vincolo a notificare nel luogo del domicilio eletto, con esclusione della notifica allirreperibile nel domicilio fiscale ai sensi dellart. 140 cpc. Per la piena valutazione della posizione cos assunta dalla Corte possono giovare alcune considerazioni generali sulla graduazione della conoscibilit. Anzitutto, si deve prender atto di questa realt giuridica: a prestarsi alla graduazione non la conoscibilit come fenomeno di genere prodotto da un istituto di pubblicit, ma solo la conoscibilit che prodotta dalle varie specie di ciascun istituto di pubblicit: dato un istituto di pubblicit (comunicazione, notificazione, pubblicazione, pubblicit per registri, presenza, accesso), esso produce una data forma di conoscibilit, che diversa da quella di tutte le altre, rispetto alle quali, tuttavia, non possibile redigere una graduazione. Invece, sono le varie specie in cui pu manifestarsi ciascun istituto pubblicitario che producono delle forme di conoscibilit che possono essere tra loro graduate. La tesi pu essere dimostrata considerando che la natura di ciascuno degli istituti di pubblicit, cio la loro struttura e la loro funzione, comporta la produzione di tante corrispondenti forme di conoscibilit, ognuna delle quali presenta una forza diversa, che dipende dal carattere attivo (comunicazione, notificazione) o passivo (pubblicazione, pubblicit per registri, presenza, accesso) dellistituto, dalla determinatezza (comunicazione, notificazione, presenza, accesso)/indeterminatezza (pubblicazione, pubblicit per registri, presenza, accesso) dei soggetti destinatari, dalla tecnica della prova delluso dellistituto e dalla partecipazione al procedimento di pubblici ufficiali con compiti di certificazione (notificazione ordinaria, pubblicit per registri). Se, poi, si raffrontano le conoscibilit prodotte da ciascuno degli istituti di pub- CONTENZIOSO NAZIONALE 105 blicit, si pu anche convenire sulla constatazione che la notificazione - che listituto di pubblicit di riferimento nella sentenza n. 6114 - realizzi un grado di conoscibilit molto elevato, perch ha carattere attivo, in quanto il notificante che si rivolge al notificatario, che un soggetto determinato, e si avvale, salvo ipotesi minoritarie, dellintermediazione di un pubblico ufficiale (notificatore), che procura al notificante la prova della ricezione da parte del notificatario, cui la legge attribuisce la forza della certezza legale; invero, se la forza di un istituto si misura in base agli effetti giuridici che si producono, quella della notificazione, pur con la riduzione ai soggetti particolari e determinati cui destinata, una forza ben robusta. Tuttavia, pare fuori luogo tentare di stabilire una graduatoria tra le conoscibilit realizzabili dai vari istituti di pubblicit e, in particolare, per la prospettiva che qui interessa, tra il grado di conoscibilit della notificazione e quello degli altri istituti pubblicitari. Basti considerare, per limitarci in questa sede ad un solo confronto, che un pubblico registro, pur operando con carattere di passivit, perch il soggetto conoscente che deve attivarsi per realizzare il contatto con esso, dotato di generalit, che costituisce un aspetto di forza di grandissimo rilievo; ed dotato, oltre che di efficacia di certezza legale, di stabilit, perch tendenzialmente permanente nel tempo, cosicch la sua forza ne viene, sotto questo profilo, sicuramente incrementata. Tanto pu bastare per concludere che vano tentare di stabilire delle graduazioni tra le conoscibilit prodotte da ciascuno degli istituti pubblicitari considerati come genere. Invece, sempre sul piano generale, se si tiene conto della struttura della conoscibilit che sՏ pocanzi illustrata, sintravvede la possibilit che essa, allinterno di un medesimo istituto pubblicitario, venga graduata discrezionalmente dal legislatore - ossia con la libert di scelta che gli deriva dalla titolarit del potere dindirizzo politico, ma con il limite della ragionevolezza -, attraverso la modellazione di ciascuno degli elementi di cui la conoscibilit si compone: delloggetto, della sua percepibilit da parte del soggetto e della capacit cognitiva del soggetto conoscente (2). Basandosi sulla struttura e sulla funzione delle specie in cui si manifesta ciascun istituto di pubblicit, si riscontrano, invero, varie possibilit di graduazione. Limitandoci qui, ancora una volta, alla notificazione, agevole convenire, ad esempio, sul fatto che, nel processo tributario, la notificazione per ufficiale giudiziario e quella mediata da una diversa figura di notificatore producono effetti di conoscibilit diversi, sia con riguardo alla conformit tra la dichiarazione incorporata nel documento originario e quella incorporata nel (2) Non mancano nella pi recente giurisprudenza della Corte sentenze che, in particolare, si soffermano acutamente sulla modellazione della capacit cognitiva, cos da graduare, in relazione ad essa, anche la conoscibilit. Ci si riferisce a Corte di cassazione 21 gennaio 2011, n. 1364, e 12 maggio 2011, n. 10417. 106 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 documento consegnato al notificatario, sia con riguardo, in sede di appello, allobbligo per lufficiale giudiziario e allonere per il contribuente, notificante senza lintermediazione dellufficiale giudiziario, di comunicare alla Commissione tributaria provinciale, autrice della sentenza appellata, la proposizione dellimpugnazione. Analogamente, la scelta delle modalit per la consegna del documento al notificatario pu differenziare il grado della conoscibilit: per le notificazioni degli atti dimpugnazione si deve indicare il difensore e non la parte, per assicurare il massimo grado di tempestivit della conoscibilit, al fine di consentire la valutazione tecnica della prosecuzione del giudizio che la controparte ha scelto (3). Con specifico riguardo al nostro tema, poi, si pu osservare che anche le modalit spaziali della consegna influiscono sul grado della conoscibilit, perch, come ha ben deciso la Corte, graduando i criteri di scelta del luogo della notificazione degli atti amministrativi dimposizione tributaria, pu realizzarsi un diverso grado probabilistico di percepibilit dellatto notificato: se il contribuente ha eletto domicilio in un luogo diverso da quello del domicilio fiscale, ma pur sempre nellambito del Comune di domicilio fiscale - limite posto dalla normativa tributaria in favore dellamministrazione fiscale - la notificazione nel primo realizza una situazione giuridica oggettiva di conoscibilit di grado pi elevato della notificazione che fosse effettuata nel secondo. Conseguentemente, il vincolo, per lufficio tributario, a scegliere come luogo della notificazione il domicilio eletto ad esclusione del domicilio fiscale, discende dal principio, malamente formulato dal legislatore, dell(impossibile) assicurazione della conoscenza effettiva del contribuente. Lo stesso principio, tuttavia, non dovrebbe far dimenticare che, ammesso che lo scopo fissato dal legislatore sia quello di perseguire la maggior probabilit di conoscenza effettiva del contribuente (che vale realizzazione della conoscibilit di grado pi elevato possibile), alla notifica presso il domicilio eletto dovrebbe preferirsi la notifica, ovunque essa avvenga, ivi incluso il domicilio fiscale, nelle mani proprie del contribuente, come del resto risulta scontato, se si tiene conto dei dati naturalistici del fenomeno cognitivo descritto e se si considera la normativa speciale contenuta nellart. 60 DPR 29 settembre 1973, n. 600, ove al primo comma si rinvia allart. 137, commi 2 e 4, cpc e allart. 138 cpc e ove alla lett. c) del primo comma si fa <>. (3) Anche la previsione della notifica di unimpugnazione al difensore costituito, piuttosto che direttamente alla parte, pu essere vista come unipotesi di graduazione della conoscibilit in dipendenza della graduazione della capacit cognitiva. Infatti, solo il difensore dotato di quella capacit cognitiva tecnica adeguata a conoscere il contenuto di unimpugnazione e ad adottare, quindi, i conseguenti atti di difesa. CONTENZIOSO NAZIONALE 107 6. La questione del procedimento di notificazione al contribuente non temporaneamente irreperibile Ci si potrebbe domandare, a questo punto, tornando a riesaminare la prima sentenza (la n. 6102), se lo stesso ragionamento non possa, o addirittura non debba, per assicurare uniformit alla giurisprudenza della Corte in materia, valere per la diversa ipotesi di notificazione sulla quale il giudice di legittimit si pronunciato in conformit al proprio precedente consolidato orientamento. Infatti, la mutilazione del procedimento di notificazione ai contribuenti (durevolmente) irreperibili, rispetto a quanto previsto dallart. 140 cpc richiamato nellart. 60, comma 1, lett. e) del DPR 29 settembre 1973, n. 600, potrebbe essere ora, dopo la sentenza n. 6114, considerata in contrasto col principio tendenziale previsto nellart. 6, comma 1, primo periodo, dello Statuto del contribuente. Potrebbe sostenersi, infatti, che, se lart. 60, comma 1, nelle lett. c) e lett. d), devessere letto congiuntamente allart. 6, comma 1, primo periodo, dello Statuto del contribuente, sulla scia tracciata dalla sentenza della Corte n. 6114, allora anche lart. 60, comma 1, lett. e), sugli adempimenti da compiersi in caso di notifica allirreperibile, dovrebbe essere letto alla luce del principio tendenziale contenuto nella predetta disposizione dello Statuto, con la conseguenza che la posizione assunta nella sentenza n. 6102 della Corte non potrebbe pi essere considerata tanto pacifica. La rimeditazione, eventualmente anche sotto laspetto della compatibilit costituzionale, potrebbe ancorarsi alla suggestiva argomentazione per cui il regime della notificazione dellatto impositivo tributario dovrebbe - per coerenza subsistematica interna - sempre ispirarsi al principio del maggiore grado di conoscibilit in capo al contribuente (4). In effetti, una volta che la legge abbia richiamato un procedimento (4) Peraltro, la Corte di cassazione, nella sentenza del 3 aprile 2006, n.7773, sՏ gi espressa per la manifesta infondatezza della questione di legittimit costituzionale, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., dell'art. 60, primo comma, lett. e), del DPR 29 settembre 1973, n. 600: <>. Insomma, il procedimento di notificazione completo carico del contribuente che non abbia abitazione, ufficio o azienda nel comune dove deve essere eseguita la notificazione, posto l'onere di eleggere domicilio nel luogo del proprio domicilio fiscale, (se vuole evitare una notifica ai sensi dell'art. 140 c.p.c. con affissione presso il Comune) e in ogni caso di comunicare le variazioni dell'indirizzo. Pertanto, in relazione alla proposta questione di legittimit costituzionale del citato art. 60, deve concludersi che la norma in questione appare conformata alla specificit del complessivo rapporto impositivo, nonch strumentale alle esigenze funzionali ed operative dell'Amministrazione, rispondenti all'interesse generale e non al fine di un ingiustificato privilegio per il fisco, laddove, peraltro, la notificazione mediante affissione pu essere evitata agevolmente con l'assolvimento di un onere certamente non cos gravoso da incidere sulle garanzie del contribuente (sul punto vedi, sia pure con riferimento alla prospettazione di diversa questione di costituzionalit, Cass. n. 12834 del 1995 e n. 9922 del 2003)>>. CONTENZIOSO NAZIONALE 109 previsto dallart. 140 cpc si applica agli atti dimposizione tributaria se il contribuente soltanto temporaneamente irreperibile. In ipotesi dirreperibilit non temporanea, lart. 60, comma 1, lett. f), DPR 29 settembre 1973, n. 600, prescrive che alla notifica degli atti tributari non si applichi lart. 143 cpc, cio il regime della notificazione a destinatario di residenza, dimora o domicilio sconosciuti, a cui sostituito, invece, lart. 60, comma 1, lett. e) dello stesso DPR. Le ragioni sembrano due. In primo luogo, per la legge tributaria il domicilio del contribuente non pu darsi per sconosciuto, se non a posteriori, cio dopo leffettivo riscontro scaturente dal tentativo di notifica. Infatti, per il comma 1 del predetto art. 58, <>, cio una serie di norme contenenti presunzioni legali assolute, le quali dal fatto noto di un certo collegamento del soggetto passivo dimposizione con un luogo dello Stato traggono il fatto ignoto che ivi sia collocato il suo domicilio, rilevante per lapplicazione delle imposte sui redditi, incluse le fasi dellaccertamento e della riscossione. Si tratta di una finzione giuridica che, per un verso, pro fisco, per leffetto dellagevolazione indotta dallindividuazione ex lege del luogo di notifica (v. art. 60, comma 1, lett. c DPR 29 settembre 1973, n. 600), e che, tuttavia, non sembra porsi in contrasto col principio garantistico per il contribuente, dato che, per altro verso, anche al contribuente reso noto in anticipo il luogo che per legge lamministrazione dovr considerare come luogo di notifica, con conseguente possibilit per lui di predisporsi alleventuale ricezione di atti dimposizione tributaria proprio in quel luogo. Inoltre, nel descritto regime del domicilio fiscale lasciato uno spazio allesplicazione del principio del maggior grado di conoscibilit del contribuente. Invero, al quarto comma del citato art. 58, data rilevanza alla comunicazione del contribuente allErario (<< In tutti gli atti, contratti, denunzie e dichiarazioni che vengono presentati agli uffici finanziari deve essere indicato il comune di domicilio fiscale delle parti, con la precisazione dell'indirizzo >>) e, al quinto comma del medesimo art. 58, prevista lefficacia immediata della variazione dellindirizzo comunicata dal contribuente, per effetto dellintervento della Corte costituzionale, come non ha mancato di ricordare anche la Corte di cassazione nella sentenza n. 6114. In secondo luogo, dalla presunzione legale di domicilio fiscale discende un vero e proprio onere per il contribuente di tener conto che lamministrazione fiscale potrebbe notificarvi gli atti dimposizione tributaria, sicch, se egli non vi viene reperito per causa non temporanea, non potendosi applicare lart. 143 cpc, perch esso ha per presupposto lignoranza incolpevole del domicilio del destinatario, lart. 60, comma 1, lett. e), DPR 29 settembre 1973, n. 600, richiama il procedimento dellart. 140 cpc, che stato strutturato per lipotesi in cui si conosca in anticipo, prima della notifica, quale sia il luogo 110 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 ove reperibile il destinatario. Sintroduce, per, un triplice correttivo che assimila il procedimento a quello previsto nellart. 143 cpc: laffissione dellavviso di deposito, allalbo del comune anzich alla porta dellabitazione o dellufficio o dellazienda, la mancanza di necessit di dare notizia del deposito con raccomandata e, infine, la decorrenza pi breve (otto giorni anzich venti) per il perfezionamento della notifica dallaffissione dellavviso. Cos, al contribuente che risulti durevolmente irreperibile nel domicilio fiscale, o in quello eletto, si applica soltanto quella fase procedimentale ex art. 140 cpc che non sia resa inutile dallaccertata - e inaspettata - natura durevole dellirreperibilit, cio, laffissione dellavviso. Si pu, allora, sostenere che non sussiste contrasto allinterno della giurisprudenza della Corte, la quale non avrebbe fatto altro che evidenziare un calibrato bilanciamento degli interessi in gioco, previsto dal legislatore e attuato nei limiti della sua discrezionalit. Il differente bilanciamento risponderebbe anche al criterio della ragionevolezza. Infatti, la disposizione normativa in tema di notifica a soggetto durevolmente irreperibile, che derogatoria rispetto al sistema generale processualcivilistico (art. 140 cpc), che pur vi richiamato, non si pone realmente in contrasto, allinterno del subsistema tributario, col principio della maggiore conoscibilit possibile da parte del contribuente. Lapparente favore per il Fisco, rispetto al regime ordinario ex art. 140 cpc, giustificato dal fatto che il contribuente destinatario dellatto impositivo risulta irreperibile - non temporaneamente - nel luogo che ex ante, cio anteriormente alleffettuazione del procedimento di notifica, assicuri il massimo grado possibile di conoscibilit in funzione del luogo, cio nel domicilio eletto, qualora dal contribuente sia esercitata la facolt di elezione di domicilio, o nel domicilio fiscale, ove, al contrario, la facolt non sia stata esercitata. Se, in quei luoghi, il contribuente risulti durevolmente irreperibile (ad esempio, perch trasferitosi in luogo sconosciuto), in ragione dellinteresse pubblico erariale alleffettiva riscossione dei tributi giustificabile un procedimento di notifica accelerato e semplificato, ma pur sempre pi complesso di quello previsto dallart. 143 cpc (obbligatoriet dellavviso di deposito), in conformit tendenziale al principio previsto nellart. 6, comma 1, primo periodo, dello Statuto del contribuente. Il diverso trattamento del contribuente temporaneamente irreperibile, per il quale la notifica si perfeziona col decorso del termine di dieci giorni dalla spedizione della raccomandata con avviso di ricevimento, rispetto al contribuente non temporaneamente irreperibile, per il quale la notifica si perfeziona soltanto una volta decorso il termine di otto giorni dallaffissione dellavviso allalbo comunale, senza invio di raccomandata, commisurato proporzionalmente alla diversa realt fattuale delle due ipotesi, tenuto conto che contrastante col principio di buon andamento dellamministrazione la reiterazione CONTENZIOSO NAZIONALE 111 del tentativo di contatto mediante spedizione di raccomandata nel luogo del domicilio fiscale, ove il contribuente non si fatto trovare, e cos, a maggior ragione, nel domicilio eletto, cio nel luogo dove egli stesso ha scelto liberamente di fissare la sua reperibilit. Cassazione civile, Sez. V, sentenza 16 marzo 2011, n. 6102 (Pres. M. Adamo, Rel. ed est. R. Polichetti, P.M. E.A. Sepe (difforme)). (Omissis) Svolgimento del processo - Motivi della decisione (...) con i due motivi formulati, con i quali denunciano rispettivamente "violazione dellart. 140 c.p.c. e art. 48 disp. att." e "falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 in combinato disposto ex art. 137 c.p.c.", nonch vizio di motivazione, i ricorrenti assumono che, ai sensi del citato art. 140, per il perfezionamento della notificazione occorre che siano adempiute tutte e tre le formalit previste dalla norma (deposito dell'atto nella casa comunale, affissione dell'avviso del deposito e spedizione della raccomandata); (... ) il ricorso (...) manifestamente infondato e va, pertanto, rigettato; (...) infatti, premesso che il vizio di motivazione non pu costituire oggetto di ricorso per cassazione quando riguarda l'applicazione di principi giuridici (da ult., Cass., sez. un., n. 21712 del 2004), secondo la costante giurisprudenza di questa Corte - dalla quale il Collegio non ha motivo di discostarsi -, la notificazione dell'avviso di accertamento al contribuente D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 60, comma 1, lett. e), il quale deroga, in materia, allart. 140 c.p.c., ritualmente effettuata quando nel comune nel quale deve eseguirsi non v' abitazione, ufficio o azienda del contribuente, mediante l'affissione dell'avviso del deposito prescritto dal citato art. 140 nell'albo comunale, senza necessit di spedizione mediante raccomandata, e la notificazione stessa si ha per eseguita nell'ottavo giorno successivo a quello di affissione, senza, peraltro, che ci dia adito a dubbi di legittimit costituzionale (cfr. Cass. nn. 8363 del 1993, 7120 e 9922 del 2003, 7773 del 2006). P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso; nulla spese. Cassazione civile, Sez. V, sentenza 16 marzo 2011, n. 6114 (Pres. M. DAlonzo, Rel. ed est. F. Terrusi, P.M. P.P.M. Ciccolo (conforme)). (Omissis) Svolgimento del processo La S. impugn, con ricorso 9.10.2002, una cartella di pagamento per interessi su maggiore Irpef relativa all'anno 1994, emessa dalla banca Monte dei Paschi di Siena quale concessionaria del servizio riscossione tributi per la provincia di Roma. Ne chiese l'annullamento sul rilievo di non aver mai ricevuto il propedeutico avviso di accertamento. Al ricorso resistette l'agenzia delle entrate di Roma, che alleg, invece, che l'avviso era stato regolarmente notificato. La commissione tributaria provinciale accolse l'impugnazione. La sentenza - gravata da appello - fu riformata in sede regionale. Il giudice di appello osserv che vi era stata elezione di domicilio della contribuente ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. d), ma ritenne che ci non avesse inciso sulla ritualit della notificazione dell'avviso di accertamento 112 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 cos come in concreto eseguita, presso il domicilio fiscale, ai sensi dellart. 140 c.p.c. Sostenne che, in difetto di disposizioni sanzionatorie per il caso di eseguita noti-fica in luogo diverso da quello eletto, dovevano dirsi applicabili le regole contenute nellart. 141 c.p.c. in tema di notificazione presso il domiciliatario. Dal criterio generale che vuole tale forma di notificazione solo facoltativa, e come tale alternativa alle correnti modalit di cui agli artt. 138 e seg. c.p.c., era da ricavarsi la ritualit della notifica, non eseguita, nella specie, presso il domicilio eletto, sebbene ai sensi dellart. 140 c.p.c. al domicilio fiscale della contribuente. (...) Ricorre per cassazione la S. (...) Motivi della decisione (...) 3. - In ordine al primo motivo va osservato che la commissione regionale ha dato atto dell'avvenuta elezione di domicilio del contribuente secondo la previsione di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. d), presso lo studio di un commercialista posto nel comune del domicilio fiscale. Ha poi motivato la ritenuta validit della notifica dell'avviso di accertamento, di contro eseguita ai sensi dellart. 140 c.p.c. nel domicilio anagrafico fiscale di cui all'art. 58 del medesimo d.p.r., sul rilievo della facoltativit (e quindi dell'alternativit) della forma di notificazione presso il domiciliatario rispetto ai modi ordinari stabiliti dagli artt. 138 e seg. in tal senso ha tratto argomento dallart. 141 c.p.c., comma 1, la cui applicabilit per la notifica degli atti tributari ha osservato non essere esclusa dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, lett. f). Difatti lart. 141 c.p.c. considera obbligatoria la prevista forma di notificazione presso il domiciliatario solo quando l'elezione di domicilio risulti inserita in un contratto (comma 2). Viceversa la ricorrente sostiene che, una volta che il contribuente abbia esercitato la facolt di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, lett. d), e il domicilio eletto si trovi nell'ambito del medesimo comune di domicilio fiscale, la notificazione degli atti impositivi dovrebbe necessariamente essere eseguita dall'amministrazione finanziaria presso il domicilio eletto, rimanendo la possibilit di notifica ex art. 140 c.p.c relegata al solo caso in cui le relative condizioni si realizzino con riguardo a questo. A giudizio della Corte questa proposizione, con le precisazioni che seguono, va condivisa. 4. - Necessaria premessa del discorso che, in ambito tributario, la funzione propria della notificazione - di dirigerne l'oggetto verso il destinatario e di metterglielo a disposizione in modo da provocarne la presa di conoscenza - , stante l'effetto che ne discende in rapporto all'atto contenente una pretesa impositiva, amplificata nel segno della maggiore garanzia di conoscenza effettiva. Tanto da affermare in ragione del principio generale dettato dall'art. 6 dello statuto del contribuente (L. 27 luglio 2000, n. 212), a tenore del quale l'amministrazione finanziaria deve, in linea generale, assicurare l'effettiva conoscenza da parte del contribuente degli atti a lui destinati. Siffatto principio partecipa dei canoni di collaborazione, cooperazione e buona fede in cui trova esplicitazione l'intera logica sottesa allo statuto, cui, in sede di interpretazione [adeguatrice allo statuto del contribuente], il giudice deve fare riferimento al fine di risolvere eventuali dubbi ermeneutici nel senso pi consono ai principi dallo stesso espressi (cfr. Cass. 2005/9407), e in forza del quale l'amministrazione deve comportarsi sempre con lealt e chiarezza, (guidando e) facilitando l'adempimento dei doveri da parte dei privati. Alla luce della delineata premessa, questa Corte ha gi del resto affermato che, prima che il contribuente abbia conoscenza degli atti che incidono sulla sua posizione debitoria o creditoria nei confronti del fisco, gli atti stessi non possono produrre effetti (cfr. Cass. 2001/4760 e soprattutto, con riguardo alla sanatoria dei possibili vizi della notificazione e ai suoi effetti, Cass. sez. un. CONTENZIOSO NAZIONALE 113 2004/19854). Ora, vero che, con la locuzione "effettiva conoscenza", il legislatore non ha inteso garantire al contribuente l'assoluta certezza della conoscenza, avendo la disciplina della notificazione da sempre legato a essa la conoscibilit legale, cos come palesato, nello specifico, dalla previsione di chiusura del citato art. 6, comma 1, secondo cui "restano ferme le disposizioni in materia di notifica degli atti tributari". E tuttavia resta inteso che - come esattamente osservato in dottrina - non coglierebbe il significato della previsione concludere che essa, facendo salve le disposizioni sulla notificazione, si riferisce esclusivamente agli atti per i quali il legislatore non prevede il procedimento notificatorio sebbene una mera comunicazione, in sostanza, la corretta esegesi dell'art. 6, comma 1 resta nel senso che esso intende assicurare l'effettiva conoscenza di tutti gli atti destinati al contribuente, ancorch restino ferme le disposizioni in materia di notifica. Tale voluta solennit equivale a dire che lo statuto ha inteso affermare che a tutti gli atti dell'amministrazione destinati al contribuente (finanche, quindi, a quelli notificati) deve essere garantito un grado di conoscibilit il pi elevato possibile. Ampia traccia di simile lettura si rinviene, d'altronde, nella sentenza con cui la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60, u.c., nella parte in cui prevedeva che le variazioni e le modificazioni dell'indirizzo del contribuente, non risultanti dalla dichiarazione annuale, avessero effetto, ai fini delle notificazioni, dal sessantesimo giorno successivo a quello della avvenuta variazione anagrafica, il cui essenziale periodo motivante nel riconoscimento che "un limite inderogabile alla discrezionalit del legislatore nella disciplina delle notificazioni rappresentato dall'esigenza di garantire al notificatario l'effettiva possibilit di una tempestiva conoscenza dell'atto notificato e, quindi, l'esercizio del suo diritto di difesa (cos C. cost. 2003/360). 5. - Alla luce dei superiori principi da ritenere che, laddove vi sia stata, da parte del contribuente, una valida elezione di domicilio, nel comune di domicilio fiscale, stante la precipua funzione della elezione detta in rapporto alla ricezione degli atti tributari, non residua, per l'amministrazione, altra possibilit in sede di notificazione all'indirizzo del dichiarante. Dall'inciso di apertura del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, si desume, invero, che la struttura portante della notificazione degli atti tributari s retta dalle norme stabilite dagli artt. 137 e seg. c.p.c., ma cos come nello specifico integrate e modificate dai successivi incisi, e quindi anche merc la prevista facolt del contribuente di eleggere domicilio presso una persona o un ufficio nel comune del proprio domicilio fiscale in vista della "notificazione degli atti o degli avvisi che lo riguardano". N a diversa conclusione si giunge volendosi mantenere il parallelismo con lart. 141 c.p.c. Essendo alla notifica dei mentovati atti o avvisi correlato l'avvio della fase dinamica, preordinata all'attuazione del rapporto obbligatorio d'imposta, in questo senso agevole cogliere la similitudine con la ratio che sottende l'obbligatoriet della notifica ex art. 141 c.p.c., comma 2, di garantire la conoscenza effettiva del contraente con riguardo alle pretese inerenti alle obbligazioni nascenti dal contratto. Nel senso che detta ratio non differisce da quella che caratterizza la comunicazione di elezione di domicilio in materia fiscale, da parte del contribuente che intenda ivi ricevere la notificazione degli atti o degli avvisi in cui si esprime la pretesa tributaria a seguito dell'asserito verificarsi della fattispecie prevista dalla norma impositiva. Mentre, diversamente opinando, della previsione speciale D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 60, comma 1, lett. d), andrebbe ritenuta la sostanziale inutilit, ove all'amministrazione fosse poi consentito di non tenere in alcun conto il fatto, dal contribuente debitamente comunicato, dell'avvenuta elezione di un ben determinato luogo di ricezione degli atti e/o degli av- 114 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 visi, pur sempre compreso nel comune di domicilio fiscale. 6. - Nel caso di specie, va dunque ritenuta, in accoglimento del primo motivo, la nullit della notificazione dell'atto impositivo presupposto, siccome eseguita, ex art. 140 c.p.c., in luogo diverso dal domicilio eletto agli specifici fini, giacch la procedura di notifica, di cui al ridetto art. 140, adottata per l'avviso di accertamento, stata utilizzata senza che ne ricorressero le condizioni. La nullit della notifica dell'atto impositivo comporta l'invalidit derivata degli atti conseguenti, e cio, per quanto qui rileva, della cartella esattoriale. Invero per ormai consolidata giurisprudenza (cfr. sez. un. 2007/6412) l'invalidit dell'atto impositivo pu essere dedotta, sia come vizio proprio di tale atto, sia come vizio del procedimento, dal quale deriva l'invalidit degli atti successivi, nell'ambito dell'impugnazione di questi ultimi (v. anche Cass. 2009/20098). La Corte deve, quindi, enunciare il seguente principio di diritto: "in caso di elezione di domicilio da parte del contribuente, nel comune di domicilio fiscale, ai fini della notificazione degli atti e degli avvisi che lo riguardano, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. d), la notificazione al domicilio eletto , per l'amministrazione fiscale, obbligatoria; pertanto invalida la notificazione dell'atto impositivo eseguita in luogo diverso dal domicilio eletto ai sensi dellart. 140 c.p.c. L'accoglimento del primo motivo del ricorso assorbe il secondo e comporta la cassazione della sentenza impugnata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto la Corte, nell'esercizio del potere di decisione nel merito di cui allart. 384 c.p.c., comma 1, accoglie altres il ricorso originariamente proposto dalla S. avverso la cartella di pagamento. La mancanza di precedenti giurisprudenziali sullo specifico profilo di diritto sopra esaminato giustifica la compensazione integrale delle spese processuali. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo; dichiara assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso avverso la cartella. Compensa le spese. CONTENZIOSO NAZIONALE 115 Orientamenti giurisprudenziali in tema di efficiacia delle sentenze ecclesiastiche: verso una maggior pervasivit del controllo operato dal giudice italiano (Nota a Cassazione civ., Sez. I , sentenza 20 gennaio 2011 n. 1343) Alessandra Bruni* Niccol Guasconi** SOMMARIO: 1. Il rilievo del matrimonio come rapporto tra disciplina civilistica e canonistica - 2. I rapporti tra Stato e Chiesa in tema di delibabilit delle sentenze ecclesiastiche: da controllo meramente formale ad un vaglio anche di sostanza - 3. Il controllo sostanziale nell'evoluzione della giurisprudenza della Cassazione: la giurisdizione italiana e il divenire del limite di ordine pubblico - 4. Conclusioni. 1. Il rilievo del matrimonio come rapporto tra disciplina civilistica e canonistica Con la sentenza 20 gennaio 2011, n. 1343, la Corte di Cassazione torna ad occuparsi della clausola di ordine pubblico come limite alla delibabilit delle sentenze ecclesiastiche di nullit matrimoniale, con una pronuncia di particolare rilievo, la quale sembra poter essere foriera di sviluppi impensabili solo fino a qualche anno fa. Il giudizio prende le mosse dalla decisione di un marito di adire la giurisdizione ecclesiastica per sentir dichiarare la nullit del proprio matrimonio in ragione della decisione della moglie, asseritamente anteriore alla contrazione del matrimonio, di non avere figli. La statuizione in commento definisce la controversia con l'accoglimento del ricorso presentato dalla moglie avverso la sentenza con cui la Corte di Appello di Venezia, in sede di giudizio di rinvio, aveva dichiarato l'esecutivit della sentenza ecclesiastica di nullit matrimoniale. Il quesito di diritto su cui la Suprema Corte stata chiamata a pronunciarsi era formulato nei termini che seguono: Se possa essere riconosciuta nello Stato italiano la sentenza ecclesiastica che dichiara la nullit del matrimonio, quando i coniugi abbiano convissuto come tali per oltre un anno, nella fattispecie per vent'anni, e se detta sentenza produca effetti contrari all'ordine pubblico, per contrasto con gli artt. 123 c.c. e 29 Cost. La questione investe apertamente la vexata quaestio della rilevanza della convivenza coniugale ai fini della delibabilit e comporta un considerevole scostamento dalla pronuncia a Sezioni Unite del 1988, n. 4700, che era giunta a riconoscere la configurabilit della delibazione della sentenza ecclesiastica di nullit matrimoniale anche quando la relativa azione fosse stata proposta (*) Avvocato dello Stato. (**) Dottore in Giurisprudenza, ammesso alla pratica forense presso lAvvocatura dello Stato. 116 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 dopo che tra le parti si era protratta la convivenza successivamente alla celebrazione del matrimonio invalido. Il revirement si basa sulla considerazione che nell'ordine pubblico italiano il matrimonio rapporto ha un'incidenza rilevante e meritevole di tutela in virt dei principi emergenti dalla Costituzione e dalla disciplina codicistica dopo la riforma del 1975 (il riferimento in particolare agli artt. 120 cpv., 121 comma 3 e 123 cpv. c.c.). Pertanto, una volta che il rapporto matrimoniale prosegue nel tempo, contrario ai principi di "ordine pubblico" rimetterlo in discussione adducendo riserve mentali, o vizi del consenso, verificatisi nel momento delle nozze. In conclusione, reputato principio di ordine pubblico la tutela del rapporto coniugale dopo la celebrazione, radicato sulla condivisa convivenza dei coniugi, i quali pur potendo impugnare la nullit del matrimonio secondo le norme del codice civile, preferiscono mantenere e continuare il loro rapporto matrimoniale, nato con la celebrazione non impugnata e convalidato dalla volont di proseguire la vita matrimoniale, che, nel caso di specie, si era protratta per oltre venti anni. Del resto, seguendo il medesimo principio, la disciplina codicistica della simulazione matrimoniale riconosce efficacia invalidante soltanto alla simulazione totale intesa come esclusione (bilaterale) di ogni comunione materiale e spirituale tra i coniugi. Le parti, dunque, decadono dall'azione nel caso in cui, malgrado la iniziale volont contraria, la comunione tra loro si sia realizzata nei fatti con la convivenza come coniugi. La ratio sottesa alla previsione sempre la salvaguardia del matrimonio come rapporto e, conseguentemente, della certezza dello status coniugale: non cos nel diritto canonico in cui, in ragione della centralit assunta dalla purezza del consenso, la nullit del matrimonio (per simulazione anche unilaterale) pu essere sempre fatta valere, anche dopo molti anni di convivenza ed in presenza di stabile comunione di vita. In altri termini, mentre nel diritto canonico, in considerazione del carattere essenzialmente sacramentale del matrimonio, attribuita precipua rilevanza ad un consenso cristallino d'ambo le parti, la disciplina civilistica assume come principio inderogabile la tutela della buona fede e dellaffidamento del coniuge incolpevole nei casi in cui il coniuge autore della riserva non avesse esternato allaltro la sua intenzione. Risulta quindi evidente che la pronuncia qui in commento destinata ad incidere su due binari, tra loro sempre pi strettamente connessi: i rapporti tra Stato e Chiesa nell'ambito delle rispettive giurisdizioni e la considerazione del rapporto matrimoniale che si sta progressivamente affermando nella giurisprudenza italiana. CONTENZIOSO NAZIONALE 117 2. I rapporti tra Stato e Chiesa in tema di delibabilit delle sentenze ecclesiastiche: da controllo meramente formale ad un vaglio anche di sostanza La qualificazione dellordinamento italiano in materia religiosa desumibile dalle norme costituzionali e parte dal presupposto che nel nostro sistema le relazioni ecclesiastiche si sono volute conciliare con la tradizione di rispetto della libert religiosa, quale maturata dalla esperienza separatista, con un sistema articolato, improntato al contrattualismo, e che prevede attualmente i Patti Lateranensi, che regolano i rapporti tra Stato e Chiesa cattolica, e le Intese, che disciplinano i rapporti con i culti non cattolici. La conciliazione tra contrattualismo e libert religiosa ha portato a qualificare il nostro Stato come laico. Lart. 8 della Costituzione, affermando che tutte le confessioni sono egualmente libere di fronte alla legge, esclude cos che lo Stato sia in qualche modo portato a favorire lespansionismo di una confessione rispetto ad un'altra. La libert religiosa viene dunque intesa sia come tutela dalla discriminazione per motivi religiosi che come libert di non professare alcuna religione. La Corte costituzionale con la pronuncia n. 203 del 1989, definisce la laicit come di uno dei principi supremi dellordinamento costituzionale, e l'orientamento in parola ribadito anche dalla sentenza del 1990 n. 259. Il principio di laicit non si traduce in indifferenza, ma implica garanzia dello Stato per la salvaguardia della libert di religione nell'ambito di un regime di pluralismo confessionale e culturale. Il Protocollo addizionale alla legge 25 marzo 1985, n. 121, di ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra la Repubblica italiana e la Santa Sede esordisce, in riferimento all'art. 1, prescrivendo che Si considera non pi in vigore il principio, originariamente richiamato dai Patti Lateranensi, della religione cattolica come sola religione dello Stato italiano, con chiara allusione all'art. 1 del Trattato del 1929 che stabiliva: L'Italia riconosce e riafferma il principio consacrato nell'art. 1 dello Statuto del Regno del 4 marzo 1848, pel quale la religione cattolica, apostolica e romana la sola religione dello Stato. La scelta confessionale dello Statuto albertino, ribadita nel Trattato lateranense del 1929, viene cos anche formalmente abbandonata nel Protocollo addizionale all'Accordo del 1985, riaffermandosi anche in un rapporto bilaterale la qualit di Stato laico della Repubblica italiana. Ci premesso, evidente che ordinamento canonico ed ordinamento statuale sono due ambiti che possono rimanere reciprocamente impermeabili, ma che, in virt del procedimento di delibazione - riconoscimento - delle sentenze canoniche di nullit matrimoniale, si incontrano con importanti conseguenze in sede civilistica. Il codice civile, infatti, prevede e regola la patologia del matrimonio anche al di fuori dei percorsi pi noti di separazione e divorzio (si vedano in proposto gli articoli dall84 all88 c.c. e dal 119 al 123 c.c.) e le conseguenze pratiche di un vincolo annullato o accertato come nullo avranno valore comunque, che a pronunciarsi sia stato un tribunale statale oppure ec- 118 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 clesiastico (purch, in quest'ultimo caso, sia seguita la delibazione). Resta da precisare, tuttavia, che nel rapporto tra lo Stato Italiano e la Chiesa, a differenza che tra lo Stato Italiano ed altri Stati stranieri, la reciprocit univoca. Invero lo Stato riconosce le sentenze ecclesiastiche di nullit del matrimonio trascritto, ma la Chiesa non riconosce le sentenze di nullit di tale negozio pronunciate dal giudice statale. Nellordinamento canonico, infatti, vige ancora il principio affermato dal Concilio di Trento del XVI sec., secondo il quale, data la natura sacramentale del matrimonio tra battezzati, la nullit di detto vincolo pronunciabile solo dal giudice ecclesiastico. Alla luce del rapporto tra i due ordinamenti, ben si comprende come lo stesso abbia avuto significative ricadute sul meccanismo di delibazione. Il procedimento, finalizzato a recepire le sentenze ecclesiastiche di nullit matrimoniale nell'ordinamento italiano, risale al Concordato lateranense del 1929 (l. 27 maggio 1929, n. 810), nel cui alveo stata per la prima volta riconosciuta la validit ai fini civili (previa trascrizione) del matrimonio canonico. All'epoca, i tribunali ecclesiastici avevano competenza esclusiva in materia di nullit matrimoniale e le Corti d'Appello, in sede di delibazione, procedevano ad un controllo meramente formale. Nel 1984 seguiva, poi, la revisione del Concordato con l'Accordo di Villa Madama (l. 25 marzo 1985, n. 121) in virt del quale veniva previsto, tra l'altro, un esame non pi meramente formale ma sostanziale da parte del giudice italiano, analogo a quello che all'epoca era previsto per la delibazione delle sentenze straniere. Tale disciplina, peraltro, non stata alterata dalla legge n. 218 del 31 maggio 1995, secondo cui la necessit del giudizio di delibazione per le sentenze straniere veniva superata dal principio del riconoscimento automatico. Questo meccanismo, infatti, veniva considerato non applicabile per le sentenze ecclesiastiche, il cui iter di recepimento nell'ordinamento italiano era stato previsto da una fonte atipica, munita di copertura costituzionale, e, come tale, di rango superiore rispetto ad una legge ordinaria. E' dunque con la revisione concordataria del 1984 che si iniziano a porre le basi per un controllo sostanziale e pi pervasivo da parte del giudice della delibazione. Tuttavia, lo sviluppo in parola non potrebbe essere colto appieno nelle sue motivazioni e future evoluzioni senza considerare il ruolo essenziale giocato dalla Consulta, che gi nel 1982 aveva affermato due principi cardine in materia, ritenendo che la sentenza ecclesiastica di nullit matrimoniale pu esser dichiarata esecutiva dalla Corte di Appello solo se: (a) garantisca il diritto alla difesa e (b) non contenga disposizioni contrarie all'ordine pubblico italiano (Corte cost., sent. 2 febbraio 1982, n. 18). Nella sentenza additiva emerge chiaramente la rilevanza costituzionale dei principi ivi affermati, i quali il giudice italiano, nell'ordinario giudizio di delibazione ex art. 797 c.p.c., tenuto a soddisfare prima di dare ingresso nell'ordinamento a sentenze emesse da organi giurisdizionali ad esso estranei. In altri termini, sulle Corti CONTENZIOSO NAZIONALE 119 d'Appello incombe l'onere di controllare che nel procedimento ecclesiastico siano stati rispettati gli elementi essenziali del diritto di agire e resistere in difesa dei propri diritti, e garantita la tutela dell'ordine pubblico italiano, onde impedire l'attuazione nell'ordinamento delle disposizioni contenute nella sentenza medesima che siano ad esso contrarie. Entrambe le esigenze si ricollegano a principi ascrivibili nel novero dei principi supremi dell'ordinamento costituzionale e pertanto ad essi non possono opporre resistenza le norme denunciate, pur assistite da copertura costituzionale, nella parte in cui si pongono in contrasto con i principi medesimi (illegittimit costituzionale parziale dell'art. 1 della l. 810/1929, nella parte in cui d esecuzione all'art. 34, del Concordato, comma sesto, dell'11 febbraio 1929, e dell'art. 17, comma 2, della l. 27 maggio 1929, n. 847, nella parte in cui tali norme non prevedono che alla Corte d'appello, all'atto di rendere esecutiva la sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullit di matrimonio canonico trascritto agli effetti civili, spetta accertare che nel procedimento innanzi ai tribunali ecclesiastici sia stato assicurato alle parti il diritto di agire e resistere in giudizio a difesa dei propri diritti, e che la sentenza medesima non contenga disposizioni contrarie all'ordine pubblico italiano). Del resto, il diritto alla tutela giurisdizionale sancito dall'art. 24 Cost., oltre ad essere qualificabile come diritto inviolabile dell'uomo, da ascrivere, nel suo nucleo pi ristretto ed essenziale, fra i princpi supremi dell'ordinamento italiano, perch connesso con lo stesso principio di democrazia assicurare a tutti e sempre, per qualsiasi controversia, un giudice e un giudizio rispettosi dei principi costituzionali. Allo stesso modo l'inderogabile tutela dell'ordine pubblico, e cio delle regole fondamentali poste dalla Costituzione e dalle leggi a base degli istituti giuridici in cui si articola l'ordinamento positivo nel suo perenne adeguarsi all'evoluzione della societ, imposta soprattutto a presidio della sovranit dello Stato, quale affermata nel comma secondo dell'art. 1, e ribadita nel comma primo dell'art. 7 Cost. 3. Il controllo sostanziale nell'evoluzione della giurisprudenza della Cassazione: la giurisdizione italiana e il divenire del limite di ordine pubblico La strada aperta nei termini poc'anzi riferiti dalle sentenze della Corte costituzionale stata nell'ultimo trentennio ampiamente esplorata dalla Cassazione nel tentativo di estendere l'incidenza del giudizio di delibabilit, fino a giungere a configurazioni del rapporto coniugale anche profondamente diverse da quelle fatte proprie dal diritto canonico. Ripercorrendo l'evoluzione storica della giurisprudenza di legittimit in materia, possono individuarsi tre periodi di particolare interesse. Un primo periodo, che va dall'entrata in vigore della Costituzione fino agli accordi di villa Madama del 1984, caratterizzato dalle profonde ed incisive modifiche del contesto sociale, culturale, economico, mette in luce l'applicazione dei principi costituzionali e la ferma volont di limitare gli effetti dei 120 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 Patti Lateranensi di fronte alla nuova legislazione (diritto di famiglia e divorzio), mantenendo in vita gli obblighi e i rapporti verso i soggetti pi deboli della famiglia, nonostante l'annullamento del matrimonio religioso. Un secondo periodo, che va dall'entrata in vigore del nuovo Concordato alla fine del secolo scorso, caratterizzato da un clima politico profondamente modificato. Di fronte al nuovo testo, dai pi ritenuto volutamente ambiguo, si evidenziano ripensamenti e perplessit, tra chi considera ormai perduta la riserva di giurisdizione a favore del matrimonio canonico e chi si adopera a favore di una ritrovata riserva di giurisdizione. Il terzo quello attuale, nel quale, lentamente, emerge una giurisprudenza della Cassazione costituzionalmente orientata che, in forza della clausola dell'ordine pubblico, rivaluta il rapporto matrimoniale. In quest'ultimo ambito si colloca a pieno titolo la sentenza 1343/2011, che rappresenta l'approdo di un percorso lento ma inesorabile. Dallesame delliter giurisprudenziale riferibile alla tripartizione temporale sopra richiamata emergono alcune pronunce significative, incidenti su aspetti specifici e nel complesso volte ad ampliare i confini del giudizio di delibazione. Di estremo interesse la pronuncia delle Sezioni Unite, n. 1824 del 1993 in tema di giurisdizione. Nella fattispecie, la ricorrente adiva il giudice di legittimit al fine di ottenere la dichiarazione della sussistenza della riserva di giurisdizione in capo ai tribunali ecclesiastici in materia di annullamento matrimoniale; pi precisamente la questione prospettata dalla ricorrente si sostanziava nello stabilire se, nell'Accordo di revisione del Concordato lateranense stipulato il 18 febbraio 1984, sia stata conservata la riserva di giurisdizione esclusiva dei tribunali ecclesiastici nelle cause di nullit del matrimonio contratto da cittadini italiani secondo il rito canonico. La Corte, dopo un confronto tra vecchia e nuova normativa con riferimento allaccordo di revisione del 1984, specifica che quest'ultimo parte da volont contrattuali differenti rispetto a quelle che hanno caratterizzato il Concordato del 1929. Mentre nell'accordo previgente l'automatismo della delibazione era riconnesso all'esclusivit della giurisdizione ecclesiastica in materia di nullit matrimoniale, nel nuovo testo si espressamente tenuto conto "del processo di trasformazione politica e sociale verificatosi in Italia negli ultimi decenni e degli sviluppi promossi nella Chiesa del Concilio Vaticano II", "avendo presenti, da parte della Repubblica italiana, i principi sanciti dalla sua Costituzione, e, da parte della Santa Sede, le dichiarazioni del Concilio ecumenico Vaticano II circa la libert religiosa e i rapporti fra la Chiesa e la comunit politica, nonch la nuova codificazione del diritto canonico"; e si affermato, in armonia con l'art. 7 Cost., che Stato e Chiesa sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani (art. 1). E' vero che lo Stato riconosce CONTENZIOSO NAZIONALE 121 alla Chiesa l'esercizio della giurisdizione in materia ecclesiastica (art. 2 n. 1) e attribuisce effetti civili ai matrimoni contratti secondo le norme del diritto canonico (art. 8 n. 2), ma nell'Accordo del 1984 non si rinviene una disposizione che sancisca il carattere esclusivo della giurisdizione ecclesiastica in materia matrimoniale, qual era contenuta nell'art. 34 del Concordato del 1929. Sul piano di assoluta parit delle rispettive sfere di sovranit assunto dalle Parti, l'Accordo di revisione non contiene alcuna disposizione dalla quale la giurisdizione in materia matrimoniale appaia come una prerogativa dell'ordinamento canonico (s che la Chiesa debba consentire la giurisdizione statale in tema di separazione personale) e non come espressione di sovranit riconosciuta concorrentemente a entrambi gli ordinamenti. N in esso vi alcun accenno alla sacramentalit del matrimonio ed alla volont dello Stato di uniformarsi alla tradizione cattolica, s che il matrimonio canonico non viene pi recepito come tale, nella sua sacramentalit, e quello civile assume dignit non inferiore a quello disciplinato dal diritto canonico. In questa nuova logica risulta chiaro il significato da attribuire all'art. 13 dell'Accordo, nella parte in cui stabilisce che le disposizioni del Concordato (del 1929), non riprodotte nel nuovo testo, sono abrogate, facendosi salvo soltanto quanto previsto dall'art. 7, n. 6, non riguardante la materia matrimoniale. La norma vuol dire che il massimo del sacrificio dalle proprie prerogative, consentito da ciascuna Parte, quello che risulta espressamente dall'Accordo, oltre al quale non possibile ammetterne altri. Pertanto, poich l'art. 8 n. 2 dell'Accordo di revisione riproduce, sia pure con rilevanti modificazioni, le disposizioni dell'art. 34 relative alla delibazione, ma non anche quella contenente la riserva di giurisdizione ai tribunali ecclesiastici delle cause concernenti la nullit del matrimonio, quest'ultima disposizione rimasta abrogata ai sensi dell'art. 13. Con il venir meno della riserva, anche i poteri del giudice italiano in sede di delibazione sono profondamente mutati, nel senso che come l'automatismo sancito dal Concordato del 1929, pur se man mano attenuato nella giurisprudenza, si raccordava al carattere esclusivo della giurisdizione ecclesiastica, cos la nuova disciplina della delibazione, com' ora impostata quale cerniera tra le due giurisdizioni e raccordo tra due concorrenti competenze, depone nel senso della negazione del carattere esclusivo della giurisdizione ecclesiastica nelle cause di nullit del matrimonio. Venuta meno la riserva di giurisdizione in materia ecclesiastica la delibazione non pi automatica e la barriera al riconoscimento legata alla incompatibilit assoluta con lordinamento interno, sostanziatosi nel concetto di ordine pubblico, assoluto e relativo. In questo senso si deve richiamare la pronuncia delle Sezioni Unite n. 19809 del 2008, che ha ritenuto non delibabili le sentenze ecclesiastiche di nullit matrimoniale contraddistinte da incompatibilit assoluta con l'ordine pubblico italiano, ritenendo viceversa possibile la delibazione in caso di 122 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 incompatibilit relativa. Pi nel dettaglio, l'incompatibilit con l'ordine pubblico interno delle sentenze di altri ordinamenti "assoluta" allorch i fatti a base della disciplina applicata nella pronuncia di cui chiesta la esecutivit e nelle statuizioni di questa, anche in rapporto alla causa petendi della domanda accolta, non sono in alcun modo assimilabili a quelli che in astratto potrebbero avere rilievo o effetti analoghi in Italia. L'incompatibilit con l'ordine pubblico interno va qualificata invece "relativa", quando le statuizioni della sentenza ecclesiastica, eventualmente con la integrazione o il concorso di fatti emergenti dal riesame di essa ad opera del giudice della delibazione, pure se si tratti di circostanze ritenute irrilevanti per la decisione canonica, possano fare individuare una fattispecie almeno assimilabile a quelle interne con effetti simili. Solo le incompatibilit assolute impediscono l'esecutivit in Italia della sentenza ecclesiastica, potendosi, invece, superare quelle relative in ragione del peculiare rilievo che lo Stato italiano si impegnato a riconoscere a tali pronunce. Non si tratta quindi di mere differenze di disciplina tra i due ordinamenti, ma del rilievo cogente della formazione e manifestazione del consenso per il nostro ordine pubblico interno, i cui vizi possono risultare solo da circostanze esterne e oggettive, potendo riconoscersi la efficacia in Italia della sentenza attuativa dell'ordinamento canonico, sempre che abbia deliberato in base a circostanze oggettive, e non solo per aver dato attuazione a valori che, per il sistema interno, sono metagiuridici, rispettabili e significativi per il foro interno e la coscienza personale, ma non assumibili come rilevanti per l'ordine pubblico italiano. Il caso concreto esaminato dalla Suprema Corte aveva ad oggetto una nascosta infedelt prematrimoniale di uno dei coniugi, e se la stessa potesse incidere come errore sulla qualit della persona ai fini di estendersi fino alla validit del consenso prestato dallaltro coniuge. La decisione interessa, anche perch evidenzia la differenza relativamente ai vizi del consenso tra diritto civile e diritto canonico. La disciplina civilistica dei vizi del consenso attinenti alla materia matrimoniale, troppo spesso ritenuta secondaria rispetto a quella canonistica, pi restrittiva. Nell'ordinamento italiano, infatti, la gamma dei vizi del consenso, per quanto ampliata dalla riforma del 1975, non comprende ogni possibile vizio della volont, restandone esclusi la riserva mentale, il dolo e l'errore nei casi diversi da quelli espressamente previsti. Con particolare riferimento all'errore, la disciplina vigente contempla, accanto all'errore sull'identit, l'errore, determinante e essenziale, su qualit dell'altro coniuge, che integri una delle ipotesi elencate dall'art. 122, comma 3, c.c. In altre parole, l'errore si risolve in un vizio invalidante solo ove esso realizzi una situazione capace di inibire il rapporto coniugale, di modo che il vizio del matrimonio-atto si traduca in un vizio del matrimonio-rapporto, divenuto, in tal modo, inidoneo a perseguire i suoi fini. CONTENZIOSO NAZIONALE 123 4. Conclusioni Dal percorso giurisprudenziale sopra richiamato risulta evidente il continuum tra la sentenza 19809/2008 e la 1343/2011 nell'attribuire rilievo al matrimonio- rapporto come limite di ordine pubblico in grado di rendere non delibabili sentenze ecclesiastiche di nullit, i cui effetti ex tunc rischiano di incidere negativamente sulla certezza dello status coniugale, soprattutto quando vengano pronunciate dopo diversi anni di convivenza. In altre parole, la volont di protrarre la convivenza quando si sarebbe potuto chiedere lo scioglimento ab origine del vincolo sana, ai fini civilistici, l'eventuale vizio del matrimonio-atto. Ne risulta una diversa configurazione del rapporto coniugale sotto l'aspetto civilistico e canonistico, espressione in una certa misura dell'indipendenza di due ordinamenti posti, anche in questa materia, in posizione paritaria, ciascuno dei quali tutela i valori che avverte come principi supremi e fondativi. Sotto un profilo puramente statistico, pu essere utile evidenziare che sono molto rare le richieste di annullamento quando sia intercorso un lungo periodo di convivenza tra le parti, pertanto il clamore destato dalla pronuncia tra gli operatori del settore forse pu essere ridimensionato. Da ultimo, pare opportuno porre in luce che la sentenza qui in commento costituisce altres espressione della rilevanza del divenire dei principi di ordine pubblico in materia familiare nell'interpretazione giurisprudenziale. In questo senso i giudici civili si sono fatti portatori della evoluzione storico-sociale dei costumi, delle istanze della collettivit e degli istituti giuridici. A ben vedere, infatti, dietro le ultime pronunce analizzate si pu forse scorgere una tendenza giurisprudenziale a valorizzare il matrimonio come rapporto, sempre pi considerato, come si visto, il vero fulcro della relazione coniugale, nel protrarsi di una convivenza stabile. Tuttavia, le risultanze sinora individuate non appaiono ancora come un approdo definitivo, se si considera che la convivenza assume rilievo anche nelle unioni di coppia diverse dal matrimonio e probabilmente la Corte si fatta portatrice anche della evoluzione sociale e politica sul punto. In questo senso appare quanto mai opportuno il richiamo alla recentissima sentenza n. 12278/2011, con cui la Suprema Corte ha equiparato la famiglia tradizionale alle unioni di fatto ai fini del risarcimento del danno, attribuendo a queste ultime la rilevanza sociale di sodalizio familiare strutturato al pari di quella legittima e quindi degna anch'essa di tutela giuridica. Quel che pu azzardarsi al riguardo una possibile futura saldatura, almeno parziale, degli indirizzi giurisprudenziali richiamati alla luce della considerazione che, se la convivenza rileva anche nelle c.d. famiglie di fatto, a maggior ragione non pu non riconoscersi un valore pregnante alla stessa nel matrimonio per come costituzionalmente previsto. 124 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 Cassazione, Sez. I civ., sentenza 20 gennaio 2011 n. 1343 - Rel. Pres. P. Vittoria, P.M. P. Abbritti (conforme). (Omissis) Svolgimento del processo 1. - V.G.M., con citazione 26 novembre 2002, conveniva in giudizio davanti alla corte d'appello di Venezia R.M. L.. Esponeva d'avere contratto con lei matrimonio concordatario il (...). Il matrimonio era stato dichiarato nullo dal Tribunale ecclesiastico regionale ligure con sentenza 25 novembre 1994, confermata dal Tribunale ecclesiastico della Rota Romana e dichiarata esecutiva dal Supremo tribunale della Segnatura apostolica con Decreto del 29 marzo 2001. L'attore chiedeva quindi che fosse dichiarata l'efficacia agli effetti civili della pronuncia di nullit del matrimonio. R.M.L. si opponeva alla domanda e tra l'altro deduceva che la pronuncia di nullit era in contrasto con l'ordine pubblico italiano, perch mancava la prova che il suo rifiuto di avere figli fosse anteriore al matrimonio. 2. - La corte d'appello di Venezia, con sentenza 15 ottobre 2002, rigettava la domanda. Considerava che dagli atti del processo ecclesiastico non risultava che la R. avesse manifestato al marito, prima del matrimonio, la volont di non avere figli e neppure che una tale intenzione fosse riconoscibile: conseguentemente la decisione del tribunale ecclesiastico doveva essere ritenuta in contrasto con l'ordine pubblico. 3. - Su ricorso di V.G.M. proposto per due motivi, questa Corte, con sentenza 28 gennaio 2005, ne accoglieva il secondo, dichiarava assorbito il primo, cassava e rinviava alla corte di appello di Venezia. 4. - La Corte, in quella circostanza, ha osservato che la corte d'appello di Venezia aveva ritenuto che il limite dell'ordine pubblico impedisce la dichiarazione di esecutivit della sentenza ecclesiastica, qualora l'intentio contraria ad uno dei bona matrimonii, riferibile ad uno solo degli sposi, non sia stata conosciuta e conoscibile da parte dell'altro, anche se - come nella specie era accaduto - la relativa domanda sia stata proposta dal coniuge ignaro. Cassando la sentenza ha enunciato il seguente principio di diritto: - "La dichiarazione di esecutivit nell'ordinamento italiano della sentenza ecclesiastica che dichiara la nullit del matrimonio concordatario, a causa dell'esclusione da parte di uno dei coniugi di uno dei bona matrimonii, trova ostacolo nell'ordine pubblico, qualora detta esclusione sia rimasta nella sfera psichica del suo autore e non sia stata manifestata, ovvero conosciuta o conoscibile dall'altro coniuge, in quanto si pone in contrasto con l'inderogabile principio della tutela della buona fede e dell'affidamento incolpevole, il quale tuttavia ricollegato ad un valore individuale che appartiene alla sfera di disponibilit del soggetto ed preordinato a tutelare questo valore contro gli ingiusti attacchi esterni. Pertanto, al suo titolare va riconosciuto il diritto di scegliere la non conservazione del rapporto viziato per fatto dell'altra parte e, conseguentemente non sussiste ostacolo alla delibazione della sentenza nel caso in cui il coniuge che ignorava, o non poteva conoscere, il vizio del consenso dell'altro coniuge chieda la dichiarazione di esecutivit della sentenza ecclesiastica da parte della Corte d'appello". 5. - Il giudizio stato riassunto da V.G.M. e davanti alla corte d'appello in sede di rinvio R.M. L. si costituita ed ha riproposto le proprie precedenti difese. CONTENZIOSO NAZIONALE 125 Il giudice di rinvio - dopo aver constatato che il caso oggetto della domanda era appunto quello descritto nel principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione - soffermandosi sulle difese svolte dalla R. - ha osservato - secondo quanto viene riferito nella sentenza di rinvio - che costei aveva insistito su altra questione, ostativa al riconoscimento della sentenza ecclesiastica, gi dedotta nel precedente grado di merito, concernente la problematica relativa all'applicabilit del limite posto dall'art. 123 c.c.. La R. - cos riferisce la corte d'appello di Venezia - sosteneva che, stante la convivenza ventennale tra i coniugi dopo la celebrazione del matrimonio, alla stregua della citata norma del codice civile - espressione di un principio di ordine pubblico sarebbe stata inibita la dichiarazione di simulazione del matrimonio (certamente equivalente al caso che era in esame), con la conseguenza che la sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullit del matrimonio per esclusione dei "bona matrimonii" non avrebbe potuto essere riconosciuta nel nostro ordinamento. Al riguardo - giudicando la questione non fondata - la corte d'appello ha rilevato che la giurisprudenza di questa Corte era molto chiara nel senso di ritenere che il principio di cui all'art. 123 c.c., e di conseguenza il suo presupposto in fatto, cio la convivenza, non costituiscono espressione di principi e regole fondamentali all'istituto del matrimonio. 6. - Della sentenza 11 giungo 2007 della corte d'appello di Venezia pronunziata in sede di rinvio, a lei notificata il 3 ottobre 2007, R.M.L. ha chiesto la cassazione con ricorso, la cui notifica, chiesta il 3 dicembre 2007 - successivo a giorno festivo - stata eseguita il 6 dicembre 2007. V.G.M. ha resistito con controricorso. Motivi della decisione 1. - Il ricorso contiene un motivo. La cassazione vi chiesta per il vizio di violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione alla L. 25 marzo 1985, n. 121, art. 8; L. 31 maggio 1995, n. 219, art. 64, lett. g); art. 123 c.c., e art. 29 Cost.). E' concluso dal seguente quesito di diritto: - "Se possa essere riconosciuta nello Stato italiano la sentenza ecclesiastica che dichiara la nullit del matrimonio, quando i coniugi abbiano convissuto come tali per oltre un anno, nella fattispecie per vent'anni, e se detta sentenza produca effetti contrari all'ordine pubblico, per contrasto con l'art. 123 c.c., e art. 29 Cost.". 2. - La parte ha ripercorso l'itinerario della giurisprudenza di legittimit osservando, che sino alla sentenza 4701 del 1988 delle sezioni unite, la Corte s era in prevalenza orientata nel senso di riconoscere la contrariet all'ordine pubblico della sentenza del tribunale ecclesiastico che non avesse tenuto in conto la disposizione dell'art. 123 c.c., comma 2, e ci perch l'effettiva instaurazione del rapporto matrimoniale con la pienezza della convivenza morale e materiale dei coniugi avrebbe precluso ogni possibilit di far valere vizi simulatori dell'atto matrimoniale - come sentenze orientate in questo senso ha indicato la 192 del 1988, le 5358 e 5354 del 1987. Dopo aver affermato che - come risultava dalla citazione in riassunzione - il matrimonio era stato contratto nel (...) e la separazione era stata omologata nel (...), la parte ha concluso dicendo di reputare che "vanificare una convivenza ventennale con perdita per la ricorrente dei diritti derivati dal matrimonio dichiarato nullo (in caso di passaggio in giudicato della sentenza ora impugnata) sia in contrasto, oltre che con l'ordine pubblico, con il dettato costituzionale, che all'art. 29 assicura l'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi". 126 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 Dal canto suo il resistente ha ribattuto richiamandosi a quanto statuito, in senso contrario, nella sentenza 4700 del 1988 delle sezioni unite e poi in una successiva decisione, indicata nella sentenza 10143 del 2002. 3. - Il motivo fondato. La rivisitazione della precedente giurisprudenza della Corte, compiuta in questa materia dalle sezioni unite con la sentenza 18 luglio 2008 n. 19809, ha consentito di mettere in rilievo che "L'ordine pubblico interno matrimoniale evidenzia un palese "favor" per la validit del matrimonio quale fonte del rapporto familiare incidente sulla persona e oggetto di rilievo e tutela costituzionali, con la conseguenza che i motivi per i quali esso si contrae, che, in quanto attinenti alla coscienza, sono rilevanti per l'ordinamento canonico, non hanno di regola significato per l'annullamento in sede civile". Nella medesima decisione si osservato come nella sentenza 6 marzo 2003 n. 3339 fosse stato dato implicito rilievo anche al matrimonio - rapporto, che nell'ordine pubblico italiano ha una incidenza rilevante, per i principi emergenti dalla Costituzione e dalla riforma del diritto di famiglia, ed impedisce di annullare il matrimonio dopo che iniziata la convivenza e spesso se questa durata per un certo tempo (come si desume dall'art. 120 cpv c.c., art. 121 c.c., comma 3, e art. 123 cpv. c.c.). Si quindi osservato che "Non appare condivisibile, alla luce della distinzione enunciata tra cause di incompatibilit assoluta e relativa delle sentenze di altri ordinamenti con l'ordine pubblico interno, qualificare come relative quelle delle pronunce di annullamento canonico intervenute dopo molti anni di convivenza e di coabitazione dei coniugi, ritenendo l'impedimento a chiedere l'annullamento di cui sopra mera condizione di azionabilit da considerare esterna e irrilevante come ostacolo d'ordine pubblico alla delibazione". La considerazione di fondo che sorregge tale scelta in ci, che, riferita a date situazioni invalidanti dell'atto matrimonio, la successiva prolungata convivenza considerata espressiva di una volont di accettazione del rapporto che ne seguito e con questa volont incompatibile il successivo esercizio della facolt di rimetterlo in discussione, altrimenti riconosciuta dalla legge. La Corte condivide questa impostazione. Ritiene dunque che la sentenza impugnata presenti il vizio denunziato nel motivo, per avere considerato in linea di principio non ostativa alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullit del matrimonio, pronunciata a motivo del rifiuto della procreazione, sottaciuto da un coniuge all'altro, la loro particolarmente prolungata convivenza oltre il matrimonio. 4. - Il ricorso accolto e la sentenza cassata. 5. - La Corte ritiene che - dedotto e non contestato che la convivenza si protratta per quasi un ventennio - non siano necessari ulteriori accertamenti per addivenire sulla domanda ad una pronunzia di merito, che rientra dunque, secondo l'art. 384 c.p.c., nei suoi poteri. La conclusione che la domanda deve essere rigettata. 6. - Le spese dell'intero giudizio debbono essere interamente compensate: il processo ha conosciuto alterne vicende e nel suo corso gli orientamenti della giurisprudenza si sono venuti modificando. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e pronunciando nel merito rigetta la domanda; compensa le spese dell'intero giudizio. CONTENZIOSO NAZIONALE 127 Elusione ed evasione, interposizione e simulazione, abuso del diritto tributario non armonizzato. Querelles antiche e nuove sulle orme di un reasoning del Supremo Collegio (Nota a Cassazione, Sez. V Civile, sentenza 26 febbraio 2010, n. 4737) Federico Maria Giuliani, LL.M.* SOMMARIO: 1. Il caso concreto e la questione allesame della Sezione Tributaria. - 2. Le soluzioni del Supremo Collegio. - 3. Considerazioni a margine. - 4. Spunti giurisprudenziali e dottrinali. 1. Il caso concreto e la questione allesame della Sezione Tributaria Lagenzia delle Entrate di Avellino accerta un (cospicuo) maggior reddito IRPEF a carico di una persona fisica residente in Italia, sportivo professionista, relativamente al periodo dimposta 1993. Laccertamento, afferente il reddito di lavoro dipendente del contribuente, si basa su di un p.v.c. redatto dai militari della Guardia di Finanza, nel quale evidenziato che una limited liability company avente sede in Dublino aveva stipulato, con altra societ irlandese, un contratto per lacquisizione di diritti di sfruttamento dellimmagine di atleti ingaggiati da societ sportive appartenenti a una medesima holding. A mezzo di tali contratti - osserva lente accertatore - latleta individuato in codice con le ultime due lettere del nome e del cognome, cos da garantirgli allestero una considerevole integrazione dellingaggio per le prestazioni sportive da lui rese, risiedendo in Italia, alla societ sportiva italiana. Impugnato laccertamento, il contribuente soccombe sia in prime cure sia nel giudizio dappello. Al che propone ricorso per cassazione. In tale sede si discute, anzitutto (primo motivo), di violazione e/o falsa applicazione dellart. 37, comma 3, d.p.r. n. 600 del 1973, nonch di un asserito vizio motivazionale, sul punto stesso, della sentenza della commissione tributaria regionale della Campania. Tralasciando il secondo motivo di ricorso, aggiungiamo che, con il terzo e il quarto motivo, si lamenta ancora un vizio motivazionale in tema di prova della percezione dei compensi accertati da parte del ricorrente. Quanto al primo motivo, ad avviso del contribuente mancherebbe la prova della simulazione soggettiva contemplata dal 3 comma dellart. 37 del d.p.r. n. 600/1973, poich si sarebbe nellaccertamento - e di riflesso nella sentenza impugnata - provato al pi loggetto delle pattuizioni simulatorie ma non il soggetto cui il reddito effettivo dovrebbe essere attribuito. Ci in quanto - os- (*) Libero Foro di Milano. Cassazionista. 128 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 serva il ricorrente - lAgenzia sostanzialmente attribuisce al ricorrente soltanto la consapevolezza della triangolazione simulatoria (interponente-interposto/ beneficiario apparente-beneficiario effettivo), e non gi la sua effettiva partecipazione ad essa. Strettamente legati a questo assunto difensivo, sono poi il terzo e il quarto motivo di ricorso, che la Sezione Tributaria della Corte tratta congiuntamente, al paragrafo 2.4 della motivazione su riportata. In buona sostanza, ivi la parte sostiene che nella sentenza dappello manchi una degna motivazione sulla questione se i compensi de quibus siano stati effettivamente percepiti dallo sportivo professionista residente in Italia - e non siano invece, per esempio, rimasti nel patrimonio della societ irlandese. Al di sotto - in un certo senso - di questi motivi di ricorso, si pongono rilevanti questioni di diritto tributario, antiche e attualissime al contempo, in materia di elusione e di evasione, nonch di abuso e di simulazione. E infatti, per sciogliere i nodi sollevati dai quesiti postigli, il Giudice di Legittimit deve chiedersi: a) qual lesatta portata dellart. 37, comma 3, d.p.r. n 660/1973? La simulazione in esso contemplata solamente quella soggettiva - quale emerge dalla lettera della norma - oppure anche quella oggettiva, attinente al contratto piuttosto che non ai soggetti? b) e qual il rapporto fra il 3 comma dellart. 37, test menzionato, e lart. 37-bis dello stesso d.p.r. n. 600 del 1973? Detto altrimenti, la norma antielusiva per antonomasia, cio lart. 37-bis, interviene in applicazione l dove, in presenza di simulazione oggettiva, non soccorre lart. 37, comma 3? c) e siccome lart. 37-bis appena ricordato fu introdotto con legge del 1997, quid iuris per lepoca antecedente in tema di simulazione (oggettiva), come nel caso di specie che risale al 1993? d) come si pone, rispetto a tutto ci, lampia elaborazione della Suprema Corte in punto di abuso del diritto tributario? e) infine, sul piano strettamente probatorio, come si prova efficacemente, in accertamento, la simulazione in una fattispecie quale quella in esame? 2. Le soluzioni del Supremo Collegio Osserva la Sezione Tributaria di piazza Cavour che, nel caso concreto di cui trattasi, sussistono e si compenetrano - in collegamento - ambedue le forme di simulazione: (i) quella soggettiva perch la societ irlandese interposta, facente capo allo sportivo professionista, percepisce al fine somme di denaro dalla societ sportiva italiana, le quali au fond - cio al di l del velo societario estero, soggettivamente interposto - sono erogate allo sportivo stesso, il quale residente in Italia ai fini delle imposte sui redditi; (ii) quella oggettiva, perch (parte de) il contratto di lavoro subordinato, intercorrente tra la societ sportiva italiana e latleta, e(s)tero-vestito da contratto a titolo oneroso per lo sfrut- CONTENZIOSO NAZIONALE 129 tamento della immagine dello sportivo stesso. Per quel che concerne in particolare la simulazione oggettiva, i Giudici della Quinta Sezione bene precisano che, contrariamente a quanto allega parte ricorrente, va condiviso lorientamento dottrinale e giurisprudenziale, secondo cui essa pu ben essere accertata e contestata nellambito della verifica tributaria sulla imposizione reddituale. Quanto allargomento (sempre del ricorrente), giusta il quale la sentenza dappello si sarebbe limitata ad asserire una consapevolezza, in capo allatleta professionista, dellaccordo trilatero simulatorio (v. par. prec.), la Corte respinge una tale tesi, formalistica e debole, precisando che si anche acclarato e affermato, nella sentenza impugnata, che la societ sportiva e latleta avevano pattuito di deviare, per cos dire, parte del compenso sulla societ estera facente capo allo stesso sportivo, a titolo di apparente corrispettivo per lo sfruttamento dei diritti della di lui immagine. Si posta, poi, la questione dellepoca della entrata in vigore dellart. 37- bis del decreto sullaccertamento, il quale articolo notoriamente risale al 1997, laddove invece le contestazioni dellAgenzia delle Entrate allo sportivo professionista, nel caso di specie, riguardano lanno 1993. Su questo punto, che concerne la norma antielusiva generale in materia reddituale, il Collegio ritiene che la questione sia meritevole di esame, e che sia altres superabile a mezzo della teorica dellabuso del diritto in materia tributaria, quale si sviluppato negli ultimi anni nella giurisprudenza dello stesso Supremo Collegio. In particolare, i Giudici della Quinta Sezione affermano che, anche con riferimento ai tributi non armonizzati nellambito UE - e dunque in materia dimposizione reddituale come nel caso di specie, e non in materia dimposta sul valore aggiunto -, vale e si applica la teoria dellabuso quale principio generale antielusivo, secondo il quale non sono opponibili allamministrazione finanziaria i negozi stipulati in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino loperazione e aventi il solo fine di conseguire un beneficio fiscale a mezzo delluso distorto di strumenti giuridici. Un siffatto principio, nei tributi non armonizzati in ambito UE qual la nostra IRPEF, discende - rammenta il Supremo Collegio - dai principi costituzionali della capacit contributiva e della progressivit delle aliquote, di cui allart. 53 della Carta fondamentale. S che la questione del tempo di entrata in vigore dellart. 37-bis del decreto sullaccertamento si dilegua. E infatti la Sezione Tributaria, riprendendo da ultimo le Sezioni Unite (Cass., Sez. Un., 23 dicembre 2008, n. 30055 e Cass., Sez. Un., 26 giugno 2009, n. 15029), afferma che irrilevante che il periodo dimposta accertato, nel caso di specie, sia il 1993 laddove la norma antielusiva in materia reddituale del 1997, poich la teoria dellabuso si fonda - come test detto - sullart. 53 della Carta fondamentale, e dunque retroagisce rispetto allingresso dellart. 37-bis nellordinamento. 130 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 Residua, infine, la tesi difensiva secondo cui non vi sarebbe stata data degna motivazione sullavvenuta percezione, da parte dellatleta, delle somme estero-vestite. Al riguardo il Supremo Collegio si pronuncia nel senso della fondatezza del motivo di ricorso, ravvisando in effetti, nella impugnata sentenza, una motivazione contraddittoria e/o insufficiente. 3. Considerazioni a margine Come anticipato, i temi e la fattispecie concreta allesame del Collegio nella causa in rassegna sono antichi e nuovi. Antichi, poich le e(s)tero-vestizioni di compensi agli atleti professionisti residenti in Italia costituiscono dati operazionali che subito rimandano a casi ben noti della nostra giurisprudenza tributaria, quali in primis laffaire di Diego Armando Maradona, il quale pure aveva fatto deviare, in combutta con la societ calcistica partenopea, parte dei suoi corrispettivi di lavoro nelle casse intermedie di una societ di Vaduz facente capo al campione, la quale formalmente gli erogava quella stessa parte di compensi a titolo di corrispettivo per lo sfruttamento della immagine. Constano storicamente, al riguardo, una cristallina pronuncia dellallora Commissione Tributaria di 1 grado di Napoli, favorevole al fisco, e successivamente la sentenza dappello della Commissione Tributaria di 2 grado, la quale stata meno apprezzata di quella di prime cure, da parte della dottrina che si occup subito di quel processo (FALSITTA). Nuovi sono per, al contempo, i temi e la fattispecie concreta qui allesame della Corte - si diceva -, perch nel frattempo si sviluppata, nella giurisprudenza del Supremo Collegio (anche) nella materia tributaria, la teorica dellabuso del diritto, la quale in ambito fiscale poggiata essenzialmente su due basi, a seconda dei tributi che vengono in considerazione; e infatti, se per quel che riguarda i tributi armonizzati a livello europeo - e dunque lI.V.A. in particolare - il fondamento reperito nella giurisprudenza della Corte di Giustizia, per quel che concerne invece i tributi non armonizzati, la giurisprudenza tende a fare discendere la teoria dellabuso tributario dallart. 53 della Carta fondamentale. Antica e nuova, al contempo, poi la questione se, allinterno dei poteri della pubblica amministrazione in materia dimposte sui redditi, rientri anche quello di fare valere, in sede accertativa, la simulazione posta in essere dal contribuente. Questa questione antica, poich da sempre si afferma che, fra i terzi di cui allart. 1415 cpv. c.c., rientra anche - e soprattutto, qualcuno ha precisato - lamministrazione finanziaria; nuova daltronde la medesima questione perch, se lantico assunto test formulato prospettava lazione di simulazione esercitata dal fisco dinnanzi allA.G.O., la dottrina pi recente, dopo averne messo in luce le carenze strutturali e funzionali, ha piuttosto invocato lapplicazione delle norme del codice civile sulla simulazione (in particolare il pre- CONTENZIOSO NAZIONALE 131 detto art. 1415), anche nel diverso contesto del plesso dei public powers contemplati dal d.p.r. n. 600 del 1973. Sicch, in questultima prospettiva, si tende a dimostrare - e per leffetto ad affermare - che anche concretamente, in sede di accertamento reddituale - oltre che astrattamente in azione civile -, lAgenzia delle Entrate pu contestare e dimostrare la sussistenza della simulazione secondo i parametri di cui agli artt. 1414 ss. c.c., trasposti allinterno del procedimento accertativo. Ci premesso, andiamo a vedere come la Corte ha risolto queste problematiche con riferimento al caso in rassegna. Anzitutto affermano i Giudici della Sezione Tributaria, senza circonlocuzioni dubitative di sorta, che merita respingimento leccezione del privato ricorrente, secondo cui la simulazione oggettiva - a differenza di quella soggettiva di cui allart. 3 comma dellart. 37, d.p.r. n. 600/1973 - non potrebbe ex lege rientrare nellambito dei poteri accertativi spettanti allAgenzia delle Entrate. Lassunto in diritto motivato mediante il richiamo a un paio di precedenti dello stesso Supremo Collegio (Cass., 26 ottobre 2005, n. 28816; Cass., 10 giugno 2005, n. 12353). Si tratta di unaffermazione di notevole momento, poich essa - molto lucidamente ad avviso di chi scrive - oltrepassa e accantona, in modo netto e assoluto, quella lettura angusta dellartt. 37, comma 3, la quale, arrestandosi al dato meramente letterale della disposizione - e concependo la medesima come attributiva di una sorta di potere ad hoc (stra-ordinario, per certi versi) dato agli enti accertatori -, perviene appunto al riduttivo esito ermeneutico, secondo cui solamente linterposizione fittizia di persona, e dunque la simulazione soggettiva, rientra non soltanto nella sfera di applicazione della norma stessa, ma altres - e questo quanto nel caso di specie il ricorrente ha allegato in Cassazione - nella sfera dei poteri degli enti accertatori. Si tratta di argomenti che, secondo una parte degli interpreti (il FALSITTA in primis, e pi modestamente chi scrive) non pu essere affatto accolta, dacch angusta e cieca e per certi versi superficiale: si pu ben dire infatti che, anzitutto, sol che si osservi con attenzione la moderna dottrina civilistica in tema di simulazione (GENTILI), ci si avvede del fatto che, quasi sempre, alla interposizione fittizia si accompagna - e si compenetra - una simulazione oggettiva della tipologia contrattuale; non solo, ma lart. 47, comma 3 - a ben vedere -, nel contesto e nel complesso dei poteri accertativi attribuiti allamministrazione finanziaria ex d.p.r. n. 600/1973, non costituisce una disposizione eccezionale o innovativa, ma semplicemente esemplificativa e chiarificatrice di un pouvoir public che gi cera, e che certamente non pu non estendersi a tutte le forme di simulazione. Ecco allora che in questa prospettiva si deve salutare con apprezzamento anche quellaltro passo della sentenza in rassegna, dove si prende esplicita cognizione del fatto che - come ricorre in prassi -, nel caso della esterovestizione di compensi spettanti ad atleti professionisti residenti in Italia, accanto alla in- 132 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 terposizione di societ estere in Paesi a bassa fiscalit, costituite ad hoc, vi anche il travestimento di un contratto di lavoro dipendente, per prestazioni sportive, in contratto per lo sfruttamento dellimmagine dellatleta. Detto questo, meno si comprende la soluzione che il S.C. adotta con riferimento alla ulteriore questione in diritto, sollevata dallargomento del ricorrente, giusta il quale lart. 37-bis del decreto sullaccertamento del 1997 e invece lanno dimposta, cui si riferisce la verifica tributaria nel caso di specie, il 1993. Su questo aspetto, stanti le premesse adottate dai Giudici della Quinta Sezione, ci si attenderebbe che la Corte stessa, molto semplicemente, rimandi un siffatto argomento al mittente, sulla base del fatto che esso assolutamente irrilevante nel caso di specie proprio alla luce delle premesse poste. Ed invero, lart. 37-bis, a differenza dellart. 37, terzo comma, disciplina e considera il fenomeno della elusione e non gi della evasione, posto che evidente che il ricorso alla simulazione, soggettiva e oggettiva o entrambe assieme collegate, sempre a una violazione diretta della norma tributaria d luogo, e non pone - diversamente - in essere un negozio o un collegamento negoziale apparentemente legittimo anche sul versante fiscale, sebbene vlto precisamente ad aggirare le norme imperative tributarie e a conseguire, mediante un uso distorto dei negozi, solo un risparmio tributario. E pertanto gi il considerare e lapplicare, nel caso della e(s)terovestizione simulatoria di compensi, lart. 37-bis porta ad avviso di che scrive fuori strada. In un caso come quello allesame del S.C., dove vi - come la stessa Corte perspicuamente rileva - una simulazione soggettiva ed oggettiva nel contempo, le norme da prendere in considerazione e applicare sono piuttosto, come si detto, lart. 37, comma 3, in una con le altre disposizioni del decreto sullaccertamento nonch insieme agli artt. 1414 ss. del codice civile. Diversamente argomentando, si finisce con il trattare una fattispecie concreta di evidente evasione alla stregua di una condotta meramente elusiva da parte del contribuente, con un inquadramento che, fra laltro, distoglie anche dai possibili risvolti penali della condotta posta in essere in danno erariale. S che, a ben vedere, il fatto che lart. 37-bis sia entrato in vigore solamente nel 1997 - l dove lanno dimposta accertato nel caso di specie era il 1993 - non significa proprio nulla sul piano dei poteri dellAgenzia, i quali appieno sussistevano gi nel 1993, per sventare in accertamento una evasione simulatoria ai danni del fisco. Ergo anche il richiamo allabuso del diritto diventa forviante. Stupisce cos il fatto che a esso abbia finito con il fare richiamo la Suprema Corte, poich proprio sulla base delle premesse lucidamente poste alla base del ragionamento - scilicet la simulazione complessa, accertabile dallAgenzia sulla scorta dei suoi ordinari poteri - , si sarebbe dovuti pervenire direttamente alla reiezione del ricorso del contribuente, sul punto, senza biso- CONTENZIOSO NAZIONALE 133 gno alcuno di fare ricorso alla teorica dellabuso del diritto - la quale, per sua stessa natura, concerne situazioni e comportamenti tuttaffatto diversi: cio comportamenti negoziali apparentemente leciti e validi, nonch del tutto efficaci, sia sul piano sia civilistico sia sul versante tributario, e invece al fondo viziati da quella mala fede verso il fisco, che si reperisce nellesclusivo intento di non esborsare imposte - tanto da dover essere disapplicati i negozi stessi, e dunque resi inefficaci nei confronti del fisco. N si dica che si tratta di una distinzione puramente teoretica, poich a ben vedere i corollari sono di notevole momento. Oltre ai possibili aspetti penali correlati alla sola evasione di cui si detto, va aggiunto che, di converso, solamente in tema di elusione si pone il delicato dibattito sulla concreta linea di confine tra legittimo risparmio dimposta e abuso elusivo. S che i riferimenti di questa pronuncia allabuso e allart. 37-bis del d.p.r. n. 600/73 non convincono chi scrive, anche perch la teorica dellabuso tutta incentrata, in materia dimposizione reddituale, sul sostanziale ampliamento della sfera di applicazione dello stesso art. 37-bis al di l dei casi concreti ivi contemplati; sicch se non vi era - come non vi era - nel caso allesame alcun bisogno dinvocare lart. 37-bis, allo stesso modo e per lo stesso motivo non vi era ragione per addentrarsi nel campo dellabuso. E per la verit, una volta inquadrato limpidamente il problema in termini di simulazione evasiva (soggettiva e oggettiva al contempo), anche lesame, da parte della Corte, dellultima questione - quella cio relativa alla effettiva percezione o meno delle somme da parte del contribuente - lascia, a una prima lettura, piuttosto perplessi. Viene cio da pensare che tale questione avrebbe dovuto essere affrontata diversamente: posto, cio, che in ipotesi sussisteva una simulazione fra laltro soggettiva - e posto dunque che la societ dublinese, facente capo allatleta professionista, era ivi il soggetto interposto e oltrepassabile -, ne conseguiva che la societ estera medesima si sostanziava in una sorta di mero velo di Maja, ai fini reddituali, tra la societ sportiva italiana, datrice di lavoro, e lo sportivo residente in Italia, lavoratore dipendente della societ sportiva. Per conseguenza il fatto che la somma fosse stata percepita dalla societ dublinese, facente capo alla persona fisica contribuente, equivaleva al fatto dellimpossessamento di quel danaro da parte del contribuente stesso. Nondimeno, se si legge con attenzione la sentenza in rassegna, ci si avvede che il motivo in parola non proposto al Collegio della difesa del contribuente, bens dellAvvocatura dello Stato per conto dellAgenzia delle Entrate. Esso investe la insufficiente motivazione, al riguardo, della sentenza dappello. S che la Corte di Legittimit, cassando con rinvio sul punto la pronuncia di seconde cure, riapre la questione della percezione o meno in termini probatori e motivazionali, indicando al giudice del rinvio i criteri - correttamente individuati come anche presuntivi - cui attenersi. 134 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 Di ci preso atto, non sembrano movibili, alla sentenza che si annota, le stesse critiche che furono mosse, da parte della dottrina, alla decisione di secondo grado del caso Maradona, laddove essa, ribaltando la perspicua pronuncia di primo grado, fin con lannullare laccertamento poich in esso sarebbe mancata la prova della percezione del danaro, transitato per la societ di Vaduz, da parte del calciatore. Epper in conclusione la pronuncia in rassegna devessere particolarmente apprezzata nei passaggi sui poteri dellAmministrazione vlti ad accertare ogni forma di simulazione ai fini reddituali. Va altres condivisa, e salutata con favore, laddove essa, posta di fronte a un caso di e(s)terovestizione di compensi, ravvisa una compenetrazione indissolubile tra simulazione soggettiva e oggettiva. Non pu essere, di contro, condivisa a nostro avviso, sul piano strettamente motivazionale (pur nella condivisione del dispositivo), laddove essa invoca, in un caso evasivo-simulatorio, la teorica dellabuso del diritto tributario. 4. Spunti giurisprudenziali e dottrinali Comm. Trib. 1 grado Napoli, 25 ottobre 1993, n. 3230; Comm. Trib. 2 grado Napoli, 29 giugno 1994, n. 126; Cass., 26 ottobre 2005, n. 28816; Cass., 10 giugno 2005, n. 12353; Cass., Sez. Un., 23 dicembre 2008, n. 30055; Cass., Sez. Un., 26 giugno 2009, n. 15029; F. M. GIULIANI, La simulazione dal diritto civile allimposizione sui redditi, Cedam, Padova, 2009 (con ampi riff. a margine). Corte di cassazione, Sez. Tributaria, sentenza 26 febbraio 2010, n. 4737 - Pres. Miani, Rel. Campanile. D.N.F. (avv. Magnani) c. Agenzia entrate (avv. gen. Stato). (Omissis) FATTO 1.1 La Commissione tributaria regionale della Campania, con la decisione indicata in epigrafe, ha rigettato l'appello proposto da D.N.F., nei confronti dell'Agenzia delle Entrate di Avellino, avverso la sentenza di primo grado con cui era stato respinto il proprio ricorso avverso l'avviso di accertamento con il quale il reddito da lavoro dipendente ai fini IRPEF relativo all'anno 1993 era stato elevato da L. 3.251.387.000 a L. 3.714.137.000. 1.2. Detto avviso si fondava su un processo verbale di constatazione redatto il 27 novembre 1998 dal Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Milano, nel quale era stato evidenziato che la societ S.M.G. Ltd, con sede in Dublino, aveva stipulato con la S.I.I. Ldt un contratto per l'acquisizione dei diritti di sfruttamento dell'immagine passiva di atleti ingaggiati da societ svolgenti attivit sportiva in diverse discipline appartenenti alla medesima holding, aventi la funzione di garantire agli atleti - individuati da un codice costituito dalle ultime due lettere del nome e del cognome - una cospicua integrazione dell'ingaggio per le prestazioni sportive effettuate. CONTENZIOSO NAZIONALE 135 1.3 La Commissione tributaria regionale, premesso che la prova dell'interposizione fittizia di regola viene raggiunta per presunzioni, osservava che gi la contrattazione dei diritti di sfruttamento del nome e dell'immagine con una societ estera, "collocata in un paradiso fiscale", costituiva il primo indizio, grave e preciso, dell'interposizione, potendosi agevolmente dedurre che si fosse "inteso ostacolare gli accertamenti dell'Amministrazione finanziaria", e che, pertanto, si fosse "voluto nascondere la reale destinazione delle somme indicate fittiziamente come cessione dei menzionati diritti di sfruttamento". Richiamata la valenza, sul piano probatorio, delle risultanze inerenti agli accertamenti effettuati dai revisori della A.A. & CO., si rilevava che ulteriori elementi probatori erano costituiti: a) dall'assenza di prove circa l'effettivo sfruttamento dell'immagine del D.N.; b) dall'indicazione del medesimo - secondo un sistema utilizzato anche per altri atleti - con il nome in codice (...), formato con le sillabe finali del nome e del cognome; c) dalla dislocazione delle societ cessionarie, costituite in coincidenza con l'acquisizione dei menzionati diritti di sfruttamento dell'immagine, in "paradisi fiscali"; d) dalla loro appartenenza, infine, al medesimo gruppo (...) cui era inserita la societ sportiva (...) che aveva ingaggiato il D.N.. 1.4. Avverso detta decisione il D.N. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, illustrati con memoria. 1.5. Si sono costituiti con controricorso l'Agenzia delle Entrate e il Ministero dell'Economia e delle Finanze, concludendo per il rigetto del ricorso. DIRITTO 2.1 Va preliminarmente dichiarata l'inammissibilit, per difetto di legittimazione, del ricorso proposto nei confronti del Ministero dell'economia e delle finanze, che non stato parte del giudizio d'appello, instaurato nei confronti della sola Agenzia delle entrate, nella sua articolazione periferica, dopo la data del 1 gennaio 2001, con implicita estromissione, dell'ufficio periferico del Ministero (Cass., Sez. Un., n. 3166 del 2006). Ricorrono giusti motivi (rilievo ufficioso dell'inammissibilit, proposizione del ricorso in epoca anteriore alla richiamata pronuncia delle SS.UU. di questa Corte) per la compensazione, in parte qua - delle spese processuali. 2.2. a - Passando all'esame del ricorso proposto nei confronti dall'Agenzia delle Entrate, va osservato che il primo motivo, con il quale si deduce, in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 3, nonch vizio di motivazione, infondato. In particolare, con la censura inerente alla violazione della norma contenuta nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 3, il ricorrente osserva in sostanza che il richiamo a tale disposizione non sarebbe consentito in merito alla "prova della simulazione del contratto stipulato fra SII e SMG, prova che riguarda l'oggetto delle pattuizioni e non i soggetti tra cui essi effettivamente intercorsero". Si aggiunge che, poich il soggetto interponente, nella decisione impugnata, sarebbe indicato nella SII, mentre di tale interposizione il D.N. sarebbe soltanto "consapevole", non sarebbe applicabile a costui la norma in questione, che consente l'imputazione del reddito al solo soggetto interponente. Sotto tale profilo sarebbe riscontrabile anche un vizio motivazionale, relativamente alle modalit, non ben esplicitate, con cui il compenso sarebbe pervenuto al calciatore. 2.2.b. La motivazione della decisione impugnata, quanto meno per quanto attiene alla descrizione dei rapporti negoziali attraverso i quali si sarebbe verificata l'evasione d'imposta (ed a prescindere da quanto si dir, in prosieguo, circa gli aspetti di natura probatoria), rinvia, a ben vedere, a un complesso meccanismo che si giova di due distinte forme di simulazione, fra loro collegate ma non coincidenti: da un lato, l'interposizione soggettiva, nel senso che una 136 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 parte dei compensi al calciatore sarebbero stati versati a una societ cessionaria dei diritti di sfruttamento del nome e dell'immagine del predetto; dall'altro, una vera e propria simulazione oggettiva, nel senso che la cessione di detti diritti non sarebbe stata in realt voluta (nell'ambito di un contratto che non avrebbe mai avuto una concreta attuazione), ma sarebbe stata utilizzata come schermo per giustificare i passaggi di danaro relativi al pagamento di una parte del compenso dovuto all'atleta. Non pu, invero, dubitarsi, del riferimento, nella decisione impugnata, al meccanismo test descritto, cos come, per altro, posto alla base dell'accertamento in esame: Il M., societ sportiva del Gruppo (...), ingaggia come calciatore il D.N. e pattuisce un certo compenso per le di lui prestazioni, del quale una parte appare ufficialmente e una parte viene simulata come sfruttamento d'immagine mediante la stipulazione di contratti fittizi tra le altre societ del Gruppo (...)". Appare, pertanto, evidente, come la simulazione della cessione dei diritti di sfruttamento dell'immagine, cos come le forme di pagamento attuate mediante soggetti interposti, costituiscano tante facce del poliedrico meccanismo sopra descritto, nel quale il D.N. non assume di certo la veste di "terzo", ancorch consapevole, essendo chiaramente indicato, non solo come beneficiario, ma anche come uno dei principali artefici del meccanismo stesso, mediante il testuale riferimento - sopra richiamato - all'accordo intervenuto fra lui e la societ sportiva M. circa la ripartizione del compenso pattuita in una parte "ufficiale" ed in un'altra (quella oggetto dell'avviso di accertamento impugnato) da versarsi mediante il ricorso alle attivit di altre societ del gruppo. Appare quindi evidente come sia del tutto riduttiva l'analisi di un singolo frammento del citato meccanismo per rinvenire la giustificazione, sul piano normativo, della tesi sostenuta dall'Agenzia delle Entrate. Di certo, ove si consideri che la Commissione tributaria regionale era investita, tramite il primo motivo di appello (riportato nella parte narrativa della decisione impugnata), della questione inerente esorbitanza dai poteri della commissione tributaria di primo grado di sindacare (in quanto - si sosteneva - riservata al giudice ordinario) la simulazione oggettiva, appare comprensibile che i giudici di secondo grado si siano a lungo profusi sulla figura della simulazione, analizzandone i vari aspetti e richiamando, quanto a quella soggettiva, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 3. Va rilevato, per completezza di esposizione, che la tesi secondo cui l'accertamento della simulazione relativa oggettiva sarebbe precluso nel procedimento tributario non trova riscontro n nella migliore dottrina, n nella giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass., 26 ottobre 2005, n. 28816; Cass., 10 giugno 2005, n. 12353). 2.2.c. Tanto premesso, occorre precisare che la tesi secondo cui la norma pi volte richiamata sarebbe stata erroneamente applicata perch il D.N. non sarebbe indicato come "interponente", bens come mero soggetto "consapevole dell'accordo triangolare nel quale la societ estera sarebbe il soggetto interposto, mentre la societ S.I.I. il soggetto interponente", si fonda su un brano della sentenza impugnata contenente una breve esposizione della tesi sostenuta dall'Amministrazione finanziaria, in cui, se la definizione dell'interposizione - forse in maniera poco felice - relegata al solo aspetto della delegazione di pagamento dissimulata, essendo cio, riferita a una limitata frazione del meccanismo complessivamente posto in essere, tuttavia la sostanza del fenomeno, per quanto qui maggiormente interessa, sostanzialmente colta dalla Commissione tributaria regionale con l'affermazione secondo cui il contratto collegato in esame avrebbe avuto ben altre finalit, nel senso che "le relative somme fittiziamente pattuite per il suddetto sfruttamento costituirebbero una ben mascherata integrazione del pagamento dello stipendio di calciatore pagato al D.N.F." (altrove, con riferimento all'indicazione in codice del nome dell'atleta, ci si riferisce espressamente al "mascheramento del contratto dissimulato, cio di quello vero di pattuizione di un extra-ingaggio"). CONTENZIOSO NAZIONALE 137 2.2.d. Non potendo, quindi, dubitarsi che la Commissione tributaria regionale abbia correttamente colto, e posto alla base della sua decisione, la sostanza del fenomeno come sopra descritto, inquadrandolo altres, con l'esplicito riferimento al calciatore come "effettivo possessore per interposta persona" del reddito, nella previsione della disposizione contenuta nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 3, la qualificazione giuridica della fattispecie deve essere operata con il riferimento alla legittimit dell'accertamento in quanto inerente a un meccanismo, come quello descritto, artificiosamente posto in essere allo scopo di ottenere indebiti vantaggi di natura fiscale. Giova, in proposito, richiamare l'orientamento che, movendo da ben precise pronunce comunitarie, ha evidenziato come, anche prima dell'entrata in vigore del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37 bis, fosse presente nel nostro ordinamento il divieto dell'abuso del diritto per conseguire indebiti vantaggi sul piano fiscale (Cass., 21 Ottobre 2005, n. 20398; Cass., 26 ottobre 2005, n. 20816; Cass., 14 novembre 2005, n. 22932; Cass., 29 settembre 2006, n. 21221; Cass., 17 ottobre 2008, n. 25374). Di recente le Sezioni Unite di queste Corte hanno affermato che il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, il quale preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l'uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un'agevolazione o un risparmio d'imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l'operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici: tale principio trova fondamento, in tema di tributi non armonizzati (nella specie, imposte sui redditi), nei principi costituzionali di capacit contributiva e di progressivit dell'imposizione, e non contrasta con il principio della riserva di legge, non traducendosi nell'imposizione di obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge, bens nel disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l'applicazione di norme fiscali. Esso comporta l'inopponibilit del negozio all'Amministrazione finanziaria, per ogni profilo di indebito vantaggio tributario che il contribuente pretenda di far discendere dall'operazione elusiva, anche diverso da quelli tipici eventualmente presi in considerazione da specifiche norme antielusive entrate in vigore in epoca successiva al compimento dell'operazione" (Cass., 23 dicembre 2008, n. 30055; successivamente richiamata da Cass., Sez. Un., 26 giugno 2009, n. 15029). Tanto premesso, appare evidente come il complesso delle attivit sopra evidenziate, fra loro coordinate e finalizzate - secondo la tesi recepita nella decisione impugnata - all'occultamento di parte del compenso corrisposto al ricorrente, non possa considerarsi opponibile all'Amministrazione finanziaria, che legittimamente pu far valere la reale situazione sottesa alla situazione apparente, allo scopo di affermare la fondatezza della pretesa fiscale. 2.3 - Deve considerasi infondato anche il secondo motivo di ricorso, con il quale, in merito alla utilizzazione di dati emergenti dalle relazioni della societ di revisione, o da dichiarazioni di singoli relatori, ha denunciato la violazione e la falsa applicazione dell'art. 2729 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3. In proposito vale bene richiamare una recente pronuncia di questa Corte (Cass., 12 marzo 2009, n. 5926 ), condivisa dal Collegio, nella cui parte motiva, premessa una ricostruzione dei compiti e delle responsabilit delineate dal quadro normativo, si affermato che l'istituto della revisione del bilancio delle societ commerciali si caratterizza per alcuni profili particolarmente forti del suo regime, quali sono quelli del controllo pubblicistico (iscrizione all'Albo e vigilanza della Consob) e della responsabilit civile e penale del revisore, che, se pur non consentono di affermare che la relazione di revisione garantisce la verit del bilancio, vincolano a riconoscere, a pena dell'inutilit dell'istituto, che essa costituisce una pronuncia qualificata sulla verit della contabilit e del bilancio. Da tanto si con- 138 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 divisibilmente desunto che "ogni volta che la relazione di revisione venga messa a disposizione dell'ufficio tributario e del giudice tributario, le autorit devono tenerla in conto, non di presunzione iuris tantum della veridicit delle scritture, perche manca una norma legislativa che le attribuisca tale forza, ma di documento incorporante enunciati sui quali sia l'ufficio tributario sia il giudice tributario si devono pronunciare e che possono essere privati della loro forza dimostrativa dei fatti attestati solo mediante la prova contraria a carico dell'ufficio. Tale prova non pu essere fornita attraverso la rilevazione di semplici indizi di non veridicit relativamente alle motivazioni addotte nella relazione di revisione, ma attraverso la produzione di documenti che siano idonei a dimostrare che nel giudizio di revisione il revisore incorso in errore o ha realizzato un inadempimento. Tra i documenti che sono in grado di esprimere tale forza di confutazione della relazione di revisione possono annoverarsi, senza che esauriscano la categoria: a) quelli che dimostrino il carattere omissivo del comportamento del revisore, b) quelli che, pur tributariamente rilevanti, non siano stati oggetto di valutazione da parte del revisore, perch non se ne prevedeva l'inserimento nelle procedure di revisione; c) quelli che sono stati occultati, perch idonei a provare comportamenti dolosi". 2.4 - Tanto premesso, deve rilevarsi la fondatezza del terzo e del quarto motivo di ricorso, che possono essere congiuntamente trattati, in quanto attinenti a vizi della motivazione relativamente alla prova della percezione dei compensi da parte del D.N.. La questione attiene, principalmente, all'assenza di specifici riferimenti, nella motivazione della sentenza scrutinata, al tema fondamentale, proposto con l'appello, "della prova della percezione delle somme da parte del ricorrente". Sul punto la decisione impugnata appare carente sotto il profilo motivazionale (come affermato da questa Corte, in relazione ad analoga fattispecie, con la decisione n. 13660/2009), per non aver ben evidenziato anche mediante il ricorso a presunzioni - come il ricorrente fosse con certezza identificabile nella sigla (...) utilizzata nelle fatturazioni (il cui utilizzo, contrariamente a quanto si afferma nel ricorso, in ogni caso significativo di attivit non ostensibile, epper fraudolenta; per non aver affrontato il tema dei rapporti fra lo stesso e la societ interposta, in relazione ai movimenti di danaro ai quali si fa riferimento sia nel ricorso (precisandosi tuttavia che il D.N. non sarebbe incluso fra i beneficiari diretti dell'erogazione di somme provenienti dalle societ estere) sia nel controricorso, nonch alle relazioni - anche sotto il profilo diacronico - fra l'attivit svolta dalle societ coinvolte nell'affare della cessione dei diritti di sfruttamento dell'immagine e il contratto intercorso fra il ricorrente e la societ sportiva. Un altro aspetto, che appare contraddittorio, consiste nell'aver la decisione impugnata evidenziato i rapporti fra le societ del gruppo, anche in relazione alla decurtazione dei costi, senza collocare in tale quadro la posizione del D.N.. 2,5. La pronuncia impugnata, pertanto, va cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione Tributaria regionale della Campania, che proceder a nuovo esame - anche sulla base dei principi di diritto enunciati - della fattispecie concreta. P.Q.M. La Corte di Cassazione, dichiara inammissibile il ricorso proposto nei confronti del Ministero dell'Economia e delle Finanze e compensa le relative spese. Pronunciando sul ricorso proposto dall'Agenzia delle Entrate, accoglie il terzo e il quarto motivo, e rigetta i rimanenti. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, ad altra Sezione della CTR della Campania. CONTENZIOSO NAZIONALE 139 La disciplina dellonere della prova nel codice del processo amministrativo (Nota a Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 16 maggio 2011 n. 2955 ) Carlo Bellesini* Con la sentenza in commento il Consiglio di Stato ha affrontato la questione dellonere della prova nei giudizi amministrativi dopo lentrata in vigore del Decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, con il quale stato introdotto il nuovo codice del processo amministrativo. Unimpresa aveva proposto ricorso al Tar del Lazio per la condanna del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti al risarcimento dei danni subiti a causa dellillegittima esclusione dallAlbo Nazionale dei Costruttori Edili (ANCE), e della conseguente impossibilit di esercitare la propria attivit nel settore dei lavori pubblici. Il giudice di prime cure, pur riconoscendo lillegittimit dellesclusione dellimpresa dallANCE, ha respinto il ricorso in quanto il ricorrente non ha comunque fornito alcun elemento di prova del danno patito e non ha ottemperato allonere della prova a lui spettante, ai sensi dellart. 64 del codice del processo amministrativo. La sentenza di primo grado stata confermata dal giudice dappello, il quale ha, inoltre, affermato che: anche dopo lentrata in vigore del nuovo codice approvato con D.L.vo 2 luglio 2010, n. 104 (cfr. art. 64, comma 3, cod. proc. amm.), il sistema probatorio fondamentalmente retto dal principio dispositivo con metodo acquisitivo degli elementi di prova da parte del giudice. Tale affermazione non del tutto condivisibile. In particolare, a parer di chi scrive, il temperamento del principio dispositivo con il metodo acquisitivo concetto che va rimeditato ai sensi dellattuale contesto normativo e giurisprudenziale. Tuttavia, prima di approfondire tale critica alla sentenza in commento, necessario ricostruire la disciplina e la ratio dellonere della prova nel processo amministrativo alla luce del suddetto principio dispositivo con metodo acquisitivo. In primis, giova rilevare che il suddetto principio stato introdotto dal Prof. Feliciano Benvenuti nel suo scritto Listruzione probatoria nel processo amministrativo (1) alla met degli anni Novanta, prima, dunque, dellentrata in vigore della legge sul procedimento amministrativo (Legge n. 241/90) e del novello codice del processo amministrativo (D.lgs. n. 104/2010). A riguardo, la norma di riferimento era, naturalmente, lart. 2697 del co- (*) Dottore in Giurisprudenza, ammesso alla pratica forense presso lAvvocatura dello Stato. Il prof. Guido Corso - Universit degli Studi di Roma 3 - stato relatore della tesi discussa dal dott. Bellesini Lonere della prova nel processo amministrativo. (1) Vd. BENVENUTI, F., Listruzione nel processo amministrativo, Padova, 1953, ora in Id., Scritti giuridici, Milano, 2006, I, 1 ss. 140 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 dice civile, il quale pone a carico di chi vanta un diritto in giudizio, lonere di fornire la prova dei fatti che ne costituiscono il fondamento. Tale regola va poi affiancata allart. 115 del codice di procedura civile secondo cui, salvi i casi previsti dalla legge, il giudice non pu porre a fondamento della sua decisione fatti che non siano allegati e provati dalle parti: il giudice deve decidere, dunque, iuxta alligata et probata partium. In altre parole, le parti hanno il potere di iniziativa nel raccogliere gli elementi di prova circa i fatti su cui il giudice chiamato a decidere (2). Il principio dispositivo inteso ad assicurare il rispetto dei principi fondamentali della difesa e del contraddittorio, al fine dimpedire che una parte possa subire una decisione basata su fatti ad essa sconosciuti ed in relazione ai quali non si sia potuta difendere (cfr. Cass. Civ. sez. II, n. 1165/1983 e Cass. Civ., sez. II, n. 12980/2002). Riassumendo, listruzione del caso nella disponibilit esclusiva delle parti, senza possibilit per il giudice di ampliare ex officio il thema probandum (3). Ebbene, nel pensiero di Benvenuti, il principio dispositivo vale anche per listruttoria nel giudizio amministrativo, con alcune varianti, rectius attenuazioni, rispetto al giudizio civile. In particolare, secondo il principio dispositivo con metodo acquisitivo, al ricorrente spetta lonere di fornire un principio di prova, ossia una mera allegazione, e non prova, dei fatti a sostegno della sua pretesa: mentre al giudice sono forniti poteri probatori, anche officiosi, idonei a completare listruzione del caso. Questassetto frutto della disparit che contraddistingue il rapporto tra le parti in giudizio: ricorrente e Pubblica Amministrazione. Tale disuguaglianza conseguenza delle difficolt che il ricorrente incontra nel reperire il materiale probatorio idoneo a sostenere il ricorso. Infatti, la Pubblica Amministrazione ha la disponibilit esclusiva degli atti e dei documenti che hanno portato allemissione dellatto impugnato e sulla base dei quali pu, dunque, sostenersi la sua illegittimit (4). Il temperamento del principio dispositivo con il metodo acquisitivo concetto che andava gi rivisto alla luce della Legge 7 agosto 1990, n. 241, sul procedimento amministrativo. A riguardo, il c.d. metodo acquisitivo aveva un senso in un regime nel quale al privato non veniva garantito laccesso alla documentazione amministrativa. Il discorso oggi diverso dopo lintroduzione del diritto di accesso ai documenti amministrativi (5). (2) Sul punto si veda LA CHINA, S., Esibizione delle prove nel processo civile, Milano, Giuffr, 1960. (3) Per un approfondimento sul tema si rinvia a FABIANI, E., I poteri istruttori del giudice civile, Ed. scientifiche italiane, 2008. (4) A riguardo si vd. DE LISE, P., Listruzione nel processo amministrativo - Testo della relazione al Convegno su Feliciano Benvenuti e il diritto amministrativo nel nuovo secolo, svoltosi al Consiglio di Stato il 23 aprile 2008 in www.giustizia-amministrativa.it. (5) Per un approfondimento si rinvia a G. CORSO, La prova (diritto amministrativo), in Enciclopedia giuridica Treccani, 1999, e SAITTA, F., Il sistema probatorio del processo amministrativo dopo la CONTENZIOSO NAZIONALE 141 Modificata la norma sul segreto dufficio, al principio di segretezza viene sostituito un opposto principio di pubblicit e trasparenza dellazione amministrativa (artt. 1 e 28 L. n. 241/90). Pertanto, gli artt. 22 e ss. della suddetta legge prevedono, per il privato cittadino e per soggetti portatori di interessi pubblici o diffusi, il diritto di accedere alla documentazione amministrativa: legittimati sono coloro che vantano un interesse concreto, diretto e attuale allaccesso, che, in sostanza, corrisponde a una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento: ci per impedire un controllo generalizzato sullattivit della P.A (6). Inoltre, leffettivit del diritto di accesso assicurata dal rito speciale in materia di accesso ai documenti amministrativi previsto dallart. 116 del codice del processo amministrativo. In particolare, nellipotesi che la P.A. opponga un rifiuto alla domanda di accesso, allegando una delle ragioni che lo giustificano (segreto di Stato, sicurezza, ordine pubblico, ecc. ai sensi dellart. 24 L. n. 241/90) o mantenga semplicemente il silenzio, linteressato pu rivolgersi al Tribunale amministrativo regionale che decider sulla richiesta di accesso in un termine, di norma, non superiore a trenta giorni. Pertanto, venuta meno quella impossibilit - o somma difficolt - per il privato di procurarsi la disponibilit del materiale probatorio, anche nel processo amministrativo deve trovare piena applicazione la regola dellonere della prova, senza deroghe o attenuazioni di sorta, secondo gli schemi tipici del processo civile (7). Tutto ci trova conferma nella recente riforma del processo amministrativo: lart. 64 del nuovo codice del processo amministrativo, al I e II co., riproduce fedelmente la disciplina espressa dai succitati artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c. (8). Il nuovo codice ha, quindi, definitivamente sancito loperativit del principio dispositivo nella disciplina dellonere della prova nel processo amministrativo. Ora, questa tesi ha recentemente trovato riscontro anche nella giurisprudenza. In particolare, il T.A.R. Campania, Napoli, sez. VII, con la sentenza n. 26440 del 1 dicembre 2010, sulla base delle medesime argomentazioni suesposte, ha affermato che, dopo lentrata in vigore della legge 241 del 1990 e del nuovo codice del processo amministrativo, non pi consentita lapplicazione del principio dispositivo con metodo acquisitivo; pertanto, prosegue il T.A.R.: legge n. 241 del 1990: spunti ricostruttivi in Dir. proc. amm., I, 1996, pag. 1 e ss. e RAGGI, R., Diritto alla prova e diritto al documento dopo la legge n. 241 del 1990: due categorie distinte ed autonomia in Dir. proc. amm., I, 1996. pagg. 136 e ss. (6) Vd. CORSO, G., Manuale di diritto amministrativo, Giappichelli, Torino, 2008. (7) Ci si riferisce, in particolare allo studio di G. VIRGA, Attivit istruttoria primaria e processo amministrativo, Milano, 1991. (8) Per completezza, larticolo 64 del Dlgs n. 104/2010, rubricato Disponibilit, onere e valutazione della prova, dispone al I co. Spetta alle parti l'onere di fornire gli elementi di prova che siano nella loro disponibilit riguardanti i fatti posti a fondamento delle domande e delle eccezioni. Al II co. dispone: Salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti nonch i fatti non specificatamente contestati dalle parti costituite. 142 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 il giudice non deve supplire con propri poteri istruttori ad incombenti cui la parte pu diligentemente provvedere; listruttoria ufficiosa subentra dunque quando il giudice ritenga di attivare i suoi poteri dufficio al (superiore) fine di decidere, solo dopo per che le parti abbiano delineato (provato) il tema del contendere. Tuttavia, per parte della dottrina (9), anche dopo la riforma del procedimento amministrativo, continuerebbe a sussistere una disparit tra privato e pubblica amministrazione nel disporre del materiale probatorio: tale tesi poggia sullassunto che nel termine sessagesimale di decadenza dellazione di annullamento non si potrebbe ragionevolmente pretendere che chi intende impugnare un provvedimento, oltre a dover redigere il ricorso, debba anche doversi munire di tutte le prove necessarie ad istruire la causa, visto che la maggior parte degli atti e documenti oggetto di tale prove sono nella esclusiva disponibilit della Pubblica Amministrazione resistente; questultima, infatti, avrebbe trenta giorni di tempo per evadere le richieste di accesso, secondo la disciplina del silenzio- dissenso: e nei confronti dei dinieghi e dei silenzi in tema di accesso quello ex art. 116 del codice del processo amministrativo sarebbe s un rito accelerato, ma, ci nonostante, non potrebbe concludersi in tempo utile per fornire il materiale probatorio necessario al ricorrente. La vigenza di un onere della prova non attenuato sarebbe affermabile solo in ordine a controversie afferenti alla giurisdizione esclusiva, che possono essere promosse entro lordinario termine di prescrizione delle azioni a difesa dei diritti soggettivi, e nei giudizi risarcitori, dove i fatti posti a fondamento della pretesa risarcitoria sono sempre nella disponibilit del ricorrente. Dunque, conclude tale tesi, nei giudizi di legittimit del provvedimento amministrativo, laffermazione di unuguaglianza formale tra cittadino e amministrazione in ordine al materiale probatorio servirebbe solo a celare una persistente diseguaglianza sostanziale. Tale tesi non condivisibile perch poggia su una premessa errata. Nel processo di impugnazione del provvedimento amministrativo un onere della prova in senso tecnico non cՏ, salvo, in parte, in alcuni casi di eccesso di potere (10). (9) V. in particolare, L. BERTONAZZI, Listruttoria nel processo amministrativo di legittimit: norme e principi, Milano, 2005, 640 e ss. e F. SAITTA, Il sistema probatorio del processo amministrativo dopo la legge 241/90: spunti ricostruttivi, in Dir. Proc. Amm., 1996, 1 ss. (10) Alcune manifestazioni delleccesso di potere richiedono un esame che trascende latto impugnato (nei casi di contraddittoriet rispetto a precedenti provvedimenti; violazione di prassi amministrativa; disparit di trattamento; travisamento dei fatti), altre richiedono che si ripercorra liter dellistruttoria procedimentale (si vedano i casi di omessa considerazione di circostanze di fatto segnalate dalla parte interessata, insufficiente istruttoria ecc.). Ebbene, entrambi i casi necessitano di unindagine su fatti esterni allatto. Giova rilevare che il fatto da provare riguarda sempre il potere sul quale viene sollecitato il sindacato di legittimit. Per ragioni di chiarezza si dovrebbe dire che, in tali casi, sul ricorrente non grava un onere della prova, ma un mero onere di allegazione: tale allegazione si esaurisce in quella che il codice del processo amministrativo qualifica come: esposizione sommaria dei fatti e dei motivi specifici su cui si fonda il ricorso (art. 40, I co., lett. c ), per un approfondimento si rinvia a CORSO, G., Prova (processo amministrativo), in Enc. Giur. Treccani, 1999. CONTENZIOSO NAZIONALE 143 Nellazione di annullamento per violazione di legge e incompetenza, infatti, la cognizione del fatto cognizione estrinseca e formale dei vizi dellatto come emergono dal tenore testuale del provvedimento stesso. Pertanto, il ricorrente si limita a dedurre la violazione di regole di azione da parte della pubblica amministrazione: non venendo in rilievo una quaestio facti non vi prova e non sorge, quindi, un problema di onere della prova (11). In altre parole chi agisce deve asserire a pena di inammissibilit del ricorso che il potere amministrativo, dallesercizio del quale ha subito un pregiudizio, stato esercitato in modo illegittimo; denunciando lillegittimit, dunque, il ricorrente nega lesistenza di uno dei presupposti di legittimit dellesercizio di tale potere (es. inesistenza del parere dal quale il provvedimento doveva essere preceduto ecc.). Sicch, al giudice baster un confronto tra fattispecie concreta e fattispecie normativa per accertare lesistenza, o meno, del presupposto di legittimit del provvedimento impugnato. Dunque, la struttura del giudizio di legittimit risulta evidentemente in contrasto con la struttura del giudizio sul fatto: questultimo, infatti, consiste nella verifica che un fatto sia accaduto, o meno. Sindacare la legittimit di un provvedimento amministrativo significa, invece, porre in essere un giudizio di valore. Come si desume dallart. 64 del novello codice del processo amministrativo, lonere della prova sorge solamente in relazione ai fatti posti a fondamento delle domande e delle eccezioni. Pertanto, la prova non concettualmente conciliabile con la struttura del giudizio di legittimit del provvedimento amministrativo (12). Sconfessata la tesi favorevole allapplicazione del metodo acquisitivo, nulla osta allapplicabilit piena del principio dispositivo nellistruttoria nel processo amministrativo, laddove - ripetesi - venendo in rilievo una quaestio facti, sorge un problema di prova: e ci accade nei giudizi afferenti alla giurisdizione esclusiva, almeno nei casi in cui si faccia questione di diritti soggettivi, e nei giudizi per il risarcimento dei danni derivanti dallillegittimo esercizio dellattivit amministrativa (13). In particolare, nellazione risarcitoria, il ricorrente fa valere in giudizio una pretesa risarcitoria, la quale, in quanto pretesa giuridica, deve fondarsi su un fatto e su una regola, dalla applicazione della quale si vuole trarre una (11) Il sindacato di legittimit del giudice amministrativo si svolge confrontando la fattispecie concreta portata alla sua cognizione, e che si incentra nellatto amministrativo, con le norme giuridiche che ne disciplinano la produzione le quali dettano regole formali e prevedono il contenuto del provvedimento, sul punto cfr. SANDULLI M. A., Il giudizio davanti al Consiglio di Stato e ai giudici sottordinati, Napoli, 1963, pag. 36., FOLLIERI, E., Il sindacato del giudice amministrativo sulla discrezionalit pura o amministrativa - Le figure sintomatiche sono norme giuridiche, non sintomi, in Dir. proc. Amm. 2008. (12) Si rinvia a M. TARUFFO, La prova dei fatti giuridici: nozioni generali, Milano, Giuffr, 1992. (13) Come sostenuto da CORSO, G., Prova (processo amministrativo), in Enc. Giur. Treccani, 1999, DI MODUGNO, La nuova giurisdizione esclusiva e la prova nel processo amministrativo: prime riflessioni sulla recente riforma in Dir. proc. amm, 2000 e DE GIORGI CEZZI, G., La ricostruzione del fatto nel processo amministrativo, Jovene, Napoli, 2003. 144 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 conclusione: per esemplificare, in caso di responsabilit contrattuale ai sensi dellart. 1218 c.c. (norma), dallinadempimento della prestazione (fatto) deriva la responsabilit del debitore al risarcimento dei danni sofferti dal creditore (pretesa giuridica). Il suddetto schema trova pieno riscontro nel citato art. 64 del codice del processo amministrativo, il quale, ricalcando la disciplina di cui allart. 2697 c.c., prevede lonere del ricorrente di fornire gli elementi di prova, che siano nella loro disponibilit, riguardanti i fatti posti a fondamento delle domande e delle eccezioni. In tali giudizi grava sul ricorrente un onere della prova pieno, senza attenuazioni, in ossequio al principio dispositivo. A riguardo, seguendo un orientamento delle Sezioni Unite della Cassazione - espresso nella Sent. n. 13533 del 30 ottobre 2001 (14) - il principio dispositivo subisce attenuazioni, o ampliamenti, in base a quanto la parte sia vicina, o meno, al materiale probatorio. Secondo il suddetto teorema giurisprudenziale, ispirato al cd. principio di vicinanza alla prova, l'onere della prova viene infatti ripartito tenuto conto, in concreto, della possibilit per l'uno o per l'altro soggetto di provare fatti e circostanze che ricadono nelle rispettive sfere di azione. Dunque, nei giudizi risarcitori promossi contro la P.A., l'onere della prova sia del fatto illecito, che del danno, in toto a carico di chi chiede il risarcimento, trattandosi di elementi che sono nella disponibilit della parte e in relazione ai quali non si giustifica un potere di soccorso o, peggio, di supplenza da parte del giudice (cfr. Cons. Stato Sez.VI, 8 giugno 2010, n. 3641, Societ Edile Immobiliare Rio di Albertini e C. S.A.S. c. Ministero per i Beni e le Attivit Culturali e altri). Non a caso, il codice del processo amministrativo, al II co. dellart. 64, ricalcando il dettato dellart. 115 c.p.c., prevede che il giudice ponga a fondamento della decisione solo i fatti provati dalle parti e quelli non specificatamente contestati (15). Peraltro, lart. 2 del suddetto codice stabilisce che nel processo amministrativo si attuino i principi di parit delle parti, del contraddittorio e del giusto processo previsto dallart. 111, primo comma, della Costituzione: tutti principi di rango costituzionale, il cui rispetto postula lapplicazione del principio dispositivo nellistruttoria processuale. Daltro canto, indebite intrusioni del giudice nellistruttoria procedimentale porterebbero ad una lesione del principio della parit delle parti, del contraddittorio e della terziet del giudice. Giova ripeterlo, il principio dispositivo regola listruttoria nel processo, civile o amministrativo che sia, al fine dimpedire che una parte possa subire una decisione basata su fatti ad essa sconosciuti ed in relazione ai quali non si sia potuta di- (14) Cfr. Cassazione, SS.UU., Sent. n. 13533 del 30 ottobre 2001, in Foro It., IX, 983. (15) Si veda sul punto CARINGELLA F., Codice del nuovo processo amministrativo: commento articolo per articolo al D. Lgs. 2 luglio 2010, n. 104 e a tutte le altre leggi della giustizia amministrativa, Dike, Roma, 2010. CONTENZIOSO NAZIONALE 145 fendere (cfr. Cass. Civ. sez. II, n. 1165/1983 e Cass. Civ., sez. II, n. 12980/2002). Concludendo, una lettura plausibile delle norme del nuovo codice del processo amministrativo in materia di onere della prova, alla luce del diritto di accesso ai documenti amministrativi previsto dalla Legge n. 241/90, sembra nel senso che lonere del principio di prova e il metodo acquisitivo non trovino pi ragioni che ne giustifichino lapplicazione; laddove, invece, nel processo amministrativo sorga in capo al ricorrente un onere di prova, questo deve essere fondamentalmente retto dal principio dispositivo, stante levidente parit delle parti nel disporre del materiale probatorio e in ossequio, quindi, ai principi costituzionali del giusto processo. Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 16 maggio 2011 n. 2955 - Pres. G. Giaccardi, Est. F. Rocco - F.G. (avv.ti F. Camerini e A. Rossi) c. Ministero infrastrutture e trasporti (n.c.). (Omissis) FATTO e DIRITTO 1. La vicenda che ha condotto allinstaurazione del presente giudizio scaturisce dallormai ben risalente esito dellistanza presentata in data 9 maggio 1984, con la quale lImpresa (...) aveva chiesto, dopo un periodo di cancellazione, la reiscrizione allAlbo Nazionale dei Costruttori (ANC), nel quale era stata iscritta dal 1966, per le categorie 1, 2, 6, 9/a, 10/a, 10/b, 10/c, 11 e 13/a, per un importo complessivo pari a lire 20.250.000.000. Con deliberazione del 14 marzo 1985 il Comitato Centrale dellAlbo Nazionale Costruttori ha peraltro escluso lImpresa (...) dalliscrizione per sei delle predette categorie, consentendola soltanto per le restanti tre categorie e per importi bassissimi. LImpresa (...) ha contestato tale provvedimento, proponendo ricorso al T.A.R. per il Lazio. In pendenza di tale giudizio, il Comitato Nazionale Costruttori ANC, con deliberazione assunta in data 22 aprile 1986 ha confermato il contenuto della precedente deliberazione del 14 marzo 1985 e, di conseguenza, lImpresa stata quindi costretta a proporre un secondo ricorso innanzi al medesimo giudice. I due ricorsi sono stati riuniti e accolti con sentenza del T.A.R. per il Lazio, Sez. III, 11 febbraio 1988 n. 196, con la quale sono state annullate le due predette deliberazioni per carenza di valutazione e di motivazione. Peraltro, riferisce la medesima parte ricorrente che il Comitato Centrale ANC non ha dato seguito a tale statuizione, costringendo pertanto lImpresa a proporre ricorso per ottemperanza. Anche tale ricorso stato accolto con sentenza del TAR Lazio, sez. III, 22 settembre 1988 n. 1093, con la quale il giudice ha dichiarato lobbligo del Comitato Centrale di esternare le motivazioni concernenti la decisione della domanda di reiscrizione allANC. Nel corso del giudizio per ottemperanza la ricorrente ha preso conoscenza della deliberazione del Comitato Centrale ANC del 27 aprile 1988, sostanzialmente confermativa della precedente e, quindi, lImpresa (...) proponeva un nuovo ricorso ordinario ed un nuovo ricorso per ottemperanza. Questi ultimi due ricorsi sono stati decisi con sentenze del TAR Lazio, sez. III, 15 luglio 1989 n. 1306 e 1307; pi esattamente, con la prima di esse stata annullata la deliberazione impugnata per omesso adeguamento di tre categorie ai nuovi maggiori importi di classifica stabiliti 146 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 con L. 15 novembre 1986 n. 768, nel mentre con la seconda stato nominato un Commissario ad acta. (...) ha quindi proposto un nuovo ricorso per lottemperanza relativa alle sei categorie relativamente alle quali non conosceva ancora i motivi per cui il Comitato Centrale ANC aveva disatteso le proprie domande. Il Comitato Centrale ANC ha emesso la deliberazione in data 14 novembre 1989, sostanzialmente confermativa di tutte le precedenti. Nel frattempo, tuttavia, il Ministero dei Lavori Pubblici ed il Comitato Centrale ANC avevano proposto appello avverso la predetta sentenza n. 1306 del 1989, nel mentre nel relativo giudizio lImpresa (...) ha proposto appello incidentale. Anche tale giudizio si concluso favorevolmente per lImpresa (...) mediante decisione n. 747 dd. 30 aprile 1999, resa da questa stessa Sezione. Avverso la deliberazione del 14 novembre 1989 lImpresa (...) ha proposto un ulteriore ricorso, conclusosi con sentenza del TAR per il Lazio, sez. III, 6 febbraio 2002 n. 832, con la quale limpugnativa stata accolta e la deliberazione predetta annullata. Tale sentenza, non impugnata, passata in giudicato. 1.2. Ci posto, con ulteriore ricorso proposto innanzi al T.A.R. per il Lazio lImpresa (...) ha proposto nei confronti del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti una domanda di risarcimento danni, evidenziando che il giudice amministrativo ha riconosciuto la fondatezza della propria pretesa alliscrizione allANC per le 9 categorie richieste originariamente e per limporto complessivo di 18 miliardi di lire, contro le tre categorie riconosciute per sole lire 2,1 miliardi di lire. In sostanza, la ricorrente, valutando il fatto di non aver potuto esercitare la propria attivit nel campo di lavori pubblici per un lungo periodo di tempo, e ci a causa dellillegittimit dellattivit provvedimentale dellAmministrazione, ha chiesto di essere risarcita per equivalente. Ad avviso della ricorrente, le voci di danno da considerare consisterebbero: 1) nella mancata partecipazione dellImpresa agli appalti pubblici per quasi venti anni e, quindi, nel relativo mancato lucro; 2) nel danno allimmagine subito dallImpresa, con ricaduta anche sui rapporti con i terzi. 1.2. Con sentenza n. 8218 dd. 1 settembre 2004 la Sezione III del T.A.R. per il Lazio ha respinto il ricorso. 2. Con lappello in epigrafe lImpresa (...) chiede pertanto la riforma di tale ultima sentenza, insistendo per laccoglimento delle proprie domande risarcitorie. 3. Non si costituito in giudizio il pur intimato Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. 4. Alla pubblica udienza dell8 febbraio 2011 la causa stata trattenuta per la decisione. 5. Tutto ci doverosamente premesso, va evidenziato che il giudice di primo grado ha respinto il ricorso innanzi a lui proposto in quanto il ricorrente, sebbene abbia puntualmente ricostruito la propria vicenda processuale e gli esiti favorevoli della stessa, non ha comunque fornito alcun elemento di prova al fine di dimostrare il danno patito o, comunque, non ha prodotto spunti di valutazione neanche per uneventuale consulenza tecnica dufficio al fine della valutazione del danno subito. In buona sostanza, quindi, ad avviso del T.A.R. il ricorrente non ha ottemperato allonere della prova contemplato dallart. 2697 c.c., il cui principio vige anche nel processo amministrativo, laddove i poteri istruttori del giudice amministrativo possono essere infatti esercitati soltanto in ragione dell'incompletezza dell'istruttoria, ma non anche in totale mancanza di essa; le indagini istruttorie, infatti, possono essere disposte dufficio dal giudice solo ove la parte abbia CONTENZIOSO NAZIONALE 147 offerto almeno un serio principio di prova idoneo a suffragare la pretesa azionata. Anche questo giudice concorda in linea di principio con la tesi espressa dal T.A.R. Invero, nel processo amministrativo, anche dopo lentrata in vigore del nuovo codice approvato con D.L.vo 2 luglio 2010 n. 104 (cfr. art. 64, comma 3, cod. proc. amm.), il sistema probatorio fondamentalmente retto dal principio dispositivo con metodo acquisitivo degli elementi di prova da parte del giudice, il quale comporta lonere per il ricorrente di presentare almeno un indizio di prova perch il giudice possa esercitare i propri poteri istruttori (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. V, 7 ottobre 2009, n. 6118): e ci, per lappunto, contemplato dal sistema proprio in quanto il ricorrente, di per s, non ha la disponibilit delle prove, essendo queste nellesclusivo possesso dellamministrazione ed essendo quindi sufficiente che egli fornisca un principio di prova. Viceversa, la disciplina contenuta nellart. 2697 cod. civ. (corrispondente, ora, allart. 64, comma 1, cod. proc. amm.) secondo la quale spetta a chi agisce in giudizio indicare e provare i fatti, deve trovare integrale applicazione anche nel processo amministrativo ogniqualvolta non ricorra tale disuguaglianza di posizioni tra Pubblica Amministrazione e privato, come - per lappunto - nel caso di specie, laddove si verte esclusivamente sulla spettanza, o meno, di un risarcimento del danno: con la conseguenza che, a pena di uninammissibile inversione del regime dellonere della prova, non consentito al giudice amministrativo di sostituirsi alla parte onerata quando questultima si trovi nellimpossibilit di provare il fatto posto a base della sua azione (cfr., al riguardo, ex plurimis, Cons. Stato , Sez. V, 10 novembre 2010 n. 8006). A ragione, quindi, il giudice di primo grado ha rilevato che il ricorrente avrebbe potuto e dovuto fornire elementi di valutazione circa il danno patito, producendo, ad esempio, atti e documenti relativi al fatturato dellimpresa e a ai suoi bilanci (nel periodo in cui era iscritta allANC per tutte le categorie indicata e nel periodo successivo alladozione dei provvedimenti annullati), alle gare bandite nel periodo, ecc.. La parte ricorrente, invece, pur essendosi riservata allinizio del giudizio di provare e quantificare la misura del danno (cfr. pag. 7 del ricorso), ha prodotto gli atti relativi ai vari procedimenti giudiziali da essa promossi, limitandosi a sollecitare la nomina di un consulente tecnico dufficio per quantificare i danni patiti (cfr. la memoria prodotta in primo grado dd. 24 giugno 2004). In buona sostanza, quindi, la ricorrente non ha dimostrato di aver subito una perdita economica in conseguenza delladozione degli atti annullati nei ricorsi da essa precedentemente proposti; n pu essere accordata la richiesta consulenza tecnica dufficio al fine di quantificare i danni da essa asseritamente patiti, posto che tale incombente assolve alla funzione di fornire allattivit valutativa del giudice lapporto di cognizioni tecniche da lui non possedute, ma non per certo deputata ad esonerare la parte dalla prova dei fatti dalla stessa dedotti e posti a base delle proprie richieste: fatti che, come detto innanzi, devono essere dimostrati dalla medesima parte alla stregua dei criteri di ripartizione dell'onere della prova posti dall'art. 2697 c.c. In sede di appello la parte ricorrente, allevidenza ben conscia di tali carenze, ha rimarcato - tra laltro - che il danno risulterebbe comprovato in re ipsa dalla stessa circostanza che essa, proprio per effetto della sostanziale esclusione dallANC da essa per lungo tempo subita, ha potuto accedere al solo mercato privato degli appalti di lavori, notoriamente meno remunerativo per le imprese rispetto a quelli pubblici, e che il danno da essa subito (da intendersi quindi come differenziale tra quanto da essa effettivamente ricavato nel tempo dallattivit nel settore privato con quanto solo presuntivamente ricavabile nellipotesi in cui fosse proseguito laccesso alle commesse pubbliche) dovrebbe essere valutato equitativamente da questo giudice 148 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 a sensi dellart. 1226 c.c., ovvero mediante una stima ex post delle chances di aggiudicazione non concretatesi per la propria impresa. Tale valutazione equitativa, tuttavia, pu soccorrere soltanto, come precisa la stessa disciplina codicistica, qualora il danno non pu essere provato nel suo preciso ammontare: e, per lappunto, il mancato deposito agli atti di causa dei bilanci societari comunque impedisce ex se di fondare qualsivoglia valutazione anche in ordine alle risorse finanziarie e di personale che la ricorrente avrebbe potuto adibire per la propria attivit in ambito pubblico; n risulta logicamente possibile accedere alla prospettazione della medesima ricorrente, formulata sempre in sede di appello, secondo la quale il danno sarebbe ricavabile mediante lapplicazione in via del tutto apodittica di percentuali sui valori delle categorie per le quali essa non stata ammessa alliscrizione allANC. 6. Peraltro, a parziale riforma della sentenza impugnata, pu comunque essere accolta la domanda risarcitoria limitatamente al c.d. danno curriculare. Il fatto stesso di eseguire un appalto pubblico, anche a prescindere dal lucro che limpresa ne ricava grazie al corrispettivo pagato dalla stazione appaltante, costituisce infatti fonte per limpresa di un vantaggio non patrimoniale ma - comunque - economicamente valutabile, poich di per s accresce la capacit di competere sul mercato e quindi la chance di aggiudicarsi ulteriori e futuri appalti. In tale ottica deve pertanto ritenersi risarcibile il danno anzidetto, il quale segnatamente consiste nel pregiudizio subito dallimpresa in dipendenza del mancato arricchimento del proprio curriculum professionale, ossia per la circostanza di non poter indicare in esso lavvenuta esecuzione dellappalto sfumato a causa del comportamento illegittimo dellAmministrazione (cos, ad es., Cons. Stato, Sez. VI, 09 giugno 2008 n. 2751). Tale ben particolare pregiudizio, a prescindere dalla carenza di prove offerte dalla ricorrente in ordine alle perdite economiche da essa subite, fuoriesce - altres - dagli ambiti meramente probabilistici della valutazione delle chances e si pone in termini obiettivi per il fatto stesso dellintervenuta esclusione della ricorrente dal mercato pubblico, ed pertanto intrinsecamente e necessariamente valutabile da questo giudice in termini equitativi a sensi dellart. 1226 c.c. Il Collegio, in tal senso, reputa pertanto congruo stimare la perdita di professionalit dellImpresa (...) conseguente alla sua forzata esclusione dal mercato pubblico in 10.000,00.- (diecimila/ 00), da riconoscersi a carico del Ministero intimato. In considerazione della parziale soccombenza della societ ricorrente e della particolarit dellultima questione trattata, le spese e gli onorari del giudizio, complessivamente definiti nella misura di 5.000,00.- (cinquemila/00) oltre ad I.V.A. e C.P.A., sono compensati nella misura del 50%, e sono pertanto posti a carico del Ministero intimato e liquidati a favore della ricorrente nella misura di 2500,00.- (duemilacinquecento/00) oltre ad I.V.A. e C.P.A. A carico del Ministero intimato va pure posto il contributo unificato di cui allart. 9 e ss. del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 e successive modifiche. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sullappello, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei limiti di cui in motivazione e, per leffetto, condanna il Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture a corrispondere alla ricorrente la somma di 10.000.- (diecimila/00) a titolo di danno curriculare (...). CONTENZIOSO NAZIONALE 149 Impugnabilit dei provvedimenti adottati dal Commissario ad acta Incidenza della normativa sopravvenuta sul giudicato (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza del 26 agosto 2011 n. 4816) 1. Gli atti adottati dal Commissario ad acta in sede di ottemperanza del giudicato sono impugnabili con ordinario ricorso giurisdizionale solo allorquando il giudicato abbia lasciato margini di discrezionalit allamministrazione, cosicch lattivit svolta dal Commissario possa considerarsi espressione di un potere amministrativo, come tale sindacabile in sede dimpugnazione ordinaria. 2. Le sopravvenienze di fatto o di diritto verificatesi anteriormente alla notificazione della sentenza costituente giudicato rappresentano ostacolo o limite alla sua esecuzione, mentre sono irrilevanti le sopravvenienze successive a detta notificazione perch, in tal caso, trova piena applicazione la regola secondo cui la durata del processo non deve andare in danno della parte vittoriosa, la quale ha diritto allesecuzione del giudicato in base allo stato di fatto e di diritto vigente al momento della ridetta notificazione (*) Consiglio di Stato, Sez. Terza, sentenza del 26 agosto 2011 n. 4816 - Pres. G. P. Cirillo, Cons. Est. L. Balucani - Min. interno (avv. gen. Stato) c. Commissario ad acta e M.R.S. ed altri (avv. M. Spagna). (Omissis) FATTO Con istanza in data 23 luglio 1991 la sig.a S. M. R., unitamente alle figlie, chiedeva la speciale elargizione a favore delle vittime del terrorismo e della criminalit organizzata (ex art.1 L.20 ottobre 1990, n.302) in relazione al decesso del coniuge B. M., avvenuto a seguito di un conflitto a fuoco nel quale era rimasto ucciso anche un esponente di un clan camorristico del Casertano. La predetta elargizione veniva negata non essendo stata rilevata con certezza la assoluta estraneit del B. ad ambienti e rapporti delinquenziali. Dopo che il TAR Campania, sezione terza, con sentenza n.3358 del 1998 aveva respinto il ricorso proposto dalla sig.a S. avverso il provvedimento di diniego, il Consiglio di Stato, Sez. VI, ha pronunciato le seguenti decisioni: - con decisione 6 giugno 2008, n. 2715 ha accolto lappello avverso la sentenza del TAR annullando latto di diniego; - con decisione 26 giugno 2009, n. 4414 ha accolto il ricorso in ottemperanza ordinando alla Amministrazione di dare esecuzione al giudicato e nominando come Commissario ad acta il Prefetto della provincia di Caserta; - con decisione 3 agosto 2010, n. 5146 ha dichiarato elusivo il provvedimento adottato in data 11 dicembre 2009 dal Commissario ad acta (che aveva ribadito la non accoglibilit della domanda di elargizione), assegnando al Commissario il termine di sessanta giorni per ladozione dei provvedimenti satisfattivi del giudicato. A questo punto il Commissario ad acta con provvedimento 7 ottobre 2010 ha concesso il (*) Massime dellavv. Stato che si occupato della trattazione della causa, avv. CARLO SICA. 150 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 beneficio. Avverso detto provvedimento insorto il Ministero dellInterno con ricorso proposto dinanzi al TAR Lazio denunciando la violazione dellart. 2 quiquies D.L. n.151 del 2008 (come modificato prima dallart. 1 L. di conversione n. 186 del 2008 e successivamente dallart. 2, comma 21, L n. 94 del 2009) che vieta la concessione dei benefici di legge ai superstiti delle vittime della criminalit organizzata, che siano parenti o affini entro il 4 grado di soggetti nei cui confronti risulti in corso un procedimento penale per uno dei delitti di cui allart. 51, comma 3bis C.P.P. E ci in quanto due fratelli del deceduto B., quindi parenti entro il 4 grado dei superstiti, risultavano gravati da precedenti penali. Il TAR adito con sentenza 31 gennaio 2011, n. 842 ha dichiarato inammissibile il ricorso avendo ritenuto che competente a conoscere della controversia sia il Consiglio di Stato, stante che il provvedimento emesso dal Commissario ad acta ha carattere del tutto vincolato rispetto allo iussus iudicis; conseguentemente ha escluso la fondatezza della questione di giurisdizione, e cos pure della questione di competenza territoriale sollevata dalla parte resistente. Avverso la sentenza del TAR il Ministero dellInterno ha interposto appello sostenendo la competenza del TAR a conoscere della controversia: ci in quanto la norma ostativa alla concessione della speciale elargizione richiesta non ha costituito oggetto di giudicato, e pertanto il provvedimento del Commissario, in quanto adottato in violazione di una norma sopravvenuta, impugnabile in via ordinaria dinanzi al Giudice Amministrativo. Si costituita in giudizio la sig.a S., unitamente alle figlie, contestando i motivi dellatto di appello, del quale ha chiesto il rigetto. Alla pubblica udienza del 24 giugno 2011 la causa stata trattenuta in decisione. DIRITTO Lappello infondato. Secondo un orientamento consolidato nella giurisprudenza amministrativa gli atti adottati dal Commissario ad acta in sede di ottemperanza del giudicato sono impugnabili con lordinario ricorso giurisdizionale solo allorquando il giudicato abbia lasciato margini di discrezionalit allAmministrazione, s che lattivit svolta dal Commissario possa considerarsi espressione di un potere amministrativo, come tale sindacabile in sede di impugnazione ordinaria. Al contrario, laddove non sussista alcun margine di discrezionalit nel compito affidato al Commissario, allora competente a conoscere della esatta esecuzione del giudicato soltanto il giudice della ottemperanza. Nella fattispecie in esame, dal momento che la decisione del Consiglio di Stato di cui era stata chiesta lesecuzione obbligava il Commissario ad acta ad adottare i provvedimenti realmente satisfattivi del giudicato, vale a dire la concessione della speciale elargizione prevista dallart. 34 L. n. 222/2007, senza riservare alcuna discrezionalit al riguardo, indubbia la competenza di questo Consiglio a conoscere della controversia azionata con il ricorso del Ministero avverso il provvedimento del Commissario in data 7 ottobre 2010 che ha concesso il beneficio in questione. E dunque corretta la statuizione sulla competenza contenuta nella sentenza di primo grado. Ritenuta la competenza del giudice dellottemperanza, si pu passare allesame del motivo di gravame prospettato dal Ministero con lanzidetto ricorso, vale a dire la asserita violazione, da parte del Commissario, della sopravvenuta disposizione di cui allart. 2 quinquies D.L. 2 ottobre 2008, n. 151 (conv. con modificazioni in L. 28 novembre 2008, n. 186), come modificato dallart. 2, comma 21 L. 15 luglio 2009, n.94, che - come esposto in punto di fatto - ha CONTENZIOSO NAZIONALE 151 vietato la concessione dei benefici in favore della vittime della criminalit organizzata ai superstiti che siano parenti o affini entro il 4 grado di soggetti nei cui confronti risulti in corso un procedimento penale per uno dei delitti di cui allart. 51, comma 3bis C.P.P.. Il motivo infondato. Se vero infatti che lesecuzione del giudicato pu trovare ostacolo e/o limite nelle sopravvenienze di fatto e di diritto verificatesi anteriormente alla notificazione della sentenza, restano invece irrilevanti le sopravvenienze successive alla notificazione medesima, perch in tal caso si deve dare piena espansione alla regola secondo cui la durata del processo non deve andare in danno della parte vittoriosa, la quale ha diritto alla esecuzione del giudicato in base allo stato di fatto e di diritto vigente al momento. In tal senso il consolidato indirizzo di questo Consiglio (cfr. tra le altre: Cons. St. VI, 22 ottobre 2002, n.5816; 3 novembre 2010, n.7761; 17 giugno 2010, n.3851). Ci posto, poich nel caso in questione la disposizione normativa ritenuta ostativa alla concessione del beneficio ex lege n. 302/1990 stata introdotta con lart. 2,comma 21, della legge 15 luglio 2009, n. 94, che posteriore alla stessa decisione del Consiglio di Stato con la quale veniva nominato il Commissario ad acta (dec. 13 luglio 2009, n. 4414), ne consegue che la normativa sopravvenuta non pu incidere sul giudicato e dunque non pu impedire la concessione della speciale elargizione in favore della parte appellata. Per quanto precede lappello del Ministero deve essere respinto Sussistono giusti motivi per compensare le spese processuali del presente grado di giudizio tra le parti in causa. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. 152 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 Legittimazione ed interesse di una P.A. alliniziativa giurisdizionale (Nota a Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza del 13 giugno 2011 n. 3567) Damiano Marini* SOMMARIO: 1. Il caso di specie - 2. Il dictum del Consiglio di Stato - 3. Latto presupposto e latto preparatorio - 4. La categoria dell invalidit derivata nelle due forme ad effetti caducanti e ad effetti vizianti - 5. La portata generale della sentenza - 6. Una differente soluzione interpretativa. 1. Il caso di specie La sentenza del Consiglio di Stato n. 3567 del 13 giugno 2011 risulta di notevole interesse non solo e non tanto per la pronuncia nel merito della controversia (1), quanto piuttosto per la statuizione in rito con cui viene riconosciuta allAutorit di vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (2) la legittimazione, nonch linteresse, ad impugnare le sentenze aventi ad oggetto i provvedimenti di segnalazione delle stazioni appaltanti. Con simili provvedimenti questultime comunicano allAVCP le avvenute esclusioni di operatori economici dalle gare di appalto da esse indette al fine delliscrizione di simili circostanze nel Casellario Informatico. Per una migliore comprensione della portata della sentenza in esame risulta necessario rappresentare la peculiarit del caso di specie allattenzione del Supremo Consesso della giustizia amministrativa. La vertenza, infatti, ha avuto inizio con il ricorso promosso, da unimpresa partecipante ad una procedura aperta per laffidamento di un contratto pubblico di lavoro, avverso il provvedimento con cui la stazione appaltante aveva proceduto allesclusione della stessa dalla gara, a causa del riscontrato difetto di uno dei requisiti generale prescritti dallart. 38 D.lgs. 12 aprile 2006 n. 163 (Codice degli appalti pubblici) (3). Con lo stesso ricorso venivano altres impugnati i provvedimenti, sempre della stazione appaltante, con cui questultima (*) Dottore in giurisprudenza, ammesso alla pratica forense presso l Avvocatura dello Stato. (1) Il Consiglio di Stato ha infatti censurato linterpretazione avallata dal TAR secondo la quale la triplice sanzione (esclusione dalla gara, escussione della cauzione provvisoria e segnalazione allAVCP) va applicata solamente in caso di riscontro della mancanza dei requisiti di ordine speciale ex art. 48 D.lgs. 163/2006, ribadendo, invece, come la stessa vada irrogata anche in caso di difetto dei requisiti di ordine generale ex art. 38 D.lgs. 163/2006. Nello steso senso, Cons. Stato, sez. IV, 7 settembre 2004 n. 5792; Cons. Stato, sez. V, 12 febbraio 2007 n. 554; Cons. St., sez. VI, 4 agosto 2009, n. 4905. (2) Dora in poi AVCP. (3) Nella specie, la stazione appaltante, dopo aver aggiudicato provvisoriamente la gara alla ditta ricorrente, nel controllare il possesso da parte di questultima dei requisiti di ordine generale necessari per la partecipazione alle procedure di affidamento di commesse pubbliche aveva riscontrato, a carico del legale rappresentante della societ, una condanna definitiva per omicidio colposo relativa ad un sinistro occorso ad un apprendista impiegato nellazienda. La societ veniva cos, conseguentemente, esclusa per difetto del requisito prescritto dalla lettera c) dellart. 38 D.lgs. 163/2006. CONTENZIOSO NAZIONALE 153 segnalava allAVCP lavvenuta esclusione, al fine delliscrizione della stessa nel Casellario Informatico, nonch escuteva la cauzione provvisoria. Il T.a.r. Piemonte (4) accoglie solo parzialmente il ricorso confermando il provvedimento di esclusione dalla gara di appalto, ma annullando i relativi provvedimenti di segnalazione allAVCP e di escussione della cauzione provvisoria. LAVCP ha quindi impugnato la sentenza di prime cure limitatamente alla parte relativa allannullamento del provvedimento di segnalazione, del resto lunico capo della sentenza verso cui nutriva interesse, in quanto a seguito dellannullamento della segnalazione era stata disposta la cancellazione della relativa iscrizione nel Casellario Informatico. Fin dai primi scritti difensivi, per, la societ appellata eccepisce linammissibilit dellappello per carenza di legittimazione e difetto di interesse da parte dellAVCP, in quanto trattasi dimpugnazione di una sentenza avente ad oggetto un provvedimento di altra autorit, o meglio della stazione appaltante. Il Consiglio di Stato sembra essere dello stesso avviso quando in sede di ordinanza cautelare, che respinge listanza di sospensione della sentenza impugnata, rileva come in via preliminare, appare da dubitarsi della legittimazione allappello dellAutorit con riferimento ad una determinazione annullata, e ad una conseguente soccombenza, riferibili alla stazione appaltante (5). 2. Il dictum del Consiglio di Stato Evidenti le conseguenze che una simile statuizione, se confermata in sentenza, avrebbe prodotto nella sfera di interessi dellAutorit di vigilanza; infatti, in tal modo non sarebbe possibile per lAVCP difendere processualmente la legittimit delle segnalazioni provenienti dalle stazioni appaltanti che risultano necessarie per la corretta e aggiornata tenuta del Casellario Informatico. Necessarie poich le iscrizioni nel Casellario Informatico dipendono dalle previe segnalazioni dei fatti da iscrivere; come del resto dimostrato anche nel caso di specie dove a seguito dellannullamento del provvedimento di segnalazione da parte del giudice territoriale, e per ottemperare alla sentenza, la stessa Autorit ha provveduto alla cancellazione dellinscrizione. Inizialmente, il Consiglio di Stato, in sede di giudizio cautelare, non sembrava condividere un simile avviso in quanto probabilmente riteneva non necessario un intervento processuale dellAVCP, poich trattandosi di un atto di altra amministrazione sarebbe questultima ad essere titolare del potere - dovere di difendere la legittimit dei propri atti. Linesattezza di una simile considerazione, per, viene in rilievo nei casi, (4) Con la sentenza n. 957/2010. (5) Ordinanza cautelare n. 3762 del 30 luglio 2010. 154 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 come quello di specie in cui il giudice di prime cure provvede ad annullare non lesclusione dalla gara, ma solamente la relativa segnalazione; in queste circostanze le sentenze passano in giudicato a causa della mancata impugnazione delle stazioni appaltanti che hanno un preciso interesse alla sola legittimit del provvedimento di esclusione. A tal punto il Supremo Consesso si trovava ad un bivio essendo solamente due le strade da poter percorrere: attribuire lesclusivo interesse alla legittimazione dei provvedimenti di segnalazione alle sole stazioni appaltanti (va ricordato, per, che le segnalazioni vengono effettuate al solo fine della successiva iscrizione, e che questultime dipendono dalle prime), oppure attribuire il predetto interesse anche allAVCP. Se a sostegno della prima opzione soccorre il dato formale costituito dalla titolarit del provvedimento della segnalazione in capo alle stazioni appaltanti, di contro vi il rilievo per cui le stazioni appaltanti sono spesso disinteressate ad impugnare le sentenze dei giudici amministrativi regionali tutte le volte che si vedono confermato il loro provvedimento di esclusione, indipendentemente da un contestuale annullamento dellatto relativo alla segnalazione. Rilevanti, allora, sarebbero le conseguenze di una simile scelta: in ottemperanza alle sentenze di annullamento delle segnalazioni debbono essere cancellate le relative iscrizioni, la cui legittimit, tuttavia, non potrebbe essere tutelata in giudizio. Si creerebbe, cos, un vuoto di tutela per il Casellario Informatico, nonch per la stessa AVCP, accettabile solamente disconoscendo l importanza dellistituto de quo allinterno del nostro ordinamento; una scelta, questultima, implicante una responsabilit che il Consiglio di Stato non si voluto assumere. Come evidenziato nelle argomentazioni dellAvvocatura di Stato, disconoscere limportanza del Casellario Informatico non impresa facile. Questultimo stato istituito presso lOsservatorio costituito allinterno dellAVCP, che un organismo indipendente creato per vigilare sui contratti pubblici affinch sia garantito il rispetto dei principi di correttezza e trasparenza nelle procedure di scelta del contraente, di economica ed efficiente esecuzione dei contratti, e delle regole della concorrenza nelle singole procedure di gara espletate. Tra i poteri di vigilanza attribuiti allAutorit vi appunto la tenuta del Casellario Informatico che assolve la funzione di informare le stazioni appaltanti di circostanze negative riguardanti gli operatori economici partecipanti a pubbliche gare che influiscono sui requisiti generali e tecnici che gli aggiudicatari di commesse pubbliche devono possedere (6). Si tratta quindi di uno strumento che contribuisce a consentire la scelta del miglior contraente, nonch lefficiente esecuzione dei contratti pubblici. (6) Infatti, le stazioni appaltanti una volta effettuata laggiudicazione provvisoria provvedono al controllo circa il possesso dei requisiti prescritti dal Codice dei Contratti Pubblici (D.lgs. 163/2006); per la verifica ricorrono anche al Casellario Informatico. CONTENZIOSO NAZIONALE 155 Inoltre, si trattava di considerare le cause genetiche di un simile eventuale vulnus di tutela, che certamente non potevano ravvisarsi nella mancanza di strumenti diretti a tal fine visto che il rimedio dellappello un istituto portante del nostro sistema processual-amministrativo. La causa, allora, andava cercata altrove e, precisamente, nella ricostruzione degli interessi sottesi ai provvedimenti di segnalazione. Non restava quindi che percorrere la seconda, strada riconoscendo gli interessi propri dellAVCP ed affermando la sua legittimazione ad impugnare le sentenze riguardanti i provvedimenti di segnalazione delle stazioni appaltanti. Infatti, si legge nella sentenza, il Collegio ritiene che l'Autorit per la vigilanza sui contratti pubblici sia legittimata a proporre appello avverso la sentenza del T.a.r. che abbia annullato la segnalazione della stazione appaltante circa i provvedimenti di esclusione di un'impresa da una gara pubblica. Tale segnalazione, invero, pur provenendo da una diversa Amministrazione (il soggetto che bandisce la gara) , comunque, un atto strumentale e necessario per l'esercizio, da parte dell'Autorit di vigilanza, di una sua specifica competenza provvedimentale, quella, appunto, di procedere alla relativa iscrizione nel Casellario informatico. Tra la segnalazione della stazione appaltante e la successiva iscrizione nel Casellario ad opera dell'Autorit vi , certamente, un rapporto di presupposizione, con la conseguenza che l'annullamento del provvedimento presupposto (l'atto di segnalazione) va ad incidere inevitabilmente sulla validit del provvedimento presupponente (l'iscrizione). Il nesso di presupposizione che avvince questi due provvedimenti radica in capo all'Autorit di vigilanza una posizione differenziata e giuridicamente rilevante, togliendo ogni dubbio in ordine all'esistenza di una sua legittimazione processuale che le consente di difendere in giudizio, anche mediante la proposizione di un autonomo appello, il provvedimento di segnalazione adottato dalla stazione appaltante. In merito alla legittimazione allimpugnazione stata cos ritenuta irrilevante la circostanza che latto annullato provenga da altra Amministrazione mentre stata prediletta lanalisi degli interessi sostanziali lesi dalla sentenza da impugnare. Del resto si trattava di applicare i principi generali in tema di interesse ad impugnare. In dottrina stato sostenuto come il soggetto che agisce contro il giudizio non pu essere che quegli che a subito, a cui carico sia stata posta la normativa, ossia il soccombente, che lunico che abbia un interesse tutelato a reagire, a muovere contro il giudizio, per eliminare o almeno modificare la normativa che ne scaturita (7). Per riconoscere la lesivit della sentenza impugnata rispetto agli interessi dellAVCP il Supremo Giudice amministrativo riconduce i provvedimenti di (7) TOMEI, Legittimazione ad agire in Enciclopedia del diritto, XXIV, Milano, 1980, 90-91. 156 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 segnalazione alla categoria degli atti presupposti riconoscendo come tra la segnalazione della stazione appaltante e la successiva iscrizione nel Casellario ad opera dell'Autorit vi , certamente, un rapporto di presupposizione, con la conseguenza che l'annullamento del provvedimento presupposto (l'atto di segnalazione) va ad incidere inevitabilmente sulla validit del provvedimento presupponente (l'iscrizione). Il nesso di presupposizione che avvince questi due provvedimenti radica in capo all'Autorit di vigilanza una posizione differenziata e giuridicamente rilevante, togliendo ogni dubbio in ordine all'esistenza di una sua legittimazione processuale che le consente di difendere in giudizio, anche mediante la proposizione di un autonomo appello, il provvedimento di segnalazione adottato dalla stazione appaltante. 3. Latto presupposto e latto preparatorio La categoria dellatto presupposto da tempo molto utilizzata in giurisprudenza per individuare quegli atti amministrativi che seppur non configurabili come atti conclusivi di un procedimento si distinguono dai meri atti preparatori. Infatti, il procedimento amministrativo non altro che una sequenza di atti e operazioni, collegati tra loro, diretta alla produzione di un provvedimento finale produttivo di effetti giuridici. La giurisprudenza amministrativa si dimostrata nel tempo sempre pi sensibile alla possibilit che non sia solamente il provvedimento finale a ledere eventualmente gli interessi privati, che invece possono risultare compromessi anche da provvedimenti intermedi del procedimento. Al fine di individuare quali tra gli atti intermedi possano avere una propria e immediata capacit lesiva, ancor prima che si sia manifestata la capacit lesiva del provvedimento finale, si distinto, allinterno della categoria degli atti intermedi, tra atti presupposti e atti preparatori. Il primo che ha approfondito il tema in questione stato Sandulli, secondo il quale gli atti preparatori sono quegli atti endoprocedimentali che inseriti allinterno del procedimento non hanno al di fuori di questo unautonoma valenza sul piano del diritto in quanto incapaci di produrre autonomi effetti giuridici diversi da quelli propri del provvedimento finale. Gli atti presupposti, invece, sarebbero quegli atti esoprocedimentali che godono di unautonomia rispetto al procedimento cui accedono, poich oltre a condizionare il provvedimento finale sono funzionalmente diretti allemanazione di distinti effetti giuridici (8). Quindi, da quegli atti meramente preparatori preordinati allemanazione di un atto successivo, senza la cui esistenza non hanno ragione dessere, si sono distinti gli atti definiti invece presupposti caratterizzati da una propria (8) SANDULLI, Il procedimento amministrativo, Milano, 1940, 54-56, la cui prospettiva stata definita funzionale. CONTENZIOSO NAZIONALE 157 anima e funzionalmente autonomi rispetto allatto successivo (atto presupponente) (9). In altri termini, mentre latto preparatorio risulta legato alla serie di atti successivi da un rapporto meramente strumentale, esclusivamente funzionale allemanazione di un atto conclusivo, per cui di regola ad un atto preparatorio segue sempre un atto conclusivo (del procedimento), latto presupposto esplica una propria funzione e pu estrinsecare la sua validit sia autonomamente che in dipendenza dellatto conclusivo (10). Ne discende che latto preparatorio non in grado di ledere gli interessi privati colpiti dallagire dellAmministrazione poich produce solamente effetti parziali e prodromici ai fini delleffetto finale prodotto esclusivamente dallatto conclusivo, lunico effettivamente lesivo (11). Latto presupposto, invece, ha una propria capacit lesiva autonoma in grado di colpire immediatamente gli interessi di un soggetto, mentre latto ad esso successivo fa semplicemente sorgere e perfezionare tale stretto rapporto (12). Per inquadrare un atto amministrativo in una delle due categorie appena accennate, la giurisprudenza utilizza la prospettiva funzionale, analizzando proprio lautonoma capacit lesiva dellatto, che difetta negli atti preparatori, mentre sussiste in quelli presupposti (13). Per tale ordine di motivi, viene riconosciuto solamente a questultimi la possibilit di essere immediatamente impugnabili da chi ritenga di aver subito da essi una lesione, senza attendere lemanazione dellatto conclusivo; latto preparatorio invece non pu essere impugnato se non unitamente con latto conclusivo. A contrario facilmente deducibile che se un provvedimento amministra- (9) Cfr. LUBRANO, Atto amministrativo presupposto: spunti di una teorica, Roma, 1992, 50 ss., che ha distinto la funzionalit generica caratterizzante gli atti preparatori, dalla funzionalit specifica propria degli atti presupposti. (10) Infatti, se latto successivo per qualsiasi motivo non viene ad esistenza, latto strumentale non ha pi ragione desistere. Se, invece, latto presupponente non viene emesso, latto presupposto non per questo perde la sua autonomia e validit in quanto nasce come atto gi da s indipendente; latto presupponente che trova la sua giustificazione ed origine in quello precedente e che gode quindi di una posizione meno autonoma. (11) Vedi VIRGA, Diritto amministrativo, Atti e ricorsi, Milano, 1987, II, 315-316. Cfr. Cons. Stato, V, 11 gennaio 2011, n. 80 e Cons. Stato, VI, 20 ottobre 2010, n. 7586 che qualificano il provvedimento di aggiudicazione provvisoria come atto endoprocedimentale (rectius, preparatorio). (12) Esempi di atti presupposti sono i bandi di gara per laffidamento di contratti di appalto di servizi, nonch i bandi di concorso a pubblici impieghi nel caso in cui le disposizioni in essi contenute non permettano la partecipazione alla gara o al concorso; vedi, rispettivamente, Cfr. Cons., St. V, 8 marzo 2011, n. 1463 e Cons., St. VI, 24 gennaio 2011, n. 456. Inoltre atto presupposto anche il provvedimento di approvazione e autorizzazione del progetto esecutivo di unopera pubblica in una procedura doccupazione durgenza (Cons. St., IV, 10 giugno 2010, n. 3684). (13) Si quindi escluso lutilizzo della solo prospettiva strutturale, dominante in passato, che distingue gli atti preparatori da quelli presupposti in base al rilievo che solamente i primi sono necessariamente collocati alinterno del procedimento, mentre i secondi si trovano in una posizione autonoma anche se facenti parte di esso. 158 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 tivo intermedio viene considerato dalla giurisprudenza autonomamente impugnabile, significa che questultimo stato qualificato come atto presupposto (14). Nel caso di specie il Consiglio di Stato allora non ha fatto altro che conformarsi allorientamento generale che permette lautonoma impugnazione del provvedimento di segnalazione (15); come del resto aveva fatto il ricorrente che ha provveduto allimpugnazione della sola segnalazione (16). 4. La categoria dell invalidit derivata nelle due forme ad effetti caducanti e ad effetti vizianti Se a prima vista la qualificazione della segnalazione come atto presupposto sembra irrilevante ai fini di unindagine circa la legittimazione processuale dellAVCP, un simile giudizio muta se si valuta il regime giuridico proprio di tale categoria di atti, e, in particolare, le conseguenze che lannullamento di un atto presupposto produce sul relativo atto presupponente, in tal caso il provvedimento dellAVCP di iscrizione nel Casellario Informatico. Viene quindi in rilievo il fenomeno dellinvalidit derivata relativo allinfluenza dellatto presupposto sulla validit dellatto conseguente. Si tratta di quel fenomeno, utilizzando le parole di Sandulli che consiste nel fatto che un certo atto resti a sua volta invalidato dallinvalidit di un atto precedente, il quale si poneva nei suoi confronti come presupposto (17); in altri termini linvalidit derivata linvalidit di un atto, di per s valido, la quale consegue dal fatto che esso trova il suo fondamento in un atto invalido (18). Listituto dellinvalidit derivata riguarda sia gli atti preparatori che gli atti presupposti ma si atteggia in maniera diversa rispetto a tali due categorie di atti. Gli atti preparatori, come chiarito sopra, non hanno rilevanza esterna e non sono immediatamente lesivi per cui un loro eventuale vizio si trasmette automaticamente sul primo atto lesivo successivo di rilevanza esterna (19). In merito agli atti presupposti, invece, essendo questi autonomamente funzionali, direttamente lesivi e quindi immediatamente impugnabili, un loro vizio non pu ripercuotersi sugli atti successivi perch delle due luna: o viene impugnato nei termini, e quindi se viziato annullato, oppure non viene tempesti- (14) CORSO, Atto amministrativo presupposto e ricorso giurisdizionale, Padova, 1990, 66-67. (15) Vedi Cons. St., VI, 20 luglio 2009, nn. 4504, 4505, 4506. (16) Oltre al provvedimento di esclusione e di incameramento della cauzione provvisoria, aspetti non rilevanti ai fini del presente contributo. Nel senso di qualificare il provvedimento di segnalazione come atto presupposto della successiva iscrizione nel Casellario Informatico vedi anche Cons. St., VI, 23 marzo 2010, n. 1691. (17) SANDULLI, op. cit., 332. (18) CAMMEO, Corso di diritto amministrativo, Padova, 1914, III, 1321. (19) Vedi VIRGA, Diritto amministrativo, Milano, 1987, II, 84. CONTENZIOSO NAZIONALE 159 vamente impugnato con la conseguenza che se viziato viene sanato (20). Allora, nel caso degli atti presupposti linvalidit derivata degli atti presupponenti non sar conseguenza della trasmissione del vizio da parte dellatto precedente, quanto, piuttosto, dellannullamento di questultimo (21). In sintesi, in caso di atti preparatori si avr linvalidit derivata dellatto successivo per trasmissione del vizio da parte dellatto precedente (quindi, vizio non solo dellatto preparatorio, ma anche proprio dellatto finale); nel caso di atti presupposti, invece, linvalidit derivata dellatto presupponente sar causa dellannullamento dellatto presupposto. Listituto dellinvalidit derivata, inoltre, si distingue nelle due sottospecie dellinvalidit caducante e dellinvalidit viziante. Linvalidit ad effetti caducanti si verifica quando lannullamento dellatto presupposto provoca il travolgimento automatico degli atti da esso dipendenti a prescindere dalla loro autonoma impugnazione giurisdizionale; linvalidit viziante invece ammette come, dallannullamento dellatto presupposto, derivi un vizio nellatto presupponente che per deve essere appositamente impugnato per ottenere un suo annullamento (22). Ai fini dellindividuazione degli atti presupponenti che vengono immediatamente travolti dallannullamento degli atti presupposti va analizzato il legame tra i secondi ed i primi, o meglio il loro nesso di presupposizione. Infatti, lannullamento dellatto presupposto travolge automaticamente solo quegli atti successivi legati al primo da un nesso di consequenzialit immediata, diretta e necessaria nel senso che latto successivo si pone come inevitabile conseguenza di quello precedente (23). Un cos stretto nesso di presupposizione stato ravvisato nella circostanza che latto precedente risulta lunico presupposto nellatto conseguente, ovvero nella maggiore vincolativit dellatto presupposto nei confronti nellatto pre- (20) Non perfettamente corretto parlare di effetto sanante quanto piuttosto effetto stabilizzante dellefficacia dellatto. Riprova che linvalidit dellatto non viene meno con il decorso dei termini di impugnazione la possibilit da parte della P.A. di ricorrere allannullamento in via di autotutela. Resta salva, comunque, limpugnazione dellatto presupponente per vizi suoi propri, non derivategli dallatto presupposto. (21) Latto presupponente sar quindi invalido perch emesso in difetto dellatto presupposto. Cos GRECO, La trasmissione dellantigiuridicit (dellatto amministrativo illegittimo), in Dir. Proc. Amm., n. 2/2007, 327-330. (22) La ratio degli effetti caducanti dellinvalidit derivata va ravvisata nellesigenza di giustizia e nel rispetto dei diritti del cittadino e della tutelabilit delle sua posizione giuridiche. Listituto de quo, infatti, offre una garanzia al ricorrente evitando di pregiudicare la tutela delle sue situazioni giuridiche solo per il fatto che al momento dellimpugnazione di un atto non si poi provveduto, per un qualsiasi motivo, ad impugnare latto ad esso conseguente. Vedi Cons. Stato, Ad. Pl., n. 4 del 1970 tra le prime sentenze ad occuparsi del tema in esame. (23) Cons. St., V, 25 agosto 2011, n. 4805; Cons. St., V, 25 novembre 2010, n. 8243; Cons. St., I, 30 aprile 2010, n. 1969; Cons. St., VI, 23 ottobre 2007, n. 5559. Cfr. DETTORI, Il rapporto di presupposizione nel diritto amministrativo, Napoli, 2006, 122, il quale distingue tra funzionalit debole e forte per affermare loperativit degli effetti caducanti solo nel secondo caso. 160 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 supponente (24). Orbene, applicando tali rilievi giurisprudenziali non vi dubbio che tra il provvedimento di segnalazione e la successiva iscrizione nel Casellario Informatico vi sia un nesso di presupposizione particolarmente intenso, o meglio, particolarmente intimo in quanto il primo costituisce presupposto unico del secondo. Del resto, il Supremo Giudice Amministrativo quando ha definito il provvedimento di segnalazione come atto strumentale e necessario rispetto al provvedimento di iscrizione nel Casellario Informatico non ha fatto altro che riscontrare il nesso particolarmente intimo tra i due provvedimenti. Il Consiglio di Stato, allora, ha preso in considerazione questo stretto legame tra i due provvedimenti di esclusione e di segnalazione per evidenziare la lesione che lAVCP subisce per effetto di una sentenza di annullamento del secondo (25). Infatti, a seguito di una simile sentenza vengono colpiti da invalidit derivata ad effetti caducanti i relativi provvedimenti di iscrizione dellAutorit di vigilanza che vede cos leso non solo il proprio potere di iscrizione, ma, pi in generale, il proprio potere - dovere di corretta tenuta dello stesso Casellario. Sono queste le considerazioni che hanno permesso al Supremo Consesso di rilevare come dall'annullamento giurisdizionale del provvedimento di segnalazione deriva, infatti, un ostacolo giuridico all'esercizio del potere di iscrizione nel Casellario informatico. E l'Autorit, che di tale potere di iscrizione titolare, ha senz'altro un interesse giuridicamente rilevante alla rimozione di quell'ostacolo, al fine di poter curare l'interesse pubblico, particolare e concreto, in vista del quale la legge le attribuisce il potere di iscrizione. 5. La portata generale della sentenza A tal punto risulta necessario rappresentare le conseguenze che discendono da tale pronuncia. In primo luogo, va evidenziato che riconoscere la lesivit di uneventuale pronuncia di annullamento di un provvedimento di segnalazione nella sfera dinteressi dellAVCP, significa attribuire necessariamente a questultima la qualit di controinteressato nei giudizi riguardanti tali atti amministrativi. Del resto, gi il Consiglio di Stato, nella gi citata sentenza Ad. Pl. n. 4 del 1970, aveva evidenziato come nel caso dellannullamento degli atti presupposti si pone un problema di integrazione del contraddittorio nei confronti dei soggetti i cui interessi sostanziali, direttamente toccati dai soli provvedi- (24) Tra le altre Cons. St., V, 7 febbraio 2000, n. 672. (25) evidente che l'annullamento giurisdizionale della segnalazione della stazione appaltante incide sul potere dell'Autorit appellante, impedendone ab origine l'esercizio. Annullando la segnalazione di un provvedimento di esclusione legittimamente adottato, il T.a.r., infatti, accerta, ex ante, che non vi sono i presupposti per l'esercizio del potere di iscrizione da parte dell'Autorit per la vigilanza sui contratti pubblici, la quale, quindi, il soggetto maggiormente inciso da tale decisione. CONTENZIOSO NAZIONALE 161 menti consequenziali, potrebbero essere coinvolti, sia pure sotto il profilo dellillegittimit derivata (di tali comportamenti), dalleventuale annullamento dellatto presupposto (26). Peraltro, non sembrano esserci dubbi circa la qualificazione di controinteressata allAVCP, se per controinteressato va inteso colui che dal provvedimento impugnato ha tratto un vantaggio e che quindi ha interesse a partecipare al giudizio al fine di conservarlo (27). Nel caso dellAutorit di vigilanza, inoltre, sussiste tanto lelemento sostanziale, quanto lelemento formale richiesti dalla giurisprudenza per la qualit di controinteressato: elemento sostanziale dato dalla titolarit di un interesse qualificato alla conservazione dellatto impugnato, ed elemento formale, consistente nellindicazione nominativa del soggetto nel provvedimento impugnato, ovvero nellagevole individuazione aliunde (28). Infatti, va rilevato, come gi chiarito sopra, che linteresse dellAVCP alla conservazione del provvedimento di segnalazione sorge in quanto da questultimo dipende la possibilit di esercizio del proprio potere di vigilanza, nonch la stessa corretta tenuta del Casellario Informatico. Nessun dubbio, infine, sulla presenza del requisito formale dato che il provvedimento di segnalazione espressamente inviato allAutorit che quindi risulta nominativamente indicata nello stesso. In secondo luogo, va evidenziata la portata generale del principio appena affermato dal Consiglio di Stato, il quale andr applicato in tutti i casi in cui si discuta giudizialmente della legittimit di atti amministrativi presupposti. In altri termini tutte le volte in cui un provvedimento amministrativo adottato da un qualsiasi soggetto pubblico influisce sulla sfera dinteressi di altre Amministrazioni, questultime sono legittimate ad intraprendere le pi opportune iniziative giurisdizionali. evidente come in simili casi assuma rilievo centrale la circostanza che lAmministrazione, diversa da quella che ha adottato il provvedimento contestato, abbia rispetto ad esso un interesse personale e concreto. Infatti, il Supremo Consesso ha chiarito come i soggetti pubblici non possono difendere la legittimit di qualsiasi atto amministrativo semplicemente sulla base della loro qualit di Pubblica Amministrazione, come se fossero titolari di un astratto interesse generale alla legalit dellagire pubblico, bens possono agire alla tutela di quegli interessi pubblici particolari e concreti che sono chiamati a perseguire, ed in vista dei quali lordinamento gli attribuisce il (26) Cfr. Tar Lazio, Roma, III, 10 luglio 2002, n. 6257; Cons. St., VI, 30 ottobre 2001, n. 5677, in cui stato sottolineato come tale necessit non sia venuta meno con lintroduzione nel processo amministrativo del rimedio dellopposizione di terzo, che ha, piuttosto, dimostrato la necessit di meccanismi preventivi di partecipazione che evitino conflitti risolvibili solamente con lopposizione di terzo. (27) GAROFOLI, FERRARI, Manuale di diritto amministrativo, Nel diritto Editore, 2010, 1851. (28) Vedi tra le altre Cons. St., VI, 3 agosto 2010, n. 5145. 162 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 potere amministrativo. Nel caso di specie, infatti, stata affermata la legittimazione dellAVCP poich stato riconosciuto come il provvedimento di segnalazione incida sul potere amministrativo specificamente attribuito all'Autorit di vigilanza per la cura di un interesse pubblico particolare e concreto: quello di assicurare, tramite l'aggiornamento del Casellario informatico, la conoscibilit delle notizie che possono incidere sulla corretta conduzione delle procedure di affidamento dei contrati pubblici . In altre parole, quindi, l'Amministrazione, quando ritiene che quegli interessi pubblici particolari siano ostacolati o compromessi, pu senz'altro intraprendere le opportune iniziative giurisdizionali ritenute opportune o necessarie alla loro difesa. Pu ad esempio costituirsi in giudizio per difendere la legittimit di atti che essa stesso ha adottato (ed questa l'ipotesi normale, in cui in contestazione proprio il provvedimento emanato al fine di soddisfare l'interesse pubblico); ma pu anche intraprendere iniziative giurisdizionali per difendere la legittimit di provvedimenti adottati da altri soggetti pubblici, nei casi in cui l'annullamento di tali provvedimenti possa avere l'effetto di impedire l'esercizio del potere di cui titolare. In entrambi i casi, la legittimazione e l'interesse all'iniziativa giurisdizionale derivano dalla necessit di curare, anche nel processo, l'interesse pubblico particolare alla cui cura quella Pubblica Amministrazione preposta. Una simile statuizione risulta essere una presa atto della complessa struttura e natura del procedimento amministrativo; questultimo non pi lo strumento con cui la singola Amministrazione provvede al raggiungimento e alla cura degli esclusivi e particolari interessi pubblici di cui risulta titolare. Lattivit amministrativa ormai molto pi complessa del passato ed spesso opera della sinergia di soggetti pubblici e privati; di tale complessit ne sono espressione i vari istituti della partecipazione, degli accordi di programma, delle intese. Sempre pi spesso un pubblico interesse non pu che essere soddisfatto attraverso il necessario coordinamento di diversi soggetti pubblici, le cui attivit, da esplicarsi secondo il principio di leale collaborazione, risultano strumentali, collegate e funzionali al raggiungimento di quellunico interesse. Ne deriva che ai fini dellindividuazione del soggetto/i legittimato/i alla tutela dei singoli provvedimenti amministrativi non pu essere sufficiente il criterio di titolarit formale del potere di adozione degli stessi poich, sempre pi di frequente, questultimi sono strumentali, funzionali al perseguimento di un interesse pubblico per il perseguimento del quale lordinamento ha disposto una pluralit di soggetti pubblici. Quindi, non va valutata soltanto la titolarit del potere di adozione del provvedimento, ma soprattutto quanto piuttosto la titolarit dellinteresse che lo stesso persegue. CONTENZIOSO NAZIONALE 163 6. Una differente soluzione interpretativa Si appena visto come nella sentenza in esame si sia evitato il vulnus di tutela per lAVCP, e conseguentemente per la stessa tenuta del Casellario Informatico, riconoscendo alla stessa la legittimazione ad impugnare (nonch la legittimazione ad intraprendere le opportune iniziative giurisdizionali) i provvedimenti di segnalazione delle stazioni appaltanti. Riconoscimento reso possibile dalla ricostruzione del nesso di presupposizione tra il provvedimento di segnalazione e il successivo provvedimento di iscrizione. Centrale per la pronuncia in favore dellAVCP stato, quindi, il rilievo dellinvalidit derivata ad effetti caducanti con cui vengono travolti gli atti di iscrizione nel Casellario Informatico a seguito dellannullamento degli atti di segnalazione da parte delle stazioni appaltanti. Il medesimo risultato poteva essere raggiunto percorrendo unaltra strada, nel senso di negare il carattere di atto presupposto ai provvedimenti di segnalazione. In questo senso si orientata una pronuncia del T.a.r. Toscana in cui il giudice amministrativo locale ha dichiarato inammissibile il ricorso introduttivo, quanto allimpugnazione del provvedimento di segnalazione, dopo aver disconosciuto lautonoma lesivit di questultimo (29). Nella motivazione si legge che la segnalazione non ha di per s valore lesivo, poich il periodo di interdizione dalla partecipazione alle gare per l'affidamento di contratti pubblici inizia con l'iscrizione nel Casellario. E' quindi tale ultimo atto che comporta l'origine di una situazione lesiva per l'interessato. La segnalazione avvia il procedimento per l'iscrizione del fatto, ma l'Autorit dispone poi di un potere valutativo sulla sua rilevanza ai fini dell'iscrizione e la sussistenza del medesimo e deve pertanto esaminare eventuali elementi a discarico, che l'interessato ha diritto di presentare. In tal modo, il provvedimento di segnalazione stato qualificato come atto preparatorio e non presupposto in quanto sarebbe strettamente funzionale alladozione dellatto finale delliscrizione, lunico effettivamente lesivo degli interessi privati. Del resto, utilizzando i risultati prodotti dallelaborazione dottrinale circa la distinzione tra atti preparatori e atti presupposti, sorgono dei dubbi circa la qualifica di atto presupposto al provvedimento di segnalazione; questultimo non sembra avere una propria ragione di esistere indipendente dal successivo atto di iscrizione, che anzi risulta a questo strettamente funzionale. Se per una ragione qualsiasi liscrizione nel Casellario non dovesse verificarsi la segnalazione non produrrebbe nessun effetto giuridico se non quello, esau- (29) Si tratta della sentenza del T.a.r. Toscana, Firenze, n. 1264 del 20 luglio 2011, quasi contemporanea a quella del Consiglio di Stato sopra commentata. Anche in questa controversia il ricorrente escluso da una gara di appalto aveva impugnato il provvedimento di esclusione, quello di segnalazione dellaccaduto allAVCP, nonch il provvedimento di escussione della garanzia. 164 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 rito, di aver avviato il procedimento dinnanzi allAutorit di Vigilanza. Il procedimento dinnanzi allAVCP, infatti, non pu pi essere qualificato come meramente consequenziale rispetto alla segnalazione delle stazioni appaltanti, come se l Autorit una volta ricevuta linformazione della circostanza da iscrivere provvedesse sic et sempliciter allannotazione della stessa nel Casellario. Come chiarito anche dallo stesso Consiglio di Stato lAVCP procede alla puntuale e completa annotazione dei contenuti nel casellario informatico, salvo il caso che consti linesistenza in punto di fatto dei presupposti o comunque linconferenza della notizia comunicata dalla stazione appaltante (30). LAutorit di Vigilanza, quindi, dopo aver ricevuto un provvedimento di segnalazione, compie un autonoma valutazione in merito alla legittimazione e allinconferenza di una eventuale iscrizione della circostanza segnalata. Inoltre, al fine di garantire un contraddittorio con gli operatori economici esclusi con le determinazioni n. 1/2008 e 1/2010 l Autorit di Vigilanza si dotata di regole speciali in ordine alla partecipazione procedimentale degli interessati (31). Se dunque, come sembra, latto di segnalazione non configura un atto presupposto, bens preparatorio, in quanto non immediatamente lesivo, allora, il privato che si ritenga leso dalliscrizione nel Casellario Informatico avr lonere di impugnare il provvedimento dellAVCP congiuntamente a quello di segnalazione delle stazioni appaltanti se non vorr una statuizione del tipo tali considerazioni rendono pertanto priva di interesse la decisione del ricorso in ordine all'impugnazione della segnalazione all'Autorit, (32). Del resto, riconosciuta la qualit di atto meramente preparatorio al provvedimento di segnalazione un suo eventuale annullamento determinerebbe un invalidit solamente viziante del successivo atto di iscrizione per cui uneventuale pronuncia dannullamento del primo non farebbe conseguire alcuna utilit (30) Tra le prime vedi Cons. Stato, sez. VI, 4 agosto 2009, nn. 4906, 4905 e 4907, richiamate da Cons. Stato, sez. VI, 5 luglio 2010, n. 4243. (31) In particolare la determinazione n. 1/2010 nellallegato ha chiarito che una volta acquisita la segnalazione, idoneamente integrata con gli allegati richiesti, l'Autorit dispone l'avvio del procedimento, dandone comunicazione ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale destinato a produrre effetti diretti e alla Stazione Appaltante. Nella comunicazione di avvio del procedimento saranno almeno indicati: l'oggetto del procedimento; il termine per l'invio di eventuali memorie e documentazione allegata, nonch per eventuali controdeduzioni; l'ufficio presso cui possibile avere accesso agli atti del procedimento; il responsabile del procedimento; il termine di conclusione del procedimento; l'indicazione di un referente, con i relativi contatti, per eventuali richieste di chiarimenti o comunicazioni successive. (32) Cos sempre T.a.r. Toscana, Firenze, n. 1264 del 20 luglio 2011. CONTENZIOSO NAZIONALE 165 al ricorrente che abbia impugnato solo questultimo: da qui linammissibilit del ricorso. Anche a seguito di questa interpretazione risultano tutelati gli interessi dellAVCP, la quale nel giudizio cos instaurato potr difendere la legittimit delliscrizione nonch del provvedimento di segnalazione. E soprattutto, non potranno pi verificarsi casi simili a quello avvenuto nella controversia oggetto della sentenza in esame perch eventualmente il giudice amministrativo provveder ad annullare, per invalidit derivata, il provvedimento di iscrizione nel Casellario Informatico; nessun dubbio, a questo punto, circa la legittimazione ad impugnare la sentenza del giudice amministrativo territoriale. Consiglio di Stato, Sezione Sesta, sentenza 13 giugno 2011 n. 3567 - Pres. f.f. De Nictolis, Est. Giovagnoli - Autorit vigilanza contratti pubblici servizi e forniture (avv. St. Caselli) c. Gruppo Simet srl (avv.ti Carozzo e Pafundi). (Omissis) FATTO e DIRITTO 1. Viene in decisione lappello proposto dallAutorit per la vigilanza sui contratti pubblici per ottenere la riforma della sentenza, di estremi indicati in epigrafe, nella parte in cui ha annullato il provvedimento con cui Iride Servizi s.p.a. (stazione appaltante), dopo aver revocato laggiudicazione provvisoria della gara dappalto per il servizio di manutenzione impianti di sollevamento del Comune di Torino, gi disposta a favore di Simet, aveva inviato allAutorit di vigilanza una segnalazione a carico di questultima al fine della successiva iscrizione nel Casellario informatico. Oggetto del presente giudizio dunque la decisione del T.a.r. limitatamente alla parte in cui ha annullato la segnalazione operata da Iride Servizi s.p.a. allAutorit di vigilanza. Da tale segnalazione era seguita, nelle more del giudizio di primo grado, unannotazione sul Casellario informatico degli operatori economici, successivamente cancellata dallAutorit in esito alla sentenza del T.a.r. Piemonte, oggi appellata. 2. Si costituita in giudizio la societ Simet, eccependo, in via pregiudiziale, linammissibilit dellappello, per difetto di legittimazione e difetto di interesse, e deducendone, comunque, linfondatezza nel merito. 3. Lappello merita accoglimento. 4. Devono preliminarmente respingersi le eccezioni di inammissibilit dellappello (per difetto di legittimazione e interesse) sollevate dalla societ resistente. Il Collegio ritiene che lAutorit per la vigilanza sui contratti pubblici sia legittimata a proporre appello avverso la sentenza del T.a.r. che abbia annullato la segnalazione della stazione appaltante circa i provvedimenti di esclusione di unimpresa da una gara pubblica. Tale segnalazione, invero, pur provenendo da una diversa Amministrazione (il soggetto che bandisce la gara) , comunque, un atto strumentale e necessario per lesercizio, da parte dellAutorit di vigilanza, di una sua specifica competenza provvedimentale, quella, appunto, di procedere alla relativa iscrizione nel Casellario informatico. 4.1. Tra la segnalazione della stazione appaltante e la successiva iscrizione nel Casellario ad opera dellAutorit vi , certamente, un rapporto di presupposizione, con la conseguenza che 166 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 lannullamento del provvedimento presupposto (latto di segnalazione) va ad incidere inevitabilmente sulla validit del provvedimento presupponente (liscrizione). Il nesso di presupposizione che avvince questi due provvedimenti radica in capo allAutorit di vigilanza una posizione differenziata e giuridicamente rilevante, togliendo ogni dubbio in ordine allesistenza di una sua legittimazione processuale che le consente di difendere in giudizio, anche mediante la proposizione di un autonomo appello, il provvedimento di segnalazione adottato dalla stazione appaltante. Dallannullamento giurisdizionale del provvedimento di segnalazione deriva, infatti, un ostacolo giuridico allesercizio del potere di iscrizione nel Casellario informatico. E lAutorit, che di tale potere di iscrizione titolare, ha senzaltro un interesse giuridicamente rilevante alla rimozione di quellostacolo, al fine di poter curare linteresse pubblico, particolare e concreto, in vista del quale la legge le attribuisce il potere di iscrizione. 4.2. N si pu obiettare che in questo modo il processo amministrativo diventi uno strumento a tutela di un astratto interesse alla legittimit dellazione amministrativa. Nel caso di specie, infatti, lAutorit di vigilanza non agisce a tutela di un astratto interesse pubblico. Al contrario, essa si fa portatrice di un interesse che certamente pubblico, ma che, a livello processuale, si traduce in un interesse personale e concreto. Si tratta, infatti, dellinteresse al corretto esercizio del potere amministrativo specificamente attribuito allAutorit di vigilanza per la cura di un interesse pubblico particolare e concreto: quello di assicurare, tramite laggiornamento del Casellario informatico, la conoscibilit delle notizie che possono incidere corretta conduzione delle procedure di affidamento dei contrati pubblici. 4.3. Sotto questo profilo, evidente la differenza che esiste tra la legittimazione e linteresse del privato ricorrente e quella del soggetto pubblico titolare del potere. Mentre il primo, eccettuate le ipotesi tassative di azione popolare, pu agire in giudizio solo a tutela di interessi privati, la Pubblica Amministrazione agisce, anche in tramite gli strumenti processuali, a tutela di interessi pubblici, che non sono per astratti interessi alla legalit, ma quegli interessi pubblici particolari e concreti che essa, di volta in volta, chiamata a perseguire, ed in vista dei quali lordinamento le attribuisce il potere amministrativo. Ne discende che lAmministrazione, quando ritiene che quegli interessi pubblici particolari siano ostacolati o compromessi, pu senzaltro intraprendere le opportune iniziative giurisdizionali ritenute opportune o necessarie alla loro difesa. Pu ad esempio costituirsi in giudizio per difendere la legittimit di atti che essa stessa ha adottato (ed questa lipotesi normale, in cui in contestazione proprio il provvedimento emanato al fine di soddisfare linteresse pubblico); ma pu anche intraprendere iniziative giurisdizionali per difendere la legittimit di provvedimenti adottati da altri soggetti pubblici, nei casi in cui lannullamento di tali provvedimenti possa avere leffetto di impedire lesercizio del potere di cui titolare. In entrambi i casi, la legittimazione e linteresse alliniziativa giurisdizionale derivano dalla necessit di curare, anche nel processo, linteresse pubblico particolare alla cui cura quella Pubblica Amministrazione preposta. 4.4. Nel caso di specie evidente che lannullamento giurisdizionale della segnalazione della stazione appaltante incide sul potere dellAutorit appellante, impedendone ab origine lesercizio. Annullando la segnalazione di un provvedimento di esclusione legittimamente adottato, il T.a.r., infatti, accerta, ex ante, che non vi sono i presupposti per lesercizio del potere di iscrizione da parte dellAutorit per la vigilanza sui contratti pubblici, la quale, quindi, il soggetto maggiormente inciso da tale decisione. CONTENZIOSO NAZIONALE 167 4.5. Lappello, in definitiva, deve ritenersi ammissibile. 5. Nel merito lappello fondato. Nel caso di specie, la stazione appaltante (Iride s.p.a.) ha escluso dalla gara la Gruppo Simet s.r.l. per la mancata dichiarazione da parte dellimpresa concorrente di una sentenza definitiva di condanna riguardante il legale rappresentante dellimpresa. 5.1. Il T.a.r. ha annullato la segnalazione richiamando lorientamento giurisprudenziale secondo cui lirrogazione della triplice sanzione (esclusione dalla gara, escussione della cauzione provvisoria, segnalazione allAutorit di vigilanza) si riferisce alle sole irregolarit accertate, con riferimento ai requisiti di ordine speciale di cui allart. 48 del d.lgs. n. 163/2006, e non anche a quelle relative ai requisiti di ordine generale ex art. 38, essendo queste ultime sanzionabili solo con lesclusione dalla gara. 5.2. Tale indirizzo giurisprudenziale non merita, tuttavia, condivisione. Come pi volte riconosciuto da questo Consiglio di Stato, la segnalazione all'Autorit va fatta non solo nel caso di riscontrato difetto dei requisiti di ordine speciale in sede di controllo a campione, ma anche in caso di riscontrato difetto dei requisiti di ordine generale, trattandosi di esclusione idonea a segnalare una circostanza di estrema rilevanza per la corretta conduzione delle procedure di affidamento dei lavori pubblici (Cons. Stato, sez. IV, 7 settembre 2004 n. 5792; Cons. Stato, sez. V, 12 febbraio 2007 n. 554; Cons. St., sez. VI, 4 agosto2009, n. 4905). 5.3. Non rileva, peraltro, che con riferimento alla condanna non dichiarata sia stato successivamente ottenuto, da parte del legale rappresentante di Simet (signor ...), il provvedimento di riabilitazione, con ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Torino 7 luglio 2010, n. 885. Lordinanza di riabilitazione , infatti, successiva sia alladozione del provvedimento di esclusione, sia alla contestata segnalazione, e non pu pertanto essere presa in considerazione per negare la legittimit delloperato della stazione appaltante. E al contrario incontestabile che nel caso di specie la societ odierna resistente abbia omesso di dichiarare, pur in presenza di una lex specialis che richiedeva ai partecipanti di menzionare tutte le condanne riportate (ivi comprese quelle assistite dalla non menzione nel certificato del casellario giudiziario), una condanna penale a carico del legale rappresentante, condanna, peraltro, di non trascurabile gravit (trattandosi di condanna per omicidio colposo, aggravato dalla violazione di norme volte alla prevenzione degli infortuni sul lavoro). Il successivo provvedimento di riabilitazione non incide, quindi, n sulla legittimit dellesclusione (ormai peraltro coperta dal giudicato), n sulla legittimit della successiva segnalazione allAutorit di vigilanza. 6. Alla luce delle considerazioni che precedono, lappello va, dunque, accolto e, per leffetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, deve respingersi il ricorso di primo grado, nella parte in cui ha chiesto lannullamento dellatto di segnalazione allAutorit per la vigilanza sui lavori pubblici del provvedimento di esclusione della societ Gruppo Simet s.n.c. La complessit e la parziale novit delle questioni esaminate giustifica la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie, e, per leffetto, in parziale riforma della sentenza appellata, respinge il ricorso di primo grado. Spese del doppio grado compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorit amministrativa. Cos deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 maggio 2011. P A R E R I D E L C O M I TAT O C O N S U LT I V O Rapporti tributari tra Stato e Regioni. Cessioni di beni da parte di un ente regione allappaltatore come parte del corrispettivo di pagamento: imponibilit della cessione* (...) Nella fattispecie che occupa, la Regione Molise ha stipulato un contratto di appalto con l'impresa ..., avente ad oggetto l'esecuzione di lavori urgenti di manutenzione idraulica del fiume Trigno. Ai sensi dell'art. 2 del contratto in parola, parte del corrispettivo, per euro 347.490,00, stato compensato mediante cessione di materiale litoide. La restante parte, per euro 9.935,00, stata compensata mediante pagamento. Oggetto della consultazione se, nel caso di specie, la cessione del materiale litoide debba essere assoggettata a Iva. La soluzione da darsi alla fattispecie concreta che occupa la seguente. Premesso l'ovvio rilievo che fuori discussione la natura pubblica dell'ente Regione Molise, appena da rammentare che la normativa sull'IVA distingue tra enti pubblici che abbiano per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attivit commerciali od agricole (art. 4, secondo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972) ed enti pubblici che non abbiano tale oggetto esclusivo o principale (art. 4, quarto comma, del d.P.R. n. 633 del 1972). Come parimenti ben noto, nel primo caso, le cessioni di beni e le prestazioni di servizi si considerano effettuate in ogni caso nell'esercizio di imprese (con conseguente ascrizione dell'ente tra i soggetti passivi dell'IVA); nel secondo caso, si considerano effettuate nell'esercizio di impresa (con conseguente ascrizione dell'ente tra i soggetti passivi dell'iva limitatamente a tale aspetto funzionale) solo le cessioni di beni e le prestazioni di servizi fatte (occasionalmente) nell'esercizio di attivit commerciali o agricole. A sua volta, l'art. 4 quarto comma, considera imponibili a fini IVA "le (*) Parere del 16 maggio 2011 prot. 163648, AL 48321/10, avv. DIEGO GIORDANO. 170 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 cessioni di beni e le prestazioni di servizi fatte nell'esercizio di attivit commerciali o agricole" nonch "le cessioni di beni e le prestazioni di servizi ai soci, associati e partecipanti verso pagamento di corrispettivi specifici, o di contributi supplementari ... ad esclusione di quelle effettuate in conformit alle finalit istituzionali da associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, ecc.". Logica conseguenza di tale assetto che l'assoggettabilit ad Iva della cessione del materiale, da parte della Regione, deve risultare da un'attivit, ancorch occasionale, ma "organizzata in forma di impresa", posta in essere dall'Ente. Giova adesso rammentare che la giurisprudenza della Suprema Corte, in relazione all'art. 4 del DPR 633 del 1972, ha definito l'esercizio di impresa come esercizio abituale, ancorch non esclusivo di attivit commerciali o agricole, nel generale contesto dei principi dettati dagli artt. 2135 e 2195 c.c., attivit dunque continuative e stabili, e pertanto non ravvisabili rispetto ad atti isolati di produzione o commercio (Cass. 1987/84; 12007/93; 2021/96; 3406/96; 10430/2001; da ultimo, Cass. Sez. 5, Sentenza n. 13999 del 22 settembre 2003, secondo la quale "In tema di IVA, ai sensi dell'art. 4 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, sono imponibili solo le cessioni di beni e le prestazioni di servizi fatte nell'esercizio di attivit commerciali o agricole, e, nell'ambito delle attivit commerciali, rientrano solo quelle, ancorch occasionali, che siano svolte in forma di impresa, i cui requisiti, la professionalit e l'abitualit, esigono il carattere continuativo e stabile dell'attivit imprenditoriale, ai sensi degli artt. 2135 e 2195 cod. civ., non ravvisabili in riferimento ad atti isolati di produzione e commercio, quali vengano ritenuti secondo l'incensurabile accertamento di fatto compiuto dai giudici di merito; in applicazione di tale principio, la Corte ha mandato immune da censure l'accertamento compiuto dalle Commissioni tributarie che avevano ritenuto occasionale e non assoggettabile ad IVA, e dunque non resa nell'esercizio di una attivit imprenditoriale, la cessione di materiali di cava da parte di un Comune ad una impresa, che procedeva alla realizzazione di una vasca di depurazione commissionata dallo stesso Comune"). La sentenza da ultimo citata (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 13999 del 22 settembre 2003) apre la via alla necessit dell'accertamento in concreto dell'attivit espletata dalla Regione nel caso che occupa (giova qui osservare che, in ordine alla necessit di unindagine concreta, peraltro rimessa, in caso di giudizio, alla insindacabile valutazione del giudice di merito, la giurisprudenza della Suprema Corte assolutamente costante). Almeno per quanto in atti, non risulta che la cessione del materiale litoide sia oggetto di attivit continuativa da parte della Regione Molise, venendo in rilievo piuttosto, nella specie, il mero pagamento di un corrispettivo all'appaltatore nell'ambito di un isolato contratto di appalto. PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 171 Dunque, sembra potersi sostenere che, nella fattispecie concreta che occupa, si sia in presenza di una attivit isolata e che la cessione non sia quindi soggetta a Iva. Viceversa, deve osservarsi che soggetto a Iva l'intero compenso (357.425,00 euro) spettante all'appaltatore (previsto, cio, dall'articolo 2 del contratto). Vero infatti che, come detto, la cessione del materiale costituisce un vero e proprio pagamento del corrispettivo. Nella figura contrattuale in esame, invero, il materiale in questione viene in rilievo solo come modalit di quantificazione di parte del corrispettivo da corrispondersi dalla committente all'appaltatore a fronte delle prestazioni rese da quest'ultimo, il cui importo totale , tra l'altro, espresso in euro, cos come espresso in euro il valore del materiale litoide stesso. Sulla questione stato sentito il Comitato Consultivo che si espresso in conformit. Riduzione dellimporto - a seguito di pronuncia giurisdizionale - di sanzioni pecuniarie irrogate dallAutorit Garante della concorrenza e del mercato: modus procedendi nella restituzione* Con la richiesta di parere che si riscontra codesta Amministrazione richiama la disposizione di cui allart. 9 del DL 207/08 conv. in L. 14/09, secondo cui Il termine per il pagamento delle sanzioni amministrative pecuniarie previste dai decreti legislativi 2 agosto 2007, n. 145, e 2 agosto 2007, n. 146, irrogate nell'anno 2008 dall'Autorit garante della concorrenza e del mercato, prorogato di trenta giorni. Gli importi da pagare per le suddette sanzioni, anche irrogate negli anni successivi, sono versati fino all'importo di 50.000 euro per ciascuna sanzione, sul conto di tesoreria intestato all'Autorit, da destinare a spese di carattere non continuativo e non obbligatorio; la parte di sanzione eccedente il predetto importo versata al bilancio dello Stato per le destinazioni previste dalla legislazione vigente. L'importo di 50.000 euro pu essere ridotto o incrementato ogni sei mesi con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, avente natura non regolamentare, in relazione a specifiche esigenze dell'Autorit. La situazione specifica prospettata quella in cui, a seguito di impugnazione in sede giurisdizionale del provvedimento dellAutorit con cui stata irrogata la sanzione, il TAR, in accoglimento totale o parziale delle censure mosse dal ricorrente, ridetermina in senso riduttivo limporto a carico del sog- (*) Parere del 16 maggio 2011 prot. 163604, AL 15475/11, avv. BARBARA TIDORE. 172 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 getto sanzionato. Rappresenta al riguardo codesta Amministrazione che in tali casi, secondo una consolidata prassi dellAutorit, la restituzione degli importi avviene tenendo conto del limite quantitativo previsto dal citato art. 9 per quanto attiene allincameramento. Pi precisamente, qualora limporto (ridotto) risultante dalla sentenza ecceda la somma di euro 50.000, la quota parte da restituire viene posta a carico del bilancio dello Stato, mentre lAutorit restituisce la quota di propria competenza solo se la somma finale sia inferiore a euro 50.000 e fino a concorrenza di tale ammontare. Viene pertanto richiesta una valutazione della correttezza di tale modus procedendi, sul presupposto che la fase della restituzione non trova disciplina in puntuali disposizioni di legge. In proposito si osserva che, per una ricostruzione possibilmente completa della disciplina rilevante, la disposizione menzionata nella nota in riferimento non sembra potersi leggere disgiuntamente da quella contenuta nellart. 148 della L. 388/00 (Utilizzo delle somme derivanti da sanzioni amministrative irrogate dall'Autorit garante della concorrenza e del mercato), a mente della quale 1. Le entrate derivanti dalle sanzioni amministrative irrogate dall'Autorit garante della concorrenza e del mercato sono destinate ad iniziative a vantaggio dei consumatori. 2. Le entrate di cui al comma 1 sono riassegnate con decreto del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica ad un apposito fondo iscritto nello stato di previsione del Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato per essere destinate alle iniziative di cui al medesimo comma 1, individuate di volta in volta con decreto del Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato, sentite le competenti Commissioni parlamentari. Si ha,dunque, un sistema in cui, allinterno della categoria generale delle sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dallAutorit nellesercizio delle sue competenze istituzionali, per le sole sanzioni previste dalla normativa in tema di tutela dei consumatori (ovvero comminate in applicazione del Dlgs. 206/205 e dei DL modificativi nn. 145 e 146 del 2007), il Legislatore ha inteso riservare allAutorit una quota dellammontare complessivamente dovuto dal soggetto sanzionato. Per le rimanenti sanzioni, afferenti lambito delle condotte anticoncorrenziali, resta ferma la destinazione al bilancio dello Stato. Ai fini del parere richiesto appare decisivo notare che la delimitazione normativa stata operata mediante una cifra ben precisa, ci che rende estremamente difficile individuare, per una ipotetica, differente modalit di restituzione, delle soluzioni alternative a quella sinora praticata. Va inoltre rilevato che lapplicazione rigorosa del limite quantitativo, quale emergente dallorientamento descritto nella nota che si riscontra, pu PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 173 ritenersi logicamente consequenziale alla previsione di cui allart. 9 cit., consentendo di salvaguardarne la ratio di garantire una ripartizione degli introiti derivanti dalle sanzioni in base a criteri oggettivi e agevolmente verificabili. Per quanto precede, non si ravvisano valide ragioni giuridiche per porre in discussione lattuale modalit di restituzione delle sanzioni in conseguenza di pronunce giurisdizionali. Il presente parere stato esaminato dal Comitato Consultivo dellAvvocatura dello Stato che si espresso in conformit. Prescrizione dellobbligazione doganale sorta in presenza di reato ai sensi dellart. 84 del T.U.L.D. e dellarticolo 221 del Reg. CEE n. 2913/1992* Con la nota emarginata codesta Agenzia chiede chiarimenti, articolati in diversi punti, sul tema della prescrizione dellazione dello Stato per la riscossione dei diritti doganali. 1. In particolare lAmministrazione istante, con il primo quesito, sollecita il parere della scrivente Avvocatura Generale in ordine alla conformit con il diritto dellUnione della norma nazionale in forza della quale, qualora il mancato pagamento dei diritti doganali abbia causa da un reato, il termine di prescrizione decorre dalla data in cui il decreto o la sentenza, pronunciati nel procedimento penale, sono divenuti irrevocabili. Infatti, dalla lettura della disposizione interna vigente in materia, contenuta nellart. 84, comma 1 del D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (in seguito TULD) - come modificato a norma dellart. 29, comma 1 della L. 29 dicembre 1990, n. 428 (legge comunitaria per il 1990) - si evince che lazione dello Stato per la riscossione dei diritti doganali si prescrive nel termine di tre anni dalla data in cui i diritti sono divenuti esigibili. Mentre il successivo comma 3, in via di eccezione rispetto alla regola generale test menzionata, prevede che: Qualora il mancato pagamento, totale o parziale, dei diritti abbia causa da un reato, il termine di prescrizione decorre dalla data in cui il decreto o la sentenza, pronunciati nel procedimento penale, sono divenuti irrevocabili. 1.1 La normativa interna test menzionata in perfetta sintonia con quella comunitaria, in particolare con lart. 221 del Reg. CEE 2913 del 92, come modificato dal regolamento CE del Parlamento Europeo e del Consiglio 16 novembre 2000, n. 2700 (in seguito CDC), il quale stabilisce al paragrafo 3, in ordine alla notifica al debitore dellimporto recato dallobbligazione doganale da riscuotere, che la comunicazione al debitore non pu pi essere effettuata tre anni dopo la data in cui sorta l'obbligazione doganale. Detto termine (*) Parere del 19 maggio 2011 prot. 168798, AL 42463/10, avv. GIUSEPPE ALBENZIO. 174 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 sospeso a partire dal momento in cui presentato un ricorso a norma dell'articolo 243 e per la durata del relativo procedimento. Il successivo paragrafo 4 prevede per che qualora l'obbligazione doganale sorga a seguito di un atto che era nel momento in cui stato commesso perseguibile penalmente, la comunicazione al debitore pu essere effettuata, alle condizioni previste dalle disposizioni vigenti, dopo la scadenza del termine (triennale, n.d.r.) di cui al paragrafo 3, ove appena il caso di specificare che con lespressione disposizioni vigenti, ai sensi dellart. 4, n. 23 del C.D.C., devono intendersi le disposizioni comunitarie o le disposizioni nazionali. Con tale norma (art. 221, par. 4 CDC) il legislatore comunitario ha voluto introdurre una causa sospensiva e/o interruttiva della prescrizione del diritto alla riscossione dei tributi doganali idonea a differire, in presenza di un procedimento penale, linizio della decorrenza del termine di prescrizione, in applicazione del consolidato principio generale actio nondum nata non prescribitur (ribadito dallart. 2935 codice civile italiano), a cui stata data operativit nel settore doganale con le norme in esame. Con lart. 84 T.U.L.D. il Legislatore nazionale ha dunque introdotto una identica causa di interruzione della prescrizione del diritto alla riscossione dei tributi doganali, altres idonea a differire, in presenza di un atto avente rilevanza penale, linizio della decorrenza di un nuovo termine prescrizionale; tale differimento evidentemente subordinato alla identificazione del presupposto fattuale dellobbligazione doganale con una fattispecie astratta di reato. Lapplicazione delle disposizioni di cui agli artt. 221 del C.D.C. e 84, terzo comma, del T.U.L.D. prescinde dal seguito giudiziale avuto dalla denuncia del fatto-reato, sia ai fini dellindividuazione degli imputati e della formulazione delle imputazioni sia ai fini dellaccertamento delle loro responsabilit penali (vedasi sentenza della Corte di Giustizia C-273/90 del 7 novembre 1991 Meico-Fell). La deroga temporale disposta dalle norme in esame risponde a chiare esigenze di giustizia e parit di trattamento, atteso che altrimenti gli Uffici Doganali verrebbero posti in una situazione di disparit rispetto agli altri creditori ed agli operatori del settore (che non risponderebbero delle loro azioni contrarie alle leggi e, anzi, conserverebbero i vantaggi conseguiti indebitamente) e di impossibilit di perseguire i propri fini istituzionali. Nellambito del procedimento di natura amministrativa le autorit doganali sono altres competenti a constatare nellinteresse dellUnione e dello Stato membro lesistenza di un fatto-reato, soprattutto in vicende ove il presupposto dellimposta non viene percepito normalmente dallAmministrazione finanziaria al momento dellimportazione, dato che il comportamento del soggetto obbligato diretto ad occultarlo, cos che lamministrazione non in grado di attivarsi per la liquidazione e la riscossione del credito tributario. PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 175 1.2 Parimenti importante rilevare che, nella dinamica del diritto vivente, sullinterpretazione del menzionato plesso normativo possono distinguersi gli orientamenti giurisprudenziali originati rispettivamente dalle pronunzie rese della Corte di Giustizia e dalla Corte di Cassazione che da ultimo trovano composizione, in un rapporto da genus a species, nella recente sentenza della Corte di giustizia C-75/09 del 17 giugno 2010. Infatti, muovendo dalla ricognizione letterale-sistematica delle menzionate disposizioni, il Giudice Europeo, pur osservando che lart. 221, n. 4, del codice doganale non prevede di per s alcun termine di interruzione o di sospensione della prescrizione applicabile (a differenza di quanto disposto dal par. n. 3 del medesimo articolo e soprattutto dallart. 84, comma 3 TULD), rileva di seguito con autorevole e vincolante interpretazione che limitandosi al riferimento alle condizioni previste dalle disposizioni vigenti, lart. 221, n. 4, del codice doganale opera un rinvio al diritto nazionale per il regime della prescrizione dellobbligazione doganale, qualora tale obbligazione sorga a seguito di un atto che era, nel momento in cui stato commesso, perseguibile penalmente (Corte di Giustizia sentenza C-75/09 del 17 giugno 2010, punti 33 e 34). Di conseguenza, non prevedendo il diritto dellUnione regole comuni in materia, spetta ad ogni Stato membro determinare il regime della prescrizione delle obbligazioni doganali che stato possibile accertare a causa di un fatto passibile di reato (v., per analogia, sentenze 16 ottobre 2003, causa C.91/02, Hannl-Hofstetter, Racc. pag. I.12077, punti 18.20, e Molenbergnatie, cit., punto 53) (Corte di Giustizia sentenza C-75/09 del 17 giugno 2010, punto 35). A lume delle considerazioni che precedono, conclude la Corte con chiarissimo dispositivo che Lart. 221, nn. 3 e 4, del regolamento (CEE) del Consiglio 12 ottobre 1992, n. 2913, che istituisce un codice doganale comunitario, come modificato dal regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 16 novembre 2000, n. 2700, deve essere interpretato nel senso che non osta ad una normativa nazionale in base alla quale, laddove il mancato pagamento dei diritti tragga origine da un reato, il termine di prescrizione dellobbligazione doganale inizia a decorrere dalla data in cui il decreto o la sentenza, pronunciati nel procedimento penale, sono divenuti irrevocabili (Corte di Giustizia sentenza C-75/09 del 17 giugno 2010, dispositivo). 1.3 Spetta, pertanto, al Legislatore Nazionale conformarsi alle fonti sopraordinate di derivazione comunitaria e darne attuazione nello Stato membro secondo i principi di effettivit ed equivalenza in coerenza ai canoni ermeneutici delineati dalla Corte di Giustizia nel suo ruolo di interprete del diritto dellUnione. E, invece, compito della Corte di Cassazione in funzione nomofilattica statuire in ordine al significato e alluniforme applicazione delle fonti del diritto di origine interna, in armonia con i principi comunitari. 176 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 Nella prospettazione ermeneutica sostenuta dalla Suprema Corte la notitia criminis (da intendersi quale primo atto esterno prefigurante il rapporto genetico tra fatto reato e presupposto dimposta), che di per s determina e giustifica il differimento del termine, deve intervenire nel corso delloriginario termine triennale di prescrizione dellazione di recupero dei diritti evasi e non dopo la sua scadenza, poich, diversamente argomentando, il termine di revisione dei dazi sarebbe privo di riferimento temporale e dilatabile allinfinito con grave pregiudizio del principio generale indefettibile della certezza del diritto (vedasi Cass. 19193/06, motivazione). 1.4 In conclusione, la disciplina contenuta del CDC, facendo espresso rinvio al diritto nazionale per ogni questione che attiene alla prescrizione delle obbligazioni doganali che sorgono da un atto perseguibile penalmente - indipendentemente dallapertura del procedimento penale e dal suo esito, essendo alluopo sufficiente, a giudizio dellAutorit competente alla riscossione, la astratta configurabilit come reato del fatto o dellatto dal quale trae origine lobbligazione - non ostativa alla disciplina interna recata dal TULD e, ai sensi del combinato disposto dellart. 221, par. 4 CDC e dellart. 84, comma 3, TULD il termine di prescrizione non pu decorrere fino alla chiusura del procedimento penale aperto in seguito alla notizia di reato, semprech questultima intervenga nelloriginario termine prescrizionale di tre anni. Occorre, pertanto, risolvere la prima questione sottoposta a questa Avvocatura rilevando che la lettura data dalla Suprema Corte non si pone in contrasto ne con la norma di cui allart. 221, commi 3 e 4, CDC ne con linterpretazione data dalla Corte di Giustizia e formatasi in relazione alle medesime disposizioni. In tal senso correttamente argomenta lAgenzia istante. Per completezza di trattazione si aggiunge che il legislatore comunitario, percorrendo la stessa ratio individuata dal giudice nazionale, al fine di uniformare il comportamento di tutte le Amministrazioni doganali comunitarie in tale contesto, nel nuovo codice doganale comunitario di cui al Reg. CE n. 450/2008 che avr applicazione dal 24 giugno 2013 ha stabilito allarticolo 68, comma 2, che, quando lobbligazione doganale sorge in seguito ad un atto che nel momento in cui stato commesso era perseguibile penalmente, il termine triennale di cui al paragrafo 1, viene portato a dieci anni, senza la disciplina dellinterruzione del vecchio codice. 2. La seconda questione di diritto che viene sottoposta al giudizio della Scrivente concerne, invece, loperativit della sospensione del decorso del termine di prescrizione, previsto dai cennati art. 84, comma 3, TULD e art. 221, comma 4, CDC. Segnatamente, nel caso in cui il mancato pagamento dei diritti doganali abbia avuto causa da un atto perseguibile penalmente, si chiede a questa Av- PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 177 vocatura, se il presupposto di fatto a partire dal quale il termine di prescrizione del diritto a riscuotere i tributi doganali comincia a decorrere possa coincidere con la emissione di un decreto di archiviazione ex art. 409 c.p.p.. Difatti, come gi argomentato, le disposizioni vigenti, richiamate espressamente dalla citata disciplina comunitaria, sul punto espressamente dispongono che Qualora il mancato pagamento, totale o parziale, dei diritti abbia causa da un reato, il termine di prescrizione decorre dalla data in cui il decreto o la sentenza, pronunciati nel procedimento penale, sono divenuti irrevocabili. 2.1 Ai sensi dellart. 648 cpp., comma 1 sono irrevocabili le sentenze pronunciate in giudizio contro le quali non ammessa impugnazione diversa dalla revisione, ove per irrevocabilit si intende che il provvedimento pronunziato dal giudice divenuto immodificabile per effetto dellesperimento di tutti i mezzi di impugnazione azionabili contro di esso, ovvero del decorso infruttuoso dei termini per la proposizione degli stessi. Analogo effetto consegue, a mente del successivo comma del medesimo articolo, alla inammissibilit del gravame ma, in tal caso, la irrevocabilit si determina dalla data in cui divenuta irrevocabile lordinanza dichiarativa di tale esito. Il concetto di irrevocabilit indica, quindi, lesaurimento della situazione giuridica processuale e si traduce nella individuazione obbligatoria della legge in relazione alla res in Judicium deducta. Pertanto, per dare soluzione al quesito proposto occorre soffermarsi, ancora, sulla lettera e sulla ratio delle disposizioni normative (cio quelle nazionali, siccome richiamate da quelle comunitarie) regolanti la materia ed i loro risvolti applicativi. Come gi detto con gli art. 84 T.U.L.D. e 221 CDC i Legislatori nazionale e comunitario hanno inteso introdurre una causa con valenza sospensiva e interruttiva della prescrizione del diritto alla riscossione dei tributi doganali, altres idonea a differire, in presenza di un atto avente rilevanza penale, linizio della decorrenza di un nuovo termine prescrizionale. Tale differimento espressamente subordinato dal dettato normativo alla identificazione del presupposto fattuale dellobbligazione doganale con una fattispecie astratta di reato. Quindi lapplicazione dellart. 84, terzo comma del T.U.L.D. (similmente a quanto previsto per lapplicazione delle disposizioni di cui agli art. 221 Reg. 2913/1992) prescinde dalla individuazione delle varie fasi del procedimento di accertamento e riscossione e soprattutto dal seguito giudiziale avuto dalla denuncia del fatto-reato e dallesito del procedimento penale derivante dallaccertamento del fatto-reato impeditivo dellesatta riscossione. Ci trova conferma nellinterpretazione dellart. 221, par. 4 CDC, resa dalla Corte di Giustizia della Comunit Europea con la fondamentale sentenza C-273-90 del 7 novembre 1991 (causa Meico-Fell) la quale, sul punto, 178 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 ha statuito che lespressione atto passibile di unazione giudiziaria repressiva riguarda esclusivamente gli atti che nellordinamento giuridico dello Stato membro, le cui competenti autorit procedono al recupero, sono qualificati infrazioni ai sensi del diritto penale nazionale. 2.2 Del resto, la ratio legis proprio quella di consentire allAmministrazione di accertare i diritti doganali e di richiederne il pagamento ai soggetti passivi in un tempo complessivamente ragionevole e prefissato, suscettibile di sospensione o interruzione in relazione a determinate circostanze che impediscono lattivit accertativa e di recupero, come disposto dal comma terzo dellart. 84 e dallart. 221, par. 3: limitare loperativit delle cause di sospensione/ interruzione ai casi in cui il processo penale si concluda con una sentenza, comporta la violazione dello scopo sotteso a quelle stesse norme. Quanto appena argomentato risulta integralmente recepito da coerenti pronunzie della Suprema Corte di Cassazione che, in sede di interpretazione dellart. 84 TULD, stabilisce: Ricorre lipotesi dellatto passibile di unazione giudiziaria ogni qual volta latto, obiettivamente considerato, integri una fattispecie prevista come reato dal diritto penale nazionale senza che si debba accertare se per lo stesso sia iniziata o possa essere iniziata azione penale, essendo condizione necessaria, ma anche sufficiente, la qualificabilit dellatto stesso come reato (sentenza 19 novembre 1997, e analogamente sentenze n. 11499; 20 agosto 1997, n. 7751; 9 gennaio 1998, n. 124 e 14 gennaio 1998, n. 260); Ancora, sulla scorta dei principi appena enunciati: Il corso del termine di prescrizione di cui allart. 84 d.p.r. 23 gennaio 1973 n. 43 (originariamente quinquennale, poi triennale, ai sensi dellart. 29 della l. 29 dicembre 1990, n. 428), nel caso lobbligazione doganale origini da un fatto o un atto perseguibile penalmente, ai sensi dellart. 3 reg. Cee del Consiglio n. 1697 del 24 luglio 1979, dellart. 221, comma 3, reg. Cee del Consiglio n. 2913 del 12 ottobre 1992 (come modificato dal reg. CEE del Consiglio n. 2700 del 18 settembre 2000), e dellart. 84, comma 3, d.p.r. 43/73, impedito dalla mera configurazione dellipotesi delittuosa nel rapporto-denunzia della dogana allautorit giudiziaria, ancorch definita con larchiviazione (Cass. 19195/06; Cass. 24336/09). 2.3 In conclusione, anche in riferimento allart. 84, terzo comma, del T.U.L.D. deve trovare applicazione il principio, ormai indiscusso, secondo cui qualora la formulazione letterale di una norma non corrisponda in pieno al modo in cui la norma stessa si inserisce nel sistema, fra le interpretazioni possibili, deve essere data preferenza - secondo i canoni di ermeneutica giuridica - a quella che non sia in contrasto con norme e principi di livello costituzionale. A nulla vale che il testo dellart. 84, terzo comma, T.U.L.D. non faccia esplicito riferimento anche al provvedimento di archiviazione. Alla luce di uninterpretazione sistematica e sicuramente pi razionale PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 179 da dare alla norma, non vi possono essere dubbi nel sostenere che la deroga temporale di cui allo stesso art. 84, terzo comma, trovi applicazione anche in riferimento allarchiviazione del processo penale, atteso che altrimenti, come gi detto, gli Uffici Doganali verrebbero costretti ad una vera e propria impossibilit operativa. 2.4 Resta, infine, da esaminare la collegata questione concernente la definizione della natura giuridica del differimento del termine per la riscossione dei diritti doganali sorti in presenza di un atto avente rilevanza penale. Rileva, infatti, lAmministrazione istante che la Suprema Corte in alcune pronunzie, in particolare nella recente sentenza n. 11181/10 (nella quale si richiama peraltro lanaloga sentenza n. 19193/06), seppure in un obiter dictum, avrebbe ricondotto detto effetto allistituto della proroga del termine prescrizionale. Orbene, nonostante lanalisi del dato letterale non deponga per siffatta ricostruzione (dispone, infatti, lart. 84, comma 3 che: il termine di prescrizione decorre dalla data in cui il decreto o la sentenza, pronunciati nel procedimento penale, sono divenuti irrevocabili) e la regola generale di cui allart. 2935 c.c. sopra richiamata confermi la correttezza della detta disposizione, il contrario orientamento della Cassazione non consente di suggerire una ricostruzione ermeneutica diversa dallistituto della interruzione della prescrizione di cui agli art. 2943-2945 c.c. Pertanto, in base allorientamento giurisprudenziale della Cassazione, come gi sopra detto, il termine triennale di prescrizione comincia a decorrere dal momento in cui i fatti si sono verificati e, se interrotto dallinoltro della notitia criminis prima del decorso del triennio, ricomincia a decorrere dalla definizione di quella notitia secondo la disciplina dellart. 84 TULD e 221 CDC. 3. La terza questione sottoposta al parere della scrivente Avvocatura concerne lestensibilit della disciplina della prescrizione dellazione di riscossione dei diritti doganali, di cui allart. 84, 3 comma TULD, al recupero delle sanzioni amministrative tributarie comminate ai trasgressori in conseguenza di fatti costituenti tanto illecito penale quanto illecito amministrativo. Sul tema intervenuta di recente pronunzia della Suprema Corte, sez. V, n. 10823/10, richiamata dallAmministrazione istante, che stabilisce che il citato articolo in quanto norma speciale per limposizione delle operazioni transfrontaliere, troverebbe applicazione a tutte le fattispecie debitorie ad essa collegate, venute ad esistenza per effetto della stessa operazione. 3.1 Tuttavia, a fronte della menzionata posizione, occorre tenere anche conto di altre pronunce della Suprema Corte di Cassazione, secondo cui ai fini dellillecito amministrativo rileva solo che il fatto descritto dallart citato sia stato commesso, quale che sia la qualificazione giuridica ad esso attribuita (Cass. Sez. II, n. 1081 del 18 gennaio 2007 e sez. I n. 3124 del 16 180 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 febbraio 2005), mentre non assume alcun rilievo la circostanza che la stessa condotta possa eventualmente integrare in via alternativa e/o concorrente un illecito penale. Ancora pi significativa per quel che rileva in questa sede - come gi argomentato da questa Avvocatura (cfr. parere Cs.11517/08, istante S.A.I.S.A.) la sentenza della Suprema Corte che, seppure chiamata a decidere della corretta applicazione dellart. 2947 c.c. (prescrizione del diritto al risarcimento del danno, a norma della quale se il fatto considerato dalla legge come reato e per il reato stabilita una prescrizione pi lunga questa si applica anche allazione civile) ha espresso il principio di diritto secondo cui quando lo stesso fatto illecito sia preso in considerazione sia da una disposizione che contempla una sanzione amministrativa, sia da una disposizione penale trova luogo in particolare il principio di specialit, in base al quale deve farsi applicazione della norma speciale in base alla quale lillecito amministrativo resta assoggettato al termine prescrizionale suo proprio, ossia a quello quinquennale (decorrente dal giorno in cui stata commessa la violazione), e non a quello stabilito nellart. 2947 c.c., dettato in materia di prescrizione del diritto al risarcimento del danno allorch il fatto costituisce reato ( Cass., sez. I, n. 23979 del 24 dicembre 2004). Si osserva, inoltre, che la stessa giurisprudenza di legittimit, applicando analogicamente gli artt. 2943 e 2945 c.c. in tema di interruzione della prescrizione, ovvero motivando in ragione della effettiva possibilit di esercizio del diritto ai sensi della regola generale di cui allart. 2935 c.c., ha sempre limitato leffetto interruttivo della prescrizione dellillecito punito con sanzione amministrativa a seguito dellavvio, e durante la pendenza, di un processo penale alle sole ipotesi di successiva depenalizzazione di fatti gi sanzionati penalmente (vedasi Cass. sez. I, n. 18168 del 16.8.2006; sez. I, n. 19529 del 19 dicembre 2003) ed a quelle di connessione con un reato previste dallart. 24, u.c., l. n. 689/81. Per vero in tali casi, in cui il giudice penale ha anche la cognizione dellinfrazione amministrativa, la Suprema Corte ha statuito che, qualora il procedimento penale si sia definito per estinzione del reato, da tale momento inizia a decorrere un nuovo termine prescrizionale per lesercizio del diritto a riscuotere la somma stabilita a titolo di sanzione amministrativa con Cass. sez. I, n. 14830 del 27 giugno 2006; sez. IV 5 aprile 2000 (cfr. parere Cs 11517/08, istante S.A.I.S.A.). Si condividono, pertanto, le perplessit manifestate da codesta Agenzia in ordine allestensibilit del principio sancito da Cass. 10823/10 alle sanzioni regolate dal d.lgs. 472/97 e si ritiene di poter affermare che qualora si configuri in capo allAmministrazione istante la necessit di recuperare le somme dovute dal contribuente a diverso titolo, sar opportuno fare riferimento, ai fini della maturazione della prescrizione della corrispondente azione di riscossione, alloperativit dei diversi termini prescritti nelle differenti norme speciali che PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 181 regolano le singole fattispecie in riferimento alle quali sono sorte le obbligazioni per il cui adempimento si agisce, finch lorientamento giurisprudenziale di cui alla citata sentenza 10823/10 non si consolidi. Sulla base dellaffermata autonomia ontologica delle diverse ipotesi di recupero originate dalla medesima condotta illecita e dei suoi riflessi in ordine alla riscossione dei contributi evasi, la collegata questione della eventuale decorrenza dalla conclusione del giudizio penale di un nuovo termine prescrizionale di durata pari alloriginario termine - in considerazione della circostanza che la pendenza di una vertenza di natura penale non pu essere considerata ai fini del recupero dellazione amministrativa nemmeno quale causa interruttiva del termine - si ritiene assorbita. Sul presente parere stato sentito il Comitato Consultivo di questa Avvocatura che si espresso in conformit nella riunione del 18 maggio 2010. Accordi di indennizzo stipulati ai sensi dell'art. 4 del DL 351/01 a seguito del venir meno del conferimento di beni ai Fondi immobiliari* Con la nota che si riscontra codesta Amministrazione ha chiesto il parere della Scrivente in merito alle richieste di indennizzo avanzate dalla Investire Immobiliare spa in qualit di SGR del Fondo denominato Fondo Immobili Pubblici e da BNL/BNL Paribas in qualit di SGR del Fondo denominato Patrimonio Uno. Rappresenta codesta Amministrazione che le richieste di indennizzo si fondano sulla circostanza che alcuni beni conferiti o trasferiti ai suddetti fondi risultano in tutto o in parte di propriet di altri soggetti pubblici, diversi da quelli previsti dallart. 4 (1) del DL. 351/01 convertito in legge dall'articolo 1 della Legge 410/01. Con le predette societ codesta Amministrazione ha stipulato 2 distinti accordi di indennizzo (Allegati 8 e 9 alla richiesta di parere) con i quali vengono disciplinati gli obblighi assunti dal Ministero dell'economia e delle Finanze nei confronti dei Fondi Immobiliari a garanzia dell'operazione di conferimento o di trasferimento di immobili pubblici ai suddetti fondi prevista (*) Parere del 9 giugno 2011 prot. 193078, AL 44601/10, avv. ANTONIO GRUMETTO. (1) 4. Conferimento di beni immobili a fondi comuni di investimento immobiliare. 1. Il Ministro dell'economia e delle finanze autorizzato a promuovere la costituzione di uno o pi fondi comuni di investimento immobiliare, conferendo o trasferendo beni immobili a uso diverso da quello residenziale dello Stato, dell'Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato e degli enti pubblici non territoriali, individuati con uno o pi decreti del Ministro dell'economia e delle finanze da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale. I decreti disciplinano altres le procedure per l'individuazione o l'eventuale costituzione della societ di gestione, per il suo funzionamento e per il collocamento delle quote del fondo e i criteri di attribuzione dei proventi derivanti dalla vendita delle quote. 182 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 dal predetto Decreto-Legge. Nella richiesta di parere non si contesta che le ragioni poste a base delle richieste di indennizzo rientrino in uno degli eventi indennizzabili previsti dai citati accordi. Pertanto la Scrivente intende prescindere da questo particolare aspetto nella formulazione del presente parere. Codesta Amministrazione chiede, viceversa, di sapere: 1) da quale momento produca effetti l'annullamento del trasferimento del bene immobile; 2) se l'importo complessivo da liquidare ai fondi debba essere pari al valore di apporto, comprensivo delle spese sostenute e degli interessi sul debito contratto detratti i canone di locazione corrisposti ovvero semplicemente al valore di apporto comprensivo delle spese. Osserva la Scrivente quanto segue. Quanto al primo quesito, dal punto b) della premessa dellAccordo di indennizzo con FIP si desume che il trasferimento o l'apporto del compendio immobiliare al Fondo avvenuto dalla data di efficacia del Decreto Operazione (v. all. 8); mentre dal punto b) dellAccordo di indennizzo con Patrimonio Uno si desume che tale trasferimento avvenuto con effetto dalla data di efficacia indicata nel Decreto di Apporto, nel Decreto di Trasferimento o nell'Atto di trasferimento (v. all. 9). Pertanto l'annullamento del trasferimento o dell'apporto al Fondo del bene immobile, risultato di propriet di terzi, non potr che avere effetto dalla medesima data di efficacia di tale trasferimento o di tale apporto per come specificamente individuata per ciascuna singola operazione di costituzione del fondo e di trasferimento del compendio immobiliare; vale a dire dalla data di efficacia delle Decreto Operazione, per quanto riguarda l'Accordo con FIP e dalla data indicata nel Decreto di Apporto, nel Decreto di Trasferimento o nell'Atto di trasferimento, per quanto riguarda l'Accordo con Patrimonio Uno. Quanto al 2 quesito, ritiene la Scrivente che l'obbligo di garanzia gravante su codesta Amministrazione comprenda tutti pregiudizi economici sopportati dal soggetto indennizzato a seguito dell'evento indennizzabile, sempre che tali eventi siano conseguenza immediata e diretta. Tale conclusione , in primo luogo, confermata dalla formulazione del testo dell'articolo 3 dell'Accordo di indennizzo stipulato con FIP, nonch dall'analoga formulazione dell'articolo 2 dell'Accordo di indennizzo stipulato con Patrimonio Uno. Entrambe tali clausole prevedono infatti l'obbligo per codesta Amministrazione di "risarcire, manlevare e tenere indenne ciascuna Parte Indennizzata (...) rispetto a qualsivoglia danno, perdita, spesa, costo, onere, obbligazioni o minusvalenza dalla medesima patita e derivante da o connessa a eventi indennizzabili. PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 183 La soluzione proposta riceve, in secondo luogo, conferma anche da quanto previsto, in altra parte di ciascun Accordo, a proposito della cessione di immobili a titolo di indennizzo. Disciplinando la possibilit per codesta Amministrazione di indennizzare l'altra parte anche mediante la cessione o la sostituzione di immobili non ancora ceduti al Fondo, entrambi gli accordi di indennizzo prevedono (rispettivamente all'articolo 6 lett. J dellAccordo con FIP nella versione aggiornata con lAccordo di modifica del 2005 - e all'allegato 3, art. 5 lett. F dellAccordo con Patrimonio Uno) che nel caso in cui la sostituzione ovvero la cessione in pagamento ristorando per intero le passivit, determinino comunque l'inadempienza del fondo agli obblighi nei confronti dei finanziatori, il Ministero sar in ogni caso tenuto a corrispondere per cassa la parte di passivit che, a richiesta del fondo come certificato dalla banca agente del finanziamento, sia necessaria ad assicurare l'adempimento di cui sopra. In tale ipotesi, costituente una forma di risarcimento in forma specifica del danno derivante dall'evento indennizzabile, l'indennizzo viene esteso fino a comprendere tutte le conseguenze immediate e dirette derivanti dal verificarsi di tale evento e non limitato soltanto al valore del bene immobile apportato o trasferito al Fondo. Dalla analogia con la predetta ipotesi, interpretata in relazione all'ampia formulazione dell'obbligazione di garanzia assunta da codesto Ministero e di cui sopra si fatto cenno, deriva, a parere della Scrivente, che quando l'indennizzo venga corrisposto non mediante cessione o sostituzione del bene immobile ma mediante restituzione del valore di apporto o di trasferimento dei beni, la garanzia comprende tutti i danni derivanti dall'inefficacia del decreto di apporto o di trasferimento, ivi comprese le spese sostenute e gli interessi sul debito contratto, sempre che tali spese e tali interessi sul debito contratto siano state sostenute e pagati in conseguenza immediata e diretta del trasferimento del bene immobile dichiarato inefficace a seguito dell'intervenuto annullamento. (...) Sulla questione stato sentito il Comitato consultivo dellAvvocatura Generale dello Stato, il quale si espresso in conformit. 184 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 Rimborso spese legali richiesto da dipendente assolto in sede penale in pendenza di giudizio risarcitorio ai fini civili ad istanza della costituita parte civile* Con sentenza del 26 febbraio 2004, il Tribunale di (...) ha ritenuto [il dott. ...] colpevole, quale Direttore della Casa di Reclusione di (...), del delitto di cui agli artt. 41 e 590, commi 1 e 2 c.p. commesso, con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, in pregiudizio del detenuto lavorante [il sig. ...], e lo ha condannato, alla pena di 200,00 di multa ed al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile, da liquidarsi in separato giudizio. Su appello proposto dallimputato, la Corte di Appello di (...), in riforma della decisione di primo grado, ha assolto il dott. (...) da ogni addebito perch il fatto non costituisce reato ed ha revocato, di conseguenza, le statuizioni civili. La pronunzia assolutoria della Corte di Appello di (...) divenuta irrevocabile ai soli fini penali per mancata impugnativa del P.M., ma stata annullata ai diversi fini civili dalla Corte Suprema di Cassazione. In particolare, a seguito del ricorso per Cassazione proposto dal sig. (...), costituito parte civile, i giudici di legittimit hanno ritenuto responsabile il dott. (...), seppure ai soli fini civilistici del risarcimento danni non essendo possibile la riforma della statuizione ai fini penali per mancata impugnativa. Il dott. (...), sulla base della sentenza di assoluzione della Corte di Appello di (...), ha chiesto il rimborso delle spese legali ai sensi dellart. 18 D.L. 67/97. Codesta Avvocatura ha fornito parere negativo sul presupposto dellavvenuto accertamento della responsabilit ad opera della Corte Suprema di Cassazione, anche se solo ai fini civilistici del risarcimento del danno. Considerato che il dipendente ha presentato osservazioni al parere reso, con la nota che si riscontra codesta Avvocatura ha investito questo Generale Ufficio. Ci posto, si osserva quanto segue. E noto che l'art. 18 del D.L. 25 marzo 1997, n. 67 (convertito con L. 23 maggio 1997, n. 135), in ordine al rimborso delle spese legali da parte della Pubblica Amministrazione stabilisce che le spese legali relative a giudizi per responsabilit civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi con l'espletamento del servizio o con assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilit, sono rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui dall' Avvocatura dello Stato .... (*) Parere del 10 giugno 2011 prot. 194802, AL 1142/11, avv. FEDERICA VARRONE. PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 185 La suindicata disposizione subordina, dunque, il rimborso alla ricorrenza di puntuali condizioni, normativamente previste, quali: a) l'esistenza di una connessione dei fatti e degli atti oggetto del giudizio con l'espletamento del servizio e l'assolvimento degli obblighi istituzionali; b) che il giudizio di responsabilit si sia concluso con sentenza od altro provvedimento che abbia escluso la responsabilit del dipendente; c) una valutazione di congruit da effettuarsi da parte dell' Avvocatura dello Stato. Sulla base del suindicato quadro normativo si condivide senzaltro lavviso di codesta Avvocatura circa linsussistenza del diritto al rimborso evidenziandosi quanto segue. Nel caso di specie, da ritenersi del tutto peculiare, la condotta del dipendente stata oggetto di vaglio giurisdizionale nellambito del medesimo procedimento sotto il profilo civile e penale. Pi specificatamente, la costituzione di parte civile del detenuto ha determinato che la condotta del dott. (...) stata esaminata nel processo penale ai fini sia penali che civili. La statuizione di condanna della Suprema Corte, seppure ai soli fini civili per mancata impugnativa della Procura, comporta, pertanto, linconfigurabilit dei presupposti per il diritto al rimborso delle spese del processo penale in quanto, nellambito del medesimo procedimento, stata definitivamente acclarata la responsabilit del dipendente con riferimento proprio a quella specifica condotta. Il presente parere stato esaminato dal Comitato Consultivo dellAvvocatura dello Stato che si espresso in conformit. Contributi alle imprese editoriali* Art. 3, comma 3 lett. c), della L. 7 agosto 1990 n. 250 Duplicit di testate che presentano la medesima iscrizione nel registro della stampa. Si riscontra la nota indicata a margine con la quale codesto Dipartimento ha domandato alla Scrivente un parere circa lammissione ai contribuiti di cui allart. 3 comma 3 della L. n. 250/1990 richiesti per lanno 2009 dalla Cooperativa (...) per la testata E.W.P.. In particolare, espone codesto Dipartimento che negli anni 1988 e 1989 (cio nei due anni presi a riferimento dalla citata disposizione per la maturazione dei requisiti per accedere ai contributi) nonch per gli anni successivi limpresa ha editato la testata A.B., registrata al tribunale di (...) al n. (...) del 1985, mentre per lanno 2009 ha editato la testata E.W.P., che presenta la medesima registrazione presso il Tribunale, rilevando che il raffronto delle (*) Pareri del 6 giugno 2011 prot. 188220 e del 16 giugno 2011 prot. 201667, AL 13501/11 e AL 13500/11, avv. FABRIZIO FEDELI. 186 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 copie delle pubblicazioni trasmesse dallimpresa, prima e dopo il cambio della denominazione della testata, ha reso evidente che, di fatto, limpresa ha editato due periodici completamente diversi nella forma e nei contenuti, diversit che si riflette quindi - ragionevolmente - anche sul tipo di pubblico al quale i due periodici sono rivolti . La Commissione tecnica consultiva ha ritenuto, quindi, opportuno chiedere a questa Avvocatura un parere in ordine alla legittimit della corresponsione dei contributi richiesti, per lanno 2009, dalla citata impresa editrice, allo scopo di approfondire se, ai fini della corretta applicazione della fattispecie di legge, possa essere considerato dirimente il dato formale costituito dallidentit della registrazione delle due pubblicazioni presso il Tribunale, ovvero se il radicale mutamento apportato dallimpresa alla forma, alla veste grafica ed ai contenuti della pubblicazione, contestualmente al mutamento del nome della testata, costituisca una soluzione di continuit giuridicamente rilevante nellidentit della pubblicazione, tale quindi da incidere sul possesso dei requisiti richiesti dallart. 3, comma 3, della legge 7 agosto 1990, n. 250 per lerogazione del contributo ivi disciplinato. Ci premesso, la Scrivente osserva che i contributi di cui allart. 3 comma 3 della L. n. 250/1990, sono concessi alle imprese editrici di periodici indipendentemente dal numero delle testate, a differenza di quelli di cui al comma 2 del medesimo articolo che sono concessi limitatamente ad una sola testata. Pertanto, non sembra che la lett. c) del comma 3 richieda, quale requisito per la concessione dei contributi, lidentit (formale, data dal numero di iscrizione nel registro della stampa, o sostanziale, desunta dalle caratteristiche e dai contenuti) della testata nei due anni precedenti lentrata in vigore della L. n. 250/1990 e nellanno della richiesta di contributo, in quanto le provvidenze previste dal comma 3 sono concesse in funzione dellimpresa editrice e non della singola testata, ferma restando la necessit del numero di pubblicazioni annuali richiesto dallart. 3 comma 3 lett. c). Alla stregua delle precedenti considerazioni non si ravvisano motivi ostativi alla concessione del contributo richiesto per lanno 2009 dalla Cooperativa (...). Sulla questione oggetto del presente parere stato sentito lavviso del Comitato Consultivo che si espresso in conformit. Art. 3, comma 5, della L. 7 agosto 1990 n. 250 Divieto di distribuzione degli utili e ristorni. Si riscontra la nota indicata a margine con la quale codesto Dipartimento ha domandato alla Scrivente se il divieto di distribuzione degli utili, previsto espressamente dalla normativa sulleditoria, comporti per spiegare compiutamente la sua efficacia anche il divieto di distribuzione dei ristorni e PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 187 se pertanto entrambi i divieti debbano essere inseriti nello statuto della societ, ovvero il che equivalente debba essere rimossa dallo statuto la previsione dei ristorni e la sua disciplina. In linea ulteriore codesto Dipartimento ha chiesto di conoscere se, in assenza della previsione statutaria in ordine al divieto di attribuzione dei ristorni, (e purch sia presente, nello statuto, il divieto di distribuzione degli utili) possa considerarsi giuridicamente rilevante la mancata distribuzione di fatto dei ristorni medesimi, certificata con dichiarazione sostitutiva dellatto di notoriet dal rappresentante legale dellimpresa editrice. In proposito, la Scrivente osserva che, come riconosciuto dalla giurisprudenza della Suprema Corte (Cass. civ., sez. I, 8 settembre 1999, n. 9513), i cosiddetti "ristorni" vadano tenuti distinti dagli utili in senso proprio, in quanto, mentre gli utili costituiscono remunerazione del capitale e sono perci distribuiti in proporzione al capitale conferito da ciascun socio, i "ristorni" costituiscono uno degli strumenti tecnici per attribuire ai soci il vantaggio mutualistico (risparmio di spesa o maggiore retribuzione) derivante dai rapporti di scambio intrattenuti con la cooperativa, traducendosi in un rimborso ai soci di parte del prezzo pagato per i beni o servizi acquistati dalla cooperativa (nel caso delle cooperative di consumo), ovvero in integrazione della retribuzione corrisposta dalla cooperativa per le prestazioni del socio (nelle cooperative di produzione e lavoro), con la conseguenza che, stante tale diversit, alle somme da distribuire eventualmente ai soci a titolo di ristorno non sono, di regola, applicabili le limitazioni poste dalla legge alla distribuzione degli utili. Ad avviso della Scrivente, tuttavia, la cooperativa editoriale soddisfa i requisiti richiesti dalla legge per la concessione del contributo, in presenza di una clausola statutaria che consenta la distribuzione dei ristorni, solo a condizione che, attraverso i ristorni, non avvenga la restituzione del contributo stesso, in tutto o in parte (requisito verificabile in base al bilancio certificato dalla societ di revisione che le imprese editoriali sono tenute a presentare, art. 3 comma 2 lett. g] L. n. 250/1990), sorgendo altrimenti, a carico della societ, lobbligo di restituzione previsto dallart. 3 comma 6 della L. n. 250/1990. In conclusione i ristorni i quali, tecnicamente, non coincidono con gli utili non impediscono, di per s, il contribuito statale in esame, ma occorre che alla loro formazione non abbiano concorso in alcun modo quei contributi, circostanza che pu essere certificata formalmente dalla societ di revisione, perch i medesimi non possono mai essere attribuiti ai soci. Sulla questione oggetto del presente parere stato sentito lavviso del Comitato Consultivo che si espresso in conformit. 188 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 Onere delle spese legali a carico dellAmministrazione nel caso di procedimento conclusosi con piena esclusione di responsabilit del dipendente* Con la nota che si riscontra n. 151644 del 19 maggio 2010 codesto Comando Generale rappresenta che alcuni militari della Guardia di Finanza sono stati convenuti - unitamente allAmministrazione - avanti al Tribunale Civile di Lecce in relazione ad unattivit di servizio tesa a contrastare il fenomeno del contrabbando. In particolare i medesimi erano accusati dai parenti (madre e sorella) di aver cagionato la morte di un giovane - attinto da alcuni colpi di arma da fuoco, giovane - che non si era fermato allALT dei militari e che si sospettava trasportasse appunto merce di contrabbando. Il giudizio di primo grado (cfr. sent. Trib. Lecce n. 474/2000) si concludeva con la reiezione della domanda attrice e con la condanna di questultima parte al rimborso delle spese di giudizio a favore dei militari che si erano costituiti a mezzo di un loro difensore, per un importo di allora lire 4.500.000 ciascuno. La sentenza di secondo grado (cfr. C.te Appello Lecce n.150/2002) confermava la decisione di primo grado e liquidava a favore dei militari le spese di difesa in complessivi euro 4.168,59. Il giudizio si concludeva in sede di legittimit (cfr sent. n. 15374/06 III sez. Civ. Cassazione) in linea con le precedenti decisioni dei giudici di merito reiettive della domanda, e con la liquidazione a carico dei ricorrenti in favore dei militari per un importo complessivo di euro 3.600,00. I singoli militari interessati hanno cos chiesto il rimborso delle spese legali ciascuno per limporto di euro 6.434,74. LAvvocatura Distrettuale dello Stato di Lecce, con nota n. 40399 del 2 luglio 2009, ha ritenuto di non poter dare corso allesame del quantum non rientrando la fattispecie nel novero dellart. 18 D.L. 67/1997. Rilevava lAvvocatura che i militari potevano esercitare la loro pretesa creditoria nei confronti delle controparti soccombenti, che del resto erano state condannate in tutti i gradi di giudizio alla rifusione delle spese; altrimenti verificandosi unipotesi di indebito arricchimento in capo ai militari che verrebbero a percepire due volte la stessa somma dallo Stato e dalle controparti. Al riguardo paventate difficolt in ordine al recupero delle spese stesse non potevano avere alcun rilievo; poich la previsione beneficiante dellart. 18, cit. non prevedeva unipotesi di surrogazione legale da parte dellAmministrazione ex art. 1203 c.c.. Codesto Comando, che ai sensi dellart. 10 bis L.241/1990 aveva partecipato agli interessati il contenuto del sopra citato parere, rappresenta di aver (*) Parere del 16 giugno 2011 prot. 201622, AL 22904/10, avv. MAURIZIO GRECO. PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 189 ricevuto le loro osservazioni da cui si evince limpossibilit di ogni azione esecutiva nei confronti delle parti attrici debitrici in quanto soggetti impossidenti di tanto che erano state ammesse al gratuito patrocinio (cfr. pag. 2 rigo 4 sent. cit. n.474 Trib. Lecce). Ancora, era impossibile svolgere ogni procedura esecutiva in ragione appunto dellaccertata impossidenza. LAmministrazione, che ha trasmesso allAvvocatura Distrettuale di Lecce le note dei militari senza ottenerne risposta, chiede alla Scrivente di conoscere se possa esser dato favorevole corso alle istanze dei militari medesimi; ovvero se debbano comunque essere preventivamente esperite azioni esecutive e solo in caso di infruttuosit delle medesime - cos essendo escluso ogni indebito arricchimento dei militari - dar luogo al rimborso. In questo caso chiede di conoscere se le spese per lesperimento di dette procedure possano poi essere oggetto di rimborso. Rileva la Scrivente, sulla base degli elementi rappresentati, che le osservazioni dei militari possano trovare favorevole considerazione. Nella fattispecie si tratta sicuramente di un giudizio aperto a loro carico che li vedeva convenuti, del resto unitamente allAmministrazione, per fatti strettamente connessi al servizio. Ci tanto vero che, appunto anche lAmministrazione medesima stata convenuta nellambito dei sopra citati giudizi. A questo proposito si osserva come non possa aver influenza alcuna il fatto che i militari non si siano avvalsi della facolt prevista dallart. 44 R.D. 1611/33; - nominando un avvocato di loro fiducia stante il principio di cui allart. 24 Cost.ne avente rango assolutamente primario. Ancora il mero dato della condanna delle parti attrici (poi appellanti e ricorrenti in Cassazione) alla rifusione delle spese a favore dei militari, deve essere valutata in considerazione della documentata impossibilit oggettiva del recupero delle spese liquidate, non potendo detto dato essere di ostacolo al rimborso. Il tenore sotteso allart. 18 cit. finalizzato, e comunque consiste, nel tenere indenne il dipendente nei cui confronti sia aperto un procedimento conclusosi con piena esclusione di responsabilit sollevandolo cos da ogni onere economico connesso allattivit difensiva. Lassoluta incapienza dei soggetti condannati, con limpossibilit cos dei medesimi a rifondere le spese ai militari, in sostanza - non pu esporre i dipendenti stessi a sopportare in siffatta situazione lonere economico di difesa, apparendo ragionevole, proprio per la ratio sottesa alla normativa beneficiante, che detto onere sia comunque ristorato, ricorrendone le condizioni, dallAmministrazione in nome e per conto della quale i medesimi hanno comunque agito in connessione con i fini Istituzionali. La Scrivente ritiene pertanto che codesta Amministrazione, che nel prov- 190 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 vedimento far espressa menzione dellimpossibilit oggettiva del recupero, e della dichiarazione al riguardo rilasciata dai militari medesimi e dei connessi oggettivi documentati accertamenti circa lincapienza delle parti debitrici, possa procedere a liquidare le somme richieste non dovendosi pronunciare la Scrivente sulla congruit delle stesse in quanto esse sono state direttamente riconosciute e liquidate dagli Organi Giurisdizionali deputati, fermo restando che lo Stato si giover di quel credito nei confronti del soccombente. Sul parere si espresso in conformit il Comitato Consultivo. Beni confiscati alla criminalit organizzata. Problematiche inerenti a societ e/o beni societari confiscati* LAgenzia del Demanio ha formulato alla Scrivente unarticolata richiesta di parere in ordine a svariate questioni concernenti gli effetti giuridici di provvedimenti di confisca ex lege 575/1965, coinvolgenti talora quote di societ di cui i prevenuti sono soci, talora singoli beni del relativo patrimonio sociale. In particolare, stato chiesto di sapere: a) quale sia la ricaduta di confische di quote societarie sulla propriet di beni facenti parte del patrimonio sociale; b) le attivit praticabili in caso di confisca di beni intestati ad una societ; c) lestensione della responsabilit dello Stato, che confischi quote di societ di persone ovvero linterezza delle quote di una societ di capitali, per debiti sociali; d) la sorte dei debiti che le societ confiscate dallo Stato hanno iscritto in bilancio tra le poste passive, eventualmente anche nei confronti dei soci prevenuti; e) la sorte dei diritti reali di garanzia insistenti su beni confiscati, e segnatamente delle ipoteche; f) lefficacia, nei confronti dello Stato, di una clausola sociale contenuta nello statuto o nellatto costitutivo che disponga diritti di prelazione degli altri soci in caso di vendita di partecipazioni azionarie; g) le possibili modalit di liquidazione di societ inattive in conseguenza di provvedimenti di confisca; h) la sorte dei debiti tributari delle societ integralmente confiscate dallo Stato; i) la sussistenza o meno del patrocinio dellAvvocatura dello Stato relativamente alle societ confiscate. In relazione alle tematiche sopra rassegnate, si svolgono le seguenti con- (*) Parere del 22 giugno 2011 prot. 208177/96/88, AL 48555/06, avv. GIANCARLO CASELLI. PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 191 siderazioni, che si estendono per sopravvenuta competenza allAgenzia Nazionale per lamministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalit organizzata. *** 1. Con riguardo alla tematica sub a) (ricaduta di confische di quote societarie sulla propriet di beni facenti parte del patrimonio sociale), occorre svolgere alcune considerazioni preliminari a riguardo della netta distinzione concettuale, nel diritto civile, tra capitale sociale e patrimonio sociale: mentre il capitale di una societ costituisce linsieme dei conferimenti di beni e servizi effettuati (per lappunto in conto capitale) dai soci per la costituzione ed il mantenimento della societ (arg. ex articolo 2247 cod. civ.), il patrimonio sociale configura invece linsieme dei beni e diritti appartenenti - a vario titolo - alla societ, in quanto soggetto distinto ed autonomo dai soci che ne fanno parte. Giova a tal riguardo richiamare il tradizionale, e tuttora attuale, insegnamento giurisprudenziale secondo cui i concetti giuridici di capitale sociale e di patrimonio sociale, pur presentando qualche elemento di correlazione, particolarmente accentuato nel momento della costituzione della societ, sono diversi ed inconfondibili. Il capitale sociale traduce in cifra precisa (suscettibile di norma di variazione nella sua entit giuridica e contabile solo a seguito di modifica nelle forme legali dellatto che lo abbia determinato) lammontare complessivo degli apporti dei soci allatto della sua costituzione. Il patrimonio sociale invece formato dal complesso dei diritti ed obblighi, dai rapporti giuridici attivi e passivi che, nel corso della gestione, vengano man mano ad accentrarsi nella societ ed pertanto soggetto alle fluttuazioni e trasformazioni determinate dalle esigenze e dagli effetti della realt economica, e visto in un particolare momento identifica il complesso dei beni dei quali, nel momento medesimo, la societ titolare (Cass. Civ., I, 25 marzo 1965, n. 488). Da tanto consegue il diverso trattamento contabile dei due concetti, per cui il fatto che il capitale sociale, non diversamente dalle riserve e da tutte le altre poste che concorrono a formare il patrimonio netto della societ, debba essere iscritto al passivo del bilancio (art. 2424 c.c.) non vale a farlo considerare alla stregua di una posta debitoria, il cui annullamento o la cui riduzione comporti un vantaggio patrimoniale della societ, giacch quelle poste non costituiscono passivit, ma identificano leccedenza delle attivit rispetto alle vere e proprie passivit - rappresentando, quindi, il valore netto del patrimonio di cui la societ pu disporre - e la loro iscrizione nella colonna del passivo risponde unicamente alla finalit contabile di far coincidere il totale del passivo con quello dellattivo (Cass. Civ., I, 8 novembre 2005, n. 21641). 1.1. Sulla base di quanto sopra, dunque agevole inferire che la confisca di quote di un capitale sociale non avr effetti giuridici immediati sui singoli beni che compongono il patrimonio della societ medesima: stato infatti da tempo chiarito che la cessione delle azioni o delle quote di una societ di ca- 192 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 pitali non pu configurarsi quale trasferimento a titolo oneroso dei beni che ne costituiscono il patrimonio (Cass. Civ., I, 23 luglio 1998, n. 7209), ancorch limitatamente al riconoscimento del diritto di prelazione riconosciuto per la vendita di immobili urbani. Dipoi, con riferimento a vertenza relativa allalienazione di quote di societ di persone, Cass. Civ., III, 14 luglio 2004, n. 13075, ha pi di recente affermato che la cessione della quota sociale non attribuisce al socio subentrato la propriet di una porzione dei beni della societ, ma gli attribuisce una quota del relativo patrimonio, comprensivo delle passivit, dei crediti, dei rischi, della esposizione per le obbligazioni gi contratte, nonch dei poteri di indirizzo e gestione dei programmi societari con le relative aspettative (). Mette poi conto rammentare quanto affermato, in termini generali, da Cass. Civ., I, 28 febbraio 1998, n. 2252, ossia che con la stipula del contratto di societ si determina, anche nelle societ di persone, un effetto di scambio tra patrimonio dei soci e patrimonio sociale, con il trasferimento, per un verso, della titolarit dei beni - anche immobili - conferiti, dal patrimonio dei conferenti a quello della societ, soggetto di diritto diverso e terzo rispetto ai soci; e con il parallelo ingresso, nel patrimonio del socio, dei diritti (mobiliari) riferibili alla titolarit della quota sociale . 1.2. In relazione a quanto sopra, appare dunque assolutamente corretta laffermazione (pure a suo tempo fatta propria dallAvvocatura Distrettuale dello Stato di Brescia con il parere prot. n. 7753 del 7 giugno 2002) per cui la confisca di azioni o di quote societarie non comporta automaticamente lacquisizione allo Stato del patrimonio aziendale, e dei singoli beni che di esso facciano parte. Correlativamente, appaiono discutibili i provvedimenti di confisca di quote sociali appartenenti a prevenuti e che, a causa di unerrata valutazione del giudice penale o di unerrata interpretazione in sede di esecuzione, finiscano col colpire beni immobili di effettiva propriet della societ (in quanto facenti parte a tutti gli effetti del patrimonio sociale), con relativa trascrizione nei registri immobiliari degli effetti della confisca stessa: proprio in ragione della evidenziata separazione tra capitale e patrimonio sociale, i beni patrimoniali della societ non sono infatti di propriet del soggetto prevenuto, e pertanto la confisca di (sole) quote societarie appartenenti ad un prevenuto non si estende automaticamente ai beni societari (1). (1) In tal senso (con riguardo alla misura di prevenzione del sequestro, ma con argomentazioni estendibili anche alla confisca) si espressa anche Cass. Civ., III, 27 aprile 2007, n. 10095, allorch nel dirimere un contrasto tra lamministratore giudiziale di quote societarie sequestrate e la curatela fallimentare della societ di capitali di cui le anzidette quote erano parte ha precisato che il sequestro di prevenzione aveva avuto per oggetto non il complesso dei beni costituiti in azienda, ma soltanto le quote di una societ di capitali poi dichiarata fallita. PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 193 A tale ultima ipotesi sembra riconducibile il concreto caso affrontato dal Tribunale di Palermo e portato allattenzione della Scrivente: pur non disponendosi del provvedimento a quo, alla descritta conclusione sembra infatti portare la premessa del decreto n. 90/02 del Giudice dellEsecuzione Penale palermitano, il quale ha dato atto che la confisca ha attinto, oltre che beni personali riconducibili al soggetto prevenuto, anche tutte le quote della societ e dei beni delle societ, ed inoltre che la confisca dei beni delle societ, e la conseguente acquisizione allErario, stata disposta come conseguenza della confisca dellintero capitale sociale, che comporta il trasferimento allErario delle quote rappresentative del patrimonio della societ, nel quale patrimonio rientrano i beni medesimi. In tale ipotesi, risulta essere stata opportunamente formulata la richiesta al Giudice della Prevenzione Penale di fornire una sorta di interpretazione autentica del provvedimento di confisca, onde impedire la fuoriuscita del bene dal patrimonio sociale, specie quando ne possa derivare un danno in termini di perdita o riduzione del patrimonio della societ allErario che abbia acquisito tramite confisca quote della societ stessa. Al contempo, tuttavia, occorre evidenziare che non paiono altrettanto condivisibili le considerazioni svolte dal Tribunale Penale di Palermo, il quale giunge al (giusto) risultato di mantenere al patrimonio della societ il bene gi oggetto di confisca, attraverso lerronea affermazione secondo cui il vincolo che colpisce il bene della societ determina il trasferimento allErario delle quote sociali rappresentative del bene stesso: tale argomentare denota invero una indebita sovrapposizione dei concetti (distinti ed autonomi, per quanto sopra detto) di capitale sociale da un lato e di patrimonio sociale dallaltro. 1.3. Ontologicamente distinta da quella dianzi descritta, appare poi la fattispecie della confisca (soltanto) di singoli beni societari, indipendentemente dalla confisca di quote di partecipazione di privati alla societ (questione sub lett. b), percorribile allorch detti beni (si tratta ovviamente di beni per lo pi immobili) siano fittiziamente intestati alla societ, ma in realt nella effettiva ed esclusiva disponibilit del prevenuto: ci che legittima invero lapplicazione dellarticolo 2-ter della Legge n. 575/1965. In questo caso, ed in termini del tutto speculari rispetto alla conclusione rassegnata al precedente punto 1.2, risulta senzaltro da condividere il parere n. 19379 reso dallAvvocatura Distrettuale dello Stato di Palermo in data 22 settembre 1995, che ha sottolineato come lErario, non avendo acquisito alcuna partecipazione azionaria nella societ per effetto della confisca dei suddetti beni, non ha titolo a promuovere la procedura di liquidazione della societ medesima. Gli aspetti problematici che tale fattispecie impinge riguardano (cos come rappresentato dallAgenzia del Demanio) la sorte di detti beni successivamente alla confisca. 194 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 In effetti, nel presupposto che limmobile attinto dalla confisca sia da considerarsi solo in apparenza appartenente alla societ che ne sia formale intestataria, laddove il reale proprietario deve invece essere considerato il socio prevenuto, appare inevitabile lapplicazione dellarticolo 2-undecies, comma 2, lett. a) e b), della Legge n. 575/1965, e quindi il mantenimento del bene al patrimonio dello Stato per finalit di giustizia, di ordine pubblico e di protezione civile, o acquisizione al patrimonio del comune interessato per finalit istituzionali o sociali. Daltra parte, atteso che in casi del genere il bene fittiziamente intestato alla societ non viene di fatto utilizzato dalla stessa, esso non dovrebbe essere considerato come bene aziendale, dotato cio di attitudine allesercizio dellimpresa: risulta quindi inipotizzabile imprimere allo stesso ogni destinazione diversa dal mantenimento al patrimonio dello Stato per salvo che si debba procedere alla vendita degli stessi finalizzata al risarcimento delle vittime dei reati di tipo mafioso , ovvero dal trasferimento al patrimonio del comune dove limmobile sito, ovvero al patrimonio della provincia o della regione previsti dal citato articolo 2-undecies, comma 2, lettere a) e b), della Legge n. 575/1965. Appare al contempo fuorviante ipotizzare uno stralcio dal bilancio sociale di tale bene, con conseguente perdita di esercizio e diminuzione del patrimonio netto della societ, del quale in realt il bene non ha mai fatto parte. Daltronde, stato pertinentemente segnalato che in casi del genere le societ formalmente proprietarie dei beni in questione sono per lo pi societ di comodo, realizzate proprio al fine di consentire una intestazione fittizia di beni e senza reale vocazione imprenditoriale, sicch non sembra che la loro liquidazione o il loro fallimento presenti particolari controindicazioni (2). *** 2. Tanto premesso in termini del tutto generali, occorre dipoi affrontare ricostruttivamente la questione degli effetti giuridici di un provvedimento di confisca (ex lege n. 575/1965, appunto) di azioni societarie, o pi in genere di quote di un capitale sociale, con specifico riguardo alla responsabilit civile dello Stato confiscante per i debiti sociali: la soluzione da darsi a tale quesito (2) Cfr. la recente Cass. Pen., VI, 23 aprile 2009, n. 17229, la quale, con riguardo alla ipotesi di un istituto bancario infiltrato da un soggetto prevenuto siccome reputato appartenere ad una consorteria mafiosa, ha qualificato limpresa in questione come mafiosa, in quanto pur essendo funzionale allesercizio di unattivit imprenditoriale di per s lecita quanto alloggetto, ha rivelato una natura illecita perch caratterizzata da matrice criminale in ordine ai modi di gestione e, inoltre, perch si dimostrata la sua strumentalit alla consumazione di condotte delittuose, tra cui in particolare il riciclaggio di denaro. E, quindi, con riferimento allimpresa c.d. mafiosa che si giustifica la confisca dei dividendi e del prezzo di vendita delle quote azionarie, in quanto si ritiene che limpresa abbia avuto la possibilit di espandersi e di produrre reddito proprio grazie alluso distorto che stato fatto dei beni aziendali, uso distorto che attestato pure dalle accertate falsificazioni di bilancio e che ha consentito di piegare la politica imprenditoriale della banca agli interessi mafiosi. PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 195 consentir successivamente di fornire risposta compiuta a svariati dei problemi applicativi sollevati. Mette tuttavia conto sin dora precisare che la descritta questione preliminare di notevolissima difficolt dogmatica, in quanto essa non risulta affrontata ex professo dalla normativa di settore, neppure a seguito delle innovazioni recentissimamente apportate dalla Legge n. 94/2009, dalla Legge n. 191/2009 (Legge Finanziaria per il 2010), nonch dal D.L. n. 4/2010 (convertito, con modificazioni, con Legge n. 50/2010); e pi in genere sconta la difficolt di coordinare lanzidetta normativa - connotata da ispirazione squisitamente repressiva, ed evidentemente volta alla tutela dellordine pubblico, con conseguente caratterizzazione dello Stato come ente tutelare di quel bene giuridico, e titolare di conseguenti penetranti poteri - con principi e regole derivanti dal diritto commerciale in genere, e dal diritto societario in particolare: ambito in cui, invece, lente pubblico dovrebbe tendenzialmente partecipare, salvo eccezioni, ad armi pari con i privati. Sicch, di nuovo in termini tuttaffatto generali, la vicenda a base della questione in esame potrebbe essere riguardata alternativamente con piglio strettamente civilistico, ovvero privilegiando un taglio di natura pubblicistica. *** 3. Nel primo caso (impostazione civilistica), occorrerebbe partire dalla premessa per cui la confisca di azioni societarie, o pi in genere di quote del capitale sociale, comporti il trasferimento della loro propriet in capo allo Stato, e consequenzialmente lacquisizione dello status di socio in capo allo Stato, di regola in completa sostituzione dellex socio prevenuto, con integrale applicazione delle relative norme. In altri termini, secondo questa impostazione, lo Stato una volta acquisita la propriet di quote sociali a seguito della definitivit del provvedimento di confisca diventerebbe un socio della societ, alla pari degli altri soci privati, ove ve ne siano, assumendo gli ordinari poteri, diritti e doveri del socio, senza che la qualit pubblica rivestita, salvo espressa deroga ad opera di legge speciale, possa attribuirgli peculiari poteri o facolt: tanto si desumerebbe dallarticolo 2449 cod. civ. (articolo 2458 prima della riforma del 2003-2004), il quale esprime - in negativo - il principio di ordine generale dellapplicabilit anche agli enti pubblici azionisti delle norme di diritto comune stabilite dal codice in materia di societ per azioni. Ci comporterebbe una serie di conseguenze piuttosto significative in ordine alle problematiche sottoposte, con riguardo - segnatamente - alla responsabilit civile nei confronti dei creditori sociali, allorch le regole ordinarie prevedano la responsabilit illimitata dei soci. 3.1. E ad esempio il caso in cui lo Stato, a seguito di confisca di quote societarie, entri a far parte della compagine di una societ di persone, per la quale vige il principio della responsabilit illimitata dei soci per le obbligazioni 196 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 sociali, anche precedenti al suo ingresso nella societ: cfr. articolo 2269 cod. civ., secondo cui chi entra a far parte di una societ gi costituita risponde con gli altri soci per le obbligazioni sociali anteriori all'acquisto della qualit di socio. La tematica trae origine dalla concreta fattispecie di confisca delle quote del socio accomandatario in una s.a.s. dipoi fallita; ponendosi per leffetto il problema se si applichi, nei riguardi dello Stato, il regime della responsabilit illimitata del socio accomandatario di cui allarticolo 2313 cod. civ., nonch le ulteriori conseguenze derivanti dallintervenuto fallimento della societ. Occorre preliminarmente escludere, ai sensi dellarticolo 1 della L.F., lassoggettabilit del socio erariale al fallimento, anche ove ci debba conseguire dal fallimento della societ ex articolo 147 L.F.. Ma, ove si ritenga di accedere alla cennata visione civilistica pura e semplice del fenomeno, si renderebbe inevitabilmente applicabile il disposto dellarticolo 2313 cod. civ. anche al socio accomandatario Stato, e la sua conseguente responsabilit illimitata per le obbligazioni sociali (anche anteriori alla confisca, in base al ripetuto articolo 2269 cod. civ.), con tutte le caratteristiche sue proprie di responsabilit personale e diretta, mitigata dallobbligo del creditore di escutere preventivamente il patrimonio sociale (articoli 2304 e 2318 cod. civ.). Analogamente a dirsi in relazione alle obbligazioni sorte nel periodo in cui - a seguito di confisca di un compendio societario, anche di capitali - il socio unico Stato abbia detenuto tutte le quote sociali, con conseguente possibilit che lErario sia chiamato a rispondere (illimitatamente) con il proprio (autonomo) patrimonio delle obbligazioni sociali in quel periodo sorte (3). 3.2. I descritti effetti di responsabilit (eventualmente illimitata) dello Stato socio si replicherebbero, nella prospettata impostazione, anche in relazione ai debiti iscritti nei bilanci delle societ confiscate a titolo di versamenti (3) Anche se, con specifico riguardo alla ipotesi sottoposta allattenzione della Scrivente, la responsabilit illimitata del socio unico nelle societ di capitali si configura solo in presenza di alcune condizioni: dispongono infatti i rinnovati articoli 2462 (per le ss.r.l.) e 2325 (per le ss.p.a.) cod. civ. che, in caso di insolvenza della societ, lunico socio risponde illimitatamente (e quindi anche col suo patrimonio) quando i conferimenti non sono stati interamente liberati, oppure fin quando non sia stata effettuata nel registro delle imprese la prescritta pubblicit dellunicit del socio. Il socio unico quindi - a differenza del previgente regime, il quale delineava la responsabilit illimitata del socio unico in qualsiasi caso - risponde oltre i limiti del patrimonio sociale solo al ricorrere di rigorosi presupposti e limiti. Per quel che qui pi interessa, occorre evidenziare che la responsabilit in parola: - configura unipotesi di responsabilit solidale della societ e dellunico socio nei confronti dei creditori sociali; - non si estende oltre le obbligazioni sociali sorte nel periodo in cui lintera partecipazione appartenuta ad una sola persona: quindi, con specifico riguardo alla peculiare fattispecie allesame, non si estende ai debiti che la societ divenuta unipersonale abbia contratto anteriormente alla confisca; - ricorre in caso di insolvenza della societ, prospettandosi cos una sorta di necessario beneficium excussionis in favore dellunico socio, con onere quindi, per i creditori, di preventiva escussione della societ debitrice. PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 197 in conto finanziamento dei soci prevenuti ed attinti dalla confisca delle quote societarie: tali debiti costituiscono invero - sotto il profilo contabile - poste passive del bilancio societario (da iscrivere presumibilmente sub voce D-3) del passivo ex articolo 2424 cod. civ.), e - sotto il profilo civilistico - dei crediti personali vantati dagli ex soci nei confronti della societ confiscata (4). Ci che renderebbe dunque non infondati i timori, espressi dallAgenzia del Demanio nella richiesta di consultazione, di dover onorare tali debiti con danaro pubblico, per di pi nei confronti di soggetti di ritenuta appartenenza mafiosa. *** 4. E dunque alla luce delle considerazioni fin qui svolte che la tematica qui allesame si ripete: gli effetti di un provvedimento di confisca ex lege n. 575/1965 coinvolgente quote societarie (relative a societ di persone e/o di capitali) sulla responsabilit civile dello Stato confiscante riguardo preesistenti debiti societari pu invece essere riguardata sotto un diverso taglio (impostazione pubblicistica), in modo da valorizzare la specifica funzione (di tutela dellordine pubblico e di prevenzione e contrasto di fenomeni criminali ad altissimo impatto sociale) dello strumento allesame. Entro tale ottica, occorre in effetti rimarcare la specificit della natura e della funzione della confisca prevista e disciplinata dalla Legge n. 575/1965 (segnatamente dallarticolo 2-ter), la quale al di l dellincardinamento sistemico tra le misure di prevenzione patrimoniale appare piuttosto volta a sottrarre in modo definitivo ai patrimoni in vario modo ascrivibili alla mafia (concetto questultimo da intendersi in senso ampio: cfr. la rinnovata formulazione estensiva dellarticolo 1 della Legge n. 575/1965) beni di consistente valore, acquisiti con i metodi illeciti delle indicate consorterie criminali, o comunque strumentali alla commissione di ulteriori reati e pi in genere al loro prosperare. Si tratta dunque di uno strumento volto a contrastare i fenomeni criminali mafiosi non gi sotto il versante strettamente penalistico (e quindi in unottica di repressione temporalmente successiva alla commissione di reati), bens maggiormente sotto il profilo economico, e quindi idoneo a contrastare laccumulo di consistenti patrimoni mafiosi, sovente necessari per lo svolgimento e limplementamento delle reti criminose, attraverso il loro coattivo depauperamento. In altre parole, le confische di che trattasi servono ad impoverire econo- (4) Detti crediti, con riguardo alla posizione patrimoniale del prevenuto, costituiscono beni distinti rispetto alla partecipazione societaria, autonomamente sequestrabili e confiscabili (cfr. primo comma dellarticolo 2-quater, e comma 1, lett. c), dellarticolo 2-undecies della Legge n. 575/1965): non potrebbe dedursene la automatica estensione a seguito della confisca della partecipazione medesima, ove non espressamente indicati nel provvedimento di confisca, n, conseguentemente, lautomatica caducazione o cancellazione a seguito della confisca stessa. 198 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 micamente e finanziariamente le mafie (che risultano, nei tempi pi recenti, aver assunto connotati quasi industriali nella gestione ed organizzazioni di traffici criminosi in svariati settori di importante rilievo economico: il contrabbando, la droga, gli appalti, la gestione dei rifiuti, ecc.), e quindi a combatterle attraverso meccanismi indirizzati a tranciare alla radice le loro fonti di sostentamento. Ci che emerge con chiarezza dalloggetto della confisca di prevenzione, che pu riguardare (cfr. articolo 2-ter, terzo comma, della Legge n. 575/1965) beni sequestrati di cui la persona, nei cui confronti instaurato il procedimento, non possa giustificare la legittima provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulti essere titolare o avere la disponibilit a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito (), o alla propria attivit economica, nonch dei beni che risultino essere frutto di attivit illecite o ne costituiscano il reimpiego. In ultima analisi, scopo finale di tale strumento risulta essere la sottrazione in via definitiva, ai circuiti criminali di che trattasi, di cospicui compendi economici dotati di valore economico effettivo, e con attitudine al finanziamento del fenomeno mafioso. 4.1. Le superiori precisazioni in ordine alla effettiva funzione della confisca ex lege n. 575/1965, quasi pi di politica anticriminale che non penalistica in senso stretto, giustificano il vivace dibattito dottrinale e giurisprudenziale sulla sua natura giuridica. In effetti, per un verso si tradizionalmente inteso ravvisare nello strumento qui in analisi uno strumento a (mera) funzione preventiva, valorizzando il suo inserimento sistematico e processuale tra le misure di prevenzione antimafia (5), anche esaltando lo scopo di neutralizzazione della pericolosit insita nel permanere della ricchezza nelle mani di chi pu utilizzarla per perpetuare lattivit delinquenziale (6). Ma al contempo, altri commentatori vi hanno ravvisato una funzione di controllo reale di ambiti economici non legittimati (7), fino addirittura a configurarla in termini pi propriamente punitivi e sanzionatori (8). Ma soprattutto la giurisprudenza ha dato voce ad una articolata rimeditazione sulla funzione e sulla natura giuridica della confisca di che trattasi. In effetti, la Corte Costituzionale ha da tempo precisato (sentenza 8 ottobre 1996, n. 335) che la confisca, pur inserendosi in un procedimento di prevenzione, presenta caratteri che vanno al di l di quelli propri del sequestro, misura definita da questa Corte (sent. n. 465 del 1993) di ordine caute- (5) Per un quadro ricostruttivo degli orientamenti dottrinali tradizionali, cfr. GUERRINI MAZZA, Le misure di prevenzione. Profili sostanziali e processuali, Padova, 1996, 163 ss.. (6) FIANDACA, Misure di prevenzione, in Dig. Penale, Torino, 1994, 123. (7) FORNARI, Criminalit del profitto e tecniche sanzionatorie, Padova, 1997, 69 ss.. (8) GALLO, Misure di prevenzione, in Enc. Giur. Treccani, Roma, 1990, 15; MANGIONE, Le misure di prevenzione patrimoniali tra dogmatica e politica criminale, Padova, 2001, 144 ss., 386 ss.. PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 199 lare, inerente alla pericolosit di un soggetto e destinata a venir meno cessando, con la pericolosit, le ragioni della cautela (si veda lart. 2-ter, quarto comma, della legge n. 575 del 1965) [e] comporta conseguenze ablatorie definitive (art. 2-nonies della legge n. 575 del 1965) e si distacca perci dalla contingente premessa che giustifica tanto il sequestro quanto tutte le altre misure di carattere preventivo, valide allo stato, cio subordinatamente al permanere - oltre che degli altri presupposti - della pericolosit del soggetto ; dipoi concludendo nel suggestivo senso per cui la ratio della confisca comprende ma eccede quella delle misure di prevenzione consistendo nel sottrarre definitivamente il bene al circuito economico di origine, per inserirlo in altro, esente dai condizionamenti criminali che caratterizzano il primo. Ed ancora, Cass. Pen., sez. unite, 17 luglio 1996, n. 18, ha ricostruttivamente rimarcato come listituto presenti un effettivo contenuto normativo (...) di carattere sicuramente ablatorio, ricollegato tra laltro alla ratio posta a base delle specifiche disposizioni in materia, dirette, come si ritiene in modo pressoch concorde, ad eliminare dal circuito economico beni provenienti da attivit che, a seguito degli accertamenti disposti, devono ritenersi ricollegate alla ritenuta appartenenza del soggetto ad unassociazione di tipo mafioso. Sicch, pur escludendo per un verso il carattere sanzionatorio di natura penale e, parimenti, quello di un provvedimento di prevenzione della confisca ex lege n. 575/1965, essa non pu essere ricondotta che nellambito di quel tertium genus costituito da una sanzione amministrativa, equiparabile (quanto al contenuto ed agli effetti) alla misura di sicurezza prevista dallart. 240 cpv. c.p.: applicata, per scelta non sindacabile del legislatore, nellambito dell'autonomo procedimento di prevenzione previsto e disciplinato dalla legge n. 575 del 1965 e successive modificazioni. Indirizzo, questo or ora descritto, dipoi confermato dalla Suprema Corte con svariati pronunciamenti: cfr. Cass. Pen., V, 29 aprile 2010, n. 16580: id., I, 28 agosto 2007, n. 33479; id., sez. unite, 8 gennaio 2007, n. 57; id., I, 22 luglio 2005, n. 27433; id., II, 31 gennaio 2005, n. 19914; id., V, 14 gennaio 2005 n. 6160 (9). (9) In effetti, non sono mancati argomentati pronunciamenti in senso radicalmente difforme: Cass. Pen., I, 9 marzo 2005, n. 13413, ha allopposto affermato che la normativa dettata per la misura di prevenzione patrimoniale ex art. 2-ter della l. n. 575 del 1965 si differenzia nettamente dalla confisca prevista dallart. 240 c.p. e da altre disposizioni speciali, rimarcando come, con riguardo alla confisca come misura di sicurezza, la legge processuale penale modella una procedura esecutiva, che, salvo tassative eccezioni, si conclude, anche per gli immobili, con la vendita delle cose confiscate (artt. 86 disp. att. c.p.p., 13 reg. esec. c.p.p. e 152 D.P.R. 30.5.2002, n. 115), mentre totalmente difforme risulta la speciale normativa della l. n. 575 del 1965 () in materia di confisca quale misura di prevenzione patrimoniale, in base alla quale quantomeno nella versione allepoca vigente emerge univocamente che gli immobili confiscati a norma della legislazione antimafia sono inalienabili, con lunica eccezione della vendita finalizzata al risarcimento delle vittime dei reati di tipo mafioso, e acquisiscono, per effetto della confisca, una impronta rigidamente pubblicistica, che tipicizza la condizione giuridica e la destinazione dei beni, non potendo essere distolti da quella normativamente stabilita (finalit di giustizia, di ordine pubblico e di protezione civile ovvero finalit istituzionali o sociali in caso di trasferimento 200 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 Sempre di recente, Cass. Pen., sez. unite, 2 luglio 2008, n. 26654, nello svolgere unanalisi trasversale di svariate tipologie di confisca presenti nellordinamento a partire da quella prevista ex D. Lgs. n. 231/2001, ha ravvisato (anche) nella confisca ex lege 575/1965 una natura ambigua, sospesa tra funzione specialpreventiva e vero e proprio intento punitivo, precisando al contempo ma in termini generali che con il termine confisca, in sostanza, al di l del mero aspetto nominalistico, si identificano misure ablative di natura diversa, a seconda del contesto normativo in cui lo stesso termine viene utilizzato. Daltra parte, la stessa Corte Costituzionale, sin dagli anni sessanta (cfr. sentenze 25/5/1961 n. 29 e 4/6/1964 n. 46), avvertiva che la confisca pu presentarsi, nelle leggi che la prevedono, con varia natura giuridica e che il suo contenuto ... sempre la ... privazione di beni economici, ma questa pu essere disposta per diversi motivi e indirizzata a varie finalit, s da assumere, volta per volta, natura e funzione di pena o di misura di sicurezza ovvero anche di misura giuridica civile e amministrativa, con l'effetto che viene in rilievo non una astratta e generica figura di confisca, ma, in concreto, la confisca cos come risulta da una determinata legge, cos introducendo il concetto di polimorfismo della confisca (al riguardo, cfr. anche Cass. Pen., II, 6 giugno 2008, n. 22903). 4.2. In relazione al descritto e polimorfo atteggiarsi delle peculiarit funzionali della confisca, dunque pacifico che, seppur non espressamente menzionate nel corpo della Legge n. 575/1965, le partecipazioni societarie sono state considerate assoggettabili alla indicata misura (10). In effetti, la menzionata Legge ha tradizionalmente fatto riferimento alle aziende, ai beni aziendali o ai beni costituiti in azienda (cfr. ad esempio le versioni antecedenti alle modifiche introdotte a partire dal 2009 dellarticolo degli immobili nel patrimonio dei comuni), con il necessario riconoscimento che a seguito dellinsorgenza del vincolo di destinazione a finalit pubbliche, il regime giuridico dei beni confiscati a norma della l. n. 575 del 1965 assimilabile a quello dei beni demaniali o a quello dei beni compresi nel patrimonio indisponibile. Ma qui il caso di rimarcare come tale impostazione (ribadita anche da successivi arresti: cfr. Cass. Pen., I, 6 febbraio 2007, n. 8015; id., 13 novembre 2008, n. 43715; id., 14 gennaio 2009, n. 2501) non sia oggi pi attuale, atteso che le interpolazioni normative del 2009 e del 2010 alla Legge n. 575/1965, hanno introdotto la possibilit di pervenire alla vendita dei beni immobili di cui non sia possibile effettuare la destinazione o il trasferimento per finalit di pubblico interesse: cfr. commi 2-bis, 2-ter e 2- quater dellarticolo 2-undecies della stessa Legge n. 575/1965. (10) In effetti, mentre da sempre stata pacifica la confiscabilit di azioni o quote di societ di capitali, pi controversa dapprima apparsa la medesima questione con riguardo alle societ di persone, nelle quali in effetti le quote sociali costituiscono il titolo della partecipazione diretta dei soci allesercizio dellimpresa collettiva, strettamente connotata dallintuitus personae che deve necessariamente intercorrere tra i soci: cfr. GIALANELLA, Genesi dellamministrazione giudiziaria dei beni: oggetto di esecuzione del sequestro, in Le misure di prevenzione patrimoniali. Teoria e prassi applicativa (Atti del Convegno di Bari, 14-16 febbraio 1997), 207; MANGIONE, Le misure di prevenzione patrimoniali tra dogmatica e politica criminale, cit., 313 ss.. Ma oggi la prassi giurisprudenziale sembra aver superato la prospettata limitazione. PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 201 2-sexies, comma 3, dellarticolo 2-decies, comma 1, e dellarticolo 2-undecies, comma 3), mentre solo di recente sono stati introdotti espliciti riferimenti alla confisca di societ (cfr. articolo 2-sexies, commi 14 e 15, come modificato con il menzionato D.L. n. 4/2010). Ma daltra parte altrettanto pacifico che la stessa Legge n. 575/1965 ha considerato le compagini societarie come uno degli strumenti dei quali gli associati alle consorterie mafiose possono avvalersi onde gestire in maniera occulta i propri patrimoni illeciti: ed infatti larticolo 2-bis, comma 3, prevede espressamente che le indagini strumentali allapplicazione di misure di prevenzione coinvolgano anche persone fisiche o giuridiche, societ, consorzi od associazioni, del cui patrimonio i soggetti () risultano poter disporre in tutto o in parte, direttamente o indirettamente; e larticolo 10, comma 3, estende i divieti di acquisizione di appalti, concessioni, licenze, finanziamenti pubblici, disposti nei riguardi di prevenuti persone fisiche, anche nei confronti di imprese, associazioni, societ e consorzi di cui la persona sottoposta a misura di prevenzione sia amministratore o determini in qualsiasi modo scelte e indirizzi. Ecco dunque che, essendo la confisca ex lege n. 575/1965 per sua natura indirizzata alla definitiva ablazione di beni e risorse economico-finanziarie dai circuiti mafiosi, nei termini pi sopra precisati, sarebbe contraddittorio prevedere che essa produca i segnalati effetti giuridici di stampo propriamente civilistico, merc i quali i prevenuti spossessati (rectius: espropriati) potrebbero comunque legittimamente neutralizzarne gli effetti economici di pi spiccata deterrenza. In termini ancor pi generali, non pare davvero ammissibile che la confisca di quote societarie possa comportare, in capo allErario confiscante, obblighi e responsabilit civili, magari ad estensione illimitata come per le eventualit pi sopra richiamate, che lo espongano - in buona sostanza - al ripianamento dei debiti delle societ confiscate nei confronti di terzi (cfr. lipotesi di cui al precedente punto 3.1), ovvero addirittura a dover corrispondere agli stessi prevenuti confiscati, che risultino creditori delle societ confiscate nelleventualit descritta al precedente punto 3.2, il valore dei conferimenti in precedenza effettuati alle societ medesime. In questi casi si configurerebbe, con ogni evidenza, un considerevole svuotamento dellefficacia del meccanismo ablatorio qui allesame, e comporterebbe tra laltro la necessit di una valutazione di convenienza economica di ciascuna confisca da parte degli organi statali a ci deputati (legata ad un non agevole accertamento di insussistenza di poste debitorie in capo alle societ collegate ai prevenuti, e di cui lo Stato potrebbe doversi far carico), che pare davvero estranea alla evidenziata funzione repressiva dello strumento. Entro tale ottica, si ritiene dunque di dover escludere con specifico riguardo alla confisca di quote di societ commerciali di persone la concreta 202 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 operativit del cennato articolo 2269 cod. civ. (11). E stato invero segnalato dalla pi autorevole dottrina che la ratio di tale previsione risiede nella circostanza che il socio, facendo ingresso in una compagine sociale gi esistente, approva loperato della precedente gestione, accettando lo stato di rischio in cui si trova limpresa (12). Ed anche la giurisprudenza di legittimit che si occupata, anche solo incidentalmente di siffatta previsione, ha rimarcato come nelle societ personali non [sia] configurabile un acquisto di quote sociali che sia sufficiente, di per s, a far insorgere la responsabilit dellacquirente per le obbligazioni sociali (), occorrendo invece che si realizzi leffettivo inserimento nellorganismo sociale mediante il patto di cui sopra si detto, che comporta lassunzione della qualit di socio, con i connessi diritti ed obblighi verso la societ, gli altri soci e i terzi (Cass. Civ., I, 28 marzo 1990, n. 2539). Sicch, in effetti, non sembra proprio che ricorra, nel caso di confisca di quote di societ commerciali di persone, il presupposto connotante loperativit dellarticolo 2269 cod. civ. (13), ossia la volontaria assunzione del ruolo di socio da parte dello Stato confiscante, con lassunzione di tutti i connessi rischi imprenditoriali, atteso che ladozione del provvedimento di confisca non presuppone davvero lintenzione o la volont dello Stato di entrare a far parte di una compagine commerciale, ed comunque per sua natura insuscettibile come dianzi rilevato di valutazioni di convenienza commerciale, ulteriori rispetto allassorbente esigenza repressiva che le propria. 4.3. Sotto diverso e concorrente riguardo, appare pertinente anche valutare la natura dellacquisizione in propriet allo Stato di beni confiscati, e segnatamente se tale acquisto sia da considerare a titolo originario ovvero derivativo. Con il parere di Comitato Consultivo prot. n. 127581 in data 15 novembre 2003, si era gi dato conto della non univocit delle soluzioni date a tale questione dalla giurisprudenza di legittimit, sia civile che penale: contrasto che, in effetti, permane tuttoggi, ma di cui merita dare aggiornato conto. 4.3.1. In sede civile, la diversit di vedute appare riconducibile a quanto a suo tempo affermato dapprima da Cass. Civ., I, 3 luglio 1997, n. 5988 in materia di crediti confiscati ex lege n. 575/1965 (che ha affermato trattarsi di acquisto a titolo derivativo, inquadrabile nello schema di una cessione del credito per factum principis, tale proprio in quanto esso non prescinde dal rapporto gi esistente fra quel bene e il precedente titolare, ma anzi un tale (11) Il quale, si rammenta, prevede che chi entra a far parte di una societ gi costituita risponde con gli altri soci per le obbligazioni sociali anteriori all'acquisto della qualit di socio. (12) FERRARA - CORSI, Gli imprenditori e le societ, Milano, 2001, 300. (13) La previsione dellarticolo 2269 cod. civ., si applica sia alle ss.a.s., sia alle ss.n.c. in virt del richiamo operato dallarticolo 2293 cod. civ.: cfr. Cass. Civ., III, 20 aprile 2010, n. 9326. PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 203 rapporto presuppone ed volto a far venir meno, per ragioni di prevenzione e/o di politica criminale, con l'attuare il trasferimento del diritto dal privato (condannato o indiziato di appartenenza ad associazioni mafiose) allo Stato), e dipoi da Cass. Civ., I, 5 marzo 1999, n. 1868, la quale (per vero in relazione a confisca prefettizia) ha invece fatto riferimento ad un titolo originario di acquisto, a favore della P.A., del bene che entra cos a far parte del patrimonio dello Stato. Pi di recente, Cass. Civ., I, 7 febbraio 2007, n. 2718, questa volta con specifico riferimento a confisca ex lege n. 575/1965, ha precisato che, in tema di revocatoria fallimentare, opponibile alla massa dei creditori lacquisizione al patrimonio dello Stato a titolo originario, per effetto della sopravvenuta confisca del bene disposta in un procedimento di prevenzione antimafia, ove il sequestro di prevenzione, che necessariamente precede la confisca, sia stato trascritto in data anteriore alla dichiarazione di fallimento, e ci in quanto gli effetti della confisca retroagiscono al momento del sequestro, secondo la ratio dellart. 2906 cod. civ., che estende al creditore sequestrante la tutela riservata al creditore pignorante. A sostegno della tesi derivativa dellacquisto, viene poi tradizionalmente richiamata ulteriore giurisprudenza civile di legittimit, formatasi a partire da Cass. Civ., 12 novembre 1999, n. 12535: ma si badi che n tale arresto, n i successivi che ad essa fanno tralaticio riferimento, hanno affrontato ex professo la quaestio juris di che qui trattasi, limitandosi ad affrontare la tematica dei rapporti tra confisca e diritti reali di garanzia preesistenti (su cui cfr., amplius, il successivo punto 5 del presente parere) (14). 4.3.2. Pi ampio ed articolato il dibattito in sede di Cassazione Penale. In aggiunta al risalente diastema intercorso tra la tesi dellacquisto derivativo, o comunque traslativo (Cass. Pen., sez. unite, 28 aprile 8 giugno 1999, n. 9; Cass. Pen., IV, 26 novembre 1996, n. 2885; Cass. Pen., I, 21 gennaio 1992, non numerata (15)), e quella dellacquisto a titolo originario (Cass. Pen., II, 4 dicembre 1998 16 gennaio 1999, n. 7211; Cass. Pen., I, 3 22 aprile 1998, n. 1947; Cass. Pen., sez. unite, 28 gennaio 1998, n. 2; Cass. Pen., VI, 3 aprile 24 agosto 1995, n. 1265; Cass. Pen., 7 dicembre 1983 (16)), si registrano svariate sopravvenienze giurisprudenziali, per lo pi specificamente (14) Alla menzionata giurisprudenza del 1999 fanno ad es. riferimento Cass. Civ., III, 29 ottobre 2003, n. 16227, nonch Cass. Civ., III, 16 gennaio 2007, n. 845. Solo Cass. Civ., III, 5 ottobre 2010, n. 20664, ha recentissimamente confermato la impugnata pronuncia di merito anche nella parte in cui aveva affermato la natura derivativa dellacquisto statale per confisca ai sensi dellarticolo 2-ter della Legge n. 575/1965. (15) Ma si badi che solo larresto del 1992 si occupato di confisca ex lege n. 575/1965, gli altri due riguardando confisca per usura ex articolo 644 cod. pen., ovvero di confisca obbligatoria ex articolo 240 cod. pen.. (16) Questultima tuttavia con riguardo a confisca di cose di interesse storico, artistico o archeologico. 204 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 afferenti proprio la confisca di cui alla Legge n. 575/1965: - a sostegno della prima impostazione (acquisto a titolo derivativo), Cass. Pen., V, 19 novembre 15 dicembre 2003, n. 47887, ha ritenuto che in tema di misure di prevenzione, lapplicazione della confisca () determina la successione a titolo particolare dello Stato nella titolarit del bene (analogamente, anche Cass. Pen., I, 9 marzo 12 aprile 2005, n. 13413); - nella seconda direzione (dellacquisto a titolo originario), si sono invece espresse Cass. Pen., sez. unite, 19 dicembre 2006 8 gennaio 2007, n. 57, che ha parlato di irreversibile risultato ablatorio, conseguente alla definitivit della confisca produttiva del trasferimento a titolo originario del bene sequestrato nel patrimonio dello Stato, nonch Cass. Pen., V, 20 gennaio 29 aprile 2010, n. 16580, secondo cui la confisca disposta nei procedimenti di prevenzione, va ricondotta nellambito del tertium genus costituito da una sanzione amministrativa equiparabile, quanto a contenuto ed effetti, alla misura di sicurezza prevista dallart. 240, comma secondo, cod. pen., di modo che il loro trasferimento a titolo originario al patrimonio dello Stato irreversibile. 4.3.3. La questione non pare davvero di poco momento ai fini che qui occupano, atteso che la differenza tra le prospettate impostazioni dogmatiche della questione attiene proprio alla estensione del diritto proprietario che perviene allo Stato confiscante: sicch, ove si tratti di acquisto a titolo originario, siccome pervenuto senza alcuna dipendenza rispetto al diritto del precedente titolare (ossia del prevenuto), esso dovr considerarsi libero da pesi e da diritti di terzi che non siano strettamente inerenti alla res (obbligazioni o oneri reali); laddove invece lacquisto a titolo derivativo si collega inscindibilmente alla misura del diritto trasferito, con la medesima ampiezza e le medesime limitazioni (17). La evidenziata peculiare natura e funzione della confisca ex lege n. 575/1965, in uno con la straordinariet dei suoi presupposti applicativi, indurrebbe in effetti ad ascriverla tra i meccanismi acquisitivi della propriet del primo genere, in modo da garantire che lacquisizione in capo allo Stato dei beni confiscati avvenga senza precostituiti limiti, e senza che lErario possa risultare indirettamente gravato di oneri incompatibili con la funzione lato sensu sanzionatoria del meccanismo di che vertesi. Ci che risulterebbe anche congruente con la frequente assimilazione (vuoi strutturale, vuoi funzionale) di tale tipologia di confisca con quella, generale, di cui allarticolo 240 cod. pen., emergente in modo prepotente dalla giurisprudenza di legittimit penale dianzi richiamata (segnatamente da Cass. (17) Cfr. al riguardo GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 2003, 235. PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 205 Pen., sez. unite, 17 luglio 1996, n. 18, e successiva). *** 5. Ferme le suesposte considerazioni ricostruttive, non pu tuttavia prescindersi dal considerare come siano stati affrontati, in sede di legittimit, i problemi di coordinamento con i diritti che terzi soggetti possano vantare, a vario titolo, sui compendi confiscati, segnatamente nei confronti delle societ oggetto di (totale o parziale) ablazione. Come sopra ricordato, infatti, e con riguardo alla confisca di quote societarie, si pone inevitabilmente il problema di verificare lestensione dei concorrenti diritti degli (eventuali) altri soci delle societ di persone (di cui stata disposta la confisca solo di quote parziali), nonch dei terzi che vantino diritti reali o creditori nei confronti della societ confiscata, e delle reciproche interconnessioni. Problema che, riguardato in termini pi generali, si declina anche in relazione alla confisca di beni diversi dalle quote societarie. 5.1. Una questione che stata specificamente sottoposta allattenzione della Scrivente concerne ad esempio la sorte dei diritti reali di garanzia (in specie le ipoteche) che i terzi vantino su beni immobili confiscati (tematica sub e) della premessa). La problematica, ben nota a questa Avvocatura per essere fonte di un cospicuo contenzioso tuttora in atto, stata pi volte affrontata anche in sede di Comitato Consultivo. Si segnala in proposito il parere reso dalla Scrivente in data 15 novembre 2003 con nota prot. n. 127581, il quale, sintetizzando per punti le risposte alle questioni sollevate, ha affermato: a) che i diritti ipotecari dei terzi sui beni confiscati non vengono pregiudicati quando non emerga in sede penale la certezza di una situazione di non estraneit al reato del terzo o di mala fede o di colpevole affidamento nellacquisto del credito ipotecario; b) che tali diritti non consentono comunque al terzo di agire in executivis sul bene confiscato, potendosi altrimenti compromettere la finalit perseguita dallart. 2 undecies, comma 2, legge 575/1965, introdotto dalla legge 109/1996; c) che ove il bene confiscato venga venduto il creditore ipotecario (la cui estraneit al reato sia stata accertata) ha diritto di ottenere la soddisfazione del suo credito fino a concorrenza del ricavato e col rispetto dellordine delle prelazioni; d) che, ove invece al bene confiscato sia data una destinazione pubblica conforme alle previsioni dellart. 2 undecies, comma 2, legge 575/1965, introdotto dalla legge 109/1996, il creditore ipotecario potr ottenere dallo Stato (divenuto titolare del bene a seguito della confisca) soddisfazione in danaro del proprio credito entro i limiti di valore del bene confiscato quale emergente dalla stima fattane o in sede di acquisizione da parte dello Stato o, in caso di contestazione, con il ricorso a rimedi di tipo giurisdizionale volti a determi- 206 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 nare la misura del credito satisfattibile sul valore equivalente al bene confiscato. 5.2. Giova precisare che il richiamato parere trovava allepoca conforto nella nota sentenza Cass. Civ., I, 12 novembre 1999, n. 12535, secondo cui il provvedimento di confisca, pronunciato ai sensi dellart. 2 ter l. 31 maggio 1965 n. 575 e succ. mod. nei confronti dellindiziato di appartenenza ad associazione mafiosa, non pu pregiudicare i diritti reali di garanzia, costituiti sui beni confiscati in epoca anteriore al procedimento di prevenzione a favore di terzi estranei ai fatti che hanno dato luogo a detto provvedimento; costoro, per, potranno far valere le loro pretese soltanto davanti al giudice dellesecuzione penale nelle forme e secondo le modalit previste dagli art. 665 seg. c.p.p., norme che attribuiscono al giudice dellesecuzione competenza a decidere in ordine alla confisca e, pertanto, sui diritti che i terzi rimasti estranei al procedimento penale possono vantare sul bene confiscato; precipuamente, la richiamata pronuncia di legittimit aveva motivato affermando che lesigenza di non vanificare lintervento sanzionatorio dello Stato induce a dubitare e quindi ad escludere che laccertamento della legittimit del diritto di sequela vantato dal terzo creditore privilegiato possa consistere nel mero controllo della data di iscrizione della formalit ipotecaria e nell'astratta verifica dell'esistenza di un credito, peraltro agevolmente documentabile nell'ipotesi di illecito accordo. Laccertamento del diritto del terzo impone unindagine pi estesa ed approfondita che, per intuibili ragioni, pu essere svolta solo dal giudice penale, con garanzia del contraddittorio, in sede di procedimento di esecuzione. Tuttavia, in epoca successiva al ridetto parere, Cass. Civ., III, 29 ottobre 2003, n. 16227 avrebbe rivisto il proprio precedente orientamento, stabilendo che, in base alla tassativit delle cause di estinzione dellipoteca dettate dallarticolo 2878 cod. civ., i diritti reali di garanzia costituiti anteriormente allinsorgere del procedimento di prevenzione sono comunque destinati a prevalere sulla confisca, indipendentemente quindi dallaccertamento in sede di incidente di esecuzione penale della buona o mala fede del titolare del diritto stesso. Tale pronunciamento appare tuttavia in netto contrasto con la finalit dellintera normativa in tema di confische, pi sopra richiamata in termini ricostruttivi, e che - come visto - persegue il primario obiettivo di sottrarre i beni confiscati (e massimamente gli immobili) dal circuito mafioso. Consta daltronde che essa sia stata ripetutamente sconfessata dalla successiva giurisprudenza della Cassazione Penale, la quale ha avuto modo di ribadire la necessit per i creditori ipotecari, onde far prevalere il proprio antecedente diritto reale di garanzia sulla successiva misura di prevenzione, di dimostrare - in sede di incidente di esecuzione penale - lassenza di collegamento del proprio diritto con lattivit illecita del prevenuto, e comunque un atteggia- PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 207 mento di buona fede circa la provenienza lato sensu illecita dei beni de quibus: ci nella evidente ottica di evitare che, attraverso creditori compiacenti, i soggetti coinvolti nei circuiti mafiosi possano precostituirsi mezzi giuridici attraverso cui blindare i propri possedimenti immobiliari: ci, tra laltro, in correlazione con quanto espressamente previsto allarticolo 2-ter, quinto comma, della Legge n. 575/1965 (18). A tal riguardo, Cass. Pen., I, 5 dicembre 2007, n. 45572, ha ritenuto che il terzo titolare di diritto reale di garanzia su bene confiscato pu far accertare, mediante incidente di esecuzione dinanzi al competente giudice penale (o della prevenzione, se si tratta di confisca ex art. 2-ter della L. n. 575 del 1965), lesistenza delle condizioni di permanente validit del diritto, costituite dallanteriorit della trascrizione del relativo titolo rispetto al provvedimento ablatorio e da una situazione soggettiva di buona fede, intesa come affidamento incolpevole, con onere della prova a carico dellinteressato; in termini analoghi, cfr. anche Cass. Pen., I, 26 febbraio 2007, n. 8015. A propria volta, Cass. Pen., I, 22 maggio 2007, n. 19761, ha affermato quanto segue: Spetta al giudice dellesecuzione laccertamento degli esatti confini del provvedimento di confisca dei beni immobili effettuato ai sensi dellart. 2 ter l. n. 575 del 31 maggio 1965, ed in particolare la determinazione delleventuale esistenza di iura in re aliena, non pregiudicati dalla devoluzione dei beni allo stato, mentre spetta al terzo lonere della prova sia in relazione alla titolarit di tali diritti sia in relazione alla mancanza di qualsiasi collegamento del proprio diritto con lattivit illecita del proposto; in particolare, il terzo dovr dimostrare il proprio affidamento incolpevole, ingenerato da una situazione di apparenza che renda scusabile lignoranza o il difetto di diligenza, non essendo sufficiente la mera anteriorit della trascrizione nei registri immobiliari; una volta provata la posizione di terziet e lopponibilit del diritto di garanzia o di credito, il terzo, pur deprivato della facolt di procedere ad esecuzione forzata per soddisfarsi sul ricavato, pu farlo valere soltanto davanti al giudice civile con i residui mezzi di tutela offerti dalla legge. In termini del tutto analoghi, si erano espresse anche (18) Se risulta che i beni sequestrati appartengono a terzi, questi sono chiamati dal tribunale, con decreto motivato, ad intervenire nel procedimento e possono, anche con l'assistenza di un difensore, nel termine stabilito dal tribunale, svolgere in camera di consiglio le loro deduzioni e chiedere l'acquisizione di ogni elemento utile ai fini della decisione sulla confisca. Per i beni immobili sequestrati in quota indivisa, o gravati da diritti reali di godimento o di garanzia, i titolari dei diritti stessi possono intervenire nel procedimento con le medesime modalit al fine dell'accertamento di tali diritti, nonch della loro buona fede e dell'inconsapevole affidamento nella loro acquisizione. Con la decisione di confisca, il tribunale pu, con il consenso dell'amministrazione interessata, determinare la somma spettante per la liberazione degli immobili dai gravami ai soggetti per i quali siano state accertate le predette condizioni. Si applicano le disposizioni per gli indennizzi relativi alle espropriazioni per pubblica utilit. Le disposizioni di cui al terzo e quarto periodo trovano applicazione nei limiti delle risorse disponibili per tale finalit a legislazione vigente. 208 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 Cass. Pen., I, 12 aprile 2005, n. 13413, nonch Cass. Pen., I, 31 marzo 2005, n. 12317, la quale ha pure precisato che poich il regime giuridico dei beni confiscati a norma della l. n. 575/1965 assimilabile a quello dei beni demaniali o a quello dei beni compresi nel patrimonio indisponibile, deve escludersi che i beni confiscati ad indiziati di mafia possano essere oggetto di espropriazione forzata immobiliare, che ne modifichi la destinazione, ancorch tale procedura sia stata promossa da un terzo in buona fede titolare di credito assistito da garanzia ipotecaria iscritta prima della trascrizione della confisca; con la conseguenza che, una volta accertata mediante incidente di esecuzione penale la posizione di terziet e lopponibilit dellipoteca, il creditore garantito, pur privato della facolt di procedere direttamente ad esecuzione forzata per soddisfarsi sul ricavato, pu far valere il proprio credito soltanto innanzi al giudice civile, con i residui mezzi di tutela offerti dalla legge. Per parte sua, Cass. Pen., V, 19 novembre - 15 dicembre 2003, n. 47887, aveva gi chiosato che lapplicazione della confisca () non comporta lestinzione dei diritti reali di garanzia costituiti sul bene confiscato a favore dei terzi, i quali possono far valere in sede esecutiva i propri diritti reali o di garanzia, qualora si tratti di terzi in buona fede che abbiano trascritto il proprio titolo anteriormente al sequestro a fini di prevenzione, eseguito ai sensi dellart. 2 l. n. 575 del 1965. Di recente, poi, Cass. Pen., I, 22 aprile 2008, n. 16743, ha financo esteso gli indicati presupposti di tutela (anteriorit delliscrizione del titolo o dellacquisto del diritto rispetto al provvedimento ablatorio di prevenzione, e la buona fede /affidamento incolpevole in capo al terzo) anche alla fattispecie relativa al soggetto che si sia reso cessionario di un credito ipotecario sullimmobile confiscato. Appare il caso di evidenziare che analoga impostazione, valorizzativa del profilo della buona fede del terzo pretesamente leso da un provvedimento di confisca, da dimostrare avanti il giudice penale mediante incidente di esecuzione, stata di recente utilizzata dalla giurisprudenza penale della Suprema Corte anche in relazione allipotesi del venditore di unazienda ceduta al proposto mediante una vendita a rate con patto di riservato dominio (Cass. Pen., I, 27 febbraio 2008, n. 8775), con la precisazione che laccertamento nella sede penale della buona fede pu escludere lestinzione del diritto (in questo caso di credito) del terzo, con la possibilit di far valere davanti al giudice civile le proprie pretese nei confronti dello Stato, subentrato al proposto, per il mancato pagamento integrale del prezzo. 5.3. Da ultimo, non si possono non svolgere ulteriori considerazioni in ordine a quanto di recente affermato da Cass. Civ., III, 16 gennaio 2007, n. 845, sovente richiamata a sostegno della tesi della prevalenza dei diritti di garanzia su beni confiscati (e quindi in termini pretesamente adesivi rispetto PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 209 alla sentenza n. 16227/2003 della medesima Terza Sezione Civile), atteso che la massima ufficiale recita come segue: Il provvedimento di confisca pronunciato ai sensi dellart. 2 ter l. n. 575 del 1965 nei confronti di un indiziato di appartenenza a consorteria mafiosa, camorristica o similare, non pu pregiudicare i diritti reali di garanzia costituiti sui beni oggetto del provvedimento ablativo, in epoca anteriore allinstaurazione del procedimento di prevenzione, in favore di terzi estranei ai fatti che abbiano dato luogo al procedimento medesimo, senza che possa farsi distinzione in punto di competenza del giudice adito, tra giudice penale e giudice civile; e ci perche tale diritto reale limitato si estingue per le sole cause indicate dallart. 2878 c.c.; la medesima tutela davanti al giudice civile, a maggiore ragione, va riconosciuta allaggiudicatario - acquirente di un bene in sede di procedura esecutiva forzata immobiliare, la cui posizione, altrimenti sarebbe, senza fondato motivo, irrimediabilmente compromessa. Occorre al riguardo precisare che la vicenda processuale definita con la cennata sentenza di legittimit del 2007 traeva origine da un ordinario giudizio di cognizione promosso dallAmministrazione Finanziaria nei confronti degli acquirenti aggiudicatari (allesito di procedura esecutiva immobiliare) di un bene confiscato, e volto a vedere affermata la propriet dello Stato sul bene stesso. Il Tribunale aveva in prima battuta accolto la domanda e dichiarato la prevalenza della propriet dello Stato sui beni confiscati. La Corte dAppello, poi, adita dagli aggiudicatari soccombenti, aveva rigettato limpugnazione, osservando in primo luogo che doveva essere esclusa la loro buona fede, tenuto conto che il sequestro e la successiva confisca erano stati trascritti ben prima della vendita allasta, sicch detti vincoli gravanti sul bene dovevano ritenersi conosciuti; ribadendo il principio secondo cui il provvedimento di confisca pronunciato ai sensi della L. 31 maggio 1965, n. 575, art. 2 ter e successive modifiche non pregiudica i diritti reali di garanzia costituiti sui beni confiscati in epoca anteriore al procedimento di prevenzione a favore di terzi estranei ai fatti che hanno dato luogo a detto provvedimento, con la precisazione, tuttavia, che il creditore procedente deve trasferire il suo diritto nella esecuzione penale e che il passaggio della propriet allo Stato salvaguardato anche in caso di precedenti diritti reali di garanzia anteriormente trascritti, e che quindi la competenza a decidere spettasse al giudice penale nelle necessarie forme dellincidente di esecuzione. La Corte di Cassazione ha bens accolto parte del successivo ricorso di legittimit dei privati, ma ci ha fatto con talune significative precisazioni, che colorano in termini del tutto diversi il pronunciamento in questione. In effetti, dopo aver espressamente rimarcato che i provvedimenti di sequestro e di confisca - quali misure repressive e sanzionatorie di carattere patrimoniale - sono finalizzati ad impedire che gli indiziati di appartenenza ad asso- 210 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 ciazioni di tipo mafioso, alla camorra o ad altre associazioni criminali di procurarsi, mediante prestiti bancari e con il sistema di precostituirsi una schiera di creditori di comodo muniti di titoli con data certa, denaro di provenienza lecita, sottraendo poi alla confisca i beni vincolati a garanzia di terzi creditori, la Suprema Corte ha bens osservato che detta esigenza con i relativi provvedimenti - non pu, tuttavia, pregiudicare i diritti dei terzi estranei ai fatti che hanno dato luogo ai procedimenti di sequestro e confisca: ma tale petizione di principio - peraltro resa con riferimento alla posizione non dei creditori procedenti (in una esecuzione su di un bene confiscato) ma dei terzi aggiudicatari - tuttavia precisata, nel suo reale significato, dal successivo richiamo alla giurisprudenza penale della Corte di Cassazione che si occupata del problema rilevando che i terzi titolari di diritti reali di garanzia su beni immobili sottoposti a confisca ai sensi della Legge Antimafia 31 maggio 1965, n. 575, art. 2 ter, ove non siano potuti intervenire nel procedimento di prevenzione, possono far accertare, in sede di esecuzione, lesistenza delle condizioni di permanente validit di detti diritti, costituite essenzialmente dall'anteriorit della trascrizione dei relativi titoli rispetto al provvedimento di sequestro cui ha fatto seguito la confisca e da una situazione soggettiva di buona fede, intesa come affidamento incolpevole, da desumersi sulla base di elementi di cui spetta agli interessati fornire la dimostrazione, fermo restando che, una volta effettuato il suddetto accertamento, rimane comunque esclusa la possibilit che i beni confiscati possano essere oggetto di espropriazione forzata immobiliare, atteso il loro avvenuto assoggettamento, in conseguenza della confisca, ad un regime assimilabile a quello dei beni facenti parte del demanio o del patrimonio indisponibile dello Stato, per cui il credito garantito di cui i terzi di buona fede sono portatori potr essere fatto valere soltanto dinanzi al giudice civile con i residui mezzi di tutela offerti dalla legge. Il principio sopra riportato circa il fatto che la confisca non pregiudicherebbe i diritti dei terzi estranei ai fatti che hanno dato luogo ai procedimenti di sequestro e confisca, deve dunque intendersi nel senso che i terzi possono effettivamente dirsi estranei solo se dimostrino la propria buona fede. La Corte di Cassazione dunque, a ben vedere, si limitata ad affermare che la tutela accordata al creditore ipotecario a maggiore ragione deve essere riconosciuta allaggiudicatario - acquirente di un bene in sede di procedura esecutiva immobiliare, la cui posizione, altrimenti, sarebbe, senza fondato motivo, irrimediabilmente compromessa: tale tutela opera tuttavia nei riferiti termini, e quindi nella necessaria sussistenza della buona fede del terzo, da accertarsi nei modi e nelle forme evidenziati dalla giurisprudenza penale, del resto espressamente richiamata. 5.4. Alla luce di quanto sopra, non possono che confermarsi (in relazione allo specifico argomento relativo ai diritti reali di garanzia preesistenti alla PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 211 confisca di beni immobili) le conclusioni rese nel menzionato parere prot. n. 127581 del 15 novembre 2003 di questa Avvocatura Generale. *** 6. Daltronde, lanalisi della giurisprudenza di legittimit che si occupata dellargomento ora esposto consente di valorizzare un criterio generale di giudizio che pu presiedere alla soluzione delle questioni problematiche afferenti il trattamento dei diritti dei terzi a fronte di confische di quote societarie, totali o parziali che esse siano. In effetti, i problemi pi sopra evidenziati in casi del genere, ossia la estensione dei diritti e degli obblighi dei soci superstiti delle societ di persone di cui sia stata disposta la confisca solo di alcune quote, nonch dei terzi che vantino diritti creditori nei confronti della societ confiscata, pu essere apprezzata, anche nei riguardi dello Stato confiscante, utilizzando il canone della buona fede; sicch le conclusioni cui si pervenuti nellambito del precedente punto 4 del presente parere possono trovare un correttivo proprio in quel principio. In altri termini, e per tornare alla questione relativa ai crediti vantati nei confronti di societ anche solo in parte confiscate ex lege n. 575/1965, la questione della tutela dei diritti creditori di terzi su quote societarie confiscate pu essere soddisfacentemente risolta, ammettendo la tutela solo dei terzi che dimostrino di versare in buona fede, nei termini dianzi evidenziati. Tale limitata tutela, i cui presupposti andrebbero verificati in sede di incidente probatorio nellambito del procedimento di prevenzione, consentirebbe per un verso di escludere in radice la permanenza dei crediti vantati dallo stesso prevenuto, e di escludere altres quelli di soggetti che, in varia guisa e misura, siano a quello riconducibili, anche solo per mera consapevolezza del suo peculiare status di possibile intraneus ad associazioni criminose. 6.1. Con specifico riguardo allipotesi in cui sia stata disposta la confisca in capo allo Stato di quote sociali minoritarie, qualora latto costitutivo o lo statuto societario attribuisca a ciascun altro socio un diritto di prelazione in caso di cessione delle quote per atto tra vivi, il dubbio avanzato se lo Stato confiscante possa ritenersi svincolato da siffatte previsioni statutarie e se, conseguentemente, possa procedersi alla vendita a terzi della quota stessa (cfr. questione sub lett. f) della premessa: confisca di quote sociali minoritarie e clausole statutarie di prelazione in caso di vendita di partecipazioni sociali). Al riguardo, occorre preliminarmente precisare che lipotesi prospettata non rientra nello spettro previsionale dellarticolo 2-undecies, comma 3, della Legge n. 575/1965 (che disciplina la destinazione da imprimere ai beni aziendali), bens in quello del comma 1, lettera b), dello stesso articolo 2-undecies, dovendosi le quote societarie considerarsi alla stregua di beni mobili (cfr. Cass. Civ. II, 30 gennaio 1997, n. 934, secondo cui le quote sociali, 212 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 anche nelle societ di persone, costituiscono beni nel senso dellart. 810 c.c. in quanto suscettibili di formare oggetto di diritti e vanno ascritte residualmente alla categoria dei beni mobili a norma del successivo art. 812 comma ultimo, atteso che alla quota fanno capo (insieme con i relativi doveri) tutti i diritti nei quali si compendia lo status di socio, non riducibili a mere posizioni creditorie). Ci comporta che la vendita delle quote confiscate, anche in favore di altro socio della compagine, titolare del richiamato diritto di prelazione, non viola di per s le prescrizioni della Legge n. 575/1965, prevedendo tale legge che i beni mobili nella normalit dei casi siano venduti e le somme ricavate versate allErario. Fermo quanto sopra, occorre dipoi segnalare che, con riferimento alle clausole contenute negli atti costitutivi o negli statuti societari che fissano diritti di prelazione dei soci in caso di vendita di quote societarie, la giurisprudenza ha da tempo chiarito (cfr. Cass. Civ., I, 19 agosto 1996, n. 7614; id., 29 agosto 1998, n. 8645) che siffatte clausole - in ragione del loro inserimento nei documenti fondativi della compagine societaria - assumono valore generale ed efficacia reale, sicch i suoi effetti sarebbero in genere opponibili anche al terzo acquirente, appunto perch si tratta di una regola del gruppo organizzato alla quale non potrebbe non sottostare chiunque entri a far parte di quel gruppo. Non pu tuttavia escludersi che, con specifico riguardo alla ipotesi qui allesame di confisca ex lege n. 575/1965, la previsione statutaria di diritti di prelazione delle quote sociali possa rispondere a precisi interessi del socio prevenuto, magari indirizzati a garantire il mantenimento della compagine societaria nellambito di una cerchia di soggetti (familiari o non) in vario modo contigui allambiente delinquenziale proprio del prevenuto medesimo. Sembra alla Scrivente che tale circostanza possa, per un verso, comportare una naturale difficolt a rinvenire soggetti, autenticamente terzi rispetto al prevenuto ed alla sua cerchia di conoscenze, che siano disponibili allacquisto di quote societarie minoritarie un tempo a quegli appartenute. Tuttavia, ove ci sia in concreto possibile, la giurisprudenza richiamata al precedente punto 5 del presente parere potrebbe legittimare leffettuazione della relativa vendita anche senza il rispetto del diritto di prelazione: come dianzi segnalato, essa assoggetta il mantenimento di diritti preesistenti alla confisca al requisito della buona fede del titolare, intesa come affidamento incolpevole, circa lintendimento lato sensu illecito delloperazione. Si pure rimarcato che tale principio appare suscettibile di essere esteso, oltre che ai diritti immobiliari di garanzia, anche ad altri diritti soggettivi di credito (cfr. la richiamata Cass. Pen., I, 27 febbraio 2008, n. 8775), sicch appare legittimo declinarlo anche con riferimento al preesistente diritto di prelazione di quote societarie di pertinenza del socio. PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 213 In adesione alla impostazione pi sopra prospettata, diventer dunque onere del socio eventualmente pretermesso dalla vendita a terzi della quota minoritaria, in sede di contestazione giudiziale di quella vendita, dimostrare la sua effettiva buona fede rispetto alla partecipazione societaria del prevenuto, e pi in genere alla attivit illecita di questultimo. *** 7. Altra questione problematica sottoposta allattenzione della Scrivente riguarda le modalit di liquidazione di societ che, a seguito di provvedimenti di confisca ex lege n. 575/1965, diventino sostanzialmente inattive (questione sub lett. g) della premessa). Appare al riguardo potersi dichiarare che la confisca non pu, di regola e di per s, impedire la dichiarazione di fallimento di unimpresa, sicch, sussistendo lo stato di insolvenza, anche una societ che sia stata (totalmente o parzialmente) confiscata deve necessariamente ritenersi soggetta a fallimento. Il principio della fallibilit di societ commerciali di cui lo Stato sia socio, risulta costantemente affermato dalla giurisprudenza: basti al riguardo richiamare il principio fissato da Cass. Civ., I, 10 gennaio 1979, n. 158, secondo cui una societ per azioni, concessionaria dello stato per la costruzione e lesercizio di unautostrada, non perde la propria qualit di soggetto privato - e, quindi, ove ne sussistano i presupposti, di imprenditore commerciale, sottoposto al regime privatistico ordinario e cosi suscettibile di essere sottoposto ad amministrazione controllata (art. 187 legge fallimentare) - per il fatto che ad essa partecipino enti pubblici come soci azionisti (). Sicch - ferma restando la suesposta conclusione dei limiti di responsabilit civile dello Stato per i debiti di societ confiscate - il percorso che conduca lAmministrazione Statale alla dismissione di societ inattive o in difficolt finanziarie potr alternativamente consistere nellattivazione di una procedura fallimentare, ovvero ponendo le societ in liquidazione volontaria. 7.1. Nellambito di questa seconda soluzione, stato ipotizzato il ricorso alla gestione fuori bilancio prevista dalla Legge n. 1041/1971. Anche a prescindere dalla circostanza che lutilizzazione di siffatto strumento dovrebbe essere per chiara previsione della stessa Legge n. 1041/1971 espressamente autorizzata da legge speciale, tale possibilit appare comunque non praticabile o comunque inopportuna, comportando (come del resto evidenziato anche dallAgenzia del Demanio) il trasferimento in capo allo Stato di tutti i rapporti economici pendenti. Ci comporterebbe che lErario, magari in termini eccezionali rispetto allesposto principio di limitazione di responsabilit, potrebbe essere chiamato a ripianare con danaro pubblico i debiti delle societ confiscate alla criminalit organizzata: e risultando queste, nella maggior parte dei casi, fittizie e pertanto senza alcun valore economico e commerciale, evidente come la gestione fuori bilancio 214 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 comporti un elevato rischio di cospicue perdite economiche per lAmministrazione Statale. Per tali considerazioni il vantaggio ipotizzato, che sembrerebbe comunque ridursi alla maggiore velocit delle operazioni di chiusura della societ tramite le ridette gestioni fuori bilancio, appare alquanto recessivo in unottica di comparazione con il rischio ora cennato. Naturalmente, anche tale valutazione ha valenza generale, e non esclude la possibilit in ben identificati casi da ponderare caso per caso in relazione alle specifiche circostanze di fatto che il ricorso alla gestione fuori bilancio si presenti invece conveniente per gli interessi erariali. *** 8. Quanto alla sorte dei debiti tributari delle societ integralmente confiscate dallo Stato (questione sub lett. h) della premessa), giova prendere le mosse dai ripetuti pareri resi a vari livelli dallAgenzia delle Entrate, ed in specie il parere prot. n. 123885 del 2 luglio 2002 espresso dalla Direzione Centrale Normativa e Contenzioso, secondo cui le societ di capitali confiscate conservano fino alla loro estinzione unautonoma soggettivit tributaria, in modo che, per i rapporti tributari che ad esse fanno capo, non si pu dire realizzata la confusione: principio che, in linea generale, appare senzaltro da condividere, sia in virt della permanente alterit giuridica tra le societ e lunico socio di cui esse possano eventualmente essere costituite (cc.dd. societ unipersonali), sia perch di confusione ex articolo 1253 cod. civ. potrebbe correttamente parlarsi allorch lente che venga in vario modo assorbito dallo Stato scompaia quale pregresso soggetto giuridico (come, ad es., nel caso degli enti pubblici soppressi le cui passivit siano ex lege assunte da appositi uffici statali di liquidazione: cfr. per un caso la recente Cass. Civ., V, 12 marzo 2008, n. 6550). Giova tuttavia evidenziare che, per il caso di confische ex lege n. 575/1965, viene oggi prevista unespressa eccezione da parte del comma 15 del rinnovato (a seguito del gi menzionato D.L. n. 4/2010) articolo 2-sexies, il quale dispone come segue: Nelle ipotesi di confisca dei beni, aziende o societ sequestrati, i crediti erariali si estinguono per confusione ai sensi dell'articolo 1253 del codice civile. Tale previsione, che sembra attagliare astrattamente a qualsiasi tipo di credito erariale, quale che ne sia la natura e lorigine, certamente trova applicazione anche con riguardo ai crediti tributari di spettanza dellAmministrazione Statale. *** 9. Da ultimo, quanto al tema della rappresentanza processuale delle societ confiscate ed alla possibilit del ricorso al patrocinio dellAvvocatura dello Stato (questione sub lett. i) della premessa), bisogna preliminarmente richiamare quanto gi affermato dalla Scrivente con parere n. 110067 del 12 PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 215 agosto 2004, avallato dal Comitato Consultivo. In quel pronunciamento, si era sostenuto (in sintesi) quanto segue: 9.1. il subingresso dello Stato nella effettiva titolarit dei beni confiscati si verifica solo con lacquisita esecutivit ed inoppugnabilit del provvedimento di confisca: prima di tale momento, pertanto, e segnatamente nel lasso temporale intercedente tra ladozione del provvedimento di sequestro preventivo e lintervenuta definitivit del provvedimento di confisca, non vi sono i presupposti necessari acch lamministratore dei beni (solo) sequestrati sia ammesso ad avvalersi del regime di patrocinio legale organico ed esclusivo (articolo 1 del R.D. n. 1611/1933) assicurato dallAvvocatura dello Stato alle Amministrazioni statali; 9.2. allopposto, una volta che il provvedimento che dispone la confisca sia divenuto definitivo, lAvvocatura dello Stato sar tenuta ad accordare a detti amministratori lassistenza legale necessaria, essendo venuto ad esistenza il criterio di collegamento giustificativo del suo intervento (cio a dire il definitivo passaggio della propriet dei beni in favore dello Stato). Le descritte conclusioni vanno oggi aggiornate alla luce di quanto disposto dalla novella legislativa rappresentata dal D.L. n. 4/2010 (convertito, con modificazioni, con Legge n. 50/2010), il quale come ben noto ha istituito lAgenzia Nazionale per lamministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalit organizzata, dotandola tra laltro della competenza a provvedere alla amministrazione e destinazione dei beni confiscati in esito del procedimento di prevenzione di cui alla citata legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni (articolo 1, comma 3, lett. d). Segnatamente, larticolo 2-sexies, comma 7, della Legge n. 575/1965 prevede oggi che dopo il decreto di confisca di primo grado, lamministrazione dei beni conferita allAgenzia, la quale pu avvalersi di uno o pi coadiutori, con incarico che pu essere conferito allamministratore giudiziario designato dal tribunale: la novella normativa ha dunque espressamente previsto che con il decreto di confisca lamministrazione dei beni sia automaticamente assegnata allAgenzia Nazionale (e non pi ad un amministratore), e che essa possa avvalersi come coadiutore dellamministratore previamente nominato per la fase del sequestro. Al contempo previsto che lAgenzia Nazionale, ai sensi dellarticolo 8 del D.L. n. 4/2010, goda della rappresentanza processuale dellAvvocatura dello Stato secondo il regime dellarticolo 1 del R.D. n. 1611/1933: essa pertanto si avvarr di tale rappresentanza, con tutte le conseguenze ad essa connesse, qualora diretta amministratrice di beni sequestrati, e comunque in quanto ex lege deputata allamministrazione dei beni confiscati ai sensi della Legge n. 575/1965. *** 10. In estrema sintesi, si possono dunque rassegnare nei seguenti termini 216 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 le risposte ai quesiti sottoposti: a) la confisca ex lege n. 575/1965 di azioni o di quote societarie non comporta automaticamente lacquisizione allo Stato del patrimonio aziendale, e/o dei singoli beni che di esso facciano parte, che non sono infatti di propriet del soggetto prevenuto; b) specularmente ammissibile la confisca ex lege n. 575/1965 di beni societari a prescindere dalla confisca delle relative quote, allorch sia comprovato che detti beni sono solo fittiziamente intestati alla societ, ma in realt nella effettiva ed esclusiva disponibilit del prevenuto; c) quanto alla responsabilit dello Stato confiscante nei confronti di creditori di societ commerciali, occorre distinguere: c.1.) nel caso di societ di persone, non da ritenersi operante il meccanismo di cui allarticolo 2269 cod. civ., a mente del quale chi entra a far parte di una societ gi costituita risponde con gli altri soci per le obbligazioni sociali anteriori allacquisto della qualit di socio, per difetto di ratio legis nella fattispecie: lo Stato confiscante potr essere chiamato a rispondere dei crediti antecedenti la confisca solo in favore dei creditori che dimostrino di versare in buona fede e legittimo affidamento, in sede di incidente di esecuzione penale; c.2.) nel caso di societ di capitali di cui lo Stato confiscante risulti unico socio, la relativa responsabilit illimitata, in base agli articoli 2325 e 2462 cod. civ., non si estende oltre le obbligazioni sociali sorte nel periodo in cui lintera partecipazione appartenuta allo Stato medesimo; d) in continuit con la conclusione di cui alla precedente lett. c.1), lo Stato confiscante potr essere chiamato a rispondere dei debiti sociali iscritti in bilancio tra le poste passive nei limiti della comprovata buona fede del relativo titolare, e non saranno riconoscibili quelli vantati dal prevenuto espropriato, ancorch iscritti in bilancio; e) per quanto riguarda i diritti ipotecari preesistenti alla confisca di beni immobili, anche alla luce della pi recente giurisprudenza di legittimit, si conferma quanto gi ritenuto con parere in data 15 novembre 2003 con nota prot. n. 127581 del Comitato Consultivo di questa Avvocatura Generale, ossia che essi non vengono pregiudicati quando non emerga in sede penale la certezza di una situazione di non estraneit al reato del terzo o di mala fede o di colpevole affidamento nellacquisto del credito ipotecario; f) in caso di confisca di quote sociali ed in presenza di clausole statutarie di prelazione per la vendita di partecipazioni sociali, la vendita di dette quote societarie a terzi potrebbe essere contestata dai soci pretermessi qualora essi dimostrino di versare in buona fede e legittimo affidamento, in sede di incidente di esecuzione penale; g) ove le societ oggetto di confisca di quote diventino inattive o in diffi- PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 217 colt finanziarie, esse potranno essere legittimamente assoggettate a procedura fallimentare ovvero a liquidazione volontaria, secondo le valutazioni del caso; h) in virt dellarticolo 2-sexies, comma 15, della Legge n. 575/1965 (per come rinnovato dal D.L. n. 4/2010), i crediti tributari riferibili alle quote societarie confiscate dallo Stato si estinguono per confusione; i) ai sensi dellarticolo 8 del D.L. n. 4/2010, lAgenzia Nazionale per lamministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalit organizzata, si avvale della rappresentanza processuale dellAvvocatura dello Stato secondo il regime dellarticolo 1 del R.D. n. 1611/1933, qualora essa sia diretta amministratrice di beni sequestrati, e comunque in quanto ex lege deputata allamministrazione dei beni confiscati ai sensi della Legge n. 575/1965. *** Le suesposte questioni sono state esaminate dal Comitato Consultivo che si espresso in conformit nella seduta del 14 giugno 2011. Disciplina delle spese processuali: rimborso spese generali previsto dallart. 14 del D.M. 8 aprile 2004 n. 127* Le Avvocature Distrettuali dello Stato in indirizzo chiedono di conoscere lorientamento di questa Avvocatura Generale in merito alla disciplina delle spese processuali con particolare riguardo al rimborso delle spese generali previsto dallart. 14 del D.M. 8 aprile 2004, n. 127. Questultima disposizione prevede che: All'avvocato e al praticante autorizzato al patrocinio dovuto un rimborso forfetario delle spese generali in ragione del 12,5% sull'importo degli onorari e dei diritti ripetibile dal soccombente. Si chiede in particolare di chiarire se a fronte di sentenza di condanna alle spese che nulla disponga in merito a tali spese generali, lAmministrazione soccombente sia tenuta a corrispondere limporto del 12.5% quale maggior somma rispetto al quantum liquidato del giudice. Si chiede altres se tale sentenza possa costituire valido titolo esecutivo per la riscossione di tale maggior somma. Il quesito presenta profili di particolare complessit anche in ragione del susseguirsi di diversi, e talvolta contrastanti, orientamenti giurisprudenziali sul punto, come ben evidenziato da codeste stesse Avvocature. Per questo motivo risulta congeniale al miglior inquadramento della fattispecie distinguere due diversi profili. Un primo profilo attiene al rapporto (*) Parere del 21 settembre 2011 prott. 291637/53, AL 30485/2011, Avv. GESUALDO DELIA. 218 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 tra chiesto e pronunciato e allapplicazione del principio della domanda; un secondo profilo riguarda invece pi propriamente le modalit di liquidazione e riscossione in via esecutiva delle spese generali. Occorre pertanto prendere le mosse proprio dallapplicazione del principio della domanda con riferimento alla richiesta di rimborso delle spese generali di cui allart. 14 del D.M. n. 127/2004 (norma che riproduce quasi fedelmente quella contenuta nellart. 15 della tariffa di cui al D.M. 5 ottobre 1994, n. 585). Sul punto si rileva un consolidato orientamento giurisprudenziale fondato sul principio della spettanza automatica, senza bisogno di apposita richiesta, del rimborso forfetario delle spese generali (cos ex plurimis Cass. n. 24081/2010 alla cui elencazione dei precedenti giurisprudenziali si rinvia). Di modo che, come ben precisato nella medesima sentenza della Corte di Cassazione, la pronuncia sui diritti, sugli onorari e sugli esborsi di causa non presuppone affatto, affinch il giudice possa (ed anzi, debba) adottarla, una domanda di parte (la quale, pure se proposta, irrilevante ai fini del valore della causa: arg. ex artt. 10 e 31 cod. proc. civ.), ma ha il suo titolo esclusivamente nel contenuto della decisione sul merito della controversia, in applicazione del principio della soccombenza (Cass., Sez. 1, 27 agosto 2003, n. 12542; Corte Cost., sentenza n. 232 del 2004); cos, allo stesso modo, la liquidazione in via automatica del rimborso forfetario - voce di credito che spetta in base alla tariffa professionale degli avvocati e la cui misura ex lege determinata, in misura percentuale, sull'importo degli onorari e dei diritti ripetibile dal soccombente - trova fondamento nel principio posto dall'art. 91 cod. proc. civ.. In sintesi, per giurisprudenza consolidata, il giudice, allesito del processo, tenuto a decidere ai sensi degli artt. 91 e 92 c.p.c. in merito alle spese di lite e, anche qualora manchi una specifica domanda di parte sul punto, liquida col dispositivo anche le spese generali ex art. 14 del D.M. n. 127/2004. Chiarito dunque che lobbligo del giudice di pronunciarsi in merito alle spese di lite pu essere ritenuto estensibile anche al rimborso forfettario per spese generali (anche in assenza di una specifica domanda sul punto), dovrebbe derivare da ci, come logico corollario, che solo la sentenza costituisce titolo giuridico (ed esecutivo) idoneo allimputazione del pagamento dellimporto del 12,5% in capo alla parte soccombente nel processo. Ci in quanto la quantificazione delle spese di lite, nonch limputazione a quelle previste dallart. 91 c.p.c. ovvero a quelle forfettarie ex art. 14 della Tariffa affidata alla sentenza, con la quale il giudice tenuto a provvedere in merito alla specifica delle spese del giudizio, comprese quelle generali ex art. 14 citato, con decisione discrezionale ai sensi degli artt. 91 e 92 c.p.c.. Tutto ci considerato sembrerebbe naturale concludere che la parte soccombente tenuta alla corresponsione del solo importo liquidato in sentenza PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 219 senza possibilit di aggiungere ex post, in sede di esecuzione, una ulteriore percentuale per le spese generali di cui, invece, il giudice tiene (melius deve tenere) conto in sede di liquidazione delle spese. Questa impostazione trova conferma in alcune recenti pronunce della Corte di Cassazione. In Cass. n. 4209/2010 la Corte accoglie il ricorso promosso avverso una sentenza di secondo grado che aveva limitato la condanna alle spese alla liquidazione di soli diritti e onorari, senza contemplare quindi le spese generali ex art. 14 del D.M. n. 127/2004. Infatti la Corte, premesso che il rimborso c.d. forfetario delle spese generali costituisce una componente delle spese giudiziali, la cui misura determinata per legge, che spetta automaticamente al professionista, anche in assenza di allegazione specifica e di domanda, dovendosi, quest'ultima, ritenere implicita nella domanda di condanna al pagamento degli onorari giudiziali, accoglie il ricorso senza rinvio e integra la sentenza impugnata dellimporto spettante per le spese generali; con ci dimostrando di ritenere che, affinch possa sorgere la pretesa al pagamento delle spese generali, non indispensabile una espressa domanda, ma che, al contrario, necessario un esplicito dictum della sentenza. Affermazione coerente con quella contenuta in altra recente decisione della S.C., secondo cui La mancata statuizione sulle spese del giudizio ritualmente richieste integra una vera e propria omissione di carattere concettuale e sostanziale e costituisce un vizio di omessa pronuncia della sentenza da farsi valere con i mezzi di impugnazione (Cass. II, 14 febbraio 2011 n. 3632); laddove lespressione spese ritualmente richieste deve ritenersi riferibile sia a quelle propriamente giudiziali sia a quelle forfettarie. Occorre segnalare, per, che, con la recente sentenza della Corte di Cassazione (Cass. II n. 8512/2011), questo principio sembra trovare parziale smentita. La sentenza citata, infatti, conferma che il rimborso spetta alla parte in favore della quale siano state liquidate le spese di giudizio in via automatica ed anche in assenza di una sua espressa menzione in sentenza, che, se effettuata, riveste comunque efficacia soltanto dichiarativa, ed afferma anche che lomessa menzione di esso (ndr. il rimborso) da parte della sentenza non si traduce, pertanto, in vizio di violazione di legge o in una omessa pronuncia, dal momento che la parte pu conseguirne comunque il rimborso delle "spese generali" in sede di esecuzione della decisione. Deve quindi prendersi atto del fatto che la S.C. ha ritenuto di superare le incertezze emerse nei precedenti orientamenti, giungendo, in un certo senso, ad equiparare (quanto meno nel trattamento) il rimborso di cui allart. 14 ad altri importi (IVA, C.A.P.) che non fanno parte dei compensi spettanti per lo svolgimento dellattivit forense ma bens trovano la loro fonte in un rapporto che, sebbene connesso, caratterizzato da una diversa natura (rispettivamente fiscale e previdenziale) ed intercorre tra soggetti diversi. 220 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 Cos inquadrata la questione dal punto di vista teorico, e preso atto che il pi recente orientamento della Corte di Cassazione sembra propendere per la debenza delle spese forfettarie anche in assenza di esplicita pronuncia, vanno svolte alcune considerazioni di carattere pratico. La segnalata oscillazione giurisprudenziale (espressione di interpretazioni opposte, ma entrambe sostenute da argomentazioni non irragionevoli) rende possibile che, di fronte al rifiuto dellAmministrazione di pagare il rimborso forfettario ed in seguito ad iniziative impugnatorie od esecutive delle controparti, i giudici assumano lorientamento sfavorevole, con la conseguente condanna dellAmministrazione al pagamento di detto rimborso e con laggravio delle spese giudiziali. Ci a prescindere dalla necessit per lAmministrazione di promuovere un numero potenzialmente assai elevato di giudizi di opposizione per somme il pi delle volte esigue se non addirittura trascurabili. Pertanto, se nella generalit dei casi la resistenza su questo punto appare di fatto sconsigliabile, in quanto esporrebbe lAmministrazione al rischio di dover pagare somme anche maggiori, si pu ipotizzare di sollevare la questione nel caso di una condanna alle spese di entit particolarmente elevata, tanto che anche lammontare del rimborso, calcolato in percentuale, sia in cifra assoluta molto rilevante. In questa ipotesi si potrebbe promuovere un giudizio che giunga auspicabilmente a una definitiva presa di posizione delle Sezioni Unite. Le considerazioni che precedono inducono, pertanto, a ritenere che, nei casi in cui le sentenze di condanna al pagamento di spese giudiziali nulla dicono in merito alle spese forfettarie, ma le controparti ne avanzino la pretesa, sia pi opportuno accedere alla richiesta, con la riserva di sollevare il problema in ipotesi di ammontare particolarmente elevato. Il presente parere stato esaminato nella seduta del 15 settembre 2011 dal Comitato Consultivo dellAvvocatura dello Stato, che si espresso in conformit. L E G I S L A Z I O N E E D AT T U A L I TA Riflessioni sul part time nel settore pubblico a seguito delle disposizioni del c.d. Collegato lavoro Francesco Spada* Il presente contributo intende svolgere alcune considerazioni sullistituto del part time nel settore pubblico, recentemente inciso dalle disposizioni contenute nel c.d. Collegato lavoro, esaminando i primi critici orientamenti giurisprudenziali affermatisi in materia. Prima di entrare nel merito della questione appare, per, opportuno ricostruire il quadro normativo in materia di part time nel settore pubblico, distinguendo tre diverse fasi: loriginaria formulazione della disciplina prevista dalla legge 23 dicembre 1996, n. 662; le modifiche apportate dal decreto legge 25 giugno 2008, n. 112; le ulteriori innovazioni introdotte dal c.d. Collegato lavoro (legge 4 novembre 2010, n. 183). Larticolo 1 comma 58 della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (1), nella prima versione in vigore, cos disponeva: La trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale avviene automaticamente entro sessanta giorni dalla domanda, nella quale indicata l'eventuale attivit di lavoro subordinato o autonomo che il dipendente intende svolgere. L'amministrazione, entro il predetto termine, nega la trasformazione del rapporto nel caso in cui l'attivit lavorativa di lavoro autonomo o subordinato comporti un conflitto di interessi con la specifica at- (*) Dirigente di II fascia del Ministero dellEconomia e delle Finanze. Ha svolto la pratica forense presso lAvvocatura Generale dello Stato. Il presente contributo riflette le opinioni dellautore e non impegna in alcun modo lAmministrazione di appartenenza. (1) Sul tema, in generale, DANTONA, Part time e secondo lavoro dei dipendenti pubblici (commento alla legge n. 662/1996), in Opere: Scritti sul pubblico impiego e sulla pubblica amministrazione, Milano, 2000. 222 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 tivit di servizio svolta dal dipendente ovvero, nel caso in cui la trasformazione comporti, in relazione alle mansioni e alla posizione organizzativa ricoperta dal dipendente, grave pregiudizio alla funzionalit dell'amministrazione stessa, pu con provvedimento motivato differire la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo parziale per un periodo non superiore a sei mesi. La trasformazione non pu essere comunque concessa qualora l'attivit lavorativa di lavoro subordinato debba intercorrere con un'amministrazione pubblica. Il dipendente tenuto, inoltre, a comunicare, entro quindici giorni, all'amministrazione nella quale presta servizio, l'eventuale successivo inizio o la variazione dell'attivit lavorativa. Fatte salve le esclusioni di cui al comma 57, per il restante personale che esercita competenze istituzionali in materia di giustizia, di difesa e di sicurezza dello Stato, di ordine e di sicurezza pubblica, con esclusione del personale di polizia municipale e provinciale, le modalit di costituzione dei rapporti di lavoro a tempo parziale ed i contingenti massimi del personale che pu accedervi sono stabiliti con decreto del Ministro competente, di concerto con il Ministro per la funzione pubblica e con il Ministro del tesoro. Loriginaria formulazione della disposizione contemplava un diritto (2) alla trasformazione del contratto di lavoro a tempo pieno in part time, esercitabile sulla base di una mera istanza del lavoratore, a fronte della quale le esigenze dellamministrazione risultavano completamente cedevoli. Daltra parte, larticolo 6 comma 4 del decreto legge 28 marzo 1997, n. 79, convertito dalla legge 28 maggio 1997, n. 140, attribuiva al lavoratore in part time un diritto opposto a quello esaminato, ossia il diritto di ottenere il ritorno al tempo pieno alla scadenza di un biennio dalla trasformazione del rapporto, anche in soprannumero rispetto alla dotazione organica (3). Lunico limite allautomatica trasformazione del full time in part time desumibile dal citato articolo 1 comma 58 della legge n. 662/1996 era costituito dalla sussistenza di un conflitto di interessi tra lattivit di lavoro autonomo o subordinato che il dipendente intendeva svolgere e la specifica attivit di servizio effettivamente svolta (4). (2) In questo senso, Consiglio di Stato, 7 novembre 2000, n. 8732 e TAR Lazio, 26 ottobre 1998, n. 1711, per i quali Dal tenore dell'art. 1 commi 57 e 58 della legge n. 662/1996, concernenti la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a part time, pu desumersi non gi la potest dell'amministrazione di concessione o diniego in via discrezionale della detta trasformazione, bens la facolt in via generale del dipendente di richiedere la trasformazione stessa. (3) Sul punto, la circolare n. 6/1997 del Dipartimento della funzione pubblica prevedeva che il rientro un vero e proprio diritto, esercitabile anche quando il posto in organico non immediatamente disponibile. (4) Sul punto, la circolare n. 6/1997 del Dipartimento della funzione pubblica prevedeva che il passaggio al tempo parziale pu essere richiesto per svolgere una seconda attivit, subordinata o autonoma. In questo caso, la prestazione oraria non deve essere superiore alla met di quella a tempo pieno. Occorre inoltre accertare se le attivit esercitabili interferiscono con quella ordinaria e se concretizzano occasioni di conflitto di interessi. Queste ultime devono essere valutate non solo allatto della richiesta della trasformazione del rapporto, ma anche in seguito. LEGISLAZIONE ED ATTUALITA 223 Larticolo 22 comma 20 della legge 23 dicembre 1994, n. 724 prevedeva un limite ulteriore, di tipo quantitativo, stabilendo che il contingente di personale da destinare al part time non potesse superare il 25% della dotazione organica per ciascuna qualifica funzionale. Successivamente, il decreto legge n. 79/1997 e la relativa legge di conversione hanno aggiunto il comma 58-ter al citato articolo 1 della legge n. 662/1996, prevedendo che il limite percentuale della dotazione organica complessiva di personale a tempo pieno di ciascuna qualifica funzionale prevista dall'articolo 22 comma 20 della legge n. 724/1994 potesse essere arrotondato per eccesso, al fine di arrivare comunque allunit. Fermi restando gli esaminati limiti, larticolo 1 comma 58 della legge n. 662/1996 prevedeva inoltre un potere di differimento della trasformazione del rapporto, esercitabile dallamministrazione in presenza di grave pregiudizio alla funzionalit del servizio, in relazione alle mansioni e alla posizione organizzativa ricoperta dal dipendente, per un periodo di tempo non superiore a sei mesi. Dal quadro descritto emerge chiaramente che, nella prima fase di applicazione della disciplina, la trasformazione del contratto di lavoro full time in part time avveniva automaticamente e le esigenze dellamministrazione non ricevevano alcuna tutela, prevalendo in ogni caso lattenzione legislativa per le volont del dipendente (5). Un problema diverso riguardava il regime orario del part time in ipotesi di mancanza di un accordo delle parti in materia: fermo restando il diritto alla trasformazione del full time in part time, si trattava di stabilire se dovesse avere prevalenza la volont del dipendente in merito alla collocazione dellorario del part time ovvero quella dellamministrazione. Al riguardo, la circolare n. 8/1997 del Dipartimento della funzione pubblica intervenuta sul tema e, sulla base del presupposto della necessit di contemperare il diritto alla trasformazione del rapporto con la funzionalit del servizio, ha ritenuto che la soluzione pi congrua fosse quella della individuazione consensuale dellarticolazione della prestazione lavorativa, secondo criteri che contemperino leffettivo esercizio del diritto con la salvaguardia delle esigenze funzionali dellamministrazione. Successivamente, il decreto legge 25 giugno 2008, n. 112 e la relativa legge di conversione hanno, tra laltro, radicalmente modificato larticolo 1 comma 58 della legge n. 662/1996, che oggi cos dispone: (5) Il part time nel pubblico impiego comunemente utilizzato come forma flessibile di lavoro, per ragioni personali e familiari di conciliazione fra tempo di lavoro e tempo di vita, quindi per esigenze di vita temporanee piuttosto che per scelte professionali stabili. E innegabile che il part time rappresenta, in particolare per le lavoratrici, un efficace strumento di conciliazione lavoro-famiglia che difficile da attuare nel nostro Paese. 224 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 La trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale pu essere concessa dall'amministrazione entro sessanta giorni dalla domanda, nella quale indicata l'eventuale attivit di lavoro subordinato o autonomo che il dipendente intende svolgere. L'amministrazione, entro il predetto termine, nega la trasformazione del rapporto nel caso in cui l'attivit lavorativa di lavoro autonomo o subordinato comporti un conflitto di interessi con la specifica attivit di servizio svolta dal dipendente ovvero, nel caso in cui la trasformazione comporti, in relazione alle mansioni e alla posizione organizzativa ricoperta dal dipendente, pregiudizio alla funzionalit dell'amministrazione stessa. La trasformazione non pu essere comunque concessa qualora l'attivit lavorativa di lavoro subordinato debba intercorrere con un'amministrazione pubblica. Il dipendente tenuto, inoltre, a comunicare, entro quindici giorni, all'amministrazione nella quale presta servizio, l'eventuale successivo inizio o la variazione dell'attivit lavorativa. Fatte salve le esclusioni di cui al comma 57, per il restante personale che esercita competenze istituzionali in materia di giustizia, di difesa e di sicurezza dello Stato, di ordine e di sicurezza pubblica, con esclusione del personale di polizia municipale e provinciale, le modalit di costituzione dei rapporti di lavoro a tempo parziale ed i contingenti massimi del personale che pu accedervi sono stabiliti con decreto del Ministro competente, di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione e con il Ministro dell'economia e delle finanze. Di conseguenza, per effetto delle innovazioni apportate nel 2008 (6), la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale non pi automatica, ma subordinata alla valutazione discrezionale dellamministrazione ed il dipendente non pi titolare di un diritto, ma di un mero interesse alla trasformazione (7): il legislatore ha, quindi, avvicinato la disciplina del lavoro pubblico a quella del lavoro privato, attribuendo al datore di lavoro pubblico una discrezionalit assai simile a quella del datore di lavoro privato in relazione alle proprie esigenze organizzative. In altre parole, con lentrata in vigore del decreto legge n. 112/2008, la trasformazione del rapporto richiede il consenso dellamministrazione, con la conseguenza che laccordo tra le parti riguarda non soltanto larticolazione dellorario ridotto (come avveniva in passato sulla base delle indicazioni contenute nella circolare n. 8/1997 del Dipartimento della funzione pubblica), ma soprattutto lan ed il quantum della riduzione (8). (6) In generale, sulla evoluzione della disciplina del part time nel settore pubblico nel corso di pi di un ventennio, compreso tra il decreto legge n. 726/1984 che lo ha introdotto per la prima volta ed il decreto legge n. 112/2008, BROLLO, Il tramonto del diritto al part time nei rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, in Il lavoro nella P.A., 2008, 499 e ss. (7) Al dipendente, infatti, non pi attribuito un diritto soggettivo pieno alla trasformazione del rapporto, ma soltanto una legittima aspettativa, condizionata ad una valutazione datoriale discrezionale. LEGISLAZIONE ED ATTUALITA 225 Inoltre, stata soppressa la facolt di differire per un periodo non superiore a sei mesi la trasformazione del rapporto di lavoro nel caso di grave pregiudizio alla funzionalit dellamministrazione ed stata contestualmente introdotta la previsione del rigetto dellistanza del dipendente nellipotesi in cui la trasformazione comporti, in relazione alle mansioni e alla posizione organizzativa ricoperta dal dipendente, pregiudizio (non pi necessariamente grave) alla funzionalit dell'amministrazione. Il legislatore ha previsto, quindi, il necessario contemperamento tra le scelte del singolo lavoratore e le esigenze dellamministrazione, con la conseguenza che questultima pu negare, con atto concretamente motivato in relazione ai parametri indicati dalla disposizione, la trasformazione nellipotesi di pregiudizio alle proprie esigenze organizzative, ferma restando la gi esistente titolarit dello stesso potere nellipotesi di sussistenza di conflitto di interessi. Infine, il legislatore del 2008 ha modificato anche il comma 59 del medesimo articolo 1 della legge n. 662/1996 relativo alla destinazione dei risparmi derivanti dalle trasformazioni, prevedendo che una quota pari al 70 per cento dei predetti risparmi destinata, secondo le modalit ed i criteri stabiliti dalla contrattazione integrativa, ad incentivare la mobilit del personale esclusivamente per le amministrazioni che dimostrino di aver provveduto ad attivare piani di mobilit e di riallocazione mediante trasferimento di personale da una sede all'altra dell'amministrazione stessa. Rispetto al quadro normativo fin qui descritto, da ultimo larticolo 16 della legge 4 novembre 2010, n. 183 (9) ha introdotto uninnovazione di carattere transitorio e ha previsto che: In sede di prima applicazione delle disposizioni introdotte dallarticolo 73 del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, le amministrazioni pubbliche di cui allarticolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede, possono sottoporre a nuova valutazione i provvedimenti di concessione della trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale gi adottati (8) Sul punto, la recente circolare n. 9/2011 del Dipartimento della funzione pubblica osserva che la valutazione dellistanza del dipendente si basa su tre elementi: la capienza dei posti fissati dalla contrattazione collettiva in riferimento alle posizioni della dotazione organica; loggetto dellattivit che il dipendente intende svolgere a seguito della trasformazione del rapporto; limpatto organizzativo della trasformazione. (9) Sul punto, la recente circolare n. 9/2011 del Dipartimento della funzione pubblica osserva che sia lintervento normativo del 2008 che quello del 2010 sono motivati da stringenti vincoli finanziari, che difficilmente consentono di soddisfare il fabbisogno professionale attraverso le ordinarie procedure di reclutamento e che, pertanto, impongono una valutazione sul miglior utilizzo delle risorse interne allamministrazione. 226 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 prima della data di entrata in vigore del citato decreto legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008. Tale disposizione conferisce al datore di lavoro pubblico un potere di riesame (10), circoscritto temporalmente, sui provvedimenti di concessione della trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale adottati prima del 25 giugno 2008, data di entrata in vigore del decreto legge n. 112. In altre parole, il c.d. Collegato lavoro ha attribuito alla dirigenza pubblica il potere di rivalutare, con atti di gestione del rapporto di lavoro pubblico privatizzato (11), i part time derivanti da atti di trasformazione adottati prima del 25 giugno 2008, ossia sotto la vigenza della disposizione che riconosceva in capo al dipendente un diritto alla trasformazione del full time, in ogni caso prevalente rispetto alle esigenze organizzative dellamministrazione. La ratio della disposizione , evidentemente, quella di adeguare i part time trasformati automaticamente per effetto delloriginaria previsione della legge n. 662/1996 ed ancora esistenti al nuovo assetto di interessi delineato dal legislatore attraverso lattribuzione alla dirigenza pubblica del potere di riesame dellatto di trasformazione del full time e di sua conseguente eventuale revoca e/o modifica. Il c.d. Collegato lavoro, inoltre, ha individuato espressamente due limiti di esercizio del potere di riesame, che deve essere realizzato entro centottanta giorni dalla entrata in vigore della legge e che deve avvenire nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede (12). E evidente che la norma non attribuisce un potere di riesame generalizzato, riguardante cio tutti i part time derivanti da trasformazione automatica, ma consente di intervenire su singoli atti attraverso una nuova valutazione ed un nuovo atto di gestione del rapporto di lavoro di natura privatistica. Allesito del riesame dei singoli provvedimenti di concessione, nel silenzio della norma, lamministrazione pu determinare la revoca del part time ed il conseguente ritorno del dipendente al rapporto di lavoro a tempo pieno, ovvero la permanenza nel regime di part time, eventualmente modificandone (10) Sul punto, la recente circolare n. 9/2011 del Dipartimento della funzione pubblica definisce eccezionale la scelta normativa di prevedere un potere di revisione unilaterale del rapporto di lavoro da parte delle amministrazioni, in deroga alle regola generale di determinazione consensuale delle condizioni contrattuali. (11) Sul punto, per la circolare n. 9/2011 del Dipartimento della funzione pubblica la gravosit del potere accordato dalla legge richiede certamente una particolare attenzione nel momento del suo esercizio. In base alla norma, il mutamento delle condizioni del rapporto di lavoro avviene a seguito delladozione e della comunicazione di un atto unilaterale da parte dellamministrazione, non essendo necessario il consenso del dipendente ai fini del perfezionamento di un nuovo contratto. (12) Sul punto, la recente circolare n. 9/2011 del Dipartimento della funzione pubblica prevede che ci comporta un contraddittorio con linteressato (). Lamministrazione, prima di operare la trasformazione del rapporto, deve tener conto non solo della situazione in origine alla base della trasformazione, ma anche della situazione che nel frattempo si consolidata in capo al lavoratore. LEGISLAZIONE ED ATTUALITA 227 la quantificazione o la distribuzione temporale (13). In applicazione della disciplina appena esaminata, il Ministero della Giustizia ha adottato, in data 24 novembre 2010, una circolare che, sul presupposto che i principi di correttezza e buona fede impongono di considerare che latto di revoca del part time incide su posizioni sostanziali acquisite e su eventuali ulteriori impegni assunti dal lavoratore in part time, stabilisce che latto di revoca deve essere puntualmente motivato dal dirigente responsabile con riferimento sia al profilo professionale dei lavoratori interessati sia alla specifica posizione rivestita da ciascun dipendente in servizio a tempo parziale (14). I primi contrasti giurisprudenziali sullapplicazione dellarticolo 16 del c.d. Collegato lavoro hanno riguardato proprio alcuni dipendenti di uffici periferici del Ministero della Giustizia ai quali, in applicazione della citata circolare ministeriale del 24 novembre 2010, stato ricostituito il rapporto di lavoro a tempo pieno con determine direttoriali. In particolare, meritano di essere esaminati e confrontati tra loro due diversi casi: nel primo, si tratta di due ordinanze di segno opposto pronunciate dal Tribunale di Firenze; nel secondo, invece, di unordinanza del Tribunale di Trento con cui, per la prima volta, il Giudice del lavoro si pronunciato a favore di un dipendente pubblico che si visto revocare il part time in applicazione del c.d. Collegato lavoro. Nel primo caso, il Giudice del lavoro, ha dapprima accolto la domanda della ricorrente con ordinanza del 31 gennaio 2011, ordinando al Ministero della Giustizia di sospendere gli effetti dellatto di ricostituzione del rapporto di lavoro a tempo pieno, sulla base del presupposto che la motivazione utilizzata non sembra consentire una valutazione del pregiudizio specifico che lufficio verrebbe a subire in conseguenza della prosecuzione da parte della ricorrente del rapporto in part time. Ci in quanto la circolare richiamata richiede una motivazione dettagliata, cio contestualizzata alle esigenze proprie del datore di lavoro in relazione alla posizione del lavoratore allinterno dellufficio, non potendosi supplire con lutilizzazione di formule generiche, che non diano effettiva contezza della reale situazione dellufficio interessato. Il Giudice adotta unimpostazione tipicamente formalistica ed afferma che il tipo di motivazione utilizzata (gravi difficolt organizzative ai servizi di cancelleria che impongono una pi completa prestazione lavorativa) , (13) Sul punto, per la recente circolare n. 9/2011 del Dipartimento della funzione pubblica la valutazione dellamministrazione potrebbe riguardare non solo lopportunit di mantenere il rapporto a tempo parziale, ma anche le modalit della collocazione temporale della prestazione, che potrebbe risultare pi conveniente modificare per non pregiudicare il funzionamento dellamministrazione. (14) Sul punto, in generale, la recente circolare n. 9/2011 del Dipartimento della funzione pubblica osserva che si raccomanda, anche per limitare il rischio di pronunce giudiziali sfavorevoli allamministrazione, di adottare una motivazione puntuale, evitando luso di clausole generali o formule generiche che non sono utili allo scopo. 228 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 identica anche per il personale di altri uffici, non sufficiente a dare atto dellistruttoria compiuta con riferimento al caso di specie, tale da potersi dire soddisfatti i criteri di correttezza e buona fede richiesti dalla norma di legge. Per il Giudice, quindi, il Ministero della Giustizia avrebbe violato i criteri di correttezza e buona fede, in quanto la generica motivazione dellatto di revoca del part time risulterebbe lesiva della circolare del 24 novembre 2010. Avverso tale ordinanza il Ministero della Giustizia ha proposto reclamo, che stato accolto dal Tribunale di Firenze - sezione lavoro con ordinanza del 7 marzo 2011 per insussistenza sia del fumus boni iuris che del periculum in mora. In particolare, il Tribunale osserva che lart. 16 della legge n. 183/2010 ha testualmente previsto per le amministrazioni non un particolare obbligo di motivazione formale degli eventuali provvedimenti di revoca dei part time gi concessi, ma lobbligo di osservare, nellesercizio del potere loro conferito, i principi di correttezza e buona fede. Pertanto, in assenza di un obbligo di motivazione espressa di fonte legislativa, la genericit e/o lincompletezza della motivazione del provvedimento di revoca dellorario part time non rendono di per s la condotta datoriale contraria ai principi di correttezza e buona fede, essendo a ci necessario che, in esito allaccertamento giudiziale, risulti che nel caso concreto effettivamente non sussistevano ragioni di interesse pubblico idonee a giustificare ladozione del provvedimento di cui si tratta. Il Tribunale, ribaltando limpostazione formalistica del precedente giudizio, afferma infine che ҏ il difetto di motivazione in senso sostanziale (inesistenza in concreto dei motivi cui la norma subordina la revoca) e non formale (omessa o insufficiente motivazione del provvedimento) a concretare linosservanza dei principi di correttezza e buona fede, in ragione della conseguente illogicit, vessatoriet, arbitrariet della revoca. Sotto un profilo diverso, merita di essere segnalata la recente articolata ordinanza del 4 maggio 2011 del Tribunale di Trento che, in un caso simile a quello ora esaminato e in accoglimento del ricorso presentato da una dipendente del Ministero della Giustizia avverso il provvedimento di trasformazione del part time in rapporto a tempo pieno ex art. 16 del c.d. Collegato lavoro, lo ha annullato, confermando il decreto inaudita altera parte del 30 marzo 2011. Il Tribunale di Trento non ritiene il comportamento del Ministero della Giustizia contrario ai principi di correttezza e buona fede, in quanto sia la motivazione richiamata per relationem nel provvedimento ministeriale, come pure quella ulteriormente esposta dal Ministero nel corso del presente procedimento appaiono congrue, puntuali e sufficientemente specifiche, poich viene data adeguata ragione delle esigenze di servizio che hanno indotto la pubblica amministrazione alla trasformazione del rapporto di lavoro, alla luce delle mansioni svolte e della qualifica ricoperta dalla ricorrente. Piuttosto il Tribunale si interroga sulla conformit alla normativa euro- LEGISLAZIONE ED ATTUALITA 229 pea dellarticolo 16 della legge n. 183/2010, nella parte in cui esso attribuisce alla pubblica amministrazione il potere di trasformare il rapporto di lavoro part time in rapporto di lavoro a tempo pieno, alla sola condizione del rispetto dei principi di correttezza e buona fede, a prescindere dal consenso del lavoratore e quindi anche contro la sua volont. Al quesito cos formulato il Tribunale risponde nel senso che larticolo 16 del c.d. Collegato lavoro si pone in insanabile contrasto con la direttiva 15 dicembre 1997, n. 97/81/CE: si tratta, infatti, di un caso di efficacia diretta di una direttiva, in quanto la direttiva 15 dicembre 1997, n. 97/81/CE impone un obbligo di non fare, prevedendo obblighi sufficientemente precisi ed incondizionati e pu essere qualificata come self executing (). Si tratta di efficacia verticale della direttiva e, secondo la costante giurisprudenza della Corte di Giustizia, in tutti i casi in cui disposizioni di una direttiva appaiono incondizionanti e sufficientemente precise, i singoli possono farle valere nei confronti dello Stato, tanto se questo non ha trasposto tempestivamente la direttiva nel diritto nazionale, quanto se esso lha trasposta in modo adeguato. In particolare, per il Tribunale di Trento, lart. 16 citato discrimina il lavoratore part time, che, a differenza del lavoratore a tempo pieno, rimane soggetto al potere del datore di lavoro pubblico di modificare unilateralmente la durata della prestazione di lavoro e viola quella parte della direttiva che impone la presenza del consenso del lavoratore in caso di trasformazione del rapporto, con la conseguenza che esso deve essere disapplicato in quanto contrastante con lordinamento comunitario. In conclusione, quella da ultimo esaminata rappresenta senza dubbio una decisione interessante che, disapplicando la disciplina interna contenuta nel c.d. Collegato lavoro e dando applicazione immediata alla direttiva n. 97/81/CE, rappresenta una dura condanna per il legislatore italiano e si pone come apripista per i numerosi casi di lavoratori pubblici (15) cui stato revocato, senza il consenso del diretto interessato, il regime di part time in base ad una disposizione di assai dubbia compatibilit con lordinamento comunitario. (15) I dipendenti pubblici titolari di part time sono circa 170.000, secondo i dati ISTAT riferiti al quarto trimestre 2010. 230 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 Le infrastrutture di comunicazione a banda larga e la disciplina degli aiuti di Stato: gli equilibri delicati della crescita Alessandra Iorio* SOMMARIO: 1. Introduzione - 2. L infrastruttura a banda larga: architrave della crescita europea - 3. I principi guida dellinvestimento pubblico: il criterio dellinvestitore privato e lesigenza di colmare il divario digitale: 3.1. Lintervento pubblico nelle aree aperte alla concorrenza; 3.2. Lintervento pubblico come rimedio al divario digitale - 4. Un caso concreto di innovazione e trasformazione nella Provincia autonoma di Trento - 5. Il finanziamento pubblico delle reti informatiche a banda larga e la disciplina degli aiuti di Stato: alcune considerazioni. 1. Introduzione Le infrastrutture a banda larga costituiscono progetti centrali per la crescita delle economie europee, in cui linnovazione tecnologica necessariamente richiede di essere supportata da infrastrutture in grado di veicolare un servizio di telecomunicazione omogeneo e qualitativamente elevato su tutto il territorio nazionale. In relazione a tali infrastrutture si identificano situazioni di insufficienza dellinvestimento privato, in considerazione dei bisogni della collettivit e del ruolo di impulso se non vero e proprio fondamento della crescita economica basata sulla societ dellinformazione (1). In Italia, in base a recenti rilevazioni, la penetrazione della connessione a banda larga inferiore alla media europea, cos come le famiglie che hanno concreto accesso ai servizi di connessione (2). Allo stesso tempo, anche la domanda di servizi internet-based (come evidenzia la frequenza di utilizzo giornaliero e settimanale di internet, servizi di e-banking, TV e radio via internet) da parte della popolazione mostra una bassa propensione. Ci rappresenta indubbiamente un fattore di resistenza verso forme di investimento privato, riducendo linteresse economico verso lo sviluppo e listallazione di (*) Gi praticante forense presso lAvvocatura dello Stato. Il presente lavoro della dott.ssa Iorio rappresenta un estratto dello studio Public-Private Partnership: il caso delle reti di comunicazione di nuova generazione, presentato nellambito del corso di dottorato di ricerca in Diritto ed Economia presso la LUISS Guido Carli. (1) Invero, come sar illustrato infra, i potenziali benefici della diffusione delle reti a banda larga, nonch i potenziali effetti negativi dellesclusione di alcune fasce della popolazione dallaccesso a tale infrastruttura, assumono rilevanza nel senso di suggerire una loro qualifica come bene pubblico (sul punto, cfr. PICOT, WERNICK, The Role of Government in Broadband Access, in Telecommunications Policy, 2007, 31, pag. 660-674). (2) Si tratta del 19%, a fronte del 22.9% (media europea). Per quanto riguarda le famiglie, appena il 47% avrebbe accesso ad una connessione a banda larga (contro il 60% europeo). Vedi, EUROPEAN COMMISION, Europe's Digital Competitiveness Report, 2009, vol. 2, COM(2009) 390, disponibile alla pagina http://ec.europa.eu/information_society/eeurope/i2010/docs/annual_report/2009/sec_2009_1104.pdf LEGISLAZIONE ED ATTUALITA 231 nuove reti (3). Il presente articolo si propone di svolgere alcune riflessioni sul tema della realizzazione delle infrastrutture di comunicazione a banda larga per la fornitura di servizi di accesso internet alla popolazione europea e sulle applicabili regole derivanti dalla disciplina europea degli aiuti di Stato. Nel seguito, dopo alcune brevi considerazioni sullorientamento europeo e nazionale di sostegno e stimolo alla progressiva innovazione nella fornitura di servizi di connettivit a banda larga a cittadini e imprese (par. 2), si descriveranno i principi normativi rilevanti, propri delle regole europee in tema di aiuti di Stato, come sviluppati nellambito della prassi decisionale della Commissione europea (par. 3). Quindi, dopo aver brevemente dato atto del progetto della Provincia di Trento di dotarsi di uninfrastruttura di comunicazione di nuova generazione (par. 4), si svolgeranno alcune considerazioni finali sugli sviluppi applicativi del quadro normativo europeo (par. 5). 2. L infrastruttura a banda larga: architrave della crescita europea Come noto, il termine banda larga definisce un insieme di tecnologie che consentono di offrire allutente collegamenti di velocit notevolmente superiore rispetto quelli concessi dalla normale rete telefonica, che per definizione fornisce servizi a banda stretta (4). Accanto a tale espressione oggi diffusa quella di Next Generation Network (NGN ) che individua strutture e funzionalit di rete di tipo innovativo (5). In particolare, la rete (3) Recenti stime fornite da Telecom Italia mostrano che gli investimenti richiesti per portare il rimanente 65% della popolazione on-line si aggirerebbe intorno ai 6,5 miliardi di euro. Inoltre, il costo relativo allintroduzione della fibra ottica (che come si vedr rappresenta larchitettura portante delle reti di nuova generazione, vedi infra, par. 3.2) per raggiungere almeno l80% della popolazione sarebbe pari a 15 miliardi di euro (vedi AgCom, Indagine conoscitiva sull'assetto e le prospettive delle nuove reti del sistema delle comunicazioni elettroniche, settembre 2008, Roma, disponibile alla pagina http://www.comunicazioni.it/binary/min_comunicazioni/comunicati_stampa/Audizione_del_10_settembre. pdf.) (4) Secondo un approccio non tecnico, ma prestazionale, la banda larga pu essere definita come linsieme di reti e servizi che consentono linterattivit a velocit confortevole per lutente. Pur non esistendo una definizione formale, la banda larga fa riferimento allinsieme delle piattaforme composto da fibra ottica, xDSL, wireless - Wi-Fi, HiperLan, Wi-Max, ecc. -, satellite, fino allUMTS ed al HSDPA, recentemente richiamati dallAGCOM come tecnologie a banda larga. Cfr. Linee Guida per i Piani Territoriali per la Banda Larga, approvate dalla Commissione Permanente per lInnovazione Tecnologica negli Enti Locali e nelle Regioni e dalla Conferenza Unificata il 20 settembre 2007. LOCSE, invece, allinterno dei suoi studi e delle sue analisi, utilizza la definizione del CSTB Statunitense (Computer Science and Telecommunication Board), secondo cui Un accesso locale pu essere definito a banda larga se la performance del collegamento non un fattore limitante allutilizzo delle applicazioni tecnologiche correnti da parte degli utenti finali. (5) In accordo con lITU-T, una Next Generation Network cos definita: A Next Generation Network (NGN) is a packet-based network able to provide Telecommunication Services and able to make use of multiple broadband, QoS-enabled transport technologies and in which service-related functions are independent from underlying transport-related technologies. It enables unfettered access for users to networks and to competing service providers and/or services of their choice. It supports gene- 232 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 NGN si caratterizza per lutilizzo universale del protocollo IP, qualunque sia il tipo di informazione da trasmettere (6). Lutilizzo di tale protocollo costituisce la premessa per cui la rete fissa, mobile e broadcast tenderanno ad un processo di integrazione progressivo, fino alla completa convergenza (7). Dal punto di vista delle imprese operanti nel settore, i sistemi di nuova generazione favoriscono gli operatori che potranno offrire su ununica infrastruttura una pluralit di servizi distinti con predefiniti livelli di qualit. Inoltre, lutilizzo delle nuove reti determina inevitabilmente una riduzione dei relativi costi di gestione, nonch un miglioramento dei processi di innovazione di prodotto e una riduzione dei rischi legati allincertezza della domanda. La convergenza, poi, di molteplici servizi su ununica piattaforma pu incentivare la formulazione di offerte commerciali congiunte (triple play, comprensive di servizi di telefonia, Internet veloce e IP-TV, e quadruple play, che ai precedenti servizi aggiungono la telefonia mobile), per le quali si registra una crescente manifestazione di interesse da parte degli utenti (8). Lintroduzione della connettivit a banda larga stimola il descritto scenario evolutivo e sostiene il progresso della societ dellinformazione. In tale prospettiva, laccesso veloce a internet la precondizione perch possa manifestarsi il ruolo cruciale che la rete svolger nella ripresa economica, in quanto piattaforma di sostegno allinnovazione in tutti i settori economici, ralized mobility which will allow consistent and ubiquitous provision of services to users (cfr. le raccomandazioni Y.2001 General overview of NGN - 12/2004 e Y.2011 General principles and general reference model for Next Generation Networks - 10/2004). (6) Nello specifico, nellacronimo NGN tendono a concentrarsi diversi aspetti di carattere tecnologico e architetturale ed in particolare: a) convergenza fisso-mobile e trasparenza della rete per qualunque tipo di servizio (voce, video, dati ecc.); b) impiego universale dellarchitettura di trasporto con commutazione a pacchetti e tecniche di QoS (Quality of Service) per la priorit delle informazioni in tempo reale ed uso generalizzato del protocollo IP per tutti i tipi di informazioni trasmesse; c) indipendenza del livello di servizio dallo strato fisico della rete; d) intelligenza di rete opportunamente distribuita con particolare attenzione alla sicurezza; e) notevole valore aggiunto dei servizi offerti dalla stessa rete (con unestensiva virtualizzazione in rete di risorse informatiche quali backup, sicurezza, identificazione, ecc.); f) adozione di bande sempre pi larghe per la richiesta di servizi video (anche HDTV) e per altri servizi innovativi. (7) Le reti broadcast sono dotate di un unico canale di comunicazione che condiviso da tutti gli elaboratori. Brevi messaggi (spesso chiamati pacchetti) inviati da un elaboratore sono ricevuti da tutti gli altri elaboratori. Un indirizzo all'interno del pacchetto specifica il destinatario. Quando un elaboratore riceve un pacchetto, esamina l'indirizzo di destinazione; se questo coincide col proprio indirizzo il pacchetto viene elaborato, altrimenti viene ignorato. Le reti broadcast, in genere, consentono anche di inviare un pacchetto a tutti gli altri elaboratori, usando un opportuno indirizzo (broadcasting). In tal caso tutti prendono in considerazione il pacchetto. (8) Levolversi di questo nuovo fenomeno pone necessariamente significative pressioni sulle modalit di accesso alla rete, che si ritiene debbano essere supportate da unadeguata capacit di banda. Infatti, attualmente, si adopera uninfrastruttura differente per ogni tipo di servizio offerto; al contrario con le NGN ununica rete di trasporto idonea a coinvolgere tutte le tipologie di servizio. Il servizio diventer, cos, indipendente dalla rete senza pi differenze tra reti fisse e mobili e senza soluzione di continuit infrastrutturale. LEGISLAZIONE ED ATTUALITA 233 esattamente come avvenne a suo tempo con lenergia elettrica e i trasporti( 9). Sul piano strettamente economico, il fenomeno di digitalizzazione favorisce lampliamento dei mercati nelle loro dimensioni e la velocizzazione dei loro meccanismi di funzionamento. Per i singoli utenti la disponibilit di servizi a banda larga un presupposto fondamentale per moltiplicare lo scambio e la circolazione delle informazioni, per favorire i processi di apprendimento e di relazione, per accrescere, dunque, la predisposizione di tecnologie, di servizi innovativi e il livello di informatizzazione personale (10). Con particolare riferimento alle regioni a basso tasso di crescita, la Commissione europea considera favorevolmente linvestimento in infrastrutture di banda larga, come motore del loro sviluppo economico. A fronte dellassenza di unofferta di tali servizi da parte del mercato, peraltro auspicabile lintervento statale nella realizzazione dellinfrastruttura, mediante lerogazione di misure di sussidio alla realizzazione di uninfrastruttura a banda larga universale (...) aperta a tutti gli altri fornitori, [che] ponga rimedio a un fallimento del mercato e garantisca la connessione a tutti gli utenti della regione interessata (11). Certo, i progetti di realizzazione di infrastrutture NGN sono impegnativi e di lungo periodo: le pi recenti rilevazioni dello stadio di sviluppo europeo delle reti di nuova generazione prevedono un investimento di circa 300 miliardi di euro su un arco temporale di almeno 15 anni (12). Tale processo si (9) Cfr. Comunicazione della Commissione europea, La banda larga in Europa: investire nella crescita indotta dalla tecnologia digitale, COME(2010)472, Bruxelles, 20 settembre 2010. Al riguardo, e con particolare riferimento al settore delle comunicazioni, lAgCom ha sottolineato come lo stesso ҏ abbastanza maturo e, in una fase di recessione, i livelli occupazionali non possono che scendere. Lo sviluppo della banda larga pu, dunque, contribuire a creare nuovi posti di lavoro (Il Sole 24 Ore del 10 marzo 2010, Banda larga al via in giugno). (10) Anche in relazione alla pubblica amministrazione, i cambiamenti prodotti dai fenomeni di digitalizzazione e di connettivit a rete hanno modificato in modo irreversibile i processi interni e lorganizzazione della sua struttura. Tanto a livello centrale, quanto periferico, la banda larga pu consentire una migliore realizzazione nella gestione dei compiti propri della pubblica amministrazione, tramite lutilizzo e la diffusione di nuovi sistemi informativi finalizzati a rendere pi efficiente e semplice il rapporto e linterazione dei cittadini con le strutture pubbliche di riferimento. Inoltre, attraverso luso di infrastrutture avanzate di comunicazione, sar possibile innestare procedure telematiche garantite da sicurezza e tracciabilit idonee a valorizzare ancor di pi lopportunit di informatizzare e standardizzare le relazioni tra le amministrazioni. (11) Cfr. la Comunicazione della Commissione, Orientamenti comunitari relativi allapplicazione delle norme in materia di aiuti di stato in relazione allo sviluppo rapido di reti a banda larga, in GUUE C235/7 del 30 settembre 2009, par. 22. Cfr. anche la decisione della Commissione europea n. 381/2004 del 16 novembre 2004 (France-Projet de resau de Telecommunication haut debit des Pyrenees) e n. 382/2004 del 3 maggio 2005, (France-Mise en place dune infrstructure haut-debit sur le territoire de la rgion Limousin). (12) Si veda lanalisi condotta dalla societ Mc Kinsey, richiamata dalla Commissione europea nel MEMO/08/572, Broadband: Commission consults on regulatory strategy to promote high-speed Next Generation Access networks in Europe. 234 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 articoler in primo luogo, mediante lintroduzione di una rete di trasporto a lunga distanza (core Network), e, successivamente, di una rete di accesso a livello locale (access Networks). Questultimo rappresenta laspetto maggiormente critico, comportando la realizzazione di infrastrutture per la posa dei cavi che, capillarmente diffuse su tutto il territorio nazionale, richiedono investimenti elevati e tempi di realizzazione lunghi. in tale scenario che sorge, quindi, la necessit di effettuare investimenti mirati, nonch ragionati, che sappiano sfruttare le capacit realizzative e le risorse degli operatori pubblici e privati. Al contempo, appare altres necessario che gli interventi dello Stato a sostegno non producano effetti negativi sul livello degli investimenti privati, scoraggiandoli e portando ad unallocazione non efficiente delle risorse (13). Proprio il raggiungimento di tale equilibrio richiede una delicata interazione tra le normative regolamentari e i principi di diritto della concorrenza applicabili alle forme di finanziamento pubblico degli investimenti in reti a banda larga. 3. I principi guida dellinvestimento pubblico: il criterio dellinvestitore privato e lesigenza di colmare il divario digitale 3.1. Lintervento pubblico nelle aree aperte alla concorrenza Sulla base dellimpulso comunitario (14) - e nellattesa di una definizione compiuta delle regole in materia di sviluppo e accesso delle reti NGN in Italia (15) -, si assistito nella seconda met del 2010 ad alcune iniziative di ispirazione governativa che hanno condotto i principali operatori di telecomunica- (13) Ci si riferisce alla possibilit che lintervento pubblico, lungi dal costituire un fattore di stimolo alla realizzazione di reti di nuova generazione, possa tradursi in un ostacolo al loro sviluppo, nella misura in cui lintervento statale eserciti un effetto distorsivo sugli incentivi privati a investire nella rete NGN. (14) A livello europeo, il quadro di riferimento contenente i principi regolamentari in via di progressiva definizione. La Commissione ha infatti adottato una serie di misure finalizzate a favorire l'introduzione e l'adozione della banda larga veloce e ultraveloce che hanno trovato un momento di auspicabile sintesi nella pubblicazione della raccomandazione del 20 settembre 2010, riguardante l'accesso regolato alle reti di NGA (Raccomandazione della Commissione del 20 settembre 2010 relativa allaccesso regolamentato alle reti di accesso di nuova generazione (NGA) (2010/572/UE), in GUUE n. L 251 del 25 settembre 2010 pag. 35). (15) A livello nazionale, il processo di definizione delle regole che sono deputate ad accompagnare la transizione verso la rete NGN tuttora in corso. Al riguardo assumono rilevanza le linee guida del Comitato NGN Italia (organo consultivo del Consiglio dellAgCom previsto dalla citata legge n. 69 del 2009 e istituito con la delibera AgCom n. 731/09/CONS) e lo schema di delibera recante la [c]onsultazione pubblica in materia di regolamentazione dei servizi di accesso alle reti di nuova generazione, attualmente allesame della Commissione europea (il documento per la consultazione stato pubblicato in data 19 gennaio 2011, con Delibera 1/11/CONS. A seguito della consultazione del mercato, lAutorit ha pubblicato uno schema di regolamento, inviato alla Commissione europea e sottoposto ad una nuova consultazione con delibera n. 301/11/CONS Integrazione della consultazione pubblica in materia di regolamentazione dei servizi di accesso alle reti di nuova generazione del 23 maggio 2011). LEGISLAZIONE ED ATTUALITA 235 zioni italiani a siglare un memorandum of understanding (MOU) relativo alla costituzione di una societ mista denominata Italia digitale, a partecipazione pubblico-privata, per la realizzazione di una infrastruttura NGN (16). Inoltre, a livello pi propriamente locale, appaiono sviluppi meritevoli di approfondimento quelli che hanno interessato la provincia autonoma di Trento, in cui, iniziative fondate sulla cooperazione tra pubblico e privato hanno consentito la progettazione e attuazione di investimenti in una rete NGN (vedi, infra, par. 4). In tale prospettiva, la via maestra da percorrere appare quella di un approccio di sistema che si poggi su un complesso di relazioni tra i vari attori locali (enti, imprese di comunicazione e cittadini) al fine di introdurre prodotti ad alto valore aggiunto nel mercato locale, valorizzando le competenze delle persone e crei nuove abilit nel governo e nelluso delle tecnologie ICT. In seguito ad un periodo caratterizzato dallelaborazione di incentivi di stimolo alla domanda di servizi di connessione a banda larga da parte dellutente (17) e, specialmente, in seguito al prevalente indirizzo affermatosi in sede comunitaria, nonch in altri paesi europei (18), gradualmente si sono imposte politiche di sostegno allofferta di servizi e infrastrutture NGN, che mirano ad una crescita del livello complessivo di infrastrutturazione del Paese. Si afferma, in particolare, la consapevolezza che la complessit delle implicazioni sottese allo sviluppo della banda larga ed ultra larga richieda un inevitabile piano di azione unitario da adottare a livello nazionale attraverso limpiego delle capacit e delle potenzialit proprie degli investitori privati unitamente agli investimenti pubblici. Non a caso, la Commissione europea, che pi volte ha sottolineato la necessit della banda larga per lo sviluppo delle economie nazionali e locali degli Stati membri, a partire dal 2003, ha esaltato limportanza degli investimenti pubblici e degli accordi con soggetti privati, selezionati mediante procedure competitive, aperte e trasparenti (19). (16) Ci si riferisce allaccordo siglato tra il Ministero dello sviluppo economico ed i principali operatori di telecomunicazioni che istituisce una forma di cooperazione pubblico-privata per la realizzazione delle infrastrutture necessarie allo sviluppo delle reti NGN. Laccordo stato annunciato al pubblico in data 10 novembre 2010 (cfr. Ngn, gli operatori si uniscono. Una societ per la nuova rete, La Repubblica, 10 novembre 2010). Il testo firmato dalle parti disponibile alla pagina internet: www.governo. it/GovernoInforma/Dossier/banda_ultralarga/MOU_20101110.pdf (17) Ci si riferisce, in particolare, alle politiche di sviluppo della banda larga secondo la tecnologia x-DSL avvenuti nel periodo 2003-2005 e consistenti nellutilizzo di contributi statali e altre forme di incentivazione indiretta. Cfr. al riguardo NICITA, op. cit., pag. 23. (18) Si veda, ad esempio, quanto avvenuto in Scozia con il progetto Broadband for Scotland, in Inghilterra, con i progetti Digital Challenge e Corridor Manchester e in Galles, con Digital Region. In tali esperienze, la creazione di una infrastruttura a banda larga si fonda su un accordo tra lente locale di riferimento e un operatore privato. Per una loro descrizione dettagliata, cfr. NICITA, op. cit., pag. 64-65. (19) Per un elenco delle decisioni in tema di misure statali di sostegno a progetti di costruzione di reti a banda larga, vedi NICOLAIDES, KLEIS, The case of Public Funding of Infrastructure and broad- 236 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 In particolare, la Commissione ritiene che i modelli di PPP costituiscano strumenti effettivi per realizzare progetti di infrastrutture, fornire servizi pubblici e innovare pi liberamente nel contesto degli sforzi di risanamento imposti dalla recente crisi finanziaria e economica (20). Con particolare riferimento ai progetti di realizzazione di infrastrutture a banda larga, la Commissione mostra di valorizzare lelemento tipico delle PPP costituito dalla scelta del socio privato mediante una procedura di gara, aperta, trasparente e non discriminatoria (21) . Negli orientamenti pubblicati in tema di applicazione delle norme in materia di aiuti di Stato in relazione allo sviluppo rapido delle reti a larga banda (gli Orientamenti), la Commissione muove dal riconoscimento dellimportanza strategica della banda larga, senza trascurare lesigenza di garantire che gli aiuti di Stato non vadano a sostituire liniziativa privata (22). Al riguardo, gli Orientamenti procedono ad indirizzare le iniziative di PPP secondo specifici principi attuativi. In particolare, sebbene la Commissione veda con estremo favore l'intervento pubblico a sostegno dello sviluppo della banda larga nelle aree rurali e scarsamente servite, la sua posizione invece pi critica per quanto riguarda misure di aiuto a beneficio di zone in cui gi presente uninfrastruttura a banda larga ed in cui vigono condizioni band networks, in ESTAL 4/207, pag. 632 e ss.; v. anche le decisioni riportate alla pagina web della Commissione europea specificamente dedicata: http://ec.europa.eu/competition/sectors/telecommunications/ broadband_decisions.pdf. Nella maggior parte dei casi, le misure oggetto desame sono state ritenute istitutive di aiuti compatibili con il mercato comune ai sensi e per gli effetti dellart. 107(3)(c) TFUE (aiuti destinati ad agevolare lo sviluppo di talune attivit o di talune regioni economiche senza alterare le condizioni degli scambi in misura contraria al comune interesse), ovvero coperti dalla deroga stabilita dallart. 106(2) TFUE (nel caso di aiuti conferiti, subordinatamente al rispetto di certe condizioni, ad imprese incaricate della gestione di un servizio dinteresse economico generale): v. Comunicazione della Commissione 30 settembre 2009 sugli orientamenti comunitari relativi allapplicazione delle norme in materia di aiuti di Stato in relazione allo sviluppo rapido delle reti a larga banda, (GUUE C 235/9), secondo cui, come dimostra la prassi decisionale della Commissione in materia di aiuti di Stato nel settore della banda larga, lintervento pubblico a sostegno di progetti di banda larga implica spesso la presenza di aiuti di Stato ai sensi dellarticolo 87, paragrafo 1, del trattato CE (divenuto art. 107(1) TFUE). In due casi, tuttavia, la Commissione giunta a diverse conclusioni: nel caso Appingedam (dec. 16 dicembre 2005, Aiuto di Stato N 59/2005 Paesi Bassi), la misura stata vietata in quanto qualificata come aiuto di Stato incompatibile, mentre nel citato caso Citynet Amsterdam stato escluso che lintervento oggetto desame comportasse elementi di aiuto. (20) Cfr. la Comunicazione della Commissione europea, Mobilising private and public investment for recovery and long-term structural change: developing Public Private Partnerships COM(2009)615, Bruxelles 19 novembre 2009, para. 1. (21) In particolare, la procedura di gara ҏ un metodo per minimizzare il vantaggio potenzialmente insito negli aiuti di Stato e per ridurre, al tempo stesso, la natura selettiva della misura dal momento che la scelta del beneficiario non predeterminata (Comunicazione della Commissione, Orientamenti comunitari relativi allapplicazione delle norme in materia di aiuti di stato in relazione allo sviluppo rapido di reti a banda larga, in GUUE C235/7 del 30 settembre 2009, par. 51) (22) Cfr. la Comunicazione della Commissione, Orientamenti comunitari relativi allapplicazione delle norme in materia di aiuti di stato in relazione allo sviluppo rapido di reti a banda larga, in GUUE C235/7 del 30 settembre 2009, par. 22. LEGISLAZIONE ED ATTUALITA 237 di concorrenza (23). Quindi, muovendo dalla premessa per cui, nella larga maggioranza dei casi, le misure statali in tali aree comportano aiuti di Stato, la Commissione procede ad illustrare i casi in cui ci non avviene, riportandosi essenzialmente alla prassi decisionale sviluppatasi nellapplicazione del criterio dellinvestitore privato in economia di mercato (cd. market economy investor principle; MEIP) e dellart. 106(2) TFUE (24). Secondo tale impostazione, il criterio guida per escludere la presenza di aiuti di stato nellipotesi di costituzione di una societ mista con una partecipazione statale valutare se i capitali [siano] messi a disposizione di unimpresa, direttamente o indirettamente, da parte dello Stato, in circostanze che corrispondono alle normali condizioni del mercato (25). Tale posizione assume invero significato in relazione alla previsione di instaurare forme di PPP per la realizzazione di progetti infrastrutturali in zone caratterizzate da un divario digitale e che presentano unassenza di prospettive di ritorno economico (26). La Commissione mostra di ritenere soddisfatto il criterio dellinvestitore privato - e di ammettere, quindi, la possibilit per unimpresa a composizione mista (con uno o pi partner privati) di avvalersi della partecipazione statale - qualora siano presenti determinate condizioni. Queste ultime devono essere tali da indicare, in maniera precisa e univoca, che lapporto di capitale pubblico in unimpresa abbia luogo in circostanze che sarebbero accettabili per un operatore razionale e avveduto in economia di mercato. Ci comporta, peraltro, che le motivazioni dello Stato o dellente pubblico che effettua linvestimento devono essere essenzialmente commerciali ed estranee a qualsiasi obiettivo di politica industriale, economica o sociale (27). (23) Orientamenti, cit. par. 9. (24) La Commissione afferma, con riferimento al MEIP e alla decisione Citynet, che la conformit di un investimento pubblico con le condizioni di mercato va dimostrata in modo accurato ed esaustivo, in virt di una partecipazione significativa di investitori privati oppure dellesistenza di un solido piano dattivit che mostri un utile adeguato sul capitale investito. Quando investitori privati partecipano a un progetto, la conditio sine qua non che questi si assumeranno il rischio commerciale connesso allinvestimento alle stesse condizioni e negli stessi termini dellinvestitore pubblico (Orientamenti, par. 19). La decisione Citynet (n. C 53/2006 del 11 dicembre 2007) riguardava la decisione del comune di Amsterdam di investire nello strato passivo della rete insieme a due investitori privati e a cinque societ di edilizia popolare. Linfrastruttura passiva era di propriet di un soggetto giuridico separato preposto alla gestione, il quale era controllato per un terzo dal comune di Amsterdam, per un terzo da due investitori privati (ING Real Estate e Reggefiber) e per la rimanente quota azionaria dalle societ di edilizia popolare. (25) Orientamenti, par. 18. (26) In una delle prime decisioni di incompatibilit, la Commissione mostra di non ritenere applicabile il criterio dellinvestitore di mercato nel caso in cui lintervento statale si giustifica in ragione delle scarse o ridotte prospettive di remunerazione dellinvestimento. Cfr. la decisione del 19 luglio 2006, nel caso C 35/2005, Broadband development in Appingedam. (27) Ne discende che la struttura e le prospettive future della societ nella quale si effettua linvestimento devono esser tali da far prevedere entro un lasso di tempo ragionevole una redditivit che 238 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 Ripercorrendo la prassi decisionale in materia di MEIP, va escluso che lintervento delle autorit pubbliche nel capitale di unimpresa, sotto qualsiasi forma, abbia natura di aiuto di Stato, ai sensi e per gli effetti dellart. 107 TFUE, se risulta che, in circostanze analoghe, un investitore privato di dimensioni paragonabili a quelle degli enti che gestiscono il settore pubblico avrebbe effettuato conferimenti di capitali di simile entit, tenuto conto in particolare delle informazioni disponibili e degli sviluppi prevedibili alla data dei detti conferimenti. In altre parole, per stabilire se lo Stato abbia adottato o no il comportamento di un investitore avveduto in uneconomia di mercato, occorre porsi nel contesto dellepoca in cui sono state adottate le misure di sostegno finanziario, al fine di valutare la razionalit economica del comportamento dello Stato, e astenersi da qualsiasi valutazione fondata su una situazione successiva (28). Secondo la giurisprudenza, si invece in presenza di un aiuto di Stato qualora lintervento in questione anche se, in ipotesi, destinato ad investimenti produttivi (29) prescinda da qualsiasi prospettiva di redditivit, anche a lungo termine, e pertanto un ipotetico investitore privato non lo avrebbe avviato (30). La Corte ha anche chiarito che il comportamento dellipotetico investitore privato, al quale devessere raffrontato lintervento dellinvestitore pubblico, non necessariamente quello del comune investitore che colloca capitali in funzione della loro capacit di produrre reddito a termine pi o meno breve, potendo esso corrispondere anche a quello di una holding privata o di un gruppo imprenditoriale privato che persegue una politica strutturale, globale o settoriale, guidata da prospettive di redditivit a pi lungo termine (31). potr essere considerata normale se paragonata ad unanaloga impresa interamente privata. Lipotetico investitore privato operante nelle normali condizioni di una economia di mercato fornir di norma capitale di rischio se il valore attuale netto dei flussi di cassa attesi dallinvestimento progettato (Si tratta dei flussi di cassa futuri scontati in base al costo marginale dei prestiti o al costo del capitale per limpresa: Orientamenti aviazione, nota 28), che spetteranno allinvestitore in forma di dividendi e/o di incrementi di capitale, debitamente corretti per tener conto del rischio, superiore al costo del nuovo apporto. (28) Sentenza della Corte 16 maggio 2002, Francia/Commissione (Stardust Marine), causa C- 482/99, Racc. pag. I-4397, punti 68, 70 e 71. La Corte ha concluso che la Commissione aveva fatto unerronea applicazione del MEIP in quanto la decisione controversa, annullata, non recava alcuna indicazione relativa al carattere avveduto o meno delle misure di finanziamento in esame nel contesto dellepoca, sulla base degli elementi disponibili in ciascuno degli anni rilevanti, che tenesse conto, in particolare, della situazione finanziaria della Stardust, della sua posizione sul mercato in quanto societ in fase di avvio, nonch delle prospettive di evoluzione di tale mercato. (29) Sent. 3 ottobre 1991, Italia/Commissione (Aluminia e Comsal), causa C-261/89, Racc. pag. I-4437, punto 9. (30) Come nel caso di un conferimento di capitale pubblico a favore di imprese fortemente indebitate (in misura ben superiore al fatturato) e che avevano subito perdite continue e rilevanti durante il periodo immediatamente precedente [sent. Italia/Commissione (Aluminia e Comsal), cit., punti 10- 14]); ovvero nel caso di un conferimento di capitale pubblico destinato soltanto, in assenza di una piano di ristrutturazione dellimpresa beneficiaria in perdita, ad azzerare i suoi debiti per assicurarne la sopravvivenza [sent. 21 marzo 1991, Italia/Commissione (Alfa Romeo), causa C-305/89, Racc. pag. I- 1603, punto 22]. LEGISLAZIONE ED ATTUALITA 239 Per quanto riguarda pi specificamente lipotesi della costituzione di una nuova impresa con la partecipazione di uno o pi partner privati, la Commissione esclude la sussistenza di un aiuto qualora constati che risultano soddisfatte le condizioni seguenti: i) linvestimento degli operatori privati ha un rilevanza economica effettiva; ii) linvestimento effettuato da tutte le parti contemporaneamente; iii) le condizioni dellinvestimento sono identiche per tutti gli azionisti; iv) non sussistono altri rapporti tra lo Stato, gli investitori privati e il beneficiario al di fuori dellinvestimento in questione, tali da far dubitare che la semplice parit delle condizioni di investimento sia sufficiente ad assicurare il rispetto del MEIP, e v) il piano aziendale della societ di nuova costituzione appare solido e tale da rendere credibile un rapporto vantaggioso tra i rischi inerenti allinvestimento e il prevedibile ritorno dello stesso (32). Soffermandosi ulteriormente su tali requisiti, merita rilevare che il riferimento alla rilevanza economica effettiva della partecipazione privata all'investimento complessivo e allanalogia delle condizioni alle quali linvestimento privato e quello pubblico devono essere effettuati - sub i) e iii) -, devessere valutata in termini sia assoluti sia relativi. Ne consegue che linvestimento privato deve rappresentare una porzione significativa dellinvestimento totale e, allo stesso tempo, costituire un apporto rilevante in relazione alla potenza finanziaria del singolo investitore. La condizione risulta indubbiamente soddisfatta nel caso in cui linvestimento sia sostenuto equamente dalle parti pubblica e privata (50-50%), ma un simile rapporto non costituisce un requisito indispensabile per escludere che il MEIP sia rispettato. La Commissione si infatti pi volte pronunciata nel senso della conformit al MEIP di acquisizioni da parte di privati di partecipazioni al capitale minoritarie (33), nella misura in cui gli altri criteri risultavano soddisfatti. Nellambito della costituzione di una societ a partecipazione pubblicoprivata, attiva nello sviluppo delle infrastrutture necessarie alla realizzazione di nuove reti di accesso, si pu quindi prevedere che il conferimento da parte del partner tecnologico delle proprie infrastrutture di accesso (cavidotti e fibra) (31) Sent. 14 settembre 1994, Spagna/Commissione, causa C-42/93, Racc. pag. I-1475, punti 12-14. (32) Ex multis, decisione C 53/06 (ex N 262/05) Paesi Bassi (Citynet Amsterdam), par. 89; nonch le decisioni EC/2006/621, on the State aid implemented by France for France Tlcom (GU L 257, 20 settembre 2006, pp. 11-67) e la Comunicazione della Commissione 93/C 307/03 sullapplicazione degli articoli 92 e 93 del Trattato CEE alle imprese pubbliche nel settore industriale (GU C 307, 13 novembre 1993, p. 3, par. 2). Sul punto, vedi anche NORBERT GAL, LAMBROS PAPADIAS and ALEXANDER RIEDL, Citynet Amsterdam: an application of the Market Economy Investor Principle in the electronic communications sector, in Competition Policy Newsletter, 2008/1. (33) Cfr. le decisioni della Commissione del 17 agosto 2000, N 233/2000 Italia (Terme di Castrocaro S.p.A.), in cui la partecipazione privata allinvestimento era pari al 36%; e del 13 marzo 2000, N 132/99 Italia (Parco Navi S.p.A.), in cui lintervento in questione prevedeva lacquisto da parte del privato di una partecipazione di minoranza del 42%. V. anche Citynet Amsterdam, cit., in cui lapporto degli investitori privati era pari al 33%, mentre il resto dellinvestimento proveniva direttamente o indirettamente da risorse pubbliche. 240 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 o del loro diritto di utilizzo possa essere qualificato, nel quadro dellinvestimento complessivo, un apporto di significativa rilevanza economica sia in termini assoluti che in termini relativi, pur non dovendosi necessariamente giungere ad un valore pari al 50% del valore totale. Inoltre, le quote di partecipazione nella societ veicolo dovranno riflettere le percentuali del contributo delle parti nellinvestimento; analoga ripartizione dovr essere rispettata anche nelle previsioni relative alla divisione degli utili o allattribuzione dei diritti di voto e altri diritti sociali. Con riferimento alla condizione sub ii) relativa alla simultaneit degli investimenti pubblico e privato, essa pu dirsi soddisfatta anche in presenza di pre-investimenti a carico della sola parte pubblica, purch siano di entit limitata e sia prevista una ripartizione successiva di tali oneri tra tutti gli investitori coinvolti. Nella specie, il rispetto del MEIP non sarebbe dunque escluso nel caso in cui, ad esempio, in via preliminare, lente pubblico proceda ad effettuare studi di fattibilit in vista della costituzione della societ e della costruzione della rete, a fronte di un successivo rimborso della parte privata (proporzionale alla propria quota nellinvestimento) delle spese di pianificazione eventualmente sostenute. Da ultimo, la Commissione mostra di attribuire grande rilevanza, nella valutazione del rispetto del MEIP nei casi di costituzione di una nuova societ mista, alla solidit del suo business plan (sub v) supra). A tal fine, il documento di pianificazione dovr essere predisposto in maniera accurata, giustificando fondatamente le credibili probabilit di un ritorno dellinvestimento nel lungo termine per lente investitore, s da giustificare linvestimento anche per un ipotetico operatore di mercato che agisca sulla base di mere considerazioni commerciali (34). A tale proposito, leventuale previsione delluscita dellente pubblico dallazionariato della societ mista, a una data predeterminata ex ante, costituirebbe oggetto di scrutinio rigoroso. Tempi e modalit di tale uscita dovrebbero comunque essere tali da consentire allinvestitore pubblico un adeguato profitto a fronte dellingente investimento realizzato, fermo restando che anche la vendita della partecipazione della PAT dovr aver luogo a condizioni di mercato (35). (34) E pertanto verosimile che, in caso di notifica, la Commissione procederebbe ad analizzare in dettaglio gli indicatori finanziari, il tasso di penetrazione, i prezzi praticabili per lo sfruttamento dellinfrastruttura, i costi dellinvestimento nonch il valore residuo della rete (cfr. la decisione Citynet Amsterdami, sup. cit.). (35) Cfr., ad esempio, la decisione 14 ottobre 2004, N 342/2004 Italia (Sviluppo Italia S.p.A./Valle del Leo S.p.A.), concernente la sottoscrizione di un prestito obbligazionario convertibile e lacquisizione di una partecipazione di minoranza (20%, con un investimento di 1.500.000) da parte di Sviluppo Italia nella societ Valle del Leo; per lintervento di Sviluppo Italia era prevista una durata limitata (2005-2010), con la previsione di un meccanismo di garanzia (mandato a vendere o pegno) per assicurare il riacquisto della partecipazione detenuta da Sviluppo Italia da parte degli azionisti privati di maggioranza (La par- LEGISLAZIONE ED ATTUALITA 241 3.2. Lintervento pubblico come rimedio al divario digitale La Commissione ha, poi, avuto modo di precisare come, a determinate condizioni, gli aiuti di Stato possano rappresentare strumenti efficaci per realizzare obiettivi di interesse economico generale. In particolare, con il sostegno statale possibile adottare misure correttive finalizzate a correggere i fallimenti del mercato, a migliorare il funzionamento dei mercati, nonch a rafforzare la competitivit. In particolare, un intervento pubblico finalizzato allo sviluppo e al rafforzamento della banda larga ed ultra larga potrebbe favorire la riduzione del divario digitale tra le diverse aree, andando a incidere sulla situazione di sottosviluppo presente in talune zone marginali di un territorio. Ci, peraltro, si inserisce nel contesto delle politiche comunitarie relative ai fondi strutturali. Ai fini del perseguimento di una comune politica di digitalizzazione delle aree territoriali arretrate, previsto lo stanziamento di specifici fondi europei e nazionali (36). Tra questi, degno di rilievo lo stanziamento di fondi nazionali mediante il Fondo Aree Sottoutilizzate (FAS), previsto dalla legge n. 433 del 21 dicembre 2001, finalizzati alla realizzazione di interventi nelle aree sottoutilizzate (37). Tali disponibilit dovranno essere veicolate attraverso una politica regionale nazionale che assicuri da un lato, lequa ripartizione dei fondi in maniera proporzionale alle necessit delle varie aree, dallaltro, un adeguato impulso allattuazione degli interventi strutturali mediante linserimento degli stessi in programmazione e la compartecipazione con fondi privati. A tal fine un ruolo particolarmente incisivo dovrebbe essere ricoperto tecipazione sar temporanea. previsto un sistema di way-out che consiste nellesercizio di una put option da parte di Sviluppo Italia e nella concessione di una call option ai soci di maggioranza, assoggettate alle condizioni descritte di seguito. [La put option] esercitabile da parte di Sviluppo Italia dal 1 gennaio 2010 al 31 dicembre dello stesso anno, mediante il riacquisto della partecipazione da parte dei soci di maggioranza, ad un valore parametrato al patrimonio netto certificato alla fine del quinto anno di permanenza di Sviluppo Italia nel capitale di Valle del Leo. Il valore di riacquisto sar compreso tra un floor, pari al valore di esborso maggiorato di interessi calcolati allEuribor 6 mesi + 2%, ed un cap, pari al valore di esborso maggiorato di interessi calcolati allEuribor 6 mesi + 5,5% (attualmente il 7,7% circa). Le autorit italiane hanno garantito che il floor non sar mai inferiore al tasso di riferimento UE (attualmente il 4,43% per il 2004). Questi tassi risultano coerenti con il tasso di rendimento interno (IRR) previsto, corrispondente a circa il 5,3% annuo. [La call option] esercitabile da parte dei soci di maggioranza dal 1 gennaio 2009 al 31 dicembre dello stesso anno, ad un prezzo pari al valore di esborso di Sviluppo Italia maggiorato dellEuribor 6 mesi + 5,5 punti percentuali). (36) Cfr. lart. 1, par. 2, del Regolamento CE 473/2009/CE, che definisce le modalit di impiego dei fondi sul sostegno allo sviluppo rurale, nellambito del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR). Vedi, al riguardo, anche la Commissione europea, Agenda digitale: le ricadute pratiche delle misure adottate dalla Commissione per diffondere la banda larga veloce e ultraveloce in Europa, comunicato stampa, MEMO/10/426, Bruxelles, 20 settembre 2010. (37) Attuato con delibera CIPE n. 121/2001 del 21 dicembre 2001, con cui vengono definiti i piani di investimenti ripartiti in base agli operatori coinvolti, successivamente rimodulati con delibera CIPE n. 17/2003, del 9 maggio 2003. 242 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 dagli accordi di programma quadro come strumenti attuativi delle Intese istituzionali di programma. Nellambito del proprio accordo di programma, le Regioni potranno indicare gli interventi da attuare e le risorse finanziarie occorrenti con la specifica previsione delle risorse reperite da fondi privati mediante gli strumenti di partenariato pubblico-privato. Sar, poi, compito degli enti locali territoriali bandire gli avvisi e le gare per la ricerca di partner privati. Al riguardo, opportuno evidenziare che per evitare uneccessiva parcellizzazione delle reti locali sarebbe consigliabile creare degli ambiti territoriali di riferimento per consociare mediante protocolli dintesa pi enti facenti parte del medesimo ambito territoriale. La Commissione, peraltro, ha provveduto alla valutazione circa la compatibilit dei progetti pubblici con i principi normativi, prestando maggiormente attenzione allarea territoriale su cui insistono i progetti medesimi. In particolare, la Commissione ha distinto tra vari tipi di aree potenzialmente interessate in funzione del livello di connessione a banda larga gi disponibile, individuando aree in cui operano almeno due fornitori di servizi di rete a banda larga, ossia le c.d. aree nere, dove lintervento statale non appare necessario; aree in cui mancano del tutto le infrastrutture a banda larga e non si prevede verranno sviluppate nel medio termine, dette anche aree bianche, dove lintervento pubblico rappresenta uno strumento in grado di promuovere la coesione economica e sociale territoriale e di correggere i fallimenti del mercato (38); ed, infine, le aree grigie caratterizzate dalla presenza di un unico operatore di rete a banda larga, per le quali la Commissione precisa che necessaria una approfondita analisi volta ad accertare se laiuto sia necessario a causa di un fallimento del mercato o di altre circostanze particolari prevedendo, quindi, unattenta valutazione della compatibilit (39). (38) Si tratta di aree momentaneamente sprovviste di reti NGA nelle quali improbabile che nel futuro prossimo (successivi 3 anni) operatori privati provvederanno a crearle. In queste aree i servizi a banda larga possono essere: i) assenti, ii) erogati da un solo fornitore, iii) erogati da una pluralit di fornitori. In queste aree per essere legittimo un aiuto deve rispettare le seguenti due condizioni: (a) i servizi a banda larga esistenti non siano in grado di soddisfare pienamente la domanda di utenti residenziali e commerciali dellarea; (b) tale obiettivo non possa essere raggiunto tramite regolazione ex-ante (Orientamenti, par. 43). (39) Cfr. gli Orientamenti, parr. 41-46, che riprendono una modulazione dellintervento pubblico basata su cluster geografici gi invalsa nella prassi della Commissione (cfr. PAPADIAS, RIEDL e WESTERHOF, Public funding for broadband networks, in Competition Policy Newsletter, 3/2006, pag. 13). Nella specie, gli investimenti in banda larga si inseriscono nello spirito della strategia di Lisbona sulla promozione della crescita europea: Limportanza strategica della banda larga consiste nella sua capacit di accelerare il contributo di queste tecnologie alla crescita e allinnovazione in tutti i comparti economici nonch alla coesione sociale e regionale.[] Il piano di ripresa intende, in particolare, dare impulso agli investimenti europei in determinati settori strategici, tra cui quello della banda larga, in modo da sostenere leconomia nel breve termine e creare, nel lungo termine, le infrastrutture essenziali per una crescita economica sostenibile. LEGISLAZIONE ED ATTUALITA 243 La suddivisione del territorio in aree caratterizzate da un diverso grado di copertura infrastrutturale e da diversa accessibilit allofferta di servizi a banda larga e larghissima, necessariamente, per, richiede lattuazione di una specifica analisi di compatibilit di eventuali forme di cooperazione pubblicoprivato al fine di consentire anche unadeguata pianificazione degli investimenti. Infatti, le norme comunitarie in materia di aiuti di Stato riconoscono la possibilit di forme di collaborazione tra operatori pubblici e privati proprio al fine di contribuire allo sviluppo economico delle aree interessate ed alla coesione sociale, senza, per, alterare le regole tipiche di un mercato competitivo. Tuttavia, tale eventualit circondata da cautele procedurali e dalla necessit di unanalisi sostanziale approfondita, al fine di fugare il rischio, presente in special modo nelle cd. aree grigie, di spiazzamento e distorsione della concorrenza. In particolar modo, la Commissione mostra di prestare particolare attenzione ai seguenti elementi: - la mappatura dettagliata della copertura delle reti esistenti; - laggiudicazione mediante una gara di appalto a procedura aperta, in presenza della quale i partecipanti ricevono un trattamento equo e non discriminatorio; - ladozione di un adeguato criterio di selezione delle offerte, quale quello dellofferta economicamente pi vantaggiosa, in modo da limitare in sede di competizione per il mercato il livello del sussidio verso il basso; - lorientamento del progetto secondo il principio di neutralit tecnologica, senza penalizzare alcuna delle possibili infrastrutture attraverso le quali i servizi a banda larga possono essere offerti e lasciando la relativa scelta alle imprese partecipanti (40); - imporre restrizioni allutilizzo dellinfrastruttura, sub specie di (i) obblighi di concedere accesso alla infrastruttura sovvenzionata ai terzi richiedenti, a condizioni eque e non discriminatorie (41) e (ii) controllo dei prezzi allingrosso praticati dal gestore dellinfrastruttura nei confronti degli operatori terzi richiedenti laccesso (42); (40) Naturalmente, qualora esigenze oggettive, connesse alla concreta natura del servizio richiedono ladozione di una particolare tecnologia, questultima assumer il ruolo di tecnologia necessaria per conseguire gli obiettivi del progetto (vedi, ad esempio, il caso N222/2006, Italia Piano di azione per il superamento del digital divide in Sardegna, par. 45). Allo stesso modo, qualora siano presenti infrastrutture esistenti, pu essere opportuno prevedere che le offerte si basino su queste ultime, al fine di evitare una duplicazione delle stesse. (41) Si tratta di un elemento essenziale, per la valutazione della compatibilit del progetto: il carattere aperto della rete evita effetti di foreclosure, stimolando una concorrenza basata sui servizi offerti al consumatore finale. La Commissione mostra di ritenere adeguato un regime di accesso di durata pari ad almeno sette anni (cfr. Orientamenti, par. 51, lett. f). (42) Ci dovrebbe avvenire in base ad un meccanismo di parametrazione rispetto ai prezzi medi 244 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 - previsione di meccanismi di rimborso in corso di esecuzione, per eliminare la presenza di eventuali sovra compensazioni, che possono costituire illegittimi aiuti di Stato. Cos inquadrate, le iniziative di PPP possono apportare concreti benefici in termini di rischio, di costi, nonch di stabilit del progetto a lungo tempo, minimizzando limpatto anti-concorrenziale collegato alla presenza dellinvestitore pubblico. In tal modo, sembra che il ricorso a forme di cooperazione tra pubblico e privato consentirebbe di predisporre infrastrutture di rete nei casi in cui i costi particolarmente ingenti non potrebbero essere sostenuti dal solo operatore privato. Si potrebbe addirittura considerare indispensabile, poi, lintervento pubblico alla presenza di un fallimento del mercato, in quanto necessario sia nella promozione che nello stimolo dei progetti, sia nel coordinamento degli stessi, considerato che in tali ipotesi inevitabile la sussistenza di uno scarso interesse dei privati ad intervenire. Inoltre, la distribuzione delle competenze tra i partner pubblico-privato, consentirebbe al soggetto pubblico di realizzare unopera e di offrire un servizio pubblico o di pubblica utilit attraverso lo sfruttamento delle capacit di gestione e delle efficienze proprie del settore privato, nonch attraverso la razionalizzazione della spesa pubblica. 4. Un caso concreto di innovazione e trasformazione nella Provincia autonoma di Trento La Commissione Europea nella Comunicazione Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, intende promuovere la conoscenza e l'innovazione come strumenti per lo sviluppo dellintera collettivit ed, a tal fine, si posta come obiettivo prioritario la diffusione delle nuove tecnologie finalizzate ad una pi ampia diffusione dell'informazione e della comunicazione nei vari paesi europei. In linea con lorientamento comunitario il progetto predisposto ed in parte attuato dalla Provincia autonoma di Trento, che sinserisce nel pi ampio e complesso Programma di sviluppo provinciale per la XIV legislatura e diretto a stimolare lo sviluppo delle infrastrutture e dei servizi ITC (43). Lintento della provincia di Trento quello di realizzare una rete di comunicazione elettronica attraverso la diffusione della banda larga ed ultralarga praticati in altre aree comparabili o su quelli praticati dalla autorit di regolazione. Si tratta di una importante garanzia diretta a limitare fenomeni di comportamenti anticoncorrenziali basati sui prezzi, quali predatoriet e compressione dei margini. (43) Il Programma, disponibile alla pagina internet della Provincia (http://www.giunta.provincia.tn.it/binary/ pat_giunta_09/XIV_legislatura/PSP_per_la_XIV_legislatura.1269607442.pdf), si propone di promuovere uno sviluppo locale duraturo e sostenibile elaborando in un quadro organico e coerente, strategie e azioni innovative di natura strutturale. LEGISLAZIONE ED ATTUALITA 245 da porre a servizio delle amministrazioni provinciali, delle amministrazione pubbliche locali, dell'azienda sanitaria, dell'universit degli studi, degli istituti di ricerca locali, nonch delle imprese e del cittadino. Il dipartimento ICT della Provincia autonoma di Trento ha ribadito che lobiettivo quello di trasformare il Trentino nel territorio dellinnovazione e permettere a tutti i cittadini ed alle imprese di trarne i benefici (44). Il progetto, che prevede lattuazione di tre fasi, si caratterizza per il coinvolgimento dellintervento privato, in particolare, di Telecom Italia che ha utilizzato il Trentino come area di sperimentazione della diffusione della fibra ottica a vantaggio dei singoli utenti, facendosi carico dellinvestimento. Inoltre, tale intervento si ritenuto possibile perch in questa provincia esiste gi un anello in fibra di circa 50 kilometri, che raggiunge 40 utenze pubbliche ed alcune imprese di notevole dimensioni (45). Le fasi in cui si articoler prevedono, in primo luogo, un intervento rapido per ridurre il digital divide di prima generazione, consentendo alla gran parte della popolazione un collegamento ad internet con velocit fino a 2 Mbps in modalit wireless su frequenza non licenziate (46) . Quindi, entro il 2012, il programma prevede l obiettivo di fornire al 100% della popolazione un accesso alla rete in grado di sostenere un collegamento con velocit almeno di 20 Mbps. Infine, si dispone il passaggio ad una rete di accesso di nuova generazione, mediante la predisposizione di collegamenti in fibra ottica fino a casa dellutente, dandosi come ulteriore obiettivo quello di rendere disponibile al 100% della popolazione e delle imprese del proprio territorio una rete a banda ultra-larga in fibra ottica entro il 2018 in esecuzione di quanto gi previsto dagli artt. 19 e 19.1 della L.P. 15 dicembre 2004 n. 10. Lambizioso progetto, che necessita inevitabilmente un piano di investimento pluriennale, ha indotto la Provincia ad operare uno studio di pre-fattibilit al fine di individuare le opere di infrastruttura da realizzare ed i casi in cui sia possibile il riutilizzo delle infrastrutture preesistenti ed utilizzate per altri sotto-servizi (illuminazione pubblica, reti elettriche ...). Sulla base di detto studio, emerso che la provincia di Trento si compone di aree a profittabilit medio-bassa e di aree sicuramente a bassa profittabilit (a fallimento di mercato) per cui, considerato linteresse allavvio del processo di digitalizzazione e linteresse a ridurre i costi ed i tempi di sviluppo della (44) Fonte: Trento punta su Internet in tutte le case, Corriere delle Comunicazioni, 5 novembre 2010. (45) Tale anello sar oggetto di ulteriore sviluppo. Nel 2011 si prevede, infatti, il completamento di una dorsale di circa 770 kilometri. Fonte: Trento punta su Internet in tutte le case, Corriere delle Comunicazioni, 5 novembre 2010. (46) Fonte: Trento guarda avanti: la banda ultra.larga arriver in tutte le case, Finanza e Mercati, 5 novembre 2010. 246 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 rete NGA, lunica soluzione effettivamente adottabile riconducibile a forme di co-investimento, soprattutto, per le aree c.d. a media profittabilit. Pertanto, la Provincia ha promosso la costituzione di una societ a capitale misto pubblico-privato; nello specifico, la NewCo assumer la forma di S.r.l. uni personale e, successivamente, sar aperta alla partecipazione di altri operatori. Nelle aree identificate come a bassa profittabilit, ovvero quelle soggette a divario digitale, nelle quali manca un reale interesse allinvestimento da parte delloperatore privato, la Provincia ha costituito la societ Trentino Network, gi impegnata nella realizzazione delle infrastrutture di rete. La NewCo sar a partecipazione maggioritaria della Provincia o comunque sottoposta ad influenza dominante della Provincia, almeno nella fase di infrastrutturazione, al fine di garantire il rispetto della prerogativa dellintervento pubblico nel raggiungimento degli obiettivi prefissati (sia in termine di copertura del territorio sia delle tempistiche di realizzazione) e di massimizzare la capacit di raccolta sul mercato delle risorse tecnico-economiche necessarie alla realizzazione del progetto. Atteso che la costituzione della Newco tra Telecom Italia e Provincia autonoma di Trento consentirebbe a Telecom di partecipare a un investimento che essa non avrebbe effettuato da sola e di essere coinvolta nella creazione della prima rete a larghissima banda in Italia, la misura stata notificata alla Commissione, la quale ha autorizzato lintervento, ritenendolo compatibile con le norme in materia di aiuti di Stato (47). Di interesse , inoltre, il parere espresso dallAgCom nellambito del suddetto procedimento di autorizzazione dellintervento. Come previsto dagli Orientamenti, infatti, una delle condizioni di realizzabilit di investimenti infrastrutturali mediante il finanziamento pubblico rappresentata dalla definizione delle regole che disciplinino laccesso alla rete in via di realizzazione, chiedendo alle autorit nazionali di regolamentazione di approvare o stabilire le condizioni di accesso in forza della normativa comunitaria applicabile. Ci, in particolare, consentir agli Stati membri di garantire lapplicazione di condizioni di accesso uniformi o almeno molto simili su tutti i mercati della banda larga individuati dalla competente autorit nazionale di regolamentazione (48). LAgCom, nel proprio parere, ha cos proceduto a definire le condizioni di accesso alla rete delloperatore beneficiario. Si tratta, allo stato, di una re- (47) Cfr. la decisione della Commissione del 16 novembre 2010, N305/2010 Riduzione del divario digitale in Trentino. (48) Cfr. gli Orientamenti, cit., par. 79. Ci richiesto, si ricorda, per gli interventi che riguardino le aree cd. grigie, in cui esiste, sebbene in misura ridotta, un livello di investimento privato nella fornitura di accessi a banda larga (vedi supra par. 3). LEGISLAZIONE ED ATTUALITA 247 golamentazione limitata al caso di specie e, condizionata alla definizione del quadro generale di disciplina dellaccesso alle reti NGN. In particolare, linfrastruttura realizzata conformemente a quanto previsto dagli Orientamenti e dalla Raccomandazione NGN dovr essere accessibile anche agli operatori non aggiudicatari, mediante il diritto di utilizzo delle condotte e delle altre infrastrutture civili, al fine di accedere ai segmenti attivi e passivi della rete. A ci si aggiunga, in linea con la Delibera AgCom n. 731/09/CONS, la previsione necessaria di forme di accesso bitstream alla rete (49). 5. Il finanziamento pubblico delle reti informatiche a banda larga e la disciplina degli aiuti di Stato: alcune considerazioni Come osservato, la tematica della realizzazione delle infrastrutture NGN, si pone sullo sfondo della disciplina della concorrenza e, in particolare, di quella relativa alle regole applicabili agli aiuti di Stato, presentando, inoltre, profili di sovrapposizione con la disciplina relativa allesecuzione e agli appalti di opere pubbliche (50). Al riguardo, occorre precisare come, in linea di principio, il finanziamento pubblico di infrastrutture generali non costituisce una misura di sovvenzione statale, proibita ai sensi degli art. 107(1) TFUE. Si tratta, infatti, di una misura che non conferisce un vantaggio specifico e diretto ad un particolare operatore (51); ci vale, nello specifico, nel caso in cui si tratti di una infra- (49) Cfr. Allegato B alla delibera n. 1/11/CONS dell11 gennaio 2011, par. 2.5. (50) Si tratta della legislazione adottata a livello comunitario (e recepita a livello nazionale nel Codice dei Contratti Pubblici) per disciplinare lacquisto di beni e servizi da parte delle pubbliche amministrazioni e che si fonda sulle regole relative alla libera circolazione dei servizi e alla libert di stabilimento. Nello specifico, i testi chiave sono rappresentati dalla direttive CE 2004/18 e 2004/17. Cfr., al riguardo, GAROFOLI, SANDULLI, Il nuovo diritto degli appalti pubblici nella direttiva 2004/18/CE e nella legge comunitaria 62/05, Milano 2005. (51) Ci sono numerose sentenze delle Corti europee che hanno fatto luce sul significato di vantaggio economico nellambito dellart. 107(1) TFUE. Gli interventi dello stato attraverso sussidi o misure equivalenti creano un vantaggio economico quando le imprese ricevono benefici gratuiti che non riceverebbero altrimenti in base alle normali condizioni di mercato (cfr. le sentenze SFEI, C-39//94 e Linde, T-98/00). I benefici cruciali in questo contesto sono quelli che procurano sgravi fiscali dai costi che normalmente dovrebbero derivare dalle imprese stesse. Questi costi sono inerenti alle loro attivit economiche (sentenza GEMO, C-126/01) ed escludono le sovvenzioni ma includono le spese scaturite dalla conformit con le leggi, disposizioni ed obbligazioni contrattuali (v. la decisione della Commissione N2004/125 sullo sviluppo dei finanziamenti a Berlino). Lo sgravo di costi anormali causato dallo stato stesso non una sovvenzione statale. Come spiegato dal CFI nel caso Combus (T-157/01), lArticolo 87(1) proibisce meramente i vantaggi economici per alcune imprese ed il concetto di sovvenzione riguarda solo le misure che alleggeriscono il peso normalmente ipotizzato sul budget di unimpresa e che sono considerate come vantaggi economici che limpresa ricevente non avrebbe ottenuto a condizioni di mercato normali. Lo Stato, in particolare, pu ridurre il normale costo delle imprese non solo con sussidi immediati o sovvenzioni che compensano in tutto o in parte questi costi, ma anche non ricevendo interamente ci che le imprese gli devono. Lo Stato potrebbe anche conferire un vantaggio economico non solo riducendo il normale costo delle imprese, ma permettendo anche loro di coprire quei costi con un ricavo che supera la tariffa o la percentuale che sarebbe stata possibile alle condizioni 248 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 struttura aperta a tutti i potenziali utilizzatori su base di parit e non discriminazione (52). Situazione differente quella del finanziamento pubblico di infrastrutture specifiche per lutente, giacch normalmente conferiscono un vantaggio economico e competitivo ad alcune imprese e sono considerate una forma di aiuto di Stato (53). Comunque, nella pratica, non cos facile distinguere tra infrastrutture generali e infrastrutture specifiche per lutente, specialmente quando la prima inserita nella seconda (54). Inoltre, le infrastrutture sono sempre pi costruite nella forma di societ pubblico-private e mediante accordi attraverso cui lo Stato mantiene la propriet dellinfrastruttura assegnando la gestione alle imprese. pertanto rilevante individuare entro quali limiti, tali modalit di finanziamento sono soggette alle regole sugli aiuti di Stato. Lapproccio della Commissione, quale si affermato progressivamente nellanalisi di progetti statali di sovvenzione alla realizzazione di infrastrutture a banda larga, mostra che listituzione comunitaria non considera le reti di comunicazioni in questione quali infrastrutture di utilizzo generale e procede ad unattenta e approfondita valutazione della misura (55). In tal senso, la Commissione ritiene che le reti di comunicazione a banda larga rappresentano uninfrastruttura user-specific che il mercato capace di offrire e che mirano di mercato (vedi il caso C-64-98 che riguarda i contrati tra lo Stato italiano e lIstituto Poligrafico e Zecca dello Stato che forniva una remunerazione superiore alle normali tariffe del mercato). Il reddito non solo accresciuto artificialmente quando i sussidi pubblici aumentano la domanda del prodotto di una particolare impresa (vedi la Decisione della Commissione 2005/351 Spain - Intermed Aerea). In altre parole, ci sono due possibilit con cui lo Stato permette alle imprese di evitare la disciplina imposta dal mercato. Lo Stato, infatti, o riduce i loro costi o ne aumenta i ricavi, andando oltre a ci che sarebbe possibile alle condizioni del libero mercato. Nel secondo caso, lo Stato pu assegnare un vantaggio economico quando vende beni o servizi a prezzi maggiori del loro valore reale, quale dato dal mercato, o ad un volume che non riflette i suoi reali bisogni, cosicch aumenta artificialmente la domanda di un prodotto (sentenza BAI v Commissione, T-14/96; e P&Q v Commissione, T-116-01). (52) Cfr. la decisione della Commissione europea N478/2004 del 7 giugno 2006, Ireland State guarantee for capital borrowings. Sul tema, vedi anche ANESTIS, MAVROGHENIS, PSARAKI, Public funding of broadband services, in The European Antitrust Review, 2007, pag. 44 e ss.; KOENIG, KIEFER, Public funding of infrastructure projects, in ESTAL 4/2005, pag. 416 e ss.; PAPADIAS, RIEDL, cit.; TRIAS e KOENIG, A new sound approach to EC State Aid Control of Airport Infrastructure Funding, in ESTAL 3/2009, pag. 300 e ss. (53) Cfr. le decisioni della Commissione 2005/170 Propylene Pipeline from Rotterdam to the Ruhr e N2007/385 Ethilene Pipeline in Bavaria. (54) Il riferimento a quelle situazioni in cui linfrastruttura utilizzata tanto per finalit pubbliche, quanto private. , ad esempio, il caso di alcuni servizi allinterno delle aree aeroportuali (in particolare quelli relativi alla sicurezza del trafico aereo, controlli di polizia e dogana). Il principio guida, in tali situazioni, quello per cui il finanziamento di infrastrutture che perseguono una missione pubblica, non partecipando ad una attivit economica, non costituisce un aiuto di Stato. Cfr., al riguardo, la sentenze nei casi Enirisorse (C 237/04) e Areoports de Paris (T-128/98). (55) Si vedano ad esempio le decisioni N201/2006 Broadband in underserved territory in greece del 4 luglio 2006; N284/2005 Regional broadband programme: Metropolitan Area Networks (MAN) del 8 marzo 2006 e C 35/2005 Broadband development in Appingedam del 19 luglio 2006. LEGISLAZIONE ED ATTUALITA 249 a favorire un particolare tipo di operatori economici (56). Nel concreto apprezzamento del carattere di aiuto della misura, uno dei principali criteri che la Commissione impiega nellanalisi di una misura di aiuto che si sostanzia nella partecipazione pubblica ad un progetto di investimento realizzato tramite un modello di PPP rappresentata, come visto supra, dal principio dellinvestitore privato (MEIP ). In base a tale principio, lo Stato si comporta come un investitore privato e pertanto non assegna allimpresa alcun vantaggio illegittimo nel caso in cui persegua col proprio investimento unicamente uno scopo di profitto, ignorando altre considerazioni di carattere politico-sociale. Ci comporta, infatti, che limpresa che riceve il finanziamento non ottiene alcuna risorsa che non avrebbe potuto reperire altrimenti sul mercato. Tale impostazione consente di valorizzare non tanto lintervento pubblico di per s, ma nello specifico se, per il tramite dellintervento, limpresa ha ottenuto un risparmio di costi che non avrebbe potuto ottenere a normali condizioni di mercato (57). (56) Nel caso MAN, cit. sup., ribattendo largomento dellIrlanda che si fondava sulla natura generale della infrastruttura, la Commissione osserva che this would be the case of an infrastructure which is needed to provide a service that is considered as falling within the responsibility of the State towards the general public and is limited to meeting the requirements of that service. Moreover it should be a facility that is unlikely to be provided by the market because not economically viable and the way it is operated should not selectively favour any specific undertaking (il caso si riferiva a una misura finalizzata a sostenere una infrastruttura carrier-neutral su larga scala (fibre ottiche circolari) per permettere la fornitura di tubazioni, fibre scure, collocation space e servizi di comunicazione elettronica ad alta velocit ai gestori in Irlanda dove una tale infrastruttura libera, neutrale e a larga scala non era disponibile. La misura intendeva facilitare la fornitura dei servizi a banda larga al dettaglio e la concorrenza e, quindi, contribuire ad una serie di obiettivi politici e strategici per lIrlanda, sostenendo il suo sviluppo economico, sociale e rurale). Nello stesso senso, v. la decisione N213/2003 United Kingdom Project ATLAS del 20 luglio 2004. (57) La Commissione ha definito nella sua Comunicazione agli Stati membri del 17 settembre 1984, concernente la partecipazione delle autorit pubbliche nei capitali delle imprese (la Comunicazione; GUCE 9/1984), gli orientamenti generali in materia, secondo i quali non possono essere considerati aiuti di Stato i capitali messi a disposizione di unimpresa, direttamente o indirettamente, da parte dello Stato in circostanze che corrispondono alle normali condizioni di uneconomia di mercato. Come la Commissione ha avuto modo di chiarire, essa non tenuta, per poter accettare alla stregua di una normale operazione commerciale un programma dinvestimento finanziato dai pubblici poteri, a provare che esso sar redditizio al di l di ogni ragionevole dubbio. La Commissione non pu sostituirsi al giudizio ex ante dellinvestitore, ma deve stabilire con ragionevole certezza che il programma finanziato dallo Stato sarebbe accettabile per un investitore che opera in uneconomia di mercato (Applicazione degli articoli 92 e 93 del trattato CE e dellarticolo 61 dellaccordo SEE agli aiuti di Stato nel settore dellaviazione (GU 1994, C 350; gli Orientamenti aviazione), par. 26. La parte IV degli Orientamenti aviazione, intitolata IV. Comportamento dello Stato nella sua duplice veste di imprenditore e di erogatore di aiuti di Stato allimpresa di sua propriet, di carattere generale ed applicabile, mutatis mutandis, anche a settori produttivi diversi da quello del trasporto aereo. Peraltro, come stato chiarito nel caso Alitalia, la valutazione da parte della Commissione della questione se un investimento soddisfi oppure no il criterio dellinvestitore privato che opera in uneconomia di mercato implica una valutazione economica complessa, analogamente a quanto avviene quando essa esamina la compatibilit di una misura di aiuto con il mercato comune. Poich in tali casi la Commissione gode di un ampio potere discrezionale, il sindacato giurisdizionale delle sue decisioni, pur essendo in linea di principio completo per 250 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 In altre parole, il meccanismo del confronto competitivo assicura che, pur essendo destinataria di un intervento pubblico, limpresa in questione non riceve un vantaggio rispetto alle altre dirette concorrenti. A queste condizioni si assicura che prevale lazienda pi efficiente perch ha i costi minori o addebita i costi minori (58). Il fattore decisivo, dunque, non se unazienda ottiene un ricavo maggiore grazie alle misure statali, ma se lo stesso ricavo o gli stessi costi sarebbero ottenibili a condizioni di mercato. Fino a quando cՏ concorrenza tra aziende per lo stesso progetto, allora la risposta deve essere affermativa. Tale principio appare essere trasponibile al caso dei contratti pubblici assegnati ad operatori privati a seguito di una procedura concorsuale aperta. La prassi decisionale mostra di considerare lespletamento di una procedura di gara aperta e non discriminatoria come elemento determinante al fine di ridurre (se non eliminare) il carattere di vantaggio della misura statale. Ci sul presupposto per cui limpresa aggiudicataria non otterrebbe, comunque, un beneficio che non disponibile alle normali condizioni di mercato (59). In tal senso, i giudici comunitari hanno affermato che la necessit, per uno Stato membro, di dimostrare che un tale acquisto rappresenta una normale operazione commerciale si impone ancor pi quando la scelta della controparte contrattuale non stata preceduta da una gara d'appalto aperta che sia stata sufficientemente pubblicizzata, dato che l'esistenza di una simile gara d'appalto vale normalmente ad escludere che tale Stato membro intenda concedere un vantaggio allimpresa con cui stipula un contratto (60). quanto riguarda la questione se un provvedimento rientri nel campo di applicazione dellart. 107(1) TFUE, si limita a verificare il rispetto delle regole riguardanti la procedura e la motivazione, lesattezza materiale dei fatti accolti per compiere la scelta contestata, lassenza di errori manifesti nella valutazione di tali fatti e lassenza di sviamento di potere. In particolare, non spetta alla Corte sostituire la sua valutazione economica a quella della Commissione (cfr. la sentenza 12 dicembre 2000, Alitalia/Commissione, causa T-296/97, Racc. pag. II-3871, punto 105). (58) In tal senso, cfr. NICOLAIDES, KLEIS, op. cit., pag. 621. (59) Cfr., sul punto, la decisione della Commissione N649/2001, Freight Facilities Grant (UK), in cui si rileva che if such an infrastructure manager is chosen by an open and non-discriminatory procedure, the State support granted to it for construction and maintenance of transport infrastructure represents the market price to achieve the desired result, financing is also not considered to all under Article 87(1) EC Treaty. Nello stesso senso, decisione N390/2000, Belgium Spoorlijn Lanaken Maastricht e N264/2002, United Kingdom London Undergorund Public Private Partnership. (60) Sentenza della Corte Generale del 5 agosto 2003, P&O European Ferries c. Commissione, case T-116/01, Racc. 2003, pag. 2957, punti 117-118 dove, esaminando se un vantaggio stato conferito allimpresa, la Corte nota come la stessa non stata scelta sulla base di una gara non stata preceduta da una gara d'appalto aperta che sia stata sufficientemente pubblicizzata. Ci in quanto, la necessit, per uno Stato membro, di dimostrare che l'acquisto di beni o servizi da esso effettuato rappresenta una normale operazione commerciale si impone ancor pi quando, come nel caso di specie, la scelta dell'operatore non stata preceduta da una gara d'appalto aperta che sia stata sufficientemente pubblicizzata. Infatti, secondo la prassi consolidata della Commissione, lesistenza di una simile gara d'appalto prima di un acquisto da parte di uno Stato membro vale normalmente ad escludere che tale Stato membro LEGISLAZIONE ED ATTUALITA 251 Peraltro, tale impostazione sembra ricevere alcune precisazioni applicative in tema di procedure di gara per laggiudicazione di progetti di realizzazione di infrastrutture di banda larga. Infatti, con specifico riferimento alla realizzazione di progetti a banda larga, la Commissione sembra sostenere che esista un vantaggio residuale (61), rappresentato dalla possibilit che, nonostante la procedura di gara per la scelta del partner privato, persista un carattere di aiuto del progetto nella misura in cui questa si traduce in un vantaggio per gli operatori, utilizzatori finali dellinfrastruttura (62). Nella specie, la Commissione mostra di valorizzare laspetto della possibilit di ingresso nel mercato che viene concessa allaggiudicatario, a differenza degli altri partecipanti, posizione che di per s procura un vantaggio competitivo non replicabile dai propri concorrenti. Tale vantaggio si concretizzerebbe nella possibilit di utilizzare linfrastruttura pubblica e di operare nel mercato dellaccesso allingrosso secondo condizioni non altrimenti disponibili sul mercato (63). Tale approccio appare, da un lato, concentrarsi sullesplicito vantaggio di first mover che laggiudicatario mostra di ottenere a seguito della gara, con speciale riguardo alla possibile costituzione o rafforzamento di una posizione di notevole indipendenza e forza sul mercato dellaccesso allingrosso allinfrastruttura. Dallaltro, non pregiudica tuttavia unanalisi complessiva delle misura, che tenga conto anche degli obblighi regolamentari che potrebbero accompagnarsi al bando di gara e che possono essere idonei a fugare quel vanintenda concedere un vantaggio a un'impresa determinata [v., segnatamente, la comunicazione della Commissione sulla disciplina comunitaria per gli aiuti di stato alla ricerca e sviluppo (GU 1996, C 45, pag. 5), punto 2.5 e, in tal senso, gli orientamenti comunitari in materia di aiuti di Stato ai trasporti marittimi (GU 1997, C 205, pag. 5), capitolo 9] . (61) Cfr. NICOLAIDES, KLEIS, op. cit., pag. 631, secondo cui tale impostazione confonde tuttavia due aspetti tra loro, ossia limpatto dellintervento statale e leventuale vantaggio selettivo dellinvestimento in questione. (62) Ci stato manifestato, ad esempio, nel caso ATLAS, cit. sup. in cui la Commissione, dopo aver rilevato che lo svolgimento della gara avrebbe would rule out any unnecessary advantage to the Asset Manager [limpresa privata cui sarebbe spettato il compito di gestire linfrastruttura], individua tuttavia la presenza di un economic advantage for the telecom operators and the service providers, which can, at least partially, translate into an economic advantage for the enterprises in the business parks that are the ultimate customers of the broadband services. Nello stesso senso, la decisione nel caso MAN, cit. sup., riscontra che laggiudicatario del progetto di investimento avrebbe nondimeno ottenuto un vantaggio consistente nella possibilit di establish its business based on the government funded MAN infrastructure and enter the market for wholesale services on conditions not otherwise available on the market. (63) In tale direzione si muove lanalisi della Commissione anche con riferimento ad altri progetti di reti di banda larga notificati. Cfr., inter alia, le decisioni N 131/2005 del 22 febbraio 2006 United Kingdom Fibre speed broadband project Wales; N 583/2004 del 6 aprile 2005 Spain Banda ancha en zonas rurales y aisladas; N 267/2005 del 5 ottobre 2005 United Kingdom Rural Broadband Access Project; N 307/2004 del 16 novembre 2004 United Kingdom Broadband in Scotland remote and rural areas; N 263/2005 del 20 ottobre 2005 Austria Breitband Krnten. 252 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 taggio marginale che deriva alloperatore aggiudicatario. In altre parole, la Commissione sembra voler affermare una specialit delle misure inerenti lo sviluppo delle infrastrutture a banda larga, coinvolgendo questioni delicate a carattere politico-economico da non rendere possibile unapplicazione delle norme generali. Sul solco di tale impostazione che come visto riconduce le misure statali nellambito degli aiuti di Stato per poter procedere alla successiva analisi di compatibilit ai sensi dellart. 107(3) TFUE si pongono i criteri dettati dagli Orientamenti, supra illustrati (64), che confermano la volont di disegnare una precisa cornice di valutazione degli investimenti pubblici nella banda larga. Come si visto, nel quadro di analisi disposto dalla Commissione, lo svolgimento di una procedura di gara di tipo aperto e non discriminatorio si interseca con le tematiche regolatorie, dovendosi prevedere, gi in sede di gara, le opportune norme di funzionamento dellinfrastruttura e divengono elementi indispensabili che qualsiasi progetto di investimento in tale settore deve tenere in considerazione (65). Concludendo, le riflessioni sopra svolte pongono in evidenza come la realizzazione di infrastrutture NGN rappresenti invero una tematica regolatoria estremamente complessa e in corso di progressiva definizione. La tematica si contraddistingue per la necessit di un approccio di indagine integrato, che coinvolga non solo aspetti regolamentari e tecnici, ma, specialmente, considerazioni di tipo sociale e politico. Su questo sfondo, le interazioni tra i soggetti istituzionali e privati si svolgono secondo modelli fluidi, i quali, se da un lato si conformano alle prescrizioni in materia di concorrenza, dallaltro non sono interamente assorbite in queste ultime. Rileva, al riguardo, la peculiarit propria delle problematiche legate allo sviluppo di infrastrutture di banda larga, sintesi del livello sovranazionale degli interessi coinvolti e, al contempo, del ruolo primario e indispensabile che gli enti locali sono chiamati a svolgere, secondo i principi di sussidiariet, di efficienza e di neutralit dellintervento pubblico. (64) Vedi supra par. 3. (65) Cfr., da ultimo, il progetto svedese di realizzazione del piano di sviluppo NGN, il quale pur qualificandosi come aiuto (The notified aid measure allows a selected number of undertakings to be relieved, by means of State resources, of a part of their costs regarding the financing of the deployment of a broadband network in Sweden which they would normally have to bear themselves. Moreover, the third party providers of broadband services and business end users located in the coverage area might also benefit indirectly from the measure at stake. Consequently, the support from the state strengthens the position of a selected number of beneficiaries in relation to their competitors in the Community and therefore has the potential of distorting competition) ottiene una positiva valutazione, eseguita in base alle indicazione degli Orientamenti (Decisione della Commissione N. 30/2010 State aid to broadband within the framework of the rural development program). C O N T R I B U T I D I D O T T R I N A Dopo la sentenza sul legittimo impedimento: la ricerca di un punto di equilibrio di Glauco Nori* 1 - Con la sentenza della Corte costituzionale n. 23/2011, che ha dichiarato parzialmente illegittima la legge n. 51/2010, si pu considerare conclusa la vicenda in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato, iniziata con la legge n. 140/2003 (art. 1, comma 2), dichiarata illegittima con la sentenza n. 24/2004. In questultima la Corte non aveva preso in esame se, per la natura della materia, fosse necessaria una legge costituzionale, questione tra quelle dichiarate assorbite. E ormai un principio, applicato anche dalla Corte costituzionale, che il giudice non tenuto a seguire lordine logico delle questioni o quello proposto dalle parti. Esigenze di economia processuale possono indurre ad affrontare per prima la questione di soluzione pi rapida, che esaurisce il giudizio. Il silenzio della sentenza su di una questione assorbita non poteva significare che la Corte avesse escluso implicitamente la necessit di una legge costituzionale in quanto questione logicamente preliminare. La Corte era chiamata a giudicare su una legge ordinaria. Una volta accertato che violava lart. 3 Cost., diventava inutile ogni indagine ulteriore. Se avesse affrontato la questione ed avesse ritenuto necessaria la legge (*) Avvocato dello Stato, Presidente emerito del Comitato scientifico di questa Rassegna. Articolo gi pubblicato su Forum di Quaderni Costituzionali - Giurisprudenza - Corte Costituzionale anno 2011: http://www.forumcostituzionale.it/site/content/view/177/46/ In tema V. anche Rass., 2011, Vol. I, 89 ss., MICHELE DIPACE Sullistituto processuale del legittimo impedimento. Brevi note. 254 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 costituzionale, si sarebbe dovuta porre anche unaltra domanda: se la violazione o, meglio, la deroga dellart. 3, in quanto principio fondamentale della Costituzione, fosse consentita ad una legge costituzionale, che, secondo quanto la Corte ha rilevato pi di una volta, non pu essere in contrasto con principi di quella natura. Lesame avrebbe potuto avere solo la funzione di un avvertimento al legislatore, sia costituzionale che ordinario. Al silenzio, pertanto, non si poteva dare significato positivo. Raggruppate le sospensioni gi previste per il processo penale dalla legislazione ordinaria, la Corte ha rilevato che non costituivano un numero chiuso e che il legislatore avrebbe potuto stabilirne altre per esigenze extraprocessuali, salvo ad identificarne i presupposti e le finalit. Il bene tutelato dalla legge contestata, secondo la Corte, andava visto nellassicurazione del sereno svolgimento delle rilevanti funzioni che ineriscono a quelle cariche. Questa conclusione comportava qualche difficolt di coordinamento con la premessa che la situazione cui si riconnette la sospensione disposta dalla norma censurata costituita dalla coincidenza delle condizioni di imputato e di titolare di una delle cinque pi alte cariche dello Stato. Gli interessi apprezzabili erano due: il sereno esercizio delle funzioni ed il diritto di difesa, la cui tutela contemporanea la legge intendeva assicurare. N era scontato che la prevalenza fosse della funzione di governo una volta che del diritto di difesa la tutela era attuata spostando nel tempo le condizioni che ne richiedevano lesercizio. Piuttosto che stabilire la prevalenza tra di essi, che non risultava indispensabile per come le questioni erano state proposte, sarebbe stato forse utile verificare se, essendo entrambi gli interessi costituzionalmente garantiti, ci fosse un mezzo diverso per tutelarli adeguatamente nello stesso tempo. Premesso che la normativa censurata creava un regime differenziato riguardo allesercizio della giurisdizione, la Corte passata ad esaminare se il rilievo che lordinamento attribuisce ai valori rispetto ai quali la connotazione di diversit pu venire in considerazione comportasse la violazione dellart. 3 Cost. La violazione dellart. 3 stata vista nel trattamento differenziato sotto il profilo della parit riguardo ai principi fondamentali della giurisdizione dei Presidenti delle Camere, del Consiglio dei ministri e della Corte costituzionale rispetto agli altri componenti degli organi da loro presieduti. Dalla sentenza non si poteva dedurre che lart. 3 non sarebbe stato violato se lo stesso trattamento fosse esteso ai membri delle Camere ed i componenti del Consiglio dei ministri (i giudici della Corte costituzionale possono essere trascurati per quanto osservato dalla Corte in proposito). Sempre per economia processuale la Corte avrebbe potuto limitarsi al- CONTRIBUTI DI DOTTRINA 255 lesame della posizione dei membri delle Camere e del Consiglio dei ministri perch da sola sufficiente a considerare violato lart. 3 Cost. Le questioni ulteriori, in quanto assorbite, non si potevano ritenere risolte. 2 - Con la legge n. 124/2008, secondo certe fonti, si sarebbe tornati a disciplinare la materia attenendosi ai principi desumibili dalla sentenza appena esaminata. Le questioni di legittimit costituzionale, che sono insorte, forse anche per questo sono state pi complesse e pi elaborata stata la motivazione della sentenza n. 263/2009. La motivazione suscita qualche perplessit su di un punto, che, peraltro, non ha inciso sulla decisione. E stato dichiarato violato anche lart. 138 Cost., che, come noto, disciplina il procedimento legislativo costituzionale. Pu, pertanto, essere violato se nella formazione di una legge costituzionale non se ne rispetta il procedimento, ma non se si adottata una legge ordinaria, invece che costituzionale. Lart. 138 non dice quando necessaria la legge costituzionale, ma come vada fatta se si ritiene necessaria. Se la legge costituzionale sia necessaria o non, si ricava solo dalla materia interessata in quanto disciplinata da una norma o da un principio costituzionale sostantivo. Anche la Corte sembrerebbe daccordo quando ha classificato di carattere generico e formale la contestazione sollevata, rilevando che il Tribunale remittente aveva prospettato una questione specifica e di carattere sostanziale. Stando alle conclusioni tratte dalla Corte in ogni caso in cui una norma di legge fosse dichiarata costituzionalmente illegittima sarebbe violato anche lart. 138 Cost., che verrebbe ad essere una norma quasi a violazione necessaria. La questione, come la stessa Corte ha rilevato, di ordine formale, ma le formalit in materia costituzionale non sembrano trascurabili anche se, nel singolo caso, non hanno condizionato la sentenza. 3 - Una premessa va fatta per evitare gli equivoci, che potrebbero essere provocati da alcuni incisi della motivazione della sentenza. La distinzione tra reati funzionali ed extrafunzionali e tra reati commessi prima o dopo lassunzione della carica, o addirittura prima della entrata in vigore della legge, non poteva avere rilievo. La legge ha preso in considerazione non la natura delle contestazioni, ma la pendenza di un procedimento che di per se stessa, qualunque sia limputazione, richiede che limputato si dedichi alla sua difesa. Agli interessati non si attribuiva un trattamento differenziato circa la re- 256 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 sponsabilit penale, che non era alleggerita sotto alcun profilo, e circa il giudice, che rimaneva sempre quello competente secondo la normativa ordinaria. Poich tra funzioni di governo ed esigenze di difesa poteva sorgere incompatibilit la legge predisponeva un mezzo processuale perch nessuno dei due restasse pregiudicato. Solo la durata del procedimento subiva un pregiudizio attraverso un allungamento, pregiudizio da mettere eventualmente a raffronto con la necessit di tutelare due interessi, entrambi garantiti dalla Costituzione, quando fossero entrati in conflillo perch il titolare di una delle cariche protette era contemporaneamente imputato. La stessa Corte in pi di unoccasione ha ritenuto che sia compito del legislatore ordinario rendere effettiva la tutela giurisdizionale di un interesse, protetto costituzionalmente, quando sia esposta a rischi per fatti contingenti. Largomento di partenza della motivazione che il beneficio dato dalla legge va riportato tra le prerogative, che debbono avere copertura costituzionale. Secondo la Corte le prerogative presentano la duplice caratteristica di essere dirette a garantire lesercizio delle funzioni di organi costituzionali e di derogare al regime giurisdizionale comune. Si tratta, dunque, di istituti che configurano particolari status protettivi dei componenti degli organi; istituti che, sono, al tempo stesso, fisiologici al funzionamento dello Stato e derogatori rispetto al principio di uguaglianza tra i cittadini. Possono essere sostanziali (insindacabilit, immunit sostanziali, inviolabilit) o immunit meramente processuali (quali fori speciali, condizioni di procedibilit o altro meccanismo processuale di favore), e possono riguardare sia gli atti propri delle funzioni che quelli estranei. Che potesse essere portata a rango di prerogativa la sola sospensione del procedimento che, senza nessun altro beneficio sostanziale o processuale, si sarebbe comunque svolto davanti al giudice competente e seguendo il procedimento secondo il codice di procedura penale, era stato posto in dubbio. La Corte ha risposto classificando come immunit ogni altro meccanismo processuale di favore, senza indicazioni circa la sua portata e circa lentit della deroga allordine costituzionale. Qualche precisazione ulteriore sarebbe stata utile per evitare che potesse essere considerata prerogativa anche la disciplina differenziata dei luoghi in cui i titolari delle pi alte cariche dello Stato possono essere ascoltati (art. 205 c.p.p.), che non stata ritenuta tale dalla sentenza n. 24/2004, in quanto incidente su un aspetto secondario dellesercizio della giurisdizione. La Corte ha sostenuto il suo giudizio anche con alcuni richiami normativi. Lart. 68 Cost. prevede prerogative sia sostanziali che processuali, ma con effetti sostanziali rilevanti. Ugualmente effetti solo sostanziali, nella forma dellirresponsabilit, produce lart. 90 in favore del Presidente della Repubblica e sostanziali sono anche quelli previsti nellart. 96 per il Presidente del CONTRIBUTI DI DOTTRINA 257 Consiglio dei ministri e per i ministri. Benefici sostanziali si trovano esaminati nelle sentenze richiamate. Essi creerebbero quello che la Corte ha definito come status per i destinatari. E bene richiamare lattenzione sul fatto che le deroghe sono riferite alla giurisdizione in generale, non riferite ad una categoria distinta di soggetti. Tutti questi benefici hanno un tratto comune. In misura diversa sottraggono linteressato alla giurisdizione, escludendone la responsabilit penale o impedendo che il procedimento sia intrapreso. La legge n. 124/2008, lasciando impregiudicata la responsabilit penale, attraverso la sospensione produceva solo una maggiore durata del processo. La natura esclusivamente processuale della norma non stata considerata rilevante. Questa complessiva architettura istituzionale, ispirata ai principi della divisione dei poteri e del loro equilibrio, esige che la disciplina delle prerogative contenuta nel testo della Costituzione debba essere intesa come uno specifico sistema normativo, frutto di un particolare bilanciamento e assetto di interessi costituzionali; sistema che non consentito al legislatore ordinario alterare n in peius n in melius. In questa descrizione del sistema, peraltro, non si trova la risposta al perch ogni altro meccanismo processuale di favore fosse prerogativa. Lesercizio delle funzioni di governo e la difesa in giudizio sono entrambi garantiti dalla Costituzione senza condizioni. Se lAutorit di governo si fosse trovata sottoposta ad un procedimento penale, la legge intendeva rendere possibile la tutela di entrambi. Come gi si ricordato, evitare che un interesse, garantito costituzionalmente, corra il rischio di essere pregiudicato in situazioni contingenti compito che pu svolgere il legislatore ordinario. La questione sembra superata dalla Corte attraverso la premessa che lobiettivo della norma era la tutela delle sole funzioni di governo, che, pertanto, ha ritenuto non pi comparabili con laltro interesse. Il legislatore avrebbe potuto fare una scelta diversa? Anche questa domanda era stata posta alla Corte. La sospensione del giudizio consente il pieno esercizio del diritto di difesa, ritardando la funzione giurisdizionale, con pregiudizio solo alla durata del processo. Non sarebbe stato, invece, possibile, senza danni ben maggiori, sospendere le funzioni di governo. La Corte lha ritenuta superata probabilmente per la stessa ragione, vale a dire perch linteresse da tenere in considerazione era soltanto uno. La sentenza risulta innovativa, anche se parzialmente, perch ha portato tra le prerogative tradizionali, soggette a disciplina esclusivamente costituzionale, ogni meccanismo processuale di favore, consistente in deroghe alle formalit ordinarie, qualunque ne sia lincidenza sul principio di uguaglianza. 4 - Una volta che la legge impugnata era stata ritenuta illegittima per ra- 258 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 gione di materia, la motivazione si sarebbe potuta arrestare. La Corte questa volta non ha voluto lasciare questioni assorbite ed ha esaminato anche quella, sollevata dai giudici remittenti, della violazione del principio di uguaglianza. La Corte ha ritenuto irragionevole la disciplina di favore predisposta dalla legge sotto profili diversi. Non sembra decisiva losservazione che la sospensione era applicabile ai processi instaurati per imputazioni relative a tutti gli ipotizzabili reati, in qualunque epoca commessi e, in particolare, ai reati extrafunzionali, cio estranei alle attivit inerenti alla carica. La natura dei reati avrebbe potuto avere rilievo per le immunit di ordine sostanziale. Il diritto di difesa va, invece, garantito in ogni procedimento, qualunque sia il reato ed il tempo della sua commissione perch la contemporaneit del processo che provocava il rischio, al quale la legge aveva voluto rimediare. Per individuarne la ratio la Corte ha richiamato, insieme alla sua sentenza precedente, la relazione al disegno di legge. Sennonch - la Corte lo ha rilevato pi di una volta - la ratio di una legge va vista non necessariamente nellobiettivo indicato dallorgano proponente, ma nella funzione che svolge e negli interessi tutelati. E questa, peraltro, una osservazione solo di principio perch non su quella affermazione che si fonda la sentenza. Lart. 3 Cost., secondo la Corte, sarebbe stato violato una prima volta concedendo il beneficio solo ai Presidenti delle Camere e del Governo e non a tutti i componenti. Per il Governo, in particolare, la Corte ha rilevato che compete alle Camere e al Governo, e non ai loro Presidenti, la funzione legislativa (art. 70 Cost.) e la funzione di indirizzo politico ed amministrativo (art. 95 Cost.). Questultimo richiamo non risulta chiaro perch il primo comma dellart. 95 attribuisce al Presidente del Consiglio dei ministri il compito di mantenere lunit di indirizzo politico ed amministrativo, ma prima ancora quello di dirigere la politica generale del Governo, della quale dichiarato responsabile. La Corte non ha nemmeno preso in considerazioni le funzioni, attribuite dallordinamento dellUnione europea, che oggi il Presidente del Consiglio chiamato a svolgere a titolo individuale, in particolare in seno al Consiglio Europeo. La sentenza in proposito ha ribadito il principio tradizionale che il Presidente del Consiglio primus inter pares. Questa prima argomentazione non significa che per la Corte, se lo stesso trattamento fosse stato esteso a tutti i componenti degli organi collegiali interessati, lart. 3 non sarebbe stato ugualmente violato. La violazione dellart. 3 era stata gi riscontrata in una evidente disparit di trattamento delle alte cariche rispetto a tutti gli altri cittadini che, pure, svolgono attivit che la Costituzione considera parimenti impegnative e doverose, CONTRIBUTI DI DOTTRINA 259 come quelle connesse a cariche o funzioni pubbliche (art. 54 Cost.) o, ancora pi generalmente, quelle che il cittadino ha il dovere di svolgere, al fine di concorrere al progresso materiale e spirituale della societ (art. 4, secondo comma, Cost.). Il Presidente del Consiglio, anche se primus inter pares, svolge, dunque, funzioni da ritenere parimenti impegnative, almeno a questo proposito, come quelle di tutti i titolari di altre cariche pubbliche o dei singoli cittadini. Largomento, non a caso posto allinizio della seconda parte della motivazione, ha forse avuto per la Corte la funzione di premessa di ordine generale, sulla quale inserire poi gli argomenti successivi, costituenti la vera motivazione della sentenza. 5 - Secondo la sentenza n. 23/2011 ҏ rilevante, ai fini delle verifica della legittimit costituzionale della disciplina censurata, stabilire se questultima, a prescindere dal suo carattere temporaneo, rappresenti una deroga al regime processuale comune, che in particolare quello previsto dallart. 420-ter cod. proc. pen. violando il principio della uguale sottoposizione dei cittadini alla giurisdizione e ponendosi, quindi, in contrasto con gli art. 3 e 138 Cost. La disciplina oggetto di censura sar dunque da ritenersi illegittima, ma se, e nella misura in cui, alteri i tratti essenziali del regime processuale comune. Da mettere a raffronto non erano, dunque, la posizione del Presidente del Consiglio dei ministri ed i singoli ministri (la legge aveva esteso anche a questi gli stessi benefici) e nemmeno i soggetti investiti da funzioni pubbliche, ma ogni persona fisica (nella sentenza sono chiamati cittadini, ma evidente che il termine stato adottato per comodit espositiva perch alla cittadinanza non dato alcun rilievo). La Corte ha ritenuto illegittimo il comma 3 della legge n. 51/2010 perch gli accertamenti che consentiva non esauriscono lo spettro dei poteri di valutazione dellimpedimento, che sono esercitati dal giudice in base alla disciplina generale di cui allart. 420-ter, comma 1, cod. proc. pen. Secondo tale disciplina, infatti, spetta al giudice, ai fini del rinvio delludienza, valutare in concreto non solo la sussistenza in fatto dellimpedimento, ma anche il carattere assoluto e attuale dello stesso... La mancanza di tale elemento, pertanto, attribuisce allart. 1, comma 3, della legge n. 51 del 2010 un carattere derogatorio rispello al diritto comune. Per i motivi gi chiariti, ci si traduce in un vizio di costituzionalit di tale disposizione, che deve essere pertanto dichiarata illegittima nella parte in cui non prevede siffatto potere di valutazione in concreto dellimpedimento. La Corte, richiamando la norma generale dellart. 420-ter, ha ritenuto che la posizione del Presidente del Consiglio andasse messa a raffronto con quella di ogni persona fisica e non soltanto con quella dei ministri o dei componenti del Parlamento, cos estendendo la sfera dellindagine sulluguaglianza, resa 260 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 necessaria dalla nuova legge. Non vi si pu vedere una incoerenza con la sentenza precedente che, valutando la sola disuguaglianza tra ministri e il Presidente del Consiglio, aveva visto la violazione dellart. 3 gi nella esclusione dei primi dal beneficio in contestazione. E stata lasciata, peraltro, irrisolta una questione, che suscitava anche la sentenza precedente. La Corte ha ribadito che era coinvolto il principio della divisione dei poteri, che non violato dalla previsione del potere del giudice di valutare in concreto limpedimento, ma, eventualmente, soltanto dal suo cattivo esercizio, che deve rispondere al canone della collaborazione. Questa enunciazione finale si raccorda con quella di poco precedente, secondo la quale quando il giudice valuta in concreto, in base alle ordinarie regole del processo, limpedimento consistente nellesercizio delle funzioni governative, si mantiene entro i confini della funzione giurisdizionale e non esercita un sindacato di merito sullattivit del potere esecutivo, n, pi in generale, invade la sfera di competenza di altro potere dello Stato. Nella sentenza n. 262/2009 era stato gi rilevato che la normativa in materia di prerogative rivolta a realizzare un delicato ed essenziale equilibrio tra i diversi poteri dello Stato, potendo incidere sulla funzione politica dei diversi organi. Nel rimettere lattuazione di questo equilibrio, ai sensi dellart. 420-ter, ad uno dei poteri interessati ed in particolare allorgano procedente, sarebbe stato utile chiarire come questa soluzione si accordasse con la divisione dei poteri. Giudicando del comma 4 dellart. 1 della legge, si ritenuta insufficiente lattestazione generica della Presidenza del Consiglio dei ministri dal momento che lattestazione risulta affidata ad una struttura organizzativa di cui si avvale, in ragione della propria carica, lo stesso soggetto che deduce limpedimento in questione. Ci si sarebbe dovuto domandare, di conseguenza, se la fissazione del punto di equilibrio tra i due poteri potesse essere rimessa alla decisione di uno di essi, e proprio dellorgano procedente. Non era in contestazione se la giurisdizione fosse stata esercitata correttamente, questione per la quale sarebbe stata esauriente la motivazione gi riportata, ma se alla funzione giurisdizionale potesse essere affidato il compito di individuare i suoi limiti nei confronti di un altro potere. In pratica, quanto era precluso alla legge ordinaria, veniva demandato ad una ordinanza del giudice procedente. Secondo la Corte, trattandosi di rapporti tra poteri, entrambi debbono attenersi al canone della leale collaborazione. Se una circostanza dedotta per il rinvio non fosse riconosciuta utile dal giudice penale, le eventuali contesta- CONTRIBUTI DI DOTTRINA 261 zioni sulla violazione della leale collaborazione dovrebbero, pertanto, essere risolte della Corte costituzionale attraverso un ricorso per conflillo di attribuzioni. Ma sarebbe sempre su iniziativa del Governo e per impugnare un provvedimento giurisdizionale. Il mezzo sarebbe stato lo stesso se fosse stata impugnabile lattestazione della Presidenza del Consiglio, questa volta su iniziativa dellorgano giurisdizionale. Nella sentenza non spiegato perch sia stata scelta la prima delle soluzioni, con la quale si data una posizione prevalente ad uno dei due poteri in conflitto. Se la scelta fosse stata motivata, la Corte probabilmente si sarebbe dovuta domandare se fosse costituzionalmente legittima lapplicazione dellart. 420- ter, c.p.p. nel caso esaminato, legittimit che la sentenza ha dato per scontata, ma che poteva non risultare del tutto chiara. ... quando il giudice valuta in concreto, in base alle ordinarie regole del processo, limpedimento consistente nellesercizio di funzioni governative, si mantiene entro i confini della funzione giurisdizionale e non esercita un sindacato di merito sullattivit del potere esecutivo, n, pi in generale, invade la sfera di competenza di altro potere dello Stato. Mantenersi allinterno della funzione giurisdizionale significa, secondo la Corte, applicare le ordinarie regole del processo. Se la funzione giurisdizionale sia stata esercitata secondo le sue regole interne, presuppone che si sia accertato che si era mantenuta nellarea assegnata dalla Costituzione. Secondo i principi ogni giudice giudica, oltre che della sua competenza, anche della sua giurisdizione, ma nei confronti di altri giudici, quindi allinterno della stessa funzione. Non scontato che possa giudicare anche dellestensione del suo potere giurisdizionale quando il contrasto con un altro potere di uguale rilievo costituzionale. Nella prospettiva della sentenza il ricorso per conflitto di attribuzione potr essere proposto solo dopo una decisione dellautorit giurisdizionale. Si sarebbe potuto arrivare allo stesso risultato salvaguardando la posizione di parit delle parti. Se alla Corte si dovesse rivolgere direttamente il giudice procedente, che escludesse la ricorrenza di un impedimento valido in quello prospettato dal Governo, entrambi i poteri manifesterebbero la loro visione diversa su di un piano di parit senza lesercizio preventivo del proprio potere con effetti nei confronti dellaltro. Il conflitto, alle condizioni indicate dalla Corte, determina anche un allungamento dei tempi per la soluzione delle contestazioni, allungamento che la stessa Corte, con la sentenza n. 262/2009, ha tenuto presente nel giudicare della legittimit costituzionale della legge n. 124/2008. 262 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 Le problematiche connesse ai rapporti tra la transazione fiscale il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione Francesco Vignoli* Nel commentare lintroduzione nel nostro ordinamento della transazione fiscale, in dottrina, stato rilevato che il dato di fondo, certamente positivo, costituito dalla netta collocazione della transazione fiscale nel sistema della legge fallimentare, il che consente di arginare linvadente particolarismo tributario( 1). In giurisprudenza, stato enunciato che il nuovo istituto previsto dallart. 182 ter L.F. non trova ostacoli di rango disciplinare superiore giacch il principio dintangibilit del debito fiscale non ha rilievo costituzionale ed sancito dalla legge ordinaria (art. 409 R.D. n. 827/24) solo per la fase impositiva ma non per quella della riscossione del credito (2). A fronte di cos nette prese di posizione, indispensabile cercare di individuare il punto di (difficile) equilibrio fra le procedure concorsuali e il credito tributario, in particolare operando un bilanciamento fra i tempi delle prime e la cronologia del recupero del secondo, come disciplinata dalla normativa fiscale. Vi motivo di ritenere che, contrariamente a quanto enunciato in premessa, non possa prescindersi dallart. 53 Cost. La norma, come ancora recentemente interpretata dai giudici di legittimit, dispone che tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacit contributiva. L'obbligo di concorrere alle spese pubbliche dettato dalla fondamentale esigenza di reperire i mezzi necessari per consentire allo Stato ed agli altri enti pubblici di poter assolvere i loro compiti istituzionali. Tale esigenza fondamentale richiede che detti enti possano fare affidamento in tempi brevi su una consistente entit di risorse finanziarie la cui riscossione quindi deve essere certa (3). Nella fattispecie, la Suprema Corte ha riconosciuto il privilegio ai crediti Irap anche per il periodo antecedente alla intervenuta modifica dellart. 2752 c.c., dovendosi ritenere la previsione di detto privilegio implicitamente inclusa in detta norma in base ad una consentita interpretazione estensiva della stessa. (*) Avvocato dello Stato in Milano. Sintesi della relazione tenuta dallAutore allincontro seminariale per magistrati organizzato dal Consiglio Superiore della magistratura - Ufficio dei referenti per la formazione decentrata del distretto di Milano, tenutosi in Milano il 19 maggio 2011. (1) DEL FEDERICO, La nuova transazione fiscale secondo il Tribunale di Milano: dal particolarismo tributario alla collocazione endoconcorsuale, in Il Fallimento, 2008, 346. (2) App. Genova, 19 dicembre 2009 (R.G.V.G. n. 1032/09). (3) Cass. civ. sez. I, 1 marzo 2010, n. 4861. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 263 La sentenza sopra richiamata ribadisce il principio costituzionale della indisponibilit dellobbligazione tributaria (4) ponendo linterprete di fronte a uno sforzo esegetico teso a verificare la compatibilit costituzionale dellinserimento nel corpus della disciplina fallimentare dellart. 182 ter. La norma consente al debitore intenzionato a proporre una domanda di ammissione al concordato preventivo di integrare il piano concordatario, che sar sottoposto allapprovazione dei creditori, con la formulazione di una proposta nei confronti dellerario per il pagamento anche parziale dei tributi amministrati dalle agenzie fiscali. Sono esclusi dalla falcidia i tributi costituenti risorse proprie dellUnione europea, e, con linserimento di una specificazione dettata da un contrasto esegetico circa la natura comunitaria, lIva, nonch, con linterpolazione operata dal d.l. n. 78 del 2010, le ritenute operate e non versate. Per interpretare la nuova legge fallimentare in coerenza, principalmente, con i principi costituzionali di cui agli artt. 53 e 97 ed altres in sintonia con gli istituti tradizionali del diritto civile e tributario e, per quanto possibile, con lart. 49 del R.D. n. 827 del 1924, Regolamento per l'amministrazione del patrimonio e per la contabilit generale dello Stato in forza del quale nei contratti non si pu convenire esenzione da qualsiasi specie di imposte o tasse vigenti all'epoca della loro stipulazione, giova innanzitutto soffermarsi sulla capacit negoziale della P.A. Occorre verificare se lAmministrazione ha una capacit a stipulare contratti e, in caso affermativo, se la transazione fiscale costituisce una ipotesi normativa riconducibile al modello previsto dallart. 1965 c.c. Con lintroduzione dellart. 1, c. 1 bis della legge n. 241 del 1990 sono state definitivamente superate le teorie riconducibili al nec ultra vires affermandosi, in via generale, con un riferimento normativo di portata universale, la capacit di diritto privato della P.A., ossia la possibilit per la stessa di adottare lo strumento negoziale, ove non agisca autoritativamente. Tutto ci fermo restando che la parte pubblica agisce in un quadro di speciale capacit negoziale che si caratterizza, come recentemente enunciato dal Consiglio di Stato (5), per la eterodeterminazione dei fini, predeterminati dalla fonte normativa, a differenza della autodeterminazione dei fini che contraddistingue la capacit negoziale dei privati. Ammessa, dunque, la possibilit di adottare lo strumento negoziale, lindagine si sposta sulla natura della transazione fiscale. Pi specificamente, ci si interroga se la predetta costituisca una sorta di corollario al modello previsto dal codice civile. La risposta negativa. Si assiste a un utilizzo atecnico del termine tran- (4) Cass. civ. Sez. V, 25 gennaio 2008, n. 1605. (5) Cons. St., 9 dicembre 2010, n. 8685. 264 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 sazione. Difetta, fra i requisiti previsti dal modello codicistico, la res dubia, considerato che formano oggetto di transazione anche crediti tributari ormai definitivi. Si versa in una ipotesi di indisponibilit del diritto, come sopra specificato. Suscita controversia la presenza, nella transazione, della reciprocit delle concessioni. Vi chi individua, a fronte di una falcidia del credito tributario, un vantaggio in termini di speditezza dellazione amministrativa, in ossequio al modello, sempre pi affermato fra gli interpreti, della cosiddetta amministrazione di risultato, in cui si privilegia il risultato finale costituito in un incasso modesto ma certo, a fronte di una aspettativa di credito destinata ad andare delusa. Si sostiene, di contro, che accettare una ipotesi siffatta significherebbe inquadrare la transazione fiscale in una sorta di negozio solutorio, come tale incompatibile con la ratio dellistituto che stato introdotto per rilanciare leconomia e lattivit dellimpresa. Sul punto, stato sostenuto che la ragione ispiratrice della riforma del concordato e della introduzione della transazione fiscale non costituita dallesigenza di rendere pi celeri i tempi della liquidazione della societ giacch la novella consente un alleggerimento del carico fiscale per consentire la continuazione dellattivit di impresa. Come emerge nella relazione di accompagnamento al d.lgs. n. 5 del 2006, lobiettivo della riforma quello di ispirarsi ad una prospettiva di recupero delle capacit produttive dellimpresa, nelle quali non pi individuabile un esclusivo interesse dellimprenditore, secondo la ristretta concezione del legislatore del 1942, ma confluiscono interessi economici o sociali pi ampi, che privilegiano il ricorso alla via del risanamento e del superamento della crisi aziendale. Daltra parte, diversamente opinando, non si comprenderebbe per quale ragione la transazione fiscale non sia stata prevista anche per la procedura fallimentare. La ragione della scelta probabilmente da rinvenire nel fatto che il fallito versa in una crisi irreversibile. Pertanto, difettava la ragione di introdurre uno strumento di deflazione del debito fiscale per un soggetto destinato a scomparire dalla scena imprenditoriale. A dispetto dei desiderata del legislatore, il concordato preventivo ha assunto, nella maggior parte dei casi, una funzione solutoria, volta a soddisfare celermente i creditori evitando una defatigante procedura fallimentare. Si tratta di una soluzione conveniente per limpresa privata che chiude, per i creditori che vengono (pi o meno) soddisfatti sollecitamente, ma non necessariamente per lerario e certamente non per la continuit aziendale. Proprio la continuit aziendale stata uno dei fattori in grado di orientare le scelte di amministrazione attiva in sede di proposta di transazione fiscale. Dal 2006 (ma di fatto dal 2008, anno in cui sono prevenute le prime istanze) al maggio del 2011, in Lombardia, le proposte di transazione fiscale ammontano a n. 160: 112 nellambito di procedure di concordato preventivo; 48 per CONTRIBUTI DI DOTTRINA 265 accordi di ristrutturazione. Le proposte accolte sono state 15, di cui 5 in seno ad accordi di ristrutturazione; le proposte rigettate: 29, di cui 4 per accordi di ristrutturazione. Le restanti proposte sono state avanzate da soggetti successivamente dichiarati falliti (la maggior parte: n. 73) o sono in fase di decisione. A contrasto della declinazione solutoria dellistituto, stato invocato il decreto 4 agosto 2009 emesso dal Ministero del lavoro di concerto con il Ministero delleconomia e delle finanze. Ai sensi dellart. 4 del predetto decreto gli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie possono accedere alla proposta di accordo nel rispetto dei seguenti parametri valutativi: e) essenzialit dellaccordo ai fini della continuit dellattivit dellimpresa e di ogni possibile salvaguardia dei livelli occupazionali. La norma, per, ha rango secondario e sembra non potere incidere sul tessuto normativo, di rango primario, della disciplina novellata del r.d. n. 267 del 1942. In altri termini, se la ratio ispiratrice del concordato preventivo quella di consentire una ripresa della attivit imprenditoriale in crisi, in assenza di disposizioni normative primarie inequivoche, non agevole dimostrare de iure condito, se non richiamandosi a principi generali, lillegittimit della prassi che si va consolidando e che individua nel concordato un strumento anticipato di risoluzione delle controversie, consentendo la distribuzione di ogni posta attiva ai creditori e la cessazione della attivit dellimpresa. Se il concordato preventivo non una procedura liquidatoria ma di risanamento, si profila un contrasto, se cos pu dirsi, fra la mens legislatoris e la disciplina di diritto positivo che porta a privilegiare, alla luce della giurisprudenza che va consolidandosi, una opzione pragmatica nella quale lo sforzo da perseguire per il creditore erariale dissenziente, nellottica di una amministrazione di risultato, quello di valutare, in sede di disamina della proposta concordataria, il maggiore favore per le entrate dello Stato della procedura fallimentare rispetto al concordato. Si tratta di verificare con una valutazione prognostica, che tenga conto anche della maggiore speditezza della procedura concordataria, se la via fallimentare possa garantire maggiormente la collettivit. Proprio per assicurare quanto sopra, nellambito della procedura concordataria la transazione fiscale sembra rimanere un momento ineludibile, salvo che il proponente non si impegni al pagamento integrale delle imposte. La transazione fiscale trova sicuramente pi adeguata collocazione in sede di accordi di ristrutturazione, ove la stipulazione rimessa alle volont delle parti contraenti. Il modello negoziale mal si adatta a una procedura concorsuale quale quella del concordato preventivo. Secondo un indirizzo che pare preferibile (6), la transazione parte inte- (6) Cfr. Trib. Monza, 10 aprile 2010 (R.G. conc. n. 4/09). 266 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 grante e indefettibile della proposta di concordato. La transazione fiscale ha natura negoziale e, come tale, si perfeziona solo con laccordo reciproco delle parti. Dunque, la sua conclusione eventuale perch rimessa alla volont dei contraenti. Il predetto istituto, per, costituisce altres un momento subprocedimentale ineludibile della disciplina concordataria, di cui condivide gli effetti e le sorti nelle sue varie fasi fisiologiche (esecuzione) e patologiche (risoluzione ed annullamento). Lincipit dellart 182 ter, nel riportare che il debitore pu proporre il pagamento parziale o dilazionato, non indica una mera facolt, ma la possibilit di ottenere una falcidia del debito, diversamente non ammessa, solo con lo strumento della transazione fiscale. Daltra parte lo stesso art. 160 L.F. redatto analogamente alla disposizione sopra richiamata prevedendo che il debitore pu proporre ai creditori un concordato preventivo. Non sembra risolutivo, dunque, largomento letterale. Di contro, appare decisiva la specifica previsione di una peculiare disciplina che, se resa facoltativa, comporterebbe la rinuncia a uno strumento indispensabile non solo per la indicazione, da parte del fisco, del credito erariale, ma altres per un confronto fra la societ proponente e lerario. Si sostiene che la facoltativit del concordato si giustificherebbe per la sua disciplina diretta a chiedere, e ottenere, un quid pluris rispetto alla ammissione alla procedura concordataria. Il vantaggio della transazione fiscale consisterebbe nel consolidamento del debito fiscale, con sostanziale cristallizzazione della quantificazione del medesimo, e nella cessazione della materia del contendere. La tesi non persuade in quanto pare scontrarsi con la realt quotidiana. Di solito la societ in concordato preventivo cessa la propria attivit. Il recupero di ogni ulteriore credito, non soddisfatto in sede concorsuale, risulta di fatto precluso perch a carico di un ente, che ormai divenuto una scatola vuota, al quale poco interessa lesito di un contenzioso tributario che non dispiegher alcun effetto sostanziale nella sua sfera patrimoniale ormai incapiente. La transazione fiscale costituisce, dunque, una fase subprocedimentale volta a quantificare con certezza e stabilit il credito tributario, in funzione della consapevole votazione dellerario rispetto ai termini della proposta concordataria. La determinazione dellAmministrazione deve essere espressa in sede di adunanza dei creditori e questultima deve ritenersi soggetta alle regole per la formazione della maggioranza in ordine allapprovazione o meno della proposta. La transazione fiscale ha cos una natura dipendente rispetto al piano concordatario proposto dallimprenditore con conseguente soggezione del voto espresso dallAmministrazione alle regole dellapprovazione a maggioranza. Tale soluzione d origine a qualche perplessit in ragione dellinvocato CONTRIBUTI DI DOTTRINA 267 principio costituzionale di indisponibilit del credito tributario, ma ormai consolidata nella giurisprudenza di merito. Resta fermo che, pur subendo la falcidia sotto il profilo della riscossione, salvo per i casi espressamente previsti dallart. 182 ter c.p.c., lAmministrazione erariale non ha alcuna disponibilit sullan e sul quantum dellaccertamento del credito erariale. La parte pubblica determina unilateralmente il credito (7). Il debitore proponente ha diritto di svolgere le proprie contestazioni sulla esistenza e quantificazione del debito erariale di fronte al giudice tributario. Per leffetto, la contestazione sul debito tributario sfugge al sindacato del giudice fallimentare, che non pu che registrare il credito dellAmministrazione finanziaria e il suo ammontare. Non convince pertanto la pronuncia del Tribunale di Milano che, pur accogliendo le conclusioni della difesa erariale non omologando il concordato, e pur manifestando lintento di mettere un punto fermo a fronte di una pi volte operata quantificazione del credito fiscale da parte dellAgenzia delle Entrate, ritenne di dover considerare - allo stato e in via prudenziale - esistenti crediti fiscali in una misura pari ad almeno la met della quantificazione da ultimo comunicata dallAgenzia(8). Rimane il problema di fondo, a cui si accennava sin dallorigine del presente contributo, legato alla conciliazione dei tempi del recupero tributario che risultano ben pi dilatati rispetto a quelli della disciplina della novellata legge fallimentare. Al riguardo, assume particolare rilevanza la natura del termine di trenta giorni ex art. 182 ter, c. II, L.F., previsto per la trasmissione della certificazione del debito. E stato sostenuto che, nellambito della sistematica del codice fallimentare come novellato, il termine debba essere inteso a pena di decadenza. Di contro si rileva che non vi ragione di discostarsi da quanto disposto dallart. 152 c.p.c. La norma, avente una portata generale, dispone che sono perentori solo i termini indicati espressamente come tali. E stato altres osservato che lindicazione, o la rideterminazione, del credito tributario intervenuta prima delladunanza dei creditori non lede il diritto al contraddittorio con le altre parti. Per converso, si ritenuto che non sia precluso allAmministrazione indicare il proprio credito anche in sede di opposizione allomologazione. Premesso che la determinazione del credito tributario non nella dispo- (7) La discrezionalit vera e propria, ammesso e non concesso che ci sia, non riguarda mai, lo ribadiamo, la esistenza e lammontare del debito. Pu toccare vari aspetti e momenti dellagire amministrativo volto allattuazione del prelievo ma in nessun caso e in nessun modo la esistenza e la misura del debito, FALSITTA, Funzione vincolata di riscosisone dellimposta e intransigibilit del tributo, in Riv. dir. trib., 2007,1070. (8) Trib. Milano, 30 dicembre 2009, n. 15628. 268 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 nibilit delle parti, si rileva che lart. 182 ter, c. II, L.F. si limita a prevedere una certificazione che meramente parziale e che non preclude un suo riesame successivo. La norma infatti concerne, per lAgenzia, i soli atti di accertamento gi operati ancorch non definitivi, escludendo dunque tutte quelle altre attivit di accertamento che sono disciplinate dalle leggi tributarie e che comportano un termine ben pi lato in ragione della complessit delle procedure di verifica (cfr. lart. 43 del d.p.r. n. 600 del 1973 in forza del quale gli avvisi di accertamento devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui stata presentata la dichiarazione). Vi motivo di ritenere che un corretto bilanciamento fra termini della procedura fallimentare e disciplina degli accertamenti tributari possa portare a prendere in considerazione, in sede di omologazione, il credito come indicato dal fisco anche oltre gli stretti termini dellart. 182 ter. Giova altres evidenziare come lart. 180, IV c., L.F. consenta al Tribunale di verificare la convenienza del piano, ove contestata dal creditore dissenziente. Nel caso in esame, la quantificazione del credito, cos come indicata successivamente dallAmministrazione, pu portare a ritenere che lalternativa fallimentare al concordato sia pi proficua per il fisco. Proprio tale valutazione induce a esaminare un altro aspetto che, con sempre maggiore frequenza, caratterizza la proposta concordataria e la rende maggiormente conveniente rispetto al fallimento. Si fa riferimento allingresso nel piano concordatario del contributo economico di terzi. Questi ultimi, tuttaltro che disinteressati alle sorti della societ che chiede lomologazione del concordato, possono rivestire una posizione non neutra nei confronti del creditore erariale. Si ponga il caso che i soci illimitatamente responsabili di una compagine inseriscano nel compendio oggetto di concordato i loro beni personali. Si consideri, per ipotesi, che i singoli soci siano personalmente esposti nei confronti del fisco, perfino in misura maggiore rispetto alla societ di cui si chiede il concordato. I debiti personali dei soci illimitatamente responsabili non subiscono leffetto estintivo connesso al concordato e lAgenzia delle Entrate conserva il potere di agire per lintero. Tale conclusione, per, frustrata dal concordato perch se questultimo si fonda sulla liquidazione integrale dei beni personali degli accomandatari, si verifica linevitabile, e inaccettabile, conseguenza che i soci illimitatamente responsabili si spogliano dei propri beni, li destinano allattivo concorsuale e li distraggono dal creditore erariale. Insomma, i soci sono divenuti nullatenenti e ogni azione nei loro confronti sarebbe vana. Spetta, dunque, al giudice, nellambito delle, pi ristrette rispetto al passato, prerogative riconosciute dalla novella, effettuare una valutazione di convenienza del concordato che, per lAgenzia, pu non essere sussistente perch dal concordato deriva un sostanziale, e sostanzioso, sacrificio economico della CONTRIBUTI DI DOTTRINA 269 parte pubblica che perde ogni garanzia per il pagamento dovuto dai soci per i loro debiti personali. Da quanto sopra, e per quanto siano possibili delle conclusioni nellambito di una materia cos fortemente in divenire e in assenza di consolidati pronunciamenti, si pu affermare che, seppure una distruzione di risorse pubbliche, di natura fiscale sembrerebbe essere consentita soltanto per aiutare limprenditore a non scomparire(9), si assiste, nella prassi giurisprudenziale, a un approccio pragmatico, particolarmente incline a favorire una soluzione concordata fra i creditori. Spetta al creditore erariale operare una valutazione in concreto tesa a verificare la convenienza del concordato rispetto al fallimento, in ossequio al principio di buona amministrazione. Nellambito di tale valutazione, si pu accettare o subire la falcidia del credito in sede di riscossione, ma lAmministrazione finanziaria non pu rinunciare alle proprie ineludibili prerogative in tema di accertamento del credito erariale. Al riguardo, in carenza di un coordinamento fra disciplina tributaria e concorsuale, linterprete dovr s tener conto della ragionevole durata del giudizio, ma nel rispetto del principio di effettivit. Ossia in ossequio alla realizzazione del bene della vita, nella fattispecie il recupero dei crediti fiscali, cui sottesa la richiesta di intervento del giudice, in particolare in sede di opposizione allomologazione. In un contesto cos delineato, si pu ben affermare che le esigenze di speditezza della procedura e una rigorosa applicazione del principio del contraddittorio fra le parti non possano obliterare la peculiarit del credito tributario e la sua pi difficile individuazione rispetto a un credito ordinario, con conseguente maggiore tolleranza sui tempi della procedura concorsuale, caratterizzata spesso dalla presenza di pi fasi costituite da una liquidazione del contribuente e una riliquidazione dellufficio, attraverso il controllo formale della dichiarazione e il possibile intervento correttivo in termini sostanziali se quello che stato dichiarato non conforme alla realt. (9) FALSITTA, op. ult. cit., 1069. 270 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 Profili di diritto comunitario dellambiente Rosa Rota* SOMMARIO: I. IL PROFILO STORICO: 1.1 Cenni sulle fasi di sviluppo. Evoluzione della tutela: dai poteri c.d. impliciti ai programmi di azione ambientale - 1.2 DallAtto Unico Europeo al Trattato di Amsterdam - 1.3 Lambiente nella Carta di Nizza, nella Costituzione per lEuropa e nel Trattato di Lisbona. II. OBIETTIVI E PRINCIPI DEL DIRITTO AMBIENTALE EUROPEO: 2.1 Gli obiettivi della politica ambientale nel Trattato sul Funzionamento dellUnione Europea - 2.2 I principi - 2.2.1 Principi procedurali di tutela ambientale: Sussidiariet e Proporzionalit - 2.2.2 Principi sostanziali: Integrazione e sviluppo sostenibile, Precauzione, Prevenzione, Correzione dei danni alla fonte,Chi inquina paga. III. LAMBIENTE NEL SISTEMA COMUNITARIO DELLE LIBERT ECONOMICHE: 3.1 La tutela ambientale come deroga speciale alla libert di concorrenza - 3.2 La giurisprudenza comunitaria sui limiti alle deroghe: principio di integrazione e principio di proporzionalit nel bilanciamento degli interessi - 3.3 Segue: Effetti del principio di integrazione nella giurisprudenza costituzionale italiana. Bilanciamento di interessi e competenza legislativa esclusiva dello Stato - 3.4 Il principio di effettivit per la tutela ambientale. IV. I PRINCIPALI SETTORI E STRUMENTI DI INTERVENTO DELLA POLITICA COMUNITARIA: 4.1. Il settore ecologico. La disciplina contro linquinamento atmosferico, climatico, idrico, acustico, dei rifiuti - 4.2 Il settore paesaggistico-territoriale e delle aree protette - 4.3 Gli strumenti procedimentali: VIA, VAS AIA. - 4.4 La responsabilit per danno ambientale - 4.5 Laccesso allinformazione ambientale. I. IL PROFILO STORICO 1.1 Cenni sulle fasi di sviluppo. Evoluzione della tutela: dai poteri c.d. impliciti ai programmi di azione ambientale Nellordinamento comunitario la tutela dellambiente oggetto di specifica disciplina e costituisce materia propria nellambito delle diverse materie del diritto europeo. La politica ambientale infatti uno dei principali settori in cui si estrinseca lazione dellUnione Europea, ed il perseguimento dellobiettivo dello sviluppo sostenibile nella determinazione e nella realizzazione di tutte le altre politiche ed azioni comunitarie rappresenta ormai un obiettivo imprescindibile per le Istituzioni europee (1). E questo lesito di un lungo e graduale processo evolutivo. Nella versione originaria del Trattato istitutivo della CEE, infatti, non si faceva menzione dellambiente, essendo gli scopi costitutivi della Comunit inizialmente soltanto di natura economica. In quella versione di Trattato, la Comunit economica europea non era pertanto titolare (*) Professore aggregato di Diritto dellambiente presso lUniversit degli Studi di Roma Tor Vergata. Il contributo in corso di pubblicazione nel Trattato di diritto dellambiente, a cura di EUGENIO PICOZZA e PAOLO DELLANNO, ed. Cedam. (1) Cfr. M. MONTINI, Unione Europea e ambiente, in S.NESPOR - A. L.DE CESARIS, Codice dellambiente, Giuffr 2009. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 271 di competenze proprie in materia ambientale. E solo con la fine degli anni Sessanta e linizio degli anni Settanta del secolo scorso, allorch cominciarono ad emergere i problemi ambientali, che si pose la questione del fondamento sostanziale, del titolo formale e degli strumenti utilizzabili per lazione politica e gli interventi normativi di protezione ambientale della Comunit. Il fondamento sostanziale fu rinvenuto nellart. 2 del Trattato che nella versione originaria stabiliva per la Comunit il compito di promuovere uno sviluppo armonioso delle attivit economiche ed unespansione continua ed equilibrata. Il titolo formale per lesercizio di competenze in materia ambientale fu invece rinvenuto nelle disposizioni di cui agli artt. 100 e 235 della versione originaria del Trattato (successivamente artt. 95 e 308 del testo, attualmente artt. 114 e 352 del Trattato), relativi il primo al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri ed il secondo ai c.d. poteri impliciti della Comunit. In base a tali previsioni e sulla scorta di uninterpretazione evolutiva dellart. 2 del Trattato, volta a scorgere in tale norma i primi segni del concetto di sviluppo sostenibile, furono adottati programmi e misure di protezione ambientale di armonizzazione delle normative nazionali aventi incidenza sul funzionamento del mercato comune (2). Lintervento armonizzatore degli organi comunitari era dunque rivolto ad eliminare eventuali discriminazioni derivanti dal riscontro di difformit, tra i vari Stati membri, nella protezione di determinati valori ambientali. In dottrina lo sviluppo della politica ambientale (3) stato analizzato attraverso diverse fasi temporali. Secondo la ricostruzione operata da Jans, la prima fase copre il periodo che va dallentrata in vigore delloriginario Trattato istitutivo della CEE (1958) fino al 1972. In tale periodo, pur in assenza di una piena consapevolezza della questione ambientale e di una vera e propria politica ad essa dedicata, furono adottate alcune prime direttive, quali la direttiva n. 67/584 concernente la classificazione, limballaggio e letichettatura delle sostanze pericolose, la direttiva n. 70/157 sullinquinamento acustico e la n. 70/220 relativa alle emissioni in- (2) Cfr. M. RENNA, Ambiente e territorio nellordinamento europeo, in Riv. It. Dir. Pubbl. Comun., 2009, p. 651 e ss. Cfr. anche AA.VV., La tutela dellambiente, a cura di R. FERRARA, vol. XIII del Trattato di diritto privato dellUnione Europea, Giappichelli, 2006; G. COCCO - A. MARZANATI - R. PUPILELLA, Ambiente, il sistema organizzativo ed i principi fondamentali, in Trattato di diritto amministrativo europeo, Parte speciale, diretto da M. P. CHITI e G.GRECO, Giuffr, 2007; A. CROSETTI - R. FERRARA - F. FRACCHIA - N. OLIVETTI RASON, Diritto dellambiente, La Terza, 2008. (3) Per lo sviluppo delle diverse fasi cfr. J. H. JANS European Environmental Law, Groningen, 2000; L. KRAMER, Manuale di diritto comunitario per lambiente, Milano, 2002. Una ricostruzione delle fasi storiche anche in G. CATALDI, voce Ambiente (tutela dell) Diritto della Comunit europea, in Enc. Giur. Treccani, Roma, 2001. In generale sulla politica comunitaria: L. KRAMER , EC Environmental Law, London, Sweet& Maxwell, 2006; M. ONIDA (ed.), Europe and the Environment. Legal Iusses in Honoe of Ludowig Kramer, Groningen, 2004; E. LOUKA, Conflicting Integration - The environmental law of the european union, London, 2005. Per una attenta bibliografia si rinvia a M. MONTINI, cit. p. 48 e ss. 272 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 quinanti provocate dagli autoveicoli. Lanno 1972 apre la seconda fase che giunge fino al 1987. Essa segna un momento di notevole rilevanza per la fondazione dei primi embrioni di una politica ambientale. E in questa seconda fase infatti che si possono scorgere i primi segnali di attenzione da parte delle Istituzioni comunitarie verso le tematiche ambientali (4). Sulla spinta dei risultati del primo grande vertice mondiale svoltosi a Stoccolma nel 1972, le Istituzioni comunitarie furono incaricate di redigere il primo documento programmatico per la protezione ambientale adottato nel 1973 (Primo Programma di azione in materia ambientale). Da quel momento diversi Programmi di azione in materia ambientale sono stati adottati anticipando e consolidando lo sviluppo via via crescente di una vera e propria politica nel settore ambientale. Essi, infatti, oltre a costituire momento di discussione ed approfondimento delle tematiche ambientali hanno anche fornito le basi per anticipare il contenuto dei singoli atti normativi successivamente approvati, nel Corso di vigenza del Programma stesso (5). I primi due programmi di azione ambientale (1973-1977 e 1977-1981) stabilirono la centralit dellinteresse ambientale in relazione a qualunque tipo di programma o decisione, anche di natura economica adottata dalla CEE; stabilirono il principio di prevenzione dellinquinamento come criterio da preferire ad interventi successivi di recupero e ripristino nonch il principio dellimputazione delle spese per la prevenzione e leliminazione dellinquinamento a carico del responsabile (chi inquina paga). Si ascrivono a tale periodo le prime direttive comunitarie sulla protezione ambientale: la direttiva n. 75/442 sui rifiuti, la direttiva n. 75/716 sul tenore di zolfo nei combustibili, la direttiva n. 76/464 sulle sostanze pericolose nelle acque, la direttiva n. 78/319 sui rifiuti tossici e nocivi, la direttiva n. 79/409 sulla conservazione degli uccelli selvatici, la direttiva n. 80/778 sulle acque destinate al consumo umano e la direttiva n. 80/779 sulla qualit dellaria. Il Terzo programma di azione (1982-1986) getta le basi per la costruzione di una vera e propria politica ambientale prevedendo, insieme alle tradizionali misure sul controllo e contenimento degli inquinanti, una politica di prevenzione dei danni allambiente. Ricadono in tale periodo la direttiva n. 82/501 sui rischi di incidenti rilevanti, la direttiva n. 84/360 sulle emissioni in atmosfera degli impianti industriali, la direttiva n. 85/210 sul tenore di piombo nella (4) Nel Vertice di Stoccolma del 1972 fu dichiarato che la crescita economica non fine a se stessa ma dovrebbe tradursi in un miglioramento della vita e del benessere generale In conformit con i tratti fondamentali della cultura europea, attenzione particolare dovr essere data ai valori intangibili ed alla protezione dellambiente. Cfr. L. KRAMER, Manuale di diritto comunitario per lambiente, 2002. (5) Cfr. A. CAPRIA, Unione Europea ed ambiente, in S.NESPOR - A. L.DE CESARIS (a cura di), Codice dellambiente, Giuffr, 1999; A. GRATANI, Uno sguardo ai principali profili evolutivi della tutela ambientale comunitaria, in Quaderni delle RGA Speciale 20 anni, 2006, p. 51; N.DE SADELEER, Environmental principles from political slogans to legal rules, Cambridge, 2005. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 273 benzina, la direttiva n. 85/337 sulla valutazione di impatto ambientale. In questa seconda fase, in assenza di una specifica base giuridica per azioni a tutela dellambiente ladozione della normativa sopra citata fu basata, come detto, essenzialmente sugli artt. 100 e 235 del Trattato. 1.2 DallAtto Unico Europeo al Trattato di Amsterdam Dal 1987 al 1993 si sviluppa la terza fase della politica ambientale. E lAtto Unico europeo ad introdurre per la prima volta nel Trattato una espressa competenza della Comunit in materia ambientale introducendo il Titolo VII dedicato espressamente alla tutela ambientale (art. 130 R, 130 S, 130 T). Tale Titolo, successivamente modificato con il Trattato di Maastricht nel 1992, poi con il Trattato di Amsterdam nel 1997 ed infine con il Trattato di Lisbona nel 2007, costituisce ancora oggi il pilastro sostanziale della politica ambientale. Particolare attenzione in materia di ambiente stata inoltre manifestata fin dal 1980 dalla stessa Corte di giustizia, la quale ha indicato la tutela dellambiente quale scopo essenziale della Comunit (v. sentt. CGCE 18 marzo 1980, in cause 91/1979 e 92/1979; 7 febbraio 1985, in causa 240/1983; 20 febbraio 1988, in causa 302/1986). Tuttavia non si trattava ancora di una vera e propria politica, bens di una pi limitata azione volta ad affermare i principi di salvaguardia, protezione e miglioramento dellambiente, nonch di protezione della salute umana e delluso razionale delle risorse naturali. Nel quarto Programma di azione (1987-1992) si prospetta poi lesigenza di integrare la politica ambientale con le altre politiche comunitarie. Ma con il Trattato di Maastricht (nel periodo dal 1992 al 1999) che lambiente diviene oggetto di una vera e propria politica comunitaria (v. Preambolo, artt. 2, 3, Titolo XVI). Da questo momento non solo muta la denominazione stessa della Comunit da Comunit economica europea in Comunit europea ma viene istituita lUnione Europea intesa come una nuova organizzazione che si aggiunge alla CE, al fine di fornire uno strumento pi flessibile per il miglioramento ed il consolidamento del processo di unificazione europea (6). La politica ambientale diventa cos scopo ed obiettivo della Comunit Europea: promozione di uno sviluppo armonioso ed equilibrato delle attivit economiche nellinsieme della Comunit, una crescita sostenibile, non inflazionistica e che rispetti lambiente (art. 2). Con tale Trattato si introduce anche il principio di precauzione tra i principi guida della politica ambientale comunitaria, mentre il principio di sussidiariet viene trasferito dagli articoli relativi alla tutela ambientale alle norme introduttive del Trattato, divenendo quindi un principio generale nellordinamento giuridico comunitario. In questo stesso periodo fu adottato anche il Quinto Programma di azione (1993-2000 Verso la sostenibilit) sostanzialmente improntato alla ricerca di modalit di intervento fina- (6) Cfr. M. MONTINI, cit. p. 51, cui si rinvia per lampia bibliografia. 274 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 lizzate al contemperamento delle esigenze dello sviluppo economico con quelle legate alla tutela ambientale. Con tale programma emerge una diversa impostazione. Ora infatti lapproccio di tipo orizzontale: si considerano infatti tutte le possibili cause di inquinamento e si cerca di favorire un intervento attivo di tutti i possibili attori. Da un lato si incentivano strumenti trasversali e non pi solo settoriali di tutela, in considerazione di una visione unitaria delle problematiche ambientali, viste nella loro interrelazione, dallaltro si incentiva anche la partecipazione di imprese e cittadini attraverso ladozione di strumenti che vadano al di l dello schema tradizionale e che mirino ad un cambiamento di comportamenti non solo imprenditoriali ma anche sociali (7). Nel 1998 la decisione n. 2179/98/CE prosegue tale opera di cambiamento del diritto comunitario dellambiente promuovendo lintegrazione delle tematiche ambientali nelle politiche comunitarie. E di ci si terr conto nel successivo Trattato di Amsterdam. La quinta fase inizia infatti con lentrata in vigore di tale Trattato (1999) e prosegue fino ai nostri giorni. Pur non avendo, il Trattato di Amsterdam, apportato sostanziali modifiche, con esso si consolidata la rilevanza comunitaria della politica ambientale. In particolare il principio di integrazione stato elevato al rango di principio generale dellordinamento comunitario; principio che ha assunto poi importanza via via crescente come si evince anche dal Sesto programma di azione ambientale (Decisione n. 1600/2002 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 22 luglio 2002) che definisce le Linee guida dellazione della Comunit per i successivi dieci anni, ma anche dal pi recente Trattato di Lisbona. Obiettivo finale rimane quello del perseguimento dello sviluppo sostenibile. In relazione a tale obiettivo lapplicazione del principio di integrazione, considerato criterio guida, pone la politica ambientale in una necessaria pi ampia prospettiva, consentendo lelaborazione di una normativa genuinamente efficace e mirando al raggiungimento dello sviluppo sostenibile attraverso una strategia omnicomprensiva volta ad integrare le tematiche ed esigenze ambientali con quelle di natura sociale ed economica(8). Con riguardo a tale programma la Commissione europea chiamata ad elaborare strategie tematiche su sette settori: inquinamento dellaria, prevenzione e riciclaggio dei rifiuti, protezione e conservazione dellecosistema marino, protezione e conservazione del suolo, uso sostenibile di pesticidi, uso sostenibile delle risorse naturali, ambiente urbano. Lelaborazione di tali tematiche svolta in unottica di integrazione con gli obiettivi e tematiche individuate nella strategia di Lisbona ed in quella per lo sviluppo sostenibile, in una pro- (7) Cfr. N. LUGARESI, Diritto dellambiente, Cedam, 2008. (8) Cos M. Montini, cit., p. 52. Cfr. anche R. GARABELLO, Le novit del Trattato di Amsterdam in materia di politica ambientale comunitaria, in Riv. Giur. Amb., 1999, p. 151; N. DHONDT, Integratione of Environmental Protection into other EC Policies Legal Theory and Practice, Groningen, 2003. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 275 spettiva volta a promuovere sia lecoinnovazione che la crescita economica e del mercato del lavoro. 1.3 Lambiente nella Carta di Nizza, nella Costituzione per lEuropa e nel Trattato di Lisbona Nel 2000 i profili ambientali entrano a far parte della Carta dei diritti fondamentali dellUnione Europea, la quale riconoscendo il valore della tutela ambientale, rimarca lesigenza di un elevato livello di protezione e di un miglioramento della qualit dellambiente ma anche la necessaria integrazione della politica ambientale nelle altre politiche comunitarie, attraverso il principio dello sviluppo sostenibile considerato parametro di riferimento (art. 37: Un livello elevato di tutela dell'ambiente e il miglioramento della sua qualit devono essere integrati nelle politiche dell'Unione e garantiti conformemente al principio dello sviluppo sostenibile). Tale previsione va letta in unottica dinsieme che tenga cio conto della circostanza che, trattandosi di Carta dei diritti, gli interessi ambientali devono essere mediati con altri diritti ed interessi individuali, di carattere economico, quali la libert di impresa (art. 16) ed il diritto di propriet privata (art. 17), intesi non diversamente da quanto previsto ai livelli nazionali, quali posizioni di vantaggio non assolute o incondizionate (9). La Carta inizialmente non aveva valore vincolante, essendo solo un documento politico, ma essa stata successivamente integrata sia nel Trattato costituzionale firmato a Roma il 29 ottobre del 2004 (10) sia nel Trattato di Lisbona del 2007 (11), di cui si dir. Con riguardo al primo (il Trattato che adotta una Costituzione per lEuropa), pur essendosi interrotto il processo costituzionale europeo (12), lincorporazione in esso della Carta dei diritti fondamentali va registrato in generale come un elemento di significativa portata, anche se non si mancato di sottolineare la delusione per il mancato atteso riconoscimento di un vero e proprio diritto soggettivo allambiente in capo ai cittadini europei (13). (9) Cfr. N. LUGARESI, cit., p. 49. (10) Cfr. A. LUCARELLI, Commento art. 37, in R. BIFULCO, M. CARTABIA, A. CELOTTO (a cura di), LEuropa dei diritti, Il Mulino, 2001; L. FERRARI BRAVO, Carta dei diritti fondamentali UE, Milano, 2001; A. MANZELLA, Dopo Nizza: La Carta dei diritti fondamentali e Costituzione dellUnione europea, Giuffr, 2002. (11) Cfr. M. ALBERTON - M. MONTINI, Le novit introdotte dal Trattato di Lisbona per la tutela dellambiente, in Riv. giur. Amb., 2008, p. 505. (12) Sulle disposizioni costituzionali in tema di politica ambientale, cfr. P. BEYER, The Draft Constitution for Europe and the Environment, in ELR, 2004, p. 218 ss.; J. ZILLER, La place du droit materiel dans le project de constitution: Pourquoi une troisieme partie?, EUI Working Paper 2004/15. (13) In tema cfr. A. VITTORINO, La Charte des droits foundamentaux de lUnione europenne, in Rev du Droit et de lUnion eur., 2001; G. GAIA, Lincorporazione della Carta dei diritti fondamentali nella Costituzione per lEuropa, in I diritti delluomo Cronache e battaglie, 2004; S. RODOT, La 276 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 E per solo con lintegrazione del Testo della Carta nel Trattato di Lisbona del 2007 che essa assurge al rango di diritto primario dellUnione Europea. (Articolo 6 TUE) 1. L'Unione riconosce i diritti, le libert e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati. Tale Trattato, entrato in vigore nel 2009, ha apportato modifiche volte al buon funzionamento di unEuropa ormai notevolmente allargata. Il Trattato che istituisce lUnione Europea ed il Trattato che istituisce la Comunit Europea sono stati rispettivamente sostituiti dal Trattato sullUnione Europea (TUE) e dal Trattato sul funzionamento dellUnione Europea (TFUE). In particolare ai sensi dellart. 3, par. 3 TUE lUnione si adopera per lo sviluppo sostenibile dellEuropa, basato su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualit dellambiente. La centralit delle tematiche ambientali si rileva anche in sede di azione esterna dellUnione; infatti lart. 21, par. 2, lett. f TFUE, dispone che l'Unione definisce e attua politiche comuni e azioni e opera per assicurare un elevato livello di cooperazione in tutti i settori delle relazioni internazionali al fine di contribuire all'elaborazione di misure internazionali volte a preservare e migliorare la qualit dell'ambiente e la gestione sostenibile delle risorse naturali mondiali, al fine di assicurare lo sviluppo sostenibile. Sebbene, quindi, il riferimento allo sviluppo sostenibile fosse gi presente nelle fonti di diritto primario precedenti, si configura nel nuovo Trattato un rafforzamento di tale principio ed unestensione della sua portata, non pi limitata principalmente al mercato e alle attivit economiche, ma omnicomprensiva, nel senso di uno sviluppo sostenibile economico, sociale ed ambientale e di linea guida nella definizione della politica sia interna che esterna dellUnione (14). Il Trattato di Lisbona ridefinisce i settori in cui lUnione ha competenza esclusiva o concorrente (artt. 4 e 5 TUE). Anche a seguito di questa revisione, lambiente rimane una delle politiche in cui lUnione condivide il potere legislativo con gli Stati membri ed esercita la sua azione in conformit con i principi di attribuzione, di sussidiariet e di proporzionalit. In materia di ambiente allUnione attribuita una competenza concorrente con quella degli Stati membri (art. 4, par. 2, lett. e TFUE) ed inoltre, a conferma della natura trasversale delle questioni inerenti allambiente rispetto Carta come atto politico e documento giuridico, in A. MANZELLA, P. MELOGRANI, E. PACIOTTI, S. RODOT, Riscrivere i diritti in Europa, Il Mulino, 2001. Esprime delusione per il mancato riconoscimento di un vero e proprio diritto soggettivo allambiente in capo ai cittadini europei, atteso con la Carta, M. RENNA, cit., p. 660. (14) In tali termini M. ALBERTON - M. MONTINI, cit., p. 507. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 277 alle altre aree di intervento comunitario, posta allart. 11 TFUE una clausola generale, in forza della quale le esigenze connesse con la tutela dell'ambiente devono essere integrate nella definizione e nell'attuazione delle politiche e azioni dell'Unione, in particolare nella prospettiva di promuovere lo sviluppo sostenibile. Si osservato che tale diversa formulazione della norma, la quale non reca pi lo specifico riferimento alle politiche ed alle azioni di cui al vecchio art. 3 del Trattato CE, come ambito di applicazione del principio di integrazione della politica ambientale, potrebbe comportare un potenziale significativo allargamento dello scopo del principio stesso, non pi vincolato verso specifiche e predeterminate politiche o azioni, ma anche, al contrario, diluirne la portata in assenza di uno specifico collegamento con un elenco ben identificato di politiche ed azioni (15). Le norme del Trattato dedicate specificatamente alla politica ambientale sono inserite nel titolo XX del Trattato FUE, che si compone degli artt. 191, 192 e 193, i quali sostituiscono rispettivamente gli artt. 174, 175 e 176 del TCE. Di questi si tratter pi diffusamente nel paragrafo successivo ma sin da ora pu rilevarsi che la politica della Comunit contribuisce a perseguire i seguenti obiettivi: - salvaguardia, tutela e miglioramento della qualit dell'ambiente, - protezione della salute umana, - utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali, - promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere i problemi dell'ambiente a livello regionale o mondiale e, in particolare, a combattere i cambiamenti climatici (art. 191, par. 1 TFUE). Pi in generale, la politica dell'Unione in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela, tenendo conto della diversit delle situazioni nelle varie regioni dell'Unione. Essa fondata sui principi della precauzione e dell'azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente, nonch sul principio "chi inquina paga". In tale contesto, le misure di armonizzazione rispondenti ad esigenze di protezione dell'ambiente comportano, nei casi opportuni, una clausola di salvaguardia che autorizza gli Stati membri a prendere, per motivi ambientali di natura non economica, misure provvisorie soggette ad una procedura di controllo dell'Unione (art. 191, par. 2). Nel predisporre la politica in materia ambientale l'Unione tiene conto: - dei dati scientifici e tecnici disponibili, - delle condizioni dell'ambiente nelle varie regioni dell'Unione, - dei vantaggi e degli oneri che possono derivare dall'azione o dall'assenza di azione, (15) Ancora M. ALBERTON - M. MONTINI, cit., p. 514. 278 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 - dello sviluppo socioeconomico dell'Unione nel suo insieme e dello sviluppo equilibrato delle sue singole regioni (art. 191, par. 3 TFUE). Sotto il profilo internazionale, da un lato si prevede che, nell'ambito delle rispettive competenze, l'Unione e gli Stati membri collaborano con i paesi terzi e con le competenti organizzazioni internazionali e le modalit della cooperazione dell'Unione possono formare oggetto di accordi tra questa ed i terzi interessati; dallaltro si precisa che lintervento dellUnione sul piano internazionale non pregiudica la competenza degli Stati membri a negoziare nelle sedi internazionali e a concludere accordi internazionali (art. 191, par. 4 TFUE). Quanto alla procedura legislativa, lart. 192 (ex art. 175 TCE) prevede che il Parlamento europeo e il Consiglio deliberano secondo la procedura ordinaria previa consultazione del Comitato economico e sociale e del Comitato delle regioni (art. 192, par. 1). Tuttavia il Trattato indica alcune iniziative, in ordine alle quali il Consiglio deve deliberare allunanimit secondo una procedura legislativa speciale e previa consultazione del Parlamento europeo, del Comitato economico e sociale e del Comitato delle regioni. Tale procedura si applica per ladozione di: a) disposizioni aventi principalmente natura fiscale; b) misure aventi incidenza: - sull'assetto territoriale, - sulla gestione quantitativa delle risorse idriche o aventi rapporto diretto o indiretto con la disponibilit delle stesse, - sulla destinazione dei suoli, ad eccezione della gestione dei residui; c) misure aventi una sensibile incidenza sulla scelta di uno Stato membro tra diverse fonti di energia e sulla struttura generale dell'approvvigionamento energetico del medesimo (art. 192, par. 2 TFUE). Inoltre, il Parlamento europeo ed il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria e previa consultazione del Comitato economico e sociale e del Comitato delle Regioni, adottano programmi generali d'azione che fissano gli obiettivi prioritari da raggiungere, cui seguono le necessarie misure di attuazione (art. 192, par. 3 TFUE). Il carico economico per il finanziamento e lesecuzione della politica in materia ambientale grava in prima battuta sugli Stati membri, fatte salve talune misure adottate dallUnione (art. 192, par. 4); tuttavia il Trattato introduce un temperamento, poich prevede che, fatto salvo il principio "chi inquina paga", qualora una misura (..) implichi costi ritenuti sproporzionati per le pubbliche autorit di uno Stato membro, tale misura prevede disposizioni appropriate in forma di deroghe temporanee e/o sostegno finanziario del Fondo di coesione (art. 192, par. 5 TFUE). Infine, lart. 193 pone una clausola di salvaguardia, a chiusura del sistema, prevedendo che i provvedimenti di protezione adottati in virt dell'articolo 192 non impediscono ai singoli Stati membri di mantenere e di prendere prov- CONTRIBUTI DI DOTTRINA 279 vedimenti per una protezione ancora maggiore. Tali provvedimenti devono essere compatibili con i trattati. Essi sono notificati alla Commissione (16). II. OBIETTIVI E PRINCIPI DEL DIRITTO AMBIENTALE EUROPEO 2.1 Gli obiettivi della politica ambientale nel Trattato sul Funzionamento dellUnione Europea Anche dopo le modifiche apportate dal Trattato di Lisbona, nella versione attualmente vigente restano confermati gli obiettivi di uno sviluppo economico coerenti con la salvaguardia delle risorse ambientali. Lart. 3 c. 3 (ex art. 2 del TUE) dellattuale TUE, tra gli obiettivi generali che lUE si prefigge, indica il riferimento ad uno sviluppo sostenibile dellEuropa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilit dei prezzi, su uneconomia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione ed al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualit dellambiente. Tale obiettivo, gi contenuto negli articoli 2 del Trattato UE e CE e 6 del Trattato CE, viene qui ora ribadito in una prospettiva globale (art. 3 c. 5 TUE: sviluppo sostenibile della Terra e art. 21 c. 2 lett.f: azione esterna dellUE), laddove si enuncia che lUnione definisce e attua politiche comuni e azioni ed opera per assicurare un elevato livello di cooperazione in tutti i settori delle relazioni internazionali al fine di contribuire allelaborazione di misure internazionali volte a preservare e migliorare la qualit dellambiente e la gestione sostenibile delle risorse naturali mondiali, al fine di assicurare lo sviluppo sostenibile. Appare cos evidente che, pur essendo il riferimento allo sviluppo sostenibile gi presente nelle fonti di diritto primario precedenti, nel nuovo Trattato esso ne esce rafforzato, con estensione della sua portata non pi limitata al mercato ed alle attivit economiche. Ne emerge, secondo quanto prima detto, una visione omnicomprensiva del principio che include anche gli aspetti sociali ed ambientali. Larticolo 191 del TFUE (ex articolo 174 del TCE) al comma 1 recita: 1. La politica dell'Unione in materia ambientale contribuisce a perseguire i seguenti obiettivi: - salvaguardia, tutela e miglioramento della qualit dell'ambiente, - protezione della salute umana, - utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali, - promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere i (16) Con riguardo a tale normativa, per un analitico commento delle disposizioni relative alla competenza esterna in materia ambientale, nonch alla competenza normativa (ex artt. 174 par. 2 e 176) ed esecutiva cfr. O. PORCHIA, Tutela dellambiente e competenze dellUnione Europea, in Riv. It. Dir. Pubb., Comun., 2006, specie p. 41 e ss. 280 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 problemi dell'ambiente a livello regionale o mondiale e, in particolare, a combattere i cambiamenti climatici. Il primo tra gli obiettivi indicati, nella sua formulazione, appare quanto mai vago ed ampio (17), potendo in esso rientrare sia misure generali per la salvaguardia ambientale sia misure specifiche di prevenzione da inquinamento. Il fine della protezione della salute umana d conto invece della stretta correlazione tra le misure volte alla tutela della qualit dellambiente e quelle per la tutela della salute. Nel nostro ordinamento del resto, proprio la previsione costituzionale (art. 32) della tutela della salute unitamente alla tutela del paesaggio (art. 9) ha fornito le basi per la costruzione di una tutela ambientale. Il terzo obiettivo della politica comunitaria consiste nellutilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali. Al proposito occorre ricordare che anche il concetto di risorse naturali, al pari del concetto stesso di ambiente, non stato definito n nel Trattato n nella legislazione comunitaria secondaria. Si quindi fatto riferimento al diritto internazionale dellambiente, laddove (Principio 2 Dichiarazione di Stoccolma 1972) le risorse naturali includono aria, acqua, terra, flora, fauna e gli esempi particolarmente rappresentativi di ecosistemi naturali . In dottrina, poi, le risorse naturali sono state definite come linsieme di tutte le risorse che si trovano nellambiente: flora, fauna, legno, minerali, acqua, olio, gas naturale e sostanze chimiche (18). E si correttamente evidenziato che una definizione pi dettagliata dellampio e vago concetto di utilizzazione delle risorse naturali pu ricavarsi dalle competenze che deriverebbero da questa disposizione del Trattato per le Istituzioni comunitarie (19). Lutilizzazione delle risorse naturali comprenderebbe quindi le attivit di conservazione della natura, protezione del suolo, gestione dei rifiuti, pianificazione urbana, zone costiere, protezione della montagna, gestione delle acque, politica agricola, risparmio energetico e protezione civile. La previsione dellart. 192 del TFUE (ex art. 175 del TCE) sembra confermare tale assunto. Infatti, tra le misure che il Consiglio adotta (comma 2 del citato articolo) vi sono quelle aventi incidenza: sullassetto territoriale, sulla gestione quantitativa delle risorse idriche o aventi rapporto diretto o indiretto con la disponibilit delle stesse, sulla destinazione dei suoli, ad eccezione della gestione dei residui, ma anche quelle aventi incidenza sulla scelta di uno Stato membro tra diverse fonti di energia e sulla struttura generale dellapprovvigionamento energetico del medesimo. Ove si consideri che dopo il Trattato di Lisbona lattuale TFUE contiene un apposito Titolo dedicato alla politica energetica (Titolo XXI art. 194) e nel contempo attribuisce rilevanza fondamentale anche alla lotta al cambiamento (17) Cfr. L. KRAMER, cit., p. 72. (18) Cfr. J. JANS, cit., p. 28. (19) Per la dottrina in tema cfr. M. MONTINI, cit., p. 60. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 281 climatico, ancor pi evidente appare come il riferimento allobiettivo dellutilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali, conferisca alla Istituzioni comunitarie il potere di indirizzare la normativa ambientale verso fini di tutela delle risorse naturali, sviluppo sostenibile e risparmio energetico in unottica di integrazione tra le politiche ambientali e quelle energetiche, anche alla luce dei pi recenti tentativi internazionali (Cancun 2010) volti allattuazione del Protocollo di Kyoto (20). Il quarto obiettivo della politica ambientale comunitaria (promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere i problemi dell'ambiente a livello regionale o mondiale e, in particolare, a combattere i cambiamenti climatici ) ha indotto ad interrogarsi circa la possibilit che tale riferimento risolvesse tutti i problemi relativi alla competenza esterna della Comunit europea nel settore della tutela internazionale dellambiente. Ed infatti nonostante ladozione di numerosi strumenti di protezione ambientale al di fuori del territorio comunitario, permanevano questioni di natura costituzionale in merito allampiezza delle competenze esterne della Comunit. Ora, per, la specifica previsione della lotta ai cambiamenti climatici inserita espressamente, come detto, dopo il Trattato di Lisbona cristallizza limportanza e la priorit accordata dallUnione a tale aspetto, giustificandone azioni ed impegni. 2.2. I principi 2.2.1 I principi procedurali di tutela ambientale: sussidiariet e proporzionalit I principi del diritto comunitario ambientale (21), consacrati nei Trattati ed ora anche nella Carta dei diritti fondamentali di Nizza, si possono distinguere in principi procedurali, atti ad indicare le regole di azione, il modus procedendi appunto, in materia ambientale, e in principi di carattere sostanziale, i quali forniscono il contenuto sostanziale dei principi introdotti espressamente per il settore ambientale (principi propriamente ambientali). Con riguardo al primo tipo va innanzitutto menzionato il principio di sussidiariet (22), originatosi proprio nel settore ambientale e poi esteso a principio cardine della Comunit, ora Unione, e degli Stati membri. (20) Cfr. S. NESPOR, La conferenza di Cancun sul cambiamento climatico, in Greenlex.it, Editoriale, 2010. (21) Cfr. M. RENNA, cit. p. 667 e ss.; P. SANDS, Principles of International Environmental, Cambridge, 2003, p. 732; G. CORDINI, Ambiente (Tutela dell) nel Diritto delle Comunit Europee, Aggiornamento voce Ambiente, in Dig. Disc. pubbl., Appendice VII, 1991, p. 665; B. CARAVITA, Diritto dellambiente, Il Mulino, 2005; P. DELLANNO, Principi del diritto ambientale europeo e nazionale, Giuffr, 2004. (22) Cfr. W. P. J. WILS, Subsidiarity and EC Environmental Policy:taking Peoples Concerns seriously, in Journal of Environmental law, 1994, p. 85; K. LENAERTS, The Principle of subsidiarity and the environment in the European U: keeping the balance of federalism, in Fordham international law journal, 1994, p. 846. 282 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 Tale principio stato considerato un principio polivalente che, tuttavia, nellordinamento europeo vale essenzialmente quale principio inerente lesercizio delle competenze normative comunitarie. Sotto tale profilo esso stato adottato inizialmente per la materia ambientale, ma poi esteso a tutti i settori di competenza non esclusiva della Comunit, nei quali, ai sensi del vigente art. 5 del TUE (ex art. 5 del TCE) lUnione interviene soltanto se ed in quanto gli obiettivi dellazione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri, n a livello centrale n a livello regionale e locale, ma possono, a motivo della portata o degli effetti dellazione in questione, essere conseguiti meglio a livello di Unione. In ambito comunitario dunque il principio concepito per operare sul piano normativo, in senso ascendente, ed strettamente connesso al principio di effettivit. E noto invece che nellordinamento italiano, laddove esso rileva sul piano dellallocazione ed esercizio delle funzioni amministrative (sia in una dimensione verticale, nel rapporto tra i diversi livelli di governo territoriale, sia in una dimensione orizzontale, nel rapporto tra pubblici poteri e autonomia individuale e sociale dei cittadini) stato concepito per operare soprattutto in senso discendente. Sia che si applichi allesercizio di competenze normative, sia che riguardi il riparto di funzioni amministrative, resta un principio per sua natura elastico ed ambivalente (23). A ben guardare, prima ancora che essere considerato un principio procedurale, al pari del principio di attribuzione, esso si ascrive tra i principi generali del diritto comunitario. Lattuale art. 5 del TUE prevede infatti, come criteri (23) Sul principio di sussidiariet nel nostro ordinamento cfr. G. STROZZI, Il principio di sussidiariet nel futuro dellintegrazione europea: unincognita e molte aspettative, in Rivista italiana di diritto pubblico comparato n. 1/1993; F. CASAVOLA, Dal federalismo alla sussidiariet: le ragioni di un principio, Foro italiano n. 4/1996; J. LUTHER, Il principio di sussidiariet: un principio speranza per lordinamento europeo?, in Foro Italiano n. 4/1996; A. RINELLA, Il principio di sussidiariet: definizioni, comparazioni e modello danalisi, in Sussidiariet e ordinamenti costituzionali. Esperienze a confronto, a cura di A. RINELLA, LEOPOLDO COEN, ROBERTO SCARMIGLIA, Padova, Cedam, 1999; A. DATENA, Costituzione e principio di sussidiariet, in Quaderni Costituzionali n. 1 2001; dello stesso A., La sussidiariet tra valori e regole in Diritto e giurisprudenza agraria e dellambiente n. 2/2004 e Modelli federali e sussidiariet nel riparto di competenze tra Unione europea e Stati membri, in Diritto dellUnione Europea n. 1/2005; L. AZZERA, Il sistema delle competenze, in Il Foro italiano n. 1 2005; F. CARINCI, Il principio di sussidiariet verticale nel sistema delle fonti, in ADL 2006 n. 6; O. CHESSA, La sussidiariet (verticale) come precetto di ottimizzazione e come criterio ordinatore, in Diritto pubblico comparato ed europeo n. 4/2002; L. GIANNITI, I Parlamenti nazionali garanti del principio di sussidiariet, in Quaderni Costituzionali n. 1, 2003; F. IPPOLITO, Sussidiariet e armonizzazione: il caso British American Tabacco, in Il diritto dellunione europea n. 3/2004; I.MASSA PINTO, Il principio di sussidiariet nel Progetto di Trattato che istituisce una costituzione per lEuropa, in Diritto pubblico comparato europeo n. 3/2003; C. PANZERA, Il doppio volto della sussidiariet, n. 4/2003; F. PETRANGELI, Sussidiariet e Parlamenti nazionali: i rischi di confusione istituzionale, in Quaderni Costituzionali n. 1/2003; C. PINELLI, Il disegno delle istituzioni politiche, in Il Foro italiano n. 1/2005; S. STAIANO, La sussidiariet orizzontale: profili teorici in Federalismi.it del 9 marzo 2006. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 283 generali di riferimento per lesercizio dellazione legislativa da parte delle istituzioni comunitarie, il principio di attribuzione, il principio di sussidiariet ed il principio di proporzionalit. In virt del principio di attribuzione, lUnione agisce esclusivamente nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri nei trattati per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti. Qualsiasi competenza non attribuita allUnione nei trattati appartiene agli Stati membri (art. 5 del TUE). Tale principio caratterizza lordinamento giuridico comunitario, il quale non un ordinamento originario ma deriva dagli ordinamenti degli Stati membri che, mediante il Trattato, trasferiscono parte delle loro competenze alla Comunit. Ne consegue che le Istituzioni comunitarie possono agire solo nei limiti delle competenze che sono state loro conferite dal Trattato stesso (24). Tornando al principio di sussidiariet, si detto che esso costituisce principio generale di diritto comunitario ed di estrema rilevanza per il diritto ambientale. Fu infatti inserito per la prima volta nel Trattato CE con le modifiche apportate dallAtto Unico europeo del 1987 al testo dellart.130 R (poi art. 174), ora art. 191), con esclusivo riferimento alla politica ambientale comunitaria. Nel 1993, con il Trattato di Maastricht, il riferimento al principio di sussidiariet venne eliminato dallart. 130 R e trasferito nel nuovo art. 3B del Trattato (poi art. 5), divenendo cos principio generale; come tale esso guida lazione normativa delle istituzioni comunitarie in tutti i settori in cui lUnione titolare di competenza concorrente con quelle degli Stati membri. In dottrina si ritenuto che tale principio si atteggi come criterio da utilizzare per effettuare una corretta ripartizione delle competenze tra le Istituzioni comunitarie e quelle degli Stati membri tutte le volte in cui vi sia un dubbio sullopportunit di disciplinare una certa materia a livello comunitario o a livello nazionale. Ammessa la natura giuridica del principio, assoggettabile al sindacato del giudice comunitario, la rarit dei casi in cui la Corte ha riconosciuto la violazione del principio ha dato luogo ad un acceso dibattito sulleffettivit del controllo giurisdizionale ex post (25). Al fine di consentirne una corretta applicazione stato allegato al Trattato di Amsterdam un Protocollo (26) contenente una serie di criteri atti a stabilire il livello pi appropriato di intervento. Riguardo a tali criteri particolare rilievo stato dato in (24) G. TESAURO, Diritto Comunitario, IV ed., Cedam, 2005; G. GAJA, Introduzione al diritto comunitario, Laterza, 2005; M. MONTINI, cit., p. 68. (25) Anche se inserito nel Trattato, e perci dotato di efficacia giuridica, soprattutto nei primi anni di applicazione del principio si contestata la sua natura giuridica riconoscendo unicamente la natura politica. Sulla questione cfr. P. FOIS, Il diritto ambientale nellordinamento dellUnione europea, in G. CORDINI, P. FOIS, S. MARCHISIO, Diritto ambientale. Profili internazionali europei e comparati, Giappichelli, 2005, p. 51. (26) Tale Protocollo stato oggetto di profonde modifiche da parte del Trattato di Lisbona, in merito alle quali si rinvia a M. ALBERTON E M. MONTINI, Le novit introdotte dal Trattato di Lisbona, cit. specie p. 508 e ss. 284 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 dottrina (27) allipotesi in cui lintervento comunitario si giustifica allorch lassenza di azione a tale livello, congiuntamente allazione di alcuni Stati membri, potrebbe determinare in un certo settore unalterazione delle condizioni di funzionamento del mercato unico, attraverso limitazioni alla libera circolazione delle merci o distorsioni della concorrenza. Lintervento comunitario stato ritenuto preferibile in virt del principio di sussidiariet quando lazione comunitaria sia in grado di produrre economia o benefici di scala rispetto ad azioni nazionali dei singoli Stati membri. Il riferimento alla possibilit di raggiungere meglio gli obiettivi dellazione prevista stato infatti interpretato nel senso di pi efficace, meno costoso, pi efficiente, ma a anche pi vicino al cittadino, pi democratico. Inoltre, muovendo da unanalisi della pronuncia della Corte di Giustizia (caso C-84/94 Regno Unito c. Consiglio e C-233/94 Germania c. Parlamento Europeo e Consiglio) si anche sottolineata la scarsa propensione ad annullare un atto del Consiglio sulla base della mancata applicazione del principio di sussidiariet (28). Il canone delladeguatezza o di efficacia, implicato nel principio di sussidiariet, sarebbe testualmente rinvenibile nellart. 5 del Trattato UE, laddove si fa riferimento alla possibilit di realizzare gli obiettivi dellazione prevista in misura sufficiente. Unitamente a detto canone va considerato anche il principio di differenziazione, come corollario del canone di adeguatezza. Tale principio affermato nellattuale art. 191 par. 2 del Trattato, ove si dispone che la politica comunitaria in materia di ambiente mira ad un elevato livello di tutela tenendo conto della diversit delle situazioni nelle varie regioni dellUnione, ma anche al par. 3 del medesimo articolo, nella parte in cui si fa riferimento alla necessit di tener conto delle condizioni dellambiente nelle varie regioni dellUnione. Lesercizio delle competenze, oltre che sul principio di sussidiariet, fondato sul principio di proporzionalit, anchesso principio generale del diritto comunitario. In virt di detto principio il contenuto e la forma dellazione dellunione si limitano a quanto necessario per il conseguimento degli obiettivi dei Trattati. Tale principio, ampiamente applicato dalla giurisprudenza comunitaria (29), non specifico del diritto ambientale pur rivestendo in tale settore notevole rilevanza. Lart. 191 del trattato al par. 3 dispone infatti che (27) Ancora M. MONTINI, cit. p. 70 e H. SEVENSTER, The Environmental Guarantee after Amsterdam: Does the emperor have new clothes, in YEEL, 2000, p. 291. (28) Cfr. anche Corte di Giustizia, 9 ottobre 2001, causa C-377/98, Paesi Bassi c. Parlamento e Consiglio. (29) Sullapplicazione del principio di proporzionalit in materia ambientale, cfr. ex multis, Corte di Giustizia CE, 20 settembre 1988, C-302/86, Corte di Giustizia CE, 13 aprile 1994, C-131/93, Corte di Giustizia CE, 3 dicembre 1998, C-67/97, Corte di Giustizia CE 13 dicembre 2001, C-324/99, Corte di Giustizia CE, 10 novembre 2005, C-432/03 e Corte di Giustizia CE, 20 settembre 2007, C-297/05. Una rassegna di giurisprudenza comunitaria e internazionale sul tema in F. DE LEONARDIS, La disciplina dellambiente tra Unione europea e WTO, in Dir. Amm., 2004, p. 513. In tema, inoltre, M. RENNA, cit., p. 682. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 285 nel predisporre la sua politica in materia ambientale lUnione tiene conto pure dei vantaggi ed oneri che possono derivare dallazione o assenza di azione. Lapplicazione del principio implica che ladozione di misure a tutela ambientale non siano eccessivamente o ingiustificatamente restrittive o discriminatorie delle libert economiche, tali da alterare la concorrenza. La Corte di Giustizia comunitaria, sin dagli anni Ottanta, ha precisato i termini di operativit di detto principio, censurando ad esempio divieti o restrizioni allimportazione di determinati prodotti, introdotti dagli Stati membri per scopi di tutela ambientale. Anche in relazione al tema degli aiuti di Stato destinati a promuovere la tutela ambientale (30), la Corte ha precisato entro quali limiti, in applicazione del principio di proporzionalit, possono essere ammesse deroghe al generale divieto di aiuti: esse devono essere tali da comportare vantaggi per la protezione ambientale proporzionati agli effetti negativi che le stesse possono provocare sulla concorrenza. Nel gi citato Protocollo del 1997 sono stati poi indicati i criteri per lapplicazione anche di tale principio, come quello di preferire ladozione di misure che lasciano pi spazio alle autorit nazionali per la loro azione amministrativa, o ancora di preferire strumenti non vincolanti, come raccomandazioni o codici di condotta. Qualora sia comunque necessario adottare un atto vincolante, la direttiva dovrebbe essere preferita al regolamento e le direttive quadro dovrebbero essere preferite rispetto a quelle dettagliate. Dal combinato disposto dei principi di sussidiariet e proporzionalit, letti anche secondo i criteri del Protocollo di Amsterdam, si rilevata una progressiva riduzione del margine di manovra per lazione comunitaria in materia ambientale a vantaggio delle competenze degli Stati membri. Sarebbe questa una delle pi recenti tendenze evolutive del diritto ambientale comunitario che, secondo taluni autori, potrebbe anche influenzare negativamente il futuro della politica ambientale comunitaria (31). Secondo altri, invece (32), la complessit ed il carattere tecnicoscientifico del diritto ambientale giustificherebbero (o meglio imporrebbero) la competenza ai livelli di governo superiore quali livelli pi adeguati ad esercitare le relative funzioni sia normative che amministrative. Nel nostro ordinamento, con riguardo alla competenza legislativa, si ascrive a tale tendenza il pi recente orientamento della Corte Costituzionale, come si dir. (30) In tema di aiuti di Stato per la tutela ambientale, cfr. Corte di Giustizia CE, 13 marzo 2001, C-379/98 (PreussenElektra), Corte di Giustizia CE 24 luglio 2003, C-280/00 (Altmark), Corte di Giustizia CE 8 maggio 2008, C-49/05 (Ferriere Nord). (31) Cfr. M. MONTINI, cit., p. 71. (32) Cfr. M. RENNA, cit. p. 670 e p. 682. In tema cfr. anche M. MAZZAMUTO, Diritto dellambiente e sistema comunitario delle libert economiche, in Riv. It. Dir. Pubbl., Comun., 2009, p. 1571 e ss. 286 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 2.2.2 I principi sostanziali: Integrazione e sviluppo sostenibile, Precauzione, Prevenzione, correzione dei danni alla fonte, Chi inquina paga Tra i principi fondamentali posti nel Trattato vi il principio di integrazione, che pu considerarsi principio generale del diritto comunitario. Lart. 11 del TFUE (ex art. 6 del TCE) stabilisce: le esigenze connesse con la tutela dellambiente devono essere integrate nella definizione e nellattuazione delle politiche e azioni dellUnione, in particolare nella prospettiva di promuovere lo sviluppo sostenibile. Da tale disposizione, cos come modificata soprattutto dopo il Trattato di Amsterdam e di Lisbona, appare subito evidente la stretta connessione con il principio dello sviluppo sostenibile (33) e nel contempo la natura trasversale della politica ambientale. La tutela ambientale diventa infatti parte integrante del processo di sviluppo in tutti i suoi aspetti. Scopo di tale previsione dunque di assicurare che le esigenze ambientali costituiscano elemento imprescindibile nella definizione ed attuazione di tutte le altre politiche comunitarie. La modifica apportata a detto principio dopo il Trattato di Lisbona, relativamente al contesto di riferimento per la sua applicazione, reca in s proprio tale significato. Leliminazione dello specifico riferimento alle politiche ed alle azioni di cui al vecchio art. 3 del Trattato CE (oggi abrogato) sembra infatti sottendere unestensione della sua portata con lesclusione di vincoli verso specifiche e predeterminate politiche ed azioni. In tali principi (integrazione e sviluppo sostenibile) trovano fondamento tutte quelle disposizioni volte a tutelare direttamente o indirettamente lambiente allinterno di normative riguardanti tutti gli ambiti delle attivit economiche e di uso o trasformazione del territorio (energia, agricoltura, telecomunicazioni, trasporti, etc.) Anche le discipline di carattere trasversale, quali quelle della procedura di VIA e della VAS, costituiscono attuazione di tali principi considerati congiuntamente, i quali si rinvengono anche nelle pi recenti disposizioni sugli appalti c.d. verdi (direttiva 2004/18CE e 2004/17CE). Nel nostro ordinamento, lo stretto collegamento tra i due menzionati principi stato ribadito, ai fini della loro stessa operativit, dal decreto legislativo n. 152/06, come modificato dal decreto legislativo n. 4/08 che ha introdotto lart. 3 quater, laddove si specificato, come canone per il bilanciamento degli (33) Cfr. F. FONDERICO, voce Ambiente in Dizionario di diritto pubblico, diretto da S. CASSESE, Giuffr, 2006; P. DELLANNO, Principi del diritto, cit.; AA.VV. La forza normativa dei principi. Il contributo del diritto ambientale alla teoria generale, a cura di D. AMIRANTE, Cedam, 2006; F. FRACCHIA, Lo sviluppo sostenibile, Editoriale Scientifica, 2010. Per una riformulazione dell idea di sostenibilit dello sviluppo come libert sostenibile (basata sullapproccio non delle utilit e risorse bens delle capacit che [ha] la persona di fare quelle cose a cui assegna un valore) adeguata alla consapevolezza che lindividuo ha non solo bisogni e interessi ma anche valori, cfr. A. SEN, Lidea di giustizia, Mondadori, 2010, p. 257 e ss. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 287 interessi, lobbligo della prioritaria considerazione dellambiente e del patrimonio culturale nella valutazione comparativa degli interessi. In tal modo, attribuendo valore precettivo al principio dello sviluppo sostenibile, esso diventa anche regola generale della materia ambientale, secondo una formulazione di antica tradizione nella scienza amministrativistica italiana che considerava i principi come regole (34). La formulazione del principio dello sviluppo sostenibile, recepito nei termini anzidetti nel nostro ordinamento, sembra invero consentirne uninterpretazione pi estesa di quella fornita finora dalla dottrina ed anche dalla giurisprudenza comunitaria, con riguardo alla priorit degli aspetti ambientali in caso di conflitto con altri interessi/obiettivi dellazione comunitaria. Secondo tale dottrina maggioritaria, il principio di cui al citato art. 11 del TFUE non comporterebbe una considerazione necessariamente prioritaria delle esigenze ambientali, dovendosi ritenere che la prevalenza dellesigenza di tale protezione, nellottica comunitaria, debba essere valutata caso per caso, rispetto al perseguimento di altri interessi giudicati meritevoli di tutela dallordinamento comunitario, con riferimento ai criteri elaborati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia CE, primo tra tutti il principio di proporzionalit (35). Il riferimento alle esigenze connesse alla tutela dellambiente come oggetto del principio di integrazione stato quindi interpretato nel senso di identificare tali esigenze nellinsieme degli obiettivi, dei principi e dei criteri per lesercizio dellazione in materia ambientale indicati nellart. 191 del Trattato ma anche nei principi rilevanti per il diritto comunitario dellambiente ricavabili da altre disposizioni del Trattato e dalla giurisprudenza comunitaria. Tali esigenze tuttavia non hanno carattere vincolante, ma servono solo come linee guida per lesercizio delle proprie competenze da parte delle istituzioni comunitarie (36). Nel nostro ordinamento, invece, con riguardo allesercizio del potere amministrativo, la specifica previsione nel d.lgs. 152/06 dellobbligo di prioritaria considerazione degli aspetti ambientali (nellambito della scelta comparativa di interessi pubblici e privati connotata da discrezionalit) induce a riflettere sulla possibilit di una diversa linea interpretativa, secondo la quale la considerazione prioritaria delle esigenze ambientali potrebbe im- (34) Il riferimento a M. S. GIANNINI, Genesi e sostanza dei principi generali del diritto, in Scritti in onore di Alberto Predieri, II, Giuffr, 1996, p. 901 e ss. In tema cfr. anche P. DELLANNO, Elementi di diritto dellambiente, Cedam, 2008, p. 3, il quale critica la normazione per principi e la confusione che il nuovo legislatore italiano opera tra principi e regole. In tema anche A. GRAGNANI, La codificazione del diritto ambientale: il modello tedesco e la prospettiva italiana, in Giust.it., 8/2008, in particolare cap. III, par. 8. e P. CERBO, Le novit nel codice dellambinte, in Urbanistica e Appalti, 5/08, p. 534. (35) Cfr. J. JANS, op. cit. ed anche M. MONTINI, op. cit., 72. (36) Equesto lindirizzo ad oggi prevalente, per una ricostruzione del quale si rinvia agli autori citati alla nota precedente nonch a M. RENNA, op. cit., p. 674. 288 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 plicare lattribuzione di un peso maggiore alle medesime rispetto agli altri interessi oggetto di valutazione comparativa (37). Si ben consapevoli che lobiettivo dellelevato livello di tutela ambientale, sul quale basato lo sviluppo sostenibile dellEuropa (ex art. 3 del TUE), non inteso nel senso di prioritario o prevalente. Esso, in quanto scopo, entra a comporre i criteri di bilanciamento dei diversi interessi, a monte, nelle valutazioni del legislatore, e, a valle, nelle valutazioni discrezionali della P.A. Del resto la stessa Corte di Giustizia, con riguardo al principio di integrazione non ha manifestato un orientamento sempre costante, avendo di volta in volta ritenuto di dover bilanciare detto principio con altri principi altrettanto rilevanti quali il principio di non discriminazione o il principio di proporzionalit (38). Tuttavia lattuale previsione del principio di integrazione, esteso come detto a tutti i settori e ad ogni politica, rende meno peregrina la tesi che attribuisce al principio suddetto il valore di clausola generale autorizzativa di una interpretazione in chiave ambientale delle norme comunitarie, e dunque anche, a valle, dellesercizio del potere discrezionale da parte dei soggetti tenuti ad attuarle (39). (37) Per un approfondimento di tale linea interpretativa, sia consentito rinviare a R. ROTA, Brevi note sui nuovi principi di tutela ambientale, in Astrid, 2009, in particolare con riguardo alle implicazioni di detta previsione sul principio di semplificazione dellazione amministrativa per i procedimenti ambientali. Per lorientamento che rileva un significato sostanziale nella primariet dellinteresse ambientale connesso ai valori della Costituzione, cfr. G. MORBIDELLI, Il regime amministrativo speciale dellambiente, in Studi in onore di Alberto Predieri, Giuffr, 1996, p. 1134. Su tale specifico profilo, si veda infra nel testo. (38) Sulla rilevanza di tali principi in ambito comunitario cfr. G. CHITI, Il principio di non discriminazione e il Trattato di Amsterdam, in Riv. it. dir. Pubb. Comun., 2000, p. 851 e D.U. GALETTA, Il principio di proporzionalit comunitario e il suo effetto di spill over negli ordinamenti nazionali, in Nuove aut, 2005, p. 541. Una ricostruzione giurisprudenziale comunitaria sullapplicazione del principio di integrazione in M. C. CAVALLARO, Il principio di integrazione come strumento di tutela dellambiente, in Riv. Ital. Dir. Pubb. comun., 2007, specie p. 473 e ss. (39) Nel nostro ordinamento con la legge n. 15/05, di modifica della legge n. 241/90, tutti i principi dellordinamento comunitario, compresi dunque quelli relativi allambiente, sono stati riconosciuti espressamente come principi generali dellattivit amministrativa. Assume particolare significato, nellottica di prevalenza della tutela ambientale rispetto ad altri pur primari interessi (quale quello allo sviluppo di energia da fonti rinnovabili), una recentissima vicenda in tema di tutela del paesaggio, originata dalla contestata legittimit di provvedimenti della Regione Puglia di imporre limiti pi restrittivi per la realizzazione di un parco eolico allinterno di un sito rientrante nelle aree della Rete Natura 2000, limiti che vietano del tutto leolico non finalizzato allautoconsumo. Sulla questione pregiudiziale sottoposta dal TAR Puglia alla Corte di Giustizia CE cfr. le Conclusioni dellAvvocato Generale Jan Mazak presentate il 14 aprile 2011 in Causa C- 2/10. Nella fattispecie si tratta di contemperare quanto previsto dalle tre direttive UE: quella che promuove lenergia rinnovabile, la direttiva Uccelli che tutela lavifauna e la direttiva Habitat che tutela gli habitat naturali e la biodiversit. LAvvocatura Generale della UE, ritenendo la normativa della Regione Puglia non contraria alle sopra citate direttive, ha proposto alla Corte di risolvere la questione pregiudiziale sottopostale dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, precisando che la citata normativa comunitaria non osta alladozione, da parte di uno Stato membro, di provvedimenti nazionali pi rigorosi che vietino linstallazione di impianti eolici non finalizzati allautoconsumo allinterno di un sito Natura 2000, a condizione che il divieto sia conforme alle politiche ambientali ed energetiche dellUnione, che non sia contrario al principio della parit di tratta- CONTRIBUTI DI DOTTRINA 289 Tra i principi ambientali specifici della materia, su cui fondata la politica dellUnione, lart. 191 del Trattato indica, primo tra gli altri, il principio di precauzione (40). Inserito nel Trattato CE solo con il Trattato di Maastricht, esso rappresenta uno sviluppo del principio di prevenzione. Il suo significato non rinvenibile nella norma del Trattato, che si limita ad enunciarlo, bens nella Dichiarazione di Rio de Janeiro del 1992 (principio 15), ove si specifica che in caso di rischio di danno grave o irreversibile, lassenza di certezza scientifica assoluta non deve servire da pretesto per rinviare ladozione di misure adeguate ed effettive, anche in rapporto ai costi, dirette a prevenire il degrado ambientale (41). Tale principio implica dunque ladozione, in presenza di un dubbio scientificamente attendibile, ancorch in assenza di conoscenze scientifiche certe circa la nocivit per lambiente di una determinata attivit, di misure di tutela ambientale. Si pone perci un obbligo in capo alla comunit nel suo complesso (il legislatore ma anche le P.A. ed i soggetti privati) di porre in essere azioni cautelative a tutela dellambiente, pur in presenza soltanto di un rischio di danno che ad una valutazione scientifica obiettiva appaia significativo per lo stesso. Da un lato, quindi, la mancanza di prova scientifica certa non pu essere usata come pretesto per non adottare o rinviare ladozione di efficaci misure di protezione; dallatro, lindividuazione del rischio deve avvenire sulla base di valutazioni scientifiche obiettive. Evidente appare il collegamento del principio precauzionale sia con il principio dellelevato livello di protezione, sia con la previsione in base alla quale lazione ambientale deve essere fondata sui dati scientifici e tecnici disponibili. Tale ultimo profilo conferma la scientificit del diritto dellambiente. Ma in ragione dei costi, spesso elevati, delle misure precauzionali occorre che la loro adozione sia preceduta da una rigorosa applicazione del principio di proporzionalit al fine di ponderare adeguatamente, dopo attenta analisi dei costi e benefici dellazione, lentit del rischio e danno temuto, da una parte, ed il grado di incisivit di dette misure sulle libert economiche antagoniste. Tra le norme comunitarie che possono additarsi come esempio di disciplina adottata sulla base di tale principio, si annoverano le due direttive sui microrganismi geneticamente modificati (OGM), rispettivamente la direttiva mento e che non vada oltre quanto necessario per realizzare lo scopo perseguito, circostanze, queste, che devono essere accertate dal giudice del rinvio . (40) Tra i contributi sul principio di precauzione cfr. G. MANFREDI, Note sullattuazione del principio di precauzione nel diritto pubblico, in Dir. Pubbl., 2004, p. 1075 e ss: F. TRIMARCHI, Principio di precauzione e qualit dellazione amministrativa, in Riv. it. dir. pubbl. comun., 2005, p. 1673 e ss; F. DE LEONARDIS, Il principio di precauzione nellamministrazione di rischio, Giuffr, 2005; A. BARONE, Il diritto del rischio, Giuffr, 2006. (41) Gli elementi costitutivi e i criteri applicativi per lapplicazione del principio di precauzione sono indicati nella Comunicazione della Commissione CE adottata il 2 febbraio 2000. 290 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 n. 98/81/CE, recepita nel nostro ordinamento con il d.lgs. 12 aprile 2001, n. 206 e la direttiva 2001/18/CE, recepita con il d.lgs. 8 luglio 2003 n. 224. Ad esse si aggiunge la direttiva 2004/40/CE sullesposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dai campi elettromagnetici. La rilevanza di tale principio, come principio generale del diritto comunitario, emerge anche dallanalisi della giurisprudenza comunitaria. In proposito si sottolinea che il Tribunale di Primo Grado, nei casi riuniti T74/00 e T76/00, Artegodan a.o. c. Commissione, relativi alla produzione di medicinali destinati al genere umano, ha ritenuto che tale principio, sebbene esplicitato nel Trattato in materia ambientale, abbia un ambito applicativo ben pi vasto e debba essere applicato in modo da garantire un elevato livello di protezione nella tutela della salute pubblica, della sicurezza dei consumatori e dellambiente, anche in attuazione del principio di integrazione, dando precedenza alle esigenze ambientali rispetto a quelle economiche. Inoltre, nel caso C127/02, Vogels c. Staatssecretaris van Landbouw, la Corte di Giustizia ha ritenuto necessario rafforzare le sue posizioni con riferimento al principio di precauzione (relativamente allart. 6 della direttiva 92/43 sulla conservazione degli habitats naturali), principio ritenuto una delle fondamenta dellalto livello di protezione perseguito dalla politica ambientale comunitaria. Sul piano interno, va detto che anche tale principio costituisce un principio generale dellattivit amministrativa in materia ambientale, ai sensi dellart. 1, c. 1 della legge n. 241/90. Tale legge, infatti, come modificata dalla legge n. 15/05, prevede che tutti i principi dellordinamento comunitario, compresi dunque quelli relativi allambiente, sono principi generali dellattivit amministrativa. La riconosciuta precettivit del principio nei riguardi delle P.A. ha indotto la dottrina ad interrogarsi circa il possibile riconoscimento a questa di poteri impliciti, in violazione dei principi di legalit e tipicit dei poteri amministrativi. Si per ritenuto di superare tali perplessit, muovendo dal rilievo che il principio di precauzione opera direttamente nei riguardi dellattivit amministrativa soltanto allinterno degli spazi di discrezionalit, anche tecnica, rimessi dal legislatore alla P.A. e sempre nel rispetto del principio di proporzionalit (42). Altro principio basilare della tutela ambientale il principio di prevenzione. Scopo primario di tale principio quello di evitare il rischio stesso che si verifichino danni allambiente. Si riconducono perci a tale principio tutte le norme in tema di pianificazione ambientale nonch quelle in cui sia previsto di autorizzare previamente la realizzazione di unopera o lo svolgimento di attivit potenzialmente nocive per lambiente. La ratio della procedura di VIA e di VAS, ma anche dellAIA, comՏ noto si basa essenzialmente su tale principio. (42) Cfr. M. RENNA, cit., p. 688. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 291 Esso presenta tratti comuni al principio di precauzione, in quanto entrambi condividono la natura anticipatoria rispetto al verificarsi di un danno, ma dallo stesso differisce in quanto mentre il principio di prevenzione presuppone rischi conosciuti e scientificamente provati relativi a comportamenti o a prodotti per i quali esiste la piena certezza circa la loro pericolosit per lambiente, il principio di precauzione presuppone invece non la piena certezza scientifica ma solo un principio di prova scientifica di danni per lambiente. Nella sequenza logico-temporale scandita dallart. 191 nellindicazione dei principi, dopo il principio di precauzione e quello di prevenzione figura il principio di correzione innanzitutto alla fonte dei danni causati allambiente. Anche con riguardo a tale principio, il significato va desunto dal diritto comunitario derivato. In senso stretto esso implica che ove non sia stato possibile evitare i danni mediante il ricorso ai principi di precauzione e prevenzione, occorre intervenire ex post a correggerli, per ripristinare nella misura possibile lo status quo ante, e nel provvedere al ripristino si deve intervenire innanzitutto sulla fonte dei danni. La normativa in tema di bonifiche dei siti inquinati rappresenta un chiaro esempio di applicazione del principio, come pure quelle disposizioni che consentono, in caso di superamento di determinati valori limite di certe sostanze nellaria, di vietare o limitare la circolazione degli autoveicoli. Attuazione di tale principio anche la regola della prossimit o autosufficienza, che caratterizza la normativa sui rifiuti, in base alla quale i rifiuti devono essere gestiti nel luogo pi vicino possibile a quello in cui gli stessi sono prodotti e dunque il pi vicino possibile alla loro fonte (43) . Infine, il principio chi inquina paga costituisce laffermazione sul piano giuridico di un principio economico secondo cui i costi dei danni causati allambiente gravano sui soggetti responsabili degli inquinamenti. Esso nasce nellordinamento comunitario con una valenza preventiva e solo successivamente assume una connotazione risarcitoria. Finalit del principio quella di disincentivare le attivit e tutti i comportamenti che incidono negativamente sullambiente e, viceversa, incentivare le scelte ambientalmente virtuose quali ad esempio quelle delle imprese che investono in tecnologie pulite. Campo di applicazione privilegiato per tale principio dunque il settore dei c.d. strumenti economici o volontari di tutela dellambiente. Il rispetto di tale principio per le imprese funzionale anche allesigenza di garantire che nel mercato comune non sia falsata la concorrenza. Eventuali deroghe in peius agli standards ambientali, cui le imprese devono adeguarsi sostenendone i relativi costi, non devono infatti tradursi in illeciti aiuti di Stato. (43) Cfr. Corte di Giustizia 9 luglio 1992, C-2/90. 292 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 Daltro canto, resta la necessit di verificare che le misure di incentivazione ambientale adottate sulla base di tale principio siano compatibili con il mercato comune ai sensi dellart. 107 TFUE (ex art. 87 TCE). Costituiscono attuazione del principio, con valenza soprattutto sanzionatoria, le disposizioni relative al risarcimento del danno ambientale e alla bonifica dei siti contaminati. La valenza distributiva del principio invece delle disposizioni sul riparto dei costi di prevenzione del danno ambientale e quelle sul riparto degli oneri relativi alla gestione dei rifiuti (44). Con riguardo agli strumenti economici (45), oltre alle disposizioni sulla tariffa per la gestione dei rifiuti urbani, sulla tariffa del servizio idrico integrato e le c.d. ecotasse o gli incentivi e agevolazioni fiscali ambientali, vanno menzionate le norme concernenti la negoziazione dei permessi o diritti di inquinamento (c.d. certificati verdi e bianchi). III. LAMBIENTE NEL SISTEMA COMUNITARIO DELLE LIBERT ECONOMICHE 3.1 La tutela ambientale come deroga speciale alla libert di concorrenza Non vՏ dubbio che linteresse ambientale costituisca una variabile di complessa valutazione per qualsivoglia ordinamento giuridico tenuto a fronteggiare, anche con la creazione di nuovi strumenti, quello che non a torto stato definito un vero e proprio sconvolgimento (46) provocato da tale peculiare interesse. Sin dalla loro comparsa nel mondo del diritto, gli interessi ambientali hanno infatti imposto revisioni degli schemi consueti dellazione amministrativa, attraverso la creazione di tecniche, metodi, strumenti di azione improntati a logiche diverse da quelle tradizionali (47). Lindubbia intensit della loro tutela e la loro intrinseca dinamicit (48) hanno indotto prospettazioni persino olistiche della questione ambientale, tali da attribuire rango primario e sovraordinato agli interessi in questione, po- (44) Per gli oneri connessi alla c.d. rottamazione degli autoveicoli ed elettrodomestici, cfr. la direttiva 2000/53/CE, modificata dalla direttiva 2008/33/CE, e la direttiva 2002/96/CE, modificata dalla direttiva 2003/108/CE. (45) Cfr. M. CLARICH, La tutela dellambiente attraverso il mercato e N. LUGARESI, Ambiente, mercato, analisi economica, discrezionalit, in Associazione Italiana dei Professori di diritto amministrativo (AIPDA) Annuario 2006, Giuffr 2007; M. CAFAGNO, op. cit., p. 433 e ss.; A. LOLLI, Lamministrazione attraverso strumenti economici: Nuove forme di coordinamento degli interessi pubblici e privati, Bononia University Press, 2008. (46) Cfr. M. MAZZAMUTO, cit., p.1573. Cfr. inoltre, D. AMIRANTE, Diritto ambientale italiano e comparato, Jovene, 2003. (47) F. SPANTIGATI, Le categorie necessarie per lo studio del diritto dellambiente, in Riv. giur. amb., 1999, p. 236. (48) Cfr. G. MORBIDELLI, Profili giurisdizionali e giustiziali nella tutela amministrativa dellambiente, in S. GRASSI, M. CECCHJETTI, A. ANDRONIO (a cura di), Ambiente e diritto, II, Leo S. Oishki, 1999, p. 310. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 293 tendo attingere anche al nuovo pi ampio concetto di sviluppo sostenibile. Ora, se nellambito degli ordinamenti interni prendersi cura di tali interessi, come compito pubblico, ha riproposto sul piano del metodo la nota dialettica gianniniana tra autorit e libert, e dunque la massima espressione di esercizio di discrezionalit amministrativa, quando non addirittura politica, nellambito dellordinamento della Comunit Europea la presa in considerazione di tali nuovi interessi ha determinato uno sconvolgimento ancor maggiore per limpatto sullimpianto generale del sistema comunitario improntato, comՏ noto, al paradigma delle libert economiche. La primazia di dette libert infatti apparsa in qualche misura in contraddizione con quella degli interessi ambientali, e ci ancor prima della formale codificazione dei principi che presidiano oggi la tutela di questi ultimi. Gi nel 1985, infatti, fu la stessa Corte a porre le basi per la normazione successiva, nel qualificare linteresse ambientale come uno degli scopi essenziali della Comunit (Corte Giustizia sentenza 7 febbraio 1985, causa C 240/83), avente in quanto tale la possibilit di limitare le libert di circolazione. Tale rango di essenzialit stato poi confermato nella successiva costruzione dei principi e della normativa: lelevato livello di protezione; il principio di integrazione; la possibilit per gli Stati membri di provvedere con misure di protezione anche maggiori, attestano lattribuzione di un rango di sicura primariet (anche) agli interessi ambientali. Di fronte a tale aporia di sistema, lesigenza di mantenere ferma la primazia delle libert economiche, nel contesto di un assetto concorrenziale dei mercati, ha prodotto un approccio tendenzialmente restrittivo delle limitazioni di tali libert sia nellan sia nella misura (49). In tali termini si spiega quel ruolo di filtro svolto dallordinamento comunitario, innanzitutto in ordine alla selezione dei fini/interessi atti a giustificare le limitazioni (tipicit comunitaria) ed anche in ordine alla stretta applicazione del principio di proporzionalit, alla cui stregua informare le deroghe alle libert economiche. Se pure va dato atto che il catalogo dei fini pubblici comunitari si progressivamente esteso ad opera della stessa giurisprudenza comunitaria (50), resta indubbia la connotazione segnatamente derogatoria, quindi di eccezione, delle restrizioni alle libert economiche. Ed infatti la Corte nei casi che le vengono sottoposti decide verificando 1) se una certa misura sia restrittiva delle libert economiche 2) se si fonda su un fine pubblico rientrante nel catalogo dei fini comunitari 3) se tale misura sia proporzionata. Secondo la Corte in- (49) In tali termini M. MAZZAMUTO, cit. p. 1574 e ss. (50) La direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno, al Considerando 40, aggiorna i motivi imperativi di interesse generale tenendo conto proprio dei precedenti giurisprudenziali della Corte. Tra tali motivi si sottolinea la specificazione, accanto alla protezione dellambiente, soprattutto della protezione dellambiente urbano, compreso lassetto territoriale in ambito urbano e rurale, gli obiettivi di politica culturale , la conservazione del patrimonio nazionale storico e artistico.... 294 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 fatti: qualsiasi provvedimento nazionale che possa ostacolare o scoraggiare lesercizio di dette libert giustificabile solo se soddisfa quattro condizioni: deve applicarsi in modo non discriminatorio, soddisfare ragioni imperative di interesse pubblico, essere idoneo a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e non andare oltre quanto necessario per il raggiungimento di questo (Corte Giustizia sentenza 26 gennaio 2006 causa C 514/03). Tale schema resta ancora valido. Cos ad esempio, facendo applicazione del principio di proporzionalit, viene ritenuta restrittiva della libert di circolazione delle merci una misura statale in materia di controllo sullo stato fisico dei veicoli, a tutela della sicurezza stradale e dellambiente, di cui non risulta provata la proporzionalit, ci perch lesigenza di tutela dellambiente deve nondimeno essere idonea a garantire la realizzazione dellobiettivo perseguito e non andare oltre quanto necessario per il suo raggiungimento (Corte Giustizia sentenza 20 settembre 2007, causa C 297/05). Pi di recente, la Corte con due fondamentali sentenze del 9 marzo 2010 (nella causa C 378/08 e nelle cause riunite C 379/08 e C 380/08), in tema di responsabilit ambientale nella bonifica dei siti, dopo aver precisato la stretta correlazione tra il principio di precauzione ed il principio di proporzionalit, ne ha chiarito la concreta operativit. Ed infatti, in tali pronunce la Corte, pur affermando che la direttiva n. 2004/35 non contrasta con una normativa nazionale che consenta allautorit competente di subordinare lesercizio del diritto degli operatori destinatari di misure di riparazione ambientale allutilizzo dei loro terreni alla condizione che essi realizzino i lavori imposti da queste ultime, ci persino quando detti terreni non siano interessati da tali misure perch sono gi stati oggetto di precedenti misure di bonifica o non sono mai stati inquinati, ha tuttavia precisato che una misura di questo tipo deve essere giustificata dallo scopo di impedire il peggioramento della situazione ambientale dove dette misure sono poste in esecuzione oppure, in applicazione del principio di precauzione, dallo scopo di prevenire il verificarsi o il ripetersi di altri danni ambientali nei detti terreni degli operatori, limitrofi allintero litorale oggetto di dette misure di riparazione . Ma, nellinvocare il principio di precauzione la Corte ha ulteriormente precisato che occorre esaminare se misure di tal genere, consentite dalla normativa nazionale, non eccedano i limiti di ci che idoneo e necessario al conseguimento degli scopi legittimamente perseguiti dalla normativa di cui trattasi, fermo restando che, qualora sia possibile una scelta tra pi misure appropriate, si deve ricorrere alla meno restrittiva e che gli inconvenienti causati non devono essere sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti (51). (51) Cfr. anche Corte di Giustizia CE sentenze 12 luglio 2001, causa C-189/01; 7 luglio 2009, causa C-558/07, nonch 9 marzo 2010, cause riunite C-379/08 e C-380/08; Corte Giustizia CE, Sez. IV, 8 luglio 2010, Sentenza C-343/09; Corte Giustizia CE 5 febbraio 2004, n. 24. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 295 La prospettiva giurisprudenziale comunitaria in altri termini esclude la sovraordinazione dellinteresse ambientale. Pur tuttavia tale interesse, allo stato attuale del diritto comunitario, sembra connotarsi di una valenza specifica che conferisce ad esso portata derogatoria maggiore. Gi attraverso lapplicazione da parte della Corte del principio di integrazione si registrano, infatti, sensibili deroghe alla libera circolazione delle merci. Ma un ulteriore segno evidente della progressiva imposizione di vincoli ambientali si riscontra nellevoluzione in materia di aiuti di Stato, strumento tipico di deroga alla concorrenza, nonch nelladeguamento del settore degli appalti pubblici alle esigenze di protezione ambientale. 3.2 La giurisprudenza comunitaria sui limiti alle deroghe: principio di integrazione e principio di proporzionalit nel bilanciamento degli interessi Lorientamento giurisprudenziale comunitario appare quindi orientato ad individuare punti di equilibrio nella giustificazione delle deroghe al principio della libera circolazione delle merci. Lanalisi della giurisprudenza gi della fine degli anni 80 evidenzia tale tensione: lesigenza di bilanciare il principio di integrazione, pur in assenza di una sua esplicita formulazione, delle politiche comunitarie per una migliore tutela dellambiente, con altri principi rilevanti, quali il principio di non discriminazione o il principio di proporzionalit (52). Ad esempio, con sentenza del 9 luglio 92, C 2/90, la Corte afferma che le esigenze di tutela dellambiente giustificano ladozione di misure restrittive alla libert di circolazione, quali il divieto assoluto da parte di uno Stato membro di depositare nel proprio territorio rifiuti provenienti da un altro Stato membro. Ai sensi dellart. 130 TCE, secondo la Corte, ciascuna regione comune o ente locale deve adottare le misure adeguate al fine di garantire laccoglimento, il trattamento e lo smaltimento dei propri rifiuti; i quali devono essere smaltiti in quanto possibile nel luogo di produzione, al fine di limitare il loro trasporto. Cosicch non pu essere considerata discriminatoria una misura che vieti lingresso di rifiuti nocivi. Con altra pronuncia, del 13 luglio 1994, C 131/93, si stabilisce che il divieto di importazione dei gamberi dacqua dolce imposto da uno Stato membro, al fine di preservare e garantire la specie indigena dal rischio della propagazione della peste dei gamberi, risulta una misura eccessiva e non proporzionata rispetto allobiettivo che la misura tende a realizzare (tutela dellambiente e dellecosistema). Pertanto, conclude la Corte, nel bilanciamento tra il principio di integrazione ed il principio di proporzionalit prevale que- (52) Per una attenta ricostruzione giurisprudenziale, cfr. M.C. CAVALLARO, Il principio di integrazione, cit., p. 475; G. CHITI, Il principio di non discriminazione e il Trattato di Amsterdam, in Riv. It. Dir. Pubb. Comun. 2000, p. 851; D.U. GALETTA, Il principio di proporzionalit comunitario e il suo effetto di spill over negli ordinamenti nazionali, in Nuove Autonomie, 2005, p. 541. 296 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 stultimo, in considerazione del fatto che la tutela della specie dei gamberi avrebbe potuto essere realizzata con altro tipo di intervento. Ed ancora in tema di proporzionalit, con sentenza del 15 novembre 2005, C 320/03, la Corte precisa che se uno Stato, allo scopo di proteggere la qualit dellaria e dellambiente, vieta agli autocarri con peso superiore alle 7,5 tonnellate che trasportano determinate merci di circolare su un certo tratto di strada, esso ostacola la libera circolazione delle merci e viene meno agli obblighi del Trattato. Tale divieto, secondo la Corte, non pu essere giustificato dallesigenza di tutela dellambiente, se non viene dimostrato che lo stesso obiettivo non pu essere realizzato con misure meno restrittive alla libert di circolazione. Nella fattispecie in questione, il sacrificio imposto alla circolazione delle merci stato ritenuto non proporzionato rispetto allo scopo che la misura si prefiggeva. Con sentenza del 17 settembre 2002, C 513/99, si opera invece una esplicita applicazione del principio di integrazione. Chiamata a pronunciarsi sulla possibilit che tra i criteri per laggiudicazione di un appalto per la gestione della rete di autobus nel comune di Helsinki, siano introdotti criteri di natura non prettamente economica, con lassegnazione di punti suppletivi ad unimpresa che garantisce basse emissioni sonore e di ossido di azoto delle vetture utilizzate, la Corte ha ammesso che nel valutare unofferta economicamente pi vantaggiosa, lamministrazione aggiudicatrice possa tener conto di criteri non economici, se questi consentono di realizzare effetti positivi in materia di protezione ambientale. Con successiva sentenza del 4 dicembre 2003, C 448/01, si poi precisato che la normativa comunitaria in materia di appalti pubblici non impedisce che unamministrazione aggiudicatrice adotti, quale criterio per valutare unofferta economicamente pi vantaggiosa per assegnare un appalto di fornitura di energia elettrica, un criterio di aggiudicazione che imponga la fornitura di elettricit da fonti di energia rinnovabile. Spetta poi al giudice nazionale verificare che la previsione di tale criterio sia avvenuta nel rispetto del principio di parit di trattamento e di trasparenza nelle procedure di aggiudicazione degli appalti (53). In altri casi la Corte ha ammesso deroghe alla disciplina degli aiuti di Stato alle imprese, come nella sentenza 13 marzo 2001 C 379/98. Si infatti ritenuta legittima una disciplina che prevede forme di sovvenzione indiretta a favore delle imprese che producono energia da fonti rinnovabili, in ragione dellutilit di tali fonti per la protezione dellambiente. La Corte ha quindi ritenuto che non costituisca aiuto di Stato una normativa statale che da un lato obbliga le imprese private di fornitura di energia elettrica ad acquistare lenergia da fonti (53) In argomento, cfr. A. GRATANI, La tutela ambientale nel diritto comunitario degli appalti pubblici, in Riv. Giur. Amb., 2003, p. 857. Della stessa A. anche Lenergia elettrica da fonti rinnovabili e il vaglio del criterio di positivit ambientale negli appalti, in Riv. giur. amb. 2004, p. 251. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 297 rinnovabili, a prezzi minimi superiori al valore economico reale; dallaltro lato, ripartisce lonere finanziario tra dette imprese di fornitura ed i gestori delle reti. Pi articolata la pronuncia 24 luglio 2003, C 280/00, sempre in materia di aiuti di Stato, nella quale si precisa che laiuto pu essere concesso per esigenze ambientali, a condizione che la misura dellaiuto rappresenti la contropartita delle prestazioni effettuate dalle imprese beneficiarie per assolvere gli obblighi di servizio: ci al fine di evitare che le stesse imprese possano trarre un vantaggio finanziario con alterazione della libera concorrenza. E da dire che con la disciplina introdotta nel 2008 gli aiuti di Stato allambiente hanno segnato una fase di intensificazione di tutela rispetto ai programmi precedenti (54), con lobiettivo di realizzare lesigenza dellintegrazione del valore ambientale nelle politiche di sviluppo. Tale disciplina particolarmente significativa in quanto evidenzia una strategia dellUnione nei rapporti con il mondo imprenditoriale sempre meno improntata allimposizione di obblighi e sanzioni e sempre pi rivolta verso forme di incentivazione e promozione di comportamenti ecosostenibili (55). In particolare, si assiste ad un ridimensionamento del principio chi inquina paga, la cui osservanza pu risultare non soddisfacente per lo sviluppo di politiche europee sostenibili, sia sul versante ambientale che su quello produttivo. La Commissione ha infatti rilevato che lapplicazione del principio chi inquina paga non consente, in primo luogo, di determinare il costo esatto dellinquinamento. Linadeguatezza di strumenti prevalentemente sanzionatori per la valorizzazione degli interessi ambientali, nellambito dei processi produttivi, ha imposto, pertanto, lintroduzione di principi e strumenti diversi atti a garantire un livello di tutela dellambiente pi elevato a fronte di incentivi positivi per le imprese. Espressione dellapproccio trasversale del diritto ambientale, che attua in pieno il principio di integrazione, inoltre il settore dei c.d. appalti verdi, in riferimento al quale va segnalata la Comunicazione della Commissione su Appalti pubblici per un ambiente migliore del 16 luglio 2008, che fa parte del piano d'azione sul consumo e sulla produzione sostenibili nonch sulla politica industriale sostenibile (SCP/SIP), contenente un quadro per lattuazione integrata di vari strumenti volti a migliorare lefficienza energetica e ambientale dei prodotti (56). La logica quella della internalizzazione degli effetti esterni (54) Cfr. Disciplina comunitaria degli aiuti di Stato per la tutela ambientale Testo rilevante ai fini del SEE in GU C82 del 1 aprile 2008 nonch il nuovo Regolamento CE n. 800/2008 sulle categorie di aiuti compatibili con il mercato comune (artt. 17 e ss). (55) Cfr. in tema P. FALLETTA, La permeabilit e lintegrazione del valore ambiente nellambito delle politiche di sviluppo, in Amministrazioneincammino.luiss.it, 2009. (56) Si veda per anche la Comunicazione della Commissione del 4 luglio 2001, Il diritto comunitario degli appalti pubblici e le possibilit di integrare considerazioni di carattere ambientale negli appalti pubblici. 298 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 mediante aggiustamenti dei prezzi. Grazie allespediente costi e benefici ambientali possono essere internalizzati nei contratti pubblici (57). La Commissione rileva, in particolare, che gli appalti pubblici possono determinare le tendenze della produzione e del consumo in quanto, grazie a una domanda sostenuta di beni pi ecologici da parte delle pubbliche amministrazioni, si possono creare o ampliare i mercati di prodotti e servizi meno nocivi per lambiente, oltre ad incentivare le imprese a sviluppare tecnologie ambientali. Un utilizzo pi sostenibile delle risorse naturali e delle materie prime andrebbe a vantaggio tanto dellambiente quanto delleconomia in generale, fornendo occasioni vantaggiose alle economie verdi emergenti. Scopo della Commissione quello di potenziare gli acquisti verdi della pubblica amministrazione (Green Public Procurement o GPP) economicamente efficienti, soprattutto in settori in cui i prodotti ecologici non sono pi costosi rispetto agli equivalenti non ecologici. Si tratta, anche in questo caso di una prospettiva che coniuga in maniera unitaria convenienza ambientale e sviluppo produttivo, tracciando una direzione particolarmente ferma e mirata della crescita economica (58). Alla luce di quanto sopra riportato, non sembra potersi dubitare del crescente riconoscimento comunitario dellinteresse ambientale e del suo rango primario. Di recente, in dottrina si infatti sottolineato che, pur dovendo escludere prospettazioni unilateralistiche, sono visibili le tracce di un dinamismo che tende a spingere in avanti la sua soglia di tutela (59). Una lettura dinamica dellobiettivo sancito nell elevata protezione, unitamente ai riferimenti indicati nella norma di cui allattuale art. 114 (ex art. 95 del Trattato) (le proposte della Commissione, per garantire un elevato livello di protezione, tengono conto degli eventuali nuovi sviluppi fondati su riscontri scientifici; gli Stati membri possono introdurre disposizioni pi rigorose fondate tra laltro su nuove prove scientifiche; in tal caso se la norma nazionale giustificata la Commissione esamina immediatamente lopportunit di proporre un adeguamento della misura di armonizzazione), ha indotto a ritenere che la politica ambientale comunitaria sia informata ad una logica incrementalista degli interessi ambientali. Una logica per i cui esiti restano comunque affidati alle delicate operazioni di bilanciamento che la giurisprudenza comunitaria opera attraverso i consolidati filtri presidio delle libert economiche (60). Tale logica sarebbe riconosciuta anche con riguardo allambito di azione riconosciuto, ex art.193, agli Stati membri per ladozione di (57) Cfr. M. CAFAGNO, cit., p. 410. In questa prospettiva la Strategia (CIPE) dazione ambientale per lo sviluppo sostenibile in Italia approvata il 2 agosto 2002. Inoltre, in tema cfr. anche N. LUGARESI, Diritto dellambiente, Cedam, 2008. (58) Cfr. I. INDRIOLO, Il Green public procurement: gli appalti verdi, in R. ROTA (a cura di) Lezioni di diritto dellambiente, Aracne, 2009, p. 235 e ss. (59) Cfr. M. MAZZAMUTO, cit., p. 1581. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 299 provvedimenti volti ad una protezione ambientale ancora maggiore. Si infatti evidenziato che mentre lart. 114 (ex art. 95), con riguardo alle tradizionali misure di armonizzazione, circoscrive lazione degli Stati membri, non solo per lancoraggio ai consueti filtri comunitari ma anche per gli specifici presupposti previsti dal Trattato (approvazione della Commissione con verifica della sussistenza di nuove prove scientifiche; sussistenza di un problema specifico che giustifichi le nuove misure pi protettive), in base allart.193 (ex art. 176) vi sarebbe pi ampia libert di azione degli Stati membri (ferma rimanendo comunque la compatibilit con i Trattati per ladozione delle misure di maggior protezione). Linterpretazione sistematica delle due citate norme (61) conduce a ritenere che anche la previsione di cui allart. 193 del Trattato, che dispone solo un obbligo di notifica alla Commissione e non una sua preventiva autorizzazione, imponga di tener conto di quegli stessi presupposti sostanziali fissati dallart. 114. In tal modo assicurando il bilanciamento tra beni di rango primario. 3.3 Segue: Effetti del principio di integrazione nella giurisprudenza costituzionale italiana. Bilanciamento di interessi e competenza legislativa esclusiva dello Stato Appare chiaro da quanto detto che la valenza primaria degli interessi ambientali, in ambito comunitario, non implica subordinazione degli altri interessi aventi pari rango, ma impone delicate operazioni di bilanciamento, in attuazione del principio di integrazione congiuntamente al principio di proporzionalit, sia pure nella nuova estensione a tutti i settori e ad ogni politica (come clausola generale per una tendenziale interpretazione in chiave ambientale delle norme comunitarie). A ben guardare, proprio la logica sottesa al principio di integrazione ad escludere gerarchie di interessi. Riguardata sul piano interno - del nostro ordinamento - tale logica sembra trovare analogo sostrato concettuale soprattutto nel mutamento di indirizzo giurisprudenziale della nostra Corte Costituzionale. Ed infatti la primariet del bene ambiente da tutelare attraverso la ricerca del punto di equilibrio (60) Con riguardo al bilanciamento degli interessi nella regolazione del rischio comunitario, cfr. la sentenza della Corte di Giustizia del 22 dicembre 2010 causa C-77/09, nella quale si affronta la questione del bilanciamento tra libert antagoniste nel sistema della regolazione del rischio legato alla commercializzazione di prodotti fitosanitari (c.d. caso Gowan). (61) A favore di una lettura sistematica dei due gruppi di norme, oltre a M. MAZZAMUTO, cit., p. 1589, anche P. DELLANNO, Il principio di maggiore protezione nella materia ambientale e gli obblighi comunitari di ravvicinamento delle legislazioni nazionali, in Foro amm., TAR, 2002, p. 1431. Un diverso approccio interpretativo prospettato da M. RENNA, Il sistema degli standard ambientali tra fonti europee e competenze nazionali, in Scritti in onore di Giorgio Berti, III, 2005, Jovene, p. 1962. In tema cfr. anche M. CECCHETTI, La disciplina giuridica della tutela ambientale come diritto dellambiente in www.federalismi.it, p. 131. 300 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 sostanziale (il contemperamento tra interessi di rilevanza costituzionale) sembra fondare la ratio alla base della ridefinita competenza legislativa esclusiva dello Stato (62). Secondo il nuovo indirizzo della Corte, infatti, solo lo Stato pu assicurare il punto di equilibrio sostanziale ( tra contrapposti interessi) a fronte del quale lordine astratto delle competenze recede. In altri termini la cifra di riferimento resta, anche nel nostro ordinamento, il bilanciamento degli interessi. E ci sia sul piano legislativo che amministrativo. Liniziale slancio idealistico che aveva spinto la Corte a configurare lambiente come un valore costituzionalmente protetto, tale da incidere trasversalmente su differenti ambiti materiali e da legittimare interventi concorrenti di Stato e Regioni, purch diretti alla massima protezione del valore, appariva ridimensionato gi nelle sentenze della Corte del 2003, con le quali si affidava unicamente allo Stato il compito di bilanciare gli interessi ambientali con altri rilevanti interessi, in tal modo facendo prevalere una logica di integrazione piuttosto che di maggior tutela(63). Ma a partire dalle pronunce n. 367 e 378 del 2007, nelle quali si avvia la tesi della netta distinzione tra tutela e fruizione del bene ambiente, che si gettano le basi per la progressiva ricostruzione statocentrica della tutela ambientale, ricostruzione pi compiutamente definita negli anni successivi (64). La pronuncia n. 378 assume particolare rilevanza per linquadramento dogmatico ed il complessivo posizionamento giuridico della dimensione ambientale nellordinamento (65). Si opera una nuova codificazione della nozione giuridica di ambiente, riconsegnando un contenuto materiale al concetto di ambiente, rimaterializzando il valore in un oggetto tangibile. Muovendo dalla prospettiva globale delle problematiche ambientali, prospettiva recuperata dagli esiti della Conferenza di Stoccolma del 1972, si concepisce lambiente in una dimensione sistemica. In quanto equilibrio complessivo tra ecosistemi ne deriva la necessit di ricondurne allo Stato la disciplina, che pu dettare norme di tutela che abbiano ad oggetto il tutto e le singole componenti considerate come parti del tutto (sentenza 378/07). Il proficuo revi- (62) Cfr. le sentenze della Corte Costituzionale n. 380/07; n. 108/08; n. 62/08; n. 214/08; 104/08; n. 61/09; n. 10/09; n. 225/09. Ma gi con sentenza n. 307/03 e n. 166/04 la Corte precisava che la normativa statale punto di equilibrio non derogabile. (63) In tali termini P. FALLETTA, La strumentale distinzione tra tutela e fruizione in merito al riparto della competenza legislativa ambientale (nota a Corte Cost., 14 gennaio 2010, 1), in Amministrazione in cammino, 2010. (64) Cfr. la sentenza n. 70 del 2011 in materia di aree protette e la sentenza n. 67 del 2011 che definisce lennesima contesa di competenze tra Stato e Regioni sul terreno dellinstallazione e della realizzazione di impianti da fonti di energia rinnovabili. Anche la pronuncia n. 151 del 21 aprile 2011, in materia di caccia e pesca, conferma il nuovo assetto. (65) Cfr. D. PORENA, Lambiente come materia nella recente giurisprudenza della Corte costituzionale: solidificazione del valore ed ulteriore giro di vite sulla competenza regionale, in federalismi. it, n. 2/2009. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 301 rement della Corte (66) va oltre la ricostruzione generale dellambiente e lattribuzione allo Stato dei compiti di tutela: il punto focale riguarda lestensione che secondo la Corte la competenza statale idonea ad avere. Secondo quanto affermato dalla Corte infatti: la disciplina ambientale, che scaturisce dall'esercizio di una competenza esclusiva dello Stato, investendo l'ambiente nel suo complesso, e quindi anche in ciascuna sua parte, viene a funzionare come un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza. Le Regioni, in altri termini, sono titolari di competenza legislativa su materie ed interessi che insistono sullo stesso oggetto, che toccano incidentalmente lambiente, ma che cedono poi di fronte al prevalere della disciplina unitaria del complessivo bene ambiente, rimessa in via esclusiva allo Stato. Anche la ricostruzione valoriale della tutela ambientale non viene negata: nella successiva sentenza n. 380/07 si precisa infatti che, proprio in quanto valore costituzionalmente protetto, lambiente materia trasversale. Lambiente quindi sia un valore, e come tale ispira il diritto (67), costituendo un obiettivo che indirizza il legislatore, sia una materia che, riguardata dal punto di vista del suo contenuto, della sua consistenza ontologica (sistema complessivo entit organica, che ha ad oggetto il tutto e le singole componenti considerate come parti del tutto), reclama sul piano strumentale, forme di intervento pi ampie e condivise possibili. Sotto il profilo valoriale, la ricerca di dati positivi cui ancorarne lesistenza si colloca nella prima parte della nostra Costituzione, attraverso la tradizionale interpretazione del combinato disposto degli artt. 2, 9, 32 ma anche 41, 42, 43, 44 Cost. (68). Con riguardo invece al secondo profilo rileva unicamente il dato costituzionale, per cos dire, organizzativo: lart.117, che attiene alla articolazione dei soggetti dellordinamento e alle loro competenze. Tale norma ha perci come compito esclusivo quello di ripartire materie, non pone quindi questioni inerenti la (precostituita) dimensione anche valoriale dellambiente (69). Tale dimensione non comporta perci, secondo la logica prospettata, la necessit inderogabile di una tutela diffusa. Se vero che lordinamento nel suo complesso a proclamare ed a perseguire un valore, in (66) Cos P. DELLANNO, La tutela dellambiente come materia e come valore costituzionale di solidariet e di elevata protezione, in Ambiente e sviluppo, n. 7/09, p. 585. (67) Cfr. R.BIN - G.PITRUZZELLA, Diritto Pubblico, Giappichelli, 2007, p. 220: valori e interessi stanno fuori del diritto, nel senso che sono obiettivi che muovono il legislatore . (68) Val la pena di sottolineare che gli articoli menzionati sono contenuti nei Principi fondamentali della Costituzione ed in particolare nei Rapporti etico-sociali e nei Rapporti economici. Non pu sfuggire in tale sottolineatura la stretta analogia con quanto oggi stabilito anche a livello Comunitario (vedi quanto ricostruito nel paragrafo 1 e 2). (69) Osserva acutamente P. DELLANNO, cit., che il riconoscimento della tutela dellambiente come valore costituzionale non comporta affatto la conseguenza preclusiva che la medesima sia configurata come una materia, in quanto i due concetti definiscono vicende diverse. 302 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 concreto ci avviene mediante la ripartizione tra i poteri pubblici dei compiti fondamentali necessari al raggiungimento di tale scopo. Ed cos, dunque, che la tutela dellambiente rifluisce nella competenza legislativa esclusiva dello Stato, mentre la valorizzazione dei beni ambientali cade nellarea competenziale concorrente(70). In tale quadro giurisprudenziale si iscrivono le due successive pronunce della Corte che hanno ulteriormente definito i contorni del nuovo assetto: la decisione n. 61/2009 e la decisione n. 225/09. Nella sentenza n. 61/2009, il cui antecedente logico nelle precedenti sentenze n. 12/2009, n. 62, n. 104 e n. 105 del 2009, si perviene al definitivo superamento dellindirizzo giurisprudenziale avviato dalla decisione n. 407/2002, pronunzia con la quale si era impostato, allindomani dellentrata in vigore del nuovo titolo V della parte seconda della Costituzione, un vero e proprio processo di smaterializzazione della materia ambiente (71). Con tale sentenza (n. 61/2009) si afferma invece il primato ed anzi lesclusivit delle potest legislative dello Stato nel settore dellambiente, enunciando il principio per cui Le regioni, nellesercizio delle loro competenze, devono rispettare la normativa statale di tutela dellambiente, ma possono stabilire per il raggiungimento dei fini propri delle loro competenze (in materia di tutela della salute, di governo del territorio, di valorizzazione dei beni ambientali, ecc.) livelli di tutela pi elevati.... Non quindi la materia ambiente in quanto tale ad essere, per cos dire, frammentata e disarticolata, fino a farle assumere il carattere di (mero) valore, ma piuttosto loggettiva connessione di fondamentali materie di competenza concorrente delle Regioni, implicate nelle politiche pubbliche di protezione ambientale, a determinare la capacit diffusiva delle Regioni, sino al punto da poter legittimamente innalzare le soglie e gli standard di tutela ambientale nel territorio di competenza (72). Appare dunque ridefinita lesclusivit (e persino lintangibilit) delle competenze legislative dello Stato nel campo ambientale, nel senso che il ruolo pur attivo, e non di mero supporto, delle regioni dovr essere tratto da altre (70) Cfr. D.PORENA, cit. il quale riprendendo le notazioni di P. DELLANNO (La tutela dellambiente come materia cit.,) in merito alla funzione del valore che sarebbe quella di indicare la rilevanza che lordinamento attribuisce al bene giuridico (), la scala di priorit nella quale collocato nei confronti di altri beni giuridici ed interessi pubblici da tutelare, lintensit e lestensione della tutela, sottolinea che il valore, dunque, ha unimmediata rilevanza nellorientare le diverse manifestazioni della legalit, ma non impedisce che le res che ne costituiscono, per cos dire, l elemento oggettivo, rifluiscano in una ripartizione di compiti e materie tra diversi livelli di governo. (71) ComՏ noto, lambiente - in quella impostazione di continuit con il passato - non veniva considerata una materia in senso tecnico, ma piuttosto un valore, e, in quanto tale, capace di mobilitare le competenze di tutti i soggetti del nostro sistema multilivello (e, segnatamente, le competenze legislative delle regioni, nonostante il chiaro tenore letterale della formula di cui allart. 117, secondo, comma, lettera s) Cost.). (72) Cos R. FERRARA, Ambiente (Corte Costituzionale, anno 2009) Report annuale 2011 Italia (gennaio 2011), in www.ius-publicum.com. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 303 materie (quelle di competenza concorrente), senza nulla togliere al valore ordinatore e dirimente della lettera s) dellart. 117, primo comma, Cost. In questo modo, si ribadisce il principio per cui lambiente un bene sempre e comunque materiale, oggettivamente materiale" (innovando, anche su questo punto, la giurisprudenza costituzionale meno recente), e si conclude che, se lo Stato tenuto ad assicurare standard minimi di tutela, ci nulla toglie al fatto che i suddetti standard e livelli di protezione debbano comunque comportare una cura adeguata e non riducibile dellambiente. Protezione adeguata" e non riducibile", e pertanto elevata, che le singole regioni potranno eventualmente implementare, ma soltanto grazie alla attivazione di altre facolt e potest, nel solco dellart. 117, terzo comma, Cost. (73) Ma con la sentenza n. 225/2009 (74) che il quadro del nuovo assetto appare definito in tutti i suoi contorni. Tale pronuncia opera una preliminare chiarificazione della nozione di ambiente, richiamando la giurisprudenza pi recente della Corte. si afferma, infatti che La materia tutela dellambiente ha un contenuto allo stesso tempo oggettivo, in quanto riferito ad un bene (lambiente) e finalistico perch tende alla migliore conservazione del bene stesso. Sullambiente concorrono diverse competenze statali e regionali, le quali, tuttavia, restano distinte tra loro, perseguendo autonomamente le loro specifiche finalit attraverso la previsione di diverse discipline. Sicch, lambiente sicuramente materia, si configura come oggetto materiale e relativamente ad esso si registra un concorso plurale di potest statali e regionali, concorso i cui presupposti sono comunque costruiti allinsegna dei principi di autonomia e differenziazione/distinzione. Sono affidate allo Stato la tutela e la conservazione dellambiente, mediante la fissazione di livelli adeguati e non riducibili di tutela", mentre compete alle regioni, nel rispetto dei livelli di tutela fissati dalla disciplina statale, di esercitare le proprie competenze, dirette essenzialmente a regolare la fruizione dellambiente, evitando compromissioni o alterazioni dellambiente stesso. Si conferma in tal modo lorientamento gi emerso con la pregressa decisione n. 61/2009, precisando che occorre distinguere nettamente fra una competenza (dello Stato) volta ad assicurare livelli adeguati e non riducibili di protezione ambientale e le potest regionali dirette invece a disciplinare le forme concrete della fruizione (ossia del godi- (73) Le pronunzie successive alla decisione n. 61/2009, e, segnatamente la n. 12/2009 e la n. 30/2009 confermano ampiamente i presupposti della sentenza n. 61/2009. Si ribadisce, in particolare, che la disciplina nazionale relativa alla protezione dellambiente gioca il ruolo di limite, nel senso che prevale sulle normative poste dalle regioni (anche a statuto speciale), pur in materie e settori di loro competenza. (74) Per un commento analitico e ricostruttivo di tale pronuncia cfr. P. MADDALENA, La tutela dellambiente nella giurisprudenza costituzionale, Linterpretazione dellart.117 e dellart. 118 della Costituzione secondo la recente giurisprudenza costituzionale in tema di tutela e fruizione dellambiente, in Federalismi.it, n. 9/2010, p. 15 nonch F. FONDERICO, La Corte Costituzionale e il codice dellambiente, in Giornale di diritto amministrativo fasc. n. 4/2010, p. 368 e ss. 304 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 mento) del bene ambiente, senza che tale godimento possa risolversi in un minus di tutela dellambiente medesimo. In sintonia con larga parte della giurisprudenza consolidatasi nellanno 2009, si precisa altres che La competenza statale, quando espressione della tutela dellambiente, costituisce un limite allesercizio delle competenze regionali di tal che Le regioni stesse, nellesercizio delle loro competenze, non devono violare i livelli di tutela dellambiente posti dallo Stato mentre, allorch si tratti di esercizio delle loro competenze, possono pervenire a livelli di tutela pi elevati, cos incidendo, in modo indiretto sulla tutela dellambiente. Tale possibilit , peraltro, esclusa nei casi in cui la legge statale debba ritenersi inderogabile, essendo frutto di un bilanciamento tra pi interessi eventualmente tra loro in contrasto. In altri termini, nei casi di c.d. attrazione in sussidiariet da parte dello Stato di funzioni nelle materie concorrenti e residuali in qualche modo connesse a quella ambientale, si riconosce che quando la ratio legis imponga una disciplina unitaria nellambito di materie diversamente intestate in base alla costituzione, debbano al contempo prevedersi, in virt del principio del concorso, adeguate forme di leale collaborazione in sede amministrativa (75). Anche riguardo al riparto di competenze amministrative la Corte ha segnato una netta discontinuit rispetto allassetto delineato dalla previgente disciplina (legge n. 59/97 e d.lvo n. 112/98), ritenendo che tale riparto non intangibile ma pu essere modificato nel rispetto dei principi costituzionali di sussidiariet, differenziazione e adeguatezza. Cos nel caso oggetto di vaglio costituzionale (nella sentenza 225/09 la Corte giudica della legittimit costituzionale del d.lvo n. 152/06) si precisa che il legislatore delegato ben poteva modificare il previgente riparto, anche sottraendo o riducendo le competenze regionali, ogni qualvolta ci si rivelasse necessario, in termini di effettivit e funzionalit, al fine di attuare compiutamente i principi e criteri direttivi contenuti nella legge delega (legge n. 308/04). In definitiva da quanto riportato emerge che anche nel nostro ordinamento la logica incrementalista di tutela ambientale viene declinata, in ossequio al principio di sussidiariet, attribuendo alla sede centrale (lo Stato) poteri (rectius competenze legislative) inderogabili e non riducibili per la tutela e conservazione dellambiente. Si osservato in dottrina (76) che il termine tutela indica non solo il compito di protezione giuridica del bene ma anche quello volto a fars che detto bene progredisca, migliori, si sviluppi. In tal senso si comprende come la materia tutela dellambiente reclami una logica di governance del bene sistemico ambiente (77), governance da attuare sul piano dinamico af- (75) Cfr. F. FONDERICO, cit. Secondo P. MADDALENA, cit., sarebbe sempre necessaria lintesa forte. (76) MADDALENA, cit. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 305 ferente la gestione complessiva del bene collettivo successivamente allesercizio della competenza legislativa. Ma proprio tale logica, che evidentemente esclude gerarchie di interessi, reclamando operazioni di bilanciamento (78) in unottica strategica dei diversi primari interessi, che fonda la ratio della competenza legislativa esclusiva dello Stato. In altri termini la riconosciuta primariet del bene sistemico ambiente ad incardinare la competenza legislativa al solo livello centrale. Del resto se vero che il conseguimento dello sviluppo sostenibile anzitutto un problema di riallineamento di scale quelle di estensione ridotta e a breve termine, proprie delle istituzioni umane e quelle, planetarie e di lungo termine, proprie dei cicli dinamici della biosfera allora le funzioni normative di tutela e conservazione del patrimonio ambientale della Nazione non possono che spettare allente esponenziale della collettivit, che dovrebbe garantire proprio quelle valutazioni di ampia scala (temporale e territoriale) a beneficio delle presenti e delle future generazioni (79). Quanto rilevato consente di evidenziare anche una stretta analogia di trattamento della materia ambientale tra lambito comunitario ed il nostro ordinamento. Ed infatti, pur rimanendo fermo che nel primo ambito la tutela ambientale resta una competenza concorrente tra i due livelli (comunitario e nazionale) ed il suo esercizio regolato dal principio di sussidiariet, mentre nel nostro ordinamento la relativa materia di competenza esclusiva dello (77) Si infatti notato (cfr. F. FONDERICO, cit.) che la principale preoccupazione della nostra Corte quella di desumere dalla natura della cosa ambiente regole sostanziali di tutela: prima ancora che criteri di riparto della competenza tra Stato e Regioni, si tratta di regole di governo del bene che il giudice costituzionale mostra di ritenere ontologicamente afferenti lambiente (corsivo nostro). Riguardo al concetto di governance a livello europeo, che pu rappresentare una specificazione del principio di sussidiariet, cfr. La governance europea Un libro bianco (COM/2001/0428). Lo sviluppo della problematica inerente la governance ambientale non pu evidentemente nemmeno essere accennata in questa sede, dati i limiti oggettivi del contributo. Per una ripresa del dibattito sulla governance in generale, si segnala il recente contributo di M.R. FERRARESE, La governance tra politica e diritto, Il Mulino, 2010. Con riguardo alle nuove forme di governo dei beni collettivi cfr. E. OSTRAM, Governare i beni collettivi, Cedam, 2009 (ed. orig., Cambridge, 1990). In tema non si pu omettere il fondamentale lavoro di PAOLO GROSSI, "Un altro modo di possedere". L'emersione di forme alternative di propriet alla coscienza giuridica postunitaria, Giuffr, 1977; cfr. inoltre G. HARDIN, The Tragedy of the Commons, in Science, dicembre 1968. Sul dibattito relativo ai beni pubblici cfr. M. ARS, I beni pubblici, in S. CASSESE, a cura di, Trattato di diritto amministrativo, Parte speciale, II, Giuffr, 2003, 1705 ss.; M. RENNA, La regolazione amministrativa dei beni e destinazione pubblica, Giuffr, 2004; A. POLICE, (a cura di), I beni pubblici: tutela, valorizzazione e gestione, Giuffr, 2008. (78) Lo scopo essenziale della normativa di tutela dellambiente consiste infatti nel bilanciamento tra le necessit di impiego delle risorse ambientali e la necessit di preservazione della capacit prestazionale del sistema che esse concorrono a formare. (79) Cos F. FONDERICO, cit. che rinvia a P. DELLANNO, cit. Tale A. sottolinea che la sussidiariet costituisce unapplicazione operativa del principio di solidariet. E poich la solidariet ambientale si giustifica non solo con riguardo alle situazioni attuali ma ancor pi nella prospettiva di salvaguardare le aspettative delle generazioni future, tale compito non pu essere svolto efficacemente che da unistituzione stabile e destinata ad un futuro durevole quale quello statuale (in senso lato) . 306 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 Stato, venendo la sussidiariet in rilievo con riguardo alla sola allocazione delle funzioni amministrative, non sembra potersi disconoscere che anche nellordinamento comunitario lambiente sia riguardato innanzitutto come valore e conseguentemente come materia. Il rafforzamento nel nuovo Trattato del principio dello sviluppo sostenibile nel senso omnicomprensivo di sostenibilit economica, sociale ed ambientale (sviluppo basato su economia sociale di mercato e su di un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualit dellambiente art. 3 p. 3 del Trattato); lespressa previsione tra i valori comuni agli Stati membri dellUnione europea (ex art. 2 Trattato) del pluralismo e della solidariet; ma soprattutto lespresso riconoscimento del valore della tutela ambientale nella Carta dei diritti fondamentali dellUE (lart. 37 si colloca nel capo titolato solidariet e la solidariet costituisce uno dei valori indivisibili ed universali ex par. 2 del Preambolo della Carta) e lattribuzione a tale Carta, con il Trattato di Lisbona, dello stesso valore giuridico dei Trattati (art. 6 TUE), non lasciano dubbi sulla attuale posizione della Comunit europea riguardo la primariet del valore della tutela ambientale. Ne emerge una nuova caratterizzazione dellimpianto programmatico che indirizza luso di pubblici poteri, non dissimile da quello tipico della nostra Costituzione (80), che potrebbe in futuro orientare diversamente le linee interpretative nellambito dello stesso ordinamento europeo. Attualmente, mentre in tale ordinamento, come gi precisato, la riconosciuta primariet della tutela ambientale non assume valenza di assolutezza, non implica cio di per s la attribuzione di un peso maggiore allinteresse ambientale nella fase di definizione (legislativa) degli obiettivi, per il nostro ordinamento pare potersi delineare una diversa prospettazione riguardo alla fase, per cos dire, attuativa degli obiettivi, e cio quella inerente lambito della scelta comparativa di interessi pubblici e privati connotata da discrezionalit laddove, per la migliore attuazione possibile del principio dello sviluppo sostenibile il nostro legislatore, con la novella del 2008, ha stabilito che gli interessi alla tutela dellambiente e del patrimonio culturale devono essere oggetto di prioritaria considerazione (81). Ed infatti pur essendo vero che, dal punto di vista semantico, la qualificazione di prioritario (che precede, viene prima) non significa prevalente (80) A riguardo D. CHIRICO, La tutela dellambiente nellUnione europea tra libert dimpresa, solidariet e territorio, in F. GABRIELE, A.M. NICO (a cura di ), La libert multilivello dellambiente, Bari, 2005. Cfr. anche P. DELLANNO, cit., il quale osserva come lart. 119, c. 2 della nostra Costituzione, ove ravvisa un collegamento tra sviluppo economico, coesione e solidariet sociale, presenti un valore programmatico generale che richiama il principio di coesione e di solidariet degli stati membri posto a fondamento delle politiche economiche e sociali indicate nel Trattato, ma ben si presta ad unapplicazione anche al settore ambientale. (81) Art. 3-quater (Principio dello sviluppo sostenibile) del d.lvo 152/06 come modificato dal d.lvo n. 4/08. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 307 (che vale di pi), non sembra potersi dubitare che sul piano giuridico dove non avrebbe senso indicare solo un valore ordinale riguardo allinteresse ambientale detta qualificazione implichi lattribuzione di un peso maggiore, una superiorit di spessore qualitativo nella valutazione comparativa degli interessi (82). Inoltre, con riguardo alla ratio desumibile dalla complessiva formulazione delle disposizioni legislative di cui alla citata novella del 2008, pu rilevarsi che il complesso rapporto uomo-natura ne esce specificato attraverso uno sviluppo graduale dei concetti espressi nelle disposizioni medesime. Infatti, dalla prospettiva antropocentrica (bisogni delle generazioni attuali e qualit della vita delle generazioni future (comma 1), precisate le modalit di attuazione del principio dello sviluppo sostenibile nellesercizio del potere discrezionale della P.A nel cui ambito gli interessi alla tutela dellambiente e del patrimonio culturale diventano prioritari (comma 2), anche nel rispetto del principio di solidariet per salvaguardare lambiente futuro (comma 3) si passa ad una prospettiva di tutela olistica, integrata: salvaguardare il corretto funzionamento e l'evoluzione degli ecosistemi naturali dalle modificazioni negative che possono essere prodotte dalle attivit umane (comma 4). In tal modo, accreditando normativamente quella visione oggettiva della tutela ambientale teorizzata da tempo, in unottica di antropocentrismo desoggettivizzato (83), e pi di recente ridefinita in una dimensione tesa ad elevare il nuovo diritto ambientale al ruolo di interfaccia tra societ e natura, che monitorando e registrando i cambiamenti ecosistemici, retroagisce sui comportamenti umani allo scopo di promuovere un processo permanente di aggiustamento dei tempi storici ai tempi biologici, necessario alla salvaguardia delle nostre opportunit di sopravvivenza, in quanto specie (84). Conferma dellassunto della primariet ambientale nel significato sopra (82) Sia consentito rinviare a R. ROTA, Brevi note sui nuovi principi generali di tutela ambientale, in www.atrid.eu.it 4/2009, specie per le implicazioni sul tema della semplificazione. In tale lavoro si sottolinea lemersione, dalle nuove disposizioni normative (d.lvo n. 4/08), di unidea della tutela ambientale in senso circolare: lambiente come valore, principio e regola. La concezione valoristica dellambiente (ambiente come categoria in senso filosofico, predicato dellagire, criterio che orienta), sembra infatti sottesa al principio generale ivi declinato (dello sviluppo sostenibile), principio che diventa anche regola generale della materia ambientale laddove fornisce, come canone per il bilanciamento degli interessi, la considerazione prioritaria dellambiente. (83) Cfr. F. VIOLA, Stato e natura, Anabasi, 1995. Per i riflessi di tale impostazione sulla revisione degli schemi e degli strumenti di tutela per lambiente cfr., tra i primi Autori impegnati in tale direzione, F. SPANTIGATI, Le categorie necessarie per lo studio del diritto dellambiente, cit., p. 236. Pi di recente K. BOSSELMANN, Un approccio ecologico ai diritti umani, in M. GRECO (a cura di), Diritti umani e ambiente, ECP 2000. (84) Cos M. CAFAGNO, op. cit., specie p. 64 e 65, per il quale il diritto ambientale un processo di scoperta di percorsi adattativi. Inoltre, F. FRACCHIA, La tutela dell ambiente come dovere di solidariet, in Dir. econ., 2009, p. 493; dello stesso A., Lo sviluppo sostenibile, cit., p. 247.; G. CORSO, Categorie giuridiche e diritti delle generazioni future, relazione al Convegno su Cittadinanza e diritti delle generazioni future, Copanello, 3-4 luglio 2009, in Atti, Rubettino, 2010. 308 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 precisato sembra inoltre rinvenirsi anche in alcune recenti pronunce del giudice amministrativo del nostro ordinamento, ove si consideri la ritenuta preminenza valoriale del paesaggio e dellambiente o anche la ritenuta prevalenza del principio di precauzione rispetto al principio di proporzionalit (85). 3.4 Il principio di effettivit per la tutela ambientale La signoria del diritto comunitario (86) trae il suo fondamento, comՏ noto, dal disposto dellart. 10 del Trattato della Comunit Europea, oggi art. 4 par. 3 del Trattato UE in base al quale: In virt del principio di leale cooperazione, LUnione e gli Stati membri si rispettano e si assistono reciprocamente nelladempimento dei compiti derivanti dai Trattati. Gli Stati membri adottano ogni misura di carattere generale o particolare atta a d assicurare lesecuzione degli obblighi derivanti dai Trattati o conseguenti ad atti delle Istituzioni dellUnione. Gli Stati membri facilitano allUnione ladempimento dei suoi compiti e si astengono da qualsiasi misura che rischi di mettere in pericolo la realizzazione degli obiettivi dellUnione. Naturale conseguenza del primato del diritto comunitario il principio di effettivit, cio della diretta applicabilit delle disposizioni comunitarie, principio che comporta sul piano delle fonti lobbligo di disapplicazione delle norme nazionali che risultino in contrasto con lordinamento europeo (87). Evidente appare pertanto il forte condizionamento allautonomia dei soggetti deputati allattuazione de diritto comunitario (88). In altri termini, il principio di effettivit, in uno con quello di leale collaborazione, richiede a tutti gli organi dello Stato, ed in primis ai giudici, la non applicazione di regole processuali nazionali che rendano impossibile o eccessivamente difficile la tutela, nonch la creazione di rimedi giurisdizionali efficaci in caso di lacune nel sistema di giustizia nazionale (89). Lapplicazione di tale principio ha avuto particolare incidenza sullisti- (85) Cfr. Cons. Stato V, n. 3770/09; TAR Molise 8 marzo 2011, n. 99; TAR Veneto 7 aprile 2011, nn. 311 e 312 e Tar Lazio 7 aprile 2011, n. 1268. (86) Cfr. S. CASSESE, La signoria comunitaria sul diritto amministrativo, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 2002, p. 292 ss. (87) P. DELLANNO, La responsabilit degli Stati membri per inadempimento del diritto comunitario, in Le Responsabilit in materia ambientale Atti e documenti, Collana diretta da N. ASSINI, Cedam, 2006. (88) Sui limiti di tale autonomia cfr. C. KAKOURIS, Do the member states possess sudicia procedural autonomy?, in Comm. Market Rev., 1997, p. 1389; G. C. RODRIGUEZ IGLESIAS, Sui limiti dellautonomia procedimentale e processuale degli stati membri nellapplicazione del diritto comunitario, in Riv. It. Dir. Pubb. Comun. 2001, p. 5. (89) Per lanalisi della giurisprudenza, P. GIRERD, Les principes dՎquivalence et deffectivit: encadrement ou dsencadrement de lautonomie procdurale des Etats membres?, in Rev. trim. dr. europ., 2002, p. 75; I. CANOR, Harmonizing the European Communitys Standard of Judicial Review?, in Eur. Publ. Law, 2001, p. 135; M. GNES, Verso la comunitarizzazione del diritto processuale na- CONTRIBUTI DI DOTTRINA 309 tuto della responsabilit per violazione del diritto comunitario, istituto che pu considerarsi la cartina di tornasole per cos dire dellobbligo di lealt comunitaria di cui al citato art. 4 par. 3 del Trattato UE. Detta responsabilit inerisce in effetti al sistema stesso del Trattato, essendo funzionale a garantire leffettivit della primazia dellordinamento comunitario rispetto agli ordinamenti nazionali. Sotto tale profilo lanalisi dellevoluzione giurisprudenziale comunitaria ben evidenzia il progressivo effetto conformativo che il diritto europeo ha avuto sulla tutela giurisdizionale interna, e ci non solo con riguardo alle situazioni giuridiche soggettive che trovino la loro fonte nel diritto comunitario (90), ma anche degli stessi strumenti di azione (91) e zionale, in Giorn. dir. amm., 2001, p. 524; M. L. FERNANDEZ ESTEBAN, The Rule of Law in the European Constitution, the Hague, Kluwer, 1999; W. VAN GERVEN, OF RIGHTS, Remedies and procedures, in Comm. Market Rev., 2000, p. 501; R. CARANTA, Judicial Protection against Member States: A New Jus Commune Takes Shape, in Comm. Market Rev., 1995, p. 703; V. CAPUTI JAMBRENGHI, Diritto soggettivo comunitario ed effettivit dell'ordinamento, in La tutela giurisdizionale dei diritti nel sistema comunitario, Bruxelles, Bruylant, 1997, p. 383 ss.. Con riguardo al principio di effettivit della tutela giurisdizionale nella giurisprudenza comunitaria, cfr. E. PICOZZA, Diritto amministrativo e diritto comunitario, Giappichelli, Torino, 2004; M. P.CHITI e G. GRECO, Trattato di diritto amministrativo europeo, Giuffr 2007, in particolare i lavori di R. CARANTA, G. GRECO, E. PICOZZA E S. CASSESE. Inoltre, cfr. M.S. CARBONE, Principio di effettivit e diritto comunitario, Ed. Scientifica, 2009. (90) I principi di primazia e di effettivit dellordinamento comunitario impongono che le posizioni giuridiche soggettive create e protette dalle fonti comunitarie non possano subire una diminuzione di tutela, sul piano qualitativo, una volta introdotte nellordinamento giuridico nazionale e riqualificate da parte del singolo ordinamento. Ne consegue che la riqualificazione, tipicamente italiana, delle posizioni soggettive di derivazione comunitaria correlate allazione autoritativa dei pubblici poteri in termini di interessi legittimi, non pu comportare una deminutio di tutela al di sotto dello standard di effettivit comunitario, il quale non pu ammettere fenomeni di violazione di posizioni garantite dalle norme comunitarie non accompagnate da adeguata sanzione e da piena tutela. Cfr. M. SCHINAIA, Intensit ed estensione della giustizia amministrativa italiana ed i principi comunitari, in Actes du colloque pour le cinquantime anniversaire des Traits de Rome, 2006. (91) Il riferimento agli strumenti giudiziali ed agli ambiti di cognizione del giudice, come ormai chiarito dalla nostra Cassazione con lordinanza n. 2906 del 2010: le Sezioni Unite, facendo leva sul principio che impone al giudice di procedere ad una esegesi delle norme di diritto interno compatibile con i principi espressi da una direttiva entrata in vigore ed anche prima del termine per la trasposizione di essa nell'ordinamento interno, hanno affermato che la Direttiva comunitaria CE n. 2007/66 (diretti-va ricorsi sugli appalti pubblici) incide nel sistema giurisdizionale interno anche retroattivamente, esigendo la trattazione unitaria delle domande di annullamento del procedimento di affidamento dell'appalto e di caducazione del contratto stipulato per effetto dell'illegittima aggiudicazione. In definitiva, la necessit di concentrare su un solo giudice la cognizione di diritti e interessi, quando sia domandata la caducazione degli effetti del contratto di appalto come reintegratoria del diritto sorto dall'annulla-mento della gara chiesto con il medesimo ricorso, si impone alla luce di una interpretazione costituzionalmente e comunitariamente orientata delle norme vigenti in materia. Tale interpretazione, pienamente conforme alle norme costituzionali che impongono la effettivit della tutela (art. 24 e 111 Cost.), non oggi contestabile, derivando da norma comunitaria incidente sulla ermeneutica delle norme interne (art. 117), che vincolante in tal senso per l'interprete. Tra l'altro, precisa ulteriormente la Suprema Corte, tale impostazione interpretativa si impone alla luce delle sentenze della Corte costituzionale 6 luglio 2004 n. 204 e 11 maggio 2006 n. 196, dalle quali viene ricavato l'assunto per cui se le due controversie per l'annullamento della gara e la caducazione del contratto sono in materia di giurisdizione esclusiva, deve ritenersi che, ai sensi dell'articolo 103 310 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 finanche dei poteri/doveri del giudice interno, sempre pi vincolato nel percorso ermeneutico delle norme interne (92). Da pi parti in dottrina, prima ancora delle recenti pronunce della Corte si era sottolineata la forza dirompente del principio comunitario di uniformazione delle regole di tutela, destinato a confluire nella creazione di uno ius commune europeo nel campo della tutela giurisdizionale nei confronti dei pubblici poteri (93). Ma probabilmente, a giudicare dagli effetti derivanti dagli ultimi arresti della Corte (94) sembra si stia andando oltre i naturali limiti alla signoria comunitaria: lesigenza di legare persino lo spazio interpretativo alla ratio (principi e norme) della normativa comunitaria sembra conformare infatti lazione dei soggetti attuatori non pi solo finalisticamente, ma anche sul piano dei mezzi. ComՏ noto, la giurisprudenza della Corte ha trattato in una prima fase della responsabilit dello Stato inadempiente nellattuazione tardiva di direttive comunitarie prive di effetti diretti ma che conferivano diritti soggettivi ai singoli ( il caso pilota della nota sentenza Francovich del 1991) (95). della Cost., le richieste di tutela dei diritti inerenti ai rapporti contrattuali non sono scindibili da quelle sugli interessi legittimi violati dall'abuso dei poteri della P.A., su cui ha di certo cognizione il giudice amministrativo, che pu quindi decidere anche su tali diritti, dopo essersi pronunciato sugli interessi al corretto svolgimento della gara. Il percorso seguito nel ragionamento del giudice volto a chiarire che la direttiva comunitaria ha come effetto di incidere direttamente sul riparto di giurisdizione interno: il precedente orientamento della Cassazione fondato sulla dinamica ordinamentale interna tra separazione delle fasi pubblicistica e privatistica, sulla applicazione dellart. 103 Cost., e sulla insuscettibilit della connessione tra interessi e diritti di spostare lambito della giurisdizione domestica ma solo le articolazioni della competenza, viene cos superato dalla forza cogente del diritto comunitario che impone un giudice unico per la cognizione delle domande di annullamento e di reintegrazione in forma specifica. In tali termini F. CARDARELLI, Commento a Cass. SS.UU. Ord.2906 del 12 gennaio 2010, in Federalismi.it, n. 3/2009. Inoltre cfr., C. LAMBERTi, La svolta delle Sezioni Unite sulla sorte del contratto pubblico. Il punto di vista amministrativistico (n.d.r. commento a Cass. civile. sez. un., ordinanza 10 febbraio 2010, n. 2906), in Urbanistica e appalti, 2010, fasc. 4, p. 421-434. Ancora sul tema molto dibattuto prima della citata ordinanza del 2010, P. DE LISE, Effettivit della tutela e processo sui contratti pubblici, in Giustamm.it, pubblicato il 22 dicembre 2008; S. S. SCOCA, Aggiudicazione e contratto: la posizione dellAdunanza plenaria (n.d.r. commento a Consiglio di Stato, ad. plen., 30 luglio 2008, n. 9 e 21 novembre 2008, n. 12), in Il foro amministrativo C.d.S., 2008, fasc. 12, p. 3283-3308. (92) Cfr. Cassazione civ. Sez .Un. n. 6316/2009. (93) Cfr. M.P. CHITI e G. GRECO, Trattato, op.cit., in particolare i contributi di S. CASSESE, E. PICOZZA E R. CARANTA. (94) Effetti spesso di anticipazione dellazione legislativa, come nel caso della citata ordinanza della Cassazione n. 2906. Lart. 133 c.1 lett. a) n. 1 del nuovo codice del processo amministrativo (d.lvo n. 104/2010) recepisce infatti quanto affermato in tale Ordinanza. (95) La sentenza Francovich rappresenta il risultato finale e logico di una evoluzione giurisprudenziale che ha affermato e sviluppato i principi della specificit dellordine giuridico comunitario, del primato e delleffetto diretto del diritto comunitario. Cfr. J. SCHOCKWEILER, La responsabilit de lautorit nationale en cas de violation du droit communautaire, in Rev. trim. dr. eur., 1992, p. 27. Osserva in merito M.P.CHITI, in Trattato, op.cit., che in sostanza, lazione di responsabilit basata sul diritto comunitario, ma si svolge secondo le procedure nazionali sino a quando non siano eventualmente posti a rischio i due principi generali qua rilevanti: il principio di equivalenza e quello di CONTRIBUTI DI DOTTRINA 311 Con successive pronunce si poi affermata la responsabilit per danni causati ai singoli da ogni violazione del diritto comunitario imputabile allo Stato (sentenza Brasserie du Pecheur del 1996). Infine il principio della responsabilit dello Stato stato applicato anche nel caso di violazione derivante dalle decisioni di organi giurisdizionali di ultimo grado, a condizione che la norma comunitaria violata fosse preordinata ad attribuire diritti ai singoli, la violazione fosse sufficientemente caratterizzata e sussistesse un nesso causale diretto tra la violazione commessa ed il danno subito dalla parte lesa (sentenza Kobler del 2003). Lautonomia processuale ma anche quella relativa al diritto sostanziale degli Stati membri hanno trovato poi un ulteriore vulnus nel successivo caso esaminato nella sentenza Traghetti del Mediterraneo del 2006. Era in discussione, a seguito di procedura pregiudiziale attivata dal Tribunale di Genova, la questione se fosse contraria al diritto comunitario una previsione legislativa nazionale che esclude in via generale la responsabilit dello Stato membro per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto comunitario imputabile ad un organo giurisdizionale di ultimo grado, per il motivo che linterpretazione controversa risultava da uninterpretazione delle norme giuridiche o da una valutazione dei fatti e delle prove operate da tale organo giurisdizionale. Secondo la Corte, anche quando sia invocato il principio di cosa giudicata, in virt del primato del diritto comunitario tale principio non pu giustificare lesclusione della responsabilit del giudice di ultima istanza. Con riguardo alla responsabilit extracontrattuale per comportamento illecito della p.a. da dire che questa si differenzia dagli altri due tipi di responsabilit (del legislatore e del giudiziario): mentre infatti la violazione del diritto comunitario imputabile ad un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado pu verificarsi nel caso eccezionale di violazioni gravi e manifeste; per la p.a. invece sufficiente la semplice trasgressione del diritto comunitario, senza necessit di dimostrare la gravit particolare della violazione e senza rilievo per lelemento soggettivo della colpa. La responsabilit dello Stato nelle diverse vicende di inadempimento verso il diritto comunitario sembrava poggiare saldamente sul pilastro della responsabilit aquiliana, ma di recente la nostra Corte di Cassazione ha evidenziato la natura contrattuale e non extracontrattuale di tale responsabilit. La Corte a Sezioni Unite ha qualificato infatti il comportamento antigiuridico come determinativo di un'obbligazione di natura "contrattuale", in quanto direttamente discendente dall'inadempimento di un obbligo, quello effettivit della tutela. Il primo principio implica che le norme nazionali applicabili ai casi interni non siano pi favorevoli di quelle relative ai casi di rilevanza comunitaria; il secondo, che le norme nazionali non rendano eccessivamente difficile lazione risarcitoria a base comunitaria. 312 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 appunto di attuare la direttiva comunitaria (96). In ragione della capacit di espansione del diritto comunitario ed in particolare del diritto ambientale comunitario (incrementalismo ambientale), il principio di effettivit nei termini sopra indicati sembra costituire una formidabile sonda per rilevare il grado di evoluzione attuale della tutela ambientale. Esso, realizzando in sostanza una logica di risultato sembrerebbe deputato ad attrarre in tale logica anche lefficacia della diretta applicabilit delle disposizioni comunitarie quali i principi stabiliti nel Trattato. La migliore dottrina ha infatti evidenziato che solo alcuni di essi sono idonei di per s a costituire situazioni giuridiche soggettive di rango comunitario, che comportano il sorgere di diritti e di obblighi tanto in capo agli Stati membri, quanto a determinate condizioni in capo ai singoli (i diritti di stabilimento; di libera circolazione di persone, capitali, merci; i diritti politici, etc.) (97). Con riguardo invece ai principi che costituiscono solo un obiettivo posto alliniziativa degli Stati membri, in vista del perseguimento delle finalit comunitarie (es. il principio dellelevato livello di tutela ambientale), tale dottrina esclude che essi possano essere posti a fondamento di situazioni di diretta ed immediata applicazione, ritenendo che (non diversamente da quanto accade per le direttive non selfexecuting) che lobbligo di risultato non possa gravare che sullo Stato membro, e dunque il principio non potr assumere efficacia cogente per i singoli se non dopo ed in conseguenza di misure attuative (96) Cfr. Cass. Civ. III 1 maggio 2011 n. 20813 che ribadisce la sentenza della Corte a sezioni Unite n. 9147 del 2009. Cfr. anche Cass. Civ. Sez. Unite n. 4547 del 25 febbraio 2010. In una vicenda inerente la pretesa di specializzandi per la mancata remunerazione per l'attivit prestata nell'ambito di corsi di specializzazione, si precisato: In caso di omessa o tardiva trasposizione da parte del legislatore italiano nel termine prescritto delle direttive comunitarie (nella specie, le direttive n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE, non autoesecutive, in tema di retribuzione della formazione dei medici specializzandi) sorge, conformemente ai principi, pi volte affermati dalla Corte di Giustizia, il diritto degli interessati al risarcimento dei danni che va ricondotto - anche a prescindere dall'esistenza di uno specifico intervento legislativo accompagnato da una previsione risarcitoria - allo schema, della responsabilit per inadempimento dell'obbligazione ex lege dello Stato, di natura indennitaria per attivit non antigiuridica, dovendosi ritenere che la condotta dello Stato inadempiente sia suscettibile di essere qualificata come antigiuridica nellordinamento comunitario ma non anche alla stregua dell'ordinamento interno. Ne consegue che il relativo risarcimento, avente natura di credito di valore, non subordinato alla sussistenza del dolo o della colpa e deve essere determinato, con i mezzi offerti dall'ordinamento interno, in modo da assicurare al danneggiato un'idonea compensazione della perdita subita in ragione del ritardo oggettivamente apprezzabile, restando assoggettata la pretesa risarcitoria, in quanto diretta all'adempimento di una obbligazione ex lege riconducibile all'area della responsabilit contrattuale, all'ordinario termine decennale di prescrizione. Lesigenza di una revisione dellimpostazione generale della responsabilit extracontrattuale in senso oggettivo indicata da M. CHITI, Diritto Amministrativo Europeo, Giuffr 2008. In tema si veda anche la Relazione di E. PICOZZA al Convegno La responsabilit dello Stato secondo la normativa comunitaria, TAR Lazio 20 giugno 2011, Roma, il quale sottolinea la natura istituzionale di tale responsabilit, derivante direttamente dagli obblighi attribuiti dallordinamento giuridico comunitario alle proprie istituzioni e quindi anche a quelle degli Stati membri e centrate sul fatto stesso della loro appartenenza allordinamento UE. (97) P. DELLANNO, La responsabilit degli Stati membri, cit., p. 43 e 44. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 313 contenute in modo espresso in atti di trasposizione. Lelaborazione giurisprudenziale pi recente sembrerebbe tuttavia attribuire allobbligo di risultato o meglio al vincolo di conformit agli obiettivi una valenza ancor maggiore. In un orizzonte tendente al raggiungimento della piena effettivit del diritto comunitario, lobbligo di risultato, gravante comunque sullo Stato, potrebbe dunque implicare il riconoscimento di una efficacia cogente negli stessi principi, in guisa tale da poter questi ultimi costituire il fondamento diretto di situazioni di immediata applicazione o costitutive di obblighi/diritti in capo a tutti i soggetti, pubblici e privati. Losservatorio giurisprudenziale in tema di accesso alla giustizia ambientale offre un sicuro contributo in questa direzione. Ed infatti, con riguardo a tale accesso da parte di organizzazioni ambientaliste non governative, in attuazione degli obiettivi della Convenzione di Aarhus approvata dalla Comunit con decisione 2005/370, la Corte ha chiarito importanti tasselli connessi al rispetto del principio di tutela effettiva del diritto dellUnione europea (98). In merito ad una domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Corte suprema della Repubblica slovacca nellambito di una controversia fra unorganizzazione ambientale ed il Ministero dellAmbiente, il giudice a quo si domandato se, nel caso in cui unassociazione ambientale intenda contestare un atto amministrativo nazionale che deroghi a un regime europeo di tutela dellambiente nella fattispecie, quello istituito dalla direttiva habitat , tale associazione possa trarre diritto di azione dallordinamento giuridico dellUnione europea, in forza delleffetto diretto delle disposizioni dellart. 9, n. 3, il cui scopo ultimo consiste nel consentire la garanzia di una tutela effettiva dellambiente. La Corte, riunita per loccasione in grande sezione, ha, in primo luogo, dichiarato la propria competenza a statuire in via pregiudiziale sullaccordo in questione in quanto parte integrante dellordinamento giuridico dellUnione europea. In secondo luogo, ha ricordato che, affinch una disposizione di un accordo concluso dallUnione e dai suoi Stati membri con Stati terzi abbia effetto diretto, questa deve stabilire un obbligo chiaro e preciso non subordinato allintervento di alcun atto ulteriore. Ci non avviene nel caso dellart. 9, n. 3, in quanto esso dispone che solo i membri del pubblico che soddisfino i criteri eventualmente previsti dal diritto nazionale possano promuovere procedimenti di natura amministrativa o giurisdizionale per impugnare gli atti o contestare le omissioni dei privati o delle pubbliche autorit compiuti in violazione del diritto ambientale nazionale. Tale disposizione, dunque, non pu avere effetto diretto, non contenendo alcun obbligo chiaro e preciso che regoli direttamente la situazione giuridica dei cittadini. Tuttavia, dopo essere giunta a tale conclusione, la Corte ha tenuto a precisare che il fatto (98) Corte di giustizia dellUnione europea (Grande sezione), sentenza dell8 marzo 2011, C- 240/09. 314 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 che una specifica disposizione di un accordo internazionale non abbia efficacia diretta non significa che non debba essere presa in considerazione dai giudici nazionali, i quali, dunque, dovranno tenere in considerazione gli obiettivi prefissati nella Convenzione di Aarhus, e, nel rispetto del principio di tutela effettiva del diritto dellUnione europea, saranno tenuti ad una interpretazione tale da non rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile lesercizio dei diritti conferiti dallordinamento giuridico europeo, nella fattispecie quelli derivanti dalla direttiva habitat (99). Come si pu notare, lobiettivo/scopo (che nella vicenda esaminata dalla Corte duplice: lo scopo di una tutela effettiva dellambiente in base alla disposizione redatta in termini generali dallart. 9, p. 3 della Convenzione; e lobiettivo di tutela giurisdizionale effettiva dei diritti conferiti dallordinamento giuridico dellUnione), imponendo uninterpretazione (nei limiti del possibile) ad esso funzionalizzata (di conformit sostanziale), diventa la fonte attributiva di situazioni giuridiche soggettive (al fine di permettere ad unorganizzazione non governativa per la tutela dellambiente di contestare in giudizio una decisione adottata a seguito di un procedimento amministrativo eventualmente contrario al diritto ambientale dellUnione). Analoga prospettiva quella alla base di altra recente pronuncia della Corte di Giustizia CE (12 maggio 2011, C 115/09), sempre in tema di accesso alla giustizia ambientale, pronuncia resa in seguito alla domanda pregiudiziale inerente linterpretazione della direttiva del Consiglio 85/337/CEE concernente la Valutazione dellimpatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, come modificata dalla direttive del Parlamento europeo e del Consiglio 2003/35/CE. La vicenda era originata dallimpugnazione di alcuni atti da parte di una associazione del Land Renania del Nord-Vestfalia, rilasciati dallamministrazione distrettuale di Arnsberg per la realizzazione di un progetto di costruzione e gestione di una centrale elettrica, molto vicina a zone speciali di conservazione dei siti ai sensi della direttiva habitat. Il giudice del rinvio, (99) Ne risulta che, quando in causa una specie protetta dal diritto dellUnione, segnatamente dalla direttiva habitat, spetta al giudice nazionale, al fine di assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settori coperti dal diritto ambientale dellUnione, offrire uninterpretazione del proprio diritto nazionale quanto pi possibile conforme agli obiettivi fissati dallart. 9, n. 3, della convenzione di Aahrus. 51. Spetta pertanto al giudice del rinvio interpretare, nei limiti del possibile, le norme processuali concernenti le condizioni che devono essere soddisfatte per proporre un ricorso amministrativo o giurisdizionale in conformit sia degli scopi dellart. 9, n. 3, della convenzione di Aahrus sia dellobiettivo di tutela giurisdizionale effettiva dei diritti conferiti dallordinamento giuridico dellUnione, al fine di permettere ad unorganizzazione per la tutela dellambiente, quale lo zoskupenie, di contestare in giudizio una decisione adottata a seguito di un procedimento amministrativo eventualmente contrario al diritto ambientale dellUnione (v., in tal senso, sentenze 13 marzo 2007, causa C-432/05, Unibet, Racc. p. I- 2271, punto 44, e Impact, cit., punto 54). Cos al p. 50 della sentenza della Corte di giustizia dellUnione europea (Grande sezione), 8 marzo 2011, C-240/09. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 315 pur ritenendo sussistente la lamentata violazione di tale direttiva, non avendo la VIA del progetto consentito di dimostrare lesclusione di un significativo pregiudizio per le zone speciali di conservazione situate nelle vicinanze, ha ritenuto che in base alle norme del diritto nazionale, unassociazione per la tutela ambientale non possa far valere la violazione di disposizioni del diritto per la protezione delle acque e della natura, nonch il principio di precauzione sancito dallart. 5, n. 1, prima frase, punto 2, della normativa federale sulla protezione dallinquinamento (BImSchG), in quanto dette disposizioni non conferiscono diritti ai singoli, ai sensi della normativa nazionale sui ricorsi in materia ambientale (artt. 2, nn. 1, punto 1, e 5, prima frase, punto 1, dellUmwRG). Il giudice del rinvio ritiene che le disposizioni della legge sulla protezione dallinquinamento, come anche del resto le disposizioni in materia di protezione della natura, in vista di un elevato livello di protezione della totalit dellambiente riguardano anzitutto la collettivit e non hanno ad oggetto la tutela dei diritti individuali. Tuttavia, considerando che siffatta restrizione dellaccesso alla giustizia potrebbe pregiudicare leffetto utile della direttiva 85/337, si chiede se il ricorso della Federazione per la tutela dellambiente non debba essere accolto sul fondamento dellart. 10 bis di detta direttiva, in base al quale Gli Stati membri determinano ci che costituisce interesse sufficiente e violazione di un diritto, compatibilmente con lobiettivo di offrire al pubblico interessato un ampio accesso alla giustizia.... La Corte, muovendo dallobbligo del raggiungimento del risultato previsto da una direttiva, obbligo che si sottolinea nella sentenza vale per tutti gli organi degli Stati ivi compresi quelli giurisdizionali (v. in tal senso Corte 19 gennaio 2010 causa C 555/07), ha statuito che Lart. 10 bis della direttiva del Consiglio 27 giugno 1985, 85/337/CEE, concernente la valutazione dellimpatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 26 maggio 2003, 2003/35/CE, osta ad una normativa che non riconosca ad unorganizzazione non governativa, che opera per la protezione dellambiente, di cui allart. 1, n. 2, di tale direttiva, la possibilit di far valere in giudizio, nellambito di un ricorso promosso contro una decisione di autorizzazione di progetti che possono avere un impatto ambientale importante ai sensi dellart. 1, n. 1, della direttiva 85/337, come modificata dalla direttiva 2003/35, la violazione di una norma derivante dal diritto dellUnione ed avente lobiettivo della tutela dellambiente, per il fatto che tale disposizione protegge esclusivamente gli interessi della collettivit e non quelli dei singoli. Anche in tale vicenda, come si vede, il principio delle conformit allobiettivo diretto ad attribuire al pubblico interessato un ampio accesso alla giustizia dirimente per il riconoscimento della legittimazione al ricorso, qualunque sia lorientamento sottolinea la Corte scelto dallo Stato 316 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 membro riguardo al criterio della ricevibilit (100). Tale quadro giurisprudenziale assume non poco rilievo rispetto allorientamento giurisprudenziale maggioritario del nostro ordinamento, ancora restrittivo a riconoscere ad esempio la legittimazione delle articolazioni territoriali di associazioni ambientaliste riconosciute ex art. 18 della legge n. 349/86 (101) . La lettura comunitaria in senso sostanziale dei principi e delle norme a tutela dellambiente stride quindi con quella formale cui sembra ancorato tuttora il nostro giudice amministrativo (102). IV. PRINCIPALI SETTORI E STRUMENTI DI INTERVENTO DELLA POLITICA COMUNITARIA 4.1 Il settore ecologico. La disciplina contro linquinamento atmosferico, climatico, idrico, acustico, da rifiuti La specifica trattazione dei diversi settori della materia ambiente, i quali, sin dagli anni 70, sono stati via via oggetto di specifica normativa comunitaria esula dai limiti del presente contributo che pertanto dar di essi solo pochi cenni al fine di evidenziare lo stato evolutivo della legislazione comunitaria (100) Cfr. il p. 42 della sentenza. La Corte precisa che se, in base alla stessa disposizione di cui allart. 10bis della direttiva 85/337, spetta agli Stati membri stabilire quali siano i diritti la cui violazione pu dar luogo a un ricorso in materia dambiente, essi, nei limiti assegnati da detta disposizione, nel procedere a tale determinazione non possono privare le associazioni a tutela dellambiente, rispondenti ai requisiti di cui allart. 1, n. 2, della direttiva, della possibilit di svolgere il ruolo loro riconosciuto tanto dalla direttiva 85/337 quanto dalla Convenzione di Aarhus. Se, come risulta da detta disposizione, tali associazioni devono poter far valere gli stessi diritti dei singoli, sarebbe in contrasto con lobiettivo di garantire al pubblico interessato un ampio accesso alla giustizia, da una parte, nonch con il principio di effettivit, dallaltra, la circostanza che le dette associazioni non possano anche invocare la violazione di norme derivanti dal diritto dellUnione in materia ambientale per il solo motivo che queste ultime tutelano interessi collettivi. Infatti, come emerge dalla controversia nella causa principale, ci le priverebbe in larga misura della possibilit di far verificare il rispetto di norme derivanti da tale diritto che sono, per la maggior parte dei casi, rivolte allinteresse pubblico e non alla sola protezione degli interessi dei singoli considerati individualmente. Ne deriva anzitutto che la nozione di violazione di un diritto non pu dipendere da condizioni che solo altre persone fisiche o giuridiche possono soddisfare, come, ad esempio, la condizione di essere pi o meno prossimi ad un impianto o quella di subire in un modo o in un altro gli effetti del suo funzionamento. Ne deriva pi in generale che lart. 10 bis, terzo comma, ultima frase, della direttiva 85/337 deve essere letto nel senso che tra i diritti suscettibili di essere lesi, di cui si ritiene beneficino le associazioni a tutela dellambiente, devono necessariamente figurare le disposizioni di diritto nazionale che attuano la normativa dellUnione in materia di ambiente, nonch le disposizioni aventi effetto diretto del diritto dellUnione in materia di ambiente. Al riguardo, per fornire al giudice del rinvio una soluzione il pi possibile utile, si deve osservare che il motivo dedotto contro la decisione impugnata dalla violazione di disposizioni del diritto nazionale derivanti dallart. 6 della direttiva habitat deve poter quindi essere invocato da unassociazione a tutela dellambiente. Cfr. anche Corte di Giustizia, II, 15 ottobre 2009, causa C-263/08. (101) Cfr. Cons. Stato IV, 15/2-28/3/2011 n. 1876 che richiama lindirizzo avallato anche dallAdunanza Plenaria 11 gennaio 2007, n. 2. Inoltre. Cfr. VI, 9 marzo 2010, n. 1403. (102) Aderente invece ad una lettura sostanziale e di apertura, cfr. Cons. Stato, VI, n. 6554 del 2010 e Tar Veneto, III, 9 maggio 2011, n. 803. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 317 per le diverse componenti ambientali (aria, acqua, suolo, rumore, rifiuti, paesaggio, territorio, aree protette). Iniziando dallinquinamento atmosferico, da dire che i primi interventi del legislatore comunitario si registrano a partire proprio da quegli anni, in conseguenza degli effetti nocivi derivanti dal processo di industrializzazione. In tale settore, lobiettivo perseguito dallordinamento comunitario in via primaria stato quello di ridurre il tasso di inquinamento e a tal fine sono state adottate diverse direttive e regolamenti che hanno imposto agli Stati membri di contenere, entro determinati valori, lemissione di specifici agenti inquinanti (103). Una normativa di carattere generale si avuta solo negli anni novanta con la direttiva quadro 96/62 sulla qualit dellaria. Alla luce di pi recenti sviluppi in campo scientifico e sanitario, stata poi emanata la direttiva 2008/50/CE. Essa mira alla tutela della salute umana e dellambiente nel suo complesso, con lobiettivo di combattere alla fonte lemissione di inquinanti ed individuare e attuare le pi efficaci misure di riduzione delle emissioni a livello locale, nazionale e comunitario. Tale pi recente disciplina si colloca in unottica di semplificazione delle disposizioni gi esistenti in tema di qualit dellaria e al contempo di integrazione delle problematiche ambientali con i settori dellenergia, dei trasporti e dellagricoltura, dunque anche di efficienza amministrativa. Detta normativa sostituisce la direttiva n. 96/62, la direttiva n. 99/30, la direttiva 2000/69 e la direttiva 2002/3. La lotta ai cambiamenti climatici stata inserita, come si visto, a seguito dellentrata in vigore del Trattato di Lisbona, tra gli obiettivi posti con lart. 191 del Trattato FUE. Va detto per che gi prima del Trattato, con la ratifica del protocollo di Kyoto avvenuta con decisione del Consiglio n. 2002/358 la Comunit ha dichiarato il significativo impegno a far fronte allemergenza delleffetto serra. Tale impegno peraltro risulta manifestato con forza anche allinterno del VI Programma dazione per lambiente, ove la lotta contro il mutamento climatico viene qualificata come uno dei principali obiettivi del futuro intervento comunitario. In aderenza a questo obiettivo la Comunit si perci impegnata ad integrare detto scopo nelle varie politiche comunitarie, a migliorare lefficienza energetica, ridurre i consumi, promuovere lo sviluppo di energie da fonti rinnovabili, potenziare la ricerca e migliorare linformazione dei cittadini sui mu- (103) Al fine di contrastare la riduzione dello strato di ozono stato dapprima adottato il regolamento n. 3952 del 1992 e successivamente il regolamento n. 2037 del 2000, in seguito parzialmente modificato dal regolamento n. 1804 del 2003 e successivamente sostituito dal regolamento n. 1005 del 2009. Con riguardo allinquinamento dagli impianti industriali gi oggetto di una prima direttiva del 1984 (la n. 84/360) la disciplina di cui alla direttiva 2008/1/CE introduce un approccio integrato per la prevenzione e riduzione dellinquinamento atmosferico, lo scarico di sostanze pericolose nellacqua e le emissioni nel suolo, stabilendo per ciascuno di questi settori dei valori limite. 318 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 tamenti climatici. Dette linee guida, indicate in termini generali nel VI Programma dazione, sono state poi meglio specificate nella Comunicazione della Commissione (2005/35) Strategia sul cambiamento climatico. Ma con la direttiva n. 87/2003 che si istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissione dei gas serra, direttiva in seguito modificata dalla direttiva 2008/101 e da ultimo dalla direttiva 2009/29, contenuta nel c.d. pacchetto clima-energia(104). Con riguardo alla tutela delle acque da dire che la protezione di tale risorsa ha costituito uno dei primi settori di intervento della legislazione ambientale comunitaria. Le risorse idriche erano disciplinate allinizio da una normativa che si ispirava ai tradizionali principi del diritto comunitario, ma senza un approccio integrato e globale. Con la direttiva 2000/60 si istituisce un quadro per lazione comunitaria in materia di acque e muta la prospettiva: le risorse idriche sono considerate unitariamente, attraverso lorganizzazione della gestione e tutela delle acque interne superficiali, sotterranee, di transizione e costiere, con misure che integrino gli aspetti qualitativi e quantitativi, al fine di assicurarne un uso equilibrato ed equo. Le finalit perseguite dalla direttiva quadro sono molteplici: proteggere e migliorare la qualit dei sistemi acquatici; promuovere un uso sostenibile dellacqua basato su una gestione a lungo termine delle risorse idriche disponibili; ridurre/eliminare gradualmente linquinamento di sostanze pericolose prioritarie; proteggere le acque territoriali e marine; ridurre gli effetti delle inondazioni e delle siccit; realizzare gli obiettivi degli accordi internazionali in materia (105). Con riguardo alle acque sotterranee ulteriori misure specifiche di prevenzione e controllo dellinquinamento sono poi indicate nella direttiva 2006/118. Nellapproccio comunitario, a differenza del nostro, la sostenibilit nellimpiego delle risorse idriche viene declinata a livello ecologico, economico ed etico sociale. Anche in termini di servizio idrico la prospettiva europea pi ampia di quella nazionale: con esso infatti si intende qualsiasi attivit di messa a disposizione di risorse idriche, interne e marine, per determinati usi. (104) Gli obiettivi posti nel pacchetto consistono nella riduzione del 20% delle emissioni provocate dai gas serra; nel miglioramento dellefficienza energetica attraverso laumento del 20% del risparmio energetico e nella promozione dellenergia rinnovabile mediante laumento del 20% del consumo di energia derivante da fonti rinnovabili. In tema cfr. A. BINDI, Inquinamento atmosferico e clima, in G. ROSSI, Diritto dellambiente, Giappichelli, 2008, p. 308; A. PALUMBO, Inquinamento atmosferico, in Enc. Dir.; A. GRASSO - A. MARZANATI - A. RUSSO (a cura di) Tratt. dir. amm. Europeo, II ed., parte speciale, vol. I Giuffr, 2007; J.G. J. LEVEFER, The new Directive on Ambient Air Quality Assesment and Management, in European Environmental Law Review, 1997. (105) Cfr. E. BRAIDO, Tutela delle acque, in G. ROSSI, cit., p. 296 e A. PIOGGIA, Acqua e ambiente, ibidem, p. 231; N. LUGARESI, Diritto delle acque, principi internazionali, etica, in N. LUGARESI - F. MASTRAGOSTINO (a cura di), La disciplina giuridica delle risorse idriche, Maggioli, 2003. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 319 Non pi quindi un sistema idrico vincolato al sistema acquedotti stico per usi civili, ma relativo al complesso delle attivit che dallacquadipendono. In tale prospettiva anche il concetto di recupero del costo dei servizi idrici cambia. La direttiva infatti impone agli Stati di fare in modo che i prezzi dellacqua riflettano il costo complessivo di tutti i servizi connessi con lacqua stessa (gestione, manutenzione delle attrezzature, investimenti, sviluppi futuri) nonch i costi connessi con lambiente e limpoverimento delle risorse. A tal fine entro il 2020 occorrr porre a carico dei vari settori di impiego dellacqua i costi dei servizi idrici, anche sulla base del principio chi inquina paga (106) . Con la direttiva 2008/105 sono stati poi istituiti standard di qualit ambientale per le sostanze prioritarie e per alcuni tipi di inquinanti; mentre la successiva direttiva 2009/90 ha stabilito specifiche tecniche per lanalisi chimica ed il monitoraggio dello stato delle acque. Riguardo la tutela dellambiente marino, dopo un approccio settoriale con cui sono state elaborate le politiche, ai diversi livelli di governo, per tale bene ambientale (107), la direttiva 2008/56 definisce misure specifiche di strategia integrata per il mare (direttiva quadro per la strategia dellambiente marino), attraverso la promozione delluso sostenibile dei mari, la conservazione dei relativi ecosistemi ed aree protette, lorientamento delle attivit umane con impatto sul mare. Lobiettivo della direttiva quadro duplice: entro il 2021 ripristinare la salute ecologica dei mari europei ed assicurare la correttezza ambientale delle attivit economiche connesse, promuovendo lintegrazione dei fattori ambientali in altre politiche comunitarie, come la politica comune della pesca e la futura politica marittima europea. Ci in linea con quanto previsto dal pi volte citato VI programma quadro di azione ambientale (108). La problematica del rumore, in ambito europeo, stata affrontata originariamente nel 1993 dal V Programma di azione per lambiente della Comunit europea che stabiliva una serie di azioni da realizzare entro il 2000, al fine di limitare lesposizione al rumore dei cittadini dei paesi membri. Lincompiutezza di tali azioni ha determinato una revisione del V Programma e la definizione di una politica comunitaria mirata alla riduzione dellinquinamento acustico. Con il VI Programma dazione per lambiente (Decisione 1600/2002/CE) tale obiettivo stato pi compiutamente definito. Le tappe pi significative, sul piano normativo, che hanno condotto allacquisizione da parte delle Istituzioni comunitarie di una percezione del problema si rinvengono, anzitutto, nella pubblicazione da parte della (106) In tali termini A. PIOGGIA, cit., p. 239. (107) Il quadro normativo a tutela del mare si , come noto, sviluppato su vari livelli (internazionale, comunitario e nazionale). Per una sintetica ricostruzione pluriordinamentale, che parte dallanalisi delle diverse Convenzioni di diritto internazionale, cfr.A. CONIO, Tutela del mare ed aree marine protette, in G. ROSSI, cit., p. 336. (108) Cfr. la bibliografia citata in A. CONIO, cit., p. 342 e 343. 320 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 Commissione del Libro Verde (COM 96/540) sulle politiche future in materia. Tale documento pone un primo importante pilastro a partire dal quale sviluppare una politica integrata sulle problematiche del rumore da realizzare attraverso la creazione di una rete di esperti e gruppi di lavoro di supporto alla Commissione europea. La gestione organica delle problematiche acustiche connesse alle diverse sorgenti invece oggetto della direttiva 2002/49/CE che ha come obiettivo principale quello di contrastare il rumore cui sono esposte le persone nelle zone edificate, nei parchi pubblici o in altre zone particolarmente sensibili al rumore (109). Lapproccio adottato, in una visione organica e globale volta a individuare i metodi di valutazione ed il livello massimo di rumorosit, visione imposta dalle mutate esigenze della popolazione, si fonda sulla determinazione dei livelli di esposizione al rumore ambientale attraverso la mappatura acustica dei territori comunali e lattuazione dei piani di azione al livello locale. La disciplina dei rifiuti risulta invece particolarmente articolata, in ragione della peculiarit delloggetto. Essa in ambito comunitario costituisce un anello fondamentale nella catena di attuazione delle politiche ambientali( 110). Gli obiettivi di salvaguardia ambientale e di protezione della salute dei cittadini si rinvengono nel VI Programma dazione ambientale. Tale Documento, recante le priorit e gli obiettivi della Comunit per il periodo 2001- 2010, si propone di attuare politiche che rendano sostenibile dal punto di vista ambientale il consumo delle risorse rinnovabili e non rinnovabili, migliorandone lefficienza e diminuendo la produzione di rifiuti. In tale direzione la Commissione nel 2005 ha adottato una prima strategia tematica, intitolata Portare avanti lutilizzo sostenibile delle risorse Una strategia tematica sulla prevenzione e il riciclaggio dei rifiuti . Gi a partire dagli anni 70, la produzione normativa comunitaria adottata ha investito la tematica dei rifiuti sia sul piano della disciplina generale che per gli aspetti settoriali (111). Con riguardo alla disciplina generale, il testo di riferimento nella direttiva del 1975 n. 75/442, modificata successivamente dalla direttiva n. 91/156. Si giunti in seguito ad una prima razionalizzazione normativa nel 2006, con la direttiva n. 12/2006, ed infine ad una rinnovata e pi completa disciplina (109) Cfr. M. E.BARONE, Inquinamento acustico, in G. ROSSI, cit., p. 356 e la bibliografia ivi citata. (110) Cfr. F. GUALTIERI, Rifiuti, in G. ROSSI, cit., p. 365. G. BOTTINO - R. FEDERICI, Rifiuti, in M.P. CHITI - G. GRECO (a cura di) Trattato di diritto amministrativo europeo, Giuffr, 2007, II ed., p. 1679 e ss.; P. DELLANNO, Manuale di diritto ambientale, Cedam, 2003, p. 480 e ss. (111) Riguardo a tali aspetti settoriali della materia rifiuti, sono infatti state adottate normative di carattere settoriale relative ad esempio ai rifiuti pericolosi (direttiva n. 78/319 e n. 91/689); alla gestione di imballaggi e dei rifiuti di imballaggio (direttiva n. 94/62 poi modificata dalla direttiva n. 2004/12); alla eliminazione degli oli usati (direttiva n. 75/439). CONTRIBUTI DI DOTTRINA 321 con la direttiva 2008/98, che non solo ha sostituito la precedente direttiva 2006/12, ma anche inglobato, per esigenze di semplificazione e coordinamento normativo, le disposizioni sui rifiuti pericolosi della direttiva n. 91/689 e quelle sulleliminazione oli usati della direttiva n. 75/439 (112). Tale direttiva si caratterizza per una tendenza verso uneffettiva semplificazione legislativa del quadro comunitario vigente in materia di produzione e gestione di rifiuti (113). A tal fine vengono introdotte nuove definizioni allo scopo di prevenire le possibili distorsioni sul mercato derivanti da unapplicazione non uniforme delle nozioni in oggetto. Bench la definizione di rifiuto rimanga sostanzialmente immutata, si introduce una serie di nuove nozioni (prima fra tutte, quella di sottoprodotto), intese a circoscrivere lambito di applicazione della legislazione comunitaria in materia. Sono, inoltre, specificate le definizioni di riciclaggio, riutilizzo e preparazione per il riutilizzo, rivisitate le definizioni di raccolta e di recupero e fissati i criteri per la cessazione della qualifica di rifiuto. Detta normativa prescrive che i Paesi membri garantiscano nella gestione dei rifiuti il rispetto della gerarchia dei rifiuti(114), attraverso fasi indicate secondo un preciso ordine: la prevenzione, la preparazione per il riutilizzo, il riciclaggio, il recupero di altro tipo e lo smaltimento. Tale strategia generale deve essere basata anche sul conseguimento di un obiettivo ambientale complessivo dato dalla minimizzazione delle conseguenze negative della gestione dei rifiuti per la salute umana e in generale per lambiente, da valutare considerando il complessivo ciclo di vita delle sostanze che compongono i rifiuti. (112) La direttiva 2008/98 stata recepita nel nostro ordinamento con il decreto legislativo n. 205 del 2010. (113) Ci che sembra attestato anche dalle nuove definizioni (di recupero, smaltimento, riciclaggio ecc.), contenute nellart. 3, e dalla pi duttile nozione di rifiuto, ove comparata con quelle del sottoprodotto e della materia prima secondaria, a valle del recupero (e del riciclaggio) ex artt. 5 e 6. (114) Limportanza centrale della gerarchia dei rifiuti, secondo una scala in ordine decrescente che va dalla prevenzione, riutilizzo, riciclaggio, recupero fino allo smaltimento, come regola generale della gestione dei rifiuti sottolineata nella Risoluzione del Parlamento Europeo 2006/2175 su una strategia tematica per il riciclaggio di rifiuti, dalla quale emerge che la gerarchia comunitaria pone il riciclaggio ed il recupero come materia in posizione prevalente rispetto al recupero energetico. E interessante notare quanto evidenziato nelle premesse della Risoluzione, laddove il Parlamento Europeo sottolinea che: Considerando che le economie sono come gli ecosistemi: ambedue sfruttano energia e materiali per trasformarli in prodotti e processi, con la differenza che la nostra economia segue flussi di risorse lineari mentre la natura ciclica; considerando che gli ecosistemi svolgono funzioni che convertono i rifiuti in risorse trasferendo l'energia proveniente dalla luce del sole, mentre i processi industriali non sono in grado di farlo; considerando, nel contesto di economie e popolazioni in rapida crescita, che la produzione e i prodotti che generano flussi di rifiuti che la natura non pu assorbire n trasformare in nuove risorse risultano sempre pi problematici sotto il profilo della sostenibilit ... sottolinea che l'obiettivo essenziale della gestione dei rifiuti quello di raggiungere un elevato livello di tutela dell'ambiente e della salute umana anzich quello di facilitare il funzionamento del mercato interno per il recupero dei rifiuti. 322 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 Emerge, quindi una accentuazione della tutela preventiva nella produzione oltre che nella gestione dei rifiuti, sia con disposizioni vincolanti (come quelle sul riutilizzo dei prodotti ovvero sulla preparazione per il riutilizzo, nonch sui programmi di prevenzione), sia con disposizioni programmatiche, che, in applicazione del principio della valutazione del ciclo integrale della vita di un prodotto (il c.d. life cycle analysis), e quindi del suo processo produttivo, ne considera i carichi energetici e ambientali, nelle varie fasi di vita(115). Nel complesso la nuova normativa si distingue per un approccio metodologico pi duttile oltre che pi articolato rispetto a quello codificato con prescrizioni rigide ed astratte dalla direttiva 2006/12/CE. Alla medesima logica risponde anche la previsione della continuativa collaborazione tra gli Stati membri e la Commissione, necessaria per integrare alcuni precetti e regole tecniche(116). 4.2 Il settore territoriale/paesaggistico e delle aree protette Con riguardo alla tutela del paesaggio, a livello comunitario non si rinviene uno strumento giuridico dedicato specificatamente a tale bene che ha visto, in tale ordinamento, una tutela indiretta in considerazione della non univocit degli aspetti in esso ricompresi. Basti considerare la contiguit con le risorse naturali e la protezione dellambiente, ma anche gli aspetti relativi alla gestione del territorio, per i quali la competenza normativa lasciata agli Stati membri. Una vera e propria politica comunitaria avente ad oggetto il paesaggio viene configurata solo nella Convenzione europea del paesaggio adottata il 19 luglio del 2000 dal Comitato dei Ministri del Consiglio dEuropa (117). Pur non essendo formalmente un Atto della Comunit europea, ma un vero e proprio Trattato internazionale redatto su impulso del Consiglio dEuropa, la Convenzione nasce in ambito politicamente comunitario e tra i soggetti firmatari oltre agli Stati vi anche e soprattutto la Comunit europea (118). Sul piano sostanziale va segnalata la rilevanza attribuita dalla Convenzione al nuovo concetto di paesaggio, definito come una determinata parte di territorio, cos come percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva (115) Cos F. GIAMPIETRO, in AA.VV, Commento alla direttiva 2008/98/CE. Quali modifiche al Codice dellambiente, F. GIAMPIETRO (a cura di), Ipsoa, 2009. (116) Ancora F. GIAMPIETRO, cit., il quale osserva che Si tratta di un regime che, pur con le sue luci (e le sue ombre ...) si caratterizza come un work in progress, nel quale gli Stati membri sono (forse con un tasso maggiore che nel passato ...) corresponsabili del suo successo o del suo fallimento, soprattutto rispetto allobiettivo di uneffettiva armonizzazione delle regole nel mercato unico. (117) Cfr. G. CARTEI (a cura di), Convenzione europea del paesaggio e governo del territorio, Il Mulino, 2007. (118) La Convenzione stata firmata dagli Stati membri il 20 ottobre 2000 ed entrata in vigore nel nostro ordinamento il 1 settembre 2006. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 323 dallazione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni . Tale definizione risulta simile a quella del nostro Codice dei beni culturali e del paesaggio, dove pure si fa riferimento al paesaggio comprendente sia aspetti naturali sia aspetti umani. Lampia estensione delloggetto di salvaguardia (spazi naturali, rurali, urbani e periurbani, paesaggi terrestri, acque interne e marine, paesaggi che possono essere considerati eccezionali ma anche paesaggi di vita quotidiana o degradati, paesaggio come comune patrimonio culturale, naturale e fondamento di identit) consegna una nozione di paesaggio ad ampio spettro: non un insieme disomogeneo di beni ma un bene comune, da tutelare come componente essenziale del contesto di vita delle popolazioni, espressione della diversit del loro comune patrimonio culturale e naturale e fondamento della loro identit (119). In ragione di tale globale valutazione, la politica del paesaggio viene ivi definita come la configurazione di principi generali e di strategie e orientamenti a carattere generale, mentre la pianificazione dei paesaggi come linsieme delle azioni volte alla valorizzazione, al ripristino ed alla creazione di paesaggi. Emerge quindi dalla Convenzione un approccio globale e diretto al tema della qualit dei luoghi nei quali vivono le popolazioni, qualit riconosciuta come condizione essenziale del benessere (inteso in senso fisico, psicologico ed intellettuale) individuale e collettivo, fondamento per uno sviluppo sostenibile e risorsa che favorisce le attivit economiche. Il paesaggio, sotto il profilo anche territoriale, viene perci considerato nel suo insieme, senza operare alcuna distinzione fra aree urbane, periurbane, rurali e naturali, e neppure fra le parti che possono essere considerate eccezionali, quotidiane o deteriorate; di esso non vengono considerati i singoli elementi (culturali, artificiali, naturali), ma linsieme nel quale gli elementi costitutivi sono interrelati. Vi quindi la figura di un paesaggio come forma dinamica del territorio che come tale richiede la necessaria integrazione nelle politiche di pianificazione del territorio ed in quelle di carattere culturale, ambientale, agricolo, sociale ed economico (art. 5 della Convenzione) (120). (119) Cfr. M. A. SANDULLI, (a cura di) Il Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.Lg. 22 gennaio 2004, n. 42 modificato con i DD.Lg. 24 marzo 2006, nn. 156 e 157), Giuffr, 2006, in particolare il cap. Convenzioni internazionali - Articolo 133. Per una sintesi dellevoluzione del concetto di paesaggio a livello legislativo, giurisprudenziale e dottrinario cfr. G.F. CARTEI, Il Paesaggio, in Dizionario di Diritto Pubblico a cura di S. CASSESE, Giuffr, 2006; R. PRIORE, Paesaggio-Diritto, in Enciclopedia italiana di scienze, lettere ed arti Treccani (2a appendice 2007). Inoltre, con specifico riguardo allintegrazione paesaggio-territorio cfr. A. CHIAUZZI, La tutela del paesaggio come parametro di governo del territorio, in R. ROTA (a cura di) Lezioni di diritto dellambiente, cit., p. 300; L. PERFETTI, Premesse alle nozioni giuridiche di ambiente e paesaggio. Cose, beni, diritti e simboli, in Riv. giur. amb., 2009, 33; S. AMOROSINO, Introduzione al diritto del paesaggio, Laterza, 2010. (120) Le misure specifiche di salvaguardia individuate dalla Convenzione sono finalizzate ad individuare le azioni tecnico - operative in relazione a tre aspetti: a) linserimento della questione del pae- 324 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 Vien cos in risalto unidea sistemica che mettendo al centro i due concetti di percezione sociale del paesaggio e di ambiente di vita riesce a legare i paesaggi naturali e i paesaggi culturali correlandoli alla comunit sociale. In tale ottica gli strumenti di intervento a tutela del paesaggio diventano strumenti di intervento sul territorio ed il paesaggio stesso ne diventa la cifra di riferimento. In altri termini se il paesaggio viene a costituire la forma in cui si presenta esteriormente ed anche interiormente (in quella visione di coscienza di luogo messa in luce dalla Convenzione europea del 2000) il territorio e questultimo reclama una disciplina che superi le particolarit secondo un intento di sviluppo economico e sociale sostenibile, inevitabilmente, in tale logica di gestione dinamica, anche le modalit di intervento sul paesaggio non potranno che adeguarsi a tale metodo dinamico, trattandosi di gestire elementi legati alle attivit, in perenne divenire, delluomo. Analoga impostazione da rinvenire anche nel nostro quadro normativo che sembra aver recepito proprio lidea di fondo della citata Convenzione europea, ove si consideri la rilevanza attribuita alla pianificazione paesaggistica (121). La pi recente legislazione interna infatti si fonda su unidea di paesaggio interamente integrata nel territorio, come evidenzia larticolata indicazione degli elementi per lelaborazione del piano di cui allart.143 del nostro Codice dei beni culturali e del paesaggio (122). Tra questi elementi notevole rilievo assume la previsione della individuazione delle misure necessarie al corretto inserimento degli interventi di trasformazione del territorio nel contesto paesaggistico, alle quali devono riferirsi le azioni e gli investimenti finalizzati allo sviluppo sostenibile delle aree interessate. Lo sviluppo sostenibile si attua dunque, per tale settore, attraverso la salvaguardia, la valorizzazione, la gestione della dimensione culturale che connota il paesaggio-territorio, inteso nella sua globalit (123). Se si considera che il territorio costituisce il luogo fisico dellimpatto ambientale, si comprende anche la fondamentale rilevanza che assume per tale saggio in tutte le politiche settoriali che hanno ripercussioni sul territorio; b) la gestione del territorio sulla base degli obiettivi di qualit del paesaggio; c) la conformit degli interventi con tali obiettivi di qualit. In merito cfr. A. DI BENE, Paysage et amenagement du territoire en Italie al Deuxieme reunion des Ateliers pour la mise en oevre de la Convention europeenne du paysage Conseil de lEurope, Strasborg 27-28 novembre 2003. (121) Cfr. gli artt. 143, 144 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio come modificati dai decreti legislativi n. 62 e n. 63 del 2008. (122) Cfr. S. AMOROSINO, Commento agli artt. 135-143-144 e 145, in Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di M. A. SANDULLI, Giuffr, 2006; P. CARPENTIERI, Commento allart. 145 in AA.VV. Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di G. TROTTA, in G. CAIA e N. AICARDI, Cedam, 2006. (123) Cfr. D. SORACE, Paesaggio e paesaggi nella Convenzione europea, in G. CARTEI, Convenzione europea, cit., p. 17; S. CIVITARESE MATTEUCCI, La concezione integrale del paesaggio alla prova della prima revisione del Codice del paesaggio, ibidem, cit., p. 209. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 325 settore la Valutazione ambientale strategica riguardata come sintesi tra la tutela ambientale e la pianificazione territoriale e paesaggistica (124). Con riguardo invece alla protezione della natura o delle aree protette da dire che la materia attiene a quel settore che va sotto il nome di biodiversit, termine che designa le variet delle specie, degli ecosistemi e del loro patrimonio genetico (125). In ambito comunitario la salvaguardia della biodiversit posta tra gli obiettivi del VI Programma quadro di azione ambientale ed oggetto di un apposito piano comunitario dazione adottato dalla Commissione europea il 22 maggio 2006. In tale Documento si pone laccento sulla esigenza imprescindibile di tutelare tale bene risorsa anche in ragione dei benefici che esso apporta alle generazioni attuali e future, grazie ai servizi offerti dagli ecosistemi, quali la produzione di cibo, combustibile, fibre e medicinali, leffetto regolatore sullacqua, laria ed il clima, il mantenimento della fertilit del suolo, i cicli dei nutrienti (126). In ragione poi della diversificazione della diffusione della biodiversit sul territorio europeo ma anche del rischio cui sono esposti i diversi habitat e le diverse specie, lapproccio comunitario stato improntato alla differenziazione della tutela, con la creazione di una rete di siti ad elevato valore naturalistico denominata Natura 2000(127) . La disciplina comunitaria per tale settore fa capo alla direttiva 79/409/CEE concernente la conservazione degli uccelli selvatici, successivamente sostituita dalla direttiva 2009/147/CE (c.d. direttiva uccelli), e la diret- (124) Si consideri che pur in assenza di strumenti derivanti da specifica normativa comunitaria, il termine paesaggio figura gi nella direttiva 85/337 sulla VIA, come elemento da considerare nelleffettuare le valutazioni dei progetti; ma ancora nella direttiva rifiuti 75/442 e 2006/12 ed ancora nella direttiva che recepisce la Convenzione di Aarhus allorch afferma la necessit di coinvolgere il pubblico nelle decisioni concernenti il paesaggio. Infine espliciti riferimenti al paesaggio si possono rinvenire in strumenti legislativi ed iniziative afferenti lambito delle politiche agricole, soprattutto con riferimento alla tutela della diversit dei paesaggi rurali. La direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno, al Considerando 40, tra i nuovi motivi imperativi di interesse generale specifica, accanto alla protezione dellambiente tout-court, quelli alla protezione dellambiente urbano, compreso lassetto territoriale in ambito urbano e rurale, gli obiettivi di politica culturale , la conservazione del patrimonio nazionale storico e artistico.... (125) Cfr. R. PAVONI, Biodiversit e biotecnologie nel diritto internazionale e comunitario, Giuffr, 2004; W.P. J. WILS, La protection des habitats naturales en droit communautaire, in C. D. E., 1994. (126) Quale parte integrante delliniziativa sulluso efficiente delle risorse, il 3 maggio 2011 la Commissione europea ha presentato una Comunicazione (COM(2011)244), relativa a una strategia UE sulla biodiversit fino al 2020 intesa ad aggiornare gli obiettivi UE stabiliti nel 2010 per porre fine, entro il 2020, alla perdita di biodiversit e al degrado dei servizi ecosistemici. Anche riguardo alla tutela del suolo, come preziosa risorsa naturale, va segnalata la Comunicazione n. 179 della Commissione intitolata Verso una strategia tematica per la protezione del suolo, che si caratterizza per la notevole rilevanza attribuita a detta risorsa considerata supporto alla vita e agli ecosistemi, riserva di patrimonio genetico e di materie prime, custode della memoria storica, nonch elemento essenziale del paesaggio. (127) Cfr. F. DINELLI, Tutela della biodiversit e protezione della natura, in G.ROSSI, cit., p. 322 e ss. 326 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 tiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche (c.d. direttiva habitat). La prima direttiva prevede, tra le misure che gli stati membri adottano per la tutela degli uccelli selvatici, listituzione di zone di protezione speciale (ZPS) alle quali si aggiungono le zone speciali di conservazione (ZSC), con i siti di importanza comunitaria (SIC), istituite ai sensi della direttiva habitat, le quali formano cos la rete ecologica Natura 2000, destinate alla conservazione della biodiversit sul territorio dellUnione Europea (128). Lo strumento previsto dalla normativa comunitaria a salvaguardia di tali zone il procedimento della Valutazione di incidenza al quale deve essere sottoposto qualsiasi piano, progetto o intervento che possa avere incidenze significative su un sito di Natura 2000. La procedura, seguendo il principio di precauzione, si applica sia agli interventi che ricadono all'interno delle aree Natura 2000 sia a quelli che, pur sviluppandosi all'esterno, possono comportare ripercussioni sullo stato di conservazione degli habitat protetti (129). Da rilevare il particolare rigore assunto dal giudice comunitario circa linterpretazione della disciplina concernente la valutazione di incidenza di cui allart. 6 della direttiva habitat. Secondo lorientamento interpretativo della Corte di Giustizia, infatti, la previsione della direttiva in base alla quale le autorit nazionali competenti autorizzano il piano o progetto solo a condizione che abbiano acquisito la certezza che esso sia privo di effetti pregiudizievoli per lintegrit del sito, deve essere intesa nel senso che tale situazione di certezza in unottica precauzionale ricorre, una volta impiegate le migliori conoscenze scientifiche, solo quando non sussista alcun dubbio ragionevole da un punto di vista scientifico circa lassenza di tali effetti (130). 4.3 Gli strumenti procedimentali: VIA, VAS e AIA Come tutto il complesso della materia del diritto dell'ambiente anche i procedimenti ambientali hanno avuto origine in ambito sovranazionale. In particolare tale settore si sviluppato attraverso lintroduzione di strumenti di (128) Si definisce SIC unarea geografica che contribuisce in modo significativo a mantenere o a ripristinare un tipo di habitat naturale di cui allallegato I o una specie di cui allallegato II della direttiva del Consiglio 92/43/CEE (Direttiva Habitat). Sono invece denominate ZPS le aree per la protezione e conservazione delle specie di uccelli indicate negli allegati della direttiva 79/409/CEE, come modificata con la citata direttiva 2009/147/CE (Direttiva Uccelli). (129) Cfr. C. GIRAUDEL, La protection conventionnelle des espaces naturalles, Limoges, 2000; R. MONTANARO, Direttiva habitat e valutazione di incidenza: primi interventi giurisprudenziali, in Foro amm., n. 11, 2002; S. BOERIS FRUSCA - F. CATTAI - A. MAFFIOLOTTI - M. PAGNI, La valutazione di incidenza ecologica, (a cura di), ARPA-PIEMONTE, in Stato amb., 2002; Commissione europea, Valutazione di piani e progetti aventi unincidenza significativa sui siti della rete natura 2000. Guida metodologica alle disposizioni dellarticolo 6, paragrafi 3 e 4 della direttiva Habitat 92/43/C.E.E., Lussemburgo Ufficio per le pubblicazioni ufficiali delle Comunit Europee, 2002. (130) Corte di Giustizia 7 settembre 2004, in causa C-127/02; 26 ottobre 2006, in causa C-239/04 e 20 settembre 2007 in causa C-304/05. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 327 elevata tecnicit sul piano normativo e fondamentalmente ispirati al principio di prevenzione. Il primo di tali procedimenti il procedimento di valutazione di impatto ambientale (VIA) (131), prototipo giuridico, per cos dire, di tutti gli altri procedimenti introdotti successivamente. ComՏ noto esso stato disciplinato originariamente dalla direttiva 85/337/CEE del Consiglio, la quale costituisce indubbiamente una delle pi significative realizzazioni normative della politica ecologica, sviluppata, a livello comunitario, intorno a tre riferimenti principali, ovvero i programmi di azione elaborati nel 1973, nel 1977 e nel 1981 in accoglimento delle sollecitazioni dei capi di Stato e di Governo provenienti dalla Conferenza di Parigi del 1972, che aveva elevato a compiti essenziali della Comunit la lotta alle varie forme di inquinamento, il miglioramento della qualit della vita e la protezione dellambiente naturale. Peculiarit del procedimento la sua finalit preventiva: esso , infatti, finalizzato a prevedere gli effetti sull'ambiente di determinati progetti pubblici e privati per la realizzazione di opere e interventi sul territorio, al fine di prevenire, evitare o minimizzare le conseguenze dannose di questi ultimi. Detta procedura affianca il procedimento autorizzatorio principale e, a seguito di un'istruttoria a carattere tecnico-scientifico ed interdisciplinare, sfocia in un giudizio preventivo in ordine alla compatibilit ambientale di un determinato progetto suscettibile di arrecare pregiudizi all'ambiente. Con riguardo alle categorie di progetti sottoponibili al procedimento di valutazione, la normativa comunitaria opera una distinzione tra progetti che obbligatoriamente formano oggetto del procedimento (i progetti appartenenti alle classi indicate nell'allegato I alla direttiva), e progetti che invece sono oggetto di valutazione solo quando gli Stati membri ritengano che le loro caratteristiche lo richiedano (progetti rientranti nelle classi indicate nell'allegato II (131) Per una compiuta trattazione dellargomento, qui solo brevemente accennato, si rinvia alla parte speciale ad esso dedicata. La bibliografia in tema di VIA pressoch sterminata, in generale cfr. L. KRAMER, Effect national des directives communautaires en matire denvironnement, in R.J.E., 1990; C. MALINCONICO, La prevenzione nella tutela complessiva dellambiente: La valutazione di impatto ambientale, in C. MALINCONICO, I beni ambientali, vol. V, in Trattato di diritto amministrativo (a cura di G. SANTANIELLO), Padova, 1991; S. GRASSI, Problemi di attuazione della direttiva comunitaria sulla valutazione di impatto ambientale per i progetti di cui allallegato II (art. 4, par. 2, direttiva n. 85/337/ C.E.E.), in Gazz. Ambiente, 1997; V. GRADO, Tendenze evolutive della politica comunitaria dell'ambiente in relazione al quarto programma d'azione, in Diritto Europeo, 1993, p. 24; A. CUTRERA, La direttiva 85/337/CEE sulla valutazione di impatto ambientale, in Riv. Giur. Amb., 1987, p. 499 e ss.; S. GRASSI, Il quadro europeo sulla VIA, in Gazzetta Ambiente, n. 1, 1997, p. 3; R. FERRARA (a cura di), La valutazione di impatto ambientale, Cedam, 2000; F. FONDERICO, Valutazione di impatto ambientale, in Diz. Dir. Pubb., diretta da S. CASSESE, VI, Giuffr, 2006, p. 6171; dello stesso A., La tutela dellambiente, in Trattato di diritto amministrativo (a cura di S. CASSESE), vol. II, Diritto amministrativo speciale, Giuffr, 2000, ed. 2003; A. CROSETTI, Natura e funzione della V.I.A., in R. FERRARA, La Valutazione di impatto ambientale, cit.; P. DELLANNO, Manuale di diritto ambientale, Padova, 2000; A. CHIAUZZI, Gli strumenti del diritto dellambiente: i procedimenti ambientali, in R. ROTA (a cura di) Lezioni di diritto dellambiente, cit., p. 88; J.H. JANS, European Environmental Law, Groningen, 2008, p. 311. 328 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 della direttiva medesima). Ai sensi dell'art. 4, secondo comma, della direttiva infatti, per i progetti elencati nell'allegato II, gli Stati determinano, mediante un esame concreto o mediante la fissazione di soglie e criteri se il progetto debba essere sottoposto o meno al procedimento di VIA. Gli Stati possono decidere di applicare anche entrambe le modalit; quando si parla di fissazione di soglie o criteri si fa riferimento ad un sistema nel quale la scelta se utilizzare o meno il procedimento non avviene considerando singolarmente ogni fattispecie, ma viene effettuata a monte gi in sede normativa. Sia che si esamini caso per caso, sia che vengano fissate delle soglie, gli Stati tengono conto dei criteri stabiliti dal legislatore comunitario, nell'allegato III della direttiva, riguardanti tre aspetti: a) le caratteristiche dei progetti; b) la localizzazione dei progetti; c) le caratteristiche dell'impatto potenziale. L'introduzione di tali criteri da parte della direttiva 97/11, di modifica della direttiva n. 85/337 (132), costituisce l'ingresso nella disciplina comunitaria della procedura di "screening", in base alla quale gli Stati destinatari della direttiva, secondo le modalit indicate, analizzano e vagliano i singoli progetti allo scopo di decidere se sia il caso o meno di sottoporli alla valutazione di impatto ambientale. Tralasciando i profili pi squisitamente strutturali e funzionali del procedimento, da dire che la cifra distintiva della disciplina della VIA a livello comunitario resta la sua connotazione di valutazione prevalentemente tecnica. Il nostro ordinamento invece, a pi riprese, ed anche nel tentativo di affinare via via gli strumenti atti ad un pi adeguato recepimento, specie nellottica della semplificazione delle procedure (133), continua a non essere in linea con quellimpostazione ove si consideri che da sempre, e cio sin dalla prima embrionale attuazione della direttiva 337/85 attraverso lart. 6 della legge 349/86 e dpcm attuativi del 1988, la natura composita del procedimento ne ha fatto prevalere gli aspetti di discrezionalit amministrativa se non addirittura politica (134). Il procedimento di valutazione ambientale strategica (VAS), introdotto con la direttiva 2001/42, riguarda invece lincidenza sullambiente dellap- (132) Con la direttiva 2003/35/CE del 26 maggio 2003 sono state apportate modifiche alle direttive del Consiglio 85/337/CEE e 96/61/CE relativamente alla partecipazione del pubblico e all'accesso alla giustizia. (133) Ottica che traspare gi nelle modifiche apportate al d.lvo 152/06 con il d.lvo correttivo n. 4/08 e da ultimo con il d.lvo n. 128/10. (134) Su tali problematici aspetti, sia consentito rinviare a R. ROTA, Il binomio VIA partecipazione: alcuni spunti propositivi, in La VIA nei trasporti, CNR-PFT2, Capri, 13-15 ottobre, 1994 e La procedura di valutazione di impatto ambientale tra discrezionalit tecnica e discrezionalit amministrativa: alcune note ricostruttive, in Scritti in onore di Serio Galeotti, Giuffr, 1998, vol. II, p. 353 e ss. In tema, cfr. inoltre F. GIAMPIETRO, Criteri tecnici o discrezionali nel c.d. giudizio di compatibilit ambientale? Proposte di coordinamento della V.I.A. con gli altri procedimenti autorizzatori, in Riv. Giur. Amb., 1995, p. 411 e ss.; F. FRACCHIA, I procedimenti amministrativi in materia ambientale, in A. CROSETTI - R. FERRARA - F. FRACCHIA - N. OLIVETTI RASON, Diritto dellambiente, Laterza, 2008. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 329 provazione di piani e programmi, e dunque implica una valutazione/scelta a monte, a livello cio di pianificazione complessiva degli interventi. Pur essendo strutturalmente simile alla VIA se ne differenzia appunto per loggetto, che nella VAS come detto sono tutti gli atti di pianificazione e di programmazione i quali possono produrre effetti significativi sullambiente. Nellart.3 della direttiva figurano infatti gli strumenti elaborati per i settori agricolo, forestale, della pesca, energetico, industriale, dei trasporti, della gestione dei rifiuti e delle acque, delle telecomunicazioni, turistico, della pianificazione territoriale o della destinazione dei suoli. Lart. 4 della direttiva precisa poi che la valutazione () deve essere effettuata durante la fase preparatoria del piano o programma e fissa lobbligo per gli Stati membri di integrare la VAS nelle procedure, gi esistenti nei singoli ordinamenti, concernenti ladozione dei piani e dei programmi rientranti nel campo di applicazione della direttiva. Evidente dunque la centralit del ruolo che tale procedimento assume allinterno delle politiche ambientali europee. Con la VAS infatti la valutazione dellinteresse ambientale viene anticipata al momento in cui lopera singola non stata ancora progettata o nemmeno concepita. In questa prospettiva la VAS sicuramente nasce per porre rimedio al maggior limite della VIA; il presupposto , infatti, la consapevolezza dei limiti intrinseci della valutazione di impatto ambientale, strumento che per la propria struttura si rivela inidoneo a consentire di cogliere le implicazioni sul sistema ambientale indotte dal sommarsi sul territorio di singoli interventi puntuali. Il primo articolo della direttiva sulla VAS precisa lobiettivo della direttiva stessa che quello di garantire un elevato livello di protezione dellambiente e di contribuire allintegrazione di considerazioni ambientali allatto dellelaborazione e delladozione di piani e programmi al fine di promuovere lo sviluppo sostenibile assicurando chevenga effettuata una valutazione ambientale di determinati piani e programmi che possono avere un impatto significativo sullambiente. Alla luce di tale disposizione, si pu senzaltro affermare che, pur essendo la Valutazione strategica, al pari della VIA, uno strumento finalizzato a prevenire eventuali pregiudizi ambientali, essa ha come funzione prevalente quella di integrare la politica ambientale nelle fasi decisionali delladozione dei piani e programmi. Il principio ispiratore della VAS, e sua base giuridica comunitaria, si rinviene perci nel principio di integrazione e dunque nella previsione del Trattato in base alla quale le esigenze connesse con la tutela dell'ambiente devono essere integrate nella definizione delle politiche e delle azioni comunitarie, in particolare nella prospettiva di promuovere lo sviluppo sostenibile nel quale si chiede alle istituzioni comunitarie. La normativa interna, che ha recepito nel nostro ordinamento la disciplina comunitaria della Valutazione Strategica, soprattutto dopo le modifiche ap- 330 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 portate con il decreto legislativo n. 4/08 (135), ci consegna un procedimento che pi che volto a regolare liter autorizzativo, concerne piuttosto un processo decisionale, qualificato dalla pubblica Amministrazione che, partendo da un determinato quadro normativo, da un certo contesto sociale ed economico, territoriale ed ambientale e confrontandosi con la societ, compie scelte ed assume decisioni(136). Anche il procedimento di autorizzazione ambientale integrata, come la VIA, costituisce applicazione del principio di prevenzione. Nasce in ambito comunitario con la direttiva n. 96/61 CE (c.d. IPPC integrated pollution prevention and control), modificata successivamente dalla direttiva 2003/87/CE, e da ultimo confluita nella direttiva 2008/1/CE che ha riscritto la disciplina precedente senza modificarne le caratteristiche fondamentali. Analogamente, per tale procedimento, che ha ad oggetto lautorizzazione per lesercizio di impianti aventi possibili effetti nocivi per lambiente, lapproccio quello di una visione complessiva del fenomeno inquinante teso a considerare linterconnessione delle diverse forme di inquinamento con riferimento ad una singola attivit. Obiettivo finale la semplificazione del regime autorizzatorio vigente per determinate attivit potenzialmente lesive di diversi fattori ambientali. La stretta relazione sussistente tra la procedura di VIA e lAIA ha determinato la necessit di integrare le due procedure. In considerazione di ci, la direttiva 97/11 CE ha previsto la possibilit di una procedura unica (137). (135) Il decreto legislativo n. 152/06 stato ulteriormente modificato e integrato con il decreto legislativo n. 128 del 29 giugno 2010. (136) Cos P. CECCHETTI, VAS in Italia: prospettive e criticit in Convegno Nazionale, Roma 26 novembre 2009, il quale sottolinea come questo tipo di approccio in linea con le procedure amministrative europee in materia ambientale, incentrate sui criteri di integrazione, responsabilizzazione e sussidiariet, anche rispetto a procedure autoritative di tipo command and control. (137) Sullautorizzazione ambientale integrata e sulle forme di prevenzione integrata degli inquinamenti cfr. T. MAROCCO, La direttiva IPPC e il suo recepimento in Italia, in Riv. Giur. Amb., 2004, 1, p. 35; A. SCARCELLA, Lautorizzazione integrata ambientale: il nuovo sistema di prevenzione controllo delle fonti inquinanti dellambiente: principi, procedure e sistema sanzionatorio, Giuffr, 2005. Nell'ottica del coordinamento tra gli strumenti di tutela ambientale, il nostro legislatore, con il d.lgs. 128/2010, ha rivisto anche la norma di coordinamento tra VIA e AIA, confermando che a livello nazionale l'AIA rimane assorbita dalla VIA, la quale, tuttavia, dovr essere integrata e completata cos da soddisfare tutti i requisiti dell'autorizzazione sostituita. A livello regionale, invece, confermata la semplificazione delle due procedure e la possibilit di prevedere anche a livello regionale l'assorbimento dell'AIA nella VIA. L'unica vera novit introdotta dalla riforma il coordinamento in caso di screening a livello nazionale. Mentre, infatti, la versione precedente nulla diceva rispetto al coordinamento tra AIA e verifica di assoggettabilit alla VIA, il nuovo articolo 10 prevede che tale verifica debba necessariamente essere espletata prima della richiesta di AIA. Qualora l'esito della verifica confermasse la necessit della VIA, quest'ultima assorbirebbe anche l'Autorizzazione Integrata Ambientale. Qualora, invece, la VIA fosse esclusa, il soggetto interessato potr procedere a richiedere l'AIA. Cos F. VANETTI, Autorizzazione ambientale integrata, in Greenlex.it, ottobre 2010, il quale fa anche notare che se da un lato l'intervento legislativo ha contribuito ad un maggior coordinamento della parte seconda del Codice, dall'altro, non ha sfruttato appieno l'occasione di modifica. Infatti, rispetto alle migliori tecniche CONTRIBUTI DI DOTTRINA 331 4.4 La responsabilit per danno ambientale La disciplina della responsabilit ambientale in ambito comunitario costituisce attuazione del principio di prevenzione e del principio chi inquina paga. Il Sesto programma di azione per lambiente evidenzia infatti che: Il Trattato prevede che la politica ambientale comunitaria si basi su determinati principi fondamentali, tra cui il principio chi inquina paga ed il principio di azione preventiva. Pertanto uno dei principali compiti della Comunit di garantire che chi causa danno alla salute umana o allambiente risponda delle proprie azioni e che comunque ove possibile tale danno sia evitato. Anche il Libro Verde della Commissione Europea in materia di responsabilit civile per danno allambiente recita: A Community wide system of civil liability for environmental damage would draw on a basic and universal principle of civil law, the concept that a person should rectify damage that he causes. This legal principle, is strongly related to two principles forming the basis of Community environmental policy since the adoption of the Single Act, the principle of prevention and the polluterpays principle. In particolare, riguardo al principio chi inquina paga non pu dubitarsi che esso assuma un ruolo fondamentale per la responsabilit civile in campo ambientale, ponendo le basi di unazione della Comunit in tal senso. In dottrina si infatti sottolineata la peculiarit di tale principio rispetto agli altri anche per la sua formulazione attribuendo ad esso non solo una valenza di indicazione programmatica (propria dei principi) bens quella di obbligo di un risultato ben preciso: la traslazione di un costo da chi lo subisce a chi lo genera (138). Limportanza del principio emersa gi nel 1972 quando lOECD (139), in occasione di una riunione del Comitato per lambiente, lo indic quale principio di efficienza economica, ci che evidenzia la stretta connessione con gli aspetti economici della tutela ambientale. Tale orientamento stato poi formalizzato dallo stesso organo in due successive raccomandazioni, che ne hanno meglio specificato le modalit applicative (140). Tuttavia da dire che per diverso tempo in ambito comunitario non si disponibili, pur inserendo un espresso richiamo ai documenti BREF (BAT Reference Documents) pubblicati dalla Commissione europea, il Codice riserva ancora a futuri decreti ministeriali la definizione delle linee guida per l'individuazione e lutilizzo delle migliori tecniche disponibili per le diverse categorie di impianti. (138) Cfr. M.MELI, Il principio comunitario chi inquina paga, 1996 e D. DAVANZO, La nuova responsabilit ambientale. Profili di diritto comunitario e interno, Rubbettino, 2007. (139) OECD, menzionata nella Comunicazione della Commissione al Consiglio sul programma delle Comunit Europee per lambiente, 24 marzo 1972. (140) Raccomandation of the Council of guiding principles concerning international economic aspects of environmental policies, del 26 maggio 1972 e Raccomandation of the Council of the implementation of the polluter pays principle, del 14 novembre 1974, in OECD The Polluter Pays Principle, Paris 1975, p. 11, 18. 332 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 sono riscontrati elementi tali da attribuire al principio in questione la qualificazione di strumento di responsabilit civile ambientale. Almeno fino alla met degli anni 80, sembrato che la Comunit abbia posto pi laccento su una politica di tipo preventivo che non di riparazione del danno. E solo con lAtto Unico europeo infatti che il principio entra a far parte a pieno titolo dei principi fondamentali della tutela ambientale (141). In seguito, dopo un lungo e complesso iter legislativo, iniziato nei primi anni ottanta, il legislatore dellUE ha approvato la direttiva 2004/35/CE, che introduce un quadro di riferimento per gli Stati membri in tema di prevenzione e riparazione del danno ambientale, in linea col principio chi inquina paga e coerentemente con il principio dello sviluppo sostenibile (142). Essa richiama orientamenti gi enunciati nei documenti quali il Libro (141) Una netta presa di posizione, in sede comunitaria, per quanto riguarda la connessione tra il principio chi inquina paga e la responsabilit per danno ambientale, contenuta nella Proposta di Direttiva del Consiglio relativa alla responsabilit civile per i danni causati dai rifiuti presentata dalla Commissione l1 settembre 1989, e modificata nel giugno del 1991. Nella Proposta previsto un regime di responsabilit oggettiva per i danni causati allambiente e, nei Considerando, si legge che il ricorso a tale criterio di imputazione correlato allesigenza di rendere operativo il principio chi inquina paga. Il principio diventa quindi presupposto per lattuazione di politiche ambientali incentrate sia su un criterio preventivo, legato allintervento dei pubblici poteri, sia su un criterio riparatorio, legato alla responsabilit civile. Da questo momento in poi il principio chi inquina paga diverr il presupposto per lemanazione di una serie di atti della Comunit Europea in ordine alla creazione di un sistema di responsabilit civile in campo ambientale valido per tutti gli Stati membri, fino ad arrivare alla Direttiva 2004/35 CE. (142) Con riguardo alla direttiva, cfr. U. SALANITRO, La direttiva comunitaria sulla responsabilit per danno ambientale, in Rass. dir. pubbl. europeo, 2003, p. 137 ss.; dello stesso A., pi di recente, Il danno ambientale, Aracne, 2009; C. CLARKE, The proposed EC liability Directive: half-way trhrough Co-Decision, in Reciel, Blackwell Publishing Lid, 2003; V. FOGLEMAN, The environmental liability directive, in Environmental liability, 2004, p. 101 ss.; B. POZZO (a cura di), La responsabilit ambientale. La nuova direttiva sulla responsabilit ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, Milano, 2005; L. BERGKAMP, Implementation of the environmental liability directive in EU member states, in 6 ERA Forum, 2005, p. 389 ss.; H. DESCAMPES, Liability for environmental damage in Belgium (Flemish region) in 2005, ivi, 401 ss.; A. FERRERI, La direttiva n. 2004/35/CE sulla prevenzione e riparazione del danno ambientale, in Dir. Comunitario e degli scambi internazionali, 2005, p. 56; E. CORNU -THENARD, La rparation du dommage environnemental: tude compa-rative de la directive 2004/35/CE du 21 avril 2004 sur la responsabilit environne-mentale et de lUS Oil Pollution Act, in Revue juridique de lenvironnement, 2008, p. 175 ss. E.H.P. BRANS, Liability for damage to public natural resources under the 2004 EC Environmental liability directive. Standing and assessment of damages, in Environmental law review, 2005, p. 90 ss.; F. CARLESI, La prevenzione e la riparazione del danno ambientale come oggetto di funzione amministrativa: riflessioni alla luce della direttiva 2004/35/CE, in D. DE CAROLIS, E. FERRARI, A. POLICE (a cura di), Ambiente, attivit amministrativa e codificazione, Milano 2006, p. 507 ss.; M. C. ALBERTON, Dalla definizione di danno ambientale alla costruzione di un sistema di responsabilit: riflessioni sui recenti sviluppi di diritto europeo, in Riv. giur. amb., 2006, p. 605 ss.; V. FOGLEMAN, Enforcing the environmental liability directive: duties, powers and self-executing provisions, in Environmental liability, 2006, p. 127 ss.; della stessa a.: The environmental liability directive and its impacts on English environmental law, in Journal of planning and environment law, 2006, p. 1443 ss.; G. CROWHURST, The environmental liability directive: a UK perspective, in European environmental law review, 2006, p. 266 ss.; A. DI CAPRIO, La responsabilit per danno ambientale, in R. ROTA (a cura di), Lezioni, cit., p. 163 e ss; M.C. ALBERTON, Il danno ambientale in unottica multilivello, IANUS, 2010. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 333 Verde sulla responsabilit civile per danno ambientale del 1993 e il Libro bianco sulla responsabilit per danni allambiente del 2000. In particolare si riconosce che loperatore (la persona fisica o giuridica che esercita o controlla lattivit professionale) la cui attivit abbia causato un danno ambientale o la minaccia imminente di tale danno (143), sar considerato finanziariamente responsabile, in modo da indurre gli operatori ad adottare misure e a sviluppare pratiche atte a ridurre al minimo i rischi di danno ambientale. La normativa affronta per la prima volta il problema della tutela diretta delle risorse naturali, attraverso lo strumento della responsabilit civile allorquando sia possibile identificare i soggetti inquinatori, il danno sia concreto e quantificabile e sia possibile accettare il nesso causale tra il danno ed il soggetto identificato. Nello specifico, la direttiva che per taluni aspetti riprende i principi adottati dalla Convenzione internazionale di Lugano in materia di risarcimento del danno derivante dallesercizio di attivit pericolose indica due differenti ipotesi nelle quali ricorre la responsabilit per danno ambientale, che si distinguono sia per loggetto della tutela, sia per le caratteristiche dellattivit che ha causato il danno, sia per il criterio di imputazione della responsabilit. Nella prima ipotesi assume rilievo il danno ambientale, o la minaccia imminente di tale danno, causato da unattivit professionale potenzialmente pericolosa per lambiente. La direttiva delimita il concetto di danno ambientale, il quale, per essere rilevante, deve rientrare in una delle seguenti tipologie: danno alle specie e agli habitat protetti, danno alle acque e danno al terreno. Il danno alle specie e agli habitat protetti rilevante se produce significativi effetti negativi sul conseguimento di uno stato di conservazione favorevole di specie o habitat tutelati dalle direttive comunitarie 79/409/CEE e 92/43/CEE o che lo Stato membro individua per fini equivalenti a quelli perseguiti da tali direttive. Il danno alle acque viene definito come qualsiasi danno che incida in modo significativamente negativo sullo stato ecologico, chimico e/o quantitativo e/o sul potenziale ecologico delle acque, cos come definiti dalla direttiva 2000/60/CE. Il danno al terreno limitato alle contaminazioni del suolo o del sottosuolo che creino un rischio significativo di effetti negativi sulla salute umana (144). Per quanto riguarda le misure da adottare il legislatore europeo distingue tra misure di prevenzione e misure di riparazione. Le prime interessano un evento, un atto o unomissione che hanno creato una minaccia imminente di (143) La direttiva definisce il danno ambientale quale mutamento negativo misurabile di una risorsa naturale o un deterioramento misurabile di un servizio di una risorsa naturale, il quale pu prodursi direttamente o indirettamente. (144) Cfr. U. SALANITRO, Il danno ambientale, cit. 334 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 danno ambientale, al fine di impedire o minimizzarne gli effetti; le seconde invece attengono a un danno gi verificatosi e consistono in tutte quelle iniziative volte a controllare, circoscrivere, eliminare o gestire, con effetto immediato, gli elementi inquinanti dellevento specifico, allo scopo di limitare o prevenire ulteriori danni ambientali ed effetti nocivi per la salute umana, ovvero ulteriori deterioramenti ai servizi (145). Sul piano soggettivo responsabile del danno ambientale la persona fisica o giuridica che esercita o controlla lattivit professionale (cio unattivit economica, commerciale o imprenditoriale, di carattere pubblico o privato, con o senza fini di lucro) che ha causato il danno. Ma tale responsabilit ricorre solo se lattivit economica rientra tra quelle prese in considerazione dalla disciplina comunitaria di settore, per la loro potenziale pericolosit per lambiente e la salute, elencate nellAllegato III della direttiva (146). Il danno causato da una di tali attivit determina una responsabilit ambientale di tipo oggettivo. Sono previste ipotesi di esenzione da detta responsabilit con onere della prova a carico dei c.d. operatori. Nella seconda ipotesi diventa invece rilevante, ai fini della responsabilit, esclusivamente il danno alle specie e agli habitat naturali protetti, o la minaccia imminente di tale danno, causato da unattivit professionale non compresa tra quelle indicate nellAllegato III, in quanto potenzialmente non pericolosa per lambiente e la salute; in tal caso loperatore responsabile solo in caso di comportamento doloso o colposo. In sintesi ne risulta una responsabilit differenziata a seconda delle attivit professionali: responsabilit oggettiva per le attivit ad alto rischio e soggettiva per quelle non ad alto rischio. Sotto questo profilo, la normativa italiana di recepimento non sembra porsi in linea con la direttiva comunitaria, atteso che dalla disposizione normativa del d.lvo 152/06, come modificato fino al d.lvo 128/2010 ed anche d.lvo 205/2010, traspare unimpostazione ancora tutta fondata sulla responsabilit aquiliana. 4.5 L accesso alle informazioni ambientali Il diritto di accesso alle informazioni ambientali, nellordinamento comunitario, costituisce diretta applicazione del principio di trasparenza ma, al contempo, anche di quello di partecipazione. Non quindi senza significato che lultima direttiva in ordine di tempo specificamente dedicata alla disciplina dellaccesso ambientale direttiva del (145) Cfr. A. DI CAPRIO, La responsabilit, cit., p. 165 e ss., specie riguardo ai diversi tipi di misure di riparazione. Inoltre, I. A. NICOTRA - U. SALANITRO, Il danno ambientale tra prevenzione e riparazione, Giappichelli, 2010, ivi in particolare i contributi di C. CASTRONOVO e A. LONGO. (146) Una serie di attivit espressamente esclusa dallambito di applicazione della direttiva. In merito cfr. S. M. CARBONE - F. MUNARI - L. SCHIANO DI PEPE, The environmental liability for damage to the marine environment, in Environmental liability, 2008, p. 18 ss. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 335 Parlamento europeo e del Consiglio n. 2003/4/CE del 28 gennaio 2003 al primo considerando espressamente affermi che un rafforzamento dellaccesso del pubblico allinformazione ambientale e la diffusione di tale informazione contribuiscono a sensibilizzare maggiormente il pubblico alle questioni ambientali, a favorire il libero scambio di opinioni, ad una pi efficace partecipazione del pubblico al processo decisionale in materia e, infine, a migliorare lambiente. Evidente appare dunque lo stretto legame sussistente tra circolazione delle informazioni, partecipazione del pubblico alle decisioni e obiettivo finale di tutela dellambiente naturale. Ne consegue che la relativa regolamentazione preordinata s ad assicurare esigenze di trasparenza e diffusione delle informazioni, ma soprattutto in ultima analisi la protezione del bene ambientale. Allo stesso tempo laccesso in materia ambientale un precipitato dei principi comunitari ambientali, quali quello di precauzione e dellazione preventiva. Se il perseguimento dei principi di precauzione e di prevenzione presuppone conoscenze scientifiche adeguate e azioni basate su dati aggiornati e corretti, la diffusione delle informazioni e degli studi permette infatti di assumere decisioni pi ponderate e basate su una migliore conoscenza della realt. Lorigine dellaccesso ambientale, in ambito comunitario, viene fatta risalire alla direttiva 90/313/CE, espressamente dedicata alla libert di accesso allinformazione in materia di ambiente. In essa il tema dellaccesso alle informazioni ambientali trova una prima, parziale, sistemazione e codificazione, contenente comunque gi in nuce tutti gli elementi di novit rispetto allo schema tradizionale dei rapporti tra pubblici poteri e cittadini in materia. Su tale disciplina si innestata la interpretazione estensiva della Corte di Giustizia CE che, ogni volta che stata chiamata in causa per chiarire la portata della disciplina sullaccesso ambientale, non ha perso occasione per valorizzare sia la ratio sia il dato positivo delle direttive in materia, giungendo quasi sempre ad ampliare gli spazi per le istanze di ostensione e, per converso, a leggere restrittivamente le ipotesi di esclusione (147) . Trascorsi alcuni anni il Legislatore comunitario ha ritenuto non di aggior- (147) Cos la Corte di Giustizia CE, 17 giugno 1998, in causa C-321/96, richiesta di stabilire se l'art. 2, lett. a), della direttiva deve essere interpretato nel senso che esso si applica ad una presa di posizione adottata da un'autorit amministrativa competente in materia di conservazione del paesaggio nell'ambito della sua partecipazione ad una procedura di approvazione di progetti di costruzione, se la detta presa di posizione tale da incidere, relativamente agli interessi alla tutela dell'ambiente, sulla decisione di approvazione di tali progetti, oltre a rispondere affermativamente, ha dichiarato che la nozione di misure amministrative costituisce una mera illustrazione delle attivit o delle misure considerate dalla direttiva. Infatti il legislatore comunitario si astenuto dal dare una definizione della nozione di informazione relativa all'ambiente che possa escludere una qualsiasi delle attivit svolte dall'autorit pubblica, poich il termine misure serve soltanto a precisare che devono essere incluse tra gli atti rien-tranti nella direttiva tutte le forme di esercizio dell'attivit amministrativa. La Corte ha poi offerto una interpretazione restrittiva del concetto di azione investigativa preliminare, previsto nella direttiva n. 313 come eccezione al dispiegarsi del principio di trasparenza. 336 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 nare ma addirittura sostituire la direttiva 90/313/CE (148), per dare spazio ad una serie di nuovi principi e introdurre i necessari aggiustamenti, al fine di stare al passo con i cambiamenti sociali intervenuti e gli sviluppi della tecnologia. Lattuale disciplina comunitaria dellaccesso alle informazioni ambientali fortemente debitrice nei confronti della Convenzione di Aarhus sullaccesso alle informazioni, sulla partecipazione del pubblico ai processi decisionali e sul ricorso alla giustizia in materia ambientale, approvata in Danimarca il 25 giugno 1998 ed entrata in vigore il 30 ottobre 2001. Tale Convenzione stata approvata dalla CE con la Decisione 17 febbraio 2005 n. 2005/370/CE. Essa si basa su tre pilastri: laccesso allinformazione, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e laccesso alla giustizia nel settore ambientale (149). Laccesso alle informazioni ambientali stato cos allineato a tale Atto attraverso la direttiva 2003/4/CE, mentre la partecipazione del pubblico alle decisioni in materia ambientale stata a sua volta oggetto di altra specifica direttiva: la 2003/35/CE (150). Differenziandosi dal modello tradizionale, la Convenzione di Aarhus concepisce lambiente come un vero e proprio diritto delluomo e ne offre tutela a livello internazionale. In particolare il diritto dellambiente inteso in termini procedurali: ci che viene tutelato non il diritto ad una determinata qualit dellambiente, ma il diritto dei cittadini ad essere associati dalle istituzioni nellassunzione delle decisioni che riguardano lambiente. In tal modo la qualit ambientale a cui gli individui hanno diritto non viene definita una volta per tutte in astratto, ma di volta in volta nellambito di un processo decisionale a cui i cittadini hanno diritto a partecipare (151). (148) Afferma il sesto considerando della direttiva : E opportuno, nellinteresse di una maggiore trasparenza, sostituire la direttiva 90/313/CEE anzich modificarla, in modo da fornire agli interessati un testo legislativo unico, chiaro e coerente. (149) Lart. 1 della suddetta Convenzione stabilisce infatti: Per contribuire a tutelare il diritto di ogni persona, nelle generazioni presenti e future, a vivere in un ambiente atto ad assicurare la sua salute e il suo benessere, ciascuna Parte garantisce il diritto di accesso alle informazioni, di partecipazione del pubblico ai processi decisionali e di accesso alla giustizia in materia ambientale in conformit delle disposizioni della presente convenzione. (150) La Direttiva 2003/35/CE del 26 maggio 2003 Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che prevede la partecipazione del pubblico nellelaborazione di taluni piani e programmi in materia ambientale e modifica le direttive del Consiglio 85/337/CEE e 96/61/CE relativamente alla partecipazione del pubblico e allaccesso alla giustizia afferma che tra gli obiettivi della Convenzione di Aarhus vi il desiderio di garantire il diritto di partecipazione del pubblico alle attivit decisionali in materia ambientale, per contribuire a tutelare il diritto di vivere in un ambiente adeguato ad assicurare la salute e il benessere delle persone (sesto considerando), e che la partecipazione, compresa quella di associazioni, organizzazioni e gruppi, e segnatamente di organizzazioni non governative che promuovono la protezione dellambiente, dovrebbe essere incentivata di conseguenza, tra laltro promuovendo leducazione ambientale del pubblico (quarto considerando). (151) M. SALVADORI, Il diritto di accesso allinformazione nellordinamento dellUnione Europea, in www.evpsi.org., 2010. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 337 Il carattere multilivello della disciplina di tutela ambientale richiede oggi, infatti, che tutti gli attori che a vario titolo intervengono o sono coinvolti dalle politiche pubbliche che interessano lambiente abbiano assicurata, sempre pi, la possibilit di far valere il proprio punto di vista attraverso la partecipazione democratica e, prima ancora, il diritto di ottenere e accedere a tutte le informazioni e le conoscenze che permettono di acquisire una consapevolezza e la formazione di un proprio punto di vista in materia, in vista di un controllo sociale diffuso sul bene-Ambiente (152). Limportanza della Convenzione di Aarhus sta proprio nellaver dedicato attenzione e messo in rilievo laspetto procedurale e organizzativo della partecipazione del pubblico, facendo capire come leffettiva realizzazione delle situazioni giuridiche soggettive astrattamente riconosciute vanificata se le associazioni e i soggetti portatori di istanze collettive non sono messi in grado di incidere sul farsi della decisione (153). Laccesso alle informazioni ambientali ha quindi costituito fertile terreno per limplementazione e la sperimentazione di istituti, facolt e strumenti innovativi di tutela, cui corrispondono stringenti doveri in capo ai soggetti detentori delle informazioni di carattere ambientale, che vengono dalla normativa accompagnata da una lettura estensiva operata dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia obbligati non solo ad assicurare una piena ed effettiva soddisfazione delle puntuali istanze di accesso (154), ma anche a realizzare quella per certi versi nuova e pi incisiva forma di pubblicit costituita da una divulgazione attiva dei dati e delle informazioni in proprio possesso. Peculiari dellaccesso ambientale, rispetto alla configurazione e alla lettura tradizionale dellaccesso ai documenti amministrativi, sono infatti la titolarit di tale situazione giuridica, basata su una legittimazione diffusa in capo a tutti gli interessati, che non sono tenuti a dare dimostrazione di un interesse qualificato e di un qualche collegamento con il dato che chiedono di (152) Oltre a influire sui modelli di consumo e di comportamento, linformazione ambientale... diviene il presupposto di una pi consapevole partecipazione dei cittadini ai processi decisionali pubblici che interferiscono con gli equilibri ecologici, migliorandone la trasparenza, laccountability e il tasso di adesione democratica: F. FONDERICO, Il diritto di accesso allinformazione ambientale, in Giornale di diritto amministrativo, giugno 2006, n. 6, p. 676. (153) Cfr. M. CIAMMOLA, Il diritto di accesso allinformazione ambientale: dalla legge istitutiva del Ministero dellAmbiente al decreto legislativo n. 195 del 2005, in Il Foro amministrativo - CdS, 2007, n. 2, p. 685 il quale osserva: ҏ sufficiente accennare al carattere dirompente rispetto allo status quo, per limitarci solo alla disciplina della fase partecipativa, delle previsioni che impongono che il pubblico sia informato nella fase iniziale del processo decisionale in materia ambientale e che ci avvenga in modo adeguato, tempestivo ed efficace, mediante pubblici avvisi od individualmente (con possibilit di audizioni pubbliche), ovvero di quelle secondo cui leffettiva partecipazione del pubblico allelaborazione di regolamenti e norme interessanti lambiente deve avvenire in una fase adeguata e quando tutte le alternative sono ancora praticabili. (La parte in corsivo riprende gli artt. 6 e 8 della Convenzione). (154) Con il solo limite di casi di esclusione, per legge, dellaccesso, tassativamente determinati. 338 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 visionare, nonch il contenuto o loggetto di tale diritto, che concerne non soltanto i formali documenti amministrativi, bens tutta la scienza in possesso delle autorit pubbliche, e quindi anche le attivit informali o i dati non ancora assurti al livello di documento ufficiale: per lappunto, le informazioni. Informazioni relative allambiente e al territorio che la normativa comunitaria obbliga a raccogliere, catalogare, aggiornare, rendere intelligibili e mettere a disposizione della collettivit (il pubblico, nella dizione comunitaria), attraverso le moderne tecnologie, in primo luogo Internet. Ne risulta confermato, anche in questo particolare settore, il ruolo di apripista e precursore del diritto ambientale (155), vero e proprio spazio privilegiato per lintroduzione di innovativi modelli organizzativi e strumenti di tutela. I principi e le garanzie previsti dalla citata Convenzione di Aarhus del 1998 sono dunque alla base della direttiva 2003/4/CE del 28 gennaio 2003. Obiettivo esplicito di detta normativa ampliare laccesso alle informazioni ambientali rispetto a quello sancito dalla direttiva 90/313/CEE. Lintento perci di rafforzare il principio di trasparenza, sia attraverso una assai estesa nozione di informazioni ambientali, sia individuando in maniera rigorosa i casi di esclusione per legge dellaccesso, sia responsabilizzando le autorit pubbliche detentrici delle informazioni attraverso la necessaria catalogazione, lavorazione, organizzazione e massima diffusione di tali informazioni verso lesterno. Riguardo il nuovo concetto di informazione ambientale accessibile, ҏ interessante osservare la definizione del concetto di informazione ambientale che risulta riferibile, in qualunque forma si presenti, non solo ai tradizionali elementi naturali, antropici e amministrativi (gi presenti nella direttiva 90/313/CEE), ma anche allo stato della salute e della sicurezza umana compresa la contaminazione della catena alimentare e, pi in generale, alle condizioni della vita umana (art. 2, lett. f) (156). Architrave di tutta la disciplina il primo comma dellart. 3 (Accesso allinformazione ambientale su richiesta) che afferma il diritto allaccesso ambientale a chiunque ne faccia richiesta, senza che il richiedente debba non solo dimostrare, ma addirittura dichiarare il proprio interesse. Alla istanza lautorit pubblica deve rispondere al pi presto e comunque entro 30 giorni, che possono salire a 60 a causa del volume e della complessit delle informazioni richieste, ma in tal caso lautorit tenuta entro i 30 giorni a informare il richiedente della proroga e dei motivi che la giustificano. Ne risulta confermata una titolarit incondizionata (157) del diritto di accesso, (155) Cfr. in merito M. CIAMMOLA, op. cit., p. 714-715 e F. DE LEONARDIS, in Le organizzazioni ambientali come paradigma delle strutture a rete, Foro amm.- CdS, gennaio 2006, n. 1, p. 273. (156) D. BORGONOVO RE, Informazione ambientale e diritto di accesso, in Codice dellambiente, a cura di S. NESPOR e A. L. DE CESARIS, Milano, III edizione, 2009, p. 1494. (157) M. SALVADORI, op. cit., p. 8. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 339 per cui linformazione ambientale patrimonio di conoscenza di chiunque. Sul versante della tutela la direttiva n. 2003/4/CE compie grandi passi in avanti, affermando espressamente che essa coinvolge anche le omissioni delle autorit pubbliche (articolo 6). E quindi prevista la possibilit di un riesame della decisione di fronte alla stessa o a unaltra autorit o in via amministrativa da un organo indipendente e imparziale istituito per legge, oppure di fronte ad un organo giurisdizionale, le cui decisioni sono vincolanti per lautorit pubblica. Soprattutto innovativa, come si accennava, quella forma di circolazione delle informazioni denominata Diffusione dellinformazione ambientale (art. 7), in cui previsto lobbligo per le autorit pubbliche, relativamente ai dati posseduti o anche solo detenuti dalle stesse, di una attiva e sistematica diffusione al pubblico, mediante le tecnologie di telecomunicazione informatica e/o le tecnologie elettroniche, se disponibile. E quindi disposto che linformazione ambientale sia resa progressivamente disponibile attraverso banche dati elettroniche, facilmente accessibili, nonch che essa comprenda un complesso minimo di dati (i testi di trattati, convenzioni e accordi internazionali; le politiche, i piani e i programmi relativi allambiente; le relazioni sullo stato dellambiente; le autorizzazioni con un impatto significativo sullambiente, ecc.), allo scopo di costringere le amministrazioni, volenti o nolenti, ad attivarsi facendo tutti gli sforzi possibili, con le risorse date, per incrementare successivamente e periodicamente il patrimonio informativo messo dufficio a disposizione del pubblico, attraverso la libera consultazione di banche dati o collegamenti a siti Internet. E evidente il vantaggio derivante dalla fruibilit in formato elettronico dellinformazione ambientale, perch cos facendo si eliminano tutti gli ostacoli di carattere spaziale e territoriale, garantendo la massima conoscibilit (e non solo la pubblicit) del dato ambientale (158). La normativa sullaccesso ambientale ha finito per costituire un punto di riferimento e un limite, in positivo, per le discipline successive, che non hanno potuto non tenerne conto. Cos, ad es., la direttiva 14 marzo 2007, n. 2007/2/CE, Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce unInfrastruttura per linformazione territoriale nella Comunit europea (Inspire) (159), - dopo aver sottolineato che esiste una certa sovrapposizione tra le informazioni territoriali trattate dalla presente direttiva e le informazioni di cui alla direttiva (158) Strutturare linformazione significa realizzare sistemi informativi efficienti dal punto di vista della circolazione interna dei dati e con elevata usabilit, in modo da garantire la diffusione esterna dellinformazione, cfr. E. SNCHEZ JORDN e C. MAIOLI, Diffusione e accesso allinformazione territoriale in accordo con il recepimento della direttiva Inspire, in www.altalex.com. Inspire (acronimo di INfrastructure for SPatial InfoRmation in Europe) uninfrastruttura per linformazione territoriale nella Comunit europea, istituita con la direttiva 2007/2/CE del 14 marzo 2007. (159) Recepita in Italia dal decreto legislativo 27 gennaio 2010 n. 32. 340 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 2003/4/CE allart. 2 espressamente afferma che essa si applica fatta salva la direttiva 2003/4/CE, che quindi ha carattere prevalente. Lo stesso Regolamento CE 23 aprile 2009 n. 401/2009, istitutivo dellAgenzia europea per lambiente (160), allo scopo precipuo di attuare una rete europea di informazione e di osservazione in materia ambientale, attribuisce tra laltro alla nuova Agenzia il compito di fornire informazioni oggettive, attendibili e comparabili, allo scopo di garantire unefficace informazione del pubblico sullo stato dellambiente. In conclusione, la disciplina comunitaria dellaccesso ambientale si caratterizza per gli elementi di specialit e innovazione rispetto alla tradizionale tutela riservata al diritto di accesso alla documentazione: lutilizzo e limplementazione dei moderni strumenti informatici ed elettronici Internet in primo luogo hanno permesso di fare leva e promuovere quella modalit di realizzazione di una pubblicit diffusa delle informazioni possedute rappresentata dalla divulgazione attiva delle informazioni ambientali, per il tramite di una serie di obblighi organizzativi e procedurali imposti ai detentori delle informazioni stesse. (160) Va detto che tale Agenzia stata istituita con regolamento CEE n. 1210 del 1990, modificato anche a pi riprese e perci codificato con il nuovo regolamento del 2009 a fini di razionalit e chiarezza (cfr. 1 considerando del regolamento CE 23 aprile 2009 n. 401/2009). R E C E N S I O N I GIAMPAOLO ROSSI (*), Potere amministrativo e interessi a soddisfazione necessaria. Crisi e nuove prospettive del diritto amministrativo. (G. Giappichelli Editore - Torino, 2011) Questo studio tratto, con integrazioni e modifiche, dal primo capitolo del libro Principi di diritto amministrativo, Torino, 2010. Lesposizione chiara ed esauriente dei principi intesi come chiavi di lettura, che serv a una prima enucleazione dei caratteri specifici della disciplina, assume una nuova importanza, sia didattica che scientifica. Levoluzione tumultuosa degli ordinamenti rende necessario il tentativo di individuare, nella disarticolazione della materia, le ragioni essenziali che ne consentono una ricomposizione, i punti fermi, dotati di sufficiente stabilit. E evidente che la stabilit va intesa in senso relativo: quella che si riferisce ai caratteri fondamentali di un ordinamento e quindi si perde con il mutare di questi. I cicli storici possono avere una diversa durata; sono pi duraturi per quanto riguarda i rapporti interprivati e pi soggetti a trasformazioni nel funzionamento delle collettivit organizzate e nel loro rapporto con le persone e i gruppi che le compongono. Basta aver presente, per averne conferma, quanta parte degli istituti del diritto privato romano sono ancora attuali mentre nulla resta del diritto pubblico di allora. Ci spiega, per altro, come lenunciazione dei principi non sia possibile in tutte le fasi storiche. Le teorie giuridiche non possono vivere fuori del proprio tempo, delle condizioni di vita, delle convinzioni, del sistema economico insieme al quale nascono e si esauriscono. Non possibile nei periodi di dissoluzione dei sistemi, perch nel momento della totale frammentazione la si pu solo registrare e non si pu riportare a sistema una vicenda che asistematica. Neppure possibile nei periodi di lunga stabilit, nel senso che, quanto i capisaldi concettuali si sono consolidati da tempo, la dottrina non pu elaborare i principi in quanto (*) Avvocato in Roma, Professore ordinario di diritto amministrativo - Facolt di giurisprudenza - Universit di Roma 3. Lesposizione chiara e lobiettivo della ricerca delle essenzialit nella trattazione delle tematiche affrontate - si riporta la prefazione dellAutore - hanno la capacit di suscitare interesse e riflessioni sia nelloccasionale cbe nel consumato conoscitore della materia (n.d.r.). 342 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 sono gi elaborati; e infatti la dottrina in questi contesti concentra spesso la sua attenzione su questioni di dettaglio o di mera descrizione. In genere i principi, intesi come nuove chiavi di lettura, si producono nelle fasi nascenti nelle quali si possono individuare con sufficiente chiarezza i segni dellevoluzione in atto, i caratteri di un sistema che si sta consolidando e nel quale, anche in termini concettuali, si possono formare nuove categorie. E stato cos alla infine del Medio Evo, quando diventato evanescente il potere dellImpero e della Chiesa e i giuristi che ne furono consapevoli elaborano le teorie sulla sovranit riferendole ai nascenti stati nazionali o, ancora, agli inizi dell800, quando laffermarsi delle democrazie parlamentari richiese e consent ai giuristi di elaborare le teorie sulla divisione dei poteri e sulla supremazia della legge. CՏ allora da domandarsi se lattuale periodo storico presenti questo tipo di caratteristiche o se levoluzione troppo rapida escluda la possibilit di individuare linee che si vanno consolidando in un nuovo assetto che possa essere teorizzato. E evidente che in crisi lo stato nazionale, inteso come lorganizzazione autosufficiente (Aristotele). E in crisi, quindi, il cardine fondamentale sul quale si fondato il diritto pubblico e quindi il diritto amministrativo negli ultimi secoli. Ne deriva una inevitabile crisi del diritto amministrativo, di tutto il diritto pubblico e delle categorie sulle quali stato costruito. Ma, come poi si vedr, non mancano segni che fanno presagire linizio di una nuova fase nellevoluzione degli ordinamenti, della quale prematuro definire tutti i profili sistematici e che consente tuttavia tentativi di rielaborazione basati su elementi essenziali del vivere sociale e degli assetti istituzionali che sussistono nelle trasformazioni assumendo vesti e contenuti nuovi. Nella complessit e frammentariet degli attuali contesti sociali e istituzionali le chiavi ricostruttive devono ripartire dai fondamenti primi delle aggregazioni umane, dalla rinnovata consapevolezza dellesistenza di interessi che il singolo non pu soddisfare da solo e quindi dalla necessit di appartenenza a gruppi organizzati e dellesercizio di poteri in grado di soddisfarli (...). LAutore RECENSIONI 343 AA.VV., a cura di FRANCOGIAMPIETRO (*), La nuova disciplina dei rifiuti. Commento al D.Lgs 205/2010. Aggiornato al Testo Unico Sistri. (IPSOA, 2011, pp. 1-319) Il volume risponde alle tante domande ed ai rilevanti dubbi sorti tra gli operatori, ma anche tra gli esperti, dopo la pubblicazione del D.Lgs. n. 205/2010, attuativo della direttiva 2008/98/CE sui rifiuti, commentata nel precedente volume del 2009, per la stessa Casa Editrice e dal medesimo coordinatore del presente volume (Cfr. Commento alla direttiva 2008/98/CE, 2009, pp. 1-288). Il decreto intervenuto sul Testo Unico Ambientale, come se fosse (ma non lo ) un quarto Correttivo, attraverso modifiche, sostituzioni, aggiunte e abrogazioni, introducendo istituti nuovi (come per es. la responsabilit estesa del produttore del futuro rifiuto; obiettivi e termini di riciclaggio; le definizioni di sottoprodotto e dellend of waste, ecc.) e non soltanto di derivazione comunitaria (ci riferiamo al SISTRI e alle sue tante proroghe). I temi oggetto di analisi e commento sono: Troppe regole annunciate e ancora dubbi sul giudice competente (F. Giampietro); le nozioni di rifiuto e di sottoprodotto (A. Far); la cessazione della qualifica di rifiuto (end of waste) (D. Rettgen); il sistema di controllo della tracciabilit dei rifiuti (SISTRI) (D. Rettgen); la responsabilit estesa del produttore (G. Garzia); i procedimenti di autorizzazione e di registrazione. Oneri e controlli (F. Benedetti); le norme transitorie e il rapporto con la disciplina di particolari tipologie di rifiuti (A. Borzi); la classificazione dei rifiuti pericolosi (V. Giampietro); i piani regionali di gestione dei rifiuti (M. Medugno); i profili tecnici della riforma con i relativi Allegati tecnici (A. Muratori); il sistema sanzionatorio penale e le sue modifiche indirette (A.L. Vergine). (*) Prof. Avv., titolare di Studio legale ambientale in Roma, gi magistrato ordinario (sino al 1994); fondatore e condirettore Rivista consulenza ambientale (ora Ambiente & Sviluppo) dellIPSOA. Presidente Associazione giuristi ambientali (www.giuristi ambientali.it). Autore di volumi e pubblicazioni in materia ambientale. E stato docente universiatrio a contratto alla Luiss (Roma) ed in altre Universit. 344 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 RUGGIERO DIPACE, La disapplicazione nel processo amministrativo. Collana di Studi Nuovi problemi di amministrazione pubblica diretti da FRANCO GAETANO SCOCA. (G. Giappichelli Editore - Torino, 2011, pp. 1-295) La monografia, pubblicata nella collana di studi sui nuovi problemi della Pubblica Amministrazione diretta dal prof. F. Scoca, propone una lettura innovativa ed originale dell'istituto della disapplicazione nel processo amministrativo in linea con la pi recente giurisprudenza in materia: la disapplicazione viene considerata come un potere connaturato alla funzione giurisdizionale e, quindi, attraverso una puntuale ed approfondita analisi degli articoli 4 e 5 della Legge Abolitiva del Contenzioso amministrativo inerente anche alla giurisdizione amministrativa. La disapplicazione viene configurata come un potere alternativo a quello di annullamento dell'atto nelle ipotesi in cui vengano in rilievo domande differenti da quella demolitoria. Tale conclusione risulta ancor pi avvalorata nell'attuale contesto normativo ove il codice del processo amministrativo introduce il principio di atipicit delle azioni. Nel testo si chiariscono i confini tra la disapplicazione, sindacato principale e sindacato incidentale, affermando che la disapplicazione pu essere la conseguenza sia di un sindacato in via incidentale sia di un sindacato in via principale sull'atto. Tale affermazione sorretta da una approfondita motivazione e risulta essere di sicura originalit. Interessante la disamina delle vicende dell'istituto in chiave storica operata nel primo capitolo del libro. Le vicende della disapplicazione vengono analizzate sia con riferimento all'evoluzione del criterio di riparto fra le giurisdizioni sia con riguardo ai mutamenti nel sistema tradizionale di giustizia amministrativa. Nel secondo capitolo viene trattato l'argomento della compatibilit della disapplicazione con il sistema costituzionale e il suo radicamento nel processo amministrativo. In questa parte del libro si dimostra come la disapplicazione sia un potere generale compatibile con la giurisdizione del giudice amministrativo e tale ragionamento viene affrontato tenendo presente le norme costituzionali. La Costituzione si limita a prevedere l'annullamento dell'atto non perch questo sia l'unico potere in mano al giudice amministrativo quanto perch incidendo sull'esistenza dell'atto stesso deve essere accuratamente disciplinato nei suoi effetti a livello costituzionale. II potere di disapplicazione, invece, non avendo tale esito non richiede una apposita disciplina ma presupposto allo ius dicere proprio di qualsiasi giudice. La disapplicazione, quindi, diretta espressione del principio di legalit e di effettivit della tutela. Viene quindi nei successivi capitoli esaminato il ruolo della disapplicazione nelle tipologie della giurisdizione amministrativa. Gli spunti pi innovativi riguardano la giurisdizione di legittimit laddove non venga in rilievo la domanda di annullamento. In questa prospettiva viene riletta la vicenda della disapplicazione dei regolamenti e degli atti contrastanti con il diritto comunitario, nonch trattata approfonditamente la compatibilit della disapplicazione con i principi generali del processo amministrativo e il suo ruolo nel sistema delle azioni. (*) Professore di Diritto amministrativo presso lUniversit degli Studi del Molise. RECENSIONI 345 Con particolare riguardo alla inoppugnabilit del provvedimento, l'Autore afferma la piena compatibilit con la disapplicazione, considerando l'inoppugnabilit solo ed esclusivamente come preclusione alla proposizione della domanda di annullamento senza conferire alcun ulteriore valore ad un provvedimento che resta illegittimo. Nel sistema delle azioni delineato dal codice del processo amministrativo quella di annullamento ha perso la sua centralit a scapito della azione di condanna e delle prime ammissioni inerenti I'azione autonoma di accertamento. In questo contesto, secondo l'Autore, la disapplicazione trova ampi spazi di operativit: basti pensare alla proposizione autonoma dell'azione risarcitoria laddove il giudice pu condannare la pubblica amministrazione alladozione delle misure pi idonee per tutelare la situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio. In questo caso, in presenza di un provvedimento non annullato il giudice ben potr disapplicarlo al fine di pronunciare la condanna della p.a. Di particolare interesse la ricostruzione in termini di disapplicazione dei poteri del giudice nella vicenda della sorte del contratto a seguito dell'aggiudicazione. A ben vedere in questa ipotesi al giudice amministrativo viene concesso il potere di dichiarare I'inefficacia del contratto. Secondo l'Autore tale potere sarebbe inquadrabile nel generale potere di disapplicazione. In questa ipotesi, la disapplicazione sarebbe particolarmente invasiva visto che non riguarderebbe un atto della amministrazione bens un contratto frutto della negoziazione tra due parti. Discorso particolare merita I'azione di nullit. E chiaro che un provvedimento nullo non pu essere disapplicato in quanto non produce effetti giuridici ma secondo l'Autore altrettanto vero che vi sono provvedimenti che, ad onta della loro qualificazione in termini di nullit, possono produrre effetti giuridici, basti pensare ai provvedimenti in violazione o meglio in elusione del giudicato. In questi casi il giudice ben potrebbe disapplicare il provvedimento "nullo". Il ruolo della disapplicazione viene esaminato anche con riferimento all'azione di accertamento, con riguardo all'azione sul silenzio, con riferimento alla class action. M.B. Finito di stampare nel mese di ottobre 2011 Servizi Tipografici Carlo Colombo s.r.l. Via Roberto Malatesta n. 296 - Roma